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Pisano - Nuove Geografie Del Suono (2017)

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Linee

Comitato scientifico

PIERRE DALLA VIGNA


(Università degli Studi dell’Insubria, Varese-Como)
ANTONIO DE SIMONE
(Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”)
JOSÉ LUIS VILLACAÑAS BERLANGA
(Universidad Complutense de Madrid)
MAURO PROTTI
(Università del Salento)
Leandro Pisano

Nuove geografie del suono


Spazi e territori nell’epoca postdigitale

MELTEMI
Meltemi editore
www.meltemieditore.it
redazione@meltemieditore.it

Collana: Linee, n. 4
Isbn: 9788883537158

© 2017 – MELTEMI PRESS SRL


Sede legale: via Ruggero Boscovich, 31 – 20124 Milano
Sede operativa: via Risorgimento, 33 – 20099 Sesto San Giovanni (MI)
Phone: +39 02 24861657 / 24416383
Fax: +39 02 89403935
Indice

9 Premessa
17 Ringraziamenti

19 Capitolo primo
Tra sound art e ambienti d’ascolto:
teorie contemporanee del suono
19 1. Ontologia del suono: dalla filosofia
del suono alla sonic philosophy
34 2. Per una teoria della sound art:
oltre la dialettica del suono, attraverso
i Sonic Possible Worlds
51 3. La condizione ‘nomadica’ post-digitale
dell’ascolto
60 4. Il suono come dispositivo critico:
verso una politica materialista del suono

71 Capitolo secondo
The Third Soundscape:
i luoghi abbandonati del suono
71 1. Mappe sonore: cartografie critiche dell’ascolto
86 2. Dal Tiers Paysage al Terzo Paesaggio Sonoro
91 3. Il soundscape delle rovine
105 4. El Sonido Fantasma: i treni del silenzio
121 Capitolo terzo
Gli spazi sonori della ruralità
121 1. Field recording: ascoltare la ruralità
135 2. Attraversare il soundscape: paesaggi rurali
come spazi sonori attivi
150 3. Traduzioni rurali: ri-occupare il paesaggio
sonoro attraverso pratiche ibride
158 4. Tra suono, comunità e contesto

177 Bibliografia
193 Discografia
a Jacopo, Samuele e Rosaria
Premessa

I processi di profonda trasformazione in atto nei territori


e nei paesaggi all’inizio del XXI secolo sono diventati negli
ultimi tempi oggetto di studio da parte di geografi, sociologi,
architetti, antropologi ed artisti, interessati ad approfondire,
attraverso di essi, una visione critica dei sistemi economici
e politici, di antropizzazione e di colonizzazione culturale
innescati dalle dinamiche del capitalismo globale. In questo
milieu di teorie e pratiche, affiorano nuove istanze che invi-
tano ad accostarsi secondo modalità differenti all’esperienza
ed alla conoscenza dei luoghi mediate dalle categorie del
pensiero della modernità.
Questo libro si propone di indagare alcune di queste
trasformazioni, inquadrandole a partire dalle prospettive di
studio ed analisi offerte dagli studi culturali e postcoloniali,
concentrandosi soprattutto sulla narrazione di una pluralità
estesa di voci che adoperano il suono come strumento d’in-
dagine rispetto ad una serie di paradigmi politici, economici,
culturali espressi dalle culture dominanti.
Esso si fonda sull’analisi di una serie di pratiche estetiche
che nascono dall’esperienza delle geografie e dei territori
in emersione dal contesto post-globale: aree rurali, luoghi
abbandonati, zone ai margini rivelate attraverso modalità
di ascolto che le ridefiniscono come spazi estetici e critici
inusitati e che vengono attraversate dal suono non solo come
strumento, ma come metodo e dispositivo di indagine.
10 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

È un esplorazione che viene condotta declinando il suono


secondo una prospettiva (post-)fenomenologica, affettiva e
critica, che si alimenta di una serie di framework concettuali
che ridefiniscono in senso diasporico o ‘nomadico’ la condi-
zione dell’ascolto nella contemporaneità, individuandone le
potenzialità politiche e produttive nell’immaginario colletti-
vo ed individuale. In questo modo, essa trasforma il senso e
la costruzione del ‘campo’, producendo una riconfigurazio-
ne acustica definibile nei termini di un soundscape.
Si tratta di un approccio legato sovente alle pratiche di
field recording, la registrazione ambientale dei paesaggi so-
nori, che evidenzia il modo in cui esse possono valicare gli
stereotipi all’interno dei quali sono talvolta confinate nel
dominio del remix digitale, per diventare potente mezzo di
indagine che aggiunge elementi essenziali ai livelli descrittivi
dell’immagine e del linguaggio verbale, trasmettendo un po-
tente senso della spazialità, della temporalità, dell’atmosfera.
L’esplorazione sonora (soundscape, sound art, radio art)
condotta in una serie di lavori di artisti provenienti da di-
versi luoghi che affacciano sul Mediterraneo, o dall’India,
dall’Africa e dall’America Latina, riflette su un insieme vasto
e complesso di tematiche che mettono al centro dell’analisi
la comunità, l’appartenenza o il confine, evidenziando una
realtà pluriversa irriducibile, che non si lascia semplificare
in una sola direzione, la cui cifra connotativa sta proprio in
una irriducibile molteplicità di voci, nessuna delle quali può
sopravanzare l’altra.
A diverse latitudini e attraverso dinamiche ed approcci
estetici differenti, Ximena Alarcón, Younes Baba-Ali, Fari
Bradley e Chris Weaver, Angus Carlyle, Budhaditya Chatto-
padhyay, Enrico Coniglio, Fabio Lattuca e Pietro Bonanno,
Fernando Godoy, Miguel Isaza, Signe Lidén, Yasuhiro Mo-
rinaga, Anna Raimondo, David Velez, Chris Watson fanno
esperienza di pratiche in cui il suono, sospendendo ogni
processo di comprensione immediata e trasparente della
realtà, disegna altri possibili scenari in cui sperimentare la
propria contingenza ed a partire dai quali immaginare ulte-
PREMESSA 11

riori modalità per accostarsi ai luoghi, agli spazi, ai territori


nella contemporaneità.
Si tratta di processi estetici e critici, che generano percorsi
in cui l’analisi sui linguaggi si estende agli elementi culturali
rimossi, evidenziando come il suono stesso si configuri come
strumento ontologico non solo per portare in evidenza una
serie di narrazioni nascoste nelle pieghe dei racconti della
modernità, ma anche per mettere in atto una riappropria-
zione su più livelli del paesaggio (fisico, politico e cultura-
le), attraverso la quale documenti, voci, oggetti e silenzi di
un contro-archivio resistente si sovrappongono alle mappe
contingenti in uno spazio critico emergente. In questa pro-
spettiva, il suono si insinua focaultianamente nei meccanismi
del potere per diventare dispositivo di narrazione di verità
intese non in senso ontologico, quanto piuttosto portatrici di
un proprio fermo punto di vista.
In questo modo, le pratiche estetiche legate al suono ac-
quistano spessore all’interno dello scenario contemporaneo
dell’attivismo e delle politiche dello spazio pubblico, pro-
ducendo tensioni ‘agonistiche’ che mettono in questione
le forme di dominazione, creando condizioni attraverso le
quali è possibile rendere altre posizioni percepibili ed udi-
bili, obbligandoci a pensare, a sentire, ad aprire spazi di ne-
goziazione di significati; territori transitori in cui ciascuno
di essi comunica la propria verità per il tramite del suono,
originando un potenziale di dialogo che risiede nel processo
stesso d’ascolto.
Nello sviluppare, a partire dagli studi culturali e postco-
loniali, una lettura specifica del suono che lo posiziona come
mezzo per aprire spazi che mettono in questione forme di
soggettivazione di tipo egemonico e violento correlate agli
stati di crisi ecologica ed economica della contemporaneità,
dalla frammentazione locale fino alla scala dell’Antropocene,
questa ricerca allarga il suo focus ai metodi ed agli apporti di
altre discipline.
I new media studies, anzitutto, dai quali viene mutuata la
prospettiva post-digitale legata da un lato alla mobilità esten-
12 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

siva che caratterizza la condizione attiva dell’ascolto all’in-


terno di spazi, luoghi e paesaggi che trascendono i confini
tra globale, locale ed ambienti digitali discreti, dall’altro ad
un approccio anti-universalista dei processi estetici, critici,
materiali generati dal suono all’interno del dominio digitale.
Ma essa, in generale, trova il suo fondamento epistemologico
in una prospettiva strutturata sul contributo in intersezione
di più discipline e teorie, sia quelle che si alimentano diret-
tamente del rapporto con il suono, come i sound studies (ma
anche, in un confronto costante e parallelo con esso, i visual
studies), sia quelle che attraversano la politica del linguaggio
(gli studi di genere, per esempio), ma anche la filosofia e la
geografia.
Tra i casi di studio analizzati, vi sono anche una serie di
esperienze relative alla ricerca realizzata sul campo nel corso
di un percorso curatoriale indipendente che mi ha coinvolto
in prima persona per quasi tre lustri. Il festival Interferenze,
piattaforma di studio di alcune aree rurali del meridione d’I-
talia attraverso l’ottica del suono e delle arti legate ai nuovi
media, insieme ad i suoi progetti collaterali, hanno offerto
in tal senso una serie di punti di snodo e di interrogazione
fondamentali per poter produrre questa ricerca. Mediante
di essi, è stato possibile indagare, in una sorta di studio in
practice, nel quale teoria e pratica si sono sorrette a vicen-
da, l’idea di territorio declinata da una parte come tema,
dall’altra come strategia curatoriale. Ricollocata al di là di un
perimetro strettamente geografico, questa idea innesca una
serie di riflessioni inerenti i concetti di cartografia, identità,
comunità, relazioni tra globale e locale, pratiche coloniali,
ma anche intorno alla possibilità di sviluppare progetti in
relazione stretta e dialogo con il contesto. Seguendo questa
traiettoria, l’indagine attraverso l’arte ed il suono si apre alla
negoziazione dei significati intorno alla produzione culturale
ed alle gerarchie, analizzati in una prospettiva eterotopica.
In tal modo, le condizioni e le modalità di produzione del
sapere nel campo dell’arte diventano esse stesse soggetto
fondante di questa ricerca.
PREMESSA 13

Il lavoro presentato in questa sede costituisce, con una


serie di opportuni adeguamenti e revisioni, il testo integrale
della dissertazione dottorale in Studi culturali e postcoloniali
del mondo anglofono che ho difeso presso l’Università degli
Studi di Napoli “L’Orientale” il 29 aprile 2016.
Si tratta di uno studio articolato in tre capitoli: nel pri-
mo, la pratica dell’ascolto viene esaminata in relazione ad
una serie di teorie che individuano il suono come elemen-
to in tensione su piani diversi. Dall’ontologia dell’effetto e
del flusso, in senso deleuziano, fino alla definizione di una
prospettiva contestuale e non-cocleare dell’ascolto, dall’ap-
proccio (post-)fenomenologico che genera infiniti possibili
mondi sonori da esperire fino alla teoria acustemologica, in
cui il suono stesso si configura come vettore materiale che
produce conoscenza, questa analisi teorica costruisce le basi
di un discorso in cui emerge la possibilità di mettere in di-
scussione una serie di punti di vista/ascolto definiti da una
lettura in senso strettamente musicologico delle pratiche
estetiche legate al suono.
Interrogando il linguaggio ed il perimetro disciplinare
definito per le arti sonore a partire dagli anni Settanta del
Novecento, con la fondazione dei sound studies, emerge la
possibilità di andare oltre i riferimenti tradizionalmente de-
finiti da queste teorie, ripartendo da una concezione dinami-
ca, mobile e ubiqua dell’ascolto e dei paesaggi sonori nell’era
contemporanea.
Nel secondo capitolo, al centro dell’attenzione è l’anali-
si del rapporto tra paesaggio, suono e rovine attraverso la
definizione del concetto di “Terzo Paesaggio Sonoro”, che
applica una serie di riflessioni ed intuizioni teoriche legate
all’indagine sui luoghi abbandonati al campo del suono,
esaminando delle pratiche centrate soprattutto sull’uso del
field recording. Dai processi di cartografia critica in espansio-
ne dallo spazio verticale della città a quello orizzontale dei
deserti e dei luoghi ‘invisibili’ fino alla topofonia del trauma
(terremoti, rovine), dalle geografie spettrali fino agli arcs of
sounds che suggeriscono una ridefinizione della relazione fi-
14 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

sica ed affettiva con questi luoghi, l’esame di queste pratiche


rivela la densità dell’esperienza di ‘abitare’ gli spazi residuali
che insistono nel Terzo Paesaggio.
Nel terzo ed ultimo capitolo, l’analisi si sposta sui terri-
tori rurali, a partire dalla cornice della teoria della ruralità
‘critica’ che fa da sfondo ad una serie di riflessioni che in-
vestono il paesaggio nella sua connotazione di spazio attivo:
attraversarlo tramite le pratiche dell’ascolto e della registra-
zione d’ambiente mette in atto una serie di processi critici
che investono il senso stesso di questo attraversamento. Gli
ultimi paragrafi esaminano le questioni del posizionamento
e dell’autorità dell’artista, soffermandosi infine sull’analisi
del concetto di comunità acustica che prelude ad una de-
finizione di paesaggio sonoro come ambiente complesso ed
orientato al contesto.
Lungo questo percorso articolato, il suono valica territori,
geografie, spazi, paesaggi, rivelandosi come il filo conduttore
di una narrazione frammentata, complessa, mai trasparente,
che lascia emergere le linee di paesaggi in costante trasforma-
zione. Il suono ci esorta a ridefinire il senso degli spazi che
attraversiamo, dei luoghi che abitiamo, invitandoci a traccia-
re le linee di paesaggi costruiti anche con le nostre traiettorie,
attraverso il pensiero, la memoria, la risonanza, l’articolarsi
ed il disarticolarsi di tracce materiali o effimere. All’interno
di questo contesto, riscopriamo così la possibilità non solo di
abitare i luoghi, ma anche, una volta di più, di immaginarli
e costruirli rendendoli ambiente complessi e riecheggianti.
Facendo esperienza del pensiero, in ultima analisi, come
un’infinita risonanza.
In conclusione di questa premessa, mi corre l’obbligo di
segnalare che in diversi casi la mancanza di edizioni italiane
dei testi ai quali ho fatto riferimento mi ha costretto a dover
tradurre personalmente i brani citati. Dal momento che non
sono un traduttore professionista, ho ritenuto opportuno
tentare di amalgamare, ove possibile, le frasi tradotte con il
discorso che andavo sviluppando. Si tratta di un accorgimen-
to adottato anche allo scopo di evitare al lettore un lavoro di
PREMESSA 15

‘ricostruzione’ talvolta complesso e faticoso. Mi scuso con gli


autori se in qualche caso la mia traduzione dovesse risultare
infedele al di là dell’ammissibile ed è per questo motivo che,
in ogni caso, mi è sembrato necessario dover indicare i testi
originali in nota, in modo tale da poter permettere al lettore
un comodo ed immediato riferimento.
Ringraziamenti

Come già detto, questo libro non rappresenta solo l’esi-


to di tre anni di studio dottorale, ma compendia in qualche
modo un lavoro sul campo condotto in maniera indipenden-
te, iniziato già nel 2003, che in queste pagine trova finalmente
una prima forma di sistemazione scritta. Per questo motivo,
è d’uopo cominciare l’elenco dei ringraziamenti manifestan-
do la mia gratitudine ad Alessandro Esposito ed Antonio
Izzo, i quali mi hanno affiancato nella direzione del festival
Interferenze, al resto del gruppo di lavoro, Annalia Palma e
Raffaele Mariconte in primis, al team di Scafando con il quale
ho condiviso l’esperienza del progetto Liminaria ed a tutti
coloro i quali hanno intrecciato le loro traiettorie con la no-
stra ricerca, lungo un percorso durato quattordici anni.
Per quanto concerne la stesura del lavoro, ringrazio Beatri-
ce Ferrara per il suo preziosissimo e rigoroso supporto scien-
tifico, Miguel Isaza per le lunghissime conversazioni sulla fi-
losofia del suono per le strade di Medellìn, Angus Carlyle per
avermi fornito utilissimi elementi teorici e pratici sviluppati
nella fase conclusiva della ricerca.
In generale, il mio ringraziamento va agli artisti, ai curatori
ed agli studiosi con cui ho collaborato in questi anni ed a quelli
che ho incontrato nel corso dei miei viaggi di ricerca, dall’A-
merica Latina al Giappone, dall’India all’Islanda, dalla Corea
del Sud al Canada. È in questi incontri che ho avuto modo di
elaborare spunti, idee, frammenti e materiali confluiti alla fine
18 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

nel lavoro qui presentato. Sono inoltre grato alle istituzioni,


alle organizzazioni ed ai festival che, nel corso di questi ultimi
anni, mi hanno invitato a partecipare alle loro iniziative cultu-
rali, dandomi l’opportunità di presentare in anteprima le mie
idee e di ricevere importanti riscontri. In particolare, ricor-
do: Manuela Barile e Luis Costa (Binaural/Nodar), Giovanna
Bianco, Pino Valente e Pasquale Campanella (Associazione
Culturale Vincenzo De Luca, Latronico), Gaetano Carboni
(Pollinaria), Miguel Carvalhais e Pedro Tudela (Faculdade
de Belas Artes da Universidade do Porto), Enrico Coniglio
(Galaverna), Ricardo Dal Farra ed Ana Laura Cantera (Uni-
versidad Nacional de Tres de Febrero, Buenos Aires), Giulia
Ferracci (MAXXI, Roma), Fernando Godoy (Tsonami Arte So-
noro, Valparaíso), Antye Greie-Ripatti e Sasu Ripatti (Hai Art,
Hailuoto), Kazuhiro Jo (Tokyo University of the Arts GEIDAI),
Alejandro Cornejo Montibeller (Universidad de San Martín
de Porres, Lima), Trond Lossius (BEK, Bergen), Yasuhiro Mo-
rinaga (Concrete, Tokyo), Davide Ondertoller e Sara Maino
(Portobeseno festival, Castel Beseno), Gianni Papa e Carmine
Minichiello (Flussi, Avellino), Rachel Rosalen e Rafael Mar-
chetti (Rural.Scapes), John Thackara (Doors of Perception),
Yang Yeung (Soundpocket, Hong Kong). Ringrazio inoltre
Annalisa Cervone, Xabier Erkizia, Sigrún Harðardóttir, Juha
Huuskonen, Ji-yeon Kim, Franziska Nori, Anna Raimondo,
Yukiko Shikata, David Velez.
Nel menzionare il ruolo essenziale svolto dal Centro di
Studi Postcoloniali e di Genere dell’Università “L’Orienta-
le” di Napoli, desidero ringraziarne tutti i suoi componenti,
per aver alimentato discussioni, dubbi, prospettive e per aver
messo a disposizione strumenti critici ed intellettuali fonda-
mentali per lo sviluppo di questo lavoro.
Il mio affettuoso ringraziamento va infine alle persone care
che mi hanno sostenuto durante l’intero percorso di ricerca e
nel corso della stesura del manoscritto. Senza il loro supporto,
questo libro non avrebbe probabilmente mai visto la luce.

settembre 2016
Capitolo primo
Tra sound art e ambienti d’ascolto: teorie
contemporanee del suono

1. Ontologia del suono: dalla filosofia del suono alla sonic


philosophy

Le tensioni concettuali alimentate dalla ricerca intorno


al “suono in sé”, sviluppata attraverso una serie di approc-
ci pratici e teorici che investono segnatamente la musica
elettroacustica e la sound art, preludono a diverse questioni
fondate sulla possibilità di articolare una riflessione filosofica
circolare sul suono.
Cosa significa pensare ‘sonicamente’ invece che sempli-
cemente pensare ‘sul’ suono? In che maniera il suono può
alterare o rimodulare la filosofia? Quali concetti e forme di
pensiero può generare il “suono in sé”?
Per ricostruire il quadro epistemologico nel quale si
inscrivono tali interrogativi, sarà utile dare inizio a questa
trattazione analizzando alcune modalità attraverso le quali
filosofia e suono si intersecano per produrre non una filosofia
del suono (o della musica) ma una “sonic philosophy”, così
come teorizza Christoph Cox, nella misura in cui “la sonic
philosophy non comincia dalla musica considerata come un
insieme di oggetti culturali ma dall’esperienza più profonda
del suono come flusso, evento ed effetto”1.

1
“Sonic philosophy begins not from music as a set of cultural objects but
from the deeper experience of sound as flux, event and effect”. C. Cox, ‘Sonic
20 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

Cox rimarca come la musica abbia sempre posto, dal


punto di vista filosofico, una sorta di dilemma ontologico:
intangibile ed evanescente, essa è allo stesso tempo dotata di
un indubbio spessore ‘fisico’. Si tratta di una questione che
viene acuita dalla sound art che, a partire dalle sue origini
alla fine degli anni Sessanta, mette in discussione l’ontologia
degli oggetti, con specifico riferimento agli sviluppi dell’arte
modernista. Come conseguenza dell’impatto della tradizio-
ne cageana nella musica sperimentale, la sound art emerge
all’interno del milieu delle pratiche postminimaliste nelle
arti visuali rintracciabili nei lavori di una serie di artisti, tra
i quali Robert Morris, Robert Barry, Michael Asher, Barry
LeVa, che mettono l’accento su elementi come il processo,
l’esperienza multisensoriale e l’immersione, sfidando l’au-
tonomia, la specificità mediale e la concezione puramente
visuale o ottica su cui si costruisce l’arte modernista. Queste
pratiche, da un lato preludono ad una sorta di dematerializ-
zazione dell’oggetto dell’arte attraverso l’idea, il linguaggio
ed il discorso, dall’altro possono riferirsi ad un’espansione
del concetto di materia, che si prolunga al di là del dominio
degli oggetti ordinari, visuali e tattili, attraverso la nozione di
materia come una “profusione di flussi energetici”.
Cox spiega come, nonostante un numero cospicuo di arti-
sti tendesse a considerare questi due percorsi come paralleli
e non divergenti, l’arte concettuale abbia prevalentemente
seguito la prima delle due strade, la sound art invece la se-
conda, sviluppando una serie di percorsi e pratiche in cui
emergono le nozioni di percezione e materialità non-discor-
siva. La prospettiva offerta dal concettualismo ha in qualche
modo oscurato dal punto di vista filosofico la visione critica
su cui hanno lavorato artisti e critici nell’ambito delle arti
sonore, con il risultato che la sound art ha vissuto – dal punto
di vista teoretico – in una sorta di status minoritario che l’ha
relegata in uno stato di subalternità disciplinare rispetto alla

Philosophy’, “ArtPulse”, vol. 4, n. 16, 2013, http://artpulsemagazine.com/


sonic-philosophy (trad. it. mia), (ultimo accesso 30 settembre 2016).
TRA SOUND ART E AMBIENTI D’ASCOLTO 21

musica, o, ancor peggio, al ruolo di appendice naïve o re-


trograda all’interno del dominio delle arti visuali. Non è un
caso, come fa notare Cox, che il riemergere dell’interesse per
il pensiero materialista alla fine degli anni Novanta in qual-
che modo abbia coinciso con un nuovo, parallelo interesse
nei confronti del “suono in sé”2.
Si tratta di approcci e modalità di accostamento che pre-
ludono alla (ri)scoperta di un accesso sostanzialmente mate-
riale ad una dimensione sonora precedentemente nascosta,
che trascende il concetto di rappresentazione. Li ritroviamo
in contesti eterogenei, dall’opposizione alla simbolizzazione,
affermata da Pierre Schaeffer nella teorizzazione fenome-
nologica dell’objet sonore, all’ascolto dei suoni in sé di John
Cage, dalla musica concreta strumentale di Helmut Lachen-
mann, all’interesse crescente verso l’esperienza, la percezio-
ne e la corporeità nelle recenti pratiche di sound art, dalla
“liberazione del suono” di Edgard Varèse fino al trattamento
delle registrazioni audio come materia sonora non-rappre-
sentazionale da parte di Francisco López3.
A partire dal punto di vista espresso da Cage, Cox so-
stiene che è possibile affermare un’ontologia del flusso nella
quale gli oggetti sono individuabili come semplici tempo-

2
Cox scrive a tal proposito: “Sound art’s greatest forefather, John Cage,
invited us to think of sound and music not as bounded by musical works
but as an anonymous flux that precedes and exceeds human contributions
to it. This conception of sound flows throughout the history of sound art,
from Max Neuhaus’ Times Square, La Monte Young’s Dream House and
Alvin Lucier’s Music on a Long Thin Wire to Christina Kubisch’s Electrical
Walks, Francisco López’s trilogy of the Americas and the work of contem-
porary soundscape artists such as Chris Watson, Jana Winderen and Toshiya
Tsunoda”. C. Cox, op. cit.
3
Tra i riferimenti discografici collaterali a questa riflessione, si enumere-
ranno in questa sede, in ordine di citazione: P. Schaeffer, Étude Aux Objets
– Étude Aux Allures – Étude Aux Sons Animés – Étude De Bruits – L’Oiseau
RAI – Suite Quatorze, Philips, 1971, [LP]; J. Cage, / 0 (5) – 4’33’’, Onement,
2006, [Music CD]; H. Lachenmann, Trio fluido, Breitkopf & Härtel, 1968,
[LP]; E. Varèse, Amériques, Arcana, Erato, 1973, [LP]. Infine, i tre lavori del-
la trilogia americana di Francisco López: La Selva, V2_Archief, 1998, [Music
CD]; Buildings [New York], V2_Archief, 2001, [Music CD]; Wind (Patago-
nia), and/OAR, 2007, [Music CD].
22 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

ranee concrezioni di processi fluidi. In questa prospettiva,


gli eventi sostituiscono gli oggetti, come ipotizza Casey O’
Callaghan, riflettendo sul fatto che nonostante il suono sia
intangibile, effimero ed invisibile, esso persiste nel tempo
e sopravvive ai cambiamenti delle proprie caratteristiche e
qualità, non legandosi agli oggetti, in quanto entità che esiste
in maniera indipendente4.
È un’intuizione che sembrerebbe ripercorrere le tracce
della nota teoria di Pierre Schaeffer sugli oggetti sonori,
considerati come entità che posseggono un’esistenza
peculiare distinta dallo strumento che li produce, dal medium
nel quale si propagano e dalla mente di chi li ascolta5. In que-
sto senso, i suoni non rappresentano qualità degli oggetti o
dei soggetti, ma sono individuali e particolari dal punto di vi-
sta ontologico. Tuttavia, questa prospettiva trascura l’aspetto
temporale e durazionale del suono, legato alle qualità che
esso esprime nel suo manifestarsi: se i suoni sono individuali
e particolari, essi non lo sono come oggetti statici, ma come
eventi temporali. Questa ontologia degli eventi applicata
al suono è debitrice della visione nietzscheana secondo cui
“non esiste nessun ‘essere’ dietro il fare, l’agire, il divenire:
‘colui che fa’ è solo un accessorio inventato dal fare – il fare
è tutto”6. Essa dà priorità al verbo, che non è più concepito
come subordinato al nome. Se la sonic philosophy dunque
libera “colui che fa” dal “fare” e il verbo dal nome, essa af-
franca anche l’effetto dalla causa.
Nell’inquadrare questa teoria filosofica del suono, Cox fa
riferimento specifico all’ontologia dell’effetto sviluppata da

4
C. O’Callaghan, Sounds: A Philosophical Theory, Oxford University
Press, Oxford 2007, pp. 11, 26-27, 57-71.
5
Nella chiave di lettura offerta da Pierre Schaeffer, si definisce “oggetto
sonoro” un fenomeno/avvenimento sonoro ascoltato e contestualizzato al di
fuori non solo da ogni significato culturale, ma anche da ogni rapporto con la
realtà nella quale esso è stato generato. Un autentico oggetto sonoro, dunque,
è il suono considerato in sé, sottratto ad ogni referente percettivo. Cfr. P.
Schaeffer, Traité des Objets Musicaux, Editions du Seuil, Paris 1966.
6
F. Nietzsche, Genealogia della morale. Uno scritto polemico, tr. F. Mosini,
Adelphi, Milano 1984, § 13.
TRA SOUND ART E AMBIENTI D’ASCOLTO 23

Gilles Deleuze, che distingue due tipologie di entità: da un


lato corpi che hanno diverse qualità, che agiscono e sono agi-
ti, dall’altro eventi incorporei o effetti causati dai corpi, ma
che in natura differiscono da essi. Anche Deleuze si richia-
ma, come Nietzsche, all’ontologia del verbo distinta da quel-
la del nome (corpi) e degli aggettivi (qualità), e cioè il verbo
inteso come puro divenire indipendentemente dal soggetto7.
Questo divenire, catturato nel linguaggio dalle forme verbali
all’infinito, che non hanno soggetto né sono limitate da uno
specifico contesto, descrive diverse forze di alterazione nel
mondo, forze del divenire che si manifestano in maniera di-
versificata. Come flussi che si modificano continuamente e
che sono separabili dalle loro cause mantenendo una propria
esistenza indipendente, i suoni esplicano questa ontologia
degli eventi e del divenire8.
In definitiva, l’ontologia di Christoph Cox svela il carat-
tere materiale del suono, elemento in flusso costante e dina-
mico, creativo in sé, che si articola all’interno di un campo di
forze ed intensità in cui si disvela come divenire “immanente
alla natura” (“immanent to nature”)9.
Questa “natura” non è l’opposto della cultura umana, ma
è essa stessa individuabile come una sorta di auto-organiz-
zazione creativa (e artistica), che interviene attraverso una

7
G. Deleuze, Logica del senso, tr. M., Feltrinelli, Milano 2006, pp. 12-18;
G. Deleuze & C. Parnet, Conversazioni, tr. G., ombre corte, Verona 2006, pp.
70-74; G. Deleuze & F. Guattari, Millepiani. Capitalismo e schizofrenia, tr. G.
Passerone, Castelvecchi, Roma 2006, pp. 144-151; Che cos’è la filosofia, tr. A.
De Lorenzis, Einaudi, Torino 1996, pp. 34-35, 122-124, 156-162.
8
“As continuously varying fluxes that are separable from their causes and
maintain their own independent existence, sounds exemplify this ontology of
events and becomings, and they do so in two senses. In the first place, sounds
are not punctual or static objects but temporal, durational flows. They thus
accord with an empirical account of events and becomings as processes and
alterations. Beyond this empirical sense, sounds are also events and beco-
mings in another sense, a “pure,” “incorporeal” or “ideal” sense. We saw that
sounds are not only “events” but “effects,” results of bodily causes that are
nonetheless distinct from those causes and that have an independent existen-
ce of their own”. C. Cox., Sonic Philosophy.
9
C. Cox, Beyond Representation and Signification: Toward a Sonic Materia-
lism, “Journal of Visual Culture”, vol. 10, n. 2, 2011, p. 150.
24 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

serie di processi sul livello biologico. In questo senso, Cox


si richiama senz’altro al Nietzsche che descrive l’apollineo
ed il dionisiaco come “forze artistiche che erompono dalla
natura stessa, senza mediazione dell’artista umano, e in cui gli
impulsi artistici della natura trovano anzitutto e in via diretta
soddisfazione”10.
È nella stessa natura ontologica del suono che Cox pone
il discrimine filosofico che separa sound art e musica: mentre
quest’ultima è vincolata al concetto di notazione, che impli-
ca l’interruzione della fluidità del suono e l’elevazione del
concetto di rappresentazione oltre la sua attualizzazione,
la sound art invece prelude al flusso sonoro inconscio del-
la natura stessa. Su queste basi muove la prospettiva di una
sonic philosophy che è alternativa ad ogni teoria basata sul
significato e sui concetti linguistici di differenza e rappresen-
tazione, dal momento che ognuna di esse rimane ancorata
ad una concezione idealistica del significato e, quindi, all’im-
possibilità di aprirsi al flusso sonoro che la sound art riesce a
materializzare11.
Questa sonic philosophy muove da una critica agli ap-
procci teoretici predominanti centrati sulla natura testuale e
visuale dell’arte che, nell’ottica di Cox, escludono la sostanza
materiale delle opere di sound art. Essa, opponendosi ad una
lettura di queste opere nei termini di complessi di segni e
rappresentazioni, che assegnano al linguaggio uno status pri-
vilegiato, si fonda invece su una visione in cui le opere stesse
sono aggregati di forze materiali che sfidano la duplicità dei
piani cultura/natura, umano/non umano, segno/mondo, te-
sto/materia. In questo modo, la sound art si colloca al di là
del discorso e mette in questione l’antropocentrismo domi-

10
F. Nietzsche, La nascita della tragedia, tr. Sossio Giametta, Adelphi, Mi-
lano 1984, p. 26.
11
Esiste una linea critica nei confronti dell’idea del “suono in sé” e del pri-
mato della comprensione materiale del suono, espressa in diversi contributi
che mirano a spostare l’attenzione verso un approccio contestuale, discorsivo
e semantico. Tra essi, andrà citato almeno S. Kim-Cohen, In The Blink of an
Ear: Toward a Non-Cochlear Sonic Art, Bloomsbury, London 2009.
TRA SOUND ART E AMBIENTI D’ASCOLTO 25

nante nel pensiero contemporaneo, che privilegia l’interazio-


ne umana simbolica.
La teoria di Cox, fondata dunque su una visione non-
dialettica in cui la materia si rivela come sostanza in sé vitale
e creativa, ha recentemente incontrato nell’ambito della linea
di pensiero ascrivibile al materialismo sonoro l’obiezione cri-
tica da parte di Luc Döbereiner, che propone la sua deco-
struzione attraverso una riflessione centrata su una dialettica
materialistica del suono12.
Si tratta di una lettura in cui emerge l’idea che non sia
possibile ridurre la materia sonora ad un mero oggetto ide-
ale-percettivo, né considerarla come l’attualizzazione di una
sorta di ideale non-materiale, né infine identificarla con una
materia creativa sostanzializzata, palpabile e fisica. Döberei-
ner sposta l’attenzione sulla pratica di composizione come
un processo discorsivo-materiale, come una forma di pen-
siero che ridisegna continuamente un taglio tra il suono e la
sua descrizione.
La critica a Cox evidenzia la contraddizione di voler ten-
tare un superamento ontologico-estetico dell’antropocentri-
smo attraverso un’antropomorfizzazione della materia come
forza sia creativa che tangibile e prende le mosse da quella
che Döbereiner inquadra come una costruzione animistica in
nome del materialismo, messa in atto, a suo parere, da Cox e
da molti epigoni del deleuzianesimo, responsabili di insegui-
re una sorta di spiritualizzazione della materia che finirebbe
per de-materializzarla.
Döbereiner precisa il suo punto di vista evidenziando,
all’interno della visione di Cox e Deleuze, sia l’antitesi ri-

12
“An idea that is part of a larger ongoing research project on materia-
lity in compositional thought. It is at once a defense and an assertion of the
material nature of sound in connection with the materiality of compositio-
nal practice more generally and on the other hand a critique of certain non-
dialectical attempts at a ‘reenchantment’ of matter as an inherently creative
and vital substance”. L. Döbereiner, How to Think Sound in Itself? Towards a
Materialist Dialectic of Sound, in Proceedings of the 2014 Electroacoustic Music
Studies Network Conference in Berlin, http://www.ems-network.org/IMG/
pdf_EMS14_doebereiner.pdf, (ultimo accesso 30 settembre 2016).
26 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

spetto ad ogni possibile lettura rappresentazionale dell’ar-


te, che l’immanenza materiale degli affetti prodotti dall’arte
stessa. Tutto ciò implicherebbe il fatto che questa forma
di “materialismo”, che sembra assolutamente tangibile e
concreta, sia alla fine orientata a fuggire la materia effimera
verso l’infinitezza del virtuale, la volontà o l’impulso che la
anima.
Da questa riflessione, Döbereiner inferisce che per De-
leuze l’arte si configura come una procedura di de-materializ-
zazione e spiritualizzazione della materia, citando a supporto
di questa analisi la lettura deleuziana della fisicità carnale nei
lavori di Francis Bacon, che si configura come una fuga dalla
finitudine materiale.
Di qui, pur concordando con la critica di Cox alla forma
rappresentazionale di analisi ed interpretazione della mu-
sica e della sound art, egli finisce per prendere le distanze
dall’ontologia sonora di ascendenza nietzscheana e deleuzia-
na delineata da Cox, proponendo in opposizione un model-
lo dialettico-materialista che, lungi dall’identificare il suono
come una materia quasi tangibile, lo inquadra nell’ambito di
una tensione antagonistica che concepisce il reale come lega-
to ad un vuoto, in cui non esiste un primato né del soggetto
né dell’oggetto.
A sostegno della sua ipotesi, Döbereiner chiama in cau-
sa le riflessioni teoriche di Slavoj Žižek e Karen Barad, con
l’obiettivo di delineare il concetto di “suono in sé” come “re-
ale” all’interno di un processo di composizione. Il punto di
partenza di questa analisi è la teoria materialistica di Žižek,
che ruota attorno all’idea di una incompletezza costitutiva
della materia. Il materialismo, cioè, viene determinato dalla
negatività, piuttosto che esprimere – sostiene Döbereiner
– un concetto creativo positivo della materia: c’è un vuoto
strutturale, un’’impossibilità di chiusura, o un “blind spot”
costitutivo che ci sfugge. Questo gap è collegato da Žižek
all’analisi lacaniana della condizione del reale, che si presen-
ta come “puramente parallattica”, “senza densità in sé”, e
rappresenta semplicemente una separazione tra due punti di
TRA SOUND ART E AMBIENTI D’ASCOLTO 27

vista prospettici13. Questa condizione diventa visibile in rela-


zione al “suono in sé”, ove si considerino i possibili tentativi
di coglierlo in termini di descrizione acustica quantificabi-
le, di percezione, di simbolizzazione, ma anche di “materia
sonora”.
Döbereiner costruisce la sua teoria su questo vuoto
strutturale, su questa visione parallattica a partire dalla
quale definisce un approccio alla realtà materiale del suono
in senso discorsivo. In primo luogo, egli ribadisce come la
formalizzazione, come viene in evidenza nelle composizio-
ni di Iannis Xenakis e Karlheinz Stockhausen, nonostante
sia marcatamente legata a strutture simboliche, si presenta
come una pratica non-rappresentazionale, dal momento
che essa è l’iscrizione del “suono in sé” in quanto “reale”
della composizione musicale, e non come sostanza fisica,
come fenomeno immediatamente dato dal punto di vista
percettivo o come dimensione virtuale: “Il suono in sè non
è semplicemente un effetto del discorso ed interamente in-
terno ad esso, nè è una materia esterna pre-esistente. Esso
si costituisce piuttosto tracciando un confine nella pratica
compositiva”14.
A sostegno di ciò, Döbereiner fa riferimento alla de-
scrizione di Karen Barad della costituzione dell’osservato
(observed) e dell’osservatore (observer) nella pratica scienti-
fica della fisica quantistica: né il soggetto né l’oggetto sono
qui elementi primari, ma essi sono il risultato di un ‘taglio’
effettuato dalla misurazione materiale dei dispositivi15. È un
13
Scrive Žižek: “the status of the Real is purely parallactic and […] it has
no substantial density in itself, it is just a gap between two points of perspec-
tive”. S. Žižek, The Parallax View, MIT Press, Cambridge, MA 2006, p. 26.
14
“Sound-in-itself is thus not merely an effect of discourse and entirely
internal to it, nor is it a pre-existent external matter. It is much rather consti-
tuted by drawing a border in compositional practice”. Döbereiner, How to
Think Sound in Itself? (trad. it. mia).
15
Cfr. K. Barad, Meeting the Universe Halfway: Quantum Physics and the
Entanglement of Matter and Meaning, Duke University Press, Durham, NC
2007, p. 140: “the agential cut enacts a resolution within the phenomenon
of the inherent ontological (and semantic) indeterminacy. In other words,
relata do not preexist relations; rather, relata-within-phenomena emerge
28 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

taglio che, in sintesi, si genera performativamente nell’uso


delle strumentazioni nelle pratiche di ricerca.
Su tali premesse teoriche, Döbereiner può articolare il
passaggio conclusivo della sua riflessione sul materialismo
del suono e sulla separazione tra musica e sound art:

La materia non è nè preesistente nè fantasia puramente sog-


gettiva. Essa è il risultato oggettivo di una sistemazione materia-
le discorsiva. Possiamo intendere modelli compositivi o sistemi
di sintesi sonora come apparati che determinano un confine tra
soggetto ed oggetto che sono entrambi risultati di questo con-
fine. Perciò, invece che intendere la pratica compositiva come
una pratica antropocentrica che si basa su una cornice discorsi-
va che schiude l’accesso alle forze reali creative e materiali del
suono in sè, dovremmo intendere la pratica compositiva ed i
suoi apparati come riconfigurazioni materiali del mondo16.

In definitiva, il fatto che Cox e diversi altri teorici della


sound art considerano, secondo Döbereiner, la notazione
come una nozione idealista in cui un dominio astratto con-
cettuale della notazione stessa è dominante, implicherebbe
– da parte loro – l’impossibilità di cogliere la condizione di
complessità delle notazioni musicali tra descrizione sonora e
istruzioni di azione, tra il modello di composizione e le sue
costanti trasformazioni con la pratica musicale e di compo-
sizione. In quest’ottica, conclude Döbereiner, ontologizzare
la differenza tra sound art e musica sottende l’impossibilità

through specific intractions. [Thus] apparatuses are not mere observing in-
struments but boundary-drawing practices-specific material (re)configurings
of the world–which come to matter [...]. Reality is composed not of things-in-
themselves or things-behind-phenomena but of things-inphenomena”.
16
“Matter is thus neither pre-existent nor a purely subjective fantasy, it is
the objective result of a material-discursive arrangement. We can understand
compositional models or sound synthesis systems as apparatuses that deter-
mine a border between subject and object that are both result of this border.
Thus instead of understanding compositional practice as an anthropocentric
practice relying on an imaginary discursive framework that bares access to
the real creative material forces of sound-in-itself, we should understand
compositional practice and its apparatuses as material (re)configurings of the
world”. L. Döbereiner, How to Think Sound in Itself? (trad. it. mia).
TRA SOUND ART E AMBIENTI D’ASCOLTO 29

di coglierne filosoficamente le pratiche e la materialità con la


quale esse operano: “Il suono in sè è pertanto un gap costitu-
tivo della composizione stessa: non c’è alcun suono in sè, se
non nella composizione”17.
La teoria di Döbereiner finisce per avvitarsi su se stes-
sa a partire dalle proprie premesse: sia il suo materialismo
dialettico che la critica a Deleuze e Cox si alimentano di
un’ontologia dominata da una visione metafisica dipendente
dal visualismo e dagli oggetti tangibili. È lo stesso Döberei-
ner, in apertura del suo saggio, a riconoscere implicitamente
l’ambiguità del terreno sul quale si muove la sua analisi: “la
questione non è semplicemente tra idealismo e materialismo,
ma cosa significhi in realtà il materialismo in filosofia, nel-
le scienze e nella pratica politica ed artistica”18. È su que-
sto equivoco che si costruisce tutta la messa in discussione
dell’ontologia deleuziana ripresa da Cox: ad un’ontologia
empirista in cui “il corpo non sedimenta un’identità somati-
ca, proprietà personale di un soggetto immutabile, ma forma
il supporto fluido mediante il quale accedere alla dimensione
non-rappresentativa della realtà sensibile”, viene associata
una caratterizzazione “materica” che nasce all’interno di un
quadro modernista e visualista – perchè frontale, lineare,
cartesiano – in piena continuità con il pensiero metafisico
Occidentale post-socratico19.
Il pensiero, i segni, le parole: ogni cosa per Deleuze è
corpo, collocato in un piano al di là di ogni trascendenza.
Ogni elemento si muove, risuona, confligge nell’immanenza.
Deleuze inverte la direzione del pensiero metafisico, fran-
tumando l’immobilità dell’essere platonico e portando alla
luce un universo dinamico, nel quale si rivela il movimento

17
“Sound in-itself is thus a constitutive gap of composition itself: There is
no sound-in-itself, except in composition”. Ibidem (trad. it. mia).
18
“The question is not simply one between idealism and materialism, but
what materialism may actually mean in philosophy, the sciences, and political
and artistic practice”. Ibidem (trad. it. mia).
19
G. Rizzo, Pensare sulla superficie del corpo. Il materialismo in Deleuze,
“Quaderni di Inschibboleth”, vol. 1, 2012, p. 45.
30 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

di differenziazione dell’essere, che si attualizza nelle sue ma-


nifestazioni sensibili e contingenti. Il carattere decostruttivo
dell’ontologia deleuziana si fa evidente proprio su questo
punto:

Vivere come intensità che affiorano sul flusso del divenire


significa infrangere la struttura e le rappresentazioni rigide del
corpo, sperimentare e costruirsi un corpo in divenire tramite la
pratica delle sue traiettorie e dei suoi incontri. Vuol dire riget-
tare le astrazioni egemoniche e le gerarchie della trascendenza
per sondare la pienezza d’essere di un’immanenza radicale. Alla
tirannia dell’essere come sostanza identica a se stessa, Deleuze
oppone l’essere come differenza in divenire sulla superficie del
corpo: l’ontologia dinamica di un pensiero catturato nel flusso
multiforme della vita20.

Ri-pensare il corpo per Deleuze significa riconsegnare


l’essere all’immanenza, evitando di ricercare l’essenza sulla
linea di fuga di un orizzonte metafisico inarrivabile, traccian-
do “l’ontologia sulla superficie dell’esistenza, su un piano
orizzontale di interazioni e intercettazioni”21.
Quella deleuziana è un’ontologia non materiale, ma del
flusso, perché unisce in sé l’idea della persistenza della so-
stanza con quella della dissolvenza del flusso. Essa rifugge
ogni fuga nella ‘materia’ tangibile o inquadrabile nel domi-
nio della visualità, come arguisce Jean-Luc Nancy a propo-
sito del rapporto tra “oggetti” e “realtà” in Deleuze:

Questo pensiero non ha “il reale” per “oggetto”, non ha


“oggetti”: è un’altra effettuazione del “reale”, partendo dal
presupposto che il reale “in sé” è il caos, una sorta di effettività
senza effettuazione. Il pensiero consiste nel combinare e nel va-
riare delle effettuazioni “virtuali”. […] L’universo virtuale è un
universo dalla geometria variabile, dalle durate complesse, con
stratificazioni e affaldamenti, con apparizioni e sparizioni. Non
è un mondo di percezione, né di significazione. È un mondo

20
Idem, p. 44.
21
Idem, p. 45.
TRA SOUND ART E AMBIENTI D’ASCOLTO 31

senza storia, con delle sequenze; senza genesi, con delle forze.
Anche per questo è un universo, piuttosto che un mondo. Il
pensiero di Deleuze non si gioca nell’essere-nel-mondo, ma
nell’effettuazione di un universo o di più universi22.

