Riassunto Surian I e II
Riassunto Surian I e II
Riassunto Surian I e II
Capitolo 2 – L’etnomusicologia
Strumenti musicali
I greci furono i primi a dare alla musica un sistema razionale, essi trassero spunto
dalla tradizione dei popoli orientali, in particolar modo dagli egiziani. Il percorso
della musica greca è ampiamente documentato da fonti scritte ed è alla base
dell’impianto tonale di matrice occidentale e della musica sacra del Medioevo. Delle
loro composizioni non c’è giunto molto, se non una dozzina di composizioni incise su
pietra, le cui note sono scritte in alfabeto ebraico-orientale o con i caratteri maiuscoli
dell’alfabeto greco-Ionico.
È certo che all’interno della società greca la musica, intesa come arte delle Muse,
rivestiva un ruolo fondamentale nell’educazione dei giovani poiché essa era ritenuta
capace di nobilitare e raffinare l’animo umano, e dote degli aristocratici (nel senso di
aristoi, migliori) era possedere un animo forte e nobile, in questo ci sono illuminanti i
trattati Platonico-Aristotelici, che lodano proprio tale condotta educativa.
Coloro che diedero una prima schematizzazione al sistema musicale furono i
pitagorici, Pitagora attribuiva alla musica un ruolo metafisico, correlava l’armonia in
senso musicale con il moto armonico degli astri, per cui ad ogni suono poteva essere
ricondotta una proporzione matematica e fisica. Fu egli ad introdurre il concetto di
ottava e di quinta, rispettivamente come metà e 2/3 della vibrazione del monocordo.
Particolarità della musica greca è la sua forte appartenenza ad un ethos specifico per
ogni tipo di sfumatura musicale. Prendendo i modi il nome dalle caratteristiche delle
diverse popolazioni affluite nella Grecia arcaica, ovvero: Dorico, frigio e Lidio.
Colui che si occupò di dare una prima sistemazione organica al sistema musicale fu
Aristosseno di Taranto che nelle sue Istituzioni Armoniche si preoccupò, accogliendo
come unità di arrivo per la ripetizione del medesimo suono, l’ottava, che si occupò di
suddividere in 6 toni, ciascuno divisibile in 2 semitoni, ciò evidenzia una
straordinaria modernità e una piccola discrasia col sistema equabile teorizzato quasi
2000 anni dopo. Ad ogni modo il sistema musicale greco è detto Teleion (perfetto) e
si basa sullo strumento della lira, che avendo 4 corde, pone come unità di misura il
tetragramma, ovvero un raggruppamento di 4 suoni. Il modo di accordare la lira
divide la musica greca anche in 3 generi:
- Diatonico: alternanza di due toni e un semitono mi-re-do-si
- Cromatico: un tono e mezzo e due semitoni re-fa-f#-g
- Enarmonico: salto di due toni e due quarti di tono
Bisognò attendere l’editto di Costantino del 313 perché ai cristiani fosse concesso di
professare liberamente il proprio credo senza che venire perseguiti. Ogni area
geografica in cui si poté espandere il cattolicesimo tese a conservare il proprio
patrimonio tradizionale legato alle forme di liturgia, anche in contrasto con l’operato
della chiesa di Roma che tendeva invece ad essere una forza fortemente accentratrice
per quanto riguarda i canti e le sezioni che comprendevano la vita religiosa dei fedeli.
A partire dal VI sec. in poi le forme devozionali della chiesa di Roma si affermarono
un po’ ovunque. Tra le principali forme autonome di rito religioso vanno ricordati: il
rito Bizantino, il rito Mozarabico e il rito Gallicano.
Il rito romano antico del IV sec è caratterizzato dal procedere per gradi congiunti in
un limitato ambito melodico e con una forte presenza di melismi, utilizzati per
abbellire le singole sillabe. Va detto che la prima liturgia papale fu probabilmente dal
rito greco-bizantino, anche perché molti pontefici provenivano da tali zone.
A Sergio I è attribuita la creazione della prima schola chantorum in cui si formavano
i cantori che dovevano diffondere il canto liturgico nelle diocesi di tutt’Europa.
Resistevano in Italia anche il rito di Aquileia, che mostra sincretismi fra il rito
alessandrino-africano e quello greco.
Benevento fu inoltre un centro di grande crescita del canto sacro. La città era
dominata dai Carolingi tra VII e IX sec. e in questo territorio operavano i monaci
benedettini che padroneggiavano una scrittura complessa per l’epoca e un sistema
autonomo di notazione neumatica. Il loro canto era caratterizzato da: ripetizioni di più
frasi musicali con lo schema AA BB etc., poche categorie modali e uno stile ricco di
fioriture.
Rito Ambrosiano
A partire dal IV sec. si diffuse la liturgia Ambrosiana nell’ Italia settentrionale, ed è
l’unico canto di origine autonoma che persistette all’ascesa del canto gregoriano nel
XII sec. i canti erano caratterizzati da due modalità esecutive: il canto responsoriale
tra due compagini del coro e il canto antifonico in cui si alternavano un cantore
solista e il coro.
Per primo, il canto Ambrosiano si caratterizzò per l’utilizzo di una metrica che
prevedeva un numero eguale di sillabe per ogni strofa e una regolare accentazione
delle parole, questa simmetria ne facilitava la memorizzazione da parte dei cantori.
