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Fisica Sperimentale Dic2016

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Giovanni Organtini

FISICA SPERIMENTALE
i

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© 2013–2015 Giovanni Organtini, Sapienza– all’autore del volume.
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Indice

Prefazione 1 3.2.1 La regressione lineare . . . . . 42


3.2.2 La costruzione di un modello 44
Alla scoperta dell’Universo 7 3.3 La Temperatura . . . . . . . . . . . . 46
1 Scoprire la Fisica 11 4 Calore e temperatura 51
1.1 Il problema della misura . . . . . . . 11 4.1 La teoria del calorico . . . . . . . . . 51
1.2 La luce . . . . . . . . . . . . . . . . . 11
4.2 Trasporto del calore . . . . . . . . . . 53
1.3 Le onde . . . . . . . . . . . . . . . . 11
4.3 Falsificare una teoria . . . . . . . . . 56
1.4 Il moto, il lavoro e l’energia . . . . . 12
1.5 La termodinamica . . . . . . . . . . . 12 5 Ottica geometrica 59
1.6 Campi di forze . . . . . . . . . . . . 13 5.1 Riflessione della luce . . . . . . . . . 59
1.7 Correnti elettriche . . . . . . . . . . . 13
5.2 Una prima interpretazione . . . . . . 64
1.8 Campi magnetici . . . . . . . . . . . 13
5.3 La rifrazione . . . . . . . . . . . . . . 65
1.9 Corpi rigidi . . . . . . . . . . . . . . 13
5.4 Conferma della teoria corpuscolare . 68
1.10 Onde elettromagnetiche . . . . . . . 13
5.5 Applicazioni . . . . . . . . . . . . . . 69
1.11 Ancora sulla natura della luce . . . . 13
1.12 L’entropia e il secondo principio . . . 14
6 Le onde e i fenomeni ondulatori 73
1.13 Le particelle elementari . . . . . . . . 14
6.1 Caratterizzazione delle onde . . . . . 74
2 Il ruolo della misura in Fisica 15 6.2 Riflessione e rifrazione delle onde . . 77
2.1 Misure e teorie . . . . . . . . . . . . 16
2.2 Le misure di base . . . . . . . . . . . 18 7 Interferenza 79
2.3 Gli strumenti . . . . . . . . . . . . . 21 7.1 Casi particolari . . . . . . . . . . . . 80
2.4 Notazione scientifica . . . . . . . . . 23 7.2 Onde stazionarie . . . . . . . . . . . 83
2.5 Un esperimento istruttivo . . . . . . 24
8 Effetti del moto sulle onde 85
2.6 Proprietà statistiche delle variabili
casuali . . . . . . . . . . . . . . . . . 25 8.1 L’effetto Doppler . . . . . . . . . . . 85
2.7 L’interpretazione delle misure . . . . 28 8.2 Effetto Doppler Relativistico . . . . . 87
2.8 Analisi statistica delle misure . . . . 30 8.3 L’effetto Čerenkov . . . . . . . . . . 88
2.9 Errori sistematici . . . . . . . . . . . 32 8.4 Il red shift delle galassie . . . . . . . 90
2.10 Propagazione degli errori . . . . . . . 34
2.10.1 La media pesata . . . . . . . 37 9 La diffrazione 93
9.1 Sperimentiamo la diffrazione . . . . . 94
3 Definire le grandezze fisiche 39 9.2 Definiamo la natura della luce . . . . 95
3.1 Massa e Peso . . . . . . . . . . . . . 39 9.3 La matematica della diffrazione . . . 97
3.2 La radioattività . . . . . . . . . . . . 41 9.3.1 Diffrazione da fenditura sottile 97
INDICE vi

9.3.2 Diffrazione da una doppia 14 Forze apparenti 191


fenditura . . . . . . . . . . . . 98 14.1 Sistemi accelerati . . . . . . . . . . . 191
9.3.3 I fasori . . . . . . . . . . . . . 104 14.2 La forza centrifuga . . . . . . . . . . 193
9.3.4 Diffrazione da reticolo . . . . 106 14.3 La Forza di Coriolis . . . . . . . . . . 195
9.3.5 Diffrazione da una fenditura
15 Lavorare stanca 201
larga . . . . . . . . . . . . . . 109
15.1 Il lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . 201
9.3.6 Potere risolutivo . . . . . . . 111
15.2 Il lavoro del facchino . . . . . . . . . 204
9.3.7 Diffrazione di raggi X . . . . . 112 15.3 Il lavoro della forza peso . . . . . . . 205
15.4 Il lavoro delle forze elastiche . . . . . 206
10 Eppur si muove 113
10.1 Voi siete qui . . . . . . . . . . . . . . 113 16 Una misura del movimento 209
10.1.1 Premessa metodologica . . . . 115 16.1 La natura dell’energia cinetica . . . . 210
10.2 I vettori . . . . . . . . . . . . . . . . 116
10.3 Descrivere il moto . . . . . . . . . . . 123 17 Lavori speciali 213
10.4 Il moto rettilineo uniforme . . . . . . 128 17.1 L’energia potenziale . . . . . . . . . . 215
17.2 La conservazione dell’energia . . . . . 215
10.5 Esperimenti con il moto dei corpi . . 131
17.3 Forze conservative . . . . . . . . . . . 216
10.6 Il moto uniformemente accelerato . . 134
17.4 L’energia potenziale elastica . . . . . 217
10.7 Il moto lungo un piano inclinato . . . 135 17.5 Forze conservative . . . . . . . . . . . 218
10.8 Moti non rettilinei . . . . . . . . . . 137
10.9 Considerazioni finali . . . . . . . . . 147 18 Il terzo principio 221
18.1 Molle e biglie . . . . . . . . . . . . . 221
11 Punti di vista 149 18.2 Oltre le biglie . . . . . . . . . . . . . 222
11.1 La relatività . . . . . . . . . . . . . . 150 18.3 Muoversi col terzo principio . . . . . 223

12 Le Leggi di Newton 153 19 La quantità di moto 225


12.1 Il primo principio della dinamica . . 153 19.1 Analisi dell’esperimento . . . . . . . 225
12.2 La misura delle forze . . . . . . . . . 156 19.2 La conservazione della quantità di
moto . . . . . . . . . . . . . . . . . . 226
12.3 Il secondo principio della dinamica . 160
20 Urti 229
13 La forza sia con te 165
20.1 Urti unidimensionali . . . . . . . . . 229
13.1 La forza peso . . . . . . . . . . . . . 166 20.2 Moderatori di neutroni . . . . . . . . 231
13.1.1 Conseguenze della forza peso . 167 20.3 Urti anelastici . . . . . . . . . . . . . 231
13.2 Le funi . . . . . . . . . . . . . . . . . 169
13.2.1 L’esperimento del carrello . . 171 21 Simmetria e conservazione 233
13.3 La forza elastica . . . . . . . . . . . . 172 21.1 La conservazione dell’energia . . . . . 233
13.4 Il pendolo semplice . . . . . . . . . . 178 21.2 L’omogeneità dello spazio . . . . . . 235
13.5 Le forze di attrito . . . . . . . . . . . 181
22 Le leggi dei gas 237
13.5.1 Attrito statico . . . . . . . . . 182 22.1 Lo stato dei gas . . . . . . . . . . . . 238
13.5.2 Attrito dinamico . . . . . . . 185 22.1.1 La pressione . . . . . . . . . . 238
13.5.3 Attrito volvente . . . . . . . . 186 22.2 L’equazione di stato dei gas . . . . . 240
13.5.4 Attrito viscoso . . . . . . . . 187 22.3 La trasformazione di un gas . . . . . 243
13.6 Altre forze . . . . . . . . . . . . . . . 189 22.4 Il lavoro fatto da un gas . . . . . . . 244
INDICE vii

22.5 Il calore scambiato col gas . . . . . . 245 28 Campi di forze 303


22.6 Trasformazioni speciali . . . . . . . . 247 28.1 Il concetto di campo . . . . . . . . . 303
22.6.1 Trasformazioni isobare . . . . 247 28.2 La rappresentazione del campo . . . 304
22.6.2 Trasformazioni isocore . . . . 248
22.6.3 Trasformazioni isoterme . . . 249 29 Un importante Teorema 311
22.6.4 Trasformazioni adiabatiche . . 250 29.1 Il teorema di Gauss . . . . . . . . . . 313
22.7 Il lavoro termodinamico . . . . . . . 251 29.2 Il flusso di un campo generico . . . . 315

23 La teoria cinetica dei gas 255 30 Il flusso dei campi 319


23.1 Un gas ideale . . . . . . . . . . . . . 256 30.1 Il flusso di una carica elettrica
23.2 Lo scioglimento del ghiaccio . . . . . 258 puntiforme . . . . . . . . . . . . . . . 320
30.2 Il flusso di una distribuzione di cariche321
24 Il primo principio della termodinamica261
30.3 Il flusso di una distribuzione sferica . 321
24.1 L’energia interna . . . . . . . . . . . 262
24.2 L’espansione libera di un gas perfetto 264 30.4 Il flusso di un campo uniforme . . . . 322
24.3 I calori specifici dei gas . . . . . . . . 264 30.5 Il campo nei conduttori . . . . . . . . 324
24.4 L’equazione dell’adiabatica . . . . . . 267 30.6 Intrappolare il campo . . . . . . . . . 325
30.7 Il campo della forza peso . . . . . . . 326
25 L’entropia 269 30.8 La materia oscura . . . . . . . . . . . 331
25.1 Macchine termiche . . . . . . . . . . 269 30.9 Il flusso del campo magnetico . . . . 333
25.2 La Macchina di Carnot . . . . . . . . 271
25.3 Entropia . . . . . . . . . . . . . . . . 274 31 Energia e potenziale 335
25.4 Il secondo principio della termodina- 31.1 Il lavoro di una forza centrale . . . . 335
mica . . . . . . . . . . . . . . . . . . 274 31.1.1 L’energia potenziale gravita-
25.4.1 Passaggi di calore a volume zionale . . . . . . . . . . . . . 338
costante . . . . . . . . . . . . 276
25.5 L’espansione irreversibile di un gas . 277 32 Il potenziale dei campi 343
25.6 Interpretazione microscopica dell’en- 32.1 Rappresentazioni del campo: le su-
tropia . . . . . . . . . . . . . . . . . 280 perfici equipotenziali . . . . . . . . . 344
25.7 La media e la varianza di una 32.2 La misura dei potenziali . . . . . . . 347
distribuzione . . . . . . . . . . . . . . 284
33 La corrente elettrica 349
26 Forze elettriche 289 33.1 Un contenitore d’energia elettrica . . 349
26.1 Esperimenti elettrizzanti . . . . . . . 289
33.2 Svuotiamo il condensatore . . . . . . 352
26.2 La misura della forza elettrica . . . . 290
33.3 Vedere l’energia . . . . . . . . . . . . 355
26.3 Conduttori e isolanti . . . . . . . . . 291
33.4 Condensatori combinati . . . . . . . 355
26.4 L’induzione . . . . . . . . . . . . . . 293
26.5 Polarizzazione . . . . . . . . . . . . . 294 33.5 Le pile . . . . . . . . . . . . . . . . . 357
26.6 Il processo di elettrizzazione . . . . . 295 33.6 La Legge di Ohm . . . . . . . . . . . 359
26.7 Schermo elettrostatico . . . . . . . . 296
34 Circuiti in Corrente Continua 363
26.8 Altri fenomeni rilevanti . . . . . . . . 296
34.1 Combinazioni di resistori . . . . . . . 364
27 Il magnetismo 299 34.2 Generatori reali . . . . . . . . . . . . 365
27.1 Un po’ di esperimenti . . . . . . . . . 299 34.3 Le Leggi di Kirchhoff . . . . . . . . . 367
27.2 I magneti da frigo . . . . . . . . . . . 300 34.4 Il circuito RC . . . . . . . . . . . . . 370
INDICE viii

35 Elettromagnetismo 375 44 La Relatività Generale 457


35.1 Correnti e forze magnetiche . . . . . 375 44.1 La misura nei vari sistemi di riferi-
35.2 Il campo magnetico di una spira . . . 378 mento . . . . . . . . . . . . . . . . . 457
35.3 Il campo magnetico di molte spire . . 379 44.2 Il principio di equivalenza . . . . . . 458
35.4 Il giogo di un magnete . . . . . . . . 381 44.3 la geometria dell’Universo . . . . . . 460
44.4 Effetti gravitazionali sul tempo . . . 462
36 Applicazioni dell’elettromagnetismo 383
36.1 I motori . . . . . . . . . . . . . . . . 383 45 Onde Gravitazionali 465
36.2 La misura delle correnti . . . . . . . 386 45.1 La generazione di onde gravitazionali 465
45.2 La misura di un’onda gravitazionale . 469
37 La Forza di Lorentz 389
37.1 L’effetto Hall . . . . . . . . . . . . . 390 46 La Meccanica Quantistica 471
46.1 Il corpo nero . . . . . . . . . . . . . . 471
38 Il teorema di Ampère 393 46.2 L’effetto fotoelettrico . . . . . . . . . 473
38.1 Il campo magnetico di un solenoide . 396 46.3 L’effetto Compton . . . . . . . . . . 475
38.2 La corrente di spostamento . . . . . . 397 46.4 La misura e il Principio d’indetermi-
nazione . . . . . . . . . . . . . . . . . 476
39 Produrre elettricità 401 46.5 Onde di materia . . . . . . . . . . . . 478
39.1 Produrre elettricità . . . . . . . . . . 402 46.6 Gli atomi . . . . . . . . . . . . . . . 478
39.2 L’energia magnetica . . . . . . . . . . 407 46.6.1 Gli spettri atomici . . . . . . 479
39.3 Energia elettromagnetica . . . . . . . 413 46.7 Quantizzazione del momento angolare 480
46.8 Lo spin degli elettroni . . . . . . . . 481
40 Equazioni di Maxwell 415 46.9 Il Principio di Pauli . . . . . . . . . . 483
40.1 Onde elettromagnetiche . . . . . . . 416 46.9.1 La chimica . . . . . . . . . . . 484
40.2 Antenne . . . . . . . . . . . . . . . . 421 46.9.2 Semiconduttori . . . . . . . . 487
40.3 La natura della luce . . . . . . . . . . 422 46.9.3 Il diodo . . . . . . . . . . . . 488
46.9.4 Il transistor . . . . . . . . . . 489
41 Gira che ti rigira... 427 46.10L’equazione di Schrödinger . . . . . . 490
41.1 Un esercizio . . . . . . . . . . . . . . 427
41.2 Il prodotto vettoriale . . . . . . . . . 429 47 Una storia esemplare 495
41.3 La seconda Legge della dinamica . . 431 47.1 La scarica degli elettroscopi . . . . . 495
41.4 La fisica dei momenti . . . . . . . . . 431 47.2 La scoperta dei raggi cosmici . . . . . 497
41.5 Pianeti e stelle . . . . . . . . . . . . 433 47.3 Caratteristiche dei raggi cosmici . . . 497

42 La teoria della Relatività Ristretta 437 48 Chi l’ha ordinato? 501


42.1 Le trasformazioni di Lorentz . . . . . 437 48.1 Particelle penetranti . . . . . . . . . 501
42.2 La dilatazione del tempo . . . . . . . 439 48.2 L’ipotesi del neutrino . . . . . . . . . 502
42.3 Contrazione della lunghezza . . . . . 441 48.3 L’antimateria . . . . . . . . . . . . . 504
42.4 Composizione delle velocità . . . . . 442 48.4 La scoperta del muone . . . . . . . . 505
42.5 I quadrivettori . . . . . . . . . . . . . 443 48.5 La scoperta del pione . . . . . . . . . 505
42.6 Il quadrivettore energia–impulso . . . 444 48.6 La lambda e i mesoni K . . . . . . . 506

43 Muoversi tra sistemi 451 49 I nuovi numeri quantici 509


43.1 Una tecnica alternativa . . . . . . . . 452 49.1 I leptoni . . . . . . . . . . . . . . . . 509
43.2 Acceleratori e collider . . . . . . . . . 455 49.2 I barioni . . . . . . . . . . . . . . . . 509
INDICE ix

49.3 I mesoni . . . . . . . . . . . . . . . . 510 56 Campi e Particelle 541


49.4 Gli adroni . . . . . . . . . . . . . . . 510 56.1 Le forze fondamentali . . . . . . . . . 541
49.5 Classificazione in base allo spin . . . 511 56.2 Una rivisitazione del concetto di
energia . . . . . . . . . . . . . . . . . 542
50 Imitare la Natura 513 56.3 L’energia delle interazioni tra parti-
50.1 Gli acceleratori di particelle . . . . . 513 celle . . . . . . . . . . . . . . . . . . 544
56.4 Altri processi . . . . . . . . . . . . . 548
51 Studiare le particelle 515 56.5 L’antimateria . . . . . . . . . . . . . 549
51.1 Sezione d’urto . . . . . . . . . . . . . 515 56.6 La produzione delle particelle strane 549
51.2 Vita media . . . . . . . . . . . . . . . 516 56.7 L’interazione debole . . . . . . . . . . 549

52 Le risonanze 521 57 Il bosone di Higgs 551


52.1 Urti tra particelle . . . . . . . . . . . 521 57.1 Richiami sul concetto di energia . . . 551
52.2 La massa invariante . . . . . . . . . . 523 57.2 Campi autointeragenti . . . . . . . . 553
57.3 Sul significato dell’energia . . . . . . 553
53 Le particelle strane 527 57.4 L’introduzione della relatività . . . . 554
53.1 I decadimenti della Λ . . . . . . . . . 527 57.5 Il Meccanismo di Higgs . . . . . . . . 554
53.2 Produzione associata . . . . . . . . . 528 57.6 Sulla forma del potenziale di Higgs . 555
57.7 Campi massivi . . . . . . . . . . . . . 557
54 Il Modello a Quark 531 57.8 La massa dei bosoni vettori . . . . . 558
54.1 Tre nuove Tavole Periodiche . . . . . 531
54.2 L’ipotesi dei quark . . . . . . . . . . 533 Appendice 561
54.3 L’ottetto di mesoni . . . . . . . . . . 534 Approssimazione di funzioni . . . . . 561
54.4 L’ottetto di barioni . . . . . . . . . . 534 Equazioni differenziali a variabili
54.5 Quark colorati . . . . . . . . . . . . . 535 separabili . . . . . . . . . . . . . . . 563
Unità naturali . . . . . . . . . . . . . 567
55 Il Modello Standard 539
55.1 I costituenti della materia . . . . . . 539 Soluzione degli esercizi 569
Prefazione

Tra le parti di un libro la prefazione è sempre la il prezzo) godono di un diritto economico non pro-
meno letta. In questo caso è molto utile leggerla, sia porzionato al lavoro svolto. Questo è tanto piú vero
per capire lo spirito con il quale è stato organizzato per i libri scolastici, per i quali il rischio d’impresa
il materiale all’interno del volume, sia per compren- è assai basso, giacché l’editore conosce in anticipo
dere le motivazioni alla base della scelta di redigere l’ordine di grandezza del volume di vendite. In so-
un testo cosí. stanza, pagando un libro di testo non si remunera
Il testo nasce dall’esperienza delle lezioni per gli il lavoro dell’autore, ma la posizione di vantaggio
studenti dei licei sulla fisica delle particelle, da me economico dell’editore e del distributore.
tenute nell’ambito dei programmi per l’orientamen- Questo stesso modello è adottato in moltissime
to e del Piano Lauree Scientifiche. Molti insegnanti, attività economiche, dove ciò che determina il costo
al termine delle mie lezioni, mi hanno chiesto mate- di una prestazione spesso non sono la quantità e la
riale da utilizzare per riproporre in classe alcuni de- qualità del lavoro svolto, ma il possesso o meno di
gli argomenti trattati, lamentando l’indisponibilità un presunto diritto a limitare la libertà dei clienti.
di testi adeguati. Per questo ho pensato di comincia- Noi crediamo, al contrario, che un altro model-
re a scrivere queste note, con l’intento di ampliarle lo economico sia possibile nel quale quel che deve
il piú possibile nel corso del tempo, includendovi essere remunerato è il lavoro i cui frutti, una volta
anche materiale piú tradizionale. remunerati, possano andare a beneficio dell’intera
comunità. Che un tale modello sia concretamente
Un’altra economia è possibile attuabile è ampiamente dimostrato dal successo del
software Open Source, che si può copiare, modifi-
Questo lavoro è una sfida al sistema economico cor- care, distribuire gratuitamente senza dover pagare
rente. La sfida si basa sul paradigma Open Source, royalties a nessuno. Le aziende che producono que-
da cui derivano le licenze Creative Commons. sto tipo di software, che dunque pagano gli stipendi
Nell’attuale sistema economico il lavoro per la la dei programmatori e dei progettisti, funzionano e
redazione di un libro, di gran lunga quello piú fatico- sono spesso piú floride di quelle che vendono soft-
so e ricco di contenuto, è remunerato molto meno del ware tradizionale. Il business si basa sull’offerta del
lavoro necessario per la sua composizione, stampa, servizio, non sul possesso di un diritto a limitare la
distribuzione e vendita. L’autore di un libro percepi- libertà altrui.
sce, mediamente, non piú del 10–15 % del prezzo di Siamo ormai cosí assuefatti al sistema che non ci
copertina (a meno che non si tratti di un best–seller, rendiamo conto delle sue assurdità e siamo pronti a
naturalmente). Altrettanto percepisce il libraio, che giustificarle con argomenti solo apparentemente ra-
fornisce il servizio di vendita. La maggior parte del gionevoli. È il caso dei brevetti, ad esempio. Non è
prezzo di copertina va in compensi per l’editore e il vero, come vuol farsi credere, che i brevetti aiutino
distributore. lo sviluppo economico. È vero il contrario. Quando
Grazie soltanto alla posizione di vantaggio, de- ci viene detto che l’industria farmaceutica, ad esem-
terminata dal posizionamento sul mercato e dalla pio, ha bisogno dei brevetti per coprire gl’ingenti co-
rete di vendita, gli editori (che sono quelli che fanno sti della ricerca, si tratta palesemente di una bufala.
I costi della ricerca, infatti, sono coperti dagli Stati editrici, che possono (devono) basare il loro business
e dai cittadini attraverso l’acquisto dei medicinali. sull’efficacia della distribuzione, sul valore aggiunto,
Il costo della ricerca è alto perché ciascuna industria sulla capacità di offrire servizi diversi. La nascita di
deve svolgere, segretamente, le stesse attività delle Wikipedia non impedisce agli editori di vendere
altre, con una moltiplicazione degli sforzi enorme e enciclopedie e dizionari. Ne modifica, evidentemen-
un costo esorbitante. Mettendo in comune i risul- te, il profilo. Chi usa le informazioni reperite online
tati, ogni azienda potrebbe risparmiare miliardi di per acquisire un’informazione non produce un dan-
euro e i farmaci potrebbero costare molto meno. Se no all’editore piú di quanto non faccia una signora
fossero gli Stati a coprire questi costi, e i risultati che acquisti da una bancarella una borsa firmata
fossero pubblici, il prezzo dei farmaci scenderebbe da un grande stilista nei confronti di quest’ultimo.
in maniera consistente e alla fine ci sarebbe un ri- La signora non avrebbe comunque mai acquistato
sparmio per tutti. Lo stesso vale per altri settori. È quella borsa al prezzo proposto dallo stilista.
del tutto evidente, ad esempio, che i brevetti non
servono alle industrie per acquisire una posizione di
vantaggio rispetto ai potenziali concorrenti. Se cosí Si potrebbero inventare decine di modelli eco-
fosse i prodotti innovativi dovrebbero essere appan- nomici alternativi basati su un paradigma aperto,
naggio di una sola azienda, ma non è cosí (pensate ma questo dovrebbe essere lavoro per economisti.
solo all’industria dei tablet: un’azienda ne ha lancia- Noi qui lanciamo la sfida. Rendiamo pubblico que-
to uno, coperto da brevetto, e tutte le altre l’hanno sto testo iniziale, chiedendo un supporto economi-
seguita a ruota, aggirando il brevetto o acquistan- co volontario a coloro che decideranno di adottar-
dolo). I brevetti hanno il solo scopo di creare un lo. Se riusciremo ad accumulare una cifra ritenuta
mercato delle idee innovative che, se ci si pensa be- ragionevole, quale compenso per questo lavoro, ne
ne, è un mercato del tutto irragionevole e contrario realizzeremo un altro (per altri gradi dell’istruzione
a ogni principio etico. scolastica o introducendo nuovi argomenti e nuove
Noi pensiamo che l’autore di un libro di testo va- tecnologie). Se avremo successo e i proventi saranno
da remunerato per il suo lavoro e non per l’aver sufficienti, potremo remunerare il lavoro di altri pro-
acquisito una certa posizione di mercato. Una vol- fessionisti per la realizzazione di filmati, animazioni
ta redatto il libro e una volta che il compenso per e altri supporti multimediali, che in questo caso sono
l’autore sia stato equo, il libro deve poter essere di- stati tutti realizzati dall’autore, in prima persona,
stribuito quasi gratuitamente: si dovrebbero pagare con evidente dispendio di energie.
solo i costi effettivi della sua distribuzione e il giusto
compenso per coloro che la rendono possibile. Non
c’è ragione per cui un libro stampato da anni, che Se condividi questa visione del mondo e ti sem-
abbia già venduto migliaia di copie, non possa esse- bra che il contenuto del libro sia adatto alle tue
re fotocopiato o reso pubblico. Sia ben chiaro che il esigenze (e quest’ultimo è il requisito piú importan-
modello che proponiamo non chiede di rinunciare al- te), diffondilo e invita a supportarlo. Ti invitiamo
la proprietà intellettuale: il diritto d’autore resta anche a inviarci commenti, segnalazioni su possibili
di esclusiva proprietà dello stesso ed è inalienabile. errori, suggerimenti, sia sul contenuto, sia sul modo
È il diritto esclusivo di sfruttamento econo- di presentarli, sia sul modello distributivo. Natural-
mico delle opere che, nella legislazione corrente, è mente non garantiamo l’accoglimento di tutti i sug-
cedibile ad altri e che noi riteniamo sia quanto meno gerimenti che potranno pervenire, perché di nuovo
da modificare. Per questo la licenza d’uso di questo questo fa parte della libertà di ciascuno di realiz-
libro impone che si citi sempre l’autore ogni volta zare le proprie opere come crede. Il che, però, non
che se ne fa un uso pubblico. impedisce agli altri, una volta venuti in possesso di
Questo modello non impedisce l’esistenza di case tali opere, di fare altrettanto.
Il titolo lizzazione del testo. Il supporto elettronico consente
di fruire di contenuti multimediali e delle potenzia-
Il titolo di questo volume non è stato scelto a ca- lità dell’ipertesto. Si potrebbe fare molto di piú, in
so. L’Italiano è una lingua che si presta a diver- effetti. La tecnologia è matura. Ma, spesso a cau-
se, interessanti, e talvolta divertenti, interpretazioni sa di scelte determinate dal modello economico di
del significato delle parole. In particolare l’aggetti- cui parliamo sopra, molti produttori di software non
vo sperimentale utilizzato nel titolo ha in questo consentono di usare in maniera semplice le innova-
testo significati diversi, tutti contemporaneamente zioni disponibili. Naturalmente il problema si po-
validi. trebbe superare realizzando ad hoc anche i lettori
È sperimentale, come abbiamo detto sopra, il mo- per il supporto, ma questo avrebbe un costo ecces-
do in cui il testo è realizzato e distribuito. Si tratta, sivo per noi (almeno in questa fase) e in ogni caso li-
cioè, della sperimentazione, della ricerca di un nuovo miterebbe la platea di potenziali fruitori dell’opera.
modello economico. Possiamo solo sperare che il sistema avrà successo e
L’aggettivo sperimentale si riferisce anche al ta- ci consentirà, in futuro, di aumentare sempre di piú
glio dato all’introduzione dei concetti della fisica. l’offerta.
Molti testi di fisica appaiono piú come libri di ma-
tematica, nei quali si danno certe definizioni allo
studente e se ne traggono le conseguenze. Le defini- Tecnologia
zioni, in molti casi, piovono dall’alto, senza una spie-
Per realizzare questo prodotto sono stati usati per
gazione plausibile sul perché sia il caso di introdurle
lo piú strumenti Open Source o con licenza Creative
o su quale sia la loro ragion d’essere. In questo te-
Commons.
sto la fisica viene introdotta attraverso l’esperimen-
Il testo è stato redatto con LATEX1 : un programma
to. Ogni argomento viene analizzato a partire dalle
per la composizione di testi estremamente potente
osservazioni sperimentali, che determinano le gran-
e liberamente scaricabile dalla rete, basato sul suo
dezze fisiche d’interesse, portando naturalmente alla
predecessore TEX sviluppato da Donald Knuth, Pro-
formulazione delle leggi fisiche.
fessore di Computer Science a Stanford e autore di
È sperimentale, nel senso di innovativo, il mo-
una monumentale opera sulla programmazione dei
do in cui le leggi fisiche sono illustrate, attraverso
computer [?].
la scelta di proporre gli argomenti in una sequen-
I filmati sono stati editati con MPEG Streamclip
za diversa da quella classica. Crediamo che la se-
e iMovie. Per creare o manipolare alcune figure è
quenza qui proposta sia piú naturale e rispondente
stato usato Gimp.
all’esigenza di comprensione profonda della fisica.
Le musiche sono state scaricate da jamendo:
Non importa che storicamente il percorso per arri-
un sito che raccoglie musica con licenza Creative
vare a certe convinzioni sia stato diverso. Del re-
Commons.
sto non c’è alcuna ragione per cui un libro di fisica
Le animazioni sono state realizzate con Anima-
debba somigliare a un libro di storia. La sequenza
tion Desk per iPad. Su alcuni sistemi animazio-
degli argomenti qui proposta, inoltre, è stata scel-
ni e filmati non partono facendo click sul pulsante
ta in modo da non richiedere, all’inizio del corso,
Start, ma facendo click sull’immagine di preview.
competenze matematiche avanzate. La matematica
L’immagine di copertina è di Alegri
necessaria è sviluppata nei diversi capitoli quando
(alegriphotos.com).
necessario (o utile). Resta il fatto che l’insegnante
Alcuni link come questo potrebbero non portare
è libero di proporre una sequenza diversa. I capi-
a nulla (né a una pagina web, né a un altro punto
toli sono scritti, per quanto possibile, in modo da
del testo). Questo perché il link è previsto portare il
consentire un’ampia libertà di scelta in questo senso.
Infine, è sperimentale il mezzo scelto per la rea- LT
1 A
EX si pronuncia latek
lettore a una sezione del testo in cui si parla dell’ar- Formare, non informare
gomento relativo che non è ancora stato prodotto.
Molti link porteranno a pagine di Wikipedia (in Il semplice trasferimento di conoscenza non ha mol-
inglese). Abbiamo scelto di usare questo strumento to senso. Conoscere le leggi della fisica è utile, ma
quale riferimento a informazioni non strettamente non indispensabile nella vita di una persona, tan-
pertinenti l’argomento del testo, nonostante le criti- to meno se questa conoscenza si limita alla mera
che che vengono da piú parti sull’attendibilità delle capacità di scrivere le formule corrispondenti senza
informazioni che vi si trovano. L’opinione dell’auto- capirle.
re è che questo strumento, come tutti, evolverà col Capire le leggi della fisica e il processo che ha
tempo diventando sempre piú attendibile. Riguardo condotto alla loro formulazione, al contrario, è di
le critiche relative al fatto che le informazioni pre- fondamentale importanza per la formazione com-
senti sul sito sono copiate da altre fonti senza verifi- plessiva degli studenti. Ecco perché questo testo po-
ca, va detto che lo stesso è accaduto e accade tuttora ne l’accento piú sul come si arrivi a formulare le
con i libri e che solo in rari casi gli autori dei libri leggi fisiche piuttosto che su queste ultime. In parti-
verificano le informazioni sulle fonti originali (noi, colare, le leggi fisiche davvero fondamentali sono po-
naturalmente, l’abbiamo fatto ove possibile). che ed è su queste che si concentra tutta la struttura
del volume. Le leggi derivate da quelle fondamentali
La non apertura dei sistemi operativi e delle ap-
sono trattate come esercizi e non come parte inte-
plicazioni continua purtroppo a provocare inconve-
grante del testo. Questo non vuol dire che si possano
nienti piuttosto deplorevoli. Uno di questi consiste
ignorare, ma che non si devono necessariamente ri-
nel fatto che la versione elettronica di questo testo
cordare. Laddove esistano relazioni particolari che
si può usare senza alcun problema su un compu-
vale la pena siano ricordate a memoria per la fre-
ter, mentre sui tablet esistono limitazioni (incom-
quenza con la quale si usano o per l’importanza che
prensibili). Ad esempio, lo stesso Acrobat Reader
rivestono nel loro ambito, queste sono evidenziate
su iPad non supporta la visione dei filmati embed-
in rosso, anche negli esercizi.
ded. Lo stesso accade con iBooks. Secondo la nostra
La matematica presente in ogni parte del volu-
esperienza i filmati sono invece perfettamente visi-
me (a parte gli esercizi) è ridotta al minimo indi-
bili se si carica il PDF su Dropbox e si visualizza
spensabile e non si assume la conoscenza di concetti
usando il browser interno dell’applicazione per ta-
avanzati, in modo tale che il testo possa essere usa-
blet (tuttavia in questo caso non si può avere il testo
to da scuole diverse (Licei scientifici, classici, scuole
in modalità full screen), oppure usando ezPDF Rea-
professionali).
der2 . Confidiamo che il mercato spinga nella direzio-
ne giusta e che sia possibile usare un’applicazione in
modo uniforme su ogni piattaforma.
Come usare questo testo
Esperimenti e misure sono stati condotti grazie
all’aiuto di Lorenzo e Giulia Organtini, che non so- Il formato migliore per questo testo è quello elet-
lo hanno fornito supporto tecnico, ma hanno spesso tronico (è per questo che è nato). La versione por-
messo a disposizione i loro giocattoli, per dimostra- trait può essere piú comoda per i laptop e per alcuni
re che si possono fare misure di fisica interessan- tablet. Puoi comunque stampare il testo (anche se
ti anche senza avere a disposizione un laboratorio in questo caso perderai la funzionalità dei filmati,
professionalmente attrezzato. che tuttavia trovi sempre sul canale YouTube del-
l’autore). La versione portrait è piú adatta per la
stampa. Puoi fare la stampa da te o rivolgerti a un
servizio specializzato (una copisteria, una tipografia
2
A pagamento, ma dal prezzo accessibile. o su Internet).
Se pensi di usare questo testo a scuola in formato debba insegnare sopra tutto il metodo e non tanto
cartaceo, puoi scaricarne una copia che puoi fornire i contenuti, pure indispensabili. È importante ca-
a un tipografo di zona perché ne stampi un numero pire il significato delle equazioni e il modo in cui
sufficiente di copie. Gli alunni possono quindi ac- si ricavano. Non è quindi il numero di pagine che
quistare le copie versando solamente il corrispettivo suggerisce di limitare gli argomenti, ma il fatto che
relativo al costo vivo della stampa, che in questo oggettivamente alcuni sono molto (troppo) difficili
caso probabilmente è inferiore alla spesa necessaria per molti studenti. Lasciarli però consente agli in-
per stampare il testo in proprio. La licenza con cui è segnanti di preparare gli argomenti da trattare in
distribuito questo testo consente a chiunque (anche maniera piú consapevole e completa, e agli studen-
a un istituto scolastico) di stampare le copie neces- ti piú bravi di approfondire da soli argomenti che
sarie e di fornirle agli studenti a un prezzo superiore altrimenti sarebbero rimasti troppo vaghi.
a quello corrispondente al costo dell’operazione. In
questo modo la Scuola può percepire un contribu-
In alcuni capitoli la matematica può essere pe-
to extra utile in questo periodo di tagli. Va da sé
sante o inadeguata rispetto alla preparazione dello
che se il ricavo è eccessivo, gli studenti preferiranno
studente al momento in cui l’argomento è propo-
procurarsi il materiale da soli: il modello di distri-
sto: questo non è un problema. In tutti i casi l’ar-
buzione che abbiamo scelto consente a piú persone
gomento si può discutere senza entrare troppo nei
di creare valore, ma senza eccessi. Qualunque abu-
dettagli formali e se ne può proporre una lettura
so sarebbe automaticamente eliminato dal mercato
piú qualitativa, aiutandosi con figure, esperimenti e
dalla disponibilità gratuita del bene.
simulazioni (ad esempio, nei capitoli riguardanti le
Ovviamente sei sempre invitato a versare un con-
onde è richiesta la conoscenza della trigonometria,
tributo per l’autore. In questo modo avrai la garan-
ma gli stessi argomenti si possono affrontare impie-
zia che il prodotto sarà sempre mantenuto al meglio
gando unicamente le simulazioni proposte e facendo
e continuamente migliorato. Potrai anche sostenere
qualche esperimento).
il modello di sviluppo scelto, dimostrando che un
mercato equo e sostenibile è possibile, nel quale è
il lavoro o un servizio a essere retribuito e non una I capitoli possono contenere indicazioni sui prere-
rendita di posizione o da capitale. Nel caso in cui quisiti. In generale tenderemo a ridurre al minimo
il testo sia adottato a scuola, il metodo migliore i prerequisiti in modo che l’insegnante possa segui-
per versare il contributo consiste nel raccogliere il re un suo proprio percorso, senza essere costretto a
denaro che avete deciso di versare e fare un unico seguire un ordine preciso. In questo testo per prere-
versamento. Non è necessario che il contributo sia quisiti si intende la conoscenza di argomenti neces-
lo stesso per tutti gli studenti. Poiché il versamento saria per comprendere il formalismo impiegato. La
è libero (si tratta di una donazione) puoi prevedere descrizione qualitativa di certi fenomeni non richie-
la possibilità che alcuni studenti (quelli le cui fa- de conoscenze pregresse, perché si può sempre dare
miglie hanno problemi di carattere economico) non per nota. Ad esempio, nel caso del paragrafo sul cor-
paghino per l’uso di questa risorsa. po nero, il fatto che le particelle cariche accelerate
irraggiano onde elettromagnetiche non è considera-
to un prerequisito, anche se il fenomeno viene cita-
Per l’insegnante
to. Se il fenomeno non è stato trattato, si può for-
Il testo contiene molto piú materiale rispetto a quel- nire questa informazione agli studenti che possono
lo che si può normalmente pensare d’insegnare alla acquisirla come vera anche se non la comprendono
maggior parte degli studenti. La lunghezza del te- a fondo. In questo caso basta fidarsi dell’insegnan-
sto non deve spaventare: abbiamo scelto di spende- te, rimandando la comprensione del fenomeno a un
re molte parole perché crediamo che della fisica si secondo momento.
INDICE 6

Piano dell’opera
L’autore s’impegna, a fronte di un numero sufficien-
te di donazioni, ad ampliare i contenuti al maggior
numero possibile di campi della fisica (inclusa la fi-
sica classica che sarà trattata sempre con un ap-
proccio di tipo sperimentale). La sequenza con la
quale nuovi moduli saranno resi disponibili non sa-
rà necessariamente coerente con quella nella qua-
le gli argomenti vengono usualmente presentati, né
con quella che l’autore ritiene la migliore sequen-
za possibile. La sequenza sarà dettata per lo piú
dalle richieste di studenti e insegnanti che avranno
apprezzato i moduli precedenti.

© (2013–2015) Giovanni Organtini – Fisica Sperimentale


Alla scoperta dell’Universo

Capire come funziona l’Universo è il compito pri- do, è lo stesso per cui si studiano Dante e Petrarca,
mario di un fisico. Chi non intraprende questa car- Verdi e Beethoven, Raffaello e Picasso.
riera può senz’altro nutrire legittima curiosità circa Anche nel caso della scienza accade che, sebbene
questo argomento, ed è per questa ragione che stu- l’obiettivo primario sia quello di capire il funziona-
dierà un po’ di fisica. La curiosità, in fondo, è sempre mento dell’Universo, talvolta l’acquisizione di que-
stata il propulsore della scienza, in ogni suo aspetto. ste conoscenze porti alla realizzazione di qualcosa di
La ricerca scientifica, in effetti, si fa solo per que- utile. Abbiamo il frigorifero nelle nostre case perché
sta ragione, non certo perché gli scienziati pensano qualcuno ha studiato, in passato, la natura del calo-
di poter offrire ai loro concittadini qualche nuovo re; i telefoni cellulari grazie all’elettromagnetismo e
prodotto tecnologico inteso a migliorare la loro vita i navigatori GPS devono la loro capacità di guidarci
o semplicemente a renderla piú divertente! Non si nel punto in cui siamo diretti alla relatività di Ein-
chiede mai a un musicista o a uno scrittore qual è stein; tutti i dispositivi elettronici funzionano gra-
l’utilità pratica della sua opera, ma chissà per quale zie alla meccanica quantistica e potremmo andare
motivo a chi fa ricerca scientifica si rivolge spesso avanti per molte pagine.
questa domanda. Chi fa questo mestiere lo fa con lo Anche chi non ha particolari curiosità dunque
stesso spirito con il quale un musicista compone o vorrà studiare un po’ di fisica, se non altro per capi-
uno scrittore scrive. La spinta a farlo non ha alcuna re un minimo il mondo che lo circonda e, in qualche
finalità pratica e nasce dall’esigenza di comunicare caso, fare qualche scelta in modo piú consapevole.
qualcosa agli altri. Quel che è piú importante per chi studia fisica
Non accade spesso, ma le opere di alcuni musici- (senza avere l’obiettivo di diventare un fisico) non
sti e scrittori possono produrre effetti molto concre- è, naturalmente, apprendere i contenuti di questa
ti: pensate soltanto al giro d’affari conseguente alla disciplina, allo stesso modo di come lo studio del-
vendita dei dischi e all’organizzazione di concerti, la Divina Commedia non comporta per ciascuno la
che non apporta benefici economici solo al compo- conoscenza dettagliata (magari a memoria) del con-
sitore, ma anche al produttore, agli operatori del- tenuto di tutti i Canti dell’opera. Prima di conosce-
l’industria discografica, venditori, informatici, tra- re nel dettaglio tutta l’Opera bisogna conoscerne
sportatori, operai e decine di altre categorie (e poi sommariamente i contenuti e la genesi, non trascu-
c’era qualcuno che diceva che con la cultura non rando qualche particolare sull’Autore. Conoscere le
si mangia!). Una volta giunti nelle case dei fruito- Leggi della gravitazione universale, i princípi dell’e-
ri i prodotti possono dar loro piacere, si possono lettromagnetismo, la termodinamica, la meccanica
impiegare per animare feste o riunioni, per sottoli- quantistica e la relatività ristretta e generale non è
neare momenti speciali, etc.. Se non ci fossero stati altrettanto importante quanto conoscere il meto-
i musicisti, gli scrittori, i pittori, gli scultori e tutti do. Il metodo della fisica è il metodo sperimen-
gli altri produttori di nulla, l’umanità non sarebbe tale, che consiste nel fare osservazioni e misure e,
certo al livello cui si trova oggi! da queste, ricavare modelli matematici che descriva-
Lo stesso vale per la fisica e tutte le altre scienze. no i fenomeni osservati, ma che siano anche capaci
Il motivo per il quale si deve studiare la fisica, in fon- di permettere al fisico di fare predizioni su quanto
INDICE 8

potrà osservare. È importante osservare che in que- una velocità di precessione identica a quella misu-
sto contesto una predizione non è necessariamente rata sperimentalmente ben prima che la teoria fosse
qualcosa che si deve poter fare in anticipo rispet- formulata.
to a un’osservazione. Una predizione è, in fisica, il
risultato di un esperimento che si può ottenere at-
traverso la teoria. L’esperimento può anche essere Teorie e fatti sperimentali
stato fatto in precedenza. Una teoria è un insieme
Nessuna tra le teorie della fisica può fare a meno
logicamente coerente di osservazioni sperimentali da
di fatti sperimentali. Questi sono indispensabili per
cui si può derivare un modello con caratteristiche
poterle formulare. Una teoria che ipotizzi l’esistenza
predittive: un modello che non prenda le mosse da
di qualche relazione tra grandezze fisiche in virtù di
un fatto sperimentale non si può definire una teoria.
pretese evidenze di tipo logico, non è una teoria che
Allo stesso modo un modello che non faccia previ-
un fisico può prendere in considerazione. Per esem-
sioni non si può definire una teoria. Infine, un mo-
pio, non si può sostenere che l’Universo deve essere
dello che non porti a predizioni differenti rispetto
il risultato della volontà di un Creatore, perché non
ad altri non è una teoria diversa dalla precedente:
esistono fatti sperimentali che supportino una tale
è solo un modo alternativo di formulare una stes-
affermazione. Né quest’affermazione si può configu-
sa teoria. Qualche esempio chiarirà il significato di
rare come una conseguenza di un fatto sperimenta-
quanto esposto.
le. Naturalmente, questo non vuol dire che sicura-
mente l’Universo non è stato fatto da un Creatore:
Predizioni vuole soltanto dire che non è la fisica a occuparsi
di questo problema. Un fisico può credere o meno
La capacità di una teoria di fare una predizione non all’esistenza di un Creatore, senza che questo turbi
si misura dalla sua capacità di prevedere cosa suc- qualcuno.
cederà in un futuro piú o meno lontano a un certo Sebbene la questione sia molto controversa, se-
sistema. È ben noto, ad esempio, che non si possono condo il parere dell’autore, l’omeopatia non si può
prevedere i terremoti, ma la teoria della tettonica a considerare una disciplina scientifica perché prende
zolle permette di predire i luoghi in cui questi av- le mosse da un assunto, un principio, formulato da
verranno con maggiore frequenza, avendo elabora- un medico del XVIII secolo3 senza alcuna base speri-
to un modello nel quale le placche della superficie mentale, ma solo come un’ipotesi possibile. L’ipotesi
terrestre sono in continuo movimento e per questa che per curare le malattie si possano usare sostan-
ragione possono andare incontro a fenomeni parti- ze che nelle persone sane inducono sintomi simili a
colarmente violenti dovuti alle tensioni accumulate quelli osservati nelle persone malate forse può essere
nelle fasi di scontro. considerata da qualcuno plausibile, ma di certo non
Quando Einstein formulò la sua teoria della Re- è qualcosa che si può osservare come un fatto spe-
latività Generale trovò che un pianeta come Mer- rimentale a partire dal quale si può enunciare una
curio avrebbe dovuto percorrere un’orbita il cui pe- teoria!
rielio ruotava attorno al Sole piú rapidamente di Viceversa, la teoria della relatività speciale, i cui
quanto non dovesse fare per effetto delle forze gra- risultati appaiono ai piú privi di senso (ma a pensar-
vitazionali. In effetti all’epoca si sapeva già da tem- ci bene vale esattamente il contrario: sono i risulta-
po che il perielio di Mercurio precedeva attorno al ti della meccanica classica a essere privi di senso in
Sole piú rapidamente di quanto predetto dalla teo- certe condizioni), è una teoria perché prende le mos-
ria della gravitazione di Newton, ma non era stata se da un fatto sperimentale tanto semplice quanto
trovata, fino ad allora, alcuna spiegazione convin- 3
Samuel Hahnemann, vissuto tra il 1755 e il 1843.
cente. La teoria di Einstein, al contrario, prevedeva

© (2013–2015) Giovanni Organtini – Fisica Sperimentale


INDICE 9

apparentemente privo di logica: la velocità della lu- che accade nell’Universo. A ben vedere non è que-
ce è la stessa qualunque sia lo stato di moto relativo sto quel che fa la maggior parte dei libri di testo
dell’osservatore! per le scuole superiori e nemmeno per l’Università.
L’approccio seguito in questo testo è completamen-
te differente da quello della maggior parte dei libri
Teorie e previsioni in circolazione (senza che questo implichi un giudi-
zio di merito: non è detto che l’approccio di questa
Una teoria che non faccia previsioni non è una teo-
pubblicazione sia il piú efficace; è solo un approccio
ria: è solo un’ipotesi sulla quale si può lavorare cer-
alternativo). Non pretende d’insegnare la Fisica per
cando di trovare il modo di estrarne delle previsioni,
temi, ma cerca di portare il lettore a capire come
ma fino a quando questo non è possibile non si può
siamo giunti alle nostre attuali conoscenze illustran-
parlare di teoria.
do un metodo sperimentale. Non lo fa attraver-
Uno dei risultati sperimentali della fisica moder-
so una narrazione storicamente attendibile dei fatti
na è che la materia è composta di un numero relati-
che hanno portato all’attuale formulazione della Fi-
vamente grande di particelle elementari: sei leptoni
sica, ma in un certo senso raccontando un percorso
(tra cui l’elettrone), diciotto quark e tutte le cor-
immaginario che avrebbe potuto portare agli stes-
rispondenti antiparticelle. Una struttura cosí com-
si risultati, come fosse un romanzo che attraverso
plessa fa indubbiamente pensare alla possibilità che
la finzione pretende d’illustrare la realtà. Anche per
queste 48 particelle non siano affatto elementari, ma
questo il volume reca il titolo Fisica Sperimenta-
che siano a loro volta composte di altre particelle.
le: perché la sequenza scelta per introdurre i diversi
In assenza di previsioni su cosa si dovrebbe osserva-
temi è inusuale e funzionale a questa narrazione.
re in un esperimento che tenti di confermare o me-
Non si tratta di una semplificazione: tutt’altro!
no quest’ipotesi, l’ipotesi stessa non si può definire
L’operazione è complessa e richiede un certo sfor-
teoria.
zo per poter essere compresa. È piú facile affidarsi
all’autorità di qualcuno e credere che quel che dice
Teorie alternative è vero. Con questo libro vogliamo convincervi che
l’attuale visione del mondo che hanno i fisici non
Due teorie che facciano entrambe le stesse previsioni è il risultato dell’adesione a un modello confeziona-
non sono due teorie: sono la stessa teoria formulata to da un’Autorità cui tutti dobbiamo obbedienza,
in modo diverso. I risultati della meccanica quan- ma una logica conseguenza dei fatti sperimentali. Il
tistica, per esempio, si possono ottenere sia con la bello della scienza è che non esiste alcuna Autorità:
meccanica ondulatoria che con quella delle matrici: Albert Einstein non credeva alla Meccanica Quan-
due formalismi matematici molto diversi, che han- tistica, né al fatto che l’Universo sia in espansione,
no in comune gli stessi dati sperimentali e fanno le ma per quanto ne sappiamo oggi aveva torto. Sarà
stesse previsioni. Non si può dire quale sia la teoria anche stato uno degli scienziati piú influenti e pro-
corretta: lo sono entrambe nel limite in cui riescono fondi del secolo scorso, ma questo non gli dava e
a fare predizioni verificabili sperimentalmente. non gli dà il diritto di decidere cosa sia giusto e co-
sa no: questa decisione dipende esclusivamente dai
fatti sperimentali. Il percorso dunque non è faci-
Capire la Fisica le e, per dar modo a tutti di poter apprezzare fino
in fondo tutte le conseguenze di ciascuna scoperta,
Capire la Fisica significa capire quali osservazioni e il volume è corredato di dettagliate analisi dei fe-
quali ragionamenti hanno portato alla formulazione nomeni, anche di tipo formale e matematico. Per
dei modelli che usiamo oggi per comprendere quel capire la fisica non è però necessario affrontare tutti
gli aspetti di ogni tema, né tantomeno approfondirli

© (2013–2015) Giovanni Organtini – Fisica Sperimentale


INDICE 10

fino al grado di dettaglio proposto (che comunque


è ridotto). Se sei uno studente, l’insegnante potrà
guidarti nella selezione degli argomenti che riterrà
piú opportuna. Se sei un insegnante potrai trova-
re qualche spunto per presentare in modo diverso
certi temi. Anche la sequenza degli argomenti si po-
trà modificare secondo le esigenze. La struttura dei
capitoli è pensata per essere alterata quasi a piaci-
mento: ogni capitolo è scritto in modo tale che sia
il piú possibile indipendente dagli altri. Anche se in
certi casi si richiamano argomenti trattati in altri
capitoli, in ciascuno di essi ci si può affidare, in que-
sti casi, all’Autorità e credere (temporaneamente)
a quanto affermato. Non bisogna mai dimenticare,
però, che tutto quel che è scritto in questo volume
deve essere sempre guardato con il massimo sospet-
to e non bisogna mai credere fino in fondo a quel
che è stato scritto finora su libri e articoli di qual-
siasi disciplina scientifica. Solo cosí si può avere la
speranza di contribuire in qualche modo al progres-
so scientifico. Se chi ci ha preceduto avesse creduto
fermamente nella correttezza degli argomenti avan-
zati dai propri maestri, oggi saremmo lontanissimi
dal sapere come funziona l’Universo.

© (2013–2015) Giovanni Organtini – Fisica Sperimentale


Unità Didattica 1
Scoprire la Fisica

Questo libro non vi condurrà a imparare le Leg- 1.2 La luce


gi della Fisica, ma a scoprirle, partendo dai fatti
sperimentali attraverso la formulazione di ipotesi ra- Se vogliamo capire cos’è il calore dobbiamo dun-
gionevoli che leghino questi fatti a un modello plau- que studiare le proprietà della luce e per questo af-
sibile della realtà che per un fisico non è nient’altro frontiamo lo studio dell’ottica iniziando dal’ottica
che ciò che si misura. Non ha molto senso chiedersi geometrica.
se esista una realtà diversa da quella da noi perce- Dall’analisi delle proprietà dei raggi luminosi si
pita (per lo meno non lo ha per un fisico; forse per può concludere che la luce potrebbe essere compo-
un filosofo un senso ce l’ha). sta di un flusso di particelle emesse continuamente
In questo capitolo vi forniamo un primo, mol- dalle sorgenti luminose. Questi corpuscoli, urtando
to sommario riassunto del percorso che intendia- certe superfici, possono rimbalzare e dar luogo al
mo proporvi per affrontare lo studio della fisica. Si fenomeno della riflessione, e possono cambiare dire-
tratta di un percorso indubbiamente originale, ma zione passando da un tipo di mezzo a un altro dando
che vi farà vedere i diversi aspetti della fisica come luogo cosí al fenomeno della rifrazione. D’altra par-
fortemente collegati, quali in effetti sono. te, se la luce è fatta di corpuscoli che viaggiano in
direzione dei raggi luminosi, si può spiegare un’altra
osservazione sperimentale: i corpi si scaldano anche
1.1 Il problema della misura se sono colpiti da altri corpi in movimento (pensate
a un chiodo la cui testa è picchiata con un martel-
Per iniziare a parlare di Fisica dobbiamo prima di lo: sia il martello che il chiodo si scaldano). È facile
tutto imparare a misurare qualche grandezza fi- pensare, cosí, che il calore prodotto dalla luce sia
sica. Tra le diverse misure che possiamo fare una è il risultato del picchiare dei corpuscoli di luce sui
particolarmente interessante perché non banale: la corpi illuminati.
temperatura. Lo studio delle variazioni di tempe-
ratura ci conduce a ipotizzare l’esistenza di qualcosa
che transita da un corpo all’altro cui diamo il nome 1.3 Le onde
di calore la cui natura tuttavia appare misteriosa.
Per capire cos’è il calore possiamo osservare che la A pensarci bene, però, c’è un’altra spiegazione pos-
temperatura di un corpo cambia anche se non viene sibile: la luce potrebbe essere semplicemente il ri-
posto in contatto con un altro corpo a temperatura sultato di una perturbazione che si propaga come
diversa: è sufficiente esporlo alla luce per riscaldarlo. un’onda in un mezzo. In effetti le onde subiscono
sia la riflessione che la rifrazione. Come si fa a de-
cidere? È semplice: si escogita un esperimento che
evidenzi la natura della luce cercando di trovare fe-
nomeni che diano risultati diversi nel caso in cui la
luce sia fatta di corpuscoli o di onde. Un tale espe-
1.5. LA TERMODINAMICA 12

rimento esiste e consiste nell’ostacolare il moto con forza è l’attrito, cosí come nel caso della punta del
uno schermo sul quale siano state praticate una o trapano che penetra nel muro. Si può anche scal-
piú fenditure: nel caso in cui ciò che si propaga al dare dell’acqua facendo muovere delle pale immerse
di qua dello schermo sia un flusso di corpuscoli, al in essa, azionate da qualche tipo di forza (la gravi-
di là di esso ci si aspetta di vedere gli stessi corpu- tà, che fa cadere gli oggetti o quella di un motore a
scoli attraversare le fenditure; nel caso delle onde, scoppio o elettrico). In ogni caso è evidente che la
invece, ci si aspetta di osservare il fenomeno della quantità di calore che si riesce a cedere agli ogget-
diffrazione, che consiste nella modifica della forma ti in questo modo dipende dall’intensità della forza
del fronte d’onda. applicata, ma anche dallo spostamento relativo tra i
Gli esperimenti suggeriscono inequivocabilmente due oggetti sfregati (se la carta vetrata non si muo-
che la luce sia fatta di onde, quindi il fatto che rie- ve rispetto al blocco non si produce alcun calore; il
scano a fornire calore ai corpi illuminati non è spie- calore prodotto è tanto maggiore quanto piú è lun-
gabile in termini di urti tra corpuscoli luminosi e go lo spostamento). Quest’osservazione c’indurrà a
corpi illuminati. definire una nuova grandezza fisica che rappresenti
D’altra parte che il calore sia legato al moto è evi- questa caratteristica: il lavoro.
dente: non solo un chiodo colpito da una martellata
si scalda; lo fa anche qualunque oggetto sottoposto
all’azione di qualche altro oggetto che si muove ri- 1.5 La termodinamica
spetto al primo. Per esempio, se si passa della carta
Si vedrà presto che lavoro e calore sono due aspetti
vetrata su un pezzo di metallo si scaldano entrambi,
diversi della stessa grandezza fisica: l’energia. Tra-
ma anche se ci si frega le mani l’una contro l’altra
sferire calore o fare del lavoro significa semplicemen-
o se si fa un buco sul muro usando un trapano.
te cambiare l’energia di un sistema, il che può av-
La scoperta che la luce è un’onda non altera so-
venire attraverso una modifica delle velocità delle
stanzialmente quest’ipotesi. Il propagarsi di un’on-
componenti del sistema (che determinano quella che
da implica il moto del mezzo nel quale l’onda si
si chiama energia cinetica) o per mezzo di una mo-
propaga: sul mare il propagarsi delle onde provoca
difica delle relazioni spaziali tra particelle tra loro
la variazione dell’altezza della superficie dell’acqua
interagenti o sottoposte all’azione di forze esterne
che va continuamente su e giù; nel caso della propa-
(energia potenziale). Il sistema piú semplice che
gazione di un’onda sonora quel che si muove è l’aria
possiamo pensare di analizzare è evidentemente un
presente tra la sorgente e chi ode il suono (togliendo
sistema in cui queste forze siano nulle, per cui le
questa non si ode piú alcun suono). Di fatto, anche
particelle che lo compongono sono libere di muo-
nel caso in cui assumessimo che la luce sia un’onda
versi nel volume nel quale sono contenute e questo
possiamo sempre pensare che gli effetti termici sia-
porta a considerare lo studio dei gas come il sistema
no in qualche maniera il risultato del moto che le
migliore per capire la natura del calore.
onde inducono sui corpi colpiti.
Dall’analisi delle proprietà di un gas si compren-
derà come la temperatura sia semplicemente una
1.4 Il moto, il lavoro e l’energia misura della velocità media delle particelle che com-
pongono i corpi (se un gas è fatto di particelle, de-
A questo punto non resta che studiare il moto e le vono esserlo anche i solidi e i liquidi, l’unica diffe-
sue cause, per capire cosa generi il calore. Lo studio renza essendo dovuta alle diverse forze con le quali
del moto ci condurrà alla scoperta del concetto di i componenti interagiscono tra loro).
forza. Per scaldare due oggetti in moto relativo è
necessario che si manifesti una forza tra essi. Nel ca-
so della carta vetrata sul blocco di metallo, questa

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1.9. CORPI RIGIDI 13

1.6 Campi di forze forza nuova che si manifesta tra fili percorsi da cor-
rente. Interpretando questo fenomeno alla luce della
Facendo gli esperimenti per il trasferimento di calo- nostra ipotesi sulla costituzione della materia po-
re attraverso lo strfinío potremmo aver notato che, tremo verificare che in effetti le particelle elettrica-
in certi casi, i corpi sottoposti a questo trattamento mente cariche in moto sono soggette a questa forza
manifestano la capacità di attrarre altri oggetti o che definiamo magnetica alla quale si può associa-
di attrarre o respingere oggetti della stessa natura re un campo. Sarà quindi opportuno studiare anche
anch’essi sfregati opportunamente contro un altro questo campo.
corpo. Le forze che si manifestano in questi casi non
prevedono alcun tipo di contatto tra gli oggetti, un
po’ come avviene per quelle responsabili della ca- 1.9 Corpi rigidi
duta dei corpi. Giungiamo cosí all’idea di campo e
dell’azione a distanza. I fili conduttori percorsi da corrente sono soggetti a
Dopo una panoramica sulle proprietà generali dei forze dovute alla presenza di campi magnetici e si
campi potremo cosí affrontare lo studio delle forze muovono in seguito al manifestarsi di queste forze.
che agiscono a distanza, come le forze gravitazio- Ma i fili non sono oggetti puntiformi: sono oggetti
nali e quelle elettriche. Lo studio delle forze che estesi peri i quali ogni loro parte è legata alle altre da
sperimentiamo quotidianamente responsabili della forze che fanno in modo che il filo mantenga la sua
caduta degli oggetti ci permetterà di capire la gra- forma. Il problema di comprendere il moto di que-
vità e il moto dei corpi celesti. Lo studio delle forze sti oggetti complicati appare altrettanto complicato,
di natura elettrica ci condurrà a ipotizzare che, se ma in realtà vedremo come sia possibile darne una
i corpi sono costituiti, come sembra, di corpusco- descrizione generale tutto sommato molto semplice.
li molto minuti, almeno una parte di essi deve es-
sere elettricamente carica. Attraverso lo studio dei
fenomeni elettrici capiremo che tutti i fenomeni os-
1.10 Onde elettromagnetiche
servati si possono giustificare con quest’ipotesi e ne Le particelle elettricamente cariche hanno la pro-
concluderemo che la materia dev’essere formata da prietà di essere soggette a forze di natura elettrica
particelle di carica elettrica positiva e negativa, oltre e magnetica e, a loro volta, di essere sorgenti di tali
che di particelle prive di carica. forze. Lo studio del moto di queste particelle, in-
dotto dalla presenza di campi elettromagnetici
permetterà di stabilire che esse stesse devono essere
1.7 Correnti elettriche sorgenti di campi elettromagnetici variabili nel tem-
Per capire come funzionano i campi elettrici utilizze- po che, oltre ad avere carattere ondulatorio, possie-
remo strumenti (i condensatori e le pile) che ci per- dono tutte le altre caratteristiche della luce. È im-
metteranno di osservare un nuovo fenomeno: quello mediato, a questo punto, identificare la luce con il
del passaggio della corrente elettrica, che si può campo elettromagnetico.
sempre spiegare in termini di moto dei corpuscoli
che costituiscono la materia dei conduttori.
1.11 Ancora sulla natura della
luce
1.8 Campi magnetici
Il successo di questa teoria sembra vacillare nel mo-
Lo studio del comportamento delle correnti ci fa- mento in cui scopriamo l’effetto fotoelettrico e le sue
rà fare ancora un’altra scoperta: l’esistenza di una conseguenze, che portano a concludere che la luce,

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1.13. LE PARTICELLE ELEMENTARI 14

contrariamente a quanto ci è sembrato finora, sia co- esce sempre con violenza quando la si apre e non
stituita di corpuscoli e non abbia affatto un carat- accade mai che vi rientri o che dell’aria entri nella
tere ondulatorio. L’apparente paradosso (abbiamo lattina? In fondo, secondo tutte le Leggi fisiche sco-
esperimenti che dimostrano che la luce è un’onda perte finora, questo dovrebbe essere possibile: non ci
ed esperimenti che dimostrano il contrario) si su- sono Leggi che lo vietano! La risposta a questa do-
pera grazie alla Meccanica Quantistica che, in- manda verrà dal secondo principio della termo-
sieme alla teoria della relatività rappresenta un dinamica, che ci porterà a considerare l’entropia
pilastro fondamentale della fisica. Non solo per le come un’altra grandezza fisica di cui tenere conto.
innumerevoli (ancorché ignorate) applicazioni, ma
anche perché con esse si chiarisce definitivamente il
significato del metodo sperimentale: quel che si 1.13 Le particelle elementari
misura è, ed esiste, e non ha alcun senso chiedersi
A questo punto sembra che il modello che ci sia-
qual è il reale aspetto dell’Universo, se per questo
mo fatti della materia e delle forze cui è soggetta
s’intende qualcosa di non misurabile sperimental-
sia completo. Ma in realtà, dallo studio dettagliato
mente. Quando misuriamo il tempo con un orologio
delle forze di natura elettrica si capirà che il mon-
a bordo di un satellite GPS, che marcia in modo di-
do dev’essere piú complicato di cosí: le particelle
verso da uno a Terra, non ha senso chiedersi se sia
che compongono la materia dell’Universo sono mol-
l’orologio a marciare diversamente, il tempo a scor-
te di piú rispetto a quelle che possiamo ipotizzare
rere in maniera diversa o se semplicemente il tempo
studiando le interazioni che abbiamo studiato fino-
scorra nello stesso modo ovunque, ma noi non sia-
ra. Scopriremo che esistono intere famiglie di nuove
mo in grado di leggere correttamente quell’orologio:
particelle che interagiscono attraverso forze che si
se non esiste una maniera oggettiva di misurare il
possono pensare, a loro volta, come l’effetto dello
tempo indipendentemente dalla presenza di un oro-
scambio di altre particelle.
logio dobbiamo accettare il risultato sperimentale
secondo il quale il tempo è relativo all’osservatore.
È quanto si dice nell’introduzione a questo capitolo
(e non è sempre stato cosí: per buona parte della
storia umana, da Parmenide ad Einstein, ciò che
è, è sempre stato indipendente da ciò che si può
misurare).
È l’Universo a scegliere come deve funzionare
e non saremo certo noi a imporre all’Universo la
maniera in cui è tenuto a funzionare, solo perché
non siamo capaci di comprenderne il funzionamento
effettivo secondo le nostre convinzioni.

1.12 L’entropia e il secondo


principio
Ma parlando di tempo è naturale chiedersi perché
scorra sempre in avanti e mai all’indietro: cosa im-
pedisce agli oggetti che osserviamo di comportarsi
come se andassero all’indietro nel tempo? Perché il
gas contenuto in una lattina di una bibita gassata

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Unità Didattica 2
Il ruolo della misura in Fisica

La fisica è una scienza sperimentale: questo


significa che in fisica si possono solo trattare que-
stioni che hanno carattere sperimentale, sulle quali
cioè si possono fare esperimenti. Un esperimento
non è, come pensano in molti, una prova, un tenta-
tivo. Un esperimento consiste nella misura di una
qualche grandezza fisica.
Per poter definire un esperimento dunque è neces-
sario definire bene cosa intendiamo per grandezza
fisica. Potremmo dire che una grandezza fisica è
una qualunque caratteristica di un qualche sistema
che si può misurare. La misurazione di una gran-
dezza fisica consiste nel processo che conduce alla
misura, che ne è il risultato. Una grandezza fisica
si definisce operativamente quando si descriva in
modo non ambiguo la sequenza di azioni da compie-
re per giungere alla misura che non deve risultare
soggettiva.
Osservate la Figura 2.1, nella quale si vede un’o-
pera dell’artista Marcel Duchamp. Il fatto che que-
st’opera sia conservata in alcune repliche in diversi
musei (una delle quali presso la Galleria Naziona- Figura 2.1 La fontana di Marcel Du-
le d’Arte Moderna a Roma, che vi consigliamo di champ.
visitare indipendentemente da quel che pensate del-
l’opera di Duchamp) indica che quella che si vede
nella foto è considerata almeno da una parte del- in maniera controversa. Non solo le opere d’arte si
le persone un’opera d’arte. Di sicuro una parte del possono includere tra quelle il cui valore è soggetti-
pubblico che visita la Galleria non è d’accordo con vo: il gusto delle pietanze lo è altrettanto (la pajata,
tale definizione. Lo stesso accade anche con opere tipico piatto romanesco, non è certamente tra quelli
o artisti meno controversi: le opere di Picasso so- che i piú considerano una prelibatezza, e lo stesso
no per lo piú giudicate come capolavori, ma ci sono vale per caviale, ostriche, e quant’altro).
persone che fanno fatica a vederci qualcosa d’inte- La bellezza di un’opera e persino il fatto che un
ressante; anche Modigliani suscita sentimenti diver- oggetto si possa definire opera d’arte è in sostan-
si. Lo stesso grado di arbitrarietà di giudizio spetta za una questione sulla quale non ci può essere al-
alla musica: Wagner, Berio, Bartók sono solo alcu- cuna oggettività (anche se può esserci unanimità di
ni esempi di compositori la cui opera è giudicata
2.1. MISURE E TEORIE 16

giudizio). Idem dicasi per la bontà del cibo o del- 2.1 Misure e teorie
l’intensità d’un sentimento come l’amore, la rabbia,
l’invidia, etc.. Se ne conclude che queste qualità non Una volta eseguite le misure e determinate le rela-
possono essere oggetto di studio in fisica: sempli- zioni esistenti tra le grandezze fisiche oggetto di stu-
cemente per la fisica non esistono. Naturalmen- dio, si possono formulare teorie a partire da queste.
te questo non vuol dire necessariamente che quelle Una teoria è un insieme organico di equazioni che
qualità non esistano (sono certo di provare certi sen- discendono matematicamente da una o piú leggi fi-
timenti o di apprezzare un buon piatto di bucatini siche determinate sperimentalmente, eventualmente
all’amatriciana), ma che un fisico non può prendere attraverso l’assunzione (talvolta implicita) di ipotesi
in considerazione queste qualità come oggetto dei relative alla maniera di interpretare i risultati delle
suoi studi. Per lo stesso motivo nessun fisico onesto misure. Non esistono teorie fisiche che possano fare a
potrebbe includere tra l’oggetto delle sue ricerche meno di fatti sperimentali. In fisica, dunque, non esi-
l’esistenza di Dio, la cui presenza non è rivelabile stono teorie false, come talvolta si legge su qualche
in maniera oggettiva e certa. Naturalmente questo libro o articolo, proprio perché le teorie non possono
non esclude che lo stesso fisico possa credere in Dio. che essere il risultato dell’analisi di fatti sperimen-
Semplicemente non deve farsi guidare, nel suo la- tali che non possono essere che veri (a meno che,
voro, da convinzioni di carattere personale che non evidentemente, non siano inventati, ma in questo ca-
siano scientificamente dimostrabili. so si tratta di una frode). Perlomeno se all’aggettivo
In definitiva, in fisica, possiamo prendere in con- falso si dà il significato che comunemente spetta a
siderazione solo grandezze fisiche definite opera- questa parola.
tivamente, il cui valore sia determinabile in ma- Per chiarire il senso di quest’affermazione vale la
niera chiara e precisa attraverso una ben determi- pena fare un esempio, anche se non conoscete anco-
nata sequenza di operazioni di misura. Quello che ra le teorie di cui parliamo. Avrete però sicuramente
si fa in fisica è misurare grandezze fisiche e stabili- sentito parlare della teoria geocentrica di Tolo-
re relazioni tra di esse sotto forma di equazioni che meo secondo la quale la Terra si troverebbe al centro
chiamiamo leggi fisiche. Una legge fisica non è in dell’Universo e il Sole e gli altri pianeti ruoterebbero
alcun modo simile a una legge ordinaria varata da attorno ad essa. La teoria fu superata da quella elio-
un Parlamento: la prima rappresenta soltanto una centrica di Copernico che dimostrò come la teoria
relazione tra grandezze fisiche che è stata stabilita di Tolomeo fosse falsa, ponendo al centro dell’Uni-
sperimentalmente, cioè attraverso la misurazione verso il Sole. Quando una teoria fisica è dichiarata
ripetuta e sistematica di almeno due grandezze fi- falsa s’intende dire in realtà che ne esiste un’altra
siche; la seconda è il risultato di una decisione piú che spiega gli stessi fenomeni in modo piú semplice
o meno arbitraria. Quando si dice che il moto dei rispetto alla prima, dove piú semplice significa con
pianeti obbedisce alle Leggi di Keplero s’in- un minor numero di ipotesi non verificabili (o non
tende dire che l’osservazione del moto dei pianeti verificate). Dal punto di vista di chi osserva il moto
ha condotto i fisici (Keplero, nella fattispecie) a ri- del Sole e degli altri corpi celesti stando sulla Terra,
tenere che certe caratteristiche misurabili di questo la teoria di Tolomeo è del tutto plausibile e quindi
moto rivelino una qualche relazione tra loro, che si vera nel senso che, osservando il cielo, se ne ricava
può esprimere attraverso un’equazione. I pianeti, in- l’impressione che tutto ruoti attorno a noi. Se pe-
fatti, se ne infischiano delle leggi che noi formuliamo rò si eseguono osservazioni piú raffinate, si vede che
e non si sognano neppure di obbedire a qualche tipo certi pianeti sembrano muoversi sí su orbite circola-
di regola imposta da noi umani! Sarebbe, in un certo ri attorno alla Terra, ma in certi momenti sembra-
senso, piú corretto affermare che non sono i pianeti no tornare indietro rispetto alla posizione occupata
a obbedire alle Leggi di Keplero, ma che sono queste nei giorni precedenti. Inizialmente quest’osservazio-
ultime a obbedire al moto dei pianeti. ne portò gli studiosi dell’epoca a formulare l’ipotesi

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2.1. MISURE E TEORIE 17

(aggiuntiva) che i pianeti si muovessero sempre su come la Luna, calcolabili grazie alla stessa teoria, si
orbite circolari dette epicicli, il cui centro ruota- dimostrò che le misure si potevano spiegare perfet-
va attorno alla Terra su un’orbita detta deferente. tamente assumendo questa teoria come vera. Addi-
Quest’ipotesi permetteva di spiegare il cosiddetto rittura, quando si scoprí che il moto di Saturno non
moto retrogrado dei pianeti come osservato da era esattamente identico a quello predetto usando la
Terra. La teoria originale di Tolomeo non poteva teoria, s’ipotizzò che esistesse almeno un altro corpo
piú essere vera, senza l’aggiunta di epicicli e defe- celeste che ne perturbava il moto sempre per mezzo
renti, ma dev’essere considerata tale nel limite in della stessa forza: questo corpo celeste (poi battez-
cui le misure si eseguono con precisione modesta zato con il nome di Urano) fu cercato e trovato
(fino a quando non ci si accorge, cioè, della presen- esattamente dove doveva essere secondo la teoria di
za del moto retrogrado). Ben presto, anche la teoria Newton.
di Tolomeo emendata attraverso l’inclusione di epi- Solo il moto di Mercurio rimase senza spiegazione
cicli e deferenti, si dimostrò falsa nel senso che non fino all’inizio del secolo scorso: l’asse maggiore della
riusciva piú a spiegare il moto osservato dei corpi ce- sua orbita infatti, che ha la forma di un’ellisse, sem-
lesti che si discostava da quanto predetto da questa bra ruotare attorno al Sole e questo fenomeno, noto
teoria. Ma fino a quando ci si limita a osservazioni col nome di precessione del perielio non si può
(misure) grossolane la teoria è vera. spiegare con la teoria di Newton. Nei primi anni del
Copernico dimostrò che assumendo che il Sole si secolo XX Albert Einstein formulò una teoria per
trovasse al centro dell’Universo, e non la Terra, si spiegare un fatto sperimentale piuttosto curioso: la
potevano spiegare le osservazioni senza ricorrere a velocità della luce sembrava essere sempre la stes-
ipotesi aggiuntive come quella dell’esistenza di epi- sa, indipendentemente dallo stato di moto relativo
cicli e deferenti. Da questo punto di vista la teoria rispetto a un osservatore. In altre parole, anche se
di Copernico rappresenta una semplificazione della si corre dietro a un raggio di luce alla sua stessa
teoria di Tolomeo. velocità, non lo si vede fermo, ma lo si vede sem-
Solo molto piú tardi Newton dimostrò che i moti pre allontanarsi a 300 000 km/s. La formulazione di
dei pianeti attorno al Sole si potevano spiegare ipo- questa teoria portò a ritenere che la gravità fosse
tizzando che la forza che li muoveva era la stessa che il risultato di una deformazione dello spazio la cui
provocava la caduta degli oggetti qui sulla Terra. Da entità poteva essere predetta conoscendo semplice-
questo punto di vista, la teoria di Newton, rappre- mente la massa degli oggetti. Quest’ipotesi consen-
senta un’ulteriore semplificazione rispetto a quella tiva di spiegare (in un modo che non è affatto facile
precedente perché diminuisce il numero di forze di da illustrare a questo livello) il moto di Mercurio!
cui bisogna ipotizzare l’esistenza per spiegare le os- La teoria di Einstein, in sostanza, possiede anch’es-
servazioni sperimentali. Questa teoria dimostrò pre- sa un’euristica positiva rispetto a quella di Newton e
sto di possedere quella che il filosofo Imre Lakatos di conseguenza quest’ultima dev’essere considerata
chiama euristica positiva: la capacità cioè di spie- falsa. Questo tuttavia non implica che si debba ab-
gare fenomeni estranei a quelli considerati per giun- bandonare totalmente e in effetti la teoria di Newton
gere alla formulazione della teoria. La teoria di New- si usa correntemente in astrofisica e in astronauti-
ton, infatti, spiegava contemporaneamente il moto ca, semplicemente perché entro certi limiti funzio-
di tutti i corpi celesti e dei corpi soggetti alla forza di na perfettamente (e non potrebbe essere altrimenti,
gravità sulla Terra, anche quando le misure si fecero derivando da fatti sperimentali).
piú precise e si scoprirono alcune deviazioni rispet- L’aggettivo falso, in definitiva, in fisica non ha lo
to alle previsioni della teoria. Per esempio, il moto stesso significato che nel linguaggio comune.
della Terra attorno al Sole, predetto con la Teoria
Newtoniana, non era esattamente quello osservato,
ma includendo gli effetti dei corpi celesti piú vicini

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2.2. LE MISURE DI BASE 18

2.2 Le misure di base Innanzi tutto le dita non sono tutte uguali; anche
se se ne sceglie uno, il diametro del dito scelto non
Il piú semplice processo per la misurazione di una è uniforme (e la sua sezione non ha nemmeno la
grandezza fisica consiste nel confronto della gran- forma di un cerchio per cui bisognerebbe specifica-
dezza fisica da misurare con una ad essa omoge- re lungo quale asse lo prendiamo); anche in questo
nea (cioè della stessa natura). Una lunghezza, per caso, il mio dito non ha lo stesso spessore di quel-
esempio, è una grandezza fisica perché esiste una lo di un bambino o di quello di un altro qualunque
procedura molto semplice per misurarla. Scegliamo essere umano! Non si tratta dunque di una scelta
qualcosa che a nostro giudizio possieda questa carat- molto sensata. Detto questo, si tratta comunque di
teristica (un righello, una matita, un dito, . . .) e lo un problema pratico che si può risolvere in molti mo-
assumiamo come unità di misura: un oggetto che di e che non presenta particolari problemi di natura
possieda questa stessa caratteristica avrà una lun- fondamentale, perciò non vale la pena soffermarsi
ghezza pari al numero di volte (eventualmente anche troppo su questo aspetto. La moderna definizione
non intero) che l’unità di misura entra nel campione delle unità di misura impiegate in fisica (e non solo)
da misurare. Naturalmente, data l’arbitrarietà con è responsabilità del Bureau International de Poids
la quale si può scegliere l’unità di misura, lo stesso et Measures (BIPM) che ha sede a Parigi, sulla cui
oggetto potrebbe assumere lunghezze diverse secon- pagina web si trovano le necessarie informazioni. In
do l’unità adottata. Per questo, oltre al valore della quello che si chiama il Sistema Internazionale o
misura, occorre riportare anche l’unità adoperata SI la lunghezza, la massa e il tempo sono grandezze
nel comunicare il risultato dell’operazione ad altri. fisiche definite come fondamentali, che si misurano
Anche la misura di peso si esegue per confronto cioè per confronto diretto. Le corrispondenti unità
con un’unità di misura1 . di misura sono il metro (m), il chilogrammo (kg) e
Il tempo è la grandezza fisica che si misura con il secondo (s, non sec come talvolta si legge).
l’orologio. Non è necessario disporre di un vero e Per ogni unità di misura si possono definire multi-
proprio orologio per misurarlo: prima della sua in- pli e sottomultipli, che di solito sono espressi in base
venzione si poteva comunque definire una procedura dieci. Del metro, ad esempio, si definiscono i sotto-
per misurarlo basata sul confronto con la durata del multipli millimetro (mm, corrispondente a 1/1000
giorno (che presenta alcuni problemi pratici che qui di metro o 0.001 m), centimetro (cm, corrispon-
non discutiamo). dente a 1/100 di metro o 0.01 m) e decimetro
È chiaro che, per quanto arbitraria, la scelta del- (dm, 1/10 di metro o 0.1 m). Altri sottomultipli
l’unità di misura dovrebbe seguire certi criteri che molto usati sono il micrometro o micron, pari a
consentano di ottenere risultati stabili quando si mi- 10−6 m, che si indica con il simbolo µm e il na-
sura la stessa grandezza: per esempio, le lunghezze nometro (nm, corrispondente a 10−9 m), oltre al-
si possono misurare in dita, scegliendo il diametro l’Ångström, pari a 10−10 m, indicato con il simbolo
delle dita come unità di misura, ma se si chiede a Å. Per le lunghezze si adopera spesso il multiplo
qualcuno di versarci due dita di vino nel bicchiere, chiamato chilometro (km, pari a 1000 m). Per in-
il risultato può essere molto diverso, secondo i casi. dicare il multiplo o il sottomultiplo si adopera un
1
I fisici usano spesso pignoleggiare sul significato della pa-
prefisso: uno o piú caratteri che precedono il sim-
rola peso, che usano per indicare una forza, in relazione alla bolo dell’unità di misura, che indicano la potenza
parola massa che usano per indicare quel che i comuni mor- di dieci per cui moltiplicare il numero indicato per
tali chiamano peso. In questo frangente specifico la cosa non esprimerlo nell’unità fondamentale.
fa molta differenza perciò useremo la parola peso che comun- I prefissi piú usati sono riportati nella Tabella 2.1,
que è proporzionale alla massa e in ogni caso si determina
per confronto. Al momento comunque non abbiamo alcuna dalla quale si evince che 1 cm corrisponde a 10−2 m,
ragione per dover distinguere tra massa e peso. cioè a 1/100 di metro, e che si pronuncia centi–
metro. Analogamente il milligrammo corrisponde a

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2.2. LE MISURE DI BASE 19

prefisso potenza nome


Multipli e prefissi in informatica
Z 1021 Zetta In informatica è piú pratico usare le potenze di
E 1018 Exa due invece che quelle di dieci. La memoria di
P 1015 Peta un computer o lo spazio occupato da un file si
T 1012 Tera misurano in byte (B). Perciò 1 kB corrisponde
G 109 Giga a 1024 B e non a 1000 B. 1024 infatti è una po-
M 106 Mega tenza di 2 (1024 = 210 ). Corrispondentemente
k 103 kilo cambiano, anche se di poco, i fattori indicati dai
h 102 etto prefissi.
da 10 deca Il Megabyte (1 MB) corrisponde a circa
d 10−1 deci un milione di byte, cioè a circa mille kB.
c 10−2 centi Per la precisione si tratta di 1024 volte un
m 10−3 milli kB, cioè 1048 576 B. Analogamente 1 GB=
µ 10−6 micro 1024 MB= 1073 741 824 B e 1 TB= 1024 GB=
n 10−9 nano 1099 511 627 776 B.
p 10−12 pico Come si vede la differenza con i prefissi ordinari
f 10−15 femto non è molto alta e dunque si usano spesso que-
a 10−18 atto sti ultimi per stimare rozzamente le dimensioni
z 10−21 zepto effettive di una memoria.
Tavola 2.1 I prefissi usati nei multipli
e sottomultipli delle unità di
misura. rapporto tra la base e l’altezza è di 16 : 9, possiamo
conoscerle tutte). Per comprarne uno uguale dob-
biamo sapere quanto è lunga la diagonale in pollici.
Sappiamo che la lunghezza di un centimetro corri-
10−3 g, e il TW (Terawatt) corrisponde a 1012 W. sponde a circa 0.39 pollici (il cui simbolo è un doppio
Dal momento che la scelta delle unità di misura da apice: 00 ), cioè che
impiegare durante una misura è arbitraria è necessa-
rio saper esprimere una grandezza fisica nei diversi 1 cm = 0.39 00 . (2.1)
sistemi. La lunghezza di una matita, evidentemen-
te, resta la stessa sia che la misuriamo in metri, che Trattando le unità di misura come fossero quanti-
nel caso in cui la misuriamo in cm. Evidentemen- tà algebriche possiamo trattare questa equivalenza
te la stessa matita deve avere la stessa lunghezza come un’equazione e scrivere che
anche se misurata in pollici, un’unità che si usa
0.39 00
nei Paesi anglosassoni. Per passare da un sistema di 1= (2.2)
cm
unità di misura A all’altro B è sufficiente conosce-
re a quante unità del sistema A corrisponde l’unità cosí che la misura di 56 cm si potrebbe esprimere
di misura nel sistema B. Si tratta quindi il simbo- come 56 × 1 cm e, sostituendo a 1 il valore trovato
lo che indica l’unità di misura come una quantità sopra, ottenere
algebrica. Un esempio vale piú di mille parole, in
questo caso: supponiamo di possedere un televisore 0.39 00 
56 cm = 56×1 cm = 56× cm = 21.84 00 (2.3)
il cui schermo ha una diagonale che misura 56 cm.

cm

La lunghezza della diagonale dello schermo è quella
Il televisore è da 22 pollici. Se disponete di un colle-
che caratterizza le dimensioni di uno schermo tele-
gamento a Internet, è facile operare trasformazioni
visivo (conoscendone la diagonale e sapendo che il
di unità di misura ricorrendo al motore di ricerca

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2.2. LE MISURE DI BASE 20

Google: nel campo destinato alle parole da cercare con quella della luce. Un corpo che nel SI si muove
digitate la misura completa del simbolo dell’unità, alla velocità di 200 000 km/s, in questo sistema si
seguita dalla parola to seguita, a sua volta, dall’u- muove alla velocità di 2/3. La velocità quindi si può
nità nella quale si vuole convertire (tutto in inglese: considerare adimensionale, cioè priva di dimen-
nel nostro caso avremmo dovuto scrivere 56 cm to sioni fisiche, nel senso che la sua misura è sempre
inches). esprimibile come un rapporto con una grandezza fi-
In certi casi la misura di una grandezza fisica si sica omogenea il cui valore è fissato dalla Natura.
ottiene combinando piú misure di altre grandezze fi- Anche nel SI, la lunghezza si esprime come un rap-
siche. In questo caso la grandezza fisica in questione porto tra quella dell’oggetto da misurare e quella del
si dice derivata. Quando si combinano piú misure metro campione, ma la lunghezza di quest’ultimo è
per costruire una grandezza fisica derivata, l’unità il risultato di una nostra scelta e perciò si dice che
di misura della grandezza fisica in esame si ottiene la lunghezza ha dimensioni fisiche (quelle di una
moltiplicando o dividendo tra loro le unità di misu- lunghezza, appunto). Se le velocità si misurano in
ra delle grandezze fisiche che sono state usate per frazioni di velocità della luce e i tempi si misurano
determinarla. Per conoscere l’area di un rettangolo in secondi, le lunghezze non hanno piú un carattere
si devono misurare le lunghezze dei suoi lati: se il fondamentale, ma sono grandezze fisiche derivate:
lato del rettangolo si misura in metri (m), l’area si si ricavano cioè dalla combinazione di misure di na-
misura in metri quadri (m2 ) e si dice che ha le di- tura diversa. Per sapere quanto è lungo un oggetto
mensioni fisiche di una lunghezza al quadrato. La si deve misurare il tempo che impiega la luce per
natura della grandezza fisica si esprime scrivendo giungere da un estremo all’altro: il valore della mi-
il simbolo corrispondente (L per le lunghezze) tra sura dunque si esprime in unità di velocità della
parentesi quadre, come in luce (che è adimensionale), moltiplicate per le unità
di misura del tempo (s). In questo sistema dunque
[lato del rettangolo] = [L] (2.4) le lunghezze hanno le stesse dimensioni fisiche dei
tempi e si misurano in secondi2 .
e in
Dal momento che una legge fisica è una relazione
tra grandezze fisiche che si esprime come un’equa-
[area del rettangolo] = L2 . (2.5)
 
zione o una disequazione, è evidente che una gran-
La velocità di un corpo che si muove rappresenta dezza fisica può solo essere uguale (o comparata) a
la distanza percorsa per unità di tempo e quindi si un’altra grandezza fisica ad essa omogenea, perciò
misura determinando quanto spazio è stato percorso è impossibile che in una legge fisica compaiano a
in un’unità di tempo e si esprime come il rapporto primo membro grandezze fisiche con dimensioni di-
tra una distanza e un tempo. Di conseguenza ha le verse da quelle che compaiono a secondo membro. I
dimensioni di una lunghezza divisa per un tempo, due membri della relazione devono necessariamente
cioè avere le stesse dimensioni fisiche realizzando quella
che si chiama un’equazione dimensionale. La leg-
[velocità] = LT −1 . (2.6)
 
ge fisica che esprime lo spazio percorso in un tempo
e si misura in m/s o in multipli di queste unità (per t da un corpo che si muove a velocità costante pari
esempio in km/h). avè
È utile osservare che la natura fondamentale di
una grandezza fisica è anch’essa il risultato di una x = x0 + vt (2.7)
scelta arbitraria. Ad esempio, un’altra possibile scel- 2
L’anno luce, in effetti, è una misura di lunghezza corri-
ta consiste nel definire le velocità come grandezze spondente alla distanza che la luce percorre in un anno. In
fisiche fondamentali che si misurano confrontandole questo caso un’unità di misura di tempo (l’anno) s’impiega
per indicare una distanza.

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2.3. GLI STRUMENTI 21

dove x0 rappresenta la posizione iniziale del corpo,


espressa come la distanza da un punto scelto co-
me riferimento. A primo membro le dimensioni di
x sono quelle di una lunghezza [x] = [L]. A secon-
do membro quindi dev’esserci una lunghezza perché
una lunghezza può solo essere uguale a una lunghez-
za! Il secondo membro è formato dalla somma di due
termini, ciascuno dei quali dev’essere una lunghez-
za e per lo stesso motivo le somme o le sottrazio-
ni tra grandezze fisiche si possono eseguire solo tra
grandezze tra loro omogenee. x0 è una lunghezza Figura 2.2 Il boccale di birra da una pin-
ta è uno strumento di mi-
[x0 ] = [L], quindi resta da controllare che lo sia il
sura diretta di volumi, che
prodotto vt. v è una velocità che ha le dimensio- contiene 0.473 l di liquido.
ni di una lunghezza diviso un tempo: [v] = [LT −1 ]. La caraffa invece è uno stru-
Quando la si moltiplica per un tempo le dimensioni mento graduato, perché ri-
fisiche del prodotto sono porta l’indicazione di frazioni
dell’intero.

(2.8)
 −1 
[T ] = LT −1 T = [L] ,
 
LT
come ci si aspetta se l’equazione è corretta. Le equa- misurare volumi pari a un numero intero di pinte.
zioni dimensionali sono un formidabile strumento di Non potete misurare frazioni di questo volume, per-
controllo della correttezza di un risultato e bisogna ché la forma del bicchiere non è regolare e l’assenza
imparare a servirsene. Sebbene nessuno possa ga- di tacche che riportino i valori intermedi impedisce
rantire che un’equazione dimensionalmente corretta di fare una misura (si può fare una stima, non una
sia giusta, è invece certo che un’equazione dimensio- misura).
nalmente incoerente è senza alcun dubbio sbagliata! Se invece di un boccale da birra si usa una caraffa
Se scrivessimo, per errore, che graduata, si possono misurare anche volumi diversi
da quello della caraffa intera. Lo strumento si dice
x = x0 + vt2 (2.9) graduato.
Se dovete preparare le tagliatelle fatte in casa do-
vedremmo subito che il secondo addendo a secon-
vete usare una certa quantità di farina, tipicamente
do membro ha le dimensioni di una velocità per un
espressa in grammi. Se non avete una bilancia po-
tempo al quadrato, cioè di [LT −1 T 2 ] = [LT ], che
tete misurare il volume della farina e, conoscendone
non sono quelle giuste, perché a primo membro c’è
la densità, ricavare il valore che vi serve attraverso
una lunghezza!
un’operazione di misura indiretta: in pratica non
si misura direttamente la grandezza fisica cui si è
2.3 Gli strumenti interessati, ma una o piú grandezze che si sa posse-
dere una relazione con quella principale. Sapendo,
Il modo piú semplice di eseguire una misura consi- ad esempio, che un volume di farina pari a un litro
ste nel confrontare direttamente l’oggetto da misu- pesa circa 800 g, avendo bisogno di 500 g di farina
rare con uno strumento: una copia del campione servono
dell’unità di misura che dunque possiede le stesse
caratteristiche dell’oggetto da misurare. 1`
V = 500 g × = 0.625 ` (2.10)
Per esempio, per misurare un volume, potete usa- 800 g
re un bicchiere da birra da una pinta, che corrispon- di farina. Invece di dover fare ogni volta questi conti,
de a quasi mezzo litro. Con questo strumento potete potete comprare in un negozio di casalinghi una ca-

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2.3. GLI STRUMENTI 22

filmato non riproducibile su questo


supporto: digita l’URL nella caption o
scarica l’e-book
Figura 2.4 La sensibilità limitata di
questa bilancia non permette
di misurare la variazio-
ne di peso conseguente
all’aggiunta di una banco-
nota agli oggetti sul piatto
[https://www.youtube.com/
watch?v=XKbn0z7laUQ]. Per
questo strumento il peso della
banconota è di fatto nullo.

che indica quanto due misure della stessa grandez-


za, eseguite con lo stesso strumento, si discostano.
Figura 2.3 Questa caraffa è uno strumen- Minore è lo scostamento, maggiore è la precisione
to tarato: di fatto esegue una dello strumento. La precisione può dipendere dalle
misura di volume, che è con-
vertita in una misura di mas-
condizioni in cui viene eseguita la misura. Parados-
sa grazie alla conoscenza della salmente, uno strumento molto preciso, in generale
densità della farina. è anche poco sensibile e viceversa. Infatti alta pre-
cisione significa risultati sempre uguali, il che è pos-
sibile per strumenti poco sensibili. L’accuratezza
raffa graduata sulla quale sono riportate, oltre alle
di uno strumento, invece, ne rappresenta la fedeltà
indicazioni relative al volume, anche quelle relative
rispetto al campione. Un metro è tanto piú accura-
alla massa di farina e zucchero. Questo strumento
to quanto piú la sua lunghezza coincide con quella
si dice tarato perché riporta sulla propria scala i
del campione ufficiale. Noi stessi potremmo realiz-
valori di una grandezza fisica (la massa) non omo-
zare un metro ritagliando una striscia di carta di
genea a quella che effettivamente misura (il volu-
lunghezza opportuna. Quest’ultimo strumento po-
me). La scala si ottiene attraverso un’operazione di
trebbe facilmente essere poco accurato perché risul-
taratura o calibrazione, consistente nello stabili-
terà probabilmente un po’ piú grande o un po’ piú
re la relazione esistente tra la grandezza fisica di cui
piccolo di un vero metro. La sua sensibilità e la sua
fornire la misura e quella effettivamente misurata.
precisione sono indipendenti dall’accuratezza.
Gli strumenti non sono tutti uguali. Anche per la
Un’ultima importante caratteristica di uno stru-
misura della stessa grandezza fisica, sono necessari
mento è la sua portata o fondo scala che indi-
strumenti con proprietà diverse, secondo le neces-
ca il massimo valore di una grandezza fisica che lo
sità. La misura della larghezza di un marciapiede
strumento è in grado di misurare. Per un metro da
richiede strumenti diversi da quelli necessari per la
muratore la portata è tipicamente di due metri. La
misura del diametro di un capello.
portata di un righello è di qualche decina di cen-
Una delle principali caratteristiche di uno stru-
timetri, mentre il metro a nastro usato dai geome-
mento è la sua sensibilità, che rappresenta la piú
tri può avere una portata di venti metri (doppio
piccola variazione di una grandezza fisica che lo
decametro).
strumento è in grado di apprezzare o rivelare.
La sensibilità di uno strumento è spesso confu-
sa con la sua precisione, che è una caratteristica

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2.4. NOTAZIONE SCIENTIFICA 23

Esercizio 2.1 Caratteristiche degli strumenti quindi le proprietà delle potenze abbiamo scritto
102 × 109 = 1011 .
Cerca almeno cinque strumenti di misura in ca- La notazione non è solo piú compatta. Permet-
sa (righello, bilancia, orologio, termometro, gonio- te anche di eseguire i calcoli rapidamente in ma-
metro, cilindro graduato, etc.). Identifica il tipo di niera semplificata o approssimata. Se, ad esem-
strumento e stima, se possibile, le caratteristiche di pio, volessimo calcolare la distanza tra il Sole e la
portata, precisione, accuratezza e sensibilità. Ese- Luna sapendo che quest’ultima dista dalla Terra
gui alcune misure con ciascuno di essi. Se possiedi LT L = 300 000 km, dovremmo sommare tra loro
uno strumento con una doppia scala (per esem- due numeri molto grandi e poco maneggevoli. Se
pio un righello con indicate le lunghezze in cm e però esprimiamo LT L in notazione scientifica come
in pollici, una bilancia con indicazione in kg e lib- LT L = 3 × 108 m vediamo subito che l’esponente di
bre) esegui alcune misure e fai un grafico del valore 10 nei due casi è molto diverso. Quello di LT L , 8, è
in un’unità in funzione del valore nell’altra unità.
parecchio piú piccolo di 11, che è quello di LST (ri-
Prova a ricavare, da questo grafico, la relazione che
cordate che ogni unità corrisponde a una differenza
esiste tra le diverse unità di misura.
di un fattore 10). LT L è del tutto trascurabile rispet-
to a LST e possiamo dire che LST + LT L ' LST . Se
invece dobbiamo sommare a LST una distanza pari
2.4 Notazione scientifica a d = 324.26 milioni di km, possiamo scrivere d in
notazione scientifica come d = 3.2426 × 1011 m ed
Risulta molto comodo esprimere i multipli di dieci eseguire la somma usando la proprietà associativa:
come potenze nella cosí detta notazione scientifi-
ca che consiste nell’esprimere il valore di una misura LST + d = (1.49 + 3.2426) × 1011 m
come un numero compreso tra 1 e 10, moltiplicato (2.13)
= 4.7326 × 1011 m .
per un’opportuna potenza di dieci. La distanza tra
il Sole e la Terra LST , ad esempio, è di 149 milioni L’uso della notazione scientifica rende anche eviden-
di km, circa. Se dovessimo esprimere questo numero te l’ordine di grandezza di una misura, che ne
in unità del SI, dovremmo scrivere definisce la scala alla quale avviene un determina-
to fenomeno. L’ordine di grandezza è rappresentato
LST = 149 000 000 000 m , (2.11) dall’esponente del valore della misura espressa in
ricordando che 1 km=1000 m. La stessa distanza si notazione scientifica. Per esempio, l’ordine di gran-
può esprimere come dezza della distanza Sole–Terra è 10 m, mentre
11

quello della distanza Terra–Luna è di 105 km (no-


tate che abbiamo espresso gli ordini di grandezza
9
LST = 149 × 10 m = 1.49 × 10 m . 11
(2.12) usando due diverse unità di misura). Come abbia-
mo visto, conoscendo l’ordine di grandezza, si può
Per passare alla notazione scientifica abbiamo pri- immediatamente stabilire se due grandezze tra loro
ma contato il numero di zeri (9) scrivendo LST come omogenee sono comparabili oppure no (purché siano
un numero, detto mantissa moltiplicato per dieci espresse nelle stesse unità): la distanza tra il Sole e
elevato al numero di zeri trovati. Quindi abbiamo la Terra è enormemente maggiore di quella tra Ter-
diviso la mantissa per 100, in modo da scriverla co- ra e Luna e la seconda è trascurabile rispetto alla
me un numero piú piccolo di dieci. Il numero di cifre prima.
dopo la virgola (due in questo caso) ci dice la po- Avrete notato che, prima di eseguire la somma,
tenza di dieci per cui occorre moltiplicare il numero abbiamo fatto in modo di esprimere tutte le quanti-
trovato per riottenere quello originale. Sfruttando tà secondo grandezze tra loro identiche. Non pos-
siamo sommare una lunghezza espressa in metri

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2.5. UN ESPERIMENTO ISTRUTTIVO 24

con una espressa in km. Prima dobbiamo avere le n TA (s) TB (s) n TA (s) TB (s)
due grandezze espresse nella stessa unità di misura. 1 1.13 1.30 14 1.06 1.35
Il risultato sarà la grandezza espressa nelle unità 2 1.10 1.25 15 1.05 1.35
impiegate. 3 1.02 1.49 16 1.02 1.34
4 1.09 1.40 17 1.14 1.45
5 1.10 1.43 18 1.14 1.31
2.5 Un esperimento istruttivo 6 1.10 1.36 19 1.14 1.27
7 1.09 1.39 20 1.14 1.35
Fate il seguente esperimento: appendete un peso a 8 1.06 1.40 21 1.13 1.35
un filo e fatelo oscillare, misurando con un crono- 9 1.06 1.34 22 1.21 1.28
metro il periodo di oscillazione (cioè il tempo che 10 1.10 1.25 23 1.17 1.28
intercorre tra quando il peso si trova in una cer- 11 1.14 1.04 24 1.25 1.41
ta condizione, per esempio quella di partenza, e l’i- 12 1.14 1.41 25 1.14 1.35
stante in cui torna a occupare la stessa condizione). 13 1.18 1.32 26 1.13 1.40
Non serve disporre di strumentazione molto sofisti-
cata: basta prendere un mazzo di chiavi appeso a un Tavola 2.2 Misure eseguite da due studen-
laccetto e usare uno smartphone come cronometro ti del periodo di oscillazione di
un pendolo.
(ci sono centinaia di app gratuite che consentono
di misurare tempi con precisioni del centesimo di
secondo).
Eseguite la misura insieme a un compagno o una perato da Bruno ha una sensibilità dell’ordine del
compagna (se le prime volte ci sono problemi nel- centesimo di secondo. La misura eseguita da Bruno
lo stabilire l’istante di partenza o nel manovrare i quindi è 1.30 s perché Bruno ha potuto leggere sul
cronometri ripetete la misura fino a quando non vi display del suo smartphone il numero 1.30 e non 1.3.
sentite sicuri). Molto probabilmente troverete valori Anna e Bruno hanno eseguito 26 misurazioni e il
diversi: poniamo che siano 1.13 s e 1.3 s. Che succe- fatto che le misure non siano sempre uguali l’una al-
de? Il tempo di oscillazione delle chiavi dev’essere lo l’altra indica che nel processo di misura sono presen-
stesso, indipendentemente da chi lo misura. Uno di ti elementi che fanno fluttuare i valori in un modo
due deve aver sbagliato. Ripetiamo l’operazione. Al che sembra casuale. In effetti è facile interpretare
secondo tentativo nessuna delle due nuove misure è il risultato ottenuto assumendo che effettivamente
uguale a quella di prima (1.1 s e 1.25 s nell’esercizio il mazzo di chiavi oscilli sempre con lo stesso pe-
che hanno svolto i nostri studenti). Vuol dire che riodo, ma che ogni volta che si esegue la misura i
si sono sbagliati tutti? Come si fa a decidere qual riflessi degli studenti non sono costanti e talvolta
è la misura giusta e qual è quella sbagliata? Conti- gli studenti fanno partire il cronometro un po’ in
nuiamo a misurare, ottenendo valori sempre diversi, anticipo, talvolta un po’ in ritardo (e lo stesso acca-
solo talvolta uguali a quelli già ottenuti. Nella Ta- de quando lo fermano). Se sostituissimo gli studenti
vola 2.2 sono riportate le misure eseguite da due con fotocellule o con altri sistemi (in questi casi è
studenti (Anna e Bruno). utile un’app chiamata Physics Gizmo, disponibile
Prima di analizzare il contenuto della tabella os- per smartphone Android, che permette di usare il
serviamo il modo in cui è stata redatta: avrete nota- sensore di prossimità dei telefoni per far partire e
to che il primo tempo misurato da Bruno di 1.3 s in fermare un timer) otterremmo probabilmente una
tabella è stato rappresentato come 1.30 s, aggiun- minore variabilità, che tuttavia non sarebbe annul-
gendo uno zero non significativo. Quello zero, in ef- lata completamente. Il fatto è che a ogni tentativo
fetti, non è matematicamente significativo, ma lo anche le condizioni del mazzo di chiavi non sono le
è invece per la fisica. Indica che lo strumento ado- stesse: non è detto che parta sempre rigorosamente

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2.6. PROPRIETÀ STATISTICHE DELLE VARIABILI CASUALI 25

da fermo: talvolta lo sperimentatore applica invo- La somma di tutti gli n(k), per ognuno dei valori
lontariamente una piccola spinta. Anche la resisten- possibili k, dev’essere evidentemente uguale a N :
za opposta dall’aria al moto delle chiavi influisce su X
questo tempo. Questa resistenza a sua volta dipende n(k) = N (2.14)
dalle condizioni locali dell’aria come velocità, umi- {k}
dità, temperatura, pressione, etc.. Insomma ci sono e quella delle f (x) dev’essere naturalmente uguale
decine di effetti che possono contribuire ad aggiun- a 1:
gere o a sottrarre al tempo vero T una quantità di
tempo variabile di volta in volta. Insomma, il ri-
sultato di una misura non è un valore certo, unico, X X n(k) 1 X N
f (k) = = n(k) = = 1.
perfettamente determinato: è sempre il risultato del N N N
{k} {k} {k}
sommarsi di tanti effetti casuali e pertanto è esso (2.15)
stesso un numero casuale. Questo non vuol dire Di conseguenza, tenendo conto del fatto che n(k) >
affatto che è del tutto privo di significato! 0, dev’essere sempre 0 6 f (k) 6 1. Le condi-
zioni (2.14) e (2.15) si chiamano condizioni di
2.6 Proprietà statistiche delle normalizzazione. Fate l’esercizio di lanciare 100 volte un dado e
variabili casuali scrivete su un foglio elettronico i punteggi ottenu-
ti3 . Nell’esercizio che abbiamo fatto noi i primi dieci
Per capire come gli effetti casuali influenzino le mi- numeri estratti sono
sure dobbiamo studiare il comportamento delle va-
riabili casuali. Dal momento che questo è un manua-
le di fisica sperimentale e non di matematica, per {x} = 5, 1, 5, 5, 1, 6, 2, 2, 5, 2 . (2.16)
capire le proprietà delle variabili casuali, possiamo
fare qualche esperimento con qualcosa che abbia na- Costruiamo l’istogramma contando il numero di
tura aleatoria, come il lancio di un dado, lasciando volte in cui compare ciascuno dei possibili valori
una trattazione formale e rigorosa dell’argomento k = 1, . . . , 6: n(1) = 2, n(2) = 3, n(3) = n(4) = 0,
all’insegnante di matematica. n(5) = 4 e n(6) = 1. Corrispondentemente le fre-
Lanciando N volte un dado si possono ottenere quenze sono f (1) = 0.2, f (2) = 0.3, f (3) = f (4) =
tutti i possibili punteggi da 1 a 6. Se si conta il nu- 0, f (5) = 0.4 e f (6) = 0.1. La variabilità è piuttosto
mero n(x) di volte che esce il punteggio x e si riporta ampia e non sembrano esserci regole precise seguite
su un grafico n(x) in funzione del punteggio stesso si da questi numeri. Provando con 30 lanci i valori che
costruisce quel che si chiama un istogramma. In- abbiamo trovato sono riportati in Tabella 2.3 (non
dicando con {k} l’insieme di tutti i possibili valori vi fidate e fate da soli l’esperimento).
della variabile casuale x e con k uno dei suoi ele- Si può notare come, all’aumentare di N , le n(x)
menti, costruendo un istogramma, per ciascuno dei assumono valori sempre piú simili tra loro e, di con-
possibili valori della variabile casuale x ∈ {k}, si ri- 3
Invece di lanciare un vero dado, per far prima potete
porta il numero di volte n(x) che x = k per ciascuno contare sulla capacità dei computer di estrarre numeri ca-
dei possibili valori che k può assumere. Si può an- suali con le stesse proprietà statistiche dei punteggi di un
che fare un istogramma riportando in funzione dei dado. Basta scrivere l’opportuna funzione in ciascuna cel-
valori possibili della variabile casuale, questo stes- la del foglio per ottenere un numero casuale. Secondo i casi
(Excel, Numbers, OpenOffice, Google Spreadsheet, etc.) le
so numero normalizzato, cioè diviso per il numero funzioni hanno nomi diversi, ma il loro nome comincia qua-
totale di estrazioni N , f (x) = n(x)/N che prende il si sempre pre RAND. Per esempio, usando i fogli elettronici
nome di frequenza. di Google potete usare la funzione RANDBETWEEN(1,6) per
estrarre numeri casuali compresi tra 1 e 6.

