Palermo-Capo Nord: In moto, in due, per diecimila chilometri
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Info su questo ebook
Palermo-Capo Nord è il racconto autobiografico di un viaggio in moto attraverso tutta l'Europa in senso verticale, tra ritardi, renne in pieno agosto e ruote che si sgonfiano. La resistenza fisica e mentale dei due testardi compagni di viaggio è messa a dura prova da ritmi forsennati e dall'enormità delle distanze geografiche, cui fanno da sfondo strani personaggi incontrati lungo il cammino. Una ricerca del proprio senso del viaggio, tra desiderio di partire e voglia di tornare.
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Anteprima del libro
Palermo-Capo Nord - Ernesto Fulvio Lugaro
Palermo – L'attesa
24/07/2018
La nave per Genova parte alle 21 e a me tremano un po' le gambe. È una bella sera d'estate e so già che caos troveremo per imbarcare noi stessi e la moto. Siamo vestiti leggeri. Fa caldo, e le giacche pesanti cerchiamo di schiacciarle dentro al bauletto, alzando ancora un po' il baricentro della moto. A guardarla mi fa quasi pena. Carica come una mula com'è, sembra goffa. Però mi piace, questa sua inedita veste da viaggiatrice. Il dubbio, in fin dei conti, non è se lei sia pronta e adatta a questo viaggio o no, ma se lo siamo io e Marta.
Faccio la prima prova di movimento, alzandola dal cavalletto. Pesa. Ma si può fare. Siamo stracarichi e io devo fare molta attenzione per non perdere l'equilibrio. Devo abituarmi. Ma l'idea di essere finalmente in procinto di partire da Palermo per Capo Nord, dopo anni di attese, rinvii e incertezze, mi elettrizza. Mi elettrizza sapere che finalmente sto concretizzando quello che per me è allo stesso tempo un sogno motociclistico e un simbolo di perseveranza. Raggiungere il freddo, spopolato, selvaggio Nord, il punto più settentrionale d'Europa, partendo dalla regione più a sud. Oltre 10.000 chilometri di viaggio, caricando la moto su navi e treni, attraverso sette paesi, in due, su una Honda Hornet 600 del 2009. Una moto che va bene un po' per tutto, ma che di certo non è stata pensata per viaggi del genere.
Mi chiedo se manchi qualcosa. Ho passato mesi a organizzare l'itinerario, a vagliare tutti i dettagli, a decidere dove fermarci e cosa portare, a pensare a quali inconvenienti potremmo avere. Mi sono preparato mentalmente e fisicamente, ho risparmiato quello che potevo e ho comprato l'equipaggiamento per me e la moto, rendendola più adatta possibile a un viaggio del genere. Ho fatto un setup completo, sostituito il sostituibile e pensato al pensabile. E tuttavia ciò non cambia le mie sensazioni. L'essere elettrizzato, da un lato, e vagamente intimorito, dall'altro.
Ma questo non significa che io abbia la minima intenzione di indugiare nella partenza. Marta sale dal lato sinistro, dopo che io ho raddrizzato la moto. Accendo. Lascio la frizione. Si parte.
Guardo la finestra del salotto prima di svoltare l'angolo, e saluto mentalmente casa. Ci vediamo fra tre settimane. Un tempo che può essere breve e lunghissimo. Però cerco di non iniziare subito le grandi digressioni sul senso di ogni piccolo dettaglio, sennò impazzisco prima di essere arrivato al primo incrocio.
Il porto è vicino, e noi arriviamo per tempo, superando in scioltezza le decine e decine di macchine in attesa di imbarcarsi. Sguardi di invidia e di curiosità ci accompagnano: sono quelli degli automobilisti, e soprattutto dei loro figli, che ci vedono a metà tra pazzi e supereroi con il casco integrale. Per quanto mi riguarda non hanno tutti i torti, sulla pazzia.
Ci accodiamo sul molo. L'aria del mare – o se vogliamo il tanfo del porto – mi piace da sempre, e da sempre mi sa di viaggi e libertà. Non fa eccezione questa volta. Mi piace anche l'idea di unire moto e nave, decisamente i miei due mezzi di trasporto preferiti.
immagine 1Penso che dovremo comunque aspettare un po', ma vengo smentito quasi subito, quando gli addetti ci fanno vistosamente cenno di salire, assieme ad altre mille moto rumorosissime e tamarre, mentre tutti quei poveri automobilisti rosolano nelle loro macchine in attesa del loro turno.