A Partire dal V sec. la diffusione del monachesimo e la creazione della regola di S.
Benedetto regolarizzò ulteriormente l’attività canora relativa alla liturgia e grazie alla
pratica degli amanuensi, fortemente sponsorizzata da Cassiodoro, tale regola e tali
canti poterono essere esportati.
Canto gregoriano
Molti studiosi sono d’accordo nell’affermare che il canto gregoriano, che prende il
nome dal pontefice Gregorio Magno, nacque dalla fusione tra il rito Romano-
Ambrosiano e quello Gallicano, importato dalla Francia. Il papa volle fortemente che
si stabilisse un rito liturgico unico per tutta l’area di influenza cristiana e che i canti
della tradizione, che andavano accrescendosi in numero, potessero essere trasmessi e
diffusi senza subire variazioni o interpretazioni personali, questo perché all’interno
della liturgia il canto ha una funzione principale, in quanto il canto è ritenuto ancora
oggi essere il veicolo più perfetto per veicolare la parola di Dio. In questo periodo la
vita religiosa iniziò a dividersi e a coincidere con le varie vicissitudini della vita di
Cristo, l’anno liturgico fu così diviso:
Avvento
Natale
Quaresima
Pasqua
Ascensione
Pentecoste
A sua volta la liturgia si divide in:
Tropi e sequenze
I cantori franchi non si limitarono ad accogliere passivamente il rito romano giunto
fino a loro, ma a questo essi diedero un contributo personale e di grande rilevanza.
Essi presero l’usanza di interpolare il testo e la melodia preesistenti con nuove parole
e nuovi frammenti di melodia, aggiunti al testo tramite il processo di sillabazione e
sostituendo dei melismi preesistenti, arricchendo dunque il testo di base con inserti di
grande valore artistico, queste interpolazioni presero il nome di Tropi.
Nei primi anni del IX sec. si cominciò ad aggiungere un testo sul vocalizzo (lo
jubilus) eseguito sopra l’ultima sillaba dell’alleluia; talvolta si sostituiva al vocalizzo
una nuova melodia nuovamente composta, denominata sequentia. I testi poi aggiunti
alla melodia venivano detti prosae.
Queste sequenza vennero raccolte nel testo liber hymnorum ed si delinearono così
come entità autonome, organizzate secondo una struttura strofica a coppia AA BB
CC etc. le prime abbazie in cui si trovano testimonianze di questa pratica furono
quelle di San Gallo e Limonges.
Quest’enorme fioritura dei tropi e delle sequenze si protrasse fino ad epoca
rinascimentale, quando il concilio di Trento, per difendersi dalla riforma luterana, ne
bandì l’uso dalle funzioni religiose, eccezion fatt per 6 sequenze ammesse nel culto e
divenute oltremodo celebri: la Pasqua, la Pentecoste, il Corpus Domini, il Dies Irae
e lo Stabat Mater.
Capitolo 6 – Canto Monodico nel Medioevo
Nel corso del Medioevo il canto monodico relativo alla sfera profana fu largamente la
forma artistico-musicale più diffusa. Mentre le melodie gregoriane rimanevano
appannaggi dei monasteri o delle funzioni liturgiche, la musica profana era diffusa in
ambiti disparati, dalle corti e dalle città, dai nobili come dai più umili. Inoltre a
partire dall’ X secolo, quando la nascita dell’economia monetaria portò un
imborghesimento della società e quando l’educazione non fu più impartita
esclusivamente dai conventi e dai monaci, essa si laicizzò e di conseguenza ciò si
riversò nell’ambito della creazione artistica, la chiesa faticava sempre più a
mantenere il ruolo guida nella formazione culturale, artistica e morale della società.
Ben poco ci è rimasto della musica composta in quel periodo, nell’ambito profano,
proprio perché, mentre per il canto liturgico era necessario sistematizzare e ordinare
le varie melodie, per quanto riguarda il canto profano fino al XVI sec, la tradizione
era per lo più orale. Questo perché al contrario del canto gregoriano, appannaggio di
uomini di classe medio-alta, il canto profano era eseguito da artisti di umile origine.
Tipico è l’utilizzo di strutture metriche e modelli mutuati dal linguaggio ecclesiastico
e liturgico, come la Sequenza e l’Inno ed è frequentissimo il “Contrafactum”, ovvero
la creazione di un componimento su di una melodia preesistente.
Delle poche opere pervenute a noi con notazione musicale, benchè rimanga dubbia la
questione dell’interpretazione ritmica, i principali sono:
trovatori
Tali artisti prendono il nome di Trovatori e sin dall’ XI sec si diffondono in
Francia, nella regione della Linguadoca (come l’omonimo linguaggio Lengue
d’Oc) sotto la guida di Guglielmo d’Aquitania, anch’egli compositore. Purtroppo
delle circa 2600 opere dei trovatori solo un decimo ha riportato anche una
notazione musicale. Sulla vita di questi personaggi abbiamo potuto addurre notizie
dalle Vidas che ci sono pervenute, circa metà di essi sono di origine nobiliare o
borghese, mentre un terzo di questi erano jongleurs di umili origini, che talvolta
sotto l’egida di un padrone magnanimo venivano gratificati di titoli o proprietà.
Il più famoso trovatore sembra essere Arnault Daniels, oltre a Bernard de
Ventadorn etc.