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2.6. PROPRIETÀ STATISTICHE DELLE VARIABILI CASUALI 26

N = 10 N = 30 N = 100 N = 1000
k n(k) f (k) n(k) f (k) n(k) f (k) n(k) f (k)
1 2 0.2 3 0.10 15 0.15 162 0.162
2 3 0.3 8 0.27 17 0.17 178 0.178
3 0 0.0 2 0.07 16 0.16 165 0.165
4 0 0.0 3 0.10 17 0.17 173 0.173
5 4 0.4 8 0.27 20 0.20 170 0.170
6 1 0.1 6 0.20 15 0.15 152 0.152
Tavola 2.3 Istogramma dei valori e delle
frequenze per i lanci di un da-
do eseguito N = 10, N = 30 e
N = 100 volte.

200
tutto lo spazio dei possibili valori di k. Quello che si
vede sperimentalmente è che i valori della frequen-
150 za f (k), all’aumentare di N diventano via via piú
uniformi e sempre piú simili proprio a 1/6 ' 0.167.
100 Possiamo quindi dire, solo sulla base dell’esperienza,
che
50

f (k) ' p(k) (2.17)


0
0 1 2 3 4 5 6 7
e che quest’affermazione è tanto piú vera quanto
maggiore è il numero N di prove effettuate. Ci si
Figura 2.5 Distribuzione dei punteggi re- può quindi attendere che, se fosse possibile fare in-
lativi a 1000 lanci di un
finite prove si dovrebbe avere f (k) = p(k). Questo
dado.
si scrive come

lim f (k) = p(k) . (2.18)


seguenza, le f (x) tendono via via ad assumere va- N →∞

lori sempre piú vicini a 0.17. In particolare, se per Questo è uno dei modi in cui si esprime quella che
n = 10 la differenza tra il valore massimo e minimo si chiama Legge dei grandi numeri.
di f (x) è 0.4, per N = 30 diventa 0.20 fino ad arri- Se invece di lanciare un solo dado ne lanciamo
vare, per N = 100 a 0.05. Addirittura per N = 1000 due, i possibili punteggi che possiamo ottenere van-
(la cui distribuzione di può vedere in Fig. 2.5) questa no da 2 a 12, ma, se ci pensate un attimo, la di-
differenza si riduce a 0.026. stribuzione di questi punteggi non è piú uniforme
Se definiamo la probabilità di ottenere il pun- (potete vederla nella Fig. 2.6). Il valore 2 si può ot-
teggio k, p(k), come il rapporto tra il numero dei tenere, cosí come il valore 12, solo se tutti e due i
casi in cui si può ottenere k (1) e quello di tutti i dadi presentano lo stesso punteggio: 1 + 1 oppure
casi possibili (6), abbiamo che p(k) = 1/6 ' 0.167 6 + 6. Il punteggio 7, invece, si può ottenere in una
per ogni valore di k. Diciamo quindi che i risultati moltitudine di modi: 1 + 6, 2 + 5, 3 + 4. Questo
del lancio di un dado sono distribuiti uniforme- implica che il punteggio 7 ha una probabilità che è
mente nel senso che la probabilità di ottenere uno un fattore 6 piú alta rispetto a quella di ottenere i
qualunque dei punteggi è uniforme, cioè la stessa, in

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2.6. PROPRIETÀ STATISTICHE DELLE VARIABILI CASUALI 27

200
La statistica di Bayes
La statistica moderna considera inadeguata la
definizione di probabilità data nel testo. In effet- 150

ti, a essere rigorosi, per poter dire che la proba-


bilità di uscita di uno dei punteggi del dado è di 100

1/6, è necessario ammettere che tutti i punteg-


gi hanno uguale probabilità: il problema quindi 50

è che per definire una probabilità occorre usa-


re il concetto stesso di probabilità. A metà del 0
0 2 4 6 8 10 12 14
1700 Thomas Bayes rese esplicito il problema
sostenendo che fosse impossibile (ma in fondo Figura 2.6 Distribuzione dei punteggi re-
inutile) definire una probabilità oggettiva e lativi a 1000 lanci di due
dadi.
propose di adottare una statistica nella quale
la probabilità avesse un carattere soggettivo,
dipendente cioè da quanto ciascuno confidasse 100

nel verificarsi di un evento.


Per quanto possa sembrare strano, l’adozione di 80

una probabilità soggettiva non impedisce di fa-


60
re previsioni anche piuttosto precise e la teoria
di Bayes conduce a risultati verificabili. La mo- 40

derna statistica si basa dunque sui risultati della


teoria Bayesiana e non sull’approccio frequen- 20

tista adottato nel testo. Va detto, tuttavia, che


per la maggior parte dei casi le due teorie, quella
0
10 20 30 40 50 60

di Bayes e quella frequentista, conducono a ri-


Figura 2.7 Distribuzione dei punteggi re-
sultati coincidenti. Lasciamo perciò la trattazio- lativi a 1000 lanci di dieci
ne formalmente corretta all’insegnante di ma- dadi.
tematica, adottando l’approccio classico perché
dal punto di vista formale è piú semplice.
mente, la distribuzione assume sempre di piú una
valori 2 o 12. La distribuzione non è piú uniforme, forma a campana simmetrica. Nella Fig. 2.7 si ve-
ma presenta un picco attorno al valore 7. de la distribuzione del punteggio ottenuto lanciando
Se si sommano i punteggi di tre dadi, i punteggi dieci dadi.
totali risultano piccati attorno al valore 11, mentre Possiamo aspettarci qualcosa di simile anche per
se se ne sommano quattro il risultato è una distribu- altri fenomeni a carattere aleatorio. Se per esempio
zione ancora piú piccata attorno al valore 14 (fate misurate l’altezza o il peso di ciascuno studente in
sempre qualche prova). una classe, troverete una distribuzione piú o meno
In generale, sommando i punteggi di m dadi si simmetrica e piú o meno stretta. Se sommate tut-
ottengono distribuzioni che sono sempre piú picca- te le altezze o i pesi degli studenti di una classe e
te su un valore che si può prevedere essere uguale ripetete l’esperimento sugli studenti di altre classi,
a m × 3.5, dove 3.5 è il punto centrale della distri- troverete che la somma delle altezze e la somma dei
buzione (uniforme) dei punteggi dei singoli dadi. Al pesi sono distribuite anch’esse in modo da realizza-
crescere del numero di dadi lanciati contemporanea- re una distribuzione a campana, del tutto simile a
quella che si ottiene con i dadi.

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2.7. L’INTERPRETAZIONE DELLE MISURE 28

In generale, quello che si scopre facendo molti


esperimenti del genere è che, qualunque sia la distri-
buzione delle variabili casuali iniziali, la loro som-
ma si distribuisce sempre come una campana, come
del resto si distribuiscono i dati relativi ai tempi di
oscillazione del mazzo di chiavi raccolti da Anna e
Bruno di cui si parla al paragrafo precedente.
Questa è una proprietà generale delle variabili ca-
suali, la cui somma, indipendentemente dalla forma
della distribuzione della singola variabile, tende a
distribuirsi, al crescere del numero di addendi, in
modo tale da assumere la forma di quella che si
chiama una gaussiana o curva di Gauss che si
rappresenta matematicamente come una funzione Figura 2.8 Una gaussiana con µ = 35 e
σ = 5.48. La freccia blu indica
l’intervallo di ±σ attorno a µ.
2 !
x−µ

1 1
f (x) = √ exp − . (2.19)
2πσ 2 σ
Se le misure sono tutte uguali significa che gli ef-
La massima frequenza si ha per x = µ (in questo
fetti casuali che portano a una distribuzione di tipo
caso l’argomento dell’esponenziale vale 0√e l’espo-
gaussiano non sono abbastanza grandi da poter es-
nenziale quindi vale 1, per cui f (x) = 1/ 2πσ. La
sere apprezzati con lo strumento che adoperiamo.
massima frequenza dipende da σ che in un certo
Se, per esempio, misurassimo i tempi di oscillazio-
senso ci dice quanto è larga la curva: piú è grande
ne del mazzo di chiavi con un orologio che mostra
σ piú la curva assume una forma allargata, mentre
al massimo i secondi, probabilmente otterremo sem-
per σ piccoli la curva è stretta. Quando x = µ ± σ
pre il valore 2. Questo significa semplicemente che
la curva assume lo stesso valore che è pari a
lo strumento non ha la sensibilità sufficiente per
1 apprezzare gli effetti casuali che possono portare a
f (x) = √ , (2.20) fluttuare il periodo di oscillazione.
2eπσ
perciò, rispetto al suo valore massimo, si riduce a un Si può dimostrare che l’area sottesa tra la curva
√ gaussiana e l’asse delle ascisse vale 1 e dal momento
fattore 1/ e ' 0.6. In Fig. 2.8 si vede una gaussiana
i cui parametri sono µ = 35 e σ = 5.48 (i valori che la curva è simmetrica, l’area compresa tra l’asse
attesi per il lancio di dieci dadi). delle ordinate, quello delle ascisse e la porzione di
Eseguendo numerose misure della stessa grandez- curva per le x < µ vale 0.5 ed è uguale a quella
za fisica quello che si trova è che i valori si distri- sottesa dalla porzione di curva nel semipiano delle
buiscono praticamente sempre come una gaussiana x > µ.
(a meno che non siano tutti uguali). Dal momento
che la curva di Gauss è quella che descrive la di- 2.7 L’interpretazione delle mi-
stribuzione della somma di variabili casuali qualun-
que, possiamo pensare che il risultato di una misura sure
sia la conseguenza del sommarsi di numerosi effetti
che influenzano il risultato della misura. Qualunque Quando si esegue una misura, questa è sempre affet-
sia la distribuzione di probabilità che si verifichi un ta da un errore o indeterminazione o incertezza
determinato effetto, il risultato sarà comunque una che dir si voglia. Il termine errore può essere fuor-
distribuzione come quella di Gauss. viante all’inizio perché fa pensare a uno sbaglio:

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2.7. L’INTERPRETAZIONE DELLE MISURE 29

non è cosí. Una misura è sempre affetta da erro- una certa variabilità del tutto casuale su numerosi
re perché è impossibile dire con precisione assoluta fattori: la somma di questi effetti casuali porta sem-
quanto valga una grandezza fisica. Le misure infatti pre a una distribuzione gaussiana, qualunque sia la
si possono eseguire solo attraverso l’uso di qualche distribuzione delle variabili che provocano le flut-
strumento che necessariamente deve esprimere il ri- tuazioni. Si può dimostrare che, per un numero di
sultato della misura come un numero con un numero misure molto alto, al limite infinito, il valor medio
finito di cifre. Non esiste alcuno strumento in grado hmi o semplicemente media delle misure, definito
di fornire l’esatta misura dell’area di un cerchio di come
raggio unitario, che vale π, perché π è un numero
che si può scrivere solo con un numero infinito di N
cifre. Le cifre con le quali possiamo esprimere qua- hmi =
1 X
mi =
1
(m1 , m2 , . . . , mN ) (2.22)
lunque misura sono necessariamente finite, perciò N i=1 N
non potremo mai sapere, avendo indicato la misura
con x, se il suo vero valore non sia x ± dx qualora coincide con la posizione del picco della gaussiana.
dx sia piú piccolo della sensibilità dello strumento! Si dice che la media è un buon estimatore del pic-
Per esempio, se misuriamo il peso4 di un pacco di co della gaussiana. Nell’espressione della media mi
pasta usando una comune bilancia da cucina, pos- sono le N misure ottenute.
siamo leggere sul display il numero 1.002, se la bilan- Seguendo l’esempio sopra potremmo dire che non
cia può mostrare fino a quattro cifre. Non possiamo conosciamo di fatto il peso dei pacchi di pasta, ma
sapere se il peso del pacco di pasta è effettivamente sappiamo che ogni pacco di pasta ha un peso che
1.0023 o 1.0019, perché la bilancia non può mostrare varia in un intervallo mmin − mmax . Perciò potrem-
la cifra in piú necessaria per esprimere correttamen- mo affermare, sapendo che il valor medio dei pesi
te il peso. Abbiamo quindi un’indeterminazione che misurati sta grosso modo al centro dell’intervallo,
potremmo stimare in ±0.001 unità di misura della che il peso dei pacchi di pasta è
bilancia (presumibilmente kg). Il modo corretto di
mmax − mmin
 
esprimere la misura è dunque M = hmi ± (2.23)
2
M = (1.002 ± 0.001) kg . (2.21) prendendo la semiampiezza dell’intervallo dei va-
lori trovati come errore sulla misura del peso m.
Con questa notazione, di fatto, ammettiamo di non
Quest’ampiezza prende il nome di semidisper-
conoscere il peso esatto del pacco, ma di essere cer-
sione massima. Nel caso della misura del peso
ti che il peso sia compreso in un intervallo di am-
di un singolo pacco di pasta l’espressione M =
piezza pari a 1 g in piú o in meno rispetto al valo-
(1.002 ± 0.001) kg indicava il fatto che avevamo
re centrale di 1.002 kg; in definitiva stiamo dicen-
un’incertezza di 0.001 kg sul valore vero della mi-
do che sappiamo soltanto che il pacco di pasta ha
sura, ma che in fondo eravamo certi del fatto che,
un peso compreso tra 1.002 − 0.001 = 1.001 kg e
misurando un’altra volta proprio quel peso, avrem-
1.002 + 0.001 = 1.003 kg.
mo ottenuto lo stesso valore. Questo non è piú vero
Se misuriamo il peso di piú pacchi di pasta, po-
nel caso della misura di un pacco di pasta qualun-
tremmo trovare valori diversi attorno a quello no-
que: non possiamo escludere che, misurando un altro
minale di un chilo. Se osserviamo la forma della
pacco di pasta il suo peso si trovi all’esterno dell’in-
distribuzione dei pesi una volta fatto l’istogramma
tervallo di semidispersione trovato. Naturalmente la
vediamo che i dati si distribuiscono in modo piú o
probabilità che questo accada sarà piccola, ma non
meno gaussiano. Il motivo è semplice: nel processo
nulla! In teoria un qualunque pacco di pasta (che
di produzione e confezionamento della pasta è insita
potrebbe appartenere a un lotto diverso da quelli
4
Vale sempre la nota di pagina 18. usati per ottenere la distribuzione) potrebbe avere

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2.8. ANALISI STATISTICA DELLE MISURE 30

un peso qualunque compreso tra −∞ e +∞, sebbe- i Ti [s] ni


ne i valori che distano molto dal valore centrale hmi 1 1.05 3
dovrebbero essere assai improbabili. 2 1.10 9
Quello che possiamo sperare di fare in questi casi 3 1.15 10
è fornire un’indicazione di tipo statistico dell’am- 4 1.20 2
piezza della distribuzione: non possiamo cioè dire 5 1.25 2
che sicuramente il peso di un altro pacco di pasta
Tavola 2.4 Istogramma delle misure di
sarà compreso nell’intervallo dato, ma che lo sarà tempo eseguite da Anna. Nel-
con una certa probabilità (alta, ma non uguale a la colonna centrale è riporta-
uno). to solo il valore destro del-
l’intervallo. È evidente che l’e-
stremo sinistro coincide con
2.8 Analisi statistica delle mi- l’estremo destro dell’intervallo
precedente.
sure
Riconsideriamo le misure dei tempi di oscillazione
del pendolo fatte da Anna e Bruno (voi fate sempre
l’esercizio con le misure fatte da voi). La prima mi-
sura eseguita da Anna è T1 = 1.13 s. Significa che
Anna è certa che il valore vero della misura da lei
eseguita (non del periodo del pendolo) è compreso
tra 1.12 e 1.14 perché dovremmo supporre che Anna
ha potuto leggere sul display del suo cronometro il
numero 1.13 e quindi ha un’incertezza che al massi-
mo è sulla seconda cifra decimale. La sua misura si
esprime come

T1 = (1.13 ± 0.01) s . (2.24)


Figura 2.9 Istogramma delle misure ese-
Possiamo fare un istogramma delle misure raggrup- guite da Anna con la curva
pandole in intervalli ampi 0.05 s. Nel primo interval- di Gauss sovrapposta. La cur-
lo (anche detto bin, in inglese) mettiamo il numero va è quella descritta nell’Equa-
zione (2.19) moltiplicata per
di misure comprese tra T = 1.00 e T = 1.05, che l’area dell’istogramma – l’area
sono 3; nel secondo quelle comprese tra T = 1.05 e della curva di Gauss è pari a 1
T = 1.1, che sono 9 e cosí via. Facciamo attenzione a – e cioè per 26 × 0.05).
non contare due volte quelle che dovessero capitare
al limite di un bin: nell’esempio che stiamo facendo
stiamo considerando il limite destro dell’intervallo a metà tra il secondo e il terzo intervallo, dove si
incluso e quello sinistro escluso. La Tabella 2.4 ri- trova il picco della distribuzione) e la semidisper-
porta il numero di misure che capitano in ciascun sione massima è 12 (1.25 − 1.02) = 0.12. Potremmo
intervallo. dunque dire che il periodo del pendolo misurato da
Per quanto le misure non siano poi tante, si vede Anna è
subito (Fig. 2.9) che la distribuzione ha una forma
che ricorda quella della curva di Gauss. Il valore T = (1.12 ± 0.12) s . (2.25)
medio dei tempi è hT i = 1.12 (notate che si trova

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2.8. ANALISI STATISTICA DELLE MISURE 31

Ma questo vorrebbe dire che siamo certi di trovare,


eseguendo una nuova misura di tempo, un valore σ 2 = 0.002807 . . . (2.29)
compreso tra 1.00 e 1.24! Basta osservare i dati per Non è molto utile trascrivere tutti i decimali: tenia-
capire che non può essere! Almeno una delle misure mone solo due, quindi σ 2 ' 0.0028. La deviazione
si trova fuori da questo intervallo: 1.25. standard quindi vale (sempre tenendo solo due de-
Non possiamo affermare questo, ma possiamo af- cimali) σ ' 0.053. I dati sono distribuiti, effettiva-
fermare che molto probabilmente una nuova mi- mente, all’interno di un intervallo poco piú grande
sura di tempo fornirà un valore abbastanza vicino di due volte la deviazione standard. Ma in effetti σ
a 1.12, che è il valor medio. Quanto vicino? E con rappresenta bene la larghezza della distribuzione:
quale probabilità? Per deciderlo dobbiamo stabilire se i dati fossero distribuiti su un intervallo piú am-
un criterio per misurare l’ampiezza σ della distribu- pio, anche σ sarebbe piú grande. Inoltre, se disegnia-
zione e valutare quanti eventi cadono nell’intervallo mo una curva di Gauss con µ = hT i e σ = hd2 i,
p
di ampiezza σ attorno al valor medio. e sovrapponiamo il disegno all’istogramma dei da-
Una maniera di fornire una misura dell’ampiezza ti, vediamo chiaramente che la deviazione standard
della distribuzione consiste nel misurare quanto, in σ = hd2 i trovata rappresenta proprio l’ampiezza
p
media, distano le varie misure eseguite dal valore della curva di Gauss. E del resto, con le tecniche
centrale hT i. La distanza di tra la misura i–esima della statistica
(Ti ) e questo valore si esprime come p [?], si può dimostrare che effettiva-
mente σ = hd2 i è un buon estimatore dell’ampiez-
za della curva di Gauss, nel senso che il suo valore
di = |Ti − hT i| . (2.26) tende sempre di piú a quello di una vera gaussiana
Aver a che fare con l’operatore di modulo | . . . | è al crescere di N .
sempre molto fastidioso, perciò conviene definire la A essere precisi, secondo la statistica, il mi-
stessa grandezza come glior estimatore della deviazione standard si ottiene
q partendo dalla varianza calcolata come
di = (Ti − hT i)2 (2.27) N
1 X
che sembra piú complicata, ma in realtà è piú facile
2
hd i = (Ti − hT i)2 (2.30)
N − 1 i=1
da manipolare perché il quadrato è sempre positivo
(al contrario della differenza Ti − hT i) ed estraendo- che differisce dal valore calcolato nell’Equazio-
ne la radice si ottiene lo stesso valore per di che si ne (2.28) per il denominatore della frazione davanti
sarebbe ottenuto con il modulo. Il valor medio dei alla sommatoria che è N − 1 e non N . La prima
quadrati delle distanze d2i è, per definizione, (Equazione (2.28)) si chiama varianza della po-
polazione, mentre la seconda (Equazione (2.30))
prende il nome di varianza del campione. Per
N N
1 X 2 1 X popolazione s’intende l’intero insieme dei possibili
2
hd i = d = (Ti − hT i)2 (2.28)
N i=1 i N i=1 valori della variabile statistica, mentre per campio-
ne s’intende una sua parte. Quando eseguiamo delle
e la sua radice dovrebbe dare un’idea di quanto sia misure la popolazione è composta di un numero infi-
larga la distribuzione dei pesi mi . Chiamiamo hd2 i la nito di elementi perché possiamo ripetere la misura
varianza della distribuzione e la indichiamo con σ 2 , quante volte vogliamo. L’insieme delle misure ese-
cosí la sua radice σ coinciderà con quella che voglia- guite quindi è un campione dell’intera popolazione
mo usare per ampiezza dell’intervallo. Chiamiamo di tutti i possibili valori della misura.
σ deviazione standard. Per le misure eseguite da In effetti, se N è abbastanza grande la differenza
Anna la varianza σ 2 vale tra la varianza del campione e quella della popola-
zione è piccola e può essere addirittura trascurabile.

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2.9. ERRORI SISTEMATICI 32

Non ci pare il caso in questa sede di dover entrare trovi all’esterno di un intervallo ampio 3σ è inferiore
nel merito del perché le due definizioni sono diverse all’1 %.
per quel −1, ma possiamo dare una non dimostra- Se questo è il significato che diamo all’errore di
zione della maggior correttezza della forma (2.30) una misura, allora non possiamo piú esprimere il ri-
osservando che per poter stimare una varianza è ne- sultato della misura del peso di un pacco di pasta co-
cessario fare piú di una misura! Se N = 1 la varianza me M = (1.002 ± 0.001) kg perché questo avrebbe
è di fatto infinita perché non possiamo sapere, ripe- un significato diverso (se ripesiamo lo stesso pacco
tendo la misura, quale sarà la probabilità di trova- di pasta troviamo sempre lo stesso numero e cioè
re un valore piú o meno vicino a quello ottenuto. un valore compreso tra 1.001 e 1.003). Perché l’in-
L’N − 1 a denominatore fa proprio diventare infini- formazione sia la stessa dobbiamo fare in modo che
ta la varianza in questo caso e di fatto impone di l’errore fornito sulla misura corrisponda a un inter-
fare almeno due misure. vallo che contiene circa 2/3 dei potenziali valori, il
Se contiamo quanti eventi càpitano all’interno che significa che l’errore corretto da assegnare a que-
dell’intervallo ±σ attorno a hT i, che va da 1.12 − sta misura è 0.001/3 ' 0.0003 e pertanto la misura
0.05 = 1.07 (stiamo prendendo σ = 0.053 ' 0.05) a si esprime come
1.12+0.05 = 1.17, troviamo che ce ne sono 175 : poco
piú del 65 % del totale (che è 26). L’area compresa M = (1.0020 ± 0.0003) kg . (2.32)
tra la curva di Gauss e l’asse delle ascisse vale 1, e
Avrete notato che abbiamo aggiunto uno zero
se si calcola quella compresa tra la curva di Gauss
non significativo dopo 1.002 facendolo diventa-
e la porzione di asse della ascisse che va da µ − σ a
re 1.0020. Questo perché l’errore con il quale cono-
µ + σ si trova che vale circa 0.68. Dal momento che
sciamo quel numero si trova sulla quarta cifra deci-
stiamo facendo l’ipotesi che le frequenze approssi-
male, quindi dobbiamo rappresentare il numero in
mino le probabilità, il fatto d’aver trovato 17 eventi
quel modo. In effetti si può dimostrare che la de-
su 26 che risiedono all’interno di un intervallo am-
viazione standard di una variabile
√ casuale con di-
pio ±σ attorno al valor medio significa che abbiamo
stribuzione uniforme vale 1/ 12 ' 1/3 l’ampiezza
una probabilità di circa il 65 % (cioè di circa 2/3)
dell’intervallo dei valori permessi.
di trovare un valore compreso in questo intervallo
rifacendo una misura di tempo.
Se quindi si esprime la misura di tempo come 2.9 Errori sistematici
T = (1.12 ± 0.05) s (2.31) Gli errori di cui si tratta nel paragrafo precedente
sono di natura statistica, ma nell’eseguire una mi-
s’intende che ci sono 2 probabilità su 3 che, ripe-
sura si può incappare in un’altra fonte di errore:
tendo una misura di T , si trovi un valore compreso
gli errori sistematici. Gli errori statistici provoca-
tra 1.07 e 1.17. Prendiamo convenzionalmente que-
no fluttuazioni attorno al valore vero di una misura
sta misura come quella che fornisce a chi legge l’in-
che possono essere sia positive che negative, quindi
formazione corretta circa la precisione delle misure.
in media sono da considerarsi nulli ed è per questo
Questo significa che dobbiamo aspettarci, in una se-
che assumiamo il valor medio delle misure come il
rie di M misure, che circa 1/3 di queste si trovi fuori
valore vero (che scriviamo sempre in corsivo perché
dell’intervallo. Si vede facilmente che la probabilità
il concetto di valore vero non esiste in fisica, dal
di trovare una misura all’esterno di un intervallo di
momento che non possiamo misurarlo).
±2σ è del 5 % circa, mentre quella che la misura si
Gli errori sistematici, invece, sono dovuti a fe-
5
Dobbiamo sempre scegliere se includere o meno gli eventi nomeni che tendono a spostare il valor medio dei
ai bordi dell’intervallo, ma per quanto stiamo discutendo la risultati rispetto al valore che si avrebbe se tali fon-
differenza è irrilevante.
ti di errore fossero assenti. Per fare un esempio, se

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2.9. ERRORI SISTEMATICI 33

si usa un righello le cui tacche siano state incise a Il fatto è che uno dei due deve aver commesso
una distanza leggermente piú piccola o leggermente qualche errore sistematico che sposta tutta la di-
piú grande di 1 mm, le misure di lunghezza eseguite stribuzione sulla destra (se la colpa è di Bruno) o
con quel righello risulterebbero sempre piú grandi o sulla sinistra (se è di Anna). Ci possono essere molte
sempre piú piccole di quelle eseguite con un righello ragioni per cui si verifica un’eventualità del genere e
a norma. questo esempio chiarisce perché un fisico non si ac-
Gli errori sistematici possono provenire dalle fon- contenta mai dei risultati ottenuti da un solo gruppo
ti piú disparate: inaccuratezza degli strumenti (co- di ricercatori, ma pretende che la stessa misura sia
me nel caso del righello), non trascurabilità di effet- ripetuta da piú persone prima di poterla considerare
ti spuri (misurando una temperatura si deve tener affidabile.
conto del calore disperso nell’ambiente), influenza Il controllo incrociato è indispensabile proprio per
dello strumento sulla misura (se lo strumento è fred- valutare l’eventuale presenza di errori sistematici
do, quando si misura la temperatura di un oggetto (la presenza di una discrepanza implica l’esistenza
parte del calore serve a scaldare lo strumento), etc.. di qualche sistematica, ma non è vero il vicecersa:
Se consideriamo, per esempio, i dati raccolti da se due misure sono compatibili non è affatto det-
Bruno, che ha misurato gli stessi tempi con un cro- to che non siano affette da qualche tipo di errore
nometro diverso, vediamo che il valor medio del- sistematico).
le sue misure è diverso da quello di Anna, essendo Non esistono tecniche standard per la valutazione
hT i = 1.34, con una deviazione standard di 0.085 dell’errore sistematico, proprio perché può derivare
(rifate i calcoli). In sostanza le due misure, quella di dalle cause piú disparate. L’unica cosa che si può
Anna che indichiamo con TA e quella di Bruno per fare è cercare di stimarlo e di ridurlo al minimo.
la quale usiamo il simbolo TB sono Una prima stima molto semplice consiste proprio
nel confrontare le misure fatte da sperimentatori e
TA = (1.12 ± 0.05) s , con strumenti diversi.
(2.33)
TB = (1.34 ± 0.09) s . Non possiamo stabilire chi tra Anna e Bruno ab-
Prima di sostenere che i due numeri sono diversi è bia introdotto una qualche sorgente di errore siste-
necessario stabilire che lo siano davvero. In effetti, matico nella misura (forse tutti e due). È chiaro che
il fatto che i valori medi siano diversi non ha alcu- c’è di mezzo un qualche errore sistematico che, a dif-
na importanza: per dire che due numeri sono ugua- ferenza di quello statistico che può essere solamente
li, in fisica, non si confrontano i valori medi, ma ridotto entro certi limiti, si può eliminare attraverso
gli intervalli d’incertezza. Infatti, a quanto ne sap- un’accurata progettazione dell’esperimento. In que-
piamo, la misura di Anna è un qualunque numero sti casi è necessario eseguire altre misure, control-
compreso tra 1.07 s e 1.17 s, mentre quella di Bru- lando tutti i parametri che possono dar luogo all’in-
no è un numero compreso tra 1.34 − 0.09 = 1.25 s e sorgere di qualche effetto che spinge il valore della
1.34+ 0.09 = 1.43 s. Se gli intervalli si sovrappongo- misura in una direzione piuttosto che nell’altra. Ad
no anche parzialmente le due misure sono compa- esempio, si deve provare a eliminare l’effetto sogget-
tibili: rappresentano cioè lo stesso valore. Nel caso tivo di chi acquisisce le misure impiegando un siste-
in esame il valore piú alto compatibile con le misure ma automatico di acquisizione dati (che grazie alle
di Anna è 1.17 s, mentre quello piú basso trovato da moderne tecnologie è ormai facilissimo realizzare a
Bruno vale 1.25 s. Le due misure di tempo sono ef- costo praticamente zero).
fettivamente tra loro incompatibili. Questo natu- L’aver fatto almeno due misure ci permette di va-
ralmente non è possibile: entrambi hanno misurato lutare l’ordine di grandezza dell’errore sistematico
gli stessi tempi, quindi le misure possono fluttuare, che si può stimare (la stima è necessariamente molto
ma devono essere compatibili! rozza) come grosso modo

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2.10. PROPAGAZIONE DEGLI ERRORI 34

2.10 Propagazione degli errori


σSY S ' TB − TA = 1.34 − 1.12 ' 0.2 s . (2.34) Se ci pensate bene, il valor medio del periodo tro-
vato da Anna è molto piú preciso di quanto sem-
In ogni caso non abbiamo alcuna ragione per soste- bri a prima vista. Infatti, quando scriviamo che
nere che una misura è migliore dell’altra (quella di T = (1.12 ± 0.05) s affermiamo che, ripetendo una
Anna ha l’errore statistico minore, ma questo non singola misura troveremmo un valore che, con il
vuol dire nulla dal punto di vista dell’accuratezza 70 % circa di probabilità (2/3) è nell’intervallo di
della misura). Pertanto non possiamo e non dobbia- ±0.05 s attorno a 1.12 s. Ma eseguendo altre 26
mo scartare nessuna delle due misure. Entrambe misure otterremmo un valor medio che presumibil-
le misure sono valide se non si identifica in modo mente sarà diverso da 1.12, ma non di molto. Si-
chiaro una causa di errore sistematico nella proce- curamente non di 0.05! È molto improbabile che il
dura seguita durante l’esecuzione delle operazioni di valor medio di altre 26 misure sia un numero vicino
misura. a 1.17. È piú facile che somigli a 1.12!
Molti studenti alle prime esperienze di laborato- È l’effetto della propagazione degli errori, che di-
rio sono portati a scartare misure incompatibili con scutiamo in questo paragrafo. Eseguire molte misure
quanto si aspettano, senza alcuna vera ragione. Que- di una stessa grandezza fisica è certamente utile per
sto è un grosso errore. Un buon fisico (in generale valutare l’errore con il quale si conosce quella gran-
un buono scienziato) considera sempre con molta dezza fisica, ma è utile anche per ridurre l’incertezza
attenzione tutti i risultati sperimentali: anche quel- sul valore medio di quella grandezza fisica.
li palesemente in contrasto con la teoria. Prima di Provate a fare l’esperimento misurando dieci volte
decidere che una misura è fatta male bisogna in- una grandezza fisica qualunque (il numero di scar-
dagare a fondo per essere certi che vada fatto. Se pe di dieci vostri compagni). Calcolate la media e
volete essere buoni fisici non dovreste credere a una la deviazione standard. Poi scegliete altri dieci com-
sola delle parole scritte su questo testo! Intendia- pagni e rifate la misura: le singole misure saranno
moci: quello che è scritto qui (salvo errori) è vero per lo piú contenute all’interno dell’intervallo di am-
e corretto fino a quando qualcuno non dimostre- piezza ±σ attorno al valor medio, ma il valor medio
rà sperimentalmente il contrario! Ma non si deve di queste dieci misure è molto vicino a quello otte-
ciecamente credere nelle leggi fisiche come se fossero nuto nella prima serie. Se poi riuscite a procurarvi
dettate da un’Autorità o da una divinità! Le leggi altri 80 numeri di scarpe potete calcolare dieci va-
fisiche sono il risultato dell’analisi dei fatti speri- lori medi prendendo questi numeri a gruppi di die-
mentali e come tali possono cambiare, se cambia il ci. L’istogramma delle dieci misure del valor medio
panorama dei dati a disposizione. somiglierà a una gaussiana con una larghezza pa-
Se Penzias e Wilson, gli scopritori della radiazio- ri a circa 1/3 rispetto a quella delle gaussiane di
ne cosmica di fondo avessero trascurato di approfon- ogni singolo gruppo. In altre parole, con la nota-
dire perché l’antenna da loro realizzata producesse zione T = (1.12 ± 0.05) s comunichiamo ai nostri
un segnale non previsto, bollandolo semplicemen- colleghi qual è la variabilità di T nelle condizioni
te come qualcosa da scartare perché non previsto in cui abbiamo fatto l’esperimento, ma se vogliamo
e non capito, non avrebbero vinto il Premio Nobel. comunicare la precisione con la quale conosciamo il
Lo stesso vale per molte scoperte fondamentali che si valor medio dobbiamo usare un errore piú piccolo.
sono potute fare solo perché qualcuno le cui misure Per capire quanto piú piccolo dobbiamo imparare a
non erano perfettamente compatibili con la teoria, valutare come si propaga un errore su una misura.
invece di attribuire la discrepanza a non meglio pre- Cominciamo con un caso semplice: supponiamo di
cisate fonti d’errore sistematico, indagò a fondo per voler sapere quanto tempo occorre al pendolo di An-
capire. na per fare quattro oscillazioni. Chiaramente questo

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2.10. PROPAGAZIONE DEGLI ERRORI 35

tempo è misurare T5 è piú facile che misurare T1 – quan-


to meno è piú rilassante – e l’errore, globalmente,
T4 = 4T1 = 4 × 1.12 = 4.48 s . (2.35) diminuisce, anche se non di un fattore 5! In altre
Dal momento che conosciamo T1 con un’incertezza parole, se misuriamo T5 con un errore σ5 possiamo
di 0.05 s, il valore di T1 potrebbe benissimo essere ricavare T1 come T5 /5 e l’errore come σ5 /5. Quindi,
1.17 invece che 1.12. In questo caso avremmo il semiperiodo del pendolo di Anna vale

T4 = 4T1 = 4 × 1.17 = 4.68 s . (2.36) T1/2 = (0.56 ± 0.03) s , (2.40)

Naturalmente potrebbe anche essere T1 = 1.07, per avendo moltiplicato T e σ per 1/2 e avendo appros-
cui simato il valore di 0.025 a 0.03. Potevamo aspettar-
celo, in effetti: se abbiamo una misura con un errore,
T4 = 4T1 = 4 × 1.12 = 4.28 s . (2.37) stirando o contraendo la misura l’errore si espande
o si contrae dello stesso fattore.
In altre parole T4 sarà un numero compreso tra Ma tutti sappiamo che moltiplicare un numero x
4.28 s e 4.68 s. L’intervallo entro il quale può va- per un numero y equivale a sommare y volte il nume-
riare il suo valore è ampio 4.68 − 4.28 = 0.40 s: ro x: cosí 4T = T + T + T + T , quindi ci si potrebbe
esattamente quattro volte l’ampiezza dell’interval- aspettare che l’errore sulla somma di quattro misu-
lo d’incertezza di T1 . In generale possiamo dire che re di tempo sia il quadruplo dell’errore sulla singola
l’errore da attribuire a una grandezza che si calcola misura. Proviamo. Dividiamo le 26 misure di Anna
come y = Cx dove C è una costante e x il risultato in 6 gruppi di quattro misure (lasciando fuori due
di una misura è misure). Facendo riferimento alla Tabella 2.2, som-
miamo tra loro le due misure di Anna su due righe
σy = Cσx (2.38) consecutive (quindi, per esempio, il primo numero
con ovvio significato dei simboli, cosí T4 va espresso si ottiene sommando 1.13 + 1.06 + 1.10 + 1.05). I va-
come lori che otteniamo sono: 4.34, 4.27, 4.48, 4.42, 4.54
e 4.67, la cui media vale T40 = 4.45. La deviazio-
T4 = (4.5 ± 0.2) s , (2.39) ne standard di ciascuna singola misura, per quanto
sopra vale 0.05 quindi ci si potrebbe attendere una
essendo 4 × 0.05 = 0.2. Notate che abbiamo appros-
deviazione standard attorno a 0.2 per questi valori.
simato il valor medio a un numero che si scrive con
Se la calcoliamo otteniamo
una cifra dopo la virgola perché l’errore è su quella
cifra decimale.
Quest’osservazione ci porta subito a escogitare
v
u
u 1 X N
una maniera per misurare questo tempo con pre- σT40 = t 0
(T4i − hT40 i)2 ' 0.14 (2.41)
cisione migliore: se invece di misurare il periodo di N − 1 i=1
un pendolo Anna avesse misurato il tempo necessa-
rio a compiere n oscillazioni (per esempio n = 5), che è circa la metà! In effetti, secondo la statistica,
avrebbe trovato il valore di Tn con un errore σn e ci si aspetta che l’errore sulla somma di questi quat-
avrebbe potuto trovare il valore di T1 dividendo il tro numeri sia proprio due volte l’errore sul singolo
valore misurato e il suo errore per n. Attenzione numero e non quattro. Proviamo a capire perché
a non farvi ingannare: questo non riduce arbitra- con un esempio nel quale si sommano due numeri
riamente l’errore perché la misura, per esempio, di x e y. Se x e y sono affetti da errore e con essi si
cinque oscillazioni, fluttua piú della misura di una costruisce la grandezza fisica z = x + y potrà acca-
sola oscillazione perché il tempo durante il quale dere che x fluttui fino a x + σx e che y fluttui fino a
gli effetti casuali intervengono è quintuplicato; però y + σy per cui z sarà z = x + y + σx + σy e, in effetti,

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2.10. PROPAGAZIONE DEGLI ERRORI 36

fluttua rispetto al valore centrale z di una quantità che le grandezze di cui abbiamo parlato finora x e y
pari alla somma degli errori su x e y. Ma questo non possono essere definite negative, quindi anche l’er-
accade sempre! Molte volte succederà, ad esempio, rore su x − y, con x > 0 e y > 0, ha come errore la
che x fluttui fino a diventare x + σx , ma y potreb- radice di σx2 + σy2 .
be fluttuare fino a diventare y − σy portando z ad A questo punto abbiamo tutti gli ingredienti per
assumere il valore z = x + y + σx − σy e quindi a valutare l’errore sul valor medio del periodo del pen-
fluttuare meno. A differenza del caso in cui la stessa dolo misurato da Anna. Il valor medio di una gran-
misura è moltiplicata per un numero, in cui l’errore dezza fisica si trova sommando N misure e dividen-
si moltiplica per la stessa quantità, nel caso in cui si do il risultato per
√ N . L’errore sulla somma delle N
sommano due misure gli errori si possono compen- misure è pari a N σ, assumendo che tutte le misure
sare e portare a una riduzione dell’errore statistico abbiano lo stesso errore σ. Dividendo
√ questo nume-
complessivo. Per capire come si sommano statisti- ro per N l’errore diventa σ/ N . Di conseguenza,
camente gli errori ricorriamo a una dimostrazione di quando si calcola un valor medio,√ l’errore con il qua-
tipo grafico. Se z1 = x1 + y1 è il risultato della som- le lo si conosce è un fattore N volte piú piccolo
ma di due misure, z1 si può rappresentare come un dell’errore con cui si conosce la singola misura.
punto di coordinate (x1 , y1 ) su un piano cartesiano. Perciò Anna conosce√ il periodo
√ del pendolo con
Una nuova misura di x e di y condurrà a due valo- un errore di 0.05/ N = 0.05 26 ' 0.01. Se Anna
ri (x2 , y2 ) che individuano un altro punto. Facendo quindi rimisurasse una volta il periodo del pendo-
molte misure, ognuna rappresenterà un punto e tut- lo lo troverebbe per il 70 % delle volte all’interno
ti i punti si distribuiranno attorno al punto medio di un intervallo di ampiezza ±0.05 attorno al valor
in modo tale che la maggior parte di queste misure medio, ma se misurasse un altro valor medio (cioè
sia compresa all’interno di una regione di piano che se misurasse altre 26 volte il periodo del pendolo
dista dal punto medio una stessa quantità: questa e ne traesse il valor medio) questo si discosterebbe
regione quindi ha la forma di un cerchio. Il raggio dal valore di 1.12 per non piú di 0.01 per la maggior
di questo cerchio determina l’errore sulla grandezza parte delle volte. Sarebbe cioè compreso tra 1.11 e
fisica z. Avremo dunque che 1.13.
Si potrebbe pensare che, in questa maniera, si po-
σz2 = σx2 + σy2 (2.42) trebbe ridurre arbitrariamente l’errore sulla misura
quindi gli errori statistici si sommano al quadrato di una grandezza fisica! Basterebbe infatti fare in
o in quadratura6 . Ecco perché sommando quattro modo che il numero di misure tenda a infinito per
numeri con lo stesso errore si ottiene un numero che portare l’errore a zero: se è vero che non si possono
ha un errore pari a due volte l’errore sulla singola fare infinite misure è vero che se ne possono fare un
quantità. L’errore è infatti tale per cui la varianza milione! In realtà, per valutare correttamente l’erro-
σT2 0 vale re sulla grandezza fisica T del nostro esempio dob-
4
biamo considerare che questo errore ha due sorgenti:
σT240 = 4σT2 (2.43) una deriva dalle inevitabili fluttuazioni della misura
dovute a effetti casuali e l’altra alla sensibilità finita
per cui dello strumento con il quale si eseguono le misure,
che nell’esempio è di un centesimo di secondo. Quel-
σT40 = 2σT . (2.44) lo che possiamo pensare di ridurre mediando i valori
Lo stesso evidentemente vale nel caso della sottra- è solo il primo: se misurassimo il periodo del pendo-
zione tra due grandezze fisiche: basta considerare lo usando un orologio da polso con una sensibilità di
6
Questo comportamento vale solo se la misura di y non è
1 minuto troveremmo che il periodo è sempre pari a
correlata con quella di x, cioè se la misura di y non dipende 1 minuto e ripetere 1 000 volte questo esperimento
da quella di x. non aiuta per niente! L’errore che compete alla mi-

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2.10. PROPAGAZIONE DEGLI ERRORI 37

sura infatti si valuta sommando (in quadratura) le (in assenza di errori sistematici), quando il suo er-
varie sorgenti di errore e perciò è, piú precisamente rore statistico è minore. Perciò un modo per pesare
r l’importanza di ciascuna misura consiste nel fare in
σ2 modo che quelle che hanno errore maggiore entrino
σT OT = + δT2 , (2.45)
N nella somma moltiplicate per un fattore che ne ridu-
avendo indicato con σ la deviazione standard delle ca l’importanza. Se si pesa ciascuna misura per un
misure e con δT la sensibilità dello strumento. Visto fattore wi , che dipende dall’errore su xi , la somma

che nel nostro caso δT = 0.01  σ/ N , possia- delle misure si scrive come
mo trascurare questo termine, ma se N diventasse N
molto grande non potremmo piú farlo. X
w i xi . (2.47)
i=1
Esercizio 2.2 La distribuzione della media
Se i pesi fossero tutti uguali (in particolare se wi = 1
per ogni i) il risultato finale dovrebbe coincidere
Il fatto che la distribuzione dei valori medi di una
con quello della media aritmetica e quindi dobbiamo
variabile casuale abbia una deviazione standard piú
piccola di quella della singola variabile è un risulta-
imporre che
to generale, che vale per ogni variabile casuale, co- N N
munque distribuita. Fate la prova misurando gran- 1 X 1 X
w i xi = xi . (2.48)
dezze qualunque, come la lunghezza delle dita delle C i=1 N i=1
mani dei vostri compagni: misurate la lunghezza di
ogni dito di entrambe le mani e fate un istogramma
Se i pesi sono tutti uguali wi = w per ogni i e si può
delle misure ottenute ricavando, per ogni compa- portare il simbolo fuori del segno di sommatoria per
gno, la lunghezza media delle dita. Quindi fate un ottenere
istogramma dei valori medi ottenuti per ciascuno
N N
studente e misurate valor medio e deviazione stan- w X 1 X
xi = x . (2.49)
dard di questi. Vedrete che la deviazione √ standard C i=1
 N i=1 i
delle medie è piú piccola di un fattore N rispet-  
Quindi C = N w = i w. Di conseguenza possiamo
P
to alla deviazione standard di una singola misu-
ra (cioè della deviazione standard delle lunghezze scrivere che la media pesata delle misure xi è data
delle singole dita). da
PN
w i xi
hxi = Pi=1N
. (2.50)
2.10.1 La media pesata i=1 w i

Notiamo che per wi = 1 la formula sopra si ridu-


La media aritmetica che si calcola come
ce a quella della media aritmetica, come dev’essere.
N Come peso possiamo prendere qualunque espressio-
1 X
hxi = xi (2.46) ne che dipenda dall’errore e che, all’aumentare di
N i=1 questo, faccia diminuire il peso. Per esempio
è un buon estimatore della posizione del picco del-
1
la gaussiana solo quando tutte le misure xi hanno wi = 2 . (2.51)
σi
pari dignità. Se infatti una o piú delle xi fossero me-
no affidabili di altre, queste dovrebbero influenzare Questa scelta permette di semplificare la trattazio-
meno il valore della media, che dovrebbe essere de- ne che porta alla valutazione dell’errore che si deve
terminato in modo che le misure piú affidabili pe- attribuire alla media pesata. Nel caso della media
sino di piú. Una misura è piú affidabile dell’altra aritmetica avevamo che

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2.10. PROPAGAZIONE DEGLI ERRORI 38

v Occorre prestare attenzione al significato che si dà a


u N
1u X questo valore: 0.04 s non è l’incertezza con la quale
σhxi = t σ2 (2.52) conosciamo il periodo del pendolo grazie alle misu-
N i=1 i
re di Anna e di Bruno, perché queste misure sono
che quando tutte le σi sono uguali diventa quasi certamente affette da un errore sistematico.
Da questo punto di vista questo numero ha un si-
√ gnificato meramente matematico: dal momento che
1√ 2
(2.53) i due numeri (diversi) sono conosciuti con un’incer-
Nσ σ
σhxi = Nσ = =√ .
N N N tezza rispettivamente di 0.05 s e di 0.09 s, la loro
media è nota con un’incertezza di 0.04 s. Ma questa
Nel caso della media pesata, l’errore da attribuire a media non ha alcun significato fisico nel caso in esa-
ogni addendo della somma a numeratore è me. Lo avrebbe soltanto se le due misure di tempo
1 1 √ fossero tra loro compatibili.
wi σi = 2 σi = = wi , (2.54)
σi σi
Nella somma ciascuno si somma in quadratura
con gli altri, per cui la varianza del numeratore si
scrive come

w1 + w2 + · · · (2.55)
La
√ deviazione standard del numeratore quindi vale
w1 + w2 + · · ·. Per ottenere la deviazione standard
della media pesata dobbiamo dividere questa per la
somma dei pesi, che vale w1 +w2 +· · · e in definitiva
s
1
σhxi = PN . (2.56)
i=1 wi

Se, ad esempio, volessimo conoscere la media pesata


delle misure di tempo fatte da Anna e da Bruno, che
valevano

TA = (1.12 ± 0.05) s ,
(2.57)
TB = (1.34 ± 0.09) s .
dobbiamo eseguire le seguenti operazioni: per la
media
1.12 1.34
+
hT i = 0.052
1
0.092
1 ' 1.17 s , (2.58)
0.052
+ 0.092
mentre per la deviazione standard della media
avremmo
s
1
σhT i = 1 1 ' 0.04 s . (2.59)
0.052
+ 0.092

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Unità Didattica 3
Definire le grandezze fisiche

Una corretta definizione delle grandezze fisiche è in occasione di una conferenza internazionale pro-
importante per riuscire a trarre informazioni dalle mossa dai responsabili delle ferrovie di vari Paesi.
misure. Come le leggi fisiche, anche la definizione Molti divertenti aneddoti in proposito si trovano su
delle grandezze e delle rispettive unità di misura una pubblicazione dell’osservatorio di Arcetri [?]. Di
può cambiare col tempo e con il progredire della co- particolare interesse il fatto che il primo a proporre
noscenza o delle esigenze. Il tempo, per esempio, è l’adozione dei fusi fu l’italiano Quirico Filopanti.
una grandezza fisica che conosciamo tutti senza bi- Da allora la definizione di tempo è cambiata mol-
sogno di darne una definizione1 , ma gli uomini han- te volte, per adattarsi alle esigenze di natura tec-
no trovato utile misurarlo per scandire i ritmi della nologica. Oggi una misura di tempo accurata è fon-
giornata. Inizialmente la misura era estremamente damentale per molte applicazioni: per il funziona-
rozza: bastava distinguere il giorno dalla notte. Poi mento dei navigatori satellitari, ad esempio, è ri-
si è presentata l’esigenza di una scansione piú pre- chiesta una precisione dell’ordine dei miliardesimi
cisa delle ore della giornata, per cui il tempo era di secondo!
definito, sostanzialmente in maniera arbitraria, dal In questo capitolo cominciamo ad analizzare la
sagrestano che suonava la campana della chiesa in definizione di alcune grandezze fisiche tra quel-
occasione delle funzioni religiose che si svolgevano le meno ovvie. L’analisi approfondita della loro
in vari momenti della giornata, definiti da strumen- definizione ci porterà a fare le prime scoperte.
ti come le meridiane che si basavano sull’ombra di
un’asta (gnomone) proiettata dal Sole su una pa-
rete. La necessità di una misura piú accurata portò 3.1 Massa e Peso
a riconoscere che il giorno non aveva sempre la stes-
Quando diciamo che qualcosa è piú pesante di
sa durata e a definire un giorno medio diviso in
un’altra intendiamo dire che, per sollevare la pri-
24 ore tutte uguali che si potevano misurare grazie
ma si fa piú fatica rispetto a quanta se ne fa per
a strumenti semplici come le clessidre o gli orolo-
sollevare la seconda. Potremmo quindi dire che la
gi ad acqua. L’intensificarsi dei viaggi (sopra tutto
misura di peso è una misura della fatica che faccia-
quelli per mare) portò allo sviluppo dei primi oro-
mo per sollevare qualcosa. Sfortunatamente questa
logi meccanici, perfezionati con l’avvento del treno,
definizione è troppo vaga e soggettiva: di sicuro l’au-
che imponeva una sincronizzazione tra le ore di due
tore di questa pubblicazione fa piú fatica a sollevare
stazioni (quella di arrivo e quella di partenza). Solo
un bilanciere da 50 kg di quanta non ne faccia Ar-
recentemente si riconobbe la necessità dell’adozione
nold Schwarzenegger2 , ma non per questo possiamo
prima di un’orario comune per tutti i paesi e le città
aspettarci che il bilanciere abbia un peso diverso
di una stessa nazione e poi di una stessa regione del
per il sottoscritto e per un aitante e giovane cultu-
globo terrestre. I fusi orari furono adottati nel 1879
rista! Dovremmo farci un’idea piú precisa di cosa
1
A questo proposito è interessante leggere il Cap. 13 del
Libro XI delle ”Confessioni” di Agostino [?].
2
o forse quanta ne avrebbe fatta qualche anno fa.
3.1. MASSA E PESO 40

intendiamo per peso se vogliamo che diventi una nore. Se poi uno lo immergiamo in acqua e l’altro
grandezza fisica. no, quello che si vede è che anche la bilancia non si
Se prendessimo un recipiente e lo riempissimo di trova piú in equilibrio! Allora? La quantità di ma-
una certa sostanza, mantenendo fisso il volume del teria presente nel mattone non può cambiare solo
recipiente, potremmo quanto meno confrontare due per averlo immerso nell’acqua. Dev’esserci qualche
pesi: se è vero che la fatica che si fa a sollevare lo altra ragione per cui il suo peso cambia.
stesso peso è soggettiva, tutti sono d’accordo nel- Dopo questo semplice esperimento siamo portati
l’ammettere che una bottiglia da 1 ` piena d’acqua a pensare che quel che chiamiamo peso non è affatto
pesa meno della stessa bottiglia piena di sabbia o di quel che pensavamo inizialmente e cioè una misura
mercurio. della quantità di materia contenuta in un volume:
Una misura è sempre un’operazione di confronto il peso dev’essere qualcosa che dipende certamente
quindi si potrebbe definire il peso di un litro d’ac- da questa, ma non solo; deve dipendere anche dalle
qua come l’unità di misura e poi si potrebbe stabi- condizioni esterne in cui si fa la misura. In altre pa-
lire quanto volume di un’altra sostanza è necessario role, il peso è la misura di quanto un oggetto sia at-
per produrre lo stesso effetto di un litro d’acqua. tratto verso il basso: in certi casi il peso può persino
In questo caso la misura di fatica è soggettiva, ma diventare nullo, anche se la quantità di materia non
il confronto no. Se la misura di fatica soggettiva cambia. Basta guardare un filmato della NASA nel
ci sembra troppo poco precisa possiamo eseguire il quale si vedono gli astronauti fluttuare senza alcun
confronto ponendo le due quantità di sostanza sui peso quando sono in orbita per rendersene conto.
piatti di una bilancia (non quella da cucina o pesa- Il peso dunque non è una proprietà dei corpi,
persone, ma un’asta incernierata al centro che deve anche se dipende chiaramente da quanta (e quale)
rimanere in equilibrio se alle sue estremità si pongo- materia è presente in essi. Se vogliamo definire que-
no due pesi uguali: solo cosí possiamo fare un vero st’ultima quantità è necessaria una procedura che
confronto). permetta di prescindere dagli effetti esterni come la
Quest’osservazione potrebbe portarci già a una presenza di acqua o di altri fluidi o di condizioni
prima definizione coerente del peso come la quan- particolari come il trovarsi a bordo della Stazione
tità di sostanza contenuta in un volume. Un Spaziale o sulla Luna. E dal momento che stiamo
mattone pieno pesa piú di un forato perché, a pa- parlando di una grandezza fisica diversa da quella
rità di volume, nel primo c’è piú materia e il peso che sarebbe conveniente chiamare peso, dobbiamo
dovrebbe essere una misura di questa quantità. Del darle un altro nome. La chiameremo massa. Per
resto un mattone pieno pesa anche piú di un pa- misurare una massa si procede in questo modo: si
netto di spugna per fioristi, e questo significa che sceglie una massa campione come unità di misura
la materia di cui è fatto il panetto deve avere un e si confronta il peso di questo con quello dell’og-
peso intrinsecamente minore di quello della ma- getto di cui si deve determinare la massa, facendo
teria di cui è fatto il mattone. Il peso di qualcosa attenzione al fatto che entrambi gli oggetti si tro-
deve quindi dipendere dal tipo di materiale di cui è vino immersi nello stesso fluido e che l’esperimento
fatto. sia fatto stando fermi3 . Nella Stazione Spaziale,
Ma se diamo questa definizione di peso abbiamo che si muove rapidamente di moto circolare attorno
un problema non appena cambiamo le condizioni in alla Terra, la misura di massa non si può eseguire
cui eseguiamo la misura. Se prendiamo due mattoni (o almeno non si può eseguire come descritto).
uguali sicuramente facciamo la stessa fatica a solle- 3
Non è strettamente necessario: basterebbe limitarsi a ri-
varli e, ponendoli su una bilancia, la portano a stare chiedere che la bilancia si muova di moto rettilineo uniforme,
in equilibrio. Se però eseguiamo lo stesso esperimen- ma per iniziare a definire una procedura operativa va bene
to in acqua, la bilancia fornisce lo stesso risultato, cosí.
ma la fatica che si fa a sollevarli è decisamente mi-

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3.2. LA RADIOATTIVITÀ 41

Dobbiamo dunque distinguere tra massa e peso: e invece se ne trovano 100.0869 (lo 0.006 % in meno).
la prima rappresenta la quantità di materia presen- E naturalmente nel recipiente in cui è avvenuta la
te in un volume, la seconda l’intensità con la quale reazione non c’è alcuna traccia né dei componenti né
i corpi sono attratti verso il basso. E naturalmente di altri composti. Una parte della massa è sparita.
dovremo studiare le proprietà dell’una e dell’altra Le violazioni della legge di conservazione della mas-
grandezza fisica perché ogni volta che individuia- sa sono sempre molto piccole ed è perciò possibile
mo una grandezza dobbiamo capirne le proprietà: è assumerne la validità, a meno di non fare esperi-
questo il modo in cui si derivano le Leggi fisiche. menti molto particolari e precisi. Resta però il fatto
Quello che possiamo dire della massa è che appa- che non si tratta di una legge assoluta.
rentemente si conserva: dividendo in due un mat- C’è un altro caso in cui si può verificare una sia
tone (e raccogliendone tutte le briciole se il taglio pur piccolissima violazione della legge di conserva-
non è netto), la massa del mattone e della somma zione della massa: il decadimento radioattivo. Il
delle sue parti è la stessa. Se mescolando due o piú fenomeno consiste in questo: certe sostanze hanno la
sostanze se ne ottiene un’altra, come accade nelle capacità di trasmutare spontaneamente in sostan-
reazioni chimiche, la somma delle masse dei reagen- ze diverse. Il cobalto è una di queste: una parte di
ti è uguale alla massa del prodotto della reazione4 . minerale di cobalto tende a trasformarsi in maniera
Apparentemente non c’è modo di distruggere o di del tutto spontanea in nichel, il che comporta anche
produrre massa dal nulla. Sembra che la massa sia una leggerissima variazione della massa del minera-
qualcosa che rimanga costante in tutto l’Universo. le. Anche il potassio, di cui sono ricche le banane,
tende a trasformarsi spontaneamente in calcio o in
argon: in linea di principio la massa di una banana
3.2 La radioattività quindi diminuisce col tempo (ma questa diminuzio-
ne è impercettibile con gli usuali strumenti, quindi
Se tuttavia si fanno esperimenti piú precisi si scopre
se tornate a casa con 990 g di banane avendone pa-
che in effetti non è esattamente cosí: ci sono casi nei
gato 1 kg significa che il vostro fruttivendolo vi ha
quali la massa effettivamente non si conserva, anche
truffato).
se non sono facili da osservare. Come già accennato
Per capire cosa succede in questi casi è neces-
sopra, in Chimica, ad esempio, facendo reagire alcu-
sario eseguire una o piú misure che permettano
ne sostanze in determinate proporzioni, si ottengono
di stabilire con quali caratteristiche avviene il de-
altre sostanze la cui massa è uguale alla somma delle
cadimento: solo cosí sarà possibile interpretare il
masse dei reagenti. Il carbonato di calcio (CaCO3 ),
fenomeno.
il comune calcare che si trova nell’acqua, si forma
Una delle misure che possiamo pensare di fare
mescolando calcio (Ca), carbonio (C) e ossigeno (O)
in questi casi consiste nel determinare quanto mi-
in proporzioni per cui, al fine di avere solo carbo-
nerale di cobalto si è trasformato in nichel in un
nato di calcio al termine della reazione, occorrono
determinato tempo (in questo caso descriviamo un
40.078 g di calcio, 12.0107 g di carbonio e 47.9982 g
esperimento virtuale: le misure reali si fanno diver-
di ossigeno. Se la legge di conservazione della massa
samente, ma non è qui il caso di entrare in questo
fosse esatta, ci aspetteremmo di trovare
tipo di dettagli). Supponiamo di avere, a un tempo
t = 0, una quantità M (0) = M0 di cobalto, in parti-
40.078 + 12.0107 + 47.9982 = 100.0932 g (3.1) colare di quello usato in radioterapia negli ospedali
(non tutto il cobalto è radioattivo: solo certe specie).
4
Questa Legge prende il nome di Legge di Lavoisier, A un tempo t successivo se ne misura una quantità
dallo scienziato francese Antoine Lavoisier che la formulò M (t). Si ripete la misura a tempi diversi, per esem-
basandosi sui dati sperimentali.
pio in giorni diversi, e si osserva che al crescere del
tempo la massa di cobalto presente nel minerale si

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3.2. LA RADIOATTIVITÀ 42

t (s) M (t) g
0 10.000 M (t) = At + B (3.2)
110 500 9.995
dove A < 0 rappresenta la pendenza della retta pas-
190 629 9.993
sante per i punti e B l’intercetta. Se si prova a verifi-
260 990 9.988
care matematicamente che tutti i punti appartenga-
342 350 9.983
no a una retta si fallisce miseramente. In effetti non
427 652 9.980
possiamo farlo, perché ogni misura è affetta da un
507 777 9.979
errore di cui si deve tenere conto. Sono questi errori
587 669 9.976
che causano le fluttuazioni dei punti sopra e sotto la
Tavola 3.1 Dati relativi alla misura di retta che li descriverebbe in assenza di questi. Come
massa di cobalto in funzione si fa?
del tempo, per un campione
iniziale di 10 g di cobalto per
radioterapia. 3.2.1 La regressione lineare
Non è difficile: basta cercare la retta che si avvicina
di piú ai dati sperimentali. Dobbiamo però inten-
derci su che vuol dire si avvicina. Una maniera è
la seguente: scegliamo un valore di ti (per esempio
t4 = 260 990 s) e supponiamo che la retta che descri-
ve i dati si possa esprimere come M (t) = At + B.
Il dato sperimentale corrispondente al valore di ti
scelto, M4 = 9.988 g, può stare un po’ sopra o un
po’ sotto la retta in questione. Quindi dista dalla
retta una quantità pari a

di = |Mi − (Ati + B)| . (3.3)


La retta che si avvicina di piú a tutti i punti è quella
che rende minima la distanza
Figura 3.1 La massa di cobalto in funzio-
ne del tempo. N
X
d= di . (3.4)
riduce sempre di piú. i=1

Nella Tabella 3.1 sono riportare alcune misure Come nel caso dell’equazione (2.26), aver a che fa-
di questo tipo. Non indichiamo gli errori nella ta- re con l’operazione di modulo è fastidioso. D’altra
bella, che assumiamo tutti uguali: questo semplifi- parte se d è la minima possibile anche d2 lo sarà,
ca la trattazione del problema. Gli stessi dati sono quindi basterà trovare i valori di A e B che rendono
riportati nella Figura 3.1. minimo il quadrato di quella distanza. Convenzio-
Dalla figura si nota una certa tendenza al decre- nalmente questa distanza si indica con la lettera gre-
mento, sebbene non particolarmente regolare: pos- ca χ (pronuncia chi), per cui definiamo il χ quadro
siamo ipotizzare che tra la massa del cobalto M (t) come
e il tempo t sussista una relazione semplice, come
N
quella rettilinea, vale a dire che possiamo pensare X
di scrivere un’equazione del tipo
2
χ = (Mi − Ati − B)2 . (3.5)
i=1

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3.2. LA RADIOATTIVITÀ 43

Nel caso in esame possiamo assumere che tutti i


punti abbiano lo stesso errore pari a 0.001 g, ma N
se uno dei punti avesse un errore molto piú grande
X
2
χ = SB 2 − 2 (SM − ASt ) B + Stt A2
degli altri, dovrebbe pesare meno nella scelta dei i=1
(3.11)
valori di A e B. Per fare in modo che sia cosí si −2ASM t + SM M ) .
possono dividere tutti gli addendi per la corrispon-
dente deviazione standard: in questo modo i punti Il vertice di questa parabola si trova in
con errore grande contribuiscono poco alla somma.
SM − ASt
Scriveremo allora che B= . (3.12)
S
X N 
Mi − Ati − B
2 Per inciso osserviamo che At + B dev’essere una
2
χ = . (3.6) massa quindi le dimensioni di B sono quelle di una
σi
i=1 massa [B] = [M ] e quindi si misura in grammi; an-
La pendenza e l’intercetta della retta si trovano che il prodotto At deve avere le dimensioni di una
trovando i valori di A e B che rendono minimo il massa il che significa che A possiede le dimensioni di
chi quadro. L’operazione che consente di trovare una massa diviso un tempo e si misura in grammi al
questi valori si chiama fit o regressione lineare. secondo (g/s). Corrispondentemente, nell’equazione
Espandendo il quadrato si trova che fornisce il valore di B per cui il chi quadro è mi-
nimo, la differenza SM − ASt ha le dimensioni di
N una massa alla meno uno (SM è una massa diviso
1 2 2
il suo errore al quadrato, quindi è una massa al-
X
2 2
χ = 2
ti A + (2Bti − 2Mi ti ) A + Mi +
i=1
σ i la meno uno; analogamente per ASt ); diviso per S,
2 che ha le dimensioni di una massa alla meno due,

B − 2Mi B .
(3.7) si ottiene una massa . Si verifica facilmente che an-
5

Allo scopo di semplificare i conti definiamo alcune che l’espressione di A è corretta dal punto di vista
grandezze: dimensionale.
Dall’ultima equazione scritta ricaviamo A in
X t2 X ti X Mi ti funzione di B come
i
Stt = St = SM t =
σi2 σi2 σi2 SM − BS
X ti X 1 X Mi A= (3.13)
St
SM M = S = SM =
σi2 σi2 σi2 che, sostituito nell’equazione che fornisce il valore
(3.8) di A dà
In questo modo l’equazione (3.7) si riscrive
SM − BS SM t − BSt
= . (3.14)
2 2 2
St Stt
χ = Stt A +(2BSt − 2SM t ) A+SM M +SB −2SM B .
Risolviamo per B moltiplicando entrambi i membri
(3.9)
per St Stt per trovare che
che è un polinomio di secondo grado in A, e che
quindi rappresenta una parabola il cui vertice ha
come ascissa il valore SM Stt − BSStt = SM t St − BSt St . (3.15)
SM t − BSt
A= . (3.10) e raccogliendo i termini con B a primo membro
Stt 5
I pedici usati nella definizione delle varie somme si
D’altra parte, anche come funzione di B il χ2 è una possono usare per determinare le dimensioni fisiche delle
parabola: somme.

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3.2. LA RADIOATTIVITÀ 44

B (St St − SStt ) = SM t St − SM Stt . (3.16)

Infine
SM t St − SM Stt
B= (3.17)
St St − SStt
Un rapido controllo dimensionale ci permette di af-
fermare che le dimensioni di B sono quelle attese.
Noto il valore di B quello di A si ottiene dall’equa-
zione (3.13). A questo punto non resta che mettere
i valori al loro posto. Usando un foglio elettronico,
per esempio, è facile costruire la Tabella 3.2. I valori Figura 3.2 I dati relativi al decadimento
delle celle nelle colonne D ed E e dalla riga 1 alla 8 del cobalto con il risultato del
sono calcolati automaticamente, con una formula. fit sovrapposto.
La riga 10 contiene la somma, calcolata automati-
camente, dei valori nella colonna corrispondente. A
questo punto basta mettere in una cella l’espressione 3.2.2 La costruzione di un modello
E10 ∗ B10 − C10 ∗ D10 Nel modello adoperato per ricavare i parametri del
= (3.18)
B10 ∗ B10 − 8 ∗ D10 decadimento del cobalto c’è sicuramente qualco-
dove 8 è il numero di dati che abbiamo a disposi- sa che non va: se davvero M (t) = At + B, a
zione (poiché tutte le σi = σ nel nostro caso sono un certo punto succederà che At = −B e quin-
uguali, S = σ82 e i valori di σ 2 si semplificano tra di M (t) = 0 e fin qui tutto bene, ma al crescere
numeratore e denominatore). Si ottiene cosí il valore di t la massa potrebbe diventare negativa e que-
sto non è ammissibile! È chiaro che la legge del
B = 10.000 , (3.19) decadimento che abbiamo ipotizzata, seppur veri-
ficata con i dati sperimentali, deve essere conside-
come del resto ci aspettiamo, visto che B deve coin-
rata solo un’approssimazione della vera legge del
cidere (entro gli errori) con M (0). Il valore di A
decadimento.
quindi vale
Proviamo a costruire un modello del decadimen-
to radioattivo. Quello che osserviamo sperimental-
A ' −42 × 10−9 gs−1 . (3.20)
mente è che certa materia si trasforma spontanea-
In sostanza abbiamo stabilito che il nostro minera- mente in altra materia a un ritmo apparentemen-
le di cobalto perde 42 ng ogni secondo (badate: la te costante, ma che potrebbe non esserlo. Il fat-
diminuzione della massa riguarda il cobalto, che si to che la trasmutazione non avvenga istantanea-
trasforma in nichel, quindi la perdita di massa com- mente per tutto il materiale radioattivo a un certo
plessiva del campione è molto piú piccola). In un istante fa pensare che il materiale non si trasfor-
anno ci sono 31 536 000 secondi, quindi la perdita di ma allo scadere di qualche intervallo di tempo, ma
massa del cobalto è di 1.32 g l’anno. Dal momento che la trasmutazione procede in maniera progressiva
che inizialmente avevano 10 g di cobalto, possiamo all’infinito.
dire che ogni anno il 13.2 % del cobalto si trasforma Facendo misure con diversi campioni si nota an-
in nichel. che che la perdita assoluta di massa di materia di
La Figura 3.2 mostra i dati con il risultato del fit un certo tipo aumenta all’aumentare della massa
sovrapposto.

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3.2. LA RADIOATTIVITÀ 45

A B C D E
i ti (s) Mi (g) t (s )
2 2
Mi ti (gs)
1 0 10.000 0 0.0
2 110 500 9.995 12 210 250 000 1 104 447.5
3 190 629 9.993 36 339 415 641 1 904 955.6
4 260 990 9.988 68 115 780 100 2 606 768.1
5 342 350 9.983 117 203 522 500 3 417 680.1
6 427 652 9.980 182 886 233 104 4 267 967.0
7 507 777 9.979 257 837 481 729 5 067 106.7
8 587 669 9.976 345 354 853 561 5 862 585.9
9
10 2 427 567 79.894 1 019 947 536 635 24 231 510.9
Tavola 3.2 Una tabella con i dati raccolti,
i quadrati dei tempi e i pro-
dotti Mi ti . Alla riga 10 si tro-
vano le somme dei dati nelle
rispettive colonne.

iniziale, il che significa che la percentuale di mate- All’appendice matematica si dimostra come questo
ria che subisce la trasformazione per unità di tempo significhi che M è funzione del tempo e si possa
dev’essere una frazione della massa iniziale, cioè scrivere come

∆M ∝ −M (3.21) M (t) = M (0) exp (−αt) (3.25)


avendo indicato con ∆M la differenza di massa tra che non è in contraddizione con il nostro modello
l’istante t e l’istante t = 0 (la massa diminuisce, semplificato, perché per t sufficientemente piccoli,
quindi questa differenza è negativa: per questo c’è M (t) si può approssimare piuttosto bene con una
il segno meno a secondo membro dell’equazione). andamento rettilineo. Per capire quanto piccolo de-
Inoltre ∆M aumenta col tempo apparentemente v’essere t perché l’approssimazione sia valida con-
linearmente, perciò dev’essere anche viene definire α, che ha le dimensioni fisiche di un
tempo alla meno uno, come
∆M ∝ t . (3.22)
1
Dovendo essere ∆M proporzionale sia a M che a t α= (3.26)
τ
possiamo scrivere che con τ avente le dimensioni di un tempo e che chia-
meremo tempo di decadimento. In questo modo
∆M = −αM t (3.23) M (t) si riscrive
dove α è una costante che dipende solamente dal
tipo di materiale radioattivo. Possiamo riscrivere
   
t t
l’equazione come M (t) = M (0) exp − ' M (0) 1 − .
τ τ
∆M (3.27)
= −αt . (3.24) A questo punto è immediato identificare il parame-
M
tro A della retta che abbiamo ricavato al paragrafo
precedente con

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3.3. LA TEMPERATURA 46

In definitiva, solo grazie alla necessità di definire


M (0)
A=− (3.28) in maniera opportuna una grandezza fisica abbiamo
τ cominciato a fare le prime scoperte! Abbiamo già un
per cui primo modello che possiamo considerare come una
Legge fisica.
M (0) 10
τ =− = ' 0.23 × 109 s . (3.29)
A 42 × 10− 9 3.3 La Temperatura
Questo tempo corrisponde a circa sette anni e mez-
Al paragrafo precedente abbiamo accennato alla
zo. Diremo pertanto che il tempo di decadimento
temperatura. Anche questa è una grandezza fisica
del cobalto è di 7.5 anni. Un altro modo di espri-
per la quale occorre definire una procedura opera-
mere questo risultato consiste nel valutare quanto
tiva per la sua determinazione. Cominciamo, come
tempo è necessario affinché la materia decaduta sia
al solito, con qualche semplice esperimento per cer-
pari alla metà di quella originale, cioè il valore di
care di definire bene cosa intendiamo per tempe-
t = t2 per cui
ratura. La prima cosa che viene in mente è che la
temperatura è associata alla sensazione di caldo e
di freddo. È chiaro che non possiamo definire la
 
t2 M (0)
M (t2 ) = M (0) exp − = . (3.30)
τ 2 temperatura in base a sensazioni soggettive: in una
classe c’è chi ha sempre freddo, anche in primave-
Prendendo il logaritmo di entrambi i membri e ra inoltrata e chi ha caldo anche in pieno inverno.
ricordando che log (1/2) = − log 2 abbiamo che Su una cosa però possiamo essere tutti d’accordo:
t2 mettendo le mani in due secchi pieni d’acqua pos-
− = − log 2 (3.31) siamo stabilire facilmente quale dei due è caldo e
τ
quale è freddo (purché la differenza di temperatu-
quindi ra sia abbastanza grande, ma questo è un problema
di sensibilità del nostro strumento costituito dalle
t2 = τ log 2 ' 5.2 anni . (3.32) mani). Il secchio di acqua fredda può apparire tale
Il tempo t2 si chiama tempo di dimezzamen- o meno alle diverse persone, ma appare sempre piú
to e ci dice quanto dobbiamo attendere prima che freddo dell’altro a tutti. Quindi i nostri sensi ci per-
il materiale sia decaduto per metà del suo peso mettono di stabilire se due sostanze hanno la stessa
iniziale. temperatura e, nel caso non ce l’abbiano, quale dei
Il modello a questo punto va confermato, eseguen- due è piú freddo.
do misure a tempi lunghi (rispetto al tempo di de- Se si mescola l’acqua nei due secchi succede che
cadimento, quindi per periodi di almeno 2–3 anni, l’acqua assume una temperatura intermedia tra
fino anche a 10). È anche necessario verificare se il quelle di partenza: quella calda si raffredda e quella
modello si adatta anche ad altre specie radioattive, fredda si riscalda. Qualcosa di simile accade se met-
misurando i tempi di decadimento di altri materiali. tiamo in contatto due corpi solidi o mescoliamo due
Gli esperimenti dicono che in effetti è cosí: il mo- gas.
dello funziona per tutti i materiali radioattivi e che Possiamo cosí sostenere che due corpi, posti a
ognuno di essi ha un suo specifico tempo di deca- contatto tra loro, prima o poi raggiungono una
dimento che dipende solo dalla specie (non dipende temperatura comune che chiamiamo temperatura
da altre variabili come quantità iniziale di materia- d’equilibrio. A quest’osservazione si dà talvolta il
le, luogo di reperimento dello stesso, temperatura, nome di principio zero della termodinamica.
etc.).

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3.3. LA TEMPERATURA 47

Ora facciamo un altro esperimento: cerchiamo dell’asta `0 . In altre parole piú è lunga l’asta immer-
una superficie in legno (la cattedra) e una in me- sa in acqua fredda, piú si allunga quando si mette
tallo (le gambe dei banchi) e tocchiamole. Quale nell’acqua calda:
delle due è piú calda? La risposta è quasi sempre
scontata: quella di legno. Basta pensarci un po’ ∆` ∝ `0 . (3.33)
per rendersi conto che non è possibile! O meglio, che
Dalle misure di lunghezza si vede anche che usando
non è possibile definire la temperatura nella maniera
aste di metalli diversi l’ampiezza dell’allungamento
in cui stiamo procedendo. Se infatti è vero il princi-
è diversa, quindi la proprietà di allungarsi col caldo
pio zero della termodinamica (e appare essere vero
dipende dal tipo di materiale. Per questa ragione
dal momento che tutti gli esperimenti di questo tipo
possiamo ritenere che quando non osserviamo alcun
danno il risultato atteso), le gambe e la superficie
allungamento, come nel caso di aste di materiali co-
dei banchi o della cattedra devono trovarsi alla stes-
me plastica o legno, è perché evidentemente l’entità
sa temperatura perché sicuramente sono in contatto
di quest’ultimo dev’essere molto piccola.
tra loro da molto tempo! E allora? Evidentemente
Per quanto i nostri sensi non ci permettano di
il senso del tatto non fornisce una misura della tem-
avere una misura assoluta di temperatura, abbiamo
peratura degli oggetti che tocchiamo: probabilmente
già osservato che sono capaci di trasmettere sensa-
misura qualcos’altro.
zioni che ci permettono di stabilire in maniera uni-
Facendo esperimenti con corpi caldi e freddi ci si
voca quale, tra due oggetti, sia piú o meno freddo
può imbattere in un fenomeno abbastanza curioso:
dell’altro. In questo modo possiamo disporre di una
in quasi tutti i casi, un corpo riscaldato aumento
serie di campioni di acqua a temperature diverse e
di volume. Poco, ma lo fa. Se non vediamo alcun
crescenti e osservare che l’allungamento delle aste
aumento in certi casi è perché evidentemente non
di lunghezza iniziale `0 quando immerse nell’acqua
abbiamo la sensibilità necessaria. Se vogliamo ca-
piú fredda, si allungano sempre di piú man mano
pirci qualcosa dobbiamo fare qualche misura e per
che l’acqua diventa piú calda. In particolare si ve-
farle in maniera ordinata dobbiamo usare sistemi
de che l’allungamento percentuale ∆`/`0 è lo stes-
che siano semplici, il cui comportamento cioè possa
so a parità di differenza di temperatura e a parità
dipendere solo da pochi parametri.
di materiale. Possiamo allora definire la differen-
Visto che quel che succede ai corpi riscaldati è che
za di temperatura ∆T come qualcosa che provoca
si espandono e che quindi cambiano forma, prende-
l’allungamento delle aste e scrivere che
re un oggetto dalla forma complicata non è il caso,
evidentemente: conviene lavorare con oggetti la cui ∆`
forma sia la piú semplice possibile! La cosa migliore ∆T = µ (3.34)
`0
è partire con qualcosa di molto lungo e stretto, in
dove µ è un parametro che dipende dal materiale
modo tale che si possa assimilare a una linea priva di
di cui è fatta l’asta. In questo modo due aste ugua-
spessore. Se quest’oggetto si dilata lo farà prevalen-
li di dilatano nello stesso modo se fatte passare da
temente lungo la sua lunghezza; le dimensioni tra-
una temperatura all’altra. Se la stessa asta si allun-
sversali cambieranno in modo impercettibile. Pren-
ga di piú significa che la differenza di temperatura
diamo quindi un’asta di qualche materiale e immer-
è maggiore. Visto che le aste si allungano passando
giamola in acqua fredda. Ne misuriamo la lunghez-
dal freddo al caldo, ∆` = ` − `0 > 0 di conseguen-
za, poi la immergiamo in acqua calda e misuriamo
za anche ∆T dev’essere positiva se attribuiamo a µ
nuovamente la sua lunghezza. Se l’asta è di metal-
questo stesso segno e quindi un oggetto freddo de-
lo (ferro, rame, alluminio, etc.), quello che si vede
ve avere una temperatura piú bassa di uno caldo.
dagli esperimenti è che l’allungamento ∆` = ` − `0 ,
L’allungamento subíto da un’asta passando da una
dove ` è la lunghezza dell’asta calda e `0 quella del-
temperatura a un’altra maggiore è
l’asta fredda, è proporzionale alla lunghezza iniziale

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3.3. LA TEMPERATURA 48

riferimento preciso per attribuire un valore alla sua


∆` ∆T temperatura. Definiamo la temperatura dell’acqua
= . (3.35)
`0 µ che sta ghiacciando (o del ghiaccio che sta fonden-
Se a parità di differenza di temperatura un’asta si do) come quella che corrisponde al valore T = 0 in
allunga piú d’un’altra significa che il parametro µ un’unità che chiamiamo grado Celsius. Indichia-
dell’asta che si allunga di piú è piú piccolo. Per dare mo quest’unità con il simbolo ◦ C. Facendo salire
maggiore naturalezza a questo parametro possiamo la temperatura dell’acqua, scaldandola sul fuoco, a
definire un certo punto questa inizia a bollire. Quando si
giunge a questo punto abbiamo un altro chiaro ri-
1 ferimento per attribuire un valore a questa tempe-
α= (3.36)
µ ratura che definiamo essere quella che corrisponde
cosí al valore di T = 100◦ C. Dividendo quest’intervallo
in cento parti, l’ampiezza di ciascuno corrisponde a
∆`
= α∆T . (3.37) un grado.
`0 Se abbiamo un’asta di alluminio che immersa nel
Il parametro α, che come µ dipende dal materiale ghiaccio è lunga 1 m, immergendola in acqua bol-
di cui è fatta l’asta, lo chiamiamo coefficiente di lente si allunga di circa 2.2 mm. Il coefficiente di
dilatazione termica. Maggiore è il valore di α piú dilatazione termina dell’alluminio quindi vale
grande sarà l’allungamento a parità di tutte le altre
condizioni. ∆` 1 2.2 × 10−3 1
Se definiamo cosí la temperatura possiamo esegui- α= = = 2.2 × 10−5 ◦ C−1
`0 ∆T 1 100
re una misura di temperatura facendo, di fatto, una (3.38)
misura di lunghezza! Basta trovare due punti di rife- Di conseguenza un allungamento di 0.022 mm del-
rimento cui attribuire un valore arbitrario e il gioco l’asta corrisponde a un incremento di temperatura
è fatto. Nel corso del tempo sono state fatte le scelte di un grado. Cosí ora abbiamo la possibilità di misu-
piú fantasiose: ad esempio Gabriel Fahrenheit definí rare in maniera oggettiva la temperatura di qualun-
lo zero della scala termica come la temperatura piú que cosa: basta metterla in contatto con la nostra
bassa che riusciva a raggiungere nel suo laboratorio, asta di alluminio che cosí diventa un termometro,
mentre come temperatura pari a 100 gradi quella cioè uno strumento per misurare la temperatura.
del sangue del suo cavallo (!). Evidentemente una Certo, non è molto pratico, ma almeno il principio
tale scala non poteva sopravvivere all’uso in fisica e lo è e possiamo usarlo per costruire un oggetto piú
fu rapidamente soppiantata dalla scala proposta da semplice da usare.
Anders Celsius che porta il suo nome6 . Se invece di un’asta rigida usassimo un liquido,
La scala Celsius si basa sulle proprietà dell’acqua. anche questo si espanderebbe con la temperatura,
Anche se l’acqua si comporta in modo anomalo ri- ma dovrebbe essere contenuto in un recipiente, che
spetto alle altre sostanze: quando è molto fredda, ad tuttavia potremmo costruire in un materiale con
esempio, se la si raffredda ulteriormente non dimi- coefficiente di dilatazione molto piú piccolo in modo
nuisce il proprio volume, ma lo aumenta come è faci- da renderne trascurabile la variazione di volume. Se
le constatare mettendo una bottiglia piena d’acqua come recipiente usiamo un tubo lungo e stretto, per
in un freezer. Nonostante ciò si presta bene al no- quanto esistano liquidi ad alta espandibilità come
stro scopo. Il fatto che l’acqua ghiacci ci permette di l’etanolo (il cui coefficiente è α = 25 × 10−5 ◦ C−1 ) ,
usare il punto di solidificazione dell’acqua come un possiamo sperare di ottenere espansioni piú ampie,
6
Nell’uso comune però i Paesi anglosassoni hanno conser-
ma comunque molto piccole. Possiamo però usare
vato, per campanilismo, questa scala, come del resto hanno un trucco: il liquido lo mettiamo in un recipiente
fatto sulle scale di lunghezza. di forma qualunque (per esempio una sfera) di di-

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3.3. LA TEMPERATURA 49

mensioni relativamente grandi, collegato a un sot- Noto il coefficiente di espansione lineare, quello di
tile capillare. Espandendosi, il liquido comincia a volume si ricava moltiplicandolo per tre. Possiamo
risalire lungo il capillare. Ma di quanto? A questo verificare sperimentalmente questa legge che vale
punto bisogna capire quanto aumenta il volume di per tutti i materiali isotropi (che si espandono nel-
una sostanza quando è riscaldata. Per capirlo im- lo stesso modo in tutte le direzioni). A questo punto
maginiamo di disporre di dodici sottilissime aste di abbiamo tutti gli ingredienti per predire cosa suc-
materiale che si espande con la temperatura, con le cede all’etanolo contenuto in una sfera di raggio R.
quali costruiamo un cubo di cui ogni asta costituisce Il suo volume a una data temperatura alla quale è
uno spigolo. interamente contenuto nella sfera è
Aumentando la temperatura ogni asta aumenta la
propria lunghezza di ∆` = `0 α∆T . Di conseguenza 4
V = πR3 . (3.45)
aumenta il volume del cubo. Cerchiamo di calcolare 3
la differenza di volume tra un cubo a temperatura T Se la temperatura aumenta il suo volume aumenta
e uno a temperatura T 0 = T + ∆T . A temperatura di
T il volume del cubo è
∆V = 3V α∆T = 4πR3 α∆T, . (3.46)
V = `30 . (3.39) Se l’espansione può avvenire in un cilindro di raggio
Alla temperatura T 0 il volume del cubo è r e altezza h dev’essere

V 0 = `3 = (`0 + ∆`)3 . (3.40) 3V α∆T = 4πR3 α∆T = πr2 h . (3.47)


Espandiamo il cubo: Quindi l’altezza della colonna di etanolo nel
capillare vale

V 0 = `30 + ∆`3 + 3`20 ∆` + 3`0 ∆`2 . (3.41) R3


h=4
α∆T . (3.48)
r2
La differenza V 0 − V quindi vale Se R = 5 mm e r = 0.1 mm l’altezza della colonna
è

V 0 − V = ∆`3 + 3`20 ∆` + 3`0 ∆`2 . (3.42) 125


α∆T mm h=4 (3.49)
0.01
Ora osserviamo che ∆` = α`0 ∆T è un numero pic- e per un aumento di un grado di temperatura
colo (sicuramente minore di uno) che, se elevato al l’etanolo sale di
quadrato, diventa ancora piú piccolo, per non par-
lare di quando è elevato al cubo! Quindi ∆`3 è tra-
scurabile rispetto a ∆`. Lo stesso vale per l’adden- h = 4×12 500×25×10−5 ×1 mm = 1.25 cm . (3.50)
do proporzionale a ∆`2 . Di conseguenza possiamo
scrivere Ora possediamo uno strumento capace di misu-
rare la temperatura con una sensibilità notevole! Di
V 0 − V ' 3`20 ∆` (3.43) certo potremo apprezzare differenze di altezza del-
l’ordine del millimetro, almeno, corrispondenti a un
che divisa per V dà
decimo di grado.

