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The End
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E-book364 pagine4 ore

The End

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Info su questo ebook

A Parigi gli agenti Blanchard e Lagarde devono risolvere un crimine efferato e inconsueto che nasconde, per le sue modalità, molto più di quanto possa apparire.
In un viaggio continuo tra luoghi e tempi diversi, piano piano si sbroglia un’intricata matassa dove occorre sempre guardare oltre le apparenze, così nel lavoro come nella vita.
Parallelamente alla vicenda criminale si sviluppa anche la storia dei protagonisti, le loro vite, le loro personalità, le loro paure, i loro dubbi… Alla fine, però, è necessario accettare i rischi e correrli, perché la vita è qui e ora.

Osvaldo Borghese nasce a Savona il 4 agosto 1973.
I suoi studi sono lontani dall’ambito letterario, ma fin dall’adolescenza lo spirito creativo e umanistico lo spinge verso il mondo della musica; si cimenta così nello studio della chitarra e fa parte di alcuni gruppi musicali, partecipando anche alla stesura dei testi.
Pur continuando ad amare e praticare la musica, nasce poi il desiderio di esprimersi con la scrittura, arricchendo così un percorso spirituale che da sempre vive e cresce in lui.
Questo romanzo conferma che il fiume creativo è più vicino alla sorgente che al mare e riserverà ancora gradite sorprese.
LinguaItaliano
Data di uscita31 lug 2021
ISBN9788830647404
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    Anteprima del libro

    The End - Osvaldo Borghese

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    PRIMA PARTE

    CAPITOLO 1

    Parigi, 6 maggio 2014

    Era una bellissima giornata primaverile, il tepore del sole riscaldava la pelle dopo il freddo del lungo inverno, la luce quasi accecante sembrava risvegliare le persone dal letargo e riportarle a nuova vita.

    La pioggia e il freddo erano durati a lungo quell’anno, fino allo sfinimento. La gente sentiva il bisogno di uscire di casa e rimpossessarsi di quella libertà e di quegli spazi che il maltempo e il rigido inverno Parigino le avevano sottratto nei mesi passati: il verde dei parchi, le lunghe passeggiate all’aria aperta e gli incontri nei dehors dei bar dove le persone comuni amavano passare il loro tempo.

    Sophie Blanchard stava camminando sul lungofiume della Senna, vicino ai Jardin du Trocadéro, da quel posto la vista della Tour Eiffel era mozzafiato.

    Amava molto quella zona, le piaceva mischiarsi con la folla di turisti di ogni nazionalità e qualche volta fingere di essere una di loro, lei, parigina di nascita, aveva la sensazione di riscoprire quelle meraviglie che tutti venivano a vedere a due passi da casa sua.

    Il fatto di non darle per scontate e goderne della vista di tanto in tanto, quando il lavoro glielo permetteva, la faceva sentire bene.

    Sophie Blanchard, o meglio, il detective Sophie Blanchard era un’agente speciale della sezione omicidi e crimini violenti della polizia parigina. Dopo anni spesi in diverse sezioni aveva finalmente trovato la sua strada nella divisione più dura di tutte, ove serviva fegato, uno stomaco forte e tanta caparbietà.

    Spesso si sentiva sotto pressione nella sua professione, aveva fatto carriera con difficoltà e pazienza e pensava che ogni giorno il suo posto fosse in discussione. Questo da un lato la stimolava a fare sempre meglio, ma dall’altro le faceva sentire sulle spalle tutto il peso della responsabilità. Il suo lavoro le impegnava tutta la giornata, ma era al calare delle tenebre che la sua mente iniziava veramente a pensare e a cercare le soluzioni che alla luce del sole restavano celate.

    Le capitava spesso di svegliarsi nel cuore della notte e dire Cavolo… come ho fatto a non pensarci prima.

    Era molto abile nel risolvere indovinelli e quesiti di ogni genere. Le sue capacità logiche le erano spesso tornate utili nel suo lavoro, nel quale avere una mente analitica, capace di valutare con attenzione e precisione indizi e prove, era sicuramente una delle qualità fondamentali.

    Come spesso accade quello che aveva in più rispetto alla media in termini di logica e capacità analitica le mancava in fantasia e creatività. Non era mai stata eccelsa nelle arti, aveva provato a suonare vari strumenti, ma al di là della mera tecnica la sua capacità inventiva lasciava molto a desiderare. Di conseguenza il fatto di non essere in grado di creare qualcosa che in fondo le piacesse faceva rapidamente calare il suo interesse nello strumento e quindi nella musica stessa.

