Solo un giorno in più!
Di Angela Diana
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Info su questo ebook
Intrappolata da un intrepido destino, Cassandra raggiunge l’apice del successo alla tenera età dei suoi ventisei anni, conquistando traguardi importanti della vita dell’essere umano. Ed è proprio quando sembra che tutto sia perfetto che arriva l’uragano che sconvolgerà il suo mondo e la sua visione di esso.
La morte di suo padre e la perdita di alcune ferme certezze ormai smantellate la condurranno alla follia che avrà libero sfogo solamente negli ultimi capitoli.
Un appassionante thriller psicologico in cui la protagonista, intraprendendo una sorta di monologo interiore, racconta la sua storia a ritroso, apportando delle riflessioni sulla contrapposizione tra luci e ombre, vita e morte, odio e amore. Ed è solamente nelle ultime pagine che verrà svelata tutta la verità racchiusa nelle parole che Cassandra pronuncia nel prologo.
Il racconto di Cassandra è intervallato da momenti di leggerezza, grazie ai viaggi nel mondo che ella stessa vive in prima persona e che le permettono di descrivere con accuratezza e autenticità i luoghi che ha visitato.
Tratto da una storia vera.
Angela Diana è nata ad Aversa nel 1991. A diciotto anni si è trasferita a Napoli, dove ha frequentato la facoltà di Lingue e Letterature Straniere presso “L’Orientale”. Dopo la laurea triennale ha intrapreso la carriera di hostess di volo presso la compagnia aerea irlandese Ryanair. Dopo l’esperienza di un anno circa, si è iscritta presso l’Università degli studi di Roma “La Sapienza”, per conseguire la laurea magistrale in Lingue e letterature straniere col massimo dei voti. Ha partecipato al programma Erasmus presso la “Universidad de Sevilla”. In seguito è entrata come impiegata presso l’azienda Poste Italiane, come sportellista multilingue, dove lavora attualmente.
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Anteprima del libro
Solo un giorno in più! - Angela Diana
Nuove Voci
Prefazione di Barbara Alberti
Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.
È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.
Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi
Non esiste un vascello come un libro
per portarci in terre lontane
né corsieri come una pagina
di poesia che s’impenna.
Questa traversata la può fare anche un povero,
tanto è frugale il carro dell’anima
(Trad. Ginevra Bompiani).
A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.
Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.
Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.
Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov
.
Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.
Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.
Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.
Prefazione
Non avevo mai pensato a quanto fosse invisibile il filo che separa la follia dalla ragione.
Follia, come se qualcuno potesse dare una definizione di essa. Chi ha stabilito cosa può essere considerato normale in questa società? Eppure, ridendo e scherzando con le persone care, dall’alto della nostra ignoranza, usiamo spesso espressioni quali tu sei pazzo
.
Beh! Me lo dicevano spesso e, in un certo senso, mi sentivo lusingata a pensare di poter essere considerata come una persona stravagante, fuori dalla norma.
Al tempo non avevo idea di quanto la mente potesse essere pericolosa, ingannevole, spaventosa, la tua peggior nemica, capace di innalzarti fino a raggiungere il potere più assoluto o, allo stesso tempo, capace di farti cadere così in basso da portarti a soccombere lentamente.
Ora lo so. E non posso più far finta di niente!
La ragione, quell’elemento astratto che i filosofi e gli storici di tutti i tempi hanno studiato con attenzione, definita come la sola ed unica vera luce all’interno di un’esistenza oscura, in quell’attimo l’avevo persa davvero.
D’altro canto, se così non fosse stato, non mi ritroverei a dover marcire in questo luogo buio per il resto dei miei giorni.
Ma io non ho più giorni. Non ho più ore.
Morii in quell’istante e, adesso, è solo questione di tempo, tanto tempo, prima di poter rivedere la luce.
Capitolo 1
Quella mattina non avevo fatto troppi capricci per alzarmi. Ero solita rimanere a letto tra le lenzuola profumate che mia madre lavava con una cura ed una dedizione tale che ogni volta vi sgranocchiassi qualcosa dentro mi gridava: «farai cadere le briciole sulle lenzuola pulite».