V −V0 ∆V 3`2 ∆` ∆`
= = 03 = 3 = 3α∆T . (3.44)
V V `0 `0

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Unità Didattica 4
Calore e temperatura

Con un termometro possiamo misurare le tempe- è sempre la temperatura media delle temperature
rature in modo oggettivo. Resta da capire perché iniziali: Teq = (T1 + T2 ) /2.
percepiamo una sensazione diversa quando tocchia- Proviamo a cambiare la quantità di acqua che me-
mo il metallo o il legno e cosa provoca le variazioni scoliamo con l’altra: per esempio, mescoliamo un
di temperatura. bicchiere d’acqua a temperatura T1 , che contiene
Il progresso della Fisica (e delle altre scienze) di una massa d’acqua pari a m1 , con mezzo bicchiere
solito si snoda attraverso strade piuttosto tortuose di acqua a temperatura T2 di massa pari a m2 . Se si
che includono errori e interpretazioni sbagliate dei lascia invariata m1 e si cambia m2 tra una misura
dati sperimentali, che costringono a ripensare i mo- e l’altra si trova che all’aumentare di m2 la tem-
delli e talvolta a tornare indietro per intraprendere peratura di equilibrio è sempre piú vicina a T2 . Se
strade che erano state abbandonate. A volte è utile m2 = 0 evidentemente Teq = T1 quindi la legge che
ripercorrere, almeno parzialmente, tali strade, per- determina Teq dev’essere del tipo
ché sbagliando s’impara ed è anche attraverso la
conoscenza degli errori fatti dai nostri predecessori m1 T1 + m2 T2
Teq = . (4.1)
che s’impara qualcosa di piú non tanto della Fisi- m1 + m2
ca, quanto del Metodo. È quello che facciamo in Se m2 = 0, infatti, Teq = T1 e quando m2  m1
questo capitolo. possiamo scrivere che
m2 T2
Teq ' ' T2 . (4.2)
4.1 La teoria del calorico m2
Basta fare una serie di esperimenti con diversi va-
Quando mettiamo in contatto due oggetti a tempe- lori di m2 per verificare che in effetti è cosí. Se ora
ratura diversa, entrambi raggiungono una tempe- al posto dell’acqua, nel secondo bicchiere mettia-
ratura che definiamo di equilibrio intermedia tra mo altre sostanze, vediamo che vale la stessa legge,
quelle iniziali dei due corpi. Per capire cosa avviene ma con una differenza: è come se la massa m2 fos-
in questi casi si deve fare un esperimento nel quale se diversa da quella effettivamente usata. Possiamo
si mettono in contatto due sostanze a temperatura interpretare questo fatto assumendo che in effetti la
diversa. Inizialmente conviene mettersi in una con- temperatura di equilibrio che si ottiene dipende non
dizione semplice che consiste nel misurare la tem- solo dalla massa della sostanza, ma anche dal tipo
peratura di equilibrio raggiunta da due corpi iden- di sostanza.
tici, tranne che per la temperatura. Se, ad esempio, Se mescoliamo a m1 = 0.1 kg di acqua a T =
prendiamo un bicchiere d’acqua a T1 = 20◦ C e uno 20◦ C con m2 = 0.2 kg d’acqua a T = 30◦ C, la
a T2 = 40◦ C, mescolando insieme i due campioni temperatura d’equilibrio è
otteniamo acqua a temperatura Teq = 30◦ C.
Se cambiamo la temperatura di uno dei due bic-
chieri la temperatura di equilibro che si raggiunge
4.1. LA TEORIA DEL CALORICO 52

non è la quantità di liquido che determina il ver-


so nel quale avviene il trasferimento, ma l’altezza:
m1 T1 + m2 T2 0.1 × 20 + 0.2 × 30
Teq = = ' 27◦ C . se un recipiente è lungo e stretto e l’altro largo e
m1 + m2 0.1 + 0.2 basso, nel primo può starci meno liquido che nel se-
(4.3)
Se invece di aggiungiamo all’acqua a temperatu- condo, ma se è piú alto il liquido si trasferisce da
ra T1 , la stessa quantità d’etanolo a temperatura questo all’altro e non viceversa. Il passaggio di li-
T2 la temperatura che la miscela raggiunge è di quido si arresta quando il livello nei due recipienti
Teq ' 25◦ C. È come se avessimo introdotto nella è lo stesso.
miscela meno liquido. Dal punto di vista puramente Sembrerebbe del tutto logico, a questo punto, fa-
matematico possiamo scrivere che la temperatura di re un’analogia secondo la quale il ruolo dell’altezza
equilibrio raggiunta dalla miscela si può esprimere del liquido è giocato dalla temperatura, mentre la
come quantità di liquido contenuto in ciascun recipiente è
analogo alla quantità di qualcosa che si deve trova-
m1 T1 + c2 m2 T2 re nei corpi in proporzione alla loro massa e secondo
Teq = , (4.4) il tipo di sostanza. In altre parole sembrerebbe ra-
m1 + c2 m2
gionevole pensare che nei corpi sia contenuto una
dove c2 è un coefficiente (in questo caso minore di
specie di fluido, che possiamo chiamare fluido ca-
uno) che dipende dal tipo di materiale usato nel-
lorico, che passa da un corpo caldo a uno freddo
la miscela. Per ogni sostanza possiamo misurare un
fino a quando non s’instaura un equilibrio.
valore di c2 che dipende solo dal tipo di sostanza
Possiamo individuare la natura di questo fluido
impiegata e possiamo perciò scrivere, in generale,
analizzando la relazione che ci dà la temperatura
che mescolando due sostanze qualunque i cui coef-
d’equilibrio che, moltiplicata per c1 m1 + c2 m2 si
ficienti sono rispettivamente c1 e c2 , la temperatura
riscrive come
di equilibrio raggiunta sarà pari a
c1 m1 T1 + c2 m2 T2
Teq = . (4.5) c1 m1 Teq + c2 m2 Teq = c1 m1 T1 + c2 m2 T2 (4.6)
c1 m1 + c2 m2
Per l’acqua il coefficiente cacqua = 1. Cerchiamo ora che si può a sua volta riscrivere portando i termini
di dare un senso fisico alle misure che abbiamo fat- con m2 a primo membro e quelli con m1 a secondo
to. Se mescolando una sostanza calda a una fredda membro:
la prima si raffredda e la seconda si riscalda, fino
a quando non raggiungono la stessa temperatura, c2 m2 (Teq − T2 ) = c1 m1 (T1 − Teq ) . (4.7)
significa che molto probabilmente la sostanza cal-
da perde qualcosa che finisce nella sostanza fred- Chiamando ∆T1 = Teq − T1 la variazione di tem-
da. La perdita di questo qualcosa si manifesta come peratura della sostanza 1 (cioè la differenza tra la
un abbassamento della temperatura, mentre l’acqui- temperatura finale e quella iniziale) e ∆T2 = Teq −T2
sto come un innalzamento. Il passaggio di questo quella della sostanza 2, l’equazione sopra scritta
qualcosa dalla sostanza calda alla sostanza fredda diventa
si arresta quando si raggiunge un equilibrio nelle
temperature. c2 m2 ∆T2 = −c1 m1 ∆T1 , (4.8)
Tutto fa pensare a un analogo idraulico: se met- o, il che è lo stesso,
tiamo in contatto due recipienti contenenti un liqui-
do attraverso un tubo, questo comincia a passare dal c2 m2 ∆T2 + c1 m1 ∆T1 = 0 . (4.9)
recipiente nel quale il livello è piú alto a quello nel
quale il livello del liquido è piú basso. Notate che Ciascun addendo rappresenta la variazione di una
quantità che si scrive come il prodotto ci mi ∆Ti . ci e

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4.2. TRASPORTO DEL CALORE 53

mi non cambiano nel corso del processo di mescola- capacità termica in analogia alla capacità di un
mento, ma ∆Ti sí e può essere positiva o negativa, recipiente: tanto maggiore è questo prodotto, infat-
secondo che la temperatura finale sia piú alta o piú ti, tanto maggiore è la quantità di calore che un
bassa di quella di partenza. La variazione comples- corpo può immagazzinare.
siva di questa quantità è nulla il che si traduce nel
fatto che questa quantità è conservata, cioè re-
sta costante. La teoria del fluido calorico sembra 4.2 Trasporto del calore
confermata: se pensiamo che la sostanza i possieda
Quando il calore passa da un corpo piú caldo a uno
una certa quantità iniziale di fluido Qi = ci mi Ti ,
piú freddo non lo fa istantaneamente. Prima che si
mescolandola con un’altra, quella che ne ha di piú
raggiunga l’equilibrio termico occorre un certo tem-
la cede all’altra fino a quando le quantià di fluido
po. Tra la fase iniziale in cui i due corpi hanno tem-
possedute da ciascuna sono uguali. Quindi il fluido
peratura diversa e quella finale in cui i corpi so-
ceduto dall’una ∆Q1 = c1 m1 ∆T1 dev’essere acqui-
no tutti alla stessa temperatura ce n’è una di non
stato dall’altra la cui quantità di fluido aumenta di
equilibrio durante la quale avviene il passaggio di
∆Q2 = c2 m2 ∆T2 . La quantità di fluido che passa
calore.
dall’una all’altra sostanza ∆Qi la possiamo chia-
La quantità di calore che passa dal corpo caldo a
mare calore che è una grandezza fisica perché
quello freddo è evidentemente proporzionale al tem-
misurabile: basta misurare la quantità di sostanza
po durante il quale avviene il contatto: piú è lungo
mi , conoscere il tipo di sostanza per cui ci è noto e
questo tempo piú calore passa. Se s’interrompe il
misurare la variazione di temperatura ∆Ti .
passaggio prima che si raggiunga l’equilibrio una
Se il calore è una grandezza fisica gli si deve attri-
certa quantità di calore è comunque passata e le
buire un’unità di misura: possiamo farlo scegliendo
temperature dei corpi a contatto si modificano co-
un processo da prendere come riferimento cui at-
munque, anche se non raggiungono una condizione
tribuire un valore convenzionale e arbitrario. Come
di equilibrio. In prima approssimazione possiamo di-
riferimento possiamo prendere l’acqua: diremo che
re che il calore ∆Q che passa in un tempo ∆t quando
il calore si misura in calorie (cal) e che una caloria
due corpi sono posti a contatto l’uno con l’altro è
(1 cal) è la quantità di calore necessaria a innalzare
proporzionale a questo tempo:
la temperatura di 1 g d’acqua di 1 ◦ C1 . In questo
modo, dall’equazione
∆Q ∝ ∆t . (4.12)
∆Q = cm∆T (4.10) Facendo qualche misura, anche grossolana, si capi-
sce facilmente che la quantità di calore che transita
ricaviamo che il coefficiente c non può essere adi-
da un corpo all’altro dipende dalla differenza di tem-
mensionale, come sembrava inizialmente, ma deve
peratura ∆T tra i due corpi: se si mette ghiaccio in
avere le dimensioni di
acqua calda, questo si scioglie molto prima che se lo
[∆Q] s’immerge in acqua appena uscita da un frigorifero.
[c] = (4.11) Possiamo quindi scrivere che
[m∆T ]
cioè di una quantità di calore per unità di massa ∆Q
e di variazione di temperatura. Di conseguenza c, ∝ ∆T . (4.13)
∆t
che chiameremo calore specifico di una data so- che significa che la rapidità con la quale il calo-
stanza, si misura in calorie per grado per grammo re si trasferisce da un corpo all’altro dipende dalla
(cal/g·◦ C). Al prodotto C = cm si dà il nome di differenza di temperatura tra i corpi. In questo ca-
1
A dir la verità dovremmo essere piú precisi nel descrivere so ∆Q è la quantità di calore sottratta all’acqua e
questo processo, ma il principio resta valido. ∆T = Tacqua − Tghiaccio la differenza di temperatura,

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4.2. TRASPORTO DEL CALORE 54

che è positiva. Se ∆Q è il calore sottratto dev’es- le molto a fare un esperimento di questo tipo per
sere negativo perciò scriveremo piú propriamente verificarlo, per cui dovrà anche essere che
che
∆Q
∝ −kA∆T . (4.16)
∆Q ∆t
∝ −∆T . (4.14)
∆t Del resto, è anche chiaro che nella fase di riscalda-
Notate che se ∆Q rappresenta il calore acquistato mento, la temperatura del corpo freddo comincia a
dal ghiaccio (positivo), ∆T = Tghiaccio −T acqua < 0 cambiare vicino alla superficie di contatto col corpo
e il segno − fa tornare i conti. È anche evidente che caldo e solo col passare del tempo questo calore si
il calore che si può sottrarre a un corpo caldo di- diffonde a tutto il corpo. La rapidità con cui questo
pende dal tipo di materiale di cui sono fatti i corpi. avviene dipende da quanto è esteso il corpo nella
Se acquistate gelato in vaschetta, ve lo mettono in direzione perpendicolare alla superficie di contatto.
un recipiente di polistirolo e non in uno di metallo. Per tornare all’esempio del gelato, se vi consegnas-
Infatti il calore si trasmette con difficoltà dal poli- sero un chilo di gelato in una vaschetta di polistirolo
stirolo al gelato, mentre passa con relativa facilità dello spessore paragonabile a quello di un bicchieri-
dal metallo al gelato. Anche se ponete un cubetto no per caffè usa e getta, probabilmente arriverebbe
di ghiaccio su una tavola di legno osserverete che si a casa sciolto. La vaschetta, per essere efficace, deve
scioglie piú lentamente di quanto faccia se poggiato possedere uno spessore ∆x ragionevolmente grande.
su una lastra di metallo. Evidentemente è piú facile Piú è grande ∆x e minore è la quantità di calore
per il calore passare dal metallo al ghiaccio piutto- trasferita, perciò scriveremo che
sto che dal legno al ghiaccio. Quest’osservazione po-
trebbe anche spiegare il fallimento del nostro primo ∆Q ∆T
∝ −kA . (4.17)
esperimento che consisteva nel toccare la superficie ∆t ∆x
di legno e i piedi in metallo di un banco: la sensazio- Il coefficiente di proporzionalità possiamo sceglierlo
ne che si provava era di freddo toccando il metallo e in maniera arbitraria se provvediamo a definire k
di caldo toccando il legno. Ora si comprende come con le opportune unità e naturalmente la scelta piú
questa sensazione non sia legata alla temperatura conveniente è 1, quindi
(che per quanto sopra dev’essere la stessa per legno
∆Q ∆T
e metallo), ma alla rapidità con la quale fluisce il = kA . (4.18)
calore dal nostro corpo alla superficie toccata, che ∆t ∆x
è a temperatura piú bassa. Con questa scelta le dimensioni si k sono
Possiamo caratterizzare questo comportamen-
to introducendo un coefficiente k che chiamere- 
∆Q ∆x 1
 
QL
 
Q

mo conducibilità termica caratteristico di ogni [k] = = = (4.19)
∆t ∆T A tT L2 tT L
materiale, e scriveremo che
avendo indicato con [t] le dimensioni fisiche del tem-
∆Q
∝ −k∆T . (4.15) po e con T quelle della temperatura, per distinguer-
∆t le. Le unità con le quali si misura la conducibilità
Una volta che il calore ha abbandonato la superficie termica sono dunque quelle di calorie al secondo per
del corpo caldo, penetra in quello freddo attraver- grado per metro (cal/s·◦ C·m). La modalità di tra-
so la superficie di contatto ed è quindi ragionevole sferimento di calore che abbiamo analizzata è quella
aspettarsi che la quantità di calore che passa per che si definisce conduzione che ha senso se si parla
unità di tempo sia tanto piú grande quando piú è di passaggio di calore tra due solidi. Nel caso dei
grande l’area A di questa superficie. Non ci vuo- fluidi le caratteristiche che determinano il passag-
gio di calore da una sostanza all’altra sono diverse.

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4.2. TRASPORTO DEL CALORE 55

Studiamo un caso intermedio: quello di un solido in di caldo o di freddo non dipende dalla temperatura,
contatto termico con un fluido. L’esempio è quello ma dalla rapidità con la quale il calore fluisce via
del banco, la cui superficie e le cui gambe sono in dal nostro corpo, perciò ∆Q∆t
deve dipendere dalla
contatto termico con l’aria circostante. velocità v del fluido, ma non possiamo scrivere
In questo caso, la prima parte delle osservazio-
ni fatte nel caso della conduzione funziona ancora: ∆Q
∝ −Avh∆T , (4.22)
la rapidità con la quale il calore passa da un cor- ∆t
po caldo a uno freddo dipende dalla differenza di perché il fluido che passa nelle vicinanze del solido
temperatura e dalla superficie di contatto: non ha una velocità uniforme. Se dirigete il getto del
vostro asciugacapelli parallelamente a un tavolo ve-
∆Q drete, disponendo sul tavolo coriandoli di carta, che
∝ −A∆T . (4.20)
∆t lo strato di aria vicino al tavolo è molto veloce, ma
In questo caso per differenza di temperatura s’inten- la velocità diminuisce man mano che ci si allontana
de quella che esiste tra la superficie del solido e quel- da questa.
la che il fluido possiede lontano da questa. Vicino L’unica cosa che possiamo dire, a questo livello, è
alla superficie del solido, infatti, il fluido assumerà che h deve dipendere dalle caratteristiche del moto
una temperatura simile. Il principio è usato nei ra- del fluido (non solo dalla sua velocità, ma anche da
diatori (delle automobili, delle CPU dei computer, quanto il moto è turbolento, da quanto il liquido è
dei termosifoni) che sono costruiti in modo tale da viscoso, etc.). Diremo allora che il passaggio di ca-
avere la forma di molte ali in modo da massimizzare lore per convezione, come viene chiamato questo
la superficie esposta all’aria. Anche in questo caso la meccanismo, si può descrivere con l’equazione
quantità di calore che fluisce dipende da qualche ca-
ratteristica tipica del materiale che indichiamo con ∆Q
= −Ah∆T , (4.23)
un coefficiente h ∆t
avendo fatto le stesse considerazioni sulla scelta del
∆Q coefficiente di proporzionalità che abbiamo fatto per
∝ −Ah∆T , (4.21)
∆t la conduzione. Il valore di h lo si determina speri-
Ora non ha molto senso parlare di spessore di aria mentalmente ogni volta e al contrario di k non di-
che il calore deve attraversare, almeno nei casi in cui pende solo dal tipo di materiale, ma anche dalle sue
l’aria non è contenuta essa stessa in un recipiente. In condizioni complessive.
fondo il banco è in contatto con l’aria che si esten- Lo stesso meccanismo s’impiega per descrivere
de, al limite, a tutta quella contenuta nell’atmosfera quel che avviene nello scambio di calore tra due flui-
terrestre. È come se fosse ∆x ' ∞ e quindi non può di. Per esempio, quando si prepara la colazione e il
essere lo spessore di aria a determinare la rapidità latte è troppo caldo, lo si agita col cucchiaino in mo-
con la quale il calore si disperde. Dev’essere, anzi, do che la superficie di contatto con l’aria s’incurvi,
qualche altra proprietà che prima non aveva senso aumentando e favorendo la convezione del calore dal
considerare come la sua velocità: quando c’è vento latte all’aria. Contemporaneamente, il moto turbo-
abbiamo una percezione di freddo maggiore; l’aria lento del latte ne fa aumentare il valore di h il che
calda proveniente da un asciugacapelli produce una favorisce la perdita di calore. Anche l’aria circostan-
maggiore sensazione di caldo se esce dall’elettrodo- te si mette in moto, trascinata dalla superficie del
mestico con velocità maggiore; lo sventolare di un latte che forma un vortice.
ventaglio o la rotazione delle pale di un ventilatore In definitiva la convezione consiste nel fatto che
producono sensazioni di fresco e sulle CPU dei com- il trasporto del calore è affidato in gran parte al
puter si montano spesso ventole che smuovano l’aria trasporto di materia: nel caso del contatto tra aria
circostante. Abbiamo già osservato che la sensazione e solido, l’aria si sposta dai punti vicini al solido

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4.3. FALSIFICARE UNA TEORIA 56

a quelli lontano trasferendo lontano anche il calore 4.3 Falsificare una teoria
perso dal solido; nel caso dei fluidi miscelati, come
nel caso dei due liquidi, il moto dei fluido in una Non ci vuole molto a capire che la teoria sviluppa-
certa misura aiuta il trasporto del calore. La pa- ta due paragrafi sopra è falsa, nell’accezione che dà
rola convezione infatti è stata coniata dal latino Karl Popper a questo termine (si veda, ad esem-
convehere che vuol dire, appunto, trasportare. pio, [?]). Con questo termine non s’intende una teo-
Esiste un ulteriore meccanismo attraverso il quale ria sviluppata attraverso la truffa o avendo delibera-
il calore si propaga, che è chiamato irraggiamento. tamente trascurato d’includere alcune osservazioni
Accendendo un forno a legna e portandolo ad alta per corroborare il proprio punto di vista: significa
temperatura, avvicinandosi con le mani si percepi- che, sebbene la teoria spieghi le osservazioni dalle
sce il calore fluire fuori dal forno. Se però la bocca quali è stata dedotta, non riesce a spiegare osser-
del forno è chiusa da un portello metallico, il ca- vazioni ulteriori che dovrebbero rientrare nell’ambi-
lore che si percepisce è inferiore. La cosa potrebbe to di questa. In sostanza le predizioni di questa
apparire normale, ma non è cosí: nel nostro model- teoria relativamente ai fenomeni che hanno portato
lo quello che dovrebbe succedere è che inizialmente, alla sua formulazione sono vere, ma se s’includono
appena chiuso il portello, il calore del forno è tra- altri fenomeni non siamo piú in grado di spiegarli.
sferito a quest’ultimo per convezione dal forno al Un altro filosofo della scienza, Imre Lakatos (vedi lo
metallo e quindi il metallo raggiunge relativamen- stesso libro di Giorello in [?]), direbbe che la teoria
te presto la temperatura di equilibrio del forno. A del calorico non possiede euristica positiva.
questo punto dovrebbe cominciare a perdere calore Vediamo quali sono i fenomeni che la teoria del
esattamente come farebbe il forno se non ci fosse il calorico non riesce a spiegare. Basta fare due sem-
portello. Ma non è cosí. Evidentemente una parte plici esperimenti: il primo consiste nell’esporre un
del calore riesce a sfuggire dal forno con la luce pro-bicchier d’acqua al Sole. Come tutti sanno l’acqua si
dotta dalle fiamme. Coprendo quella luce si riduce scalda. Il secondo esperimento consiste nel prendere
l’effetto. un pezzo di carta vetrata e strofinare, con questa,
Tra l’altro il calore deve poter fluire anche in as-un pezzo di metallo o di qualunque altro materiale2 :
senza di un mezzo che lo trasmetta, anche se con in questo caso sia il metallo che la carta vetrata si
un’efficienza minore rispetto al caso della convezio- scaldano3 .
ne o della conduzione. In effetti sulla Terra arriva il Se il primo esperimento si può spiegare ammet-
calore del Sole e non c’è praticamente alcun mezzo tendo che la luce trasporti calore (ma della luce non
attraverso cui possa avvenire la conduzione o la con- sapremmo misurare la temperatura), il secondo è
vezione. Sole e Terra sono sostanzialmente separati del tutto inspiegabile. Se davvero il calore fosse un
dal vuoto. Misurando la quantità di calore che flui- fluido contenuto nei corpi, questo potrebbe passare
sce per unità di tempo per irraggiamento da corpi da un corpo all’altro, ma come fa a passare in en-
a diversa temperatura si trova che trambi quando due corpi sono sfregati l’uno contro
l’altro? Bisognerebbe ammettere che questo fluido si
∆Q
= σεT 4 (4.24) genera in qualche maniera quando i due corpi ven-
∆t gono a contatto, ma bisognerebbe capire come mai
dove T è la temperatura del corpo radiante. σ è una non basta il semplice contatto per produrre questo
costante detta costante di Stefan–Boltzmann 2
Si possono pensare molte varianti di questo esperimento,
che vale σ = 1.35 × 10−8 cal/(s·◦ C4 m2 ). ε è un nu- come quella che consiste nel fare un buco con un trapano, o
mero (adimensionale) 0 6 ε 6 1 che dipende dalle anche fare esperimenti piú semplici come quello di sfregarsi
caratteristiche della superficie del corpo radiante: 1 le mani.
se è nera, 0 se bianca o a specchio.
3
Nel caso in cui si fa un buco col trapano si scaldano sia
la punta del trapano che l’oggetto forato.

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4.3. FALSIFICARE UNA TEORIA 57

fluido, ma occorre uno sfregamento. In effetti basta brio di un sistema in cui si mescolino le fasi cambia
si verifichi una qualche forma di urto per generare al cambiare della quantità di sostanza che cambia
calore perché, ad esempio, se si picchia forte con un stato. Per esempio, mescolando mg g di ghiaccio con
martello la testa d’un chiodo questa si scalda! E lo ma g di acqua, la temperatura T dell’acqua che si
sfregamento si può interpretare come una successio- raggiunge se il ghiaccio si scioglie completamente
ne di piccolissimi urti tra le microscopiche sporgenze è proporzionale alla quantità di ghiaccio sciolta e
presenti sulla superficie dei corpi. In definitiva è ne- inversamente proporzionale alla massa d’acqua. In
cessario, per produrre calore, che due corpi siano in formule possiamo scrivere
moto relativo tra loro e che qualcosa si opponga a
questo moto. λmg
T = Ti − (4.25)
Sebbene si possa pensare alla luce come formata cma
da un flusso di corpuscoli che colpendo gli oggetti dove Ti è la temperatura iniziale dell’acqua. Questo
illuminati li riscaldino allo stesso modo di come fa significa che per sciogliere mg g di ghiaccio serve
un martello che colpisce un chiodo, altri esperimenti una quantità di calore ∆Q pari a
dimostrano che l’interpretazione di questo fenome-
no non è cosí semplice. Se per esempio si collegano ∆Q = λmg (4.26)
i due poli di una pila elettrica con un filo metallico,
e la costante λ prende il nome di calore latente
quest’ultimo si scalda, senza che apparentemente ci
di fusione del ghiaccio e vale λ ' 80 cal/g4 . In
sia alcunché che si muova. Anche se si versano certi
maniera del tutto analoga, per far evaporare una
sali in acqua, quando questi si sciolgono provocano
quantità d’acqua mv occorre una quantità di calore
l’innalzamento o l’abbassamento della temperatura
del liquido (questo sistema si usa per produrre le bu-
∆Q = Lmv (4.27)
stine di ghiaccio istantaneo usate per lenire i dolori
da contusioni o le bibite calde espresse, nelle quali dove L, detto calore latente di vaporizzazione
basta pigiare sul fondo del recipiente per rompere dell’acqua, vale L ' 540 cal/g.
un contenitore stagno che libera dei sali che fanno Gli esperimenti descritti, quanto meno, ci dico-
salire la temperatura del liquido contenuto sul fondo no che se il fluido calorico esiste, non può essere
del recipiente). Ulteriori fenomeni legati ai passaggi qualcosa di contenuto nei corpi, ma si deve poter
di calore, apparentemente inspiegabili alla luce della generare. Cosa lo generi e di cosa effettivamente
teoria del calorico, sono i cambiamenti di stato: sot- sia fatto non è immediato da spiegare. Di sicuro pe-
to una certa temperatura l’acqua diventa ghiaccio rò abbiamo diverse osservazioni importanti di cui
(solidifica) e sopra i 100 ◦ C bolle diventando vapore. tenere conto:
Durante il processo di solidificazione (o fusione) e
quello di ebollizione la temperatura dell’acqua non • la luce trasporta calore;
cambia come si può verificare con un termometro, la
• il moto deve aver a che fare col calore;
cui lunghezza non cambia fino a quando sono pre-
senti contemporaneamente la fase liquida e quella • il calore si può generare nelle reazioni chimiche;
solida nel caso della solidificazione (fusione) o quel-
la liquida e quella gassosa. Solo quando l’acqua è • il calore può provocare il cambiamento di stato
diventata tutta ghiaccio, la temperatura di quest’ul- delle sostanze;
timo continua a scendere e solo quando tutta l’ac-
• il passaggio di corrente elettrica scalda i fili
qua s’è trasformata in vapore la sua temperatura
metallici.
ricomincia a salire.
Che in questi casi ci sia un passaggio di calore è L’acqua ha perso una quantità di calore ∆Q = cma ∆T =
4

dimostrato dal fatto che la temperatura di equili- λmg che non può che essere servita per sciogliere il ghiaccio.

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4.3. FALSIFICARE UNA TEORIA 58

Se vogliamo capire qualcosa di piú è necessario stu-


diare prima di tutto la luce e il moto. Quindi do-
vremo cercare di capire qualcosa di piú di come sono
fatti i corpi delle diverse sostanze. Infine bisognerà
capire cosa c’entra l’elettricità col calore.

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Unità Didattica 5
Ottica geometrica

La luce è qualcosa che si propaga nei mezzi tra- all’interno della fibra per uscirne solo alle estremità.
sparenti come l’aria, il vetro, certe materie plasti- Possiamo schematizzare la propagazione della lu-
che, etc.. Il fatto che la luce non sia qualcosa di ce immaginando che sia composta di raggi rappre-
presente in un determinato luogo, ma che passa da sentabili come segmenti che hanno una direzione
quel luogo, è confermato dal fatto che, abbassando (che definisce la retta su cui giacciono) e un verso
le serrande delle finestre, all’interno di una stanza (che rappresenta in quale dei due possibili sensi la
si fa il buio. Questo vuol dire che la luce che pri- retta è percorsa dal raggio).
ma era presente nella stanza proveniva dall’esterno Una buona approssimazione di raggio si può ot-
e che, a causa dell’ostacolo rappresentato dalle ser- tenere preparando uno schermo opaco (che quindi
rande, non può piú entrare. La luce che era entrata non lascia passare la luce) con un foro al centro, che
dalla finestra viene in qualche modo assorbita dai lascia passare solo uno stretto pennello di luce. Non
corpi. Se cosí non fosse, poiché una certa quantità ci vuole molto a rendersi conto che quest’appros-
di luce era entrata nella stanza prima di chiudere simazione è valida solo per distanze relativamente
le serrande, dovrebbe continuare a rimanere in es- piccole: il fascio in uscita dal foro infatti s’allar-
sa anche con la chiusura delle serrande; al massimo ga sempre di piú ed è piú simile a un cono che a
ci possiamo aspettare una lieve diminuzione dovu- un fascio cilindrico di raggi che corrono nella stessa
ta alla possibilità che una parte di essa esca dalle direzione.
finestre prima che siano completamente chiuse. È La luce di un laser però si presenta abbastanza
presumibile che questo assorbimento dia luogo al ri- simile a quello che possiamo pensare sia un raggio:
scaldamento che osserviamo quando esponiamo un la luce che esce dal laser si propaga parallelamente
corpo alla luce. a sé stessa e anche dopo aver percorso una distanza
Prima di cercare di capire cosa sia la luce è ne- consistente il fascio di luce appare comunque stret-
cessario studiarne il comportamento, perché possia- to. Il laser, insomma, è un utile strumento per fare
mo dedurre la natura delle cose soltanto dai fatti esperimenti di ottica geometrica.
sperimentali. La prima cosa da studiare è, eviden-
temente, il modo in cui la luce si propaga. Lo stu-
dio della propagazione della luce si chiama ottica 5.1 Riflessione della luce
geometrica.
Inviando luce su una superficie lucida, come quella
Sempre osservando la luce che passa attraverso
di uno specchio, quello che si osserva è che alme-
una finestra possiamo renderci conto che la luce si
no una frazione di essa cambia direzione, in modo
propaga in linea retta. Anche se ci sono dei casi in
tale da formare un raggio che si muove sul piano
cui questo sembra non avvenire, come nelle fibre
formato dal raggio incidente e dalla perpendicolare
ottiche nelle quali la luce sembra propagarsi se-
allo specchio nel punto in cui incide e in modo da
guendo le curve prodotte dalle fibre, ma in questo
formare lo stesso angolo con la perpendicolare alla
caso la luce è in qualche maniera costretta a restare
superficie dello specchio. In formule
5.1. RIFLESSIONE DELLA LUCE 60

θinc = θrif l . (5.1)


Quest’uguaglianza esprime la legge della riflessio- A B C

ne: l’angolo formato dal raggio incidente e la nor-


male alla superficie si chiama angolo d’incidenza,
indicato con θinc , quello formato dal raggio rifles-
so e la normale alla superficie si chiama angolo di
riflessione, indicato con θrif l . La legge si esprime O
dicendo che l’angolo di riflessione è uguale all’angolo
d’incidenza.
La percentuale di luce riflessa, rispetto a quella
incidente, dipende dalle caratteristiche della super- Figura 5.1 Costruzione dell’immagine
ficie e dall’angolo d’incidenza. Le caratteristiche del- prodotta da uno specchio
la superficie sono condensate in un parametro det- piano.
to riflettività o riflettanza ρ dello specchio, con
0 6 ρ 6 1. Per uno specchio perfetto ρ = 1.
Attraverso lo specchio si vede un’immagine di ciò solo con verso opposto. Il raggio verde, che si pro-
che sta davanti. La cosa si spiega abbastanza fa- paga fino al punto O, invece è riflesso verso il basso
cilmente se consideriamo il meccanismo che ci per- in modo da formare un angolo di riflessione uguale
mette di osservare gli oggetti. Innanzi tutto è chiaro a quello d’incidenza. Dallo specchio, i raggi riflessi
che per vedere qualcosa è indispensabile che sia il- appaiono provenire entrambi da uno stesso punto
luminata. Quello che succede, evidentemente, è che indicato con la lettera C nella figura. Di conseguen-
la luce che finisce sull’oggetto è diffusa1 in tutte za, cosí come il nostro occhio interpreta l’insieme dei
le direzioni. La luce diffusa è chiaramente percepi- raggi provenienti da A come l’estremo della freccia,
ta dai nostri occhi che ricostruiscono nel cervello interpreterà i raggi provenienti da C esattamente
l’immagine degli oggetti da cui la luce proviene. Un nello stesso modo e quindi vedrà l’immagine della
modo per capire cosa succede quando la luce diffu- freccia dentro lo specchio, a una distanza da que-
sa proveniente da un punto incontra uno specchio sto uguale a quella che c’è tra oggetto e specchio.
consiste nel considerare due o piú raggi provenien- L’immagine prodotta dallo specchio è rappresentata
ti da un punto qualunque dell’oggetto e seguirne la in grigio nella figura.
traiettoria. Se lo specchio non è piano l’immagine appare de-
Schematizziamo un oggetto posto dinanzi a uno formata. Evidentemente lo specchio può avere qua-
specchio come una freccia, come in Fig. 5.1. Dal lunque forma, ma è chiaro che possiamo studiare
punto estremo dell’oggetto, indicato con A, proven- solo forme relativamente semplici. Quindi comincia-
gono infiniti raggi di luce che si propagano in tutte le mo con una forma regolare come quella sferica. Uno
direzioni. Uno di essi è quello rappresentato in rosso specchio sferico è una superficie riflettente che ha
che incide perpendicolarmente allo specchio (in blu) la forma di una calotta sferica. Naturalmente la ca-
posto a una certa distanza dall’oggetto. Questo rag- lotta può essere riflettente sia sulla superficie ester-
gio incide sullo specchio nel punto B e per la legge na (in questo caso lo specchio si dice convesso) sia
della riflessione torna indietro nella stessa direzione, su quella interna (e in tal caso si dice concavo).
1
Non riflessa, perché solo la luce che si propaga con un L’effetto prodotto dai due tipi di specchi è diver-
angolo pari a quello d’incidenza si può dire riflessa: quella so: gli specchi cosmetici, per esempio, sono specchi
diffusa è luce che si propaga in direzioni non necessariamente concavi, mentre quelli stradali o da sorveglianza so-
correlate con la direzione d’incidenza.
no convessi. I primi hanno la proprietà di ingrandire

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5.1. RIFLESSIONE DELLA LUCE 61

dello specchio (Filmato 5.3) è riflesso in maniera ta-


le che l’angolo ORF b (in verde) formato dal raggio
riflesso e la normale nel punto d’incidenza sia uguale
a quello definito da quest’ultima e il raggio inciden-
te (in rosso col vertice in R). Poiché i raggi di una
sfera sono sempre perpendicolari alla sua superficie,
la retta normale al punto d’incidenza è diretta co-
me il raggio della sfera OR, lungo r. L’asse ottico
(tratteggiato) è parallelo al raggio incidente, quin-
di l’angolo ROF b è uguale a quello d’incidenza e, di
conseguenza, è anche uguale a quello di riflessione.
Figura 5.2 La pallina di un albero di Na- Il triangolo OF R allora è isoscele e i lati OF e F R
tale con la superficie riflettente sono uguali. Se si riduce la distanza tra il raggio
è uno specchio sferico con- incidente e l’asse ottico le relazioni sopra descritte
vesso. Sulla sue superficie le
immagini appaiono piú piccole
continuano a valere: in particolare la distanza tra
di quanto siano in realtà (foto il centro della superficie sferica e il punto in cui il
di Christopher Bachner). raggio riflesso incontra l’asse ottico è sempre ugua-
le alla distanza tra questo punto e il punto in cui
incide la luce. Man mano che il raggio incidente si
filmato non riproducibile su questo
avvicina all’asse ottico il triangolo si schiaccia sem-
supporto: digita l’URL nella caption o
pre piú e gli angoli alla base diventano sempre piú
scarica l’e-book
piccoli fino a quando, nel momento in cui la distan-
Figura 5.3 Un raggio di luce (in rosso) za dall’asse ottico vale zero, il triangolo degenera in
che incide parallelamente al-
l’asse ottico di uno specchio
un segmento la cui base è lunga OR = r, gli angoli
sferico è riflesso in modo ta- uguali sono nulli e i due lati uguali valgono ciascu-
le da incrociare l’asse ottico no r/2. Il Filmato 5.3 mostra cosa succede al variare
nel punto F detto fuoco del- della distanza del raggio incidente dall’asse ottico: il
lo specchio [http://youtu. raggio riflesso incontra l’asse ottico in un punto, che
be/gnvRSvCIS3I].
chiameremo fuoco, in blu, che cambia al cambiare
della distanza del raggio incidente dall’asse ottico.
Per angoli anche relativamente grandi, la variazione
molto gli oggetti riflessi (si usano, infatti, per truc- della posizione del fuoco, tuttavia, è piuttosto pic-
carsi o per radersi), ma solo se si sta abbastanza vici- cola e, in particolare per distanze molto piccole, vale
ni. Se osservate uno specchio cosmetico (concavo) da la relazione
lontano vedrete che l’immagine riflessa è rovesciata
rispetto agli oggetti presenti nella stanza. Al contra- r
f' (5.2)
rio, gli specchi stradali o da sorveglianza (convessi) 2
producono sempre immagini dritte e rimpicciolite avendo chiamato f la distanza OR. Se quindi ci limi-
degli oggetti. Cerchiamo di capire perché. tiamo a specchi le cui dimensioni siano abbastanza
Cominciamo con l’analizzare un caso semplice, piccole in confronto ai loro raggi di curvatura, pos-
consistente nell’inviare sulla superficie di uno spec- siamo stabilire che il fuoco di uno specchio sferico
chio, un raggio parallelo alla direzione di quello che si trova a una distanza dal vertice pari a metà del
chiamiamo asse ottico. L’asse ottico è la retta pas- raggio di curvatura e che tutti i raggi di luce che
sante per il vertice della calotta sferica e perpendico- incidono parallelamente all’asse ottico devono pas-
lare a questa. Quando il raggio incontra la superficie sare per il fuoco. Un raggio di luce che invece incide

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5.1. RIFLESSIONE DELLA LUCE 62

Figura 5.4 Costruzione dell’immagine


di un oggetto prodotta Figura 5.5 Costruzione dell’immagine di
da uno specchio sferico un oggetto prodotta da uno
convesso. Una costruzione specchio sferico concavo quan-
animata dell’immagine do l’oggetto si trova a una
si può vedere all’indirizzo distanza dallo specchio d < f .
http://tube.geogebra.org/
student/m682967.

verde e il raggio rosso hanno il punto I in comune:


quindi chi osserva lo specchio vede tutti i raggi pro-
sullo specchio viaggiando lungo uno dei suoi raggi
venire da questo punto, come nel caso dell’oggetto
evidentemente è riflesso all’indietro.
reale. Di conseguenza la punta dell’oggetto sembra
Con queste due regole possiamo facilmente co-
trovarsi nel punto I e dunque l’oggetto appare co-
struire un’immagine di qualsiasi oggetto: comincia-
me la freccia in grigio a destra dello specchio. Chi
mo da uno specchio convesso, che ha un compor-
guarda lo specchio dunque vede gli oggetti che sono
tamento univoco. Facciamo riferimento alla Figu-
al di qua come se si trovassero dentro lo specchio e
ra 5.4: rappresentiamo l’oggetto come una freccia
rimpiccioliti.
(la punta della quale è marcata con la lettera A nel-
Se invece lo specchio è concavo vediamo tre feno-
la figura). Un raggio di luce proveniente dalla punta
meni diversi, secondo la distanza alla quale si tro-
della freccia2 , che si dirige verso lo specchio paral-
va l’oggetto dallo specchio. In effetti, mentre per lo
lelamente all’asse ottico, incide su questo in B. Qui
specchio convesso tutte le distanze sono equivalenti,
è riflesso in modo tale che l’angolo di riflessione sia
nel caso degli specchi concavi l’oggetto si può trova-
uguale a quello d’incidenza ed è facile convincer-
re a una distanza d dallo specchio che è inferiore alla
si che il prolungamento del raggio riflesso (in rosso
distanza focale f , superiore a questa ma inferiore a
tratteggiato) si dirige verso il fuoco dello specchio.
r e maggiore di r. Esistono dunque tre condizioni
La luce è riflessa dall’altro lato, quindi chi osserva la
che in principio possono essere diverse e che vanno
superficie dello specchio vede la luce arrivare da un
per questo analizzate separatamente.
punto che si trova lungo il prolungamento del rag-
Cominciamo dal caso d < f , facendo riferimento
gio, che ha la proprietà di passare per il fuoco. D’al-
alla Figura 5.5. Tracciamo sempre un raggio pro-
tra parte un raggio che provenga dallo stesso punto
veniente dalla punta dell’oggetto che viaggia verso
dell’oggetto che incide perpendicolarmente alla su-
lo specchio parallelamente all’asse ottico (in rosso).
perficie (in verde nella figura) è riflesso all’indietro e
Nel punto B è riflesso in modo da dirigersi nel fuo-
appare provenire dal centro dello specchio3 . Il raggio
co F . Un raggio che invece si muove nella direzione
2
Quando fate questi disegni usate sempre un righello: la perpendicolare allo specchio (in verde) è riflesso al-
precisione è essenziale per determinare correttamente quel l’indietro lungo la stessa direzione. Chi si trova al
che accade; basta una linea leggermente storta per cambiare
di qua dello specchio dunque vede provenire tutti i
completamente il risultato!
3
In alternativa si può usare un raggio (o un suo prolun- raggio è riflesso dallo specchio parallelamente all’asse ottico.
gamento) che passi attraverso il fuoco dello specchio. Questo Il suo prolungamento passa per il punto I.

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5.1. RIFLESSIONE DELLA LUCE 63

immagini reali invece si possono osservare su uno


schermo posto nel punto in cui convergono i rag-
gi. Quando guardiamo la superficie di uno specchio
concavo, nel caso delle immagini virtuali abbiamo
l’impressione che l’immagine si trovi al di là del-
lo specchio perché la luce sembra provenire da lí.
Se gli oggetti si trovano a una distanza d > f dallo
specchio le immagini che si formano sono reali. Que-
Figura 5.6 Costruzione dell’immagine di sto vuol dire che, guardando lo specchio, vediamo i
un oggetto prodotta da uno raggi di luce provenire realmente da queste. L’imma-
specchio sferico concavo quan- gine della freccia della Figura 5.6 si può osservare
do l’oggetto si trova a una di-
stanza dallo specchio f < d <
solo se ci troviamo a una distanza dallo specchio
r. maggiore di quella alla quale si forma l’immagine (a
sinistra della freccia grigia). Guardando in direzione
dello specchio vedremo raggi di luce provenire dal
punto I che riproducono fedelmente quelli che pro-
raggi che partono dallo specchio dal punto nel qua-
vengono dal punto A quindi vedremo un’immagine
le i prolungamenti dei raggi riflessi (linee puntinate)
capovolta e ingrandita dell’oggetto e non dietro lo
s’incrociano. Questo punto, marcato con I si trova al
specchio, ma davanti. Il caso d > r è lasciato come
di là dello specchio e l’immagine appare ingrandita
esercizio.
rispetto all’originale.
Consideriamo ora il caso f < d < r, riportato nel- Esercizio 5.1 Uno specchio sferico
la Figura 5.6. Il raggio che si muove parallelamente
all’asse ottico, proveniente dalla punta dell’ogget- Costruisci l’immagine di un oggetto prodotta da
to, è riflesso nel fuoco e prosegue verso il punto I, uno specchio sferico concavo nel caso in cui l’ogget-
dove s’incrocia con quello (verde) riflesso all’indie- to si trova a una distanza dallo specchio maggiore
tro perché incide perpendicolarmente alla superficie del suo raggio di curvatura. Disegna l’oggetto co-
dello specchio. Si vede chiaramente che l’immagine me una freccia verticale, quindi traccia una retta
dell’oggetto appare ingrandita e rovesciata. Osser- parallela all’asse ottico che parte dalla punta del-
viamo che adesso la situazione è un po’ diversa da la freccia e incontra lo specchio. Usa un righello
prima! Nei primi casi analizzati l’immagine si trova- per fare il disegno: una minima inclinazione del-
va all’interno dello specchio e i raggi di luce sembra- la retta rispetto all’asse ottico può produrre risul-
vano provenire da essa, perciò i nostri occhi poteva- tati sbagliati. Dal punto in cui il raggio incontra
no percepire l’immagine come se si trovasse proprio lo specchio traccia una retta che passa per il fuo-
dentro lo specchio. In questo caso l’immagine si for- co dello specchio, che si trova a una distanza pa-
ri a f ' r/2 dal suo vertice. Quindi disegna una
ma dallo stesso lato nel quale si trova l’oggetto. I
retta che passa per la punta della freccia e per il
raggi di luce non partono dall’immagine, ma conver-
centro dello specchio. La luce che viaggia su que-
gono in essa! Se mettiamo uno schermo nel punto in sta retta è riflessa all’indietro. Dove s’incontrano le
cui convergono i raggi, su questo schermo si forma rette? L’immagine è reale o virtuale? Dritta o ca-
un’immagine dell’oggetto davanti allo specchio. Per povolta? Ingrandita o rimpicciolita? Si può vedere
questa ragione l’immagine si dice reale, mentre nel l’immagine proiettata su uno schermo? Confron-
caso dell’immagine al di là dello specchio di parla di ta i risultati con quanto puoi vedere all’indirizzo
immagine virtuale. Le immagini virtuali sono tali http://tube.geogebra.org/student/682961.
perché i raggi di luce appaiono provenire da essa,
ma di fatto la luce proviene da un altro punto. Le

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5.2. UNA PRIMA INTERPRETAZIONE 64

Il Mirascopio
Un mirascopio è uno strumento ottico che
produce un effetto stupefacente. È costituito di
due specchi di forma parabolica posti l’uno so-
pra l’altro. Gli specchi parabolici si comportano
come quelli sferici, ma al contrario di questi ul-
timi, hanno la proprietà di avere il fuoco in un
punto preciso (ricordate che per gli specchi sferi-
ci i raggi paralleli all’asse ottico non convergono
tutti in un solo punto, ma in una regione che,
solamente se sufficientemente piccola, si può as-
similare a un punto). Sullo specchio superiore è
praticato un foro. Ponendo un oggetto all’inter-
Figura 5.7 Un mirascopio è un dispositi-
vo che produce immagini che no del mirascopio, per esempio appoggiandolo
sembrano reali, ma non lo so- sulla superficie dello specchio in basso, i raggi
no affatto. La piccola rana che di luce provenienti da uno dei suoi punti sono
si vede in questa figura si tro- riflessi da uno degli specchi, che li invia sull’al-
va all’interno dello strumento,
tro. Quest’ultimo produce un’ulteriore riflessio-
ma si ha l’illusione che sia al
di sopra di esso. ne che porta il raggio a uscire dalla parte supe-
riore dello strumento dove si trova un foro. La
geometria degli specchi è tale da far convergere
tutti i raggi provenienti da un punto qualun-
5.2 Una prima interpretazione que dell’oggetto posto all’interno in uno stesso
punto al di fuori del microscopio. Il risultato
Quel che si evince analizzando il funzionamento de-
è che i raggi di luce provenienti da un punto
gli specchi è che la luce, quando colpisce uno spec-
dell’oggetto appaiono provenire dall’esterno del
chio, si comporta come farebbe un pallone che rim-
microscopio creando l’illusione che l’oggetto sia
balza colpendo un muro o la biglia di un biliardo
realmente all’esterno.
che urta la sponda. Affinché la biglia rimbalzi è ne-
All’indirizzo https://www.geogebratube.
cessario che la sponda abbia certe caratteristiche
org/student/m682973 si trova una simulazio-
di rigidità e di elasticità: una biglia non rimbalza
ne di un mirascopio fatta con GeoGebra.
su un birillo o su un’altra biglia. Allo stesso modo
Piccoli mirascopi sono in vendita nei negozi di
non tutte le superfici sono in grado di produrre una
giocattoli o su Internet.
riflessione.
Sembrerebbe dunque ragionevole considerare la
luce composta di un flusso di corpuscoli che de- viene dagli oggetti che vediamo i quali non devono
vono essere molto piccoli visto che non riusciamo a poterla emettere autonomamente, perché altrimen-
risolverli, cioè a vederli distintamente. I corpuscoli ti non sarebbe necessario accendere una lampada
devono di norma propagarsi su linee rette (sicura- per vederli al chiuso. Quello che potrebbe succedere
mente a velocità molto alte, al limite infinite). I fe- è che dalla lampada sono emessi questi corpusco-
nomeni che abbiamo osservato finora sono spiegabili li che urtano la superficie degli oggetti. Una parte
in termini di corpuscoli che rimbalzano quando ur- di questi corpuscoli è assorbita dagli oggetti (que-
tano certi materiali o che sono assorbiti colpendone sto, tra l’altro, potrebbe provocarne il riscaldamen-
altri. Visto che al buio non vediamo nulla, evidente- to), un’altra parte dev’essere diffusa, cioè deviata
mente i nostri occhi sono sensibili alla luce che pro-

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5.3. LA RIFRAZIONE 65

in tutte le possibili direzioni. In effetti riusciamo a te. Il fenomeno è chiamato dispersione dai fisici.
vedere gli oggetti illuminati da qualunque direzio- Se dalla luce bianca si ottiene luce colorata è chiaro
ne si guardi, mentre le immagini riflesse si vedono che la luce bianca dev’essere il risultato del som-
solo se l’angolo formato tra lo specchio, il raggio marsi degli effetti prodotti sul nostri occhio dai cor-
incidente e quello riflesso assume un particolare va- puscoli dei vari colori. A ulteriore conferma si può
lore. È possibile che la superficie degli oggetti non realizzare quello che si chiama un disco di New-
sia liscia, anche qualora appaia come tale, ma piú o ton: disegnate su un disco tanti spicchi e colorate
meno scabra, perciò quando i corpuscoli luminosi la ciascuno di essi con tutti i colori dell’arcobaleno; poi
colpiscono possono rimbalzare in direzioni diverse, fatelo ruotare rapidamente attorno al proprio asse
secondo l’angolo con il quale urtano la superficie. (montandolo su un motorino elettrico, per esempio,
Una parte di questi entra nei nostri occhi e pro- o su un trapano). Il disco appare bianco! Sappiamo
duce la sensazione visiva. Gli specchi devono essere bene che sulla retina dei nostro occhi le immagini
superfici molto lisce (e in effetti lo sono): talmente permangono per qualche frazione di secondo prima
lisce da far rimbalzare i raggi luminosi sempre nella di svanire e che l’effetto si usa nel cinema in cui
stessa direzione. proiettando su uno schermo immagini leggermente
I corpuscoli che formano la luce non devono esse- diverse l’una dall’altra si ha l’impressione di vede-
re tutti uguali tra loro. Devono esistere corpuscoli re un movimento fluido. Il fatto che il disco appare
diversi che trasmettono sensazioni di colore diver- bianco si può spiegare nello stesso modo: i corpuscoli
se. È chiaramente la luce che l’illumina a fornire il colorati provenienti dai vari settori del disco giungo-
colore agli oggetti: se ci chiudiamo in una stanza il- no rapidamente uno dopo l’altro ai nostri occhi. Se
luminata da una lampada rossa tutto il contenuto il tempo necessario a far giungere tutti i corpuscoli
della stanza appare rosso. Il colore dunque non è è inferiore a quello di permanenza della sensazio-
una proprietà degli oggetti: semmai è una proprie- ne prodotta nel nostro cervello è come se all’occhio
tà della luce diffusa dagli oggetti. Ma pecrché un giungessero contemporaneamente corpuscoli di tutti
oggetto illuminato con luce bianca appare colora- i colori.
to? Molto probabilmente i corpuscoli che formano La nostra teoria sta funzionando egregiamen-
la luce bianca sono una miscela di corpuscoli di va- te! Ma non bisogna mai accontentarsi dei primi
ri colori: se s’illumina la copertina blu d’un libro, successi.
evidentemente i corpuscoli di colori diversi sono as-
sorbiti dal libro, mentre quelli blu sono diffusi e li
vediamo. 5.3 La rifrazione
Per verificare quest’ipotesi è necessario fare un
Quando la luce attraversa la superficie di separazio-
esperimento che la confermi. Un primo esperimen-
ne tra due mezzi trasparenti, come ad esempio l’aria
to consiste nel far passare un raggio di luce bianca
e l’acqua, il suo cammino subisce una deviazione e
(per esempio quello prodotto dalla luce di un video-
si dice che il raggio è rifratto4 . Basta immergere
proiettore fatto passare attraverso una fenditura)
una cannuccia in un bicchier d’acqua per rendersi
attraverso un prisma di vetro. Curiosamente dalla
conto che la luce proveniente dalla parte immersa
parte opposta si forma un’immagine cha ha la forma
deve giungere ai nostri occhi con un angolo diver-
di un rettangolo colorato.
so da quella proveniente dalla parte emersa, perché
I colori sono gli stessi (e nella stessa sequenza)
la cannuccia appare spezzata o piegata. Per capire
che si osservano nel caso del verificarsi si un arco-
meglio il fenomeno conviene come al solito eseguire
baleno. È molto probabile che il meccanismo che
esperimenti in condizioni controllate. Per esempio,
produce questi due fenomeni sia quindi lo stesso. È
come se il prisma avesse la proprietà di separare le Dal latino refringere: rompere, spezzare (è la stessa
4

componenti del fascio bianco in componenti colora- radice di frangere).

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5.3. LA RIFRAZIONE 66

si può illuminare il fondo di un acquario con un si ricava semplicemente invertendo la relazione che
raggio laser e marcare il punto raggiunto dalla luce definisce ε:
con un pennarello. Se, senza spostare nulla, si ver-
sa acqua nell’acquario, il punto luminoso sul fondo σd = dεd . (5.5)
si sposta e osservando il raggio diffuso dall’acqua si
Analogamente la misura di h avrà una precisione
nota che, quando ne attraversa la superficie, cambia
di σh /h. L’errore relativo totale sarà la somma (in
direzione.
quadratura) degli errori sulle singole misure, quindi
Non resta che fare qualche misura per capire co-
è
me cambia la direzione del raggio luminoso. Nel ca-
so della riflessione avevamo scoperto che la direzio-
r 
σd 2  σh 2
ne della luce riflessa era caratterizzata dall’angolo εθ = + . (5.6)
d h
θinc formato tra il raggio incidente e la normale alla
superficie dello specchio. Di certo anche in questo Se h ' 10 cm e σh = σd ' 1 mm, per un angolo
caso è cosí: cambiando l’inclinazione della luce inci- dell’ordine dei 5◦ , d ' 7 mm e abbiamo quindi che
dente cambia l’angolo di rifrazione θrif r che quindi
dev’essere funzione di θinc : θrif r = f (θinc ). s 2  2
Eseguire le misure non è difficile: è sufficiente di- 0.1 0.1
εθ = + ' 0.14 . (5.7)
sporre di un supporto per il laser che permetta di 0.7 10
orientarlo con diverse inclinazioni rispetto alla verti-
Conosceremo perciò l’angolo con una precisione del
cale e di un acquario riempito d’acqua fino a un’al-
14 %. Dato che il rapporto d/h = 0.07, la misura di
tezza h. Mettendo il laser in posizione verticale si
questo rapporto si scrive
osserva che la luce del laser non è deviata quando
penetra nell’acqua. Man mano che l’angolo d’incli- d
nazione aumenta, lo spot luminoso si allontana dalla = 0.07 ± 0.01 ,
θrif r ' (5.8)
h
verticale. Se sul fondo della vasca abbiamo incollato
visto che 0.14 × 0.7 ' 0.01. Naturalmente questa
un righello possiamo misurare di quanto si sposta 10
misura è in radianti. Se volessimo esprimerla in gra-
in funzione dell’angolo d’incidenza e cosí ricavare
di bisognerebbe convertirla applicando l’opportuno
l’angolo di rifrazione come
fattore di conversione:
d
θrif r = arctan (5.3) 180
h θrif r [◦ ] = θrif r [rad] (5.9)
π
dove d è la distanza raggiunta dal punto luminoso
da cui si ricava che
sul fondo rispetto al punto illuminato quando il laser
è in posizione verticale. Misuriamo dunque il valore
θrif r ' (4.0 ± 0.6)◦ . (5.10)
di θrif r in funzione di θinc . Osserviamo che se l’ango-
lo è piccolo arctan θrif r ' θrif r , quindi θrif r ' d/h Nella Figura 5.8 riportiamo i valori degli angoli
e l’errore che si commette nel determinare l’angolo misurati con un dispositivo come quello descritto.
è l’errore sulla misura del rapporto. Per valutarlo Dal grafico è chiarissimo che c’è una dipenden-
facciamo cosí: l’errore che si commette nel misurare za di θrif r da θinc , ma che questa dipendenza non
d è σd e quindi d è nota con una precisione di è lineare, se non approssimativamente nella prima
parte del grafico. Questo significa che solo per an-
σd
εd = (5.4) goli piccoli θrif r ' αθinc . Se la dipendenza non è
d lineare allora la funzione che lega θrif r a θinc non
che si chiama errore relativo della misura. Noto può che essere una funzione trigonometrica. Ma in
l’errore relativo di una grandezza fisica la sua entità questo caso è improbabile che la relazione sia del

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5.3. LA RIFRAZIONE 67

Figura 5.8 Grafico dell’angolo di rifra- Figura 5.9 Grafico del seno dell’ango-
zione in acqua in funzione lo di rifrazione in acqua in
dell’angolo d’incidenza. funzione del seno dell’angolo
d’incidenza.

tipo θrif r = f (θinc ), perché almeno in certi casi le


funzioni trigonometriche sono limitate, mentre θrif r angolare della retta dipende dal tipo di materiale
no. È molto piú probabile che la relazione che lega attraversato. Possiamo perciò attribuire a ciascun
i due angoli sia del tipo materiale una caratteristica, che chiameremo indi-
ce di rifrazione, scrivendo la relazione che lega i
f (θrif r ) = g (θinc ) . (5.11) seni dei due angoli come
L’ipotesi piú semplice che possiamo fare è che la n1 sin θ1 = n2 sin θ2 (5.14)
relazione sia del tipo
dove abbiamo sostituito gli indici 1 e 2 ai pedici
sin θrif r = α sin θinc . (5.12) inc e rif r, rispettivamente, e n1 e n2 rappresenta-
no gli indici di rifrazione (adimensionali) dei due
In effetti, con quest’assunzione, per angoli piccoli si mezzi in questione. In questa forma, la legge pren-
ottiene che de il nome di Legge di Snell5 . In questo modo,
nel caso del passaggio da aria ad acqua, per avere
θrif r ' αθinc . (5.13) sin θrif r = 0.75 sin θinc , che corrisponde a sin θ2 =
La Figura 5.9 mostra il seno di θrif r in funzione 0.75 sin θ1 , dobbiamo assumere che n1 /n2 = 0.75.
del seno di θinc insieme alla retta che approssima Cosí abbiamo che n2 /n1 = 1/0.75 = 1.33 e anche
meglio i dati sperimentali, la cui pendenza vale m ' l’esperimento in cui la luce passa dall’acqua all’a-
0.75 con un errore molto piccolo e l’intercetta q è ria è verificato. Quando la luce passa dall’acqua al
compatibile con zero. plexiglass avremmo
Evidentemente, se il raggio partisse dall’acqua e si
propagasse poi in aria la relazione sarebbe quella in-
versa, per cui, invece di avere sin θrif r = 0.75 sin θinc nacqua sin θacqua = nplexiglass sin θplexiglass (5.15)
avremmo sin θrif r = 1.33 sin θinc . Inoltre, se invece 5
Dal nome di Willebrord Snellius, studioso olandese
che propagarsi in aria, il raggio laser si propagasse vissuto tra il 1500 e il 1600.
in un altro materiale come il plexiglass, avremmo
sin θrif r = 1.12 sin θinc . È chiaro che il coefficiente

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5.4. CONFERMA DELLA TEORIA CORPUSCOLARE 68

filmato non riproducibile su questo tra aria e vetro, i raggi di luce giungono alla faccia
supporto: digita l’URL nella caption o opposta con angoli diversi. Se le facce di entrata e
scarica l’e-book di uscita sono parallele, la rifrazione tra vetro e aria
Figura 5.10 Un flusso di corpuscoli che si rimescola i raggi colorati in maniera da riprodurre
muove a velocità diversa in la condizione iniziale di entrata e la luce trasmessa
due mezzi diversi è rifrat-
to passando da un mezzo al-
è bianca. Se invece le facce non sono parallele, come
l’altro (cambia cioè direzio- nel caso di un prisma, la rifrazione tra vetro e aria
ne): i corpuscoli che entrano mantiene separati i diversi colori e si osserva quello
nel mezzo azzurro rallenta- che si chiama lo spettro della luce bianca.
no, pur continuando a muo- Quando la luce giunge in prossimità della super-
versi in linea retta. Si con-
seguenza il fronte dei corpu- ficie di separazione tra due mezzi, una parte di essa
scoli cambia direzione [http: è riflessa, mentre una parte viene rifratta, con per-
//youtu.be/8anT0Fs39Jo]. centuali diverse dipendenti dall’angolo d’incidenza.
Potete facilmente rendervene conto provando a os-
servare la vostra immagine riflessa dal vetro di una
per cui nplexiglass /nacqua = 1.12. Se conveniamo di finestra, la cui intensità dipende dall’angolo d’in-
attribuire all’aria il valore naria = 1, allora nacqua = cidenza della luce. In ogni caso è sempre possibile
1.33 e nplexiglass = 1.49. vedere la vostra immagine al di là della finestra per-
ché una parte della luce è rifratta. Si potrebbe inter-
pretare il fatto assumendo che una parte del flusso
5.4 Conferma della teoria cor- di corpuscoli che giungono sulla superficie rimbalza,
mentre una parte è trasmessa secondo la Legge di
puscolare Snell, se il mezzo è trasparente. Piú l’angolo d’inci-
denza è radente, piú la probabilità di rimbalzare è
È compatibile questo comportamento con la teoria
alta, come quando si tira un sasso sulla superficie
corpuscolare della luce? La risposta è sí e il motivo
del mare.
è piuttosto semplice: se la luce fosse costituita di un
Se s’interpreta nel modo detto la luce, l’indice di
flusso di corpuscoli che si muovono tutti nella stessa
rifrazione deve in qualche modo rappresentare una
direzione alla stessa velocità, alcuni di questi giun-
misura della velocità della luce che dev’essere di-
geranno in prossimità della superficie di separazione
versa da mezzo a mezzo. Questo vuol dire che la
tra i due mezzi prima degli altri, se l’angolo d’inci-
velocità della luce non è infinita e che quindi si deve
denza è diverso da zero. Se la velocità dei corpuscoli
poter misurare (certo, è alta, e non sarà facile far-
dipende dal mezzo, i primi a penetrare si muovono a
lo). Il rapporto tra due indici di rifrazione dev’essere
velocità diversa e la direzione complessiva del flusso
uguale al rapporto tra le velocità. Se quindi indi-
cambia, come si può ben vedere dal Filmato 5.10
chiamo con la lettera c la velocità della luce in aria
Facendo esperimenti piú raffinati si vede che l’in-
abbiamo che
dice di rifrazione dipende dal colore della luce. Il che
non contraddice il modello, perché si può continuare c
n= (5.16)
a spiegare il comportamento della luce assumendo v
che l’indice di rifrazione dipenda dal colore del cor- dove v è la velocità con la quale si propaga la luce
puscolo luminoso. In questo modo si spiega anche il nel mezzo di indice di rifrazione n. Sperimentalmen-
fenomeno della dispersione illustrato al paragrafo te non si riesce a trovare alcun mezzo il cui indice
precedente: se la luce bianca, che abbiamo suppo- di rifrazione sia minore di quello dell’aria, il che si-
sto essere formata da un miscuglio di corpuscoli di gnifica che la velocità della luce in aria è la piú alta
colori diversi, incide sulla superficie di separazione tra quelle conosciute e vale c.

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5.5. APPLICAZIONI 69

Analizziamo meglio la Legge di Snell, scrivendo mo se incidono sulla superficie convessa, mentre si
l’angolo di rifrazione di un raggio luminoso come allontanano dall’asse ottico se la luce incide sulla
superficie dal lato concavo. Sfruttando questo feno-
ninc
sin θrif r = sin θinc . (5.17) meno si realizzano le lenti. Le lenti sono dispositivi
nrif
ottici formati da un materiale trasparente con due
Se ninc > nrif r il coefficiente davanti a sin θinc è superfici sferiche opposte. Il raggio di curvatura di
maggiore di 1 e, se l’angolo d’incidenza è abbastan- ciascuna superficie ne determina le caratteristiche
za grande, può accadere che sin θrif r > 1, il che è complessive.
impossibile. In questo caso quel che deve accadere è Il comportamento di una lente si può studiare
che il raggio non può essere rifratto e può solo essere esattamente ricorrendo alle leggi dell’ottica geome-
riflesso. Devono quindi esistere dei casi in cui, no- trica sopra illustrate, ma nella maggior parte dei
nostante il materiale verso cui è puntato un raggio casi pratici si possono fare utili approssimazioni che
luminoso sia trasparente, il raggio non è trasmesso, semplificano molto la previsione del comportamento
ma riflesso. In effetti in certi casi è proprio quel che di una lente. Le approssimazioni in questione sono
succede. Il fenomeno, detto riflessione totale, si valide per le cosí dette lenti sottili, cioè per quel-
può verificare solo quando la luce passa da un mez- le lenti per le quali la distanza tra le due superfici
zo con indice di rifrazione alto a un altro con indice opposte è molto minore del modulo di ciascuno dei
di rifrazione piú basso. Infatti, se un raggio incide due raggi di curvatura. Secondo la curvatura del-
su una superficie passando da un mezzo a indice le superfici le lenti possono essere biconvesse (cioè
di rifrazione piú alto a uno con indice di rifrazione convesse su entrambi i lati), biconcave (concave su
minore, l’angolo di rifrazione è piú ampio di quello tutti e due i lati), piano–convesse, piano–concave o
d’incidenza (il raggio si allontana dalla superficie), concavo–convesse.
al contrario di quanto avviene nel caso opposto. Esi- Le lenti piú comuni, per le quali è facile ricavare il
ste quindi un angolo d’incidenza per il quale l’angolo comportamento, sono quelle biconvesse e biconcave.
di rifrazione è tale da far viaggiare l’angolo rifratto Il primo tipo devia i raggi paralleli all’asse ottico in
parallelamente alla superficie. Per angoli maggiori modo da farli convergere in un punto di quest’ulti-
il raggio che sarebbe rifratto dovrebbe trovarsi nel- mo detto fuoco, a distanza f dal centro della lente.
lo stesso mezzo di partenza, ma in questo caso non Le lenti d’ingrandimento sono lenti di questo ti-
potrà che formare un angolo con la normale alla po. Disponendone l’asse ottico parallelamente alla
superficie uguale a quello d’incidenza e quindi sarà direzione da cui provengono i raggi del Sole, que-
semplicemente riflesso. sti deviano verso l’asse ottico della lente e finiscono
L’angolo θinc per cui si raggiunge il valore per concentrarsi su un punto distante f dal centro
massimo di sin θrif r = 1 si chiama angolo critico. della lente. Per questo motivo le lenti biconvesse so-
no anche dette convergenti. La proprietà secondo
la quale i raggi paralleli all’asse ottico finiscono per
5.5 Applicazioni convergere in un punto è quella che permette di usa-
re una lente d’ingrandimento per bruciare un
Quando la superficie di separazione tra due mezzi
pezzo di carta usando i raggi del Sole. Poiché il Sole
non è piana i raggi che incidono lungo una determi-
è molto lontano i suoi raggi arrivano sulla lente tutti
nata direzione sono deviati in modo diverso, secon-
parallelamente l’uno all’altro. Orientando opportu-
do l’angolo formato con la normale alla superficie.
namente la lente si vede che i raggi convergono tutti
In particolare, se la superficie in questione è sferica,
in un punto, che quindi diventa luminosissimo, a di-
i raggi di luce paralleli all’asse ottico (che analo-
stanza f dalla lente. La luce trasporta anche calore,
gamente al caso degli specchi è un asse perpendi-
quindi il punto in cui si concentrano i raggi, oltre a
colare alla superficie) sono deviati verso quest’ulti-
essere luminosissimo, si scalda parecchio fino a far

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5.5. APPLICAZIONI 70

D una freccia nella Figura 5.11, un raggio che viaggia


parallelamente all’asse ottico incontra la lente nel
punto B, ed è deviato nel fuoco a destra della lente.
B Un raggio che parte dallo stesso punto e viaggia
in direzione del centro della lente invece non viene
A

deviato. I raggi di luce che proseguono verso destra


appaiono provenire entrambi da un punto in alto a
C F′ E O F sinistra, quindi chi osserva da destra vede la luce
provenire da quel punto e vede l’oggetto ingrandito.
Se si osservano oggetti lontani attraverso una len-
Figura 5.11 Costruzione dell’immagine te convergente, questi appaiono capovolti. Se fate
prodotta da una lente l’esercizio di costruire l’immagine mettendo l’ogget-
convergente usata come to a una distanza dalla lente maggiore della distanza
lente d’ingrandimento. Nella
figura è rappresentata solo
focale capirete facilmente il perché. Possiamo trova-
metà della lente. re alcune relazioni geometriche molto precise tra le
grandezze che determinano la posizione e le dimen-
sioni delle immagini di un oggetto visto attraverso
bruciare la carta. una lente. Sempre utilizzando la Figura 5.11 vedia-
Perché le lenti d’ingrandimento fanno apparire mo che i triangoli DCF e BOF sono simili: di con-
piú grandi gli oggetti? Per capirlo occorre traccia- seguenza, indicando con hi l’altezza dell’immagine
re il percorso di alcuni raggi di luce che partono CD, con ho l’altezza dell’oggetto, con p la distanza
dall’oggetto osservato e attraversano la lente. Ogni tra l’oggetto e la lente e con q quella tra l’immagine
lente sottile ha due fuochi, posti simmetricamente e la lente, possiamo scrivere che
rispetto al suo centro. Tra gli infiniti raggi che par-
tono da un punto dell’oggetto tre in particolare sono hi q+f
= . (5.18)
particolarmente interessanti: ho f
1. il raggio che viaggia parallelo all’asse ottico: D’altra parte, anche i triangoli DCO e AEO sono
questo raggio è deviato verso il fuoco della len- simili per cui vale
te, dalla parte opposta a quella in cui si trova
l’oggetto; hi q
= . (5.19)
2. il raggio che viaggia in direzione del centro della ho p
lente: questo raggio non è deviato e prosegue Combinando le due equazioni si ricava che
parallelamente a sé stesso nella regione al di là dev’essere
dell’oggetto;
3. il raggio che passa dal fuoco della lente che si q+f q
trova dalla stessa parte dell’oggetto: questo rag- = . (5.20)
f p
gio è deviato in modo da viaggiare dall’altro Quest’equazione si può riscrivere in una maniera piú
lato della lente parallelamente all’asse ottico. facile da ricordare dividendo tutto per q:
Come nel caso degli specchi, l’immagine si forma
laddove i raggi partiti da uno stesso punto s’incon- 1 1 1
+ = . (5.21)
trano. Basta considerare due qualunque dei tre rag- f q p
gi sopra considerati per costruire l’immagine pro- Se poi facciamo la convenzione di adottare come ori-
dotta da una lente. Prendiamo in esame una lente gine degli assi la posizione della lente e di considera-
d’ingrandimento. re positive le distanze dell’oggetto dalla lente e quel-
Dal punto A di un oggetto, rappresentato come le dell’immagine se si formano dalla parte opposta

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5.5. APPLICAZIONI 71

della lente, vediamo che la distanza q va considerata rifratti in modo tale che i loro prolungamenti s’in-
negativa, quindi, usando per p e q i segni opportuni, contrino in un punto, che sarà quello da cui sem-
l’equazione della lente si può riscrivere come brano partire i raggi luminosi e quindi quello in cui
si formerà l’immagine del punto in questione. Per
1 1 1
= + . (5.22) rendere valida l’equazione delle lenti, nel caso delle
f p q lenti divergenti basterà fare la convenzione secondo
Se l’oggetto si trova a una distanza p > f dalla lente la quale il fuoco di una lente convergente f è positi-
si vede subito che dev’essere vo, mentre nel caso delle lenti divergenti la distanza
focale si deve considerare negativa.
1 1 1
= − (5.23) Agli indirizzi http://tube.geogebra.org/
q f p student/m774117 e http://tube.geogebra.
e quindi q è positiva e l’immagine si forma dalla org/student/m774113 si trovano due applica-
parte opposta rispetto alla lente (questo accade nel zioni GeoGebra che permettono di simulare il
caso degli obiettivi fotografici, per esempio, oppure comportamento dei due tipi di lente.
per gli obiettivi dei proiettori). L’ingrandimento Combinando gli effetti di due o piú lenti si posso-
M si definisce come il rapporto tra le dimensioni no realizzare strumenti come i telescopi o i micro-
dell’immagine e quella dell’oggetto e vale quindi: scopi. Nei modelli piú semplici, in questi strumenti
ci sono solo due lenti: una che funge da obiettivo,
hi q da cui entra la luce che forma un’immagine a una
M= = . (5.24)
ho p certa distanza che dipende dalla distanza focale di
Se M > 1 l’immagine è piú grande dell’oggetto altri- questo, e una che serve da oculare che funziona co-
menti è piú piccola. Se M > 0 l’immagine è dritta, me una comune lente d’ingrandimento e che serve
altrimenti è capovolta. per consentire all’occhio di vedere l’immagine pro-
dotta dall’obiettivo ingrandita. Poiché le immagi-
Esercizio 5.2 L’equazione degli specchi ni formate dalle lenti convergenti impiegate sono di
norma rovesciate rispetto agli oggetti, quello che si
Provate a ricavare l’equazione che lega la distan- vede attraverso questi strumenti appare al rovescio
za p dell’oggetto dal vertice di uno specchio sferico rispetto alla realtà. Questo è il motivo per il quale
alla distanza q alla quale si forma l’immagine del- spostando il vetrino di un microscopio verso sinistra
l’oggetto e alla sua distanza focale f . Per farlo è l’immagine si muove verso destra o alzando l’ango-
sufficiente individuare almeno due coppie di trian- lo di puntamento di un telescopio, quel che si vede
goli simili disegnando i raggi che partono da uno nell’oculare sembra muoversi verso l’alto denuncian-
stesso punto dell’oggetto e che viaggiano parallela- do un movimento verso il basso del telescopio. Nei
mente all’asse ottico, in direzione del centro dello
binocoli questo non accade perché le immagini so-
specchio o in direzione del suo fuoco. Scrivendo il
no ulteriormente rovesciate da una coppia di pri-
rapporto tra hi e ho per due coppie di triangoli
smi montati tra la lente che costituisce l’obiettivo
simili si ricava l’equazione degli specchi.
e quella che funge da oculare, grazie al fenomeno
della riflessione totale.
L’equazione della lente vale sia per le lenti con- Il fenomeno della riflessione totale si sfrutta non
vergenti che per quelle divergenti, che sono quelle solo per la produzione dei prismi impiegati nei bi-
biconcave. Per costruire l’immagine di una lente di- nocoli, ma anche nelle macchine fotografiche reflex.
vergente basta seguire le stesse regole definite per le Nella macchine fotografiche reflex la luce provenien-
lenti convergenti, avendo cura di prolungare i raggi te dall’obiettivo è riflessa da uno specchio posto a
45◦ rispetto all’asse dell’obiettivo. In questo modo
l’immagine è deviata verso l’alto, dove entra in un

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5.5. APPLICAZIONI 72

prisma, la cui faccia è perpendicolare alla direzio-


ne di propagazione della luce, che dunque non viene
deviata. Viaggiando nel prisma, la luce ne incontra
altre che formano con essa angoli tali da provocare
riflessione totale e l’immagine è cosí deviata verso
l’oculare. Attraverso questo il fotografo può osserva-
re la scena inquadrata dall’obiettivo (contrariamen-
te a quel che accade con le fotocamere il cui mirino
è separato dall’obiettivo). Nel momento dello scatto
lo specchio si solleva rapidamente per consentire al-
la luce di raggiungere il sensore posto dietro di esso.
L’uso del prisma per riflettere l’immagine nel miri-
no consente di raddrizzarla (le immagini provenienti
dall’obiettivo sono capovolte, essendo quest’ultimo
un gruppo di lenti che, nell’insieme, si comportano
come una lente convergente).
Un’altra applicazione del fenomeno della riflessio-
ne totale consiste nella produzione delle fibre ot-
tiche. Una fibra ottica è un cilindro di materiale
trasparente, detto core, rivestito da una pellicola di
materiale (cladding) con indice di rifrazione piú bas-
so di quello del core. Quando la luce immessa nella
fibra giunge alla superficie di separazione tra i due
materiali, il rapporto degli indici di rifrazione è tale Figura 5.12 L’immagine che si forma da
da favorire il verificarsi del fenomeno della riflessio- un obiettivo fotografico è ca-
ne totale e la luce continua a viaggiare nella fibra povolta. Per consentire al
fotografo di vederla dritta,
anche se questa forma delle curve. In questo modo
l’immagine è inviata su un
è possibile condurre la luce attraverso percorsi non prisma a sette facce in mo-
rettilinei, anche a grande distanza. Le fibre ottiche do tale che le riflessioni tota-
sono impiegate nella trasmissione di segnali per le li subite dalla luce siano tali
telecomunicazioni e per Internet. da formare l’immagine dritta
in corrispondenza del mirino.
Il nome pentaprisma dato a
questo dispositivo deriva dal-
la forma dei primi dispositivi
del genere, costituiti di pri-
smi retti a base pentagonale
(Immagine da WikiPedia)

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Unità Didattica 6
Le onde e i fenomeni ondulatori

Capita frequentemente, in fisica, di doversi occu- filmato non riproducibile su questo


pare di fenomeni che producono l’alterazione delle supporto: digita l’URL nella caption o
caratteristiche di un mezzo determinate dal propa- scarica l’e-book
garsi, all’interno di quel mezzo, di un qualche tipo Figura 6.1 Un’onda trasversale si pro-
di sollecitazione. Quando, ad esempio, seguiamo la paga lungo una serie di
bastoncini collegati tra loro.
caduta di una moneta, di quel fenomeno c’interessa Nel filmato si vede chiara-
la descrizione delle grandezze fisiche che possiamo mente come l’onda, costituita
associare alla moneta che cade, che è il soggetto del di un singolo impulso, si
nostro interesse. Della moneta possiamo tracciare la propaga verso sinistra, ma
traiettoria, definire la posizione e la velocità a ogni se si concentra l’attenzione
su un singolo bastoncino si
istante di tempo. Quando la moneta raggiunge il vede che esso non cambia
pavimento produce un suono che, al contrario della la propria posizione, ma
moneta, si propaga in ogni direzione: non è qualcosa oscilla nella direzione verticale
di cui possiamo tracciare la traiettoria come nel ca- [http://youtu.be/0Cwtavu_E_A].
so della moneta, ma è qualcosa di esteso nello spazio
per il quale non sapremmo definire una procedura
chiara per misurarne la posizione. In un certo senso spone a formare un piano perfettamente orizzontale
potremmo dire che il suono è ovunque attorno al- e liscio. Se però infiliamo un dito nell’acqua spin-
l’oggetto che lo produce. Il suono, infatti, è prodotto giamo le particelle d’acqua verso il basso; queste, a
dalla sollecitazione che la moneta, urtando il pavi- loro volta, spingono le particelle vicine che non pos-
mento, produce in un mezzo come l’aria circostante, sono che muoversi verso l’alto e infatti cosí fanno.
che si propaga nel mezzo stesso. Se togliessimo l’aria Subito dopo, però, ricadono e nel cadere spingono
(e questo si può fare facendo il vuoto in un tubo nel le particelle vicine verso il basso innescando cosí un
quale si lascia cadere la moneta) non sentiremmo processo nel quale i punti sulla superficie dell’acqua
alcun rumore! In altre parole quello che si muove, si si muovono in su e in giú mentre la spinta che pro-
propaga, nel caso del suono non è qualcosa di tangi- voca questo movimento si propaga radialmente dal
bile, ma la sollecitazione esercitata inizialmente sul punto nel quale abbiamo infilato il dito all’inizio. La
mezzo stesso. In un certo senso il mezzo attraverso direzione di propagazione dell’onda che si genera è
il quale si propaga l’onda resta fermo (alcune sue in questo caso perpendicolare1 al moto delle parti-
parti si muovono, ma oscillando, per cui in media celle del mezzo attraverso il quale l’onda si propa-
le sue parti rimangono ferme): è la perturbazione ga. In questi casi diciamo che l’onda è trasversale
indotta nel mezzo che si propaga, si sposta, e non (Filmato 6.1).
le parti del mezzo. Il punto di partenza di un’onda lo chiamiamo sor-
Qualcosa di analogo accade con le onde sull’ac- 1
Per essere precisi il moto è un po’ piú complicato, ma in
qua. Se riempiamo una bacinella d’acqua e la la-
questa sede possiamo trascurare questo genere di dettagli.
sciamo ferma sul tavolo la superficie dell’acqua si di-
6.1. CARATTERIZZAZIONE DELLE ONDE 74

gente dell’onda. Se la sorgente è piccola rispetto al- cune grandezze fisiche che si possono misurare nel
le dimensioni dell’onda possiamo considerarla pun- caso delle onde. Il compito, a prima vista, non sem-
tiforme. Quando la sorgente è puntiforme e le onde bra facile: di onde ne esistono un’infinità e sembrano
si propagano su una superficie, come nel caso in cui tutte diverse tra loro. Ma per fortuna la matematica
intingiamo un dito in una bacinella d’acqua, le onde ci viene in aiuto fornendoci uno strumento potentis-
che da questa si propagano sono di forma circolare. simo: il teorema di Fourier2 . Semplificando mol-
Quando invece le onde si propagano in un mezzo to, il teorema di Fourier stabilisce che ogni funzione
tridimensionale, nel caso di sorgenti puntiformi, le periodica (con certe caratteristiche come il fatto
onde sono di forma sferica: quando parliamo, le onde di essere continua, che però è una caratteristica di
sonore s’irradiano in tutte le direzioni rispetto alla cui godono praticamente tutte le funzioni che inte-
nostra bocca e ci possono sentire anche persone che ressano a un fisico), si può sempre scrivere come una
si trovano dietro, sopra o sotto di noi. Proprio que- somma, al limite infinita, di funzioni sinusoidali. In
sto fatto dimostra che il suono dev’essere prodotto formule:
da un’onda: se fosse prodotto da particelle che si
muovono dalla sorgente all’ascoltatore dovrebbero ∞
raggiungere quest’ultimo solo nella direzione nella
X x x
f (x) = An cos + Bn sin , (6.1)
quale si orienta la bocca, come quando si soffia sul- i=0
Ln Ln
le candeline di una torta, che non si spengono se si
trovano ai lati o dietro la bocca. Il filmato 9.1 di- dove An , Bn e Ln sono opportuni coefficienti nume-
mostra che il suono è prodotto da un’onda longitu- rici che il teorema consente di calcolare. Natural-
dinale, nella quale cioè la sollecitazione si produce mente la stessa formula si può scrivere in molti mo-
nella stessa direzione della propagazione dell’onda: di diversi e nei libri di matematica appare spesso in
una particella di aria spinta dalla vibrazione di un un’altra forma, ma voi avrete notato che l’argomen-
altoparlante comincia a muoversi e cosí facendo ur- to delle funzioni seno e coseno è stato scritto come
ta un’altra particella. La prima rimbalza all’indie- x/Ln per evidenziarne la natura adimensionale: le
tro, mentre la seconda si sposta in avanti. In questo dimensioni fisiche di x devono evidentemente esse-
modo la seconda può trasmettere la sollecitazione a re le stesse di Ln . Le funzioni periodiche sono quelle
una particella vicina e cosí via: possiamo immagi- che si ripetono uguali a sé stesse a intervalli regolari.
nare l’aria come un fluido che viene compresso e che Per rendervi conto meglio di come funzioni il teore-
torna a rarefarsi in continuazione in un determinato ma di Fourier potete guardare i grafici animati che
punto dello spazio, mentre l’onda di compressione si si trovano alla pagina di Wikipedia che corrisponde
propaga mettendo in moto (comprimendole) le par- alla voce Fourier Series, che è fatta piuttosto bene.
ticelle di aria circostanti. Quando l’onda di compres- In particolare a quella pagina si trova la Fig. 6.2.
sione giunge nelle vicinanze delle nostre orecchie le Potete anche accedere a http://tube.
molecole di aria compresse, riespandendosi, urtano geogebra.org/student/m811701 per sperimentare
il timpano e lo fanno vibrare. È questo movimen- da soli la decomposizione di una funzione periodica
to del timpano che produce nel nostro cervello la in armoniche, come sono dette le componenti
sensazione sonora. della somma di Fourier.
Le onde cui siamo interessati noi sono sempre rap-
presentabili come funzioni periodiche. Anche qualo-
6.1 Caratterizzazione delle on- ra l’onda sia costituita di un singolo impulso (vedi
Filmato 6.1), come quando si scuote l’estremità di
de
2
Dal nome di Jean Baptiste Fourier che lo formulò.
Se vogliamo capire di piú circa il comportamento
delle onde dobbiamo per prima cosa individuare al-

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6.1. CARATTERIZZAZIONE DELLE ONDE 75

quelle cioè che si possono rappresentare come fun-


zioni trigonometriche seno o coseno. Tanto, qualun-
que sia la forma dell’onda si potrà sempre scrivere
come somma di onde trigonometriche e dunque, nel
complesso, l’onda avrà le stesse proprietà delle onde
sinusoidali. Ci possiamo dunque limitare a conside-
rare solo onde sinusoidali: si tratta di una semplifi-
cazione non da poco! Nel caso delle onde sulla su-
perficie dell’acqua, per esempio, possiamo pensare
di limitarci a descriverle matematicamente con una
funzione del tipo

y = A sin θ , (6.2)
dove y rappresenta una grandezza fisica il cui valo-
re cambia al variare di qualcosa che si può rappre-
sentare come un angolo. Per esempio, nel caso delle
Figura 6.2 Un’onda quadra, che si presen- onde sull’acqua, y rappresenta l’altezza del pelo del-
ta come una successione rego- l’acqua rispetto alla condizione di equilibrio e può
lare di impulsi di forma ret- essere sia positiva (sulle creste dell’onda) che ne-
tangolare si può sempre scri-
vere come una somma di tan-
gativa (nei ventri). Se l’onda descrive un suono, y
te funzioni sinusoidali. In alto rappresenta la variazione di pressione del fluido nel
si vede l’onda quadra, in blu, quale il suono si propaga. La pressione in un deter-
sovrapposta a una singola si- minato punto può essere maggiore di quella media
nusoide: le due onde si somi- (e in questo caso y > 0) o minore (y < 0).
gliano, ma non troppo. Se pe-
rò alla sinusoide se ne somma
Come argomento del seno non possiamo che usare
un’altra con un diverso perio- un angolo θ che di fatto sarà un numero adimensio-
do si trova la figura immedia- nale compreso tra −∞ e +∞ che rappresenta una
tamente sotto, che decisamen- grandezza fisica da cui l’onda dipende: una distan-
te somiglia di piú all’onda in za o un intervallo di tempo. L’ampiezza dell’onda y
blu. Continuando a sommare
sinusoidi si ottiene una funzio- a un certo istante di tempo t, infatti, dipende dal-
ne che somiglia sempre di piú la posizione x in cui si osserva il mezzo sollecitato.
a quella originale (La figura è Prendiamo per esempio il caso di un’onda che si pro-
stata prodotta da Jim Belk). paga lungo una corda. Se copriamo tutta la corda
con uno schermo con una finestra sufficientemente
sottile e osserviamo i punti della corda attraverso
una corda3 , si può pensare come rappresentata da la finestra, li vedremo andare su e giú al variare del
una funzione periodica il cui periodo, cioè l’interval- tempo. In questo caso y è una funzione del tempo
lo di tempo dopo il quale un secondo impulso com- y = y(t) e x è fissata alla posizione della finestra.
pare laddove è transitato il primo, è molto lungo Se invece fissiamo il tempo, facendo una foto della
(al limite infinito). Questo ci permette di studiare, corda dopo aver rimosso lo schermo, vedremo che
dal punto di vista formale, solo le onde sinusoidali: l’altezza dei punti della corda y è funzione della di-
stanza da uno dei capi della corda y = y(x), mentre
3
L’impulso si muove lungo la corda, ma i punti della corda
il tempo t è fissato all’istante in cui la foto è stata
non si spostano da dove sono: vanno semplicemente su, poi
giú. fatta.

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6.1. CARATTERIZZAZIONE DELLE ONDE 76

Di un’onda (sinusoidale) possiamo misurare di-


verse caratteristiche. Una di queste è l’ampiezza A x λα λ
= = =v (6.3)
che rappresenta la deviazione massima dei punti del t αT T
mezzo sollecitato dall’onda dalla posizione di equili- ed è costante. Questo rapporto lo chiamiamo velo-
brio (nel caso delle onde sull’acqua l’altezza massi- cità dell’onda. La velocità di un’onda ci dice quan-
ma che raggiunge l’onda rispetto al caso in cui l’ac- to rapidamente si sposta un massimo (o un punto
qua è immobile). Se concentriamo la nostra atten- qualsiasi con le stesse caratteristiche di ampiezza e
zione su un particolare istante di tempo (se quindi pendenza): maggiore è la velocità minore è il tempo
facciamo una fotografia all’acqua mentre si propa- impiegato dall’onda a spostarsi di una stessa distan-
ga l’onda) possiamo definire chiaramente un’altra za. Dal momento che le dimensioni fisiche di λ sono
caratteristica che è la lunghezza d’onda λ, che quelle di una distanza e quelle di T sono quelle di
rappresenta la distanza che separa due punti del- un tempo, le dimensioni fisiche di v sono quelle di
la sinusoide che abbiano le stesse caratteristiche di una distanza divisa per un tempo e si misura quindi
ampiezza e di pendenza: la lunghezza d’onda è la di- in m/s nel SI.
stanza, in metri, tra due massimi consecutivi, che è È anche utile definire l’inverso di T , ν = 1/T , co-
identica alla distanza tra due minimi o tra due punti me la frequenza dell’onda. La frequenza, che evi-
di ampiezza nulla nei quali però l’onda stia crescen- dentemente ha le dimensioni di un tempo alla meno
do o decrescendo in entrambi (due punti consecutivi uno, si misura in s−1 o in Hertz (Hz: 1 Hz=1 s−1 ).
nei quali y = 0 distano metà di una lunghezza d’on- L’angolo θ nell’equazione (6.2) è un angolo che
da). Se viceversa ci concentriamo su un particolare deve dipendere dalla posizione x e dall’istante di
punto dell’acqua e misuriamo il tempo che l’acqua tempo t in cui si osserva l’onda. Se guardiamo l’on-
impiega a raggiungere la massima altezza, tornare da in un preciso istante di tempo (ad esempio se
giú, raggiungere la minima altezza e tornare al pun- facciamo una fotografia dell’onda) vediamo che, se
to di partenza, troviamo un tempo che chiamiamo scegliamo il punto x = 0 nel punto in cui l’ampiez-
periodo e indichiamo con T . za dell’onda è la massima possibile A, allora l’onda
In definitiva l’ampiezza rappresenta la variazio- dovrà assumere nuovamente il valore massimo per
ne massima (in valore assoluto) delle caratteristiche θ = 2π e quindi la distanza x alla quale si trova4 sa-
variabili del mezzo sollecitato (l’altezza dell’acqua rà tale da rendere quest’angolo pari all’angolo giro.
nel caso delle onde sull’acqua, la densità dell’aria Ma la distanza x alla quale l’onda assume di nuovo
nel caso delle onde sonore, etc.), la lunghezza d’on- il valore massimo è λ perciò dev’essere
da la distanza tra due punti consecutivi dell’onda

che abbiano le stesse caratteristiche di ampiezza e θ=x (6.4)
di pendenza nello stesso istante e il periodo l’inter- λ
vallo di tempo necessario affinché l’onda si ripeta in modo tale che per x = 0, θ = 0 e che per x = λ,
uguale a sé stessa nello stesso punto. θ = 2π. In questo modo per x = λ/2, θ = π e cosí
Concentriamo la nostra attenzione su un massi- via. L’equazione dell’onda dunque si scrive come
mo di un’onda sinusoidale e seguiamone l’evoluzione 2π
temporale: se al tempo t = 0 il massimo si trova in y = A sin
x. (6.5)
λ
x = 0, al tempo t = T si troverà nel punto di coor-
D’altra parte, se invece concentriamo la nostra at-
dinate x = λ. Al tempo t = T /2 avrà raggiunto il
tenzione su un singolo punto del mezzo nel quale
punto di coordinate x = λ/2 ed è facile convincersi
che al tempo t = T /α il massimo che stiamo seguen- 4
Con quest’espressione non troppo precisa intendiamo la
do si sarà spostato di x = λ/α per cui il rapporto posizione alla quale si trova un punto dell’onda scelto come
riferimento: può trattarsi di una cresta, di un ventre o di un
x/t vale
altro punto qualunque.

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6.2. RIFLESSIONE E RIFRAZIONE DELLE ONDE 77

si sta propagando l’onda, lo vedremo oscillare: nel filmato non riproducibile su questo
caso delle onde sull’acqua, per esempio, lo vedremo supporto: digita l’URL nella caption o
andare su e giú. Se scegliamo l’istante t = 0 quando scarica l’e-book
la grandezza fisica che descrive le caratteristiche del Figura 6.3 Nel filmato si vede un’onda
punto del mezzo assume il valore y = A, che è il che si propaga da destra a
sinistra e che, giunta alla fine
massimo possibile (per esempio l’altezza rispetto al del mezzo nel quale si sta pro-
fondo di una vasca nel caso delle onde sull’acqua), il pagando, è riflessa all’indietro
punto tornerà ad assumere quelle stesse condizioni [http://youtu.be/NcNR7XsqqPc].
dopo un tempo t = T il che corrisponde a un angolo
θ = 2π. Pertanto possiamo scrivere che

θ=t (6.6)
T
 
 
2π 2π 2π
in modo tale che per t = 0, θ = 0 e per t = T , y = A sin x± t = A sin (x ± vt) .
λ T λ
θ = 2π. In questo caso l’onda si scrive come (6.12)
Il fronte d’onda è il luogo dei punti del mezzo in

y = A sin t . (6.7) cui il valore di y (che, ricordiamo, è la grandezza
T fisica che caratterizza l’onda) è lo stesso. Il fronte
Sapendo che T = 1/ν possiamo riscrivere d’onda avanza nel tempo spostandosi a x maggio-
l’equazione dell’onda nella forma ri o minori, secondo il segno davanti a v, quindi
la direzione dello spostamento del fronte è sempre
y = A sin (2πνt) (6.8) perpendicolare al fronte stesso.
e definendo la pulsazione ω = 2πν, come

y = A sin ωt . (6.9)
6.2 Riflessione e rifrazione
Quando x 6= 0 evidentemente sarà delle onde

2π 2π
 Anche le onde, come i corpuscoli, sono soggette ai fe-
y = A sin x± t (6.10) nomeni della riflessione e della rifrazione. Quan-
λ T
do un’onda incontra un ostacolo sufficientemente
dove il segno + o − dipende dal verso nel quale grande e con le opportune proprietà può essere ri-
si sta propagando l’onda. Se l’onda si propaga nel flessa. La perturbazione che si propaga, giunta in
verso delle x positive, allora dopo un tempo t = T /2 prossimità dell’ostacolo, cambia direzione o verso.
il massimo deve essersi spostato in x = λ/2, quindi Se l’onda arriva perpendicolarmente sull’ostacolo
l’argomento del seno deve valere zero quando t = viene riflessa all’indietro. Se invece arriva sull’osta-
T /2 e x = λ/2. Deve quindi valere la relazione colo formando un angolo θi con la direzione normale

4π 4π
 alla superficie d’incidenza, l’onda è riflessa in modo
λ± T =0 (6.11) tale che l’angolo di riflessione θr sia uguale all’angolo
λ T
d’incidenza θi : θi = θr .
e questo si può verificare solo se il segno è quello Se invece l’onda incide sulla superficie di separa-
negativo. Viceversa, se il segno è positivo l’onda si zione tra due mezzi nei quali la velocità di propaga-
sta propagando verso i punti con x piú piccole. Ri- zione delle onde non è la stessa, subisce il fenomeno
cordando che v = λ/T (quindi T = λ/v) possiamo della rifrazione che consiste nel cambio di direzione
riscrivere l’onda sostituendo a T il valore T = λ/v: dell’onda. La direzione dell’onda dopo aver attraver-
sato la superficie tende ad avvicinarsi alla normale

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6.2. RIFLESSIONE E RIFRAZIONE DELLE ONDE 78

C
per prima nel secondo mezzo e rallenta, restando
indietro rispetto alla porzione di fronte d’onda che
ancora non è arrivata alla superficie. Man mano che
il fronte d’onda prosegue, il rallentamento interessa
v1 ∆t una porzione sempre piú grande del fronte. Facendo
riferimento alla Fig. 6.4 si vede che al tempo t = 0
il fronte d’onda, rappresentato dal segmento AC,
A θi B
giunge alla superficie di separazione; dopo un tem-
θr
po ∆t la parte che ha già attraversato la superficie è
v2 ∆t avanzata di ∆x2 = v2 ∆t, mentre quella che a t = 0
era ancora nel mezzo 1 ha percorso un tratto lungo
∆x1 = v1 ∆t piú lungo6 . I triangoli ACB e ADB
D
sono rettangoli, quindi possiamo scrivere che

Figura 6.4 Il fronte d’onda AC giunge AB sin θi = v1 ∆t (6.13)


in prossimità della superficie
di separazione tra due mezzi e
(uno dei quali rappresentato
in azzurro). Il fronte d’onda AB sin θr = v2 ∆t . (6.14)
avanza nel mezzo 2 con velo-
cità diversa e nello stesso tem- Dividendo membro a membro abbiamo che
po nel quale il fronte percorre
il tratto CB nel mezzo 1, per- sin θi v1
corre il tratto AD nel mezzo = . (6.15)
sin θr v2
2.
Se c è la velocità dell’onda in un mezzo di riferimen-
to possiamo sempre esprimere v1 e v2 come la velo-
cità c divisa per un numero n adimensionale che di-
alla superficie se nel secondo mezzo la velocità di pende dal mezzo nel quale si sta propagando l’onda:
propagazione è minore che nel primo, e tende ad v = c/n e v = c/n . Abbiamo perciò che
1 i 2 r
allontanarsene se invece è maggiore.
Questo è uno dei motivi per i quali le onde che sin θi c nr nr
= = . (6.16)
si vedono arrivare su una spiaggia arrivano sempre sin θr ni c ni
da una direzione che è grosso modo perpendicola- che si può riscrivere come
re alla linea di costa. In alto mare le onde possono
avere una direzione qualunque, quindi potrebbero ni sin θi = nr sin θr (6.17)
anche viaggiare quasi parallelamente alla costa, ma
avvicinandosi a questa la loro velocità diminuisce5 che mnemonicamente è piú semplice da ricordare.
e cosí la direzione di propagazione tende ad avvi- Al numero n si dà il nome di indice di rifrazione.
cinarsi sempre di piú a quella perpendicolare alla
spiaggia.
Il fenomeno è piuttosto semplice da spiegare:
quando il fronte d’onda arriva con un angolo θi ri-
spetto alla direzione normale alla superficie di pro- 6
Per eseguire il disegno bisogna considerare che il fron-
pagazione, la parte di questo piú avanzata penetra te d’onda, per definizione, si propaga perpendicolarmente a
sé stesso, quindi il tratto AD è perpendicolare alla porzio-
5
La velocità delle onde del mare dipende dalla profondità ne di fronte nel mezzo in basso DB, mentre il tratto CB è
del fondale. perpendicolare alla porzione di fronte nel mezzo in alto AC.

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Unità Didattica 7
Interferenza

fluido, etc.) risulterà avere un valore che si ottiene


Prerequisiti: Onde sommando tutti gli effetti prodotti da tutte le onde:

Quando un mezzo è sollecitato in piú punti, in


X
y= Ai sin θi . (7.1)
ciascuno di essi si genera un’onda che si propaga. In i
uno stesso punto del mezzo si possono dunque pro-
Ciascun θi si può scrivere come
durre effetti dovuti a piú onde: effetti che si som-
mano dando luogo al fenomeno dell’interferenza 2π
che consiste proprio nella somma (algebrica) degli θi = (xi ± vi ti ) . (7.2)
λi
effetti provocati da piú onde in uno stesso punto. Nell’espressione, l’ampiezza Ai di ciascuna onda è
Sollecitando la superficie di un liquido (per esem- indipendente dall’altra, cosí come la sua lunghez-
pio lanciando un sasso in uno stagno), dal punto za d’onda λ . La velocità v con la quale si propaga
i i
in cui avviene la sollecitazione si propagano onde l’onda nel mezzo, in linea di principio, può essere di-
circolari. Se i punti sollecitati sono due (due sassi versa per ciascuna onda. Sperimentalmente si vede
lanciati in due punti diversi dello stagno) le onde si che, per quasi tutte le onde, la velocità di propa-
propagano da due punti diversi e prima o poi i fronti gazione dipende piú che altro dal mezzo nel quale
d’onda circolari s’intersecano. Nei punti in cui giun- si propagano e solo debolmente dalle caratteristiche
gono contemporaneamente le creste di due diverse dell’onda. Per esempio, la velocità con la quale si
onde, gli effetti prodotti da ciascuna si sommano propagano le onde sull’acqua o le onde sonore risulta
e si dice che si ha interferenza costruttiva. Se praticamente indipendente dalla lunghezza d’onda
in uno stesso punto giungono contemporaneamente (nel caso del suono in aria è di circa 330 m/s), an-
due onde ciascuna delle quali ha ampiezza nulla al che se una debole dipendenza c’è. In ogni caso, fino
momento dell’incontro, gli effetti provocati sul mez- a quando non abbiamo problemi con la matematica,
zo saranno ugualmente nulli. Può anche succedere ci converrà assumere che la velocità di propagazione
che due onde arrivino nello stesso punto dello spazio dell’onda potrebbe dipendere dall’onda stessa.
quando si trovano l’una nella condizione di ampiez- Il valore di xi rappresenta la distanza tra la sor-
za massima e l’altra di ampiezza minima: in questo gente dell’onda i e il punto nel quale si osserva l’on-
caso gli effetti dell’una annullano (almeno parzial- da e t il tempo trascorso dall’istante in cui questa
i
mente se le onde non sono uguali) gli effetti dell’al- è partita dalla sorgente. Se vogliamo sommare tutte
tra e si ha interferenza distruttiva. In generale le onde insieme dobbiamo farlo rispetto a un unico
possiamo dire che si ha interferenza ogni qual volta sistema di riferimento che ha l’origine in un punto
due o piú onde s’incontrano nello stesso punto dello che potrebbe coincidere con una delle sorgenti, ma
spazio. Nel medesimo istante, in quel punto il mezzo non con le altre. Perciò, se misuriamo la distanza
appare sollecitato da tutte le onde che vi giungono percorsa dall’onda a partire da un punto arbitra-
e dunque la grandezza fisica y perturbata dall’onda rio O, le distanze x percorse da ciascuna onda si
i
(l’altezza del pelo dell’acqua, la pressione locale del scriveranno come
7.1. CASI PARTICOLARI 80

7.1 Casi particolari


x i = x + δi (7.3)
La somma di molte onde può essere complicata
e contestualmente
da trattare dal punto di vista matematico, per-
ciò, per capire gli effetti provocati dall’interferen-
ti = t + τi (7.4)
za, ci limitiamo a considerare quella prodotta da
con δi e τi costanti. La conseguenza è che ciascuna due sole onde con la stessa ampiezza. I fenome-
onda si scrive come ni descritti in questo paragrafo si possono speri-
mentare all’indirizzo http://tube.geogebra.org/
student/m812001. Considerando due onde con la
 

yi = Ai sin ((x + δi ) ± vi (t + τi )) . (7.5)
λi stessa ampiezza, ma con frequenza diversa, abbia-
mo che, in uno stesso punto x e allo stesso istante t
Raccogliendo tutte le costanti si trova
l’onda risultante è
  

 

yi = Ai sin ((x ± vi t) + δi ± vi τi ) (7.6) y =A sin (x ± v1 t) +
λi λ1
  (7.10)
e osservando che 2π
sin (x ± v2 t) + φ .
λ2

(δi ± vi τi ) = φi (7.7) La fase φ l’abbiamo messa solo in uno degli addendi
λi perché possiamo sempre scegliere il sistema di rife-
è costante, possiamo riscrivere rimento in modo tale che φ1 = 0 e φ2 = φ. In questo


 caso φ si dice fase relativa. Introducendo il nume-
yi = Ai sin (x ± vi t) + φi (7.8) ro d’onda k = 2π/λ e ricordando che ω = 2π/T e
λi
che v = λ/T l’equazione dell’onda si scrive
La grandezza φi , che è adimensionale, prende il no-
me di fase dell’onda e dipende dalla scelta che si fa
del sistema di riferimento per misurare le distanze y = A (sin (k1 x ± ω1 t) + sin (k2 x ± ω2 t) + φ) .
e i tempi. La somma di tutte queste onde si scrive (7.11)
dunque Può sembrare complicato ricordare le espressioni
adoperate, ma in realtà è molto semplice: basta ri-
cordare che l’obiettivo è quello di scrivere la fun-
 
X X 2π
y= yi = Ai sin (x ± vi t) + φi . (7.9) zione che rappresenta l’onda nella maniera piú sem-
λi
i i
plice possibile che è y = A sin (kx ± ωt). A que-
La somma di tante funzioni sinusoidali può dar luo- sto punto il numero k dev’essere qualcosa che ha le
go, in linea di principio, a una funzione cheP può dimensioni di una lunghezza alla meno uno e tale
assumere un valore massimo pari a Amax = i Ai e da formare un angolo quando è moltiplicato per x.
un minimo di Amin = −Amax . Naturalmente, data L’unica grandezza che caratterizza l’onda che ha le
la presenza
P della fase φi , potrebbe anche accadere dimensioni di una lunghezza è λ perciò k ∝ 1/λ.
che A = Ai = 0, cosí come è possibile che l’am- Dovendo kx rappresentare un angolo è chiaro che ci
piezza assuma uno qualunque dei valori compresi vuole un fattore 2π a numeratore, perciò
tra −Amax e +Amax .
All’indirizzo http://tube.geogebra.org/ 2π
k= (7.12)
student/m811957 hai la possibilità di vedere cosa λ
succede alla somma di due onde sinusoidali quando
la fase relativa φ cambia.