Nancy chiarisce in questo passo anche la determinazione


del “virtuale” nell’ontologia deleuziana, altro oggetto della
lettura critica di Döbereiner, il quale addebita a Cox ed agli
altri pensatori deleuziani il fatto che la tensione verso la forza
vitale, creativa ed immanente della materia non si configuri
come un processo che mira al “materiale”, ma piuttosto ad
una fuga verso il “virtuale” attraverso il materiale23.
In effetti, è proprio il concetto di forza vitale, che Jane
Bennett riconosce in un conclamato “vital materialism”, a
sorreggere l’ontologia del flusso che Cox inferisce dalla ri-
flessione deleuziana e che applica in senso specifico alla sua
sonic philosophy, consentendogli di poter ripensare al suono
come ad un flusso anonimo, non-umano ed impersonale, che
riecheggia i flussi geologici, naturali o del linguaggio, con rit-
mi e velocità differenti24.
Per Cox, la musica è senz’altro partecipe di questo flusso,
ma allo stesso tempo rappresenta solo una parte del più am-
pio divenire del suono. In questo senso, l’analisi del suono e
della musica esula – al contrario di quanto emerge in Döbe-

22
J.-L. Nancy, Piega deleuziana del pensiero, tr. P. Di Vittorio, “Aut Aut”,
n. 276, 1996, p. 34.
23
Sul concetto di “virtuale” in Deleuze, scrive ancora Cox: “‘the virtual’
is the repository of potentiality. But this potentiality is not mere futural pos-
sibility. Unlike possibility, virtuality is fully existent and real (quoting Mar-
cel Proust, Deleuze calls the virtual ‘real without being actual, ideal without
being abstract’)” (C. Cox, From Music to Sound: Being as Time in the Sonic
Arts, in C. Kelly (ed.), Sound (Whitechapel: Documents of Contemporary Art),
Whitechapel, London 2011, p. 87).
24
Jane Bennett scrive: “I believe in one matter-energy, the maker of things
seen and unseen. I believe that this pluriverse is traversed by heterogenei-
ties that are continually doing things. I believe it is wrong to deny vitality to
nonhuman bodies, forces, and forms, and that a careful course of anthropo-
morphization can help reveal that vitality, even though it resists full transla-
tion and exceeds my comprehensive grasp”. J. Bennett, Vibrant Matter: A
Political Ecology of Things, Duke University Press, Durham, NC 2010, p. 122.
32 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

reiner – dall’indagine sulle forme, e cioè sull’organizzazione


di entità pre-date o pre-individuate come quelle della com-
posizione, ma concerne invece l’indagine della materia flui-
da che è distinta tra diverse velocità, forze ed intensità. Nel
rivendicare l’autonomia piena del suono, e di conseguenza
– per estensione – della sound art, rispetto ad una lettura che
lo relega ad appendice della prospettiva dominante musico-
logica, Cox ribadisce chiaramente come questa operazione
di decolonizzazione culturale e filosofica sia nelle corde di
molte pratiche musicali25 anche non accademiche nate negli
ultimi decenni, in cui si palesa un’altra lettura possibile dei
rapporti tra essere, tempo, musica e suono:

È pratica diffusa pensare alla musica come una sottocategoria


del suono. Secondo questa visione, il suono comprende l’intero
dominio dei fenomeni uditivi, mentre la musica è un dominio
più ristretto delimitato da alcune selezioni ed organizzazioni
di suoni. Tuttavia, mettendo in discussione questa visione
ordinaria, propongo che questa relazione venga riconsiderata
secondo una prospettiva differente e che, invece di una semplice
differenza di grado, possiamo pensare alla musica ed al suono
come differenze di tipi definite dalle loro diverse relazioni con
l’essere ed il tempo26.

Si tratta di uno slittamento dalla musica verso il “suono


in sé”, dall’attività di composizione e della definizione del
suono nello spazio e nel tempo alla nozione di suono come
tempo, flusso, durata e divenire: non si tratta di un semplice

25
Tra gli esempi citati da Cox, ci sono per esempio lo svincolarsi dall’og-
getto-tempo e la scelta della fugacità nel Free Jazz e nella Improvised Music
o la dissoluzione del disco-oggetto in un continuo ed anonimo flusso sonoro
della DJ Culture.
26
“It is common to think of music as a subcategory of sound. According
to this view, sound encompasses the entire domain of auditory phenomena,
while music is a narrower domain delimited by some selection and organi-
zation of sounds. However compelling this ordinary view may be, I want to
propose that we conceive of this relationship differently, that, instead of a
mere difference of degree we think of music and sound as differences of kind
marked by their different relationships to being and time”. C. Cox, From
Music to Sound, p. 80 (trad. it. mia).
TRA SOUND ART E AMBIENTI D’ASCOLTO 33

spostamento da un dominio più ristretto, quello della musica


ad uno più ampio, quello del suono, ma di una vera e propria
traslazione nei rapporti che ci legano all’essere ed al tempo.
Per Cox, se la musica costituisce il dominio dell’essere, del
tempo-oggetto che spazializza il suono e che segna un tempo
modulato, quello della narrativa e del soggetto (inizio / svol-
gimento / fine), il suono invece svela27, in una prospettiva
nietzscheana (divenire) e bergsoniana (durata), non l’essere
nel tempo, ma l’essere come tempo28.
Questa dicotomia si fonda sul fatto che per Cox il suono
‘sorpassa’ il tempo, diventando bergsonianamente un’espe-
rienza di durata, che può esistere nella fluidità durazionale e
nello svelarsi del molteplice: in tal senso, le pratiche sonore
diventano importanti punti di partenza per l’analisi delle for-
me di ‘cotemporalità’ nell’arte contemporanea, quando ci si
riferisce ad esse come formazioni temporali complesse29.

27
Scrive Cox: “I tried to show that ‘sound’ constitutes a kind of virtual or
transcendental dimension, a vast field of sonic forces and fluxes in relation to
which any particular sonic environment or piece of music is a mobile section.
Music, it seems to me, tends to foreclose this domain and this experience, of-
fering the illusion of being, autonomy, boundedness, fixity, and human inven-
tion. Sound art, on the other hand, opens up this domain giving us a glimpse
of the virtual whole”. C. Cox, From Music to Sound, p. 87.
28
In questa lettura deleuziana di Bergson ripresa nell’analisi di Cox, la
durata non rappresenta una esperienza soggettiva del tempo, quanto piut-
tosto un’ontologia generale, una teoria dell’essere: l’essere come “durata” si
configura come un divenire differenziato da diversi ritmi, vibrazioni, tensioni
e contrazioni nel tempo.
29
Terry Smith parla di “cotemporalità” come “[t]he coexistence of diffe-
rent temporalities, of different ways of being in relation to time, experienced
in the midst of a growing sense that many kinds of time are running out, is
the third, deepest sense of the contemporary: what it is to be with time, to be
contemporary” (T. Smith, What Is Contemporary Art?, University of Chicago
Press, Chicago, IL 2012, pp. 3-4.) È particolarmente interessante la prospet-
tiva introdotta da Terry Smith a proposito del concetto di contemporaneità
(implicato dalla sua definizione di cotemporalità), letto come la possibile coe-
sistenza di differenti temporalità nel tempo di ora, che moltiplica ed aumenta
sé stesso per formare una rete complessa di temporalità. La contemporaneità
si configura così come un aggregato di tempi, periodi e luoghi eterogenei ba-
sata su una nozione di molteplicità in cui gli elementi contrastanti nel mondo,
siano essi temporali, spaziali, percettivi, storici, iniziano ad intersecarsi, a con-
vergere e a riverberare.
34 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

Nell’analisi dei lavori di John Cage, Max Neuhaus o


Cristina Kubisch, Cox intravede la possibilità di ripensare
il suono come un fluido materiale continuo ed eterogeneo
che rende udibile l’immanenza dell’essere e del tempo. È su
questa sonic philosophy che trova fondamento ontologico la
sound art, svincolandosi dalla prospettiva musicologica per
affermare la propria autonomia di pensiero e di disciplina.

2. Per una teoria della sound art: oltre la dialettica del suo-
no, attraverso i Sonic Possible Worlds

Alla discussione per la definizione di uno statuto episte-


mologico della sound art hanno contributo una serie di re-
centi studi nei quali essa viene teorizzata come disciplina e
come pratica, distinta dalla musica non per l’uso in sé del
suono, ma per gli aspetti percettivi, concettuali e costituzio-
nali che ne caratterizzano le opere30.
Si tratta di un dibattito che, come si è esaminato a pro-
posito dell’indagine ontologica di Christoph Cox, nasce
nell’alveo di una dialettica tra musica e sound art, in cui per
quest’ultima si reclama un riconoscimento spesso messo in
discussione, anche da parte degli stessi artisti. È una questio-
ne problematica che investe l’indagine sui confini discipli-
nari, ‘storici’ e di linguaggio attraverso la quale la sound art
stessa individua il proprio dominio epistemologico.
Nell’articolazione di questa dicotomia, il visualismo è uno
degli elementi sui quali si costruisce, per analogia e diffe-
renza, l’approccio teorico ad essa, come viene in evidenza
nella ricerca di Seth Kim-Cohen, che modula il concetto di

30
Tra questi testi, andranno indicati almeno: C. Cox & D. Warner (eds.),
Audio Culture: Readings in Modern Music, Continuum, London/New York
2010; S. Kim-Cohen, In the Blink of an Ear; S. Voegelin, Listening to Noise
and Silence. Towards a Philosophy of Sound Art, Continuum, New York/Lon-
don 2011; B. LaBelle, Background Noise: Perspectives on Sound Art, Continu-
um, London/New York 2007; C. Kelly (ed.) Sound (Whitechapel Documents
of Contemporary Art), Whitechapel, London 2011.
TRA SOUND ART E AMBIENTI D’ASCOLTO 35

non-coclearità della sound art (“non-cochlear”) su quello


di non-retinalità (“non-retinal”) dell’arte visuale arguito da
Marcel Duchamp, traslandolo nel dominio dell’ascolto. Si
tratta di uno slittamento del termine in senso concettualista:
Kim-Cohen definisce la “non-cochlear” sound art riecheg-
giando la descrizione dell’arte concettuale operata da Peter
Osborne, nei termini di una forma d’arte basata sull’atto di
mettere in discussione le definizioni esistenti31. In questo
senso, il termine “non-cochlear” diventa un elemento attra-
verso il quale è possibile ridefinire criticamente la relazione
con le istituzioni del mondo dell’arte, quella dell’artista con
lo spettatore e l’atto stesso di fare arte. Mettendo in evidenza
il processo e non il prodotto, il significato e non l’oggetto
fisico d’arte, questo approccio viene spostato sul piano del
suono, soffermandosi sugli elementi normalmente trascurati
nella relazione con esso, oltrepassando così sia il piano della
materialità che quello puramente percettivo. Nel riferirsi a
tutto ciò che è esterno all’opera sonora (ἔργον), Kim-Cohen
mutua della filosofia derridiana il concetto di “parergon”: è
interessante notare come Derrida faccia leva su questo con-
cetto per mettere in discussione il valore della bellezza de-
finito da Kant nella Critica del giudizio, riferendosi ai suoi
limiti, ai suoi fini, al suo inquadramento32. Per Derrida, esso
si configura come qualcosa che viene contro, a fianco, e oltre
all’“ergon”, il lavoro compiuto, il fatto (“le fait”), ma esso
coopera in qualche modo a questa dinamica: né semplice-
mente fuori, né semplicemente dentro. Il “fuori”, cioè, viene
sempre accolto nel “dentro” per definire sé stesso come un
“dentro”. Per Kim-Cohen, si tratta di un approccio che ri-
sponde perfettamente alla definizione della sua visione del
suono non-cocleare in senso concettuale. La definizione
dell’antinomia tra sound art e musica viaggia, nell’analisi di
Kim-Cohen, su un doppio livello parallelo: derridiano, ap-

31
P. Osborne, The Postconceptual Condition, or, The Cultural Logic of
High Capitalism Today, “Radical Philosophy”, Issue 184, 2014, pp. 19-27.
32
J. Derrida, Parergon, in La vérité en peinture, Éditions Flammarion,
Paris 1978, p. 27.
36 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

punto, e duchampiano33. L’opera e la ricerca di Duchamp


vengono rilette nei termini di una sorta di forma alternativa
di modernismo che si contrappone frontalmente all’approc-
cio formalista dell’arte astratta, così come definito da Cle-
ment Greenberg34. Secondo Kim-Cohen, la musica, ossessio-
nata dalla sua specificità mediale, ha sempre rispettato nelle
sue pratiche i precetti di Greenberg includendo – solo essa
– nel suo vocabolario discorsivo, un termine per connotare
elementi che provengono dall’esterno e che ‘minacciano’ di
contaminarla, e cioè “the extramusical”35.
Si tratta indubbiamente di una riflessione fondata su
elementi particolarmente problematici e che può potenzial-
mente prestare il fianco ad una serie di rilievi critici in sen-
so musicologico. In questa sede, essa sarà utile soprattutto
per comprendere la ratio della separazione dei domini della
sound art e della musica per Kim-Cohen, che avventurandosi
su un terreno impervio arguisce come la musica, in senso
lato, si concentri soprattutto sulle sue forme tonali in movi-
mento, e come ogni elemento che eccede queste forme venga
relegato in essa ad un ruolo puramente marginale. Di contro,
nella sound art, o in quella che Kim-Cohen definisce come
“expanded sonic practice”, questo eccesso diventa invece il
focus centrale:

Una pratica sonora espansa dovrebbe includere lo spettatore


che porta sempre con sè, come parte costituente della propria
soggettività, una prospettiva determinata dall’esperienza socia-
le, politica, di genere, di classe e di razza. Dovrebbe necessa-
riamente includere una considerazione delle relazioni verso e
tra il processo ed il prodotto, lo spazio di produzione contro

33
Kim-Cohen si muove in un percorso storico-artistico che tocca le pra-
tiche, da un lato di artisti visuali come Robert Morris e Bruce Nauman e
dall’altro di artisti sonori come Pierre Schaeffer, John Cage e Muddy Waters.
Allo stesso modo in cui nelle pratiche di questi ultimi sono rintracciabili i
costituenti di un’arte non cocleare, in Duchamp è possibile risalire alle radici
dell’arte “non-retinale”.
34
C. Greenberg, Avant-Garde and Kitsch, “Partisan Review”, vol. VI, n. 5,
1939, p. 34-49.
35
S. Kim-Cohen, In the Blink of an Ear, p. 39.
TRA SOUND ART E AMBIENTI D’ASCOLTO 37

lo spazio di ricezione, il tempo del fare rispetto al tempo del


vedere. Poi ci sono la storia e le tradizioni, le convenzioni del
sito dell’incontro, il contesto della performance e dell’ascolto,
le modalità di presentazione, l’amplificazione, la registrazione,
la riproduzione. Nulla è fuori dai confini. Per parafrasare Der-
rida, non c’è un ‘extra-musica’36.

È evidente che l’obiettivo critico di Kim-Cohen è la liceità


della categoria di extra-musicale. Ancora Derrida fornisce un
supporto teoretico per questo rilievo: non esiste nulla al di
fuori del testo, o meglio non c’è un “fuori-testo”, e dunque
traslando il concetto sul piano del suono, non esistono le
condizioni per affermare una legittimità di un discorso
extra-musicale.
Per Kim-Cohen, è il concetto di “expanded sonic practi-
ce” a ribaltare questo discorso, occupando lo spazio teoreti-
co al centro del quale la musicologia pone l’extra-musicale,
invertendo e decostruendo il ‘lavoro’ musicale, trasforman-
do il parergon nell’ergon. È un’asserzione che si chiarisce in
questi termini:

[La sound art] è semplicemente il residuo creato dalla musi-


ca che esclude dai propri confini l’extra-musicale ed ogni istan-
za di parole che non potrebbe essere espressa in maniera como-
da nella langue del sistema notazionale Occidentale. Le istanze
della musica non-occidentale non sarebbero da considerarsi
come sound art. Nonostante incarnino caratteristiche specifi-
che, come le microtonalità, non rappresentate nell’intervallo
dell’ottava Occidentale [sic], queste possono essere comprese
e, in un certo modo, rappresentate in modalità che sono leggi-

36
“An expanded sonic practice would include the spectator, who always
carries, as constituent parts of his or her subjectivity, a perspective shaped by
social, political, gender, class and racial experience. It would necessarily inclu-
de consideration of the relationships to and between process and product, the
space of production versus the space of reception, the time of making relative
to the time of beholding. Then there are history and tradition, the conven-
tions of the site of encounter, the context of performance and audition, the
mode of presentation, amplification, recording, reproduction. Nothing is out
of bounds. To paraphrase Derrida, there is no extra-music”. Idem, p. 107
(trad. it. mia).
38 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

bili dai metodi musicali Occidentali. La sound art è un’arte che


dà significato o valore a registri dei quali non rendono conto i
sistemi musicali Occidentali37.

La conseguenza del fatto che l’ontologia della sound art


sia in antinomia necessaria con la musica Occidentale, fon-
data sull’extra-musicale, è che la musica non-Occidentale
non può essere identificabile come sound art.
È interessante notare in questa sede come il tema
dell’alterità delle arti sonore non-Occidentali, rispetto
ai discorsi (para-) musicali costruiti in Occidente negli
ultimi decenni, sia attualmente al centro di una serie di
riflessioni sviluppate da artisti e teorici che operano in senso
postcoloniale, i quali mettono in questione l’applicazione
della categoria sound art ad una serie di pratiche e lavori pro-
venienti da ambiti geografici non europei o nordamericani.
In particolare, Anna Raimondo ha di recente fatto notare
come “per quanto la sound art trasgredisca una serie di re-
gole stabilite dall’arte contemporanea, essa nasce all’interno
di una tradizione culturale forte in cui emerge un discorso
colonialista legato al genere, alla razza, all’appartenenza”38.
Fondata su uno statuto epistemologico che risponde ad
una tradizione culturale e di pensiero sviluppatasi in Occi-
dente, la sound art è una disciplina prodotta dalla ricerca
accademica, che si articola su riferimenti geo-culturali ben
definiti (di matrice angloamericana ed europea) e che tende,

37
“[Sound art] is merely the remainder created by music closing off its
borders to the extra-musical, to any instance of parole that could not be
comfortably expressed in the langue of the Western notational system. Instan-
ces of non-Western music would not be sound art. Although they may employ
specific features, such as microtonalities not represented in the western octave
[sic], these features can still be understood and, to some extent, represented
in a way that is legible to Western musical methods. Sound art is art that posits
meaning or value in registers not accounted for by Western musical systems”.
Ibidem (trad. it. mia).
38
A. Raimondo, intervistata da me, 03 marzo 2014, [online audio], http://
soundcloud.com/leandropisano/intervista_annaraimondo_030314, (ultimo ac-
cesso 30 settembre 2016).
TRA SOUND ART E AMBIENTI D’ASCOLTO 39

sovente, a definire se stessa anche per esclusione rispetto alle


voci ed ai ‘luoghi’ esterni al suo dominio.
Questa prospettiva è compatibile e, in una certa misura,
allarga lo sguardo della riflessione di Kim-Cohen, quando
egli afferma che le istanze della musica non-Occidentale
non potrebbero rientrare all’interno della sound art. In ogni
caso, la sound art costruisce se stessa sugli elementi residuali
della musica Occidentale: essa è l’‘altro’, dal punto di vista
musicale.
Eppure, è proprio nel dominio musicale che si possono
rintracciare i prodromi dello sviluppo di una concezione
estesa delle pratiche sonore, rintracciabili secondo Kim-
Cohen39 nell’‘invenzione’ della musique concrète di Pierre
Schaeffer e in alcuni lavori di John Cage40 e Muddy Waters41.
Tuttavia, nonostante questi tre momenti rappresentino
l’inizio del processo di decostruzione della categoria “extra-
musicale”, Schaeffer e Cage non riescono ad effettuare il
passo necessario per abbandonare la coclearità e sconfinare
nella non-coclearità. Entrambi, dopo aver abbandonato un
approccio formalistico-musicale, rimangono imprigionati
nell’extra-musicale, estendendo la gamma dei suoni che la
musica può usare, senza espandere tuttavia il dominio della
musica. Ciò che impedisce ai due questo passaggio è il fatto
che la loro pratica rimanga vincolata al perimetro definito
dal “suono in sè”. Scrive Kim-Cohen, a proposito di “4’33’’”
di John Cage:

L’ispirazione potenzialmente concettuale risulta essere un’at-


tività materialista, d’ascolto ancora molto focalizzata sull’orec-
chio, che coinvolge il suono in sè e che è pertanto sottoposta

39
S. Kim-Cohen, In the Blink of an Ear, p. 260: “Schaeffer, Cage, and
Waters each represent a different alternative to serialism, or, more generally,
to the systematization and quantification of the values of music”.
40
“Silent Prayer” (1948), che riprende in larga parte temi della celebre
composizione “4’33’’”. Cfr. J. Cage, / 0 (5) – 4’33’’, Onement, 2006, [Music
CD]).
41
Le registrazioni “elettrificate” di “I Feel Like Going Home” (1958). Cfr.
M. Waters, They Call Me Muddy Waters, Instant, 1990, [Music CD].
40 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

agli stessi difetti che ascriveremmo all’arte retinale... 4’33” non


si allontana mai dalla condizione della musica ammirata soprat-
tutto dai poeti romantici: l’a-referenzialità musicale42.

Brian Kane ha fatto notare come i “sounds-in-themsel-


ves” siano il vero ‘nemico’ nell’analisi di Kim-Cohen. Nella
misura in cui quest’ultimo legge la storia della musica come
una storia del suono in sé, la musica può essere considerata
come cocleare. Per Kim-Cohen, il rivelarsi dei fenomeni non
è sufficiente, nell’esperienza dell’arte, per definire il suono; la
sua è una forma di “sonic idealism”, come la definisce Kane:

nel senso che le opere di sound art non vengono rese intel-
ligibili sulla base delle loro proprietà percettive; piuttosto, le
proprietà percettive sono rese intelligibili sulla base dei loro
aspetti concettuali, sociali o istituzionali. L’idealismo sonoro di
Kim-Cohen è fondato sulla tradizione del readymade43.

Se l’intenzione del readymade, infatti, si materializza


nell’atto di nominare l’oggetto come arte e non nell’ogget-
to stesso, il valore estetico che ne deriva discende non dalle
qualità visuali o materiali dell’oggetto nominato nella misura
in cui esso si riferisce alla tradizione degli oggetti dell’arte,
ma dall’atto artistico, proprio perché esso si relaziona con la
tradizione degli atti artistici44.

42
“The potentially conceptual inspiration turns out to be a materialist,
listening activity, still very much about the ear—an engagement with sound-
in-itself, and thus subject to the same shortcomings we would ascribe to re-
tinal art… 4’33” never strays from the condition of music most admired by
the Romantic poets: musical areferentiality”. S. Kim-Cohen, In the Blink of an
Ear, p. 163 (trad. it. mia).
43
“[...] in the sense that works of sound art are not to be made intelligible
on the basis of their perceptual properties; rather, perceptual properties are
to be made intelligible on the basis of their conceptual, social, or institutional
aspects. Kim-Cohen’s sonic idealism is founded on the tradition of the ready-
made”. B. Kane, Musicophobia, or Sound Art and the Demands of Art The-
ory, “Nonsite.org”, Issue 8, 2013, http://nonsite.org/article/musicophobia-
or-sound-art-and-the-demands-of-art-theory, (ultimo accesso 30 settembre
2016) (trad. it. mia).
44
S. Kim-Cohen, In the Blink of an Ear, p. 113.
TRA SOUND ART E AMBIENTI D’ASCOLTO 41

In questa visione non-cocleare della sound art, assume


centralità la figura del lettore (“reader”), che indica la ne-
cessità di avvicinarsi al suono non nei termini di un semplice
ascolto, quanto di una lettura: leggere, in questo caso, signifi-
ca interfacciarsi con i codici, negoziare con i segni ed operare
con le relazioni.
Come processo sempre sociale, intersoggettivo e differen-
ziale, la lettura è alla base di una sound art non-cocleare, che
rivela se stessa come arte che legge i suoni e che si occupa
della loro lettura.
Non post-fenomenologica in senso nancyano, ma piut-
tosto non-fenomenologica45, la teoria di Kim-Cohen è stata
analizzata da Brian Kane in comparazione con quella svilup-
pata da Salomé Voegelin nel suo testo Listening to Noise and
Silence (2011), con quest’ultima individuata come afferente
ad un’estetica fenomenologica dell’ascolto. La pratica dell’a-
scolto viene descritta da Voegelin come un atto di coinvol-
gimento nel mondo, e non come un atto di decodifica dello
stesso. Chi ascolta si trova in una posizione di incertezza,
preso sovente in mezzo tra la costituzione dell’oggetto sen-
tito e del proprio sé sensoriale e viene così coinvolto come
complice nella produzione di un lavoro nei termini di un
momento estetico:

Ogni interazione sensoriale ci restituisce non l’oggetto/fe-


nomeno percepito, ma quello stesso oggetto/fenomeno filtrato,
modellato e prodotto dal senso coinvolto nella sua percezione.
Allo stesso tempo, questo senso delinea e riempie il corpo che
percepisce, che nella sua percezione forma e produce il proprio
sè sensoriale. Per cui, i sensi coinvolti sono sempre già ideolo-
gicamente ed esteticamente determinati, portando la propria
influenza alla percezione, all’oggetto percettivo ed al soggetto.
Si tratta di accettare quindi l’influenza apriori mentre si lavora
per un ascolto, invece che a causa di esso. Il compito è quello di
sospendere, quanto più possibile, le idee di genere, categoria,
scopo e contesto storico dell’arte, per poter raggiungere una

45
J.-L. Nancy, À l’écoute, Éditions Galilée, Paris 2002.
42 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

percezione uditiva nei termini di ciò che viene udito material-


mente ora, in maniera contingente ed individuale46.

In queste poche righe, si condensano alcuni dei concet-


ti portanti della teoria di Voegelin, focalizzata su una serie
di linee di pensiero che tendono chiaramente alla prospet-
tiva fenomenologica: l’oggetto/fenomeno viene ‘prodotto’
dalle modalità sensoriali coinvolte, attraverso un processo
che rende l’ascoltatore produttore; la sensazione ‘riempie’
il corpo percipiente, e cioè essa contribuisce a rendere più
evidente il corpo di chi percepisce; è necessario, infine, per
l’ascoltatore una “sospensione” degli aspetti che riguardano
il genere, la categoria, il contesto storico-artistico e lo scopo:
si tratta di un atto riferito alla materialità dell’ascolto, ma
non in senso materico, quanto percettivo. In questo caso, il
termine “sospensione” deve essere inteso come una ripresa
del concetto husserliano di epoché, in senso lato47: esso im-
plica un’ulteriore sospensione, e cioè quella della visione48.
Anche nella teoria di Voegelin, come in quelle finora esami-
nate, il dualismo ascolto/visione si risolve nella necessità di
decostruire, in qualche modo, il visualismo che caratterizza
la concezione del suono all’interno della tradizione di pen-
siero post-socratica e che finisce per sopraffare la capacità di

46
“Every sensory interaction relates back to us not the object/phenome-
non perceived, but that object/phenomenon filtered, shaped and produced
by the sense employed in its perception. At the same time this sense outlines
and fills the perceiving body, which in its perception shapes and produces his
sensory self. Whereby the senses employed are always already ideologically
and aesthetically determined, bringing their own influence to perception, the
perceptual object and the subject. It is a matter then of accepting the apriori
influence while working towards a listening in spite rather than because of it.
The task is to suspend, as much as possible, ideas of genre, category, purpose
and art historical context, to achieve a hearing that is the material heard, now,
contingently and individually”. S. Voegelin, Listening, p. 3 (trad. it. mia).
47
E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenome-
nologica, tr. E. Filippini, Einaudi, Torino 1965.
48
S. Voegelin, Listening, p. 34: “a sonic epoché [...] is a stripping away
from the sonic anything that ties it to visuality [...] [The aim is] not to reduce
the heard but to get to the wealth of the heard through bracketed listening”.
TRA SOUND ART E AMBIENTI D’ASCOLTO 43

sentire, dal momento che esso sussume in qualche modo il


suono nella sfera visuale49.
Fuor di metafora, l’ascolto non possiede in sé nè l’oggetti-
vità, nè la sicurezza della visione. Esso non offre una “meta-
posizione” poichè non esiste un luogo in cui non si possa
essere “simultanei” con l’udito: per quanto la fonte sonora
possa essere distante, il suono è sempre nell’orecchio. Non si
può sentire se non si è immersi nell’oggetto uditivo che non
è la fonte, ma il suono stesso.
C’è chi, come Brian Kane, analizza criticamente questa
presa di posizione, affermando che Voegelin non approfon-
disce, in realtà, un’epistemologia della visione e dell’ascolto,
ma si limita a ripetere una serie di concetti divenuti ormai
comuni nella letteratura sul suono, sui media e nella storia
culturale relativa alla sensorialità. A supporto di questa per-
plessità, Kane riporta un esempio concreto:

Si prenda il suono di un aereo in cielo. Dal momento che il


suono impiega tempo a viaggiare verso di noi, quando guardia-
mo all’insù esso non appare dove pensiamo che dovrebbe es-
sere. Forse questo contraddice l’affermazione di Voegelin che
siamo sempre simultanei con ciò che udiamo. In ogni caso, ciò
dipende da cos’è l’“udito”. Per Voegelin, esso è semplicemente
il suono stesso, non la cosa alla quale il suono si riferisce50.

Emerge qui una questione che sposta il discorso su un


piano parasemiotico: Kane legge nella distinzione che fa Voe-
gelin tra fonte (“source”) sonora e “suono di per sé” (“sound
itself”) la volontà di superare questa impasse, senza tuttavia
riuscire ad affrancarsi dal pericolo di una semplificazione fe-

49
“Vision, by its very nature assumes a distance from the object [...] Seeing
always happens in a meta-position, away from the seen. And this distance ena-
bles a detachment and objectivity that presents itself as truth”. Idem, p. XII.
50
“Take the sound of an airplane in the sky. Since the sound takes time
to travel to us, when we look up it does not appear where we think it might.
Perhaps this contradicts Voegelin’s claim that we are always simultaneous
with the heard. However, it depends on what “the heard” is. For Voegelin,
the heard is simply the sound itself, not the thing to which the sound refers”.
B. Kane, Musicophobia (trad. it. mia).
44 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

nomenologica costruita in termini dialettici sulla dicotomia


tra sfera uditiva e visiva.
In sintesi, Kane contesta a Voegelin un approccio super-
ficiale alla fenomenologia, letto più nei termini di una ridu-
zione di complessità che come un’applicazione della teoria
husserliana alle dinamiche dell’ascolto.
Al di là di questi rilievi di carattere ontologico, è interes-
sante notare come a partire da questo approccio al suono si
configurino, secondo Voegelin, le condizioni per accostarsi
alla sound art, attraverso una “sospensione” del concetto di
musica. Esso è considerato, in questa analisi, nell’accezione
di musica annotata, e pertanto rientra appieno nell’ambito
della visualità. Il testo come scrittura è l’opera musicale, in-
quadrata secondo delle convenzioni di notazione. La musica,
enfatizzando i concetti di notazione ed esecutore, si manifesta
come un medium leggibile, attraverso il suo materializzarsi
come un atto di lettura ed interpretazione. Il suo fondamen-
to è concettuale e non percettivo, la sua essenza è virtuale:

L’impulso a sussumere il suono nel visuale è così radicato da


segnare profondamente la critica musicale ed il discorso sulla
sound art, il cui focus è invariabilmente sulla partitura o sull’ar-
rangiamento, sull’orchestra o sul performer, sulla fonte sonora,
la visione dell’installazione o la documentazione dell’evento
sonoro. In breve, la manifestazione visuale invece che il suono
udito51.

Per Voegelin, la questione non verte sulla necessità di


insistere sul discrimine tra musica e sound art, quanto sulle
modalità di ascolto nell’una e nell’altra. La musica insiste su
un dominio che è puramente visuale e richiede orientamenti

51
“The impulse to subsume sound into the visual is so ingrained as to
blight music criticism and the discourse of sound art, whose focus is invaria-
bly on the score or the arrangement, on the orchestra or the performer, the
sound source, the installation view or the documentation of the sonic event,
in short the visual manifestation rather than the sounds heard”. S. Voegelin,
Listening, p. XI (trad. it. mia).
TRA SOUND ART E AMBIENTI D’ASCOLTO 45

ed approcci divergenti, dal punto di vista acustico, rispetto a


quelli propri della sound art:

Nella formazione di un musicista classico, si chiede l’identi-


ficazione delle terze minori, delle quinte perfette, delle settime
maggiori e così via: i suoni sono nomi dati e sono organizzati
in relazione gli uni agli altri e diventa una questione di rico-
noscere cosa viene suonato ed attribuire il giusto termine alla
corrispondente relazione tonale. Non si può dare la risposta
corretta se non si conosce quello che si sta ascoltando e “ciò
che si ascolta” non è mai il suono ma il suo punto di riferimento
visuale [...] Da questo momento si sta ascoltando il linguaggio
della musica [...] L’esperienza sonora, che non trova ricono-
scimento in questo tipo di orientamento musicale [...] cessa di
essere udita52.

La musica richiede una modalità di ascolto che tende a


ciò che è conosciuto, prevedibile, già determinato, mentre la
sound art si fonda su un ascolto che evoca l’imprevedibile, il
non-conosciuto: nel processo di scoperta che essa mette in
atto, la conoscenza è un divenire che viene continuamente in
atto. La conseguenza è che l’estetica e la filosofia della sound
art si basano su un impulso alla conoscenza che si genera
nell’esperienza del suono come relazione temporale, la quale
non avviene “tra” le cose ma è “la” cosa, e cioè il suono di
per sé.
Se il suono è basato sulla conoscenza e quest’ultima è una
relazione, essa si configura in riferimento al suono di per sé,
che è la fonte di un valore intrinseco, la “ricchezza” (“we-
alth”), come Voegelin stessa lo definisce.

52
“When training as a classical musician you are asked to identify minor
thirds, perfect fifths, major sevenths and so on: sounds are given names and
are organized in relation to each other, and it becomes a matter of recognizing
what is being played and attributing the right term to the corresponding tonal
relationship. You cannot possibly give the right answer unless you know what
you are listening for, and the ‘listening for’ is never the sound but its visual
point of reference [...] From this moment on you are listening to the language
of music [...] Sonic experience, which finds no acknowledgement in such a
musical orientation [...] seizes to be heard”. Idem, pp. 52-53 (trad. it. mia).
46 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

Per Kane, anche se Voegelin non lo afferma direttamente,


questa catena associativa sottende che un ascolto “sospeso”,
che si focalizzi sul suono di per sé, tramuta la musica stessa in
sound art. Il discrimine tra le due discipline viene fissato così
nei termini di una differenza tra visuale ed uditivo: quest’ul-
timo è il dominio della sound art ed il suo oggetto proprio è
il suono di per sé.
Tuttavia, per Voegelin, muoversi tra i lavori musicali e
sonori, come se essi fossero dei “sonic worlds”, per raggiun-
gere, a partire dalle loro reciproche potenziali connessioni,
non la realtà finita della musica, ma le sue possibilità sonore,
che potrebbero rimanere inattuate e irrealizzabili e nondime-
no importanti per praticare e sentire il continuum del suono,
dischiude questa prospettiva fenomenologica verso un supe-
ramento del dualismo musica/sound art.
È l’argomentazione sviluppata in Sonic Possible Worlds
(2014), che è un prolungamento, ma anche una riconfigu-
razione, del discorso fenomenologico sul suono articolato
in Listening to Noise and Silence, in cui abitare gli infiniti
possibili mondi sonori prodotti dalle pratiche di ascolto indi-
viduali rende accessibile e congetturabile la relazione tra mu-
sica e sound art non come quella tra due discipline separate,
ma tra domini che condividono ‘possibilità’ l’uno con l’altro
e l’uno attraverso l’altro. Questa relazione non si articola in
termini logici, nei termini di un’analisi delle necessità e delle
possibilità all’interno di quelli che Voegelin definisce “ab-
stract modal worlds”, ma si dispiega come una “visceral mo-
bility”, una relazione affettiva e di movimento all’interno e
attraverso le opere sonore lette nella loro complessità come,
appunto, dei mondi53. Analizzare attraverso l’ascolto le pos-
sibilità del suono nei lavori musicali prelude ad un aumento
di senso dell’uno tramite la pratica degli altri: attraverso il
concetto di accessibilità estetica (“aesthetic accessibility”)
come accessibilità materiale, Voegelin propone la possibilità

53
S. Voegelin, Sonic Possible Worlds, Bloomsbury, London/New York
2014, p. 122.
TRA SOUND ART E AMBIENTI D’ASCOLTO 47

di esplorare come si rivelano in una duplice, interconnessa


relazione suoni musicali e materialità del suono, andando al
di là della riduttiva lettura dei primi “contro” quest’ultima.
Si tratta di un’analisi orientata ad individuare vie alterna-
tive rispetto all’oggettività ed alla fissità dei processi dialettici
sul/nel suono, mettendo in questione la separazione che da
essi deriva, che rende i termini del discorso distinti ed auto-
nomi rispetto alle loro apparenze e che ne afferma l’esistenza
all’interno di una tensione di necessità che si risolve in deter-
minate e riconoscibili forme.
Un chiaro esempio di questo procedimento di decostru-
zione del metodo dialettico è quello che riguarda l’analisi
della relazione udibile-inudibile, a proposito della quale Voe-
gelin arguisce come il suono non si manifesti mai attraverso
una chiarezza discreta e non tenda mai alla singolarità: è la
sua natura spazio-temporale (e dunque, non solo temporale
o solo spaziale) a generare il tempo-spazio co-ordinato di
sè come momento generativo che non esiste in opposizione
ad un altro momento, ma che continua sempre l’ultimo nel
successivo54. Dal momento che il suono si genera in questa
estesa esistenza non-dialettica, l’inudibile non può essere
considerato in opposizione dialettica con l’udibile, essendo-
ne di fatto la sua espansione, la sua possibilità o anche la sua
impossibilità.
L’inudibile diventa impossibile nel momento in cui non
risponde alle aspettative ed alle norme di ciò che è: Voegelin
qui sposta il discorso da un piano puramente fisiologico ed
estetico ad uno politico e ideologico, facendo riferimento
alle conseguenze che quest’analisi ha su tutti i discorsi che
riguardano la soggettività, l’identità ed il sé, così come la
verità, l’oggettività e la ragione. Non si tratta di individua-
re nell’inudibile una frontiera estrema, ma di considerarlo

54
S. Voegelin, intervistata da Miguel Isaza, Listening to Inner Voices and
Sonic Possible Worlds: An Interview with Salomé Voegelin, “Sonic Field”, [blog
entry], 16 dicembre 2015, http://sonicfield.org/listening-to-inner-voices-and-
sonic-possible-worlds-an-interview-with-salome-voegelin/, (ultimo accesso 30
settembre 2016).
48 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

come una sorta di punto di ascolto che riesce a fornire ulte-


riori livelli di lettura rispetto a quello che si riesce a vedere
e sentire.
Questo procedimento non-dialettico può essere applicato
per estensione anche alla relazione tra sound art e musica,
che si svincola in questo modo non solo dall’opposizione tra
soggetto ed oggetto, ma anche dalla necessità della costruzio-
ne di un proprio discorso per differenza rispetto al dominio
del visuale.
Se il suono non è più considerato come proveniente, in
senso schaefferiano, dalla fonte dell’oggetto, ma dalla fonte
del concetto, esso riesce a fornire un terreno fertile per ana-
lizzare il lavoro “invisibile” della sound art, senza necessaria-
mente esplorarne la profondità cristallizzandolo all’interno
dell’idea del visibile.
L’afferenza della sound art alle pratiche visuali ha offer-
to, da un lato, prospettive importanti, che l’hanno resa più
visibile, consentendole la costruzione di un discorso critico
ed attribuendole la possibilità di un riconoscimento, senza
tuttavia conferirle maggiore udibilità. Leggere un lavoro so-
noro non in opposizione rispetto alla tradizione visuale, ma
seguendo traiettorie alternative, che consentono di ascoltarlo
e sentirlo individuandone una presenza musicale, non im-
plica la negazione degli studi precedenti che hanno scritto
del suono in relazione alle arti visuali. Al contrario, come
ribadisce Voegelin, questo approccio contribuisce all’intero
discorso, aprendolo ad una pluralità di connessioni, di sto-
rie, di riferimenti che forniscono ulteriori elementi sia alla
critica della sound art che a quella della visualità, che viene
decentrata da una posizione concettuale e contestuale verso
un confronto con la dimensione invisibile del suono.
L’approdo finale dell’analisi di Voegelin è la possibilità di
includere sound art e musica all’interno di uno spazio critico
di reciproco scambio e interazione, in cui la musicologia stes-
sa non viene sminuita, ma riesce a mettere in discussione e ad
estendere i confini della propria sintassi disciplinare e delle
proprie metodologie, aprendosi verso un possibile discorso
TRA SOUND ART E AMBIENTI D’ASCOLTO 49

musicale post-umanista che trovi approcci e risposte nell’a-


nalisi materiale dei sonic possible worlds che generano i lavori
sonori, piuttosto che semplicemente all’interno del proprio
dominio disciplinare.
È un approdo che consente anche, in ultima analisi, di
riconsiderare la lettura di Brian Kane che oppone l’approccio
acusmatico-fenomenologico di Salomé Voegelin a quello
contestuale e non-cocleare di Seth Kim-Cohen, equiparandoli
tuttavia in una sorta di atteggiamento idiosincratico verso la
musica (“musicophobia”), a partire dal quale entrambe le
teorie, a suo modo di vedere, si costruiscono.
L’asserzione di Kane poggia su premesse fragili: non è
possibile opporre radicalmente fenomenologico e non-
cocleare, nella misura in cui una delle due prospettive po-
trebbe finire per includere parte dell’altra. È ciò che accade
a proposito della teoria di Kim-Cohen, in cui la fenome-
nologia emerge come riduzione all’essenza dell’esperienza,
lasciando l’ascolto e il sentito al di fuori dell’inquadramen-
to teoretico. In the Blink of an Ear: Toward a Non-Cochlear
Sonic Art può essere letto senz’altro come una riduzione fe-
nomenologica, come un tentativo di cogliere l’esperienza di
un lavoro operando nello spazio concettuale e contestuale
che eccede tutto ciò che riguarda il suono in sè. Sono le con-
clusioni a cui arriva l’indagine di Voegelin in Sonic Possible
Worlds a favorire un approccio fenomenologico che tende
all’annullamento dell’esclusione nella relazione tra suono
in sé acusmatico e suono in sé contestuale. Così delineato,
questo atteggiamento può essere letto in una prospettiva
post-fenomenologica, non nel senso di una negazione o di
un superamento della fenomenologia stessa, quanto piut-
tosto per l’emergere, al suo interno, di un discorso e di un
metodo critico che la mette in discussione, la riconfigura,
ne prolunga elasticamente gli esiti epistemologici, pur ri-
manendo nell’alveo dei riferimenti filosofici nell’ambito dei
quali essa si fonda. È una visione che non può essere ridotta
ad un’indagine di tipo dialettico e che riassembla in senso
complesso l’esperienza del suono in sé:
50 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

Penso che l’esperienza del suono in sè sia un momento vi-


tale all’interno della traiettoria dall’ascoltare al sentire. [...] Il
suono in sè è quindi parte del processo del sentire: esso attiva
una nuova consapevolezza di dettagli e sfumature e genera il
nostro essere come sfumato e dettagliato nella sua reciproci-
tà. Certamente, per passare al linguaggio da quel dettaglio, da
quel momentaneo e fragile momento di ascolto e di essere nel
suono, è necessario tornare indietro al contesto: il contesto del
linguaggio, il contesto culturale e linguistico e il contesto socio-
politico dell’evento...55

È chiaro che, a partire da queste premesse, i rilievi


di Kane alle teorie di Kim-Cohen e Voegelin in merito
all’impossibilità di articolare una condizione dialettica del
suono e della società perdono ogni fondamento, proprio
perchè essa viene superata da una prospettiva non-dialettica,
quella dei Sonic Possible Worlds, in cui l’esperienza (post-)
fenomenologica del dettaglio contingente, “sospeso” dal
suo contesto e la lettura non-cocleare, strutturale e ‘storica’
dell’evento nel contesto si espandono e si prolungano a vi-
cenda, poichè dipendono l’una dall’altra.
È in questo spazio epistemologico ‘aumentato’, in cui i
confini disciplinari si dissolvono, che trova un possibile
fondamento la teoria della sound art, in cui la potenza e la
fugacità, la transitorietà e la materialità del suono aprono
nuove istanze, nuove prospettive per abitare i luoghi e gli
spazi, per muoversi in essi mettendo in discussione ogni rap-
presentazione trasparente e razionale del mondo attraverso
un’esperienza complessa, pluriversa, immersiva, come ci ri-
corda Voegelin:

55
“I think the experience of sound-in-itself [...] is a vital moment within
the trajectory from listening to hearing. [...] Sound-in-itself is thus part of the
process of hearing, it enables a new realization of details and nuances, and
generates our own being as nuanced and detailed in its reciprocity. Of course
in order to get to language from that detail, from that momentary and fragile
moment of listening and being in sound, you have to get back to context: the
context of language, the cultural and the linguistic context, and the socio-
political context of the event...”. S. Voegelin, intervista (trad. it. mia).
TRA SOUND ART E AMBIENTI D’ASCOLTO 51

L’obiettivo non è produrre un’altra storia, comunque; piut-


tosto, è articolare la pluralità dell’ascolto presente che potreb-
be non avere ontologia, nessun terreno su cui articolarsi, ma
che insiste su un’immersività critica e produce una convinzione
contingente: una virtuosità non di composizione, interpretazio-
ne e discorso musicale, ma di un coinvolgimento e di un impe-
gno fisico, fondato nel presente e in modo precario in mezzo ai
suoi suoni56.

3. La condizione ‘nomadica’ post-digitale dell’ascolto

In questa esperienza immersiva, specifici suoni si ricolle-


gano a determinati stati d’ascolto che possono, in quella che
Budhaditya Chattopadhyay definisce “nomadic condition”,
configurare il fenomeno come una premessa o un ingresso
verso un sonic world precedentemente non conosciuto da chi
fa esperienza dell’ascolto57. L’ascoltatore indirizza il suono
in relazione all’immaginazione ed al ricordo di una gamma
amorfa di stati d’animo che vengono innescati dalla tempo-
ralità dell’ascolto, invece di decodificarne i suoi significati
‘oggettivi’, la sua identità locativa specifica o altre informa-
zioni spaziali, contenute nella struttura caratteristica e nella
tonalità del suono. La pratica dell’ascolto genera così me-
morie ed immaginazioni di altre realtà che, rispondendo alla
materialità immediata dell’evento sonoro, creano deviazioni
e rifrazioni. Si tratta di suoni provvisori, nella misura in cui
possono apparire all’orecchio di ascoltatori in movimento:
‘letti’ – nell’accezione di Kim-Cohen – nei termini di “object

56
“The aim is not to produce another history however; rather, it is to
articulate the plurality of present listening that might well have no ontology,
no ground to stand on, but that inhabits a critical immersivity and produces a
contingent conviction: a virtuosity not of musical composition, interpretation,
and discourse, but of a physical engagement and commitment, established
presently and precariously in the midst of its sounds”. S. Voegelin, Sonic Pos-
sible Worlds, p. 123 (trad. it. mia).
57
B. Chattopadhyay, Auditory Situations: Notes from Nowhere, “Journal
of Sonic Studies”, vol. 4, n. 1, 2013, http://journal.sonicstudies.org/vol04/
nr01/a06, (ultimo accesso 30 settembre 2016).
52 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

disoriented sonic explosions”, essi aprono una serie di sce-


nari che investono questioni epistemologiche ed ontologiche
che si incrociano con la teoria dei nuovi media58.
Chattopadhyay analizza la condizione contemporanea del
“sonic nomad”, essere migrante immerso in una realtà in mo-
vimento crescente che considera la propria percezione uditi-
va rispetto al luogo al quale si appartiene o meno fisicamente
come fuggevole e transitoria. Al di là dell’esperienza pura-
mente fisica, l’attraversamento di luoghi e spazi mediato da
ambienti digitalizzati e pervasivi, come le interazioni mobili
degli smartphone, costruisce una serie di traiettorie d’ascolto
sovrapposte, multiple, in evoluzione continua. All’interno di
questo scenario complesso, in cui l’esperienza attiva dell’a-
scolto valica paesaggi, spazi, ambienti, luoghi globali, locali o
digitali in mutamento continuo ed improvviso, la percezione
e la cognizione degli eventi sonori non può essere localizzata
all’interno di una specifica fonte con una identità locativa
puntuale, in ragione della natura transitoria e fuggevole dei
suoni.
All’intensificarsi di questo movimento nomadico, svani-
sce nel processo di ascolto la possibilità di una direzionalità
univoca e sincronica luogo-tempo, determinando un senso
di sradicamento che si dissolve in uno stato di interazione
sonora itinerante con luoghi fisici e dell’immaginario semi-
conosciuti e/o sconosciuti. In questa dinamica, l’attività di
ascolto di un ‘luogo’ e la conseguente identificazione di una
localizzazione in questi eventi sonori inintelligibili diventa
problematica, con la conseguenza che la conoscenza sulla
fonte localizzabile del suono si confonde nella sua giustap-
posizione con il ricordo, la contemplazione, l’immaginazione
e lo stato d’animo, nel manifestarsi di questo stato nomadico
perpetuo.

