Musica e Poesia
Musica e Poesia
Musica e Poesia
Eszter Mohácsy
Università Cattolica Péter Pázmány
mohacsy.eszter@gmail.com
Eugenio Montale è una delle personalità più significative della letteratura no-
vecentesca, soprattutto per la sua attività poetica e prosastica. Il poeta del “male
di vivere” è infiltrato forse per sempre nella mente del pubblico letterario per le
sue opere malinconiche e nello stesso tempo ironiche, per i suoi versi che da una
parte sono tradizionali, ma dall’altra sono anche innovativi su più livelli. Il suo
mondo eccezionale si manifestava mediante poesie, prose, recensioni, interviste
e critiche musicali.
Eugenio Montale già nella sua infanzia aveva un grande amore per la musica.
Già da bambino ha conosciuto le gioie e le dolcezze del melodramma, per lo più
in compagnia di suo padre. I suoi interessi per la musica erano così significativi
che ha cominciato a studiare canto da baritono sotto l’insegnamento del maestro
Ernesto Sivori (1853–1923). Alcuni decenni dopo Montale ha descritto quel pe-
riodo così: “Ho studiato tre anni, a Genova, con la precisa intenzione di darmi
al teatro, ma poi la morte del mio maestro, Ernesto Sivori, mi procurò l’alibi che
stavo cercando per smettere. Se fosse vissuto ancora, mi sarei trovato in una crisi
più grave, avrei forse dovuto addirittura esordire per non dargli un dolore. Ma
io non avevo il sistema nervoso adatto per affrontare il pubblico. Sarei morto
nel giorno dell’esordio”.1 Cioè Montale è rimasto solo un osservatore del mondo
musicale, ma come osservatore era molto attivo. Faceva attenzione alle nuove
tendenze musicali, conservando la propria passione per la grande tradizione ope-
ristica di fine Ottocento.2 La sua partecipazione più attiva nell’atmosfera della
musica è cominciata nel 1954, quando è diventato critico musicale del Corriere
d’Informazione (l’edizione pomeridiana del Corriere della Sera).
È difficile descrivere i pensieri montaliani in connessione alla musica. Questo
tema è apparso quasi tutte le volte, quando Montale era intervistato. Non solo
1
E. Montale: Sulla poesia, a cura di G. Zampa, Milano: Arnoldo Mondadori Editore, 1976: 596.
2
M. Villoresi: Come leggere Ossi di seppia di Eugenio Montale, Milano: Mursia, 1997: 14.
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cui la musica poteva diventare non uno strumento nella scrittura della poesia, ma
un’ispirazione che fa parte dell’essenza delle opere. La scuola artistica più vicina a
questa tendenza è l’Impressionismo che rappresentava non l’apparenza fisica delle
cose, ma il loro mondo interiore che gli artisti provavano a cogliere. La poesia
montaliana funziona in un modo molto simile. Montale voleva sempre afferrare
l’essenza delle cose, un’esistenza più profonda del mondo che lo circondava. Il suo
amore per la musica lo ha aiutato tanto a far sentire quell’essenza.
Nel mondo musicale la sua ispirazione principale fu il compositore france-
se, Claude Debussy (1862–1918), il primo e forse il più grande innovatore della
musica a cavallo dei due secoli: all’inizio del ventesimo secolo è avvenuto un
cambiamento rapido e radicale nel modo di produrre e di intendere la musica.4
Debussy ha completamente violato il sistema tonale tradizionale, ed ha crea-
to dissonanze che rompevano la scala armonica e dovevano essere recepite ed
3
G. P. Biasin: Il vento di Debussy: la poesia di Montale nella cultura del Novecento, Bologna: Il
Mulino, 1985: 12–13.
4
G. Armellini & A. Colombo: Letteratura, letterature: Primo Novecento, Bologna: Zanichelli,
2005: 508.
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5
G. P. Biasin: Il vento…, op.cit.: 11.
6
F. Spampinato: ’Debussy e la seduzione dell’acqua. Suggestioni e metafore della liquidità nella
musica’, Musica/Realtà, 2001: 22–35, p. 22.
7
S. Jarocinski: Debussy, impressionismo e simbolismo, versione italiana di M. G. D’Alessandro,
Fiesole: Discanto Edizioni, 1980: 176.