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7.1. CASI PARTICOLARI 81

che si misura in m−1 nel SI. Allo stesso modo ωt  


dev’essere un angolo, quindi ω dev’essere un tempo ω1 + ω2
y = A(t) sin t . (7.19)
alla meno uno e non può che essere 2
In questo caso l’ampiezza dell’onda non è costante,

ω= = 2πν . (7.13) ma varia nel tempo e varia sinusoidalmente con una
T frequenza che è la differenza delle frequenze delle
Utilizzando le formule di prostaferesi riscriviamo la due onde. L’ampiezza passa da un valore minimo a
funzione d’onda come un valore massimo e in certi casi è nulla. In parti-
(k1 + k2 ) x ± (ω1 + ω2 ) t + φ colare se ω1 ' ω2 ' ω la semisomma di queste due
y = 2A sin frequenze è pari alla media delle frequenze (che sarà
2 (7.14)
(k1 − k2 ) x ± (ω1 − ω2 ) t − φ simile alle frequenze originarie), mentre la semidiffe-
cos
2
. renza sarà un numero molto piccolo. Se la frequenza
con la quale cambia l’ampiezza è piccola, la modu-
Possiamo a questo punto misurare gli effetti del- lazione dell’ampiezza dell’onda varia lentamente nel
l’onda nello stesso punto x e vedere come varia nel tempo e si parla di battimenti.
tempo. Scegliendo l’origine degli assi nel punto in I battimenti si possono apprezzare facilmente con
cui osserviamo l’onda abbiamo x = 0 e sostituendo le onde sonore: pizzicando la stessa corda di due chi-
nella funzione d’onda avremo la descrizione di ciò tarre ben accordate, il suono prodotto da entrambe
che vedremmo in quel punto al variare del tempo: ha la stessa frequenza e nello stesso punto si può
la grandezza fisica y che oscilla come ascoltare un suono d’intensità piú alta rispetto a
quello prodotto da una sola delle due. In questo ca-

ω1 + ω2 φ

ω1 − ω2

φ
 so la fase relativa è abbastanza irrilevante perché
y = 2A sin t+ cos t− . comunque dà origine a una fase complessiva costan-
2 2 2 2
(7.15) te che si traduce in una traslazione dell’origine dei
Nel caso in cui le due onde che interferiscono siano tempi. Se la nota prodotta da una delle due corde
in fase (φ = 0) e abbiano la stessa frequenza per cui è alterata agendo sulla tastiera, in modo tale che la
ω = ω1 = ω2 , abbiamo che l’argomento del coseno frequenza corrispondente non sia troppo lontana da
vale 1, mentre quello del seno vale ω e quindi quella originale, il suono che si percepisce è prati-
camente lo stesso di prima, ma si ode una modu-
y = 2A sin ωt (7.16) lazione regolare dell’intensità del suono che appare
ora piú intenso ora meno intenso a intervalli regolari
risulta essere un’onda che ha le stesse caratteristiche (determinati dalla differenza ω1 − ω2 ).
di quelle incidenti, ma ampiezza doppia. Se la fase è Se preferite un metodo piú tecnologico potete
nulla, ma le due onde non hanno la stessa frequenza fare cosí: visitate il sito onlinetonegenerator.com/.
abbiamo che Con questo strumento potete produrre due toni di
frequenza leggermente diversa l’uno dall’altro: per
ω1 − ω2 esempio 200 Hz e 220 Hz. Usando un’App come
   
ω1 + ω2
y = 2A sin t cos t . (7.17) Sound Oscilloscope potete osservare la forma d’onda
2 2
del segnale che giunge al microfono di uno smart-
Possiamo pensare al prodotto phone. Aggiustando la scala dei tempi opportuna-
mente potrete osservare (e sentire con le vostre orec-
ω1 − ω2
 
A(t) = 2A cos t (7.18) chie) la caratteristica modulazione del segnale. Per
2 un segnale di questa frequenza il periodo è
come a un’ampiezza variabile dell’onda risultan- 1
te, che sarà descritta come T ' = 5 ms (7.20)
200
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7.1. CASI PARTICOLARI 82

Accordare un pianoforte     
Il fenomeno dei battimenti è sfruttato dagli ac- y = 2A sin

x−
δ
cos
2π δ
. (7.24)
cordatori di strumenti musicali per regolare la λ 2 λ 2
tensione delle corde degli strumenti che corri- Ora, se l’argomento del coseno vale 2π o un suo mul-
spondono all’emissione della nota LA. Questa tiplo, il coseno vale 1. Questa circostanza si verifica
è la nota prodotta dai diapason quando sono quando
percossi. Se insieme al diapason si fa vibrare
la corda corrispondente, in caso di perfetta ac- 2π δ
= 2mπ (7.25)
cordatura il suono che si percepisce è piatto e λ 2
d’intensità costante (con una leggera diminu- dove m è un qualunque numero intero m =
zione col tempo dovuta alle forze dissipative). 0, 1, 2 . . .. Questo significa che quando
Quando invece la nota prodotta dalla corda è
vicina, ma non identica, a quella prodotta dal δ = 2mλ , (7.26)
diapason si ode la tipica modulazione del volu- e cioè quando le due onde sono sfasate di un nu-
me dei battimenti. La percezione di questa mo- mero pari di lunghezze d’onda, si ha la massi-
dulazione induce l’accordatore ad aumentare o ma interferenza costruttiva. Del resto, anche quan-
a diminuire la tensione della corda. do l’argomento del coseno vale π (e quindi il coseno
vale −1) si ha interferenza costruttiva, perché quel
mentre quello dei battimenti è di che succede è che l’onda risultante assume l’ampiez-
za massima con il segno cambiato. Questo avviene
(7.21) quando
1 1
Tb = = = 50 ms ,
220 − 200 20
perciò se volete vedere diversi battimenti dovete sce- 2π δ
= mπ (7.27)
gliere una scala dell’ordine di qualche multiplo di λ 2
50 ms. Con una scala di 200 ms ne vedreste quattro, e quindi per
per esempio.
Con onde di frequenza maggiore (per esempio 440 δ = mλ . (7.28)
e 441 Hz) potete apprezzare l’effetto con le vostre L’interferenza costruttiva quindi si ha quando le due
orecchie: sentirete l’intensità del suono modulata onde sono sfasate di un qualunque numero inte-
con un periodo pari all’inverso della differenza di ro di lunghezze d’onda. Al contrario, l’interfe-
frequenza (per l’esempio il periodo di modulazione renza è totalmente distruttiva quando l’argomento
del segnale è di 1 s). del coseno vale π2 , 3 π2 , 5 π2 e cosí via, cioè quando
Un altro caso interessante d’interferenza si ha l’argomento del coseno è un multiplo dispari di π2 .
quando un’onda di equazione Questo si verifica quando
2π 2π δ π
y = A sin x (7.22) = (2m + 1) (7.29)
λ λ 2 2
interferisce con un’altra onda con la stessa lunghez- con m intero, cioè quando
za d’onda partita da un punto diverso x0 = x + δ,
che ha dunque equazione λ
δ = (2m + 1) . (7.30)
2
2π Possiamo dunque dire che l’interferenza sarà com-
y = A sin (x − δ) . (7.23)
λ pletamente distruttiva quando le due onde sono sfa-
Quando le due onde si sommano si ottiene un’onda sate di un numero dispari di mezze lunghezze
di equazione d’onda.

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7.2. ONDE STAZIONARIE 83

7.2 Onde stazionarie


Quando un’onda si propaga in un mezzo e giunge in y(x, t) = −2A sin (kL) cos (ωt) = 0 (7.32)
un punto nel quale il mezzo è vincolato a star fer-
mo, deve avere, in quel punto, ampiezza nulla. Nel per qualunque valore di t. Questo può accadere
caso delle onde che si propagano lungo una corda, soltanto se
ad esempio, può succedere che la corda sia legata
in uno o piú punti a un supporto: in questo caso, kL = mπ (7.33)
quando si sposta un punto della corda dalla sua po- con m pari a un qualunque numero intero m =
sizione di equilibrio e lo si lascia andare, il moto dei 0, 1, 2, . . .. Poiché k = 2πλ−1 (per ricordarlo basta
vari punti della corda assume carattere ondulato- osservare che le dimensioni di k devono essere quelle
rio, come sempre. Le onde che si formano devono di una lunghezza alla meno uno e che il prodotto kx
necessariamente avere ampiezza nulla nei punti in dev’essere un angolo) abbiamo che
cui la corda è vincolata. La corda di un violino o di
una chitarra, per esempio, da un lato è vincolata al 2π π
=m (7.34)
ponticello, dall’altra al pirolo (detto anche bische- λ L
ro) che è il piolo attorno al quale si avvolge e che cioè che
serve per tenderla. Quando la si pizzica, si sposta-
λ L
no alcuni suoi punti dalla posizione di equilibrio (il = (7.35)
che è possibile grazie alle sue proprietà elastiche); in 2 m
seguito al rilascio, le forze elastiche riportano i pun- e in definitiva dev’essere λ = 2L/m con m intero.
ti spostati nella posizione iniziale, ma le forze che La lunghezza d’onda delle onde che si propagano
tengono insieme i punti della corda producono a lo- lungo una corda fissata in due punti non può esse-
ro volta spostamenti sui punti adiacenti che danno re qualunque: solo certe lunghezze d’onda sono per-
origine al propagarsi di due onde nei due versi della messe, la piú grande delle quali è pari a λM AX = 2L.
corda: una verso il ponticello e l’altra verso il piro- Corrispondentemente la frequenza dell’onda può as-
lo. La somma delle due onde costituisce a sua volta sumere solo valori discreti e la minima frequenza
un’onda che tuttavia non può essere qualunque: nel permessa per le onde di questo tipo vale
punto in cui la corda è assicurata al ponticello e nel c c
punto in cui è avvolta attorno al pirolo l’ampiezza νmin =, = (7.36)
λM AX 2L
dell’onda dev’essere nulla, deve cioè essere che
dove c è la velocità di propagazione dell’onda lungo
la corda. La frequenza νmin si chiama fondamen-
y(x, t) = A sin (kx + ωt) + A sin (kx − ωt) = 0 tale e l’onda associata prende il nome di armo-
(7.31) nica fondamentale. Tutte le altre frequenze sono
quando x corrisponde alla coordinata del ponticel- multiple della fondamentale essendo
lo (che possiamo sempre scegliere coincidere con c c
x = 0) e quando x coincide con la coordinata del ν= = m = mνmin (7.37)
λ 2L
pirolo (per cui, se abbiamo scelto x = 0 coincidente e prendono il nome di armoniche di ordine m.
con il ponticello, abbiamo x = L dove L è la lun- Questo genere di onde si chiama onda stazionaria
ghezza effettiva della parte di corda che può oscilla- perché in essa alcuni punti del mezzo nel quale si
re). Questo significa che, sempre usando le formule propaga l’onda, che si chiamano nodi, sono sempre
di prostaferesi e il fatto che cos (−θ) = − cos θ, si fermi.
deve avere Un secondo tipo di onde stazionarie si verifica
quando il numero di punti in cui è vincolato il mezzo

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7.2. ONDE STAZIONARIE 84

attraverso il quale si propagano le onde è uno solo. e anche in questo caso λ non può avere un valore
Provate a soffiare nel cappuccio di una penna bi- qualunque, ma deve per forza assumere un valore
ro: si sente un caratteristico fischio, sempre uguale. dato dalla relazione
Indipendentemente dal modo in cui si soffia, la fre-
quenza del suono percepito è sempre la stessa: varia 4L
λ= . (7.41)
l’intensità del suono, ma non la frequenza. Il suono 2m + 1
prodotto può variare solo se varia (apprezzabilmen- La massima lunghezza d’onda permessa si ha per
te) la forma del cappuccio (ad esempio, se si usa il m = 0 e vale λ = 4L. Questa lunghezza d’onda
cappuccio di un pennarellone). Il motivo sta nel fat- corrisponde alla frequenza dell’armonica fondamen-
to che il suono è prodotto da un’onda longitudinale tale. Le armoniche di ordine superiore hanno una
che si propaga nell’aria: quando si soffia nel cap- lunghezza d’onda piú breve.
puccio l’aria sposta quella presente comprimendola
in direzione del fondo del cappuccio. Quando l’onda
di compressione giunge sul fondo non può piú com-
primere altra aria, che non c’è, dunque è costretta
a tornare indietro per riflessione. Il risultato è che
si produce un’onda di compressione verso il fondo
del cappuccio che interferisce con l’onda riflessa da
questo che si dirige verso la bocca. Fin quando si
continua a soffiare, mentre sul fondo del cappuccio
l’ampiezza dell’onda risultante dalla somma di que-
ste due deve rimanere nulla (perché non c’è alcuna
compressione), in prossimità della bocca l’onda de-
ve assumere la massima ampiezza, visto che è quello
il punto in cui la compressione, prodotta dal soffio,
è massima.
Di nuovo, la somma delle due onde (quella che
parte dalla bocca e quella che parte dal fondo) si
scrive come

y(x, t) = −2A sin (kx) cos (ωt) , (7.38)


e abbiamo che y(0, t) = 0 per ogni t (avendo scelto
per x = 0 la coordinata del fondo del cappuccio),
mentre y(L, t) = −2A sin (kL) cos (ωt). Al variare
di t quest’ampiezza dev’essere la massima possibile
e quindi si deve avere che
π
kL = (2m + 1) (7.39)
2
con m intero, cioè che
2π π
= (2m + 1) (7.40)
λ 2L

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Unità Didattica 8
Effetti del moto sulle onde

primo fronte d’onda ha viaggiato per una distan-


Prerequisiti: Onde za pari a vT . Di conseguenza la distanza tra i due
fronti d’onda è
Le onde sono il prodotto di una qualche solle-
citazione che si propaga in un mezzo, che si può λ0 = (v − u) T . (8.2)
considerare fermo. La sorgente delle onde e un os-
servatore possono essere in moto rispetto a questo Ma la distanza tra due fronti d’onda per definizione
mezzo e questo fa sí che le onde subiscano fenomeni è la lunghezza d’onda, che quindi all’osservatore che
di alterazione delle loro caratteristiche. la misura appare piú piccola rispetto a quella che
In questo capitolo studiamo quel che accade a avrebbe quando la sorgente è ferma. La frequenza
un’onda quando la sorgente o l’osservatore (o en- ν 0 percepita dall’osservatore si scrive dunque come
trambi) sono in moto rispetto al mezzo nel quale si v v
propagano le onde. ν0 = 0
= ν. (8.3)
λ v−u
È facile vedere che, nel caso in cui la sorgente si
8.1 L’effetto Doppler allontana dall’osservatore, la frequenza percepita da
quest’ultimo è invece
Le onde che si propagano in un mezzo danno luo-
v
go a un fenomeno abbastanza peculiare noto con ν0 = ν. (8.4)
il nome di effetto Doppler1 . L’effetto consiste nel- v+u
l’alterazione della frequenza di un’onda misurata da Potete facilmente sperimentare questa situazione
un osservatore o emessa da una sorgente in moto. mettendovi a bordo strada e ascoltando i rumori
Immaginiamo una sorgente di onde (per esempio prodotti dai mezzi che passano: si ode una caratte-
di onde sonore, come un motore) in avvicinamento ristica modulazione del suono prodotto che, quan-
con velocità u a un osservatore fermo (a lato del- do il mezzo si avvicina, diventa sempre piú acuto
la strada). Al tempo t = 0 la sorgente emette un per diventare sempre piú grave quando si allonta-
primo fronte d’onda che inizia a propagarsi verso na. Chiaramente l’effetto è tanto piú evidente quan-
l’osservatore a velocità v. La lunghezza d’onda λ e to maggiore è la velocità dei mezzi, perciò se siete
la frequenza ν dell’onda sono legate alla velocità di in autostrada o a una gara di Formula 1 l’effetto
propagazione v dalla relazione Doppler si sente meglio.
Se è l’osservatore a muoversi quando la sorgente è
v = λν . (8.1) ferma allora accade qualcosa di diverso: se l’osserva-
tore si avvicina con velocità u alla sorgente di onde,
Trascorso un periodo T la sorgente emette un se- vede queste ultime muoversi verso di lui a una velo-
condo fronte d’onda. In quest’istante la sorgente si cità pari a v 0 = v + u (il tempo impiegato a vedere
è spostata di uT dalla posizione iniziale, mentre il due fronti d’onda successivi diminuisce perché nel
1
Dal nome di Christian Doppler. tempo impiegato da un fronte a coprire la distanza
8.1. L’EFFETTO DOPPLER 86

che lo separa dal precedente, che vale T , l’osser- L’effetto Doppler per la salute
vatore si è avvicinato al secondo riducendo il tem- L’effetto Doppler si usa in numerose applica-
po necessario per esserne raggiunto). La frequenza zioni tecnologiche. Una di queste è l’ecografia
percepita dall’osservatore è dunque Doppler o ecodoppler . Si tratta di un esame
diagnostico che il medico esegue per misurare la
v0 v+u v u  u velocità con la quale il sangue scorre nei vasi. Il
ν0 = = = + =ν 1+ . (8.5) medico ecografista applica al paziente un alto-
λ λ λ λ v
parlante (la sonda ecografica) che produce suoni
È evidente che quando l’osservatore si allontana non udibili dall’orecchio umano. Sulla sonda è
dalla sorgente la relazione che lega ν 0 a ν diventa montato anche un microfono che rileva le on-
 u de riflesse dai tessuti (si ha una riflessione ogni
ν0 = 1 − ν. (8.6) volta che l’onda incontra la superficie di separa-
v
zione tra due tessuti di diversa densità). Anche
Questo fenomeno è piú difficile da sperimentare per-
il sangue riflette le onde, ma a differenza dei
ché si verifica quando voi siete in moto e la sorgente
tessuti non è fermo: se il sangue si sta allonta-
è ferma: dovreste trovarvi a passare con la vostra
nando dalla sonda vede una frequenza minore
auto a gran velocità nei pressi di un luogo in cui c’è
rispetto a quella prodotta dall’altoparlante. Le
un concerto o una sirena che suona.
onde riflesse poi sono prodotte da una sorgente
In altre parole le onde misurate da un osservatore
in allontanamento e quindi per la sonda hanno
in moto rispetto a una sorgente cambiano frequen-
una frequenza ancora minore. Misurando la dif-
za in modo caratteristico, secondo lo stato di moto
ferenza di frequenza rispetto alle onde inviate si
di sorgente e osservatore. È utile considerare alcuni
può conoscere la velocità (e il verso) del sangue.
casi limite. Quando u = 0 la frequenza non deve
Anche le onde radio sono soggette a effetto Dop-
cambiare e in effetti è cosí. Se u = v, nel caso in cui
pler (relativistico però) e la polizia le usa per
sia l’osservatore a muoversi abbiamo
misurare la velocità dei veicoli con i cosiddetti
 u autovelox. Onde radio di frequenza ν prodot-
ν0 = 1 ± ν (8.7)
v te da una sorgente ferma sono inviate sulle au-
che può valere ν 0 = 0 o ν 0 = 2ν. Il primo caso cor- to in moto lungo una strada: quando giungono
risponde a quello in cui l’osservatore si allontana sull’auto questa vede le onde con una frequenza
dalla sorgente alla stessa velocità con cui viaggiano diversa ν 0 e le riflette diventando cosí una sor-
le onde. È evidente che in questo caso le onde in- gente in moto di onde di frequenza ν 0 . Al radar
seguono l’osservatore senza mai raggiungerlo e dun- giungono cosí onde radio emesse alla frequenza
que la frequenza misurata è nulla. Nel caso opposto, ν 0 ulteriormente alterate dal fatto che la sorgen-
trascorso un tempo t tale da far avvicinare l’osser- te (l’auto) è in moto. Misurando la frequenza
vatore di metà lunghezza d’onda verso la sorgente, ν 00 dell’onda cosí rilevata dai sensori del radar
nello stesso tempo il fronte d’onda si è mosso di al- si risale alla velocità dell’auto.
trettanto verso l’osservatore e il risultato è che il
periodo dell’onda si dimezza (e quindi la frequenza allunga (raddoppia), quindi la frequenza si riduce.
raddoppia). Quando la sorgente si muove verso l’osservatore al-
Quando invece è la sorgente a muoversi, in un ca- la velocità dell’onda ogni volta che emette un fronte
so otteniamo ν 0 = ν/2, mentre nell’altro si ottiene d’onda lo fa avendo raggiunto quelli emessi in prece-
ν 0 → ∞. Il primo caso corrisponde al caso in cui la denza, perciò la frequenza è infinita nel senso che la
sorgente si allontana dall’osservatore: in questo caso distanza tra un fronte d’onda e il successivo diventa
i fronti d’onda risultano piú lontani e il periodo si nulla.

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8.2. EFFETTO DOPPLER RELATIVISTICO 87

Quando sia la sorgente che l’osservatore sono in filmato non riproducibile su questo
moto rispetto al mezzo, l’effetto Doppler comples- supporto: digita l’URL nella caption o
sivo è quello che si ottiene combinando i due effetti scarica l’e-book
perciò Figura 8.1 Nel film di Sergio Corbucci
”Lo smemorato di Collegno”
(1962), Totò è un disgraziato
v v
 u±vv che ha perso la memoria ed è
0
ν = 1± ν= ν. (8.8) stato rinchiuso in manicomio.
u v±u v±uu
In questa scena Erminio
È utile a questo punto porsi la seguente domanda: se Macario prova a convincere
l’osservatore si muove con velocità u verso la sorgen- Totò che agitare la testa
davanti a un ventaglio fermo
te, gli effetti che ci si aspetta di vedere dovrebbero è la stessa cosa che agitare
essere gli stessi di quando è la sorgente a muoversi il ventaglio davanti alla
con velocità u verso l’osservatore! In fondo, il moto testa ferma, perché il moto
è sempre relativo! Eppure, nel caso dell’effetto Dop- relativo è lo stesso. Purtroppo
pler sembra che non sia cosí: le relazioni che danno quello che conta non è il
moto relativo tra testa e
la frequenza percepita dell’onda nei due casi sono ventaglio, ma quello tra aria
diverse! Come mai? La risposta a questa domanda (mossa dal ventaglio) e testa,
è semplice: l’osservazione è semplicemente sbaglia- proprio come nell’effetto
ta. Quel che è in moto relativo nell’effetto Doppler Doppler nel quale ciò che
conta non è il moto relativo
non è la coppia sorgente–osservatore, ma la coppia
tra sorgente e osservatore,
onda–osservatore. L’onda si muove, rispetto al mez- ma quello tra osservatore
zo che è fermo, a velocità v sia che la sorgente sia e fronti d’onda [https:
ferma che nel caso in cui la sorgente sia in moto. //www.youtube.com/watch?
Quando l’osservatore corre verso la sorgente, la ve- v=f-j5zPPl58o&feature=
youtu.be].
locità apparente delle onde è diversa, ma non è cosí
quando è la sorgente a muoversi (vedi il Video (8.1)).

vede allontanarsi non è U = c−u, ma sempre c! Que-


8.2 Effetto Doppler Relativisti- st’osservazione sperimentale portò alla formulazione
co della relatività ristretta.
Quando la sorgente luminosa si avvicina o si al-
La luce è un’onda elettromagnetica, come le onde lontana da un osservatore fermo, la frequenza per-
radio, i raggi infrarossi e quelli ultravioletti, i raggi cepita da quest’ultimo è data dalla relazione che
X, i raggi γ (vedi 9.2). Anch’essa dunque è sogget- abbiamo trovato per tutte le onde:
ta all’effetto Doppler, ma con un’importante diffe- c
renza. Gli esperimenti provano che la velocità del- ν0 = ν. (8.9)
c±u
la luce è sempre la stessa, qualunque sia lo stato
di moto dell’osservatore. Per quanto possa sembra- Nessuna sorgente luminosa può muoversi a velocità
re strano, se uno si muove molto rapidamente (ad maggiori o uguali a c perciò c − u è sempre un nu-
esempio, a u = 200 000 km/s) andando incontro a mero positivo e c + u è sempre minore di 2c. Se è
un raggio di luce, che viaggia a c = 300 000 km/s, l’osservatore a muoversi verso la sorgente, nel caso
non vede quest’ultimo venirgli incontro a velocità della luce questi non vede piú l’onda propagarsi a
U = u + c = 500 000 km/s, ma sempre a velocità una velocità v = c + u; la velocità di propagazio-
0

c. Analogamente, se s’insegue un raggio di luce a ne delle onde elettromagnetiche è sempre c, ma la


velocità molto alta u, la velocità con la quale lo si lunghezza d’onda di queste diminuisce perché l’os-

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8.3. L’EFFETTO ČERENKOV 88

servatore incontra due fronti d’onda successivi in


tempi piú brevi per cui

λ0 = λ − uT (8.10)
per cui
c c
ν0 =0
= . (8.11)
λ λ − uT
Essendo λ = νc e T = 1/ν, sostituendo e
manipolando un po’ l’equazione si ottiene
c c
ν0 = c u = ν. (8.12)
ν
− ν
c−u
Figura 8.2 Una sorgente di onde sferiche
È evidente che, nel caso in cui l’osservatore si al- si muove a velocità costante u
lontana, si avrà il segno meno a denominatore e in verso destra emettendo onde
definitiva che si muovono con velocità v.
Il fronte d’onda che ne risulta è
c quello rappresentato in verde.
ν0 = ν. (8.13)
c±u
secondo il verso del moto relativo. La relazione che
c’è tra le frequenze emesse e quelle misurate è la è propagata per una distanza inferiore a quella per-
stessa nei due casi perché nel caso della luce il moto corsa dalla sorgente. Il secondo fronte d’onda quin-
è effettivamente relativo: non è possibile stabilire chi di è emesso quando la sorgente è al di là del primo
si muove e chi sta fermo! fronte d’onda. Quando la sorgente emette il terzo
L’effetto Doppler relativistico altera la frequenza fronte d’onda, il primo si è propagato per una di-
della luce emessa da oggetti in rapido movimento ri- stanza pari a d1 = 2vT , il secondo per una distanza
spetto a noi. Dal momento che noi percepiamo le on- d2 = vT , mentre la sorgente si trova a una distanza
de luminose di lunghezza d’onda attorno ai 700 nm dS = 2uT > 2vT . Nel caso di onde bidimensionali
come luce rossa e quelle con λ ' 400 nm come blu, (come quelle sull’acqua) Possiamo dunque rappre-
una sorgente di luce di un determinato colore che si sentare il primo fronte d’onda come una circonferen-
allontana da noi sarebbe percepita come una sorgen- za di raggio 2v centrata nell’origine, perché emessa
te di colore diverso, con lunghezza d’onda maggiore. da tale punto, e il secondo come una circonferenza
Da qui il nome di spostamento verso il rosso o di raggio v centrata in un punto che dista uT dal-
red shift che si dà al fenomeno che si verifica os- l’origine. Dopo un ulteriore tempo T il primo fronte
servando galassie molto lontane dalla nostra (vedi d’onda si è propagato per una distanza di 3vt, il se-
Par. 8.4). condo di 2vT a partire da un punto che dista uT dal
centro del primo fronte d’onda e il terzo per una di-
stanza vT a partire da un punto che dista uT dalla
8.3 L’effetto Čerenkov sorgente del secondo fronte, come nella Fig. 8.2.
Se la velocità con la quale si muove la sorgente è L’inviluppo di tutti i fronti d’onda che si muo-
maggiore di quella con la quale l’onda si propaga, vono tutti insieme in una direzione non è altro che
allora il fronte d’onda successivo al primo è emesso un’altra onda costituita della somma delle singole
in un punto tale per cui nel tempo t = T l’onda si onde. Nella Figura 8.2 è rappresentato con una riga
verde e ha la forma di un cono (o di una sua sezio-

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8.3. L’EFFETTO ČERENKOV 89

ne se l’onda è bidimensionale). L’apertura del cono,


cioè l’angolo con il quale le onde piane che costitui-
scono l’inviluppo appaiono provenire, dipende dalla
velocità della sorgente: infatti, quando la sorgente
ha percorso un tratto lungo uT , il fronte d’onda è
avanzato di un tratto vT . Se chiamiamo α l’angolo
formato tra la direzione di volo della sorgente e il
fronte d’onda piano provocato da questo fenomeno
abbiamo che
Figura 8.3 La scia lasciata da quest’ana-
uT sin α = vT (8.14)
tra che nuota sulla superficie
e quindi di un lago è provocata dal-
l’effetto discusso nel paragra-
v fo: l’animale si sposta piú ve-
sin α = . (8.15) locemente di quanto non faccia
u
l’onda che si propaga sull’ac-
Piú è alta la velocità della sorgente u, piú è piccolo qua. Questa è provocata dallo
il seno dell’angolo (e quindi l’angolo). Questo è il spostamento del liquido pro-
fenomeno che provoca l’apparire di una scia dietro dotto dall’anatra che, spostan-
le imbarcazioni che si muovono piú rapidamente di dosi, spinge verso il basso una
porzione di acqua, la quale, es-
quanto facciano le onde sull’acqua (Figura 8.3) [?].
sendo incomprimibile, spinge
Nel caso della luce, la velocità di questa in un verso l’alto quella circostante.
mezzo d’indice di rifrazione n è v = c/n con c = 3 × Fino a valori di velocità u del-
108 m s−1 la velocità della luce nel vuoto. Si ottiene la sorgente inferiori a gL/2π,
quindi che, se una sorgente luminosa viaggia a una con g pari all’accelerazione di
gravità e L alla lunghezza del-
velocità u > c/n in quel mezzo, il fronte d’onda della
lo scafo, il fenomeno si descri-
luce appare conico. In questo caso la luce emessa ve secondo un modello dovu-
forma un fronte di semiapertura θ pari a to a Lord Kelvin. Al di sopra
di questa soglia l’apertura del
c cono dipende da u.
sin θ = . (8.16)
nu
La luce appare provenire da una direzione che è per-
pendicolare a quella lungo la quale si distribuisce il
fronte d’onda (che è la direzione del raggio che ab- filmato non riproducibile su questo
biamo preso in considerazione per calcolare θ) e per- supporto: digita l’URL nella caption o
ciò forma un angolo rispetto alla direzione di volo scarica l’e-book
della sorgente pari a Figura 8.4 Nell’esperimento illustrato in
questo filmato si dimostra co-
π π me l’apertura del cono for-
θ0 = π − −θ = −θ (8.17)
2 2 mato dalla scia di un og-
getto che si muove sull’ac-
(abbiamo usato la proprietà dei triangoli secondo
qua dipende dalla sua ve-
la quale la somma degli angoli interni vale sempre locità. Per gentile concessio-
π). Il coseno di quest’angolo è uguale al seno di θ e ne dei Proff. M. Rabaud e
perciò F. Moisy [http://www.fast.u-
psud.fr/m̃oisy/wake/] [?].
c
cos θ0 = (8.18)
nu

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8.4. IL RED SHIFT DELLE GALASSIE 90

Piú veloce della luce


Anche la luce è un’onda di natura elettroma-
gnetica. Le onde elettromagnetiche sono emesse
dalle cariche elettriche in moto. Una particella
elettricamente carica può muoversi, in un mezzo
come l’acqua, con una velocità superiore a quel- Figura 8.5 L’esperimento Super–
la della luce nello stesso mezzo (quella che non Kamiokande, in Giappone,
si può superare è la velocità della luce nel vuo- consiste in una enorme
vasca riempita d’acqua le
to!). In questo caso le onde elettromagnetiche
cui pareti sono ricoperte di
emesse dalle cariche accelerate si sommano in tubi fotomoltiplicatori. Una
un fronte d’onda conico che produce un segnale particella carica abbastanza
elettromagnetico che si propaga come un’onda veloce, attraversando l’acqua,
sferica di lunghezza d’onda tale, in certi casi, produce un cono di luce
Čerenkov rivelata dai foto-
da corrispondere a quella della luce blu. La lu-
moltiplicatori. L’intersezione
minescenza azzurrina (vedi Fig. 8.6) che si vede tra il cono Čerenkov e la
attorno alle barre di combustibile di una cen- parete del rivelatore è (quasi)
trale nucleare quando sono immerse in acqua è una conica, che il piú delle
proprio prodotta dall’effetto Čerenkov provoca- volte è un’ellisse. Nell’inserto
si vede l’immagine della luce
to dagli elettroni emessi dall’uranio che nell’ac- Čerenkov ricostruita dai
qua si muovono piú rapidamente della luce. Lo computer dell’esperimento.
stesso fenomeno si sfrutta per rivelare il passag-
gio di particelle cariche all’interno di serbatoi
d’acqua (Fig. 8.5) sulle cui pareti sono montati di un cono. Se le particelle che attraversano il mez-
dei fotomoltiplicatori (sensori sensibili alla lu- zo sono tante l’intensità della luce può addirittura
ce): il cono di luce prodotto dalle particelle che essere visibile a occhio nudo.
attraversano l’acqua, interseca la parete del con-
tenitore e accende i fotomoltiplicatori disposti
lungo un’ellisse.
8.4 Il red shift delle galassie
Come si dimostra nel Capitolo 9 la luce è un’on-
da, il cui colore dipende dalla lunghezza d’onda λ.
è la direzione di propagazione della luce relativa al-
Se s’invia luce bianca su un prisma di vetro, dal-
la direzione di volo della sorgente. Il fenomeno si
la faccia opposta di questo emerge un fascio di luce
sfrutta per rivelare il passaggio di particelle elet-
allargato rispetto a quello incidente, che mostra tut-
tricamente cariche negli esperimenti. Queste parti-
ti i colori dell’arcobaleno. Il fenomeno s’interpreta
celle, infatti, passando attraverso un materiale ne
facilmente anche alla luce della teoria ondulatoria
polarizzano le molecole, le quali, depolarizzandosi,
della luce (Paragrafo 6.2): è sufficiente assumere che
emettono radiazione elettromagnetica che, in cer-
la luce bianca sia una sovrapposizione di onde di
ti casi, può risultare visibile. Il fenomeno prende il
frequenza e lunghezza d’onda diverse, la cui velocità
nome di effetto Čerenkov. È come se ogni punto
di propagazione nel vetro dipende dalla lunghezza
della traiettoria percorsa dalla particella si compor-
d’onda. In questo modo le onde che prima d’incon-
tasse come una sorgente di onde luminose che si
trare il prisma viaggiavano parallele l’una all’altra,
muovono, nel mezzo, a una velocità inferiore a quel-
si disperdono attraversando il vetro perché ciascu-
la con la quale la sorgente si sposta. Il risultato è
na è rifratta a un angolo diverso secondo la propria
che la luce prodotta dal fenomeno assume la forma
lunghezza d’onda. Quando emerge dal vetro, dun-

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8.4. IL RED SHIFT DELLE GALASSIE 91

drogeno fa sparire le onde di lunghezza d’onda pari


a 434, 486 e 656 nm, corrispondenti a certe tonalità
dei colori violetto, blu e rosso. Osservando uno spet-
tro di assorbimento dunque si può ricavare la com-
posizione chimica delle sostanze che la luce ha at-
traversato prima di essere dispersa. È cosí, ad esem-
pio, che possiamo stabilire di quali elementi chimici
sono composte le stelle: osservandone la luce fatta
passare attraverso un prisma e individuando le ri-
ghe mancanti. La luce che proviene dall’interno della
stella infatti ne ha dovuto attraversare l’atmosfera
e quindi parte di essa sarà stata assorbita.
Se si osserva lo spettro della luce di galassie lon-
Figura 8.6 La luminescenza blu che si ve-
tane si vede qualcosa di strano: le righe a 434, 486
de nella vasca di un reatto-
re nucleare è prodotta dal- e 656 non ci sono, ma ce ne sono altre che non si
la luce Čerenkov emessa da- osservano mai in laboratorio! Una prima interpreta-
gli elettroni prodotti dall’Ura- zione di questo fatto si potrebbe dare dicendo che le
nio radioattivo del combusti- galassie lontane evidentemente devono essere com-
bile, i quali si muovono piú ra-
poste di elementi diversi da quelli presenti sulla Ter-
pidamente della luce in acqua
(immagine di Pieck Darío). ra. Certo, questo è strano, e se si guarda meglio si
scopre che le righe presenti, pur non trovandosi dove
ci si aspetta, hanno la stessa distribuzione di quel-
que, la luce rossa risulta deviata in maniera diversa le che si osservano sulla Terra. Per esempio, se la
da quella blu. L’insieme dei colori che si osservano prima riga è a 480 nm, la seconda è a 537 e la ter-
si chiama spettro della luce bianca. za a 726. I rapporti tra le lunghezze d’onda delle
Se, prima di entrare nel prisma, la luce bianca righe della galassia e quelle delle righe dell’idroge-
passa attraverso un recipiente trasparente nel quale no a Terra sono tutti uguali a circa 1.11: è come se
è contenuto un gas o un liquido in cui è presente le lunghezze d’onda delle righe dell’idrogeno fossero
una particolare sostanza, dallo spettro che si può state tutte stirate di un fattore 1.11, per cui le righe
osservare a valle del prisma mancano alcuni colori. di assorbimento si sono spostate tutte verso le lun-
Si dice che si osservano le righe di assorbimen- ghezze d’onda maggiori (cioè verso il rosso, da cui
to (il termine riga deriva dal fatto che di norma la il nome spostamento verso il rosso o red shift
sorgente di luce bianca ha la forma di un rettangolo per il fenomeno).
lungo e stretto che all’occhio appare come una riga Una possibile spiegazione allora consiste nel pen-
e l’immagine di questa sorgente che si forma dopo sare che lo spostamento delle righe sia dovuto
l’attraversamento del prisma ha la stessa forma) e all’effetto Doppler per il quale l’equazione (8.12)
s’interpreta il fatto assumendo che la sostanza pre- prevede che
sente nel recipiente ha la capacità di assorbire la
luce incidente solo quando la sua lunghezza d’on- c c
ν0 = c u = ν, (8.19)
da assume certi particolari valori. Se le onde con ν
−ν c−u
certe frequenze sono assorbite dalla sostanza prima quando sorgente e osservatore si avvicinano l’uno
di entrare nel prisma, una volta dispersa la luce i all’altro a velocità u. Riscrivendo la formula per le
corrispondenti colori mancheranno dallo spettro. lunghezze d’onda si trova
La distribuzione delle righe di assorbimento è ca-
c c c
ratteristica di ogni specie chimica. Ad esempio, l’i- ν0 = 0 = (8.20)
λ c−uλ

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8.4. IL RED SHIFT DELLE GALASSIE 92

da cui
c−u
λ0 = λ. (8.21)
c
λ0
Poiché nel nostro caso z = λ
' 1.1, dev’essere
c−u u
= 1− = z. (8.22)
c c
Visto che z > 1, u dev’essere negativa e questo si-
gnifica semplicemente che la sorgente (la galassia) si
sta allontanando da noi (o che noi ci stiamo allonta-
nando dalla sorgente, ma questo non fa differenza)
e che la velocità di allontanamento è, in modulo,
u ' 0.11c = 0.33 × 108 m/s.

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Unità Didattica 9
La diffrazione

riflette la luce. Deve apparire lucido come i metalli2 .


Prerequisiti: Interferenza La distanza e le dimensioni trasversali solitamente
non hanno alcun effetto sulla possibilità di riflettere
Una delle dispute piú longeve della fisica ha ri- la luce, suggerendo che la lunghezza caratteristica
guardato la natura della luce. Newton pensava [?] (la sua lunghezza d’onda) di un’eventuale onda lu-
che la luce fosse costituita di minuscole particelle, minosa sia molto piú piccola di quella degli specchi
mentre l’olandese Christiaan Huygens sosteneva che che usiamo.
si dovesse trattare come un’onda1 . Entrambi aveva- Le onde del mare cambiano direzione (rifrazio-
no evidentemente buoni motivi per sostenere l’una ne) quando cambia la loro velocità di propagazione:
o l’altra ipotesi: definire la natura di qualcosa è pos- quest’ultima, nel caso delle onde del mare, dipende
sibile solamente grazie ai dati sperimentali in nostro dalla profondità del fondale. Fino a quando la pro-
possesso. A quanto ne sappiamo la luce può essere fondità del fondale è molto maggiore dell’ampiezza
riflessa da uno specchio o rifratta da una lente, ma dell’onda, questa si propaga in linea retta con una
questi due fenomeni si possono verificare tanto con certa velocità. Di conseguenza il fronte d’onda ap-
le onde che con le particelle. pare piano in alto mare. Quando l’onda si avvicina
Le onde del mare o i suoni, ad esempio, sono ri- alla costa, però, il fronte comincia a rallentare nei
flessi quando incontrano un ostacolo di dimensioni punti in cui il fondale è piú basso. Di conseguen-
sufficienti. L’eco, in fondo, non è che la riflessione di za il fronte si piega e l’onda, pur mantenendo un
un suono prodotta da una parete rocciosa: perché fronte d’onda approssimativamente piano, assume
si verifichi è necessario che la parete sia a distanza una direzione diversa da quella originale. Come si
sufficiente a produrre un ritardo apprezzabile, sia può facilmente osservare stando in spiaggia, le onde
abbastanza grande da intercettare una frazione si- del mare viaggiano sempre grosso modo in direzione
gnificativa dell’onda sonora e abbastanza liscia da della costa, mai parallelamente a questa. Lo stesso
evitare la dispersione dell’onda riflessa in molte di- fa la luce: si propaga di norma in linea retta, ma
rezioni. Anche il materiale di cui è fatta la parete se incontra un mezzo nel quale la sua velocità è di-
deve possedere proprietà elastiche adeguate a pro- versa, la direzione di propagazione cambia in fun-
durre il fenomeno. Allo stesso modo, un’onda lumi- zione delle caratteristiche del mezzo. In particolare,
nosa può essere o meno riflessa da una superficie, se la velocità si riduce, la direzione di propagazione
secondo che questa abbia o meno certe caratteristi- tende ad avvicinarsi alla normale alla superficie di
che: deve essere liscia, ad esempio, ma questo non separazione tra i due mezzi.
basta. Un foglio di carta può essere liscio, ma non Rifrazione e riflessione, insomma, sono due feno-
1
In realtà non ci fu mai una vera disputa in tal senso, meni che si possono attribuire ai fenomeni ondula-
perché la fama di Newton all’epoca era infinitamente supe- tori, perciò se ne potrebbe concludere che la luce
riore a quella di Huygens, i cui lavori erano probabilmente dev’essere rappresentabile come un’onda che si pro-
ignorati dall’inglese.
2
C’è una ragione per questo, che potrete scoprire qui
9.1. SPERIMENTIAMO LA DIFFRAZIONE 94

paga nella direzione dei raggi luminosi. Resterebbe filmato non riproducibile su questo
da stabilire la natura dell’onda (cos’è che oscilla nel supporto: digita l’URL nella caption o
caso della luce?), ma questo è un problema diverso. scarica l’e-book
Ma a pensarci bene, rifrazione e riflessione sono Figura 9.1 Il suono è provocato da
fenomeni che si potrebbero verificare anche se la luce un’onda di compressione
delle molecole d’aria che si
fosse composta di particelle! È esperienza piuttosto propaga. In questo video
comune, ad esempio, che se si scaglia una palla su l’animazione delle particelle
un muro, questa rimbalza, e che l’angolo formato tra d’aria che si muovono in
la velocità della palla dopo l’urto e la normale alla seguito alla sollecitazione
superficie del muro è uguale a quello formato tra prodotta da un altoparlante
è seguito da un filmato fatto
questa direzione e la velocità della palla prima del- con una tecnica chiamata
l’urto: è una banale conseguenza della conservazio- Schlieren flow. Per compren-
ne della quantità di moto. La riflessione della luce, dere bene la propagazione del
dunque, si potrebbe spiegare in questo modo. suono scegliete una particella
qualunque e seguitene il moto
In modo del tutto analogo, se si assume che la
con l’occhio: vedrete che
luce sia composta di corpuscoli che si muovono pa- ciascuna particella si muove
rallelamente l’uno all’altro, quando il fronte avanza solo attorno a una posizione
formando un certo angolo con la normale alla su- di equilibrio e che quel che
perficie di separazione tra due mezzi nei quali la si propaga è la sollecitazione
prodotta dalla collisione di
velocità di propagazione è diversa, i corpuscoli che
ciascuna particella con una
giungono prima cambiano velocità prima degli altri sua vicina. [Il video integrale,
(Vedi il Filmato 5.10). Questo provoca il piegamento che illustra anche la tecnica
del fronte e l’alterazione della direzione di propaga- di ripresa, è all’indirizzo
zione. Questo principio è utilizzato, ad esempio, dai https://www.youtube.com/
watch?v=px3oVGXr4mo]. Per
mezzi cingolati per sterzare: non potendo ruotare gentile concessione del Prof.
l’asse delle ruote, questi mezzi fanno muovere i cin- Michael Hargather, con la
goli a velocità diverse. Cosí facendo, uno dei lati del collaborazione del Dr. Gary
mezzo resta indietro rispetto all’altro e di fatto il Settles della Penn State
mezzo sterza. La rifrazione della luce dunque si può University.
spiegare assumendo che i corpuscoli che la formano,
giunti sulla superficie di separazione tra due mezzi,
cambiano direzione per il semplice fatto che quel- 9.1 Sperimentiamo la diffrazio-
li che arrivano in anticipo rallentano (o accelerano)
prima degli altri. ne
C’è però un fenomeno che si verifica solo con le
Alcuni fenomeni di diffrazione si possono sperimen-
onde: la diffrazione, che consiste nella possibilità
tare facilmente: ad esempio, se ci si pone dietro un’o-
che hanno le onde di aggirare gli ostacoli grazie alla
stacolo di dimensioni relativamente piccole frappo-
capacità di modificare la forma del fronte d’onda e
sto tra noi e una sorgente sonora (ad esempio, una
la sua direzione di propagazione.
colonna), il suono si percepisce lo stesso perché le
onde sonore riescono ad aggirare l’ostacolo. È fa-
cile capire come avviene, a livello microscopico, il
fenomeno: le onde di pressione che costituiscono il
suono sono costituite di fluttuazioni di densità di
particelle che si muovono in tutte le direzioni (vedi

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9.2. DEFINIAMO LA NATURA DELLA LUCE 95

filmato 9.1). In presenza di un ostacolo, le parti- Le particelle di aria presenti lungo lo stretto varco si
celle che lo urtano, oltre alla forza di compressione comportano ciascuna come sorgenti di onde sferiche
del suono, subiscono la forza di reazione dell’ostaco- che quindi si propagano in tutta la stanza. Per iso-
lo che ne modifica la direzione del moto, alterando lare acusticamente una stanza dunque è necessario
localmente la forza di compressione che produce il sigillarla ermeticamente.
suono. Il risultato di molte interazioni di questo ti- Un altro esempio piuttosto evidente di come agi-
po è che il suono (l’onda, non le particelle) aggira sca la diffrazione è quello mostrato in Figura 9.2,
l’ostacolo e noi possiamo ascoltarlo anche stando in cui si vede una foto satellitare (presa da Google
dietro di questo. È del tutto evidente che se il suo- Maps nel mese di luglio 2014) della costa vicino a
no fosse formato di particelle che si muovono nella Fiumicino, in provincia di Roma. Davanti alla spiag-
direzione di propagazione, come nel caso del vento, gia sono state sistemate alcune dighe per arginare
frapponendo un ostacolo tra la sorgente e l’ascolta- il moto ondoso e limitare l’erosione della spiaggia
tore, questo moto sarebbe impedito e dunque non da parte delle onde del mare. Tra una diga e l’al-
si potrebbe ascoltare nulla al di là dell’ostacolo. tra c’è un piccolo varco. Infrangendosi sulle dighe,
Allo stesso modo, se l’onda passa attraverso un’a- le onde marine sono riflesse, ma attraverso i varchi
pertura praticata su un ostacolo di grandi dimensio- possono continuare a propagarsi. Nel farlo, però, la
ni, al di là di questo l’onda si propaga in maniera forma del fronte d’onda, inizialmente piana, si mo-
diversa rispetto a quanto faceva prima d’incontrare difica e diventa approssimativamente circolare. Di
l’ostacolo. Se, ad esempio, vi chiudete in una stan- fatto il varco agisce come una sorgente di onde cir-
za, non riuscite a percepire i rumori esterni (a me- colari (avendo dimensioni relativamente piccole) che
no che non siano particolarmente intensi, perché i si propagano da entrambi i lati. Dal lato del mare
suoni, pur fortemente attenuati, si trasmettono an- l’onda si somma con quella incidente del mare e l’ef-
che attraverso i muri, le cui particelle vibrano co- fetto è trascurabile; dall’altro lato invece l’onda si
me quelle d’aria, ma con minore ampiezza). Ma se propaga quasi liberamente ed erode la spiaggia dan-
si apre una porta o una finestra, anche se non ci dole la caratteristica forma che coincide con quella
si mette esattamente in corrispondenza dell’apertu- del fronte che si allarga.
ra, si percepisce un suono intenso, anche se ci si Anche in questo caso, se le onde del mare fos-
mette dietro un angolo. Il motivo è che l’onda so- sero rappresentabili come particelle in moto verso
nora, giungendo in prossimità della porta o della la costa, in corrispondenza dei varchi vedremmo la
finestra, comincia a comprimere le molecole di aria costa erosa perpendicolarmente alla diga e non a
presenti in corrispondenza del varco che a loro vol- semicerchio.
ta cominciano a comprimere le molecole adiacenti,
generando un moto complessivo al di là dell’ostaco-
lo. Ciascuna molecola di aria si comporta come una 9.2 Definiamo la natura della
sorgente di onde (è quello che si chiama principio luce
di Huygens, dal nome di Christiaan Huygens che
lo formulò per primo). Per capire la natura della luce, dunque, è necessario
Il fronte d’onda sonoro che giunge in corrispon- eseguire un esperimento col quale si possa stabili-
denza di una porta provoca l’emissione di un fronte re se la luce dà origine a fenomeni di diffrazione o
al di là di questa, che si propaga con onde semisferi- meno. Un modo per verificare se la luce è un’onda
che all’interno del locale e giunge al nostro orecchio potrebbe consistere nel produrre una figura di dif-
anche se non ci troviamo in corrispondenza della frazione simile alla Figura 9.2: basterebbe inviare
porta da cui entra il suono. Il suono si può propa- un fascio di luce sul muro interponendo uno schermo
gare in tutta la stanza anche se l’apertura praticata
sul muro è sottilissima, grazie allo stesso fenomeno.

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9.2. DEFINIAMO LA NATURA DELLA LUCE 96

solo pochi centimetri e distare tra loro molti metri.


Solo se le aperture delle dighe sono abbastanza pic-
cole si osserva il fenomeno. Come al solito i termini
piccolo e grande in fisica assumono significato so-
lo in relazione a qualche grandezza fisica omogenea.
Nel caso specifico, in cui la diffrazione dipende dal-
l’ampiezza dell’apertura praticata sulla diga, che di-
mensionalmente è una lunghezza, è chiaro che per
il verificarsi della diffrazione è essenziale che que-
st’ampiezza deve essere piccola rispetto a un’altra
lunghezza che deve caratterizzare l’onda, che non
Figura 9.2 La costa italiana in prossimi-
può che essere la sua lunghezza d’onda. In de-
tà del comune di Fiumicino finitiva la diffrazione si verifica solo se l’ampiezza
(Roma) ha la forma dei fron- dell’apertura praticata sulla diga è abbastanza pic-
ti d’onda marini prodotti dal- cola rispetto alla lunghezza d’onda delle onde del
la diffrazione provocata dalle mare.
aperture tra una diga e l’al-
tra, poste a salvaguardia della Se quindi non vedessimo diffrazione da onde lumi-
costa nel mare. nose potrebbe semplicemente essere che la lunghez-
za d’onda della luce sia troppo piccola rispetto alle
dimensioni delle fenditure. Potremmo solo mettere
sul quale sono praticate alcune aperture3 . Se al di un limite superiore alla eventuale lunghezza d’onda.
là dello schermo osserviamo le immagini delle aper- Abbiamo già osservato che non sembrano esserci
ture possiamo concludere che la luce è formata di limiti alla possibilità per uno specchio di riflettere
particelle: queste, propagandosi perpendicolarmen- efficacemente la luce, al contrario di quel che accade
te allo schermo, si dovrebbero fermare quando ne nel caso delle onde sonore, che si riflettono solo se
sono ostacolate, mentre dovrebbero proseguire in li- l’ostacolo ha grandi dimensioni. Questo significa si-
nea retta in corrispondenza delle aperture. Se, per curamente che la lunghezza d’onda deve essere mol-
esempio, le aperture sono formate da fori circolari, ci to piccola: piú piccola delle dimensioni con le quali
aspetteremmo di vedere dei cerchi luminosi formar- siamo in grado di fabbricare gli specchi. Se dun-
si sul muro. Nel caso in cui l’apertura sia un taglio que vogliamo tentare un esperimento di diffrazione
verticale ci aspetteremmo di vedere una riga lumi- dobbiamo usare uno schermo con fori di dimensioni
nosa sul muro. Se, al contrario, osservassimo luce submillimetriche.
in punti del muro non corrispondenti alle aperture Quello che ci possiamo aspettare è che se la lu-
praticate sullo schermo, dovremmo concluderne che ce fosse composta di corpuscoli, inviando un fa-
la luce ha una natura ondulatoria. scio luminoso su uno stretto taglio praticato su uno
A dire il vero la conclusione non potrà essere net- schermo, al di là dello schermo dovremmo aspettarci
ta, nel caso in cui non si osservi alcun fenomeno un’immagine abbastanza fedele del taglio. Possiamo
diffrattivo. Pensate al caso delle dighe di fronte a aspettarci qualche sbavatura ai bordi perché maga-
Fiumicino: aumentando progressivamente l’ampiez- ri i corpuscoli si muovono con velocità tali per cui
za delle aperture, a un certo punto succede che le quelli che passano vicino al bordo, urtando su que-
dighe non provocano piú alcun effetto sulle onde che st’ultimo, possono essere deviati di un angolo piú o
si frangono sulla costa, che continueranno ad anda- meno grande, ma di sicuro ci aspettiamo il compa-
re dritte! Al limite le dighe potrebbero essere larghe rire di una sola immagine della fenditura. Se invece
3
Quest’esperimento fu proposto per la prima volta da mettiamo un ostacolo davanti al fascio ci aspettia-
Augustin Fresnel [?] mo di vedere l’ombra dell’ostacolo qualunque siano

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9.3. LA MATEMATICA DELLA DIFFRAZIONE 97

le dimensioni di questo e la distanza tra l’ostacolo e P


la superficie sulla quale si forma l’ombra.
y
Se, al contrario, la luce è un’onda, dobbiamo
1

aspettarci il comparire di effetti diffrattivi quando θ z

le dimensioni degli ostacoli o delle fenditure sono O θ′


2
P′
y’

comparabili con quelle della lunghezza d’onda della


luce. In questo caso, facendo passare la luce attra-
verso una stretta fenditura ci dobbiamo aspettare il
formarsi di un’immagine simile a quella della Figu-
ra 9.2. Inoltre, in presenza di un ostacolo abbastanza Figura 9.3 Da una fenditura molto sotti-
piccolo, ci aspettiamo di non vederne l’ombra. le si propagano onde circolari.
Se a distanza z dalla fenditura
si pone uno schermo, su que-
9.3 La matematica della diffra- sto l’onda che viaggia nella di-
rezione del raggio 1 incide nel
zione punto P di coordinata vertica-
le y rispetto al punto di origine
Per comprendere meglio il fenomeno della diffrazio- dell’onda O. L’onda che viag-
gia in direzione del raggio 2 è
ne conviene fare qualche conto per capire cosa ci si
del tutto identica all’altra e in-
deve attendere nei diversi casi esaminati. Dal mo- cidendo nel punto P 0 di coor-
mento che la diffrazione si verifica perché ciascun dinata y 0 produce esattamente
punto del mezzo nel quale si propaga un’onda di- lo stesso effetto prodotto nel
venta a sua volta sorgente di onde, in certi casi la punto P (trascurando l’even-
tuale attenuazione dovuta alla
diffrazione è accompagnata dal fenomeno dell’inter-
maggior distanza percorsa).
ferenza, provocata dal sommarsi delle molte onde
prodotte. Se non ve la sentite di fare i conti usando
la trigonometria, potete comunque rendervi conto di schermo avrà una forma sferica se l’onda si propa-
cosa accade, anche se in maniera qualitativa, usando ga nelle tre dimensioni (come il suono) o circolare
l’applicazione GeoGebra. se la propagazione avviene su una superficie (come
In quanto segue la matematica può apparire un le onde su un liquido). Se da un lato dello schermo
po’ piú complicata di quella che si può vedere su arrivano onde piane, dall’altro si osserva un’onda
altri testi. Il fatto è che qui cerchiamo di ridurre al sferica o circolare propagarsi partendo da un pun-
minimo le approssimazioni che si possono fare e che to che corrisponde alla posizione della fenditura (è
rendono semplici i calcoli in certi casi, ma nascondo- quel che si vede, ad esempio, in Fig. 9.2).
no alcuni dettagli utili alla comprensione del feno- Non abbiamo molto da calcolare in questo caso.
meno che, come già detto, si può comunque capire L’onda appare provenire da ogni direzione uscente
senza ricorrere alla matematica, anche se solamente dalla fenditura. Tutti gli angoli da −π/2 a +π/2
in maniera qualitativa. rispetto alla normale allo schermo sono permessi.
L’onda che si propaga al di là dello schermo appare
uguale da qualunque angolo si guardi la fenditura,
9.3.1 Diffrazione da fenditura sottile come illustrato nella Figura 9.3.
Immaginiamo di aver praticato su uno schermo una Se onde piane provenienti dalla sinistra della fi-
fenditura molto stretta: molto piú stretta della lun- gura fossero quelle sulla superficie di un liquido, a
ghezza d’onda dell’onda incidente. In questo caso destra della fenditura si vedrebbe propagarsi un’on-
possiamo trattare la fenditura come una sorgente da circolare. Se fossero onde sonore, mettendosi in
di onde puntiforme. Il fronte d’onda al di là dello uno qualunque dei punti che si trovano a destra del-

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9.3. LA MATEMATICA DELLA DIFFRAZIONE 98

la fenditura si percepirebbe sempre lo stesso suono. ta abbastanza uniformemente. Le piccole differen-


Se la luce fosse un’onda e s’illuminasse da sinistra ze che si percepiscono sono facilmente imputabili al
la fenditura, guardandola da un qualsiasi angolo la fatto che parte della luce è assorbita mentre viaggia
si vedrebbe illuminata. nella stanza. Per raggiungere il punto della parete
Nel caso delle onde sonore l’intensità del suo- di fronte al foro la luce deve aver viaggiato meno
no che si percepisce dipende dal’ampiezza dell’on- che per raggiungere un punto molto piú distante e
da che si propaga. Quando percepiamo un suono quindi può essere stata assorbita. Inoltre, in qua-
la sensazione che proviamo dipende dal fatto che i lunque punto ci si metta della stanza, guardando il
nostri timpani vibrano alla stessa frequenza dell’on- foro lo si vede illuminato nello stesso modo.
da sonora, con un’ampiezza tanto maggiore quanto Naturalmente è sempre possibile che la luce sia
maggiore è l’ampiezza dell’onda sonora. Ma la sen- fatta di corpuscoli che si muovono in tutte le direzio-
sazione uditiva è la stessa sia quando il timpano è ni per cui quelli che riescono a passare dal foro, con-
compresso verso l’interno della testa, sia quando si tinuando a muoversi in tutte le direzioni, producono
allunga, come una molla, verso l’esterno. Quel che lo stesso effetto.
conta, nel produrre la sensazione uditiva, non è il Cosa succede se le fenditure dalle quali si propaga
verso della deformazione del timpano, ma la sua en- un’onda sono due o piú come nel caso delle onde
tità. Si potrebbe perciò pensare di definire l’inten- che si muovono in direzione della costa di Fiumicino
sità del suono che sul timpano produce un moto del della Figura 9.2? Per capirlo studiamo prima il caso
tipo di due fenditure.

x = A sin ωt (9.1) 9.3.2 Diffrazione da una doppia fendi-


come qualcosa che dipende dal modulo |A| dell’am- tura
piezza della deformazione A. L’operazione di mo-
dulo è sempre molto scomoda e conviene allora usa- Se i punti da cui si propagano le onde sono due, in un
re un’operazione piú semplice come l’elevamento al punto a distanza y dall’asse z della Figura 9.4 giun-
quadrato: diremo perciò che l’intensità I del suono gono sia l’onda proveniente dal punto A che quel-
è proporzionale ad A2 . Analogamente, se la luce fos- la proveniente dal punto B. La prima onda viaggia
se un’onda di ampiezza A, la sua intensità sarebbe in direzione θ rispetto all’asse z, mentre la seconda
proporzionale ad A2 . Anche se non sappiamo cosa viaggia in direzione θ . Giunte nel punto P le due
0

rappresenti A non importa gran che, a questo livello. onde si sommano, interferendo, per cui nel punto P
Basta sapere che se al di qua dello schermo si propa- si osserva un’onda di ampiezza
ga quella che possiamo chiamare un’onda luminosa
di ampiezza A, nel punto in cui giunge sullo scher- 
`
 
`0

mo si vedrà un punto luminoso d’intensità I ∝ A2 . x = A sin 2π + A sin 2π (9.2)
λ λ
Poiché l’ampiezza dell’onda in corrispondenza del-
lo schermo, nel caso di fenditura stretta, è la stes- dal momento che la prima viaggia per una di-
sa in tutti i punti, lo schermo sarà uniformemente stanza `, mentre la seconda per una distanza `0 .
illuminato. Possiamo sempre scrivere
È facile fare un esperimento per verificare l’ipo-
tesi che la luce sia un’onda: basta chiudersi in una `0 `+δ `
2π = 2π = 2π + φ (9.3)
stanza non illuminata abbassando tutte le tapparel- λ λ λ
le tranne una; si scherma quest’unica finestra con un dove φ = 2πδ/λ rappresenta un angolo che chia-
cartoncino nero sul quale si pratica un piccolo foro miamo sfasamento. La somma delle due onde dà,
e si osserva la parete opposta. La si vedrà illumina- come risultato,

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9.3. LA MATEMATICA DELLA DIFFRAZIONE 99

φ
θ
P
AR = 2A cos (9.7)
A

y
2
ℓ′ e la cui fase è ψ = φ/2. L’ampiezza è interessante:
z
θ′ l’espressione ci dice che adesso l’ampiezza dell’onda
B
risultante dipende dallo sfasamento φ tra le due on-
de. Per capire bene cosa succede conviene fare qual-
che approssimazione: supponiamo che z  d, aven-
Figura 9.4 Da due sorgenti puntiformi A do indicato con d la distanza tra le due fenditure. In
e B provengono due onde che questo caso le onde che emergono dai punti A e B
interferiscono nel punto P di raggiungono il punto P alla coordinata verticale y
uno schermo avendo viaggia-
to l’una per una distanza ` e
viaggiando praticamente parallele l’una all’altra. Il
l’altra per una distanza `0 . fatto che z  d significa sostanzialmente che θ ' θ0 .
La piccola differenza di cammino tra le due onde è
δ = `0 − ` che, come si vede dalla Figura 9.5, si può
stimare in
   
` ` (9.8)
x = A sin 2π + A sin 2π + φ . (9.4) δ = d sin θ .
λ λ
Ora ricordiamo che
L’onda risultante è un’onda con le stessa frequenza
di quelle che interferiscono, ma con ampiezza diver- δ d sin θ
= 2π
φ = 2π . (9.9)
sa. Se la frequenza è la stessa lo è anche la lunghezza λ λ
d’onda, quindi dev’essere L’ampiezza dell’onda risultante dipende quindi dal-
  l’angolo θ in direzione del quale si dirige l’on-
`
x = AR sin 2π + ψ . (9.5) da. Scritta in questi termini l’ampiezza dell’onda
λ diventa
In definitiva la somma delle onde provenienti dai
punti A e B produce nel punto P un’onda di ampiez-    
d sin θ dθ
za AR da determinare, della stessa frequenza (e lun- AR = 2A cos π ' 2A cos π (9.10)
ghezza d’onda) di quelle originali e con una fase ψ λ λ
rispetto a una delle due. L’ampiezza AR dell’onda dove l’ultima approssimazione vale se l’angolo θ è
risultante può andare da un minimo di AR = 0 a un piccolo. Se l’argomento del coseno è uguale a un
massimo di AR = 2A e di conseguenza l’intensità multiplo intero di π, l’ampiezza assume il suo valore
andrà da 0 a 4A2 . massimo (in modulo), mentre diventa nulla quando
Anche al fine di fare un utile esercizio di trigono- l’argomento del coseno è pari a un multiplo dispari
metria riscriviamo l’equazione (9.4) usando le for- di π/2. Le due onde provenienti da A e B interferi-
mule di prostaferesi per le quali la somma di due scono costruttivamente nel punto P se viaggiano a
seni è uguale al prodotto del seno della semisomma un angolo tale per cui
per il coseno della semidifferenza degli angoli:
    d sin θ = kλ . (9.11)
` φ φ
x = 2A sin 2π + cos (9.6)
λ 2 2 Nel punto P invece arriverà un’onda di ampiezza
in cui abbiamo usato il fatto che cos φ = cos (−φ). nulla se le onde viaggiano con un angolo tale che
Quella che abbiamo ottenuto si può pensare come λ
un’onda di lunghezza d’onda λ la cui ampiezza vale d sin θ = (2k + 1) . (9.12)
2
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9.3. LA MATEMATICA DELLA DIFFRAZIONE 100

filmato non riproducibile su questo


supporto: digita l’URL nella caption o
ℓ scarica l’e-book
θ Figura 9.6 Due onde circolari sono
A
θ ℓ′ prodotte sulla superficie di
d uno stagno. Propagandosi
z
C θ′ ≃ θ interferiscono producendo
B δ una figura caratteristica
[https://www.youtube.com/
watch?v=Iuv6hY6zsd0].
Figura 9.5 Da due sorgenti puntiformi A
e B provengono due onde che
interferiscono viaggiano prati-
camente parallele l’una all’al-
tra. Quando interferiscono il goli ben precisi che dipendono, come si vede sopra,
risultato dipende dalla diffe- dalla lunghezza d’onda della sollecitazione e dalla
renza di cammino che è pari distanza tra le sorgenti.
a δ. Il video è stato estratto, con il consenso del-
l’Autore, Derek Muller, dal canale YouTube
Veritasium.
Ricordiamo sempre che nel caso di angoli piccoli Questo fenomeno si deve verificare con ogni ti-
possiamo scrivere sin θ ' θ. po di onda. Proviamo a sperimentarlo consideran-
È facile ricavare queste relazioni da semplici con- do un’onda sonora prodotta da due altoparlanti che
siderazioni che si possono fare osservando la Figu- suonano la stessa nota: per esempio il LA di un dia-
ra 9.5. Se z  d l’onda che parte da B viaggia per pason, alla frequenza ν = 440 Hz. La lunghezza
una distanza di poco maggiore rispetto a quella che d’onda si ricava facilmente sapendo che in aria il
parte da A. La differenza di cammino δ = d sin θ si suono viaggia a una velocità c ' 340 m/s, perciò
trova osservando che il triangolo evidenziato in gial-
c 340
lo nella figura è rettangolo, ha ipotenusa pari a d e λ== ' 0.77 m . (9.13)
ν 440
l’angolo formato tra l’asse che congiunge le fendi-
ture e la direzione perpendicolare alla direzione di Secondo il nostro modello, se ci mettessimo a una
propagazione dell’onda è uguale a θ. certa distanza dalla sorgente sonora e ci spostassimo
Se questa differenza di cammino è pari a un mul- lateralmente rispetto a questa, dovremmo percepire
tiplo intero di lunghezza d’onda per tutto il una modulazione dell’intensità del suono che va co-
resto del viaggio le due onde viaggiano in fase e le me il coseno di πd sin θ/λ. Quest’ampiezza assume
loro ampiezze si sommano. Si cancellano totalmen- valore nullo per
te, invece, se la differenza di cammino è pari a un d sin θ π
multiplo dispari di mezza lunghezza d’onda. π = (9.14)
λ 2
Non c’è quindi bisogno di ricordare a memoria le re-
cioè per
lazioni trovate. Basta disegnare lo schema mostra-
to in figura e ricavare la relazione che sussiste per λ
l’interferenza costruttiva o distruttiva. sin θ =
. (9.15)
2d
Il caso qui discusso è mostrato nella pratica nel Ad angoli maggiori l’ampiezza dell’onda sonora do-
Filmato 9.6 in cui si vede benissimo come, solle- vrebbe aumentare fino a raggiungere un nuovo
citando la superficie di uno stagno in due diversi massimo per
punti, le onde che s’irradiano da questi interferisco-
no costruttivamente o distruttivamente a certi an- λ
sin θ = (9.16)
d
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9.3. LA MATEMATICA DELLA DIFFRAZIONE 101

per poi diminuire ancora e tornare ad assumere il di frequenza o lunghezza d’onda data o di scaricare
valore zero per un’applicazione che permetta di fare ciò. Non pos-
siamo percepire bene la modulazione attesa con le

sin θ = (9.17) nostre orecchie perché la distanza tra le due è trop-
2d po grande e quindi se anche a una delle due orecchie
e cosí via. Se usiamo due altoparlanti distanti una arrivasse l’onda di ampiezza nulla, l’altra continue-
decina di cm l’uno dall’altro, il rapporto λ/d va- rebbe a percepire un suono. Inoltre noi percepiamo
le circa 7.7, quindi sarà impossibile raggiungere il i suoni anche grazie al fatto che si propagano attra-
minimo perché dev’essere verso le ossa del cranio: in definitiva non abbiamo
molte speranze di fare questo esperimento fidandoci
λ
sin θ = 61 (9.18) solo delle nostro orecchie4 .
2d Basta però uno smartphone per eseguire la misu-
perciò, per poter osservare un minimo d’intensità, ra. Possiamo usare una di quelle App che misurano
dobbiamo avere l’intensità sonora sfruttando il microfono presente a
bordo dello strumento. Per fare bene l’esperimento
λ 6 2d ' 20 cm (9.19) occorre trovarsi in un luogo poco rumoroso e nel piú
oppure rigoroso silenzio (il vostro insegnante sarà felice). Di
norma queste App misurano l’intensità dei suoni in
λ
d > ' 38.5 cm . (9.20) decibel (dB). Ai suoni che l’orecchio umano è me-
2 diamente appena in grado di percepire si attribuisce
Se vogliamo essere in grado di percepire anche al- un’intensità di 0 dB5 . Un suono 10 volte piú intenso
meno il secondo minimo la condizione che dobbiamo assume un valore di 10 dB, mentre uno 100 volte piú
realizzare è intenso (10 volte piú intenso di quello da 10 dB) ha
un’intensità di 20 dB. La scala dei dB è una scala

d> ' 1.2 m (9.21) logaritmica. L’intensità in questa scala si esprime
2 come dieci volte il logaritmo in base 10 dell’intensità
oppure di riferimento per la quale I = 0 dB:
2
(9.22)
 
λ 6 d ' 7 cm . I
3 I(dB) = 10 log . (9.25)
I0
Entrambe le condizioni sono realizzabili, secondo le
attrezzature di cui disponiamo. Prendiamo il caso, Una normale conversazione tra persone ha un’in-
ad esempio, di disporre di una coppia di altoparlanti tensità sonora che è circa un milione di volte piú
stereo integrati in un sistema nel quale gli altopar- intensa del rumore piú tenue percepibile (in media)
lanti distano 12 cm l’uno dall’altro. Poiché d è fissa- da un orecchio umano, quindi
to, dobbiamo produrre un suono con una lunghezza I(conversazione)
d’onda inferiore a circa ' 106 . (9.26)
I0
(9.23) Di conseguenza il livello espresso in dB vale
2
λ 6 12 = 8 cm
3
che ha una frequenza I(dB) = 10 log 106 = 60 . (9.27)

c 340 4
anche se effettivamente si può riuscire a percepire
ν= = = 4 250 Hz . (9.24) una certa modulazione dell’intensità del suono spostandosi
λ 0.08 rispetto alla linea mediana tra gli altoparlanti.
Questo è facile da realizzare: basta cercare su In- 5
quest’intensità corrisponde a una potenza per unità di
ternet un sito che ci permetta di generare un tono superficie pari a 10−12 W/m2 .

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9.3. LA MATEMATICA DELLA DIFFRAZIONE 102

Mettendo lo smartphone a diversi angoli rispet-


to alla sorgente sonora ci aspettiamo di vedere
un’intensità sonora modulata secondo il quadrato
dell’equazione (9.10)
 
d cos θ
2 2 2
I ∝ AR = 4A cos π . (9.28)
λ
Noi abbiamo eseguito l’esperimento in modo molto
qualitativo usando un’App che mostra lo spettro in
Figura 9.7 Lo spettro in frequenza di un
frequenze del suono6 : ogni segnale periodico f (t), in- segnale sinusoidale di frequen-
fatti, grazie al Teorema di Fourier, si può sempre za ν = 4 250 Hz.
esprimere come


X
f (t) = An cos (ωn t) + Bn sin (ωn t) . (9.29)
n=0

Nelle App che usano la FFT (Fast Fourier Tran-


sform) si analizza il segnale in ingresso al microfono
e si mostra un grafico nel quale in ascissa sono ripor-
tate le frequenze νn = ωn /2π per vari valori di n e in
ordinata i corrispondenti coefficienti An e/o Bn . Un
segnale perfettamente sinusoidale di pulsazione ωk
evidentemente si rappresenta come
Figura 9.8 L’apparato usato per le misu-
f (t) = C sin (ωk t) (9.30) re di diffrazione è costituito
di uno smartphone con un’App
e quindi tutti i coefficienti An e Bn sono nulli tranne
per l’analisi FFT dei suoni e
Bk = C. Lo spettro dunque appare come un riga di un PC che produce un segna-
altezza proporzionale a Bk all’ascissa νk = ωk /2π, le sonoro di frequenza data
che è quel che si vede nella Figura ?? in cui il sistema collegato a una coppia di al-
rivela un suono di frequenza pari a 4 250 Hz. toparlanti. Lo smartphone si
può disporre a diversi angoli
Nel corso dell’esperimento (Figura ??) si cambia rispetto alla linea mediana tra
l’angolo formato tra il microfono dello smartphone gli altoparlanti, che sono sta-
e la linea mediana tra gli altoparlanti, come si vede ti fissati con plastilina sul ta-
nel Filmato 9.9 e si osserva l’altezza della riga corri- volo per ridurre al minimo la
spondente alla frequenza scelta: si vede chiaramente trasmissione sonora attraverso
questo.
che il segnale diminuisce all’aumentare dell’angolo
fino ad assumere un minimo per poi risalire per an-
goli piú grandi. La posizione del minimo in questo
caso non è esattamente quella prevista data la scarsa voi sarete piú bravi, riducendo al minimo la propa-
precisione degli strumenti e dell’allineamento realiz- gazione del suono attraverso mezzi diversi dall’aria
zato. Si può fare di meglio, naturalmente e di certo e allineando bene tutti gli apparati.
Nel caso della luce quel che dovremmo aspettarci
6
questo genere di App esegue quella che si chiama una
è che sulla parete di fronte a quella con due fenditu-
trasformata di Fourier.

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9.3. LA MATEMATICA DELLA DIFFRAZIONE 103

filmato non riproducibile su questo Se provate a fare quest’esperimento scoprite subi-


supporto: digita l’URL nella caption o to che i fenomeni sopra descritti sembrano non ve-
scarica l’e-book rificarsi affatto. Ne potreste concludere che la luce
Figura 9.9 Mentre una coppia di altopar- non può essere un’onda, ma dev’essere costituita di
lanti produce un segnale so- un flusso di particelle. Ma se ci pensate un po’ non è
noro sinusoidale a 4 250 Hz
uno smartphone con un’App
affatto detto che sia cosí. Abbiamo già osservato che
che esegue una FFT è disposto la lunghezza d’onda della luce dev’essere piccolissi-
in modo da formare un ango- ma, perché se fate incidere la luce su un frammento
lo θ con la normale alla con- di specchio delle dimensioni di un granello di sabbia,
giungente i due altoparlanti. la vedete riflettersi. Se λ è molto piccola, gli ango-
A un particolare angolo si os-
serva un minimo d’intensità. li ai quali si formano i massimi e i minimi possono
Ad angoli maggiori l’intensità essere molto molto piccoli e potreste non riuscire a
torna a crescere. [todo]. vederli, se la distanza tra le fenditure d non è abba-
stanza piccola. Le fenditure, poi, dovrebbero essere
puntiformi, il che significa che devono avere dimen-
re non si dovrebbero formare due immagini distinte sioni molto piccole rispetto alla lunghezza d’onda
delle fenditure, ma una sola immagine in corrispon- della luce7 .
denza di y = 0, dove, se la luce fosse costituita di Ammettiamo che la luce abbia una lunghezza
particelle, non ne arriverebbe nessuna! A un angolo d’onda delle dimensioni di un granello di sabbia pa-
pari a ri a circa 0.06 mm. Praticando due fori a distanza
di 1 mm l’uno dall’altro su uno schermo, il primo
λ anello si formerebbe a un angolo
θ' (9.31)
d
dovremmo vedere una seconda immagine della fen- λ 0.06
'
θ= = 0.06 . (9.32)
ditura. Se la fenditura ha la forma di un piccolo d 1
cerchio, l’immagine del cerchio si dovrebbe produr- Per poter vedere questo massimo ci dobbiamo tro-
re all’angolo sopra indicato, che si forma su tutti i vare a una distanza tale dall’asse z per cui y è
possibili piani che contengono le due onde. Di con- dell’ordine almeno di qualche centimetro, cioè a
seguenza si formerà un’immagine del buco sopra e y 10
sotto il punto a y = 0, ma anche a sinistra e a destra z' ' ' 166 cm . (9.33)
θ 0.06
e a qualunque coppia di punti che formino con l’as-
Questo può essere: a grandi distanze due fori cosí
se z l’angolo θ. Dovremmo, perciò, vedere un punto
ravvicinati sembrano in realtà essere uno. Se guar-
luminoso nel punto corrispondente a y = 0 circon-
date i fari di un veicolo molto lontano di notte è
dato da un alone buio e da un anello luminoso i cui
difficile stabilire se si tratti di un’autovettura o di
punti formano un angolo θ con l’asse z. Poiché i mas-
una moto, a meno che non si avvicini abbastanza.
simi d’interferenza si formano a intervalli regolari ci
È dunque possibile che la luce sia effettivamente
aspettiamo di vedere non uno, ma una serie di anelli
un’onda.
concentrici luminosi attorno al punto centrale.
Quest’esperimento fu eseguito [?] dal fisico Tho-
Se invece ci mettessimo spalle allo schermo e guar-
mas Young all’inizio del 1 800 e i risultati interpre-
dassimo in direzione dei buchi, da alcuni punti (in
particolare da quelli in cui si formano i massimi d’in- 7
In realtà gli effetti della diffrazione si possono osservare
terferenza) dovremmo vedere non due, ma un solo anche in presenza di fenditure grandi e senza l’ausilio di ar-
tifici come quelli descritti, ma la loro interpretazione è piú
punto luminoso e da altri punti (quelli tra un anello complicata. Questi effetti furono osservati già nel 1 600 da
e l’altro) non dovremmo riuscire a vedere alcun foro Francesco Maria Grimaldi, ma ci vollero 150 anni prima che
da cui entra luce. qualcuno riuscisse a spiegarli.

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9.3. LA MATEMATICA DELLA DIFFRAZIONE 104

tati [?] da Augustine Fresnel per determinare la lun- Questo compito appare abbastanza piú difficile
ghezza d’onda della luce (conoscendo la distanza tra da svolgere rispetto al precedente. Per svolgerlo
i fori e quella tra i fori e lo schermo è facile deter- dovremmo inventare qualche trucco...
minare λ dalla misura della distanza tra i massimi
d’interferenza) che si scoprí essere compresa tra cir- 9.3.3 I fasori
ca 500 e 700 nm, secondo il colore della luce. La luce
di colore rosso ha una lunghezza d’onda piú vicina Un modo alternativo di rappresentare un’onda di
ai 700 nm, mentre quella blu ha lunghezze d’onda frequenza fissata consiste nello specificarne sempli-
piú corte: circa 400 nm. cemente l’ampiezza A e la fase φ. La coppia di nu-
Come abbiamo già avuto modo di osservare que- meri (A, φ), che chiameremo fasore rappresenta in
sto fenomeno sembra non verificarsi quando le fen- maniera univoca ogni onda di lunghezza d’onda λ
diture sono grandi, cioè molto piú ampie della lun- perché possiamo scrivere
ghezza d’onda della luce. Il motivo risiede eviden-  
temente nel fatto che le fenditure, in questo caso, `
x = A sin 2π + φ (9.35)
non si possono piú considerare come sorgenti pun- λ
tiformi di onde e quindi la trattazione che abbiamo usando il primo a il secondo numero della coppia per
fatto non funziona. Se le dighe al largo di Fiumi- stabilire l’entità di A e di φ. Una coppia di numeri
cino della Figura 9.2 presentassero aperture mol- siffatta si può rappresentare graficamente su un pia-
to larghe la costa non assumerebbe la caratteristica no come un segmento lungo A che forma un angolo
forma a semicerchio, però vicino ai bordi della di- φ con un asse scelto arbitrariamente. Un’onda il cui
ga si dovrebbe pur osservare qualcosa. Se anche al sfasamento è nullo si rappresenta quindi come un
centro della diga l’onda continua a propagarsi come segmento lungo A che giace sull’asse in questione.
un’onda piana, nei pressi del bordo l’onda dovrebbe Dal momento che possiamo sceglierlo in maniera ar-
aprirsi a imbuto. bitraria scegliamolo orizzontale, quindi un’onda con
Per capire cosa succede in questo caso possiamo φ = 0 e A = 1, lunghezza d’onda λ, a distanza `,
fare cosí: studiamo il caso di uno schermo con mol- si rappresenta come (1, 0) oppure, geometricamen-
te piccole fenditure poste a distanze regolari l’una te, come un segmento orizzontale lungo 1 (in unità
dall’altra. Questa cosa dovrebbe portare a risultati arbitrarie).
abbastanza simili a quelli già trovati. Poi stringiamo Una seconda onda di ampiezza uguale e fase φ 6=
sempre di piú le fenditure le une alle altre, facen- 0 si rappresenta come (1, φ) o come un segmento
do diminuire la loro distanza fino a ridurla a zero. lungo 1 inclinato di φ rispetto all’orizzontale.
Una fenditura larga si potrà sempre considerare co- Abbiamo già calcolato la somma di due onde della
me una sequenza di sorgenti puntiformi adiacenti a stessa ampiezza e sfasate l’una rispetto all’altra di
distanza praticamente nulla l’una dall’altra. φ trovando che
Dobbiamo quindi sommare non due, ma N on-  
de, ciascuna proveniente da una fenditura. Se la φ ` φ
x = 2A cos sin 2π + . (9.36)
spaziatura tra le fenditure è regolare lo sfasamento 2 λ 2
di un’onda rispetto a quella proveniente dal punto
La somma di due fasori F1 = (A, 0) e F2 = (A, φ)
adiacente è costante e possiamo affermare che l’onda
dunque produce un fasore
risultante si scrive come  
φ φ
FR = 2A cos , . (9.37)
      2 2
` ` `
x = A sin 2π + ···
+A sin 2π + φ +A sin 2π + 2φ Guardiamo la Figura 9.10. La linea grigia rappre-
λ λ λ
(9.34) senta l’asse rispetto al quale misuriamo gli angoli.

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9.3. LA MATEMATICA DELLA DIFFRAZIONE 105

F
AR
ϕ
A
C
Figura 9.10 Due fasori adiacenti, uno blu
e l’altro rosso, formano un
triangolo isoscele il cui an-
golo al vertice vale π −
φ.

A B
Il segmento blu lungo A è il fasore (A, 0). Il faso-
re (A, φ) invece è il segmento rosso, che abbiamo
disegnato adiacente al primo fasore. L’angolo tra i
fasori blu e rosso vale π−φ e il triangolo formato dai Figura 9.11 La somma di 5 fasori di ugua-
due fasori e dalla linea tratteggiata verde è isoscele. le ampiezza e fase crescente.
La base del triangolo è lunga
verde rappresenta proprio un fasore che a sua volta
π−φ
 
b = 2A sin = 2A sin
π φ
− (9.38) rappresenta la somma di due onde i cui fasori so-
2 2 2 no quello blu e quello rosso. Interessante! Abbiamo
piegato la matematica alle nostre esigenze e siamo
e ricordando che
riusciti a trovare la definizione di un’operazione di
somma tra oggetti che abbiamo chiamato fasori che
π 
sin − α = cos α (9.39)
2 si può eseguire in maniera relativamente semplice e
possiamo scrivere che che rappresenta la somma di onde. La somma tra
fasori si esegue disegnando i fasori uno dopo l’altro
φ e trovando il segmento che unisce il primo all’ultimo
b = 2A cos, (9.40)
2 punto.
che è proprio l’ampiezza dell’onda risultante o la Ora eseguire la somma di N onde sfasate in mo-
prima coordinata del fasore somma. L’angolo α for- do regolare è facile: dobbiamo trovare il risultato
mato tra il segmento verde e quello grigio è quel- dell’operazione
lo alla base del triangolo isoscele. La somma degli
angoli interni di un triangolo vale sempre π perciò
N  
X `
x= A sin 2π + (n − 1)φ . (9.43)
2α + π − φ = π (9.41) λ
n=1
e quindi
Niente di piú facile! Disegniamo gli N fasori e tro-
φ viamo le coordinate del fasore risultante. Nella Figu-
α= (9.42) ra 9.11 vediamo quel che succede quando si somma-
2
è proprio la fase della somma delle due onde o la no N = 5 fasori con sfasamenti progressivi. I fasori
seconda coordinata del fasore. Dunque il segmento sono tutti uguali in lunghezza quindi, per come sono

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9.3. LA MATEMATICA DELLA DIFFRAZIONE 106

disposti, si trovano ai vertici di un poligono regola-


re che è inscritto in una circonferenza di raggio r e
centro C. y
L’angolo ACF
[ vale N φ, perciò il fasore risultante
ha una fase N φ/2. La cosa piú importante per noi z

è l’ampiezza del fasore risultante che è la lunghez-


za del segmento verde che si ricava dal fatto che il
triangolo ACF è isoscele e quindi

AR = 2r cos α (9.44)
dove r è la lunghezza del lato obliquo (rosso in figu-
ra) e α è l’angolo alla base, che si ricava osservando Figura 9.12 Un reticolo di diffrazione con
che la somma degli angoli interni dev’essere uguale 5 fenditure a distanza z da
uno schermo.
a π:

2α + N φ = π . (9.45) Verifichiamo il risultato cercando di riottenere quelli


già ottenuti per altra via. Per N = 1 abbiamo che
Da qui si ottiene
sin φ2
π φ
α= −N . (9.46) AR = A =A (9.52)
2 2 sin φ2
Essendo poi come ci aspettiamo (la risultante della somma di
π  un’onda non può che essere l’onda stessa). Per N =
cos − α = sin α (9.47) 2 abbiamo
2
possiamo scrivere
sin φ 2sinφ2 cos φ2 
φ

φ
 AR = A φ
=A  = 2A cos (9.53)
AR = 2r sin N . (9.48) sin 2 sinφ
 2
2  2

Resta da determinare r. Considerando il triangolo che è proprio quanto abbiamo ottenuto con l’e-
ACB che è isoscele anche lui possiamo scrivere che quazione (9.7). Abbiamo adesso un potentissimo
strumento matematico per capire cosa succede in
φ presenza di piú fenditure.
A = 2r sin (9.49)
2
perché A è la base del triangolo il cui angolo al ver- 9.3.4 Diffrazione da reticolo
tice vale proprio φ. Dividendo membro a membro le
due relazioni trovate abbiamo che Una sequenza di fenditure equamente spaziate si
chiama reticolo di diffrazione. La Figura 9.12 ne
φ illustra il funzionamento. Da ciascuna delle N = 5

AR sin N 2
= . (9.50) fenditure, che si comportano come sorgenti pun-
A sin φ2
tiformi di onde sferiche, partono onde in tutte le
L’intensità dell’onda risultante è quindi direzioni. Quelle che si dirigono verso il punto P
interferiscono tra loro producendo una figura di
2
N φ2

2 sin
I∝A 2 φ
(9.51) diffrazione caratteristica.
sin 2 L’ampiezza dell’onda risultante nel punto P
l’abbiamo calcolata usando i fasori e vale

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9.3. LA MATEMATICA DELLA DIFFRAZIONE 107

tipo di segnale se quel che arriva da sinistra della fi-


sin N φ2

AR gura non è un’onda, ma un flusso di particelle. Il
= . (9.54)
A sin 2 φ
primo angolo per cui l’intensità assume un minimo
è quello per il quale
Nel punto a y = 0, φ = 0 e sia il numeratore che il
denominatore di questo rapporto sono nulli. È quel-
la che in matematica si chiama una forma inde- φ
N = 2πN = 2πN
δ d sin θ
=π (9.58)
terminata. Ma in fisica non possono esserci forme 2 λ λ
indeterminate: l’ampiezza deve avere un valore pre- che si ottiene per φ = 2π/N e cioè per
ciso! Per capire quanto vale davvero questo rapporto
si deve fare un’operazione che nell’analisi matema- λ
sin θ ' θ = . (9.59)
tica prende il nome di limite. Si deve scegliere un 2N d
valore di φ non nullo e calcolare il rapporto in que- Nel caso N = 5, per esempio, avremo un minimo
stione. Quindi si diminuisce il valore di φ e si ri- d’intenistà per φ = 2π/5 ' 1.26. Per λ ' d ab-
calcola il rapporto (ad esempio per φ ridotto di un biamo quindi un primo minimo osservando le onde
fattore 10). Continuando a diminuire il valore di φ provenire dalla direzione
si ottiene una successione di rapporti che si avvicina
sempre piú a un valore limite che è il valore che il 1
θ' = 0.1 . (9.60)
rapporto assume quando φ tende a zero. 2N
Eseguiamo queste operazioni con l’aiuto di un fo- Il minimo successivo si presenta quando
glio elettronico. Per φ = 0.1, 0.01, 0.001, . . . si tro-
φ
vano valori del rapporto in questione che valgono, ri- N = 2π (9.61)
spettivamente, 4.950, 4.999, 5.000, . . .. Per ogni va- 2
lore di φ piú piccolo di 0.001 si trova sempre 5.000 cioè per φ = 4π/N . In generale avremo un mini-
(usando sempre quattro cifre significative come in mo d’interferenza ogni volta che φ = 2πk/N , per
questo esempio). Questo significa che il limite per k = 1, 2, 3, . . .. Di conseguenza vedremo assenza di
φ che tende a zero del rapporto vale proprio 5 e segnale ad angoli per i quali
si scrive che λ
sin θ = k (9.62)
sin 5 2φ
 2N d
lim = 5. (9.55) (quando k comincia a diventare grande non possia-
φ→0 sin φ
2 mo piú fare l’approssimazione sin θ ' θ). La spa-
Una maniera alternativa di vedere che il limite è ziatura tra due minimi successivi è quindi, in unità
proprio questo consiste nell’osservare che, per angoli di seno dell’angolo verso il quale si propagano le
molto piccoli, onde, costante e pari a k 2Nλ d . Poiché l’intensità del-
le onde è simmetrica rispetto a φ = 0 il picco del
sin θ ' θ (9.56) massimo centrale ha un’ampiezza doppia rispetto a
e quindi quella dei massimi successivi, che sono anche molto
meno intensi.
φ φ Graficamente il risultato si presenta come nella

sin N 2 N2
' = N . (9.57) Figura 9.13: lungo l’asse delle ascisse abbiamo ri-
sin φ2 φ
2
portato i valori di φ compresi tra −π e +π. In rosso
Come nel caso delle due fenditure si forma un mas- si vede l’intensità dell’onda in funzione dell’ango-
simo d’intensità proprio al centro del reticolo, dove lo φ/2 per N = 4. Il massimo si ha per φ = 0
φ = 0 e dove per N pari non dovrebbe arrivare alcun ed è molto largo. Questo significa che se osservia-
mo le onde provenienti da un reticolo con N = 4

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9.3. LA MATEMATICA DELLA DIFFRAZIONE 108

Nel caso in cui la distanza tra due fenditure succes-


sive d è dello stesso ordine di grandezza della lun-
ghezza d’onda, d ' λ, il valore massimo dell’angolo
φ vale 4π. La direzione θ = π/3 corrisponde a
φ λ φ 1
' = (9.66)
4π d 4π 2
cioè a
1
φ = 4π = 2π . (9.67)
2
Per questo valore la funzione che descrive l’intensità
dell’onda presenta un nuovo massimo di valore pari
a N.
Figura 9.13 L’intensità della figura di dif- In definitiva con un reticolo si ha un effetto del
frazione per N = 4 (rosso) e tutto simile a quello che si può ottenere con una
N = 16 (verde).
coppia di fenditure, ma l’intensità della figura di
diffrazione aumenta di un fattore N 2 rendendo-
vedremmo, in corrispondenza di φ = 0 un’onda di la molto piú visibile. Il passo di un reticolo è la
ampiezza massima pari a quattro volte l’ampiezza distanza tra due fenditure successive e di solito si
dell’onda proveniente da ciascuna fenditura. L’in- indica attraverso il numero di incisioni per millime-
tensità di quest’onda quindi sarebbe pari a 16 volte tro (usualmente chiamate linee per millimetro
quella dell’onda proveniente da una singola fendi- a causa della forma delle incisioni). Un reticolo di
tura. All’aumentare di φ (in una direzione o l’al- 80 linee/mm è un reticolo il cui passo è
tra) l’ampiezza e l’intensità dell’onda diminuiscono
sempre di piú. 1
d== 0.0125 mm. (9.68)
Vi invitiamo a disegnare i grafici di queste funzio- 80
ni per vari valori di N e per intervalli angolari di- Potete trovarne su Internet con passi fino a 500 li-
versi, usando qualunque programma di grafica, per nee/mm a pochi euro e sperimentarne da soli gli
rendervi conto di cosa capita usando reticoli diversi. effetti usando come sorgente luminosa il laser di
Guardare l’onda provenire da un certo angolo φ un comune puntatore (anche quello acquistabile con
significa guardare l’onda propagarsi nella direzione pochi euro). Conoscendo il passo del reticolo potete
θ con θ tale che misurare la lunghezza d’onda del vostro puntato-
re o viceversa. I puntatori laser rossi hanno in ge-

d sin θ
=
φ
(9.63) nera una lunghezza d’onda compresa tra i 630 e i
λ 2 680 nm. I puntatori verdi invece emettono luce con
per cui lunghezza d’onda di 532 nm. Esistono anche laser
blu, piú costosi, con lunghezza d’onda dell’ordine
φ λ dei 400–450 nm.
sin θ = . (9.64)
4π d L’esperimento che potete fare per verificare che la
L’angolo θ è limitato ad assumere valori compresi nostra teoria sia esatta è il seguente: inviate la luce
tra −π/2 e +π/2 perciò di un laser perpendicolarmente alla superficie di un
reticolo posto a distanza z da uno schermo che può
d
|φ| 6 4π . (9.65) essere la parete dall’aula oppure, meglio, un foglio
λ di carta millimetrata incollato su un supporto come

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9.3. LA MATEMATICA DELLA DIFFRAZIONE 109

Sistemi multimediali diffrazione. Questo significa che sullo schermo si


I CD musicali sono dischi in materiale plastico devono osservare punti luminosi a distanza
sui quali l’informazione relativa al suono da ri- λ
produrre è codificata in binario attraverso una L = z tan θ ' zθ ' zk (9.71)
Nd
lunga sequenza di bit 0 e 1. I bit sono in-
(l’approssimazione è valida per piccoli angoli).
cisi sulla superficie del CD lungo una traccia
La figura che si osserva in questo caso non è, co-
a spirale: un’incisione profonda rappresenta il
me descritto sopra, formata da un punto luminoso
bit 1, mentre una molto superficiale rappresen-
circondato da vari anelli, ma è fatta di una sequenza
ta il bit 0. Per leggere i segnali si usa un laser
di punti luminosi orientati lungo una linea parallela
rosso da 780 nm la cui luce è riflessa con piú o
a uno dei lati del reticolo.
meno efficienza da queste incisioni. Se le incisio-
ni fossero troppo vicine la luce del laser sarebbe
diffratta perciò devono trovarsi a distanze d tali 9.3.5 Diffrazione da una fenditura
per cui larga
λ Spiegare la forma della figura osservata al paragrafo
1 (9.69)
2d precedente è facile. Se il reticolo è formato da una
cioè per d  2 × 780 ' 1 600 nm, corrispon- serie di incisioni parallele le fenditure non hanno la
dente a 1.6 µm, che è proprio la distanza alla forma di un buco, ma di un taglio lungo e stretto.
quale si trovano due tracce adiacenti in un CD. La singola fenditura si può considerare, lungo
Questa distanza, insieme alla lunghezza com- una direzione, una sorgente puntiforme di onde;
plessiva della traccia e al diametro del supporto nell’altra come una sequenza di sorgenti puntifor-
determina la capacità massima del disco che è mi a distanza nulla l’una dall’altra. Se immaginia-
dell’ordine dei 650 MB. Per memorizzare piú in- mo di dividere la lunghezza della fenditura in N
formazione occorre fare le incisioni piú fitte. Un parti, ciascuna delle quali si comporta come una
DVD contiene 4.7 GB e la luce del laser impie- sorgente puntiforme, i vari punti della fenditura si
gato in questi sistemi deve avere una lunghez- comportano come un reticolo di passo
za d’onda minore che infatti è di 650 nm. Per
D
scendere a distanze inferiori e immagazzinare d= (9.72)
piú informazione occorre usare luce di lunghez- N
za d’onda ancora piú bassa. Per un film in alta dove D rappresenta la lunghezza della fenditura (nel
definizione, ad esempio, si usano i blu ray che caso di un reticolo, pochi cm). La migliore appros-
impiegano laser con λ = 405 nm, nella banda simazione si ha quando N tende all’infinito per cui
del blu, per leggere tracce distanti poco piú di d tende a zero e le infinite sorgenti sono tutte adia-
0.3 µm. centi l’una all’altra. Il fatto è che, anche se N tende
a infinito e d a zero, il loro prodotto deve sempre
dare D perciò, a distanza z dal reticolo, i massimi
un fermalibri. Quello che ci aspettiamo di vedere è si presentano a distanza
un punto luminoso per θ = 0, cioè in corrispondenza
della direzione nella quale avete inviato la luce sul λ λ
L'z =z . (9.73)
reticolo. A un angolo tale per cui Nd D
Ma se λ  D i massimi non sono risolti, cioè non
(9.70) si distinguono e si produce, al di là della fenditu-
λ
sin θ = k
Nd ra, un’immagine praticamente esatta della sorgente.
ci aspettiamo di trovare i massimi della figura di Nel caso di un laser l’immagine è quella di un punto

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9.3. LA MATEMATICA DELLA DIFFRAZIONE 110

e questa si osserva dall’altra parte della fenditura


(che è poi quel che si osserverebbe se facessimo pas-
sare il raggio laser attraverso un foro abbastanza
grande). In sostanza si ha diffrazione soltanto lun-
go la direzione perpendicolare alla lunghezza della
fenditura, perché in questa direzione la fenditura è
molto stretta, ed è per questo che i punti lumino-
si appaiono allineati: le fenditure sono parallele tra
loro.
Se s’illumina il reticolo con luce bianca quel che
Figura 9.14 Il sole visto attraverso la te-
succede è che si produce una figura di diffrazione
la di un lettino da spiaggia.
diversa per ciascuna delle lunghezze d’onda di cui è La trama del tessuto provoca
composta la luce bianca. Le singole componenti con il fenomeno della diffrazione
colori diversi sono diffratte ad angoli diversi e cosí che si manifesta come l’ap-
si vedono immagini della sorgente con tutti i colori parizione di numerose imma-
gini del sole disposte lungo
dell’arcobaleno separati di un angolo tanto maggio- direzioni perpendicolari alle
re quanto minore è la distanza tra due fenditure aperture attraverso le quali
successive. passa la luce.
I CD e i DVD possono facilmente sostituire un
reticolo di diffrazione: dovete solo procurarvene uno
con almeno una porzione dell’etichetta trasparente del sole poste in fila, lungo direzioni particolari. Le
oppure dovete riuscire a rimuoverla. Infatti CD e direzioni lungo le quali si formano queste immagi-
DCD presentano sulla superficie un solco a spirale. ni sono quelle della trama del tessuto. Tra i fili che
Lungo un raggio del CD (o del DVD), dunque, è co- lo compongono si producono piccole aperture tra le
me se ci fossero tante incisioni parallele a distanza quali passa la luce solare. Passando attraverso piú
caratteristica e molto piccola. Illuminando la super- aperture adiacenti, la luce solare subisce il fenome-
ficie del CD con un laser, dall’altro lato se ne vedo- no della diffrazione e le onde luminose uscenti da
no diverse immagini ad angoli caratteristici. È per ciascuna singola apertura interferiscono in modo da
questo stesso motivo che osservando la superficie di sommarsi solo lungo certe direzioni.
un CD si vedono gli spicchi colorati come l’arco- Un altro fenomeno, del tutto simile, si verifica
baleno: la luce bianca riflessa è diffratta da questi quando vi trovate in auto e osservate le luci delle au-
solchi e le diverse componenti producono massimi to davanti a voi e quelle dei semafori attraverso un
d’interferenza ad angoli diversi. parabrezza sporco, come si vede nella Figura 9.15.
Questi esperimenti permettono di stabilire in ma- Il passaggio dei tergicristalli produce sulla polvere
niera inequivocabile che la luce è un’onda. Non accumulata sul parabrezza una serie di solchi sotti-
sappiamo ancora in quale mezzo si propaga que- lissimi, paralleli e molto vicini: la luce che attraversa
st’onda e quindi non sappiamo cosa provoca la questi solchi è diffratta nella direzione perpendico-
sollecitazione che si propaga, ma sappiamo che lare alla loro lunghezza e le luci esterne appaiono
dev’essere cosí, perché osserviamo la diffrazione. come righe verticali. In questi esempi possiamo im-
Un effetto analogo si può sperimentare al mare, maginare il solco come una singola fenditura mol-
osservando il sole attraverso la capottina di un let- to stretta (due solchi adiacenti sono troppo lontani
tino da spiaggia (Figura 9.14). Attorno al disco del per provocare fenomeni di diffrazione): lungo la di-
sole (che non bisogna mai osservare a lungo senza un rezione della fenditura non c’è diffrazione, ma nella
adeguato filtro) potete osservare una serie di strisce direzione perpendicolare a questa sí.
che, a ben guardare, sono formate da piú immagini

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9.3. LA MATEMATICA DELLA DIFFRAZIONE 111

e ponendo uno schermo a distanza z dal foro,


l’immagine appare come un cerchio di raggio
λ
r ' z tan θ ' z sin θ = z . (9.75)
d
Se avessimo due sorgenti puntiformi separate da una
distanza angolare α l’una dall’altra, ciascuna delle
due produrrebbe sullo schermo un’immagine la cui
forma è quella di un cerchio di raggio r ' zλ/d.
Perché le due immagini si possano distinguere bene
i loro centri devono trovarsi a una distanza pari circa
a 2r ' 2zλ/d. In effetti, se i due centri si trovano
a una distanza l’uno dall’altro pari a un raggio del
Figura 9.15 In questa foto fatta dall’a- cerchio, si capisce ugualmente che le sorgenti sono
bitacolo di un’auto le luci
due.
dei fari, dei semafori e dei
lampioni sono diffratte dai La luce, ad esempio, è un’onda (anche se non
solchi lasciati dal passaggio abbiamo ancora stabilito di quale natura). Quindi,
del tergicristalli sulla polve- quando passa attraverso un foro subisce diffrazione.
re del parabrezza. La diffra- La stessa pupilla dell’occhio umano è un foro attra-
zione avviene nella direzione
verso il quale si propagano le onde luminose. Per
perpendicolare ai solchi. Os-
servando la stessa scena dal questa ragione la nostra acutezza visiva è limita-
finestrino laterale, sul qua- ta: se andate a misurarvi la vista da un ottico vi
le i solchi sono verticali per- renderete conto facilmente che, per quanto abbia-
ché prodotti dallo strofina- te la vista buona, riuscirete appena a distinguere
mento lungo le guarnizioni,
la diffrazione appare lungo la
le lettere dell’ultima fila nella tavola ottometri-
direzione orizzontale. ca. La ragione sta proprio nel fatto che i tratti che
formano le lettere sono deformati dalla diffrazione
quando la loro luce entra nella vostra pupilla. Al di
sotto di certe dimensioni le deformazione subita dai
9.3.6 Potere risolutivo raggi luminosi per effetto della diffrazione diventa
Le onde che passano attraverso un foro subiscono comparabile con la dimensione del tratto stesso e le
inevitabilmente gli effetti della diffrazione. Se il foro forme delle lettere non sono piú distinguibili.
è molto grande gli effetti della diffrazione sono pic- Allo stesso modo, quando di notte osservate i fari
coli e poco percepibili, ma con un foro molto piccolo di un veicolo molto lontano difficilmente riuscirete
gli effetti possono essere importanti. a dire se si tratta di una moto o di un’auto, per-
Una sorgente puntiforme al di là di uno schermo ché le immagini dei fari che si formano sulla retina,
appare come una macchia circolare di raggio pari quando sono lontani, si confondono l’una nell’altra
grosso modo alla distanza tra il centro e il primo per effetto della diffrazione.
minimo. Un foro di diametro d, per esempio, provo- Convenzionalmente si stabilisce che il potere ri-
ca una figura di diffrazione il cui primo minimo si solutivo o risoluzione r di uno strumento è da-
trova a un angolo θ tale che to da un numero che è un poco piú grande della
distanza tra il massimo centrale e il primo minimo
λ
sin θ = (9.74) λ
d r = 1.22 (9.76)
d

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9.3. LA MATEMATICA DELLA DIFFRAZIONE 112

dove λ è la lunghezza d’onda della luce osservata


attraverso uno strumento con un’apertura di raggio
r (limite di Abbe)8 .
Anche per questo, per osservare oggetti molto lon-
tani si debbono usare telescopi di grande apertura:
la grande apertura (che in certi casi può raggiunge-
re diversi metri) contribuisce a consentire di risolve-
re dettagli molto fini delle immagini e a raccogliere θ
una maggiore quantità di luce, rendendo gli oggetti
deboli piú facili da osservare.