58
B. Chattopadhyay, Object-disoriented Sound: Listening in the Post-digital
Condition, “Aprja”, vol. 3, n. 1, 2014, http://www.aprja.net/?p=1839, (ultimo
accesso 30 settembre 2016).
TRA SOUND ART E AMBIENTI D’ASCOLTO 53

La teoria di Chattopadhyay trae linfa da una serie di


concetti chiave riferiti al pensiero nomadico come pratica
teoretica nel contesto dell’economia e della cultura (post-)
globali. Si tratta di una riflessione sviluppata da Rosi Brai-
dotti in relazione alla condizione di nomadismo che definisce
la localizzazione di diversi soggetti nell’evo contemporaneo,
e si focalizza sulla possibilità di tracciare cartografie etiche e
politiche legate a differenti modalità di mobilità59. Nell’alveo
del dibattito post-strutturalista, postcoloniale e degli studi
di genere relativo al soggetto ‘non unitario’, Braidotti fa leva
sulle questioni della frammentazione, della complessità, della
molteplicità e sulla loro relativa ubiquità per interrogarsi, da
un lato, sulle condizioni politiche ed etiche che strutturano
la soggettività nomadica e le sue plurime forme di mobilità
e, dall’altro, sulle contraddizioni, le relazioni di potere ed i
paradossi della contemporaneità.
Allo stesso tempo, l’analisi di Chattopadhyay si articola
intorno al concetto di post-digitale, così come si è recente-
mente venuto configurando all’interno dei new media studies.
Già in discussione dai primi anni Novanta, dopo essere stato
coniato da Nicholas Negroponte, il termine “post-digital” ha
subito nel corso del dibattito teorico attorno alla sua artico-
lazione uno slittamento che emerge nella definizione che il
gruppo di lavoro accademico, assemblato nel 2013 dall’U-
niversità di Aarhus e dal festival Transmediale di Berlino, ne
ha dato60:

Il post-digitale, in passato inteso come una riflessione critica


sull’immaterialismo estetico “digitale”, ora descrive la condi-

59
R. Braidotti, Nomadic Theory: The Portable Rosi Braidotti, Columbia
University Press, New York, NY 2012. La teoria del soggetto nomade non è
per Braidotti una nuova metafora della condizione umana, quanto uno stru-
mento cartografico che svela la mappatura in senso materialistico di ciò che
è situato, nascosto e rappresentato nell’epoca dell’ibridità globale. Questa
cartografia è una lettura del presente con un fondamento teoretico e politico
strutturata in modo tale da fornire al pensiero critico una serie di strumenti
analitici e di esegesi della contemporaneità.
60
N. Negroponte, Being Digital, Alfred A. Knopf, New York, NY 1995.
54 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

zione confusa e paradossale dell’arte e dei media dopo le rivolu-


zioni della tecnologia digitale. Il “post-digitale” non riconosce
nè la distinzione tra media “nuovi” e “vecchi” nè l’affermazione
ideologica dell’uno o dell’altro termine. Esso unisce “nuovo”
e “vecchio”, applicando spesso la sperimentazione culturale
della rete alle tecnologie analogiche che re-investiga e ri-usa.
Esso tende a concentrarsi sull’esperienziale invece che sul con-
cettuale. Mira all’azione DIY al di fuori dell’ideologia totalitaria
dell’innovazione ed a mettere fuori rete il capitalismo dei big
data. Allo stesso tempo, esso è già stato commercializzato61.

Ciò che viene in evidenza immediata in queste righe, è che


il prefisso “post-”, che definisce la relazione con il dominio
del digitale, tende ad una riconfigurazione in senso critico de-
gli spazi epistemologici all’interno dei quali esso si muove62.
Da un piano puramente immateriale, la critica post-digitale
si è spostata verso l’analisi dei processi materiali culturali,

61
“Post-digital, once understood as a critical reflection of “digital” ae-
sthetic immaterialism, now describes the messy and paradoxical condition
of art and media after digital technology revolutions. “Post-digital” neither
recognizes the distinction between “old” and “new” media, nor ideologi-
cal affirmation of the one or the other. It merges “old” and “new”, often
applying network cultural experimentation to analog technologies which it
re-investigates and re-uses. It tends to focus on the experiential rather than
the conceptual. It looks for DIY agency outside totalitarian innovation ideo-
logy, and for networking off big data capitalism. At the same time, it already
has become commercialized”. C. U. Andersen, G. Cox & G. Papadopou-
los, Postdigital Research – Editorial, “Aprja”, vol. 3, n. 1, http://www.aprja.
net/?page_id=1327 (trad. it. mia), (ultimo accesso 30 settembre 2016).
62
Varrà la pena in questa sede citare l’avvertimento di Geoff Cox a pro-
posito dell’uso acritico del prefisso “post-” da parte di certe tendenze di pen-
siero della contemporaneità: “Yet despite the qualifications and examples,
there seems to be something strangely nostalgic about the term – bound to
older ‘posts’ that have announced the end of this and that. I am further (so-
mewhat nostalgically too perhaps) reminded of Frederic Jameson’s critique
of postmodernity, in which he identified the dangers of conceptualising the
present historically in an age that seems to have forgotten about history (in
The Cultural Logic of Late Capitalism, 1991). His claim was that the present
has been colonised by ‘pastness’ displacing ‘real’ history (20), or what we
might otherwise describe as neoliberalism’s effective domestification of the
transformative potential of historical materialism” (G. Cox, Prehistories of
the Post-digital: or, Some Old Problems with Post-anything, “Aprja”, vol. 3, n.
1, 2014, http://www.aprja.net/?p=1314, ultimo accesso 30 settembre 2016).
TRA SOUND ART E AMBIENTI D’ASCOLTO 55

politici, economici che coinvolgono le dinamiche del capita-


lismo coevo. Da un lato, essa descrive un approccio ai media
digitali che non guarda più ad innovazioni o miglioramenti
tecnici, ma considera la digitalizzazione come un fenomeno
già alle spalle. Dall’altro, il post-digitale implica una rilettura
dei processi e delle relazioni tra ‘nuove’ e ‘vecchie’ tecnolo-
gie in senso empirico ed infrange ogni tipo di barriera tra di
esse, preludendo ad una serie di possibili esiti post-mediali.
È all’interno dei territori ibridi dell’arte, e specificamente
del suono, che l’atteggiamento post-digitale trova un campo
di applicazione produttivo sia dal punto di vista teorico che
nelle pratiche, come fa notare Kim Cascone alla svolta del
nuovo millennio, in un celebre saggio sull’estetica dell’errore
nella computer music 63.
Al centro dell’analisi in questo scritto è il lavoro di ar-
tisti64 come Carsten Nicolai/Alva Noto, Ryoji Ikeda, Oval
o Christian Fennesz, talvolta non musicisti nel vero senso
della parola, ma esperti conoscitori di software musicali,
o provenienti dal campo delle arti visive, che coinvolge i
processi di errore, i bug, i crash di sistema delle macchine

63
Un caso interessante di pratica sonora post-digitale è quello di Ter-
re Thaemlitz, che ci tiene a distinguere tra cultura online e cultura digita-
le, ritenendo la prima pericolosamente contaminata dagli stereotipi e dalle
degenerazioni dei sistemi di distribuzione di contenuti digitali in rete. Con
“Soulnessless”, album nel 2012, Thaemlitz spinge la sua ricerca oltre i limiti
fisici del formato digitale, proponendo oltre 30 ore di musica per pianoforte
compresse fino a saturare la capienza massima del formato MP3, e cioè 4GB
ad un bitrate di 320kB/s. Si tratta di un album non esportabile “fisicamente”
in rete e non fruibile attraverso i lettori MP3, a causa degli attuali limiti tec-
nologici di riproduzione. Thaemlitz, a proposito di questo lavoro, scrive: “It
begs a more specific audience willing to participate in a form of digital media
consumption that differs from the online business models of late. It remains
explicitly digital without romantically conflating ‘offline’ with ‘analogue’”
(T. Thaemlitz, Collateral Damage: Terre Thaemlitz, “The Wire”, Issue 335,
2012, http://www.thewire.co.uk/in-writing/essays/collateral-damage_terre-
thaemlitz, (ultimo accesso 30 settembre 2016)).
64
Cfr. C. Nicolai aka Alva Noto, Transform, Mille Plateaux, 2000, [Music
CD]; R. Ikeda, +/-, Touch, 1996, [Music CD]; M. Popp aka Oval, 94diskont.,
Mille Plateaux, 1995. [Music CD]; C. Fennesz aka Fennesz, Hotel Paral.lel,
Mego, 1997, [Music CD].
56 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

digitali, adoperandoli come materiali vivi, come suoni da


incorporare all’interno delle proprie composizioni musicali.
Il loro lavoro, sottolinea Cascone, ci ricorda che il controllo
della tecnologia che pretendiamo di avere è un’illusione,
nella misura in cui gli strumenti digitali costruiti dall’uo-
mo sono perfetti, precisi ed efficienti, allo stesso modo in
cui lo sono gli esseri umani che li hanno creati: “il nostro
controllo della tecnologia è un’illusione che ci rivela come
gli strumenti digitali sono perfetti, precisi ed efficienti così
come gli umani che li hanno costruiti”65. In seno a quella
che inizia a configurarsi come una teoria del post-digitale, si
inserisce anche il contributo di Ian Andrews, che adopera il
termine come parte di una più ampia estetica che respinge
l’idea di un progresso digitale nei termini di una teleologia
della perfezione: “Questa traiettoria implica [...] un movi-
mento teleologico verso una rappresentazione ‘perfetta’. Si
tratta di un movimento tecnologico verso la ‘trasparenza’
e, allo stesso tempo, un movimento verso un’illusione più
potente”66.
Sia Kim Cascone che Ian Andrews individuano nel
“post-digitale” una via di contrapposizione rispetto alla
visione tecno-hegeliana o modernista della storia del di-
gitale, in cui essa si profila nei termini di un percorso di
progresso lineare. Una lettura critica rispetto ad un’epoca
in cui si cerca di identificare come “digitali” la maggior
quantità possibile di oggetti di consumo, secondo una lo-
gica che li definisce come parte di una tecnologia nuova

65
“Our control of technology is an illusion, and revealing digital tools to
be only as perfect, precise, and efficient as the humans who build them”. K.
Cascone, The Aesthetics of Failure: “Post-Digital” Tendencies in Contemporary
Computer Music, “Computer Music Journal”, vol. XXIV, n. 4, 2000, p. 9 (trad.
it. mia).
66
“This trajectory involves [...] a teleological movement toward ‘perfect’
representation. This is both a technological movement towards ‘transpa-
rency’ and, at the same time, a movement towards more powerful illusion”.
I. Andrews, Post-digital Aesthetics and the Return to Modernism, http://www.
ian-andrews.org/texts/postdig.html, 2000 (trad. it. mia), (ultimo accesso 30
settembre 2016).
TRA SOUND ART E AMBIENTI D’ASCOLTO 57

e superiore. In questo milieu concettuale, la nozione di


post-digitale emerge in opposizione rispetto alla prospet-
tiva lineare-hegeliana (come un’inevitabile progressio-
ne della storia culturale ed intellettuale), ridefinendo se
stessa nei termini di una riflessione critica sui mutamenti
culturali sottili, complessi, che hanno riflessi precisi sulla
(ri)configurazione dei rapporti di potere economico e po-
litico a livello planetario.
A partire da queste premesse, Chattopadhyay si chiede
quale sia la condizione dell’ascolto nell’epoca post-digitale
e in che modo possa essere declinato questo atto, in relazio-
ne ai mutamenti che esso ha subito nella contemporaneità
in cui siamo immersi, dal punto di vista percettivo, estetico,
geografico, politico.
È una riflessione che prende le mosse dal nomadismo
estensivo e sempre più crescente degli agenti in sintonia con
l’evocazione psicogeografica degli spazi fisici e dei luoghi
corporei nell’universo postglobale caratterizzato da un’in-
tensa, estrema mobilità. È evidente come questa condizione
individui una relazione problematica rispetto alla possibilità
dell’ascoltatore di rintracciare la fonte sonora ed apra, allo
stesso tempo, una serie di questioni relative ai processi attivati
dai fenomeni acustici che trascendono la mera comprensione
epistemica dell’identità della fonte, coinvolgendo i concetti di
soggettività, contemplazione poetica e stato d’animo del “no-
madic listener”.
Chattopadhyay sottolinea come – da un lato – si registra
l’inabilità (“failure”) delle tecnologie digitali ad identificare,
strutturare ed archiviare i suoni transitori e sfuggenti pro-
venienti da un universo di dati senza nome, senza luogo e
senza volto. I contenuti sonori – sotto forma di file o artefatti
digitalizzati – eludono il proprio carattere locativo, l’identità
spaziale, la struttura normativa (digitale, analogica o ibrida),
l’identità ontologica della fonte e l’oggettualità epistemica
basata sulla conoscenza. La natura fluida e mutante dell’uni-
verso di oggetti digitali e la loro diffusione li rendono difficili
da autenticare, preservare o archiviare, problematizzando,
58 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

nel flusso di contenuti sonori che essi veicolano, la loro og-


gettualità e restituendone la loro natura di elementi fuggevoli
piuttosto che di artefatti discreti67. Dall’altro lato, l’ambien-
te dei media contemporanei favorisce la separazione dei
suoni dai luoghi da cui essi provengono, facilitando il loro
movimento attraverso network (iper-)dispersi nei termini
di un flusso di dati in background68. Essi, privati dalla loro
specificità locativa, innescano un processo di mediazione
su più livelli attraverso la loro ricezione ed interpretazione
multipla al di fuori del tempo, dello spazio del contesto,
nella mente dell’ascoltatore, nelle situazioni d’ascolto più
disparate: una composizione digitale pubblicata da una
net label o un semplice streaming audio sul Web o ancora
all’interno di uno spazio aumentato di una installazione
interattiva. Scrive Chattopadhyay:

In un’opera d’arte interattiva, l’identificazione di un even-


to sonoro può essere intesa attraverso la sua interpretazione
soggettiva nei termini di una situazione uditiva aumentata. Il
discorso postdigitale si riferisce essenzialmente alla continua
transitorietà di queste situazioni uditive amorfe ma fertili sia
dal punto di vista spaziale che da quello temporale69.

67
Sull’“instabilità” degli oggetti digitali, si veda: J. Kallinikos, A. Aaltonen
& A. Marton, A Theory of Digital Objects, “First Monday”, vol. 15, n. 6, 2010,
http://firstmonday.org/ojs/index.php/fm/article/view/3033/2564, (ultimo
accesso 30 settembre 2016).
68
Sul concetto di “big data”, si veda: R. Helles & K. B. Jensen, Introduc-
tion to the Special Issue “Making Data: Big Data and Beyond”, “First Mon-
day”, vol. 18, n. 10, 2013, http://journals.uic.edu/ojs/index.php/fm/article/
view/4860/3748, (ultimo accesso 30 settembre 2016). Sui concetti di “data
abundance” e “data flood”: S. Lohr, The Age of Big Data, “The New York
Times”, 11 febbraio 2012, http://www.nytimes.com/2012/02/12/sunday-
review/big-datas-impact-in-the-world.html, (ultimo accesso 30 settembre
2016).
69
“In an interactive art piece, identification of a sound event can be
understood through its subjective interpretation as an augmented auditory
situation. The postdigital discourse essentially relates to the perpetual tran-
sience of these amorphous but fertile auditory situations spatially as well as
temporally”. B. Chattopadhyay, Object-disoriented Sound (trad. it. mia).
TRA SOUND ART E AMBIENTI D’ASCOLTO 59

In definitiva, nell’universo post-digitale ci muoviamo in


spazi deterritorializzati, fluidi, flessibili, costruiti sui nostri
ascolti e generati dallo sradicamento dei contenuti sonori
dalle fonti, nei quali le registrazioni sonore viaggiano in re-
ciproca interazione influenzandosi e permeandosi a vicenda.
In questo milieu, il nomadismo e la fluidità della condizione
dell’ascolto diventano elementi di indagine nelle pratiche di
artisti che sperimentano i processi di intersezione percettiva
ed affettiva legati alle dinamiche psico-geografiche del mo-
vimento negli spazi acustici. Lo stesso Budhaditya Chatto-
padhyay70, Anna Raimondo e Younes Baba-Ali71, Ximena
Alarcón72 hanno indagato attraverso i loro lavori sonori, in-
stallativi e performativi, le possibilità offerte dal post-digitale
in chiave di esplorazione “nomadica”, utilizzando il suono
come dispositivo critico per interrogare le modalità di ascol-
to e di movimento negli spazi acustici della contemporaneità.
In “Here. Now. Where?”, progetto sonoro itinerante cu-
rato da Anna Raimondo e Younes Baba-Ali durante la Bien-
nale di Marrakech del 2014, i due artisti realizzano all’in-
terno dei taxi delle installazioni sonore, divise per playlist
tematiche, costruite con il contributo di diversi sound artist
di disparata provenienza. I viaggiatori a bordo possono acce-
dere ad un vero e proprio menu sonoro, con la possibilità di
scegliere una traccia da ascoltare durante il percorso in auto.
Ispirata all’idea lefebvriana di “diritto alla città”, quest’ope-
ra indaga il concetto di delocalizzazione nel momento pre-
sente attraverso l’esperienza dell’ascolto negli spazi urbani.

70
Cfr. B. Chattopadhyay, Landscape In Metamorphoses, Gruenrekorder,
2007, [Music CD].
71
Cfr. A. Raimondo & Y. Baba-Ali, Ici. maintenant. où? here. now. where?
‫انه‬،‫نآلا‬،‫؟نيا‬, [video], 2014, http://vimeo.com/87989951, (ultimo accesso 30
settembre 2016).
72
Cfr. X. Alarcón, Networked Migrations: Listening to and Performing
the In-between Space, “Liminalities”, vol. 10, n. 1, 2014, http://liminalities.
net/10-1/networked-migrations.html, (ultimo accesso 30 settembre 2016).
Si veda anche: X. Alarcón, Migratory Dreams Telematic Sonic Performance,
[video], 2014, https://vimeo.com/79622556, (ultimo accesso 30 settembre
2016).
60 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

Focalizzandosi sui processi di creazione di domini sonori


costruiti sull’intersezioni di luoghi presenti nello stesso mo-
mento ma distanti nello spazio in maniera indefinita, “Here.
Now. Where?” analizza una serie di questioni relative alla
trasposizione ed alla traslazione di spazi immaginari e reali,
mettendo in discussione peraltro la nozione tradizionale di
paesaggio sonoro come “ambiente sonoro specifico”.
In due performance via internet, “Letters and Bridges”
(tra Leicester e Città del Messico), e “Migratory Dreams”
(tra Londra e Bogotá), Ximena Alarcón si concentra su come
il tema degli spazi “in-between”, secondo le teorie di Homi
K. Bhaba e Mariana Ortega, possa essere letto attraverso
il suono nel contesto delle migrazioni. A partire dalla pra-
tica del “deep listening” sviluppata da Pauline Oliveros73,
Alarcón sviluppa un progetto che prevede dei workshop
pre-performativi in cui i partecipanti vengono coinvolti in
diverse possibilità di viaggiare nel tempo e nello spazio e
possono discutere, attraverso la voce ed altri suoni, della loro
esperienza di migrazione. La condivisione di questi suoni at-
traverso Internet in tempo reale “apre” l’idea di territorio e
permette ai partecipanti di esprimere stati d’animo e pen-
sieri sui luoghi, sull’identità e l’appartenenza, creando delle
narrative sospese tra immaginario e realtà all’interno di uno
spazio libero da costrizioni geografiche e culturali.

4. Il suono come dispositivo critico: verso una politica ma-


terialista del suono

Ascoltare un luogo significa svelare molti elementi che ne


tracciano le storie, che ne definiscono le condizioni. Significa
recuperare il senso dei livelli in movimento che ne caratteriz-
zano le ecologie. Significa focalizzarsi sull’essenza collettiva,
spazio-temporale del suono che ci permette di apprendere,

73
P. Oliveros, Deep Listening: A Composer’s Sound Practice, iUniverse Bo-
oks, Bloomington, IN 2005.
TRA SOUND ART E AMBIENTI D’ASCOLTO 61

di comprendere le atmosfere dei luoghi dei quali siamo te-


stimoni, degli spazi che abitiamo e nei quali ci muoviamo.
Ascoltare attentamente, con cura, ci permette di incontrare
il suono come una modalità di conoscenza, come quella che
Anja Kanngieser definisce un’“acustemologia”, cioè la possi-
bilità di ridefinire in senso epistemologico la relazione con gli
spazi, con i territori, con le geografie politiche attraverso l’a-
scolto. Appressarsi ai luoghi, abitarli con un approccio acu-
stemologico significa considerare le qualità risonanti delle
atmosfere o degli ambienti secondo modalità che trascendo-
no la pura narrazione estetica o descrittiva, concentrandosi
sulle condizioni economiche e politiche dei paesaggi sonori,
attraverso un’estensione ed un’operazione di traslazione epi-
stemologica del concetto di acustemologia, così come intro-
dotto per la prima volta da Steve Feld. “L’acustemologia”,
scrive Feld, “[è il] potenziale della conoscenza acustica, del
suono come una condizione di e per la conoscenza, della
presenza sonica e dell’attenzione come potenti forze che de-
finiscono le modalità con cui le persone ricavano senso dalle
esperienze”74.
E ancora, più recentemente:

L’acustemologia unisce l’“acustica” e l’“epistemologia” per


teorizzare il suono come una modalità di conoscenza. Nel fare
ciò, essa indaga ciò che è conoscibile, come diviene conosciuto,
attraverso il suono e l’ascolto [...]. L’[a]custemologia coinvol-
ge l’acustica sul piano dell’udibile – akoustos – per indagare
il suono come elemento allo stesso tempo sociale e materiale,
come un nesso esperienziale della sensazione sonora. L’acuste-
mologia collega l’acustica all’epistemologia per investigare il
suono e l’ascolto come conoscenza in azione: un conoscere con
ed un conoscere attraverso l’udibile. L’acustemologia quindi
non invoca l’epistemologia nel senso formale di un’analisi delle

74
“Acoustemology, acousteme [is the] potential of acoustic knowing, of
sounding as a condition of and for knowing, of sonic presence and awareness
as potent shaping forces in how people make sense of experiences”. S. Feld,
Waterfalls of Song, in S. Feld & K. Basso (eds.), Senses of Place, School of
American Research Press, Santa Fe, NM 1996, pp. 97 (trad. it. mia).
62 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

proposizioni metafisiche o trascendentali che rivendicano una


“verità”. [...] Piuttosto, essa si riferisce alla relazionalità della
produzione di conoscenza...75

L’acustemologia si configura dunque come un approccio


che conferisce al suono la possibilità di incarnare un dispo-
sitivo empirico, attraverso l’immersione in una dimensione
acustica del luogo e dello spazio-tempo di cui si sta facendo
esperienza. Dall’intersezione di suono, spazio e luogo deri-
va una conoscenza che è acustica (“acoustic knowing”), che
si articola su processi di ascolto come azioni di conoscenza
(“knowing in action”) e che è direttamente legata ai flussi
materiali e relazionali del suono.
Rispetto alla definizione di Feld, ancorata ad una visio-
ne antropologica ed etnomusicologica che si alimenta di
linguaggi e visioni interne ai sound studies, Anja Kanngieser
propone un’estensione del concetto di acustemologia alla
sfera specificamente materiale dell’economia politica e della
geografia.
In questa accezione, la pratica dell’ascolto svela meccani-
smi, dinamiche, processi legati alla materialità politica, con-
siderata nel senso di un accesso differenziale e diseguale alle
risorse (lavoro, mobilità, educazione, salute) ed alle relazioni
sociali, che tendono ad essere esperite e riprodotte attraverso
i processi del capitale. Il suono si adatta perfettamente a que-
sta prospettiva di indagine e di comprensione delle modalità

75
“Acoustemology conjoins “acoustics” and “epistemology” to theorize
sound as a way of knowing. In doing so it inquires into what is knowable,
and how it becomes known, through sounding and listening. [...] [A]cou-
stemology engages acoustics at the plane of audible – akoustos – to inquire
into sounding as simultaneously social and material, an experiential nexus of
sonic sensation. Acoustemology joins acoustics to epistemology to investigate
sounding and listening as a knowing-in-action: a knowing-with and knowing-
through the audible. Acoustemology thus does not invoke epistemology in
the formal sense of an inquiry into metaphysical or trascendental assumptions
surrounding claims to “truth” [...]. Rather it engages the relationality of
knowledge production...”. S. Feld, Acoustemology, in D. Novak & M. Saka-
keeny (eds.), Keywords in Sound, Duke University Press, Durham, NC 2015,
pp. 12-21 (trad. it. mia).
TRA SOUND ART E AMBIENTI D’ASCOLTO 63

attraverso le quali il capitale si relaziona e viene percepito


non come ‘qualcosa’ che semplicemente esiste, ma come un
dispositivo assemblato o smontato da determinati processi e
condizioni. Il suono fa convergere possibili approcci semio-
tici ed affettivi in chiave geo-politica, suggerendo combina-
zioni e modalità per accostarsi alla complessità di questi pro-
cessi, per esperire “quelle atmosfere altamente contingenti e
contagiose di un luogo”, ed allo stesso tempo immergersi nei
sistemi infrastrutturali, discorsivi e materiali che lo rendono
potente strumento di scoperta ed analisi delle geografie poli-
tiche della contemporaneità76.
I costituenti acustici di un paesaggio, osserva Kanngieser,
sono prodotti di sistemi di valore articolati attraverso prati-
che di accumulazione messe in atto da logiche di espropria-
zione, ri-territorializzazione ed occupazione, che sono parte
dell’espansione del capitale.
Allo stesso tempo, la prospettiva acustemologica deno-
ta quanto la produzione e la ricezione del sapere, mediate
dall’ascolto, non siano mai elementi passivi, così come non
sono passive le tecnologie adoperate per registrare, editare,
riprodurre e disseminare il sapere stesso.
È interessante notare come un approccio di questo tipo
favorisca la sperimentazione di (ri)produzioni epistemologiche
che agiscono su diversi livelli e piani (Kanngieser le definisce
“polifoniche”), nel senso che, nell’ambito di un paesaggio
del suono che è sempre in movimento e sempre contestua-
le, esso prelude all’affinamento di una sensibilità sia verso le
attività interpretative e creative della produzione del sapere
che alla ricettività nei confronti delle risonanze e delle frattu-
re sulle quali ci si focalizza.

76
“[...] those highly contingent and contagious atmospheres of a place”.
A. Kanngieser, A Proposition Toward a Politics of Listening (Geographies and
Atmospheres), in R. Castro & M. Carvalhais (eds.), Invisible Places | Sounding
Cities. Sound, Urbanism and Sense of Place, Proceedings of the 2014 Invisible
Places | Sounding Cities Symposium, Jardins Efémeros, Viseu 2014, p. 463
(trad. it. mia).
64 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

In questo modo, è possibile operare su materiali densi


attraverso delle modalità che tengono insieme tendenze ge-
nerali, all’interno della dimensione complessa della contem-
poraneità, e specificità situazionali. L’ascolto acustemologico
è dunque una pratica basata su una serie di metodologie a cui
è necessario accostarsi nello stesso modo in cui avviene per
qualsiasi dispositivo empirico, considerando che esse sono ca-
ratterizzate da condizioni e limitazioni che richiedono un’in-
dagine continua ed aperta piuttosto che asserzioni definitive.
Se ci avviciniamo al suono come strumento, linguaggio
o dispositivo di conoscenza, diventa necessario riflettere su
una serie di questioni attorno alle quali si articola il nostro
sentire il mondo, il nostro abitarlo e produrre attraverso l’a-
scolto altri infiniti possibili mondi. Cosa significa ascoltare,
essere ascoltatore e produrre suono come conoscenza? In
che modo si possono dipanare i fili delle narrazioni acustiche
nelle quali siamo immersi, nel momento stesso in cui cerchia-
mo di tradurle? Come può essere (ri)conosciuto il momento
della registrazione per quello che rappresenta, in un contesto
di infinite registrazioni determinate dalle tecnologie di digi-
talizzazione, di interpretazione, di editing?
Si tratta di questioni che implicano una ridefinizione degli
spazi sonori, delle pratiche dell’ascolto, del soundscape della
contemporaneità in senso fluido, “nomadico” e critico e che
si intrecciano con la necessità di riconsiderare le potenzialità
del suono al di là di ogni framework statico e stereotipizzato,
inquadrandolo piuttosto come elemento che eccede la rap-
presentazione e la categorizzazione in cui è stato confinato,
per esempio, da alcune teorie ‘tradizionali’ dei sound studies
focalizzate sul paesaggio sonoro.
Kanngieser intende l’acustemologica come una sorta di
provocazione geofilosofica verso (ed un metodo per) il pen-
siero politico, che si sviluppa da una serie di esperienze che
riguardano le modalità di conoscere ed abitare il mondo, di
entrare in relazione critica con le discipline che vertono sul
suono, sulla politica del linguaggio e con l’ambiente fisico e
filosofico.
TRA SOUND ART E AMBIENTI D’ASCOLTO 65

È su questa premessa che si articolano le cinque


proposizioni sull’ineguaglianza, sull’impercettibilità, sulla
traduzione, sui commons e sul futuro, presentate nell’ambito
di un saggio che Kanngieser dedica al rapporto tra geopo-
litica ed Antropocene, nel quale questi cinque elementi di-
ventano gli ambienti critici all’interno ed a partire dai quali
il suono può esercitare la sua indagine77. L’obiettivo è quello
di sviluppare una lettura specifica del suono che lo posizioni
come un mezzo attraverso cui porre in discussione pratiche
e modelli egemonici e violenti di soggettivazione, prodotti
dalle condizioni di crisi ecologica ed economica. Da que-
sta proposizione, emerge un tentativo di strappare il suono
all’antropocentrismo rispetto al quale rimane vincolato nella
visione monodimensionale di tante analisi anzitutto musi-
cologiche all’interno dei sound studies, che non riescono a
riconoscere il “nesso vibrazionale” e l’agentività legata agli
‘incontri’ che trascendono la soglia dell’udito umano78.
Partendo dalla constatazione che il suono proviene dal-
la relazione delle cose, trasformandole e dislocando corpi e
materia in maniera spesso disordinata ed ineguale79, che esso
non esiste nel vuoto e che, come ha osservato Guattari, si
situa in una dinamica sempre politica, Kanngieser arguisce
come questa condizione non si limiti semplicemente ad una
politica umana80. Essa tende ad un’espansione dell’idea di
soggettivazione verso un approccio plurale, ed in questo sen-
so il suono può essere considerato come un ambiente genera-
tivo in cui viene prodotta conoscenza e che sostiene e forma
le strutture di potere in cui esso è coinvolto:

77
A. Kanngieser, Geopolitics and the Anthropocene: Five Propositions for
Sound, “GeoHumanities”, vol. 1, n. 1, 2015, pp. 1-6.
78
Di “vibrational nexus” parla Steve Goodman, a proposito della definizio-
ne di ecologia degli effetti vibrazionali. Cfr. S. Goodman, Sonic Warfare: Sound,
Affect, and the Ecology of Fear, MIT Press, Cambridge, MA 2009, p. 28.
79
Il richiamo qui è proprio alla “Sonic Warfare” di cui parla Steve Go-
odman (S. Goodman, Sonic Warfare).
80
F. Guattari, La rivoluzione molecolare, tr. B. Bellotto, A. Pullberg Rocchi
& A. Salsano, Einaudi, Torino 1978.
66 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

Il suono può aiutare a differenziare l’indiscriminata univer-


salità – e quindi l’apparente immodificabilità – che l’Antro-
pocene crea. Esaminando gli effetti del “genere umano” sulla
vita geofisica, è fondamentale non sorvolare sul possesso as-
solutamente asimmetrico dei mezzi economici-tecnologici per
l’estrazione e l’accumulazione delle risorse. L’Antropocene è
costruito sullo sfruttamento, sul colonialismo, sulla schiavitù
e sul genocidio e qualsiasi pretesa di un’umanità equamente
“responsabile” tende a mettere sotto controllo queste brutalità
strutturali81.

Appressarsi attraverso la pratica dell’ascolto ai territori,


agli spazi, agli ambienti prelude alla possibilità di ‘sentire’ i
processi liberali di esclusione negli spazi urbani, periurbani
e rurali. In questo senso, il suono svela la propria potenza
epistemologica in senso postcoloniale, portando in emersio-
ne le dinamiche asimmetriche di possesso ed accumulazio-
ne, di esclusione e marginalizzazione costruite dal sistema
capitalista.
Dall’altro canto, se come ha suggerito Franco ‘Bifo’ Berardi
le pratiche di attivismo risultano in qualche modo informate,
quasi ciecamente, ai concetti di mobilizzazione ed attività,
emerge la necessità di individuare modalità alternative, più
riflessive e caute, per esercitarlo, che si fondino su processi
graduali e meno visibili82. Da questo punto di vista, il suono,
con la sua temporalità ‘altra’ – esprimibile nei termini di un
tempo profondo o atemporale – genera la possibilità di ipo-
tizzare ecologie differenti, necessarie per approssimarsi poli-

81
“Sound can help to differentiate the sweeping universality – and hen-
ce the seeming unchangeability – that the Anthropocene poses. In positing
the effects of “humankind” on geophysical life, it is imperative not to gloss
over the very asymmetrical possession of economic-technological means for
resource extraction and accumulation. The Anthropocene is predicated on
exploitation, colonialism, slavery, and genocide, and any claim to an equitably
“responsible” humanity subjugates these structural brutalities”. A. Kanngie-
ser, Geopolitics, p. 2 (trad. it. mia).
82
F. Berardi (aka Bifo), Dopo il futuro. Dal futurismo al cyberpunk. L’esau-
rimento della modernità, DeriveApprodi, Roma 2013.
TRA SOUND ART E AMBIENTI D’ASCOLTO 67

ticamente a forme di vita e materia che non appartengono al


dominio dell’umano.
Ma il suono è un elemento contestato nella sua traduzio-
ne, nella sua interpretazione, nel modo in cui esso ‘media’
attraverso l’oralità, la scrittura ed altre forme di linguaggio.
Si tratta di una forma di scetticismo necessaria a mettere in
discussione le pratiche assertive che regolano la configura-
zione del sapere e le modalità in cui esso dovrebbe essere
prodotto. Richiamandosi a Solomon e Sakai83, che arguisco-
no come la traduzione si esprima come un processo violento
sia per l’incapacità di esprimere la risonanza esatta dell’ar-
ticolazione, sia per la reiterazione di gerarchie istituziona-
lizzate, Kanngieser fa notare come questo scetticismo, lungi
dal manifestarsi come un elemento controverso o dismissivo,
contenga in sè la consapevolezza della fondazione ‘mediata’
della traduzione stessa.
In questo processo di indagine che investe la produzione
della conoscenza e le sue forme di legittimazione il suono,
nella duplice forma dell’ascoltare e del sentire, diventa una
pratica ineludibile: ascoltare ‘altre’ articolazioni prelude alla
possibilità di portare alla luce le entità, i flussi materiali, i
processi ed i sistemi che sono costitutivi gli uni degli altri.
È un ascolto dal quale può emergere l’irreconciliabilità o la
contrapposizione frontale di queste articolazioni, e tuttavia
attraverso la sua pratica vengono in evidenza quelle dinami-
che di scontro che non richiedono equivalenza od omoge-
neità e che aprono spazi di riflessione sulla violenza e sulle
limitazioni che insistono sulla soglia della traduzione.
Dall’altra parte, il suono possiede una dimensione affet-
tiva che si rivela nelle dinamiche di scambio, manifestandosi
secondo particolari tipi di intensità: all’interno di (ed attra-
verso) spazi ed infrastrutture, esso genera atmosfere affettive
per il tramite delle sue proprietà vibrazionali, di ampiezza,

83
J. Solomon & N. Sakai, Translation, Violence, and the Heterolingual In-
timacy, 2007, http://eipcp.net/transversal/1107/solomon/en, (ultimo accesso
30 settembre 2016).
68 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

di frequenza, tonalità, armonie e disarmonie84. In questa po-


lifonia, il suono diventa strumento per approssimarsi a spazi
sociali, di condivisione ed interazione, in cui prevale la con-
vergenza dei desideri rispetto alle differenze o alle metodo-
logie radicali85, e nei quali tuttavia si sviluppino strategie di
rifiuto rispetto alle forme di lavoro predicate dalla logica del
capitale (“nonhuman labors, the work of women, colonized
peoples, those characterized as marginal or disposable”)86.
È questa la ragione per cui, secondo Kanngieser, una delle
modalità di accostarsi ai commons, nella cui etica c’è spazio
per la non-affermazione, per il cambiamento di temporalità,
per l’aumento e la diminuzione del desiderio, può realizzarsi
proprio attraverso la sensibilità polifonica del suono87.
La pratica di un ascolto “profondo”, nel senso invoca-
to da Kanngieser e già arguito da Pauline Oliveros, aiuta a
mantenere, rispetto all’articolazione delle dinamiche econo-
miche, sociali e politiche che emergono dall’accelerazione
delle spinte degenerative del capitalismo su scala planetaria,
una trasversalità che si oppone ad ogni possibile caduta nel
didascalismo ideologico o nell’universalizzazione.
84
M. Gallagher, Listening, Meaning and Power, in C. Lane & A. Carlyle
(eds.), On Listening, Uniformbooks, Axminster 2013, pp. 41-44.
85
Nella visione di Guattari, mentre i precedenti movimenti rivoluzionari
si sono concentrati sulla messa in atto di cambiamenti politici concernenti
la forma dello stato-nazione, è necessario che da un lato la natura condivisa
dell’ambiente in cui viviamo, dall’altro il nostro impatto collettivo sulle mo-
dalità di cambiamento climatico antropogenico, rivelino i commons dai quali
siamo – in ultima analisi – dipendenti. Di conseguenza, la posizione ecosofica
invocata da Guattari è quella della resistenza globale rispetto al capitalismo
mondiale integrato, che è una nozione molto vicina a quella già teorizzata da
Hardt e Negri in Impero e che è per certi versi contigua anche alle teorie di
Manuel Castells sull’avvento della società di rete e all’analisi del capitalismo
postmoderno di Fredric Jameson. Si vedano rispettivamente: F. Guattari, Le
tre ecologie, tr. R. D’Este, Sonda, Casale Monferrato 2013; M. Hardt & A.
Negri, Empire, Harvard University Press, Cambridge, MA 2001; M. Castells,
The Rise of the Network Society, The Information Age: Economy, Society and
Culture Vol. I, Blackwell, Malden/Oxford 2009; F. Jameson, Postmodernism,
or, The Cultural Logic of Late Capitalism, Duke University Press, Durham
1991.
86
A. Kanngieser, Geopolitics, p. 4.
87
Ibidem.
TRA SOUND ART E AMBIENTI D’ASCOLTO 69

Attraverso il suono, si possono esplorare così le relazioni


politiche tra il piano materiale e quello ideologico, secondo
modalità che non le riducono allo stesso piano, portandole a
collidere e contribuendo ad aprire altri spazi presenti e futuri
di negoziazione umana e post-umana.
Rivelandosi come dispositivo, ma anche come linguaggio
e metodo, il suono, con la complessità dei livelli tempora-
li che attiva, sconfinando negli spazi aumentati dell’ascolto
non-cocleare, producendo infiniti mondi possibili nei quali
ridefinire il sè e l’altro, consente di attraversare criticamente
i territori ibridi della contemporaneità, rendendo ascoltabili
e ‘visibili’ le nuove geografie in emersione nell’epoca postdi-
gitale della mobilità e della postglobalità.
Se è vero che il suono è una vibrazione che, percepita,
si fa conoscenza attraverso la sua materialità, è grazie alle
sue infinite risonanze di pensiero che diventa possibile dare
forma a queste geografie, proposte alla pratica dell’ascolto
in tutta la complessità e la frammentarietà con cui esse si
rivelano.
Scandagliate nella loro dimensione invisibile, esse lascia-
no affiorare una serie di tensioni politiche, culturali, econo-
miche che si palesano attraverso le possibilità del suono di
conoscere ed abitare il mondo, di relazionarsi con la politica
del linguaggio e con ambienti disparati e complessi.
In questo senso, il suono stesso offre un punto di ascol-
to attraverso il quale prendere posizione per ascoltare e
sentire, per orientarsi e costruire percorsi nella congerie
di terreni in movimento che definiscono gli scenari della
contemporaneità.
Capitolo secondo
The Third Soundscape: i luoghi abbandonati
del suono

1. Mappe sonore: cartografie critiche dell’ascolto

Le mappe funzionano, prima di tutto, come dispositivi


di astrazione. Riflettere su questo aspetto, con riferimento
specifico alle cartografie che proliferano in rete, è esercizio
necessario per comprendere come lo ‘sguardo’ dall’alto su
cui esse sono basate sottenda una serie di meccanismi politici
e culturali invisibili in superficie. Non più e non semplice-
mente watching machine, esse si rivelano in prospettiva criti-
ca come war machine e, paradossalmente, il peso specifico di
questo sguardo è rappresentato dal fatto che esso ‘oscura’ la
dimensione verticale delle città1.
Quando però la struttura di una mappa in rete viene ri-
configurata per tracciare una geografia sonora, può accade-
re che l’astrazione apparentemente intrinseca allo sguardo
dall’alto possa essere interrotta, almeno in parte. È un pro-
cesso di materializzazione, di embodiement mediale descritto
da Angus Carlyle nei termini di una trasformazione dall’in-
visibile all’udibile, collegata alla potenzialità cartografica del

1
Come ha fatto notare Angus Carlyle, a margine di una riflessione sul-
la lettura e sull’ascolto delle mappe sonore presenti in rete. Cfr. A. Carlyle,
The God’s Eye and the Buffalo’s Breath: Seeing and Hearing Web-Based Sound
Maps, in R. Castro & M. Carvalhais (eds.), Invisible Places | Sounding Cities.
Sound, Urbanism and Sense of Place, Proceedings of the 2014 Invisible Places |
Sounding Cities Symposium, Jardins Efémeros, Viseu, pp. 141-152.
72 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

suono, che lo sottrae a qualsiasi tracciabilità di tipo visuale,


come accade nella declinazione dell’elevazione rispetto alla
dimensione della verticalità.
Guardare i luoghi dall’alto, secondo la prospettiva delle
mappe digitali, implica una sorta di deviazione ottica che,
proprio in ragione dei parametri che ne definiscono l’os-
servazione, e cioè l’altitudine, l’altezza e l’asse verticale, fi-
nisce per distogliere paradossalmente il nostro sguardo da
qualsiasi elemento che si elevi sulla superficie terrestre o che
sia posizionato al di sotto di essa. Fuor di metafora, la vista
dall’alto priva lo sguardo della propria altezza. Parafrasando
Lefebvre, accentuare la verticalità significa produrre omoge-
neità, nella misura in cui se un edificio è costruito insistendo
sulla dimensione ascendente, si tende a perdere la consape-
volezza delle caratteristiche del territorio alla sua base2.
La verticalità non rappresenta soltanto la dimensione spa-
ziale attraverso la quale la tecnocrazia definisce i termini di
negoziazione territoriale dei luoghi da attraversare o abitare.
Essa esprime lo spazio in cui emergono storie nascoste alla
narrazione delle mappe digitali ed ambientate nelle profon-
dità recondite delle città, nei tracciati sotterranei disegnati
dai sistemi di trasporto, nelle cave abbandonate sulle rive dei
fiumi, negli edifici disabitati o demoliti, nei depositi, nelle
discariche, nei bunker governativi, nelle città sotterranee e
nascoste alla vista della superficie terrestre.
Le mappe sonore possono mettere in discussione la
verticalità senza peso di questo sguardo, spezzandone la
continuità lineare attraverso la dimensione perpendicolare
dell’orizzonte sonoro, privo di confini visuali e dotato di
una corporeità che si fa voce, rumore, spazio acustico denso
ed intenso. Così, il suono si infiltra all’interno delle mappe,
alterando questo sguardo, interrogandone le certezze e le
pretese di onnipotenza, istantaneità, de-materializzazione ed

2
“La verticalità, l’indipendenza dei volumi rispetto al suolo e alle sue ca-
ratteristiche, sono state letteralmente prodotte” (H. Lefebvre, La produzione
dello spazio, tr. Mirella Galletti, Moizzi, Milano 1976, p. 324).
THE THIRD SOUNDSCAPE: I LUOGHI ABBANDONATI DEL SUONO 73

introducendo, all’interno dello spazio digitale, la possibilità


di una narrazione altra3.
Alcune pratiche sonore ‘ambientali’, pur basando la loro
dimensione nella verticalità o nella scala di una mappa, focaliz-
zando il proprio raggio d’azione sulla vastità degli spazi metro-
politani o extraurbani che insistono sopra o sotto il livello della
superficie terrestre, preludono all’esperienza di spazi sonori
inusitati ed accessibili attraverso i segnaposto di una cartografia
in rete. Luoghi abbandonati o residuali rispetto alle pratiche di
pianificazione ed occupazione territoriale delle città capitalisti-
che contemporanee, si è detto, ma anche spazi invisibili in di-
stese sconfinate, come il deserto di Atacama in Cile, così come
narrato dall’indagine acustica di Fernando Godoy.
Atacama: 22º 54’ 24” S, 68º 12’ 25” W è una mappa so-
nora presentata in forma di installazione, in cui converge
l’esperienza dell’autore, condivisa con Peter Kutin, che rac-
conta un viaggio sonoro all’interno della regione più arida
del globo terrestre, effettuato con un sistema di registrazione
sincronizzato e multicanale adoperato per individuare diffe-
renti livelli dell’esperienza acustica vissuta4.
Registrazioni ottenute allargando lo spettro dell’indagine
dalla pura verticalità dei suoni propagati nell’aria a quelli im-
magazzinati direttamente a contatto con la materia (dune di
sabbia, cristalli di sale, acqua e superfici varie), ma anche alle
liste di dati ottenuti ed analizzati (GPS, temperatura e umi-
dità) o catturati in diversi intervalli di frequenza nell’intorno
dello spettro uditivo (per esempio le onde radio).
Il suono diventa così un dispositivo analitico in grado di
attraversare i luoghi abbandonati nel deserto: città fantasma,
cimiteri sepolti, miniere in disuso, edifici e campi vuoti. Ro-

3
Una visione definita da Simon Sadler come mediata da un “omnipotent,
instantaneous, disembodied, all-possessing eye” (S. Sadler, The Situationist
City, MIT Press, Cambridge, MA 1999, p. 25).
4
Presentata per la prima volta a Toronto, in occasione dell’edizione 2014
del festival New Adventures in Sound Art. Documentazione disponibile su: F.
Godoy, Atacama: 22º 54’ 24” S, 68º 12’ 25” W, http://www.00000000.info/
atacama.html, (ultimo accesso 30 settembre 2016).
74 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

vine sparse, in corrispondenza dei complessi industriali attivi


un tempo nei pressi delle miniere di rame e nitrato. Luoghi
che oggi sono relitti, in erosione o sul punto di scomparire,
in assenza di ogni influenza umana attiva. I suoni raccolti da
Godoy e Kutin raccontano, all’interno di questo processo di
declino e dissolvimento, di oggetti che vibrano e riecheggia-
no con una chiara presenza acustica. Frammenti acustici che
riflettono una materia in disfacimento, bruciata dal sole ed
erosa dal vento, che si svela come un miraggio nelle distese
salate liquefatte dal calore o che emerge frantumata ad oltre
quattromila metri di quota nelle fenditure degli altipiani, che
si inabissa nella risacca dell’oceano o che risuona spazzata
dal vento vorticoso delle dune.
Suoni catturati nei perimetri dei telescopi progettati ed
installati nel deserto per guardare e documentare il passato
e per raccogliere dati, attraverso i processi di data mining,
intorno a fonti luminose che non esistono ancora. Macchine
e strutture che un giorno cesseranno di essere funzionali a
queste indagini e che diventeranno, a loro volta, relitti e ro-
vine del passato.
Orizzonti che richiamano da vicino l’esperienza acustica
del deserto narrata da Trevor Cox, descritta con metafore
musicali nelle pagine in cui si racconta del canto delle dune,
nel corso di un viaggio nel Mojave, in California.