Mentre i jongleurs erano rinomati proprio per le interpretazioni delle chansons de
geste, i poeti dell’amore cortese preferivano la Canso, caratterizzata dai versi (pedes)
in particolare, benchè la metrica fosse più o meno libera, la forma della canzone è
legata allo schema AA B(cauda), con la melodia uguale nelle A ma con un testo che
cambia e una b che ricorre, con una strofa in più, la cauda. Un'altra struttura poetica
utilizzata è il Sirvientes che tratta di temi eroici e politici e moraleggianti.
Per quanto riguarda le strutture poetico-musicali mutuate dalla tradizione
ecclesiastica, sicuramente appartiene a queste il Lai (melodia) caratterizzata da due
melodie che si ripetono in coppia, mentre il numero dei versi è variabile,queste frasi
potevano avere finale chiuso o aperto, a seconda che fosse identico o che il secondo
differisse dal primo. Queste frasi ritornellanti dette punta potevano essere ripetute
diverse volte e mutuavano la loro struttura dalle Estampie:
- Kalenda Maya (le calende di maggio)
Trovieri
A partire dal XII sec, nella Francia del Nord si diffuse l’opera dei trovieri, essi
poetavano di Lengue d’Oil e componevano sia i testi che le melodie
d’accompagnamento. Paladina della corrente artistica fu certamente Eleonora
D’Aquitania, nipote di Guglielmo, che grazie alla fedeltà dei suoi sudditi, contribuì a
diffondere la loro opera anche in Inghilterra, quando andò in sposa ad Enrico II. La
canzone dei trovieri è abbastanza semplice, di tipo sillabico e composta di brevi frasi,
che non supera mai l’estensione dell’ottava, ma che anzi procede per gradi congiunti
entro le terze. La tematica che più appassionò tali artisti fu sicuramente l’ amor
cortese, tuttavia i loro componimenti appaiono stereotipati e privi di quell’approccio
molto personale che avevano i trovatori. Si approfondisce cioè molto meno la
psicologia dei personaggi. Oltre alla canzone e al Lai essi caratterizzarono i loro
componimenti con le forme dei jeux parties ovvero strofe con un ritornello (refrain)
che si ripete ciclicamente. In particolare divennero celebri le forme del:
-Rondeau: con una sola strofa in cui si alternano due frasi melodiche secondo lo
schema AB aA ab AB
-Virelai: questa struttura che è uguale alla ballata italiana, probabilmente fu mutuata
dall’oriente, utilizzata per accompagnare la danza, dal suo nome (girare), essa è
caratterizzata da una prima frase melodica che compone il refrain e un'altra strofa, la
cui ultima parte è identica per numero di versi e melodia al refrain ed è chiamata
Volta, a cui succede infine nuovamente il ritornello, secondo lo schema AbbaA.
-Ballade: la ballata ha la stessa struttura caratteristica della canzone trobadorica,
dunque ha struttura A A B, con più strofe che si succedevano e con un ritornello
ricorrente.
Penisola Iberica
Nella zona della penisola Iberica sono solo 6 i canzonieri che ci sono pervenuti prima
del XIII sec, per lo più essi utilizzavano le forme del: Canso, Virelai e Rondeau.
Essi trattano della tematica dell’amore, dell’attesa e si rifanno al filone della
tradizione liturgia di Maria, descrivendo i miracoli della santa. Per lo più
appannaggio dei giocolieri, l’opera più famosa è i Cantigas de los Milagros voluta da
Alfonso X a cui probabilmente diede anche il suo apporto artistico.
Italia
In Italia si diffuse oltremodo la pratica delle laudes, poiché in quel periodo si
avvertiva un forte bisogno di una spiritualità più personale e si ricercava nella
parafrasi della vita dei santi, l’apporto per la corretta gestione della vita, erano perciò
assai diffuse le processioni di laici, in cerca del perdono, così come le confraternite
laiche, che frequentemente nei loro statuti recavano scritta l’obbligatorietà della
pratica del canto nelle funzioni. Ci sono pervenuti più di 200 Laudari, il primo fra cui
nel XIII sec, in lingua volgare fu proprio quello di S. Francesco, il Cantico delle
Creature che in origine doveva avere scritto anche l’accompagnamento musicale.
Inoltre sono tra i più famosi:
-Laudario di Cortona
-Laudario Macabechiano.
Lo schema della Laude è dato da un ritornello (ripresa) iniziale a cui segue una
strofa, terminata da un nuovo ritornello che utilizza la melodia finale della strofa.
Diffusissimi furono anche il rondeau, il Virelai, e i canti profani antifonali ispirati
alla Sequenza, in cui si alternava un solista e il coro. La melodia italiana ebbe
carattere sillabico, con brevi frasi melodiche che procedevano per toni congiunti e
raramente superavano il salto di terza.
Germania
La corrente letteraria si diffuse anche in Germania tra la fine del XII sec e il XV
secolo. Mentre nella prima fase della produzione artistica tedesca essa aderiva
perfettamente allo stilema Provenzale, come si può vedere sia dal corpus che è in
gran parte derivante dalla tradizione francese, sia dagli schemi compositivi adottati,
ovvero:
- Lied > Canso
- Leich > Lai
- Spruch > Sirventes
- Barform > Canso
I principali esponenti della scuola tedesca furono Walter von der VogelWide e
wolfram von Eschenbach, egli è il Wolfram citato da Wagner nel Thannauser.