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Ossi di seppia
Scrivendo il mio libro (un libro che si scrisse da sé) […] ubbidii a un bisogno
di espressione musicale. Volevo che la mia parola fosse più aderente di quella
degli altri poeti che avevo conosciuto. […] E la mia volontà di aderenza resta-
va musicale, istintiva, non programmatica. All’eloquenza della nostra vecchia
lingua aulica volevo torcere il collo, magari a rischio di una controeloquenza.8
di Debussy.
Corno inglese
Il vento che stasera suona attento
– ricorda un forte scotere di lame –
gli strumenti dei fitti alberi e spazza
l’orizzonte di rame
dove strisce di luce si protendono
come aquiloni al cielo che rimbomba
(Nuvole in viaggio, chiari
reami di lassù! D’alti Eldoradi
malchiuse porte!)
e il mare che scaglia a scaglia,
8
E. Montale: Sulla poesia, op.cit.: 565.
9
M. Villoresi: Come leggere…, op.cit.: 52.
10
E. Montale: L’opera in versi, a cura di R. Bettarini & G. Contini, Torino: Einaudi, 1980: 865.
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ininterrotto. Il vento è capace di suonare tutti i piccoli pezzi della natura e del
mondo. Il vento è quello che mette in movimento tutto quello che ci circonda,
riempie le cose con vitalità e con diversi suoni, e ha anche la forza di ammutolirle,
come se fosse un direttore d’orchestra. Montale era un poeta veramente eccel-
lente, perché soltanto con le parole poteva rappresentare il quotidiano, ma nello
stesso tempo miracoloso fenomeno del vento. E per questo si può dire, che qui
Montale veramente ha fatto della musica l’essenza della poesia. Perché la musica
qui è la musica (o il suono) del vento. E questa musica investe la natura, scuote i
fitti alberi, e spazza l’orizzonte di rame. Questa musica sconvolge anche il mare,
ed è invocata come se fosse un salvatore, come quello che dovrebbe rianimare il
poeta stesso.12 Si può osservare che in questa poesia si trova una bella fusione delle
immagini acustiche e di quelle visive, come se ascoltassimo quello che è scritto, o
per meglio dire, disegnato. Qui si manifesta la passione di Montale non solo per la
musica, ma anche per la pittura, e specialmente per la pittura impressionista. Per
esempio l’orizzonte di rame è soprattutto un’immagine visiva, una nota pittorica
che descrive il colore rosso-arancione delle nuvole sotto i raggi del tramonto;
11
E. Montale: Ossi di seppia, a cura di P. Cataldi & F. d’Amely, Milano: Arnoldo Mondadori Editore,
2009: 33.
12
E. Bonora: Lettura di Montale, Torino: Tirrenia-Stampatori, 1980: 49.
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ma può essere anche un’immagine acustica, che suscita nel pensiero il fragore
di suoni metallici nel cielo che rimbomba.13 Quindi tutta la tematica della poesia
è costituita dalla mescolanza della musicalità, della pittura impressionista e del
mondo inconfondibile di Eugenio Montale. Così Montale arricchisce la tematica
generale tra uomo e Natura, con lo strumento della musica, come se la musi-
ca fosse quasi un ponte tra la smisuratezza della Natura ed il mondo interiore
dell’uomo.
Secondo Il vento di Debussy, il libro di Gian Paolo Biasin (1933–1998) Montale
ha creato col Corno inglese un’unità ritmica musicale, con frasi principali: ’Il vento
lancia a terra una tromba e suonasse te pure, cuore’; e con frasi secondarie: ’Il
vento che suona gli alberi, e spazza l’orizzonte (dove strisce si protendono al cielo,
che rimbomba) e spazza il mare (che muta colore); il vento che nasce e muore
nell’ora (che s’annera). “Alla frase principale corrisponde la linea melodica, alle
secondarie i materiali armonici”.14 Come si può osservare anche a prima vista,
c’è uno squilibrio tra i due elementi sintattici, grazie alle secondarie (ed alle loro
secondarie). Con questa soluzione Montale ha creato un ritmo nuovo, diverso ed
insolito nella struttura della poesia. Questo ritmo quasi sconnesso, e la sintassi
sospesa non possono non richiamare alla mente la sconnessione e la disarmonia
di Debussy. Con la sconnessione dei diversi elementi grammaticali Montale crea
una disarmonia non solo al livello del testo, ma anche al livello del suo messaggio,
cioè l’impossibilità di un’armonia fra l’elemento psicologico, rappresentato dal
cuore, e l’elemento paesistico, il vento.15
Oltre queste soluzioni un po’ astratte esistono anche idee diciamo più concrete.