    Non meglio era andata con la pittura e il disegno, era così intelligente da essere in grado da sola di giudicare quanto brutto fosse quello che raffigurava.

    Nel suo lavoro dava il meglio di sé ed era stata così astuta, o forse anche fortunata, da trovare un partner lavorativo che sopperisse a quelle che erano chiaramente le sue mancanze, un agente in grado di ricoprire quel ruolo creativo che lei non riusciva a espletare da sola.

    Michel Lagarde era più giovane di lei di cinque anni, alto e di bell’aspetto, un uomo dalle grandi capacità artistiche, molto estroverso e gioviale. Non di rado attirava le attenzioni del mondo femminile: per la sua presenza, ma anche per la sua tendenza ad essere primadonna e la bravura nel gestire con nonchalance le attenzioni dell’altro sesso.

    Aveva studiato all’Accademia delle belle arti di Parigi con ottimi risultati, per poi indirizzarsi in seguito alla carriera in polizia, più stabile e sicura.

    Non aveva tuttavia mai perso la sua passione per la pittura ed era molto naturale per lui creare. Spesso chiudeva gli occhi e iniziava a dipingere su una tela senza guardare ciò che stava facendo, lasciava andare il suo estro e apriva gli occhi solo per cercare il colore che gli serviva al momento, per poi guardare con ammirazione il risultato del suo operato solo quando sentiva dentro di sé che era concluso.

    Dal punto di vista professionale non aveva di sicuro la cura maniacale nei dettagli che poteva vantare la sua partner, ma i suoi spunti geniali spesso avevano dato una grossa mano a Sophie nel venir fuori da situazioni intricate. L’aveva aiutata in molte occasioni aggiungendo quel tocco di genialità che serviva in quel determinato momento.

    Più semplicemente i due si completavano a vicenda a livello professionale e creavano una coppia indissolubile che stranamente non aveva trovato lo stesso coinvolgimento nella sfera sentimentale. Entrambi si stimavano e rispettavano, ma ritenevano che mischiare lavoro e vita privata non sarebbe stata una buona idea e che le carriere di entrambi ne avrebbero perciò risentito.

    Sicuramente tutti e due non erano immuni all’altrui fascino ma la loro professione veniva prima.

    Michel viveva le sue relazioni con leggerezza, senza mai impegnarsi a fondo, prendeva la parte migliore di ogni donna che frequentava e lasciava i problemi ad altri.

    Pensava, a trentatré anni, di avere ancora tempo per sistemarsi e non si sentiva particolarmente adatto al ruolo di marito o padre di famiglia, preferendo sempre limitare le sue relazioni a pochi mesi o comunque al tempo che più gli aggradava.

    Sophie, al contrario, risultava sempre molto complicata nei rapporti personali, aveva avuto le sue storie, alcune importanti anche, ma spesso contorte e sofferte. Era stata combattuta in passato se scegliere la carriera o la famiglia, ma non si era sentita mai abbastanza sicura da abbandonare, o comunque limitare, quello che per lei era un lavoro denso di soddisfazioni per pannolini e biberon. Probabilmente non aveva mai incontrato la persona giusta con la quale creare qualcosa che andasse oltre a una breve convivenza.

    A trentotto anni era ancora una bella donna, snella e allenata, aveva capelli lunghi e neri che spesso teneva racchiusi in una treccia. I suoi occhi verdi, uniti al bel fisico, le donavano un aspetto da amazzone e spesso il suo sguardo intenso intimoriva gli uomini che la vedevano più come una guerriera che come una donna.

    La sua ultima relazione era durata due anni ed era finita cinque mesi prima dopo l’ennesima lite. Il suo fidanzato non aveva mai visto di buon occhio la sua totale dedizione al lavoro e si sentiva spesso escluso dalla sua vita.

    Più probabilmente i due non erano fatti l’uno per l’altra e se ne resero conto da soli prima che le cose andassero troppo avanti.

    Dopo quest’ultimo tormentato rapporto Sophie decise di restare da sola per un po’, per schiarirsi le idee e fare il punto sulla sua vita, alla soglia dei quarant’anni.

    In quella splendida giornata di primavera Sophie si godeva una meritata giornata di riposo che aveva scelto di spendere in uno dei modi che più apprezzava: guardando le meraviglie della sua città. Passeggiando nelle strade meno trafficate poteva trovare la vera essenza di quel luogo, i veri parigini intenti a vivere la vita di tutti i giorni, nei bar o nei negozi. Lontano da quella che era la Parigi dei turisti o dei monumenti, dei larghi viali e dei centri commerciali affollati di gente.