Nel caso delle dune musicali il vento ha un ruolo importante,


perchè funge da setaccio. [..] I venti dominanti, provenienti da
ovest, raccolgono la sabbia dalla dolina che ingoia le acque del
fiume Mojave, all’uscita dell’Afton Canyon. L’aria forma muli-
nelli che depositano la sabbia in cima alla duna di Kelso, alta
180 metri. La sabbia è formata principalmente da granelli, per
lo più frammenti di quarzo e particelle più piccole di sabbia
fine. [...] Il suono simile a un rigurgito è dovuto alla forma ar-
rotondata e all’omogeneità dei granelli di sabbia5.

5
T. Cox, Pianeta acustico. Viaggio fra le meraviglie sonore del mondo, tr. A.
Migliori, Dedalo, Bari 2015, p. 209.
THE THIRD SOUNDSCAPE: I LUOGHI ABBANDONATI DEL SUONO 75

Seppur declinata attraverso una prospettiva schaferiana


in cui il paesaggio sonoro viene rappresentato nei termini
di meraviglia ed armoniosità orchestrale, questa narrazione
restituisce il senso della desolazione, del vuoto e dell’immo-
bilità che abita le distese desertiche di cui fanno esperienza
anche le registrazioni di Godoy e Kutin6.
È quella che si potrebbe definire poetica acustica del
deserto, che trova echi anche nel linguaggio verbale che
descrive certi luoghi dell’Atacama, come racconta Charles
Darwin nei suoi diari di viaggio cileni a proposito di El Bra-
mador, toponimo di una collina che fa riferimento a colui
“che ruggisce” / “che muggisce”7.
I suoni di Atacama sono frammenti di un discorso poetico
della sospensione in cui i quattro elementi – aria, terra, acqua
e fuoco – sembrano trasmutare gli uni negli altri, in deriva
verso un supremo ed inquieto silenzio.
Percorrere questo spazio infinito e dimenticato attra-
verso il suono, significa fare esperienza dell’assenza e della
perdita, delle loro risonanze, del ritirarsi dell’orizzonte spa-
ziale che lascia emergere un’altra temporalità, in cui la stessa
presenza fisica si annulla in un senso di smisurata distan-
za. Tutto ciò acuisce la relazione immersiva con il suono, a
spese della spazialità e della prospettiva della distanza fisica
in cui la connessione fenomenologica del sé e del mondo è
fondata.
Il deserto diventa così il territorio del ricordo, generato
dal silenzio e dall’assenza, dalla possibilità di sperimentare
un senso del luogo che non si esprime solo attraverso la
presenza fisica, ma che richiede la ricognizione e l’accetta-
zione dei suoi aspetti ‘spettrali’8, che affiorano attraverso
6
T. Cox, Pianeta acustico, p. 185: “Quando la duna rimbomba nel modo
giusto, migliaia di granelli di sabbia cantano in coro, coordinandosi su un
tratto di duna di molti metri”.
7
C. Darwin, Voyage of the Beagle, Digireads, Overland Parks, KS 2007,
p. 224.
8
Sulla ‘spettralità’ dei paesaggi sonori, si veda: I. Foreman, Spectral Sound-
scapes: Exploring Spaces of Remembrance through Sound, “Interference”, Issue
4, 2014, http://www.interferencejournal.com/articles/sound-methods/spec-
76 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

l’intangibilità e l’ambiguità del suono, come ricorda David


Toop9.
Se l’esperienza dell’ascolto è intrinsecamente legata alla
perdita ed all’assenza, i suoi ‘referenti’ riemergono continua-
mente attraverso di essa, come in un fiume carsico, costrin-
gendoci a riconsiderare in maniera inattesa e dis-topica il
senso del presente.
Atacama è lo spazio dell’evocazione, del ricordo, del sen-
so lancinante di perdita delle madri e delle donne che hanno
speso qui anni alla ricerca dei resti dei loro cari, di frammenti
di ossa, di parti di corpi e di effetti personali seppelliti dal-
lo sterminio della dittatura cilena. Nelle stesse aree in cui la
scienza ha trovato le condizioni più favorevoli del globo per
illuminarsi della luce di un universo più giovane e nelle quali
si indagano fenomeni cosmici databili miliardi di anni fa, i
segreti di corpi e torture custoditi dalla terra da quarant’anni
restano inaccessibili ed inabissano questi paesaggi in un pa-
nico, interminabile silenzio10.
Questi suoni ci riportano all’inquietudine, al senso della
rovina, della perdita, al silenzio che permea quei luoghi. Ci
invitano, adottando una prospettiva acustemologica, a ripen-
sare lo spazio-tempo da cui queste registrazioni sono estra-
polate, rendendolo problematico ed aperto e ci forniscono
un ulteriore linguaggio critico per registrare ed accogliere la
complessità con cui ridisegnare le traiettorie della storia e
dare voce a narrazioni altre, dimenticate, sepolte nelle sabbie
di un deserto.

tral-soundscapes-exploring-spaces-of-remembrance-through-sound, (ultimo
accesso 30 settembre 2016).
9
“[Il suono è] una presenza spettrale, un fantasma la cui collocazione nello
spazio è ambigua e la cui esistenza nel tempo è transitoria”. (“[Sound is] a
haunting, a ghost, a presence whose location in space is ambiguous and whose
existence in time is transitory”.) D. Toop, Sinister Resonance: The Mediumship
of the Listener, Continuum, London/New York 2010, p. XV (trad. it. mia).
10
“Science fell in love with Chile’s skies”, come racconta il regista Patricio
Guzmán nel suo Nostalgia for the Light (2010), documentario che rilegge in
parallelo le vicende degli osservatori astronomici presenti nell’area di Ataca-
ma e le storie di dolore delle donne cilene, alla ricerca di tracce dei corpi dei
propri cari, uccisi dalla dittatura, negli spazi sconfinati del deserto.
THE THIRD SOUNDSCAPE: I LUOGHI ABBANDONATI DEL SUONO 77

Attraverso la dimensione dell’ascolto, il deserto rivela la


sua potenzialità di spazio performativo che tocca i linguaggi
analitici e che, per il tramite della narrazione di una carto-
grafia sonora, innesca un processo critico che mette in di-
scussione le mappe epistemologiche del sapere, aprendo la
possibilità di rinegoziare i significati del linguaggio stesso.
Così declinate, le cartografie sonore si trasformano in di-
spositivi attraverso i quali è possibile ricalibrare la nozione
stessa di mappatura in senso materiale, includendo nel pro-
prio dominio d’indagine le dinamiche generate dai cambia-
menti climatici, dagli squilibri ecologici, dalle estinzioni, dallo
sfruttamento indiscriminato delle risorse, dall’inquinamento e
dalle relazioni economiche e politiche. Si tratta di rileggere le
mappe sonore in senso onto-cartografico, secondo l’approccio
definito da Levi R. Bryant, che reclama il peso delle agentività
materiali nella produzione dei processi di mappatura11.
Nella loro potenzialità di svelare le interazioni dinamiche
tra umano e non umano, tra organico e inorganico, sottraen-
dosi alle distorsioni, alle distopie ed alle diffrazioni del punto
di vista dall’alto, le pratiche ‘ambientali’ legate al suono sono
certamente orientate ad un approccio di questo tipo.
La mappa sonora in rete è una delle possibili agency che
rendono possibili riportare a terra e ricondurre nel dominio
del ‘sentire’ le forze invisibili della città, ma le pratiche di
ascolto ci offrono innumerevoli tipologie di interventi ‘tat-
tici’ che, attraverso il contatto affettivo e materiale con il
suono, rendono tangibili questi processi. Angus Carlyle ne
formula un elenco significativo quando, nel descrivere una
serie di azioni di embodiement acustico, traccia una sorta di
catalogo sensoriale in cui emergono la forza magnetica, l’in-
tensità vibrazionale e la densità fisica dell’interazione con i
corpi sonori:

11
L. R. Bryant, Onto-Cartography: An Ontology of Machines and Media,
Edinburgh University Press, Edinburgh 2014, p. 253: “We can’t fully under-
stand why social ecologies take the form they do without taking into account
the role played by non-human agencies in constructing these assemblages”.
78 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

Passeggiate sonore performative con o senza palloncini che


scoppiano, una voce che canta o una voce ambientale. L’ascol-
to dialogico spronato dagli imperativi degli intenti attivisti o
dal desiderio di triangolare le modalità sonore per conoscere
un luogo. La sollecitudine affettiva verso ciò che accade tra le
finestre ed i muri, verso le facciate delle architetture, la sensi-
bilità acuita verso i flussi magnetici, verso le vibrazioni interne
della materia, verso i cambiamenti nel calore, nell’umidità e nel
vento, verso il frastuono della cicala o il respiro del bisonte,
verso ciò che è pericoloso (comunque visivamente innocuo) ed
il precario (qualsiasi sia il linguaggio che parli)12.

Il punto focale di questa analisi è che, a partire da cer-


te pratiche di ascolto e dalla stratificazione nel tempo delle
esperienze sonore del mondo, sia possibile costruire processi
collettivi di contro-mappatura che rendano udibile ciò che è
complicato inquadrare nel dominio del visibile.
In senso specifico, le mappe sonore, in particolare quel-
le strutturate in maniera collaborativa o crowd-sourced,
innescano una tensione tra ciò che è soggettivo e fram-
mentario ed ogni tipo di ontologia del sapere, operando
un taglio epistemologico rispetto alle pretese di oggettivi-
tà e di onnicomprensività su cui sono costruite le mappe
digitali in rete.
L’approccio collaborativo delle mappe sonore si contrap-
pone alle forme storiche di soundscape composition, in cui la
visione del paesaggio sonoro espressa da un singolo artista/
compositore diventa il focus centrale dell’opera, che può
essere fruita, come accade nella situazione di un concerto,
in modo passivo senza necessariamente coinvolgere parteci-

12
“Performative sound-walking with or without popping balloons, a sin-
ging voice or an ambient voice. Dialogic listening spurred by the imperatives
of activist intent or by the desire to triangulate the sonic ways of knowing pla-
ce. Affective attentiveness to what goes on behind the windows and walls, to
the domestic beyond the architectural façade; intensified sensitivity to magne-
tic fluxes, to the internal vibrancy of matter, to shifts in heat, in wetness and
wind, to the racket of the cicada and the buffalo’s breath, to the dangerous
(however visibly innocuous) and to the precarious (in whatever the language
it speaks)”. A. Carlyle, The God’s Eye, p. 150 (trad. it. mia).
THE THIRD SOUNDSCAPE: I LUOGHI ABBANDONATI DEL SUONO 79

panti ed audience in un dialogo critico o attivamente all’in-


terno dell’ambiente sonoro.
La dimensione ‘condivisa’ delle mappe sonore, sia che
trovi espressione nell’interazione in rete, sia che venga de-
clinata attraverso lo scambio diretto con artisti, designer o
altre figure che contribuiscono a soundwalk, sessioni di regi-
strazione collettive o opere partecipative, rappresenta la base
sulla quale costruire l’integrazione delle mappature acusti-
che all’interno dell’esperienza non solo degli spazi cittadini,
ma anche di quelli pubblici extraurbani, che si protendono
verso l’esterno e verso il remoto.
Nate come pratiche di rilettura critica ed aperta degli
spazi urbani, le cartografie sonore allargano sempre più lo
sguardo dal verticale all’orizzontale, dagli spazi urbani visibi-
li a quelli invisibili, estendendo progressivamente il proprio
dominio anche agli spazi vuoti, ai punti remoti, ai deserti13.
Dilatare il paesaggio sonoro per mapparlo significa estender-
ne in orizzontale i confini fino a renderli invisibili, trascen-
dendo le frontiere della città per esperire storie invisibili alla
logica dello sguardo verticale. Se si allarga l’orizzonte sonoro
all’immensità degli spazi di un intero continente, estenden-
done il campo d’ascolto fino ad includere aree urbane e
luoghi abbandonati, distese desertiche e dorsali montuose, il
panorama si apre ad universi e narrazioni nascoste, alle quali
il suono dà voce in maniera imprevedibile ed inattesa.
È quello che accade nel progetto AudioMapa.org, iniziato
nel 2012 da Fernando Godoy in collaborazione con il festival
Tsonami Arte Sonoro e che raccoglie il contributo di oltre
venti artisti e studiosi, impegnati a costruire una cartografia
sonora collaborativa dell’intero continente latinoamerica-
no14. Dalle foreste di Antioquia alle acque dell’isola di Juan

13
Tra le analisi delle pratiche di mapping sonoro in relazione agli spazi
urbani, andrà qui citato almeno: G. Ouzounian, Acoustic Mapping: Notes
from the Interface, in M. Gandy & B.J. Nilsen (eds.), The Acoustic City, Jovis,
Berlin 2014, pp. 164-173.
14
Il progetto è presentato sul sito: http://audiomapa.org/, (ultimo accesso
30 settembre 2016). Lo statement del progetto è così espresso dal fondatore
80 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

Fernández, dalle voci infantili di Pisagua alle marce musicali


di Bahía Blanca, dai rituali religiosi di Hanga Roa nell’Isola
di Pasqua alle radure dell’Amazzonia brasiliana, i frammenti
di questa mappa raccontano di come la negoziazione degli
spazi pubblici e privati in ecosistemi così complessi e a latitu-
dini sideralmente distanti possa essere indagata criticamente
attraverso la relazione che si genera tra suoni e rumori all’in-
terno dei soundscape performati e poi ‘rimediati’ per mezzo
del metalivello cartografico.
È un approccio che esclude qualsiasi idea di omogeneità
o coesione del paesaggio sonoro, inteso come contesto
svincolato dalla lettura critica di un territorio. Il concept stes-
so del progetto AudioMapa.org, orientato ad indagare livelli
differenti al di là dello strato superficiale di un ascolto privo
di profondità temporale e critica, delinea modalità di appres-
sarsi al soundscape in cui emergono le fratture, le gerarchie,
le divisioni che i suoni individuano nell’intorno dello spazio
acustico. Così, al di sotto della superficie della mappa prende
corpo la narrazione del disastro ecologico delle regioni cilene
settentrionali, in conflitto per l’accesso alle risorse idriche, o
quella della sottrazione dei bacini d’acqua legata alla costru-
zione dell’enorme diga HydroAysen in Patagonia, o ancora il
racconto del retrocedere inesorabile dei ghiacciai nella regio-
ne di Magallanes in seguito all’alterazione climatica su scala
globale.
Pur privati della possibilità dell’incontro ‘corporeo’ me-
diato fisicamente dall’ascolto nel suo ambiente originale,
questi suoni, rimediati attraverso il metalivello territoriale
della cartografia digitale, mettono in questione la visione ur-
banocentrica, verticale, coesiva del paesaggio sonoro, apren-

Fernando Godoy: “El objetivo de la plataforma es la exploración del medio-


ambiente acústico sin limitaciones a un campo reducido de la experiencia
dentro del trabajo de campo. La experiencia busca ser útil a propósitos que
involucren la investigación del sonido ambiental, la conservación inmaterial
y el registro social/documental o la investigación artística” (F. Godoy, Au-
dioMapa.org, http://www.00000000.info/audiomapa.html, (ultimo accesso 30
settembre 2016)).
THE THIRD SOUNDSCAPE: I LUOGHI ABBANDONATI DEL SUONO 81

do lo spazio acustico ad un’indagine complessa su diversi


livelli: dall’archiviazione dei materiali acustici fino alla messa
in discussione della linearità delle traiettorie della storia, da-
gli studi culturali del territorio fino alle metodologie ed agli
approcci di mappatura15.
Le mappe sonore offrono così modalità nuove di (ri)
concettualizzare ed indagare i paesaggi sonori, specialmen-
te se prodotte in maniera collettiva, co-creata e partecipata,
invitando a fare esperienza ed a condividere idee secondo
modalità ed approcci prima inimmaginabili, come sottolinea
Gascia Ouzounian:

[...] le mappe sonore hanno essenzialmente alterato le pro-


spettive su come evolve il suono in relazione allo spazio ed
ai luoghi, la nostra connessione con il suono nelle sue forme
ambientali e spaziali e le molte “risonanze” sociali, culturali,
storiche ed estetiche di queste relazioni16.

In questo modo, il suono riesce a penetrare superfici e


profondità dei territori che attraversa, dissolvendone confini
e separazioni e trascendendo le possibili categorizzazioni che
anche le pratiche di mappatura tendono a definire nei propri
orizzonti di conoscenza, astrazione ed orientamento rispetto
ai luoghi ed agli spazi su cui insistono17.

15
La pratica di mappatura del suono è oggetto di numerose riflessioni che
la problematizzano. Steph Ceraso pone in antitesi il carattere effimero del
suono con l’idea convenzionale di mapping digitale, sostenendo che il dinami-
smo dell’ambiente sonoro non può essere effettivamente tradotto attraverso
una registrazione “statica” di un luogo. Cfr. S. Ceraso, The Site of Sound: Map-
ping Audio, “hastac”, [blog entry], 05 ottobre 2010, https://www.hastac.org/
blogs/stephceraso/2010/10/05/sight-sound-mapping-audio, (ultimo accesso
30 settembre 2016).
16
“[...] sound maps have fundamentally altered perspectives on sound
as it evolves in relation to space and place, our connection to sound in its
environmental and spatial forms, and the many “resonances” – social, cultu-
ral, historical and aesthetic – of these relationships”. G. Ouzounian, Acoustic
Mapping, p. 172 (trad. it. mia).
17
Scrive a tal riguardo Steph Ceraso (S. Ceraso, The Site of Sound): “There
is something about mapping that seems almost antithetical to sound. The idea
of mapping stems from our desire to know where we are going. In order
82 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

Le mappe sonore hanno in sè il potenziale di registrare


ciò che è personale e collettivo, immaginato e ricordato,
invisibile e materiale, focalizzandosi su quelle che Isobel
Anderson descrive come “in-between-spaces”18 o ‘periferie
del vissuto’, che possono essere toccate superando i limiti
fisici e rappresentativi delle griglie per sconfinare in territori
inusitati. L’intangibilità, la fugacità, l’invisibilità del suono lo
rendono dispositivo di mappatura di geografie invisibili, che
altrimenti rimarrebbero sepolte nel silenzio e che è possibile
attraversare dando voce ad altri livelli di esperienza solo se
ci si accosta alle cartografie come piattaforme creative e di
empowerment.
In AudioMapa.org, l’esperienza del suono si spinge verso
un Sud geografico che è anche Sud in senso epistemologi-
co19, sconfinando nelle distese delle pianure patagoniche,
distendendosi nelle propaggini di paesaggi estremi, disa-
bitati dall’uomo o popolati da voci silenziose. I racconti di
questa cartografia insistono su uno spazio sonoro aperto, sia
quando essi si soffermano sulla miriade di voci in transito e
dei linguaggi che descrivono la varietà dei paesaggi celati ai
nostri occhi, sia quando i suoni che li articolano sembrano
mediare tra l’ascoltatore ed il senso di lontananza, infiltran-
dosi in architetture, oggetti, anfratti e distese, negli interstizi
di un soundscape che non collassa mai su se stesso.
Questi racconti ci rivelano una forte dimensione metafisi-
ca: da un lato, la pratica dell’ascolto prelude ad un’esperien-
za fatta di un permearsi continuo e reciproco tra dimensione
sonora e gli infiniti possibili mondi che si possono costruire

to orient ourselves, we need to create grids and boundaries. But boundaries


don’t apply to sound. Unlike maps, sound does not rely on surfaces or depths;
rather, it penetrates them”.
18
I. Anderson, Soundmapping Beyond The Grid: Alternative Cartographies
of Sound, “Journal of Sonic Studies”, n. 11, 2015, http://sonicstudies.org/
jss11, (ultimo accesso 30 settembre 2016).
19
Il riferimento è al Sud non come categoria geografica, ma come concetto
epistemologico, secondo la teoria definita da Boaventura de Sousa Santos. Si
veda: B. de Sousa Santos, Epistemologías del Sur, “Utopía y Praxis Latinoame-
ricana”, vol. 16, n. 54, 2011, pp. 17-39.
THE THIRD SOUNDSCAPE: I LUOGHI ABBANDONATI DEL SUONO 83

ed abitare attraverso l’intermediazione della percezione acu-


stica; dall’altro, essa rivela ai nostri sensi una vera e propria
metafisica della marginalità, del secondario, laddove emer-
gono un qui ed un ora capaci di incidere metaforicamente
in profondità e di riecheggiare uno di quelli che Benjamin
definiva come significati “centralissimi”20.
Qui, l’ascolto permette non solo di espandere la nostra
mappa, aggiungendo altri punti di riferimento alla cartogra-
fia della percezione, ma anche di interrogare le possibilità del
suono e del continuum di ciò che acusticamente percepia-
mo, per decentrare il nostro sguardo e produrre cartografie
critiche ri-orientate verso i territori marginali, periferici, di
appendice.
AudioMapa.org riesce così a superare i limiti che emer-
gono sovente nelle pratiche di mappatura sonora di spazi,
luoghi e territori che ignorano la natura politica e contestata
delle cartografie. Spesso ispirate a scelte di carattere per lo
più estetico e costruite intorno ad un approccio auto-rap-
presentativo, queste pratiche trasformano il processo di regi-
strazione e mappatura in una pura narrazione di “spectacles
of sound”21.
D’altra parte, lo statuto su cui si costruisce il processo di
mapping sonoro attraverso il field recording racchiude in sé
una serie di possibili limiti sui quali si è soffermata l’analisi di
Jacqueline Waldock, che ha ricordato le gerarchie, le fratture
e le divisioni che possono emergere in queste pratiche, anche
quando esse nascono con le migliori intenzioni. La critica di
Waldock si indirizza non solo verso gli squilibri e le disegua-
glianze nell’accesso a queste mappe, ma include una serie di
questioni relative alla produzione del sapere da esse genera-
ta, sottolineando come le mappe sonore possano riprodurre

20
W. Benjamin, Tesi di filosofia della storia, in Angelus Novus. Saggi e fram-
menti, tr. R. Solmi, Einaudi, Torino 1962, pp. 75-86.
21
Come fanno notare Fari Bradley e Chris Weaver. Cfr. F. Bradley & C.
Weaver, (Not a) Sound Map of Karachi, “Points of Listening”, [web blog],
14 ottobre 2015, http://pointsoflistening.wordpress.com/2015/09/22/pol-
19-not-a-sound-map-of-karachi/, (ultimo accesso 30 settembre 2016).
84 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

una serie di divisioni dominanti, di genere, domestico e pub-


blico, privato e collettivo, povero e ricco: “Hanno tenuto in
considerazione gli autori la cultura e le norme della registra-
zione che vengono prodotte e reiterate da queste mappe?”22.
La questione di un sound mapping critico emerge nella
riflessione e nelle pratiche di artisti che cercano di definire
un approccio più complesso alla materia sonora, che includa
nella sua interconnessione con lo spazio ed i luoghi una pro-
blematizzazione delle relazioni sociali, culturali, estetiche e
politiche che affiorano in queste dinamiche.
Recentemente, i due sound artist Fari Bradley e Chris Wea-
ver si sono confrontati con una serie di nodi critici strettamen-
te legati a tale questione, indagando le pratiche del mapping
sonoro e del field recording nel corso della residenza artistica
Metropolis, prodotta dalla Habib University di Karachi.

Le registrazioni ambientali che abbiamo raccolto a Kara-


chi [...] sono ispirate a queste preoccupazioni, generando una
serie di domande sulla natura e la composizione della società
in generale ma anche in riferimento specifico alla città in cui
sono state effettuate. Cosa può essere rilevato in riferimento
agli aspetti economici, sociali ed ambientali delle strutture di
una città attraverso il suono? Come si possono sviluppare delle
forme di ascolto legate alla consapevolezza di classe e, aspetto
forse più importante, può la specifica posizione di qualcuno
condizionare l’angolazione dalla quale si registra23?

22
“Have the makers taken into account the recording culture and norms
that are produced and reiterated by these maps?” J. Waldock, Soundmapping:
Critiques and Reflections on this New Publicly Engaging Medium, “Journal of
Sonic Studies”, vol. 1, n. 1, 2011, http://journal.sonicstudies.org/vol01/nr01/
a08, (ultimo accesso 30 settembre 2016) (trad. it. mia).
23
“The field recordings from Karachi that we sample [...] are prompts to
these concerns, eliciting a series of questions about the nature and composi-
tion of society in general, and the one in which they were recorded. What can
actually be detected about the economic, social and environmental aspects to
city structures through sound? Does the appearance of class and status have
a corresponding echo in sound? How to develop forms of class-conscious
listening and, perhaps more importantly, does one’s own position affect the
angle from which one records?” F. Bradley & C. Weaver, (Not a) Sound Map
(trad. it. mia).
THE THIRD SOUNDSCAPE: I LUOGHI ABBANDONATI DEL SUONO 85

Bradley e Weaver si accostano alla complessità ed alla


vastità degli ambienti urbani di Karachi a partire dall’espe-
rienza sonora delle principali arterie di traffico e dei loro din-
torni, attraverso una serie di interventi immersivi basati sulla
registrazione d’ambiente in grado di mettere in questione i
limiti di ‘oggettività’ dei processi di cattura sonora effettuati
attraverso i dispositivi digitali. L’idea alla base di questo lavo-
ro è che sia possibile generare un dialogo critico intorno agli
spazi sonori di una megalopoli, a partire dalla costruzione
di uno spazio acustico ‘aumentato’ ed articolato su diversi
livelli spaziali e temporali: l’ascolto diretto dei luoghi, quello
delle installazioni audio-visuali in cui dialogano soundscape
reali ed immaginari, il metalivello cartografico dell’ascolto
in rete24. La riflessione degli artisti è indirizzata agli intricati
viluppi economici e politici sui quali si fonda il dinamismo
della città, ma anche ai livelli nascosti delle relazioni sociali,
che vengono indagati e portati alla luce squarciando la su-
perficie dell’ascolto25. Al di là del ritratto in cui la megalopoli
si svela nello sferragliare del traffico, nel risuonare del vento
o nell’echeggiare degli uccelli, la linearità del paesaggio so-
noro è scossa da voci e frammenti acustici dispersi, frantu-
mati, catturati negli interstizi tra pubblico e privato, che ne
turbano ogni possibile lettura omogenea e coesiva.
Una (non) mappa sonora dunque, che esce dai confini
della cartografia in rete e che rovescia l’idea che il sound
mapping possa rappresentare una modalità di ‘controllo’

24
F. Bradley & C. Weaver, cit. in Z. Anwer, “Metropolis”: Exhibiting the
Sights and Sounds of Karachi, “Images”, [blog entry], 19 settembre 2015,
http://images.dawn.com/news/1173877, (ultimo accesso 30 settembre 2016):
“We recorded the soundscape of Karachi, the markets, military salute at Jin-
nah’s mausoleum. There are three videos — morning, afternoon and sunset
— and computers randomly choose the noise and produce new sounds and
while these slow videos unfold the actual time, the soundscape is like a fake
Karachi”.
25
Ai quali fanno da contrappunto, allegoricamente, le masse di fili di-
sposte disordinatamente sulle facciate dei palazzi, rappresentati in una delle
installazioni presentate da Bradley e Weaver come degli spartiti musicali in
cui le variazioni alto-basso diventano metafora delle dinamiche di subalternità
e delle differenze sociali.
86 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

del suono. Al contrario, il progetto di Fari Bradley e Chris


Weaver incarna una delle possibili declinazioni del mapping
sonoro come pratica di dialogo che interroga i meccanismi
di lettura del paesaggio sonoro e la sua rappresentazione. Il
risultato è una cartografia che include oggetti e corpi spesso
celati sotto la superficie dell’ascolto, voci altre che irrompo-
no nel dialogo del/sul soundscape, trasformando la mappa
da meccanismo autoreferenziale e oggettivo in dispositivo
critico per operare un ‘taglio’ acustemologico all’interno del
paesaggio sonoro, che lo rende spazio eterotopico nel quale
è possibile segnare punti e traiettorie di ascolto che rendano
udibile ciò che risulta difficilmente visibile.

2. Dal Tiers Paysage al Terzo Paesaggio Sonoro

Se, come ha scritto Iain Chambers, “il ‘mondo’ si è frantu-


mato in diverse geografie, ognuna luogo di sensi e direzioni
diverse”, la riscoperta creativa dell’esplorazione attraverso il
suono apre nuove prospettive per la riflessione sui processi
di trasformazione profonda ai quali sono sottoposti i territori
e i paesaggi nella contemporaneità26.
Il rovesciamento del paradigma modernista dell’“epoca
del mondo quadro”, come emerge nell’analisi di Martin
Heidegger, è la metafora di uno slittamento ermeneutico che
rivela nuove prospettive di vedere il mondo attraverso l’arte.
Superando il punto di vista astratto ed universale del sogget-
to moderno (come “subiectum”), che caratterizza il mondo
concepito come quadro, piuttosto che come un quadro del
mondo, l’arte si interroga sulle modalità di inquadramento
della realtà, trascendendo ogni possibile rappresentazione
razionalistica e trasparente del mondo. In tal senso, il suo-
no diventa un veicolo che ci aiuta a svelare ciò che è effi-

26
I. Chambers, Con l’immagine, oltre l’immagine, in M. Carmen & O.
Lanza (a cura di), Urban Node. Laboratorio della memoria, Corraini, Mantova
2009, p. 58.
THE THIRD SOUNDSCAPE: I LUOGHI ABBANDONATI DEL SUONO 87

mero e ciò che è nascosto nel mondo stesso, introducendo


‘visioni’ diverse, approcci diversi alla nostra esperienza. Il
suono rende complessa l’icona, l’idea istantanea ed astratta
che abbiamo di un luogo, e ci spinge a forzare il dominio
del “mondo quadro”, attraverso la scoperta di geografie inu-
sitate, nascoste nelle pieghe delle mappe modernistiche27.
L’atto dell’ascolto produce sottili, fragili soggettività ed as-
sociazioni: non siamo mai sicuri di ciò che ascoltiamo, e in
questa incertezza, in questa instabilità si fonda la possibilità
di costruire il sé e l’altro, il sociale ed il politico. In questo
modo, la fragile invisibilità di ciò che viene ascoltato ci invita
ad immaginare la possibilità di altre verità, di altri valori, di
altre realtà. L’ascolto non può essere considerato un sempli-
ce fatto fisiologico, ma deve essere inquadrato nei termini
di un vero e proprio atto di contatto con il mondo. Esso è
un metodo di esplorazione, una modalità di attraversamento
di un paesaggio o di un lavoro sonoro: quello che possiamo
ascoltare non è ‘ottenuto’, ma ‘scoperto’, e questa scoperta
è il risultato di un processo generativo, sempre differente e
sempre soggettivo. Nei termini di una pratica incompleta in
relazione ad una totalità oggettiva, ma completa nella sua
contingenza soggettiva, l’esperienza dell’ascolto si apre alla
possibilità di indagare il presente, diventando lo strumento
metodologico per un dislocamento da ogni oggettività fissa.
In questo senso, una filosofia ed un’estetica della sound
art, nell’accezione teorica proposta da Salomé Voegelin, è
basata sulla spinta alla scoperta della conoscenza non nei
termini di una comprensione totale ed oggettiva, ma come
una pratica contingente, generativa ed individuale. Ne deriva
che la ‘sospensione’ di genere e categoria collegata all’atto
dell’ascolto di cui parla Voegelin, può essere rappresen-
tata nei termini di un tentativo di decolonizzazione della
nostra esperienza del mondo dal “mondo quadro”, in fuga
da una realtà precostituita, verso un altrove sconosciuto.

27
M. Heidegger, L’epoca dell’immagine del mondo, in Sentieri interrotti
(Holzwege), tr. P. Chiodi, La Nuova Italia, Firenze 1950, pp. 71-101.
88 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

Camminare attraverso un paesaggio sonoro o un sound work


con questo approccio significa svelare spazi altri, nei quali
le differenze tra documentario ed immaginazione, arte ed
antropologia, prosa e poesia della vita quotidiana diventano
fluide, nella definizione di una poetica scomoda che distur-
ba ogni senso comune, ogni significato previsto. Quando
si richiama l’altrove attraverso l’alterità, il suono può pro-
porre una lettura che eccede l’atto di essere appropriato.
Dall’altra parte, il suono possiede una profonda, intrinseca
materialità che può essere rappresentata come forza di vibra-
zione, nella forma di sottili gruppi di onde, vibrazioni udibili
dagli umani o dagli animali. Al di là di una fenomenologia
degli effetti sonori centrata sulla percezione del soggetto
umano, questa prospettiva, nella quale il suono diventa una
forza connessa ad un centro dell’essere e del sentimento
umano interiorizzato, si presenta legata fortemente alla di-
mensione affettiva. Come spiega Steve Goodman,

Mentre un’ontologia della forza vibrazionale supera una fi-


losofia del suono, essa può assumere le sembianze temporanee
di una sonic philosophy, di un intervento sonoro nel pensiero,
dispiegando concetti che risuonano in maniera più forte con la
cultura del suono, del rumore, della musica ed inserendoli nei
punti deboli della storia della filosofia occidentale, come crepe
nell’armatura che la caratterizza in cui il suo dualismo è stato
manomesso ed il suo oculocentrismo reso cieco28.

In questo passo vengono in evidenza una serie di impli-


cazioni teoretiche, con riferimento specifico all’imperialismo
linguistico che costringe i media sonori ad essere principal-
mente vettori di significato, perdendo la visione delle più

28
“While an ontology of vibrational force exceeds a philosophy of sound,
it can assume the temporary guise of a sonic philosophy, a sonic intervention
into thought, deploying concepts that resonate strongest with sound/noise/
music culture, and inserting them at weak spots in the history of Western
philosophy, chinks in its character armor where its dualism has been bruised,
its ocularcentrism blinded”. S. Goodman, Sonic Warfare, p. 81 (trad. it mia).
THE THIRD SOUNDSCAPE: I LUOGHI ABBANDONATI DEL SUONO 89

fondamentali espressioni del loro potenziale materiale come


superfici di vibrazione, o oscillatori29.
La maggior parte degli studi di indagine sul suono, in-
fluenzati da un antropocentrismo fenomenologico e foca-
lizzato sul sentimento individualizzato e soggettivo, nega il
nesso vibrazionale dell’esperienza sonora. Quest’ultimo è un
meccanismo di incontro in cui il nesso eccede la distinzione
tra soggetto e oggetto, creando un ambiente relazionale nel
quale entità discrete si impadroniscono delle vibrazioni l’una
delle altre.
Il risultato è quella che Goodman definisce una “vibra-
tional anarchitecture”, che produce l’esatta separazione tra
soggetto ed oggetto, tempo e spazio. L’ontologia della forza
vibrazionale rappresenta il supporto teoretico non solo per
poter costruire una “politics of frequency”, ma anche per
dare centralità ad un mutamento concettuale, riportando la
teoria sotto il dominio degli “affetti sonori”. In questo modo
il suono, superando i limiti concettuali imposti dalla pro-
spettiva oculocentrica della metafisica occidentale, diventa
uno strumento potente per costruire una materia immagina-
ria, flessibile e multipla, ben più ampia dell’idea limitata di
musica.
Il suono può aiutare a decolonizzare il nostro sguardo e a
scoprire geografie e spazi che sono nascosti sotto la superfi-
cie delle mappe modernistiche, sgretolando la combinazione
di materiali definita dal potere, aprendo il paesaggio sonoro
come un archivio, in cui documenti, voci, oggetti e silenzi si
disperdono.
È un approccio che evoca la possibilità di decostruire
la produzione spazio-temporale della cultura occidentale
attraverso un processo di definizione, descrizione, analisi e
performance della condizione del suono e delle dinamiche
attraverso le quali esso opera nella nostra relazione con il
mondo stesso.

29
Idem, p. 82.
90 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

Questo orientamento ha un inquadramento concet-


tuale in alcune teorie sviluppate da teorici della geografia
come Gunnar Olsson, Franco Farinelli e Joel Kotkin, che
analizzano le conseguenze del cambiamento del rapporto
con il territorio causato dai processi di globalizzazione30.
Sotto la pressione dell’avvento delle nuove tecnologie di
comunicazione, i paradigmi dello spazio e del tempo così
come li abbiamo conosciuto attraverso la fisica classica
collassano, come scrive Franco Farinelli. In una delle sue
più recenti pubblicazioni, La crisi della ragione cartogra-
fica, Farinelli spiega come nell’estate del 1969, mentre il
mondo celebrava l’entrata nell’era della conquista dello
spazio e del cosmo, nessuno era consapevole del fatto che
nello stesso momento si stava celebrando la morte dello
spazio31. Negli stessi giorni, infatti, negli Stati Uniti due
computer cominciavano a comunicare tra di loro, ridu-
cendo gli atomi ad unità di informazione immateriali. In
questa prospettiva, l’epoca della globalizzazione rappre-
senta non solo la ‘morte’ dello spazio e del tempo, ma
il capovolgimento di gerarchie centenarie legate ad una
visione del mondo riconducibile al piano monodimensio-
nale della mappa. Dalla crisi della ragione cartografica e
dalle pieghe della superficie curva che non è altro che “la
ripetizione della forma del globo stesso”32, emergono nuo-
vi spazi, nuovi territori, nuove geografie.
Questa maniera di accostarsi ai territori nell’epoca post-
digitale è stata proposta anche da Gilles Clément nel suo
Manifeste du Tiers Paysage, in cui al centro dell’attenzione
sono luoghi abbandonati come siti urbani o rurali in disuso,

30
J. Kotkin, The New Geography: How the Digital Revolution Is Reshaping
the American Landscape, Random House, New York, NY 2000; G. Olsson,
Abysmal: A Critique of Cartographical Reason, University of Chicago Press,
Chicago, IL 2007.
31
F. Farinelli, Geografia. Un’introduzione ai modelli del mondo, Einaudi,
Torino, 2003; F. Farinelli, La crisi della ragione cartografica, Einaudi, Torino
2003.
32
Ibidem.
THE THIRD SOUNDSCAPE: I LUOGHI ABBANDONATI DEL SUONO 91

spazi di transizione, terre trascurate, aiuole incolte, vecchi


insediamenti in disfacimento e spazi non coltivati33.
Spazi che sono diversi per forma e grandezza, ma acco-
stabili tra di loro per l’assenza dell’attività umana. Luoghi
come fortezze per la conservazione della diversità biologi-
ca. Luoghi che posseggono un proprio, intrinseco senso ed
una memoria, nati e successivamente, dopo un processo di
trasformazione, abbandonati. Luoghi che ci raccontano del-
le memorie individuali e collettive, in maniera simmetrica,
perchè sono i luoghi in cui abbiamo vissuto e che abbiamo
scoperto, rimosso, inventato, come spazi immaginari o reali.
Paradossalmente, la memoria appare chiaramente dove i luo-
ghi sono vicini alla loro fine, dove essi si stanno perdendo o
stanno scomparendo, invece che nei luoghi abitati, occupati
da persone, oggetti, edifici e macchine.

3. Il soundscape delle rovine

Gli abbandoni legati a terremoti, alluvioni, miseria o emi-


grazioni compongono un paesaggio in maniera tanto radi-
cata che essi appaiono naturali solo in superficie, presenti
alla coscienza sotto traccia. Invece, i luoghi in rovina vanno
ascoltati perché ci costringono ad un’apertura critica, nella
quale abbiamo bisogno di interrogarci sul nostro approccio
alla storia ed al paesaggio, sul nostro senso di abitare un ter-
ritorio, sulla nostra relazione con essi. I modelli di antropiz-
zazione occidentali hanno prodotto abbandoni, rovine, luo-
ghi deterritorializzati: è necessario dunque scendere a patti
con questi “luoghi fuori luogo”, scandagliandone le storie
sotterranee, ascoltandoli con il senso di attesa che i migranti
posseggono. Pertanto, essere presenti nel luogo-mondo si-
gnifica sperimentare uno sguardo diverso sullo spazio conti-

33
G. Clément, Manifeste pour le Tiers paysage, Éditions Sujet/Objet, Paris
2004.
92 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

guo, uno sguardo lento che procede andando nella direzione


di un viaggio intimo che corrisponde all’interrogare se stessi.
L’iper-archiviazione e la tensione verso l’accumulazione
compulsiva dei dati, che è insita nella cultura digitale, hanno
reso praticamente ogni luogo, precedentemente abbando-
nato o marginalizzato, presente alla mappatura. Ma se pen-
siamo all’esperienza che abbiamo di questo tipo di luoghi,
piuttosto che alla loro conoscenza, l’onnicomprensività illu-
soria del sapere post-digitale può essere fuorviante. Molte tra
le esplorazioni fonografiche o tra le registrazioni sonore di
luoghi abbandonati o marginalizzati creano un senso diverso
del luogo, che si riferisce molto più all’esperienza che alla co-
noscenza, nei termini di un’esplorazione sonora di un luogo
che diventa una costruzione sociale e politica.
È quello che accade con Sounds from Dangerous Places
di Peter Cusack, opera letteraria, fotografica e sonora in for-
mato di libro e CD, contenente registrazioni audio raccolte
a Chernobyl, in Azerbaigian nell’area dei pozzi petroliferi
attorno a Baku, in alcuni siti nucleari e ai margini di alcune
zone militari in Gran Bretagna.
In questo lavoro, l’esperienza estetica rivela come il
suono possa rendere complessa l’idea che abbiamo di un
luogo, richiedendo all’ascoltatore una complicità che pro-
duce un luogo a partire dall’abitare in esso. È un’esperienza
fortemente influenzata dalla nostra relazione con quel luo-
go, piuttosto che da quella con la registrazione sonora. Si
tratta di una percezione definita tanto dal suono registrato
quanto dalla nostra capacità di ricordare e dalla memoria
di quel luogo.
L’indagine attraverso il suono di Chernobyl e degli altri
dangerous places, attraverso un metodo che Cusack definisce
“sonic journalism”, mostra efficacemente quanto la pratica
del field recording possa aggiungere sotto diversi punti di vi-
sta ai livelli descrittivi dell’immagine e del linguaggio, non
solo per completare un’impressione, ma giocando allo stesso
tempo un ruolo significativo in relazione alle modalità attra-
verso le quali ci accostiamo a particolari luoghi.
THE THIRD SOUNDSCAPE: I LUOGHI ABBANDONATI DEL SUONO 93

I field recording comunicano molto di più dei fatti essenziali.


Spettacolari o meno, essi trasmettono anche un forte senso di
spazialità, di atmosfera, di tempo. Questo vale anche quando la
qualità tecnica è scarsa. Questi fattori sono fondamentali per la
nostra percezione di luogo e di movimento ed aggiungono così
elementi sostanziali alla nostra comprensione degli eventi e del-
le questioni. Danno un’impressione efficace di ciò che potreb-
be effettivamente essere se ci si trovasse lì. Il suono è il nostro
senso primario relativo alla spazialità che ci circonda e l’ascolto
ci dà un punto di udito. Ci permette di giudicare quanto siamo
lontani dagli eventi e di chiedere come ci potremmo sentire e
come potremmo reagire alle circostanze34.

L’ascolto può essere considerato come un vero e proprio


atto di affermazione, nei termini di un’azione politica e cul-
turale. Una piattaforma per mettere in atto un tentativo su
diversi livelli: sociale, storico ed ecologico. Il metodo del “so-
nic journalism” dimostra che esplorare con il suono un luogo
non significa solo documentare un evento che sta accadendo,
ma realizzare anche quello che Cusack stesso definisce “un
atto di sfida immaginativa a sé stante”35.
Come chiaro esempio di quanto l’impatto di questo
processo possa risultare potente per l’ascoltatore, Cusack
menziona i suoni registrati da Mazen Kerbaj a Beirut nel
corso della guerra condotta da Israele contro Hezbollah in
Libano, nell’estate del 200636. Cusack sottolinea come la
34
“Field recordings convey far more than basic facts. Spectacular or not,
they also transmit a powerful sense of spatiality, atmosphere and timing. This
applies even when the technical quality is poor. These factors are key to our
perception of place and movement and so add substantially to our understan-
ding of events and issues. They give a compelling impression of what it might
actually be like to be there. Sound is our prime sense of all–around spatiality
and listening gives us a point of ear. It enables us judge how far we are from
the events and to ask how we might feel and react in the circumstances”. P.
Cusack, Field Recording as Sonic Journalism, http://sounds-from-dangerous-
places.org/sonic_journalism.html (trad. it. mia), (ultimo accesso 30 settembre
2016).
35
“[...] an act of imaginative defiance in its own right”. Ibidem (trad. it.
mia).
36
Documentazione disponibile su: M. Karbaj, Kerblog, [blog], http://ma-
zenkerblog.blogspot.it/, (ultimo accesso 30 settembre 2016).
94 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

prospettiva di Kerbaj, concentrata in maniera drammatica


su una serie di elementi, a partire dalla geografia della città,
dal suo contesto politico e dalla lettura personale dell’arti-
sta rispetto alla situazione vissuta, renda memorabili queste
registrazioni.
Si tratta di una situazione in cui l’ascoltatore non è pre-
sente fisicamente sul luogo in cui l’evento avviene, ma anche
a questo livello ‘ridotto’ esistono sia un forte coinvolgimento
soggettivo che una comprensione intuitiva che rendono l’e-
sperienza sonora qualitativamente differente rispetto all’im-
magine ed alla scrittura.
Le registrazioni dei dangerous places da parte di Peter Cu-
sack affermano il suono come un strumento critico partico-
larmente efficace per la ricerca, portando alla luce dall’archi-
vio dei paesaggi sonori una varietà di elementi che rivelano
i processi che coinvolgono la produzione ‘autorizzata’ della
cultura, del potere, della storia. Aprire questo archivio signi-
fica dare voce alle storie non ascoltate che ci suggeriscono
quella che Gilles Deleuze e Félix Guattari avrebbero potu-
to definire, secondo Iain Chambers, una storia “minore”37.
Lungi dal rappresentare un oggetto isolato di studio, il pae-
saggio sonoro può essere l’elemento scatenante di narrative
attraverso le quali affermare discorsi e contro-discorsi, sco-
prendo mappe e cartografie altre. Come scrivono Cavallo e
Chambers:

Le cartografie sonore provocano un’interruzione, o un ta-


glio, nelle mappe esistenti, ufficiali. Restituendoci ciò che è sta-
to trascurato, negato e rifiutato, questi indicatori permettono
ad un’altra storia ed ad un paesaggio inatteso di emergere. Se
i poteri costituiti rifiutano di ascoltare, come è inevitabile che
accada, allora questi suoni tracciano un’altra proiezione ampia-
mente ignota ed indisciplinata che adombra e potenzialmente

37
V. Cavallo & I. Chambers, Neapolitan Nights: from Vesuvian Blues to
Planetary Vibes, https://www.academia.edu/5599503/Neapolitan_nights_
from_Vesuvian_blues_to_planetary_vibes, 2014, (ultimo accesso 24 ottobre
2014).
THE THIRD SOUNDSCAPE: I LUOGHI ABBANDONATI DEL SUONO 95

interrompe la superficie continua della comprensione pubblica


e consensuale38.