9.3.7 Diffrazione di raggi X


d
La lunghezza d’onda della luce visibile va dai 400 a
ai 700 nm, circa. Se si invia un fascio di raggi X,
come quelli che si usano per fare le radiografie, su
un reticolo di diffrazione non accade nulla: il fascio
prosegue praticamente indisturbato. Questo sugge- Figura 9.16 Raggi X (in nero) incidono
con angolo θ su una serie di
risce che, se i raggi X sono costituiti di onde come la
centri disposti a strati a di-
luce, la loro lunghezza d’onda dev’essere molto piú stanza d l’uno dall’altro, che
piccola. li riflettono. I raggi X riflessi
Se però s’invia un fascio di raggi X su un cristallo sono sfasati tra loro e interfe-
di qualche sostanza, si vede che una parte di questi è riscono costruttivamente solo
a certi angoli. Il raggio verde,
riflessa e se se ne misura l’intensità ad angoli diversi
ad esempio, percorre una di-
si trova una caratteristica figura di diffrazione la stanza 2a = 2d sin θ minore
cui forma dipende dal tipo di cristallo adoperato. rispetto a quello blu. Se que-
È evidente che questo, da una parte conferma la sta distanza è pari a un mul-
natura ondulatoria dei raggi X, dall’altra suggerisce tiplo di una lunghezza d’onda
(2d sin θ = mλ) si ha interfe-
che i cristalli siano costituiti di successioni regolari renza costruttiva e si osserva
di centri di diffusione di questo tipo di radiazione. In un massimo d’intensità.
sostanza, il cristallo deve essere formato da una serie
di oggetti disposti in maniera regolare a formare un
reticolo. Quando il reticolo è investito da un fascio
diffrazione, la cui forma dipende evidentemente da
di raggi X, ciascuno di questi oggetti diventa a sua
come sono disposti spazialmente questi centri.
volta una sorgente di raggi X puntiforme. Le diverse
La Figura 9.16 illustra quello che accade. Nel caso
onde emesse da questi oggetti interferiscono a certi
semplice di un reticolo regolare si osservano massimi
particolari angoli in modo da formare una figura di
d’intensità quando d sin θ = mλ.
8
La moderna fotonica riesce a superare il limite di Abbe La diffrazione dei raggi X è una delle prove spe-
consentendo l’osservazione di strutture molto piccole usan- rimentali piú convincenti del fatto che la materia
do luce visibile, al prezzo di prolungare l’osservazione per un
periodo di tempo relativamente lungo. In sostanza quello che
è formata di atomi: particelle piccolissime legate le
si fa non è illuminare l’intero l’oggetto per osservarne la luce une alle altre a formare i corpi macroscopici che pos-
diffusa, ma illuminarne un’area molto piccola e registran- siamo vedere con i nostri occhi. Se la materia fosse
do l’immagine: il collage delle immagini acquisite produce costituita di un continuo non si potrebbe osservare
un’immagine complessiva dell’oggetto illuminato. alcun fenomeno di diffrazione.

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Unità Didattica 10
Eppur si muove

Al Paragrafo 4.3 vediamo come il riscal- sperimentalmente per trovare le leggi che lo rego-
damento dei corpi si può ottenere attraverso lano. Solo cosí possiamo sperare di giungere a una
l’illuminazione, lo sfregamento o l’urto con un qualche teoria che spieghi le osservazioni. Questa
altro corpo. Dai Capitoli 5 e 6 si capisce che, in effet- parte della fisica prende il nome di cinematica, dal
ti, il riscaldamento attraverso l’illuminazione si può greco kιν έω (pronuncia kinéo), che significa proprio
reinterpretare assumendo che la luce sia composta movimento.
di corpuscoli che urtano i corpi illuminati, riscal- In questo capitolo, dunque, ci accingiamo a stu-
dandoli attraverso questo processo, o descrivendo la diare il moto dei corpi dal punto di vista di un
luce come un’onda che trasmette una qualche forma fisico: per farlo sarà necessario caratterizzare il mo-
di moto ai corpi illuminati. to in qualche modo; dovremo cioè definire in modo
Come le onde del mare smuovono la sabbia sulla preciso le grandezze fisiche necessarie a descriverlo.
riva, le onde luminose potrebbero spostare i costi- Il moto dei corpi consiste nella variazione della loro
tuenti elementari dei corpi (che devono essere for- posizione. Il nostro primo problema, dunque, sarà
mati dall’unione di parti piú piccole come suggerito quello di definire questa grandezza fisica.
da vari esperimenti) e questo spostamento potrebbe
produrre, in qualche maniera, l’innalzamento della
loro temperatura, attraverso un processo in qual- 10.1 Voi siete qui
che modo simile allo sfregamento. Quest’ultimo si
Come si fa a stabilire la posizione di un oggetto?
potrebbe interpretare, infatti, come un processo se-
Ciascuno di noi ha un’idea di cosa significhi fornire
condo il quale un pezzo di carta vetrata, passando
la posizione di qualcosa, ma definire la posizione
su un pezzo di metallo, ne sposta i costituenti sulla
dal punto di vista di un fisico non è poi cosí sconta-
superficie come farebbe un’onda sulla sabbia.
to. Cerchiamo di stabilire un criterio oggettivo per
Se invece s’interpreta la luce come formata di cor-
misurare la posizione di un corpo: tanto per fissare
puscoli, l’urto tra un presunto costituente della luce
le idee, pensiamo a una pallina, che ha una forma
e i costituenti della materia, naturalmente, potreb-
semplice. Già cosí vediamo che esiste un problema:
be portare a qualcosa di simile: in fondo, attraverso
cosa intendiamo per posizione della pallina? La pal-
l’urto tra un oggetto in moto e uno fermo si può
lina è un corpo esteso: il suo centro occupa una posi-
provocare il movimento del secondo.
zione diversa da quella occupata dai punti della sua
Per qualche motivo per ora ignoto questi proces-
superficie. Se però possiamo assumere come costan-
si, che in fin dei conti provocano il moto dei presun-
te il suo raggio, basta individuare la posizione del
ti costituenti della materia, producono calore, ma
centro della pallina per individuare univocamente la
come?
posizione della stessa. D’ora in poi, quindi, quando
Per rispondere a questa domanda è necessario cer-
parliamo di posizione della pallina ci riferiamo, per
care di capire qualcosa di piú del moto e delle sue
convenzione, alla posizione del suo centro.
cause. Dobbiamo quindi studiare il moto dei corpi
10.1. VOI SIETE QUI 114

Posiamo la pallina su un banco. Come facciamo a ci sono due distanze uguali: una sopra e una sotto
dire dove si trova? Non c’è alcun modo di dire dove il banco. Per distinguerle siamo costretti a scegliere
si trovi la pallina, se non riferendosi a una qual- un verso: i punti che si trovano sopra il banco li con-
che altra posizione! Potremmo dire che «la pallina è sidereremo come punti con una distanza positiva da
sul banco», ma questa non sarebbe un’informazione questo, mentre quelli sotto come punti con distanza
soddisfacente perché la pallina potrebbe stare in un negativa (o viceversa). È chiaro che lo stesso si può
punto qualsiasi della superficie del banco e noi non fare per le distanze x e y. Un punto che dista x dal
sapremmo esattamente dove. Una maniera per su- lato corto del banco si può trovare sul banco o fuo-
perare quest’ambiguità consiste nello specificare che ri di esso, dall’altro lato: bisognerà decidere come
la pallina si trova a 20 cm dal lato corto sinistro del considerare le distanze. Possiamo scegliere di consi-
banco. La misura di posizione si traduce cosí in una derare positive le distanze x dei punti a destra del
misura di distanza da qualcosa. lato corto del banco e quelle y dei punti che stanno
Non ci vuole molto per rendersi conto che anche nel semipiano occupato dal banco. Le altre saranno
questa definizione di posizione non è soddisfacente! considerate negative.
Se scegliessimo di misurare la posizione della pallina In questo modo la posizione della pallina è per-
come la distanza x dal lato corto di un banco scelto fettamente determinata senza ambiguità: non è pos-
come riferimento, tutte le palline disposte su un seg- sibile che due palline occupino la stessa posizione.
mento tracciato sul banco parallelamente al suo lato Tuttavia resta il fatto che se non si sa dove si trova
corto e a distanza x da questo avrebbero la stessa il banco, non si sa nemmeno dov’è la pallina. In al-
posizione e sappiamo bene che non è cosí: perlomeno tre parole, è impossibile stabilire in modo assoluto
non è quello che intendiamo per posizione. la posizione della pallina: l’unica cosa che possiamo
Se vogliamo specificare meglio dove si trova la fare è indicare a qualcuno la sua posizione attra-
pallina dobbiamo necessariamente indicare non solo verso la relazione con qualche altro oggetto che si
la distanza x dal lato corto, ma anche la distanza deve dare per localizzato. Dove sia il lato corto del
y da uno dei lati lunghi del banco! Servono cioè al- banco, infatti, è impossibile da stabilire, a meno che
meno due numeri x e y per stabilire dove si trova non si riferisca la sua posizione rispetto a un altro ri-
la pallina. In altre parole la posizione della pallina ferimento, come una delle pareti dell’aula. La quale,
è relativa a un sistema di riferimento costituito a sua volta, per poter essere localizzata ha bisogno
di due assi che s’intersecano e che corrono parallela- di un altro riferimento: bisognerà dire quale stan-
mente a due dei lati del banco. Il punto in cui s’in- za di quale fabbricato in quale via di quale città,
tersecano questi assi (lo spigolo del banco) è detto etc.. Si capisce subito che la posizione di un corpo
origine del sistema di riferimento. è relativa alla scelta, arbitraria, che si fa circa il
Anche questa definizione presenta un’ambiguità. sistema di riferimento. Il sistema di riferimento
In questo modo, una pallina che si trova in una po- è costituito di tre assi: due scelti in modo tale che
sizione fissata sul banco e una che si trovi sul pavi- s’incrocino in qualche punto e il terzo che converrà
mento, esattamente sotto quella poggiata sul banco, scegliere in maniera che passi dal punto in comune
avrebbero la stessa posizione, perché i due numeri dei primi due (evidentemente tutti gli assi paralle-
che la definiscono sarebbero uguali (immaginate un li a questo sono equivalenti). La scelta del sistema
piano trasparente e di misurare la posizione degli di riferimento naturalmente non può che essere ar-
oggetti che vedete proiettati sul piano del banco). bitraria anche se è esperienza comune che il moto
Se vogliamo distinguere le due posizioni non possia- dei corpi non appare essere dipendente dalle scelte
mo evitare di indicare una terza distanza z rispetto che fa chi li osserva: le leggi del moto che trovere-
al riferimento scelto che è la distanza tra il piano mo dall’analisi sperimentale, dunque, non potranno
individuato dai due lati del banco scelti come riferi- dipendere (o quanto meno non potranno dipendere
mento e la pallina. Se il riferimento scelto è il banco, troppo) da questa scelta.

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10.1. VOI SIETE QUI 115

te ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l’univer-


so), ma non si può intendere se prima non s’impara
a intender la lingua, e conoscer i caratteri, ne’ qua-
li è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i
caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geome-
triche, senza i quali mezzi è impossibile a intender-
ne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi
vanamente per un oscuro laberinto.”.
Perché mai il Libro della Natura dovrebbe esse-
re scritto in caratteri matematici? Cos’ha la mate-
matica che altri linguaggi non hanno? La ragione è
Figura 10.1 La posizione della pallina sul abbastanza semplice, anche se le convenzioni spes-
banco (che convenzionalmen- so c’impediscono di vederla: una di queste è l’errata
te coincide con quella del suo convinzione che la matematica non sia un’opi-
centro) è definita solo rispet- nione. L’avrete sentito dire da tutti, ma non c’è nul-
to a un sistema di riferi-
la di piú sbagliato! La matematica è un’opinione! Si
mento che possiamo sceglie-
re arbitrariamente costituito possono inventare infinite matematiche diverse: ba-
di tre assi che s’intersecano in sta formulare (arbitrariamente) gli assiomi e poi far
un punto detto origine. Un discendere da questi, attraverso regole logicamen-
modo per esprimerne la po- te coerenti, le proprietà e i teoremi che riguardano
sizione consiste nel fornire le
distanze x (rappresentata in
gli elementi introdotti negli assiomi (solo da questo
rosso tratteggiato), y (in blu) punto di vista la matematica non è un’opinione, nel
e z (in verde). senso che le regole dedotte dagli assiomi devono per
forza avere una loro coerenza interna). Cosí esiste la
geometria euclidea nella quale le rette parallele
10.1.1 Premessa metodologica non s’incontrano mai e quelle non euclidee in cui
invece questa cosa può accadere.
Piú avanti scopriamo come, per studiare il moto de- È la fisica a non essere un’opinione: la fisica ri-
gli oggetti, sia necessaria (o meglio, utile) l’algebra guarda le proprietà di cose che esistono nell’Univer-
vettoriale. Molti libri di fisica somigliano (troppo) so, che non possiamo scegliere come ci pare. Quando
ai testi di matematica. In molti di essi, per esempio, dobbiamo spiegare il moto dei pianeti non possiamo
le regole dell’algebra vettoriale sono illustrate come scegliere di descriverli secondo come ci piacerebbe
farebbe un matematico: definizione, elencazione del- che si muovessero: dobbiamo farlo in maniera tale
le proprietà, dimostrazioni, etc.. Una volta date le che le osservazioni sperimentali coincidano con le
regole di quest’algebra, queste si applicano allo stu- previsioni che derivano dalle leggi fisiche. In que-
dio del moto dei corpi, come fosse naturale. In que- sto senso le leggi fisiche non sono come le altre leg-
sto testo, invece, noi stiamo studiando la fisica da un gi: le leggi di uno Stato o quelle della matematica
punto di vista sperimentale. Possiamo solo conta- si formulano secondo criteri piú o meno arbitrari e
re sulle osservazioni, assumendo di conoscere un po’ poi si seguono. Nel caso della fisica è il contrario:
di matematica fondamentale. Se non riusciamo, con prima si vede come si comportano gli oggetti di cui
la matematica che abbiamo, a descrivere le osser- siamo interessati a descriverne le proprietà e, in ba-
vazioni sperimentali dobbiamo inventare un’altra se alle osservazioni, si derivano le leggi! E poiché il
matematica capace di farlo. linguaggio della matematica è abbastanza flessibile
Dice Galilei nel Saggiatore [?]: ”La filosofia è da consentire di inventare qualunque tipo di ma-
scritta in questo grandissimo libro che continuamen- tematica, il Libro della Natura è scritto con questi

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10.2. I VETTORI 116

caratteri. filmato non riproducibile su questo


In questo capitolo abbiamo la necessità di descri- supporto: digita l’URL nella caption o
vere qualcosa per cui non disponiamo dei caratteri scarica l’e-book
giusti. Dobbiamo perciò inventare un nuovo linguag- Figura 10.2 Per stabilire la posizione di
gio, una nuova matematica, che ci consenta di scri- un punto A nello spazio è ne-
cessario eseguire tre misure:
vere (e descrivere) il Libro della cinematica: la le distanze da tre assi scel-
matematica dei vettori o algebra vettoriale. ti come riferimento oppure
la distanza dall’origine degli
assi e due angoli.
10.2 I vettori
Le tre distanze x, y e z sono sufficienti a determi-
e quello φ che la retta, proiettata sul piano (x, y)
nare in maniera univoca la posizione di un corpo.
forma con l’asse orizzontale rispetto al quale si mi-
Nessun altro corpo si può trovare nella stessa po-
surano le distanze y (che chiameremo asse x, per-
sizione, cioè in un punto le cui distanze da tre as-
ché la coordinata x di un punto è la distanza di
si orientati scelti come sistema di riferimento sono
quel punto dall’origine misurata lungo quest’asse).
le stesse. Queste tre distanze prendono il nome di
In questo modo la posizione del punto è sempre spe-
coordinate e la posizione di un corpo s’individua
cificata da tre numeri: (x, y, z) oppure (r, θ, φ). Se
fornendo i valori di queste tre distanze (x, y, z) da
scegliamo di rappresentare la posizione di un punto
tre assi che s’incontrano in un punto che chiamere-
come un insieme di tre distanze si dice che stiamo
mo origine del sistema di riferimento. Chiamiamo
usando coordinate cartesiane; aggiungiamo l’ag-
l’insieme delle tre coordinate un vettore, che indi-
gettivo ortogonali nel caso in cui gli assi scelti per
chiamo con una lettera in grassetto r = (x, y, z)1 .
il sistema di riferimento siano mutuamente perpen-
Le singole coordinate si chiamano componenti del
dicolari. Se invece la posizione è determinata dalla
vettore.
distanza dall’origine degli assi e dai due angoli sopra
Non è affatto necessario che gli assi scelti come
descritti diciamo che stiamo esprimendo la posizio-
sistema di riferimento siano perpendicolari l’uno al-
ne in coordinate polari. Naturalmente, qualunque
l’altro, come nel caso che abbiamo appena visto!
sia il sistema di coordinate scelto (se ne possono in-
Questa è solo la scelta piú semplice, ma è del tutto
ventare molti altri), possiamo sempre passare dal-
evidente che, per stabilire la posizione di un oggetto,
l’uno all’altro. Se, ad esempio, conosciamo le coordi-
basta indicare tre numeri che indicano la distanza
nate polari del punto A, le sue coordinate cartesiane
da tre assi comunque disposti, purché non paralleli
si ricavano facilmente osservando che la coordinata
(possono persino essere curvi). Ma non c’è motivo
z di A è
di complicarsi inutilmente la vita.
È anche possibile usare definizioni diverse, ma
z = r cos θ . (10.1)
equivalenti (Filmato 10.2). Per esempio, un modo
di stabilire dove si trovi la pallina (indicata con la La proiezione del segmento OA sul piano (x, y) è
lettera A nel filmato) rispetto allo stesso sistema lunga r sin θ e quindi le coordinate x e y del punto
di riferimento scelto sopra, consiste nel fornire la sono
distanza r tra la pallina e l’origine degli assi; quin-
di si individua l’angolo θ che la retta passante per x = r sin θ cos φ
(10.2)
l’origine e per il punto forma con l’asse verticale y = r sin θ sin φ .
1
Su un foglio di carta o alla lavagna, non potendo ottenere È altrettanto evidente che si può fare l’operazione
il grassetto, indicheremo i vettori con una freccia sopra la contraria: note le coordinate cartesiane ortogonali di
lettera: ~r. un punto A la distanza dall’origine è semplicemente

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10.2. I VETTORI 117

y
3

2
a1 A
1
a2

0
O
0 1 2 3 4 5 6 x

Figura 10.4 Le coordinate di un punto


A su un piano cartesiano di
origine O rappresentano le
distanze dagli assi misurate
nella direzione dei rispettivi
assi.

Figura 10.3 Il vettore OA è lungo r. La


sua proiezione sul piano xy
è r sin θ. Le coordinate x e ortogonale) e cerchiamo di capire come possiamo
y sono uguali a quest’ulti- sfruttare la capacità di misurare questa grandezza
ma lunghezza moltiplicata, fisica per fare un po’ di fisica. La posizione è co-
rispettivamente, per il seno e munque determinata da una terna di numeri che
il coseno di φ.
possiamo indicare con un pedice, perciò la posizio-
ne di un punto A si può specificare come un vettore
di coordinate a = (a1 , a2 , a3 ).
p Le coordinate del punto O origine degli assi sono
r= x2 + y 2 + z 2 . (10.3) evidentemente (0, 0, 0), perché il punto dista zero
da sé stesso in ogni direzione e in particolare lungo
L’angolo φ si ricava dividendo membro a membro
quelle degli assi coordinati. Per semplicità iniziamo
le (10.2) per cui si trova che
a lavorare con punti che giacciono sullo stesso piano
y in modo tale che abbiano tutti la stessa coordinata
= tan φ (10.4)
x z che quindi possiamo ignorare (perché il suo va-
e quindi lore è arbitrario, quindi la sua conoscenza non ag-
giunge nulla alla conoscenza di qualche caratteristi-
y
φ = arctan. (10.5) ca dei punti che stiamo considerando). Il vettore che
x rappresenta la posizione di un punto quindi si può
L’angolo θ si trova invece invertendo l’equazio- rappresentare con sole due coordinate r = (x, y) o
ne (10.1): r = (x1 , x2 ), la terza essendo costante.
z Sul piano, le componenti del vettore a che
cos θ = (10.6) rappresenta il punto A sono (a1 , a2 ) (Fig. 10.4).
r
e quindi Supponiamo di spostare un oggetto dal pun-
to A al punto B di coordinate b = (b1 , b2 ) (vedi
θ = arccos
z
. (10.7) Fig. 10.5). Osserviamo che per passare dalle coordi-
r nate a di A alle coordinate b di B abbiamo dovuto
Visto che i due sistemi di coordinate sono equivalen- aggiungere alla coordinata a1 di A un valore x tale
ti, scegliamone uno (per esempio quello cartesiano che a1 + x = b1 e alla coordinata a2 di A un valore y

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10.2. I VETTORI 118

y casi come uno scalare, cioè un semplice numero,


3 b1 B e in altri come un vettore, secondo la sua natura.
Potrebbero anche esserci altre rappresentazioni pos-
2 sibili, che per il momento non consideriamo, perché
a1 A b2 non ne abbiamo bisogno, ma in generale non pos-
1
a2 siamo escluderlo. La natura di una grandezza fisica
dipende da come possiamo determinarne il valore
0
O
0 1 2 3 4 5 6
eseguendo misure: per esprimere la misura di una
x
temperatura è sufficiente un numero e un’unità di
misura, quindi la temperatura ha natura scalare;
Figura 10.5 Un punto nella posizione A
ha coordinate (a1 , a2 ). Nel- per indicare invece la posizione di un corpo un nu-
la posizione B ha coordinate mero non basta: ne occorrono tre e per questo la
(b1 , b2 ). natura di questa grandezza fisica è vettoriale.
È anche evidente che, quando saremo in condi-
zione di scrivere una legge fisica per la posizione
tale che a2 + y = b2 . In sostanza possiamo dire che di un corpo, la legge stessa avrà natura vettoriale.
In altre parole, se in una legge fisica compare un
b = (b1 , b2 ) = (a1 + x, a2 + y) (10.8) vettore a primo membro dell’equazione che la rap-
presenta, a secondo membro dovrà per forza esserci
che possiamo sempre pensare di scrivere come
un altro vettore!
Vale la pena osservare che lo spostamento, che è
b = (b1 , b2 ) = (a1 + x, a2 + y) = (a1 , a2 ) + (x, y) una grandezza fisica ora ben definita, non ci dice
(10.9) nulla circa il modo in cui un oggetto si è spostato
dove la coppia (x, y) si può sempre interpretare co- dal punto A al punto B! Lo stesso spostamento si
me un vettore e introducendo cosí un’operazione può ottenere in infiniti modi: si può, ad esempio,
di somma tra vettori o somma vettoriale che è raggiungere B da A viaggiando lungo la retta che
un’operazione che, analogamente alla somma ordi- li congiunge, ma anche muovendosi parallelamente
naria, si esegue tra due vettori addendi, il cui risul- all’asse x per raggiungere la coordinata b2 per poi
tato è un terzo vettore le cui coordinate si ottengo- muoversi lungo l’asse verticale o viceversa; e natu-
no dalla somma delle coordinate omologhe (quelle, ralmente ci sono tutte le infinite possibili curve che
cioè, che occupano lo stesso posto). passano per i due punti A e B.
Evidentemente nel caso in esame dev’essere x = La curva seguita dall’oggetto nello spostarsi da
b1 − a1 e y = b2 − a2 per cui il vettore ∆r = (x, y) ha A a B si chiama traiettoria ed è costituita dal-
coordinate ∆r = (b1 − a1 , b2 − a2 ). Il vettore ∆r è l’insieme delle posizioni progressivamente occupate,
quello che potremmo chiamare spostamento. Non nel corso del tempo, dall’oggetto stesso. La traietto-
tutti i vettori, quindi, rappresentano dei punti nello ria, dunque, è una funzione del tempo f (t). Poiché
spazio: un vettore è generalmente una sequenza di a ogni istante t la traiettoria rappresenta la posizio-
numeri con certe proprietà che scopriamo in questo ne di un corpo a quell’istante, f (t) è un vettore e
paragrafo, che di volta in volta si può usare per rap- quindi lo scriveremo come f (t). La traiettoria si può
presentare una posizione, uno spostamento, etc.. Un approssimare con una sequenza di spostamenti. È
po’ come un numero si può usare per rappresentare evidente che, tanto piú sono piccoli questi sposta-
una temperatura, una lunghezza, una massa e cosí menti, tanto migliore sarà l’approssimazione. Uno
via. spostamento piccolo è uno spostamento per il qua-
In sostanza una grandezza fisica si può rappre- le la distanza tra il punto iniziale e quello finale è
sentare in generale in almeno due modi: in alcuni piccola.

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10.2. I VETTORI 119

Facendo riferimento alla Figura 10.5 vediamo che Evidentemente l’operazione che consiste nel mol-
la distanza2 tra il punto iniziale A e quello finale B tiplicare un vettore per uno scalare restituisce un
è semplicemente data dal Teorema di Pitagora: vettore.
Dal punto di vista geometrico osserviamo che il
2 2
dAB = (b1 − a1 ) + (b2 − a2 ) 2
(10.10) modulo del vettore a è semplicemente la lunghezza
del segmento OA e che la lunghezza del vettore ∆r
che altro non è se non la somma dei quadrati del-
non è altro che la lunghezza del segmento AB. Per
le coordinate del vettore spostamento. La radice di
come è definito, il vettore che si ottiene dalla sottra-
questo numero prende il nome di modulo del vetto-
zione di b da a, a−b, avrebbe la stessa lunghezza di
re e si indica con l’espressione dAB = |∆r|. I moduli
∆r, ma le sue componenti avrebbero segno opposto.
dei vettori a e b, a questo punto, sono anche in-
Infatti:
terpretabili come la distanza tra il punto e l’origine
degli assi essendo
q a−b = (a1 , a2 )−(b1 , b2 ) = (a1 − b1 , a2 − b2 ) = −∆r .
|a| = a21 + a22 (10.11) (10.14)
e analogamente per b. Il modulo di −∆r è evidentemente uguale a quello
Una volta definita l’operazione di somma tra vet- di ∆r ma geometricamente non può essere la stessa
tori b = a + ∆r, si può facilmente definire l’o- cosa. Ogni segmento sul piano può essere la lunghez-
perazione di sottrazione e quindi è facile vedere za di due vettori: uno positivo e l’altro negativo. Dal
che punto di vista geometrico possiamo pensare ai vet-
tori come a segmenti orientati, per i quali cioè
∆r = b − a , (10.12) non siano specificati solo gli estremi, ma anche qua-
le sia il primo e quale il secondo. Al primo estremo
da cui si vede che i vettori si comportano, dal pun- si può dare il nome di punto di applicazione di
to di vista algebrico, come gli scalari. L’operazione un vettore, e al secondo quello di punta del vettore
infatti consiste nel sottrarre tra loro le coordinate cosicché il vettore si può rappresentare graficamente
omologhe. come una freccia che parte da un estremo a giunge
Ora supponiamo di misurare le distanze che de- all’altro. In definitiva, dal punto di vista geometrico,
finiscono la posizione con un righello: le coordinate un vettore è un oggetto che possiede una lunghezza
saranno espresse in cm. Se volessimo esprimere la (pari al suo modulo), una direzione (che coincide
posizione usando coordinate date in mm dovrem- con la retta lungo la quale giace) e un verso (che
mo moltiplicare tutte le componenti del vettore per definisce uno dei due possibili modi nei quali si può
dieci. Possiamo allora definire un’operazione di pro- percorrere la retta).
dotto tra uno scalare e un vettore c = α a come l’o- Sempre dal punto di vista geometrico, dal mo-
perazione che restituisce un vettore le cui coordinate mento che il modulo (che è la radice della somma dei
sono tutte moltiplicate per α: quadrati delle coordinate del vettore) coincide con
la lunghezza del vettore, le sue coordinate non so-
c = (α · a1 , α · a2 ) (10.13) no altro che le lunghezze delle proiezioni del vettore
e reinterpretare l’operazione di sottrazione come l’o- lungo gli assi coordinati. In particolare, nel caso dei
perazione di somma tra i due vettori b e −a = −1·a. vettori a due dimensioni che stiamo considerando, le
due coordinate si possono considerare come la lun-
2
in questo e in altri paragrafi, quando parliamo di distan- ghezza dei due cateti di un triangolo rettangolo di
za intendiamo sia la distanza propriamente detta sia il suo
quadrato, che è solitamente piú comodo da manipolare non cui il vettore rappresenta l’ipotenusa (Figura 10.6).
contenendo radici. Il vettore posizione a quindi è rappresentabile co-
me una freccia che parte da O e giunge in A, mentre

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10.2. I VETTORI 120

y y
3 b1 B 3 b1 B

2 2
a1 b2 a1
A A b2
1 1
a2
a2
0
O 0
0 1 2 3 4 5 6 7 x O
0 1 2 3 4 5 6 x7

Figura 10.6 Dal punto di vista geometri-


Figura 10.7 Per eseguire graficamente la
co i vettori si possono rappre-
somma dei vettori a e ∆r si
sentare come frecce sul pia-
disegna il primo (in blu) e, a
no. Sul piano, le proiezioni
seguire, il secondo (in rosso).
delle frecce lungo le direzioni
Il vettore somma è quello che
degli assi si possono pensare
parte dal punto di applicazio-
come i cateti di un triangolo
ne del primo e termina sul-
rettangolo la cui ipotenusa è
la punta del secondo. Questo
lunga quanto il vettore.
vettore (tratteggiato in nero)
è la diagonale del parallelo-
gramma che si costruisce di-
segnando i vettori paralleli a
b si rappresenta come una freccia che parte sempre
quelli dati e riportati con la
da O e giunge in B. Il vettore ∆r, a questo pun- linea tratteggiata del colore
to, si rappresenta come una freccia che parte da corrispondente.
A e termina in B. Il vettore a è geometricamente
l’ipotenusa di un triangolo rettangolo (in rosso in
Figura 10.6) di lati a1 e a2 . Analogamente per b (in
li se hanno stessa lunghezza, stessa direzione e
giallo con le righe blu nella figura) e per ∆r, che è
stesso verso, indipendentemente dal punto di ap-
l’ipotenusa di un triangolo (in verde) i cui lati sono
plicazione! Due vettori che sul piano si rappresenta-
lunghi b1 − a1 e b2 − a2 , rispettivamente.
no come due frecce uguali e parallele sono lo stes-
Essendo b = a + ∆r l’operazione di somma tra
so vettore, anche se non coincidono. Per esempio, i
vettori, dal punto di vista grafico si esegue cosí: si
vettori che nella Figura 10.7 sono rappresentati dalle
disegna il primo vettore, quindi si disegna il secon-
due linee rosse (una solida e l’altra tratteggiata) so-
do con il punto di applicazione coincidente con la
no tra loro uguali perché hanno le stesse coordinate.
punta del primo; il vettore che si rappresenta come
Lo stesso vale per i vettori blu. Ma fate attenzione:
una freccia che parte dal punto di applicazione del
essere lo stesso vettore non significa affatto rappre-
primo e finisce sulla punta del secondo è il vetto-
sentare la stessa grandezza fisica! I due vettori rossi
re somma. Questa regola di somma prende il nome
della figura sono uguali, cosí come quelli blu, ma
di regola del parallelogramma perché il vettore
mentre quello blu a tratto continuo rappresenta la
somma non è altro che la diagonale del parallelo-
posizione del punto A, quello tratteggiato no. Un
gramma (Figura 10.7) che si ottiene disegnando i
po’ come due numeri uguali non necessariamente
due vettori che partono dallo stesso punto e trac-
rappresentano la stessa grandezza: 15◦ di tempera-
ciando i vettori a questi paralleli che partono dalle
tura non sono uguali a 15 m di lunghezza, e non
rispettive punte.
sono neanche la stessa cosa di 15◦ di temperatura
Osserviamo che la differenza tra due vettori con
di un oggetto diverso.
le stesse coordinate è un vettore nullo e quindi, dal
Dato un vettore qualunque se ne può ottenere uno
punto di vista geometrico, due vettori sono ugua-

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10.2. I VETTORI 121

di modulo unitario facilmente: basta dividere tutte il banco si trova in un’aula, la posizione del vertice
le sue coordinate per il modulo del vettore originale. considerato rispetto a uno dei vertici della pianta
Per esempio, se si moltiplica il vettore a per |a|
1
, si dell’aula è a sua volta un vettore. Se indichiamo
ottiene il vettore con C = (c1 , c2 ) le distanze del vertice del banco da
  quello dell’aula, il vettore C si rappresenta geome-
1 a1 a2 tricamente come una freccia che parte dall’angolo
â = (a1 , a2 ) = , (10.15)
|a| |a| |a| dell’aula e giunge sul vertice del banco che consi-
il cui modulo vale evidentemente deriamo come origine delle coordinate nel sistema
originale.
|a| La coordinata a1 di a, nel sistema di riferimento
|â| = = 1. (10.16)
|a| originale, rappresenta la distanza, in un’unità scelta
Al vettore â, indicato con la lettera a sotto un cap- arbitrariamente, del punto A dall’asse delle y, che
puccio si dà il nome di versore del vettore a perché coincide con uno dei lati del banco. In alternativa
di fatto questo vettore ne caratterizza la direzio- si può dire che a1 rappresenta la distanza dall’o-
ne e il verso. Infiniti vettori possono avere lo stesso rigine del punto A misurata lungo la direzione x
versore. oppure che è la distanza alla quale si trova la proie-
Poiché possiamo anche scrivere che a1 = |a| cos θ, zione del punto A sull’asse x dall’origine. Sono tutte
dove θ è l’angolo che il vettore forma con l’asse delle definizioni equivalenti.
ascisse, si vede subito che la prima coordinata del In maniera del tutto analoga, la coordinata c1 del
versore non è altro che il coseno dell’angolo forma- vertice del banco considerato origine del sistema di
to tra il versore (e quindi il corrispondente vetto- riferimento originale, rispetto al sistema costituito
re) e l’asse 1. Analogamente possiamo scrivere che dalle pareti dell’aula, rappresenta la distanza del
a2 = |a| cos ψ, avendo indicato con ψ l’angolo com- vertice O dal lato dell’aula parallelo al lato y del
preso tra l’asse n. 2 e il versore. Di conseguenza la banco. Di conseguenza, nel sistema di riferimento
coordinata n. 2 del versore non è altro che il coseno dell’aula, il punto A dista da questa parete c1 + a1 .
di quest’angolo. In generale quindi le coordinate di Evidentemente lo stesso accade all’altra coordinata.
un versore sono date dai coseni degli angoli forma- Per cui, se abbiamo un vettore a in un sistema di
ti tra il vettore e l’asse rispetto al quale è data la riferimento Oxy, la cui origine assume la posizione
coordinata (e per questa ragione si chiamano anche C in un altro sistema di riferimento O0 x0 y 0 , le coor-
coseni direttori). dinate del vettore nel secondo sistema si ottengono
Evidentemente le coordinate di un punto cam- come a0 = a + C.
biano se si cambia il sistema di riferimento, quindi È chiaro che la lunghezza del vettore a cambia se-
cambiano anche le coordinate dei vettori. Abbiamo condo che sia espressa nel sistema Oxy o nel sistema
già osservato che la posizione è un concetto relativo O0 x0 y 0 . Se la posizione di un corpo cambia, lo spo-
e non assoluto. Un sistema di riferimento può es- stamento no: infatti il vettore b diventerà, nel nuovo
sere traslato o ruotato (o tutt’e due le cose insieme) sistema di riferimento, b0 = b + C e la differenza di
rispetto a un altro. Vediamo quindi di capire cosa posizione sarà
succede a un vettore quando si cambia il sistema di
riferimento scelto per rappresentarlo, iniziando dal
caso semplice di pura traslazione. ∆r0 = b0 − a0 = (b + C) − (a + C) = b − a = ∆r .
Consideriamo in particolare i due vettori a = (10.17)
(5, 1.5) e b = (7, 3) nel sistema di riferimento di una E se invece di essere traslato il sistema di riferimen-
delle figure sopra. Supponiamo che l’origine di que- to è ruotato? Supponiamo di ruotare il banco di
sto sistema si possa identificare come uno dei vertici un angolo θ in senso antiorario tenendo ferma l’ori-
del rettangolo costituito dal piano di un banco. Se gine degli assi. Nella Figura 10.8 si vede il sistema

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10.2. I VETTORI 122

x′ x′

y y
3 b1 B 3
y′ y′
a′2 a′2
π−θ
2 2
π−θ
a1 A b2 a1 A
1 1
a2
θ θ
0 a′1 0 a′1
O x O x
0 1 2 3 4 5 6 7 0 1 2 3 4 5 6 7

Figura 10.8 Il vettore a si può scrivere nel Figura 10.9 La coordinata 1 del vettore a
sistema Oxy con le coordina- nel sistema nero, conoscendo
te (a1 , a2 ), mentre nel siste- quella del sistema rosso, si ot-
ma Ox0 y 0 le sue coordinate tiene sommando le lunghezze
sono (a01 , a02 ). dei segmenti in verde e in blu
della figura.

di assi ruotato rappresentato in rosso. Le coordinate


di a, che nel sistema nero sono (a1 , a2 ), nel sistema Il trucco consiste nello scrivere le lunghezze dei seg-
in rosso sono le lunghezze dei segmenti puntinati menti che rappresentano le coordinate nel sistema
rossi. La prima coordinata di a in questo nuovo si- Oxy come somma algebrica di lunghezze di proie-
stema è la distanza tra l’origine degli assi e il punto zioni delle coordinate nel sistema Ox0 y 0 che utilizzi-
in cui la retta puntinata rossa interseca l’asse x0 . no l’angolo θ. Nota questa trasformazione evidente-
Analogamente, la seconda coordinata è la distanza mente si ricava quella inversa cosí possiamo passare
tra l’origine e il punto in cui l’altra linea puntinata da un sistema all’altro facilmente.
rossa interseca l’asse y 0 . Non è cosí difficile vedere Quella che abbiamo appena visto è una trasfor-
che mazione del tutto generale che si può rappresentare
usando una matrice detta matrice di rotazione.
Se si rappresentano i vettori come matrici a due
a1 = a01 cos θ + a02 cos (π − θ) = a01 cos θ − a02 sin θ . righe e una colonna, possiamo scrivere che
(10.18)
Basta immaginare (Fig. 10.9) di dividere il seg-     0
mento lungo a1 in due parti: quella di sinistra è a cos θ − sin θ a1
1
= (10.20)
la proiezione sull’asse x del segmento di lunghezza a 2 sin θ cos θ a02
a01 e quella di destra che invece è la proiezione del dove l’angolo si conta in senso antiorario. Detta R
segmento a02 sullo stesso asse. In maniera del tutto la matrice di rotazione si può anche scrivere che
analoga si può scrivere a2 come a = Ra0 . Il prodotto tra la matrice R e il vettore
a0 è un prodotto righe per colonne, che si esegue
sommando tutti i prodotti tra un elemento di una
a2 = a01 sin θ − a02 sin π − θ = a01 sin θ − a02 cos θ .
riga e il corrispondente elemento di una colonna.
(10.19)
Ad esempio, l’elemento a1 si ottiene prendendo la

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10.3. DESCRIVERE IL MOTO 123

riga 1 della matrice e sommando i prodotti dei suoi • Esiste un vettore nullo 0 per cui a + 0 = a e
elementi con quelli della colonna 1 di a0 (che poi è a − a = 0.
l’unica): • È possibile definire un’operazione che chiamia-
mo modulo del vettore che si ottiene estraen-
do la radice della somma dei quadrati delle
a1 = (cos θ × a01 ) + (− sin θ × a02 ) . (10.21) componenti di un vettore.
• Se si ruota il sistema di riferimento rispetto al
In simboli possiamo dire che, detto Rij l’elemento
quale è definito, il modulo del vettore non cam-
di una matrice R di n × n elementi alla riga i e alla
bia. Cambiano le componenti, ma non il mo-
colonna j, l’elemento i del vettore a si ricava come
dulo. Si dice che i vettori sono invarianti per
rotazioni.
ai = Ri1 a01 + Ri2 a02 + · · · + Rin a0n . (10.22) • Dal punto di vista fisico, le componenti di un
vettore sono grandezze fisiche che quindi si pos-
Quello che abbiamo trovato è un risultato gene- sono misurare in qualche maniera. Poiché deve
rale: la rotazione di un vettore ne mescola le com- sempre essere possibile calcolare il modulo di
ponenti, ma lo fa in modo tale che la lunghezza del un vettore è necessario che tutte le componen-
vettore resti la stessa (lo si vede dalla figura, e per ti cartesiane di un vettore, in fisica, siano tra
dimostrarlo matematicamente basta ricordare che loro omogenee: devono cioè avere le stesse di-
cos2 θ + sin2 θ = 1)3 . mensioni fisiche ed essere misurate nelle stesse
È chiaro che se il vettore vive nello spazio tridi- unità. Si dice quindi che al vettore spettano le
mensionale anziché sul piano, le considerazioni fatte stesse dimensioni fisiche delle sue componenti.
sopra sono comunque valide: in questo caso i trian- Quel che abbiamo fatto finora può sembrare piú ma-
goli sono triangoli nello spazio e le coordinate rap- tematica che fisica. Però questo è il modo giusto di
presentano i cateti dei triangoli che si ottengono procedere per capire i fenomeni: si cerca di misura-
proiettando il vettore e i segmenti che ne rappre- re una grandezza fisica e per farlo si scopre che è
sentano le coordinate su ciascuno dei piani coor- necessario definire un tipo di oggetto piú complesso
dinati. Le operazioni algebriche invece si eseguono rispetto a quelli cui siamo abituati; se ci mettiamo a
esattamente nello stesso modo. studiare le proprietà matematiche di questi oggetti
Riassumendo: dall’esperienza e dal tipo di ope- finisce che alla fine si riesce a comprendere qualcosa
razioni necessarie a misurare la posizione di un di piú del fenomeno fisico che si descrive con quegli
corpo siamo giunti alla conclusione che occorre defi- oggetti, come vediamo nei paragrafi che seguono.
nire un nuovo tipo di grandezza fisica costituito di
un aggregato di grandezze fisiche scalari, i vettori,
con le proprietà che seguono. 10.3 Descrivere il moto
• Un vettore è una sequenza ordinata di numeri.
• Due vettori a e b si possono sommare tra loro Prima di descrivere qualcosa che si muove si deve
per dare origine a un terzo vettore c = a + b capire quand’è che un oggetto si può considerare
le cui coordinate sono uguali alla somma delle fermo. Sembra facile, ma è istruttivo provare a dare
coordinate omologhe dei vettori addendi. questa definizione. La definizione piú ovvia per un
• Un vettore si può moltiplicare per uno sca- oggetto fermo è che si tratta di un oggetto che non si
lare: l’operazione restituisce un vettore le muove, la cui posizione resta costante. Prendiamo
cui coordinate sono tutte moltiplicate per lo ora un oggetto e disponiamolo in un’aula: per esem-
scalare. pio una sedia. Se nessuno la tocca, tutti concorde-
ranno sul fatto che la posizione della sedia misurata
3
per questo il determinante della matrice di rotazione,
rispetto a un angolo dell’aula scelto come origine
definito come R11 R22 − R12 R21 , vale sempre det R = 1.

© (2013–2015) Giovanni Organtini – Fisica Sperimentale


10.3. DESCRIVERE IL MOTO 124

del sistema di riferimento resta costante, dunque la si muove. Se si muove cambia la sua posizione nel
sedia è ferma. Anche se ciascuno studente, seduto al corso del tempo. Questo significa che la posizione
suo posto in aula, scegliesse un sistema di riferimen- x del corpo è una funzione del tempo e si scri-
to diverso (per esempio uno la cui origine coincide ve che x = x(t), indicando tra parentesi il simbolo
con la posizione dello studente che esegue le misure), scelto per indicare la grandezza fisica da cui dipen-
la sedia risulterebbe ferma, perché le sue coordinate, de x. Il fatto che la posizione sia funzione del tem-
benché diverse per ciascuno studente, sono costanti po significa che le sue coordinate sono funzioni del
nel tempo. tempo. Scrivere x = x(t) equivale a scrivere che
Se però uno degli studenti si alza e comincia a x = (x1 (t), x2 (t), x3 (t)) e cioè che ciascuna delle tre
muoversi in direzione della sedia, la posizione di que- coordinate, in linea di principio, dipende dal tempo
st’ultima, misurata dallo studente che si avvicina, t5 .
nel corso del tempo varia perché cambia la distan- Abbiamo già definito lo spostamento ∆x come
za della sedia dallo studente e la posizione è una la differenza tra le posizioni assunte da un corpo
misura di questa distanza! in due istanti diversi,
Se ne deve concludere che la sedia si muove. Co-
me sarebbe? Se la sedia è ferma per tutti gli altri ∆x = x(t + ∆t) − x(t) , (10.23)
studenti dev’esserlo per tutti: un oggetto non può
avendo indicato con ∆t un intervallo di tempo, e ab-
essere fermo e muoversi allo stesso tempo. Per giun-
biamo già osservato che lo spostamento non ci dice
ta, se lo studente che si muove usa un sistema di
nulla su quale sia la strada effettivamente percorsa
riferimento solidale con lui le distanze tra lui e la
dal corpo per spostarsi da x(t) a x(t + ∆t), a me-
sedia cambiano, quindi la sedia si muove, ma se usa
no che lo spostamento non sia molto piccolo: tanto
il sistema di riferimento dell’aula le coordinate della
piccolo da non poter distinguere, con gli strumen-
sedia non cambiano e quindi dovrebbe essere ferma.
ti adoperati per eseguire le misure, tra le possibili
Se ci pensate un attimo capite che non è cosí stra-
diverse traiettorie che portano dal punto iniziale al
no: un oggetto è fermo o in moto secondo chi e co-
punto finale. Se ∆t = 0 evidentemente ∆x = 0,
me lo osserva. In effetti noi sappiamo chi è che si
quindi, affinché lo spostamento sia piccolo, è neces-
sta muovendo solo relativamente a un qualche siste-
sario che ∆t sia piccolo. In simboli scriveremo che
ma che sappiamo essere fisso, che è la Terra. Ma lo
∆t → 0 e diremo che ∆t tende a zero.
sappiamo davvero? La Terra, in effetti, non è fer-
Per come è definita l’operazione di somma
ma: oltre a ruotare attorno al proprio asse, orbita
(algebrica) tra vettori abbiamo che
intorno al Sole in un anno4 e tutto il Sistema Solare
ruota attorno al centro della Galassia. Quindi noi
crediamo di essere fermi quando aspettiamo l’auto- ∆x = (x1 (t + ∆t) − x1 (t),
bus alla fermata! In realtà, se cambiassimo punto di x2 (t + ∆t) − x2 (t),
vista, non lo saremmo affatto. E in fondo, a questo
x3 (t + ∆t) − x3 (t)) = (∆x1 , ∆x2 , ∆x3 ) .
livello, non c’interessa sapere davvero chi si muove e
(10.24)
chi no: c’interessa solo saper misurare lo stato di
Naturalmente lo spostamento di un corpo da una
moto di qualcosa. Evidentemente lo stato di moto
posizione iniziale a una posizione finale può avve-
è anch’esso un concetto relativo: dipende, cioè, dal
nire in un tempo piú o meno lungo ed è chiaro che
sistema di riferimento scelto.
la rapidità con la quale avviene lo spostamento ca-
Detto ciò, supponiamo d’aver scelto un sistema
ratterizza in qualche modo il tipo di moto: non è la
di riferimento in cui un oggetto non è fermo, ma
Naturalmente è sempre possibile che una o piú delle coor-
5
4
La velocità con la quale si muove la Terra rispetto al Sole dinate resti costante nel corso del tempo, ma questo significa
è di quasi 1800 km/h! soltanto che la funzione è costante.

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10.3. DESCRIVERE IL MOTO 125

stessa cosa percorrere 100 m passeggiando o parte- Per chiarire ulteriormente il significato di quanto
cipando a una gara di atletica leggera. Un campione sopra, il valore che si legge sul tachimetro6 delle
di atletica percorre una distanza di 100 m in meno automobili è un numero che rappresenta il modulo
di 10 s, mentre durante una passeggiata non ci vo- del vettore velocità. Quella misurata è una velocità
gliono meno di un paio di minuti per spostarsi della che si può considerare quella istantanea, perché lo
stessa quantità. Come possiamo definire una gran- strumento la misura in un tempo brevissimo: tal-
dezza fisica che esprima questo concetto? Nel lin- mente breve che la velocità non può essere cambia-
guaggio comune si dice che la velocità di un atleta è ta apprezzabilmente. La velocità rilevata dai sistemi
maggiore della velocità di una persona che cammi- tutor delle autostrade, invece, è il modulo della ve-
na sul marciapiede. Nello stesso intervallo di tempo locità media: i portali tutor sono disposti lungo la
(10 s) l’atleta percorre una distanza maggiore ri- rete a distanza di alcune decine di chilometri l’u-
spetto a quella percorsa da chi passeggia. D’altra no dall’altro e individuano le targhe dei veicoli che
parte lo stesso spazio (100 m) è percorso dai due passano; calcolano, poi, il rapporto tra la distanza
in tempi diversi: l’atleta impiega molto meno. Una tra due portali successivi e il tempo che ogni vei-
maniera di definire una grandezza fisica che esprima colo ha impiegato per attraversarli. Naturalmente
questo tipo di relazione consiste nel misurare la di- tra un portale e l’altro il veicolo può aver cambiato
stanza percorsa e dividerla per il tempo impiegato la sua velocità e può anche aver superato i limiti
a percorrerla. La distanza percorsa non è altro che imposti. La funzione deterrente di questo sistema
il modulo del vettore spostamento |∆x|, perciò consiste nel fatto che se si viola il limite di velocità
in parte del percorso, poi si deve rallentare per far sí
|∆x| che la velocità media sia inferiore a quella massima
v= (10.25)
∆t consentita. Evidentemente non c’è quindi alcuna ra-
è la grandezza fisica che potremmo chiamare velo- gione per correre: in ogni caso non si arriverà prima
cità. Osserviamo però che, con questa definizione, alla meta7 .
la velocità di due persone che camminano in direzio- È chiaro che se ∆x è grande la velocità non sa-
ni diverse percorrendo spazi uguali in tempi uguali, rà rappresentativa dell’effettivo moto avuto dal cor-
sarebbe la stessa e non ci sarebbe alcuna grandezza po che si è spostato: si può andare dal punto A al
fisica che indica verso quale punto si sta dirigendo punto B di Figura 10.7 in infiniti modi! Cosí come
ciascuno. Se nella definizione data sopra eliminia- l’abbiamo definita la velocità del corpo che si è spo-
mo l’operazione di modulo il rapporto diventa il stato tra questi due punti sarebbe un vettore come
rapporto tra un vettore ∆x e uno scalare ∆t (che è quello rosso nella figura, diviso per il tempo impie-
come dire il prodotto di ∆x per 1/∆t), che è un vet- gato a effettuare lo spostamento (le sue coordinate
tore. Quindi potremmo definire il vettore velocità sarebbero tutte divise per questo tempo, quindi il
come vettore avrebbe la stessa direzione, lo stesso ver-
so, ma lunghezza diversa). Se il corpo si è spostato
∆x
v= (10.26) prima parallelamente all’asse x e poi parallelamen-
∆t te all’asse y, invece, ha variato la sua velocità nel
il cui modulo |v| coincide con la definizione data corso del tempo, ma questa informazione è assente
sopra, ma che adesso esprime in maniera completa nella nostra definizione. Il motivo è sempre il so-
l’informazione: non ci dice solo in quanto tempo il
corpo si muove lungo la traiettoria, ma anche in qua-
6
lo strumento che comunemente è indicato col nome di
contachilometri (la parola viene dal greco τ ακ úς, che si
le direzione e in quale verso si muove! La velocità di legge tachys: veloce).
un corpo dunque è una grandezza fisica vettoria- 7
e comunque è sempre meglio arrivare tardi, ma arrivare
le. Quella che nel linguaggio comune si indica con interi, piuttosto che non arrivare per niente a causa di un
il termine velocità ne è soltanto il modulo. incidente.

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10.3. DESCRIVERE IL MOTO 126

lito: stiamo parlando operativamente di misure


diverse. Una cosa è misurare lo spostamento avve-
nuto tra un istante t1 e un istante t2 , altra cosa è
misurare la traiettoria che implica misure ripetute
nel tempo a intervalli molto piccoli (t1 ' t2 ). La
misura dello spostamento è tanto piú rappresenta-
tiva della traiettoria quanto piú piccolo è l’intervallo
di tempo trascorso tra due misure successive della
posizione. Se quindi vogliamo avere un’idea piú pre-
cisa della velocità di un corpo dobbiamo far tendere
l’intervallo ∆t a zero. Matematicamente si scrive
∆x
v = lim . (10.27)
∆t→0 ∆t
Si potrebbe pensare, a prima vista, che quando ∆t Figura 10.10 Per andare dall’Univeristà
di Roma ai Laboratori del-
tende a zero, e al limite lo raggiunge, il rapporto di- l’INFN di Frascati ci so-
venta infinito, ma bisogna tener conto del fatto che no diversi percorsi alterna-
se ∆t tende a zero, anche la distanza percorsa |∆x| tivi. La sequenza degli spo-
tende a zero e perciò il vettore spostamento si avvi- stamenti necessari approssi-
cina sempre piú al vettore nullo. Il risultato dunque ma la traiettoria del mezzo
usato tanto meglio quanto
è il rapporto tra due oggetti molto piccoli, che diven- piú grande è il numero di
tano sempre piú piccoli man mano che uno dei due spostamenti e quindi quan-
tende a zero. Se nell’algebra il rapporto tra due zeri to piú piccola è la lunghezza
è una quantità indeterminata, l’analisi matematica di ciascuno di questi.
permette di trovare risultati del tutto ragionevoli in
questi casi, per cui il rapporto tra due quantità che
tendono a zero può essere un valore finito e diverso Dal momento che la velocità (sia essa media o
da zero. istantanea) non è altro che il rapporto tra una posi-
Anche se in pratica quella che si misura è sempre zione e un tempo, le sue dimensioni fisiche sono quel-
una velocità media, come si chiama il rapporto le di una lunghezza diviso un tempo: [v] = [LT −1 ].
∆x
∆t
, in linea di principio si può pensare che, istante Nel SI le velocità si misurano, quindi, in metri al
per istante, un corpo che si muove possiede una ve- secondo: m/s. Come al solito qualunque multiplo
locità istantanea data dall’equazione (10.27), che delle unità menzionate o qualunque unità di misu-
è a sua volta una funzione del tempo: v = v(t)8 . ra omogenea a quelle date è altrettanto legittimo9 ,
Prima di procedere oltre è opportuno analizzare anche se il SI è da preferire, non fosse altro che sce-
dal punto di vista dimensionale le grandezze intro- gliendo un sistema di unità di misura convenzionale
dotte finora: la posizione è un vettore di tre com- non si commette il rischio di fare errori grossolani
ponenti, ciascuna delle quali rappresenta una lun- mescolando unità diverse.
ghezza espressa in un’opportuna unità di misura. Per come è costruito, il vettore velocità è eviden-
Le dimensioni fisiche della grandezza posizione so- temente parallelo al vettore spostamento: la velo-
no dunque quelle di una lunghezza, [x] = [L], che cità infatti non è altro che lo spostamento molti-
nel SI si misura in metri. 9
Da noi le velocità degli autoveicoli si misurano in km/h,
8
Attraverso l’analisi matematica si può definire questa mentre nei Paesi Anglosassoni si misurano in miglia orarie:
grandezza in maniera rigorosa come quella che si chiama la mph (che sta per miles per hour). Il miglio è un’unità di
derivata della posizione. lunghezza, mentre l’ora è un’unità di tempo.

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10.3. DESCRIVERE IL MOTO 127

plicato per un fattore costante. Le sue coordinate che coincide con l’espressione trovata per ∆x. c Di
quindi non sono altro che le coordinate del vettore conseguenza gli angoli formati dai due vettori con
spostamento stirate o contratte di un fattore uguale ciascuno degli assi sono tra loro coincidenti e quindi
in tutte le direzioni. Di conseguenza la sua rappre- i due vettori sono paralleli.
sentazione grafica coinciderà con quella dello spo- Il vettore velocità dunque ha la stessa direzione e
stamento tranne che per la lunghezza. Si può dire lo stesso verso del vettore spostamento. E poiché la
che velocità e spostamento hanno lo stesso verso- traiettoria seguita da un corpo nel corso del suo mo-
re. Dal punto di vista algebrico possiamo mostrarlo to non è altro che una sequenza di spostamenti mi-
facilmente calcolando gli angoli formati dai due vet- croscopici, la velocità dev’essere sempre tangente
tori con gli assi coordinati. Come detto sopra, il co- alla traiettoria.
seno dell’angolo formato con l’asse i coincide con la
coordinata i-esima del versore. Il versore del vettore Esercizio 10.1 Da Roma a Frascati
spostamento è
Nella Fig. 10.10 si vede una pagina web aperta su
c = 1 (∆x1 , ∆x2 , ∆x3 )
∆x (10.28) Google Maps nella quale abbiamo cercato la stra-
|∆x| da per recarci dall’Università di Roma ai Labora-
e quello della velocità tori Nazionali di Frascati dell’Istituto Nazionale di
Fisica Nucleare (INFN).
  Il sistema fornisce diversi percorsi alternativi
1 1 ∆x1 ∆x2 ∆x3 (tre in particolare, di cui uno con i mezzi pubblici).
v̂ = (v1 , v2 , v3 ) = , , . Individua il vettore spostamento e dai una stima
|v| |v| ∆t ∆t ∆t
(10.29) delle sue coordinate e della sua lunghezza. Calcola
Il modulo |v| della velocità è la velocità media. Calcola la velocità media nei tre
percorsi evidenziati sulla mappa e confrontala con
s quella trovata.
2  2  2 Costruisci quindi il vettore spostamento come
∆x1 ∆x2 ∆x3
|v| = + + . somma di vettori (al massimo tre) cercando di far
∆t ∆t ∆t coincidere il piú possibile la successione degli spo-
(10.30) stamenti con la traiettoria effettivamente seguita
Raccogliendo 1/∆t a fattor comune e portandolo
2
nei percorsi scelti. Se cerchi il percorso su Google
fuori della radice si trova che Maps e per ciascun percorso fai click su Dettagli,
vedrai la lista di tutti gli spostamenti necessari per
raggiungere Frascati da Roma, con una risoluzione
1 |∆x|
q
|v| = ∆x21 + ∆x22 + ∆x23 = . (10.31) che dipende dalle svolte che si rendono necessarie
∆t ∆t di volta in volta. Per ciascuno di questi spostamenti
Sostituendo nell’espressione di v̂ trovata sopra calcola il modulo della velocità media, quindi cal-
otteniamo cola la media di queste velocità e confrontala con
quella ottenuta prima.
 
∆t ∆x1 ∆x2 ∆x3
v̂ = , , (10.32)
|∆x| ∆t ∆t ∆t
A questo punto possiamo cominciare a studiare
e ricordando che moltiplicare per ∆t il vettore si- come rappresentare il moto di un oggetto di cui si
gnifica moltiplicare per questa quantità tutte le sue conosca la posizione a un certo istante e la veloci-
componenti si arriva a tà. Naturalmente cominciamo dal moto piú sempli-
1 ce possibile che è quello per il quale la velocità è
v̂ = (∆x1 , ∆x2 , ∆x3 ) (10.33) costante. Dire che la velocità è costante significa
|∆x|

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10.4. IL MOTO RETTILINEO UNIFORME 128

dire che è costante in modulo, direzione e verso e, del primo membro devono coincidere con quelle del
dal momento che la velocità è sempre parallela alla secondo.
traiettoria, questa non potrà che essere una retta. Avrete notato che abbiamo indicato le differenze
tra due grandezze fisiche con un simbolo preceduto
dalla lettera greca ∆ (∆x è lo spostamento che rap-
10.4 Il moto rettilineo uniforme presenta la differenza tra due vettori, ∆t è un inter-
vallo di tempo che si ottiene sottraendo due misure
Se un oggetto si muove con velocità costante si dice
di tempo ∆t = tf − ti ). Questa convenzione aiuta
che ha un moto rettilineo uniforme. L’aggetti-
nel verificare la correttezza delle leggi fisiche perché
vo rettilineo si riferisce all’aspetto della traiettoria
se al primo membro compare una quantità che ri-
del corpo, che è quello di una retta (o meglio di un
sulta essere un intervallo, dev’esserlo anche quello
segmento, se le osservazioni si protraggono per un
di destra. Quando l’intervallo diventa molto piccolo
tempo finito). Uniforme invece si riferisce al fatto
(tende a zero), si usa sostituire alla lettera greca ∆
che il modulo della velocità, in questo tipo di moto,
la lettera d, che rappresenta una variazione infi-
non cambia. In realtà è sufficiente dire che la ve-
nitesima della grandezza fisica alla sua destra, cosí
locità è costante per caratterizzare completamente
che l’equazione del moto sopra scritta diventa
questo tipo di moto, perché dire che la velocità, che
è un vettore, è costante, significa dire che è costante
dx = vdt . (10.35)
il suo modulo, la sua direzione e il suo verso!
Il moto rettilineo uniforme si può attribuire, per Questo modo di scrivere gli intervalli è molto uti-
esempio, con buona approssimazione, a un’auto che le quando si conosce l’analisi matematica, perché il
viaggia su un’autostrada dritta, a velocità costante rapporto tra due quantità infinitesime (il cosiddetto
(per esempio grazie al cruise control: il dispositivo rapporto incrementale), nel limite in cui il deno-
che regola automaticamente l’erogazione di carbu- minatore tende a zero è uguale a una ben definita
rante al motore per far viaggiare l’auto alla velocità operazione sulla variabile che prende il nome di de-
impostata dal conducente). rivata. Si dice allora che la velocità v è uguale alla
Nel caso in esame, la velocità media e quella istan- derivata dello spostamento dt .
dx

tanea coincidono, perché quest’ultima non cambia. La legge fisica ∆x = v∆t si può riscrivere come
Dalla definizione di velocità si ricava che
x (t + ∆t) − x(t) = v∆t . (10.36)
∆x = v∆t (10.34) Se scegliamo come istante iniziale (quello in cui ini-
che è un’equazione in cui compaiono tre grandez- zia lo spostamento) ti = 0, abbiamo che ∆t =
ze fisiche misurabili: la posizione, la velocità e il tf − ti = t e possiamo scrivere, con una notazione
tempo: possiamo dunque intenderla come un leg- piú leggera, che
ge fisica10 . Come tutte le leggi fisiche, l’equazione
dev’essere dimensionalmente coerente: poiché a pri- x (t) − x(0) = vt . (10.37)
mo membro c’è un vettore, ci dev’essere un vettore e chiamando x0 = x(0) abbiamo che
anche a secondo membro (un vettore non può che
essere uguale a un altro vettore) e le unità di misura x (t) = x0 + vt (10.38)
10
A rigore non lo sarebbe, essendo semplicemente un modo che prende il nome di legge oraria del moto ret-
diverso di scrivere una definizione. Una legge fisica è piú
tilineo uniforme. Con una tale legge possiamo pre-
propriamente la conseguenza di osservazioni sperimentali, ma
se per essa intendiamo una qualunque relazione tra grandezze vedere in quale posizione si sposterà un corpo, che
fisiche lo è. si muove a velocità v e che all’istante t = 0 si trova
nella posizione x0 , dopo un tempo t. Manipolando

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10.4. IL MOTO RETTILINEO UNIFORME 129

la legge con le regole dell’algebra possiamo, natu- fisiche del membro di sinistra saranno quelle di x al
ralmente, ottenere una qualunque delle grandezze quadrato, quindi anche le dimensioni fisiche di x2
fisiche che compaiono in funzione delle altre. dovranno essere tali e quindi potremmo scrivere che
Cosí, se vogliamo sapere quanto tempo impiega x2 = x21 + x22 + x23 , che a sua volta si può scrivere
un corpo che si muove a velocità v per andare dalla come x1 · x1 + x2 · x2 + x3 · x3 o, con una notazione
posizione x0 alla posizione x(t), basta scrivere che piú compatta,

x(t) − x0 3
t= (10.39)
X
v x·x= xi · xi . (10.42)
i=1
in cui compare il rapporto tra due vettori che non
abbiamo definito. Proviamo dunque a farlo. Osser- Se prendiamo questa come definizione di prodotto
viamo, prima di tutto, che il rapporto tra due vet- tra vettori allora possiamo scrivere che
tori dovrebbe essere uno scalare. Se moltiplicassi-
mo il primo membro per l’inverso di t troveremmo, (x(t) − x0 ) · v =v · (x(t) − x0 ) =
evidentemente, il valore t/t = 1. Questo significa
che
X3
(10.43)
vi · (xi (t) − xi (0)) .
i=1
x(t) − x0 v
= 1. (10.40) In definitiva, dall’osservazione che il rapporto tra
v x(t) − x0
due vettori deve dare uno scalare, possiamo giungere
Il che, a sua volta, significa che si deve poter de-
alla definizione di un’operazione tra vettori che chia-
finire il prodotto tra vettori (x(t) − x0 ) · v che de-
miamo prodotto scalare che si realizza sommando
ve godere della proprietà commutativa perché de-
i prodotti delle componenti omologhe dei due vettori
v’essere uguale a v · (x(t) − x0 ) affinché il rapporto
fattori:
sopra scritto valga 1. Dare un significato all’equa-
zione che fornisce t in funzione dello spostamento 3
e della velocità significa dunque dare un significato
X
a·b= ai · bi . (10.44)
all’operazione di prodotto tra vettori; prodotto che i=1
chiameremo scalare per ricordare che il risultato Il modulo quadro di un vettore dunque non è al-
di quest’operazione è uno scalare e non un vetto- tro che il prodotto scalare del vettore per sé stesso.
re (numeratore e denominatore devono rispettiva- Osserviamo anche che questa definizione è coerente
mente essere uguali a t). Se definiamo quest’ope- con quella che abbiamo dato per spostamento, per
razione possiamo fare a meno di un’operazione che la quale
rappresenta la divisione tra vettori.
Consideriamo prima un caso semplice: quello in ∆r = b − a . (10.45)
cui i due vettori da moltiplicare scalarmente sono
Dev’essere, quindi,
uguali. Per esempio, proviamo a definire cosa inten-
diamo per x · x. Per analogia con l’operazione di
prodotto tra scalari dovremmo poter scrivere che (∆r)2 = (b − a)2 = b2 + a2 − 2b · a . (10.46)

x · x = x2 . (10.41) ∆r2 è il quadrato del modulo dello spostamento.


Lasciamo a voi di verificare che, con le definizioni
Il membro di destra di quest’espressione tuttavia
date sopra, il secondo membro di quest’espressione
non può essere un vettore, ma dev’essere uno scala-
coincide con questa quantità.
re! L’unico scalare che si può costruire usando solo
Possiamo dare un’interpretazione geometrica del
il vettore x è il suo modulo. Inoltre le dimensioni
prodotto scalare osservando che ogni vettore si può

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10.4. IL MOTO RETTILINEO UNIFORME 130

y coseno vale zero perciò il prodotto scalare di due


3
C vettori perpendicolari è nullo.
b Definita questa nuova operazione torniamo al
2 problema di definire il significato dell’espressione
α
1 B x(t) − x0
A H a t=. (10.50)
v
0
O Per farlo torniamo all’espressione originale della
0 1 2 3 4 5 6 x
legge oraria,
Figura 10.11 Due vettori a e b non
paralleli.
x(t) − x0 = vt , (10.51)
ed eleviamo al quadrato entrambi i membri. Avendo
definito il prodotto scalare possiamo scrivere che
scrivere in coordinate cartesiane o in coordinate po-
lari (e naturalmente in ogni altro sistema di coordi- |∆x|2 = |v|2 t2 (10.52)
nate). Consideriamo due vettori (per brevità bidi- e quindi che
mensionali) a = (a1 , a2 ) e b = (b1 , b2 ). In coordinate
polari si scrivono |∆x|2
t2 = . (10.53)
|v|2
a = |a| (cos θ, sin θ) ,
(10.47) A questo punto abbiamo una comune equazione al-
b = |b| (cos φ, sin φ) .
gebrica per la quale possiamo estrarre la radice e
Il prodotto scalare non può dipendere dal sistema ottenere
scelto per rappresentare il vettore quindi la somma
delle coordinate omologhe nei due sistemi dev’essere |∆x|
t= . (10.54)
la stessa. Deve quindi essere |v|
In tutto questo non abbiamo ancora chiarito bene
cosa si deve intendere con un’equazione vettoriale
a · b = |a| · |b| (cos θ cos φ + sin θ sin φ) . (10.48)
come la
Ora ricordiamo che
cos (θ − φ) = cos θ cos φ + sin θ sin φ e che x(t) − x0 = vt . (10.55)
cos θ = cos (−θ). Il prodotto scalare diventa Vale la pena farlo, sebbene l’interpretazione sia
piuttosto semplice: un vettore è una sequenza di nu-
a · b = |a| · |b| cos α (10.49) meri con certe proprietà e se un vettore è uguale a
con α = θ − φ che è l’angolo compreso tra i due un altro significa che sono uguali le coordinate dei
vettori. due vettori. Scrivere un’equazione vettoriale dun-
Dalla Figura 10.11 si vede quindi che il prodot- que equivale a scrivere tre equazioni scalari: una per
to scalare è geometricamente il prodotto della lun- componente. L’equazione del moto rettilineo unifor-
ghezza di uno dei due vettori (il segmento AB) me, in termini scalari, è un sistema di tre equazioni
per la lunghezza dell’altro vettore (il segmento AC) che si scrive
proiettata sul primo (il segmento AH). Il prodotto 
scalare tra due vettori può dunque assumere valori  x1 (t) − x1 (0) = v1 t

compresi tra − |a| · |b| e + |a| · |b|. Se i due vettori x2 (t) − x2 (0) = v2 t (10.56)

sono perpendicolari l’angolo compreso è di π2 il cui x2 (t) − x2 (0) = v3 t

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10.5. ESPERIMENTI CON IL MOTO DEI CORPI 131

Nel caso particolare del moto rettilineo uniforme considerazione, oppure di oggetti per i quali, nota la
possiamo sempre ridurre l’equazione vettoriale a posizione di uno dei loro punti, tutte le altre dipen-
una sola equazione scalare. Infatti, con un’oppor- dano da questa in maniera stabile. Quindi, usando
tuna traslazione e rotazione degli assi coordinati, strumenti con una risoluzione dell’ordine del centi-
si può sempre trovare un sistema di riferimento metro, dobbiamo fare in modo che gli oggetti di cui
che ha l’origine nel punto occupato dal corpo al- vogliamo misurare la posizione siano di dimensio-
l’istante t = 0 e con un asse (per esempio l’asse ni confrontabili con questa risoluzione. Se l’oggetto
1 o asse x) parallelo alla velocità (che resta co- avesse la forma di una sfera (un pallone) potremmo,
stante). In questo sistema la velocità del corpo ha in questo caso, condurre lo stesso i nostri esperimen-
coordinate v = (v, 0, 0) e quindi le due equazioni ti perché se misuriamo la posizione del centro della
per x2 (t) e x3 (t) si riducono a identità per le quali sfera, la posizione di ogni suo punto è abbastanza
x2 (t) = x3 (t) = cost. In definitiva abbiamo che ben determinata: la sfera potrebbe anch’essa ruota-
re in un modo piú o meno complicato, ma essendo
x(t) = x0 + vt . (10.57) tutti i punti della sfera equivalenti l’uno all’altro
questo moto non dovrebbe dare tanto fastidio. Non
Graficamente, quella sopra scritta è l’equazione di
è cosí per un cubo: se il cubo ruota attorno a qual-
una retta sul piano (t, x) con pendenza v e intercetta
che asse, la posizione degli spigoli cambia in modo
x0 .
complicato con il tempo ed è difficile descriverla in
A questo punto quello che dobbiamo fare è vedere
modo semplice.
se possiamo applicare questi risultati a qualche tipo
D’ora in poi dunque ci riferiremo sempre a og-
di moto che possiamo realizzare facilmente.
getti la cui posizione si può assimilare a quella di
un punto e li chiameremo punti materiali. In so-
10.5 Esperimenti con il moto stanza un punto materiale rappresenta un qualun-
que oggetto visto da abbastanza lontano da poterne
dei corpi trascurare le dimensioni e la forma. Il fatto che un
oggetto sia rappresentabile come punto materiale
Osservando il moto di oggetti dalla forma comples-
dunque dipende dalla precisione delle osservazioni
sa ci si rende conto subito che la loro descrizione
e dalla scala di queste: una penna si può pensare
appare piuttosto complicata. Per esempio, se si lan-
come un punto materiale su una scala di qualche
cia in aria una penna tenendola per un’estremità si
metro; per un aereo la rappresentazione in termini
vede che la penna segue una traiettoria curvilinea
di punto materiale è valida se se ne misura la posi-
prima di giungere a terra, ma nel corso di questo
zione sulla scala dell’ordine del chilometro; su scale
movimento complessivo ruota su sé stessa in modo
grandi come quelle del Sistema Solare, i pianeti e
piú o meno complicato.
lo stesso Sole, che è enorme, si possono considerare
Non è mai consigliabile cominciare lo studio di
come punti materiali con ottima approssimazione.
qualcosa la cui descrizione appare complicata. Sarà
Se facciamo un po’ di esperimenti mettendo in
bene limitarci a qualcosa di semplice, almeno al-
moto oggetti (con la caratteristica di potersi rap-
l’inizio. Non serve grande esperienza per rendersi
presentare come punti materiali) su un tavolo o sul
conto che oggetti dalla forma simmetrica (come le
pavimento ci rendiamo conto abbastanza presto che
sfere) o comunque di piccole dimensioni si muovo-
nessuno dei moti osservati si può ragionevolmente
no in maniera piú semplice di quelli dalle forme piú
descrivere con l’equazione del moto rettilineo uni-
complicate e grandi. Abbiamo bisogno, in sostanza,
forme. Di solito questi oggetti si muovono per un
di oggetti le cui dimensioni siano ragionevolmente
po’ e poi si fermano, piú o meno rapidamente. La
ridotte in modo tale che la loro posizione sia ben
loro velocità non è affatto costante.
definita qualunque sia il punto dell’oggetto preso in
Una buona approssimazione di moto rettilineo

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10.5. ESPERIMENTI CON IL MOTO DEI CORPI 132

uniforme si ottiene se invece di far scivolare un tempo. In questo caso la durata del moto dev’esse-
oggetto su una superficie, lo si fa rotolare. L’og- re necessariamente finita. In assenza di un motore,
getto, evidentemente, deve quindi avere una forma dal fatto che riducendo sempre di piú il contatto tra
adatta: un cilindro, un anello o, ancora meglio, una l’oggetto in moto e la superficie con la quale è in con-
sfera come una palla su un tavolo da biliardo, fun- tatto, qualunque oggetto si muove di un moto sem-
zionano abbastanza bene. Il moto non è mai esat- pre piú simile a quello rettilineo uniforme possiamo
tamente uniforme: prima o poi anche una sfera che concludere che questo sarebbe il moto cui tendereb-
rotola si ferma il che significa che la sua velocità bero tutti gli oggetti se non interagissero con ciò
diminuisce, ma se si osserva il moto per un tempo che li circonda.
sufficientemente breve, in quell’intervallo il moto si Ci sono anche casi nei quali la velocità aumen-
può considerare abbastanza uniforme. ta col tempo, invece di diminuire. Facciamo questo
Quello che si capisce è che per realizzare un moto esperimento: prendiamo una pallina e la lasciamo
il piú possibile uniforme si deve rendere minima la cadere da diverse altezze, quindi misuriamo il tem-
superficie di contatto tra il corpo di cui si sta misu- po impiegato a cadere. Ci sono molti modi per farlo:
rando il moto e la superficie sulla quale scivola (o il piú immediato consiste nell’usare un cronometro
rotola). A parità di superficie di contatto le proprie- per misurare l’intervallo di tempo tra l’istante in
tà del moto possono dipendere dai materiali di cui cui la pallina è rilasciata e quello in cui tocca il suo-
sono fatti il corpo e la superficie sulla quale è ap- lo. Questo sistema si rivela rapidamente molto poco
poggiato. Sul ghiaccio le cose scivolano meglio che preciso: la caduta è cosí rapida da rendere quasi im-
sul legno o su altri materiali. possibile una misura accurata, a meno che non si
Una maniera per eliminare del tutto il contatto lavori con altezze molto grandi. Un metodo piú pre-
tra corpo e superficie consiste nel far galleggiare il ciso consiste nell’usare la capacità di un computer
corpo su un cuscino d’aria. Se per esempio si prende di acquisire suoni. Si avvia una registrazione, si pro-
un CD sul quale s’incolla, al centro, il tappo d’una nuncia la parola «via!» nel momento in cui si lascia
bottiglia in plastica forato e si inserisce su quest’ul- andare la palla e si arresta la registrazione dopo l’ur-
timo un palloncino gonfiabile, l’aria espulsa dal pal- to della palla col pavimento. Usando un programma
loncino che si sgonfia tiene leggermente sollevato il di editing audio come Audacity si visualizza la trac-
CD dalla superficie d’appoggio realizzando la situa- cia audio e s’individuano gli istanti corrispondenti al
zione ideale. In realtà anche in questo caso si nota pronunciamento del «via!» e all’emissione del suono
una progressiva, sebbene lenta, diminuzione della emesso dal rimbalzo della palla. In questo modo si
velocità, il che significa che anche l’aria che si trova misura il tempo trascorso con una precisione miglio-
sotto il CD in qualche modo ne modifica il moto. In re, ma bisogna fare molta attenzione a sincronizzare
altre parole il CD non è in contatto con il tavolo, ma il movimento delle dita che lasciano cadere la palla
è pur sempre in contatto con l’aria che passa sotto e il pronunciamento del «via», il che non è sem-
e questo evidentemente deve provocare la riduzione pre facile. Se si vuole essere piú precisi si può usare
della velocità. un sensore ultrasonico, da leggere con una scheda
Un giocattolo dotato di motore potrebbe muover- Arduino. In alternativa, filmate la caduta con uno
si di moto rettilineo uniforme, almeno per un inter- smartphone e poi guardate il filmato con un pro-
vallo di tempo relativamente lungo (prima o poi si gramma di editing video come MPEG Streamclip.
ferma, oppure urta contro qualcosa, se non curva). Se nella scena è presente un qualche riferimento dal
Insomma, il moto rettilineo uniforme è solo un’ap- quale potete desumere la scala alla quale osservate
prossimazione: non si riesce a realizzarne uno in ma- ogni singolo fotogramma sullo schermo, potete mi-
niera rigorosa, a meno che non si adoperi un qual- surare con un righello l’altezza della palla; il tem-
che tipo di motore che agendo in maniera costante po, invece, lo si ottiene dal software che lo deduce
garantisca uno spostamento uniforme nel corso del dal numero del fotogramma che state osservando (il

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10.5. ESPERIMENTI CON IL MOTO DEI CORPI 133

filmato non riproducibile su questo t (s) h (m) σh (m)


supporto: digita l’URL nella caption o 0.00 0.0000 0.0054
scarica l’e-book 0.11 0.0378 0.0054
Figura 10.12 La caduta libera di un 0.15 0.0837 0.0054
tappo ripresa con una 0.19 0.1323 0.0054
telecamera ad alta velo-
0.23 0.2079 0.0054
cità [https://youtu.be/
uTnBPtoVQ8w]. 0.26 0.2835 0.0054
0.30 0.3780 0.0054
Tavola 10.1 Dati relativi alla caduta libe-
numero di fotogrammi per secondo è fissato). ra di un tappo. L’errore sulla
posizione del tappo σh è del-
Dopo aver eseguito cinque o sei misure di tem-
l’ordine del cm, che e’ l’ordi-
po impiegato a cadere da altrettante altezze diverse ne di grandezza della dimen-
possiamo riportare le altezze in funzione del tempo sione del tappo. Notate che
su un grafico. Se la caduta fosse governata da una il numero di cifre significati-
legge oraria come quella del moto rettilineo unifor- ve adoperate è coerente con
l’errore indicato.
me ci si aspetterebbe di trovare che i punti si alli-
neano, entro gli errori di misura, lungo una retta,
la cui pendenza è proprio la velocità di caduta. In
realtà si osserva qualcosa di molto diverso: i pun-
ti sperimentali sembrano distribuirsi piú lungo una
parabola che lungo una retta! È un chiaro indizio
che la caduta dei corpi non è descritta dal moto ret-
tilineo uniforme e che la velocità di caduta varia al
variare del tempo trascorso.
In un esperimento di questo tipo abbiamo ripreso
con una telecamera ad alta velocità la caduta del
tappo di una bottiglia di plastica (Filmato 10.12)11 .
Con l’ausilio di un righello e di un programma per il
video editing abbiamo isolato alcuni frame e misura-
to lo spazio percorso dal tappo h a partire dalla po-
sizione iniziale, in funzione del tempo t, e riportato Figura 10.13 Il grafico dei dati relativi al-
i dati nella Tavola 10.1. la caduta libera del tappo di
La Figura 10.13 mostra i dati insieme alla cur- una bottiglia.
va che meglio li approssima, che abbiamo ottenuto
usando un programma di visualizzazione e analisi
di dati (nel nostro caso abbiamo usato un program- È evidente che i dati non si distribuiscono affatto
ma chiamato gnuplot). Per trovare questa curva in modo tale da allinearsi lungo una retta nel piano
abbiamo ipotizzato un andamento del tipo (t, h), dove h rappresenta lo spazio percorso e t il
tempo.
h(t) = at2 + bt . (10.58)
11
La telecamera ad alta velocità semplifica l’analisi per-
ché rallenta il moto percepito, ma si può fare l’esperimento
con una telecamera normale, purché gli spazi percorsi dagli
oggetti siano piú lunghi.

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10.6. IL MOTO UNIFORMEMENTE ACCELERATO 134

10.6 Il moto uniformemente v


accelerato v(t)
C
È chiaro che se la velocità di qualcosa può cam- vm
biare, può farlo piú o meno rapidamente. Cosí co- v0
me abbiamo definito la rapidità di cambiamento di A B
posizione come la velocità, potremmo definire una
O
grandezza analoga come la rapidità di cambiamento t t
di velocità:
Figura 10.14 Il grafico della velocità in
∆v funzione del tempo, nel ca-
a= (10.59)
∆t so di accelerazione costan-
dove ∆v = v(t + ∆t) − v(t). Il vettore a si chiama te, è una retta con pendenza
pari all’accelerazione e in-
accelerazione e rappresenta la variazione del vet- tercetta uguale alla velocità
tore velocità nell’unità di tempo. Se la velocità di un iniziale.
corpo è costante la sua accelerazione a è nulla. Se in-
vece la velocità cambia si dice che il moto del corpo
è accelerato. Se l’accelerazione è costante (la veloci- Se il moto è rettilineo anche in questo caso si può
tà cioè cambia di una quantità costante a parità di sempre trovare un sistema di riferimento in cui due
tempo trascorso) il moto si dice uniformemente delle tre componenti dei vettori restano costanti
accelerato. Il fatto che l’accelerazione sia costante e dunque la legge oraria si riduce a un’equazione
significa che è costante in modulo, direzione e verso, scalare
naturalmente.
Come nel caso della velocità, anche in questo v(t) = v0 + at . (10.64)
possiamo distinguere tra un’accelerazione media
come definita sopra e un’accelerazione istanta- Graficamente, la velocità si rappresenta, sul piano
nea che è il limite per ∆t che tende a zero (t, v) come una retta di pendenza a e intercetta v0
dell’accelerazione media: (Figura 10.14). Moltiplicando ambo i membri per t
si ottiene
∆v
a = lim . (10.60)
∆t→0 ∆t (v(t) − v0 ) t = at2 (10.65)
In analogia a quanto fatto sopra possiamo scrivere e il primo membro non è altro che il prodotto del-
che la lunghezza del segmento CB di Figura 10.14 per
la lunghezza del segmento AB, che altro non è se
∆v = a∆t (10.61) non il doppio dell’area del triangolo ABC (in giallo
o, il che è lo stesso, che pallido). Questo triangolo è equivalente a un rettan-
golo che ha la stessa base e un’altezza pari alla metà
v(t + ∆t) − v(t) = a∆t . (10.62) di quella del triangolo (in rosa nella figura), quindi
abbiamo che
La notazione si può alleggerire se si pone l’istante
iniziale a t = ti = 0 per cui ∆t = t − ti = t e si
1 1
scrive (v(t) − v0 ) t = (vm − v0 ) t = at2 (10.66)
2 2
v(t) = v(0) + at . (10.63) dove vm è il punto intermedio tra v(t) e v(0) che
vale

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10.7. IL MOTO LUNGO UN PIANO INCLINATO 135

(x0 è stato posto a zero per costruzione)12 ottenia-


v(t) + v0 mo i seguenti valori per l’accelerazione e la velocità
vm = . (10.67)
2 iniziale: a = 9.66 ± 0.32 ms−2 e v0 = −0.204 ±
Se il corpo si muove variando linearmente la sua 0.033 m/s. L’accelerazione con la quale cade il tap-
velocità da v0 a v(t) percorre lo stesso spazio che po del filmato è dunque di poco meno di 10 ms−2
percorrerebbe spostandosi alla velocità costante vm , e rivolta verso il basso13 . Il segno − della velocità
a parità di tempo. Se vm è la velocità media, per iniziale implica che questa è rivolta verso l’alto. Ci
definizione abbiamo che aspetteremmo che questa velocità sia nulla, perché
il tappo parte da fermo, ma vediamo che è significa-
x(t) − x0 tivamente diversa da zero per piú di sei deviazioni
vm = (10.68)
t standard. La probabilità che si tratti di una flut-
e sostituendo troviamo tuazione statistica è quindi scarsa. Anche se può
sembrare irragionevole, non lo è. La velocità inizia-
x(t) − x0
 
1
− v0 t = at2 (10.69) le è certamente piccola e potrebbe senz’altro esse-
t 2 re dovuta al fatto che il tappo è tenuto dalle dita
dalla quale si ricava, eliminando la parentesi e dello sperimentatore all’inizio, il quale, lasciandolo
spostando i termini al secondo membro, la legge andare, può produrre involontariamente una lieve
oraria del moto uniformemente accelerato spinta.
1
x(t) = x0 + v0 t + at2 . (10.70)
2 10.7 Il moto lungo un piano
Non sorprende certo il fatto che, per a = 0, la
legge oraria coincida con quella trovata per il mo-
inclinato
to uniforme! È quindi sufficiente ricordare questa a Un altro modo di realizzare moti accelerati consiste
memoria. nel far scivolare qualcosa lungo un piano inclinato
Il grafico dello spazio percorso in funzione del (Filmato 10.15). Il vantaggio, in questo caso, sta nel
tempo ha l’aspetto di una parabola, perché è de- fatto che, se la pendenza non è troppo alta, il moto
scritto da un polinomio di secondo grado in t. L’ac- dura di piú e le misure di tempo sono piú facili da
celerazione può essere positiva o negativa e questo realizzare14 .
si riflette sulla concavità della parabola. Nel caso in Facciamo un po’ di esperimenti in questo senso:
cui la parabola abbia la concavità rivolta verso l’alto cerchiamo una superficie abbastanza liscia lungo la
la velocità del corpo aumenta, altrimenti diminuisce quale possiamo far scivolare qualcosa di abbastanza
(in questi casi si può usare il termine decelerazio- piccolo (un piccolo dado, il tappo di plastica di una
ne). Se si sceglie il sistema di riferimento in modo bottiglia, etc.) e misuriamo la lunghezza percorsa
tale che l’origine coincida con il punto di partenza lungo il piano inclinato (o le coordinate sul piano
del moto x0 = 0 e la parabola passa per l’origine trasversale) in funzione del tempo trascorso. Anche
degli assi.
Riprendendo i dati della Tavola 10.1 ed eseguendo 12
Per farlo bisogna trovare i valori di a e v0 che rendo-
il fit con l’ipotesi no minimo il χ2 in cui a numeratore compare l’espressione
2
xi − 12 at2i + v0 ti .
1 13
Il valor medio dell’accelerazione di caduta dei corpi sulla
x(t) = at2 + v0 t (10.71) Terra è di circa 9.81 ms−2 , perfettamente compatibile con
2 quello trovato da noi.
14
Ma non dev’essere troppo bassa, altrimenti c’è il rischio
che l’oggetto non si muova o si fermi prima di arrivare in
fondo.

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10.7. IL MOTO LUNGO UN PIANO INCLINATO 136

filmato non riproducibile su questo


supporto: digita l’URL nella caption o
scarica l’e-book
Figura 10.15 La caduta di un og-
getto lungo un pia-
no inclinato [https:
//www.youtube.com/
watch?v=YhizI1p3TsY].

Figura 10.17 Con questa scelta del siste-


ma di riferimento occorro-
no due coordinate, x e y,
per descrivere la posizione
del tappo che scivola lungo
il piano inclinato.

come
Figura 10.16 Con questa scelta del siste- 2x(t)
ma di riferimento basta la a= . (10.73)
sola coordinata x per de- t2
scrivere la posizione del tap- La lunghezza della copertina del quaderno sul quale
po che scivola lungo il piano scivola il tappo era, in questo caso, di 302±1 mm =
inclinato. 0.302 ± 0.001 m. Dal filmato si misura il tempo ne-
cessario per cadere, che è di 0.30 ± 0.10 s. Si ot-
tiene per a il valore di 6.71 ms−2 . Per determinare
in questo caso, come nei precedenti, il moto si svol- l’errore sulla misura di a dobbiamo propagare sulla
ge lungo una sola direzione ed è rettilineo, perciò misura di a l’errore sulla posizione e sul tempo. Ve-
possiamo sempre scegliere un sistema di riferimento diamo che a è il rapporto di due quantità: 2x(t) e
in modo tale che uno degli assi sia orientato secon- t2 . L’errore su 2x(t) vale σ2x = 2σx e quindi il dop-
do il piano inclinato. In altre parole il sistema di pio della distanza percorsa è noto con un errore
riferimento si può scegliere come nella Figura 10.16. relativo
Possiamo però anche scegliere un sistema di assi
σ2x σx 1
diverso: per esempio un sistema nel quale un asse = = ' 0.0033 . (10.74)
sia orizzontale e l’altro verticale, come nella Figu- 2x x 302
ra 10.17. In questo caso il moto si svolge su un pianoNotate che l’errore relativo è adimensionale, quin-
e per descriverlo è necessario usare vettori almeno di purché si usino le stesse unità per numeratore e
bidimensionali. denominatore, possiamo sceglierne una qualunque
Usando il sistema di riferimento di Figura 10.16 (in questo caso abbiamo scelto i mm). Per quan-
troviamo che l’equazione del moto si può scrivere to riguarda l’errore su t2 possiamo ragionare cosí:
come t2 = t × t. Se considerassimo il primo fattore come
costante l’errore sarebbe t × σt . Se invece conside-
1 2
x(t) = at . (10.72) rassimo il secondo fattore come costante avremmo
2 σt × t. Poiché possono fluttuare tutti e due i fatto-
Infatti la velocità e la posizione iniziali sono en- ri si avrà che l’errore complessivo sarà dovuto alla
trambe nulle. L’accelerazione si ricava facilmente somma di entrambe le fluttuazioni perciò

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10.8. MOTI NON RETTILINEI 137

σt2 = 2tσt (10.75)


e l’errore relativo vale
σt2 σt 1
2
= 2 = 2 ' 0.066 . (10.76)
t t 30
Quest’ultimo è molto piú grande di quello su x,
quindi possiamo trascurare l’effetto di σx e ottenere
che
σa σt2
' 2 (10.77)
a t
da cui si ottiene che
Figura 10.18 Un getto d’acqua rivolto
σa verso l’alto ricade al suo-
' 0.066 (10.78)
a lo seguendo una traiettoria
e quindi possiamo scrivere che a = 6.71±0.07 ms . −2 parabolica.
Vediamo che in questo tipo di moto l’accelerazione
è piú bassa rispetto alla caduta verticale. Questo
implica una crescita della velocità minore e, di con- I solidi non hanno questo comportamento: se lan-
seguenza, a parità di tempo trascorso una velocità ciamo una penna, tutti i suoi punti mantengono le
raggiunta inferiore o, a parità di velocità, un tempo relazioni spaziali che avevano all’inizio del moto con
piú lungo. gli altri15 . Se la punta della penna, muovendosi lun-
go una traiettoria qualunque, ruota di un certo an-
golo, lo stesso fanno tutti gli altri punti che sono
10.8 Moti non rettilinei costretti a seguire il movimento della punta. Se i
solidi, come i liquidi, fossero anch’essi composti di
Consideriamo adesso un moto non rettilineo. Se si
particelle piú piccole, queste dovrebbero interagire
lancia una palla in modo da imprimergli, nell’istante
le une con le altre in maniera abbastanza forte. In
iniziale, una velocità che forma un angolo compreso
altre parole le particelle che compongono un solido,
tra 0 e π2 con l’orizzontale, vediamo subito che la
se esistono, devono essere molto legate tra loro.
traiettoria seguita dalla palla è ben approssimata
Descrivere il moto di un oggetto complicato co-
da una parabola.
me un solido, l’abbiamo già detto, è difficile. Meglio
Anche un getto d’acqua (Fig. 10.18) rivolto verso
sempre concentrarsi su qualcosa che si possa assi-
l’alto con un angolo opportuno segue una traiettoria
milare a un punto materiale e vediamo se riusciamo
parabolica. Questo farebbe pensare al fatto che l’ac-
a descriverne il moto usando le conoscenze acqui-
qua debba essere costituita di tanti punti materiali,
site finora. Evidentemente, in questo caso, il moto
ciascuno praticamente indipendente dall’altro, che
va descritto usando almeno due dimensioni; in al-
si muove autonomamente come farebbe se fosse da
tre parole non possiamo piú trovare un sistema di
solo. Poiché ogni liquido si comporta come l’acqua
riferimento nel quale due delle tre componenti del
ne dovremmo concludere che i liquidi sono forma-
vettore posizione sono costanti: al massimo può es-
ti di particelle relativamente piccole, ciascuna delle
serlo una delle tre. Scegliamo quindi un sistema di
quali non risente sensibilmente della vicinanza delle
altre, che si comportano come fossero punti mate- 15
ma è sempre possibile trovare un punto della penna, piú
riali liberi di muoversi (secondo le leggi del moto o meno a metà della sua lunghezza, che segue una traiettoria
perfettamente parabolica.
degli altri punti materiali).