Per esempio il professore Gilberto Lonardi ha paragonato gli versi della parentesi
alle parole di un recitativo di Alfonso XI nella Favorita di Donizetti (imparato da
Montale durante i suoi studi sotto la guida di Ernesto Sivori), sebbene nessuna
delle parole dell’opera venga ripresa nella poesia, la struttura sintattica, ritmica
e metrica è molto simile (“reami di lassù! D’alti Eldoradi / malchiuse porte!” →
“Giardini d’Alcazàr, de’ mauri regi / care delizie”).16
Alla fine dell’opera il poeta in modo desiderativo (“suonasse”) si rivolge al
cuore, lo strumento scordato, cioè non accordato. Non accordato nel senso che è
incapace di risuonare con la realtà naturale. Il poeta desidera trovare un accordo
13
Ibid.: 48.
14
G. P. Biasin: Il vento…, op.cit.: 31.
15
M.S. Assante: Montale e la musica: “Quel regno di fuochi fatui e cartapesta” (dissertazione
dottorale), Napoli, 2016: 63.
16
G. Lonardi: ’Montale, la poesia e il melodramma’, Chroniques italiennes, 1999: 65–75, p. 71.
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del cuore con il mondo naturale, ma il cuore ormai non è capace di quell’ac-
cordo. Tale contrasto, tra l’impeto vitale che sconvolge la natura e l’inerzia che
intorpidisce il cuore, è presente nella lirica montaliana.17 A questa disarmonia si
riferiscono le parole di Montale nel suo libro Sulla poesia: “Avendo sentito fin
dalla nascita una totale disarmonia con la realtà che mi circondava, la materia
della mia ispirazione non poteva essere che quella disarmonia”.18 Dunque il tema
della disarmonia è molto frequente nelle opere di Montale, e il poeta ha provato
a rappresentarla non solo con le parole ma anche con la struttura ed il ritmo di
una poesia.
Montale con il Corno inglese ci fa sperimentare un fenomeno ineffabile, l’im-
pressione di qualcosa, così come gli impressionisti o i simbolisti provavano a
cogliere l’impressione della realtà mediante non una descrizione realistica, ma
una rappresentazione dei sentimenti e degli effetti che possono avere sullo spet-
tatore. Il ruolo dello spettatore è un riferimento chiaro non solo all’Impressioni-
smo in generale, ma anche all’Impressionismo debussyano. L’ascoltatore, lettore
o fruitore dell’opera d’arte (sia essa musicale, letteraria o artistica), secondo gli
impressionisti, è costretto inizialmente a perdersi nella confusione disordinata
di linee e colori, nel campo della pittura, o di suoni, nel campo della musica.19
L’esercizio di creare un’interpretazione unita spetta allo spettatore e alla sua fan-
tasia, che cioè riceve un ruolo attivo nella creazione dell’opera. Per avvicinarsi a
quell’essenza mai raggiungibile c’è bisogno dell’ultimo elemento, e quello è l’anima
dello spettatore. L’opera funziona solo come uno strumento per sperimentare
livelli superiori o diversi dall’ordinario. In tal modo nasce quella libertà che anche
Debussy ha annunciato. Per il compositore francese la musica era una arte libera,
zampillante, un’arte di aria aperta, in cui “la teoria non esiste”.20
Falsetto
17
E. Bonora: Lettura di Montale, op.cit.: 48.
18
E. Montale: Sulla poesia, op.cit.: 570.
19
M. Tortora: ‘ “Ogni apparenza dintorno vacilla s’umilia scompare”. Lettura di Corno inglese’,
Allegoria, 2012: 134–153, p. 139.
20
F. Spampinato: Debussy…, op.cit.: 23.
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Sommersa ti vedremo
nella fumea che il vento
lacera o addensa, violento.
Poi dal flotto di cenere uscirai
adusta più che mai,
proteso a un’avventura più lontana
l’intento viso che assembra l’arciera Diana.
Salgono i venti autunni,
t’avviluppano andate primavere;
ecco per te rintocca
un presagio nell’elisie sfere.
Un suono non ti renda
qual d’incrinata brocca percossa!
io prego sia
per te concerto ineffabile
di sonagliere.