La narrazione condotta da Cusack a Chernobyl fa rife-


rimento a diverse registrazioni, da quelle della natura che
rinasce nell’area abbandonata dell’impianto nucleare alle
voci delle persone evacuate che materializzano il trauma del-
lo sradicamento da un territorio e che prosegue ancora, a
quasi trenta anni di distanza dall’evacuazione. I suoni delle
conversazioni con le persone del luogo e delle canzoni dei
paesi raccontano e cantano del dolore dell’esilio da un intero
territorio e dalla vita, cominciato in maniera drammatica nel
1986.
Suoni che raccontano e cantano di una deterritorializza-
zione che allo stesso tempo connota un livello fisico e psicolo-
gico, la realtà materiale e gli affetti. I quattro poemi registrati
di Svetlana Tsalko parlano di una relazione interrotta tra la
gente e la natura: una relazione che è sopravvissuta mental-
mente come un simulacro culturale nella comunità locale e
che emerge dalle conversazioni registrate, dalle poesie, dalle
canzoni, come una traccia incancellabile. Una relazione che
dice di una natura amareggiata e disturbata dall’improvviso
vuoto lasciato dalla partenza degli abitanti dei paesi per il
loro imprevedibile sradicamento. In questo senso, quello che
è avvenuto a Chernobyl rappresenta una sorta di controparte
fisica al concetto di deterritorializzazione, così come teoriz-
zato da Gilles Deleuze and Félix Guattari, che lega l’emigra-
zione ed il pensiero, in un atto contro l’incommensurabilità
del discorso visuo-spaziale e la soggettività planetaria39.

38
“Sonorial cartographies provoke an interruption, or slash, in the exi-
sting, official map. Returning us to what has been overlooked, negated and
denied, such indicators permit another story and an unsuspected landscape to
emerge. If established powers refuse to listen, as they inevitably do, then these
sounds trace another, largely, unrecognized and undisciplined projection that
shadows and potentially interrupts the seamless surface of public and consen-
sual understanding”. Ibidem (trad. it. mia).
39
G. Deleuze & F. Guattari, Che cos’è la filosofia?, pp. 59-60.
96 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

È interessante prendere nota, al riguardo, dell’osservazione


di Julia Catherine Obert, che legge, nell’esplicitazione di
questa teoria da parte di Deleuze e Guattari, un parallelo
retorico tra la coppia di termini: territorio/deterritorializza-
zione e combinazioni melodiche finite/infinito piano della
composizione. Secondo Obert, questo parallelo si costruisce
intorno ad espressioni della teoria del suono ed in riferimen-
to ai concetti di transitorietà ed esilio40. Peraltro, alludendo
alla deterritorializzazione della cultura, in un senso che può
essere richiamato anche dalla narrazione sonora di Cher-
nobyl da parte di Cusack, Obert richiama la riflessione di
Nikos Papastergiadis in relazione alla deviazione epistemica
dalle metafore visuospaziali. In questa cornice, la cultura
trasgredisce già sempre i confini territoriali e deve, perciò,
essere slegata dall’impulso cartografico41. Ne consegue che,
data questa premessa teorica, lo spazio uditivo, a causa del-
la sua mancanza di confini in senso visivo, possiede mezzi
particolarmente produttivi per riflettere sulle comunità cul-
turali42. Cusack conduce la sua ricerca al confine, sul crinale,
tra il rifugio di una vita naturale che prolifera indisturbata
nell’area evacuata e i villaggi circostanti dei Samosels, che
stanno ora lentamente ritornando alle loro case, all’interno
della exclusion zone.

Visitare i villaggi fantasma di Chernobyl è un’esperienza sur-


reale. Essi sono allo stesso tempo attraenti e misteriosi. Molti
sono completamente sommersi dalla vegetazione ed uno può
vedere case di legno decadenti ma ancora graziose, attraverso
gli alberi ed i fitti arbusti. Le strade sono tracciati cosparsi di
foglie, a volte tetre, altre volte screziate alla luce del sole. La
quiete è totale. Il traffico e gli aerei sono impensabili. Solo gli
uccelli ed il vento possono essere uditi. Ma c’è un anche forte

40
J. C. Obert, The Cultural Capital of Sound: Québécité’s Acoustic Hybri-
dity, “Postcolonial Text”, vol. 2, n. 4, 2006, p. 2.
41
Ibidem.
42
“The universe is [its] potential map”, nelle parole di Marshall McLuhan
(M. McLuhan, Acoustic Space, in M. McLuhan & E. Carpenter (eds.), Explo-
rations in Communication: An Anthology, Beacon, Toronto 1960, p. 68).
THE THIRD SOUNDSCAPE: I LUOGHI ABBANDONATI DEL SUONO 97

senso di assenza, di quelli che hanno vissuto qui, del disastro


che ha distrutto ogni continuità con le generazioni passate e
delle interruzioni affrontate da allora43.

Tutti questi suoni, di vita naturale, di radiometri, di di-


sturbi nei cavi dell’alta tensione, di stanze vuote nella città
fantasma di Pripyat, le canzoni, le poesie, le conversazioni
con le persone, emergono come frammenti di una narrazione
complessa che si muove al confine tra disastro e bellezza, tra
poesia e dramma, tra distanza e perdita.
Una narrazione basata sull’estrema dicotomia tra il pia-
cere estetico delle immagini e dei suoni del coro naturale
all’alba nella natura selvaggia di Chernobyl e la consapevo-
lezza del tremendo impatto ambientale, sociale e politico
conseguente al disastro nucleare. Si tratta di un paesaggio
sonoro contaminato, in cui i suoni naturali si mescolano
spesso a quelli artificiali (elettricità, cantieri, radiometri), in
uno scenario in cui non esistono più chiari confini, tra il
paesaggio post-umano all’interno dell’exclusion zone ed il
territorio abitato.
In questi spazi transizionali, ogni cosa è confine, ogni
elemento è parte di una frontiera labile e mutevole. In que-
ste aree di frontiera esistono spazi di attività, di conflitto, di
contraddizione, di mediazione, che vengono alla luce nella
narrazione sonora di Cusack, rivelando l’importanza dell’uso
del suono per svelare particolari aspetti dei luoghi abbando-
nati o marginalizzati.
Lo spazio acustico, investigato dalla esplorazione sonora
sia attraverso il field recording che la sound art, rappresenta

43
“To visit Chernobyl’s ghosts villages is a surreal experience. They are
at once attractive and mysterious. Most are completely overgrown and one
glimpses decayed, but still pretty, wooden houses through trees and dense
saplings. The streets are leafy tracks, sometimes gloomy, other times dappled
in sunlight. The quiet is absolute. Traffic and planes are unthinkable. Only
birds and wind can be heard. But there is a strong sense of absence too, of
those who lived here, of the disaster that destroyed any continuity with past
generations, and the disruptions faced since”. P. Cusack, Sounds from Dange-
rous Places, ReR Megacorp, Berlin 2012, p. 19 (trad. it. mia).
98 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

il luogo di una territorializzazione acustica, nella definizione


data da Brandon LaBelle, nei termini di un processo nel quale
la disintegrazione e la riconfigurazione delle mappe spaziali
diventa un processo politico44. LaBelle sottolinea come esista
una forma produttiva di tensione in questo spazio, a causa
della rete associativa creata dal suono, che consente una par-
tecipazione che è anche “già instabile ed impegnativa” e che
introduce una sfida semantica per gli elementi coinvolti in
questa rete. Nel territorio acustico, si afferma un discorso so-
noro partecipativo attraverso una serie di proprietà multiple
legate al suono: i flussi, le vibrazioni, le eco, che riempiono
lo spazio con movimenti tra forze diverse, trasformando il
suono in una proprietà condivisa, “che spinge alla compren-
sione associativa e relazionale”.
Quando una narrazione di un territorio e delle sue memo-
rie viene declinata ad un livello acustico, attraverso il richia-
mo a diverse storie disperse nel tempo e nello spazio, un’in-
tera comunità può essere coinvolta in questo processo, riat-
tivando un approccio sonoro al territorio stesso e generando
la possibilità di confrontarsi con la storia secondo un’altra
prospettiva, che consenta di leggerne i suoi lati nascosti.
Su questo concept si basa Tellus Totem, un’installazione
di Enrico Ascoli, realizzata in occasione del trentesimo an-
niversario del terremoto in Irpinia. Alla base di questo lavo-
ro, ci sono la riflessione sulla riverberazione nella memoria
dell’evento sismico attraverso la percezione del territorio
e la trasformazione di questo ricordo, a diversi livelli, nel
corso del tempo. Nel corso di una breve residenza artistica,
Ascoli raccoglie una serie di oggetti abbandonati nelle ro-
vine di alcuni dei paesi fantasma ancora esistenti in Irpinia,
mettendoli poi insieme in una specie di orchestra per oggetti
smarriti, assemblata attraverso cinque sculture sonore. Que-
sti oggetti rinascono a nuova vita sonora, attraverso una lenta
e potente vibrazione che li scuote tramite un sistema 5.1 di

44
B. LaBelle, Acoustic Territories. Sound Culture and Everyday Life, Con-
tinuum, New York, NY 2010, p. XXIV.
THE THIRD SOUNDSCAPE: I LUOGHI ABBANDONATI DEL SUONO 99

bass shakers, grazie al lavoro di ricerca sulle basse frequenze


compiuto dall’artista.
“Parlando con la gente dell’esperienza del giorno del terre-
moto”, ricorda Ascoli, “sono rimasto sorpreso dalla scoperta
che la maggior parte delle persone ricordavano chiaramente
la sequenza dei suoni: gli oggetti che si muovevano, che ve-
nivano scossi o che si rompevano”45. Un piccolo giocattolo a
sonagli, una campanella, un utensile, un seghetto: gli oggetti
smarriti dell’installazione diventano le voci di una narrazio-
ne ai visitatori, di storie a volte rimosse ma che riemergono
come un fiume carsico nel ricordo e nella percezione viva del
presente, risuonando e rianimandosi all’improvviso.
Nello spazio installativo di Tellus Totem, si crea una geo-
grafia relazionale complessa: un ambiente sonoro emoziona-
le, fluido e che stimola una forma di conoscenza che è allo
stesso tempo collettiva e individuale, che si muove verso e dal
corpo. Il pubblico si immerge in una materia primaria a con-
tatto con il corpo attraverso la fisicità del suono, rappresen-
tabile come un movimento che viene avanti, e la vibrazione,
che esiste anche al di sotto della linea dell’udibile. In questo
modo, sia il suono che la vibrazione contribuiscono non solo
a dispiegare il corpo individuale verso una “common skin”,
ma anche ad elaborare una ontologia relazionale del suono,
attivando connessioni tra la memoria e l’esperienza presente
dell’ambiente acustico.
Il suono dopo il disastro, il suono dopo il terremoto, il
suono del vuoto. Come un racconto echeggiante di quello
che è sopravvissuto, di quello che è stato abbandonato, delle
fenditure e delle crepe del tempo, dello spazio, della materia.
L’esplorazione sonora delle rovine ci parla della distruzione
delle aree abitate, di un numero enorme di persone evacuate
e ricollocate in altri luoghi. Dei tagli, delle fratture e delle
cadute della modernità. È la narrazione di una lunga e spesso

45
Documentazione disponibile su: E. Ascoli, Tellus Totem – Sound In-
stallation, “Peoplelikesound”, [blog entry], 28 novembre 2010, http://enri-
coascoli.blogspot.it/2010/11/blog-post.html, (ultimo accesso 30 settembre
2016).
100 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

taciuta storia, quella delle aree rurali del Mezzogiorno d’Ita-


lia, come la stessa Irpinia, come la Calabria, come la Sicilia.
Una narrazione che si lega alla geografia dei paesi abbando-
nati per ragioni economiche e produttive, o per disastri na-
turali. Terremoti, invasioni, interminabili carestie, mancanza
di acqua per sopravvivere, alluvioni, smottamenti. Ma anche
eventi come disboscamenti, emigrazioni di interi villaggi dal-
le montagne a valle, verso il mare, in un altrove lontano ed a
volte irraggiungibile. Eventi che hanno costruito una realtà
ed un immaginario di una terra instabile, spesso in fuga da
se stessa, precaria, provvisoria, incompiuta, come ha scritto
Corrado Alvaro.
In questi luoghi, il paesaggio è segnato profondamente da
tracce che aprono nuovi sentieri per scoprire luoghi nascosti,
spesso rimossi dalla memoria, o per svelare i disastri della
modernità. Mura vuote, o Vacuamœnia, come suggerisce il
nome del progetto di esplorazione sonora di Fabio R. Lat-
tuca e Pietro Bonanno, focalizzato sui villaggi abbandonati,
costruiti per popolare le aree rurali in Sicilia durante il perio-
do fascista. Borghi nati negli anni Venti dello scorso secolo,
come il risultato di un’operazione di colonizzazione della
campagna vuota al centro della Sicilia. Carlo Emilio Gadda
scrive:

Quanto alla parola ‘colonizzazione’, essa non deve ingenera-


re un trauma nei timpani di nessuno. Colono è il nome latino e
italiano del contadino e del coltivatore, onde ‘colonizzazione’
suona come ‘consegna ai coltivatori’ della terra poco o mal col-
tivata; o di quella che già essi coltivano, pur vivendone lontani
d’una distanza e d’una fatica appena credibili46.

Oggi, questi villaggi sono abbandonati o occupati dai


figli contadini della colonizzazione, e stanno lentamente
scomparendo.

46
C. E. Gadda, La colonizzazione del latifondo siciliano, “The Edinburgh
Journal of Gadda Studies”, Issue 3, 2003, http://www.gadda.ed.ac.uk/Pages/
resources/essays/colonizzaz.php, (ultimo accesso 30 settembre 2016).
THE THIRD SOUNDSCAPE: I LUOGHI ABBANDONATI DEL SUONO 101

Spinto dall’urbanesimo o dalle catastrofi naturali a dimenti-


care le campagne, l’uomo lascia alle sue spalle le mura che lo
hanno accolto, lasciandole vuote di significato. I luoghi per-
dono le loro definizioni e diventano ‘atmosfere’. Vacuamœnia
riscopre queste atmosfere attraverso un’azione materica che
propone un vuoto di natura densa, una scatola armonica. I ma-
teriali sono gli orchestrali, i percorsi e le strade sono partiture
scritte sulla terra. Attraverso il tatto e gli altri sensi, ogni pae-
saggio sonoro diventa così luogo di suoni e strumento musicale
in costruzione47.

Nel loro manifesto, Lattuca e Bonanno tracciano le linee


dell’approccio di Vacuamœnia al paesaggio sonoro dei vil-
laggi fantasma in Sicilia, concentrandosi sull’atto materiale
dell’esplorazione. La materialità è un concetto di rado asso-
ciato al suono, ma nella riflessione estetica e filosofica intorno
alle arti sonore contemporanee, è un elemento che sta assu-
mendo una rilevanza sempre maggiore. Tra i critici che han-
no analizzato il fenomeno della materialità del suono negli
ultimi anni, c’è David Toop, che ha notato come essa possa
essere un elemento ambiguo nella propria connessione con
l’universo visuale, nonostante il suono possegga delle qualità
distinte. Toop si riferisce ad una sorta di ‘nuova’ materialità
del suono in relazione al concetto di corpo sonoro. Se, nel
senso comune del linguaggio, l’espressione ‘corpo sonoro’
si riferisce ad una sfera semantica che riguarda la forza, sug-
gerendo l’idea di un corpo intero, Toop afferma che il cor-
po è una collezione di frammenti (“the body is a collection
of fragments”)48, asserendo l’idea di un corpo sonoro come
il contesto nell’ambito del quale la musica ha luogo, come
“un ambiente fisico, un ambiente virtuale, una scenografia
come un festival con le sue relative scene, un modo di vivere,

47
F. R. Lattuca, P. Bonanno, Vacuamœnia, [website], http://vacuamoenia.
net/manifesto/, (ultimo accesso 30 settembre 2016).
48
D. Toop, intervistato da M. Boon, Marcus Boon on Sound Body, http://
www.samadhisound.com/davidtoop/texts/marcus_boon_on_sound_body.
html, (ultimo accesso 30 settembre 2016).
102 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

o l’idea concettuale di tutto ciò che rappresenta un lavoro


sonoro”49.
L’approccio di Lattuca e Bonanno evoca questo tipo di
materialità frammentata degli oggetti, delle architetture, del-
lo spazio e del tempo che viene interrogato attraverso l’uso
che essi fanno del suono. Le loro composizioni basate sulla
pratica del field recording sono talvolta intrise di una sorta
di fascinazione estetica che è informata ad un modo pecu-
liare, sensibile, circospetto, di esplorare un territorio scono-
sciuto. Le proprietà del suono danno ai due sound artist la
possibilità di adoperare un insieme ampio di strumenti per
descrivere e caratterizzare questa scoperta, aprendo spazi
estetici inusitati, in cui convergono un approccio romantico
o “hauntologico”50, o altri elementi come l’estetica decaden-
te o l’analisi percettiva dello spazio e delle architetture di
questi luoghi51.
Dall’altra parte, queste esplorazioni fonografiche getta-
no luce su quello che Peter Cusack definisce come senso
potente della spazialità, del tempo e dell’atmosfera nella
sua formulazione del concetto di “sonic journalism”52. Esse
aggiungono livelli complessi all’indagine estetica dei villag-
gi fantasma siciliani attraverso il suono, trasformando lo
spazio uditivo in ambiente di ascolto critico, nei termini di
una pratica generativa ed immaginativa che produce il lavo-
ro come un momento estetico pronto per la riflessione nel
discorso. In questo processo, l’approccio estetico emerge
come uno strumento potente per sfidare l’oggettività della

49
Ibidem: “[A] physical environment, a virtual environment, a setting
such as a festival with its attendant scenes, a way of life, or a conceptual idea
of what sound work is all about”.
50
S. Reynolds, Haunted Audio, a/k/a Society of the Spectral: Ghost Box,
Mordant Music and Hauntology, “ReynoldsRetro”, [blog entry], 14 maggio
2012, http://reynoldsretro.blogspot.it/2012_05_01_archive.html, (ultimo ac-
cesso 30 settembre 2016).
51
Z. Feinn, The Aesthetic of Decay: Space, Time, and Perception, B.Sc.
Thesis, University of Cincinnati, 2011, http://zfein.com/architecture/thesis/
thesis.pdf, (ultimo accesso 30 settembre 2016).
52
P. Cusack, Field Recording.
THE THIRD SOUNDSCAPE: I LUOGHI ABBANDONATI DEL SUONO 103

scrittura antropologica, trasformando i luoghi abbandonati


in spazi performativi che interrogano l’approccio analitico
delle scienze umane. È una prospettiva che emerge dalle
parole di Iain Chambers:

Oggi è impossibile fingere di raccontare il passato, di esplo-


rare l’archivio, di scavare a fondo la memoria, dopo Nietzsche
e Freud, Gramsci e Benjamin, Derrida e Foucault, come se
avessimo a che fare con oggetti morti da cogliere e da rivelare
attraverso il linguaggio apparentemente neutro di un sapere –
“la storia” – garantito dai protocolli di studio delle “scienze”
umane e sociali53.

Ne consegue che l’esperienza dell’ascolto critico e della


poetica del suono diventa una modalità per andare oltre la
mappa, per rinegoziare i significati del linguaggio. Qui, il
suono si immerge in una storia di silenzi e di oblio, di di-
stanza e di perdita, registrando le vestigia di un’altra storia e
trasformando l’atto etico in atto estetico. Gli oggetti sonori
si trasformano in una forza soggettivizzante dalla quale sia-
mo invitati non tanto a pensare dell’arte, quanto a pensare
attraverso l’arte54.
I field recording di Poggioreale, uno dei paesi coinvolti nel
terremoto del Belice del 1968, ci raccontano di uno spazio
acustico intimo, ma animato e conflittuale, nel quale il suo-
no crea connessioni attraverso spazi e memorie eterogenee.
Dopo il terremoto, il paese è stato abbandonato e ne è stato
deciso lo spostamento tramite ricostruzione a valle. A monte,
rimangono oggi le rovine, testimoni della vita prima del ter-
remoto, di una parte di paesaggio che è solo apparentemente

53
“Today, it is impossible to pretend to narrate the past, to explore the ar-
chive, to mine memory, after Nietzsche and Freud, after Gramsci and Benja-
min, after Derrida and Foucault, as though we are dealing with dead objects
to be grasped and revealed in the seemingly neutral language of a knowledge
– ‘history’ – guaranteed by the scholarly protocols of the human and social
‘sciences’”. I. Chambers, Ruins, Archaeology and the Postcolonial Archive, in
M. Bassanelli & G. Postiglione (eds.), Re-Enacting the Past. Museography for
Conflict Heritage, Lettera Ventidue, Siracusa 2013, p. 279 (trad. it. mia).
54
Ibidem.
104 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

‘naturale’, in cui la memoria può ricomporre frammenti di


un mondo sepolto. Rovine che, per la distanza del tempo
e per l’irreparabile separazione dal presente, irrompono nel
dominio degli affetti.
I suoni registrati a Poggioreale da Lattuca e Bonanno han-
no una controparte nelle registrazioni di archivio dell’Istituto
Ernesto De Martino, che testimoniano dei discorsi di Danilo
Dolci trasmessi nel 1970 da Radio Libera Partinico, la prima
radio libera italiana fondata per denunciare il potere econo-
mico della mafia e i suoi interessi legati alla ricostruzione suc-
cessiva al terremoto del Belice. Dopo 27 ore di vita, Radio Li-
bera Partinico cessa le sue trasmissioni, chiusa dalla polizia, e
Dolci viene arrestato insieme agli altri fondatori del progetto.
Ma questa esperienza lascia una profonda traccia, con il suo
tentativo di trasformare la radio in un medium di resistenza
per le comunità marginali e per il territorio rurale siciliano.
Attraverso questo atto sonoro, Dolci sperimenta la co-
struzione narrativa di una politica collettiva di reazione anti-
coloniale alla politica governativa locale e nazionale, seguen-
do in qualche modo il sentiero aperto da Frantz Fanon, uno
dei primi critici dell’imperialismo ad identificare le narrative
della resistenza postcoloniale con i meccanismi della radio,
gettando luce sul ‘dispositivo’ dell’ascolto come uno stru-
mento scatenante rispetto alle politiche collettive dell’anti-
coloniale e del postcoloniale55.
Sia i suoni di Poggioreale archiviati nella piattaforma web
di Vacuamœnia, sia i discorsi di Danilo Dolci conservati nel
database dell’Istituto Ernesto De Martino, sono parti di una
narrazione nella quale il suono, come potente strumento me-
todologico, permette di viaggiare nell’archivio complesso del
soundscape e lì configurare una cartografia critica che inter-
roga ed eccede la visione della storia, della politica e della
cultura accettata dal potere dominante.

55
F. Fanon, “Qui la voce dell’Algeria…”, in Scritti politici. Vol. II, tr. F. Del
Lucchese, DeriveApprodi, Roma 2007, pp. 65-87.
THE THIRD SOUNDSCAPE: I LUOGHI ABBANDONATI DEL SUONO 105

In questa cornice, l’esplorazione fonografica mira ad ana-


lizzare un territorio che, da un lato emerge da una condizio-
ne di marginalità, così come accade per i luoghi abbandona-
ti, e dall’altra parte diventa uno spazio in cui scoprire nuove
geografie. È una modalità che apre un sentiero per creare
un apparato critico e teorico attraverso il quale è possibile
interrogare le ideologie dominanti, costruendo narrazioni
che si riferiscono a diversi modelli per appressarsi al territo-
rio e riappropriarsene, nell’epoca post-digitale.
Il Terzo Paesaggio Sonoro (“Third Soundscape”)56 può
essere dunque considerato come un altro spazio critico (o
uno spazio critico ‘altro’) per superare l’oggettività della con-
templazione estetica ed intellettuale appartenente all’epoca
contemporanea, affermando invece un approccio de-colo-
niale e post-coloniale verso la storia del potere e la musei-
ficazione, attraverso la decentralizzazione del pensiero e dei
luoghi in cui l’arte ‘performa’. È una modalità per mettere
in atto una resistenza estetica e culturale a quella che Iain
Chambers definisce come “violenza” dell’archivio:
“‘La violenza dell’archivio stesso, come archivio, come
violenza d’archivio’ (Derrida [...]) è registrare un taglio
epistemologico o una ferita sul corpo del soggetto moder-
no occidentale che ha reso il mondo ed i suoi abitanti un
oggetto”57.

4. El Sonido Fantasma: i treni del silenzio

Signe Lidén racconta di un episodio della sua tarda


adolescenza in cui, a Parigi, in una mattina piovosa di set-
tembre, dopo una lunga ed affannata corsa riesce a rag-

56
Si veda: L. Pisano, The Third Soundscape, “Third Text”, vol 29, n. 1-2,
2015, pp. 75-87.
57
“‘The violence of the archive itself, as archive, as archival violence’
(Derrida […]) is to register an epistemological cut or wound on the body of
the modern occidental subject that has rendered the world and its inhabitants
an object”. Ibidem (trad. it. mia).
106 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

giungere la prima classe di studio di una scuola di danza


contemporanea. Trafelata, si mette a sedere sul pavimento
con gli altri studenti e comincia un esercizio in cui tutti i
danzatori sono invitati a ricreare mentalmente il percor-
so fatto dall’inizio della giornata fino al momento in cui,
disposti uno accanto all’altra in quello studio, riflettono
sulla percezione dello spazio e dei corpi che li circondano.
I luoghi attraversati, con le immagini, gli odori e i suoni di
quella frenetica mattina, vengono richiamati alla mente e
seguiti dal tentativo di ricreare le percezioni corporee di
tutti quegli impulsi.
Il ricordo di questo esercizio, ripetuto ogni mattina per
un lungo periodo, innesca una serie di considerazioni sulla
trasformazione, nel corso del tempo, della percezione dell’e-
sperienza del percorso ‘reale’ terminata nel momento in cui
il corpo siede accanto agli altri sul pavimento dello studio e
sulla ri-creazione di questo viaggio.
Un cambiamento che implica il raggiungimento di una
nuova condizione di consapevolezza spaziale, ma anche di
percezione corporea:

Sono diventata più presente e consapevole degli spazi in cui


mi muovevo e dell’impatto che avevano su di me. Avevo ini-
ziato ad ascoltare. Anni dopo, ho cominciato ad interessarmi a
lavorare con il suono quando mi sono resa conto che il suono
rende possibile percepire molti luoghi contemporaneamente, e
ancora meglio: essere al di fuori e dentro gli oggetti e gli spa-
zi allo stesso tempo. Il suono può de-materializzare il mondo
intorno58.

I luoghi e il tempo, lo spazio, il ricordo. Cosa rende l’ascol-


to così essenziale per sentire di essere presenti in un determi-

58
“I became more present and aware of the spaces wherein I moved and
the impact they had on me. I had started to listen. Years later, I got interested
in working with sound when I realized that sound makes it possible to per-
ceive many places simultaneously, and even better: being outside and inside
objects and spaces at the same time. Sound could de-materialize the world
around”. S. Lidén, conversazione e-mail, 16 novembre 2011 (trad. it. mia).
THE THIRD SOUNDSCAPE: I LUOGHI ABBANDONATI DEL SUONO 107

nato momento? O, per dirla con altre parole, in quali modi la


consapevolezza dei suoni che ci circondano influenza la no-
stra percezione di uno spazio? E quali sono le dinamiche che
regolano i rapporti di multi-temporalità che il suono genera
nell’esperienza immersiva dell’ascolto, nell’interconnessione
tra ricordo, immaginazione e percezione sensoriale?
Al di là delle riflessioni che investono strettamente il cam-
po della psicologia della percezione acustica, sarà interessan-
te in questa sede fare una serie di considerazioni sulle prati-
che dell’ascolto nel contesto dello spazio, del tempo, della
memoria, dell’immaginazione, sullo sfondo del framework
critico definito dal Terzo Paesaggio Sonoro.
Nel già citato Sonic Possible Worlds, Salomé Voegelin ana-
lizza una serie di lavori in cui emerge il concetto di ambiente
sonoro, definito come contesto complesso generato dalla
pratica dell’ascolto. Un luogo, cioè, in cui l’esperienza del
mondo è strettamente connessa alla riflessione sulla materia-
lità visuale che avviene attraverso l’invisibile. Attraversarlo
con la consapevolezza ‘sonica’ di sé influenza profondamen-
te le modalità con cui ci muoviamo o agiamo all’interno di un
paesaggio sonoro.
Uno dei casi presentati da Voegelin è El Tren Fantasma di
Chris Watson, in cui le possibilità spaziali offerte da un am-
biente sonoro complesso come quello costruito dall’autore,
si intersecano alla possibilità ‘invisibile’ individuata dai livelli
temporali: dalla pluralità del tempo, dell’ora e del poi e da
tutti i livelli di tempo che sono generati in-between59. El Tren
59
El Tren Fantasma è un’opera sonora pubblicata dalla label audio bri-
tannica Touch e prodotta nel 2011 dalle registrazioni che Chris Watson ha
realizzato mentre lavorava come responsabile del suono per il programma
della BBC Great Railway Journeys programme. Consiste in dieci tracce della
durata compresa tra 3 minuti e 15 secondi e 10 minuti e 16 secondi. Ogget-
to delle registrazioni, è la linea ferroviaria ora chiusa ed appartenente alla
compagnia ora privatizzata e segmentata Ferrocarriles Nacionales de México
(Fnm), che realizzava un collegamento a spirale dalla costa del Pacifico a quel-
la dell’Atlantico seguendo un percorso tortuoso di oltre 2400 km da Los Mo-
chis sul Pacifico attraverso il Copper Canyon nella Sierra Madre Occidentale
e scendendo fino a Chihauhua City (1.500m.). Da qui, la linea si inoltra verso
sud attraverso la pianura centrale e il deserto di Chihuahua verso Durango,
108 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

Fantasma nasce dall’esplorazione, costruita sulla materiali-


tà ‘fugace’ del suono, della linea ferroviaria che unisce Los
Mochis a Veracruz, dalla costa pacifica a quella atlantica in
Messico. Tra gli ultimissimi viaggiatori di questa tratta, chiu-
sa definitivamente nel 1999, Watson decide di raccontare
un percorso che non coincide con il viaggio di questo treno
fantasma, ma che si concentra invece sul suo disarticolarsi,
sul dissolversi di questa traccia fisica, che richiama una mol-
teplicità di apparenze generate dall’ascolto.
La densità di questo processo è costruita sull’immagi-
nazione dell’assenza del treno, che riecheggia una concreta
quantità di presenze. Materialità ed invisibilità richiamano
una l’altra in una sorta di narrazione parallela ed incrociata:
da una parte il senso di vuoto e di ineffabilità dello spazio,
dall’altra il suono di un treno che è ancora intelligibile, ma
che si dissolve nella cadenza ritmica della sua materialità e
nei processi della sua produzione. Osserva a tal proposito
Voegelin:

Il contatto tra le ruote e la pista, il loro rapporto di pro-


pulsione, che normalmente riproduce il suono della funzione
della macchina, viene modificato e manipolato fino a perdere
la traccia e il suo scopo, per diventare il suono di un movi-
mento fugace che si avvicina, passa e svanisce. La composi-
zione di Watson non si espande nello spazio, ma si muove
nel tempo per creare un luogo che fonde il passato con la
sua immaginazione, per creare un’ora che è plurale e mobile.
Distese di nulla sono punteggiate e definite dalla materialità
di un treno che ha perso la sua forma definita e si allunga nella
mia immaginazione. In questo modo, la composizione come
documento crea la propria realtà dalle possibilità delle sue
interpretazioni60.

Aguascalientes e Città del Mexico prima di dirigersi verso est in direzione


dell’Istmo di Tehuantepec per Veracruz ed il Golfo del Messico. Lungo que-
sto tragitto, la ferrovia attraversa montagne, deserti, miniere e villaggi indige-
ni, tagliando campagne e foreste di pini. Cfr. C. Watson, El Tren Fantasma,
Touch, 2011. [Music CD].
60
“The contact between wheels and track, their propelling relationship,
which normally sounds the function of the machine, is edited and manipula-
THE THIRD SOUNDSCAPE: I LUOGHI ABBANDONATI DEL SUONO 109

Attraversando tutti questi luoghi, Watson racconta di un


tempo passato, in cui i binari tagliando montagne, deserti,
pianure, città e villaggi hanno segnato nuovi territori e de-
finito rotte e tragitti di corpi: il suo treno fantasma è un’eco
spettrale, malinconica di un tracciato che ora all’infinito pro-
cede verso il nulla, senza destino né destinazione. Il treno
fantasma è un convoglio che non connette luoghi, che non
ha un luogo di provenienza né di fine corsa, non ha un suolo
su cui insistono i suoi binari né alcuno scopo di viaggio. Non
affonda il suo tracciato nel terreno, non ha direzione, ma
procede passo dopo passo all’infinito, in una estrema deriva.
Se lo spazio di questo tragitto è dunque vuoto e sconfi-
nato, annullato nella sua dimensione fisica ma infinitamente
proteso verso luoghi irraggiungibili, il tempo è possibile e
‘reale’ al tempo stesso. I ritmi del treno, il suo sbuffare, cigo-
lare, sferragliare, fischiare, scricchiolare, ma anche il silenzio
catturato nell’immobilità di una pianura sterminata o in un
campo abbandonato, nel ronzio degli insetti o nel risuonare
dei passi di qualcuno, in questo paesaggio sonoro che è reale
ed immaginario allo stesso tempo, che invade il nostro spazio
acustico di ascoltatori ma che non ci dà riferimenti su dove,
in effetti, siamo.
Tutto questo contribuisce a definire un tempo stratifica-
to in cui i livelli del passato, del presente e degli intervalli
in-between si sovrappongono e costruiscono la narrazione
della presenza e dell’assenza, della materia e dell’invisibile.
Di un treno che non esiste e che percorre un paesaggio im-
maginario che sfocia nel nulla. La materia del suono, qui, si
rivela proprio nella sua fugacità temporale: è tutto ciò che
è stato abbandonato e che ricostruisce attraverso il tempo

ted to lose the track and its purpose, to become the sound of an ephemeral
motion coming closer, passing by, and vanishing. Watson’s composition does
not expand in space but moves in time to create a place that merges the past
with its imagination to create a now that is plural and mobile. Expanses of
nothing are punctuated and defined by the materiality of a train that has lost
its certain shape and elongates itself into my imagination. In this way, the
composition as document creates its own reality from the possibilities of its
interpretations”. S. Voegelin, Sonic Possible Worlds, p. 19 (trad. it. mia).
110 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

l’immaginazione di ciò che è stato, ma in maniera differente.


In questo soundscape emergono elementi che richiamano alla
memoria frammenti e sensazioni che appartengono al sentito
di ognuno di noi, come il latrato di un cane o il ronzio del-
le zanzare, e oggetti che rimangono senza forma, senza un
nome o un contorno preciso.
Dettagli vividi o sfocati che si perdono nella deriva di un
ascolto che trova origine dal percorso di viaggio del treno
fantasma, ma che trasmuta poi nei mondi sonori costruiti
su ciò che ogni ascoltatore sente ed ha sentito, sulle cose
immaginate, su ciò che potrebbe generarsi e confonder-
si nell’ascolto del muggito di una vacca immaginaria o di
un’eco lontana persa nell’infinita pianura attraversata dal
convoglio.
In questo spazio in cui agiscono forze diverse e comples-
se, la mobilità del suono e l’immobilità del paesaggio silente
che si dilata fino a diventare paesaggio interiore, il tempo del
suono diventa agente di materialità, nella sovrapposizione di
molteplici livelli d’ascolto, di contingenza e di reciprocità.
Non siamo obbligati a procedere oltre, in questo viaggio, ma
abbiamo la possibilità di fermarci, di immergerci e perderci
in questa deriva, di abitare un tempo che crea questo tempo.
All’interno di questo paesaggio, i livelli temporali del per-
corso del treno fantasma si palesano ed echeggiano a loro
volta altri livelli che potrebbero essere celati ed ai quali po-
tremmo accedere attraverso ulteriori viaggi sonori. In questi
intermundia, il paesaggio riecheggia la sua complessità di
ambiente sonoro costruito sull’esperienza:

[...] il paesaggio si rivela come una molteplicità di mondi fat-


ti di tempi e spazi che abitiamo in un universo di ambienti con-
tingenti, la cui realtà attuale non prevede necessariamente la
pluralità di tutto ciò che potrebbe essere, ma comprime quello
che potrebbe essere in ciò che esiste nel significato nominale61.

61
“[...] the landscape is revealed as a multiplicity of worlds made from
times and spaces that we inhabit as a universe of contingent environments,
whose present actuality does not necessarily involve the plurality of all that
THE THIRD SOUNDSCAPE: I LUOGHI ABBANDONATI DEL SUONO 111

È interessante notare come la relazione tra suono e


paesaggio in El Tren Fantasma sia oggetto di analisi che ne
individuano una rilevanza anche di tipo mediale, come emer-
ge dalla riflessione di George Revill:

Per quanto concerne il paesaggio, attribuire un privilegio


ontologico nel differenziare in senso storico e geografico spe-
cifiche modalità di fare esperienza e di creare il paesaggio è
congruente con un’idea di paesaggio come mediazione, come
mezzo e medium di comunicazione. Qui, il paesaggio potrebbe
essere pensato nella sua specificità storica e geografica come un
insieme o dei regimi di pratiche e conoscenze che comunicano
un modo particolare di fare esperienza del mondo attraverso la
loro forma incarnata come un assemblaggio discorsivo, contin-
gente e significativo di topografia, pratica e rappresentazione
simbolica62.

In questa prospettiva, il suono ed il paesaggio vengono con-


siderati come media le cui ‘proprietà’ di comunicazione sono
difficili da determinare al di fuori della particolarità dell’espe-
rienza. Facendo leva sui critical sound studies e sull’orizzon-
te concettuale sviluppato dall’indagine di Brandon LaBelle,
Revill sottolinea come l’esperienza mediata del suono possa
essere considerata sia in relazione alle sue proprietà percettive
e fisiche di embodiement, sia in riferimento alle pratiche social-
mente e culturalmente ‘posizionate’ di fare suono, di ascoltare,
di sentire e di ricezione63. A partire dalla lettura fenomenolo-

could be, but compresses what could be into what exists in nominal signifi-
cance”. Idem, p. 21 (trad. it. mia).
62
“Where landscape is concerned, giving ontological privilege to diffe-
ring historically and geographically specific ways of experiencing and making
landscape is congruent with an idea of landscape as mediation, a means and
medium of communication. Here landscape might be thought in its historical
and geographical specificity as sets or regimes of practice and knowledges
which communicate a particular way of experiencing the world through their
embodied form as a contingently meaningful discursive assemblage of topo-
graphy, practice and symbolic depiction”. G. Revill, El Tren Fantasma: Arcs of
Sound and the Acoustic Spaces of Landscape, “Transactions of the Institute of
British Geographers”, vol. 39, n. 3, 2014, p. 340 (trad. it mia).
63
Cfr. B. LaBelle, Acoustic Territories.
112 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

gica del suono in senso critico da parte di LaBelle, che può


essere declinata in termini storici64, culturali65, e sociali66, Revill
postula come ascoltare il treno fantasma di Watson in questo
contesto implichi un coinvolgimento nella specificità storica
e geografica del paesaggio, del suono e della pratica d’ascol-
to. Un approccio, cioè, informato alla nozione di percezione
come simultaneamente affettiva e riflessiva, come un processo
corporeo di produzione di senso, secondo la prospettiva indi-
viduata anche da Nancy67.
Per sostenere la sua argomentazione, Revill richiama le
proprietà di connessione possedute dal suono stesso in sé,
attraverso il concetto di arcs of sound, definito rileggendo l’in-
dagine intorno ai legami associativi sonori posta in essere da
Brandon LaBelle. Se il suono, considerato come evento spa-
ziale, è un elemento promiscuo, dal momento che esprime la
possibilità di trascendere, trasformare e istituire associazioni
eterogenee che forniscono elementi per ‘comprendere’ il pae-
saggio sonoro prodotto dal treno fantasma, queste dinamiche
associative, sostiene LaBelle, sono delle chiavi per capire le
modalità attraverso le quali il suono produce esperienze geo-
grafiche peculiari di connessione e disconnessione. All’inter-
no dello spazio acustico, queste esperienze si manifestano in
maniera intensiva e diffusa perchè si originano, riverberano,
risuonano, riecheggiano e si spengono con modalità comples-
se ed imprevedibili. Da una parte, i suoni rimangono associati
alla loro fonte originaria di provenienza, dall’altra però essi
vivono di vita propria, fondendosi separatamente e costante-
mente con altri suoni, come elementi in continuo movimento
e fluttuazione “dentro e fuori fuoco e nitidezza”68.

64
Cfr. J. Sterne, The Audible Past: Cultural Origins of Sound Reproduction,
Duke University Press, Durham, NC 2003.
65
S. Connor, Making an Issue of Cultural Phenomenology, “Critical Quar-
terly”, vol. 42, n. 1, 2000, pp. 2-6.
66
G. Born, Music and the Materialization of Identities, “Journal of Mate-
rial Culture”, vol. 16, n. 4, 2011, pp. 376-388.
67
J.-L. Nancy, À l’écoute.
68
“[...] in and out of focus and clarity”. B. LaBelle, Acoustic Territories,
p. XIX (trad. it mia).
THE THIRD SOUNDSCAPE: I LUOGHI ABBANDONATI DEL SUONO 113

È evidente che in questa prospettiva, in cui i suoni possono


essere considerati come degli eventi spazio-temporali, sotto
forma di archi di movimenti ritmici che collegano due
punti nel tempo, acquista particolare rilevanza il senso della
traiettoria attraverso il quale Watson struttura il paesaggio
in un ambiente sonoro complesso come El Tren Fantasma.
È una concezione che riecheggia l’intuizione di Deleuze e
Guattari, secondo i quali il ritmo è la qualità della differenza
prodotta dalla ripetizione periodica:

La conoscenza uditiva è una spinta epistemologica radicale


che si svolge come un evento spazio-temporale: il suono apre
un campo di interazione, per diventare un canale, un fluido, un
flusso di voce e di urgenza, un copione drammatico, di mutua-
lità e di condivisione, per costruire in ultima analisi una micro-
geografia del momento, mentre sempre sta già per scomparire,
come una propagazione distributiva e sensibile69.

La tesi di Revill è che il viaggio del treno fantasma produ-


ca assemblaggi comunicativi eterogenei con un determinato
grado di stabilità e coerenza ontologica, che si propagano,
si trasmettono, si irradiano, si trasformano e si diffondono
attraverso diverse topografie70.
Se consideriamo questi suoni come dei loop costituiti da
articolazioni eterogenee di pratiche, artefatti ed individualità
sociali e materiali, troveremo che essi generano sia la diffe-
renza che le relazioni spaziali territoriali in cui la differenza
acquista significato71. Ne consegue che la comunicazione
tra quelli che Deleuze e Guattari definiscono come milieu72

69
Idem, p. XVII (trad. it mia).
70
A proposito del carattere ontologico di questi processi, Revill scrive:
“the rhythmic qualities of sound to combine and differentiate across hetero-
geneous time-spaces may be understood as linking apparently separate realms
of existence not merely as the epiphenomena of tacit underlying processes but
as themselves a set of ontologically generative processes” (G. Revill, El Tren
Fantasma, p. 349).
71
Ibidem.
72
Brian Massumi suggerisce come “milieu”, nella teoria di Deleuze e
Guattari, possa essere considerato un termine “tecnico”, che combina i tre
114 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

diventa una coordinazione tra spazi-tempi che sono etero-


genei73. Questi loop diventano così una forma di agire sul
territorio organizzandolo, registrandone ed iscrivendone la
comprensione dei significati e generando mondi attraverso le
possibilità e le trasformazioni. Questi significati vanno oltre
la barriera delle strutture linguistiche, proprio perchè, come
asserisce Nancy, le proprietà del suono, come quelle della
stretta relazione con il ritmo, forniscono un novero di possi-
bilità che ci permettono di trascenderla.

significati della parola in francese: “dintorni”, “medium” (come in chimica)


e “mezzo” (in senso spaziale). Esso è, come il caos, composto di “mezzi” che
non sono nè unità e nè tuttavia territori in qualche senso, ma dimensioni, o
piuttosto direzioni in movimento. Cfr. B. Massumi, Notes on the Translation
and Acknowledgments, in G. Deleuze & F. Guattari, A Thousand Plateaus:
Capitalism and Schizophrenia, tr. B. Massumi, Continuum, London 2004, pp.
XVI-XX. Come fanno notare Bertelsen e Murphie, nel milieu c’è un significa-
tivo spostamento nell’organizzazione, trattandosi di una forma di organizza-
zione ciclica durevole: ogni milieu ha un carattere vibrazionale, vale a dire
che esso è una direzione in movimento che forma un blocco di spazio-tempo
costituito dalla ripetizione periodica del componente. Cfr. L. Bertelsen & A.
Murphie, An Ethics of Everyday Infinities and Powers: Felix Guattari on Affect
and the Refrain, in M. Gregg & G. J. Seigwort (eds.), The Affect Theory Rea-
der, Duke University Press, Durham/London, pp. 138-160. Ancora Bertelsen
e Murphie scrivono: “This is why Milieus and Rhythms are born from chaos
together – ‘Rhythm is the milieus’ answer to chaos’. Think of the waves of the
sea crashing on the shore. Rhythm, or what Deleuze and Guattari also call
‘rhythm-chaos or the chaosmos’ occurs between the sea and the shores, or
the many other milieus that constantly transcode and transduce each other.
This is why a milieu is totally relational – not a thing in itself” (L. Bertel-
sen, cit. in A. Murphie, Milieu, Rhythm, Refrain, Territory, “Adventures in
Jutland”, [blog entry], 08 settembre 2013, http://www.andrewmurphie.org/
blog/?p=426, (ultimo accesso 30 settembre 2016)).
73
Si fa evidente ora la consonanza tra l’intuizione degli “arcs of sound”
di LaBelle e la teoria di Deleuze e Guattari intorno ai milieu: “Così il vivente
ha un ambiente esterno che rinvia ai materiali, un ambiente interno che rinvia
agli elementi di composizione e alle sostanze composte, un ambiente interme-
dio, che rinvia alle membrane e ai limiti, e un ambiente annesso, che rinvia
alle fonti d’energia e alle percezioni-azioni” …the living thing has an exterior
milieu of materials, an interior milieu of composing elements and composed
substances, an intermediary milieu of membranes and limits, and an annexed
milieu of energy sources and actions-perceptions”. (G. Deleuze & F. Guattari,
Millepiani, p. 461-462).
THE THIRD SOUNDSCAPE: I LUOGHI ABBANDONATI DEL SUONO 115

Nelle sue relazioni di densità ed intensità con gli spazi ed


i luoghi, il suono diventa elemento fondativo nelle dinamiche
di ricognizione del sé e dell’altro:

Ma quale può essere lo spazio comune al senso e al suono? Il


senso consiste in un rinvio. È persino formato da una totalità di
rinvii: da un segno a qualcosa, da uno stato di cose a un valore,
da un soggetto a un altro soggetto o a se stesso – tutto simulta-
neamente. Il suono è fatto anch’esso di rinvii: si propaga nello
spazio in cui risuona proprio mentre risuona, come si dice, “in
me”...74

Si può concludere, dunque, che i concetti di suono e di


ritmo possono essere riconfigurati come componenti chiave
nell’ambito di questi processi ontologici75 attraverso i quali
si intrecciano una molteplicità di elementi socio-materiali
come frammenti di esperienze spaziali, temporali e di con-
seguenza culturali.
Gli arcs of sound su cui è costruito il viaggio sonoro di
Watson lungo la ferrovia fantasma possono essere conside-
rati come elementi costitutivi di una esperienza specifica e
complessa di paesaggio, in cui il treno funziona, conclude
Revill, come “medium, messaggio e senso di affezione ed una
riflessione ponderata”76.