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10.8. MOTI NON RETTILINEI 138

riferimento con gli assi 1 e 2 disposti lungo un piano


che contiene la traiettoria, cosí che la terza compo- v = v(t) = (v1 , v2 (t), 0) (10.80)
nente del vettore posizione sia sempre nulla e quindi dove la dipendenza dal tempo del vettore è imputa-
possiamo ignorarla. Avremo dunque a che fare con bile al fatto che la sua seconda componente dipen-
vettori bidimensionali o, il che è lo stesso, con due de dal tempo. Poiché due vettori sono uguali se so-
equazioni scalari: una per componente. Una possibi- no uguali le rispettive componenti possiamo sempre
le scelta consiste nel prendere come assi 1 e 2 quelli scrivere che
che definiscono il piano sul quale giace la traietto-
ria e tale per cui l’asse 1 è diretto orizzontalmente
e l’asse 2 verticalmente. L’asse 3 è allora anch’esso v = (v1 , 0, 0) + (0, v2 (t), 0) = v1 + v2 (10.81)
orizzontale e perpendicolare al piano che contiene la dove vi rappresenta un vettore parallelo all’asse i:
traiettoria. v1 è costante e v2 no. Il moto che stiamo studiando
Se la velocità del corpo lanciato fosse costante si potrebbe quindi interpretare come la somma di
avremmo che due moti: uno lungo l’asse 1 e l’altro lungo l’asse 2. I
due moti sono indipendenti l’uno dall’altro e mentre
∆x = v∆t (10.79) il primo è un moto rettilineo uniforme (la velocità
quindi lo spostamento sarebbe costante e, se al- è costante), l’altro è accelerato (dobbiamo stabilire
l’istante t il corpo si trova alla posizione x(t) = come). Ripetiamo che dire che lo spostamento su-
(x1 , x2 , 0), all’istante t + ∆t si troverà alla posizio- bíto dal corpo dall’istante t all’istante t + ∆t è la
ne x (t + ∆t) = (x1 + v1 ∆t, x2 + v2 ∆t, v3 ∆t) (ab- somma di due spostamenti, uno orizzontale e l’al-
biamo ipotizzato che v possa avere, in linea di prin- tro verticale, non significa sostenere che la traietto-
cipio, componenti qualunque). Dal momento che il ria sia costituita di una spezzata per cui il corpo si
moto si deve svolgere sul piano individuato dagli as- muove di moto orizzontale per parte del tempo e in
si 1 e 2, la coordinata 3 non può cambiare, quindi verticale nell’intervallo rimanente. Significa sempli-
dev’essere per forza v3 = 0. Osserviamo adesso che cemente che la differenza di posizione nei due istanti
la coordinata verticale (associata all’asse 2) di un si può sempre scrivere come la somma di due o piú
punto che segue questo tipo di traiettoria deve pri- vettori.
ma crescere per poi cominciare a decrescere. Poiché A questo punto possiamo fare un’ulteriore ipo-
∆t > 0 è impossibile che v2 resti costante, perché tesi sul moto lungo l’asse 2 e per questo converrà
o v2 > 0 e quindi la coordinata verticale dovrebbe partire dall’ipotesi piú semplice possibile e cioè che
crescere all’infinito, o v2 < 0 e la coordinata verti- l’accelerazione presente lungo quest’asse (la veloci-
cale dovrebbe diminuire costantemente. Sull’asse 2 tà cambia, quindi c’è un’accelerazione) è costante:
quindi la velocità non può essere costante. Sull’asse a = (a1 , a2 , a3 ) con ai = cost per ogni i = 1, 2, 3.
1 invece potrebbe esserlo: la coordinata orizzontale In questo caso accelerazione media e istantanea
aumenta (o diminuisce) sempre al variare del tem- evidentemente coincidono.
po. Bisogna solo stabilire se il suo valore sia davvero Il moto dovrebbe essere descritto da un’equazione
costante o vari, in modo da restare sempre positiva del tipo
(o negativa).
1
L’ipotesi piú semplice che possiamo fare è che la ∆x = v∆t + a∆t2 (10.82)
componente della velocità lungo l’asse 1 sia costante 2
ma dovendo essere il moto lungo gli assi 1 e 2 ret-
e quella lungo l’asse 2 non lo sia, mentre la compo-
tilineo uniforme (l’assenza di moto lungo l’asse 3 è
nente lungo l’asse 3 è costantemente nulla: il vettore
un caso particolare di moto rettilineo uniforme per
velocità dunque sarebbe qualcosa del tipo
cui v3 = 0) l’unica componente di a ad essere di-
versa da zero può solo essere la 2: a = (0, a2 , 0). In

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10.8. MOTI NON RETTILINEI 139

definitiva ipotizziamo che il moto si descrive con l’e- i termini, l’equazione che dà ∆x2 in funzione di ∆x1
quazione del moto uniformemente accelerato (10.82) diventa
in cui v = (v1 , v2 , 0) e a = (0, a2 , 0) (adesso possia-
mo evitare di scrivere esplicitamente che v2 dipende v2 1 a2
∆x2 = ∆x1 + ∆x21 . (10.89)
dal tempo perché la sua dipendenza dal tempo è v1 2 v12
implicita nel fatto che a2 6= 0). Ogni volta che troviamo un risultato sulla cui cor-
Possiamo anche dire che il moto si compone di due rettezza dobbiamo essere certi perché andrà impie-
moti: uno rettilineo uniforme lungo l’asse 1 e l’altro gato per eseguire previsioni o per prendere una de-
uniformemente accelerato lungo l’asse 2. In effetti cisione sull’interpretazione di un fenomeno, è buona
l’equazione (10.82) si può sempre scrivere come la norma procedere a un’analisi dimensionale della
somma di due moti stessa. In questo caso a primo membro abbiamo una
grandezza che ha le dimensioni di una lunghezza (è
uno spostamento). A secondo membro c’è la som-
∆x = ∆x1 + ∆x2 = (∆x1 , 0, 0) + (0, ∆x2 , 0) ma di due addendi, ciascuno dei quali deve avere le
(10.83) stesse dimensioni. Il primo addendo è una lunghez-
e i vettori spostamento ∆x1 e ∆x2 sono dati dalle za moltiplicata per il rapporto di due velocità, che
relazioni quindi è adimensionale (nel rapporto le dimensioni
si cancellano). Di conseguenza le dimensioni del pri-
 mo addendo sono corrette. Il secondo addendo è un
 ∆x1 = (∆x1 , 0, 0) = v1 ∆t
(10.84) po’ piú complesso: c’è un’accelerazione divisa per il
 ∆x2 = (0, ∆x2 , 0) = v2 ∆t + 1 a∆t2 quadrato di una velocità, moltiplicata per uno spo-
2 stamento al quadrato. In questi casi conviene scri-
Vediamo a questo punto di capire come apparireb- vere le dimensioni con il loro esponente e calcolare
be la traiettoria di un moto del genere. Per farlo il risultato16 :
dobbiamo scrivere la coordinata 2 in funzione della
coordinata 1. Dalla prima equazione 
a2

[LT −2 ]  2 
∆x 2
1 = L = [L] . (10.90)
v12 [L2 T −2 ]
∆x1 = v1 ∆t (10.85)
da cui si ricava che Tutto a posto! L’equazione è (almeno dimensional-
mente) corretta. Se ne deduce che, dal momento che
(10.86) questa traiettoria è proprio della forma osservata,
∆x1
∆t = .
v1 il moto di caduta degli oggetti si deve interpreta-
Sostituendo nella seconda equazione, che è re come la composizione di due moti: uno rettili-
neo uniforme che dipende soltanto dalla componen-
1
∆x2 = v2 ∆t + a2 ∆t2 , (10.87) te orizzontale della velocità inizialmente impressa
2 all’oggetto, l’altro uniformemente accelerato verso
si ottiene l’equazione il basso.
La velocità che il corpo possiede in ogni istante del
 2 moto si valuta usando la definizione di accelerazione
∆x1 1 ∆x1
∆x2 = v2 + a2 . (10.88) per cui
v1 2 v1
∆v = a∆t . (10.91)
È subito chiaro che ∆x2 è una parabola in funzione
di ∆x1 , perché si scrive come un polinomio di se- 16
il fattore 12 è adimensionale e lo ignoriamo
condo grado in questa variabile. Scritta riordinando

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10.8. MOTI NON RETTILINEI 140

Ancora una volta si tratta di un’equazione vettoriale Si tratta della quota piú alta raggiunta perché da
che equivale alle due equazioni scalari questo momento in poi la velocità piega verso il bas-
( so e la quota comincia a diminuire. Lasciamo a voi
∆v1 = 0 il compito di semplificare un po’ le espressioni: fa-
(10.92)
∆v2 = a2 ∆t . re matematica non è il compito di questo testo. La
matematica che abbiamo fatto finora serve per ca-
La velocità lungo l’asse orizzontale non cambia (del
ratterizzare il moto e permetterci cosí di fare previ-
resto lungo quest’asse il moto è uniforme), mentre
sioni che si possono verificare oppure per misurare
lungo l’asse 2, poiché ∆v2 = v2 (∆t) − v2 (0),
qualcosa.
Se, per esempio, riprendete con la videocamera
v2 (∆t) = v2 (0) + a2 ∆t . (10.93)
del vostro smartphone la traiettoria compiuta da
Consideriamo ora un corpo lanciato con un ango- un corpo lanciato con un certo angolo verso l’al-
lo θ rivolto verso l’alto. Se il modulo della velocità to, potete misurare quest’angolo con un goniometro
impressa inizialmente al corpo è v, la sua velocità osservando sullo schermo il fotogramma corrispon-
iniziale lungo i due assi ha componenti v1 = v cos θ dente al momento del lancio17 e confrontare la mi-
e v2 = v sin θ. v1 resta costante, mentre v2 cambia. sura con quella che si ottiene dall’equazione (10.87).
Quello che osserviamo è che la velocità inizialmente Scegliendo tre punti della traiettoria su altrettanti
è diretta piú o meno nella direzione nella quale il fotogrammi e misurandone la posizione potete infat-
corpo è lanciato e comunque verso il semipiano su- ti trovare l’equazione della parabola cha la descrive
periore a quello di partenza, ma a un certo punto (dovete avere qualche riferimento, cioè qualche og-
il corpo comincia a puntare verso il basso, quindi getto che vi permetta di stabilire la scala con la
la velocità deve cambiare segno. Se il verso scelto quale osservate l’immagine); il termine lineare della
per l’asse 2 è quello diretto in alto, v sin θ è posi- parabola è il rapporto v2 /v1 , che per quanto detto
tiva e quindi a2 dev’essere negativa, in modo tale è uguale alla tangente dell’angolo θ.
che, per tempi sufficientemente piccoli la somma al- Provate a dare una stima dell’errore sulla deter-
gebrica tra v2 (0) = v sin θ e a2 ∆t è ancora positiva. minazione dell’angolo nei due casi. Se l’angolo misu-
A un certo istante, però, questa velocità si annulla. rato col goniometro, entro gli errori, è uguale a quel-
Questo accade quando lo derivante dall’analisi appena fatta è un grande
successo! Allo stesso modo, dalle equazioni ricavate
v2 (0) = −a2 ∆t (10.94) sopra potete ricavare il valore di v cos θ come il rap-
cioè trascorso un tempo porto ∆x1 /∆t: il denominatore è il tempo trascorso
tra due fotogrammi, e il numeratore la distanza per-
v2 (0) v sin θ corsa lungo l’asse orizzontale in questo tempo. Noto
∆t = − =− (10.95)
a2 a2 questo valore si ricava facilmente l’accelerazione dal
(il segno − non deve spaventare visto che a2 < 0). coefficiente di ∆x21 nell’equazione della traiettoria.
Trascorso questo tempo l’oggetto ha raggiunto una Stiamo facendo della vera fisica: dalle osservazioni
distanza abbiamo tratto alcune conseguenze che si manifesta-
no sotto forma di predizioni, che possiamo mettere
v sin θ alla prova con altre misure.
∆x1 = −v cos θ (10.96)
a2 È anche utile studiare alcuni casi limite particola-
(che non è negativa, sempre perché a2 < 0) e una ri: cominciamo con il considerare il caso v = 0 (cioè
quota v1 = v2 = 0). Questa condizione equivale a quella
 2 su un computer potete usare, per esempio, MPEG
17
v sin θ 1 v sin θ Streamclip, che è gratuito e semplice da usare.
∆x2 = v sin θ + a2 . (10.97)
a2 2 a2

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10.8. MOTI NON RETTILINEI 141

in cui si trova un corpo inizialmente fermo che, a foglio di carta si osserva un moto complicato, ma
un certo punto, è lasciato libero di muoversi (ma facendo cadere un bullone, una pallina, un mazzo
non dev’essere spinto o tirato: dev’essere sempli- di chiavi, un libro o qualcos’altro, sembra che tutto
cemente libero di cadere). L’equazione del moto cada con la stessa accelerazione.
diventa Un altro caso limite consiste nell’assumere che
θ = 0, per cui l’oggetto inizialmente possiede una
1 velocità non nulla solo lungo l’asse orizzontale (que-
∆x = a∆t2 (10.98)
2 sto caso corrisponde a lanciare una pallina facendola
il che si traduce nel fatto che, lungo l’asse rotolare sul banco prima di poter cadere). In questo
orizzontale caso v2 = 0 e il moto è ancora parabolico, ma ora
la parabola ha il vertice nel punto di partenza. Fin
∆x1 = 0 (10.99) quando rotola sul banco, evidentemente, la pallina
e cioè non si ha alcuno spostamento: il corpo resta non è libera di cadere, ma appena ne raggiunge
dov’è, mentre lungo l’asse verticale il bordo inizia a farlo e da questo momento in poi
la traiettoria assume la forma di una parabola col
1 vertice nel punto in cui finisce il banco.
∆x2 = a2 ∆t2 . (10.100)
2 Se invece θ = π2 , v1 = 0 e v2 = v (corpo lanciato
In altre parole il corpo cade in modo tale da seguire verso l’alto lungo la verticale). Il moto è allora simi-
una traiettoria verticale; lo spostamento, a parità di le a quello appena analizzato, ma in una prima fase
tempo, diventa via via piú grande e cresce col qua- il corpo si muove con una velocità rivolta verso l’al-
drato del tempo trascorso. L’accelerazione dev’esse- to che diminuisce sempre di piú fino ad annullarsi,
re rivolta verso il basso. La velocità del corpo dopo per poi ricadere giú con le stesse modalità che ab-
un tempo ∆t dall’inizio della caduta vale biamo visto prima. La traiettoria è costituita di due
segmenti coincidenti: il primo percorso in un verso
∆v = a∆t (10.101) e il secondo nel verso opposto. Si tratta di un caso
e quindi aumenta linearmente col tempo (natural- limite di parabola, la cui ampiezza è nulla.
mente solo la componente verticale). Se la velocità Naturalmente si può ottenere un moto non retti-
iniziale è nulla ∆v = v(∆t)−v(0) = v(∆t). Lo spo- lineo anche usando una guida curva, disposta su un
stamento verticale, invece, cresce come il quadrato piano verticale, lungo la quale far scivolare qualco-
del tempo trascorso. sa. Perché funzioni è necessario che il punto iniziale
Anche in questo caso si possono fare misure in- sia piú in alto di tutti i punti della guida. Se cosí
teressanti con la stessa tecnica (Filmato 10.12): si non fosse l’oggetto che scivola si fermerebbe prima
riprende un oggetto che cade (bisogna farlo cadere di arrivare in fondo, anche se lo scivolamento è faci-
in modo che parta da fermo: questo non è sempre litato da accorgimenti vari per ridurre il fenomeno
facile), si misurano le posizioni raggiunte ai diversi di frenamento che abbiamo già osservato con le
istanti sui singoli fotogrammi e i tempi si misura- guide diritte. Se la guida è disposta orizzontalmen-
no conoscendo il numero di fotogramma e il numero te e si lancia un oggetto in direzione della guida,
di fotogrammi al secondo che la vostra videocamera questo tende a seguire una traiettoria che riproduce
è in grado di riprendere (di solito i programmi di la forma della curva (a meno che non rimbalzi, ma
video editing mostrano all’utente questo valore). questo è un caso piú complicato di cui ci occuperemo
Un’osservazione interessante che si può fare è che un’altra volta).
apparentemente l’accelerazione con cui cadono i cor- Per descrivere questo fenomeno dobbiamo sup-
pi, almeno per corpi non troppo leggeri o dalla forma porre che anche in questo caso il moto sia in qualche
non troppo complicata, sembra la stessa, indipen- maniera accelerato, perché la velocità dell’oggetto
dentemente dal corpo in caduta. Facendo cadere un che si muove sulla guida non è costante (è evidente

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10.8. MOTI NON RETTILINEI 142

dal fatto che la velocità, come sappiamo, è tangente forse piú promettente, consiste nel considerare a co-
alla traiettoria e se questa è curva la direzione del me la somma di un vettore diretto verticalmente e
vettore velocità cambia istante per istante). Il moto uno tangenzialmente alla guida. Cerchiamo di capi-
si descrive dunque con un’equazione del tipo re come dev’essere fatto quest’ultimo. Innanzi tutto
deve giacere sulla retta tangente √ alla√circonferenza
1 nel punto di coordinate A = 2/2, 2/2 che sta

∆x = v∆t + a∆t2 , (10.102)
2 sulla bisettrice del primo quadrante, se la guida si
solo che adesso l’accelerazione a non è affatto co- rappresenta in un sistema di riferimento con l’origi-
stante e in generale avrà due delle componenti di- ne al centro. Il coefficiente angolare della retta tan-
verse da zero (stiamo sempre supponendo che il cor- gente alla guida in questo punto è perpendicolare al-
po si muova lungo un piano, anche se in questo caso la bisettrice del quadrante, quindi ha pendenza pari
potremmo anche considerare una caduta lungo una a −1. La sua equazione è perciò y = −x+q. Il valore
guida non planare). di q lo si determina imponendo il passaggio per A da

Per esempio, consideriamo un moto che si svolge cui si ricava (fate l’esercizio) che q = 2. Scegliamo
uniformemente lungo una guida di forma circolare. ora due punti qualunque della retta, per esempio
Quando l’oggetto che si muove lungo la guida, per quello per cui x = 0 e quello per cui x = −1. La
esempio in senso antiorario, si trova a ore tre, la coordinata y della√ retta in questi√punti vale, rispet-
sua velocità è diretta verso l’alto (tangente alla cur- tivamente y = 2 e y = 1 + 2. Le coordinate
va). In un istante successivo si sposta a ore due. La di un vettore che giace su questa retta si possono
velocità qui non è piú diretta verso l’alto, ma si è trovare calcolando la differenza tra le coordinate di
piegata verso sinistra. Non è piú la stessa, anche se due punti scelti arbitrariamente sulla retta: quin-
il suo modulo non è cambiato. Questo piegamento di abbiamo
√ √ in un caso −1 − 0 = −1 e nell’altro
continua fino a quando, raggiunta la posizione ore 1 + 2 − 2 = 1. Il vettore u = (−1, 1, 0) dunque
dodici, la velocità del punto materiale è orizzontale è tangente alla guida nel punto A. Tutti i vettori
e rivolta verso sinistra. L’accelerazione media calco- che si ottengono da questo moltiplicandolo per una
lata tra gli istanti nei quali il corpo si trovava a ore costante hanno la stessa proprietà, quindi il vettore
tre e a ore dodici vale quindi accelerazione tangente alla curva si scrive

v12 − v3 (−v, 0, 0) − (0, v, 0) (−v, −v, 0) a0 = α (−1, 1, 0) . (10.104)


a= = = .
∆t ∆t ∆t Il vettore diretto verticalmente invece ha coordinate
(10.103)
Chiaramente questa velocità non è nulla: il suo mo-
√ a00 = β (0, 1, 0) . (10.105)
dulo vale |a| = 2v/∆t. Il vettore accelerazione gia-
ce sulla bisettrice del primo quadrante del sistema di Sommando i due vettori otteniamo
riferimento e punta verso il centro della traiettoria
(provate a disegnarlo). a0 + a00 = (−α, α + β, 0) (10.106)
Dal momento che possiamo sempre scrivere che che dev’essere uguale ad a = (−v/∆t, −v/∆t, 0)
a = a0 + a00 è sempre possibile scrivere l’accele- trovato sopra perciò
razione come la somma di due vettori orientati a
piacere e lunghi in modo tale che la loro somma v
−α=− (10.107)
riproduca l’accelerazione misurata sperimentalmen- ∆t
te. Una possibilità è, per esempio, quella di scrive- e
re a come la somma di un vettore diretto vertical- v v
mente e uno diretto orizzontalmente. In questo caso α+β = +β =− (10.108)
∆t ∆t
a0 = (−v/∆t, 0, 0) e a00 = (0, −v/∆t, 0). Un’altra,

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10.8. MOTI NON RETTILINEI 143

per cui β = 2v
− ∆t e i vettori si scrivono, Di sicuro, quello che si capisce facendo un po’ di
rispettivamente esperimenti, è che l’accelerazione dipende fortemen-
 v v  te dalla forma della guida, quindi difficilmente riu-
a0 = − , ,0 . (10.109) sciremo a imparare qualcosa di fondamentale dallo
∆t ∆t
studio di questi casi. Non può esserci una legge ge-
e
nerale del moto, se questo dipende dalla forma della
guida, a meno che la guida non assuma forme molto
 
2v
00
a = 0, − , 0 . (10.110) particolari (simmetriche) come quella che abbiamo
∆t
appena analizzato.
È anche possibile scrivere l’accelerazione come la Una maniera di realizzare moti non rettilinei con-
somma di un vettore perpendicolare e uno tangente siste nel prendere un motore e far girare un piatto
alla guida. Il vettore tangente si scrive sempre come (come quello di un giradischi), sul quale abbiamo
marcato un punto o fissato un oggetto. È anche pos-
a0 = α (−1, 1, 0) . (10.111) sibile realizzare un moto circolare legando un peso
e quello perpendicolare, che deve giacere sul- a una fune, facendola ruotare.
la bisettrice del primo quadrante, deve avere Nel caso di un giradischi, l’oggetto deposto sul
coordinate piatto segue una traiettoria circolare per la quale
possiamo sempre scrivere che la sua posizione x ha
a00 = β (1, 1, 0) (10.112) coordinate
da cui si ricava che la somma fa

 x1 = r cos θ

x2 = r sin θ (10.116)

x = 0
a0 + a00 = (−α + β, α + β, 0) . (10.113) 3

dove r è la distanza dall’asse di rotazione, che re-


Dovendo questa somma essere uguale ad a sta costante, e θ è un angolo che dipende dal tempo
dev’essere θ = θ(t). Se il moto è regolare, cioè l’ampiezza del-
 v l’angolo è proporzionale al tempo trascorso, possia-
 −α + β = − mo scrivere che ∆θ = ω∆t (e quindi che θ = ωt).
∆t . (10.114)
 α+β =− v In questo caso il moto si definisce circolare uni-
∆t forme. La grandezza fisica ω che si ottiene dal
Sommando e sottraendo le due equazioni del sistema rapporto tra l’angolo percorso da un oggetto che
si trova si muove in questo modo e il tempo impiegato a
percorrere quell’angolo, ω = ∆θ/∆t, la chiamere-
 2β = −2 v

mo velocità angolare. Notate che ω è uno sca-
∆t (10.115) lare. Un giradischi per vinili cosí detti da 33 giri
 2α = 0
compie 33 rotazioni complete in un minuto, cioè in
e quindi, come del resto ci si doveva aspettare sapen- 60 secondi. La velocità angolare del piatto quindi è
do che l’accelerazione era comunque perpendicolare ω = 33/60 = 0.55 giri al secondo. Essendo un giro
alla guida, la componente tangente è, in questo caso, pari a 2π, espressa nelle sue unità SI, la velocità an-
nulla e a = a00 , con β = −v/∆t. golare vale 0.55 × 2π ' 3.46 s−1 . Dalla definizione
Naturalmente tutte le possibili coppie di direzioni ∆θ = ω∆t si ricava che
sono ugualmente lecite, ma è chiaro che se voglia-
mo tentare d’imparare qualcosa dovremo scegliere
direzioni in qualche modo privilegiate. ∆θ = θ(t + ∆t) − θ(t) = ω∆t (10.117)

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10.8. MOTI NON RETTILINEI 144

e quindi che 1.00 b


B

θ(t + ∆t) = θ(t) + ω∆t . (10.118) 0.75


C
b b
A
Dal momento che il corpo segue una traiettoria 0.50
x(t + ∆t)
circolare è molto piú semplice scrivere la sua po- 0.25 x(t)
sizione in coordinate polari. Se scegliamo come
origine del sistema il punto d’intersezione tra il pia-
b

−1.25 −1.00 −0.75 −0.50 −0.25 0.25 0.50 0.75 1.00 1.25
no rotante e l’asse di rotazione, possiamo scrivere la −0.25

posizione del corpo indicando la distanza dall’asse


−0.50
(che è costante e indichiamo con r), l’angolo θ ri-
spetto a un asse scelto in modo tale che per t = 0 −0.75

θ = 0 e l’angolo φ che il vettore posizione forma con


−1.00
il piano sul quale ruota l’oggetto che quindi è co-
stante e vale zero: φ = 0. In questo sistema avremo Figura 10.19 Un corpo si muove su una
quindi x = (r, θ(t), 0) = (r, ωt, 0). traiettoria circolare di rag-
La velocità, espressa sempre nel sistema di gio unitario. Al tempo t la
sua posizione è individua-
coordinate polari, è sempre definita come ta dal vettore x(t), in ros-
so; al tempo t + ∆t dal vet-
∆x tore x(t + ∆t), in blu. Lo
v= . (10.119)
∆t spostamento è riportato in
A variare è solo la seconda componente in questo verde.
sistema, quindi

quella del punto B è r cos θ(t + ∆t). La componen-


∆x = x(t + ∆t) − ∆x(t) = (0, ω∆t, 0) (10.120) te 1 dello spostamento ∆x quindi è pari, in mo-
1
dulo, alla lunghezza del segmento CA della figura.
e la velocità è un vettore che si scrive come
Analogamente, si vede facilmente che la componen-
te 2 dello spostamento è proprio la lunghezza del
v = (0, ω, 0) . (10.121)
segmento CB.
D’altra parte, se esprimiamo le posizioni in un La velocità media è, per definizione, parallela al-
sistema di assi cartesiani, allora avremo sempre che lo spostamento ∆x, quindi è un vettore orientato
come quello verde della figura e ha due componen-
∆x = x(t + ∆t) − ∆x(t) , (10.122) ti non nulle. Se volessimo trovare il vettore della
ma le componenti di questo vettore sono velocità istantanea dovremmo ridurre l’intervallo di
tempo ∆t fino a farlo diventare piccolissimo, al li-
mite confondibile con zero. Questo significa che la
∆x1 = r cos θ(t + ∆t) − r cos θ(t) punta del vettore x(t + ∆t), che si trova nel punto
∆x2 = r sin θ(t + ∆t) − r sin θ(t) (10.123) B, si avvicina al punto A. Notiamo che il triangolo
∆x3 = 0 . AOB è isoscele e, come in tutti i triangoli, l’altezza
condotta da O è perpendicolare alla base AB. Man
Cerchiamo di capire geometricamente cosa voglio- mano che il punto B si avvicina ad A, la lunghezza
no dire le equazioni scritte sopra, usando la Figu- dei lati uguali del triangolo diventa sempre piú si-
ra 10.19. La coordinata 1 del punto A è r cos θ(t) e mile a quella dell’altezza fino a confondersi del tutto
con essa nel momento in cui B di fatto coincide con

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10.8. MOTI NON RETTILINEI 145

A. Lo spostamento AB, che adesso è infinitamen- filmato non riproducibile su questo


te corto, è cosí perpendicolare alla posizione (non supporto: digita l’URL nella caption o
serve specificare quale perché ora sono praticamen- scarica l’e-book
te uguali). La velocità è lo spostamento diviso per Figura 10.20 L’accelerazione di un punto
il tempo impiegato a compierlo: sebbene lo sposta- che si muove di moto
circolare uniforme è cen-
mento sia infinitamente corto, lo è anche il tempo e tripeta. La differenza di
il rapporto è un vettore finito e di modulo costan- velocità ∆v tra due punti
te. Quindi il vettore velocità in questo tipo di moto è infatti perpendicolare
è perpendicolare al vettore posizione (ma sempre allo spostamento che a
tangente alla traiettoria). sua volta è tangente alla
traiettoria. Di conseguenza
Osserviamo che, mentre la velocità angolare ω è la l’accelerazione è parallela
stessa per tutti i punti del cerchio interno alla traiet- al raggio della traietto-
toria, il modulo della velocità aumenta all’aumen- ria [https://youtu.be/
tare della distanza dal centro di rotazione: i punti PHRC86CZi3M]. L’applica-
zione GeoGebra con la
sull’asse di rotazione sono fermi (v = 0), mentre piú
quale è stato realizzato
ci si allontana piú è lungo l’arco di circonferenza questo filmato si trova
percorso nello stesso tempo. L’arco di circonferen- all’indirizzo http://tube.
za percorso avendo spazzato un angolo ∆θ è lungo geogebra.org/m/1390395.
∆` = r∆θ, se r è la distanza dal centro. Poiché
∆θ = ω∆t, possiamo scrivere che
sono senza dubbio uguali, anche se sono disegnati
∆` = rω∆t (10.124) come frecce in punti diversi dello spazio. Possiamo
e dividendo tutto per ∆t perciò pensare di traslare il vettore v(B) paralle-
lamente a sé stesso in modo da portare il suo punto
(10.125) d’applicazione in A. Il vettore a∆t, che a sua volta è
∆`
= v = rω .
∆t parallelo ad a, deve quindi congiungere la punta del
La velocità v (che si dice periferica per distinguerla vettore v(A) con quella del vettore v(B) traslato. Si
da quella angolare) quindi cresce linearmente con la vede chiaramente che il vettore accelerazione pun-
distanza dal centro di rotazione. ta grosso modo verso l’interno del cerchio delimitato
E l’accelerazione? Beh, l’accelerazione è la varia- dalla traiettoria. Potete vederlo ancora meglio usan-
zione del vettore velocità diviso il tempo in cui av- do l’applicazione GeoGebra che trovate qui il cui
viene la variazione. Sempre usando la Figura 10.19, utilizzo si vede al Filmato 10.20. Nel filmato si ve-
nel punto A la velocità istantanea sarebbe perpendi- dono le velocità nei punti A e B, rispettivamente,
colare al vettore rosso e tangente alla circonferenza, in verde (v1 ) e in rosso (v2 ). Il vettore velocità in
cosí come nel punto B. Dev’essere B è stato riprodotto anche in A per evidenziare la
variazione di velocità dv, riprodotta in blu. Mano
∆v v(B) − v(A)
a= = (10.126) a mano che il punto B si avvicina ad A, le velocità
∆t ∆t nei due punti diventano sempre piú simili e questo
perciò è evidente dal fatto che il vettore dv = adt tende
al vettore nullo al tendere di dt a zero (nel filmato
v(B) = v(A) + a∆t . (10.127) quel che tende a zero è l’angolo, ma essendo θ = ωt,
Ora ricordiamo che due vettori sono uguali se sono far tendere a zero l’angolo è come far tendere a ze-
uguali le loro coordinate e le coordinate di due vetto- ro l’intervallo di tempo). Ma questo non vuol dire
ri paralleli, con la stessa lunghezza e lo stesso verso, che è nullo a! Dal momento che l’accelerazione è la

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10.8. MOTI NON RETTILINEI 146

variazione di velocità nell’unità di tempo, il modulo In questo sistema dunque l’accelerazione è nulla! In
dell’accelerazione dev’essere uguale al modulo del- effetti in coordinate polari la posizione, la veloci-
la variazione della velocità nell’unità di tempo (o di tà e l’accelerazione si potrebbero considerare come
angolo, visto che dt = dθ/ω). Ma il modulo della ve- scalari, nel caso del moto circolare uniforme, perché
locità, in questo tipo di moto, non cambia. Quindi il due delle coordinate della posizione (r e φ) sono co-
modulo dell’accelerazione dev’essere costante (o, se stanti. Anche questa è un’osservazione importante:
volete, il modulo dell’accelerazione media coincide sfruttando le simmetrie di un problema, lo si può
sempre con il modulo dell’accelerazione istantanea). semplificare molto.
Quando B si avvicina ad A il vettore accelerazione Una volta trovata la soluzione nel sistema di coor-
si avvicina sempre piú al raggio della circonferen- dinate in cui è piú semplice, si trova facilmente an-
za. Infatti i vettori velocità nei due punti formano che quella negli altri sistemi. Basta passare dall’u-
un triangolo isoscele la cui altezza è parallela allo no all’altro, cosí, sapendo che in coordinate polari
spostamento. Avvicinandosi i punti, i lati del trian- l’equazione del moto si può scrivere come
golo isoscele si confondono sempre piú con l’altezza 
diventando, per ∆t che tende a zero, paralleli ad  r = cost

essa. La differenza di velocità è parallela alla base θ = ωt (10.132)
di questo triangolo e quindi l’accelerazione è diretta

φ = 0
secondo il raggio della circonferenza descritta dal-
la traiettoria. Diremo che in questo tipo di moto nel sistema di coordinate cartesiane il moto si
l’accelerazione è centripeta, che vuol dire diret- descrive con le equazioni
ta verso il centro. Il modulo dell’accelerazione si 
trova sfruttando la relazione (10.125):  x1 = r cos θ = r cos ωt

x2 = r sin θ = r sin ωt . (10.133)
∆v ∆ (rω)

x = 0
a= = . (10.128) 3
∆t ∆t
Le coordinate 1 e 2 hanno perciò un andamento si-
Poiché in questo tipo di moto ω è costante, la varia- nusoidale. Questo tipo di moto si definisce anche
zione ∆v = ∆ (rω) del prodotto rω è determinata armonico. Per le coordinate che oscillano varian-
unicamente dalla variazione di r e possiamo scrivere do sinusoidalmente col tempo come x e x si può
1 2
∆v = ω∆r. Di conseguenza abbiamo che definire il periodo T come il tempo impiegato dal
∆r punto materiale per tornare alla coordinata di par-
a=ω . (10.129) tenza. I valori delle coordinate in questione, infatti,
∆t
variano nell’intervallo compreso tra −r e +r e si ri-
Osserviamo che di r cambia la direzione e non il
petono periodicamente a intervalli regolari di tempo
modulo. Possiamo tuttavia scrivere che il modulo
di ampiezza T . Se all’istante t = t0 il punto mate-
del rapporto tra ∆r e ∆t è uguale al modulo della
riale ha la coordinata x1 = r cos ωt0 = x̄1 , il punto
velocità v e quindi che
assumerà nuovamente questo valore quando
2
v
a = ωv = rω 2 = , (10.130) x̄1 = r cos ω (t0 + nT ) (10.134)
r
avendo usato la relazione v = rω. In coordinate per ogni n intero. Affinché sia r cos ωt0 =
polari avremmo che r cos ω (t0 + nT ) dev’essere

ωt0 + 2nπ = ω (t0 + nT ) . (10.135)


∆v (0, ω, 0) − (0, ω, 0)
a= = = (0, 0, 0) . perciò
∆t ∆t
(10.131)

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10.9. CONSIDERAZIONI FINALI 147

può approssimare il moto come un polinomio di gra-



T = . (10.136) do opportuno nel tempo, qualora non si trovi una
ω descrizione piú adeguata.
La velocità angolare ω quindi è uguale a quella che si
chiama pulsazione delle coordinate. L’inverso del
periodo 10.9 Considerazioni finali
1 ω La necessità di descrivere il moto ci ha portato a in-
ν= = (10.137)
T 2π ventare una matematica per nuovi oggetti: i vet-
prende il nome di frequenza e rappresenta il nu- tori. Considerazioni di analisi dimensionale hanno
mero di volte che il punto materiale passa per lo condotto alla definizione di operazioni nuove come
stesso punto nell’unità di tempo. Non c’è bisogno di il prodotto scalare. Lo studio delle conseguenze
ricordare a memoria le relazioni che legano T , ω e delle nostre definizioni, che, non dimentichiamolo,
ν: basta ricordarne le dimensioni fisiche e applicare discendono dalle osservazioni sperimentali, ci porta
la regola secondo cui i due membri di un’equazio- a ritenere che il moto di un oggetto sia descrivibi-
ne devono avere le stesse dimensioni. Il periodo, ad le in termini di una funzione vettoriale, in linea di
esempio, è un tempo, mentre ω è una velocità ango- principio qualunque, del tempo. Abbiamo imparato
lare che si trova dividendo l’angolo giro per il tempo che la velocità d’un corpo è sempre tangente al-
impiegato a percorrerlo che è proprio T : la traiettoria di quel corpo e che ogni volta che la
2π velocità cambia (in modulo, direzione o verso), in-
ω= . (10.138) terviene un’accelerazione che si rappresenta come
T
un vettore diretto come la variazione della velocità.
T è un tempo e quindi dev’essere uguale all’inverso
Il confronto del moto dei punti materiali con quel-
della frequenza che ha le dimensioni di un tempo
lo dei liquidi sembra indicare che almeno questi
alla meno uno.
ultimi si possano considerare come formati di parti-
Cerchiamo ora di riassumere alcune proprietà
celle piú piccole e indipendenti l’una dall’altra. Per
generali dei moti che abbiamo scoperto.
analogia siamo tentati di considerare anche i solidi
• Se un moto è parabolico significa che c’è
alla stessa maniera, come del resto indicano anche
un’accelerazione costante diretta secondo l’as-
altri esperimenti.
se della parabola che descrive la traiettoria (e
Il fatto che la posizione di un oggetto sia un con-
viceversa).
cetto relativo, implica che lo stesso stato di moto
• La velocità di un corpo è sempre tangente alla
sia tale e che non si possa distinguere realmente tra
sua traiettoria.
uno stato di moto e uno di quiete. Lo stato di quiete
• In un moto circolare uniforme l’accelerazione è
è a tutti gli effetti equivalente, dal punto di vista di
centripeta (e viceversa).
un fisico, a quello di moto rettilineo uniforme (cioè
Evidentemente, poi, esistono infiniti modi di rea-
con accelerazione nulla).
lizzare un moto, piú o meno regolare. In fisica di
Abbiamo anche imparato qualcosa sulle proprie-
solito non c’interessa studiare il comportamento di
tà generali di certi tipi di moto: gli oggetti che
qualcosa soggetto a condizioni molto particolari. Di
si muovono di moto parabolico sono soggetti a
norma siamo interessati a comportamenti generali,
un’accelerazione costante diretta secondo l’asse
che si realizzano quando le osservazioni sono rela-
della parabola; nel caso del moto circolare uniforme
tivamente semplici e regolari, perciò non ci occu-
l’accelerazione è sempre centripeta e costante in
peremo del moto di oggetti complicati come la ca-
modulo.
duta di una frana o il viaggio di un tram. Tutti i
moti complessi si possono sempre dividere in inter-
valli sufficientemente piccoli, in ciascuno dei quali si

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Unità Didattica 11
Punti di vista

nel fare una misura e l’unica misura che si può fa-


Prerequisiti: cinematica re è una misura di distanza. Per stabilire se siamo
in moto oppure no, dobbiamo misurare la distanza
La posizione è una grandezza fisica che si misura relativa a qualcos’altro: per esempio il Sole. Ma se
attraverso la valutazione delle distanze di un ogget- anche fossimo capaci di eseguire questa misura, re-
to da tre assi scelti come sistema di riferimento. sterebbe da stabilire se siamo noi o il Sole a muoversi
È quindi evidente che si tratta di una grandezza fi- e la cosa non è affatto banale, come dimostra il fatto
sica relativa e non assoluta: per determinarla oc- che per migliaia di anni gli uomini hanno pensato
corre scegliere, infatti, un sistema di riferimen- che fosse il Sole a muoversi attorno alla Terra.
to. Lo stato di moto di un corpo dipende dalla sua La condizione di moto dunque è indubbiamen-
posizione: se questa cambia il corpo è in moto, altri- te relativa, anche se non sempre è cosí. In effetti,
menti no. Lo stesso stato di moto, di conseguenza, stando seduti su una macchina in moto, quando il
non può essere assoluto, ma relativo. A bordo del- conducente frena bruscamente, la distanza tra noi
la vostra auto, su un’autostrada, la distanza tra il e il sedile davanti o il parabrezza si riduce (qualche
vostro naso e il parabrezza o il sedile davanti a voi volta pericolosamente: meglio indossare sempre le
è costante, quindi il parabrezza o il sedile, per chi cinture di sicurezza!). Se ne deduce che, in questo
è seduto in auto non si muovono. Chi osserva dal- caso, qualcosa si dev’essere mosso e per farlo ha do-
l’esterno, invece, vede sia il parabrezza che il sedile vuto cambiare la propria velocità, il che a sua volta
muoversi. implica la presenza di un’accelerazione. Qualcosa di
Gli oggetti che invece sono fuori dell’abitacolo (se- analogo avviene quando si affronta una curva ad alta
gnali stradali, alberi, stazioni di servizio) per chi sta velocità o quando si parte da fermi: nel primo caso la
sul marciapiede in attesa che passi l’autobus sono distanza tra noi e lo sportello si riduce nella direzio-
fermi, mentre per chi si trova in automobile sono ne opposta a quella nella quale si curva; nel secondo
in moto, perché la loro distanza dal sistema di ri- si riduce la distanza tra noi e quello che ci sta die-
ferimento dell’auto cambia. Il fatto di sapere che tro (ci sentiamo spinti sullo schienale), almeno se
è l’auto che si sta muovendo e non tutto il resto l’accelerazione impressa è abbastanza intensa2 . Nei
non significa nulla dal punto di vista della fisica: lo casi esaminati chiunque conviene sul fatto che tutto
sappiamo solo perché si tratta di un caso di moto ciò che si trova a bordo del mezzo si muove: sia chi
piuttosto speciale1 . Nessuno di noi potrebbe dire, sta fermo sul marciapiede, sia chi sta nel’abitacolo.
in base alla propria esperienza, che si sta muovendo Quindi in questi casi la condizione di moto non è
insieme con la Terra nello spazio. Visto che tutto affatto relativa, ma assoluta.
sulla Terra si muove con noi, per noi è impossibile In generale possiamo dire con certezza se qualcosa
stabilire la nostra effettiva condizione di moto. L’u- si muove se è presente un’accelerazione. Se è il siste-
nico modo di stabilirlo in maniera oggettiva consiste
2
Come potete facilmente immaginare non è la stessa cosa
1
e in ogni caso per un fisico qualcosa si muove se cambia partire da fermi su un pesante mezzo o su una Ferrari!
posizione: non esistono altre definizioni di moto.
11.1. LA RELATIVITÀ 150

ma di riferimento ad essere accelerato, si dice che è ni istanti prima di avvicinare la calamita. Si dice che
non inerziale, altrimenti si dice inerziale. Appa- il sistema di riferimento non inerziale costituito dal
re subito chiaro che sistemi di riferimento inerziali supporto del pendolo è localmente equivalente al-
veri non possono esistere: tutti gli esperimenti fatti la presenza di qualcosa di esterno (che chiameremo
sul nostro pianeta sono riferiti a qualche sistema di campo di forze), perché è impossibile distinguere
riferimento solidale con esso che quindi è inerziale tra i due casi, almeno su scale di tempo e di spazio
solo approssimativamente, visto che la Terra ruo- limitate.
ta e si sposta nello spazio a velocità non costante. Cominciamo a capire cosí cosa s’intende quando
Dovremmo riferire le misure a un qualche sistema si dice che la fisica è la scienza di ciò che si misu-
esterno alla Terra, fermo nell’Universo. Ma come si ra: quello che normalmente pensiamo di poter clas-
fa a dire che qualcosa è fermo nell’Universo se fuori sificare come evidente e assoluto, a un’analisi piú
di esso non c’è nulla rispetto a cui riferirne lo stato approfondita non lo appare piú. Lo stato di moto
di moto? di un oggetto non solo non è facilmente definibi-
Se si può stabilire che qualcosa si muove è perché è le, come sembrerebbe a un’analisi superficiale, ma
presente un’accelerazione, ma stabilire se a muoversi è addirittura impossibile da definire in certi casi
è l’osservato o l’osservatore non è sempre facile: se ci particolari.
si trova su un’auto che affronta una curva a velocità
sostenuta, per chi sta all’interno è facile stabilire che
è il sistema di riferimento costituito dall’auto stessa 11.1 La relatività
a muoversi, perché confronta quello che vede acca-
La teoria della relatività di Einstein prende le mosse
dere nell’auto con quel che vede accadere fuori. Se
proprio da questo genere di osservazioni, assieme al
però fate un esperimento molto semplice vi accorge-
fatto sperimentale secondo il quale la velocità
te che non sempre è cosí facile. L’esperimento con-
della luce è la stessa qualunque sia lo stato di
siste in questo: con uno smartphone riprendete uno
moto relativo dell’osservatore.
sfondo uniforme e in tinta unita, davanti al quale si
La luce, infatti, si propaga a una velocità molto
vede un pendolo (un oggetto pesante sospeso a un
alta: circa 300 000 km/s. Una cosa per certi versi
filo) montato su qualcosa che si può muovere (non
sorprendente che accade con la luce è che la sua ve-
inquadrato). Dopo aver iniziato le riprese tirate im-
locità non cambia se osservata da un sistema di rife-
provvisamente da una parte il supporto del pendolo:
rimento in moto relativo rispetto a un altro fermo3 .
vedrete quest’ultimo muoversi in modo che, oltre a
Il modulo della velocità è definito come la distanza
spostarsi, assumerà una condizione nella quale il filo
percorsa nell’unità di tempo: se quindi un’automo-
non è piú verticale. Se invece spostate la videoca-
bile percorre 30 m di strada in un secondo si muove
mera in senso opposto, ma con le stesse modalità, il
a una velocità v di 30 m/s o di 108 km/h.
pendolo si muove rispetto all’inquadratura, ma re-
Ma se si osserva l’automobile da un altro mez-
sta in posizione verticale. Cosí è facile concludere
zo in moto, per esempio da una seconda auto che
che nel primo caso è il sistema di riferimento soli-
insegue la prima a una velocità V , questa appare
dale con il pendolo a muoversi, mentre nel secondo
muoversi a una velocità diversa. Ricordiamoci che
è quello solidale con la videocamera. Se però il peso
la velocità (per semplicità consideriamo solo moti
del pendolo è costituito di una pallina di ferro e nelle
rettilinei cosí possiamo usare equazioni scalari) è il
vicinanze mettete una calamita, il filo forma un an-
rapporto tra lo spostamento e il tempo impiegato
golo con il sistema di riferimento e se la videocamera
per spostarsi e osserviamo il sistema delle due au-
si sposta è impossibile dire se a produrre l’accelera-
to dalla strada. Supponiamo di far partire il nostro
zione osservata è qualcosa di esterno (la calamita)
o un effetto del moto del sistema di riferimento, a per convenzione, visto che non è sempre possibile
3

meno che non osserviate la pallina a partire da alcu- stabilire se un oggetto è fermo oppure no.

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11.1. LA RELATIVITÀ 151

cronometro quando l’auto n. 1 passa in prossimità Osserviamo che le distanze sono qualcosa di as-
di un semaforo, preso come origine di un sistema di soluto, che non dipende dallo stato di moto del-
riferimento, e di fermarlo quando raggiunge una di- l’osservatore. La distanza tra le due auto misurata
stanza x1 = 30 m da esso. La posizione iniziale del- da un osservatore sulla strada e uno a bordo di una
l’auto 1 è quindi x1 (0) = 0, mentre all’istante t vale delle due auto è la stessa.
x1 (t) = 30. Quando l’auto raggiunge la posizione Questo per la luce non accade. Se s’insegue un
x1 (t) è trascorso 1 s e quindi la velocità dell’auto 1 raggio di luce e se ne misura la velocità, lo si vede
è allontanarsi sempre a una velocità di 300 000 km/s
e lo stesso succede se si corre incontro a un raggio
di luce. Questo può apparire del tutto insensato,
x1 (t) − x1 (0) 30 − 0
v= = = 30 ms−1 . (11.1) ma gli esperimenti dicono questo e gli esperimen-
∆t 1−0 ti hanno sempre ragione (se non sono sbagliati).
Se la velocità dell’auto che la insegue è V , anche se Del resto non possiamo pretendere che l’Universo
all’istante t = 0 fossero entrambe in prossimità del funzioni come a noi piacerebbe che funzionasse: la
semaforo per cui x2 (0) = 0, dopo un tempo t = 1 s nostra esperienza quotidiana suggerisce che le velo-
l’auto 2 si trova alla posizione x2 (t) = V t. cità sono relative e le distanze assolute, ma potrebbe
Se si misurano le distanze dall’abitacolo dell’au- trattarsi di un’illusione. D’altra parte sembra anche
to 2, nell’istante iniziale t = 0 la posizione dell’au- evidente che la Terra sia piatta, secondo la nostra
to 1 coincide con quella dell’auto 2 e x01 (0) = 0 (l’a- percezione quotidiana, ma sappiamo bene che cosí
pice indica le misure eseguite dal passeggero del- non è. Basta osservare meglio per capirlo. La sco-
l’auto 2). All’istante t = 1 s l’auto 1 si trova alla perta dell’indipendenza della velocità della luce dal-
posizione x1 (t) = vt per chi l’osserva dalla strada, lo stato di moto dell’osservatore è paragonabile alla
mentre l’auto 2 alla posizione x2 (t) = V t, quindi scoperta della forma della Terra: anche se ci sembra
l’auto 1 dista x01 (t) = x1 (t) − x2 (t) = (v − V )t dal- che le velocità siano relative all’osservatore, e di con-
l’auto 2 e dal momento che la posizione coincide con seguenza che le distanze siano assolute, questo non è
la distanza, la posizione dell’auto 1 rispetto all’au- del tutto vero. Se la velocità della luce è indipenden-
to 2 è proprio x01 (t). Per inciso, la posizione x02 (t) te dallo stato di moto dell’osservatore questo impli-
continua a valere zero perché il passeggero è sempre ca che il rapporto tra lo spazio percorso e il tempo
a distanza nulla da sé stesso. La velocità dell’auto 1 impiegato a percorrerlo deve restare costante. A sua
misurata dal passeggero dell’auto 2 vale quindi volta questo significa che sia lo spazio percorso sia
il tempo impiegato a farlo non possono essere in-
dipendenti dallo stato di moto dell’osservatore, ma
x01 (t) − x01 (0) (v − V )t − 0 devono essere relativi a questo.
v0 = = =v−V .
∆t t−0 In sostanza dobbiamo ammettere che la misura
(11.2)
di una distanza fatta stando fermi non dà lo stesso
Questa è quella che si chiama regola galileiana
risultato di una misura eseguita muovendosi. Ana-
di composizione delle velocità. Se V < v, cioè
logamente, un cronometro fermo sulla strada non
l’auto che insegue è piú lenta, v − V > 0 e v 0 > 0
indica lo stesso tempo di un cronometro in moto. Se
perciò il passeggero dell’auto 2 vede muoversi l’au-
ci sembra assurdo è perché non abbiamo mai espe-
to 1 a una velocità positiva. Se invece V > v l’auto 2
rienze del genere: se prendiamo un treno in partenza
supera l’auto 1 che continua ad allontanarsi dall’au-
da Roma alle 10:45 che arriva a Napoli alle 11:56,
to 2, ma nel verso opposto. Naturalmente se V = v
sia il nostro orologio che quello in stazione segna-
la velocità con cui l’auto 2 vede allontanarsi l’auto 1
no lo stesso orario all’arrivo. Ma questo vuol dire
è nulla e questo significa che la distanza tra le due
soltanto che l’eventuale differenza è troppo piccola
auto resta invariata.
per essere apprezzabile: la sensibilità del nostro oro-

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11.1. LA RELATIVITÀ 152

logio non ci permette di eseguire la misura con la abbiamo chiamato un campo di forze con certe ca-
necessaria risoluzione. Se la misura si esegue usando ratteristiche. Da quest’ultima osservazione discen-
orologi di altissima precisione, come quelli atomici, derà quella che si chiama teoria della relatività
le differenze ci sono4 . Osservando meglio, quindi, si generale illustrata al Capitolo 44. Un campo di for-
capisce che le cose non stanno come sembra a una ze è qualcosa che provoca l’accelerazione dei corpi
prima occhiata superficiale: evidentemente la misu- soggetti ad esso, senza che sia necessario il contat-
ra delle distanze e la misura dei tempi è relativa to con altri corpi. Sulla Terra, per esempio, i corpi
allo stato di moto dell’osservatore. La distanza ∆x cadono: sono cioè accelerati verso il basso. Diciamo
e l’intervallo ∆t devono dipendere dalla velocità v che a provocare quest’accelerazione è un campo di
di chi esegue la misura in modo tale che forze che circonda tutta la Terra. Questo campo
dev’essere qualcosa che si deve poter rappresenta-
∆x(v)
c= = cost (11.3) re come un vettore perché la caduta dei corpi ha
∆t(v) precise caratteristiche di direzione e verso.
avendo indicato con c la velocità della luce. In condi-
zioni normali possiamo trascurare questa dipenden-
za dalla velocità e assumere la relatività galileia-
na come valida, per cui v 0 = v − V , ma se le veloci-
tà degli oggetti di nostro interesse dovesse diventare
molto alta, confrontabile con quella della luce, sa-
remo costretti a correggere la relazione in qualche
modo. In sostanza, la regola galileiana della com-
posizione delle velocità non è che un’approssimazio-
ne valida per velocità piccole (cioè molto piú basse
rispetto alla velocità della luce c ' 3 × 108 ms−1 ).
Al Capitolo 42 si affronta questo problema, che
per il momento tralasciamo, sapendo che in ogni
caso quello che conta per noi è poter confrontare i
risultati dei nostri esperimenti con le previsioni delle
nostre teorie. Fin quando gli esperimenti sono fatti
a bassa velocità possiamo rimandare il problema di
capire come si devono trasformare spazio e tempo
quando sono misurati da un sistema in moto.
Ci basterà sapere, in questo capitolo, che spazio
e tempo non sono concetti assoluti come appare a
una prima occhiata, e che questa è una conseguenza
dell’invarianza della velocità della luce per trasfor-
mazioni del sistema di riferimento. Questa scoperta
si deve ad Albert Einstein cosí come l’osservazione
fatta al paragrafo precedente secondo la quale è im-
possibile distinguere localmente tra un sistema di
riferimento accelerato (non inerziale) e uno non ac-
celerato (inerziale) nel quale sia presente quello che
4
non per viaggi in treno, ma per viaggi in aereo la
risoluzione di un apparato del genere è sufficiente [?].

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Unità Didattica 12
Le Leggi di Newton

È naturale chiedersi perché mai accada questo e cer-


Prerequisiti: cinematica chiamo una risposta in questo capitolo, che quindi
riguarda la dinamica, che è lo studio delle cause del
Nel capitolo sulla cinematica s’impara che lo stato moto1 , senza mai perdere di vista gli altri problemi
di moto di qualcosa è definibile in maniera assoluta che poniamo nei capitoli precedenti che riguardano,
soltanto in presenza di accelerazioni e in sistemi di in definitiva, la natura del calore.
riferimento che possiamo considerare inerziali. Ri- Le leggi fisiche della dinamica che scopriamo
cordiamo che non esistono veri sistemi inerziali, ma in questo capitolo sono anche note come Leg-
possiamo sempre trovare un sistema di riferimento gi di Newton, dal nome del celebre scienziato
che appare come tale se la scala di tempo entro il che per primo le formulò nell’opera Philosophiae
quale si eseguono le misure è sufficientemente breve Naturalis Principia Mathematica2 [?], anche nota
e se le distanze tipiche tra gli oggetti sono relati- semplicemente come Principia.
vamente piccole. Un sistema di riferimento solidale
con la Terra, per esempio, è ragionevolmente iner-
ziale se l’esecuzione di una misura ha una durata 12.1 Il primo principio della
breve rispetto a quella del giorno e le distanze mi-
surate sono piccole rispetto al raggio terrestre, che dinamica
è di circa 6 000 km. Visto che questa condizione è
Al Capitolo 11 osserviamo che risulta impossibile
abbastanza facile da ottenere, molti dei nostri espe-
stabilire se un corpo è fermo o in uno stato di moto
rimenti si potranno considerare come eseguiti in si-
rettilineo uniforme, indipendentemente dal sistema
stemi di riferimento inerziali, anche se a rigore non
di riferimento. Se infatti un corpo si muove di que-
lo saranno mai.
sto tipo di moto in un sistema di riferimento, è suf-
Sempre nel capitolo sulla cinematica si osserva
ficiente trovare un altro sistema di riferimento che si
che tutti i corpi, almeno qui sulla Terra, se lasciati
muove rispetto al primo di moto rettilineo uniforme
liberi di farlo, si muovono spontaneamente verso
per farlo apparire fermo in questo secondo sistema.
il basso di moto uniformemente accelerato. Eseguen-
Un’altra osservazione che possiamo fare è che il
do le misure suggerite, si trova che tutti gli oggetti
moto impresso a qualunque corpo tende a conser-
(a meno di casi particolari), cadono con la stessa
varsi. Se non lo fa esattamente è perché interviene
accelerazione di cui possiamo misurare il valore del
una qualche interazione tra corpi a contatto che però
modulo che è pari a circa 9.8 m/s2 . In un sistema di
si può ridurre diminuendo la superficie di contatto
riferimento in cui l’asse 2 è quello verticale diretto
e lavorando sui materiali. Consideriamo, per esem-
verso l’alto avremmo perciò che l’accelerazione, che
chiameremo di gravità, è approssimativamente 1
Questa non è una definizione rigorosa del termine: è
quella che possiamo dare in questa fase dello studio.
2
Principi Matematici della Filosofia Naturale
g = (0, −9.8, 0) ms−2 . (12.1)
12.1. IL PRIMO PRINCIPIO DELLA DINAMICA 154

pio, una biglia su un tavolo da biliardo, ferma3 . Se mo desumere dai nostri esperimenti, infatti, un Uni-
nessuno fa niente la biglia non si sposta da dov’è sta- verso nel quale ci sia un solo punto materiale sa-
ta appoggiata. Solo se s’interviene dall’esterno, per rebbe del tutto privo di qualsiasi dinamica, non
esempio con un colpo di stecca, la biglia si mette in fosse altro che perché sarebbe impossibile dire che
moto. tale punto si muove non essendoci altri oggetti ri-
Una volta messa in moto, la biglia continua a spetto ai quali misurare la sua posizione. Il termine
muoversi e presumibilmente continuerebbe a farlo forza però è ormai in uso dai tempi di Newton e
all’infinito se non fosse che il contatto con il panno non sembra destinato a tramontare, per cui conver-
del tavolo e gli urti con le sponde le imprimono una rà adottarlo (in fondo un nome vale l’altro: basta
serie di accelerazioni che portano a fermarla. intendersi sul significato). La dinamica prende il
In definitiva sembrerebbe che, in assenza di qual- suo nome proprio da questo: il termine infatti viene
che tipo di interazione con qualcosa (la stecca, la dal greco δúναµις (dynamis), che vuol dire appunto
superficie del tavolo, le sponde del biliardo), la palla forza.
se ne starebbe ferma dov’è e non penserebbe pro- Da queste osservazioni possiamo formulare una
prio a muoversi. In presenza invece dell’interazione prima legge fisica che si può enunciare come se-
con qualcosa la palla modifica il proprio stato gue: in assenza di forze un punto materiale
di moto: se era ferma si mette in moto e se era mantiene il suo stato di moto che evidentemen-
in moto comincia a rallentare fino a che si ferma. te può solo essere di quiete o di moto rettilineo
È abbastanza evidente che, al fine di mantenere lo uniforme.
stato di moto impresso inizialmente, non c’è alcun Perché un corpo si muova dunque non c’è alcun
bisogno di rifornire la palla di qualcosa e non è ne- bisogno di esercitare un qualche tipo di forza: ba-
cessario continuare a spingerla come quando si cerca sta che si muova di moto rettilineo uniforme. Al
di spostare una pesante cassa sul pavimento. In que- contrario, se un corpo è fermo (o si muove di mo-
st’ultimo caso occorre esercitare continuamente una to rettilineo uniforme) possiamo senza alcun dubbio
spinta sulla cassa per mantenerla in moto, ma è faci- affermare che su di esso non agisce alcuna forza o,
le pensare che se la cassa si trovasse sulla superficie se forze agiscono, devono essere tali da sommarsi in
di una pista di pattinaggio sul ghiaccio sarebbe mol- un vettore nullo.
to piú facile spostarla e, al limite, dopo aver ricevuto La prima Legge della dinamica o primo
un energico calcio, potrebbe continuare a muoversi principio della dinamica o di Newton è una leg-
per un po’. Dobbiamo dunque pensare che il fat- ge sperimentale nel senso che la si può formulare
to che la cassa debba essere spinta per permanere in base a una serie di osservazioni sperimentali che
nello stato di moto sia una conseguenza dell’intera- ci portano a credere che le cose stiano proprio co-
zione tra la cassa e il pavimento, che evidentemente sí. Per quanto detto sopra e nella discussione sul-
esercita una qualche azione sulla cassa abbastan- la cinematica è impossibile realizzare in pratica un
za intensa da provocare un’accelerazione sufficiente esperimento che verifichi rigorosamente questa leg-
a spegnere quasi istantaneamente il moto impresso- ge, perché è impossibile trovare rigorosamente un
le. All’azione esercitata dal pavimento sulla cassa sistema di riferimento in cui è valida (a prescindere
o dalla stecca sulla biglia o ancora dalle sponde del dai problemi dovuti alla necessità di eliminare ogni
biliardo, sempre sulla biglia, si dà il nome di forza. interazione con ogni altra cosa presente nell’Univer-
Sarebbe forse meglio chiamarla interazione dal so), ma non è necessario. È sufficiente osservare che
momento che perché si eserciti occorrono sempre la tendenza manifestata dai corpi è quella secondo
due soggetti: quello che la subisce e quello che la la quale al diminuire dell’intensità dell’interazione
esercita nei confronti dell’altro. Da quanto possia- con altri corpi diminuisce l’accelerazione cui sono
sottoposti.
3
Possiamo sempre trovare un sistema in cui lo sia.
Quest’idea, secondo la quale i corpi tendono a

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12.1. IL PRIMO PRINCIPIO DELLA DINAMICA 155

mantenere il proprio stato di moto invariato in as- in presenza di forze, cambia. In altre parole le forze
senza di forze, è meno evidente di quanto possa sem- producono variazioni dello stato di moto dei punti
brare leggendo queste pagine: quasi tutti tendono a materiali (non producono il loro stato di moto, ma
pensare che per mantenere in moto qualcosa è ne- la sua variazione). Visto che di un punto materia-
cessario operare un qualche tipo di forza o azione le possiamo misurare soltanto la sua posizione e la
che dir si voglia. È esperienza comune, infatti, che sua velocità, il suo stato complessivo è completa-
per spingere qualcosa (un passeggino, il carrello del- mente determinato dallo stato di moto, nel senso
la spesa, una bicicletta, etc.) occorre esercitare una che posizione e velocità sono l’insieme completo del-
forza nei confronti di quella cosa e questa era la le grandezze fisiche indipendenti che si possono mi-
conclusione cui era arrivato anche il famoso filoso- surare su un corpo. Non possiamo misurare altro di
fo greco Aristotele, per cui questa concezione oggi un punto materiale che dipenda solo da esso. Con
si dice Aristotelica. Il primo a confutare aperta- il termine stato in italiano s’intende il modo di
mente questa concezione fu Galileo Galilei, con gli essere di qualcosa: ora la posizione e la velocità di
stessi argomenti portati da noi: in molti casi, una un punto materiale sono entrambe grandezze fisiche
volta esaurito l’effetto della forza, i corpi continua- che caratterizzano completamente il modo di esse-
no a muoversi e anche se il loro moto si esaurisce, re di un punto materiale. L’accelerazione no, perché
questo accade solo perché questi toccano altri corpi non è una caratteristica che il punto possiede, ma
e interagiscono con loro. Per questa ragione il primo è una variazione del suo stato indotta da qualcosa
principio è anche noto come Principio d’inerzia di esterno. Non ha senso parlare di forma o di co-
di Galileo Galilei e non a caso Galilei è conside- lore di un punto materiale perciò queste grandezze
rato il Padre della scienza moderna: prima di allora non sono variabili di stato. La massa lo sarebbe,
nessuno aveva avuto il coraggio necessario per cri- ma fintanto che è costante è inutile considerarla una
ticare le affermazioni di un grande filosofo qual era variabile di stato.
considerato Aristotele. Galilei fu il primo a compor- Se invece di un punto materiale considerassimo un
tarsi da scienziato, che pur nel rispetto del lavoro corpo esteso, allora nello stato potremmo includere
dei suoi predecessori, non li considerava infallibili. la sua forma, per esempio, oppure la sua tempera-
Tutti possono sbagliare (anche noi, naturalmente, e tura. Naturalmente potremmo sempre considerare
per questo non dovreste mai credere ciecamente a il corpo esteso come formato di tanti punti mate-
quel che sta scritto in queste pagine: al netto degli riali per ciascuno dei quali lo stato è definito solo
errori sempre possibili non è escluso che negli anni da posizione e velocità. Lo stato di qualcosa, in fin
si scoprano fenomeni nuovi che c’inducano a rive- dei conti, dipende dal tipo di misura che si esegue,
dere completamente le nostre convinzioni), anche i potremmo dire dal contesto sperimentale.
piú grandi. E non c’è nulla di male: la conoscenza Ora, se ci si pensa un attimo, si capisce che, ad
del mondo è qualcosa che si ottiene in seguito ad esempio, applicando una forza analoga a quella che
esperienze diverse basate sulle osservazioni e il la- si applica a un punto materiale a un oggetto esteso,
voro di molti. Se l’esperienza è limitata è facile che se ne potrebbe causare la modifica della forma, in-
si giunga a soluzioni inesatte. Per questo nessun fi- vece di provocarne lo spostamento. Se si considera il
sico mette in dubbio l’Autorità dei grandi scienziati corpo nel suo complesso, dunque, la forma fa parte
del passato, ma questo non significa che le loro affer- dello stato che è modificabile attraverso una forza.
mazioni siano il Verbo e non si possano confutare. Potremmo definire lo stato come l’insieme delle
Il progresso scientifico ha avuto inizio proprio con grandezze fisiche indipendenti misurabili simulta-
la confutazione, supportata da evidenze sperimenta- neamente di un sistema, che lo caratterizzano com-
li, di quanto sostenuto dagli scienziati che ci hanno pletamente, nel senso che, attraverso la sua cono-
preceduti. scenza, se ne può predire lo stato a un tempo diverso
Lo stato di moto di un punto materiale dunque, da quello nel quale si esegue la misura, note le con-

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12.2. LA MISURA DELLE FORZE 156

dizioni esterne. Si potrebbe obiettare che in questo fermare che l’accelerazione di un punto materiale
modo la posizione e la velocità di un punto materia- sia provocata dal manifestarsi di una forza e dun-
le non possono considerarsi come variabili di stato que dev’essere funzione di questa. In assenza di forze
perché se la velocità non è nulla lo stato del punto un punto materiale si muove sempre di moto retti-
cambia istante per istante. Ma il fatto è che si può lineo uniforme (di cui la quiete è una particolare
sempre trovare un sistema di riferimento nel quale manifestazione).
il punto è fermo. La determinazione del modo di Su un corpo possono evidentemente agire piú for-
essere di una particella non può dipendere da una ze: se spingiamo un tavolino facendolo scivolare sul
nostra scelta, quindi posizione e velocità, anche se pavimento ci dev’essere una forza prodotta dalla
cambiano, sono da considerarsi variabili si stato. spinta che accelera il tavolino nella direzione del mo-
Se estendiamo un po’ il concetto che abbiamo di to, ma se smettessimo di spingere il tavolino si fer-
forza dobbiamo concluderne che, per provocare il merebbe, segno che dev’esserci anche una forza che
decadimento radioattivo di una sostanza c’è biso- il pavimento in qualche modo esercita sulle gambe
gno di una forza, perché se la massa caratterizza lo del tavolo, opponendosi al suo moto. Se non ci fosse
stato della sostanza presa in esame, il cambiamento questa forza, dovuta all’interazione col pavimento,
di questo stato dev’essere il prodotto di un’intera- il tavolino, una volta spinto, continuerebbe a muo-
zione. E ci vuole una forza per cambiare lo stato versi di moto rettilineo uniforme, come del resto fa
termico di un corpo (la sua temperatura). In de- una palla da biliardo una volta colpita dalla stecca.
finitiva potremmo riformulare il primo principio Se a spingerlo sono in due, il tavolino si muove piú
della dinamica nel modo seguente: lo stato di facilmente, segno che l’effetto della forza esercitata
un sistema non si modifica se non in presen- da ciascuno si somma con quello dell’altro. Ma se la
za di interazioni (le quali possono essere prodot- spinta è esercitata dalle due persone in senso oppo-
te da qualcosa di esterno o interno al sistema). In sto l’una all’altra, a meno che una delle due non sia
alternativa possiamo dire che la presenza di in- molto piú intensa dell’altra, il tavolo non si muove
terazioni provoca la modifica dello stato dei affatto.
corpi, a meno che le interazioni non siano ta- Appare abbastanza evidente, da quanto detto,
li da annullare vicendevolmente gli effetti di che la forza deve avere carattere vettoriale, per-
ciascuna. ché è chiaro dagli esperimenti che la direzione e il
In questo senso la definizione di dinamica data a verso in cui si esercita un’azione è importante per
pagina 153 non è del tutto esatta (vedi la nota 1 a caratterizzare gli effetti di quell’azione. Dal momen-
pié di pagina): la dinamica, a rigore, non è lo studio to che le forze provocano l’accelerazione dei punti
delle cause del moto, ma lo studio delle interazio- materiali sembra ragionevole assumere che il vet-
ni che provocano il cambiamento dello stato di un tore forza sia parallelo al vettore accelerazione,
sistema. in questi casi. Una possibilità, quindi, è che si possa
scrivere che

12.2 La misura delle forze F = αa (12.2)


Avendo introdotto il concetto di forza è necessario, con α costante. Visto che tutti gli oggetti cadono
perché se ne possa parlare in questo contesto, darne con la stessa accelerazione è abbastanza naturale
una definizione operativa, come sempre. Per quan- scegliere per α il valore α = 1 e dire che su ogni og-
to ne sappiamo la forza è qualcosa che rappresenta getto libero di muoversi agisce una forza costante di
l’interazione tra due o piú corpi, e nei punti mate- modulo pari all’accelerazione che quell’oggetto su-
riali produce un cambiamento dello stato di moto, bisce cadendo. Questa definizione operativa, però,
vale a dire un’accelerazione. Potremmo quindi af-

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12.2. LA MISURA DELLE FORZE 157

non rende conto di altri fenomeni e in particolare Se k è grande, la forza prodotta dalla molla in
del comportamento delle molle. seguito a una compressione o a un allungamento è
Se si esercita una pressione lungo l’asse di una grande. Questo significa che una molla con k grande
molla, la sua lunghezza si riduce e si dice che si com- è una molla piú rigida di una con k piccolo. Infatti,
prime. Se invece di spingere, tiriamo la molla da per comprimere (o allungare) una molla di ∆x (in
un’estremità, la molla s’allunga. Piú forza mettiamo modulo) è necessario applicare una forza che annul-
nello spingere o tirare e piú la molla si allunga, alme- li l’effetto della forza elastica (il primo principio
no fino a che l’azione esercitata resta all’interno di della dinamica impone che l’accelerazione dell’e-
certi limiti (se l’intensità dell’azione non è abbastan- stremo della molla non sia nulla se non lo è la forza
za grande la lunghezza della molla non si modifica – complessiva applicatagli). Se F è il modulo della for-
provate a farlo con un ammortizzatore d’automobile za esterna applicata, la molla deve reagire con una
provando a comprimerlo con le mani – e se invece forza uguale, che si produce quando è allungata o
è troppo grande la molla si può deformare in modo compressa di
permanente, come si vede stirando eccessivamente
la molla di una penna a scatto). Quando una molla F
∆x = (12.4)
con un’estremità fissata è compressa (o allungata) e k
la sua lunghezza resta costante, evidentemente sul- (abbiamo eliminato il segno e il grassetto perché
l’altra estremità della molla, che si può considera- stiamo considerando solo i moduli). A parità di for-
re un punto materiale, agiscono due forze uguali e za, piú è grande k e piú è piccolo lo spostamento
contrarie: una esterna e l’altra interna alla molla, dell’estremo della molla.
generata dalla molla stessa grazie alle sue proprietà La definizione può sembrare piuttosto approssi-
elastiche. mativa, ma certamente dev’essere valida per allun-
Visto che la spinta che dobbiamo esercitare per gamenti relativamente piccoli. In effetti si potrebbe
comprimere o allungare una molla cresce al cresce- pensare che la forza non sia affatto proporzionale
re della deformazione, potremmo definire l’inten- all’allungamento, ma sicuramente dev’essere funzio-
sità della forza esercitata dalla molla per contra- ne di esso: F = f (∆x). La funzione f può essere
stare quella esterna come proporzionale all’allun- complicata a piacere, ma se ∆x è abbastanza pic-
gamento (o all’accorciamento, che possiamo consi- colo, la funzione (il suo modulo) si può sempre ap-
derare un allungamento negativo) e scrivere, di prossimare con un polinomio di grado opportuno:
conseguenza, che f (∆x) ' f0 + f1 ∆x + f2 ∆x2 + · · · . Di certo, se
l’allungamento è nullo, la forza dev’essere nulla, e
F = −k∆x (12.3) quindi, dovendo essere f (0) = f0 dev’essere f0 = 0.
Se ∆x è sufficientemente piccolo tutti i termini di
dove F rappresenta il vettore forza esercitata dalla
ordine superiore al primo si potranno trascurare per
molla, che chiamiamo quindi forza elastica, diretto
cui possiamo scrivere F ' f1 ∆x, e possiamo sempre
secondo l’asse della molla e in maniera da opporsi
riscrivere f1 come f1 = −k.
all’azione esterna; k dovrebbe essere una costante
In questo modo, misurando l’allungamento della
(che potremmo chiamare costante elastica della
molla (cioè la variazione della sua lunghezza) po-
molla) e ∆x l’allungamento della stessa (o, se vo-
tremmo misurare l’intensità della forza, se conosces-
lete, lo spostamento della sua estremità). Il segno
simo il valore di k, che evidentemente deve dipen-
− indica che il verso della forza è opposto all’allun-
dere dal tipo di molla, perché a parità d’intensità
gamento: se la molla è allungata, la forza esercitata
dell’azione esercitata nei suoi confronti, il risultato
dalla molla è diretta in modo da tentare di accor-
cambia secondo il tipo di molla.
ciarla; se invece la si comprime la forza è diretta in
Naturalmente potremmo scegliere una molla cam-
modo da ripristinare la condizione iniziale.
pione e definire quella una molla con k = 1 in oppor-

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12.2. LA MISURA DELLE FORZE 158

tune unità di misura, ma possiamo fare di meglio. massa di 1 kg la molla si allunga (o si comprime)
Per ora rimandiamo il problema di definire l’unità di ∆x; usando un peso di 2 kg, la molla si allun-
di misura della forza e il suo valore numerico, per ga del doppio. La forza che attrae i corpi verso il
occuparci di verificare che la definizione che abbia- basso, quindi, non può essere descritta dalla rela-
mo appena dato sia coerente con quanto trovato con zione F = α∆x, ma dev’essere proporzionale alla
gli esperimenti. massa del corpo m! Solo così le definizioni operative
Al momento abbiamo due definizioni operative di potranno essere coerenti. Dev’essere dunque
forza: una è quella elastica e l’altra, derivante dalle
osservazioni sulla caduta degli oggetti, che potrem- F = mg (12.5)
mo chiamare di gravità. È chiaro che queste due
dove g è l’accelerazione misurata sperimentalmente
definizioni devono essere coerenti.
con la quale cadono gli oggetti. Vediamo se adesso
Disponendo una molla in modo che il suo asse
le osservazioni sperimentali coincidono con le no-
sia verticale, quel che vediamo è che se si mette un
stre previsioni. Secondo questo modello, applicando
peso sulla sua estremità superiore la molla si accor-
una massa m all’estremità di una molla disposta
cia fino a quando il peso resta fermo. Se la molla è
in verticale l’allungamento, in modulo, è proporzio-
appesa per l’estremità superiore e a quella inferiore
nale a m (sia che si tratti di un oggetto di massa
si attacca lo stesso peso, la molla si allunga della
m, sia che si tratti di n oggetti ciascuno di mas-
stessa quantità. Questo significa che i pesi devono
sa m/n), perché, affinché la somma vettoriale del-
esercitare un qualche tipo di forza sulla molla, che
le forze applicate all’estremità della molla sia nulla
reagisce opponendone una uguale e contraria e, per
dev’essere
farlo, si allunga o si accorcia di una certa quantità.
La cosa appare del tutto ragionevole: nella nostra
mg − k∆x = 0 (12.6)
ipotesi la presenza di forze provoca un’accelerazio-
ne e sappiamo bene che un peso, lasciato libero di da cui segue che
muoversi, accelera verso il basso, il che significa che m
c’è una forza che l’attrae verso quella direzione. Evi- g.
∆x = (12.7)
k
dentemente il peso, appeso alla molla, tenderebbe a
Questa definizione dunque appare soddisfacente. La
cadere perché su di esso agisce la forza di gravità, ma
forza con la quale gli oggetti sono attratti verso il
oltre a questa è presente la forza elastica esercitata
pavimento la chiameremo forza peso4 . A questo
dalla molla. Quando queste due forze sono uguali in
punto, sapendo che l’accelerazione g vale, in modu-
modulo, essendo parallele e avendo versi opposti, a
lo, circa 9.8 ms−2 , la misura della forza si ottiene
un certo punto provocheranno l’arresto del moto del
da una misura di massa eseguita con una bilancia:
peso che a un certo punto non sarà piú accelerato.
basta moltiplicare questa massa per 9.8 per avere la
Visto che l’accelerazione con la quale cade il peso è
misura della forza nel Sistema Internazionale.
costante, dev’esserlo anche la forza che ne provoca
Le forze, dunque, sono grandezze fisiche con le
la caduta. La forza elastica invece diventa sempre
stesse dimensioni di una massa per un’accelerazio-
maggiore quanto piú la molla si allunga.
ne: [F ] = [M LT −2 ] e quindi l’unità di forza nel Si-
Se invece di un peso ne appendiamo due alla mol-
stema Internazionale dovrebbe essere quella cui è
la, quest’ultima si allunga del doppio, coerentemen-
soggetto un peso di 1/9.8 ' 0.1 kg, in modo tale
te con le definizioni date. Se però consideriamo va-
che mg ' 1 kg ms−2 . A questa unità si dà il nome
lida la definizione secondo la quale F = αg con
di Newton in onore del grande scienziato inglese e
α costante, la forza esercitata dal peso sulla molla
si indica con la lettera N maiuscola. Di conseguenza
dovrebbe essere indipendente dal tipo di peso che
usiamo per fare gli esperimenti. Quello che invece Conviene rileggersi, se non l’avete già fatto, il
4

possiamo osservare è che, usando un peso con la Paragrafo 3.1 e la nota a Pag. 18.

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12.2. LA MISURA DELLE FORZE 159

le costanti elastiche delle molle si devono misurare con un’accelerazione piú alta, se avesse la sensibi-
in N/m (Newton per metro). Questa non è una defi- lità adeguata. Sulla Luna, una vera bilancia (che
nizione operativa molto soddisfacente perché è facile confronta due masse) fornirebbe la misura corretta,
dimostrare che l’accelerazione con la quale cadono mentre una bilancia elettronica da cucina fornireb-
gli oggetti è solo approssimativamente costante e be una massa circa sei volte inferiore, perché sul no-
pari a 9.8 ms−2 . In alcuni posti sulla superficie ter- stro satellite l’accelerazione di gravità è piú piccola
restre è un po’ piú alta, in altri un po’ piú bassa, di un fattore sei. Le moderne bilance elettroniche
perciò, per poter dare una definizione corretta, do- di questo tipo non impiegano molle, ma elementi
vremmo anche specificare dove si deve eseguire la piezoelettrici: dispositivi che hanno la proprietà
misura. In ogni caso sarebbe meglio trovare un cri- di produrre una corrente elettrica proporzionale al-
terio diverso per misurare questa grandezza fisica, la compressione esercitata su di essi, che sono piú
perché con il criterio che stiamo adottando possia- precisi e sensibili delle molle.
mo misurare soltanto la forza applicata agli oggetti Con un dinamometro si può misurare qualunque
che cadono. forza: basta applicarla alla sua estremità libera per
Una possibilità consiste nello sfruttare la relazio- averne una misura.
ne secondo la quale Osserviamo che perché gli esperimenti funzionino
è necessario accompagnare in qualche misura l’al-
mg − k∆x = 0 (12.8) lungamento della molla perché altrimenti il punto
quando un peso è legato all’estremità di una molla materiale non si ferma affatto, in certi casi, ma co-
disposta in verticale. In questo caso l’allungamento mincia a oscillare attorno a una posizione di equili-
vale brio che raggiunge solo dopo un po’ di oscillazioni.
Anche questo comportamento è spiegabile alla lu-
∆x =
m
g. (12.9) ce della nostra teoria, con una molla appesa cui
k agganciamo un peso all’estremità inferiore: inizial-
Attraverso questa relazione possiamo costruire uno mente l’allungamento della molla è nullo e dunque
strumento tarato. Scegliamo una molla qualun- non c’è alcuna forza agente sul peso da parte di
que e appendiamo un peso di 1 kg alla sua estremi- questa. Il peso quindi inizia a cadere con l’usuale
tà libera: la molla si allunga (o si accorcia), di ∆x. accelerazione. Ma appena comincia a farlo, la molla
Evidentemente, con un peso di massa pari a 2m, si allunga un po’ e comincia ad agire con una forza
l’allungamento sarà di 2∆x e cosí via. Basta quindi che richiama il peso verso l’alto. Questa forza, fin-
misurare l’ampiezza dell’allungamento per misurare tanto che l’allungamento non è abbastanza grande,
la forza applicata alla molla: per un allungamento non riesce a opporsi al moto di caduta che continua
pari a ∆x, la forza applicata vale 9.8 N. Uno stru- fino a quando la forza peso e quella elastica si ugua-
mento cosí si chiama dinamometro. Un dinamo- gliano in modulo. A questo punto, però, è vero che
metro, quindi, misura le forze attraverso una misura la forza applicata al peso è complessivamente nul-
di lunghezza: l’allungamento (l’accorciamento) dello la, ma il peso possiede una velocità non nulla che,
strumento si traduce in una misura di forza attra- in assenza di forze, non cambia (primo principio
verso una scala di proporzionalità. In effetti quasi della dinamica)! Quindi il peso tende a continuare
tutte le bilance che abbiamo in casa non sono ve- a cadere muovendosi di moto rettilineo uniforme.
re bilance, ma sono dinamometri usati al contrario: Ma appena lo fa l’allungamento della molla aumen-
basta indicare sul display, invece del valore della for- ta e la forza di richiamo pure. Ora quest’ultima è
za, quello della massa che è soggetta alla forza peso maggiore della forza peso, quindi il verso della for-
corrispondente. Questo significa che una comune bi- za totale agente sul peso è rivolto verso l’alto, co-
lancia da cucina indicherebbe una massa un po’ piú me l’accelerazione. Poiché l’accelerazione è diretta
alta nei luoghi della Terra in cui gli oggetti cadono in verso opposto alla velocità questa tende a ridursi

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12.3. IL SECONDO PRINCIPIO DELLA DINAMICA 160

fino a diventare zero, per poi cominciare ad aumen- 12.3 Il secondo principio della
tare nuovamente, ma verso l’alto. Cosí il peso, dopo
aver provocato un allungamento maggiore di quello
dinamica
che provocherebbe se venisse accompagnato, torna A questo punto, avendo la possibilità di produrre
su e supera il livello di equilibrio. Se non interve- forze d’intensità nota perché misurabile, possiamo
nissero altre forze il peso tornerebbe nella posizione cominciare a fare esperimenti con forze di diversa
originale per poi ricominciare a cadere: infatti, una intensità applicate a oggetti diversi per cercare di
volta superato il livello per il quale mg = k∆x, la capire cosa succede nei vari casi. Di sicuro, quel che
forza elastica avrebbe lo stesso verso della forza peso sappiamo è che le forze provocano l’accelerazione dei
e si opporrebbe al moto di salita che continua fino a punti materiali e che tutti i corpi sulla Terra sono
quando la velocità del corpo non diventa nulla per soggetti a una forza diretta verso il basso proporzio-
effetto della corrispondente accelerazione. Dopo un nale alla loro massa. Da quest’ultima osservazione
po’, osserviamo che l’ampiezza delle oscillazioni si ri- si ricava che l’accelerazione con la quale un corpo
duce fino a quando è talmente piccola da non essere cambia il suo stato di moto dipende dalla forza ad
piú apprezzabile e il corpo si ferma in un punto per esso applicata secondo la legge
il quale mg = ∆x. Evidentemente, durante il moto
dell’oggetto intervengono altre forze che si oppon- F
.a= (12.10)
gono sempre al moto: quando il corpo va giú queste m
forze sono dirette verso l’alto e quando va su so- Possiamo facilmente confermare questa predizione
no dirette verso il basso. Dovrebbe trattarsi di forze applicando forze d’intensità nota a oggetti di mas-
del tutto simili a quelle che si osservano quando si fa sa diversa e misurare l’accelerazione risultante. Pro-
strisciare un oggetto su una superficie o a quelle che viamo a congegnare un esperimento per realizzare
provocano gli strani moti degli oggetti molto legge- questo test.
ri che cadono. Se togliessimo l’aria ed eseguissimo Ogni corpo sulla Terra subisce un’attrazione verso
l’esperimento nel vuoto, la durata delle oscillazioni il basso d’intensità pari a mg. Se attacchiamo un
aumenterebbe un po’, segno che in parte queste for- peso di massa m a una molla appesa al soffitto di
ze a carattere dissipativo sono dovute all’interazione costante elastica k la molla si allunga e il sistema è
del dispositivo con l’aria circostante. Una parte delle in equilibrio quando la risultante, cioè la somma
forze dissipative però deve comunque essere genera- vettoriale, delle forze applicate all’estremità della
ta dentro la molla, perché eliminando l’interazione molla è nulla:
con l’aria le forze dissipative non scompaiono del
tutto. mg − k∆x = 0 . (12.11)
In ogni caso il comportamento del sistema si spie-
ga benissimo, quindi possiamo ritenerci abbastanza L’equazione è un’equazione scalare perché stiamo
soddisfatti. Anche se non molto precisa, la defini- considerando solo i moduli dei vettori, visto che tut-
zione operativa che abbiamo dato di forza appare te le forze agiscono lungo la stessa direzione. Se-
ragionevole. Avremo tempo e modo di raffinare un condo quanto scritto sopra l’accelerazione del siste-
po’ questa definizione, che per il momento appare ma dovrebbe essere uguale alla forza applicata di-
del tutto convincente e soddisfacente. viso la massa dello stesso. Ora il sistema è fermo e
quindi l’accelerazione è nulla: se la forza vale zero
altrettanto varrà l’accelerazione.
Se ora colleghiamo il peso di massa m a un car-
rello di massa M attraverso una cordicella (una fu-
ne) che facciamo passare attraverso una carrucola
in modo tale che il peso sia libero di cadere tra-

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12.3. IL SECONDO PRINCIPIO DELLA DINAMICA 161

scinando con sé il carrello, disponiamo di un siste- filmato non riproducibile su questo


ma accelerato grazie all’applicazione di una forza. supporto: digita l’URL nella caption o
In questo sistema il peso funge da sorgente della scarica l’e-book
forza, mentre la cordicella consente di cambiare la Figura 12.1 Le misure descritte nel te-
direzione lungo la quale questa agisce da verticale a sto sono state eseguite gra-
zie a chiavi appese a un lac-
orizzontale. Perché funzioni bene la fune dev’essere cetto che fungevano da pe-
inestensibile, non si deve cioè allungare o contrar- so per trascinare macchini-
re in seguito all’applicazione di una forza: in altre ne giocattolo di massa di-
parole non possiamo usare un elastico al posto della versa. Gli esperimenti sono
fune perché si potrebbe allungare con l’applicazione stati filmati con uno smart-
phone e analizzati con un
del peso a una sua estremità senza che la forza cor- programma di video editing
rispondente si trasmetta al carrello. All’altro capo per misurare i tempi di per-
della fune usiamo un carrello le cui ruote girino sen- correnza e ottenere le ac-
za troppa difficoltà, in modo da ridurre quanto piú celerazioni. Infine si è fat-
to un grafico dell’accelera-
possibile le forze di tipo dissipativo che inevitabil-
zione in funzione dell’inverso
mente si producono quando due oggetti (il carrello della massa della macchini-
e la guida su cui scorre) sono a contatto. L’uso del na. [https://www.youtube.
carrello con ruote permette di ridurre al minimo la com/watch?v=ImYGPlemDTA]
superficie di contatto, ma occorre che le ruote siano
realizzate con una certa cura per evitare che ruotan-
do attorno all’asse producano forze apprezzabili. In qualche maniera annulla l’effetto della forza peso.
alternativa si deve usare qualcosa che scivola, ma È evidente che la sorgente di questa forza deve sta-
in questo caso bisogna aver cura di limitare l’inten- re nella guida che lo sostiene: se questa non ci fosse
sità di queste forze attraverso un’opportuna scelta il carrello cadrebbe. In generale possiamo affermare
dei materiali da impiegare e del tipo di lavorazione che qualunque oggetto tende a cadere verso il bas-
degli stessi. so e se non lo fa è perché c’è un ostacolo che glielo
Se si lascia libero il peso di cadere, il suo moto tra- impedisce e per farlo non può far altro che esercita-
scina con sé il carrello grazie alla fune avvolta sulla re, nei confronti dell’oggetto supportato, una forza
carrucola (anche questa dev’essere particolarmen- uguale e contraria al suo peso. Chiamiamo questa
te buona per rendere trascurabili, almeno su tempi forza reazione vincolare per indicare che si tratta
ragionevolmente brevi, gli effetti delle forze dissipa- di una forza esercitata da un vincolo come rea-
tive). Il peso non cade con accelerazione g, ma piú zione all’applicazione di una forza peso sulla sua
lentamente. Questo significa che sul peso dev’essere superficie.
applicata un’altra forza e l’unica forza che può esse- Il carrello non si muove nella direzione verticale,
re presente è quella dovuta alla presenza del carrello ma lo fa nella direzione orizzontale, trascinato dal
che deve, attraverso la fune, esercitare una forza nei peso che cade. Evidentemente la forza peso dell’og-
confronti del peso. Questa forza evidentemente non getto in caduta è applicata al carrello attraverso la
è abbastanza intensa da annullare gli effetti della fune e questa forza ne provoca l’accelerazione. Non
forza peso, ma lo è per ridurli in modo significativo. è difficile misurare quest’accelerazione. Se il moto,
Anche sul carrello agisce la forza peso che dev’es- come sembra, è uniformemente accelerato e tutto
sere diretta verso il basso: se il carrello pesa M g inizia a muoversi da fermo avremo che
(ora quando diciamo la parola pesa intendiamo di-
re che il suo peso è una forza) dovrebbe muoversi 1
∆x = a∆t2 (12.12)
verso il basso con accelerazione g. Se non lo fa si- 2
gnifica che c’è una forza uguale e contraria che in (stiamo sempre usando soltanto i moduli perché il

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12.3. IL SECONDO PRINCIPIO DELLA DINAMICA 162

F
a= . (12.14)
m+M
Per verificarlo conviene fare un grafico dell’accele-
razione in funzione di 1/(m + M ): in questo modo,
se la relazione che lega a ad m + M è quella ipo-
tizzata i punti dovrebbero allinearsi su una retta
passante per l’origine. Eseguendo un fit lineare su
questo grafico troviamo che in effetti sembra essere
proprio cosí (o quasi). La pendenza della retta vale
F = 0.40 ± 0.06 N. L’intercetta non vale, come ci si
aspetterebbe, zero, ma −1.4±0.7 ms−2 . Questo può
essere dovuto al fatto che al tendere di 1/(m + M )
Figura 12.2 Grafico dell’accelerazione a a zero la massa M tende a infinito, per cui gli espe-
di un corpo di massa M ,
rimenti cominciano a deviare dalle predizioni per
in funzione dell’inverso del-
la massa complessiva 1/(m + masse abbastanza grandi perché è possibile che in-
M ). L’accelerazione è provo- tervengano fenomeni diversi di tipo dissipativo (in
cata dal peso di un mazzo di sostanza aumentano le forze che frenano il moto del-
chiavi di massa m = 55 g la macchinina). Gli errori sperimentali sono grandi
(comprensivo di laccetto).
in questo caso perché la strumentazione usata non è
certamente di tipo professionale: considerando che
abbiamo un’indeterminazione dell’ordine dei 6/100
moto si svolge, per ciascuno degli oggetti, in una di secondo sulla misura dei tempi e accelerazioni
sola direzione). Basta dunque misurare il tempo dell’ordine dei 4 ms−2 , ci aspettiamo che, dopo una
∆t impiegato dal peso o dal carrello per fare uno trentina di cm e 40/100 si secondo, la velocità del
spostamento ∆x per ricavare carrello raggiunga il valore v = at ' 4×0.4 ' 2 m/s,
per cui in 6/100 di secondo percorre una distanza
2∆x
a= . (12.13) x = vt ' 2 × 0.06 ' 12 cm, che corrispondono al
∆t2 40 % circa dello spazio percorso in totale.
Il carrello e il peso hanno la stessa accelerazione, Tutti gli esperimenti che si possono fare con og-
evidentemente. Quella che abbiamo misurato allora getti di massa m che si muovono con accelerazione
è l’accelerazione del sistema formato dal carrello e a in seguito all’applicazione di forze la cui risultante
dal peso. Se eseguiamo le misure in funzione della è F dimostrano che vale sempre
massa totale del sistema m + M , possiamo ricavare
la relazione che lega l’accelerazione dello stesso alla a=
F
. (12.15)
sua massa. Facendo questo grafico si trova qualcosa m
di simile alla Figura 12.25 . Il modo in cui si distri- Vogliamo qui fare alcune osservazioni. Su molti libri
buiscono i punti sperimentali sembra suggerire che di testo l’equazione sopra scritta, che prende il nome
l’andamento ipotizzato sia corretto e cioè che di secondo principio della dinamica o seconda
Legge della dinamica o ancora seconda Legge
5
L’esperimento che ha prodotto i dati in figura è stato
realizzato usando un laccetto per chiavi con attaccati, da una di Newton, è scritta come
parte, un mazzo di chiavi e, dall’altra, macchinine giocattolo
di massa diversa. Il tutto è stato ripreso con uno smartphone F = ma . (12.16)
e analizzato grazie a un programma di video editing.
Naturalmente, dal punto di vista matematico, le due
scritture sono del tutto equivalenti. Ma dal punto di

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12.3. IL SECONDO PRINCIPIO DELLA DINAMICA 163

vista fisico no. Quando scriviamo che F = ma, im-


plicitamente affermiamo, in qualche maniera, che la
forza è il prodotto della massa per l’accelerazione di
un corpo. Questo, naturalmente, non è vero: la forza
è qualcosa di diverso. È la manifestazione di un’in-
terazione che peraltro non si manifesta sempre at-
traverso un’accelerazione. Un corpo potrebbe essere
soggetto a forze e non muoversi. Quando abbiamo
scritto che F = mg nell’equazione (12.5) intendeva-
mo proprio dire che la forza che agisce su un corpo
di massa m in seguito alla sua interazione con la
Terra, che evidentemente l’attrae a sé, è proporzio-
nale alla massa del corpo m per un vettore costante
g.
Scrivendo, invece, che a = F/m intendiamo dire
che l’accelerazione che si può misurare su un corpo
è un vettore che ha le stesse componenti del vettore
forza divise per la massa del corpo che la subisce.
Un’immediata conseguenza di tutto questo è che
possiamo scrivere che
mg
a= = g, (12.17)
m
e cioè che l’accelerazione di un corpo lasciato libe-
ro di cadere si ottiene dividendo la forza applicata
mg per la sua massa m: il corpo dunque si muove
con accelerazione g. Quest’accelerazione è costante,
quindi questa è l’accelerazione con la quale cadono
tutti gli oggetti sulla Terra.