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che “scaglia a scaglia / livido, muta colore”, ma nel Falsetto questa descrizione
è molto più dettagliata. Si potrebbe dire, che quello che è stato raffigurato dal
vento nel Corno inglese, adesso è raffigurato dal mare e dall’acqua. E come nelle
poesie precedenti c’erano dei riferimenti alla musica debussyana, la situazione è la
stessa con il Falsetto. Il punto comune con Debussy in questa poesia è l’acqua. La
natura, e specialmente l’acqua, era una fonte primaria per il compositore francese.
Debussy era affascinato dai fenomeni che coinvolgono le acque. La sua composi-
zione più famosa, La mer (Il mare), interpretata per la prima volta nell’autunno
di 1905, è un attestato indubitabile di questo amore. Debussy in una sua lettera
l’ha descritto così: “Il mare mi è stato molto propizio, mi ha mostrato infatti tutte
le sue acconciature. Ne sono ancora tutto inebriato”; e in un’altra lettera ha fatto
una piccola rivelazione del proprio passato: “Forse non lo sapete che avrei dovu-
to intraprendere la bella carriera del marinaio e che solo per caso ho cambiato
strada. Ciononostante ho mantenuto una passione sincera per il mare”.22 L’acqua
e la natura per Debussy erano ispirazioni molto più importanti di tutti gli altri
fenomeni del mondo. Tutta la sua musica si basava su queste fonti; per lui la
musica era “un’arte a misura degli elementi, del vento, del cielo, del mare”.23 Il
carattere liquido dell’acqua la rende inafferrabile e completamente libera per sem-
pre. L’acqua del mare similmente alle persone ha dei diversi stati d’animo, che può
rappresentare mediante i suoi movimenti (spesso provocati dal vento). Può essere
tranquilla o arrabbiata, silenziosa o rumorosa, pacifica o pericolosa. Nella sua
forma tranquilla il mare è un fenomeno naturale, che può fornire alle persone un
luogo di meditazione e di introspezione, dove l’anima torna tranquilla. Invece con
il suo lato furioso e fiero e con la sua ingovernabilità il mare è una delle creature
divine più spaventose. Tutte queste variazioni d’umore hanno ispirato Debussy e
Montale, per cui nella loro carriera il mare è diventato un punto basilare e sempre
ricorrente. Nel Falsetto il fenomeno dell’acqua è strettamente legato alla visione
di Esterina, perché il poeta l’ha visto tante volte nel mare o nei pressi del mare
a Monterosso. Per queste circostanze il mare fa parte del quadro che Montale
’ha dipinto’ della figura sognata di Esterina (“L’acqua è la forza che ti tempra, /
nell’acqua ti ritrovi e ti rinnovi”, vv. 29–30). Esterina è una bella creatura, quasi
una sirena, che fa parte dell’Infinito e che con la sua spensieratezza e con la sua
leggerezza si immedesima con la chiarezza e con la libertà spirituale e divina della
natura. E per quanto riguarda il lato musicale della natura, Debussy ha creato
una descrizione perfetta: “La musica è una matematica misteriosa i cui elementi
22
F. Spampinato: Debussy…, op.cit.: 24.
23
Ibid.: 23.
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partecipano dell’Infinito. Essa è responsabile dei movimenti delle acque, del gioco
delle curve descritte dalle mutevoli brezze; niente è più musicale di un tramonto.
Per chi sa guardare con emozione, è la più bella lezione di sviluppo scritta in quel
libro non letto abbastanza assiduamente dai musicisti: la Natura”.24
Le persone vedono Esterina avvolta dalle nubi (a questo si riferisce “fumea”)
che la forza violenta del vento disperde o concentra; questa nube rappresenta la
panica collocazione nella natura, ma riprende anche la figura del secondo verso
con allusione ironica all’età (“grigiorosea nube”).25 Cosicché si manifesta anche
nel Falsetto il fenomeno del vento, adesso violento, che provoca i movimenti del
lacerare e dell’addensare. Per Montale l’opera di Giacomo Puccini (1858–1924),
Madama Butterfly (rappresentata per la prima volta nel Teatro alla Scala nel 1904)
era una grande ispirazione, e teneva la sua melodia in alta considerazione per
almeno un paio di ragioni; per questo non è escluso che la visione del fumo legato
al fenomeno del mare nella realtà sia una derivazione pucciniana: “Un bel dì,
vedremo levarsi un fil di fumo sull’estremo confin del mare…” (l’aria di Butterfly
nel secondo atto).26 L’immagine di “fumea” sarà ripresa in seguito: “Poi dal fiotto
di cenere uscirai / adusta più che mai”. La cenere adesso raffigura il colore della
folla delle nuvole, o per meglio dire del mare delle nuvole grigie che circondano
Esterina. Il “fiotto di cenere” cioè significa il mare delle nubi grigiastre, con la
24
Ibid.: 22.