74
J. L. Nancy, All’ascolto, tr. E. Lisciani Petrini, Raffaello Cortina, Milano
2004, p. 13.
75
Ancora Revill sottolinea il carattere di intrinseca creatività, coerenza e
stabilità di queste formazioni ontologiche al livello dell’esperienza, citando
il pensiero di Barad nell’ambito della sua discussione sulle qualità ontolo-
gicamente generative dei pattern di diffrazione ed interferenza a partire dal
saggio di Judith Butler sulla performatività: “the primary ontological units
are not ‘things’ but phenomena – dynamic topological reconfigurings/ entan-
glements/ relationalities/”. Cfr. G. Revill, El Tren fantasma, p. 346; K. Barad,
Posthumanist Performativity: How Matter Comes to Matter, “Signs. Journal of
Women in Culture”, vol. 28, n. 3, 2003, pp. 801-831; e infine, come riferimen-
to a Barad, J. Butler, Performative Acts and Gender Constitution: An Essay in
Phenomenology and Feminist Theory, “Theatre Journal”, vol. 40, n. 4, 1988,
pp. 519-531.
76
“medium, message and experience as a sense of feeling and a conside-
red reflection”. G. Revill, El Tren Fantasma, p. 344 (trad. it. mia).
116 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

Analizzato sia attraverso la prospettiva offerta da Voege-


lin che da quella di Revill, El Tren Fantasma rivela tutta la
forza di un ambiente sonoro complesso in cui si intersecano
dinamiche, relazioni, livelli che espandono ed estendono lo
spazio ed il tempo di cui possiamo fare esperienza attraverso
il suono, facendo emergere geografie affettive, critiche e rela-
zionali che finiscono per interrogare i significati cristallizzati
dal linguaggio.
L’intreccio tra soundscape e viaggio ferroviario ha cono-
sciuto nella postmodernità altre narrazioni acustiche, almeno
a partire dal celebre viaggio in treno di John Cage in Italia,
speso tra Bologna, Porretta Terme, Rimini e Ravenna77, senza
soffermarsi sull’epica musicale dei treni negli Stati Uniti, dopo
la guerra civile, di cui parla, tra gli altri, Giampiero Cane78.
Ma se Cage, nell’estate del 1978, decide di trasformare il
treno in uno strumento musicale, costruendo un percorso so-
noro e fisico generato dalla stratificazione della com-presenza
di diversi livelli: sonori (suoni meccanici, musica a bordo e
nelle stazioni), relazionali (viaggiatori, musicisti a bordo e
visitatori nelle stazioni) e critici (ascolto come azione e su-
peramento delle sovrastrutture culturali predeterminate), il

77
Nel giugno del 1978, John Cage, su invito di Tito Gotti, realizza in
Emilia Romagna un progetto basato sulla sonorizzazione di un treno nel corso
di tre escursioni differenti lungo alcune linee poco trafficate delle Ferrovie
dello Stato. Scrive Giampiero Cane: “[Cage] Volle microfoni che riprendes-
sero stridii, cigolii e il continuo assestamento dei ferri delle vecchie carrozze e
portò tutta questa sonorità all’interno del treno nel quale imperturbabilmente
fluiva la musica elettronica registrata su cassette da Juan Hidalgo e Walter
Marchetti, ch’egli aveva voluto come collaboratori. Fu un treno a due facce:
autosufficiente all’interno, ma esplosivo verso l’esterno quando si fermava,
nelle stazioni in cui era previsto lo facesse, dove trovò sempre ad accoglierlo
un pubblico sorprendentemente numeroso, con gruppi folk locali o la banda
del paese” (G. Cane, Sul binario dell’immaginario, in O. Rubini & M. Simoni-
ni (a cura di), Alla ricerca del silenzio perduto. Il treno di John Cage, Bologna,
Baskerville 2008, p. 22).
78
Tra le storie citate (idem, p. 20), il transcontinentale Pacific 231 celebra-
to dalla musica di Arthur Honegger (1923), le note del treno di Glenn Miller
sul set de film Sun Valley Serenade (1941) e quelle di Take the A Train di Billy
Strayhorn per il Duca (1941). Treni tutti narrati attraverso fotografie o filmati
sonori in quanto mezzi di trasporto.
THE THIRD SOUNDSCAPE: I LUOGHI ABBANDONATI DEL SUONO 117

treno di Watson insiste su un terreno definito dall’assenza,


dall’abbandono, su un percorso straniante, svuotato del suo
carico umano e proiettato in una tortuosa tratta senza punto
di partenza né destinazione79.
Un percorso, a cui si può accostare, per certi versi, l’esplo-
razione sonora condotta nel 2012 da Signe Lidén in Irpinia,
lungo la tratta ferroviaria sul punto di essere dismessa che
da Avellino porta a Benevento, attraversando i vigneti del
Greco di Tufo e l’area delle miniere di zolfo di Altavilla Ir-
pina80. Questa linea, la cui chiusura segue di qualche tempo
l’abbandono dell’altra tratta ferroviaria del vino in Irpinia, la
Avellino-Rocchetta Sant’Antonio, viene ripercorsa attraverso
un viaggio acustico generato dal suono dei treni, dei binari,
delle stazioni, dei viaggiatori e dalle parole di uno degli atti-
visti impegnati nel tentativo di salvare il collegamento ferro-
viario. Il lento incedere di questa intervista è solo una breve
interruzione in una composizione sonora che, nell’avanzare
del treno attraverso i vigneti deserti, le miniere abbandonate

79
Come fa notare, a proposito del viaggio di Cage, anche Carlo Infante:
“Vogliamo conoscere e non solo riconoscere. Vogliamo espandere la nostra
dimensione cognitiva potenziandola con quella percettiva. È qui il punto. L’a-
scolto è una soglia attraverso cui si accede al mondo e questo comporta una
coscienza che fa della percezione un valore decisivo, quello filogeneticamente
primario, per conoscere” (C. Infante, Il teatro dell’ascolto 2.0, in O. Rubini &
M. Simonini (a cura di), Alla ricerca del silenzio perduto. Il treno di John Cage,
Bologna, Baskerville 2008, p. 39).
80
Presentato per la prima volta sotto forma di performance live ed in-
stallazione di vecchie radio nel centro storico del villaggio di Tufo durante
il festival FARM/Interferenze nel 2012, questo lavoro è stato poi riproposto
sotto forma di installazione in Past Tracks, così presentata dall’artista: “Past
Tracks is a radio essay about absence. It contains sonic memories from the
train line between Avellino and Benevento, a line also called il treno irpino
del paesaggio. The rail line between Avellino and Benevento was shut down
in October 2012. What impact does the closing of the rail lines has on the
area? The soundscape of the area has certainly changed; the station bells are
mute, the barrier at the level crossings does not ring, no drone of a train in
the distance, or its horn, will be heard. But does it matter? Is it just a sign
of an inevitable change and to wish for its return is nostalgia?” (S. Lidén,
Radio Essay, past tracks, [blog entry], 2014, http://pasttracs.wordpress.com/
radio-essay/, (ultimo accesso 30 settembre 2016); cfr. anche http://bit.ly/
past_tracks_Liden, (ultimo accesso 30 settembre 2016)).
118 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

e le gole dello stretto di Barba, il luogo della leggenda delle


Janare, rivela un paesaggio sonoro dell’assenza, una geografia
spettrale in cui risuona il senso di perdita81.
In questo percorso, il suono non riecheggia l’intensità
temporale del treno fantasma di Watson, costruita sull’ad-
densamento dei livelli acustici, ma tutto scorre in una narra-
zione per sottrazione, in cui i processi corporei perdono con-
sistenza, gli orizzonti spaziali sembrano recedere e l’attraver-
samento stesso di questi luoghi ‘sospesi’ lascia emergere un
senso di temporalità differente, che ne definisce il paesaggio
sonoro in base alla distanza. Anche quello generato da Si-
gne Lidén è un ambiente sonoro complesso, ma qui il suono
sembra perdere ulteriormente spessore fisico, slittando verso
una topofonia dell’assenza.
La connessione intima tra suono e luogo rivelata in que-
sto viaggio, più che suggerire un’esperienza acustemologica
dell’ascolto o definire un rapporto e un legame affettivo tra
spazio, luogo, suono e sentimento enfatizzando la ‘presenza’82,
trova una controparte latente, spettrale, nascosta, nel momen-
to in cui essa si confronta con luoghi abbandonati e con pa-
esaggi sonori in via di dismissione, in cui ciò che è presente
si rovescia nell’assenza e nella perdita. I feedback meccanici
dei binari, i cinguettii degli uccelli degli uccelli o l’affastellar-
si dell’eco dei campanacci degli ovini in transumanza, il loop
dell’avviso di chiusura di un passaggio a livello, lo stridere dei
freni e le basse frequenze del motore, il silenzio che si espande
nei campi a treno fermo, fino al suono ripetitivo del campanel-
lo finale: è un paesaggio sonoro che vive di fugaci, esili impulsi
che svuotano lo spazio acustico, privandolo della densità fisica
di quello costruito da Watson in El Tren Fantasma.

81
Le streghe che popolano racconti e credenze in tutta l’area di Benevento
e in altre zone della Campania.
82
È il legame che John Drever definisce come “topophonophilia” (J.
Drever, Topophonophilia: a Study on the Relationship between the Sounds of
Dartmoor and the People Who Live There, in A. Carlyle (ed.), Autumn Leaves:
Sound and the Environment in Artistic Practice, Double Entendre, Paris 2007,
pp. 98-100).
THE THIRD SOUNDSCAPE: I LUOGHI ABBANDONATI DEL SUONO 119

Attraversare questi luoghi nella prospettiva dell’ascolto


offerta da Signe Lidén significa dunque non tanto richiedere
un senso di intimità corporea, ma piuttosto sperimentare il
senso di perdita che si genera nella spettralità del paesaggio
sonoro. Si tratta di un’istanza veicolata attraverso l’interro-
gazione che il suono svolge intorno al concetto di luoghi ab-
bandonati e di Tiers-Paysage, ricordando quanto attraverso
di esso sia possibile fare esperienza dell’assenza ed abitarne
i suoi spazi vuoti.
L’ascolto, all’interno di questi territori, rende udibile ciò
che è assente o intangibile, lascia affiorare elementi residuali
nella geografia delle rovine, raccontando di un passato in-
visibile, a partire dal quale è possibile immaginare – para-
frasando le parole di David Toop – un futuro ‘ascoltato’ su
scala globale83. È nell’attenzione ai frammenti, agli interstizi
sonori ed ai silenzi di questi spazi che si prefigurano gli sce-
nari in cui emergono nuove visioni future.
Il Terzo Paesaggio Sonoro si riconfigura così, ancora una
volta, nei termini di uno spazio critico in cui concetti come
il posizionamento corporeo, la linearità temporale, ma anche
la natura e la mediazione dei significati, la loro produzione,
trasmissione, trasformazione e disseminazione nei paesaggi,
attraverso lo spazio ed il tempo e per il tramite di una molte-
plicità di forze e di agenti, possono essere messi in discussio-
ne attraverso l’esperienza e la pratica del suono.

83
“[A] residue is collected from a ruin, suggestive of its secret past as an
eavesdropper listening on a global scale, yet constructing a future from the
relevance of the site for contemporary concerns” (D. Toop, Sinister Resonan-
ce, p. 229).
Capitolo terzo
Gli spazi sonori della ruralità

1. Field recording: ascoltare la ruralità

Accostarsi ad un territorio attraverso la pratica dell’ascol-


to implica una profonda immersione nelle situazioni, negli
eventi, nelle storie, negli elementi che lo raccontano. È un
processo che richiama modalità di sentire che invitano ad
espandere la “percezione del suono, includendo il suo conti-
nuum spazio-temporale e facendo esperienza della sua vastità
e della sua complessità nella maniera più ampia possibile”1.
Si tratta di una vera e propria pratica di deep listening, così
come definita da Pauline Oliveros, che implica un livello di
profondità e di attenzione rispetto alle risonanze corporee e
mentali del suono, tale da generare dinamiche e tensioni la
cui materialità affiora pienamente nella dimensione invisibile
dell’ascolto.
È una pratica che trova estensione nelle registrazioni
d’ambiente, il field recording, quando esse si svincolano dal
carico di oggettività del processo stesso di registrazione,
veicolato fisicamente dall’intrusione in uno spazio acustico
di uno o più dispositivi audio, per attivare dinamiche gene-
rative e di profonda immersione nei luoghi e nei territori.
1
L’invito di Oliveros si riferisce alla necessità di espandere “[the] per-
ception of sounds to include the whole space/time continuum of sound-en-
countering the vastness and complexities as much as possible” (P. Oliveros,
Deep Listening, p. XXIII).
122 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

Attraverso il field recording, si attiva così un processo di ri-


chiamo e di disvelamento degli elementi che ruotano attorno
alla registrazione, intesa come procedura di archiviazione di
onde audio in forma analogica o digitale e che includono le
relazioni fisiche e mentali con la materia.
In questo senso, la registrazione favorisce la possibilità
di un ascolto aumentato, attraverso il quale ci si accosta ai
territori interrogando processi e segnali spazio-temporali
definiti dagli approcci visivi. Prolungando elasticamente
i propri confini, l’ascolto di un territorio diventa così esso
stesso territorio, come ha fatto notare Mark Peter Wright:
“Il classico studio scientifico sul campo richiederebbe di fis-
sare un quadrante a terra e analizzare quella particolare area
in dettaglio. Come inquadreresti il suono e l’ascolto? Non
è possibile certamente farlo, e questa è la sua bellezza – il
suono fugge sempre dalla sua situabilità”2.
Il field recording apre lo spazio dell’ascolto ad una di-
mensione espansa, in cui immaginazione ed immersione
sensoriale, riconfigurazione critica e relazione affettiva si
intersecano. Le pratiche estetiche amplificano la profondità
di questo processo, nell’incontro con le immagini, con gli
oggetti fisici, con i testi letterari ed attraverso le performan-
ce, le installazioni, che estendono la risonanza fenomenolo-
gica dei suoni, intensificando il senso stesso dell’esperienza
dell’ascolto.
In Field recordings, narrazione letteraria e fotografica
dell’ascolto di un territorio rurale di Matthew Fluharty e
Richard Saxton, queste dinamiche di deep (and expanded)
listening emergono dalle pieghe della pagina scritta e dalla
narrazione visiva, per restituire in maniera aumentata il senso

2
“The classic scientific field study would be to throw a quadrant on the
ground and analyze that particular area in detail. How do you throw a squa-
re around sound and listening? You can’t really, and that’s the beauty of it
– sound is always escaping its situation”. J. Cowley, Listening as Territory,
MusicWorks, Issue 114, 2015, https://www.musicworks.ca/featured-article/
sound-bite/listening-territory (trad. it. mia), (ultimo accesso 30 settembre
2016).
GLI SPAZI SONORI DELLA RURALITÀ 123

di un’esperienza in cui il suono rappresenta il filo conduttore


di un racconto sospeso tra risonanze e presenze materiali:

Zero. The tape begins


its long count from black start
to black end, wound in circles within the reel.
This new dark country:
a shock of horizon, pastures of cattle.
Everywhere, something that can hear you3.

Nell’oscurità del suono, la scrittura lascia affiorare i tratti


di un paesaggio opaco ed imperscrutabile, in cui la presenza
umana sembra perdere consistenza, sovrastata da una plu-
ralità di elementi senzienti. Il nastro scorre e registra mo-
vimenti invisibili nello spazio acustico illimitato dei campi
degli high plains, rivelando in superficie vibrazioni e riflessi
nascosti. È un orizzonte che si espande e si amplifica, rive-
landosi nello spazio in between tra il testo scritto ed il suono,
livello invisibile che porta in evidenza le relazioni, le azioni,
le dinamiche del paesaggio rurale. In questo flusso dialogico,
la scrittura diventa “the other side of sound”, come arguisce
Daniela Cascella: essa non cerca risposte, ma riecheggia do-
mande a domande e amplifica progressivamente i livelli di
complessità dell’esperienza4.

They say
we live in a multiverse
infinite space, finite material, each field
bound to fugue, with or without our voice,
each cloud bound to chord, each scythe to circle5.

3
M. Fluharty, Field Recordings, in M. Handwerker & R. Saxton (eds.), A
Decade of Country Hits: Art on the Rural Frontier, Jap Sam Books, Heijningen
2014, p. 309.
4
D. Cascella, Writing Sound, Part 2, “en abîme”, [blog entry], 22 no-
vembre 2011, http://enabime.wordpress.com/2011/11/22/writing-sound-
part-2/, (ultimo accesso 30 settembre 2016).
5
M. Fluharty, Field Recordings, p. 322.
124 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

Si attraversa un territorio che muta con l’esperienza


dell’ascolto, nel momento in cui essa viene riecheggiata dalle
parole, attraverso il riferimento a livelli diversi di risonanza,
di pensiero, di modalità di abitare e percorrere i paesaggi
rurali raccontati.
Non esiste un modo univoco di esperire lo spazio mul-
tiverso ed infinito evocato da Fluharty, proprio perchè esso
non è solo spazio fisico ed acustico, ma è anche spazio del
ricordo, dell’assenza, strettamente legato all’atto di ri-con-
figurare la memoria, nell’evocazione del suono attraverso la
scrittura.
In questo attraversamento, i Field Recordings di Fluharty
e Saxton insistono sul crinale di una latente interrogazione in
senso critico dell’approccio alla ruralità contemporanea, ri-
spetto alle narrazioni costruite sulle rovine di un passato che
aleggia costantemente e che lascia emergere dalle pieghe di
questo territorio una serie di ‘dissonanze’ spazio-temporali:

[...] did we destroy the selfsame voice we recorded?


In the by and by
it’s the same old song:
everything we have rendered, we have rent6.

Nella problematizzazione del rapporto con la memoria e


con gli archivi del passato, le pratiche estetiche riposiziona-
no la ruralità nell’alveo delle narrazioni contemporanee, nei
termini di una componente che mette in questione gli assio-
mi della modernità, che la relegano ad appendice residuale
dei processi politici, economici e culturali definiti su scala
globale.
Il lavoro di Fluharty, Saxton e degli altri artisti del col-
lettivo M12, che opera negli altipiani del Colorado, è foca-
lizzato su questa espansione in senso critico dello spazio in
cui insistono ruralità ed arte, con riferimento specifico alla
ruralità americana contemporanea. Si tratta di una serie di

6
M. Fluharty, Field Recordings, p. 338.
GLI SPAZI SONORI DELLA RURALITÀ 125

prospettive che non possono non nascere dal confronto co-


stante con i concetti di tradizione e modernità, come scrive
Chris Sauter, ponendo l’accento sulla possibilità di consi-
derare queste pratiche all’interno dei discorsi inerenti l’arte
moderna dell’ultimo secolo:

Siamo arrivati ad un momento in cui il rifiuto modernista


del passato e il suo rapporto problematico con la natura do-
vrebbe finire. Molti artisti [...] sono alla ricerca di nuovo delle
tradizioni radicate nel rurale. Alcuni stanno aggiungendo la
loro esperienza personale non-urbana ad un dialogo globale,
lottando contro l’omogeneizzazione peripatetica che è il segno
distintivo della vita contemporanea. Questi artisti sono alla
ricerca di soluzioni all’ansia interagendo direttamente con la
terra e con le loro rispettive comunità. Questa esplorazione mi
sembra essere un vero e proprio cambiamento di paradigma.
L’avanguardia di oggi non è una rottura con il passato, non una
rottura delle radici. Si tratta di una vera linea diretta tracciata
dal passato. Dopo tutto, esiste un valore di millenni di cono-
scenza sepolto lì7.

Se da una parte Sauter pone nell’arte rurale il discrimine


rispetto ad una concezione modernistica e cosmopolitana as-
sociata alle inquietudini, alle ansie ed agli allineamenti della
globalità, dall’altra questa intuizione che oppone avanguar-
dia rurale e modernismo è alimentata da un paradigma che fa
del radicamento nella tradizione, di un rapporto ‘lineare’ con
il passato e di un approccio archeologico i suoi cardini. In

7
“We have arrived at a time when Modernist rejection of the past and
its problematic relationship to nature should come to an end. Many artists
[...] are looking back to traditions rooted in the rural. Some are adding their
personal non-urban experience to a global dialogue, fighting the peripatetic
homogenization that is the hallmark of contemporary life. These artists are
seeking solutions to anxiety by interacting directly with the land and with
their respective communities. This exploration seems to me to be a real pa-
radigm shift. The avant-garde of today is not a break from the past—not a
severing of roots. It is a true front line grounded by the past. After all, there
are millennia’s worth of knowledge buried down there”. C. Sauter, Wandering
the Back Forty: Some Ideas About a Rural Avant-Garde, “Art Lies”, vol. 65
Spring, 2010, p. 19 (trad. it. mia).
126 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

questo modo, essa elude ogni possibile revisione in senso cri-


tico e dinamico del concetto di ruralità e, conseguentemente,
delle idee di comunità ed identità alle quali si richiama.
Come riconosce lo stesso Sutton8, il termine “rurale” è di
per sè controverso, dal momento che il suo inquadramento
sfugge ad ogni vincolo geografico univoco e che esso viene
adoperato in contesti disparati per evocare, singolarmente o
in maniera combinata, autenticità ed utopia, anacronismo e
provincialismo, tradizione e senso di stabilità, appartenenza
ed estraniamento9. Una dichiarazione implicita dell’impossi-
bilità di definire una ‘categoria’ di ruralità è quella espressa
da Jennifer Davy, che scrive che il concetto di rurale “eredita
una certa qualità di tensione che mantiene intatta l’immensi-
tà della propria ‘alterità’ e della propria ‘identicità’: [esso] è
una posizione e non un luogo”10.
È in questa tensione che è possibile trovare il fondamento
di una ri-configurazione in senso dinamico della ruralità,
che consenta il superamento di una visione statica ed
identitaria che la vincola ad una serie di letture stereotipate e
marginalizzanti, come ha arguito Iain Chambers, attraverso
la teorizzazione di una “ruralità critica”:

Con gesto semplice ma profondo possiamo partire dall’idea


di una nuova ruralità; una ruralità che ci permette di rivalutare
radicalmente concetti abusati come “tradizione” e “identità”

8
C. Sutton, A Rural Avant-Garde, in M. Handwerker & R. Saxton (eds.),
A Decade of Country Hits: Art on the Rural Frontier, Heijningen, Jap Sam
Books, 2014, p. 181.
9
Tra gli studi che, nell’alveo dei rural studies, hanno contribuito a ridiscu-
tere il ruolo della ruralità all’interno dei processi della modernità, si segnale-
ranno in questa sede almeno R. Balfour, C. Mitchell & R. Moletsane, Trou-
bling Contexts: Toward a Generative Theory of Rurality as Education Research,
“Journal of Rural and Community Development”, vol. 3, n. 3, 2008, pp. 100-
111; ed il più esteso P. Cloke, T. Marsden & P. Mooney (eds.), Handbook of
Rural Studies, London, Sage, 2006.
10
“[The rural] inherits a certain quality of tension keeping intact the im-
mensity of its “otherness” and its “sameness” – it is a position not a place”
(J. Davy, Rural Economy: How Much for that Donkey or is that a Cow?, “Art
Lies”, vol. 65 Spring, 2010, p. 21).
GLI SPAZI SONORI DELLA RURALITÀ 127

ed esporli a un movimento critico in cui il paesaggio acquista


forme e possibilità diverse. Contro la sedimentazione di una
“rivoluzione passiva” composta da questi luoghi comuni, an-
drebbe spezzata quella continuità che promuove come destino
storico e culturale una visione statica11.

È importante, in questa prospettiva, riuscire a discernere


i punti di discontinuità e di interruzione del discorso lineare
costruito dallo storicismo intorno alla ruralità, proponendo
una “diversa poetica (e politica) del tempo”12. Entrare attra-
verso questo approccio all’interno del tessuto ricurvo di tale
narrazione significa, appunto, elaborare visioni che materia-
lizzino il senso rimosso di una storia desultoria e frantumino
opposizioni cristallizzate tra ciò che è tradizione e ciò che
appartiene alla modernità, aprendo nuovi ed inattesi esiti
linguistici costruiti sull’ibridazione e sul dinamismo di forze,
idee, corpi, agentività.
Se “le tradizioni come luoghi di trasformazione, di tra-
duzione e di transito stanno dentro la modernità, spesso
trascurate, rimosse e negate, ma comunque lì presenti come
l’inconscio”13, è vero che i territori rurali, così come le aree
marginalizzate e il profondo Sud del mondo, possono ridefi-
nire il proprio status nella dimensione liquida della contem-
poraneità, recuperando la dignità di soggetto del pensiero at-
traverso forme di autoconsapevolezza critica14. Le molteplici

11
I. Chambers, Irpinia blues: verso una ruralità critica, “Comunità provvi-
soria”, [blog entry], 29 giugno 2010, http://comunitaprovvisoria.wordpress.
com/2010/07/03/irpinia-blues-verso-una-ruralita-critica/, (ultimo accesso 30
settembre 2016).
12
Ibidem.
13
Ibidem.
14
Gayatri Spivak sviluppa una prospettiva che lega i subaltern studies ai
territori rurali, con specifico riferimento all’analisi della condizione dei bam-
bini nelle aree rurali emarginate del Sud del globo. Si tratta di un contributo
che spinge a ripensare lo spazio geografico d’azione di termini come “decolo-
nizzazione” o “postcoloniale”. In quali spazi desideriamo che i nostri impulsi
decolonizzanti ricadano realmente? In questa prospettiva, concentrare l’at-
tenzione sui fenomeni metropolitani/cosmopolitani come i media, le culture
tecnologiche o le culture popolari, nell’ambito di contesti non occidentali,
diventa un esercizio che prelude alla definizione degli strumenti critici che
128 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

questioni con le quali si relaziona la ruralità contemporanea,


sono dunque legate alla possibilità di recuperare un ruolo
attivo nell’ambito dei processi della modernità.
Una trasformazione che può avvenire solo nel caso in
cui chi abita e agisce in questi territori riesca a muovere da/
verso una cognizione critica legata alla rilettura dei processi
culturali, sociali, economici che avvengono al loro interno e
dei rapporti che si generano tra ruralità a centri di potere,
che tendono – appunto – a marginalizzare queste aree con-
siderate ‘interne’ e ad inquadrarle come semplici appendici
succedanee rispetto alle dinamiche economiche, culturali e
sociali della modernità. Questa visione evita qualsiasi rap-
presentazione nostalgica di una realtà persa per sempre o
che si cerca di conservare, tentando invece di ricollocare la
categoria del rurale nel milieu della modernità, come una
sua componente rimossa o subalterna o a volte rifiutata. Si
apre così uno spiraglio per ripensare la modernità alla luce
della ruralità, riconsiderando il ruolo centrale delle aree
rurali rispetto al pensiero dominante della cultura metro/
cosmopolitana.
In questa luce, andrà riconsiderata anche la questione dell’i-
dentità: liberata da una lettura monodimensionale alla quale è
spesso confinata, a mo’ di baluardo di bieche pulsioni territo-
riali, essa si innerva nel dinamismo di un movimento incessante
determinato dagli incontri, dalle migrazioni, non solo dall’ester-
no verso il territorio rurale, ma anche da esso verso i luoghi me-
tropolitani. Riletto in questa luce, il concetto di identità riattiva
un processo dinamico di ri-negoziazione del proprio senso del
passato e dell’appartenenza rispetto a qualcosa che non è più
solamente proprio, ma che si apre alle correnti degli incontri,
degli interscambi, delle ibridazioni. Un fluire non solo di corpi,

consentono di comprendere l’emergere delle modernità non occidentali. Si


vedano G. Spivak, Death of a Discipline, Columbia University Press, New
York, NY 2003; G. Spivak, Righting Wrongs, “South Atlantic Quarterly”,
vol. 103, n. 2-3, 2004, pp. 523-581; G. Spivak, cit. in R. Shome & R. Hedge,
Culture, Communication and the Challenge of Globalization, “Critical Studies
in Media Communication”, vol. 19, n. 2, 2002, pp. 172-189.
GLI SPAZI SONORI DELLA RURALITÀ 129

ma anche di culture e di idee, che partono dal livello locale fino


ad estendersi alla dimensione planetaria.
Come si può rileggere il concetto di ruralità alla luce di
questi processi su scala globale? Dalle produzioni agricole
e delle filiere del cibo, fino ai processi di trasformazione
della materia, dell’energia e dei modi di produzione, il
mondo rurale è chiamato ad essere parte attiva nell’am-
bito di queste dinamiche economiche, sociali, culturali,
sovvertendo l’ordine tassonomico di una città vocata a
dirigere lo sviluppo e di un mondo rurale marginale, resi-
duale rispetto a questo esercizio di potere. Gli spazi rurali
riempiono così il vuoto dei modelli urbani e dell’idea di
‘progresso’, attraverso una decostruzione della storia, del-
la politica, della cultura come prodotto di una proiezione
cosmopolitana.
Il territorio, che non coincide con la mappa, può diven-
tare luogo di sperimentazione, di performatività, di interro-
gazione, di ripensamento secondo prospettive differenti. Si
tratta di dare voce a narrazioni altre che scivolino lungo que-
sti percorsi fluidi, attraverso un processo che richiede una
complessificazione della visione di questi luoghi, interpretati
come siti intricati di “encounters and currents”, nelle parole
di Chambers, che coinvolgono

il movimento delle persone, delle storie e delle culture, che


sottolinea il senso continuo della trasformazione storica e della
traduzione culturale che lo rende un luogo di transito continuo.
Possiamo tornare a quella storia, non tanto con l’idea di otte-
nere la registrazione storica lineare, quanto con quella di inter-
pretarla di nuovo per ascoltarne la sua faccia altra, repressa15.

15
[...] the movement of peoples, histories, and cultures, that underlines
the continual sense of historical transformation and cultural translation that
makes it a site of continual transit. We can return to that history, not so much
with the idea of getting the historical record straight, as playing it again in
order to listen to its other, repressed, side”. I. Chambers, Mediterranean
Crossings: The Politics of an Interrupted Modernity, Duke University Press,
Durham, NC 2008, p. 32 (trad. it. mia).
130 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

In questo senso, il territorio rurale rappresenta un vero


e proprio laboratorio all’interno del quale è possibile speri-
mentare pratiche attraverso una ricombinazione di elementi,
forze e pratiche già esistenti in esso, lavorando sul crinale di
una prospettiva ecologica che rifugga da ogni uso tendenzio-
so di un’economia rurale piegata ad una visione strumentale
e capitalistica dello sviluppo.
Ciò che innova non è quello che viene dall’esterno, ma
piuttosto è la facoltà di riassemblare forze, agentività e ri-
sorse endogene del territorio, già in circolazione, secondo
modalità che ci consentono di collocare la ruralità nel focus
della cultura contemporanea, sottraendola ad ogni possibile
autoreferenzialità ed inserendola a pieno titolo nelle dinami-
che dei flussi planetari.
In questa prospettiva l’arte, e in senso specifico il suo-
no, rappresentano strumenti che permettono di ripensare ai
flussi spazio-temporali in cui il territorio è inscritto, di uscire
dalla fissità dei musei e delle gallerie, di rileggere la comples-
sità degli elementi attraverso i quali è possibile fuoriuscire
dai luoghi comuni di una ruralità ereditata, di ridiscutere il
senso di appartenenza al territorio stesso.
Allo stesso tempo, il suono consente di rivelare molte
delle condizioni della ruralità contemporanea: attraverso la
pratica dell’ascolto si può ottenere il senso della complessità
e delle dinamiche a partire dal quale il territorio rivela se
stesso secondo modalità e prospettive differenti. Ascoltarlo
da vicino consente di ‘sentire’ le sue topologie: le tonalità, le
armonie e le dissonanze che vibrano nel momento stesso in
cui questi processi si articolano, attivando quell’approccio
acustemologico di cui abbiamo già discusso in precedenza.
Possiamo scoprire così, per esempio, che le trasformazio-
ni dei soundscape rivelano le modalità di ri-distribuzione dei
rapporti di potere e della governance, come viene in eviden-
za nella ricerca di Anja Kanngieser in India, in relazione al
tema dell’inquinamento atmosferico16, o nelle registrazioni

16
A. Kanngieser, Listening as a Method for “knowing”: Sound Mapping
GLI SPAZI SONORI DELLA RURALITÀ 131

di Angus Carlyle e Rupert Cox17, focalizzate sulla privazione


dei terreni agricoli appartenenti ad alcune comunità rurali in
Giappone, a fronte dell’espansione degli spazi aeroportuali.
Sullo stesso terreno si muove il lavoro di field recording di
Enrico Coniglio, sviluppato durante la residenza Liminaria
2015 e poi confluito nell’opera sonora Sounding out the Wa-
tershed, presentata presso il Museo degli Orologi da Torre
di San Marco dei Cavoti18. Attraversando i campi di grano,
i terreni agricoli e gli spazi rurali a cavallo tra i due villaggi
di San Marco dei Cavoti e Baselice, Coniglio procede ad una
sorta di mappatura sonora di una serie di percorsi che gli
consente di focalizzarsi sia sui suoni in-situ che su quelli in
transito, spostando l’attenzione dalla dimensione visibile e
luminosa dello spazio alle risonanze ed alla profondità, che
lo rivelano come ambiente poroso attraverso il livello invisi-
bile dell’ascolto.
Prendendo le mosse dalla teoria della Landscape Ecology19,
ed in particolare dall’ipotesi che il paesaggio sia composto da
unità minime strutturali (patch), che venendo a contatto tra loro
generano gli ecotoni, zone di confine in cui si fondono elementi
propri delle patch originarie, Coniglio, traslando questo approc-
cio nel campo acustico, si immerge nei paesaggi sonori del For-
tore beneventano concentrandosi sulla ricchezza delle sue aree
di transizione20. L’idea è che queste zone di confine acustico,

Sector V and Rajarhat, in. K. Craig, K. Hepworth, B. Neilson & N. Rossiter


(eds.), “Transit Labour Digest”, Issue 4, 2012, pp. 37-38.
17
A. Carlyle & R. Cox, Air Pressure, Gruenrekorder, 2012. [Music CD].
18
Prima in una performance pubblica il 6 giugno 2015, poi in un’installa-
zione quadrifonica durante la mostra Liminaria – Connessioni Rurali, tenutasi
dal 6 al 13 dicembre 2015 a San Marco dei Cavoti (BN).
19
Nella corposa bibliografia che riguarda la “Landscape Ecology”, sarà
d’uopo citare in questa sede almeno: A. Farina, Principles and Methods in
Landscape Ecology: Towards a Science of the Landscape, Springer, Berlin 2006;
R. T. T. Forman, Land Mosaics: The Ecology of Landscapes and Regions, Cam-
bridge University Press, Cambridge 1995.
20
Scrive Coniglio: “La proprietà più importante di cui gode un ecotone è
che al suo interno si verifica un aumento nel numero di specie e nella densità
delle popolazioni di individui, rispetto alle singole patch di cui esso stesso
diventa area di transizione: questa ricchezza è detta ‘edge effect’” (E. Coniglio,
132 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

prodotte dal contatto delle patch, si caratterizzino per un’am-


piezza, per una profondità e per una varietà molto maggiore
rispetto alle singole parti da cui il suono si origina21. Nell’attra-
versamento acustico di queste aree, Coniglio fa esperienza di

un nuovo concetto di margine [che] si attesta come nuova ca-


tegoria di interpretazione non più a de-limitare ma a interfaccia-
re le differenti tessere del mosaico territoriale. Le aree a margine
prossime ai confini sono esse stesse aree di confine, non sono
perimetri ma luoghi di soglia, di passaggio, di migrazione22.

L’area su cui insiste la mappatura sonora di Coniglio, luogo


di confine geografico tra i due villaggi separati dall’altipiano del
monte San Marco (1007 m. slm) e posta sull’Appennino Cam-
pano in maniera praticamente equidistante tra mar Tirreno e
mar Adriatico, lascia affiorare, nelle registrazioni di Sounding
Out the Watershed, la complessità dei suoi livelli di ascolto.
In superficie, essa sembra rivelare una condizione di ap-
parente quiete, che si materializza in un paesaggio acustico
avulso dalle pesanti devastazioni infrastrutturali delle cam-
pagne che affiorano dall’analisi di Kanngieser, Carlyle e Cox,
o dalle registrazioni di Coniglio nei campi che circondano la
laguna di Venezia23. Nelle parole dell’autore, si tratta di un
soundscape

Sounding out the Watershed, [blog entry], 09 settembre 2015, http://www.


enricoconiglio.com/?page_id=54, (ultimo accesso 30 settembre 2016)).
21
Questa teoria rappresenta un’estensione delle riflessioni che Coniglio
va sviluppando attraverso i suoi lavori in riferimento ai paesaggi sonori di
confine e all’utopia di individuare topofonie perfette nel soundscape con-
temporaneo: “nel rappresentare i luoghi in musica è difficile isolare ‘topo-
fonie’ perfette [...] la peculiarità dei luoghi è data, dove l’impronta sonora
è oramai perduta definitivamente, dall’amalgama dei paesaggi sonori ad
essi ‘in qualche modo riconducibili’. [...] [Le] zone a margine sono spazi
dinamici, di conflitto, di contraddizione e di mediazione dove l’apparente
estraneità di determinati suoni, l’apparente incoerenza, diventa il nuovo
peculiare” (E. Coniglio, Musica delle aree a margine, [blog entry], 01 ago-
sto 2008, http://www.enricoconiglio.com/?page_id=54, (ultimo accesso 30
settembre 2016)).
22
E. Coniglio, Musica delle aree a margine.
23
Parte di queste registrazioni sono confluite in Sabbion, album digita-
GLI SPAZI SONORI DELLA RURALITÀ 133

connotato da spiccati caratteri naturalistici (i querceti e i


faggeti periurbani, l’alveo del fiume Fortore ad esempio), com-
binati ad un’antropizzazione “gentile” della campagna. Mi rife-
risco alle pratiche di uso agricolo dei declivi intorno ai piccoli
centri abitati, i cui campi sono misurati per tutta la durata del
giorno (è giugno) dai ripetitivi e irregolari percorsi dei trattori
e altri mezzi meccanici di piccolo calibro. Dove capita di imbat-
tersi nello stonato scampanìo delle greggi al pascolo e ovunque
essere circondati dallo stormire delle spighe di grano agitate dal
vento, sempre presente24.

Ad un ascolto più profondo, secondo un approccio di


tipo acustemologico, questo paesaggio apparentemente si-
lente rivela una stratificazione che evidenzia tra le sue pieghe
le tracce di una serie di conflitti recenti. Il suono ripetiti-
vo, ipnotico delle turbine eoliche disperse a macchia d’olio
sul territorio del Fortore, “le cui pale rotanti fendono l’aria
come cadenzati colpi di smisurate spade”, è il segno della do-
lorosa privazione di terre, spazi ed orizzonti (materiali, visivi,
acustici) per le comunità fortorine, a fronte di un’esclusione
totale da ogni forma di beneficio economico nella distribu-
zione delle ricchezze generate dalle politiche di sfruttamento
e trasformazione del territorio.
Proiettato su un fondale acustico costantemente dominato
dal sibilare del vento, il suono delle pale eoliche si distorce,
saturando gli spazi dei declivi sconfinati dei campi di grano,
sulle alture del monte San Marco, così come accade in qualsi-
asi altro lembo di terra vuota che separa per chilometri e chi-
lometri i villaggi fortorini. L’oscillazione delle pale e il rombo
costante, in sottofondo, delle turbine, generano un soundscape
fluttuante in cui la potenza del vento, il clangore lontano delle
macchine agricole o lo sporadico passaggio delle automobili ri-
suonano come echi sepolti in una coltre avvolgente di rumore.

le pubblicato nel 2013 dalla label Green Field Recording. Cfr. E. Coniglio,
Sabbion, Green Field Recordings, [digital audio download], 2013, http://
soundcloud.com/enricoconiglio/01sabbion1440, (ultimo accesso 30 settem-
bre 2016).
24
E. Coniglio, Sounding Out the Watershed.
134 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

Negli intervalli e nelle traiettorie trasversali tra rumore e si-


lenzio, si moltiplicano i livelli e le concatenazioni di attività ed
immobilità all’interno di queste geografie. Attraverso di esse, è
possibile avvertire la dimensione della profondità e dello spa-
zio in un paesaggio denso di flussi sonori, solo in apparenza
immobile ma saturo di ritmi e cadenze profonde: attraversarlo
attraverso l’ascolto restituisce non solo un senso di sconfinata
vastità, ma anche la ricchezza delle transizioni che raccontano
delle sue trasformazioni, di slittamenti e conflitti sul territorio.
Adoperare il suono come modalità di conoscenza apre
una serie di questioni sulle condizioni e sulle possibilità
dell’ascolto: cosa significa ascoltare, essere ascoltatore e
produrre conoscenza? Come possiamo riconoscere il mo-
mento della registrazione per ciò che è, e cioè un momento
all’interno di un contesto profondamente influenzato dalle
tecnologie di cattura, di digitalizzazione, di interpretazio-
ne, di editing? E ancora, come possiamo scoprire e svelare
gli elementi critici del nostro ascolto nel momento in cui li
stiamo traducendo?
A partire dagli elementi problematici che tali questioni
portano con sè, la pratica del sound mapping di un terri-
torio diventa un metodo per attraversare in modalità cri-
tica le topografie non solo di aree urbane, in cui l’ascol-
to è saturato dalla velocità delle industrie e dai ritmi dei
corpi, ma anche di un’area rurale come quella indagata da
Coniglio, all’interno della quale la lettura di conflitti e tra-
sformazioni territoriali si distribuisce attraverso transizioni
di durata e geografiche su intervalli temporali più lunghi,
ma non meno profonde. Nei territori rurali, come ricorda
Kanngieser, queste mutazioni che investono gli ecosistemi
ideologici, infrastrutturali e biologici, possono confondere
le contestazioni politiche fondate sulla velocità e la spetta-
colarizzazione dei processi25.
L’approccio acustemologico fornisce, in definitiva, una
serie di strumenti di pensiero e metodo in grado di rileggere

25
A. Kanngieser, Geopolitics.
GLI SPAZI SONORI DELLA RURALITÀ 135

il concetto di ruralità, suggerendo modalità inattese di attra-


versare ed abitare i territori rurali nell’epoca contemporanea.
Il paesaggio rurale, come archivio sonoro di memorie se-
dimentate e conservate, diventa così uno spazio che si può
mappare attraverso l’ascolto, secondo coordinate e visioni al
di fuori di ogni razionalità strumentalmente imposta dai lin-
guaggi della politica e dell’economia, per poter immaginare
e praticare un’altra ruralità, sottratta ai domini della margi-
nalità, della residualità, della perifericità.
Esplorare un territorio rurale attraverso il suono e le pra-
tiche estetiche ad esso legate può contribuire a creare un
apparato critico e teorico tramite il quale è possibile aprire
una visione estetica in grado di interrogare le ideologie domi-
nanti che attualmente informano i paradigmi capitalisti della
politica agricola e del paesaggio. L’età postglobale trascina
con sé un processo irreversibile di trasformazione delle mo-
dalità con le quali gli spazi rurali vengono vissuti ed occupa-
ti. Anche se il paesaggio rurale spesso possiede un’intrinseca
bellezza che rischia di diventare parte di una visione stereo-
tipata, folclorica e semplicistica delle campagne, avvicinarsi
ad esso attraverso le pratiche offerte dall’arte e in maniera
specifica dal suono, può restituire una prospettiva che ecce-
de ogni possibile cliché di tipo contemplativo, portando ad
un’idea di ruralità come luogo dell’azione, della costruzione,
dell’auto-determinazione.

2. Attraversare il soundscape: paesaggi rurali come spazi


sonori attivi

Baselice, 3 giugno 2015.

Il sole è calato e la luna si è alzata sopra l’orizzonte, Chiara


ed io abbiamo trovato il nostro progetto: l’oscurità della not-
te e le sue temporalità. Le luci delle turbine brillavano come
stelle rosse, come cugine artificiali delle stelle bianche mille-
narie negli ammassi che noi chiamiamo costellazioni e sorelle
136 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

meccaniche delle lucciole che si sono alzate svolazzanti dalle


siepi. Per i miei microfoni, gli spifferi delle pale di ventilatori
e del vento, le rane (assai rumorose, sconosciute, questa volta
in coro), gli uccelli notturni, i pipistrelli che in una sintesi
inumana corrono dopo falene e moscerini, gli insetti e (utiliz-
zando un dispositivo speciale) i suoni del cosmo stesso. Voci,
storie, sogni26.