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Unità Didattica 13
La forza sia con te

farla muovere provocando il cambiamento di posi-


Prerequisiti: dinamica elementare zione e velocità. In ogni caso lo stato della scatola
non cambia in assenza in forze.
Nel Capitolo 12 si vede come il cambiamento dello Il volume di aria contenuta in un palloncino si
stato dei punti materiali si può ottenere attraverso riduce attraverso l’applicazione di una forza che lo
l’applicazione di forze. Ricordiamo che lo stato di schiaccia, quindi il volume è una variabile di stato
un corpo è determinato quando si conoscano tutte per il gas contenuto.
le grandezze fisiche tra loro indipendenti che si pos- In questo capitolo ci occupiamo di stabilire la for-
sono misurare su un corpo simultaneamente, che lo ma delle varie forze che possiamo sperimentare in
caratterizzano completamente. Di un punto mate- Natura. Con questo intendiamo dire che dovremmo
riale si possono conoscere, attraverso una misura, la cercare espressioni che permettano di scrivere il vet-
posizione e la velocità. Altre grandezze fisiche non tore forza in funzione di altre grandezze fisiche, che
hanno molto senso: per esempio non si può parla- si possono misurare.
re di temperatura o di colore di un punto mate- Anche in questo capitolo, come in molti altri, in
riale, perché assumiamo che il punto sia privo di certi casi ci limitiamo a illustrare i princípi fisici
estensione spaziale (d’accordo, si tratta di un’ap- su cui si basano le nostre ipotesi, senza scendere in
prossimazione, ma se la facciamo dobbiamo trarne tutti i dettagli della soluzione di un dato problema;
le conseguenze). L’accelerazione non dipende dalla in altri casi i dettagli sono dati e possono apparire
velocità né dalla posizione del corpo, ma velocità e complicati per la maggior parte degli studenti. La-
posizione dipendono dall’accelerazione, perciò que- sciamo all’insegnante la responsabilità di approfon-
st’ultima non è una variabile di stato. La massa dire quei temi che riterrà opportuno (per esempio
potrebbe invece esserlo, ma fintanto che è costante trattando in dettaglio molti piú casi sul paragra-
non vale la pena considerarla come tale. Se potesse fo relativo alle conseguenze della forma della forza
cambiare lo sarebbe, naturalmente. peso) o di ignorare alcuni passaggi matematici com-
In seguito all’applicazione di una forza lo stato plessi (come per esempio la soluzione dell’equazione
dei corpi cambia: di conseguenza sui punti materia- dell’oscillatore armonico). La scelta fatta non ha al-
li, il cui stato è l’insieme delle variabili posizione e cun valore di giudizio di merito: l’autore stesso, nelle
velocità, le forze provocano accelerazioni che fanno sue lezioni, svolge usualmente diversi esercizi relati-
variare l’una e l’altra. vi al moto di corpi soggetti alla forza peso e talvolta
Su oggetti diversi lo stato può essere determina- trascura i dettagli della soluzione di un’equazione.
to da altre grandezze fisiche: lo stato di una scatola La scelta è stata fatta al solo scopo di evitare d’in-
di scarpe, per esempio, è determinato dalla posizio- cludere questioni che si trovano identiche su tutti i
ne e dalla velocità, ma anche dalla sua forma. Se libri e, al contempo, dare spazio ad altre piú difficili
esercitiamo una forza nei confronti di una scatola da trovare. Nel primo caso quindi abbiamo omesso i
ferma possiamo schiacciarla provocandone un cam- dettagli perché riteniamo che nella soluzione di pro-
biamento di stato (perché ne cambiamo la forma) o blemi classici come il trascinamento di un carrello
13.1. LA FORZA PESO 166

da parte di un peso lungo un piano inclinato non ci qualche variabile x che magari si può approssimare
sia nulla di fondamentale, anche se è un utile eserci- con un polinomio f (x) ' f0 + f1 x + f2 x2 + · · · di cui
zio; nel secondo abbiamo voluto fornire l’opportuni- noi riusciamo solo a misurare il termine costante
tà di comprendere piú a fondo la tecnica risolutiva f0 = mg per mancanza di sensibilità. Può essere.
e un’alternativa alla soluzione servita come tale. La Non lo escludiamo.
tecnica proposta permette inoltre di anticipare risul- Avrete sicuramente visto in TV o su Internet che
tati dell’analisi matematica per quegli studenti che gli astronauti a bordo della Stazione Spaziale Inter-
non l’avessero ancora affrontata, mentre per coloro nazionale sembrano fluttuare senza peso a bordo di
che già la conoscono rappresenta un’utile variante. quel mezzo. È come se lassú la forza che attrae le
cose verso il basso non ci fosse.
Però ricompare quando ci si allontana ancora di
13.1 La forza peso piú dalla superficie terrestre: per esempio sulla Luna
le cose cadono con un’accelerazione che è circa sei
Ogni corpo, qualunque sia la sua forma, il materiale
volte inferiore a quella con cui cadono sulla Terra,
di cui è fatto, la sua temperatura, le sue dimensioni,
ma cadono.
etc., è sempre soggetto, almeno qui sulla Terra, a
Questo comportamento pare un po’ bislacco. In-
una forza che lo attrae sempre verso il basso che si
tendiamoci: nulla vieta, come sempre, all’Universo
può scrivere nella forma
di comportarsi come crede. Potrebbe benissimo es-
sere che la forza peso agisca solo entro una distanza
F = mg . (13.1)
relativamente piccola dalla superficie di un piane-
Alla luce della seconda Legge della dinamica, la for- ta per poi sparire del tutto e improvvisamente, ma
ma di quest’espressione implica che l’accelerazione sembra piú plausibile che una cosa del genere esau-
con la quale cadono i corpi è costante e indipen- risca gradualmente il suo potere attrattivo. È possi-
dente dal corpo. Ci sono eccezioni a questa legge, o bile che tale potere, a partire da una certa quota in
almeno cosí sembra: se si lascia cadere un foglio di poi (che dev’essere molto alta), cominci a diminuire
carta questo non cade affatto come sopra descritto. rapidamente, ma non improvvisamente. E il fatto
Se però si esegue l’esperimento sotto una campa- che l’astronauta fluttua senza peso farebbe pensare
na nella quale è stato praticato il vuoto, cioè è stata che questa forza è sprigionata dai pianeti, non da
eliminata tutta l’aria con l’ausilio di una pompa, il oggetti come la Stazione Spaziale. Che tuttavia è
foglio sembra cadere come previsto1 . Questo fareb- fatta di materiali presenti sulla Terra, quindi se la
be pensare che il foglio di carta cadrebbe secondo la forza si sprigiona dalla Terra deve provenire da qual-
Legge di Newton, ma in condizioni ordinarie non che tipo di sostanza cui non abbiamo accesso (ma-
lo fa perché evidentemente l’aria che lo circonda gari è solo all’interno della Terra, sotto la crosta),
in qualche maniera glielo impedisce: costituisce in altrimenti ci aspetteremmo che la Stazione Spaziale
qualche modo un ostacolo al suo moto naturale. produca lo stesso tipo di attrazione. Anche se, a dire
Nello scrivere una legge del tipo F = mg può il vero, potrebbe dipendere dalle dimensioni: in fin
venire in mente che in effetti questa potrebbe essere dei conti la Luna è molto piú piccola della Terra e la
semplicemente una prima approssimazione di una forza peso sulla Luna è significativamente piú picco-
legge piú complicata. Potrebbe, in effetti, essere che la. La Stazione Spaziale è infinitamente piú piccola
l’espressione della vera forza che agisce sui corpi della Terra, quindi è possibile che la forza peso che
non sia mg, ma una funzione (vettoriale) f (x) di sprigiona sia altrettanto microscopica.
Per capire meglio questa cosa abbiamo bisogno
1
Naturalmente, per fare quest’esperimento occorre un la-
boratorio con un minimo di attrezzatura idonea e non è
di altri dati e altri esperimenti. Per il momento pos-
possibile farlo in maniera casalinga. Fidatevi. siamo considerare quella scritta come l’espressione
corretta.

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13.1. LA FORZA PESO 167

al Capitolo 10.5. Usando un sistema di riferimento


come quello mostrato in Figura 13.1 possiamo scri-
vere che sul corpo che scivola (il tappo rosso di una
bottiglia di plastica) agisce la forza peso con com-
ponenti Fg = (0, −mg, 0) e la reazione vincolare
del piano che in principio ha due componenti non
nulle, perché il corpo nella direzione perpendicolare
alla figura non si muove, quindi la sua accelerazione
Figura 13.1 Un oggetto che cade lungo deve restare nulla lungo l’asse 3: R = (R1 , R2 , 0).
un piano inclinato, soggetto L’equazione di Newton ci dice che
a due forze: il suo peso Fg e
la reazione vincolare R.
ma = Fg + R (13.2)
che si può riscrivere come una coppia di equazioni
13.1.1 Conseguenze della forza peso scalari (la terza equazione è l’identità 0 = 0):
(
La forza peso provoca la caduta dei corpi. Poiché ma1 = R1
(13.3)
la forza peso agisce solo nella direzione verticale, ma2 = −mg + R2
un corpo che abbia una velocità iniziale non nulla
orientata in modo qualsiasi seguirà una traiettoria In questo modo il corpo si muove con accelerazione
avente la forma di una parabola, a meno che non sia non nulla lungo la direzione 1 e lungo la direzio-
presente qualche vincolo, cioè qualcosa che impe- ne 2, che è quel che si osserva sperimentalmente.
disce che il moto si svolga lungo certe direzioni. Per Evidentemente R1 6= 0 perché lo spostamento lun-
rappresentare un vincolo si può immaginare che esso go la direzione 1 aumenta al passare del tempo, e
produca una forza tale da produrre la variazione del- mg > R2 , in modulo, perché lo spostamento avviene
la velocità indotta dalla presenza del vincolo stesso: verso il basso, con accelerazione rivolta nello stesso
questa forza la chiamiamo reazione vincolare. modo.
Vediamo alcuni esempi notevoli, iniziando da un La forza di reazione vincolare si può pensare co-
caso semplice: un oggetto posto su un piano. Sull’og- me la somma di due forze tra loro perpendicolari:
getto, evidentemente, agisce la forza peso mg che ne R = R1 +R2 = (R1 , 0, 0)+(0, R2 , 0), riportate nella
provocherebbe l’accelerazione verso il basso a = g. figura.
Se non si muove è perché evidentemente la superfi- Conosciamo il valore di g = 9.8 ms−2 , ma non
cie del tavolo esercita sull’oggetto una forza pari a quello delle componenti di R, quindi in questo modo
−mg, cosí che la risultante di tutte le forze applicate non potremmo calcolare le componenti di a, da con-
sia nulla e se l’oggetto era fermo resta tale. È facile frontare con quelle misurate. Analogamente a quan-
trovare l’espressione della reazione vincolare: dev’es- to fatto per la reazione vincolare possiamo riscrivere
sere tale da annullare la componente della forza per- la forza peso come somma di due forze N e T, tali
pendicolare al vincolo, in modo tale che un ogget- che
to con velocità qualunque si possa muovere tangen-
zialmente al vincolo, ma non perpendicolarmente a Fg = N + T (13.4)
esso. Osservando che il modulo del membro di sinistra
Sollevando il tavolo da un lato l’oggetto comincia dell’equazione (13.4) dev’essere uguale a quello di
a scivolare giú. Se l’oggetto è sufficientemente pic- destra, dev’essere
colo e liscio possiamo trascurare le forze dissipative
che si oppongono al suo moto, come quelle osservate F2g = (N + T)2 (13.5)

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13.1. LA FORZA PESO 168

e cioè che la direzione del moto l’accelerazione è determinata


solo dalla componente tangente della forza peso:
F2g = N2 + T2 + 2N · T . (13.6)
maT = mg sin θ . (13.10)
Il quadrato di un vettore è uno scalare pari al qua-
drato del suo modulo, mentre il prodotto scalare tra Ora possiamo ricavare l’accelerazione misurata
N e T è N T cos φ dove φ è l’angolo compreso tra i lungo il piano inclinato aT che vale
due vettori. Poiché la scelta di come orientare N e
T è arbitraria, possiamo sempre fare in modo che φ aT = g sin θ . (13.11)
sia uguale a 2 in modo tale che cos φ = 0 e quindi
π
Quando è stata ripresa la fotografia della Figu-
N · T = 0. Cosí si ottiene che
ra 13.1 abbiamo misurato la lunghezza della coper-
tina del quaderno che fungeva da piano inclinato
m2 g 2 = N 2 + T 2 . (13.7)
pari a ` = 302 ± 1 mm e l’altezza della scatola che
Sfruttando l’identità goniometrica per cui cos θ + era h = 190 ± 1 mm. Questo significa che, essendo
2

sin2 θ = 1, per ogni θ, possiamo scrivere che ` sin θ = h,


h 302
= ' 0.6291 ,
sin θ = (13.12)
2 2 2 2 2 2
m g cos θ + m g sin θ = N + T 2 2
(13.8) ` 190
con un errore relativo che dev’essere dell’ordine di
identificando mg cos θ con N e mg sin θ con T . Se
per θ si prende l’angolo formato dal piano inclina- σsin θ σh σ`
= + ' 0.00862 (13.13)
to con l’orizzontale, i vettori N e T sono proprio sin θ h `
quelli indicati nella Figura 13.1. Sono cioè orientati Possiamo dunque scrivere che
in modo da essere l’uno normale al piano e l’altro
tangente. sin θ = 0.6291 ± 0.0054 . (13.14)
Possiamo quindi prendere questo risultato come In questa maniera l’accelerazione con cui è previsto
una regola da seguire: le forze agenti su un sistema muoversi il tappo lungo il piano inclinato è
si scompongono lungo due direzioni mutuamente
perpendicolari, in modo tale che una componente
sia normale e l’altra tangente al moto. I valori dei aT = g sin θ ' 9.8 × 0.6291 ' 6.17 ms−2 . (13.15)
moduli delle componenti sono facili da ricavare con
la trigonometria, se si disegnano i vettori in questio- Poiché l’errore su sin θ è minore dell’1 % mentre
ne sul piano. In questo modo, la componente norma- quello su g che conosciamo per ora con un’indeter-
le al moto della risultante delle forze non può pro- minazione dell’ordine di ±0.1 è del 10 %, l’errore su
durre alcuna accelerazione e quindi dev’essere nulla. aT sarà dello stesso ordine di grandezza per cui
Questo significa che
aT = 6.17 ± 0.62 ms−2 . (13.16)
R = N = mg cos θ . (13.9) Se confrontiamo questo valore con il valore a =
Quest’informazione è del tutto irrilevante perché a 6.71 ± 0.07 ms−2 misurato al Paragrafo 10.7, ve-
noi non interessa praticamente mai conoscere il va- diamo che i due numeri sono perfettamente compa-
lore dell’intensità di un vincolo. Questa, infatti, si tibili. In effetti |a − aT | = 0.54 è sicuramente entro
adatta alle condizioni (in un certo senso l’introdu-
Avremmo dovuto usare la somma in quadratura perché le
2
zione del vincolo è un trucco matematico per impor- due misure sono indipendenti, ma usando la somma ordinaria
re la validità della Legge di Newton ai casi di assenza sovrastimiamo un po’ l’errore il che ci permette d’includere,
di moto). Ma d’altra parte ora sappiamo che lungo anche se in modo incontrollato, un po’ di sistematica.

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13.2. LE FUNI 169

una deviazione standard (che nel caso della differen-  c


za ricordiamo essere la radice di σa2 + σa2T ) che vale 
 x1 = vt
1

0.62. (13.20)
xc2 = − gt2 .
Ciò dimostra che la teoria formulata funziona. 
 2
La forza peso effettivamente si può scrivere come
 c
x3 = 0
F = mg. Un’importante conseguenza di questa for- Si vede subito che, se entrambi gli oggetti si trovano
ma della forza è, come abbiamo già detto, che tutti inizialmente a un’altezza h dal suolo, l’istante in cui
gli oggetti sulla Terra cadono con la stessa accelera- toccano terra si trova imponendo che x2 = −h e cioè
zione3 . Vale la pena approfondire la questione per- per
ché molto spesso si tende a credere che un oggetto
possa cadere solo quando si muove in verticale. In 2h
t2h =
. (13.21)
realtà, qualunque oggetto libero cade e lo fa con g
la stessa accelerazione: dal mazzo di chiavi lasciate Quindi sia il proiettile sia il mazzo di chiavi impie-
andare al proiettile sparato con un fucile. Entrambi gano esattamente lo stesso tempo a cadere: l’unica
gli oggetti toccheranno il suolo nello stesso istante. differenza è che il mazzo di chiavi cade verticalmen-
Infatti l’equazione di Newton nei due casi si scrive te e atterra, dopo th secondi nel punto di coordinata
sempre x1 = 0, mentre il proiettile tocca terra nel punto di
F coordinata
a= (13.17)
m r
2h
che, nel caso del mazzo di chiavi lasciate andare da x1 = v . (13.22)
c
ferme, si scompone nelle equazioni scalari
I proiettili di un fucile escono dalla canna con una
velocità alla volata, come si chiama la velocità
 c
 a1 = 0
con la quale un’arma da fuoco espelle il proiettile

ac2 = −g (13.18)
 ac = 0
 in uscita dalla canna, dell’ordine dei 900 m/s. Se si
3 tiene l’arma a circa 1.60 m di altezza, il proiettile
per cui le coordinate della posizione raggiunta al impiega
tempo t sono (se si considera il punto iniziale
nell’origine degli assi) s r
2h 2 × 1.60
 c th = = ' 0.57 s (13.23)

 x1 = 0 g 9.8
1

xc2 = − gt2 . (13.19) a cadere. In questo tempo il proiettile ha raggiunto
2
una distanza orizzontale pari a


 c
x3 = 0
Nel caso del proiettile l’equazione di Newton è la
stessa, visto che le forze agenti sono le stesse. L’u- x1 = vth ' 900 × 0.57 = 513 m . (13.24)
nica differenza è la velocità iniziale del proiettile
che non è nulla, ma è v = (v, 0, 0). La posizione Resta il fatto che il volo delle chiavi in caduta libera
raggiunta al tempo t dal proiettile dunque è e del proiettile hanno la stessa durata.
3
Fatta eccezione per oggetti molto leggeri per i quali però
pensiamo che siano altre forze quelle responsabili del diver- 13.2 Le funi
so modo di cadere: forze che per gli oggetti piú pesanti si
possono trascurare. Nel Paragrafo 12.3 abbiamo accennato a un espe-
rimento nel quale due oggetti sono legati da una

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13.2. LE FUNI 170

fune. Fino a quando gli oggetti sono legati e sono


semplicemente appoggiati sulla superficie del tavo-
lo sulla fune non agisce alcuna forza, se non il suo
peso. Se gli oggetti connessi agli estremi della fune
si possono considerare punti materiali, lo stesso
non si può dire della fune, a meno che non sia dav-
vero molto corta. È quindi difficile capire come si
debba trattare questo caso, visto che per il momen-
to ci stiamo occupando solo di corpi che si possono
assimilare a oggetti senza estensione spaziale.
Una maniera di rimandare la trattazione di que-
sto problema a quando avremo imparato a lavorare
con i corpi estesi consiste nell’assumere che la corda Figura 13.2 Le banane appese alla fune
esercitano sulla porzione di
sia priva di massa: naturalmente questo non è pos- corda legata alla frutta una
sibile, ma se la massa della fune è molto piú piccola forza diretta verso il basso,
delle masse dei due oggetti legati ai suoi estremi, si corrispondente al peso del-
tratta di un’approssimazione ragionevole. È chiaro le banane. Affinché la fune
che uno spago di poche decine di centimetri di lun- si tenda è necessario che al-
la stessa porzione di corda
ghezza non potrà alterare il moto di due corpi di sia applicata una forza diret-
massa dell’ordine del kg. ta verso l’alto, evidentemente
Le funi dunque andranno considerate prive di prodotta dalla corda stessa.
massa: se l’approssimazione non fosse valida non po-
tremmo trattare il problema con la matematica che
conosciamo. corda si tende. Poiché lo stato della corda cambia
Un’altra caratteristica importante in questo tipo (da floscia a tesa) dev’essere intervenuta una qual-
di moto è che la fune sia inestensibile: la sua lun- che forza. In effetti non è difficile immaginare che,
ghezza non deve variare entro il limite degli errori dal lato in cui è legato il peso lasciato libero di ca-
sperimentali. Se invece di una fune collegassimo le dere, la forza che agisce sulla corda è la forza peso
due masse del Paragrafo 12.3 con un elastico, il mo- dell’oggetto (le banane in Fig. 13.2). Ma se le cose
to del sistema non sarebbe piú quello descritto: pre- fossero cosí semplici ci si dovrebbe aspettare che il
sumibilmente il peso lasciato libero comincerebbe capo della corda (o l’intera corda) subisca un’acce-
a cadere provocando l’allungamento dell’elastico e lerazione infinita, dal momento che la sua massa è
solo quando l’elastico avrà raggiunto una certa lun- nulla. È chiaro che non è cosí: quando la corda è
ghezza il peso attaccato all’altro capo comincerà a tirata da un capo, la porzione di fune (nel riquadro
muoversi, ma potrebbe farlo in modo non del tutto azzurro nella figura di sinistra) su cui agisce la forza
prevedibile. Non sapendo come trattare questo caso effettivamente si sposta, ma con un’accelerazione fi-
assumiamo dunque che le funi siano inestensibili: se nita, perché la porzione di fune adiacente (indicata
non lo fossero non potremmo prevedere il moto del col riquadro azzurro nella figura di destra) evidente-
sistema. mente esercita una forza che la trattiene. Se questa
Se la fune è adagiata sulla superficie del tavolo forza non ci fosse la porzione di fune legata al peso
evidentemente su essa non agisce alcuna forza (na- potrebbe tranquillamente staccarsi dal resto: se non
turalmente agisce la forza peso che la tiene incollata lo fa è perché c’è una forza che lo impedisce. Que-
alla superficie del tavolo, ma stiamo supponendo che sta forza deve nascere dalla stessa fune ed è quella
sia piccolissima: tanto da poter essere trascurata). che le permette di assumere la forma che ha. Se,
Se però si lascia libero uno dei pesi di cadere, la

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13.2. LE FUNI 171

come supposto, la corda è formata da tanti piccoli sioni sono uguali in modulo per farle sparire combi-
corpuscoli, questi devono restare gli uni vicini agli nando opportunamente, attraverso la matematica,
altri in ben determinate posizioni per dare la forma le equazioni del moto.
all’oggetto. Se se ne sposta uno si devono spostare
tutti gli altri e per questo è necessario che ciascun 13.2.1 L’esperimento del carrello
corpuscolo eserciti una forza almeno sui suoi vicini,
altrimenti, esercitando una forza su uno solo di es- Il Filmato 12.1 mostra una serie di esperimenti in
si, questo si muoverebbe staccandosi dal resto della cui una macchinina giocattolo è trascinata da un
corda che rimarrebbe immobile. laccetto cui sono appese alcune chiavi. Analizziamo
A sua volta la porzione di corda (evidenziata in il problema alla luce di quanto imparato. Sulle chia-
azzurro nella parte destra della figura) che eserci- vi agiscono due forze: la forza peso Pm = mg e la
ta la forza sull’estremo è tirata da quella attaccata tensione del laccetto T. Sulle macchinine, ciascu-
al peso e, dall’altro lato, dalla porzione di corda ad na di massa M , agisce invece solo la tensione del
essa adiacente. È chiaro che, poiché ciascuna porzio- laccetto, che dev’essere uguale, in modulo, a quella
ne di corda si muove con la stessa accelerazione, la che agisce sulle chiavi (la forza peso delle macchine
coppia di forze agenti su ciascuna porzione dev’es- è annullata dalla reazione vincolare esercitata dal
sere la stessa in modo tale che la somma vettoriale tavolo).
della forza rossa e di quella verde in figura deter- Entrambi i corpi si muovono con la stessa
mini un cambiamento di stato identico per ciascuna accelerazione a, che per le chiavi si scrive
porzione di corda.
F mg − T
Ora, dal momento che il moto della corda non a= = (13.25)
c’interessa piú di tanto (e che comunque è per certi m m
versi identico a quello degli oggetti ad essa collega- e per la macchina
ti), possiamo ignorare la presenza di tutte queste
T
forze (tanto piú che stiamo assumendo che la corda .
a= (13.26)
M
sia priva di massa) e considerare soltanto la forza
che la corda esercita sull’oggetto legato a uno dei Da quest’ultima relazione possiamo ricavare il va-
suoi capi (le banane) e quella esercitata sull’oggetto lore di T = M a che, sostituito nella relazione che
collegato al capo opposto. Per quanto detto queste fornisce a per le chiavi, dà
due forze devono essere uguali e contrarie, perché mg − M a
altrimenti la corda si muoverebbe con accelerazio- a= . (13.27)
m
ne infinita (o comunque diversa da quella degli altri
Basta qualche semplice passaggio matematico per
oggetti). A questo tipo di forze si dà il nome di
riscrivere quest’equazione come
tensione della fune.
In definitiva possiamo schematizzare il problema m
a=g
. (13.28)
ignorando del tutto quel che succede alla corda, ma m+M
trattando la fune come qualcosa che esercita due for- Nell’esperimento la massa delle chiavi era m =
ze uguali e contrarie ai suoi capi, quando è tesa, che 55±1 g, quindi ci aspettiamo che, connettendole at-
chiamiamo tensione. Tutte le volte che due oggetti traverso una fune a una macchina da una quarantina
sono vincolati a un qualche tipo di fune, dunque, di grammi, provochino un’accelerazione dell’ordine
ci si deve ricordare che questa esercita sugli oggetti di
connessi ai suoi capi una forza, la cui intensità ci è,
evidentemente, del tutto ignota. a ' 9.8
55
' 6 ms−2 , (13.29)
Questo però non limita le nostre possibilità di 55 + 40
previsione. In effetti basta sapere che le due ten-

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13.3. LA FORZA ELASTICA 172

non lontana da quelle misurate. Notate, in quest’ul- tornare alla forma e alle dimensioni originali se l’ef-
timo passaggio, che non ci siamo preoccupati di con- fetto di questa forza cessa. Ora, poiché quando si
vertire le unità di misura della massa in unità del smette di applicare la forza esterna, in assenza di
SI, perché comparendo le masse in un rapporto que- altre forze lo stato del sistema dovrebbe rimanere
sto è adimensionale. Naturalmente, però, facendolo lo stesso, se questo cambia (e cambia perché l’ela-
avremmo ottenuto lo stesso risultato col vantaggio stico e la molla tornano alla lunghezza originale)
di aver preso una buona abitudine, per quanto, in significa che esiste qualche forza che provoca que-
certi casi, inutile. sta variazione. Non essendoci piú, per definizione,
Il fit ai dati sperimentali restituisce il valore mg = forze esterne, le forze che producono il ritorno al-
0.40 ± 0.06 N, da confrontare con il valore previsto lo stato originale non possono che essere interne al
di mg = 0.55 ± 0.01 N che dista circa due deviazioni dispositivo elastico.
standard da quello trovato sperimentalmente. Con- D’altra parte l’esistenza di queste forze si desume
siderata l’inaccuratezza della strumentazione utiliz- anche dal fatto che, all’aumentare della deformazio-
zata è un buon risultato. Va anche considerato che ne subíta, la forza esterna necessaria per provocare
la massa di 55 g citata si riferisce alla somma del- una deformazione ulteriore aumenta: all’inizio è fa-
la massa del laccetto e delle chiavi. La massa delle cile allungare un elastico, ma piú si allunga e piú
sole chiavi è di 40 g, quindi quella del laccetto non diventa difficile continuare a farlo. Segno che una
è trascurabile, il che significa che la forza che agi- qualche forza si sta opponendo a quella che tende-
sce sul carrello è solo approssimativamente costante rebbe ad allungarlo ancor di piú. Le diverse forze
nel corso dell’esperimento e aumenta al passare del di questa natura prendono il nome di forze elasti-
tempo, perché una porzione sempre piú grande di che. In generale una forza di tipo elastico è una for-
laccetto è soggetta alla forza peso. Usando il valore za che si produce all’interno di qualche dispositivo
minimo per mg = 0.40 troviamo che il risultato spe- che si oppone alle variazioni di forma e dimensioni
rimentale e quello teorico coincidono perfettamente. di quel dispositivo e che tende a farlo tornare nello
Un valore piú onesto potrebbe essere dato dal peso stato iniziale, una volta cessato l’effetto delle forze
medio (0.40+0.55)/2 ' 0.48 N, per il quale abbiamo esterne.
una discrepanza tra misure e previsioni di Sono diversi i dispositivi che si possono classifica-
re come elastici: a parte elastici e molle, evidente-
0.48 − 0.40 mente qualunque oggetto di dimensioni sufficiente-
√ ' 0.9 . (13.30)
0.062 + 0.052 mente grandi e dalla forma opportuna presenta un
Il risultato sperimentale è cioè compatibile entro qualche grado di elasticità. Se prendete una comune
una deviazione standard da quello teorico4 . penna per le estremità e le tirate verso il basso la
penna s’incurva e, se non avete tirato troppo for-
te, dopo aver rilasciato la tensione, la penna torna
13.3 La forza elastica ad assumere la forma che aveva all’inizio. Lo stesso
vale per una riga o una trave di ferro. Anche un ma-
Al paragrafo precedente si parla della necessità di terasso, una poltrona, una pallina di gomma, etc.,
usare funi inestensibili per evitare i problemi de- sono tutti oggetti che possiedono proprietà elastiche
rivanti dall’uso di strumenti la cui forma non sia entro certi limiti.
costante, come gli elastici. Un elastico o una molla Quello che si capisce sperimentando queste pro-
hanno entrambi la proprietà di deformarsi (cambia prietà con diversi oggetti è che la deformazione pro-
il loro stato) in presenza di una forza esterna e di vocata dalla forza esterna è proporzionale, entro cer-
4
Abbiamo rozzamente stimato in 0.05 N l’errore da ti limiti, all’intensità della forza stessa. In una mol-
attribuire al peso teorico, come un terzo dell’ampiezza la, l’allungamento ∆x è funzione dell’intensità della
dell’intervallo tra il minimo e il massimo. forza F applicata agli estremi

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13.3. LA FORZA ELASTICA 173

Legge di Hooke dal nome di Robert Hooke che


∆x = f (F) . (13.31) la formulò alla fine del 16005 .
L’importanza dello studio delle forze elastiche na-
In linea di principio la funzione f potrebbe esse-
turalmente va ben al di là dell’analisi del moto delle
re qualunque, ma il modulo di ∆x si potrà sempre
molle o degli elastici. Che c’importa, in fondo, di
scrivere come un polinomio se l’intensità F di F è
sapere cosa succede a una molla quando l’allunghia-
abbastanza piccola:
mo? Il fatto è che quella elastica ha un’espressione
che è quella che hanno tutte le forze che possiamo
|∆x| ' a0 + a1 F + a2 F 2 + a3 F 3 + · · · (13.32) pensare di sperimentare quando le grandezze fisiche
che la determinano sono abbastanza piccole. Il ra-
Ora, se la forza applicata è nulla F = 0 e la defor- gionamento fatto si può rovesciare in questo modo:
mazione è nulla, quindi dev’essere a0 = 0. Quindi se F è una forza ignota che provoca l’alterazione (la
avremmo che, per F abbastanza piccola variazione) di una grandezza fisica x, ∆x, in linea di
principio può essere una funzione qualunque di que-
sta grandezza fisica. Se ci mettiamo in condizioni di
|∆x| ' a1 F + a2 F 2 + a3 F 3 + · · · (13.33) operare con una forza di questo genere in modo tale
che la variazione ∆x sia piccola, possiamo sempre
Ma se F è piccola F 2  F e a maggior ragione scriverla come un polinomio il cui termine noto sia
F 3  F e cosí via, perciò tutti i termini di ordi- nullo, se in assenza di forza la grandezza fisica x non
ne superiore al primo si possono trascurare per- cambia. Al limite, l’intensità della forza si può ren-
ché contribuiranno allo spostamento in modo tale dere abbastanza piccola da rendere trascurabili tutti
da non essere misurabili dai nostri strumenti. In i termini superiori dello sviluppo e di conseguenza
definitiva, quindi, possiamo scrivere che avremo che

|∆x| ' a1 F (13.34) F = α∆x (13.37)


e quindi possiamo scrivere con α costante (che nel caso della molla è negativa
e vale −k).
∆x = a1 F (13.35) Nota l’espressione di F, cerchiamo di analizzare il
in prima approssimazione. Ciò indica che la direzio- moto dell’estremo di una molla (per semplicità sup-
ne e il verso dello spostamento sono uguali a quelli poniamo che l’altro estremo sia fermo, per esempio
della forza. Se cessando l’effetto di questa forza il perché vincolato al soffitto, al pavimento o a una
sistema torna nello stato iniziale e se nel caso in cui parete, secondo che la molla sia appesa, appoggiata
la forza diventa abbastanza grande non si riesce piú o fissata orizzontalmente a una parete). Supponia-
a modificare lo stato del dispositivo, significa che il mo anche di poter trascurare la forza peso (che in
sistema stesso oppone alla forza esterna una forza altre parole significa considerare la molla come pri-
interna elastica la cui intensità e la cui direzione de- va di massa), altrimenti sulla molla agirebbe anche
vono essere le stesse della forza esterna, e il cui verso la forza peso che ne provocherebbe l’allungamento
è opposto. Chiamando k = a11 abbiamo quindi che: o l’accorciamento nel caso in cui sia fissata al sof-
fitto o appoggiata al pavimento, o la deformazione
F = −k∆x (13.36) se fissata a una parete. Un modo semplice ed ef-
ficace di realizzare questa condizione consiste, per
dove k è una costante che dipende dalle caratteristi- esempio, nel disporre la molla orizzontalmente ap-
che costruttive del dispositivo che si chiama costan-
te elastica. La relazione (13.36) prende il nome di Naturalmente in qualche modo la relazione era già ben
5

nota da molti secoli, ma solo in forma qualitativa.

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13.3. LA FORZA ELASTICA 174

poggiandola su una superficie rigida molto liscia. In la forza sono nulle, pertanto lo saranno anche
questo modo la superficie esercita una reazione vin- le corrispondenti componenti dell’accelerazione a
colare sulla molla che annulla gli effetti della forza e possiamo riscrivere l’equazione come se fosse
peso. È necessario che la superficie sia molto liscia scalare:
perché occorre minimizzare gli effetti delle forze dis-
sipative, che saranno comunque ineliminabili, ma si − k∆x = ma . (13.39)
potranno trascurare entro certi limiti (di tempo in
L’accelerazione subíta dalla massa m vale dunque
cui si esegue la misura e di ampiezza del moto).
Se si prendono gli accorgimenti sopra descritti il k
moto dell’estremo della molla avviene in un’unica a=−
∆x (13.40)
m
direzione e si può quindi considerare monodimen- e non è costante, essendo proporzionale a ∆x, cioè
sionale. Se consideriamo la molla priva di massa ci alla variazione di posizione rispetto alla posizione
scontriamo subito col solito problema per cui l’ac- iniziale x0 (∆x = x − x0 ). Non possiamo dunque
celerazione del suo estremo, in presenza di forze, adoperare la formula che ci fornisce la posizione x(t)
sarebbe infinita. È facile superare questo scoglio se al tempo t che abbiamo ricavato nell’ipotesi di moto
pensiamo di fissare a un estremo della molla una uniformemente accelerato.
massa m. Se l’oggetto fissato all’estremo della mol- L’accelerazione è la variazione di velocità
la è abbastanza piccolo possiamo considerarlo pun- nell’unità di tempo, quindi possiamo scrivere che
tiforme. A questo punto la massa della molla m0
si può trascurare purché m0  m, condizione che ∆v k
= − ∆x (13.41)
si può realizzare facilmente. In questo modo anche ∆t m
una molla disposta verticalmente soddisfa i requisiti ed essendo la velocità la variazione di posizione
di cui sopra. nell’unità di tempo potremmo dire che
Cominciamo con lo sperimentare quel che accade
in presenza di deformazioni, cosí sapremo già dove
 
∆x
∆v = ∆ (13.42)
andare a parare nella soluzione dell’equazione del ∆t
moto (non crederete mica che i fisici conoscano la e di conseguenza, interpretando il simbolo ∆ come
soluzione di tutte le equazioni! Le trovano sapendo una variabile qualsiasi,
già cosa si devono aspettare). Basta allungare un
po’ la molla per vedere che, una volta rilasciata, ∆ ∆x ∆2 x k
l’estremo libero comincia a oscillare attorno a una = 2 = − ∆x . (13.43)
∆t ∆t (∆t) m
posizione di equilibrio che grosso modo corrisponde
con la posizione che l’estremo aveva prima di essere Non è ovvio cosa si debba intendere per ∆2 perché
tirato. La soluzione dell’equazione del moto dovrà il simbolo ∆ non rappresenta il valore di una gran-
dunque essere qualcosa di oscillante. dezza fisica, ma un’operazione che s’intende ese-
La massa collegata all’estremo della molla, una guita sulla variabile che lo segue: per questo prende
volta liberata la molla, è soggetta alla sola forza ela- il nome generico di operatore. L’espressione appe-
stica (che talvolta, per il suo modo di agire si chiama na scritta assume un chiaro e ben definito significato
anche di richiamo), quindi la Legge di Newton si nell’analisi matematica per la quale il limite per
scrive ∆t che tende a zero
∆x dx
F = −k∆x = aa . (13.38) = =v lim (13.44)
∆t→0 ∆t dt
Poiché il moto avviene solo lungo la direzione del- da cui si può scrivere che
l’asse della molla due delle tre componenti del-

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13.3. LA FORZA ELASTICA 175

La derivata delle funzioni trigono-


∆v dv d dx dx 2 metriche
lim = = = 2 = a. (13.45) Calcolare la variazione delle funzioni trigonome-
∆t→0 ∆t dt dt dt dt
triche è facile e non serve conoscere a fondo l’a-
Il rapporto dx
dt
si chiama derivata di x rispetto a nalisi matematica. Infatti la derivata del seno
d2 x
t, mentre a = dt2 prende il nome di derivata se- di un angolo è il rapporto
conda6 . Se scegliamo x0 = 0, abbiamo che ∆x si
riscrive come ∆x = x − x0 = x e l’equazione del ∆ sin θ sin θ − sin (θ + ∆θ)
= . (13.50)
moto si presenta nella forma ∆θ ∆θ
per variazioni piccole dell’angolo. Usando le
d2 x k formule di somma e sottrazione dell’angolo
= − x. (13.46)
dt 2 m possiamo scrivere
Un matematico vi potrà dimostrare7 che la derivata
della funzione seno è il coseno e viceversa. Piú in ∆ sin θ sin θ − (sin θ cos ∆θ − cos θ sin ∆θ)
particolare l’analisi matematica c’insegna che =
∆θ ∆θ
(13.51)
d sin θ
= cos θ (13.47) Se ∆θ è piccolo, come dimostrato

nell’Appendice matematica, possiamo scri-
e che vere cos ∆θ ' 1 e sin ∆θ ' ∆θ. Sostituendo
d cos θ sopra si ottiene
= − sin θ . (13.48)
dθ ∆ sin θ
Se quindi calcoliamo la derivata seconda di un ' cos θ . (13.52)
∆θ
coseno abbiamo Vi lasciamo per esercizio il calcolo della derivata
del coseno.
d2 cos θ d d cos θ d
2
= = − sin θ = − cos θ .
dθ dθ dθ dθ
(13.49) perciò, sapendo che la soluzione dell’equazione che
Allo stesso modo è facile dimostrare che stiamo cercando dev’essere una funzione oscillante e
quindi periodica, è chiaro che la soluzione dev’essere
2
d sin θ un’opportuna combinazione di seni e coseni. Nel ca-
= − sin θ . (13.53)
dθ so particolare dell’equazione (13.46) possiamo scri-
Da queste ultime due equazioni si capisce che, nel vere che la soluzione x = x(t) dev’essere qualcosa
caso di seni e coseni, la loro derivata seconda è ugua- del tipo x(t) = A cos ωt oppure x(t) = A sin ωt, do-
le a loro stessi, che in fondo è quel che dice l’equa- ve ωt = θ deve rappresentare un angolo ed essere
zione (13.46), per cui possiamo dire che la soluzione quindi adimensionale. Per questo ω deve avere le
di quell’equazione dev’essere qualcosa che coinvolge dimensioni di un tempo alla meno uno. Scegliendo
seni e coseni. Dal Capitolo 6.1 sappiamo che ogni una delle due soluzioni (che sono uguali: differiscono
funzione periodica si può sempre scrivere come som- solo per una traslazione degli assi che si può otte-
ma di seni e coseni, per il Teorema di Fourier, nere attraverso la ridefinizione dell’inizio dei tempi)
abbiamo dunque che
6
Notate che al denominatore il simbolo dt non s’inten-
de come prodotto di d per t, ma come se fosse una singola
variabile. x(t) = A cos ωt (13.54)
7
Vedi anche la box sulla derivata delle funzioni la cui derivata seconda è
trigonometriche.

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13.3. LA FORZA ELASTICA 176

massima velocità e l’elongazione massima xmax =


d2 x
= −A cos ωt . (13.55) A, quindi è proprio
d(ωt)2 r
Ora osserviamo che d(ωt) rappresenta una piccola vmax Aω k
= =ω= . (13.63)
variazione di ωt. Quello che varia è il tempo: ω è xmax A m
costante. Quindi la variazione d(ωt) di ωt si può In sostanza l’equazione (13.46), ci dice che quan-
scrivere come ωdt. In fondo, se θ = ωt con t costan- do l’accelerazione di un corpo è proporzionale al suo
te, variando t e facendolo diventare t0 = t + dt, θ spostamento, il moto di quel corpo è un moto oscil-
diventa θ0 = ω(t + dt) = ωt + ωdt = θ + ωdt e scri- lante, armonico, per il quale la posizione va come
vendo θ0 = θ + dθ è immediato identificare dθ con un seno o un coseno. Piú in generale, ogni volta che
ωt. Potremmo perciò scrivere che d(ωt)2 = ω 2 dt2 e abbiamo un’equazione nella quale la derivata se-
dunque conda di una grandezza fisica è proporzionale alla
grandezza stessa, la soluzione di quell’equazione è
d2 x
= −A cos ωt . (13.56) che la grandezza fisica in questione varia come un
ω 2 dt2 seno o un coseno, al variare della grandezza fisica
da cui rispetto alla quale la grandezza è derivata.
Il moto armonico si ripete identico a sé stesso ogni
qualvolta l’angolo θ cambia di 2π. In altre parole
d2 x 2 2
= −ω A cos ωt = −ω x(t) . (13.57) abbiamo che
dt2
che è proprio l’equazione (13.46) se x(t) = A cos ωt = A cos (ωt + 2π) . (13.64)

(13.58) Si può sempre trovare un tempo T tale che ωT = 2π


k
ω2 = .
m per il quale si può scrivere che
La velocità con la quale si muove l’estremo della
molla è data da x(t) = A cos ωt = A cos (ω (t + T )) . (13.65)
∆x(t) in cui T prende il nome di periodo e rappresenta
v = v(t) = (13.59)
∆t il tempo che passa tra l’istante in cui il moto rag-
e sapendo che x(t) = A cos ωt possiamo scrivere che giunge uno stato e quello in cui lo stato del moto è
identico al precedente.
∆ cos ωt Se vogliamo sapere quante volte nell’unità di tem-
v(t) = A . (13.60)
∆t po il punto torna nello stesso stato basta calcolare
La variazione di un coseno si scrive, come si vede l’inverso del periodo che rappresenta proprio questa
sopra, ∆∆θcos θ
= − sin θ, quindi nel nostro caso in cui quantità e si chiama frequenza:
θ = ωt potremmo scrivere che
1
ν= . (13.66)
∆ (ωt) sin ωt T
v(t) = −A . (13.61)
∆t Essendo poi
Del prodotto ωt varia solo t, quindi ∆ (ωt) = ω∆t 2π 1
e, in definitiva, T = = (13.67)
ω ν
si ha che ω = 2πν. Le relazioni tra periodo, fre-
v(t) = −Aω sin ωt . (13.62)
quenza e pulsazione si ricavano da semplici argo-
Il valore massimo della velocità si ottiene quando il menti dimensionali perciò non abbiamo bisogno di
seno vale ±1 e vale vmax = Aω. Il rapporto tra la memorizzarle.

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13.3. LA FORZA ELASTICA 177

Possiamo vedere la cosa in modo diverso riferen-


doci al moto circolare uniforme per cui l’accelerazio-
ne è costante in modulo, ma la sua direzione cam-
bia in continuazione. Nel caso del moto circolare
uniforme abbiamo che

x1 (t) = R cos ωt . (13.68)


L’accelerazione è un vettore diretto come il raggio,
quindi la sua componente lungo l’asse 1 vale

a1 = a cos ωt (13.69)
Figura 13.3 Grafico della posizione in
(è costante il modulo di a, non la sua direzione, funzione del tempo ottenu-
quindi le componenti di a dipendono dal tempo). to con una simulazione nu-
Cosí possiamo scrivere che merica in cui t0 = 0.01 s e
k/m = 3.
x1
a1 = a (13.70)
R
e cioè che l’accelerazione lungo l’asse 1, a1 , è propor-
la velocità al tempo k−esimo vk sia uguale alla ve-
zionale, attraverso il rapporto a/R che è costante,
locità all’istante precedente vk−1 piú l’accelerazione,
a x1 . Lo stesso evidentemente vale per le altre com-
considerata costante, moltiplicata per l’incremento
ponenti. Anche in questo caso abbiamo che l’accele-
temporale: vk = vk−1 +at0 . L’accelerazione all’istan-
razione è proporzionale allo spostamento e anche in
te k−esimo, in realtà, sarà data da − m k
xk e basterà
questo caso lo spostamento è una funzione oscillante
inserire questo valore nella cella corrispondente.
come un seno o un coseno.
Copiando le quattro celle della prima riga sulle
Una maniera piuttosto efficace di trovare grafica-
righe successive, a ogni istante di tempo il foglio
mente la soluzione è quella numerica: su un foglio
calcola la posizione, la velocità e l’accelerazione del
elettronico predisponete quattro colonne: t, x, v e
corpo, pur con qualche approssimazione. Basta fa-
a. Ponete nella prima riga il valore 0 ovunque. Nel-
re un grafico di xk in funzione di tk per osservare
la seconda riga, invece, nella colonna t calcolate la
che somiglia in tutto e per tutto a una sinusoide, a
somma tra il valore presente alla riga precedente
meno che l’intervallo di tempo scelto t0 non sia trop-
piú una costante: per esempio, se tk indica la cella
po grande. In questo caso le approssimazioni fatte
alla riga k e alla colonna t, in questa cella scrive-
non sono piú valide (non si può considerare costan-
te tk = tk−1 + t0 con t0 costante (e.g. t0 = 0.01).
te l’accelerazione o la velocità in quell’intervallo di
Allo stesso modo mettete nella colonna delle x il
tempo) e il grafico non somiglia piú a quel che ci
valore xk = xk−1 + vk t0 . In questo modo state sup-
s’aspetta.
ponendo che il corpo la cui posizione è x al tempo
La Figura 13.3 mostra come appare il grafico in
k−esimo, si muove con velocità costante vk nel tem-
questione. Pare proprio un ottimo esempio di euri-
po t0 . Nel caso di una massa appesa a una molla
stica positiva. Siamo partiti dall’assumere la vali-
non è cosí, ma se il tempo t0 è abbastanza piccolo
dità di una legge fisica analizzando il moto indotto
la differenza tra un moto uniforme e il moto vero è
dalla sola forza peso e abbiamo scoperto che la stes-
piccola, quindi possiamo assumere che, se t0 è ab-
sa legge descrive perfettamente anche il moto dovu-
bastanza piccolo, in quell’arco di tempo il moto si
to alle forze elastiche. L’equazione che se ne ottiene
può considerare uniforme. In maniera del tutto ana-
è quella delle onde, da cui si capisce che i fenomeni
loga possiamo assumere che, sebbene non sia cosí,

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13.4. IL PENDOLO SEMPLICE 178

ondulatori sono fenomeni provocati da forze la cui x2


intensità è proporzionale alla grandezza fisica che
oscilla. 7
La stessa matematica del moto armonico compa-
re in numerosi ambiti della fisica e questo è uno dei 6
motivi per cui lo studiamo. Di per sé non è che que-
sto tipo di moto abbia un interesse specifico, ma 5

rappresenta il prototipo di problemi di varia natu- θ


4
ra. In generale si ha un moto armonico tutte le vol-
te che l’accelerazione di un punto materiale è pro- 3 T
T2
porzionale alla sua posizione e questa situazione è
abbastanza comune perché si verifica in tutti quei 2
casi nei quali la forza che agisce su un sistema è T1
P = −mg
abbastanza grande e variabile da non potersi consi- 1
derare costante, ma non abbastanza da consentire
di apprezzarne le deviazioni dalla linearità. 0
0 1 2 3 4 x1

13.4 Il pendolo semplice Figura 13.4 Schematizzazione delle forze


agenti su un pendolo in un
Nonostante l’apparente successo della nostra teoria piano cartesiano.
potrebbe esserci comunque qualcosa che non va: in-
fatti, non è difficile trovare una situazione nella qua-
le l’unica forza attivamente coinvolta è la forza peso, chiavi agiscono dunque le forze peso P e tensione
per la quale ci aspettiamo un comportamento del T della fune, per cui
tutto diverso, ma in cui il moto è oscillante. Par-
liamo di un pendolo che possiamo schematizzare P + T = ma . (13.71)
come un punto materiale di massa m legato a una
Scegliamo un sistema di riferimento con l’origine
fune priva di massa e di lunghezza costante, fissa-
sull’asse di equilibrio, in modo tale che il moto si
ta, all’altro capo, a un supporto. Basta un laccetto
svolga su un piano (Figura 13.4). Quando la massa è
con un mazzo di chiavi appeso per produrre questa
nella posizione di equilibrio ed è ferma le forze agenti
situazione e osservare che le chiavi stanno ferme, in
si elidono l’una con l’altra per cui P = −T ed è per
una condizione di equilibrio, se il laccio è verticale.
questo che le chiavi non si muovono. Se le chiavi
Se le chiavi si spostano dalla posizione di equilibrio
sono spostate dalla posizione di equilibrio e la corda
e si lasciano andare cominciano a oscillare. È evi-
mantenuta tesa sulle chiavi agiscono entrambe le
dente che a produrre il moto delle chiavi è la forza
forze, ma mentre una è diretta verticalmente, l’altra
peso, che a pensarci bene non è l’unica presente per-
è diretta come la fune e la loro somma non è piú
ché dobbiamo considerare anche la tensione della
nulla. Possiamo scrivere l’equazione del moto sulle
fune. In ogni caso, tuttavia, le chiavi sarebbero sog-
due componenti come
gette all’effetto combinato di peso e tensione e a
prima vista non sembra che questa combinazione si (
P1 + T1 = ma1
possa ricondurre al caso della molla. (13.72)
Ma non perdiamoci d’animo e proviamo a risolve- P2 + T2 = ma2
re il problema sfruttando la Legge di Newton. Sulle Ma P = (0, −mg, 0), quindi la prima equazione si
riscrive

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13.4. IL PENDOLO SEMPLICE 179

è caratterizzata dalle due coordinate (`, θ), dove ` è


costante e non è nient’altro che la lunghezza del filo,
e θ è l’angolo formato rispetto a un asse scelto co-
me riferimento che potrebbe essere quello verticale.
θ In questo sistema di riferimento la tensione del filo
ha solo la componente lungo il raggio T = (−T, 0).
Il segno − indica che questa componente è rivolta
T
verso l’origine. La forza peso, invece, ha due compo-
P sin θ nenti: una lungo il raggio e l’altra tangente all’arco.
Per trovarle basta osservare che la forza peso, che è
P cos θ verticale, forma un angolo θ con la direzione del filo
in ogni istante e quindi
P = −mg

R P1 = P cos θ . (13.75)
È evidente quindi che
Figura 13.5 Schematizzazione delle for-
ze agenti su un pendolo in P2 = −P sin θ . (13.76)
coordinate polari.
Il segno − indica che la forza peso è diretta in modo
da opporsi al moto prodotto dalle forze esterne che
sollevano la massa dalla posizione di equilibrio. Ora
l’equazione del moto per la prima componente si
T1 = ma1 , (13.73) scrive
e la seconda
− T + P cos θ = maR , (13.77)
− mg + T2 = ma2 . (13.74) dove aR è l’accelerazione lungo la direzione del rag-
Purtroppo le componenti di T non sono note, né gio che è nulla perché la prima coordinata del pen-
si possono ricavare da altri dati (per esempio, al- dolo non cambia mai. Quindi quest’equazione ci
l’altro capo della corda la tensione è la stessa in dice solo che T = P cos θ (informazione, peral-
modulo, ma questa può solo essere uguale alla rea- tro, sostanzialmente inutile). Lungo l’altra direzione
zione vincolare che è altrettanto ignota). In questo invece
modo, dunque, non possiamo sperare di arrivare a
una soluzione8 . Abbiamo però imparato che, talvol- − P sin θ = −mg sin θ = mat (13.78)
ta, una scelta opportuna del sistema di coordinate dove at = a è la componente tangente dell’accelera-
permette di semplificare notevolmente la soluzione zione. Per definizione
di un problema. In questo caso abbiamo una massa
che, essendo legata a un filo inestensibile, può solo dv ∆v
a= ' (13.79)
muoversi lungo un arco di circonferenza. In tutti i dt ∆t
casi in cui il moto si svolge lungo una circonferenza e la velocità v è legata alla velocità angolare ω dalla
o un suo arco il sistema di coordinate piú indicato è relazione (10.125) v = `ω, quindi abbiamo che
quello polare. Scegliendo, come in Figura 13.5, qua-
le origine degli assi il punto in cui la fune è fissata d(`ω)
a= (13.80)
al supporto, la posizione della massa ad essa appesa dt
ed essendo ` costante
O almeno a una soluzione semplice.
8

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13.4. IL PENDOLO SEMPLICE 180

Questo è uno di quei casi cui accenniamo sopra: la



a=` . (13.81) forza complessiva che agisce sul pendolo ha una for-
dt ma matematica che può risultare complicata da scri-
Sostituendo nell’equazione (13.78) otteniamo vere, perché è un vettore che si ottiene dalla com-
posizione di P e T. Le coordinate di questo vet-

− mg sin θ = m` . (13.82) tore F sono funzione della posizione del pendolo x
dt (F = f (x)) ma se ci limitiamo a spostamenti pic-
Ora facciamo l’ipotesi aggiuntiva che l’angolo θ sia coli possiamo approssimare la funzione con un po-
piccolo in modo tale che sia sin θ ' θ. L’equazione linomio e, dovendo essere F = 0 per angoli nulli,
diventa possiamo scrivere che

− mgθ = m` . (13.83) F ' a1 x (13.88)
dt
che riscritta nella forma o, in coordinate polari,

dω g F ' a1 θ . (13.89)
=− ω (13.84)
dt ` Ecco spiegato il comportamento oscillatorio di que-
ha proprio l’aspetto dell’equazione delle onde! Os- sto sistema. Un aspetto interessante del comporta-
serviamo che il rapporto g` ha le dimensioni di un mento di un pendolo è quello che si definisce il suo
tempo alla meno due, come il primo membro, che è isocronismo. Come nel caso delle oscillazioni del-
il rapporto tra l’incremento al quadrato di un angolo l’estremo di una molla, il periodo di oscillazione
(adimensionale) e il quadrato dell’incremento di un del pendolo si ricava conoscendo ω come
tempo. La velocità angolare massima vale proprio s
2π `
(13.90)
r
g T = = 2π
ωmax = (13.85) ω g
`
quindi la velocità del pendolo oscilla tra che è indipendente dalla massa del pendolo m e dal-
l’angolo di partenza θ. In definitiva la durata del-
l’oscillazione di un pendolo dipende soltanto dalla
r
g
(13.86)
p
±` = ± g` . lunghezza del filo. Naturalmente questo è vero solo
`
se le ipotesi che abbiamo fatto per scrivere le nostre
Il pendolo assume la sua massima velocità quando
equazioni del moto sono vere. Queste ipotesi sono:
passa per l’origine: quando cade da destra a sinistra
• il filo è inestensibile e privo di massa;
la velocità è negativa, mentre quando ricade da sini-
• al filo è appeso un punto materiale;
stra a destra è positiva, in un sistema in cui l’asse 1
• l’angolo inizialmente formato dal pendolo con
è orientato verso destra. Nei punti d’inversione del
la verticale è piccolo.
moto evidentemente la velocità è nulla.
Se il filo possiede una certa elasticità o non si può
Non c’è che dire: un altro grande successo! La
considerare del tutto privo di massa (pensate a un’a-
stessa teoria fornisce la spiegazione di moti tra loro
sta di metallo o di legno incernierata che oscilla) non
molto diversi. Tanto diversi che a prima vista si di-
è piú vero che il pendolo si comporta come descrit-
rebbe non abbiano nulla a che fare l’uno con l’altro.
to9 . Lo stesso vale se l’oggetto appeso al filo non si
Eppure tutti si possono descrivere con una semplice
equazione: Ma il suo moto è praticamente identico a quello di un
9

pendolo semplice che possiamo definire equivalente del pen-


F dolo vero o fisico: l’unica differenza consiste nel fatto che
a= . (13.87) la lunghezza del pendolo non coincide con quella del suo
m
pendolo equivalente.

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13.5. LE FORZE DI ATTRITO 181

La misura del tempo e dello spazio l’intensità di questa forza è al di sotto di una cer-
Il periodo di un pendolo lungo ta soglia. Quando, per esempio, si prova a spingere
p 1 m è, secondo un pesante tavolo, se la forza esercitata non è suffi-
l’equazione (13.90), T = 2π 1/9.8 ' 2.0 s. Me-
tà dell’oscillazione di un pendolo lungo quanto cientemente intensa, il tavolo non si muove affatto.
l’unità di misura della lunghezza dura quanto Ponendo un oggetto su un piano orizzontale e solle-
l’unità di misura del tempo. Questa coincidenza vando il piano, si osserva che, pur essendo soggetto
potrebbe far ritenere che ci sia un collegamento alla forza peso (almeno alla sua componente tangen-
profondo tra queste due grandezze fisiche, ma te al piano), il corpo non cade se non quando l’ango-
come spiega il fisico Giulio D’Agostini in una lo supera un certo valore. Secondo la nostra teoria,
ricerca condotta con Paolo Agnoli [?], si tratta affinché il corpo non si muova è necessario che la
effettivamente di una coincidenza che, tuttavia, risultante delle forze applicate sia nulla. Dobbiamo
potrebbe essere stata sfruttata dagli Accademi- porciò ipotizzare che l’interazione con la superficie
ci di Francia in occasione delle riunioni condotte sulla quale il corpo appoggia sia tale da generare
per la definizione delle unità di misura alla fine una forza esattamente pari a quella applicata dal-
del 1 700. La scelta allora fu per definire il me- l’esterno, ma di verso contrario. Questo genere d’in-
tro come la decimilionesima parte di un quarto terazione deve sussistere solo fino a quando il mo-
di meridiano terrestre, ed è presumibile che in dulo della forza esterna è inferiore a una soglia che
questa scelta abbia giocato un ruolo il fatto che dipende dalle caratteristiche del corpo e della super-
tale lunghezza equivaleva, grosso modo, a quella ficie sulla quale è appoggiato. L’interazione produce
di un pendolo che batte il secondo. quindi una forza, che chiameremo di attrito stati-
co che si manifesta solo fin quando il modulo della
forza impressa all’oggetto è inferiore a una soglia Fs .
può assimilare a un punto materiale: se appendia- Quando i corpi sono messi in moto, superando
mo a un filo un oggetto di grandi dimensioni o dalla quindi le forze di attrito statico, sono soggetti a
forma irregolare il pendolo non ha piú le caratteri- forze che ne rallentano il moto. In generale queste
stiche per essere chiamato pendolo semplice e non forze possono essere complicate da descrivere, ma
si comporta da tale. Se infine l’angolo di partenza è possiamo analizzare alcuni casi semplici.
grande per cui non si può piú scrivere che sin θ ' θ, Il caso piú semplice possibile è quello di forza co-
il periodo del pendolo dipende eccome dall’angolo. stante: la forza di attrito applicata a un corpo che
si muove è costante nel tempo e indipendente dal-
la posizione. Poiché questa forza si manifesta solo
13.5 Le forze di attrito quando l’oggetto è in moto prende il nome di attri-
to dinamico. La forza d’attrito dinamico è costan-
Negli esperimenti con i carrelli e in numerose altre te, ma dipende dalle caratteristiche del corpo che la
occasioni si vede come il moto degli oggetti risulti subisce e della superficie sulla quale è appoggiato o
sempre, in una qualche misura, frenato dal contatto del mezzo nel quale si muove. In effetti questo è un
con qualcos’altro. Questo frenamento risulta in una caso abbastanza generale purché la forza sia picco-
accelerazione (o, se preferite, in una decelerazio- la. Se infatti la forza di attrito dinamico vera è una
ne) che, nel nostro modello, dev’essere il prodotto funzione f complicata a piacere di diverse variabili
di una forza e, in ultima analisi, dell’interazione x, y etc., in prima approssimazione si potrà sempre
dell’oggetto che si muove con qualcosa che lo cir- scrivere che f (x, y, . . .) ' f0 + f1 δ + f2 δ 2 + · · · ' f0 ,
conda. Possiamo avere diversi tipi d’interazione, che con f0 costante e δ che rappresenta una variazione
possiamo rozzamente schematizzare come segue. del valore delle variabili da cui dipende la forza.
Un corpo inizialmente fermo rimane fermo anche Tutti sanno che è molto piú facile spostare qualco-
se gli si applica una forza, almeno fino a quando sa che appoggia su ruote. In prima approssimazione

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13.5. LE FORZE DI ATTRITO 182

potremmo immaginare che l’estensione della super- quali si muovono i corpi non producono intenzional-
ficie d’appoggio in qualche maniera conti qualcosa mente le forze di cui stiamo parlando. Nel caso di
nel determinare la forza d’attrito. In effetti maggio- un attrito statico, per esempio, si potrebbe pensare
re è questa superficie e piú grande è l’effetto dell’at- che la superficie d’appoggio sappia quando cessare
trito sul moto del corpo. Quindi potremmo conclu- di applicare la forza e sia in grado di calcolare esat-
derne che il motivo per cui i corpi su ruote presen- tamente la forza da applicare per impedire al corpo
tano un attrito dinamico minore consiste nel fatto di muoversi. Naturalmente non è cosí: si tratta solo
che la superficie d’appoggio è praticamente nulla. di una nostra schematizzazione dei fenomeni che de-
Ma non può essere solo questo: in effetti si potreb- riva dalla nostra ignoranza sul processo che conduce
be minimizzare la superficie d’appoggio di qualcosa al manifestarsi di queste forze. Ma quel che conta
usando dei piedini di superficie molto piccola. Non in fisica è sapere prevedere i risultati sperimentali:
serve nemmeno fare un esperimento per capire che non importa se nell’Universo le forze esistono o me-
non è la stessa cosa che adoperare ruote: anche se no (certamente non ci sono frecce applicate ai corpi
un po’ sgonfie, per cui la superficie d’appoggio po- accelerati). Le forze sono state inventate da noi
trebbe essere addirittura maggiore rispetto a quella per spiegare le accelerazioni dei corpi osservate spe-
dei piedini, le ruote facilitano molto il moto degli rimentalmente. Sono reali nel senso che si possono
oggetti. Una ruota dunque deve produrre una forza misurare, tuttavia ci sono molti modi d’intendere
d’attrito speciale rispetto a qualcosa che non roto- questa parola nel linguaggio comune e potreste fa-
la. Chiamiamo questa forza, una forza di attrito re un’interessante discussione sul concetto di realtà
volvente. con il vostro professore di filosofia.
Un’altra possibilità è che la forza di attrito di-
penda dalla velocità del corpo. In effetti le forze di 13.5.1 Attrito statico
attrito dinamico rappresentano abbastanza bene la
situazione in cui un oggetto si muove scivolando su Per trovare una maniera formale di descrivere l’at-
un piano, ma se i corpi si muovono in un fluido (co- trito statico possiamo compiere un semplicissimo
me l’aria o l’acqua), questo oppone una resistenza esperimento: prendete un libro e premetelo con la
tanto piú intensa quanto maggiore è la velocità del mano contro una parete. Nonostante sul libro agisca
corpo, come tutti abbiamo sperimentato facilmen- la forza peso, il libro non cadrà. Se non cade vuol di-
te immergendo un braccio in acqua e spostandolo re che un’altra forza impedisce al libro di accelerare
a diverse velocità o portandolo fuori dal finestrino verso il basso. Evidentemente questa forza dev’esse-
di un’auto in corsa (ma è meglio non farlo perché è re diretta come la forza peso, avere il verso rivolto
pericolosissimo!). In questi casi parliamo di attrito verso l’alto e modulo esattamente pari a quello della
viscoso. forza peso. Questa forza ha proprio le caratteristiche
In questo paragrafo cerchiamo di studiare le pro- descritte per quella che abbiamo chiamato attrito
prietà di questi tipi di attrito che, bisogna ricordar- statico e dev’essere prodotta dalla parete o dalla
lo, sono sempre approssimazioni grossolane di ciò mano (o da tutt’e due insieme).
che accade veramente. È probabile che le forze di Si capisce facilmente che la forza assume il valo-
attrito siano il risultato di forze microscopiche mol- re della forza peso solo fino a quando la pressione
to complesse che agiscono sui singoli costituenti ele- esercitata dalla mano sulla copertina del libro, che
mentari di un corpo. Quando facciamo le misure, si può pensare come una forza avente direzione per-
però, la risoluzione degli strumenti è limitata e può pendicolare al muro e rivolta verso di esso, è suffi-
accadere che non siamo in grado di misurare flut- cientemente grande. Se si allenta un po’ la spinta il
tuazioni microscopiche del comportamento dei corpi libro comincia a scivolare.
per cui anche una descrizione rozza può andar bene. È chiaro dunque che il modulo della forza d’at-
È importante capire che le superfici o i mezzi nei trito statico Fs dev’essere proporzionale, almeno in

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13.5. LE FORZE DI ATTRITO 183

questo caso, alla forza diretta ortogonalmente alla la lettera N perché questa forza è detta forza
superficie lungo la quale scivola il corpo che la subi- normale11 ). Osserviamo che non possiamo scrivere
sce. Per verificare se questa è una proprietà generale
si possono fare altri esperimenti. Per esempio si può Fmin = µs N (13.94)
collegare, attraverso una fune, un peso di massa m
perché la direzione di Fmin è diversa da quella di N.
lasciato libero di cadere a un oggetto di massa M
Possiamo invece scrivere che
che si può muovere su un piano orizzontale, in mo-
do che questo sia trascinato da una forza costante.
Fmin = µs N x̂ (13.95)
Se la massa m non è abbastanza grande, il corpo
di massa M non si muove. Come si vede al Para- se x̂ è il versore perpendicolare a Fmin , cioè se Fmin ·
grafo 13.2.1, sulla massa m agisce la forza mg − T , x̂ = 0. Per confermare questa teoria possiamo usare
dove T è la tensione della fune, mentre sul corpo di un piano inclinato.
massa M la forza, in questo caso, vale T − Fs . Se Se si appoggia un corpo su un piano inclinato si
il tutto non si muove dev’essere T = Fs e quindi osserva che il corpo inizia a cadere lungo il piano
mg = T = Fs . solo quando l’angolo θ formato con l’orizzontale su-
Solo quando T supera Fs (quindi quando mg > pera un angolo θ0 caratteristico dei materiali di cui
Fs ) il corpo comincia a muoversi. Se il corpo di mas- sono fatti il corpo e il piano. La componente della
sa M ha la forma di una vaschetta si può riempire di forza peso perpendicolare al piano i cui effetti so-
oggetti o di liquido alterandone la massa M senza no annullati dalla reazione vincolare vale M g cos θ,
cambiare le caratteristiche del contatto tra il fon- mentre quella tangente, che causa lo scivolamento,
do della vaschetta e la superficie sulla quale scivola. ha modulo M g sin θ. Questa componente cresce al
Quello che si vede sperimentalmente è che la for- crescere di θ, almeno per angoli non troppo grandi,
za minima Fmin che è necessario applicare al corpo quindi possiamo scrivere che il moto avviene quando
affinché cominci a muoversi è proporzionale10 alla
massa M : Ft = M g sin θ > Fmin . (13.96)
Se la nostra teoria è vera, quindi, potremmo scrivere
Fmin ∝ M . (13.91) che il moto inizia quando
Dal momento che la forza che agisce perpendico-
larmente al piano sul quale avviene lo scivolamen- M g sin θ > µs M g cos θ (13.97)
to è M g possiamo interpretare questo fatto come cioè per
coerente con l’osservazione sopra fatta e scrivere che
tan θ > µs (13.98)
Fmin = µs M g , (13.92)
che risulta indipendente dalla massa del corpo M
dove µs è un coefficiente adimensionale detto e dalla sua geometria. Secondo questo modello il
coefficiente d’attrito statico. Piú in generale coefficiente d’attrito statico dipende unicamente dai
potremmo scrivere che materiali di cui sono costituiti i corpi a contatto
che scivolano l’uno contro l’altro e da come sono la-
Fmin = µs N (13.93) vorate le rispettive superfici. Non dipende neanche
con N pari al modulo della forza che agisce per- dall’estensione della superficie di contatto. Quest’ul-
pendicolarmente al piano di scivolamento (si usa timo esperimento consente, tra l’altro, di misurare
facilmente µs per diverse coppie di materiali: basta
10
Come al solito, per certificarlo basta fare un grafico di
Fmin in funzione di M e verificare con un fit che i punti 11
In latino lo strumento per disegnare rette perpendicolari
sperimentali si distribuiscano lungo una retta. che chiamiamo squadra si chiamava norma

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13.5. LE FORZE DI ATTRITO 184

misurare l’angolo per il quale il corpo inizia a sci- Vale la pena osservare che in quasi tutti i libri
volare sul piano (anche se non è cosí facile come di fisica (a dire il vero in tutti quelli che abbiamo
sembra). consultato) è scritto che il coefficiente di attrito sta-
Questo risultato appare documentato per la pri- tico non dipende né dalla massa né dalla superficie
ma volta nel 1 500 da Leonardo da Vinci nel Co- del corpo che scivola. Lo studente, che ha spesso
dice Arundel [?], oggi conservato presso la Biblio- un’esperienza diversa, tende quindi a vedere la fisi-
teca Nazionale del Regno Unito e riscoperto molti ca come qualcosa di lontano dalla realtà: come una
anni dopo da Guillaume Amontons che lo riportò specie di insieme di regole utili per risolvere gli eser-
in un articolo scritto per l’Accademia di Francia nel cizi e niente piú. In realtà, se si trova un risultato
1 69912 [?]. in contrasto con l’esperienza, bisogna sempre chie-
Una delle cose che dovreste imparare studiando la dersi se quel risultato sia corretto o meno perché
fisica è che anche i risultati ottenuti dai piú grandi la fisica non può (non deve) fornire previsioni non
scienziati vanno verificati, perché non bisogna mai verificabili sperimentalmente. Purtroppo anche gli
credere ciecamente a quello che si legge e non è af- autori dei libri di fisica non sfuggono alla tentazio-
fatto irrispettoso nei confronti di chiunque metter- ne di copiare quanto scritto in testi precedenti, piú
ne in dubbio i risultati (se se ne ha motivo, natu- o meno autorevoli. È un processo del tutto norma-
ralmente). Provate dunque a eseguire l’esperimento le: è chiaro che non è possibile rifare sempre tut-
del piano inclinato usando quel che trovate in ca- ti gli esperimenti che hanno condotto alla visione
sa. Noi, per esempio, l’abbiamo realizzato usando del mondo che abbiamo oggi. Praticamente nessu-
un tagliere come piano e una vaschetta di plastica no si cura di verificare sperimentalmente leggi che
per il corpo di massa M . Nella vaschetta si possono appaiono immutate da secoli e tramandate di ge-
mettere varie quantità di sale grosso per cambiarne nerazione in generazione con piccole sfumature piú
la massa senza alterarne la forma o le caratteristiche di forma che di sostanza. Vedete bene che anche i
di contatto tra le superfici. testi piú autorevoli non sfuggono alla critica spes-
L’esperimento da noi fatto ha miseramente falli- so mossa a strumenti come Wikipedia che, secondo
to! Il coefficiente d’attrito statico dipendeva eccome molti, sarebbe inattendibile perché frutto di copia-
dalla massa M ! Voi potreste trovare risultati coe- ture senza controllo. Non è sempre vero che gli edi-
renti con quanto esposto sopra o meno. Lo studente tori controllano la qualità dei contenuti, né la loro
che trova un risultato diverso da quello che si aspet- attendibilità.
ta, mediamente, tende a inchinarsi all’Autorità del- Detto questo, esistono molte spiegazioni alla pos-
l’autore del libro giudicando sé stesso incapace di sibilità che gli esperimenti falliscano: le equazioni
eseguire un esperimento. Tuttavia la finalità di un del moto che abbiamo scritto si riferiscono a pun-
esperimento non è quella di dimostrare che l’autore ti materiali, privi di estensione spaziale. È quindi
aveva ragione! Durante un esperimento si conduco- ovvio che non possano dipendere dalla superficie di
no misure i cui risultati non possono che essere cor- contatto che, per ipotesi, è nulla. Se si rimuove que-
retti (naturalmente se non ci sono stati sbagli nella st’approssimazione si trova [?] che, specialmente per
loro esecuzione). In questo caso l’esperimento falli- materiali con una certa elasticità (non conosciuti né
sce perché le condizioni in cui è condotto non sono da Leonardo, né da Amontons), il coefficiente di at-
quelle supposte valide nello sviluppo della teoria e trito dipende effettivamente dall’area della superfi-
i materiali adoperati non sono quelli impiegati per cie di contatto e dalla massa dell’oggetto (la maggio-
ricavare i risultati sopra esposti. re massa può modificare la superficie efficace per
via dell’elasticità del fondo della vaschetta).
12
Per questa ragione la legge secondo la quale l’attrito sta-
tico è proporzionale alla forza normale alla superficie è anche In definitiva, la Legge di Amontons è una rap-
nota come Legge di Amontons. presentazione formale molto grossolana dei fenome-
ni che portano alla comparsa delle forze d’attrito.

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13.5. LE FORZE DI ATTRITO 185

13.5.2 Attrito dinamico


Una volta che l’attrito statico sia scomparso il moto
ha inizio, ma con caratteristiche leggermente diver-
se da quelle prevedibili analizzando i sistemi con la
seconda legge della dinamica nella quale s’introdu-
cono solo le forze che lo provocano. È necessario te-
ner conto di un’altra forma di forza d’attrito: quello
dinamico.
L’attrito dinamico è, come nel caso dell’attrito
statico, una schematizzazione del complesso di forze
che in qualche misura trattengono un corpo dal muo-
Figura 13.6 Quella che si vede nel celebre versi quando il moto consiste nello scivolamento
dipinto di René Magritte, co- su una superficie. Come nel caso dell’attrito statico,
me recita la didascalia, non quel che accade sul corpo che scivola è quasi cer-
è una pipa, ma solo una sua tamente un insieme molto complicato di fenomeni
rappresentazione.
che tuttavia hanno come risultato il semplice fre-
namento dell’oggetto, che in molti casi pratici è
costante e dipende solo da pochi parametri.
La forza d’attrito, a conti fatti, non esiste in quan- Possiamo condurre alcuni esperimenti per capi-
to tale: è di sicuro il risultato di interazioni molto re come rappresentare questo complesso di forze,
complesse tra due corpi a contatto. Le interazioni in del tutto simili a quelli condotti per capire la natu-
questione provocano fenomeni che, con alcune no- ra dell’attrito statico. Eseguendo questi esperimenti
stre invenzioni matematiche, si riescono a descri- scopriremmo che la forza d’attrito dinamico è pro-
vere attraverso concetti quali quello di forza d’at- porzionale, attraverso un coefficiente µd adimensio-
trito che tuttavia non è altro che un’immagine che nale, alla componente normale alla superficie delle
ci costruiamo della realtà. Queste immagini, come forze agenti sul corpo in moto, è diretto come l’ac-
nel caso del dipinto rappresentato in Figura 13.6, celerazione del corpo e ha verso opposto. Questo
possono anche essere molto verosimili, ma si tratta risultato si può esprimere matematicamente come
pur sempre di immagini, di astrazioni. Le grandez-
ze fisiche che rappresentiamo attraverso i simboli Fa = −µd N T̂ (13.99)
matematici sono mere rappresentazioni della realtà:
dove T è l’accelerazione tangente al piano sul qua-
rappresentazioni che in molti casi possono funzio-
le scivola il corpo e T̂ il suo versore. Nel caso del
nare talmente bene da convincerci che esistano ve-
piano inclinato, quando il corpo di massa M sul pia-
ramente. Ma, come la pipa di Magritte, che non si
no inizia a muoversi, le forze agenti su di esso che ne
può fumare, non si può attribuire alle leggi fisiche
determinano la caduta sono la componente tangen-
caratteristiche che non hanno. Le uniche realtà di
te del suo peso mg sin θ, diretta parallelamente al
cui possiamo essere certi (nei limiti delle indeter-
piano e puntante verso lo spigolo piú in basso, e la
minazioni sperimentali) sono i risultati delle misure
forza d’attrito −µd mg cos θ, per cui l’oggetto cade
da confrontare con le previsioni che derivano dal-
con accelerazione
la teoria. Il modo in cui schematizziamo la realtà è
solo un (utile) aiuto per giungere al risultato vero: 1
prevedere il valore di una misura. a=  (sin θ − µd cos θ) .
mg
 (13.100)
m



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13.5. LE FORZE DI ATTRITO 186

Quest’equazione permette anche di misurare µd ese- 13.5.3 Attrito volvente


guendo misure di accelerazione di un corpo lungo un
Quando un oggetto rotola senza strisciare su una
piano inclinato.
superficie, la diminuzione della sua velocità è de-
Per la forza d’attrito dinamico valgono le stesse
cisamente inferiore a quella che si osserva quando
considerazioni fatte a proposito di quella d’attrito
l’oggetto scivola, ma non è nulla come ci si potreb-
statico: la descrizione che ne abbiamo dato è piut-
be aspettare. Questo significa che dev’esserci una
tosto grossolana ed eseguendo diversi esperimenti si
qualche forma di forza d’attrito, che chiamiamo vol-
potrebbero trovare deviazioni, anche significative,
vente, che si esercita sui corpi rotolanti, diversa da
delle leggi formulate.
quella dinamica che abbiamo appena visto.
La forza d’attrito dinamico è responsabile dell’i-
Osserviamo subito che per descrivere bene questa
dea aristotelica secondo la quale per mantenere un
forma d’attrito non possiamo prescindere dal fatto
corpo in moto c’è bisogno d’una forza. Il primo prin-
che l’oggetto abbia una superficie e un volume non
cipio della dinamica chiarisce che non è cosí, eppure
nulli: se trattassimo il corpo come un punto mate-
tutti siamo tentati di affermare che lo sia, perché a
riale non riusciremmo a farlo rotolare. Questo si-
tutti è capitato di spingere qualcosa e di osservare
gnifica che in questo capitolo non abbiamo gli stru-
che, cessata la spinta, cessa il moto. Se cosí fosse
menti matematici per descrivere il moto di questi
però non si spiegherebbe perché lanciando in aria o
oggetti e che possiamo fare soltanto analisi di tipo
colpendo un pallone con un calcio questo continui a
qualitativo.
muoversi pur in assenza di forze che lo sospingono
Una cosa che vale subito la pena di discutere è
lungo il moto. È chiaro che non è affatto necessario
la natura delle forze che permettono il rotolamento,
applicare una forza a qualcosa per farla muovere,
distinguendola da quella delle forze che l’ostacolano.
ma, secondo il dettato del secondo principio, è ne-
Il rotolamento non è provocato dalle forze di attrito
cessaria una forza per cambiarne lo stato di moto.
volvente. Infatti, affinchè una palla inizi a rotolare è
Se dunque per far avanzare un pesante oggetto a ve-
necessario che il punto di contatto della palla con la
locità costante è necessaria una forza, significa che
superficie sulla quale si muove sia in qualche modo
ad agire su quell’oggetto non c’è solo la forza ap-
trattenuto proprio da questa superficie. Solo co-
plicata, ma anche un’altra forza tale da opporsi a
sí la palla inizia a rotolare. Se il punto di contatto
questa per far sí che la sua accelerazione sia nulla.
con il piano si potesse muovere, in seguito all’appli-
Questa forza, che si oppone alla variazione di stato
cazione di una forza, avanzerebbe rispetto alla sua
prodotta dall’applicazione della forza d’intensità F ,
posizione. In realtà non lo fa perché nell’istante in
non può che essere una forza d’attrito dinamico Fa .
cui la palla subisce la forza è fermo e mantenuto tale
Deve quindi essere che
dall’interazione con la superficie; nell’istante imme-
diatamente successivo la palla, sotto l’azione delle
a = 0 = F − Fa = F − µd M g (13.101) forze applicate (e delle forze interne che ne man-
tengono la forma), ruota di un angolo microscopico
nel caso di spostamento orizzontale. Si capisce al- che sottrae il punto di contatto all’azione delle for-
lora perché, pur applicando una forza all’oggetto di ze che lo fanno aderire alla superficie, esponendo a
massa M , questo si muove di moto rettilineo uni- queste il punto ad esso adiacente. Quest’ultimo, a
forme: F non è l’unica forza applicata all’oggetto; sua volta, è di nuovo trattenuto nella sua posizione:
occorre tener conto del fatto che su di esso agisce la palla quindi ruota di un altro microscopico ango-
l’attrito dinamico. Quest’analisi spiega anche per- lo, il punto si stacca dalla superficie, ma il punto ad
fettamente perché è piú difficile spostare un oggetto esso vicino finisce per aderirvi e cosí via.
pesante rispetto a uno leggero, anche una volta che Il rotolamento quindi è provocato da forze del tut-
si sia superata la soglia dell’attrito statico. to simili a quelle che producono l’attrito statico. Se

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13.5. LE FORZE DI ATTRITO 187

provate a tirare un calcio a un pallone sul ghiaccio peso è decisamente inferiore rispetto a quello delle
vedrete che questo non rotolerà affatto (o almeno chiavi. Se si elimina l’aria attraverso una pompa da
non soltanto), ma scivolerà sulla superficie, perché vuoto, però, si osserva che fogli e chiavi cadono con
il coefficiente di attrito statico non è sufficiente a la stessa accelerazione. Questo significa che il moto
trattenere fermo il punto di contatto. del foglio è rallentato da una qualche forma di at-
L’attrito volvente evidentemente si deve verificare trito viscoso prodotta dall’aria nella quale si muove,
per altri motivi. Si vede facilmente che un oggetto la cui intensità deve dipendere dal peso della foglio.
che rotola lo fa piú facilmente su una superficie du- Le automobili (e i mezzi di trasporto in genera-
ra che su una morbida: provate a far rotolare una le) si muovono con maggiore difficoltà all’aumenta-
boccia su un materasso o su un tavolo. Evidente- re della velocità: aumentando la forza impressa dal
mente quindi le forze di attrito volvente dipendono motore sul mezzo, questo non avanza con un’acce-
dal grado di schiacciamento che il corpo produce lerazione proporzionale a questa forza. Solo in par-
sulla superficie con cui è in contatto e devono es- te la mancata accelerazione si spiega con l’attrito
sere legate all’area della superficie con la quale il delle ruote sul terreno. In buona parte la responsa-
corpo, in effetti, entra in contatto. Se la superficie bilità del mancato avanzamento è del fatto che ad
fosse perfettamente rigida le forze di attrito volven- alta velocità la resistenza opposta dall’aria diven-
te sarebbero probabilmente assenti perchè solo un ta importante, come si sperimenta nelle cosiddette
punto del corpo sarebbe sempre in contatto con es- gallerie del vento. È per questo motivo che la for-
sa. È abbastanza evidente che tutte le superfici che ma delle carrozzerie è tanto importante ai fini del
possiamo pensare di usare hanno un certo grado di consumo e della velocità che possono raggiungere le
elasticità e di deformabilità, per cui l’area di con- automobili.
tatto non è nulla e questo è quel che deve causare Infine, la velocità di un paracadutista è molto in-
l’attrito volvente. feriore a quella che avrebbe se si lanciasse senza pa-
racadute, sebbene anche in questo caso la velocità
13.5.4 Attrito viscoso con la quale toccherebbe terra non sarebbe quella
prevista assumendo soltanto l’effetto della forza di
Un’altra forma di attrito dinamico si presenta quan- gravità.
do non ci sia alcuno scivolamento di corpi su pia- In tutti i casi visti, quello che succede è che la for-
ni, ma quando un corpo attraversa un fluido come za di attrito viscoso è piú intensa se la superficie S
l’aria o l’acqua. del corpo è maggiore, se la sua massa m è piccola e
Tutti sappiamo che muoversi in una piscina è mol- se la sua velocità v è grande. Ognuno di questi para-
to piú complicato che farlo in aria e questo significa metri influenza in qualche maniera la forza d’attrito,
che ci devono essere forze che si oppongono al mo- possiamo perciò scrivere che
to quando il nostro corpo è immerso in acqua. Se è
cosí probabilmente lo stesso accade quando il cor- Fa = f (S, m, v) , (13.102)
po si trova in aria, ma in questo caso le forze di
dove f è una funzione complicata di S, m e v, ma
attrito devono essere decisamente piú modeste. Se
se ci limitiamo a studiare i punti materiali, per cui
però l’oggetto che si muove in aria è molto legge-
S = 0 e trascuriamo gli effetti della massa, che sono
ro, oppure ha una velocità notevole o ancora una
importanti quasi sempre solo per masse molto pic-
superficie molto ampia, le forze d’attrito prodotte
cole, la forza d’attrito deve dipendere soltanto dalla
dal fluido possono essere significative. Queste forze
velocità e in prima approssimazione dev’essere
si chiamano di attrito viscoso.
Un foglio di carta lasciato cadere, per esempio,
Fa = kv (13.103)
segue una traiettoria ben diversa da quella seguita
da un mazzo di chiavi, evidentemente perché il suo

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13.5. LE FORZE DI ATTRITO 188

dove k è un coefficiente che ha le dimensioni di una


forza divisa una velocità (si misura perciò in Ns/m).  
k
Dall’equazione del moto abbiamo che x = x(t) = x(t = 0) exp − t (13.112)
m
F − Fa
a= (13.104) e ricordando che x = mg − kv
m
dove F è la forza applicata al corpo di massa m:
per esempio, nel caso di un corpo che cade in aria
 
k
F = mg. In questo caso abbiamo mg − kv = (mg − kv0 ) exp − t . (13.113)
m
mg − kv
(13.105) dove v0 è la velocità del corpo per t = 0. Se il corpo
∆v
a= =
∆t m parte da fermo v0 = 0 e
da cui
  
∆v ∆t mg k
= . (13.106) v= 1 − exp − t . (13.114)
mg − kv m k m
Per risolvere quest’equazione osserviamo che a nu- Controlliamo le dimensioni fisiche, dal momento che
meratore del primo membro c’è una variazione della il risultato è non banale. La parentesi è adimen-
quantità a denominatore (che contiene v), per cui sionale e dev’esserlo anche l’argomento dell’espo-
possiamo supporre di poter adoperare il risultato nenziale kt/m. k è una forza divisa per una velo-
dell’Appendice matematica secondo il quale se cità e ricordando che una forza è una massa per
∆x un’accelerazione abbiamo che
= α∆t (13.107)
x [M LT −2 ]
la grandezza x è funzione di t e si può scrivere che [k] = = [M T −1 ] . (13.115)
[LT −1 ]

x = x(t) = x(0) exp (αt) . (13.108) Moltiplicando k per un tempo e dividendolo per una
massa abbiamo una quantità adimensionale. Il rap-
Scriviamo x = mg −kv. Allora, ∆x è una variazione porto mg/k deve dunque avere le dimensioni di una
di x conseguente a una variazione delle grandezze da velocità. Ora, le dimensioni di k sono quelle di una
cui dipende. Ma tra m, g, k e v solo quest’ultima forza divisa una velocità, quelle di mg sono quel-
può cambiare quindi le di una forza, quindi il rapporto ha le dimensioni
attese.
Per t = 0 l’esponenziale vale 1 e v(t = 0) = 0 co-
∆x = x0 −x = mg−kv 0 −(mg − kv) = −k (v 0 − v) = −k∆v . per ipotesi. Quando t → ∞, invece, l’espo-
me deve
(13.109) nenziale si avvicina sempre piú a zero, e la velocità
Di conseguenza possiamo scrivere che tende a
∆x ∆t mg
− = (13.110) . v(∞) = (13.116)
kx m k
e dunque che Questo significa che la velocità di un corpo che cade
in un mezzo viscoso non aumenta indefinitamente,
∆x k
= − ∆t . (13.111) ma raggiunge una velocità limite pari a mg/k.
x m Questo potrebbe spiegare perché un palloncino ca-
La soluzione di quest’equazione è de piú lentamente di una chiave: la sua massa è piú
piccola e la velocità massima raggiunta è inferiore a

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13.6. ALTRE FORZE 189

quella della chiave. Sebbene il risultato sembri coe-


rente con le nostre osservazioni, in realtà non lo è
affatto, perché il fenomeno che si verifica con i pal-
loncini è molto diverso da quello che si verifica con
altri oggetti, pure leggeri13 .
È facile pensare, a questo punto, che la dipenden-
za dalla superficie S si possa esprimere assumendo
che

k = ηS (13.117)
dove η è un coefficiente che dipende dalla forma, dal
materiale di cui è fatto il corpo e dalla lavorazione Figura 13.7 Se si mantiene l’obiettivo
di una fotocamera aperto
della sua superficie. In questo modo per un tempo sufficientemen-
mg te lungo si può registrare
v(∞) = (13.118) la traccia lasciata dalle stel-
ηS le nel loro moto apparente
e l’attrito è tanto piú grande quanto maggiore è la sulla volta celeste. In questa
superficie esposta al fluido, mentre la velocità limite foto di Gianluca Li Causi si
vede che tutte le stelle ruo-
diminuisce con l’inverso della superficie. Una perso- tano attorno a quella polare,
na alta un metro e ottanta, con le spalle ampie una sulla sinistra.
cinquantina di centimetri, presenta una superficie
resistente pari a circa S ' 1.80 × 0.50 ' 1 m2 . Un
paracadutista con un paracadute di una ventina di
Luna sembrano percorrere la volta celeste in mo-
metri quadri arriva a terra con una velocità ridotta
do analogo. Questo movimento si può interpretare
di un fattore 201
, pari al 5 %, rispetto a una persona
come il risultato della rotazione della Terra attor-
priva di questo strumento.
no al proprio asse. Le stelle, molto probabilmente,
essendo lontanissime ci apparirebbero ferme (l’even-
13.6 Altre forze tuale loro movimento non sarebbe apprezzabile con
i nostri strumenti piú semplici), ma poiché il nostro
Oltre a quelle viste ci sono numerosi tipi di forza che sistema di riferimento ruota attorno a un asse, tut-
si possono osservare in azione nell’Universo, anche to ciò che sta al di fuori appare ruotare nel senso
se non sempre facilmente. Non è questa la sede in contrario.
cui ci occupiamo dei dettagli di queste forze, che Alcune stelle, tuttavia, non sembrano seguire que-
dovremo studiare opportunamente, ma vale la pena ste traiettorie: sono quelle che gli antichi chiamaro-
fare qualche osservazione, almeno qualitativa. no pianeti14 per questa ragione. I pianeti seguono
Una prima osservazione che possiamo fare è che traiettorie loro, almeno parzialmente indipendenti
in cielo si osservano diversi corpi celesti muoversi in dal moto apparente delle altre stelle. Anche Sole e
maniera diversa. La maggior parte delle stelle ruota Luna, pur mostrando un moto giornaliero del tutto
attorno a un punto che coincide abbastanza con la simile a quello delle stelle, cambiano posizione nel
posizione della stella polare, che indica il Nord, cielo nei diversi periodi dell’anno o del mese.
come evidenziato in Figura 13.7. Anche il Sole e la Tutti questi fenomeni si possono interpretare as-
13
In effetti la responsabilità del fenomeno è da attribuirsi Dal greco πλάνητ ες (pronuncia plànētes) che sta per
14

in buona parte al Principio di Archimede. vagabonde.

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13.6. ALTRE FORZE 190

sumendo che la Terra ruoti attorno al Sole su un’or- atomici. In questo capitolo non abbiamo abbastan-
bita di forma approssimativamente circolare con un za informazioni per supporne l’esistenza, ma quel
raggio di circa 149 000 000 di km. La Luna orbita at- che si sa oggi, dopo secoli di ricerche, è che la mate-
torno alla Terra a circa 300 000 km da essa e gli altri ria è composta di atomi con un nucleo formato da
pianeti orbitano anch’essi attorno al Sole. Venere protoni: particelle elettricamente cariche che do-
e Mercurio sono piú vicini, rispetto alla Terra (ri- vrebbero respingersi l’uno con l’altro con una forza
spettivamente a 108 000 km e 58 000 km), mentre molto intensa, per via delle interazioni di tipo elet-
gli altri sono tutti piú lontani (Marte, che è il piú trico di cui sopra. Se queste particelle stanno insie-
vicino, dista 230 000 000 di km). me nel nucleo vuol dire che ci dev’essere una forza
Se le stelle si possono considerare ferme e dun- che li trattiene, che si oppone all’effetto della repul-
que non soggette a forze, i pianeti no. Devono essere sione elettrostatica, come si chiama il fenomeno
soggetti a qualche tipo di forza centripeta che pro- che tenderebbe a disgregare i nuclei. È quella che si
voca un moto non esattamente circolare uniforme, chiama forza o interazione forte.
ma quasi. Questa forza è detta gravitazionale e le
sue caratteristiche sono studiate al Capitolo ??.
In casa o fuori, poi, abbiamo molti oggetti che
si muovono (o comunque cambiano il loro stato) in
seguito al collegamento di una spina a una presa
elettrica. Il motore di un asciugacapelli, per esem-
pio, o le pale di un ventilatore, una scala mobile, un
ascensore. Alcuni dispositivi non si muovono, ma
cambiano stato: un forno diventa caldo, una lam-
pada s’illumina. È evidente che in questo caso agi-
sce una forza diversa da quelle viste finora, nessu-
na delle quali è capace, per esempio, di provocare
l’accensione di un LED.
I magneti sulla porta del frigo o quelli che per-
mettono la chiusura delle ante degli sportelli o delle
custodie di tablet e smartphone provocano evidente-
mente l’accelerazione dei corpi posti nelle loro vici-
nanze, purché siano fatti di materiali ferrosi. Anche
qui, per spiegare queste accelerazioni dobbiamo ri-
correre a ipotizzare l’esistenza di un particolare ti-
po di forze che si manifesta solo con certi tipi di
materiali.
Al Paragrafo 3.2 è illustrato un processo, il de-
cadimento radioattivo, che porta certe sostanze
a trasformarsi in altre sostanze. Si tratta, anche in
questo caso, di un evidente cambio di stato, per
il quale il nostro modello richiede l’esistenza di una
forza che lo provochi, che prende il nome di forza
debole.
È anche necessario ipotizzare l’esistenza di
un’interazione forte, molto piú intensa delle pre-
cedenti, responsabile della formazione dei nuclei

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Unità Didattica 14
Forze apparenti

Al Paragrafo 13.6 è descritto il moto delle stelle e apparente Fa in modo tale che l’accelerazione mi-
degli altri corpi sulla volta celeste. Le stelle, in parti- surata sia uguale a quella calcolata. Per esempio,
colare, sembrano seguire un moto circolare uniforme nel caso del palo della luce, evidentemente su di es-
attorno a un asse passante grosso modo per la stella so la forza risultante è nulla per cui la sua accele-
polare. L’interpretazione che si dà di questo moto razione a è nulla se misurata rispetto a un sistema
è che non sia reale, ma apparente, nel senso che è il di riferimento fermo. Lo stesso vale nel caso in cui
frutto del fatto che siamo noi, fermi sulla Terra, a l’accelerazione del palo sia misurata da un sistema
ruotare attorno a un asse passante per il Polo Nord, di riferimento in moto rettilineo uniforme: il palo
per cui, dal nostro sistema di riferimento, vediamo si muoverà all’indietro rispetto alla direzione presa
le stelle, fisse, ruotare in senso contrario. dal sistema di riferimento, ma con velocità costante,
Indipendentemente da chi si stia realmente muo- quindi anche in questo caso a = 0 come prevede la
vendo, le misure ci dicono che le stelle ruotano attor- Legge di Newton.
no a un punto: che questa rotazione sia apparente o Se però si osserva il palo da un sistema con ac-
meno è irrilevante ai fini della descrizione del moto. celerazione aS , il palo sembra avere accelerazione
In fondo il moto è sempre relativo all’osservatore. In pari a −aS , quindi è come se ci fosse una forza
certi casi è addirittura impossibile stabilire chi tra Fa = −maS applicata al palo. Si tratta, natural-
osservatore e osservato sia effettivamente in moto: mente, di una forza fittizia: non esiste alcuna forza
è possibile, infatti, solo in presenza di accelerazioni. applicata al palo! È una sorta di trucco che usia-
Ma anche in presenza di accelerazioni, è localmen- mo per mantenere la validità della nostra teoria nei
te impossibile stabilire se un sistema di riferimento sistemi di riferimento non inerziali. Il trucco è giu-
sia in moto o meno. stificato dal fatto che in effetti, dal punto di vista
Se descriviamo il moto osservato delle stelle stan- delle misure eseguite, tutto va esattamente come
do sulla Terra dobbiamo ammettere che le stelle se questa forza ci fosse.
sono soggette a un’accelerazione centripeta che le
costringe a ruotare attorno a un asse. In genera-
le, osservando il moto di qualcosa da un sistema 14.1 Sistemi accelerati
di riferimento accelerato, rispetto a chi le esegue
In un sistema di riferimento accelerato quale può
il soggetto delle misure presenta un’accelerazione.
essere quello di un’automobile o di un aereo in par-
Per esempio, se si osserva dall’interno dell’abitacolo
tenza, i corpi presenti all’interno dell’abitacolo sono
di un’automobile in fase di accelerazione il moto di
trascinati dal veicolo. Per questa ragione, un’inten-
un palo della luce, questo appare muoversi all’indie-
sa accelerazione comporta l’essere schiacciati sullo
tro con un’accelerazione uguale in modulo a quella
schienale e, al contrario, una brusca frenata provo-
dell’auto.
ca un movimento in avanti dei passeggeri (che tra
Se vogliamo continuare a sostenere che a = F/m
l’altro è pericolosissimo per la loro incolumità e per
siamo costretti a introdurre una forza fittizia o
14.1. SISTEMI ACCELERATI 192

limitare il quale si devono sempre usare le cinture Qualunque oggetto di massa m si trovi all’inter-
di sicurezza). no dell’automobile quindi sperimenta una forza
È evidente che nell’auto non c’è alcuna forza che d’intensità
spinge un passeggero a portare il suo corpo in avanti
quando l’auto frena, eppure noi avvertiamo chiara- Fa = −m (aS , 0, 0) (14.5)
mente questa forza. Quello che succede, in realtà, è
e quindi si muove con accelerazione
che il corpo del passeggero, una volta accelerato e
lanciato a velocità costante insieme all’automobile, Fa
tenderebbe a mantenere la propria velocità se non a= = (−aS , 0, 0) . (14.6)
m
intervenissero forze a modificarne lo stato. Quan- Si sente dunque spinto all’indietro. In caso di frenata
do il guidatore frena bruscamente l’auto rallenta di i segni sono opposti, ma l’effetto è del tutto analogo.
colpo: la sua velocità diminuisce improvvisamente. Un esperimento molto semplice che dimostra la
Il sedile dell’auto, dunque, resta indietro rispetto al validità di quanto affermato in questo paragrafo è il
corpo dei passeggeri che, non essendo stati frena- seguente. Chiudetevi in un ascensore con una comu-
ti, continuerebbero a muoversi in avanti sempre alla ne bilancia elettronica da cucina poggiata sul pavi-
stessa velocità. Ma l’attrito statico tra il sedere dei mento. Quindi premete il tasto per salire. Special-
passeggeri e i sedili trascina la parte bassa del corpo mente se partenza e arrivo sono bruschi noterete
all’indietro e il passeggero sente quindi il suo torso che sul display della bilancia compaiono, per brevi
spinto in avanti (e trattenuto dalle cinture). istanti, numeri positivi quando l’ascensore inizia a
Dal punto di vista formale l’equazione del moto salire e negativi pochi istanti prima di fermarsi.
in un’auto ferma o in moto rettilineo uniforme si Le bilance da cucina, infatti, non misurano la
scrive massa, ma il peso degli oggetti. Misurano infat-
ti la forza esercitata sul piatto dagli oggetti posti
a=0 (14.1) sulla bilancia, che poi dividono per l’accelerazione
essendo nulla la risultante delle forze applicate a di gravità mostrando sul display un valore in uni-
ogni passeggero. Le uniche forze agenti, infatti, sono tà di massa (g o kg). Funzionano, di fatto, come
la forza peso del passeggero e la reazione vincolare se fossero costituite di una molla (o, meglio, di un
del sedile. dinamometro).
Non appena il guidatore provoca un’accelerazione Quando l’ascensore parte per salire passa da ve-
aS , i passeggeri misurano un’accelerazione locità nulla a velocità rivolta verso l’alto, quindi il
sistema nel quale si trova lo strumento è accelerato
a = −aS (14.2) con accelerazione rivolta verso l’alto. Di conseguen-
e ne devono quindi concludere che nel loro sistema za su ogni cosa presente nell’ascensore agisce una
di riferimento c’è una forza fittizia che vale forza (fittizia) diretta verso il basso e per questo la
bilancia misura un peso non nullo. L’accelerazione
Fa = −maS . (14.3) cessa quasi subito, perché poi l’ascensore comincia a
muoversi di moto rettilineo uniforme. Diventa quin-
Se usiamo un sistema di riferimento solidale con di un sistema inerziale e la forza fittizia sparisce.
l’auto, l’asse 1 orientato in avanti, l’asse 2 in al- Nel momento in cui si arresta al piano, però, inter-
to e l’asse 3 alla destra del conducente possiamo viene una nuova accelerazione che porta la veloci-
scrivere che, in seguito a un aumento della pressio- tà da rivolta verso l’alto a zero. La forza fittizia è
ne sul pedale dell’acceleratore l’auto si muove con ora rivolta verso l’alto quindi è come se qualcuno
accelerazione prendesse il piatto della bilancia e lo tirasse su. La
bilancia, negli istanti in cui l’ascensore sta frenan-
aS = (aS , 0, 0) . (14.4)

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14.2. LA FORZA CENTRIFUGA 193

do, mostra numeri negativi. Usando uno smartpho- 14.2 La forza centrifuga
ne potete verificare che l’aumento e la diminuzio-
ne di peso coincidono con le fasi di accelerazione Quando il moto dei sistemi di riferimento non è ret-
e decelerazione dell’ascensore. Tutti gli smartpho- tilineo la velocità cambia direzione, perciò, anche in
ne, infatti, hanno a bordo un accelerometro: un assenza di variazioni del modulo della velocità, come
dispositivo che misura le accelerazioni necessario a nel caso del moto circolare uniforme, l’accelerazione
capire se il dispositivo è tenuto dall’utente in verti- non è nulla e quindi, se si misurano le posizioni e
cale o in orizzontale (l’immagine sul display si adat- le velocità da un sistema di riferimento rotante, si
ta all’orientazione del telefono). Sulla rete trovate deve tener conto della presenza di forze fittizie.
tantissime App che permettono di visualizzare l’an- Facciamo sempre l’esempio dell’automobile e sup-
damento delle tre componenti dell’accelerazione in poniamo che questa affronti una curva a velocità so-
funzione del tempo. stenuta (l’effetto è indipendente dalla velocità, ma
Se l’ascensore di un altissimo grattacielo precipi- lo si apprezza meglio se questa è alta), immaginan-
tasse dall’ultimo piano sotto l’azione della forza pe- do che la curva sia rappresentabile come un arco
so1 , durante la caduta tutti gli oggetti al suo interno di circonferenza percorso in senso orario (curva a
fluttuerebbero senza peso perché cadrebbero esat- destra).
tamente come l’ascensore e si muoverebbero esatta- Tutto ciò che è all’interno dell’abitacolo e che pri-
mente come lui, che non potrebbe cosí piú esercitare ma della curva si muoveva a velocità costante in
la reazione vincolare che normalmente esercita. modulo, direzione e verso, continuerebbe, in assen-
Se avete abbastanza soldi potete anche acquista- za di forze, a muoversi in avanti. Se però si applica
re un biglietto per un volo in assenza di gravità. all’automobile, attraverso lo sterzo, una forza cen-
Esistono infatti società che offrono a passeggeri pa- tripeta che la fa sterzare verso destra, il sistema di
ganti un’esperienza che consiste nel salire su un ae- riferimento cambia direzione e i passeggeri (e tutto
reo che raggiunge una quota molto alta dopo di che ciò che vi si trova all’interno) sembrano spinti verso
comincia a precipitare in caduta libera con un’acce- l’esterno della curva, cioè verso sinistra. In realtà,
lerazione uguale a quella di gravità2 . I passeggeri al- come sopra, non sono i passeggeri a essere spinti
l’interno della cabina, cosí, si trovano in un sistema verso l’esterno, ma l’auto che si sposta verso l’inter-
di riferimento accelerato verso il basso con accelera- no, e nel farlo trascina con se le parti dei passeggeri
zione aS = 9.8 ms−2 e sperimentano, oltre alla forza in contatto con i sedili. Il resto del corpo prosegue
di gravità mg, una forza fittizia rivolta verso l’al- dritto, ma il finestrino a sinistra si avvicina a que-
to pari a −maS = −mg. La somma di queste due sto e chi si trova all’interno percepisce una forza
forze è nulla e ai passeggeri sembra di essere sen- fittizia che lo spinge ad avvicinarsi al finestrino.
za peso: cominciano cosí a fluttuare all’interno del- Questa forza è detta centrifuga perché tende ad
la cabina. Naturalmente, per chi dovesse osservarli allontanare gli oggetti dal centro di curvatura del-
dall’esterno, starebbero semplicemente cadendo! la traiettoria. Naturalmente questa forza non esiste,
ma è presente solo nei sistemi di riferimento acce-
1
Si tratta di un esempio classico e molto diffuso, da cui
lerati come risultato della Legge di Newton. Visto
si capisce che i fisici amano il thriller oppure che non sono
troppo sani di mente ,. da un sistema di riferimento inerziale il moto è per-
2
A dire il vero l’aereo non precipita davvero, ma accelera fettamente coerente con le Leggi di Newton, come
verso il basso: se si limitasse a spegnere i motori, la forza di si vede nel Filmato 14.1, in cui un punto materia-
attrito viscoso infatti lo farebbe cadere con un’accelerazione le è soggetto a una forza centripeta e si muove di
inferiore.
moto circolare uniforme fino a quando l’asse 1
del sistema di riferimento rotante forma un angolo
inferiore a 45◦ con la direzione iniziale. In quel mo-
mento la forza centripeta viene a mancare e il punto

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14.2. LA FORZA CENTRIFUGA 194

filmato non riproducibile su questo


supporto: digita l’URL nella caption o v2
scarica l’e-book .
Fa = m (14.8)
R
Figura 14.1 Un oggetto si trova in un si- Il peso del passeggero diventa, di fatto,
stema di riferimento rotan-
te. A un certo istante, quan- v2
 
do l’asse 1 forma un angolo P=m g− . (14.9)
R
di 45◦ con la direzione inizia-
le, la forza centripeta viene a Una persona di 80 kg, quindi, avrà un peso pari a
mancare. L’oggetto allora co-
mincia a muoversi con veloci-
tà uniforme (il filmato in que-
2 !
60 31 600
000
sta parte è rallentato per mo- P = 80 9.8 − ' 414 N4 (14.10)
strare come l’oggetto prose- 60
gue lungo una traiettoria ret-
tilinea) [https://youtu.be/ quindi è come se avesse una massa di
_GE7RK_t5ks].
P 414
ma = = ' 42 kg . (14.11)
g 9.8
si sposta a velocità costante (in modulo3 , direzione e Per questa ragione, quando si percorre un dosso a
verso) lungo una traiettoria rettilinea indicata dalla velocità sostenuta si avverte quella spiacevole sensa-
linea verde. zione allo stomaco (che è sorretto dagli organi pre-
Analizziamo un caso concreto piuttosto comune: senti nel ventre che, avendo un buon grado di elasti-
supponiamo che un’auto che si muove alla veloci- cità, si comportanono come una molla, reagendo con
tà di 60 km/h passi sopra un dosso la cui forma si una forza di tipo elastico all’improvvisa diminuzione
può approssimare come un arco di circonferenza, di- di peso).
ciamo, di una sessantina di metri R = 60 m. Poiché Un altro caso notevole da considerare è quello de-
l’auto percorre una traiettoria curva rappresenta un gli astronauti. Avrete tutti guardato i filmati della
sistema di riferimento non inerziale nel quale alle NASA nei quali si vedono gli astronauti in orbi-
forze agenti su quel che c’è dentro si deve aggiungere ta attorno alla Terra fluttuare senza peso, insieme
la forza apparente Fa = −maS . a tutti gli oggetti presenti a bordo del veicolo nel
Una persona seduta nell’auto quindi, normalmen- quale si trovano. Sono in molti a pensare che in or-
te soggetta alla forza peso mg, diretta verso il bas- bita non ci sia la forza peso ed è per questo che gli
so, in questo sistema di riferimento è come se fosse astronauti possono volare. In realtà è evidente che
soggetta anche a una forza maS , che è diretta ver- il veicolo spaziale e tutto ciò che vi si trova all’in-
so l’alto perché il dosso è rappresentabile come un terno dev’essere soggetto a una forza centripeta
arco di circonferenza il cui centro si trova sotto la diretta verso il centro della Terra che ha tutte le ca-
strada a R = 60 m. Ora, nel caso del moto circola- ratteristiche della forza peso, a parte l’intensità. Se
re uniforme, quale si può assumere quello dell’auto, cosí non fosse oggetti come la Stazione Spaziale
l’accelerazione centripeta ha modulo Internazionale (ISS: International Space Station)
non potrebbero ruotare attorno alla Terra, ma vole-
v2 rebbero lontano muovendosi di moto rettilineo uni-
ac = (14.7)
R forme. Per mantenere il veicolo in orbita è necessaria
e quindi la forza centrifuga applicata al passeggero una forza diretta verso il centro della Terra di modu-
vale, in modulo, lo pressoché costante. Veicolo e astronauti dunque
3
Nel filmato il tempo è stato alterato per permettere di Notate che, per eseguire il calcolo, abbiamo dovuto
4

apprezzare meglio il moto. convertire la misura della velocità da km/h a m/s.