25
E. Montale: Ossi di seppia, op.cit.: 19.
26
G. Lonardi: Il fiore dell’addio: Leonora, Manrico e altri fantasmi del melodramma nella poesia di
Montale, Bologna: Il Mulino, 2003: 38–39.
27
G. P. Biasin: Il vento…, op.cit.: 17.
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Ritornello, rimbalzi
tra le vetrate d’afa dell’estate.
28
M. Villoresi: Come leggere…, op.cit.: 128.
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“Quando cominciai a scrivere le prime poesie degli Ossi di seppia avevo certo
un’idea della musica nuova e della nuova pittura. Avevo sentito i Minstrels di
Debussy, e nella prima edizione del libro c’era una cosetta che si sforzava di
rifarli: Musica sognata.”29
gnata della prima edizione degli Ossi di seppia, veniva esclusa poi nella seconda
(è succeso unicamente con questa poesia). Nel 1962 è stata ristampata nel raro
volumetto intitolato Accordi e pastelli,30 e finalmente è stata rientrata nell’edi-
zione di Tutte le poesie nel 1977 con il nuovo titolo di Minstrels, corredato con
la dicitura “da C. Debussy” per rendere esplicito il riferimento. Questo pezzo
del compositore francese è l’ultimo preludio del primo libro dei Préludes per
pianoforte, presentato nel 1910, quando Montale aveva solo 14–15 anni. Il poeta
l’ha sentito nel 1917, e l’ha definito come musica ironica, descrittiva ed impressio-
nistica, piena di sconnessione, di colori e di metri. Una musica che si vorrebbe
sentire e risentire. Un tipo di parodia grottesca e sorprendente, con cui Debussy
era fedele alla sua convinzione sulla libertà artistica, nel senso generale ed an-
che formale. L’ispirazione per Debussy potevano essere i gruppi di menestrelli,
che hanno cominciato ad esibirsi in Europa intorno al 1900. Ma è più probabile
che i Minstrels abbia preso la sua origine dal genere risalente ai primi decenni
dell’Ottocento, quando gli spettacoli dei menestrelli erano rappresentati dai servi
sulle piantagioni americane. I quattro o cinque lavoratori erano bianchi con una
29
E. Montale: Sulla poesia, op.cit.: 563.
30
E. Bonora: Lettura di Montale, op.cit.: 202.
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maschera nera sulla loro faccia, con cui facevano riferimento alla tensione tra gli
addetti bianchi e quelli neri.31 È successo anche viceversa, dai servi neri ignoranti
ed ingenui, che hanno messo in ridicolo gli altri lavoratori bianchi, o addirittura
i propri padroni bianchi, ironizzando per esempio sul loro modo elegante di
ballare. Tali spettacoli includevano danze, assoli di corno, melodie suonate da
diversi strumenti musicali (come il banjo, le ossa o il tamburino), canti di ballate
e racconti di barzellette, cioè tante forme dell’arte. Per quanto riguarda la parte
musicale che suonavano, era caratterizzata da diversi tipi di musica, come per
esempio il jazz, il ragtime o il blues, i cui elementi poi avrebbero fatto nascere
tutta la musica leggera. I Minstrels con i suoi ritmi sempre variabili, è costituito in
un modo, come se volesse contenere tutte le parti di quelle serate spettacolose dei
lavoratori. La scelta di questo ceto sociale non è straordinario nel mondo debus-
syano o in quello montaliano. Ambedue gli artisti con le loro opere testimoniano
l’anti-eroismo dei loro personaggi, che in un certo senso sono modelli culturali
del Primo Novecento. In questo campo i Minstrels del compositore francese non è
l’unico pezzo sull’argomento anti-eroico. Debussy ha musicato poesie di Banville
(Pierrot, 1842) o Verlaine (nella raccolta di Fêtes galantes, 1881, che appunto per
la musica debussyana aveva molta risonanza nel mondo artistico), nelle quali si
ritrovavano personaggi della commedia dell’arte italiana: per esempio Colombi-
31
S. Bruhn: Images and ideas in modern french piano music: the extra-musical subtext in piano
works by Ravel, Debussy and Messiaen, Stuyvesant: Pendragon Press, 1997: 115 (tradotto da me).