Mentre i Minnesanger condussero una vita errabonda e girovaga e come i trovatori
provenivano da un ceto medio-umile, i Meistersinger erano di estrazione borghese e
conducevano uno stile di vita sedentario, ad essi va il merito di aver portato avanti la
tradizione fino al XVII sec. Soprattutto nella forma del Barform.
Dramma Liturgico
Non si sa esattamente quando incominciarono i drammi liturgici, c’è di fatto da
capire che sia per la tradizione antifonica e responsoriale dei canti, sia per come è
concepita la stessa messa cristiana che è una drammatizzazione della liturgia, così le
chiese e i conventi sono stati i primi teatri di tale drammatizzazione, in cui la
comunità seguiva colui che celebrava la messa verso l’altare, intonando canti.
Tuttavia l’origine dei una vera drammatizzazione va fatta risalire alla fine della
funzione della terza ora, quando venivano cantati dei tropi, che dovevano far
trascorrere il tempo fino alla grande messa di Pasqua, questi tropi cominciavano
proprio con l’esortazione Quem Queritis? In cui si produceva un gioco di botta e
risposta tra i cantanti e gli astanti, questa ritualità si evolse fino ad includere dentro le
rappresentazioni cantate sia chierici che laici, travestiti adeguatamente, il primo
riadattamento fu proprio il Quem Queritis, che divenne la Visitatio Sepulchri nel
XVI. Negli anni a venire furono scritte e aggiunte decine di melodie alla
rappresentazione e si moltiplicarono anche le tematiche legate a scene dell’antico e
del nuovo testamento. Le melodie che prevalevano erano prese dal repertorio
Gregoriano, ma erano presenti anche melodie profane. I canti erano intonati per lo più
in latino ma nel caso dei Planctus essi potevano essere anche cantati in volgare.
Particolare rilevanza nella scuola parigina ,poiché antenata del Mottetto è la Clausola:
Si tratta di una parte o sezione di un brano musicale, in cui il Tenor, talvolta insieme
al Duplum, incontra un melisma. Si creano cosi, sui melismi, melodie a voci diverse,
in armonia tra loro e procedevano simultaneamente. Il testo della clausola consiste
nella sillaba sulla quale si sviluppa la fioritura (o melisma).
La clausola si distingue dall’organum, proprio nel tenor, che si presenta piuttosto
ricco di note. Le clausole prevedevano una polifonia stile discanto è cioè nota contro
nota della parte melismatica. La clausola era fondata su una sola parola ad esempio
Dominus o addirittura su una sola sillaba. Quindi i melismi gregoriani del passato
erano fonte di composizione per le clausole. Sempre nella Scuola di Notre Dame,
Perotin, introduce gli Organa a tre o 4 voci e inserisce nuovi schemi ritmici alle
clausole (tutti e sei non solamente il primo modo Longa Brevis longa Brevis) Inoltre
Perotin compone i Conductus polifonici. Anche il Conductus come l’Organum, è una
composizione vocale basata su una melodia
(chiamata tenor), che però non è presa dal repertorio sacro, ma può essere di natura
extraliturgica o inventata.
Il testo, dei Conductus era in lingua latina, ed era di argomento profano e spesso a
sfondo politico. A differenza dell’organum, il Conductus mantiene una certa
uniformità ritmica fra le parti, e la pronuncia del testo rimane piuttosto ben sillabata.
Il Mottetto
Dato l’elevato numero di clausole composte durante il XIII sec. è logico credere che
esse venivano eseguite anche al di fuori del contesto liturgico come brevi
composizioni autonome. Tuttavia esse venuto a perdere il testo litugico di base
avevano poco motivo di esistere, ecco perché sulla vox Organum viene aggiunto un
testo che sia pertinente con il testo del tenor, il Duplum viene così nominato Motetus,
più tardi il termine viene adottato dall’intera composizione. Quando a metà del XIII
sec. si diffonde il canto a tre voci, alla melodia superiore al duplum viene dato il
nome di triplum il cui testo si articola a sua volta intorno a quello del mottetto. Viste
le figurazioni ritmiche sempre più brevi, soprattutto nei tripla fu necessario mutare la
notazione ritmica da una “modale” a una “mensurale” in cui i valori delle note e
della pause procedono tra loro in maniera rigorosamente proporzionale. I testi del
mottetto potevano avere una provenienza varia, da quelli liturgici soprattutto dedicati
alla lode della Madonna a quelli di argomento profano. Col passare degli anni dopo il
periodo di Pérotin il mottetto si affranca sempre più dal suo contesto liturgico, così
come la lingua passa dal latino al francese, proprio per questa commistione di
elementi, per cui il tenor è mutuato ancora da piccoli frammenti di canti sacri mentre
il motetus viene preso da contesti profani, esso sarà la forma di canto più in voga nel
XIII sec. un artificio contrappuntistico tipico di questo periodo è l’ hocquetus
(singhiozzo) che consiste nel porre ad una voce una repentina pausa che portava il
canto ad un’altra voce e viceversa, in un gioco di botta e risposta che provoca un
moto “a singhiozzo” del canto.