Sapeva essere eccessivamente noiosa nell’impartirmi lezioni su come condurre una vita sana ed equilibrata, una sorta di modello preimpostato in cui tutto s’ incastra alla perfezione, in un’armonia senza fine.
Amante dello sport e dell’ordine, aveva già designato nella sua mente quello che sarebbe stato il mio futuro. Il suo atteggiamento era comune, in linea di massima, a tutte le mamme che esigono il meglio dalle loro figlie.
Non la biasimo, in fondo.
Ma io, invece, ero l’opposto. Mi sentivo abbastanza stretta nel posto affidatomi dalla provvidenza.
Sono nata, infatti, in un paesino della provincia di Caserta. Lì, si conoscono tutti, e qualsiasi cosa succedesse a qualcuno diventava nel giro di un’ora di dominio pubblico.
Essendo abbastanza riservata, quest’aspetto mi dava fastidio. Non sempre avevo voglia di parlare con i miei vicini di casa che mi imponevano un dialogo sulla base di una usanza comune chiamata educazione, o di dare una qualche spiegazione sul perché la sera prima avessi fatto tardi.
Disordinata al punto giusto, sognavo di girare il mondo, di conoscere le più svariate culture esistenti, e d’imbattermi in esperienze nuove ed emozionanti. Avevo una valigetta sempre pronta nell’armadio della mia stanza, con all’interno un kit di sopravvivenza per un viaggio inaspettato, proposto da chissà quale conoscente.
Ma anche da sola. Perché no?
Forse sarà stata questa la ragione per la quale decisi di studiare le lingue straniere. Conoscere le lingue, di fatto, costituisce un mezzo primario che l’uomo ha a disposizione per comunicare con tutto ciò che è alterità.
Ed io questo l’avevo capito molto presto.
Di solito, lasciavo che la sveglia suonasse almeno cinque volte prima di mettere piede fuori dal letto.
Ma quello, era un giorno davvero speciale, in quanto inaugurava una nuova era della mia esistenza: il periodo universitario.
Ricordo ancora l’eccitazione che provavo nell’imbattermi in questo nuovo percorso. Ero sempre stata combattiva e determinata. Al liceo mi piaceva studiare o, per meglio dire, primeggiare. Un atteggiamento ed un’attitudine tipica dei figli unici come me.
Ero dotata di capacità di sintesi e apprendevo velocemente i concetti. Ma ciò che più determinava quest’aspetto di me era la mia ambizione.
Avrete capito, insomma, che sono sempre stata una sognatrice incallita, con troppi, come si suol dire, grilli per la testa.
Balzai dal letto e corsi a fare la doccia. Indossai i vestiti nuovi e preparai per ultimo la cartella. Salutai i miei genitori.
Scesi dal treno e misi piede in quella che sarebbe stata la mia nuova città, la mia nuova emozionante vita, quella che sognavo ed immaginavo da anni. Era come se mi parlasse.
Sì. Quella città mi parlava. Ed aveva un odore che da subito riconobbi come familiare.
Il primo passo da compiere fu quello di trovare una sistemazione. Volevo condividere un appartamento con altri studenti, ancor meglio, Erasmus. Girai diverse case prima di riuscire a trovare quella giusta.
In una settimana avevo camminato su e giù per i vicoletti di Napoli, alcuni erano così stretti che sembrava quasi che i palazzi mi cadessero addosso.
Ma l’ultima, era perfetta, a due passi dall’Università, all’interno di un antichissimo palazzo senz’ascensore e in compagnia di due ragazzi, Giorgio e Giulio.
Fui accolta a braccia aperte e diventammo grandi amici. Fu una convivenza serena e pacifica.
Accanto a noi c’erano degli Spagnoli. All’epoca non parlavo neanche una parola di spagnolo e mi aiutarono con la lingua al primo anno. Ma non solo.
Furono molte le feste a base di alcol alle quali partecipai volentieri, sebbene gli alcolici non mi piacessero granché, non mi persi neanche un Bottellón.
Camminavo da sola di notte, alle quattro del mattino, di ritorno da una qualche discoteca, senza paura alcuna mi sentivo la regina del mondo, nessuno poteva farmi del male. Un sentimento di onnipotenza che maturavo dentro di me, con estrema incoscienza, mi portava ad essere spregiudicata e intrepida.