32
G. P. Biasin: Il vento…, op.cit.: 23.
33
Idem.
VERBUM 2017 1–2 / p. 127 / December 16, 2017
bussy? Non solo per la sua novità ritmica o per il suo carattere umoristico. Il
fattore che ha suscitato la creatività montaliana è proprio il mondo o la vita dei
menestrelli. E in questo caso non conta se parliamo dei menestrelli dei primi
decenni dell’Ottocento o quelli del primo Novecento. Il loro ruolo occupato nel
mondo e nella società era molto simile. Erano personaggi insignificanti, quasi
invisibili. Nel caso dei lavoratori possiamo dire che erano visibili solo se ave-
vano fatto male il proprio dovere. Il lavoro buono e soddisfacente era ovvio e
per questo invisibile. E però la scelta di Minstrels può essere interpretata come
una riflessione di Montale sul ruolo del poeta nella società di allora, un ruolo
ormai quasi invisibile che è entrato in un genere marginale e mal sopportato.35
Il poeta in generale ha perso la sua funzione di vate e comincia ad abituarsi al
ruolo simile dei menestrelli. Nel 1962 Montale ha descritto la posizione dei poeti
nella società così: “E che dire della situazione del poeta nella società attuale? In
genere non è una situazione allegra: c’è chi muore di fame, c’è chi vive alla meno
peggio con altri mestieri, c’è chi va in esilio e c’è chi sparisce senza lasciar tracce”.36
34
S. Jarocinski: Debussy, impressionismo e simbolismo, op.cit.: 168.
35
G. P. Biasin: Il vento…, op.cit.: 26.
36
E. Montale: Sulla poesia, op.cit.: 592.
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37
G. P. Biasin: Il vento…, op.cit.: 5.
38
Ibid.: 25.
39
M. S. Assante: Montale…, op.cit.: 45.
40
E. Montale: Ossi di seppia, op.cit.: 23.
41
Ibid.: 23–24.
VERBUM 2017 1–2 / p. 129 / December 16, 2017
anche la poesia dappertutto nel mondo. Questo carattere della poesia in generale
non è sorprendente, la maggior parte delle opere d’arte è nata e sempre nascerà
dal dolore e dalle sofferenze della vita. La pena è una forza molto più ispiratrice
dell’allegria. Quindi sarebbe un po’ ironico usare questo motto palazzeschiano
nel caso del poeta, che “ha incontrato spesso col male di vivere”, ma è vero che
anche lui aveva delle tendenze nelle proprie poesie, che hanno provato a creare
un’atmosfera più leggera e libera, che elabora temi gravi, ma li scioglie con un
linguaggio giocoso ed unico, che deriva dal suo ritmo scattante ed insolito, cioè
dal ritmo debussyano.
La musica proveniente dal gioco dei menestrelli è una “musica senza rumore /
che nasce dalle strade”. Una musica senza suono, quasi impercettibile, identico
al silenzio. Il silenzio è una delle più grandi innovazioni di Debussy, descritta in
un modo bellissimo dal musicologo francese, Vladimir Jankélévitch (1903–1985):
“La musica non comincia e non finisce. Emerge dal silenzio, si impone senza
preliminari, in medias res, poi, interrompendo il suo corso, continua a tessere
la sua trama nel nostro sogno”;42 “Debussy cerca di afferrare l’istante liminale
a partire dal quale il silenzio diventa musica”.43 Una musica che nella poesia di
Montale sale a fatica verso l’alto, divenendo udibile, ma poi riscende subito nella
non udibilità (“s’innalza a stento e ricade”).44
42
S. Jarocinski: Debussy, impressionismo e simbolismo, op.cit.: 66.
43
S. Jarocinski: La musica e l’ineffabile, traduzione italiana a cura di E. Lisciani-Petrini, Napoli:
Tempi Moderni Edizioni, 1985: 122.