Entriamo. Salire sul ponte garage è un po' scomodo perché ha dei rilievi antiscivolo che fanno sobbalzare noi, la moto e tutte le borse che abbiamo addosso. Sono poche, per due persone: bauletto, due borse laterali, il mio zaino (che serve anche a Marta per appoggiarsi al bauletto nelle lunghe ore di viaggio), una borsa da serbatoio di medie dimensioni. Tutte stracolme, ovviamente. E pesanti. È il peso degli attrezzi per la manutenzione, delle bombolette per riparare le gomme, del poco cibo che abbiamo portato, delle guide, delle giacche, dei pantaloni antipioggia, delle mappe. È anche, probabilmente, il peso della strada che abbiamo davanti, e quello della consapevolezza che in certi frangenti potremo contare solo sulle nostre risorse e sulla nostra resistenza.
Lascio la Hornet agli addetti al garage della nave, che dovranno legarla evitando che sbatta sulle altre. È previsto mare calmo, e queste navi filano lisce come l'olio, ma per mia indole non mi fido troppo di come tratteranno la moto. Tuttavia non ho altra scelta che lasciare che facciano il loro lavoro. La moto è ferma in prima, io e Marta saliamo faticosamente le scale della nave con i bagagli in mano, fino ai ponti superiori.
In nave
Cerchiamo di sistemarci in cabina. Evitiamo le varie famigliole, per quanto possibile, che riempiono i traghetti in estate rendendoli uno strazio tremendo. Ci sono bambini che urlano come ossessi e animatori che cercano disperatamente di coinvolgerli nelle attività per le quali i loro genitori hanno pagato, fondamentalmente per toglierseli di mezzo per un po'. Fanno veramente troppo casino, e visto che l'ambientino non ci ispira più di tanto, cerchiamo di defilarci.
Saliamo sul ponte superiore per dare uno sguardo al porto. Il sole tramonta, c'è un bel freschetto. Si respira, quassù. Ci guardiamo intorno per fissare nella mente i primi istanti del viaggio. Navi e traghetti, clacson, macchine in fila, la luce solare che diminuisce di intensità mentre i fari di bordo si accendono.
Partiamo così dolcemente che quasi non ce ne accorgiamo, e ci ritroviamo già fuori dal porto mentre usciamo nuovamente all'esterno del ponte superiore per prendere un altro po' di fresco. A quanto pare si parte davvero. Arriveremo a Genova nel tardo pomeriggio di domani, quindi avremo tempo per ciondolare come tutto il resto dei passeggeri. Ma non lo facciamo. L'atmosfera da villaggio turistico non fa per noi, per cui dopo una cena immotivatamente cara e una sigaretta al fresco sulla nave in movimento, fuggiamo in cabina per eludere feste e animatori. Non che sia la cosa più bella del mondo, starsene rinchiusi in una sera d'estate, ma la calca davvero non la sopportiamo.
Sistemiamo le nostre cose in giro per la cabina, giusto per evitare di inciampare ogni secondo, e diamo un'occhiata al nostro piano di viaggio.
Abbiamo ventuno giorni per attraversare quel pezzetto di Italia che ci separa dalla Svizzera, la Svizzera stessa, poi Germania, Danimarca, Svezia, un pezzetto di Norvegia e la Finlandia. E poi tornare indietro, parzialmente a ritroso. Non siamo né i primi né gli ultimi a fare qualcosa del genere, ma diversamente da quasi tutti noi la facciamo in solitaria. Una moto, in due. Non ho ancora capito se è un'idea geniale o folle. Diciamo che il tempo ce lo mostrerà. Al momento non ce ne preoccupiamo tantissimo. Semplicemente, guardiamo il nostro equipaggiamento per capire se abbiamo dimenticato qualcosa. Le prenotazioni degli Airbnb le abbiamo fatte da tempo, più tutti i biglietti per i mezzi che prenderemo e sui quali imbarcheremo la moto.
Abbiamo due o tre copie di tutto. Non riesco a pensare a nient'altro, e concludo che la devo smettere di autoflagellarmi. Dovremmo solo iniziare a goderci il viaggio. Anche se al momento c'è da temporeggiare. Pensiamo a domani e a quello