    Aveva sempre avuto un grande amore per quel posto. Non aveva viaggiato molto nella sua vita ma riteneva comunque Parigi la capitale dell’Europa, non solo per quello che rappresentava per la Francia e i francesi, ma per quanto era ammirata e invidiata dal resto del mondo, per le sue ricchezze e la sua storia.

    Secondo lei racchiudeva l’essenza della bellezza, del fascino e della sensualità: una città dalle mille qualità che solo in quel posto poteva vedere tutte insieme.

    Quando aveva tempo si concedeva un giro nella cattedrale di Notre-Dame, una delle sue preferite, famosa nel mondo intero. Si soffermava a lungo all’esterno per ammirarne la magnificenza, per poi concedersi un’ampia passeggiata all’interno, tra le navate, guardando con rispetto le vetrate sublimemente decorate. Era il suo modo per rilassarsi e scrollarsi di dosso la pressione della vita di tutti i giorni. Spesso restava fino all’ora di chiusura, lasciando uscire per primi tutti quei turisti che visitavano la chiesa, per restare pochi istanti da sola in quel luogo di fede, dove anche lei si sentiva più vicina a Dio.

    La sua vita non era stata facile, sua madre si era spenta quando Sophie era ancora piccola, consumata dalla depressione e, passati molti anni, ormai il suo ricordo era poco più di una sbiadita immagine, quella di una donna divorata dai suoi demoni e dalle sue debolezze.

    Il ricordo di una madre amorevole e affettuosa era più che altro frutto della sua fantasia e del suo desiderio, il desiderio di una vita ed una famiglia normale.

    Suo padre le era stato vicino tutta la vita, l’aveva in pratica cresciuta da solo, cercando di farle pesare il meno possibile la mancanza della figura materna e accompagnandola in ogni passo della sua crescita e maturazione sia umana che professionale. Le aveva dato le certezze di cui una bambina aveva bisogno, una spalla su cui piangere quando il suo cuore era ferito e l’aveva aiutata come meglio poteva nella sua carriera lavorativa. Restava alzato fino a tardi quando lei doveva studiare e l’assecondava in quelle che erano le sue scelte professionali.

    Suo padre non le aveva mai nascosto i suoi timori per i pericoli che si sarebbero potuti presentare a causa del suo lavoro, ma si era sempre inchinato di fronte alla passione con la quale Sophie affrontava ogni sfida e ogni giornata. Spesso le diceva: Se tu sei felice... allora lo sono anch’io. Sophie aveva sempre apprezzato l’atteggiamento del padre ricambiando con enorme riconoscenza e affetto quell’uomo che non solo era stato suo genitore ma anche il faro della sua esistenza.

    Tutte le settimane lo andava a trovare e anche se non vivevano più insieme da anni amava passare del tempo con lui e sentire i racconti di quando era giovane. Avevano sviluppato nel tempo un rapporto che andava oltre a quello affettivo tra genitore e figlia, un rapporto che si era tramutato in una relazione quasi amichevole, dove l’età e i ruoli familiari non contavano più, ma venivano sostituiti da una complicità, un piacevole relazionarsi l’uno con l’altra che faceva sì che i due si sentissero buoni amici e che si permettessero di giudicarsi l’un l’altro senza incorrere in quello che altrimenti sarebbe stato: da una parte un padre che bacchetta la sua unica figlia e dall’altra una figlia che si ribella all’autorità ed esperienza paterna.

    Non di rado entrambi si permettevano di criticare le altrui scelte sentimentali, ma il tutto avveniva sempre in un clima rilassato e disteso, davanti ad un buon bicchiere di vino rosso che non mancava mai sulla loro tavola.

    L’anno passato era stato difficile per Sophie, alcuni problemi di salute del padre l’avevano preoccupata molto, facendole realizzare che quella che era la persona più importante della sua vita purtroppo non era eterna e che ogni momento che passavano insieme era come un dono di cui godere pienamente.

    Era ormai consuetudine aiutarlo in alcune faccende delle quali fino a poco tempo prima l’uomo si era sempre occupato da solo.

    Spesso la caparbietà di Philippe si era rivelata insormontabile per lei che intelligentemente si limitava a controllarlo in silenzio e a intervenire solo quando fosse realmente necessario. Non voleva infatti intaccare l’autostima di quella persona che le aveva insegnato tutto.