Al IX sec. invece risalgono alcuni manuali che utilizzavano una notazione alfabetica
a cui corrispondevano i diversi suoni, il primo tra cui fu Musica Enchiriadis che
utilizza una notazione detta Dasiana (nome derviante dalla prosodia della poesia
antica greca) essa utilizza 4 segni grafici che indicano il tetragramma re-mi-fa-sol e
che scritti al contrario o inclinati, stanno ad indicare il tetracordo inferiore o due
tetracordi e mezzo più in alto, questi simboli stavano su una sorta di partitura che
poteva avere fino a 18 spazi. Dopodichè il monaco Hucbald nel suo De Istitutione
Harmonica assegna alle lettere dalla A(do) alla P lo spazio di due ottave, mentre in
un altro trattato anonimo il Dialogus De Musica assegna alla A(la) fino alla G
maiuscole precedute da un Gamma greco, il ruolo di ottava; minuscole per l’ottava
centrale e doppie per quella superiore, il B(si) poteva essere sia durum ovvero
bequadro che rotundum che corrisponde al si bemolle.
Notazione quadrata
Oggi i libri moderni che riportano scritti i canti liturgici gregoriani, utilizzano la
versione dei monaci si Solesmes, essi dopo accurate ricerche stabilirono, al contrario
di ciò che sostenevano molti studiosi, che la ritmica del canto gregoriano non fosse
mensurale ma fosse basata attorno ad una sola unità temporale.
Musica ficta
Con questo termina si indica il fenomeno dell’interpolazione all’interno della scala
diatonica di note alterate, bisogna ricordare come allora solo il Si fosse bemollizzato,
esso fu giustificato dai teorici dell’epoca sia per evitare il tritono all’interno del
contrappunto, sia per ragioni di ordine estetico e anche per rendere “sensibile” la nota
in un passo cadenzale.
Si da il nome di Ars Nova alla scuola musicale fiorita nel ‘300 in Italia e in Francia,
questo termine venne adottato nel XX secolo da Reimann ed è mutuato dall’omonima
opera di Philippe de Vitry. Durante il XIV sec. infatti si diffuse enormemente il canto
polifonico in una forma raffinata e più consapevole, rispetto alle composizioni dei
secoli precedenti, che presero il nome di Ars Antiqua. In Italia in particolare bisognò
aspettare il ‘300 perché si ritrovassero testimonianze di questo modo di intendere la
polifonia, soprattutto perché in precedenza non era ancora sentita fortemente
l’esigenza di scrivere i componimenti, specialmente per quanto riguarda il canto
monodico profano. Eppure come dimostra il Pomerio di Marchetto da Padova la
notazione musicale italiana era al passo con i tempi, tuttavia essa accentuava alcuni
tratti caratteristici come la libertà improvvisativa, l’utilizzo di cromatismi e di
intervalli di terza e sesta, che caratterizzavano uno stile eufonico. Differente è la
notazione musicale francese che doveva offrire il supporto tecnico per la
composizione dei canti che avveniva in maniera molto più teorica e distaccata dalla
pratica, attorno ad un utilizzo simbolico e tecnicamente corretto delle varie regole
teorizzate fino ad allora. Questa fiorente scuola non era distribuita in maniera
uniforme nel territorio italiano, ma per lo più appartenne alla zona settentrionale, in
città come Padova (sede di una famosa università) o Bologna, oltre alle varie città
signorili, che accoglievano a corte i grandi maestri dell’epoca i quali utlizzavano
frequentemente il loro talento per celebrare gesta e vita del loro signore. La prima
raccolta che ci è pervenuto è il Codice Rossi che probabilmente raccoglie il repertorio
cantato a Padova e Verona nella prima metà del XIV sec.
Differente è il caso di Firenze, la città allora si proponeva come avanguardia nei
valori civici ed esaltava la musica come una virtù morale che poneva il musicista ai
primi posti della società, diversamente dal ruolo di vassallo dedito al signore, che
rivestiva altrove. Questo è il motivo per cui la scuola polifonica fiorentina nella
seconda metà del XIV sec. fu la più avanzata, così come negli ambiti della pittura e
della letteratura Firenze ricopì lo stesso ruolo. Non è un caso infatti che la nascita qui
del dolce stil novo influenzò notevolmente la produzione musicale, soprattutto nella
fase di composizione del testo, poiché la raffinatezza del testo poetico poteva
mutuarsi nella maggior complicazione della linea melodica. Il corpus più sostanzioso
di canti della scuola fiorentina che ci è pervenuto è il Codice Squarcialupi che
raccoglie Madrigali, Cacce e Ballate, oltre a accurate miniature e notizie sulla vita dei
14 compositori.
Madrigale
Il madrigale è certamente la forma più fortunata del canto italiano di quell’epoca, si
tratta di composizioni per lo più polifoniche (90% è a due voci), l’origine del nome è
dubbia, probabilmente proviene da matricalis (poema in lingua madre).
Le tematiche sono per lo più di tipo agreste, amoroso ma non mancano anche quelle
di impegno civile. La forma del componimento si articola in due o tre strofe a terzine,
con una chiusa finale che ha funzione di ritornello. Generalmente la melodia
accompagna il testo poetico e su essa si basa, denotando una certa coerenza stilistica.
La melodia in particolare si sussegue uguale per quanto riguarda le strofe, cambiando
nel ritornello. Il principale esponente del madrigale all’epoca fu Giovanni da Firenze,
che canonizzò anche la pratica di iniziare e terminare ogni verso con un melisma,
mentre nella parte centrale del componimento si procede in modo sillabico. La forma
del madrigale si presta molto all’improvvisazione, che è una forte caratteristica della
scuola italiana.