44
E. Montale: Ossi di seppia, op.cit.: 25.
45
S. Jarocinski: Debussy, impressionismo e simbolismo, op.cit.: 176.
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Montale, come la maggior parte dei poeti, era un esperto di come rafforzare il
messaggio di una poesia con mezzi linguistici, metrici o musicali, e alcune volte
ha aggiunto ai suoi strumenti gli echi delle opere dei più grandi compositori, come
per esempio la Madama Butterfly di Puccini o la Favorita di Donizetti. Per questa
capacità è possibile che il fenomeno del vento fosse presente in tutti i versi del
Corno inglese, la musica di Debussy pervadesse tutto il testo di Minstrels, e la
visione di Esterina apparisse in tutte le parole del Falsetto.
Dopo i Movimenti
l’aria di Rodolfo). Montale probabilmente non per caso ha quasi citato le parole
di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa (i librettisti della Bohéme). Rodolfo, secondo il
suo ruolo, era un giovane poeta squattrinato, anche un collaboratore di giornali
nel periodo della ricerca della propria identità artistica.46 Quindi non si può non
tener conto degli echi tra Rodolfo e il poeta (ed anche il personaggio) Montale,
che negli anni della scrittura delle sue prime poesie dubitava delle sue capacità
e trovava che: “[…] in fin dei conti ho poco e nulla da dire. Solito scagno, solita
vita: il pomeriggio lo passo in biblioteca, dove mi annoio. Leggo stentatamente e
vorrei…vorrei fare qualcosa di mio, ma…sono desideri; mi manca ogni volontà.
La mia impotenza è prodigiosa. Passano i mesi e io mi guardo vivere; e ne stupi-
sco; tutto rimetto al domani. Arriverò così fino a sessanta anni, rimettendo tutto
al domani”.47 Quest’apatia all’età di vent’anni sparisce più tardi, e si trasforma in
un’attività poetica così significativa nella letteratura italiana, che è quasi impossi-
bile credere che lui in qualunque periodo della sua vita soffrisse da tali pensieri e
46
L. C. Rossi: Montale e l’«orrido repertorio operistico», Presenze, echi, cronache del melodramma
tra versi e prose, Bergamo: Sestante Edizioni, 2007: 14.
47
E. Montale: Quaderno genovese, Milano: Arnoldo Mondadori Editore, 1983: 56.
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che uno dei più grandi poeti del Novecento mettesse in dubbio il proprio talento
e la propria identità poetica.
Montale ha pubblicato la sua terza raccolta intitolata La bufera e altro nel 1956.
Cioè l’esperienza della seconda guerra mondiale è inserita in questo libro (Le oc-
casioni sono pubblicate nel 1939). Per questo la rappresentazione della musicalità
nelle poesie era affidata piuttosto ai rumori che rievocano non solo gli orrori
della guerra, ma anche l’opinione di Montale (già come critico musicale) sulla
musica contemporanea: “Che i rumori siano stati ormai acquisiti dalla musica
per ottenere particolari suggestioni è quasi ammesso da tutti”.48 Dunque il poeta
nella Bufera e altro sceglie consapevolmente strumenti ritmici che non possie-
dono qualità melodiche, ma sono capaci di simulare rumori, battiti, e strido-
ri per riprodurre il periodo apocalittico della storia (caratterizzato soprattutto
dalla guerra ma anche dallo sviluppo meccanico).49 Per quest’impressione è un
esempio perfetto la chiusura della seconda strofa della poesia eponima, Bufera:
“e poi lo schianto rude, i sistri, il fremere / dei tamburelli sulla fossa fuia, / lo
scalpicciare del fandango, e sopra / qualche gesto che annaspa…”. In questi versi
il suono insegue il senso e Montale, con la forza della fonetica, crea il calco sonoro
della bufera, in primo luogo con la dura successione delle consonanti (sch-nt, str,
mb, lp-cc, nd-ng, pr, lch, st, sp) e con l’elevata presenza della r, per cui il testo è
48
E. Montale: Prime alla Scala, a cura di G. Lavezzi, Milano: Arnoldo Mondadori Editore, 1981:
138.
49
M. S. Assante: Montale…, op.cit.: 128.
50
Ibid.: 129.
51
G. Lonardi: Il fiore…, op.cit.: 194.
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la forte miopia della moglie per cui doveva mettere gli occhiali molto spessi).
Ambedue le donne muoiono, ed i poeti rimangono a terra e devono imparare a
vivere con il dolore causato dall’assenza delle loro compagne di vita. Grazie alle
conoscenze profonde di Montale del genere dell’opera, il poeta poteva inserire le
sue esperienze musicali nelle sue poesie in un modo molto raffinato ed elegan-
te. Senza citare esattamente le parole dei libretti aveva la capacità di suggerire i
pensieri comuni tra il poeta e i protagonisti delle opere.