    Nella quiete della sua giornata aveva raggiunto un momento di pura pace e tranquillità, si era lasciata andare a un momento di relax che non le era comune. Era così immersa nel silenzio dei suoi pensieri che a momenti non udì il telefono squillare insistentemente, quasi a rapirla da un mondo di fantasia nel quale, da alcune ore, si era rifugiata.

    Portava sempre con sé due cellulari, uno personale e uno del lavoro, quando capì che a squillare era quest’ultimo si rese subito conto che qualcosa non andava e che il suo riposo era finito.

    «Sophie, sono Michel, devi venire subito!»

    La voce dall’altra parte era quella del suo partner, sembrava stranamente nervoso, cosa non usuale per lui, abituato da tempo alla vita da poliziotto.

    «Che succede?» rispose lei.

    «È meglio che vieni a vedere con i tuoi occhi, non saprei come descrivertelo».

    CAPITOLO 2

    Parigi, 6 maggio 2014

    Erano ormai le tre del pomeriggio quando Sophie raggiunse Michel di fronte alla chiesa di Saint Sulpice, in Rue Palatine nel VI arrondissement. Il fragore dell’acqua della fontana antistante la chiesa era quasi assordante, in pieno contrasto con quello che fino a poco tempo prima era stata la quiete della sua giornata di riposo.

    Le due torri troneggiavano su quel quartiere di Parigi dove il culto cattolico era ancora molto sentito. Si fermò un istante di fronte alle grandi colonne che si trovavano all’ingresso pensando quanto piccola fosse lei in confronto a loro e quanto lavoro ci fosse voluto per costruire una struttura così grande e imponente.

    Le si fece incontro Michel:

    «Ce ne hai messo di tempo» le disse.

    «Stai scherzando? Ho fatto in un lampo, non ero poi così lontana».

    «Ora posso sapere cosa è successo o ti porterai il segreto nella tomba?»

    «È meglio che vieni dentro a vedere tu stessa».

    Nella breve camminata che conduceva all’ingresso della chiesa si potevano notare numerose pattuglie di agenti intenti a transennare la zona e a tenere alla larga gli immancabili curiosi interessati a tutto quel movimento.

    Il volto di Michel era insolitamente teso, una cosa strana per lui che era abituato a scene non propriamente comuni.

    «Mi hanno chiamato un’ora fa», disse lui,«un addetto alle pulizie della chiesa ha dato l’allarme, sembrava sconvolto».

    «Non è orario di apertura al pubblico?» chiese Sophie.

    «In genere sì, ma negli ultimi giorni l’accesso alla chiesa è consentito solo per la messa delle 18 a causa di lavori di manutenzione straordinaria, l’inserviente aveva il compito di pulire prima che arrivassero i fedeli».

    Erano ormai giunti all’ingresso, il portone di destra era spalancato.

    «Attenta a dove metti i piedi, Sophie».

    «Ok», rispose lei, mentre con gli occhi cercava di osservare che cosa doveva evitare.

    «È qui dietro». Sophie si voltò verso la parte ancora chiusa del grande portone in legno che separava l’interno della chiesa dal resto del mondo.

    «Santo Dio!» esclamò, portandosi la mano alla bocca come a volere strozzare le parole che ne uscivano.

    Rimase immobile a guardare la scena che le si presentava davanti, il suo sguardo era un misto di stupore e sorpresa. Nonostante gli anni di carriera alle spalle non si sarebbe mai aspettata di vedere una cosa simile.

    Una donna crocifissa al portone di legno riversava il suo sangue sul pavimento: la testa china, leggermente piegata da una parte, i piedi sovrapposti fermati da un chiodo mentre altri due le bloccavano le mani, le braccia spalancate, come a voler spiccare il volo da quel posto.

    «Avevi mai visto una roba simile?» le chiese lui,«Di cose strane ne ho viste in anni di lavoro, ma questa le batte tutte».

    «Michel, perché tutto questo sangue?»

    «Viene da sotto al vestito, sembra che sia stata trafitta o qualcosa del genere».

    «Sono stati fatti gli accertamenti della scientifica?» chiese lei.

    «Hanno quasi finito, mancano alcune foto, hanno cercato di effettuare il rilevamento delle impronte ma essendo un luogo frequentato da molta gente… ti puoi immaginare».

    Sophie stava rimuginando tra sé e sé, cercando di usare quelle doti che l’avevano aiutata più volte in passato a comprendere ciò che sembrava incomprensibile.

    «Perché prendersi la briga di inscenare una crocifissione? Perché non ucciderla e darsela a gambe?» e poi …

    «Perché tutto questo sangue? Come diavolo ha fatto a portarla lassù?»