Nelle pagine del diario redatto in occasione di Limina-


ria 201527, Angus Carlyle registra gli ascolti, i percorsi, gli
incontri, i momenti spesi nel corso della residenza trascor-
sa insieme a Chiara Caterina, durante la quale i due artisti
raccolgono i materiali confluiti nel film/installazione Night
Time28. È il racconto, per frammenti sparsi, di un’immer-
sione nei villaggi e nei campi del Fortore, alla ricerca dei
percorsi temporali trasversali che si annidano nelle pieghe
dei margini, degli spazi residuali, dei confini e delle soglie,

26
“The sun fell away and the moon rose over the skyline, Chiara and I
found our project: the darkness of night and its temporalities. The turbine
lights shone like red stars, artificial cousins to the white millennial stars in the
clusters that we call constellations and mechanical sisters to the fireflies that
rose floating from the hedges. For my microphones the draught of fan blades
and wind, frogs (louder, stranger, in chorus this time), night birds, bats in
inhuman synthesis racing after moths and flies, insects, and (using a special
device), the sounds of the cosmos itself. Voices, stories, dreams”. A. Carlyle,
I ritmi di notte, 2015, http://bit.ly/carlyle-ritmi_notte (trad. it. mia), (ultimo
accesso 30 settembre 2016).
27
Il diario è consultabile in rete su: http://www.liminaria.org/june-2nd-
diary-260, http://www.liminaria.org/june-3rd-diary-256, http://www.limina-
ria.org/june-4th-diary-251, (ultimo accesso 30 settembre 2016);
28
Night Time (durata 13’20’’) è stato presentato al pubblico presso il Mu-
seo degli Orologi da Torre di San Marco dei Cavoti (BN) il 6 giugno 2015.
Ecco le note di presentazione del lavoro fornite dagli autori: “We came to
Fortore with some ideas in mind, with a bag of mirrors bought from a DIY
shop and spells copied from anthropological accounts. The land and its pe-
ople took us elsewhere: out of the heat and the light of the day and into the
night and its scales, its forms and its rhythms. Creeping into the nocturnal
obscurity, alone and with others, where sounds travel from far and near and
where the air – now calm and now set in motion – the earth, the water and the
stars and moon are places to dwell, contemplate, listen, watch and remem-
ber” (A. Carlyle & C. Caterina, Night Time, 2015, http://www.liminaria.org/
index.php?p=24&id=64, (ultimo accesso 30 settembre 2016)).
GLI SPAZI SONORI DELLA RURALITÀ 137

nell’attraversamento di una serie di camminamenti tracciati


nei dintorni del borgo di Baselice.
Le possenti pale eoliche, smisurati orologi che sovrastano
questi declivi, segnano l’alternarsi circolare del tempo dell’o-
scurità e di quello della luce. Nello svanire del giorno, esse
marcano un passaggio liminare verso un microcosmo sonoro
mesmerico, nascosto all’ascolto umano. I ritmi della notte
si rivelano nel momento in cui Carlyle e Caterina, torce ed
equipaggiamenti alla mano, si inoltrano nelle radure e nei
campi che circondano il villaggio, pallidamente rischiarati
ad intermittenza dalle luci rosse di segnalazione delle turbi-
ne eoliche. Mentre le tracce delle attività umane svaniscono
nell’invisibile, affiorano atmosfere acustiche distinte: il fru-
scio delle foglie agitate dal vento, lo scampanare distante del-
le vacche al pascolo, il sibilare delle pale nell’aria, echi sparsi
di cani che abbaiano, un impercettibile gocciolare d’acqua,
richiami di uccelli notturni e gufi, il latrato di una volpe.
In questo spazio acustico, si moltiplicano a dismisura le
risonanze non umane e la voce diventa elemento che materia-
lizza vibrazioni e superfici corporee, al di là della soglia del lin-
guaggio dell’uomo. I suoni, i rumori, i ritmi di questo ascolto
suggeriscono la possibilità di allontanarsi da una comprensio-
ne puramente fenomenologica dell’esperienza acustica, ren-
dendo evidente come questa piuttosto si generi, nei suoi livelli
di sensorialità, attraverso le contingenze dei flussi corporei.
È un’esperienza in cui emerge un’idea di sensazione a
partire dalla quale è possibile mettere in questione, come teo-
rizzato da Michel Serres, la nozione egemonica di linguaggio
che ha segnato progressivamente una separazione dalla rete
di relazioni che il nostro sistema sensoriale costruisce nel suo
rapporto con il mondo. Serres scrive:

Prima di produrre senso, il linguaggio fa rumore: si può avere


il secondo senza il primo, ma non il contrario. Dopo il rumore,
e con il passare del tempo, una sorta di ritmo si può sviluppare,
un movimento quasi ricorrente intrecciato attraverso la trama
del caso. Un flusso nasce dal mare e dal flusso di Venere: una
corrente ritmica emerge dallo sciabordio disordinato delle onde,
138 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

la musica affiora in questo luogo. A sua volta, questo livello di


musica universale prima dell’avvento del significato, porta con sè
ogni significato; il linguaggio distillato e differenziato seleziona il
significato o i significati che isolerà da questo complesso e quindi
li diffonderà. Chi parla sta anche cantando al di sotto delle parole
pronunciate, sta battendo un ritmo al di sotto della canzone, si
sta tuffando nel rumore di fondo al di sotto del ritmo29.

Parlare del suono e della funzione del linguaggio ci offre,


secondo questa prospettiva, una serie di elementi di rifles-
sione sull’incertezza che regola la produzione dei significati
e sul fatto che i concetti di “verità” e “significato”, sottratti
ai vincoli di razionalità, fissità ed esattezza nei quali vengono
confinati dal linguaggio, possono essere ri-tradotti nella sfera
dei processi di composizione guidati dai sensi30.
Se il suono, attraverso il rumore (bruit / noise) ed i com-
plessi ritmi della musica rappresenta un filtro del ‘divenire’
significato, il linguaggio è il medium necessario per la sua
trasmissione e la voce diventa lo strumento di riallineamento
del linguaggio e degli esseri umani all’interno di un mondo
più ampio, quello della sensazione e dell’esperienza.
Attraverso la voce, l’uomo palesa le proprie modalità di
accostarsi agli ambienti e muoversi all’interno degli ecosi-
stemi. Tim Ingold individua nella voce umana un’interfac-

29
“Avant d’avoir du sens, le langage fait du bruit : celui-ci peut se passer
de celui-là, mais non l’inverse. Il arrive qu’après le bruit, dans la direction du
temps, se développent une sorte de rythme, des mouvements quasi périodi-
ques, des retours ensemencés sur le hasard. Un flux naît de la mer et Vénus du
flux : du clapotis désordonné sort un courant rythmé, une musique émerge en
ces lieux. A son tour la nappe musicale porte tous les sens, universelle avant
le sens, le langage raffiné, différencié, choisit au sein de ce géométral celui
ou ceux qu’il émet ou découpe. Qui parle chante sous la langue, rythme du
temps sous le chant, plonge dans le bruit de fond sous son rythme”. M. Serres,
Les cinq sens, Paris, Grasset et Fasquelle, 1985, p. 126-127 (trad. it. mia).
30
L’idea di Serres è che il primato dei sensi sia stato progressivamente
messo ai margini dai sistemi metafisici e filosofici dell’era scientifica ed obnu-
bilato dal dominio del linguaggio e della rivoluzione dell’era dell’informazio-
ne. La ri-lettura serresiana della percezione umana in senso topologico mira
dunque ad evidenziare la sterilità dei sistemi di conoscenza che si fondano al
di fuori dell’esperienza corporea.
GLI SPAZI SONORI DELLA RURALITÀ 139

cia, una connessione ad un’esistenza che gli umani vivono e


spendono al fianco di ‘altre’ entità:

I suoni non-umani come il tuono o i richiami degli animali, le


voci delle altre persone altre dall’umano e i discorsi degli esseri
umani si assomigliano nel senso che non hanno solo il potere
di spostare coloro che li ascoltano, ma anche quello di trarre il
loro significato dai contesti in cui essi vengono uditi. Sotto que-
sti aspetti, nessuna linea fondamentale di demarcazione può
essere tracciata tra i suoni della natura ed il linguaggio umano31.

Lavori sonori immersivi, come quello di Angus Carlyle a


Liminaria 2015, individuano un terreno di ricerca all’interno
del quale scandagliare non solo gli stereotipi di un’ecologia
acustica in cui il paesaggio sonoro rurale è un’impronta sono-
ra ad alta fedeltà, ma anche il punto di vista antropocentrico
dell’ascolto, traslando la relazione percettiva con il mondo
dall’umano verso il postumano.
Questo tipo di registrazioni all’interno di diversi ambienti
restituiscono l’enorme complessità relativa alla definizione
del rapporto tra la gamma degli agenti non-umani (animali,
atmosfere/densità, formazioni geologiche, paesaggi, e così
via) ed ogni possibile comprensione in senso antropocentri-
co del mondo attraverso le pratiche dell’ascolto. Quando si
guarda ai punti di origine non-umana relativi alla produzio-
ne del suono, è necessario accettare il fatto che la ricezione
umana del suono non è in grado di catturare l’intero spettro
della produzione sonora che si origina e si propaga all’inter-
no di un determinato spazio delimitato temporalmente.
Constatata l’impossibilità, da una parte, di abitare intera-
mente o parzialmente la gamma acustica dei ricettori uditivi
di questi produttori ‘altri’, non umani e, dall’altra, di posizio-

31
“Non-human sounds like thunder or animal calls, the voices of other-
than-human persons, and the speech of human beings are alike in that they
not only have the power to move those who hear them, but also take their
meaning from the contexts in which they are heard. In these respects, no
fundamental line of demarcation can be drawn between the sounds of nature
and of human speech”. T. Ingold, Perception, pp. 106-107 (trad. it. mia).
140 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

narsi all’interno delle formazioni geologiche o delle condi-


zioni atmosferiche che influiscono sull’acustica, tutto ciò che
rimane è limitarsi ad una serie di congetture teoretiche sulla
produzione, sulla trasmissione e sulla ricezione di quei suo-
ni che compongono acusticamente un soundscape32. In ogni
caso, giungere a questa conclusione rappresenta un risultato
che apre prospettive nuove in relazione alle possibilità di
attraversare paesaggi e territori nell’incontro con il suono,
sperimentando percorsi di significazione e produzione di co-
noscenza che riposizionano l’ascolto al di là dei confini epi-
stemologici e disciplinari ad esso attribuiti tradizionalmente
dai sound studies e dalla musicologia.
Nell’esperienza di Night Time, l’attraversamento della soglia
che separa giorno e notte significa per Carlyle e Caterina non
solo l’immersione nell’ascolto profondo di voci, movimenti,
corpi e ambienti liminari: esso diventa un vero e proprio atto
performativo, a partire dal momento stesso in cui inizia il pro-
cesso fisico e mentale attraverso cui si sviluppa l’intero lavoro.
Nel suo diario, Carlyle racconta minuziosamente delle
tappe del lento percorso di avvicinamento alla residenza,
elencando le letture, le conversazioni a partire dalle qua-
li Night Time prenderà poi la forma di un cortometraggio:
“considerando voci udite senza bocche viste: voci raccolte
dalla gente del posto trasmesse su immagini del cielo e di col-
line, di fiumi, alberi, sentieri ed edifici. Il tramonto e l’alba,
ricordo, sarebbero stati i nostri tempi scelti”33.

32
Si veda a tal proposito: L. Barclay, S. Feisst, D. Gilfillan & G. Paine, The
Listen(n) Project, pp. 278-291.
33
“Considering heard voices without seen mouths: voices gathered from
locals relayed over images of the sky and hills, rivers, trees, pathways and
buildings. Dusk and dawn, I recall, would be our chosen times”. A. Carlyle, I
ritmi di notte, p. 1 (trad. it. mia); nello stesso testo, l’artista scrive anche: “In
our emails, Skype calls, txts and conversations, Chiara Caterina and I had
talked of magic, of spells, charms and amulets, superstitions and customs. We
had read Christ Stopped at Eboli, The Path To The Spider’s Web, Caliban and
The Witch, and elements of Magic: A Theory From The South. In the Spring, I
had submerged myself in Eugene Thacker’s Horror of Philosophy trilogy and
that, with its talk of the complexities of darkness and of other knowledges,
seemed to resonate with our ambitions” (ibidem).
GLI SPAZI SONORI DELLA RURALITÀ 141

In questo processo, le registrazioni di Carlyle e Cateri-


na non rappresentano semplicemente dei file invisibili o dei
frame visivi. Esse sono il prodotto di un atto performativo.
Si pensi all’intero processo di field recording messo in atto
da Carlyle: ogni momento, dall’attimo stesso in cui inizia
l’ascolto, alla fase di preparazione delle attrezzature, alla
registrazione sul campo, fino alla presentazione finale del
lavoro, è atto di una performance che coinvolge corpi e voci
nello spazio e nel tempo. Muoversi in spazi, luoghi, territori,
paesaggi attraverso la pratica immersiva dell’ascolto e della
registrazione, attivando modalità performative, ridefinisce
questi ambienti in senso attivo, come ricorda la sound artist
Isobel Anderson:

Sono stata sempre parte della registrazione, perché è il mio


corpo in piedi in una posizione particolare che tiene l’apparec-
chiatura, che ascolta attraverso le cuffie e preme il pulsante. Ma
la mia voce entra anche in queste conversazioni con i passanti.
Pertanto, nel field recording performo il mio corpo e, in queste
conversazioni catturate nel momento, performo la mia voce.
[...] Ho smesso di preoccuparmi di rilevare questo movimento
con i miei microfoni. Piuttosto, ho iniziato a sperimentare la re-
gistrazione attiva del mio movimento attraverso lo spazio, e che
cosa questo aggiunge alle rappresentazioni sonore dei paesaggi
che attraverso34.

È un’esperienza che si costruisce anzitutto attraverso il


movimento: negli attraversamenti, nei percorsi, nelle derive, si
rivelano le registrazioni, le parole, gli oggetti, i frammenti visivi
34
“I have always been part of the recording, for it is my body standing in a
particular location that holds the equipment, listens through the headphones,
and presses the button’s. But in these conversations with passers-by, my voice
enters as well. Therefore in field recording, I perform my body and, in these
conversations caught in-the-moment, my voice. [...] I have stopped worrying
about picking up this movement with my microphones. Instead, I have be-
gun experimenting with actively recording my movement through space,
and what this adds to the sonic representations of the landscapes I pass”. I.
Anderson, ‘Field Recordings as a Performative Act’ http://www.academia.
edu/15809365/Field_Recording_as_a_Performative_Act, 2015 (trad. it. mia),
(ultimo accesso 30 settembre 2016).
142 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

che tracciano le linee di un sentiero in cui il corpo e la voce


dell’artista non sono nascosti, ma producono le registrazioni
insieme alle voci ed ai corpi che ne entrano a far parte attraverso
gli incontri, le conversazioni incidentali o dirette.
È quanto riecheggiano le parole di Carlyle nella chiosa del
suo diario, nelle righe in cui trova evocazione la scia di suoni e
voci che confluiscono in Night Time, il cui ricordo sembra sva-
nire, ancora oggi, nell’oscurità risonante delle notti del Fortore:

Il film si apre con un montaggio di voci di persone dei din-


torni intervistati da Luca e Raffaele riguardo il loro senso del
notturno; il fiume nei pressi del ponte era un luogo nel quale
eravamo stati portati da Clementina, Daniela, Morelsa ed Eleo-
nora; durante il tragitto in auto di notte – in cui abbiamo appre-
so della solitudine e della contemplazione, degli uccelli notturni,
della volpe e del tasso siamo stati in affettuosa compagnia di
Franco ed Antonio. Guardando ancora una volta il film, ora,
nella mia cucina, c’è una sensazione palpabile che è Franco –
che abbiamo incontrato per caso in una misteriosa chiesetta –
ad occupare il centro emozionale e concettuale del film poichè
medita sul significato della notte35.

Tutte queste registrazioni, insieme alle voci, alle conver-


sazioni, ai testi scritti lungo questo percorso costituiscono i
frammenti di un diario che si protende dalla parola al suo-
no e viceversa: ascoltando i suoni di Night Time, è come se
Carlyle potesse ripercorrere i suoi passi sul terreno roccioso,
erboso, sabbioso o umido percorso, accompagnando tutte le
altre risonanze nello spazio acustico.

35
“The film opens with a montage of voices from people from the nei-
ghbourhood interviewed by Luca and Raffaele about their sense of the noc-
turnal; the river near the bridge was a site to which we had been taken by
Clementina, Daniela, Morelsa and Eleonora; during the night drive – where
we hear of la solitudine and la contemplazione, of the uccelli notturni, of volpe
and tasso we were in the warm company of Franco and Antonio. Watching
the film again, now, in my kitchen, there is a palpable impression that it is
Franco – who we had met by chance at a mysterious chiesetta – who occupies
the emotional and conceptual centre of the film as he meditates on the mea-
nings of night”. A. Carlyle, I ritmi di notte, p. 2 (trad. it. mia).
GLI SPAZI SONORI DELLA RURALITÀ 143

Riscoprendo il soundscape come spazio attivo e perfor-


mativo, questi passi rivelano all’interno del paesaggio stesso
cambiamenti celati altrimenti allo sguardo. È una prospetti-
va che offre strumenti, metodi ed approcci per riconsiderare
l’idea medesima di paesaggio, affrancandola da ogni vincolo
puramente contemplativo.
Se il paesaggio, come ha affermato l’artista libanese Akram
Zaatari, rappresenta l’ultimo archivio, è scavando in profondi-
tà al suo interno, è cercando di leggerlo anche quando sembra
risultare illeggibile, di ascoltarlo anche quando appare ina-
scoltabile, che possiamo riuscire a tracciare i segni di un suo
attraversamento critico36. Tutto ciò, prendendo in prestito la
metafora di Viviana Gravano, equivale a seguire, all’interno di
uno scenario inconfinabile, mobile e liquido, le traiettorie di
una geografia non rappresentabile nè tracciabile:

[l’]unico assunto certo di questo viaggio intorno ad una geo-


grafia indisegnabile, sarà l’idea che il paesaggio non è più defi-
nibile, non è più romanticamente un luogo certo e stabile della
contemplazione, ma si presenta come un dispositivo mobile e in-
cessantemente alterabile, che non conosce né posa né certezze37.

Emerge qui l’idea di un paesaggio attivo, che si può at-


traversare e modificare non solo attraverso un intervento di
tipo materiale, ma anche tramite la trasformazione della sua
percezione che rende possibile, come abbiamo già analizzato
precedentemente a proposito della condizione nomadica del
suono postdigitale, l’affermarsi dell’idea di paesaggio mobi-
le, di morphing landscape.
Un paesaggio che, potenzialmente, diventa la sovrappo-
sizione di diversi paesaggi possibili: sonoro, visuale/visivo,
corporeo, mediale38, letti come “nuovi territori, nuovi spazi

36
Cfr. I. Chambers, Per una ruralità critica, [Facebook post], 29 aprile 2014,
http://www.facebook.com/iain.m.chambers/posts/10152330128138911, (ul-
timo accesso 30 settembre 2016).
37
V. Gravano, Paesaggi attivi. Saggio contro la contemplazione, Mimesis,
Milano-Udine 2012, p. 13.
38
La definizione di diversi termini coniati intorno al suffisso -scapes è dovu-
144 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

del territorio contemporaneo in costante contaminazione ed


ibridazione”39.
Se è vero che il corpo dell’uomo moderno attraversa am-
bienti da lui stesso costruiti e ricostruiti a propria somiglian-
za40, pensando di poterli strutturare attraverso il suo sguardo
individuale, dall’altro lato esso stesso diventa lo strumento
attraverso cui sperimentare, performare il dinamismo del pae-
saggio, inteso come territorio delle molteplicità41. L’interroga-
zione di questi processi proposta dal pensiero postcoloniale,
apre la questione del paesaggio ‘attivo’ ad ulteriori esiti, nei

ta ad Arjun Appadurai: Ethnoscapes, Mediascapes, Videoscapes, Financescapes,


Technoscapes costituiscono la declinazione dei cinque flussi culturali che agisco-
no nella globalizzazione. Si veda: A. Appadurai, Modernity at Large: Cultural
Dimensions of Globalization, Minnesota Press, Minneapolis, MN 1996.
39
V. Gravano, Paesaggi attivi, p. 16.
40
È interessante notare come, all’interno delle possibili geografie del
paesaggio contemporaneo, sia proprio l’insieme degli infiniti punti di vista
offerti dall’arte a fornire criteri di (de)costruzione della soggettività utili a
definire l’approccio con cui accostarsi al territorio, riappropriandosene. È il
contributo offerto da Félix Guattari, chiamato a riflettere sui fenomeni di
riterritorializzazione, nazionalismo e particolarismo di fine millennio: “La mia
prospettiva consiste nell’allontanare le scienze umane e le scienze sociali dai
paradigmi scientisti per farle transitare verso paradigmi etico-estetici. [...] In
senso generale, si dovrà ammettere che ogni individuo o ogni gruppo sociale
veicolano il proprio sistema di modellizzazione della soggettività, come dire,
la propria cartografia, fatta di riferimenti non solo cognitivi ma anche mitici,
rituali, sintomatologici, a partire dalla quale si posizione in rapporto ai suoi
affetti e alle sue angosce e tenta di gestire le sue inibizioni e le sue pulsioni”
(F. Guattari, Caosmosi, tr. M. Guareschi, Costa&Nolan, Genova 1996, p. 15).
Dalla lettura di Guattari emergono una serie di riferimenti metaforici precisi
afferenti alla geografia e all’arte, nell’ambito del tentativo di riformulare il
concetto di soggettività, riletto nei termini di una sorta di “risoggettivizzazio-
ne positiva”, alla luce di un recupero della coscienza di sé, in contrapposizio-
ne agli “idiotismi” culturali deflagrati a cavallo dei due millenni (ibidem). Te-
orizzando il concetto di “cartographies schizoanalitiques”, Guattari definisce
una prospettiva di slittamento epistemologico delle scienze umane e sociali,
che vengono sottratte alla deriva scientista ed inserite in un contesto teorico
sospeso tra riflessione filosofica e psicanalitica. Il metodo cartografico che me-
dia la relazione con il paesaggio attraversato finisce così con il coesistere “con
il processo di soggettivizzazione [rendendo] possibile una riappropriazione e
un’autopoiesi dei mezzi di produzione di soggettività” (idem, p. 21).
41
È l’idea che Gravano definisce come “corpo costruttore” (V. Gravano,
Paesaggi attivi, p. 31).
GLI SPAZI SONORI DELLA RURALITÀ 145

quali vengono rimessi in discussione non solo i criteri di defi-


nizione e costruzione del giudizio estetico, ma anche il ruolo
stesso del rapporto tra scienze umane, scienze sociali ed arte.
Non solo, come suggerisce Gravano, “l’artista, in quanto
attivista, non può che essere ricercatore”, ma anche il ricer-
catore stesso diventa artista, performer, sperimentando lin-
guaggi desueti di partecipazione e di trasmissione, usufruendo
di spazi disciplinari più aperti e liberi rispetto a quelli su cui
insistono le scienze umane e sociali, sovente regolati da uno
statuto epistemologico che li confina all’interno di un lessico o
di una sintassi critica costruita progressivamente da una lunga
tradizione di studi all’interno del proprio campo ed impos-
sibilitate, quindi, a registrare i limiti della propria voce, del
proprio sguardo, della propria autorità disciplinare42.
L’intervento artistico, invece, costruisce un dialogo mol-
to più aperto con la complessità del contesto all’interno del
quale si articola, richiedendo un coinvolgimento dinamico
con lo spazio o con gli abitanti dello spazio, quando l’arte
stessa supera i confini fisici e culturali delle pareti di un mu-
seo o di una galleria, oltrepassando la condizione ‘ambigua’
di questi spazi chiusi e il tentativo di registrare un passato
che “non passa”, dal momento che i processi storici, cultura-
li, sociali sono sempre, costantemente, in atto43.
Il dialogo che l’artista costruisce con l’oggetto/soggetto
dell’esperienza richiede un posizionamento chiaro, ri-sog-
gettivizzato, nella narrazione dell’altro44.

42
Idem, p. 106.
43
I. Chambers, A. De Angelis, C. Ianniciello, M. Orabona & M. Quadraro
(eds.), The Postcolonial Museum. The Arts of Memory and the Pressures of
History, Ashgate, Farnham 2014.
44
Questo vale sicuramente per la scrittura, così come emerge in maniera
evidente in J. Clifford & G. E. Marcus (eds.), Writing culture. The Poetics and
Politics of Ethnography, University of California Press, Berkeley/Los Angeles, CA
1986 – volume che a tutti gli effetti ha segnato un vero e proprio iato disciplinare
nell’ambito sia dei cultural studies che dell’antropologia. Le riflessioni di Clifford,
Marcus e degli altri saggisti, chiamati in quella sede a discutere delle questioni
relative alla costruzione del testo etnografico, estendono i propri confini non solo
alla critica d’arte ed alle scritture possibili sulle arti, ma anche all’arte stessa.
146 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

Anche le pratiche del field recording possono innescare


una serie di dinamiche di ri-soggettivizzazione nel processo
di narrazione rispetto al contesto in cui agiscono, in modo
particolare quando ad essere potenziato è il contesto stesso
all’interno del quale un lavoro sonoro viene prodotto, evi-
tando un approccio puramente acustico o di “suono per il
suono”.
I due artisti sonori Luis e Rui Costa hanno focalizzato,
per esempio, l’attenzione sulla soggettività come elemento di
riequilibrio di una pratica minacciata dall’opacità della rap-
presentazione documentaria:

Noi crediamo che questa enfasi sulla soggettività e sul


contesto sia necessaria perché il suono (e la pratica del field
recording in particolare) veicolano un carico di “oggettivi-
tà”, derivante dalla documentazione effettiva della realtà,
e la soggettività intrinseca alla registrazione del suono (per
esempio, la scelta del punto di ascolto e dei mezzi tecnologi-
ci di cattura del suono) spesso non è sufficiente per alleviare
questo peso45.

La prova documentaria, quella che Roland Barthes defi-


nirebbe come “ciò che è stato”46, come osservato da Cathy
Lane ed Angus Carlyle, non è l’unico registro disponibile
quando si analizza un lavoro basato sul field recording47.
Il sound artist può, a tutti gli effetti, decidere di presen-
tare il proprio lavoro al di fuori di ogni cornice referenziale,
lasciando che l’ordito dell’udibile veicoli le proprie energie,
la propria intrinseca complessità:

45
“Julgamos que essa subjectividade e ênfase no contexto é necessária
devido ao facto de o som (e a prática de “field recordings” em particular)
carregar um fardo de “objectividade”, de documentação do real, sendo que a
subjectividade inerente à captação (escolha do “ponto de escuta” e dos meios
tecnológicos de captação) nao é provavelmente suficiente para aliviar esse far-
do”. L. Costa & R. Costa (eds.), Três Anos em Nodar/Three Years in Nodar,
Edições Nodar, Nodar/Santo Tirso 2011, p. 32 (trad. it. mia).
46
R. Barthes, La camera chiara, tr. R. Guidieri, Einaudi, Torino 2003.
47
C. Lane & A. Carlyle (eds.), In the Field. The Art of Field Recording,
Uniformbooks, Axminster 2013.
GLI SPAZI SONORI DELLA RURALITÀ 147

Quello che abbiamo udito come il crepitìo, lo scoppiettare della


brace nel focolare potrebbe rivelarsi essere in realtà, nelle nostre
conversazioni con chi ha registrato, una registrazione tramite idro-
fono di gamberetti che comunicano tra loro, che si orientano e si
alimentano nel freddo Mar del Nord. Allo stesso modo le registra-
zioni potrebbero essere processate, trasformate e miscelate con
altri suoni in un contesto compositivo più “acusmatico”48.

Da queste parole, emerge implicitamente che l’atto della


registrazione audio fuoriesce in ogni caso da ogni possibile
perimetro di oggettività “documentaria”, dal momento che
le scelte del field recordist, in termini di scelta di attrezzature,
posizionamento delle stesse, invasione dello spazio fisico at-
traverso la presenza corporea e di inclinazione dello sguardo,
determinano i risultati della registrazione, segnando l’impos-
sibilità di produrre una scrittura sonora oggettiva e mera-
mente documentaria, intorno a qualsiasi oggetto di indagine.
L’esperienza dell’ascolto soggettivo porta con sé il resi-
duo oggettivo di ascolti passati ed essi, insieme, producono
l’ascolto come una realtà immaginata, che non è irreale ma è
piuttosto una realtà nata fuori dall’ascolto. È la pratica genera-
tiva ed immaginativa definita da Salomè Voegelin come critical
listening, intesa come ciò che produce un lavoro come un mo-
mento estetico pronto per la considerazione in un discorso49.
In questo lungo processo di ascolto, registrazione, rifles-
sione, narrazione e ricomposizione del paesaggio sonoro, che
rende evidenti gli obiettivi ideologici e culturali che influen-
zano la percezione, le dinamiche di traduzione agiscono su
due livelli complementari e paralleli: il posizionamento po-
etico/politico del sound artist, come soggetto/oggetto della
ricerca estetica sul campo, e la pratica generativa-immagina-
tiva di critical listening da parte del fruitore del sound work,
che suggerisce la possibilità di immaginare altre realtà, altre
verità, in quello che può essere definito come un atto socio-
politico di notevole potenza: l’atto dell’ascolto.

48
Ibidem.
49
S. Voegelin, Listening.
148 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

Questo atto è collegato ad una pratica rappresentabile nei


termini di una strategia che può essere scelta deliberatamente
per esplorare un paesaggio differente, rispetto a quello indivi-
duato dalla visione, diventando così esso stesso un vettore per
accedere ad altre visioni culturali del mondo, degli individui
che lo abitano, dei fenomeni che lo caratterizzano. La forza di
quest’atto è icasticamente fissata dalle parole di Tim Ingold:

L’ascolto illumina la piscina ondulata del suono che si muove


e modella il paesaggio, fino a farci sentire nella sua profondità
una visione alternativa di tutto ciò che è e tutto ciò che po-
trebbe essere, costringendoci a nuove conseguenze nel nostro
modo di vivere il mondo50.

Il paesaggio sonoro, come osserva Tim Ingold51, non cor-


risponde in senso etimologico all’ambiente acustico, poichè
non si accorda ad una veduta, ad uno scenario, ad un luogo
da osservare, ma si articola come uno spazio in cui il suono,
inteso come materia multipla, flessibile, plasmabile, con-
corre alla “costruzione di un immaginario praticabile, tridi-
mensionale, architettonico che si definisce [appunto] come
paesaggio”52.
Esso diventa un ambiente attivo all’interno del quale è pos-
sibile, attraverso la pratica dell’ascolto, aprire interrogativi, re-
gistrare le pieghe delle mappe del sapere, osservare fenomeni
e modelli, prima che essi vengano distorti dal filtro trasparente
della razionalità e da un sapere acriticamente accettato.
Un ambiente costruito intorno a spazi critici, disciplinari,
fisici e sensoriali in intersezione e sovrapposizione continua,
individuati dalla molteplicità e dalla complessità dei fenome-
ni sonori, dalla pluralità di prospettive offerte dagli universi

50
“Listening illuminates the undulating pool of sound that moves and shapes
the landscape, to hear at its depth an alternative view of all it is and all it could
be, forcing new consequences onto our living in the world”. T. Ingold, Against
Soundscape, in A. Carlyle (ed.), Autumn Leaves, Sound and the Environment in the
Artistic Practice, Double Entendre, Paris 2007, p. 12 (trad. it. mia).
51
Idem, pp. 10-13.
52
V. Gravano, Paesaggi attivi, p. 121.
GLI SPAZI SONORI DELLA RURALITÀ 149

sonori individuali e collettivi, dai flussi dell’ascolto inquadra-


ti nel framework di un’indagine articolata della realtà.
Un ambiente in cui le pratiche generative ed immaginati-
ve dell’ascolto non individuano un universo monodimensio-
nale, ma creano “una pluralità di mondi sonori effettivi, pos-
sibili ed impossibili che tutti noi possiamo abitare attraverso
l’ascolto ed attraverso la cui pluralità la musica perde la sua
egemonia e disciplina ed il paesaggio acquisisce le proprie
dimensioni”53.
Sottratto all’inquadramento schaferiano che ne ha, dagli
anni Sessanta in poi, condizionato la lettura in senso musi-
cale ed armonico54, immerso nel continuum complesso di un
ascolto non predeterminato e non lineare, il paesaggio sono-
ro rivela qui tutta la sua potenza estetica, politica, culturale
come spazio attivo55 all’interno del quale affinare strumenti
e metodi per poter tracciare percorsi possibili in quello che
Homi K. Bhabha chiama il tempo “aperto” della modernità56.
53
“a plurality of actual, possible and impossible sonic worlds that we can
all inhabit in listening and through whose plurality music loses its hegemony
and discipline and the landscape gains its dimensions...”. S. Voegelin, Liste-
ning, p. 14 (trad. it. mia).
54
R. Murray Schafer, tra i primi teorici del paesaggio sonoro, lo definisce
anche come “macrocosmic musical composition” (R. Murray Schafer, The
Soundscape: Our Sonic Environment and the Tuning of the World, Destiny
Books, Rochester 1994, p. 5). Si tratta di una lettura del soundscape chiara-
mente condizionata da una visione in cui il suono in sé è elemento disciplinare
subalterno rispetto alla musica: tutti i suoni apparterrebbero ad un campo di
possibilità continuo che ricade nella definizione comprensiva di musica.
55
Sarà interessante notare in questa sede come questo approccio al mon-
do attraverso il suono finisca per interrogare anche il linguaggio adoperato
per parlare, per descrivere il mondo nascosto nelle profondità del visibile.
Scrivere per indagare nel buio dell’invisibile significa produrre intuizioni,
svelare prospettive culturali che hanno per oggetto il ruolo stesso del suono
nella costruzione dell’esperienza del mondo. Significa evitare che la scrittura
si invischi nel pantano dei modelli visuali o che si polarizzi in un costante
confronto antitetico con essi. Significa aver cura della particolare condizio-
ne sensoriale alla quale l’ascolto è legata, svelando l’alterità e la pienezza dei
fenomeni sonori. Significa adoperare, in ultima istanza, un linguaggio che
interroghi criticamente quello prodotto nell’alveo della tradizione filosofica
occidentale, proponendo quesiti, interruzioni o sovvertimenti rispetto a tas-
sonomie, a paradigmi lessicali e semantici pregressi.
56
Bhabha osserva: “Where [these] temporalities touch contingently, their
150 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

3. Traduzioni rurali: ri-occupare il paesaggio sonoro attra-


verso pratiche ibride

Partendo dall’idea che una regione limitata geografica-


mente e più o meno ‘omogenea’ dal punto di vista culturale
possa offrire una serie infinita di possibilità estetiche, il terri-
torio rurale può trasformarsi in uno spazio per sperimentare
relazioni inattese tra artisti e comunità locali, con l’obiettivo
di entrare in contatto e comunicare sul territorio, attraverso
un approccio a partire dal quale i linguaggi estetici si tramu-
tano in nuove forme di condivisione57.
Quando il territorio rurale diventa spazio performativo e
di narrazione condivisa, attraverso le pratiche estetiche of-
ferte dal suono e dai linguaggi dei nuovi media58, esso stesso
si trasforma in luogo di interazione e sviluppo di azioni cul-
turali che generano flussi dialogici con i molteplici elementi
che danno forma allo spazio rurale.
Tra i primi progetti a fare esperienza dello spazio pubblico
rurale come luogo performativo, all’interno del quale è possibile
innescare meccanismi di indagine multidisciplinare alimentati
dal suono e dalla new media art, il festival Interferenze59 ed i suoi

spatial boundaries metonymically overlapping, at that moment their margins


are lagged, sutured, by the indeterminate articulation of the “disjunctive”
present. Time-lag keeps alive the making of the past” (H. K. Bhabha, The
Location of Culture, Routledge, London 1994, p. 253).
57
Luis Costa e Rui Costa adoperano il termine “homogeneous” (L. Co-
sta & R. Costa (eds.), Três Anos, p. 31) per inquadrare, dal punto di vista
culturale, la regione rurale del Nodar, in Portogallo, in cui hanno fondato
l’omonimo progetto di residenza per artisti focalizzato sulle pratiche estetiche
del suono. Si veda il sito http://binauralmedia.org/news/en/, (ultimo accesso
30 settembre 2016).
58
Si utilizzerà in questa sede la nozione di “nuovi media” a partire dall’in-
quadramento datone da Lev Manovich (L. Manovich, The Language of New
Media, MIT Press, Cambridge, MA 2001), con riferimento specifico alle
cinque proprietà ad essi attribuibili (rappresentazione numerica, modularità,
automazione, variabilità, transcodifica).
59
Si tratta di una serie di progetti sviluppati tra l’Irpinia, il Sannio bene-
ventano e la Puglia (area Barsento-Trulli) a partire dal 2003, in cui si intrec-
ciano arte, tecnoculture e ruralità. A partire dalla forma originaria del festival
di arti e nuove tecnologie Interferenze, vengono sperimentati una serie di for-
GLI SPAZI SONORI DELLA RURALITÀ 151

progetti collaterali (Mediaterrae Vol.160, FARM/Interferenze


201261, Barsento Mediascape62, Calitri Temporary Orchestra63 e,
più recentemente, Liminaria64, al quale si è già fatto accenno in
precedenza) insistono su territori ibridi, performati sul crinale
tra mondo tecnologico, urbanizzato e inorganico, e territorio
rurale, arcaico e organico65. Come avviene nell’edizione 2006
del festival66, completamente immersa nei boschi del complesso
montuoso del Partenio, nell’entroterra rurale dell’Irpinia:

Mentre suoni e luci si insinuavano tra le cortecce secolari


degli alberi, alimentando un territorio semi-incontaminato, il
bosco diventava un’isola privata e pubblica allo stesso tempo.
Naturalis electronica. Una sperimentazione così libera ma senza
sbavature, mediante l’uso di software quali Jitter e Maja, Max/
Msp, linguaggi tipo Processing e altro, in un tale contesto, svin-
cola sempre più la cultura digitale da uno dei luoghi comuni
che più tenacemente le si accompagna, quello della sua presun-
ta freddezza67.

mat ibridi (residenze, laboratori, workshop, progetti di studio sul campo) che
confluiscono in una piattaforma di ricerca focalizzata sul concetto di (neo-)
ruralità, nella quale si intersecano approcci trans-disciplinari ispirati ai new
media studies e agli studi culturali e postcoloniali.
60
Documentazione video in rete: http://vimeo.com/6547530, (ultimo ac-
cesso 30 settembre 2016).
61
Documentazione video in rete: http://vimeo.com/78064624, (ultimo
accesso 30 settembre 2016).
62
Documentazione audio in rete: http://soundcloud.com/barsentome-
diascape, (ultimo accesso 30 settembre 2016) e http://soundcloud.com/agf-
antye-greie/grotta-del-trullo-collective, (ultimo accesso 30 settembre 2016).
63
Documentazione video in rete: http://vimeo.com/77868697, (ultimo
accesso 30 settembre 2016).
64
Documentazione video dell’edizione 2014 in rete: http://vimeo.
com/120575894, (ultimo accesso 30 settembre 2016).
65
Per ulteriore documentazione, si veda: www.interferenze.org, (ultimo
accesso 30 settembre 2016).
66
Documentazione video in rete: http://vimeo.com/6020034, (ultimo ac-
cesso 30 settembre 2016).
67
F. Lucarelli, Tra pixel e clorofilla, “Socks”, [blog entry], 09 agosto 2006,
http://socks-studio.com/2006/08/09/tra-pixel-e-clorofilla/, (ultimo accesso
01 marzo 2016).
152 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

Le parole di Fosco Lucarelli insistono sulle modalità di


occupazione di uno spazio, quello di un’enorme parte di
foresta, attraverso le forme delle arti digitali e del suono,
secondo un approccio che segue allo stesso tempo diverse
direttrici. Quella verticale del radicamento plurisecolare
degli abeti, dei faggi, dei castagni della foresta e della sedi-
mentazione delle culture che hanno abitato e vissuto la mon-
tagna; quella orizzontale dei segnali delle reti elettroniche e
di Internet, attraverso le quali tracciare mappe e connessioni
invisibili, che fendono gli spazi boschivi insinuandosi in luo-
ghi prima alieni alle onde elettromagnetiche; quella obliqua
della mescolanza dei linguaggi, dei flussi, dei corpi in transito
in questo territorio “semi-incontaminato”.
In queste terre, nel cuore della foresta del Partenio, tanti
sono gli elementi in movimento ed in intersezione, metafora
di una ruralità che non è mai inerte, statica, ma che si apre
continuamente all’incontro. Attraverso le narrazioni dell’ar-
te, questo mondo riscopre, negli spazi silenziosi ed immoti
che superano i confini delle aree densamente antropizzate e
sconfinano nelle profondità della foresta, le tracce di percor-
si che eccedono la visione di un territorio fermo nella propria
marginalità, in tensione verso il recupero di una forza attiva
che devia lo sguardo al di là di ogni visione strumentale e
razionale.
Nelle pieghe di questi spazi, è possibile avvertire l’eco di
un tessuto culturale pulsante, che risuona di storie dimen-
ticate, trascurate o rimosse. Storie altre, che riempiono di
significati nuovi anche concetti come quello di “tradizione”,
sottratto al ruolo di immobile simulacro ed inserito invece
nel dinamismo dei flussi di traduzione, trasformazione, tran-
sito che ritornano, come fiumi carsici, latenti ma indelebili,
dall’inconscio.
Nel corso del tempo, diversi approcci metodologici ed
estetici sono stati sperimentati nei progetti del festival Inter-
ferenze, con il coinvolgimento di un metodo trans-discipli-
nare in cui antropologia, sociologia, estetica, geografia, filo-
sofia e letteratura si incrociano, cercando di alimentare un
GLI SPAZI SONORI DELLA RURALITÀ 153

processo olistico che intreccia la pluralità di voci che esiste


negli spazi rurali e le narrazioni costruite dagli artisti coin-
volti. È un’esperienza artistica che permette di accedere a
livelli di significato più profondi, che possono essere tradotti
in strumenti concettuali come quelli che Luis e Rui Costa
richiamano attraverso le nozioni di “hypersensitivity or the
‘aesthetic magnifying lens’”68.
Calitri Temporary Orchestra è uno dei risultati di questi
processi estetici e di comunicazione, espresso nei termini di
un progetto che riflette e trasmette non solo aspetti delle me-
morie collettive ed individuali della regione rurale dell’Irpi-
nia, ma anche nuove esperienze ed abitudini69. Attraverso lo
studio del patrimonio musicale popolare del piccolo borgo
di Calitri e della sua area circostante, questo progetto è stato
strutturato come un laboratorio di residenza con il sound ar-
tist giapponese Yasuhiro Morinaga e quaranta giovani mem-
bri della locale banda musicale “Città di Calitri”, diretta da
Carlo Luongo ed è stato sviluppato in due differenti fasi tra
febbraio e luglio 2013.
Al termine di una lunga residenza, l’orchestra assemblata
ha performato dal vivo alcune canzoni di lavoro e di can-
tina appartenenti alla tradizione rurale irpina: Franceschina
la calitrana, Mamma mo’ passa Antonio e Rosa si chiama la
mamma mia. Tre brani ricreati in uno spazio sonoro ibrido,
costruito sull’interazione di diversi livelli: il suono digitale
processato in tempo reale e catturato dal microfono dell’or-
chestra e il suono diretto dell’orchestra, in un mash-up tra le
parti analogiche ed orchestrali e quelle digitali. Il risultato
finale è un’intera performance sonora costruita attorno al
dialogo tra lo spartito orchestrale delle tre canzoni, riscritto
dalla banda ed il flusso digitale in cui convergono sia parti
processate in tempo reale che parti pre-registrate, e cioè field

68
L. Costa & R. Costa (eds.), Três Anos, p. 31.
69
Si veda: L. Pisano, Tra le rive dell’Ofanto ed il Lago di Conza: paesaggi
sonori ibridi in Irpinia, in A. Nannariello (a cura di), L’Ofanto dagli impeti
di vortici e di creste, Gal Cilsi/Parco Letterario De Sanctis, Nusco 2015, pp.
31-33.
154 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

recording, ottenute in diversi luoghi dell’Irpinia da Morinaga


durante un progetto di ricerca delle fonti sonore della regio-
ne durato oltre due anni70.
Calitri Temporary Orchestra incarna il tentativo di combi-
nare diversi linguaggi e narrare storie differenti attraverso le
performance di azioni culturali orientate ad estendere la con-
sapevolezza sul potenziale del territorio rurale come luogo di
fruizione di un’esperienza totalizzante.71 L’idea è che le tra-
dizioni possano trovare arricchimento attraverso le modalità
di storytelling transmediale: le culture digitali non vengono
semplicemente chiamate a riprodurre e a rimediare un patri-
monio di conoscenze pregresse, ma a rileggerle e ad amplifi-
carle attraverso il potenziale insito nei propri linguaggi.
Richiamare e ripensare il passato attraverso le pratiche
estetiche del suono significa dare forma ad un processo di
cultural translation che72, dal momento che la traduzione
stessa rappresenta il luogo del linguaggio nel più ampio sen-
so dei cambiamenti storici e culturali, permea, attraverso il
transito linguistico, i luoghi della traduzione e l’azione del
dare un senso73. Si entra così in relazione, di nuovo, con l’in-

70
Tra i field recording di Morinaga pubblicati in rete, si segnalerà alme-
no: Y. Morinaga, For “La Donnaccia”, [online audio streaming], 2013, http://
soundcloud.com/galaverna/yasuhiro-morinaga-for-la.
71
“A place in which both the traditional forms of territory knowledge and
the possibility of increasing the value of rural context as a new and unknown
fruition field of cultural actions can converge” (L. Pisano, Exploring Rural
Territory as a New Medium, in Funke, J., S. Riekeles, A. Broeckmann &
Hartware MedienKunstVerein (eds.), Proceedings of the 2010 16th Interna-
tional Symposium of Electronic Art (Isea) in Ruhr, Revolver Publishing, Berlin
2010, p. 194).
72
Il fondamento epistemologico di questo processo può essere individua-
to nell’idea di cultural translation espressa da Homi K. Bhabha nel saggio
How Newness Enters the World: Postmodern Space, Postcolonial Time and the
Trials of Cultural Translation (H. K. Bhabha, Location, pp. 212-235). Sulla
questione, si veda anche B. Buden, Cultural Translation: Why It Is Important
and Where to Start with It, 2006, http://eipcp.net/transversal/0606/buden/
en, (ultimo accesso 30 settembre 2016).
73
I. Chambers, intervistato da H. B. Mendolicchio, Polifonia mediterra-
nea. Intervista con Iain Chambers, “InterARTive”, Issue 23, 2010, http://in-
terartive.org/2010/07/polifonia-chambers/, (ultimo accesso 01 marzo 2016).
GLI SPAZI SONORI DELLA RURALITÀ 155

nata mobilità della tradizione come luogo della traduzione,


dal momento che non c’è possibilità di sopravvivere senza
adattarsi in divenire al processo attraverso il quale la tradi-
zione stessa si sorregge.
Se dunque, come scrive Iain Chambers, “la lingua non
è soprattutto mezzo di comunicazione: è primariamente un
mezzo di costruzione culturale in cui si costituiscono il senso
e il sé”, i linguaggi dell’arte dischiudono all’artista ed alla
comunità spazi in cui dialogare, in un’accezione linguistica
che non riproduce semplicemente il senso delle differenze
culturali e storiche, ma che le produce materialmente, at-
traverso un atto che incrina l’inquadratura del mondo con-
dizionata dallo sguardo del soggetto umanistico, completa-
mente subordinato ad un punto di vista singolare, astratto
ed universale74.
In questo processo performativo, l’artista e la comunità
si incontrano nello spazio in-between in cui viene messa in
atto una negoziazione determinante del concetto di ri-sog-
gettivizzazione, nell’ambito del complesso campo di forze
nel quale si definisce l’atto dell’incontro stesso. Attraversare
questo spazio, da parte dell’artista, significa incamminarsi
lungo un crinale irto di rischi, correlati alle condizioni ma-
teriali della pratica e al posizionamento assunto nel corso
dell’esperienza dell’incontro, alla ricostruzione simbolica
dell’“altro” come controparte nel dialogo ed alle condizioni
stesse di questo dialogo, inscritto in un meccanismo di po-
teri, linguaggi, storie e confini dal quale scaturiscono tutte
le dinamiche di differenziazione. Se questo attraversamento
riesce a svincolarsi dai rischi di una lettura etnocentrica, in
cui l’alterità viene letta nei termini di “un’identità universa-
listica deterritorializzata di appartenenza”, esso prelude alla
possibilità di tracciare percorsi imprevedibili tra linguaggi,
culture e complesse configurazioni di potere e significato75.