Caccia
La caccia è un differente tipo di madrigale, esso anche fu assai frequente all’epoca e
trattava di temi relativi alla quotidianità e alle scene di caccia, esso è caratterizzato da
una struttura strofica unica con metri che potevano alternarsi senza problemi, la sua
peculiarità è un canone sulle due voci superiori. Mentre la terza linea melodica
probabilmente veniva suonata da uno strumento musicale, le prime due formavano un
gioco di interventi, suoni onomatopeici e andamenti spezzati, grazie alla tecnica del
canone. Questo tipo di componimento era famoso anche in Francia e in Inghilterra,
tuttavia solo in Italia esso assumerà quel carattere realistico, grazie al gioco di
dialoghi e di echi che il canone contribuisce a creare. Compositori famosi di cacce
furono Maestro Piero, Gherardello da Pisa e anche Niccolò Soldanieri.
La Ballata
La ballata è un componimento legato al ballo, esso era presente nei secoli precedenti
nella forma del canto monodico di argomento profano, benchè non ci sia pervenuto
quasi nulla, vista la tradizione orale dei canti profani. Probabilmente la sua forma è
mutuata dal virelai francese, che aveva le stesse funzioni e origine.
L’argomento della ballata è l’amore cortese, ovvero la pratica con cui si dilettavano
gli uomini della borghesia dell’epoca, essi intonavano le sofferenze dell’innamorato e
la lode verso la donna amata. La particolarità di tali canti è che essi erano recitati in
forma responsoriale, con il solista che dirigeva le danze e introduceva il primo
refrain e il coro che rispondeva, dopodichè il solista intonava le strofe a cui si
susseguivano i medesimi ritornelli intonati in coro. Questi componimenti furono
quelli più in voga nel ‘300 ed erano destinati ad un uditorio di donne.
la forma del componimento si articola in una ripresa, seguita da una stanza di due
piedi, con una volta finale, prima di una nuova ripresa, secondo lo schema (uguale al
virelai) A bb a A. il principale autore di ballate della scuola fiorentina fu Francesco
Landini, eccellente organista e filosofo, autore anche di molti testi poetici, egli era
cieco ma questo non gli impedì di essere una personalità di spicco nei salotti borghesi
dell’epoca.
Il fenomeno del canto polifonico italiano non potè durare a lungo, vista la sua limitata
area geografia di riferimento e la sua diffusione per lo più nelle corti signorili. Va
detto che verso la fine del secolo si incominciò a far sentire la concorrenza dei cugini
d’oltralpe che occuparono ruoli di spicco all’interno delle strutture monastiche e degli
Studium. Per questo il canto italiano subì l’influenza francese scadendo in un forte
manierismo tipico di quella scuola, i cui esponenti molto più preparari degli italiani,
concepivano la loro arte come una forma costruttiva geometrizzante e pienamente
razionale. Un caso fu quello di Johannes Ciconia, che ebbe numerosi incarichi in
Italia, venendo infine a soggiornare a Padova dove ricoprì la carica di mansionario al
duomo, egli scrisse molti mottetti dalle strutture raffinate e piene di arditi
contrappunti, venendo però a sua volta influenzato dallo stile morbido e melodioso
della scuola italiana.
Chanson
La maggior parte del repertorio della chanson polifonica è a tre voci. Questa forma
ebbe un grande successo all’epoca, come è documentato dai numerosi canzonieri che
ci sono pervenuti ad oggi. Queste composizioni per lo più trattavano d’argomento
cortese e sono un prodotto originario della corte francese, poi mutuato dai borgognoni
ed infine giunto in Italia. Emblematico è il fatto che nei codici giunti a noi, spesso
non vi sia neanche il testo, ciò denota un forte utilizzo strumentale delle melodie.
La prima generazione di compositori della chanson polifonica utilizzò le forme fisse
preesistenti del secolo precedente, come il virelai, la ballade, il rondeau, questo è
dimostrato nelle circa 70 chansonsdi Du Fay. Proprio lui fu colui che pose le basi per
il linguaggio della musica profana composta nel rinascimento. Come è caratteristico
della scuola nordica la voce superiore è predominante rispetto alle altre, e sono
frequenti i giochi di imitazione canonica. Il modello di Du Fay servirà soprattutto alla
generazione successiva, altri come Desprez, conservò le formule fisse e le arricchì,
con nuovi elementi tecnici, oltre ad aumentare il numero delle voci a 4, questo
procedimento è alla base del repertorio frottolistico italiano.
Capitolo 9 – il cinquecento
La Frottola
Con il termine frottola i musicologi intendono una scuola letterario-musicale che si
diffuse nelle città dell’ Italia settentrionale (Mantova, Urbino, Ferrara e Venezia) tra
la fine del XV e l’inizo del XVI sec. i principali esponenti della forma della frottola
furono Tromboncino e Cara, di servizio a Mantova. La frottola era affiancata anche
dai metri:lo strambotto, l’Oda, il Capitolo, il Sonetto e la canzone.