    Gli interrogativi erano davvero molti, la scena oltre che raccapricciante aveva un qualcosa di mistico, dava la chiara impressione di un sacrificio e sicuramente andava al di là di un semplice omicidio.

    Quello che non quadrava a Sophie era la grande quantità di sangue che si trovava riversata al suolo: Forse era quella la causa del decesso? pensò, Perché prendersi la briga di crocifiggere una donna dopo che era già stata ferita a morte?

    Michel si era allontanato un attimo per parlare con il capo della scientifica, al suo ritorno confermò alla sua collega che a breve gli agenti si sarebbero occupati della rimozione del corpo, per portarlo via e procedere con gli esami autoptici.

    «Abbiamo trovato una borsa nel confessionale della chiesa, potrebbe essere della vittima. Dovrebbe trattarsi della dottoressa Elise Lacroix, medico chirurgo dell’Hopital General de la Santé di Parigi. Sembrava essere un’abituale frequentatrice di questa chiesa, non abita molto lontano da qui».

    «Perché si trovava nella chiesa quando era chiusa al pubblico?» chiese Sophie.

    «Non ho idea», le disse il suo partner, aggiungendo:«Ci sono molti interrogativi in questa storia, speriamo che l’autopsia ci chiarisca un po’ le idee».

    CAPITOLO 3

    Parigi, 6 maggio 2014

    Quella sera la chiamata durò più a lungo del solito, non era inusuale per Sophie e Philippe parlare al telefono dopo che lei aveva finito il turno al lavoro. Ogni giorno i due si sentivano, anche solo per un saluto prima di dormire, ma quella volta la ragazza sembrava turbata, la voce stanca e pesante, il padre riconobbe subito la preoccupazione nel tono della sua bambina:

    «Che succede tesoro?» chiese insospettito dal tono della figlia.

    «Niente, papà, è stata una giornata strana, ero in giro tranquilla, cercando di rilassarmi un po’, e mi hanno chiamata per un omicidio».

    «Tesoro, non è la prima volta che ti chiamano per un crimine…»

    «Sì, lo so, ma questa volta c’è qualcosa di diverso dal solito, ho avuto subito l’impressione di trovarmi di fronte a qualcosa di più grande di me, in genere ho sempre chiaro il quadro della situazione che mi trovo di fronte, ma questa volta ho provato quasi una sensazione di impotenza, come se non fossi in grado di capire ciò che era accaduto.

    In tutta la mia carriera non avevo mai avuto questo tipo di reazione, era come stare davanti a una macabra opera d’arte, di quelle che si trovano nei musei, quelle che quando sei giovane poi te le sogni di notte».

    «Capisco, tesoro, raccontami quello che hai visto se ti fa stare meglio».

    «C’è stato un’ omicidio nella chiesa di Saint Sulpice, una donna è stata crocifissa al portone d’ingresso, all’interno della chiesa stessa, probabilmente ferita a morte prima di essere appesa. Sotto di lei un lago di sangue».

    «È orribile! Sembra l’opera di qualche pazzoide».

    «Non lo so, papà, è proprio questo che mi lascia perplessa, un pazzo non si sarebbe preso la briga di rappresentare una crocifissione all’interno di una delle chiese più famose di Parigi, in pieno giorno peraltro».

    «Non c’era gente nella chiesa? Come mai?»

    «Sembra che stessero eseguendo dei lavori di riparazione straordinari, per cui era ancora chiusa al pubblico» disse lei.

    «Che tipo di riparazioni? Non c’erano operai al lavoro?»

    «Sostituzione dell’impianto di videosorveglianza, passaggio di nuovi cavi, messa in funzione di telecamere più moderne e modifica all’impianto di allarme».

    «Quindi nessuna immagine registrata o segnalazione di infrazione alle forze dell’ordine?», pensò Philippe ad alta voce.

    «Ma gli operai dov’erano?» chiese lui nuovamente.

    «Hanno finito presto oggi, sciopero del sindacato di categoria, la chiesa era vuota da un paio d’ore ormai».

    CAPITOLO 4

    Berlino, 14 giugno 2010

    L’inizio dell’estate era ormai alle porte e Berlino brulicava di gente. In centro gli abitanti del posto dividevano la loro splendida città con fiumi di turisti che, accompagnati da una guida, erano intenzionati a non perdersi nulla di ciò che si poteva ammirare.

    Nonostante la giornata fosse tiepida Klarisse indossava un foulard che le copriva il collo e lasciava scoperta solo parte del

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