74
I. Chambers, Paesaggi migratori. Cultura e identità nell’epoca postcolo-
niale, Meltemi, Roma 2003.
75
V. Gravano, Il critico come etnografo? Il posizionamento nella scrittura
da Santa Fé ad Hal Foster, “Art’O”, vol. 10, n. 24, 2007, pp. 18-23.
156 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

Molte delle riflessioni possibili intorno ai processi di tra-


duzione culturale, attraverso gli strumenti di indagine offerti
dal suono e dalla sua proiezione nel paesaggio, vengono in
evidenza in Calitri Temporary Orchestra, progetto che si arti-
cola attorno alla possibilità di rioccupare il paesaggio sonoro
di uno spazio rurale attraverso approcci diversi ed inattesi,
attraverso i quali la comunità locale può relazionarsi con il
proprio territorio e le proprie culture.
In questo processo, il soundscape è coinvolto come un
elemento attivo e frammentato, assemblato attraverso la ri-
lettura della memoria e la riscrittura delle canzoni del passa-
to. Così articolato, esso offre una narrazione che coinvolge
diversi livelli: anzitutto quello spaziale e quello fisico, che
sono legati alle registrazioni ambientali del territorio irpino
raccolte e performate da Yasuhiro Morinaga. Raccogliendo
i suoni da diversi luoghi della regione, Morinaga decide di
esplorare non solo il paesaggio delle foreste e delle colline
irpine ma, dal momento che anche il paesaggio rurale è un
“inhabited landscape” su diversi piani, egli scava a fondo
nelle tracce dell’occupazione storica del territorio, nell’esi-
stenza di spazi vitali per ogni abitante, nella voce di chi abita
i luoghi, concentrandosi non solo sulla tradizione musicale,
ma anche sugli aspetti del linguaggio verbale, come l’accento
o la musicalità della voce76.
Il paesaggio fisico rappresenta certamente una compo-
nente importante di questa esplorazione, come focus narra-
tivo di una storia che racconta la multiforme relazione tra
spazi naturali e presenza antropica, secondo una prospettiva
di ricerca degli aspetti poetici o di durezza legati a questo
complesso rapporto.
Morinaga plasma la materia sonora tramite la registrazio-
ne, la rieditazione, il processing, la ricombinazione di elemen-
ti acustici scavati nel paesaggio fisico e culturale, nelle voci
del vento o nei racconti della comunità, secondo un metodo
di modellazione delle forme sonore catturate che si artico-

76
L. Costa & R. Costa (eds.), Três Anos, p. 33.
GLI SPAZI SONORI DELLA RURALITÀ 157

la attraverso una lettura bidimensionale, in cui lo spessore


corporeo dei suoni si combina alla loro ineffabilità, alla loro
fluidità. Ascoltare il dipanarsi di questo racconto, che non si
configura come una semplice storia di finzione narrata, ma
che segna via via l’emergere di un mondo sonoro complesso
e pluriverso, nella sua evidenza al tempo stesso fenomenica
ma anche vibrazionale, significa immergersi in un processo
generativo nel quale ogni piccolo suono è un frammento di
un’esperienza di scoperta ‘attiva’ del paesaggio rurale irpino
da parte di Morinaga.
In questo modo, il suono si afferma come elemento per-
formativo attivo all’interno dello spazio rurale, proponendo,
attraverso le proprie modalità di strumento sospeso tra realtà
e possibilità in una sorta di equivalenza critica, la messa in
atto delle pratiche di una geografia affettiva costruita negli
attraversamenti, negli incontri, nell’abitare e nel camminare
all’interno del territorio stesso, in tensione verso una sua (ri)
appropriazione tramite nuovi possibili ascolti.
È un’esperienza che non ha nulla di musicale nè armonico,
poichè si sviluppa nell’incertezza, nell’instabilità e nella
generatività dell’ascolto, attraverso la potenzialità che esso
offre di costruire il sè e l’altro accettando nuove possibilità
prima non considerate, complessificando l’inquadramento
della realtà e rifiutando ogni tipo di ancoraggio alla razionalità
o all’oggettività fissa.
La narrazione sonora di Morinaga attraversa i luoghi, le
voci, i silenzi dell’Irpinia e dei suoi borghi, dei suoi campi,
dell’acqua e del vento, inscrivendo il paesaggio in un’aura di
opacità invisibile e straniante, che spinge i limiti dell’ascol-
to verso la soglia dell’inudibile, quella intorno alla quale si
costruisce la pluralità del particolare. Il suono diventa così
l’elemento che eccede e trascende ciò che la visione oculare
riesce ad inquadrare, costruendo instancabilmene l’esperien-
za dell’incontro e contribuendo ad introiettare nello spazio
del personale e del familiare gli elementi della narrazione.
Tutto ciò che appare estraneo nel dominio visuale, non lo
è necessariamente in quello uditivo, quando un’immagine,
158 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

uno scorcio, un nome diventano vicini, personali nell’espe-


rienza dell’ascolto.
Si può rimanere così, immersi nell’ascolto di questi field
recording come fossero suoni familiari, di luoghi vissuti da
vicino, in una dimensione straniante, con un senso di deriva
che eccede ogni geografia ‘umanistica’, perchè chi ascolta
non è mai al centro di questi spazi sonori, ma li abita tem-
poraneamente producendone di nuovi, che riattualizzano
e riassemblano continuamente la realtà nella sua infinita
pluralità.
Attraverso la vibrazione del suono riusciamo ad immagi-
nare e a scandagliare queste geografie affettive, costruite nella
narrazione di ciò che è altro, ma allo stesso tempo familiare,
estraneo ma riconducibile alla memoria degli affetti, apren-
do il paesaggio sonoro stesso al dinamismo di una continua
ed inattesa scoperta, che aliena l’ascolto alla prevedibilità ed
all’oggettività, immergendolo da un lato nel dominio della
dimensione poetica e dall’altro rendendolo strumento per
esperire una realtà sottratta ad ogni trasparenza razionale.

4. Tra suono, comunità e contesto

Il lavoro in Irpinia di Yasuhiro Morinaga è orientato ad


un ascolto profondo delle voci delle comunità locali, di pae-
saggi e luoghi – in vecchie frazioni rurali o villaggi ricostruiti
dopo il terremoto del 1980, fattorie sparse, luoghi abban-
donati, campi coltivati ed aperti – attraverso l’esperienza di
circostanze inattese legate al contatto sociale.
Operare in un simile contesto porta l’artista ad adattarsi,
a ridisegnare e a mettere in discussione linguaggi, materiali
ed approcci al territorio stesso. Morinaga si cala in un’espe-
rienza di coinvolgimento totalizzante, entrando in relazione
con una mescolanza di diversi modi di vivere, concepire, nar-
rare e performare il mondo.
Il suo incontro con il contesto locale non è solo strumen-
tale, ma in qualche modo organico, costruito durante due
GLI SPAZI SONORI DELLA RURALITÀ 159

anni trascorsi in Irpinia ricercando, comunicando, immer-


gendosi nel territorio locale. Durante questo lungo e com-
plesso processo, egli scopre un senso di apertura nei con-
fronti dell’altro, che è il tratto fondamentale della comunità
locale, innescato da una comunicazione reciproca dotata di
un intrinseco grado di tensione ed imprevedibilità.
L’interazione ‘collaborativa’ tra artista e comunità loca-
le si fonda su una serie di elementi metodologici che vanno
problematizzati, per evitare che le pratiche estetiche messe in
atto non solo portino alla facile conversione di materiali ed
esperienze della quotidianità locale, in quella che Hal Foster
definisce come “cultural proxy”, costruita sulla centralizza-
zione dello sguardo antropologico, ma anche ad una deriva
etnografica in cui l’autorità della voce dell’artista si afferma
in maniera incontrastata e riconosciuta77. Se, da un lato, la
collaborazione tra artista ed comunità locale rappresenta
uno strumento potente per ri-occupare spazi culturali andati
persi e dare voce a contro-storie della memoria, dall’altro esi-
ste un rischio di autoritarismo espresso attraverso lo sguardo
dell’artista78.
Nel lavoro di Morinaga, vi è una componente di riflessi-
vità che aiuta il suo punto di vista ad eccedere ogni possibile
oggettificazione dell’altro finalizzata a soddisfare un deside-
rio di “autenticità” di storie ed identità locali.
È un approccio in cui il suono si libera dal carico di
oggettività legato alla pratica materiale della registrazione
per diventare elemento di confronto con i luoghi (attraverso
il field recording) e la comunità, non solo attraverso un lun-

77
H. Foster, The Artist as Ethnographer, in The Return of the Real: The
Avant-Garde at the End of the Century, MIT Press, Cambridge, MA 1996, pp.
171-204. L’espressione “cultural prox[y]” è cit. in M. Kwon, One Place after
Another. Site-Specific Art and Locational Identity, MIT Press, Cambridge/
London 2002, p. 5.
78
Scrive a tal proposito Foster: “The quasi-anthropological role set up for
the artist can promote a presuming as much as questioning of ethnographic
authority an evasion as often as an extension of institutional critique”. (H.
Foster, The Artist, p. 197).
160 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

go, profondo dialogo con le voci locali, ma anche per mezzo


dell’interscambio con la banda di Calitri.
Morinaga riesce così a sfuggire al paradigma metodologi-
co di una mappatura etnografica ispirata ad un’opposizione
cartesiana che autorizza l’osservatore a mettere in atto un
processo di astrazione culturale e che, parafrasando le parole
di Pierre Bordieu79, rischia di confermare piuttosto che con-
testare l’autorità di chi produce la mappatura, al punto da
diminuire drasticamente la portata dello scambio desiderato
nel corso del lavoro dialogico sul campo80.
L’immersione di Morinaga nei luoghi e nelle voci dei bor-
ghi irpini restituisce il senso di un costante dialogo intimo, in
cui la ricerca degli spazi residuali, degli elementi interstiziali,
dei suoni dimenticati nel paesaggio non è mai guidata dal
punto di vista di chi guarda alle comunità marginali corren-
do il rischio di creare le condizioni per un’opera di coloniz-
zazione delle differenze.
È un lavoro che si colloca al di fuori di ogni pretesa
retorica, da parte dell’artista, di autoproclamarsi come il
tramite di un’espressività senza mediazioni da parte della
comunità81.
Il sound artist non si appropria della comunità politica-
mente o simbolicamente ma, servendosi della forza concreta

79
L’analisi di Bordieu viene ripresa dallo stesso Foster, che si sofferma sul-
le conseguenze di questa riduzione, evidenziando il pericolo – in un contesto
che è quello delle pratiche di arte contemporanea all’interno dello spazio ur-
bano – di uno sconfinamento in forme nuove di ‘primitivismo’ urbano verso
gruppi minoritari socialmente emarginati.
80
Scrive Bordieu: “Such mapping may thus confirm rather than contest
the authority of mapper over site in a way that reduces the desired exchange
of dialogical fieldwork” (P. Bordieu, cit. in H. Foster, The Artist, p. 190).
81
È la posizione di Grant Kester, che rilegge l’atteggiamento dell’artista
comunitario alla luce dello status paragonato da Pierre Bordieu a quello di un
delegato che agisce come produttore di significati per la comunità referenzia-
le. In questa prospettiva, Kester paragona alcune comunità collaborative di
artisti ai delegati che rivendicano l’autorità di parlare per le comunità: “[they]
claim the authority to speak for the community in order to empower himself
politically, professionally and morally” (G. Kester, Aesthetic Evangelists: Con-
version and Empowerment in Contemporary Community Art, “Afterimage”,
vol. 22, n. 6, 1995, p. 9).
GLI SPAZI SONORI DELLA RURALITÀ 161

del suono, contribuisce alla ‘liberazione’ del paesaggio sono-


ro della comunità, insieme alla comunità, rendendolo spa-
zio attivo al di fuori dalla rappresentazione, dalla referenza,
dalle verità oggettive e lo articola come un ambiente fluido,
invisibile, nascosto, nel quale è possibile inscrivere nuove
storie, nuove narrazioni, che rimettono in circolo attraverso
le pratiche del suono e dell’ascolto elementi già esistenti ed
in circolazione nel paesaggio stesso.
Ma tutti questi complessi processi dialettici di identifi-
cazione, disidentificazione, misidentificazione rimangono
sospesi, dal punto di vista concettuale e delle pratiche di
confronto, se si elude la questione centrale della costruzione
“in discorso” della comunità: come è possibile identificare
un gruppo di persone nei termini di una “comunità”?
E ancora, chi decide quali sono gli elementi sociali e
culturali che rappresentano queste persone o che vengono
analizzati attraverso di esse? Come si configura la natura
della relazione di collaborazione tra artista e comunità? Se è
l’identità della comunità locale ad essere ‘prodotta’ o indaga-
ta attraverso una serie di pratiche estetiche, anche l’identità
dell’artista sarà coinvolta in questo processo di interrogazio-
ne sull’identità? Quali sono le conseguenze e le implicazioni
su diversi piani (politico, sociale, culturale) dell’incontro di
artista e comunità nello spazio in-between in cui si produce
l’opera d’arte? E infine, come si costruisce un discorso sulla
comunità dal punto di vista del suono82?
Per tentare di dare una risposta a questi interrogativi, è
necessario anzitutto soffermarsi sul concetto stesso di comu-
nità, sullo sfondo della distinzione tra le comunità preesi-
stenti, “politically-coherent”, come le definisce Grant Kester
e quelle invece che trovano definizione o rilettura all’interno
dello spazio di interazione in cui esse possono riconoscersi e
confrontarsi con l’artista83.

82
Sulla questione, si veda anche: L. Pisano, Comunidad acústica y identi-
dad sónica, “Panambí”, Issue 1, 2015, pp. 129-145.
83
G. Kester, Aesthetic Evangelists, p. 9.
162 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

Il punto di partenza di questa analisi può essere con-


densato nelle parole di Jean-Luc Nancy, a proposito della
complessa riconcettualizzazione del termine “comunità”:
“non c’è comunione, non c’è essere comune, ma c’è l’essere
in comune”84. È evidente, in questa lettura, che la comunità
non può configurarsi come un semplice insieme di soggetti,
né come una “promise of immanence” o come una comu-
nione di individui nella maggior parte o nella completezza di
una totalità85.
Se da un lato Nancy sottrae la comunità alla sfera della
soggettività, articolandone il contenuto all’interno della sfera
semantica del proprio prefisso, il cum, come un ‘con’ privato
di sostanza o di legame, sprovvisto di interiorità, personalità
o soggettività, dall’altro lato egli considera l’essere insieme
come un essere ‘accanto’ che non è, solo, un trovarsi gli uni
accanto agli altri, ma piuttosto un concetto che comincia con
e nel singolare, lo fonda nel momento stesso in cui ne è a
sua volta fondato86. La prospettiva di Nancy si fonda dunque
su una paradossale “doppia anteriorità” di ciò che è comu-
ne e ciò che è particolare, dove ciascuno precede l’altro dal
momento che non esiste pluralità senza singolarità ed esse
sono “contemporanee al loro essere-insieme”87. In ogni caso,
è il soggetto, l’individuo o la persona, a chiudere l’orizzonte,
dal momento che non esiste libertà se sussiste un orizzonte e
la libertà stessa trapassa ogni orizzonte, perché tende verso
l’infinito. In questa riflessione, il passaggio fondamentale è
rappresentato dall’affermazione della costitutiva pluralità
dell’individuo: dall’ego sum all’ego cum, al nos sumus: “L’es-

84
“there is no communion, there is no common being, but there is being
in common”. J-L. Nancy, Of Being in Common, in Miami Theory Collective
(ed.), Community at Loose Ends, University of Minnesota Press, Minneapolis,
MN 1991, p. 4 (trad. it. mia).
85
G. Van Den Abbeele, Introduction, in Miami Theory Collective (ed.),
Community at Loose Ends, University of Minnesota Press, Minneapolis, MN
1991, p. XIV.
86
J-L. Nancy, Che cos’è il collettivo?, in U. Perone (a cura di), Intorno a
Jean-Luc Nancy, Rosenberg & Sellier, Torino 2011, p. 13.
87
Ibidem, p. 17.
GLI SPAZI SONORI DELLA RURALITÀ 163

sere può dirsi soltanto in questo modo singolare: noi siamo.


La verità dell’ego sum è un nos sumus”88.
Alla visione nancyana di una comunità che si definisce
non solo attraverso la comunicazione intima dei suoi compo-
nenti tra di loro, ma anche attraverso la comunanza organica
di se stessa con la propria essenza, si affianca la prospetti-
va di Roberto Esposito, anch’essa fondata sulla dimensione
della collettività, come terreno in cui si inscrive la comunità
attraverso la circolazione sociale e l’esistenza fuori di sè: “[la
comunità] è l’insieme di persone unite non da una ‘proprie-
tà’, ma da un dovere o da un debito, ossia, appunto, da un
munus”89.
È attraverso il concetto di cum-munus che Esposito mette
in atto un vero e proprio processo di decostruzione lingui-
stica e concettuale del termine “comunità”, per come esso è
stato declinato dal pensiero occidentale fino al Novecento
compreso, giungendo ad affermare la natura relazionale, e
non sostanziale, della comunità90. L’elemento fondante che
lega ed impegna i componenti di questa non può non essere
espresso, per Esposito, che nei termini di un reciproco do-
narsi. La comunità fuoriesce dunque dallo spazio concettua-
le in cui si definisce, sottratta a se stessa dal conato donativo
che la fonda, attraverso un processo di espropriazione e non

88
J.- L. Nancy, Essere singolare plurale, tr. D. Tarizzo, Einaudi, Torino
2001, p. 49.
89
R. Esposito, Communitas. Origine e destino della comunità, Einaudi,
Torino 1998, p. 15.
90
Erica Marcantonio, commentando e citando Jean-Luc Nancy, fa notare
come “in ogni momento della storia dell’Occidente il sentimento dominante
è sempre stato quello di una nostalgia per una comunità più arcaica e ormai
perduta, da Ulisse fino alla cristianità al punto che “la comunità potrebbe
essere al tempo stesso il mito più antico dell’Occidente e il pensiero, tipica-
mente moderno, di una partecipazione dell’uomo alla vita divina: il pensiero
dell’uomo che penetra nell’immanenza pura”. La comunità non è ciò che la
società avrebbe perso, ma “è ciò che ci accade – questione, attesa, evento, im-
perativo – a partire dalla società” (E. Marcantonio, Comunità e coesistenza, in
U. Perone (a cura di), Intorno a Jean-Luc Nancy, Rosenberg & Sellier, Torino
2011, p. 21; le citazioni riportate da Marcantonio sono tratte da J.-L. Nancy,
La comunità inoperosa, tr. A. Moscati, Cronopio, Napoli 2003, pp. 37, 35).
164 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

di appropriazione. Ad essere toccata è anche la stessa identi-


tà di chi è vincolato al legame comunitario, poiché è l’alterità
che la istituisce a proiettare la comunità fuori da se stessa.
Così configurata, l’identità diventa dunque taglio, ibridazio-
ne, contaminazione, contagio.
Dai contributi di Nancy ed Esposito, viene in evidenza il
tentativo di sottrarre la definizione della comunità a quei pa-
radigmi della filosofia contemporanea che l’hanno confinata
concettualmente alla categoria del “proprio”, intendendola
come sostanza che connette dei soggetti tra di loro attraverso
la condivisione di un’identità comune. Si tratta di studi che,
al pari di quelli di Maurice Blanchot e Giorgio Agamben,
sovvertono la visione di una comunità definita dal senso di
appartenenza reciproca dei suoi membri, sia attraverso l’atto
di appropriarsi di ciò che è comune, sia tramite quello di co-
municare quanto è proprio, in una prospettiva che collega la
comunità ad una specie di alterità costitutiva che la strappa a
qualsiasi connotazione identitaria91.
In definitiva, ri-pensare alla comunità implica una sua de-
costruzione, un superamento del suo progetto di comunione
associativa, per assumerla come il carattere originario dell’e-
sistenza, attraverso il riconoscimento – in senso nancyano –
della sua incompiutezza e della sua inoperosità.
Questo approdo definisce anche un possibile orizzonte di
conciliabilità tra le tesi di Nancy e la diffidenza di Derrida
nei confronti dell’intera questione della comunità, inqua-
drata nella cornice più ampia di una riflessione sospettosa
verso tutto ciò che può nascondere il segno fantasmatico,
inquietante, della presenza, laddove “l’esistenza si dispiega
in quanto manifestazione di una pluralità di tracce, ovverosia
di fenomeni che rimandano a enti temporali, sia presenti che
assenti – scomparsi o a venire”92.

91
M. Blanchot, La comunità inconfessabile, tr. M. Antonelli, Feltrinelli,
Milano 1984; G. Agamben, La comunità che viene, Bollati Boringhieri, Torino
2001.
92
C. Tabacco, Dallo spettro della comunità alla comunità dello spettro –
Una riflessione tra Derrida e Nancy, “Psicanalisi Critica”, n. 1, 2014, http://
GLI SPAZI SONORI DELLA RURALITÀ 165

Anche quando l’analisi di una comunità si sposta sul pia-


no del suono, essa si lega necessariamente all’interrogazione
di concetti come “identità” e “relazione”.
All’interno delle teorie del suono e del paesaggio sono-
ro, la discussione sulla comunità nasce negli stessi anni in
cui R. Murray Schafer elabora la teoria del soundscape: “La
comunità può essere definita in molti modi: come un’entità
politica, geografica, religiosa o sociale. Ma sto per proporre
[qui] che la comunità ideale può essere definita in maniera
vantaggiosa anche attraverso delle linee acustiche”93.
Da questa citazione, appare ben chiaro che la definizione
schaferiana di acoustic community richiede una ri-definizione
di una comunità reale attraverso l’uso che essa fa del suono.
In altri termini, l’esistenza di una determinata comunità è il
prerequisito per l’individuazione di una acoustic community.
Quest’ultima, pertanto, rappresenta solo uno dei possibili
aspetti di una comunità: Schafer ne dà degli esempi citando
gli Unni, la comunità “ideale” platonica, i villaggi di pesca
francesi ed altri modelli ancora, tutti alimentati però da una
visione nostalgico-simbolica che esprime, una volta di più, il
mito occidentale di quelle che Nancy considera come comu-
nità “ideali”, perdute, arcaiche.
Nell’elaborazione dell’idea di comunità acustica, si inse-
risce anche la posizione di Barry Truax, che la declina attra-
verso i concetti di paesaggio e sistema acustico: “la comunità
acustica può essere definita come un qualsiasi paesaggio
sonoro in cui l’informazione acustica svolge un ruolo per-
vasivo nella vita degli abitanti. [...] È un sistema all’interno
del quale vengono scambiate informazioni acustiche”94. Si

www.psicanalisicritica.it/index.php/numeri-precedenti/numero-1/50-dos-
sier-n-1/124-dallo-spettro-della-comunita-alla-comunita-dello-spettro-2, (ul-
timo accesso 30 settembre 2016).
93
“Community can be defined in many ways: as a political, geographical,
religious or social entity. But I am about to propose that the ideal community
may also be defined advantageously along acoustic lines”. R. Murray Schafer,
The Soundscape, p. 220 (trad. it. mia).
94
“the acoustic community may be defined as any soundscape in which
acoustic information plays a pervasive role in the lives of the inhabitants. [...]
166 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

tratta di una posizione che non richiede l’esistenza a priori


di un tipo specifico di comunità per definire una comunità
acustica. Quest’ultima, cioè, non rappresenta un semplice
aspetto di una comunità, ma ne è semmai una declinazione,
una tipologia che trova definizione anche nel suo insistere in
uno spazio più o meno arbitrariamente delimitato: “il confi-
ne della comunità (acustica) è arbitrario e può essere piccolo
come una stanza di persone, una casa o un edificio, o grande
come una comunità urbana, un’area di trasmissione, o qual-
siasi altro sistema di comunicazione elettroacustica”95.
Anche questo tentativo è ispirato ad una visione che
pre-dispone un’essenza da realizzare: le condizioni di pos-
sibilità di una comunità si realizzano solo attraverso una sua
comprensione essenzialistica. Allo stesso tempo, ad essere
esclusa da questa comprensione è ogni aspetto relazionale,
riferito alla co-esistenza o alla co-implicazione della dimen-
sione sonora, che si genera attraverso l’esperienza affettiva
e vibrazionale del suono. Se è vero infatti che esistono in-
finiti possibili mondi sonori, allo stesso tempo l’esperienza
del suono eccede una separazione puramente epistemologica
tra soggetto ed oggetto, aprendosi ad una dimensione onto-
logico-affettiva esprimibile nei termini di quello che Steve
Goodman definisce come vibrazione di vibrazione:

Ad una certa densità ritmica, viene attraversata una soglia


nel processo di individuazione, producendo un corpo in ec-
cesso rispetto alle sue particelle costituenti, un corpo vorticoso
fuori fase con se stesso, in tensione con il suo potenziale, un
potenziale che supera sempre la sua attuale realizzazione96.

It is any system within which acoustic information is exchanged”. B. Truax,


Acoustic Communication, Ablex, Norwood, NJ 1984, pp. 58, 70 (trad. it. mia).
95
“the boundary of the (acoustic) community is arbitrary and may be as
small as a room of people, a home or building, or as large as an urban commu-
nity, a broadcast area, or any other system of electroacoustic communication”.
Idem, p. 58 (trad. it. mia).
96
“At a certain rhythmic density, a threshold is crossed in the process of indi-
viduation, producing a body in excess of its constituent particles, a vortical body
out of phase with itself, in tension with its potential, a potential that always exceeds
its current actualization”. S. Goodman, Sonic Warfare, p. 91 (trad. it. mia).
GLI SPAZI SONORI DELLA RURALITÀ 167

In questa visione ontologica non antropocentrica che agi-


sce in una sfera ecologico-differenziale, operano come forze
determinanti non solo le vibrazioni corporee testè descrit-
te da Goodman, ma anche le stesse superfici risonanti, che
costruiscono una topologia virale in cui ciascun elemento
architettonico rappresenta potenzialmente un nodo di con-
tagio concettuale, percettivo ed affettivo. Questo processo di
immersività nella vibrazione si genera nel superamento della
dimensione dialettica fenomenologica tra soggetto ed ogget-
to, che si annulla in una mutua relazione di provocazione,
che Alfred North Whitehead definisce “prehension”:

C’è l’occasione dell’esperienza all’interno della quale la


prehension è un dettaglio di attività; c’è il dato la cui rilevanza
provoca l’origine di questa prehension: questo dato è il pre-
hended object; c’è la forma soggettiva, che è il tono affettivo che
determina l’effettività di questa prehension in quella occasione
di esperienza97.

In questo interscambio fluido tra dimensione soggettiva


ed oggettiva, i processi di percezione, in cui gli oggetti non
sono più inquadrabili come entità concluse, ma si configu-
rano come elementi potenzialmente percipienti o percepiti,
istituiscono nessi vibrazionali in cui la relazione si costruisce
su una reciproca prehension, immanenza ed oggettificazione.
È a partire da questi nessi vibrazionali che si sviluppa
l’esperienza relazionale del suono, che si fonda sulla co-
esistenza e co-implicazione di soggetto e oggetto nei processi
acustici nello spazio fisico e percettivo. Collocato al di fuori
della logica degli oggetti e dell’attribuzione, matrice della
metafisica del soggetto post-socratica, l’evento sonoro diventa
così elemento immersivo all’interno di un’ecologia di effetti

97
“There is the occasion of experience within which the prehension is a
detail of activity; there is the datum whose relevance provokes the origination
of this prehension; this datum is the prehended object; there is the subjective
form, which is the affective tone determining the effectiveness of that prehen-
sion in that occasion of experience”. A. N. Whitehead, Adventures in Ideas,
Penguin, New York, NY 1942, p. 72 (trad. it. mia).
168 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

vibrazionali al di fuori della quale emergono soggettività


ed oggettività e che stabiliscono nessi relazionali di tipo
comunitario, come fanno notare ancora Augoyard e Torgue:

L’effetto sonoro, a volte misurabile e generalmente legato


alle caratteristiche fisiche di un contesto specifico, non era
riducibile né oggettivamente né soggettivamente. Il concetto
di effetto sonoro sembrava descrivere questa interazione tra
ambiente sonoro fisico, il milieu sonoro di una comunità socio-
culturale, e il “paesaggio sonoro interno” di ogni individuo98.

Il concetto di sound effect connota l’esperienza del suono


nella sua relazionalità, nella sua affettività, oltre la mera so-
glia della percezione dell’ascolto, intorno alla quale invece si
colloca, sia sul piano empirico che su quello teoretico, l’idea
di oggetto sonoro.
Augoyard e Torgue rimettono in discussione, in queste
righe, il macroconcetto di soundscape così come declinato
attraverso la prospettiva schaferiana nei termini di “capola-
voro della natura”, e cioè inteso non come un ambiente so-
noro, ma come ciò che è percepibile nei termini di un’unità
estetica nell’ambito di un contesto sonoro. L’obiezione dei
due autori è qui focalizzata sull’approccio all’ascolto chiaro
e preciso richiesto da Schafer, in una prospettiva ascrivibile
alla selezione di paesaggi sonori ad alta fedeltà, rispetto alla
quale si oppone una concezione ibridata, sfumata, confusa
degli eventi sonori all’interno di un enorme numero di situa-
zioni nei soundscape della contemporaneità.
Lo stesso concetto di impronta sonora (soundmark) dei
luoghi elaborato da Schafer nell’ambito della sua teoria del
soundscape, risponde ad una lettura statico-identitaria dei

98
“The sonic effect, sometimes measurable and generally linked to the
physical characteristics of a specific context, was not reducible either objec-
tively or subjectively. The concept of the sonic effect seemed to describe this
interaction between the physical sound environment, the sound milieu of a
social-cultural community, and the ‘internal soundscape’ of every individual”.
J.-F. Augoyard & H. Torgue (eds.), Sonic Experience: A Guide to Everyday
Sounds, McGill-Queens University Press, Montreal 2005, p. 10 (trad. it. mia).
GLI SPAZI SONORI DELLA RURALITÀ 169

luoghi del suono, imbrigliati in una categorizzazione stereo-


tipica che si oppone ad ogni possibile lettura dinamica o pro-
blematica dei flussi sonori che caratterizzano il continuum
dell’ascolto nella dimensione fluida e negli ambienti mediali
ubiqui della contemporaneità:

Anche nel paesaggio sonoro ci sono suoni che si impongono


oltre l’orizzonte acustico. Li chiamiamo soundmarks e possiamo
definire come soundmarks i suoni prominenti che possiedono
proprietà di unicità, potere simbolico o altre qualità che li ren-
dono particolarmente notevoli o rispettosamente considerati99.

Avvicinarsi al soundscape in un’ottica critica significa


rompere le categorie statiche che ne hanno regolato la lettu-
ra in buona parte dei sound studies finora, per dischiuderlo
ad una visione problematica in cui assumono rilevanza non
solo la relazionalità e la dimensione affettiva del suono, ma
anche il superamento degli stereotipi legati alla musicalità
ed alle dinamiche di alterità nei termini di inquinamento/
purezza naturale del paesaggio stesso, inoculate negli studi
e nelle pratiche dalle derive ‘ecologico’-acustiche legate alla
tradizione schaferiana messa in atto attraverso le pratiche
di field recording.
Anche il concetto di identità sonora, considerato in que-
sta luce, approda a nuovi possibili esiti analitici, se inteso
come “una dimensione presente e vitale nelle problematiche
di coesistenza, di convivenza e di conflitto, tra gruppi umani
diversi, tra esseri viventi appartenenti a specie diverse, tra gli
esseri viventi e il mondo naturale, quindi come problema o
come forma di ecologia in atto”100.

99
“In the soundscape too, there are sounds that obtrude over the acoustic
horizon. We call these soundmarks and we can define soundmarks as promi-
nent sounds possessing properties of uniqueness, symbolic power, or other
qualities that make them especially conspicuous or respectfully regarded”.
R. M. Schafer, The Sounding City, http://www.david-howes.com/senses/
sensing-the-city-lecture-RMurraySchafer.htm (trad. it. mia), (ultimo accesso
24 ottobre 2014).
100
Dal concept del VII simposio internazionale sul paesaggio sonoro di
170 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

Si dovrà prendere atto della problematicità di definire


univocamente una nozione di comunità sonora o acustica,
che ben al di là di quanto teorizzato da Schafer o Truax,
implica una serie di nodi critici che in ogni caso la allon-
tanano dall’essere configurata come un’essenza pre-data da
realizzare o come un concetto legato agli aspetti puramente
fenomenologici del suono.
È una nozione che si innerva di ulteriori elementi criti-
ci, quando viene richiamata nel contesto delle dinamiche di
relazione tra artista e “comunità”, che richiedono una vera
e propria riconcettualizzazione del termine, a causa dell’im-
possibilità di pensare ad un corpo collettivo definito nei ter-
mini di un consolidamento, di un’integrità, di un’unità totale.
In altri termini, come ha osservato Miwon Kwon, si af-
ferma qui la necessità di individuare vie che oltrepassino ed
“attraversino” l’impossibilità della comunità”101.
È un tentativo che può trovare una delle possibili risposte
in uno spostamento di prospettiva da un approccio centrato
su una pratica descrittiva, nella quale la comunità opera come
una entità socio-culturale referenziale ed è “altra” rispetto
all’artista, ad una visione ‘progettuale’ in cui essa emerge da
un processo temporaneo, funzionale rispetto ad una serie di
circostanze specifiche provocate dall’artista, in cui la comu-
nità stessa è consapevole degli effetti di queste circostanze102.
Attraverso questa traslazione concettuale, l’artista è li-
bero di evitare una rappresentazione coerente dell’identità
di gruppo, lasciando peraltro aperta ogni questione relativa
all’alterità, dal momento che le stesse circostanze delle diver-
se negoziazioni richieste dai flussi degli incontri, tra artista,

FKL – Forum Klanglandschaft con tema, appunto, Soundscapes & Sound


identities. Cfr. http://www.paesaggiosonoro.it/soundscapeandid/, ultimo ac-
cesso 24 ottobre 2014.
101
“The challenge, then, is to figure out a way beyond and through the
impossibility of community”. M. Kwon, One Place, p. 154.
102
Ibidem: “[Such communities are both projective and provisional,
always] performing its own coming together and coming apart as a necessarily
incomplete modeling or working-out of a collective social process. Here, a
coherent representation of the group’s identity is always out of grasp”.
GLI SPAZI SONORI DELLA RURALITÀ 171

gruppo e forze esterne, richiedono un continuo cambiamen-


to di posizione.
Affermare l’impossibilità di una comunità significa, in
questa prospettiva, affermare l’idea che solo una comunità
che si interroga sulla propria legittimità/legittimazione è in
qualche modo legittimata, aprendosi ad un confronto che
la sottrae ad ogni posizionamento affermativo per collocarsi
in uno spazio critico decentrato, aleatorio, nel quale essa si
realizza come quella che Jean-Luc Nancy definisce, appunto,
una comunità “inoperosa”103.
Le dinamiche di interazione con i gruppi locali spingono
l’artista in una comunità104 che, come abbiamo testé analiz-
zato, non è un’entità coerente ed omogenea, ma che può es-
sere invece individuata nei termini suggeriti da Miwon Kwon
come “uno spettro necessariamente instabile e ‘non operati-
vo’”105. Così, come suggeriscono Luis e Rui Costa, è proba-
bilmente più sensato adoperare l’espressione “context-speci-
fic art”, invece che “site-specific art” o “community-specific
art106. Il termine context/contesto afferisce ad una sfera se-
mantica che indica una realtà più dinamica e contingente,
meno soggetta a deviazioni esclusiviste, puriste o autoritarie.
Come contesto, dunque, di questa complessa relazione, il
territorio rurale non può essere considerato più nei termini
di un luogo geografico, dal momento che esso rappresenta
uno spazio interno al sistema dei media. Attraverso l’inte-
razione dell’artista e della comunità locale, lo spazio che

103
J.- L. Nancy, La comunità inoperosa.
104
Le relazioni, le connessioni e le intensità temporanee che legano diversi
individui all’interno dello specifico ambiente spazio-temporale di una perfor-
mance partecipata vengono descritte da Kwon nei termini di una “temporary
invented community” (M. Kwon, One Place), da Irit Rogoff come “perfor-
ming collectivities” (I. Rogoff, WE: Collectivities, Mutualities, Participations,
in D. von Hantelmann & M. Jongbloed (eds.), I Promise It’s Political – Per-
formativity in Art, Museum Ludwig, Köln 2002, pp. 126-133), da Nina Mönt-
mann come “new communities” (N. Möntmann (ed.), New Communities,
Toronto, Public Books/The Power Plant, 2009).
105
“a necessarily unstable and ‘inoperative’ specter”. M. Kwon, One Pla-
ce, p. 7 (trad. it. mia).
106
L. Costa & R. Costa, Três Anos, p. 25.
172 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

separa l’emittente dal ricevente viene saturato ed avviene


una “distrazione” nella superficie della comunicazione: si
genera una relazione e la comunicazione viene attivata. In
questa prospettiva, il territorio rurale può essere rappresen-
tato come un (nuovo) medium attraverso il quale comunicare
ed entrare in contatto in maniera creativa, dal momento che
qualcosa di imprevisto può accadere nello spazio tra emit-
tente e ricevente, sperimentando relazioni inattese attraverso
processi, strategie e risultati della stessa comunicazione107.
In questo contesto, la novità può essere introdotta dal-
la messa in atto di processi che aprono spazi di interazione
tra comunità e artisti, fondati su interessi condivisi anche in
maniera temporanea, o semplicemente costruiti sull’incon-
tro che avviene per caso, determinato dall’abitare transito-
riamente lo stesso luogo e lo stesso tempo e dalla possibilità
di aprire traiettorie inusitate di ‘auscultazione’ territoriale.
Il suono eccede i limiti spazio-temporali del territorio,
delocalizza l’arte verso spazi transitori e distopici collocati
al di fuori dei luoghi istituzionali, genera cartografie rela-
zionali ed epistemologiche che producono “conoscenza
sociale”108 e che si proiettano al di là dei confini territoriali
di ogni borgo rurale.
Nell’esperienza effimera e materiale dell’ascolto, si genera
uno spazio aumentato in cui, con il moltiplicarsi delle com-
binazioni di singolarità, alterità e condivisione, si espandono
le relazioni inter-locali con l’esterno e si producono forme di
‘essere insieme’. Le pratiche dell’ascolto veicolano attraverso
di sè la possibilità di ‘produrre’ un luogo, di ‘agire’ insieme al
sito, all’evento, a chi partecipa ed all’immaginazione.
Quando un borgo ed una ‘comunità’ rurale vengono re-
immaginati attraverso i linguaggi dell’arte e ri-attraversati

107
L. Pisano, Exploring Rural Territory.
108
Nikos Papastergiadis riflette sul ruolo di artisti e curatori coinvolti in
una serie di pratiche collettive e sui processi che li definiscono come produt-
tori di “social knowledge”. Cfr. N. Papastergiadis, ‘Collaboration in Art and
Society: A Global Pursuit of Democratic Dialogue’, in J. Harris (ed.), Globa-
lization and Contemporary Art, Wiley-Blackwell, Oxford 2011, pp. 275-288.
GLI SPAZI SONORI DELLA RURALITÀ 173

per mezzo di traiettorie sonore altre, essi diventano luoghi di


un flusso materiale, dinamico e performativo che traccia gli
intricati reticoli di una narrazione in cui si sovrappongono gli
echi del passato, le voci del presente, le risonanze dei luoghi
e delle architetture dei paesi109.
È ciò che avviene in Calitri Temporary Orchestra, ma
anche in Passaggi di tempo110, performance congegnata da
Fernando Godoy, Miguel Isaza e David Velez nel corso di
Liminaria 2016 all’interno dello spazio delimitato dal cen-
tro storico del borgo di Montefalcone di Valfortore. Con la
partecipazione del campanaro111 Rocco “Nicola” Marucci e
della comunità locale, i tre artisti progettano un concerto per
campane diretto dalla sommità della chiesa di San Filippo
Neri ed una contemporanea processione ‘sonora’ per cam-
panelli e utensili vari, animali ed abitanti, che si muove per
le vie del villaggio. A partire dall’analisi delle specificità del
suono dei campanacci di vacche ed armenti e delle campane
delle chiese di Montefalcone, Godoy, Isaza e Velez sviluppa-
no l’idea di una performance intorno alla ‘tradizione’ acu-
stica del villaggio che riesca ad includere il maggior numero
di elementi ed abitanti possibili della comunità. Insistendo
sulla possibilità di esprimere un linguaggio formale familiare
e correlato ad una specifica dimensione affettiva, Passaggi
di tempo ri-connette la comunità attraverso il suono, nello
stesso momento in cui, nell’atto di riferirsi alle tradizioni del
passato ed altre pratiche potenzialmente obsolescenti, met-
te in circolo risonanze che investono storie, corpi, luoghi e

109
Cfr. L. Pisano, Comunità “sperimentale”: lo spazio aumentato dell’arte
nelle esperienze di Latronico e di Interferenze, in Bianco-Valente & P. Campa-
nella (a cura di), A Cielo Aperto. Pratiche di collaborazione nell’arte contempo-
ranea a Latronico, Postmedia books, Milano 2016, pp. 47-51.
110
La performance Passaggi di tempo si è svolta a Montefalcone di Valfor-
tore (BN) il 23 luglio 2016, come evento conclusivo della residenza Liminaria
2016.
111
Rocco “Nicola” Marucci è l’ultrasettantenne campanaro della chiesa di
San Filippo Neri di Montefalcone di Valfortore che, con ogni probabilità, sarà
l’ultima persona a svolgere questo lavoro. La performance Passaggi di tempo è
stata a lui dedicata da Fernando Godoy, Miguel Isaza e David Velez.
174 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

paesaggi accomunati dalla pratica di un incontro che è allo


stesso tempo materiale ed immaginario, costruito sulla mol-
tiplicazione dei livelli ed amplificato dall’ambiguità, dall’im-
prevedibilità e dalla potenza dell’esperienza acustica.
Il suono delle campane, talvolta indicato112 come elemen-
to di riconoscimento identitario all’interno degli spazi rurali,
innesca qui significati ulteriori nelle dinamiche dell’incon-
tro, attraverso la possibilità di riassemblare le componenti
del paesaggio sonoro della tradizione, che si apre ad ulteriori
intersezioni ed esiti, nel fluire di corpi, voci e suoni e che
attraversano le strade di Montefalcone.
È un ascolto del territorio costruito sulla possibilità di
fare esperienza della sua vastità e della sua complessità nella
maniera più articolata ed imprevedibile, nell’ibridazione di
elementi antropici e non umani, risonanze architettoniche
e nessi vibrazionali. In questo contesto, gli incontri, le in-
terazioni, i movimenti, i flussi regolati dai linguaggi e dalle
pratiche dell’arte e dell’ascolto configurano una comunità
“sperimentale”113 mai uguale a se stessa, costruita sull’essere
insieme in maniera transitoria all’interno di uno spazio fisi-
co definito, quello del borgo e delle aree immediatamente
circostanti.
La dimensione sonora, che agisce come metafora potente
per l’esperienza del luogo da parte dell’artista, ha un ruolo

112
Alain Corbin scrive che l’ambiente uditivo in cui le campane delle
chiese si inscrivono è coinvolto nella costruzione delle identità individuali e
comunitarie. Il suono delle campane costruisce un vero e proprio linguaggio
e fonda un sistema di comunicazione che dà ritmo alle modalità di relazione
tra gli individui, marcando la vita e la morte, la convivialità e le festività. Cfr.
A. Corbin, Les Cloches de la terre. Paysage sonore et culture sensible dans les
campagnes au XIXe siècle, Albin Michel, Paris 1994.
113
L’idea di comunità “sperimentale” espressa da Carlos Basualdo e Rei-
naldo Laddaga tende a fondere diversi concetti, come l’essere ed il fare, la
comunità ed il collettivo, insistendo sul carattere ed i modelli temporanei
rispetto ad una serie di tentativi che tengono insieme, all’interno di processi
collaborativi, persone con esperienze e background diversi. Cfr. C. Basual-
do & R. Laddaga, Experimental Communities, in B. Hinderliter et al. (eds.),
Communities of Sense – Rethinking Aesthetics and Politics, Durham, Duke
University Press, 2009, pp. 197-214.
GLI SPAZI SONORI DELLA RURALITÀ 175

critico nel modello di intervento messo in atto da progetti


come Calitri Temporary Orchestra o Passaggi di tempo, solle-
citando il contesto all’interno del quale il lavoro sonoro spe-
cifico viene prodotto ed evitando un approccio puramente
legato al suono in sé.
Il dialogo estetico attivato tra gli artisti e le comunità locali
supera il carico di ‘oggettività’ riflesso dalla documentazione
concreta della realtà veicolata dalle pratiche di archiviazione
sonora e field recording, instaurando uno scambio prolifico
tra soggetto e contesto. ‘Abitando’ la dimensione del suo-
no, la comunità locale riesce in questo modo a ri-occupare il
proprio territorio, attraverso pratiche estetiche che suggeri-
scono altri possibili spazi per l’esperienza di esso, attraversati
e simbolizzati dall’incedere della banda e della processione
che portano nelle strade di Calitri e Montefalcone suoni del
passato riassemblati attraverso nuovi linguaggi, differenti
prospettive, diversi approcci.
È un processo che apre il territorio stesso alla possibilità,
da parte delle due comunità rurali, di riaffermare la propria
centralità e rioccupare il proprio paesaggio sonoro con una
forza che mette in discussione e frantuma la presunta “unità”
del presente, sfidando il paradigma modernista del territorio
rurale percepito come simulacro del passato114.
Nei termini di un sistema complesso che veicola idee e
corpi, connettendo spazi e tempi differenti, linguaggi della
contemporaneità e tradizioni, il territorio rurale supera così
i limiti della mappa e della sua rappresentazione. Riconfi-
gurato, in senso foucaultiano, come un vero e proprio mec-
canismo eterotopico, esso suggerisce differenti modalità di
fare esperienza della storia e della cultura, di fare pratica del
tempo e dello spazio nei luoghi periferici della modernità115.
Da questa prospettiva scaturiscono altre narrazioni, come
accade sia in Calitri Temporary Orchestra che in Passaggi di

114
G. Didi-Huberman, Devant le temps. Histoire de l’arte et anachronisme
des images, Minuet, Paris 2000.
115
M. Foucault, Le eterotopie, in Utopie. Eterotopie, tr. A. Moscati, Crono-
pio, Napoli 2008, pp. 11-28.
176 NUOVE GEOGRAFIE DEL SUONO

tempo, nella misura in cui i suoni prodotti dagli incontri di


Morinaga con i musicisti locali e di Godoy, Isaza e Velez con
il campanaro e gli abitanti, attraverso un processo tempora-
neo di traduzione, lasciano riemergere frammenti di un pas-
sato che si apre alle traiettorie dinamiche ed imprevedibili
del presente, alimentando un processo nel quale, a partire
dalla rielaborazione dell’attuale, si può re-immaginare (e ri-
occupare) il territorio rurale come un “paesaggio diverso”116.

116
I. Chambers, Per una ruralità critica.
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Linee

1 Ottavio Marzocca, Foucault ingovernabile. Dal bios all’ethos


2 Antonio De Simone, La via dell’anima. Simmel e la filosofia della cultura
3 Fabrizio Scrivano, Oggi il racconto. Come resistere alla banalità dell’in-
formazione
Finito di stampare
nel mese di gennaio 2017
da Digital Team - Fano (PU)

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