Questo genere poetico ebbe un grande successo nei primi anni del Cinquecento, come
è attestato dalle numerose edizioni stampate, esse mostrano come la frottola fosse
eseguita in due modi: il primo prevede un esecuzione polifonica corale, il secondo,
che è quello largamente più diffuso, prevede che il canto sia accompagnato
dall’esecuzione strumentale, affidando a quest’ultimo il tenor e il bassus, mentre la
voce canta il superius (l’altus viene a mancare). Lo stile della frottola è
prevalentemente sillabico, le parti melismatiche vengono utilizzate per accentuare
certi vocaboli e per dare maggior tensione nelle parti cadenzali, ciò sembra essere in
linea con la tradizione italiana del ‘400, ma la differenza è che la frottola si presenta
come una composizione “finita” perfettamente riproducibile e non improvvisata. La
frottola adottò la nuova divisione nei modi maggiore e minore, ed ha un
procedimento semplice di tipo accordale, dove prevalgono le consonanze, mentre le
dissonanze sono utilizzate con estrema parsimonia. Questo genere era coltivato in
ambito cortese, poiché le tematiche per lo più spaziano attorno all’amore e alle scene
di vita quotidiana. Per lo più la frottola si compone di due episodi musicali (A B) che
si alternano sia nella ripresa che nella stanza successiva.
Il Madrigale
Il madrigale ebbe origine a Roma e a Firenze verso la terza decade del Cinquecento,
risale al 1530 la prima raccolta di madrigali. Questa forma poetica si delinea
nell’ambito della ripresa del testo poetico dell’epoca. Gli umanisti erano alla ricerca
di una rinnovata personalità dell’ambito linguistico italiano e sull’espressività del
testo poetico in sé, aldilà della forma e della metrica. Il madrigale si pone su questo
cammino, ricercando attraverso la musica di ricalcare il sentimento e l’espressività
delle parole del testo poetico. Va detto che mentre la frottola è un componimento che
si ripete ciclico per ogni strofa della poesia, il madrigale invece si avvicina più alle
forme libere della canzone. Proprio la forma “aperta” del madrigale stimola
l’inventiva dei compositori nel ricercare questa forte aderenza tra testo e musica,
utilizzando il gigantesco bagaglio di tecniche contrappuntistiche che ora, non avendo
più un utilizzo astratto, sono strumento per ricreare l’espressività del testo. Ad
esempio nel sonetto I piansi, hor canto del petrarca, è interessante la diversificazione
dell’episodio musicale, compunto ed espresso in valori lunghi, nella parte in cui si
parla del pianto del poeta, di ritmo vivace e di carattere gioioso nella parte in cui si
accenna al canto. A. Willaert e C de Rore furono tra i principali esponenti della prima
fase del madrigale, essendo anche insegnanti presso la cappella di San Marco essi
ispirarono tutte le generazioni successive, codificando gli archetipi del genere.
Proprio per ricercare quest’aderenza tra testo e musica il madrigale sperimenta una
serie di artifici tecnici utili, come i “madrigalismi” in cui si associano a alcuni termini
alcune figure musicali che ne richiamino il significato semantico (la parola vento,
veniva associata ad un veloce melisma, che ne ricordasse il soffio), oppure la “musica
visiva” in cui la notazione musicale è scritta in assonanza col significato del testo.
Questo tipo di tecniche ci permettono di capire come il madrigale viene composto
anche per il piacere personale di colui che lo recita, senza tener conto dell’uditorio,
che poteva anche non esserci. Sono tipici della seconda metà del secolo anche i
madrigali “ a note nere” caratterizzati da passi veloci e ricchi di cromatismi, o quelli
“ariosi” di tipo declamatorio ed elegiaco ( l’Orlando furioso si prestò a questo tipo di
composizione)
Come complemento del genere del madrigale si colloca la canzone Villanesca alla
Napoletana, una forma di componimento legato alla borghesia colta napoletana, che
si diffuse negli ultimi anni del secolo, come dimostrano le edizioni curate a Venezia
dei balletti a 5 voci di Giovanni Gastoldi, celebre fu anche Guarini con i suoi
componimenti pieni di pathos elegiaco o il fiammingo de Wert che fu il primo ad
adattare una melodia sui versi della Gerusalemme Liberata di Tasso. Inoltre si ricorda
Marenzio, attivo negli ultimi anni del secolo a Roma, che compose circa 400
madrigali, ed è ricordato come uno dei più grandi musicisti dell’epoca, il cui stile
caratteristico non permette di tipizzare le sue composizioni. Senza dubbio uno dei più
celebri di tutti i tempi però fu Carlo Gesualdo, napoletano di famiglia nobile, nella
sua travagliata vita compose madrigali di eccezionale modernità, sfidando tutte le
leggi compositive dell’epoca la sua stravagante opera utilizza tutte le tecniche più
avanzate dell’epoca per conseguire un linguaggio musicale personalissimo e di forte
impatto emotivo, utilizzando dissonanze, passaggi cromatici e accordali, con una
maestria nella scrittura ritmica del canto, alternando passaggi omoritmici ad altri di
totale asimmetria ritmica. A Venezia fu attivo Gabrieli che caratterizzò la sua opera
con uno stile conservatore, e un’alternanza tra le parti vocali del recitativo e del
dialogo che si destreggiano nei cori, in maniera antifonica seguendo la tradizione
religiosa.