Nel libro di Luca Carlo Rossi, Montale e l’orrido repertorio operistico, si trova
un elenco molto dettagliato dei riferimenti possibili ad opere musicali nei versi di
Montale, non solo negli Ossi di seppia, ma in tutte le sue raccolte. Tali casi sono
quasi innumerevoli, e naturalmente tante volte sono solo ipotetici. La maggior
parte di queste interpretazioni non fu mai confermata dal poeta; comunque è
sicuro che la base di questi echi operistici è l’amore molto intenso di Montale per
tutti i tipi di musica (opera, operetta, melodramma, musica strumentale senza
lirica). Dunque il poeta era ispirato da tanti generi della musica (contempora-
nea, ma soprattutto ottocentesca), e partendo da quest’ispirazione giocava con la
disarmonia dei suoni, con i personaggi delle opere ed operette e poteva riempire
anche il fenomeno muto del silenzio con un valore musicale. Negli anni giovanili
Montale ha affidato la lucida percezione delle cose più all’orecchio che all’occhio,
e con l’udito era pronto a cogliere i suoni secchi e disarmonici che si levano dalla
terra riarsa, come per esempio i “schiocchi di merli”, i “frusci di serpi” o i “tre-
muli scricchi di cicale” (Meriggiare pallido e assorto).52 Più tardi quest’intenzione
diminuiva, ma non cessava del tutto. Quindi Montale non rinunciava affatto alla
musica, ma lentamente proclamava l’assenza di ogni speranza di raggiungere –
con la gioia del canto puro – un assoluto o l’assoluto.53 Anche se il poeta aves-
se realizzato l’impossibilità di raggiungere l’assoluto con la forza della musica,
non poteva mai resistere all’obbedienza giovanile di quell’espressione musicale.
Per lui non bastava la conoscenza superficiale delle cose. Con la sua poesia non
voleva compiere una missione sublime. Volente o nolente Montale ha mostrato
solo un punto di vista al pubblico da cui il mondo può essere osservato. Un
punto di vista caratterizzato dalla sensibilità per le felicità e per i dolori della vita,
che sono affrontati in un modo melanconico, umoristico, ironico, speranzoso e
rassegnato nello stesso tempo. Queste caratteristiche insieme facevano nascere
l’inimitabile mondo montaliano costituito dai pensieri complessi del poeta, che
vedono il lato oscuro e anche il lato chiaro della vita: “se io ho potuto vivere e
52
E. Bonora: Lettura di Montale, op.cit.: 35.
53
G. Lonardi: Il fiore…, op.cit.: 53.
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sopravvivere, ho avuto una certa fede. Fede nella poesia intanto […] Sarà una fede
il cui oggetto può riuscire oscuro, e che consiste soprattutto nel vivere con dignità
di fronte a se stessi, nella speranza che la vita abbia un senso, che razionalmente
ci sfugge, ma che vale la pena di sperimentare, di vivere”.54 A quest’ideologia
è aggiunto l’amore del poeta per le altre arti, soprattutto per la pittura e per la
musica. Montale aveva la capacità di trasporre quest’amore nei suoi versi usan-
do gli strumenti dei colori o dei suoni. Giocando con la forza delle immagini e
degli effetti acustici Montale con ogni singola poesia si è avvicinato un po’ alla
conoscenza assoluta del mondo, la cui conquista totale, anche secondo il poeta,
era impossibile. Ma soltanto la ricerca di quell’essenza può dare senso alla vita
dell’uomo, senza raggiungere mai lo scopo desiderato.
Lo strumento principale di Montale in questa ricerca era la poesia, la cui im-
portanza nella vita dell’uomo è stata descritta chiaramente dal poeta: “[…] il
mondo, purtroppo, non è fatto soltanto di arte, non è fatto di suoni, non è fatto di
colori, non è fatto solo di parole, ma anche di problemi pratici. Se vogliamo sal-
vare il mondo, bisogna tuttavia salvare anche cose non assolutamente necessarie
come la poesia. L’uomo economico da solo non potrà sopravvivere”.55
54
E. Montale: Sulla poesia, op.cit.: 606.
55
E. Montale: Il secondo mestiere: arte, musica, società, a cura di G. Zampa, Milano: Arnoldo
Mondadori Editore, 1996: 1685.