Il corale
la riforma di Lutero iniziata nel 1517 squassò le fondamenta del sistema cattolico
europeo. Egli dovette, nel cammino di allontanamento dalla chiesa di Roma,
occuparsi di ricreare le varie parti che componevano la liturgia. Dovendo includere i
fedeli nella pratica litugica egli dovette anche occuparsi, oltre alla traduzione in
tedesco della bibbia, anche di fornire un nuovo repertorio di canti per la funzione.
Insieme ai maestri Rupsch e Walter egli vagliò la realizzazione di nuove melodie a
cui vennero affidati nuovi testi, presi da passi delle scritture. Venne cosi alla luce il
“piccolo libro di canti spirituali”. Per consentire la partecipazione dei fedeli alla
liturgia i canti dovevano essere semplici, per cui l’andamento è omoritmico e
omofonico, anche perché la prima fase del luteranesimo è caratterizzata dal canto
esclusivo dei fedeli, per poi diventare in fase successiva, alternato tra il coro e il
solista o l’organo che eseguivano i passi più complessi, Bach fu uno dei più celebri
compositori di corali.
La controriforma
Per rispondere allo scisma luterano la chiesa dovette prendere delle importanti
decisioni riguardo al proprio ordinamento. Fu per questo che si convocò il concilio di
Trento, da cui vennero emanate una serie di ordinanze che cambiarono per sempre
l’aspetto della chiesa. Si sentì il bisogno di un ritorno alla religiosità dei tempi
antichi, al rigore della regola e al rispetto dei valori della cristianità. Fu per questo
che si pose fine al liberalismo in campo antico che aveva caratterizzato i due secoli
precedenti. La parola di Dio, ovvero quella contenuta negli antichi testi doveva
ritornare ad essere in primo piano nel momento della funzione della Messa, per cui
bisognava snellire tutti i canti dagli artifici contrappuntistici introdotti fin dal secolo
precedente e ritornare ad una struttura del canto più semplice. Per cui vennero quasi
del tutto eliminate le dissonanze, si preferì di gran lunga la consonanza e l’utilizzo di
melodie semplici e di ritmi pacati, di aspetto solenne e mistico.
La più grande personalità di questa fase controriformistica fu certamente Giovanni da
Palestrina, musicista attivo fra il 1545 e il 1594 nella città di Roma, unica sede della
sua opera. Il suo stile è importante per quanto riguarda la composizione di canti per la
Messa e l’Ufficio che tengono conto dei diktat emanati dal concilio di Trento. Per cui
la sua opera in ambito sacro sarà paradigmatica e getterà le basi per il trattato Gradus
at Parnassus di Fox. Egli visse sempre a Roma e giunse a ricoprire il ruolo di cantore
della cappella di San Pietro in Vaticano. Il suo corpus di opere consta di 100 messe,
di cui metà tratte da composizioni polifoniche tipiche della tradizione franco-
fiamminga ( i suoi maestri furono tutti polifonisti della scuola nordica) una trentina
dal repertorio gregoriano e una decina di temi profani.
La sua opera è contraddistinta dalla destinazione esclusivamente vocale
dell’esecuzione, tanto da meritare il nome “a cappella”, al massimo era permesso
l’accompagnamento con l’organo, unico strumento ammesso dalla chiesa. Egli inoltre
è celebre per la compunzione delle sue melodie, sostenute da strutture ritmiche
ordinate e simmetriche, che permettono di porre in risalto la parola del testo, che
conserva sempre la sua accentazione ed emerge chiara dalla trama contrappuntistica,
è preferito uno stile sillabico ad uno melismatico e a quello imitativo canonico.
Inoltre l’equilibrio formale della sua opera fa si che egli dove pone un intervallo
lungo, faccia succedere il moto congiunto, dove una melodia si estende verso l’alto,
sia bilanciata verso un moto contrario verso il basso. Inoltre una nota modernissima
della sua personalità compositiva è nella preparazione delle cadenze. Qui egli utilizza
la sua maestria per collocare dissonanze sui tempi deboli della “battuta” e farle
risolvere sui gradi forti, creando una forte spinta espressiva sui passi cardine del
canto sacro.
La scuola veneziana
La scuola veneziana si differenziò molto da quella romana, il rigore controriformista
giunse ben più smagrito nella libera città. Qui i compositori preferirono utilizzare
espedienti che creassero melodia movimentate e inattese, giocando sulle diversità
timbriche ottenute con l’utilizzo di strumenti musicali e di cori spezzati.
I fiamminghi e i compositori delle altre città dell’Italia settentrionale ovviavano
all’esigenza di creare alternanze e scambi all’interno del canto con processi imitativi
e canonici, i veneziani invece preferirono un vero e proprio organico misto. In talune
composizioni di Andrea Gabrieli e del nipote Giovanni Gabrieli sono presenti dei veri
e propri ensamble, con gli strumenti a corde e a fiato, che nelle parti di canto del
tenor e del bassus vanno a sostenere ed accompagnare il canto delle due voci
superiori, spesso affidato a due cori differenti, che superavano lo stile antifonico del
canto affidato ad un solo coro. Nei loro lavori furono introdotti anche dei veri e
propri antenati dei segni di dinamica, che permettevano di avere maggiore
espressività ed erano segnati anche gli strumenti che dovevano suonare in determinati
sezioni del canto e tacere in altre, creando ancora di più il gioco timbrico che va a
culminare con dei “tutti” che dovevano lasciare sbalorditi gli spettatori riuniti per le
festività mondane, carnevalesche, cortesi e sacre.