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14.3. LA FORZA DI CORIOLIS 195

sono attratti dalla Terra, sebbene non la tocchi- x′


no mai. Quello che succede è che le misure fatte
nel veicolo (il filmato ripreso da una telecamera a
bordo è di fatto un dispositivo che non fa altro che
misurare continuamente la posizione di ogni singo- y
3
lo oggetto nell’inquadratura) sono misure eseguite y′
a′2
in un sistema di riferimento non inerziale. In esso 2
a1
π−θ
A
occorre considerare l’esistenza di una forza centri- 1
fuga diretta in senso contrario all’accelerazione del θ
0
sistema. Quest’ultima è diretta verso il centro della O
0 1 2 3
a′1
4 5 6 7 x
Terra, quindi la forza centrifuga, come peraltro dice
il nome, è diretta verso l’esterno. Abbiamo dunque
due forze che agiscono lungo la stessa direzione, ma
in versi opposti: quella Fp che attrae l’astronave ver-
so la superficie della Terra e quella centrifuga Fc che Figura 14.2 La coordinata 1 del punto
la spinge lontano. Se queste due forze sono uguali A nel sistema nero S, cono-
scendo quelle nel sistema ros-
in modulo, nel sistema di riferimento non inerziale, so S 0 , si ottiene sommando
l’accelerazione dei corpi è nulla essendo le lunghezze dei segmenti in
verde e in blu della figura.
ma = Fg − Fc = 0 . (14.12)
Che queste due forze siano uguali è evidente dal fat-
to che l’astronave si deve muovere di moto circolare muoverà di moto rettilineo uniforme. Ma per noi che
per cui la sua accelerazione centripeta è la osserviamo da un sistema di riferimento in rota-
zione, perché fermi sulla superficie terrestre, la par-
Fp
ac = (14.13) ticella segue, evidentemente una traiettoria curva.
m Ne concludiamo che sulla particella deve agire una
che è quella che determina l’intensità della forza cen- forza, che è una forza fittizia, che prende il nome
trifuga Fc = −mac . Quindi gli astronauti non flut- di forza di Coriolis dal nome di G. Coriolis.
tuano senza peso perché questa forza sarebbe assen- Cerchiamo di capire che aspetto dovrebbe ave-
te in orbita, ma semplicemente perché si trovano in re questa forza apparente. Un punto di coordinate
un sistema di riferimento non inerziale, accelerato. A = (a , a , a ) in un sistema di riferimento S, ha
1 2 3
coordinate A0 = (a01 , a02 , a03 ) diverse in un sistema
di riferimento S 0 ruotato di un angolo θ rispetto ad
14.3 La Forza di Coriolis esso. Se prendiamo il caso che nella Figura 14.2,
Osservando le numerose trasmissioni TV relative in cui S è rappresentato in rosso, vediamo che le
al meteo avrete senza alcun dubbio notato5 che coordinate del punto A in S si scrivono come
le perturbazioni assumono sempre l’aspetto di  0 0
vortici in rotazione oraria (cicloni) o antioraria  a1 = a1 cos θ − a2 sin θ

(anticicloni). Vediamo di capire perché. a2 = a01 sin θ + a02 cos θ (14.14)
Consideriamo quindi una particella di vapore
 a = a0

3 3
acqueo (di cui sono formate le nuvole) di cui pos- che si può scrivere, con una notazione piú compatta
siamo certamente trascurare, almeno in prima ap- come
prossimazione, il peso. Questa particella perciò si
5
Si nota il tono ironico? A = RA0 (14.15)

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14.3. LA FORZA DI CORIOLIS 196

dove A e A0 sono vettori colonna del tipo


dA0 d
   0 = R−1 A (14.22)
a1 a1 dt dt
A=  a 2
 0
A = a02 
 (14.16) Questo significa che la velocità nel sistema S 0 , defini-
a3 a03 ta come la variazione dA0 delle coordinate in questo
e R è una matrice 3 × 3 che ha il seguente aspetto: sistema nell’intervallo dt, è uguale alla variazione,
  nell’unità di tempo, del prodotto R−1 A. Se l’ango-
cos θ − sin θ 0 lo θ è costante lo è anche la matrice R−1 , quindi
 sin θ cos θ 0 . (14.17) la variazione del prodotto R−1 A è dovuta soltanto
0 0 1 all’eventuale variazione di A e possiamo scrivere che
Con questa scrittura s’intende il prodotto riga
d −1 dA
per colonna che consiste nello scrivere la coordi- R A = R−1 (14.23)
nata i–esima del vettore A come la somma di tutti dt dt
i prodotti degli elementi della riga i di R per gli e quindi che
elementi del vettore A0 :
dA0 dA
= R−1 , (14.24)
ai =
X
Rij a0j . (14.18) dt dt
j perciò abbiamo che se la velocità di un punto A
è costante (dA/dt = v = cost) lo è in entrambi i
Se volessimo calcolare le coordinate di A0 a parti-
sistemi, perché la velocità v0 = dA0 /dt è il prodotto
re da quelle di A dobbiamo invertire la relazione.
della matrice costante R−1 per la velocità costante
Se si trattasse di un prodotto ordinario potremmo
v. Se però l’angolo θ non è costante, ma varia come
scrivere che
θ = ωt (cioè se il sistema S 0 ruota uniformemente
1 attorno all’asse 3 di S, allora R−1 non è piú costante
A0 = A = R−1 A . (14.19)
R ma è
Ma R non è un numero e non è cosí ovvio cosa si
debba intendere con R−1 ! Ancora una volta dob-  
cos ωt sin ωt 0
biamo inventare una matematica che funzioni. Per
R−1 = − sin ωt cos ωt 0 . (14.25)
trovare R−1 basta osservare che
0 0 1
A = RA0 = RR−1 A . (14.20) A questo punto la variazione del prodotto R−1 A di-
e quindi la matrice che risulta dalla moltiplicazione pende sia dalla possibile variazione di R−1 che da
di R per R−1 dev’essere la matrice identità I che quella di A. Vediamo come possiamo esprimerla nel
possiamo esprimere come una matrice i cui elemen- migliore dei modi, supponendo di dover valutare co-
ti sono tutti nulli tranne quelli sulla diagonale che me cambia il prodotto di due grandezze fisiche a e
sono uguali a 1. Naturalmente anche per il prodotto b, c = a · b, quando sia a che b possono variare. Se a
RR−1 intendiamo il prodotto riga per colonna e con varia di da e b di db il prodotto diventa
poco sforzo si vede che R−1 ha la forma
 
cos θ sin θ 0 c0 = a0 · b0 = (a + da) · (b + db) . (14.26)
− sin θ cos θ 0 (14.21)
0 0 1 Sviluppando il prodotto possiamo scrivere la varia-
Se entrambi i sistemi di riferimento sono fermi, la zione dc = c − c del prodotto delle due grandezze
0

velocità del corpo nel sistema S è dA/dt e quella come


nel sistema S 0 dA0 /dt in cui

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14.3. LA FORZA DI CORIOLIS 197

di queste, variano le funzioni corrispondenti. In che


modo? Cominciamo col vedere che succede a sin θ
 + a · db + b · da + da · db − 
dc = 
ab ab
. (14.27) quando θ varia di dθ:

Se le variazioni sono piccole il prodotto da · db è


d sin θ = sin (θ + dθ) − sin θ (14.32)
molto piú piccolo degli altri due addendi e si può
trascurare per cui che, usando le formule di somma e sottrazione del
seno, diventa
dc ' a · db + b · da (14.28)
e possiamo stabilire una regola secondo la quale d sin θ = sin θ cos dθ + cos θ sin dθ − sin θ (14.33)
la variazione di un prodotto si calcola moltiplican-
do il primo fattore per la variazione del secondo Se dθ è piccolo possiamo scrivere che cos dθ ' 1 e
e aggiungendo il secondo fattore moltiplicato per sin dθ ' dθ per cui
la variazione del primo. In effetti verifichiamo che
se a = b = 10 e da = db = 1, cioè entrambe le
grandezze variano del 10 %, il prodotto ab = 100 d sin θ ' sin θ + dθ cos θ − sin θ = dθ cos θ . (14.34)
diventa a0 · b0 = 11 × 11 = 121, con una varia-
zione di 21 rispetto al valore originale. Notate che Con la stessa tecnica (fatelo voi) si trova che
a · db + b · da = 20, con una differenza rispetto a 21 d cos θ = −dθ sin θ. La variazione di R−1 dunque
irrisoria rispetto al valore del prodotto (sbagliamo, si scrive usando questi risultati come
in definitiva dell’1 %). Provando con variazioni sem-
pre piú piccole vedete bene che l’approssimazione è  
−d (ωt) sin ωt d (ωt) cos ωt 0
ottima. Perciò potremo scrivere che
dR−1 = −d (ωt) cos ωt −d (ωt) sin ωt 0 .
0 0 0
dA0 d −1 dA dR −1
(14.35)
= R A = R−1 + A . (14.29)
dt dt dt dt Per ω costante d(ωt) = ωdt e quindi il rapporto tra
dR−1 e dt diventa
Ora, se anche la velocità del corpo nel sistema S
è costante, visto dal sistema rotante non lo è piú
perché sarà
 
−1 −ω sin ωt ω cos ωt 0
dR
0 −1
= R = −ω cos ωt −ω sin ωt 0 (14.36)
dA dR dt
v0 = = R−1 v + A. (14.30) 0 0 0
dt dt
e né R−1 , né la sua variazione nell’unità di tem- per cui
po dR−1 /dt lo sono. Com’è fatta la variazione della
dA0
matrice R−1 ? Evidentemente sarà qualcosa del tipo v0 = = R−1 v + RA (14.37)
dt
  che scritta esplicitamente dice che
d cos ωt d sin ωt 0
dR−1 = −d sin ωt d cos ωt 0 , (14.31) 
0
0 0 0  v1 = v1 cos ωt + v2 sin ωt − ωa1 sin ωt + ωa2 cos ωt

v20 = −v1 sin ωt + v2 cos ωt − ωa1 cos ωt − ωa2 sin ωt .
dove l’elemento in basso a destra è nullo perché l’ele-  0

mento corrispondente in R−1 è costante, quindi non v3 = v3
varia. Se la matrice, come in questo caso, contie- (14.38)
ne funzioni trigonometriche, variando l’argomento

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14.3. LA FORZA DI CORIOLIS 198

A prima vista l’espressione trovata può apparire x′

molto complicata, ma quel che conta è capirne il si-


gnificato. Quello che ci stanno dicendo queste equa-
zioni è che le componenti della velocità di un corpo
y
che in un sistema di riferimento dovrebbero essere ′
3
y
costanti, in un altro sistema dipendono dal tempo t
2
e dalla posizione (a1 e a2 ) raggiunta dal corpo nel- a′2
l’istante in cui si valuta la velocità. Le componen- 1

ti della velocità viste nel sistema S 0 cambiano col 0


A
tempo quindi in questo sistema deve vedersi un’ac- O
0 1 2 3 4 5 6 7 x

celerazione che si può imputare formalmente alla a′1


presenza di una forza (fittizia).
Supponiamo ora che una goccia di vapore acqueo
si muova in direzione Nord–Sud: direzione rappre-
sentata dall’asse 3 della Figura 14.3, che è perpen- Figura 14.3 Una goccia di vapore acqueo
dicolare al piano della figura. La Terra, vista dal A si trova sulla verticale di
un punto sulla Terra, in ros-
Polo Nord, appare ruotare in senso antiorario. Un so, al tempo t = 0. A un tem-
osservatore inizialmente nel punto rosso sull’asse 1 po successivo il punto sulla
della figura, nel corso del tempo, percorre l’arco ωt Terra si è spostato di un an-
in azzurro fino a spostarsi nell’altro punto rosso. golo ωt e le coordinate del-
la goccia, dal sistema solidale
Nel sistema S (quello nero) la velocità della goccia
con il punto, sono cambiate.
si rappresenta come v = (0, 0, −v) ed è quindi un
vettore diretto verso il piano della figura. Se il si-
stema di coordinate S al tempo t = 0 è tale che la
goccia, rappresentata dal pallino blu nella figura, ha punto: supponiamo che il vapore acqueo sia attratto
coordinate A = (R, 0, 0), la sua velocità vista dalla da tutte le direzioni verso un punto specifico della
Terra vale Terra, per esempio sull’Atlantico. Se la Terra fosse
ferma le gocce che sono piú a Nord andrebbero verso
Sud e viceversa, quelle piú a Est verso Ovest e vice-
 0
 v1 = −ωR sin ωt

v20 = −ωR cos ωt . (14.39) versa. Poiché però ruota, quelle che si muovono da
 0

v3 = −v Nord a Sud tendono a spostarsi verso Ovest, men-
tre quelle che si muovono verso Nord tendono ad
Vediamo dunque che, nel sistema S 0 (rosso in figu- andare verso Est. Per le stesse ragioni, le gocce che
ra) la goccia assume una componente della veloci- vanno verso Ovest sembrano spinte a Nord e quelle
tà lungo la direzione 1 e una lungo la direzione 2. in direzione contraria verso Sud: complessivamente
Questo significa che la goccia, in un istante successi- si genera un moto circolare che, visto da fuori della
vo, si troverà alle coordinate (a1 , a2 , a3 ) per le quali Terra, consiste in una rotazione in senso antiorario.
a1 < R (perché v10 < 0), a2 < 0 (per lo stesso moti- I venti in alta quota si formano quando la pressio-
vo), e a3 < 0. Quindi, per chi l’osserva dal sistema ne atmosferica in un punto è inferiore nei punti vici-
S 0 , oltre a spostarsi verso Sud, la goccia si è spostata ni. Se quindi c’è un punto sull’Oceano in cui la pres-
verso Ovest. sione è piú bassa, il vapore acqueo in sospensione
È immediato verificare che se la goccia si spostas- nell’atmosfera si dirige verso quel punto e comincia
se da Sud a Nord acquisterebbe una componente a ruotare in senso antiorario attorno al punto.
della velocità in direzione Ovest–Est. Non è diffici- Se invece ci fosse una zona di alta pressione, sul-
le capire cosa succede istante per istante a questo la Sicilia per esempio, da quel punto si allontane-

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14.3. LA FORZA DI CORIOLIS 199

immediatamente se s’immagina di mettere un pen-


dolo al Polo Nord. Facendolo oscillare su un piano,
non essendoci alcuna forza che ne altera la direzio-
ne, questo dovrebbe rimanere costante. Ma la Terra
ruota sotto al pendolo e quindi chi vi si trova sopra
vede il piano di oscillazione del pendolo ruotare in
senso opposto. Spostando il pendolo a varie latitu-
dini l’effetto è lo stesso, anche se cambia la velocità
di rotazione e l’effetto si può interpretare alla luce
di quanto illustrato qui sopra. Il primo a eseguire
un esperimento di questo genere per dimostrare che
la Terra gira fu Léon Foucault da cui questo tipo
Figura 14.4 Nella foto ripresa da un sa- di pendolo prende il nome (pendolo di Foucault).
tellite meteorologico si vede Da qualche parte potreste leggere che la forza di
una zona di bassa pressio- Coriolis è anche responsabile del verso nel quale cir-
ne sull’Atlantico. Il vapore cola l’acqua quando cade nello scarico del lavandi-
acqueo attorno al punto ten-
no. In effetti anche nel caso in cui la velocità dei
de a muoversi verso di es-
so, ma essendo in un sistema corpi sia diretta verso il centro della Terra si mani-
di riferimento rotante acqui- festa un fenomeno analogo, che qui non discutiamo
sta componenti della velocità in dettaglio. Tuttavia l’intensità della forza di Co-
che lo fanno muovere in senso riolis in questo caso è decisamente piccola e il senso
antiorario.
di rotazione dell’acqua che finisce nello scarico dei
lavandini è determinato da ben altri fattori, qua-
li, ad esempio, la velocità iniziale dell’acqua, che
rebbero le particelle di vapore acqueo muovendo- s’imprime stappandoli. Potete fare facilmente qual-
si in direzione contraria a quanto visto finora. Ne che esperimento per verificarlo. In generale dovreste
risulterebbe un moto circolare in senso orario. sempre fare un esperimento, laddove possibile, per
Naturalmente si tratta di un moto apparente do- verificare qualche affermazione. Un bravo scienziato
vuto al fatto che è chi l’osserva che si trova in un non si fida mai di quel che dicono gli altri!
sistema di riferimento non inerziale, ma dal punto di
vista formale è come se ci fosse una forza, la forza di
Coriolis, che provoca un’accelerazione responsabile
di questo moto.
È anche evidente che, se si guarda tutto dall’altro
lato del piano del foglio, il moto appare rovescia-
to, perciò ci aspettiamo che nell’emisfero Australe,
attorno ai punti di bassa pressione l’aria circoli in
senso orario e viceversa, come in effetti si osserva
sperimentalmente (provate a guardare le previsioni
del tempo per l’Australia o il Sud America).
La forza di Coriolis è anche responsabile della ro-
tazione del piano di oscillazione di un pendolo, che
peraltro dimostra proprio che la Terra è un siste-
ma di riferimento non inerziale in rotazione attorno
a un asse. La rotazione di questo piano si capisce

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Unità Didattica 15
Lavorare stanca

Se provate a strofinare con un pezzo di carta ve- un pezzo di ferro. Perché succeda sono necessarie tre
trata la superficie di un metallo vi accorgerete che,condizioni:
dopo poco tempo, sia il metallo che la carta si scal- 1. la carta vetrata dev’essere spinta per far sí che
dano. Anche se vi fregate le mani queste si scalda- aderisca bene alla superficie del metallo;
no (lo fate, tipicamente, in inverno, quando è molto 2. dev’esserci attrito tra le superfici in contatto;
freddo). E lo stesso accade ai dischi dei freni del mo-3. la carta vetrata si deve spostare rispetto al
torino o dell’automobile quando frenate: si scaldano metallo.
perché una pinza stringe con forza il disco provocan-Se non si preme sulla carta vetrata e la si fa soltan-
do un fenomeno del tutto simile a quelli sopra de- to andare avanti e indietro il calore che si produce
è piccolissimo: per produrre una quantità di calore
scritti. Prima dell’invenzione dei metodi attuali, per
accendere un fuoco si doveva strofinare un baston- relativamente grande dobbiamo spingere con forza
cino di legno contro qualcosa di ruvido e persino neisulla carta in direzione del metallo (perpendicolar-
moderni accendini la scintilla che accende il gas chemente ad esso). Maggiore è la pressione esercitata
fuoriesce dall’ugello si produce strofinando un cilin-
maggiore è il calore generato. Possiamo perciò ra-
dro rugoso contro una piccola pietra nera (e anche gionevolmente avanzare l’ipotesi che il debole calo-
fiammiferi e cerini si accendono sfregandoli contro re prodotto quando non si applichi alcuna forza alla
una striscia di carta vetrata). carta, se non quella che la fa strisciare sul metallo,
Insomma, è piú che evidente che strofinare due sia dovuto al suo peso che comunque la fa aderi-
corpi l’uno contro l’altro produce calore. Per capi- re alla superficie. Se non ci fosse il peso della carta,
re cosa succede in questi casi dobbiamo studiare il questa, muovendosi avanti e indietro, non sortirebbe
fenomeno con gli occhi di un fisico, il che significaalcun effetto.
definire grandezze fisiche che lo rappresentano. In Se nonostante la pressione non ci fosse abbastanza
altre parole dobbiamo trovare qualcosa da misurare attrito tra le superfici a contatto non riusciremmo
che possiamo mettere in relazione con la quantità a produrre abbastanza calore. L’effetto della com-
di calore generata nel corso di questo movimento. ponente della forza che preme sulla carta vetrata
Per quanto i fenomeni descritti in questo capitolo dev’essere quello di aumentare l’attrito che, ricor-
siano evidenti, vi suggeriamo comunque di esegui- diamo, è proporzionale alla forza normale alla su-
re gli esperimenti e di osservare cosa accade, con laperficie. Le prime due condizioni quindi servono a
consapevolezza che le osservazioni ci serviranno per generare una forza d’attrito sufficientemente alta nei
sviluppare una teoria sulla generazione di calore. confronti delle parti oggetto del movimento.
Se, d’altra parte, si preme con forza sulla carta
vetrata senza farla andare avanti e indietro, sen-
15.1 Il lavoro za spostarla rispetto alla posizione iniziale, non si
produce alcun calore.
Il calore non si produce stando seduti in poltrona a
Per caratterizzare il fenomeno, quindi, dobbiamo
guardare un pezzo di carta vetrata appoggiato sopra
misurare sia la forza che agisce sulla carta vetrata,
15.1. IL LAVORO 202

sia il suo spostamento. Naturalmente la forza che y


agisce sulla carta vetrata, per produrre l’effetto, de- 3
C
ve avere una componente perpendicolare al moto e F

una tangente, che serve a vincere l’attrito, il quale 2


dev’essere grande (provate ad accendere un fiammi- θ
fero sfregandone la testa su un liscio pezzo di vetro). 1
A H ∆x
B
Come definiamo le grandezze utili? La quantità di
0
calore ∆Q generata in questi esperimenti è uno sca- O
0 1 2 3 4 5 6 x
lare che è funzione di una forza e di uno spostamen-
to, che sono entrambi dei vettori: ∆Q = f (F, ∆x).
Figura 15.1 Il lavoro di una forza costan-
Usando i due vettori F e ∆x dobbiamo dunque co- te si può pensare come il pro-
struire una grandezza scalare. Un modo semplice di dotto del modulo del vettore
farlo è di moltiplicarli scalarmente e definire spostamento ∆x per il modu-
lo della componente della for-
za che effettivamente provoca
∆L = F · ∆x = F ∆x cos θ . (15.1)
lo spostamento F cos θ, che
Qui θ è l’angolo formato tra il vettore forza e il nella figura è la lunghezza del
vettore spostamento. È utile osservare che l’espres- segmento AH.
sione riportata si può interpretare come il prodot-
to del modulo dello spostamento ∆x, rappresenta-
to dal vettore AB nella Figura 15.1, per il modu- diretta a destra la carta vetrata si sposta a destra e
lo della forza efficace F cos θ, cioè della componen- viceversa). In questi casi ∆L > 0.
te della forza che effettivamente produce lo sposta- In definitiva la grandezza fisica ∆L ha le proprietà
mento in esame che è quella in direzione dello spo- che servono a caratterizzare la produzione di calo-
stamento (rappresentata, nella figura, dal vettore re nel caso esaminato: aumenta all’aumentare della
AH): potremmo dire, in altre parole, che F cos θ forza che bisogna applicare alla carta vetrata per
è la proiezione della forza lungo la direzione dello vincere l’attrito e all’aumentare dello spostamen-
spostamento. to complessivo. Potrebbe dunque essere interessante
Questa grandezza fisica, dalla quale potrebbe di- valutarne le proprietà generali per porle in relazione
pendere la quantità di calore generata negli espe- al calore prodotto nello sfregamento.
rimenti ∆Q = f (∆L), vale zero se F = 0 o se Visto che abbiamo definito una nuova grandezza
∆x = 0, ma anche quando l’angolo tra F e ∆x è fisica sarà il caso di darle un nome e visto che stro-
di 90◦ : in questo caso la forza è diretta perpendico- finare con la carta vetrata un pezzo di ferro costa
larmente alla superficie di contatto e non provoca fatica la chiameremo lavoro. Evidentemente il la-
lo spostamento della carta parallelamente ad essa. voro ha le dimensioni fisiche di una forza per uno
In tutti i casi in cui ∆L = 0 il calore prodotto è spostamento e quindi si misura in N·m. Una forza
nullo. Quando la componente della forza tangente di 1 N che agisce parallelamente a uno spostamento
allo spostamento è piccola, ∆L è piccolo e cresce al di 1 m esegue un lavoro pari a 1 Nm=1 J, dove con
diminuire dell’angolo θ. Il massimo valore di ∆L, il simbolo J indichiamo l’unità di misura del lavoro
che è F ∆x, si ottiene quando F e ∆x sono paralleli, che chiameremo Joule1 .
cioè quando tutta la forza applicata è impiegata per Se il lavoro fatto dalle forze che agiscono sulla
far avanzare la carta vetrata (quando cioè l’attrito carta vetrata è nullo il calore generato è nullo. Se
è molto grande). il lavoro fatto dalle stesse forze è grande lo è anche
Notiamo anche che F deve avere lo stesso verso
Dal nome di James Joule che ebbe un ruolo fondamentale
1
di ∆x affinché si generi calore (quando la forza è nel comprendere la natura di questa grandezza fisica.

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15.1. IL LAVORO 203

F cos θ F cos θ
A B A B
3 3

2 2

1 1

0 0
O O
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 x 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 x

Figura 15.2 Il lavoro di una forza costan- Figura 15.3 Il lavoro di una forza co-
te si può pensare come l’a- stante si può pensare come
rea del rettangolo delimita- la somma delle aree dei ret-
to dal grafico di F cos θ in tangoli delimitati dal grafi-
funzione di ∆x. Nell’esempio co di F cos θ in funzione di
F cos θ = 3 N e il corpo si ∆x. Nell’esempio F cos θ =
sposta da x = 2 m a x = 8 m. 3 N e il corpo si sposta da
Il lavoro quindi vale ∆L = x = 2 m a x = 8 m. L’inte-
3 × (8 − 2) = 18 J. ro intervallo è stato diviso in
spostamenti di 1 m. Il lavo-
ro totale è la somma dei la-
vori, ciascuno dei quali vale
il calore prodotto. La cosa si fa interessante. Vale ∆Li = 3 × 1 = 3 J. Essendo
la pena analizzare piú in dettaglio le proprietà di lo spostamento diviso in sei
parti uguali in totale avremo
questa grandezza fisica che, una volta definita, si
∆L = 6∆Li = 6 × 3 = 18 J.
può calcolare per ogni tipo di forza, non solo quella
d’attrito.
Sebbene finora non l’abbiamo sottolineato, l’e-
spressione ∆L = F ∆x cos θ si può adoperare solo spostamento (Figura 15.3):
quando F non dipende da ∆x e dall’angolo θ. Se
l’intensità della forza variasse con lo spostamento X X
e/o con l’angolo non sapremmo quale valore uti- ∆L = ∆Li = Fi ∆xi cos θi . (15.2)
i i
lizzare per F nell’espressione del lavoro. Possiamo
però fare una semplice osservazione: nel caso di una Se quindi la forza non fosse costante si può procede-
forza costante e parallela allo spostamento il grafico re in due modi per calcolare il lavoro (Figura 15.4):
dell’intensità della forza in funzione della posizio- o si divide lo spostamento in intervalli molto picco-
ne occupata dal corpo soggetto a questa forza ha li, in ciascuno dei quali la forza si può considerare
l’aspetto di una retta parallela all’asse delle ascisse costante, si calcolano i lavori elementari e si som-
(Figura 15.2). mano, oppure si cerca di ricavare l’area della figura
Lo spostamento subíto dal corpo è, in questo gra- delimitata dall’asse delle ascisse e dalla curva che
fico, la lunghezza del segmento dell’asse delle ascisse rappresenta la forza in funzione dello spostamento
che va dalla posizione iniziale a quella finale. Il lavo- e dalle rette parallele all’asse delle ordinate traccia-
ro, quindi, è geometricamente l’area del rettangolo te in corrispondenza delle posizioni iniziali e fina-
racchiuso tra l’asse delle ascisse e la retta ad esso li del corpo. Facendo riferimento alla figura, nella
parallela che rappresenta la forza, di base pari allo quale la forza dipende linearmente dalla posizione,
spostamento. È anche evidente che il lavoro tota- si possono quindi sommare le aree dei rettangoli co-
le non è altro che la somma dei lavori elementari lorati (che rappresentano il valor medio della forza
che si trovano dividendo in intervalli piú piccoli lo in quell’intervallo) oppure si può calcolare l’area del

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15.2. IL LAVORO DEL FACCHINO 204

Se il facchino non spinge la cassa questa resta


F cos θ
ferma dov’è e ∆L = 0 perché sia F che ∆x sono
B
3 nulli.
2 Se il facchino prova a spingere una cassa molto,
troppo pesante, questa non si muove ugualmente.
1
A
Ancora una volta ∆L = 0 perché, benché F 6= 0,
0
O
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9
∆x = 0. Il facchino fatica, certo, ma questo non
x
significa che faccia lavoro! La sua fatica è total-
Figura 15.4 Il lavoro di una forza che di- mente inutile (non che questo abbia importanza nel
pende linearmente da x si definire una grandezza fisica, ma di fatto è cosí).
può pensare come la somma Alleggerendo un po’ la cassa il facchino potrebbe
delle aree dei rettangoli co- riuscire a spostarla: in questo caso compirebbe del
lorati, in ciascuno dei quali
la forza è supposta costan-
lavoro perché deve esercitare una forza F 6= 0 per
te e pari al suo valor me- un tratto ∆x 6= 0. La forza è necessaria per vincere
dio nell’intervallo considera- l’attrito dinamico che frena il moto della cassa. Se
to. Un modo alternativo per l’attrito è basso basta applicare una forza iniziale
calcolare il lavoro consiste nel per produrre il moto della cassa senza dover eserci-
valutare l’area del triango-
lo delimitato dalla forza che
tare altre forze lungo il percorso. Se si dà un calcio a
vale ∆L = 12 3×(8−2) = 9 J. uno scatolone vuoto, una volta esaurito l’effetto del
calcio, lo scatolone continua a muoversi per un po’,
fino a quando le forze d’attrito non lo fermano. In
questo caso, per far muovere lo scatolone non c’è bi-
triangolo delimitato dalla retta che rappresenta la
sogno di fare alcun lavoro, tranne quello necessario
forza.
per portarne la velocità da zero a un valore diverso
da zero. Semmai sono le forze d’attrito che frenano
15.2 Il lavoro del facchino lo scatolone che compiono lavoro.
La forza che occorre applicare a un corpo per far-
La prima cosa che viene in mente di fare per capire lo muovere di un tratto ∆x in presenza d’attrito è
le proprietà di una grandezza fisica come il lavoro è sempre parallela a ∆x e ha lo stesso verso. Quindi
quella di verificare se la sua definizione sia coerente ∆L è positivo perché cos θ = +1 e ∆L = F ∆x. Il
con le altre forme di lavoro che possiamo pensare di lavoro fatto dalle forze di attrito che invece frenano
definire. Avendo definito ∆L come il prodotto sca- lo scatolone sono dirette sempre parallelamente allo
lare di una forza per uno spostamento non abbiamo spostamento, ma in verso opposto, per cui ∆L < 0
specificato di quale forza stiamo parlando, perciò si essendo θ = 180◦ e quindi cos θ = −1.
potrebbe misurare un lavoro per ogni tipo di forza. Notate che il lavoro fatto dal facchino per spo-
Cominciamo ad analizzare il caso in cui la forza stare una cassa ferma di un tratto ∆x lasciandola
applicata a un oggetto sia quella necessaria a vincere ferma nel punto in cui arriva è l’opposto del lavoro
la forza d’attrito dinamico, come quella che esercita fatto dalle forze d’attrito che si oppongono a questo
un facchino che spinge una pesante cassa facendola moto (queste forze devono essere uguali e contrarie
scivolare sul pavimento. In questo caso la forza presa a quella esercitata dal facchino sulla cassa affinché
in considerazione è esattamente la stessa usata per questa si muova senza accelerare).
definire questa grandezza fisica: l’attrito. Questo
caso corrisponde al caso di forza costante.

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15.3. IL LAVORO DELLA FORZA PESO 205

15.3 Il lavoro della forza peso


x2
Un’atra forza che abbiamo imparato a conoscere è 4
la forza peso. La forza agisce sempre verso il basso e
3
vale mg dove g è un vettore costante diretto verso il
basso di modulo pari a g = 9.8 m/s2 e m è la massa 2
ϕ
del corpo su cui la forza agisce. Anche in questo caso 1 Fp θ
la forza applicata al corpo che si muove è costante. θ

Calcoliamo il lavoro fatto dalla forza peso per far 0


0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 x1
cadere un oggetto di massa m da un’altezza h. In
questo caso lo spostamento è diretto come g verso Figura 15.5 La forza peso, diretta verso il
il basso e possiamo scrivere che basso, si può scomporre nella
somma di due forze: una per-
pendicolare e l’altra tangente
∆L = mgh . (15.3) al piano inclinato.
Se volessimo riportare il peso alla quota h dovrem-
mo applicargli una forza esattamente uguale alla
forza peso, ma diretta in senso contrario, in mo- perché risalga il piano inclinato, è pari alla compo-
do tale da produrre un moto rettilineo uniforme. nente della forza peso tangente al piano cambiata di
Se applicassimo una forza maggiore di quella peso il segno. Cominciamo a calcolare quest’ultimo lavoro:
corpo subirebbe un’accelerazione maggiore e quindi, se il piano inclinato forma un angolo θ con l’oriz-
una volta giunto all’altezza h, avrebbe una velocità zontale, la componente della forza peso tangente al
diversa da zero e rivolta verso l’alto. Smettendo di piano vale
applicare la forza esterna in questo punto il corpo
continuerebbe a muoversi verso l’alto fino a quando Fp = −mg sin θ . (15.4)
la forza peso non lo riporterebbe giú. Se vogliamo
evitarlo, la forza con la quale lo tiriamo su non deve La forza applicata al corpo per farlo risalire dunque
produrre accelerazioni sul corpo in modo tale che, dev’essere F = mg sin θ. Se h è l’altezza del piano e
arrivando alla quota h la sua velocità sia nulla. Il ∆x la sua lunghezza avremo che
lavoro fatto da questa forza, evidentemente è sem-
pre ∆L = mgh, mentre quello fatto dalla forza peso h = ∆x sin θ (15.5)
è, visto che lo spostamento ora è di segno opposto, perciò
∆L = −mgh.
Un altro modo di riportare il corpo alla quota h
h
consiste nel farlo scivolare lungo un piano inclinato. ∆L = F ∆x = mg sin θ = mgh . (15.6)
Non stiamo chiedendo di far tornare il corpo nel- sin θ
la sua posizione originale, ma di farlo tornare alla Se il corpo scivola giú dall’altezza h sotto l’effetto
stessa altezza rispetto al suolo. Per semplicità sup- del suo peso questa forza produce un lavoro pari a
poniamo che il piano sia privo di attrito (in pratica
non lo sarà mai, ma possiamo fare in modo che sia ∆L = F · ∆x = F ∆x cos φ (15.7)
piccolissimo), cosí che non dobbiamo preoccuparci
con φ che rappresenta l’angolo compreso tra la forza
del lavoro fatto da queste forze.
e lo spostamento, che è (vedi Figura 15.5) φ = π2 −θ.
In questo caso lo spostamento è parallelo al pia-
Essendo
no inclinato, mentre la forza peso è sempre diretta
verso il basso. La forza esterna, applicata al corpo π 
cos − θ = sin θ (15.8)
2
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15.4. IL LAVORO DELLE FORZE ELASTICHE 206

possiamo scrivere che il muscolo, per funzionare, dev’essere costantemen-


te rifornito di calore. Al Capitolo 24 vediamo come
la grandezza fisica calore abbia la stessa natura del
∆L = F ∆x cos φ = mg∆x sin θ = mgh . (15.9)
lavoro: entrambe queste grandezze fisiche in qual-
Il lavoro fatto per alzare un peso da terra fino all’al- che misura rappresentano qualcosa che conduce a
tezza h sembra dunque dipendere solo da questa (e una trasformazione dello stato dei corpi coinvolti
dalla massa m del peso) e non dall’effettivo percorso nello scambio di questa quantità. La fatica che si
fatto. Se il peso è alzato in verticale o fatto salire compie per tenere i muscoli contratti non è dovu-
lungo un piano inclinato il lavoro è lo stesso. Benché ta al lavoro, ma comunque è dovuta alla necessità
il lavoro come grandezza fisica non debba necessa- di eseguire una trasformazione dello stato dei mu-
riamente aver a che fare con la fatica che si fa per scoli. I muscoli di un cadavere, una volta contratti,
eseguire un certo compito, vediamo comunque che restano tali e mettendo in braccio a un cadavere
per alzare un peso in verticale è richiesto uno sforzo qualcosa è evidente che non farebbe alcuna fatica
maggiore di quello impiegato per spingere lo stesso perché ∆x = 0 e non ci sarebbe alcun passaggio di
peso lungo un piano inclinato, ma nel secondo caso calore (l’esempio è un po’ macabro, ma efficace).
lo sforzo dura di piú, quindi tutto sommato la no-
stra grandezza fisica rappresenta bene il dispendio
di risorse complessivamente necessario per svolgere 15.4 Il lavoro delle forze elasti-
un qualche compito. che
Quest’idea che il lavoro sia da collegarsi alla fati-
ca che si compie per svolgere un compito è talvolta Avendo definito una grandezza fisica che abbiamo
considerata sbagliata e qualche volta i libri mettono chiamato lavoro per un tipo di forza possiamo ve-
in guardia contro quest’interpretazione del concetto dere quanto vale questo lavoro per altri tipi di forze.
di lavoro. Se però ci pensate bene l’idea non è del Consideriamo, ad esempio, le forze elastiche, per le
tutto sbagliata. In genere sono due gli argomenti che quali
inducono a pensare che quest’immagine del lavoro
non sia corretta. Il primo consiste nell’osservare che F = −k∆x . (15.10)
in certi casi ∆x = 0 e tuttavia si fa una certa fati-
Se comprimiamo una molla dobbiamo esercitare una
ca: pensate, ad esempio, a dover tenere in braccio un
forza pari all’opposto di questa:
vostro compagno o una vostra compagna. Tutti san-
no che è richiesto un certo sforzo non soltanto per
F = k∆x . (15.11)
portare la persona nella posizione finale, ma anche
per mantenerla in quella posizione. Secondo la fisi- La forza è in questo caso parallela allo spostamento
ca il lavoro compiuto da chi sorregge il peso è nullo, e il coseno dell’angolo vale +1. Il lavoro quindi si
ma andatelo a dire a costui o a costei! Il fatto è che potrebbe scrivere come il prodotto del modulo del-
il nostro corpo ha bisogno di consumare una cer- la forza per quello dello spostamento. Il problema è
ta quantità di risorse per mantenere i muscoli delle adesso che la forza non è costante in funzione del-
braccia contratti in modo da continuare a sostenere lo spostamento, ma dipende linearmente da questo.
il peso del corpo di chi sta in braccio. La fatica che Il che non è un problema, perché al Paragrafo 15.1
si compie per tenere qualcuno sollevato da terra non vediamo che nel caso in cui una forza dipende li-
dipende dal fatto che si sta compiendo lavoro (non nearmente dallo spostamento, il lavoro si può pen-
si compie affatto lavoro, infatti), ma dipende dalla sare come l’area del triangolo delimitato dal grafico
necessità di mantenere i muscoli contratti. Quando i di F in funzione di x, dall’asse delle ascisse e dal-
muscoli si contraggono si scaldano. Il calore prodot- la retta parallela all’asse delle ordinate passante per
to è disperso nell’ambiente attraverso il sudore, ma x = xF , dove xF è la coordinata finale raggiunta dal

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15.4. IL LAVORO DELLE FORZE ELASTICHE 207

corpo e ∆x = xF − xI con xI uguale alla coordinata


di partenza. L’area di questo triangolo è facile da
calcolare: vale semplicemente
1 1
∆L = ∆x k∆x = k∆x2 . (15.12)
2 2
Questo quindi è il lavoro svolto da una forza che
comprime di un tratto ∆x una molla di costante
elastica k.

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Unità Didattica 16
Una misura del movimento

Se su un oggetto, rappresentabile come un pun- e sfruttando la formula del quadrato del binomio il
to materiale, non agisce alcuna forza, quest’oggetto membro di sinistra di quest’equazione si scrive
permane nel suo stato di moto rettilineo uniforme
(del quale la quiete è un caso particolare). Se il corpo v 2 (t) − v 2 (0)
t (16.6)
di massa m, che si può considerare un punto mate- 2
riale, si muove a velocità v al tempo t = 0 continua mentre quello di destra (che naturalmente è una
a muoversi a questa velocità a tempi successivi. grandezza scalare come quello di sinistra)
Se però interviene una forza costante F, il punto
materiale è accelerato e la sua accelerazione è a = ∆L
t (16.7)
F/m. Se l’accelerazione è costante la sua velocità m
cambia col tempo secondo la per cui, in definitiva,

F 1 2 1 ∆L
v(t) = v(0) + at = v(0) + t. (16.1) v (t) − v 2 (0) = (16.8)
m 2 2 m
Moltiplicando scalarmente primo e secondo membro e quindi
di quest’equazione per ∆x si ottiene
1 2 1
mv (t) − mv 2 (0) = ∆L . (16.9)
2 2
F · ∆x
v(t) · ∆x = v(0) · ∆x + t. (16.2) Se definiamo una grandezza fisica
m
1
Possiamo perciò scrivere K = mv 2 (16.10)
2
F · ∆x che si ottiene moltiplicando la massa di un ogget-
(v(t) − v(0)) · ∆x = t. (16.3)
m to per la sua velocità al quadrato e dividendo per
ed essendo lo spostamento pari alla velocità media due, possiamo scrivere che la variazione di questa
per il tempo grandezza fisica è pari al lavoro fatto dalle forze che
hanno accelerato l’oggetto:
v(t) + v(0)
∆x = vm t = t (16.4)
2 ∆K = K(t) − K(0) = ∆L . (16.11)
perciò, sostituendo a ∆x l’espressione trovata si ha
La grandezza fisica K dipende dal tempo e la chia-
che
miamo energia cinetica. L’equazione 16.9 ci dice
che la somministrazione di lavoro a un punto ma-
v(t) + v(0) F · ∆x teriale ne provoca la variazione della sua energia
(v(t) − v(0)) · t= t . (16.5)
2 m cinetica. L’energia cinetica è una grandezza fisica
Ora, quando si moltiplica scalarmente un vettore che misura quanto rapidamente si sposta un punto
per sé stesso se ne ottiene il modulo al quadrato,
16.1. LA NATURA DELL’ENERGIA CINETICA 210

di massa m. Piú è alta la velocità del punto ma- 16.1 La natura dell’energia ci-
teriale, piú è alta la sua energia cinetica. A parità
di velocità, l’energia cinetica di un punto di massa
netica
M > m è maggiore rispetto a quella di un pun- Ma che cos’è quest’energia cinetica? In effetti non
to di massa m. In un certo senso l’energia cinetica è null’altro che una grandezza fisica che caratterizza
è una misura di quanto un oggetto possa muover- lo stato del corpo, esattamente come le altre: la
si rapidamente, tenendo conto della sua massa: è massa, la posizione, la velocità, la temperatura, il
chiaro che per portare un’automobile alla velocità colore, la forma, etc.. È qualcosa che il corpo, in
di 80 km/h occorre una quantità di risorse minore qualche maniera, possiede e che si può misurare.
di quanto non occorra a portare alla stessa velocità Rispetto alle altre grandezze fisiche è piú sfuggen-
un camion. L’energia cinetica è una misura di quan- te perché non possediamo un senso per percepirla:
to moto ha acquistato un corpo in relazione alla sua riusciamo a concepire il significato della massa o
massa. Dall’ultima equazione scritta si evince anche della temperatura grazie al senso del tatto; la vista
che, se ∆L = 0, cioè se non si fa lavoro su un corpo, ci permette di apprezzare la velocità o il colore di
questo permane nel suo stato di moto perché la sua qualcosa; la natura della sostanza di cui è fatto un
energia cinetica non cambia e quindi non cambia la corpo si percepisce attraverso i sensi del tatto, del
sua velocità se non cambia la sua massa. gusto e dell’olfatto, e cosí via. Non possediamo la
In altre parole possiamo dire che un punto mate- facoltà di percepire l’energia cinetica di un corpo se
riale non soggetto a forze (sul quale, quindi, non si fa non indirettamente (possiamo valutarne separata-
lavoro) mantiene costante la sua energia cinetica e mente la massa e la velocità, ma non la combinazio-
quindi, come conseguenza di ciò, la sua velocità non ne K = 12 mv 2 ). Ciò nonostante, questa grandezza
cambia. Possiamo cioè riformulare il primo princi- fisica non è diversa dalle altre. Si può misurare e
pio della dinamica nel modo seguente: un corpo questo basta.
sul quale le forze non fanno lavoro mantiene In base ai risultati ottenuti sopra possiamo af-
costante la sua energia cinetica. fermare che nell’Universo un qualunque corpo non
Il fatto che una variazione dell’energia cineti- soggetto ad alcuna forza manterrebbe costante la
ca sia uguale al lavoro compiuto sul corpo che la propria energia cinetica: diremo che questa si con-
subisce implica che le dimensioni fisiche del lavo- serva. Se interviene qualcosa come un’azione ester-
ro e dell’energia cinetica siano le stesse. Il lavoro na sul corpo, allora l’energia cinetica del corpo cam-
è una forza per uno spostamento, cioè una mas- bia e la conseguenza di questo cambiamento è una
sa per un’accelerazione per uno spostamento e, in variazione della velocità del corpo.
definitiva, Se somministriamo lavoro a un corpo la sua ener-
gia cinetica aumenta. Se lo estraiamo diminuisce. In
[∆L] = M L2 T −2 . (16.12)
 
effetti l’equazione 16.9, che è un’equazione scalare,
L’energia cinetica è una grandezza fisica che si ot- riassume il primo e il secondo principio della dina-
tiene moltiplicando una massa per una velocità, che mica. Per il primo l’abbiamo già visto, quanto al
ha le dimensioni di una lunghezza diviso un tempo, secondo basta osservare che l’equazione impone che
al quadrato. È quindi evidente che le due grandezze una variazione di energia cinetica sia conseguenza
fisiche hanno le stesse dimensioni ed è quindi proba- del lavoro fatto su un corpo
bile che abbiano la stessa natura. L’energia cinetica
1 2 1
dunque si deve misurare, come il lavoro, in Joule. mv (t) − mv 2 (0) = ∆L . (16.13)
2 2
Usando un sistema di riferimento con l’asse 1 orien-
tato come lo spostamento possiamo scrivere ∆L =
F1 ∆x1 dove F1 è la componente lungo la direzione

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16.1. LA NATURA DELL’ENERGIA CINETICA 211

dello spostamento ∆x = (∆x1 , 0, 0) di una forza F. dell’asse 1 è arbitraria questa relazione deve valere
L’equazione dunque dice che per qualunque asse e in definitiva l’equazione
1 1 2 1
F1 ∆x1 = m∆ v 2 . (16.14) mv (t) − mv 2 (0) = ∆L (16.21)

2 2 2
Qui, con ∆ (v 2 ) intendiamo la variazione di v 2 = equivale a
v · v. Proviamo a valutare questa variazione: ∆ (v 2 )
F
ci dice quanto varia la grandezza v 2 se varia quella a=. (16.22)
da cui dipende. Poiché v 2 dipende da v può acca- m
dere che v cambi di ∆v (notate che stiamo sempre Possiamo cioè dire che il fatto che le accelerazioni
parlando dei moduli delle velocità e non delle lo- siano proporzionali alle forze e il fatto che corpi non
ro direzioni o dei loro versi). In seguito a questa soggetti a forze permangano nel loro stato di moto
variazione v 2 diventerà altro non sono se non conseguenze dell’equazio-
ne sopra scritta, la quale dice che una variazione
di energia cinetica si può ottenere solo attraverso la
v 02 = (v + ∆v)2 = v 2 + (∆v)2 + 2v∆v (16.15) somministrazione o l’estrazione di lavoro. Si sommi-
nistra lavoro quando si applica una forza che provo-
e quindi ca lo spostamento: in questo caso ∆L > 0 e l’energia
cinetica aumenta. Se invece si applica una forza con-
traria allo spostamento si ha ∆L < 0 e di fatto è
∆ v 2 = v 02 − v 2 = (∆v)2 + 2v∆v . (16.16)

come se il corpo compisse un lavoro nei confronti di
chi applica la forza: in questo caso l’energia cinetica
Se ∆v è piccola, (∆v)2 lo è ancor di piú e si può del corpo si riduce.
trascurare rispetto all’altro addendo perciò In sostanza, il moto degli oggetti nell’Universo è
regolato, tutto sommato, da un’unica legge: quella
∆ v 2 = v 02 − v 2 ' 2v∆v . (16.17)

che dice che un corpo cambia il suo stato di moto
Sostituendo nell’espressione (16.14) si trova quindi in seguito all’acquisto o alla cessione di lavoro. Da
che questo punto di vista possiamo pensare al lavoro co-
me a una sorta di moneta che i corpi si scambiano
per cambiare il proprio stato di moto. Ma quello di
1 ∆x1
F1 ∆x1 = m × 2v∆v = m ∆v . (16.18) moto non è l’unico stato in cui un corpo può sta-
2 ∆t re. In seguito all’applicazione di una forza un corpo
Dividendo primo e secondo membro per ∆x1 si trova può rimanere fermo e tuttavia cambiare stato. Per
che esempio, cambiare temperatura, o forma, o qualun-
que altra grandezza fisica si possa misurare su quel
F1 = m
∆v
(16.19) corpo che ne caratterizza lo stato. E del resto, se
∆t si compie lavoro su un oggetto senza farlo muovere
e ricordando che l’accelerazione a1 lungo la direzio- (per esempio se si strofina carta vetrata su un bloc-
ne 1 di un corpo è a = ∆v/∆t, possiamo scrivere chetto di ferro) lo stato di quel corpo cambia pur
che senza che ne cambi la velocità: cambia, in effetti, la
sua temperatura.
F1 = ma1 (16.20) Viene il dubbio che il cambiamento di stato sia
comunque determinato dal lavoro compiuto, sebbe-
che altro non è se non la seconda Legge della dina-
ne questo non incida sull’energia cinetica del corpo,
mica per una delle componenti. Ma poiché la scelta
ma su qualche altra grandezza fisica che dev’esse-

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16.1. LA NATURA DELL’ENERGIA CINETICA 212

re, però, anch’essa una grandezza scalare e deve co-


munque avere le stesse dimensioni fisiche. È dunque
necessario comprendere meglio le proprietà del la-
voro, se vogliamo giungere a una comprensione piú
profonda del suo significato fisico.
Al Capitolo 15 si vede che esistono forze il cui
lavoro ha caratteristiche diverse. Le forze d’attrito,
per esempio, hanno la caratteristica di essere sem-
pre dirette in modo contrario al moto e perciò il
lavoro compiuto da queste sui corpi in movimento
è sempre negativo. Da quanto affermato nel capito-
lo precedente questo significa che le forze d’attrito
tendono sempre a far diminuire la velocità dei corpi.
Per questo genere di forze (come per molte altre)
il lavoro è, in modulo, tanto maggiore quanto piú
lunga è la traiettoria seguita dal corpo soggetto a
queste forze.
In altri casi non è cosí: il lavoro compiuto dal-
le forze peso e dalle forze elastiche, per esem-
pio, non dipende dalla traiettoria, ma dallo sposta-
mento complessivo tra l’istante iniziale e quello fi-
nale, indipendentemente da come sia avvenuto lo
spostamento.

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Unità Didattica 17
Lavori speciali

Consideriamo la forza peso che agisce su un pun-


to materiale di massa m che cade da un’altezza h. F + P = G ' (G, 0, 0) , (17.2)
Al Paragrafo 15.3 si vede che il lavoro fatto da que- con G molto piccolo (G ' 0) in modo tale che il
sta forza è un po’ speciale: vale ∆L = mgh, che moto sia sostanzialmente rettilineo e uniforme (ab-
è lo stesso risultato che si ottiene quando il punto biamo evidentemente scelto di misurare le forze in
materiale non cade verticalmente, ma scivola lungo un sistema di riferimento con l’asse 1 rivolto verso
un piano inclinato di un angolo θ da un’altezza h l’alto). Adesso la forza peso ha verso contrario allo
rispetto al suolo. In un caso la traiettoria compiu- spostamento e quindi il lavoro compiuto dalla forza
ta dal corpo è rappresentabile come un segmento peso nella risalita vale
verticale lungo h in un piano cartesiano con gli assi
orizzontale e verticale. Nell’altro caso, la traiettoria ∆L0 = F · ∆x = −mgh . (17.3)
è completamente diversa: si tratta di un segmento
Si vede subito che, riportando il corpo all’altezza h
obliquo di lunghezza pari a
il lavoro totale compiuto dalla forza peso lungo il
h percorso che va dall’altezza h a terra e viceversa è
∆s = . (17.1) nullo. Questo è in linea con quanto affermato pri-
sin θ
Sembra quasi che il lavoro fatto dalla forza peso non ma: il lavoro dipende solo dalla posizione iniziale e
dipenda affatto dal particolare percorso fatto dagli da quella finale e poiché nel caso in esame queste
oggetti che la subiscono, ma dipenda unicamente da coincidono lo spostamento complessivo è nullo e il
dov’era il corpo prima di iniziare a muoversi e da lavoro pure.
dove arriva. Se G è sensibilmente diversa da zero il moto
In mancanza di attrito, se θ è molto piccolo, ∆s del corpo verso l’alto non è piú rettilineo uniforme
può essere molto grande, quindi il punto si muove quando risale. Studiamo cosa accade in questi casi.
a lungo e per un tratto considerevole, ma la forza Il corpo parte da fermo dall’altezza h ed è soggetto
peso compie lo stesso lavoro che compirebbe facen- alla sola forza peso P = mg concorde con lo sposta-
dolo cadere per un breve tratto verticale lungo h. mento: il lavoro compiuto da questa forza durante la
Visto che si tratta di un risultato un po’ particolare caduta vale ∆L = mgh. Una volta giunto a terra si
conviene cercare di saperne di piú. applica, al corpo, una forza F esterna rivolta verso
Calcoliamo quindi il lavoro fatto, sempre dalla l’alto (stiamo usando grandezze scalari perché il mo-
forza peso P, quando il punto materiale è ripor- to è unidimensionale). In seguito all’applicazione di
tato all’altezza h da una forza F che agisce verso questa forza sul corpo agisce complessivamente una
l’alto. Sul corpo, in questa fase, agiscono due forze: forza
quella peso diretta verso il basso e quella esterna di-
retta verso l’alto. Supponiamo che la forza esterna G=P −F (17.4)
sia leggermente maggiore della forza peso se usiamo un sistema di assi in cui quello verticale,
sul quale si svolge il moto, èe orientato verso il basso.
214

La forza G provoca un’accelerazione a = G/m e il


corpo si muove verso l’alto di moto uniformemente v0 = 0 = vh − gt (17.12)
accelerato: il che significa che il moto verso l’alto prosegue per
1G 2 un tempo
y= t (17.5)
2m vh
t= , (17.13)
(velocità e posizione iniziale sono nulle). Il corpo g
giunge all’altezza h quando al termine del quale la quota raggiunta vale
1G 2
h= t (17.6)
2m vh 1 vh2 1 v2
y = h − vh + g 2 =h+ h . (17.14)
e cioè quando g 2 g 2 g
r Sostituendovi il valore di vh si ottiene, osservando
2hm
t= . (17.7) che lo spostamento vale y − h,
G
In quest’istante la velocità raggiunta dal punto vale Gh
∆y = y − h = (17.15)
vh = at mg
r r e di conseguenza il lavoro fatto dalla forza peso (che
G 2hm 2Gh
vh = = . (17.8) è negativo perché lo spostamento è rivolto verso
m G m l’alto e la forza verso il basso) vale
Fin qui il lavoro compiuto dalla forza esterna è stato
di ∆L00 = −mg∆y = −Gh . (17.16)
Ora il corpo comincia a ricadere e dopo un tratto
∆LF = F h (17.9)
pari a ∆y il lavoro fatto dalla forza peso (che ora
positivo perché la forza esterna è concorde con lo è positivo perché la forza ha lo stesso verso dello
spostamento. Quello della forza peso invece è stato spostamento) vale

∆L0 = −mgh , (17.10) ∆L000 = mg∆y = Gh . (17.17)


uguale e opposto a quello compiuto durante la ca- Ancora una volta si dimostra che, se un corpo sog-
duta, per cui quando il corpo torna ad assumere la getto alla forza peso compie un percorso in un sen-
posizione iniziale il lavoro fatto complessivamente so e poi torna indietro nel punto iniziale il lavoro
dalla forza peso è nullo. Ma il corpo non resta alla complessivo è nullo (∆L00 + ∆L000 = 0).
quota h. Se nell’istante in cui raggiunge la quota h Vediamo un caso di moto piú complicato: sup-
la forza F cessa di agire, il corpo rimane soggetto poniamo che il corpo scivoli giú da un lungo pia-
unicamente alla forza peso, e stavolta l’accelerazio- no inclinato di θ da una posizione che possiamo
ne è diretta verso il basso e la sua velocità iniziale indicare con le coordinate xa = (0, h, 0) alla posi-
è diretta verso l’alto: zione xb = (`, 0, 0), sia spinto fino alle coordina-
te xc = (0, 0, 0) per poi tornare alla posizione ini-
1 2
y = h + vh t − gt . (17.11) ziale. Di fatto la traiettoria del corpo descrive un
2 triangolo rettangolo di cateti h e `, rispettivamen-
Il corpo, perciò, continua a muoversi verso l’alto fino te, e l’ipotenusa, lungo la quale scivola il corpo, di
a quando la sua velocità non si riduce a zero, cioè lunghezza
fino a quando

s = h2 + `2 . (17.18)

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17.2. LA CONSERVAZIONE DELL’ENERGIA 215

Ormai sappiamo che nella discesa lungo il piano in- che f è una funzione di stato. Se il lavoro di-
clinato il lavoro fatto dalla forza peso è ∆L = mgh: pende unicamente da queste coordinate la funzione
benché lo spostamento sia s > h, la forza effettiva- f (A, B) si deve poter scrivere come
mente agente lungo questa direzione è mg sin θ <
mg. Durante lo spostamento orizzontale che ripor-
∆L = f (A, B) = f (B) − f (A) (17.21)
ta il punto materiale dalla coordinata x1 = ` alla
coordinata x1 = 0 la forza peso non compie lavoro in modo tale che, se B = A accade automaticamen-
perché è perpendicolare allo spostamento. Quando te che f (A) = f (B) e quindi che ∆L = 0. Nel caso
poi il corpo risale dalla posizione xb alla posizione specifico della forza peso è facile scrivere la funzio-
xc la forza peso compie un lavoro negativo, essen- ne f : poiché il lavoro fatto per spostare un punto
do diretta verso il basso mentre lo spostamento è materiale di massa m dalla quota y = h alla quota
diretto verso l’alto, pari a y = 0 è ∆L = mgh potremmo scrivere che

∆L0 = −mgh . (17.19) f (y) = −mgy . (17.22)


Cosí, ancora una volta, il lavoro fatto per andare da In questo modo, per un oggetto posto alla quota h
un punto e tornarvi è nullo, anche se la traiettoria la funzione f vale f (h) = −mgh e, quando questo
seguita per andare e tornare non è la stessa. Potete raggiunge la quota y = 0, f = 0. Lo stato iniziale,
ricalcolare il lavoro fatto dalla forza peso anche nel in questo caso, è y = h, mentre quello finale y = 0 e
caso in cui è presente attrito. Troverete sempre lo
stesso risultato.
∆L = f (0) − f (h) = 0 − (−mgh) = mgh . (17.23)
Se definiamo ∆U = −∆L abbiamo che
17.1 L’energia potenziale U = U (y) = mgy e
È chiaro, a questo punto, che il lavoro non dipende
affatto dalla traiettoria seguita, ma dipende unica- ∆L = −∆U = − (Uf inale − Uiniziale ) = − (0 − mgh) = mg
mente dallo stato iniziale e da quello finale. Se que- (17.24)
sti coincidono, evidentemente il lavoro complessiva- Abbiamo visto che le unità di misura del lavoro so-
mente fatto dev’essere nullo. È facile rendersi conto no uguali a quelle dell’energia cinetica e quindi il
che queste ultime due affermazioni sono equivalenti: lavoro e l’energia cinetica devono avere la stessa na-
se il lavoro dipende solo dagli stati iniziale e finale, tura. Evidentemente la funzione U (y) = −f (y) ha
nel caso in cui questi coincidano è ovvio che il la- le stesse dimensioni fisiche del lavoro, cambiando
voro dev’essere nullo. E se il lavoro è nullo quando solo per il segno rispetto a quest’ultimo e quindi
si percorre una qualunque traiettoria chiusa, questo potremmo chiamarla ugualmente energia e, per di-
deve dipendere solo dalle coordinate raggiunte dal stinguerla da quella cinetica, che ne misura il moto,
punto e non dal particolare percorso fatto. per un corpo di massa m soggetto alla forza peso
Se cosí dev’essere possiamo affermare che, nel diremo che U = mgh è la sua energia potenziale
caso della forza peso, gravitazionale.

∆L = f (A, B) (17.20)
17.2 La conservazione dell’e-
dove A e B designano le due posizioni iniziale e fi-
nale e f (A, B) denota una funzione di queste coor- nergia
dinate. Poiché la funzione f dipende solo dalla po-
Supponiamo ora che il corpo sia soggetto alla sola
sizione (che determina lo stato del sistema) si dice
forza peso: in questo caso avremmo che

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17.3. FORZE CONSERVATIVE 216

ma: non è cosí semplice pervenire a questo risultato


∆L = ∆K , (17.25) usando le leggi del moto.
ma essendo ∆L = −∆U possiamo riscrivere questa
relazione come 17.3 Forze conservative
− ∆U = ∆K (17.26) Per le forze peso si può definire una grandezza fi-
e cioè sica come l’energia potenziale gravitazionale perché
il lavoro fatto dalle forze peso non dipende della
∆K + ∆U = 0 . (17.27) traiettoria compiuta dal corpo, ma solo dallo stato
iniziale e da quello finale.
Se chiamiamo K + U = E energia meccanica to- La conseguenza di questo è che si può scrivere un
tale del sistema, la legge appena scritta ci dice che principio di conservazione per l’energia.
la sua variazione è sempre nulla. Questo significa Per questa ragione diremo che le forze peso so-
che in un sistema sul quale non agiscono forze di- no forze conservative: per questo tipo di forze il
verse da quelle peso l’energia meccanica totale non lavoro non dipende dal particolare cammino fatto
può variare: se quindi la sua energia cinetica aumen- dal corpo che le subisce e, di conseguenza, l’energia
ta, quella potenziale deve diminuire e viceversa, in meccanica totale si conserva.
modo che la loro somma si mantenga costante. Se sul corpo intervengono forze non conserva-
Questo è un risultato molto importante! Ci di- tive come le forze d’attrito, il cui lavoro dipende
ce che, nell’Universo, l’energia totale meccanica, in dal cammino fatto dal corpo, potremmo scrivere che
assenza di altre forze, si conserva e la relazione il lavoro totale è la somma dei lavori compiuti da
∆K + ∆U = ∆E = 0 prende il nome di teorema ciascuna forza e quindi che
di conservazione dell’energia meccanica.
Un corpo, dunque, cade perché la sua energia to- ∆L = ∆LC + ∆LN C , (17.30)
tale si deve conservare: se lo poniamo all’altezza h
dove ∆LC rappresenta il lavoro delle forze
dal suolo, non essendoci alcun motivo per restare lí,
conservative e ∆LN C quello delle forze non
il corpo cambia la sua posizione, ma lo fa in modo
conservative. Possiamo sempre scrivere che
che la somma dell’energia potenziale e di quella cine-
tica resti costante. Inizialmente il corpo ha energia
∆LC = −∆U (17.31)
cinetica K = 0 perché è fermo, ed energia potenzia-
le U = mgh per il fatto di trovarsi alla quota h dal e quindi che
suolo. Quando tocca terra la sua energia potenziale
gravitazionale è nulla e la sua energia cinetica deve ∆L = −∆U + ∆LN C . (17.32)
quindi essere uguale all’energia totale iniziale. Deve Poiché la somministrazione o l’estrazione di lavoro
quindi essere produce una variazione di energia cinetica avremo
che
1 2
mv = mgh (17.28)
2 ∆L = −∆U + ∆LN C = ∆K (17.33)
che significa che il corpo arriva a terra con velocità
e cioè che
(17.29)
p
v = 2gh ,
∆LN C = ∆K + ∆U = ∆E . (17.34)
che è lo stesso risultato cui si perviene usando le
L’energia meccanica totale non si conserva, quindi,
equazioni del moto. In questo caso però la deriva-
in presenza di forze non conservative. La sua varia-
zione di questo risultato è immediata e semplicissi-
zione però è uguale al lavoro fatto da queste forze,

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17.4. L’ENERGIA POTENZIALE ELASTICA 217

perciò possiamo sempre scrivere il principio di con-


servazione dicendo che la variazione di energia 1
∆L = − k∆x2 . (17.37)
meccanica totale di un sistema fisico è pari 2
al lavoro fatto dalle forze non conservative Anche in questo caso il lavoro dipende solo dallo
sul sistema. stato iniziale e da quello finale. Immaginiamo una
molla a riposo scegliendo un sistema di riferimento
la cui origine sia nel punto in cui si trova l’estremo
17.4 L’energia potenziale ela- della molla a riposo e l’asse 1 sia orientato lungo
l’asse della molla. Se l’estremo della molla è spinto
stica alle coordinate −x1 (la molla è compressa), il lavoro
Quella peso non è l’unica forza per la quale si può compiuto dalle forze elastiche è
definire un’energia potenziale. In generale è possibi-
le definire (vogliamo dire misurare?) questa gran- 1 1
dezza fisica per ogni forza il cui lavoro non dipenda ∆L = − k (0 − x1 )2 = − kx21 . (17.38)
2 2
dalla particolare traiettoria fatta dal corpo nel corso
del suo spostamento. Se si fa tornare la molla nello stato iniziale le for-
Anche le forze di tipo elastico hanno questa pro- ze elastiche compiono un lavoro positivo (la for-
prietà. Ricordiamoci che le forze di tipo elastico non za in questo caso è concorde con lo spostamento
sono solo quelle sprigionate dagli elastici tesi o dalle dell’estremo) che vale
molle (tese o compresse), ma sono tutte quelle forze 1 1
che in qualche maniera dipendono dallo spostamen- ∆L = k (x1 − 0)2 = kx21 . (17.39)
2 2
to rispetto a una posizione che possiamo definire
di equilibrio e che sono abbastanza deboli per cui Il risultato netto è che il lavoro fatto dalle forze
la loro espressione può essere approssimata da un elastiche quando l’estremo della molla percorre una
polinomio di grado uno: traiettoria chiusa è nullo e questo, l’abbiamo visto,
significa che il lavoro è una funzione di stato o,
F = −k∆x . (17.35) il che è lo stesso, che possiamo definire una fun-
zione di stato che possiamo chiamare energia
Naturalmente il segno − messo davanti a k serve potenziale elastica U tale che
a stabilire che se k < 0 la forza è diretta come lo
spostamento e se k > 0 la forza è diretta in maniera 1
∆U = −∆L = ∆x2 . (17.40)
da opporsi allo spostamento. Per esempio, per le 2
molle k > 0 perché quando si allunga una molla la Osserviamo che, come peraltro nel caso delle forze
forza tende a riportarla alla sua lunghezza nominale peso, ∆U = Uf in − Uini e quindi possiamo scrive-
e lo stesso accade quando la si comprime. re che U = 21 kx2 . In una molla a riposo, facendo
Quando si comprime di ∆x una molla il lavoro coincidere l’origine degli assi con l’estremo libero
che compiono si compie vale vale della molla, x = 0 e quindi U = 0. Quando la mol-
la è compressa la posizione del suo estremo passa
1
∆L = k∆x . 2
(17.36) da x = 0 a x = −x̄. L’energia potenziale elastica
2 diventa quindi
Evidentemente il lavoro compiuto dalle forze ela-
stiche quando si comprime la molla è l’opposto di 1 2
questo: quando si comprime la molla la sua lunghez- U (x̄) = kx̄ , (17.41)
2
za si riduce e l’estremo della molla si sposta in una che è la stessa che una molla possiede quando è
direzione che è opposta a quella nella quale agisce allungata fino al punto x. Poiché
la forza elastica.

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17.5. FORZE CONSERVATIVE 218

(17.42) 1 2 1 2
∆L = ∆LC + ∆LN C = ∆K , kx = kx̄ (17.48)
2 2
ancora una volta si ha che
cioè fino a quando |x| = |x̄|: l’estremo della molla
quindi raggiunge una posizione simmetrica, rispet-
∆LN C = ∆K − ∆LC = ∆K + ∆U (17.43) to alla posizione di equilibrio, a quella che aveva
raggiunto una volta compressa. Qui la velocità del-
e in assenza di forze non conservative l’energia totale
l’estremo è nulla e su questo agisce la sola forza
E = K + U si conserva. Supponiamo quindi di
elastica che tende a riportarlo verso la posizione di
avere una molla compressa in modo tale che il suo
riposo. Il moto quindi riparte nell’altra direzione e
estremo sia alla coordinata −x̄: se è ferma l’energia
x comincia a diminuire fino a valere zero. Qui la
totale della molla vale
velocità dell’estremo della molla è di nuovo quel-
la massima e la molla si comprima fino a quando
1 1
E = K + U = 0 + kx̄2 = kx̄2 . (17.44) la velocità del suo estremo di riduce a zero e que-
2 2 sto si può ottenere solo quando l’energia totale è
Se si lascia libera la molla, non essendoci alcun mo- uguale a quella iniziale, cioè quando x = −x̄. In
tivo per restare nella condizione in cui si trova, l’e- sostanza l’estremo della molla comincia a oscillare
stremo si sposta, ma lo fa in modo tale che l’energia avanti e indietro attorno alla posizione d’equilibrio
totale E = K + U resti uguale a quella iniziale che (naturalmente in assenza di forze di attrito).
valeva 21 kx̄2 . Se la sua energia cinetica aumenta non
può che diminuire la sua energia potenziale, perciò
man mano che la velocità dell’estremo della molla 17.5 Forze conservative
aumenta, la sua coordinata si sposta verso i valori di
x̄ che ne riducono il valore del quadrato: per questo Da quanto sopra possiamo affermare che, per certi
l’estremo della molla si muove verso la posizione di tipi di forze, che definiamo conservative, è possi-
equilibrio x = 0. bile definire una funzione di stato U che dipen-
In questa posizione l’energia potenziale elastica de unicamente dallo stato del sistema di cui ci si
vale U = 0, quindi quella cinetica deve valere sta occupando. Chiamiamo questa funzione ener-
gia potenziale del sistema per un determinato ti-
(17.45) po di forze. Il lavoro fatto dalle forze in questione
1 1
K = mv 2 = kx̄2
2 2 quando il punto materiale si sposta dalla posizione
e quindi A alla posizione B si può valutare semplicemente
r come
k
v= x̄ . (17.46)
m
Poiché ora l’estremo della molla ha velocità non nul- ∆L = −∆U = − (U (B) − U (A)) . (17.49)
la, comincia a spostarsi in modo da allungare la mol-
la: di conseguenza la molla raggiunge una posizione È facile vedere che siamo liberi di aggiungere o to-
x > 0 per la quale gliere a U una costante qualsiasi C: il lavoro fatto
dalle forze conservative per portare un punto ma-
(17.47) teriale dalla posizione A alla posizione B non cam-
1 2
U = kx .
2 bia. Se infatti definiamo un’altra energia potenziale
Ma l’energia totale si deve mantenere costante U 0 = U + C, abbiamo
quindi all’aumentare dell’energia potenziale elasti-
ca deve diminuire quella cinetica e il punto deve
rallentare fino a fermarsi quando

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17.5. FORZE CONSERVATIVE 219

∆L = − ∆U = − (U 0 (B) − U 0 (A)) =
− (U (B) + C − (U (A) + C)) = (17.50)
(U (B) − U (A)) .

Si dice che l’energia potenziale U è definita a me-


no di una costante. Questo significa che l’unica
grandezza fisica che ha senso è la variazione di ener-
gia potenziale e non il suo valore che è arbitrario.
Nel caso della forza peso, per esempio, possiamo sce-
gliere liberamente il punto in cui U = 0 perché quel
che conta non è l’energia potenziale, ma la sua va-
riazione: se scegliamo che U = 0 a y = 0 e U = mgh
per y = h, otteniamo lo stesso risultato che otter-
remmo scegliendo U = 0 nel punto y = h: in questo
caso U (h) = 0 e U (0) = −mgh. La variazione di
energia potenziale gravitazionale tra lo stato iniziale
y = 0 e quello finale y = −h sarebbe sempre

∆U = Uf in − Uin = −mgh − 0 = −mgh . (17.51)

Se per le forze conservative si può definire un’energia


potenziale possiamo scrivere che

∆LN C = ∆K + ∆U (17.52)
qualunque sia ∆U . Questa relazione esprime il
principio di conservazione dell’energia: l’ener-
gia totale E = K + U di un punto materiale si
conserva a meno che non intervengano forze non
conservative, il cui lavoro è pari alla variazione di
energia totale.

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Unità Didattica 18
Il terzo principio

tare (con dolore) mettendo le dita nel punto in cui


Prerequisiti: Leggi fondamentali della dinami- ci si aspetta che la biglia urti il bordo. La forza pro-
ca. Forze d’attrito. dotta dalla biglia sul biliardo ne provoca un piccolo
cambiamento di stato: si osserva un (piccolissimo)
Affinché un corpo possa percepire una forza che
cambiamento locale della temperatura del bordo e
ne provoca un cambiamento di stato (un’accele-
una sia pur lieve compressione dello stesso. D’altra
razione nel caso dei punti materiali), è necessario
parte la biglia stessa, nel momento in cui urta il
che interagisca con altri corpi. In assenza di questi
bordo, deve ricevere da quest’ultimo una forza che
presumibilmente non ci sarebbe alcuna forza. Pren-
ne cambia la velocità invertendone una delle com-
diamo, per esempio, un corpo che cade. Se non ci
ponenti. Anche in questo caso, dunque, in presenza
fosse la Terra ad attrarlo non si capisce dove po-
di una forza prodotta da un oggetto (la biglia) su un
trebbe cadere...È evidente che la Terra è necessaria
altro (il bordo del biliardo), si osserva il manifestarsi
per produrre la forza peso, che si manifesta quando
di una forza che il secondo esercita sul primo.
un corpo sta nelle sue vicinanze.
Questo avviene in generale in tutti gli urti. Se con
Quando comprimiamo una molla percepiamo la
la biglia se ne urta un’altra entrambe le biglie cam-
forza elastica prodotta da questa. È manifesto che
biano velocità: segno che la prima biglia ha eser-
tale forza non si produce quando la molla non
citato una forza sulla seconda, la quale deve aver
interagisca con la nostra mano.
esercitato una forza sulla prima.
Una cosa simile avviene con le forze di attrito: in
Quest’ultima osservazione ci porta a formulare un
assenza d’interazione tra il piano su cui si muove
principio di simmetria che sembra del tutto natu-
l’oggetto e quest’ultimo non si produrrebbe alcuna
rale: se la palla A è in grado d’imprimere una forza
forza d’attrito.
alla palla B perché non dovrebbe essere possibile il
contrario? Sembra del tutto ragionevole ipotizzare
18.1 Molle e biglie che, quando A colpisce B imprimendole una forza
lo stesso faccia B nei confronti di A.
Il caso della molla è particolarmente interessante La forza impressa da una palla lanciata sull’altra
perché rende palese qualcosa che a prima vista po- dipenderà da una o piú delle sue variabili di stato.
trebbe sfuggire. La molla esercita una forza (elasti- Vediamo di rendercene conto. Se faccio urtare una
ca) soltanto quando è soggetta a una forza (ester- biglia A di massa mA e velocità vA con un biglia B
na) che la comprime o l’allunga. La forza elastica è ferma vedo bene che la forza sub
diretta sempre in verso opposto alla forza esterna. ita da B dipende sia da mA che da vA . Maggio-
Qualcosa di molto simile avviene quando si fa ur- re è la velocità del proiettile maggiore è quella del
tare una biglia contro un ostacolo. Se la biglia di un bersaglio dopo l’urto (quindi maggiore è la sua ac-
biliardo ne colpisce il bordo esercita evidentemente celerazione). Lo stesso avviene se il proiettile è piú o
una forza nei suoi confronti come si può sperimen- meno pesante: urtare una palla da biliardo con una
18.2. OLTRE LE BIGLIE 222

boccetta non è la stessa cosa che farlo con una palla può esistere a prescindere: si può manifestare solo
dello stesso tipo o con una da bowling. in presenza di almeno due corpi che devono recipro-
È anche chiaro che se la massa della biglia B in- camente influenzarsi. Poiché non c’è alcuna ragione
fluenza lo stato di A dopo l’urto. Quando mB  per la quale l’uno influenzi di piú l’altro le forze che
mA , in seguito all’urto B si muove poco o nulla, ciascuno imprime sull’altro devono essere uguali.
mentre A cambia parecchio la sua velocità, al limite
tornando indietro. Al contrario, se B è molto piú
leggera di A, lo stato cinematica di A non cambierà 18.2 Oltre le biglie
molto, mentre la biglia B parte con velocità sicura-
Estendendo ancora il ragionamento potremmo pen-
mente maggiore di quella di A. Se poi B si muove,
sare che lo stesso principio valga per tutte le forze.
per esempio, verso A, in seguito all’urto la velocità
Se non ci fosse la Terra i corpi non potrebbero ca-
di A sarà diversa da quella che avrebbe avuto se B
dere, perciò sembra plausibile che esista una forma
fosse stata ferma.
d’interazione tra i corpi presenti sulla Terra e que-
Sicché, alla fin fine, la forza con la quale la palla
st’ultima. Se esiste quest’interazione, la forza con la
A urta B è una funzione sia dello stato di A che di
quale la Terra attrae i corpi, di modulo pari a mg,
quello di B, ma anche la forza con la quale la palla B
dev’essere uguale e contraria a quella con cui i corpi
urta quella A dipende dalle stesse quantità. Non c’è
attraggono la Terra. In altre parole, se facciamo un
alcuna ragione per la quale la Natura debba distin-
salto ci aspettiamo che la Terra sia attratta verso di
guere tra una palla e l’altra facendo in modo che la
noi, come risucchiata, da una forza pari a mg dove
forza impressa dalla prima alla seconda sia diversa
m è la nostra massa. A prima vista sembrerebbe as-
da quella impressa dalla seconda sulla prima.
surdo: di sicuro la Terra non si muove verso di noi
Ne dobbiamo concludere che la forza FAB che A
quando saltiamo, altrimenti sarebbe un terremoto
imprime su B in seguito all’urto dev’essere uguale
continuo! Ma a pensarci bene non è cosí assurdo: se
a quella che FBA che B esercita su A: l’unica diffe-
la Terra esercita su di noi, fluttuanti nell’aria, una
renza consisterà nel fatto che le due forze avranno
forza pari a mg, noi cadiamo con accelerazione
verso diverso:
F mg
FAB = −FBA . (18.1) a= = = g = 9.8 ms−2 . (18.2)
m m
D’altra parte non c’è alcuna ragione per ritenere che Noi, allo stesso tempo, esercitiamo sulla Terra una
un principio di simmetria simile debba valere solo forza del tutto identica, che tenderebbe a farla sa-
nel caso di urto tra biglie. L’urto della biglia sulla lire verso di noi. L’accelerazione subita dalla Terra
sponda dovrebbe seguire le stesse regole e, in fondo, sarebbe quindi
perché mai il comportamento delle altre forze come
la forza peso, la forza elastica, quella d’attrito, etc.,
F mg 80 × 9.8
dovrebbe essere diverso? a= = ' ' 1.31 × 10−26 ms−2 :
M M 6 × 1024
È abbastanza ragionevole aspettarsi che questo (18.3)
accada per ogni corpo interagente con un altro. un numero del tutto trascurabile!
L’interazione presuppone che esista una qualche for- Il fatto che due corpi interagenti esercitino l’uno
ma di azione reciproca che deve per forza possede- sull’altro la stessa identica forza (a parte il segno)
re quelle caratteristiche di simmetria che abbiamo prende il nome di terzo principio della dinamica
enunciato. Se non ci fosse la seconda biglia, la prima o principio di azione e reazione. Fu Isaac New-
non potrebbe urtarla e quindi non ci sarebbe alcuna ton a formularlo per primo [?] e per questa ragione
forza. È questa la sostanza del principio di simme- è anche nota come terza Legge di Newton..
tria testé enunciato. La forza non è qualcosa che

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18.3. MUOVERSI COL TERZO PRINCIPIO 223

Un’altro fenomeno spiegabile alla luce del terzo la cassa M agisce la forza F = F x̂1 esterna, la for-
principio è l’esistenza di quella che abbiamo chia- za peso −M gx̂2 , la reazione vincolare M gx̂2 , quella
mato reazione vincolare. Se poggiamo un libro sul d’attrito −µM gx̂1 e quella di reazione della cassa
banco, pur soggetto alla forza peso, il libro non ca- m, che indichiamo come −Rx̂1 . Sull’asse verticale
de. Per spiegarlo dobbiamo ammettere che il banco non c’è accelerazione, mentre su quello orizzontale
eserciti sul libro una forza uguale e contraria alla abbiamo
forza peso che è la reazione vincolare del banco. Da
dove nasce questa forza? Non è altro che la forza M a = F − µM g − R . (18.4)
d’interazione conseguenza del terzo principio. Il li-
Sulla cassa m agiscono la forza peso e la reazione
bro esercita sul banco, attraverso il suo peso, una
del pavimento, che si annullano a vicenda. Restano
forza pari a mg. È chiaro che tale forza può esistere
soltanto la forza che M esercita su m in virtú della
soltanto in virtú del fatto che il banco è lí: se non
spinta subíta, che per il terzo principio dev’essere
ci fosse tale forza non esisterebbe. Il banco quindi
uguale a R e quella d’attrito, perciò
interagisce con il libro e reagisce con una forza
uguale e contraria a quella che il libro provoca su
ma = R − ηmg . (18.5)
esso.
In definitiva sul libro agisce la forza peso e la forza Evidentemente l’accelerazione delle due casse è la
esercitata dal banco, che l’annulla e quindi sta fer- stessa e sostituendo il valore di R che si ricava da
mo. Sul banco agiscono la forza peso del libro e le questa nella prima equazione troviamo
forze interne che lo rendono rigido (sono le forze che
trattengono ciascun pezzettino di banco attaccato a
quello adiacente). La somma di tutte queste forze è (M + m) a = F − µM g − ηmg . (18.6)
evidentemente zero e anche il banco sta fermo.
da cui
Un errore molto comune consiste nel pensare che
se il corpo A esercita una forza su B e questi, a sua F − µM g − ηmg
volta, esercita su A una forza uguale e contraria, la a= . (18.7)
M +m
risultante delle forze applicate ai corpi sarà nulla e
Osserviamo che, in assenza di attrito, l’accelerazione
non succederà alcunché. Questo è sbagliato, perché
sarebbe stata data da F/(M +m) come ci si aspetta
la forza esercitata da A si applica al corpo B e vi-
dalla seconda Legge di Newton, visto che la forza è
ceversa: pertanto le forze di azione e reazione non
applicata a un oggetto la cui massa complessiva è
si sommano tra loro, ma solo alle forze che agiscono
M + m.
sullo stesso corpo.
Vedete bene che, benché la cassa M eserciti su m
Quando si analizzano le forze agenti su un sistema
una forza uguale e contraria a quella che quest’ulti-
composto di piú corpi si adotta quindi uno schema
ma esercita sulla prima, tali forze non si annullano
detto del corpo libero. Un esempio varrà piú di
a vicenda, perché agiscono su corpi diversi.
mille parole. Supponiamo di spingere con una forza
F costante una cassa di massa M sul pavimento, col
quale c’è un coefficiente d’attrito µ. Supponiamo che 18.3 Muoversi col terzo princi-
la cassa M sia a sua volta in contatto con un’altra
cassa m che col pavimento presenta un coefficiente pio
d’attrito η. Come si muove il sistema?
Sono molte le azioni che compiamo ogni giorno che,
Analizziamo i singoli oggetti come se fossero isola-
senza il terzo principio, non si potrebbero eseguire.
ti, scegliendo un sistema di riferimento in cui l’asse 1
Pensate, ad esempio, all’azione consistente nel cam-
è orizzontale con verso uguale a quello della forza
minare. Cosa fate per spostarvi in avanti? Mettete
esterna e quello 2 verticale e rivolto verso l’alto. Sul-

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18.3. MUOVERSI COL TERZO PRINCIPIO 224

Chi interagisce con chi? Anche saltare o fare le flessioni (e molte altre) so-
Il terzo principio della dinamica afferma che due no azioni che si possono svolgere grazie al terzo prin-
corpi interagenti esercitano l’uno sull’altro for- cipio della dinamica. O, per meglio dire, grazie al
ze uguali e contrarie. Il principio, enunciato per modo in cui i corpi interagiscono e che è sintetizzato
la prima volta da Newton, sembra essere valido da questo importante principio.
per tutte le forze che si studiano in un norma-
le corso di fisica, tranne che per la Forza di
Lorentz.
La Forza di Lorentz è una forza percepita dal-
le cariche elettriche in moto in un campo ma-
gnetico. Al Capitolo XX si analizza il problema
del rapporto tra la Forza di Lorentz e il terzo
principio della dinamica, problema quasi sem-
pre trascurato nei corsi di fisica. In effetti il ter-
zo principio sembra clamorosamente violato in
questo caso. Perché il principio valga, tuttavia,
devono valerne le premesse e cioè che i corpi
oggetto di studio siano tra loro interagenti. Se
non c’è interazione il terzo principio non vale.
La Forza di Lorentz ha natura elettromagneti-
ca e lo studio dell’elettromagnetismo porterà a
cambiare il punto di vista sulle forze e le inte-
razioni: le particelle non interagiscono tra loro
per mezzo di forze, ma producono campi ed è
con tali campi che interagiscono.

un piede davanti all’altro, poi piegate l’articolazione


delle dita e con queste spingete sul terreno all’indie-
tro. Visto che spingete sul terreno come spiegate
che siete voi a muovervi in avanti e non il terreno a
sprofondare (cosa che succede se cercate di cammi-
nare sull’acqua o su qualunque altra superficie non
rigida)?
È semplice: spingendo all’indietro sul terreno pro-
vocate un’interazione tra il terreno e il vostro pie-
de che si manifesta come una forza di reazione del
terreno che vi spinge in direzione opposta: cioè in
avanti.
Qualcosa di molto simile accade remando su una
barca: con i remi spingete in avanti sull’acqua, la
quale esercita nei confronti dei remi una forza ugua-
le e contraria che la spinge all’indietro, perché i remi
sono fissati alla barca.

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Unità Didattica 19
La quantità di moto

Eseguite in classe o a casa un esperimento molto Questo significa che, se F = 0, il prodotto mv re-
semplice: prendete una macchinina giocattolo o co- sta costante. Questo prodotto però può non esse-
struitene una usando i mattoncini delle costruzioni. re costante sia perché cambia la velocità del cor-
Applicate un palloncino di gomma alla macchinina. po sia perché, come nel nostro caso, ne cambia la
Orientate il palloncino in modo tale che l’apertu- massa. Scriviamo la variazione di questo prodot-
ra di questo sia rivolta verso la parte posteriore del to, che indichiamo come p = mv (evidentemente,
giocattolo. Gonfiate il palloncino e poi lasciate li- se v è un vettore lo è anche il prodotto mv). Per
bera la macchina di muoversi. Quando il palloncino capire quanto vale la variazione di p al variare di
comincia a sgonfiarsi potrete facilmente osservare m e di v possiamo calcolare la differenza tra p e
che la macchinina comincerà a muoversi in direzio- p + ∆p = (m + ∆m) (v + ∆v):
ne opposta a quella dell’aria che esce dalla bocca
del palloncino.
∆p = (m + ∆m) (v + ∆v) − mv . (19.3)

19.1 Analisi dell’esperimento Svolgendo la parentesi si trova

L’esperimento che abbiamo appena condotto sem- ∆p = m∆v + ∆mv + ∆m∆v . (19.4)
bra contraddire almeno la seconda Legge della
Osserviamo ora che per variazioni piccole il prodotto
dinamica nella forma
∆m∆v è molto piú piccolo degli altri addendi e si
F può trascurare, scrivendo
a= (19.1)
m
perché non sembra esserci alcuna forza agente dal- ∆p ' m∆v + ∆mv . (19.5)
l’esterno sul sistema costituito dalla macchinina e In assenza di forze, ora abbiamo che non è il pro-
dal palloncino che provveda a far sí che l’accelera- dotto mv a restare costante, ma p, perciò la sua
zione del sistema sia non nulla. Se F = 0, anche variazione sarà nulla, in questi casi e
a = 0. Quello che però possiamo osservare è che
nel caso in esame succede qualcosa di non previsto 0 = m∆v + ∆mv (19.6)
nella legge formulata sopra: la massa del sistema
cosí che si può avere una variazione della velocità
m cambia. Se il palloncino si sgonfia, diminuisce la
v diversa da zero anche in assenza di forze, purché
quantità di aria presente nel sistema e quindi dimi-
∆m sia diversa da zero:
nuisce la massa complessiva. Cerchiamo di capire le
conseguenze di questa cosa. Le seconda legge si può ∆m
formulare anche come ∆v = − v. (19.7)
m
∆v Possiamo anche riscrivere la seconda legge della
F=m . (19.2) dinamica come
∆t
19.2. LA CONSERVAZIONE DELLA QUANTITÀ DI MOTO 226

(scriviamo le quantità di moto come scalari perché


∆p
F= (19.8) il moto si svolge in una sola dimensione). Essendo
∆t M = mm (t) + ma (t), con M pari alla massa totale
o, ancor meglio, iniziale e mi (t) la massa del sottosistema i = m, a,
che dipende dal tempo, ricaviamo dall’equazione che
∆p = F∆t . (19.9)
Naturalmente le ultime due equazioni sono equiva-
lenti dal punto di vista matematico, ma dal punto di mm (t)vm = (M − ma (t)) vm = −ma (t)va (19.11)
vista di un fisico si possono leggere in modo diverso.
L’ultima equazione ci dice che si può avere una va- dove vi rappresenta la velocità del sottosistema i,
riazione di p = mv, cui diamo il nome quantità di per la quale
moto, ogni qual volta che su un corpo agisca una ma (t)
forza F per un certo periodo di tempo ∆t (anche vm (t) = − va (19.12)
M − ma (t)
piccolissimo). Il prodotto F∆t si chiama impulso.
Dal punto di vista matematico quantità di moto e che ci dice che la velocità del sottosistema m costi-
impulso sono la stessa cosa, ma il significato che si tuito dalla macchina e dal serbatoio d’aria dipende
deve attribuire ai due termini è, dal punto di vista dalla quantità d’aria ma (t) che nel corso del tempo
fisico, diverso, anche se spesso i due termini si usano abbandona il sistema e dalla sua velocità va .
come fossero sinonimi. In altre parole, il fatto che il sistema si muove
quando l’aria esce dal palloncino, è una conseguen-
za della conservazione della quantità di moto che
19.2 La conservazione della dipende dal fatto che vale il principio di azione e
reazione. Per questa ragione questo metodo di pro-
quantità di moto pulsione si chiama a reazione. Un razzo funziona
L’equazione (19.9) porta a una conseguenza di gran- esattamente nello stesso modo. L’accelerazione del
de importanza: in assenza di forze la quantità di mo- razzo è dovuta al fatto che la sua massa diminuisce
to di qualcosa resta costante. Si dice che la quantità per effetto dell’espulsione violenta dei gas di scarico
di moto di un sistema isolato è conservata. da un motore che ne provoca la combustione.
Per quanto detto al Capitolo 18, le forze interne Si può vedere chiaramente come la conservazio-
al sistema non producono variazioni della quantità ne della quantità di moto sia determinata dal terzo
di moto perché la loro somma è sempre nulla per il principio della dinamica schematizzando rozzamen-
terzo principio della dinamica. te quel che accade sulle pareti del palloncino pieno
Nel caso dell’esperimento della macchinina quel d’aria. Quando il palloncino è chiuso l’aria al suo in-
che accade è che nello stato iniziale la quantità di terno produce forze sulle pareti dello stesso dirette
moto totale del sistema è nulla, perché il sistema in ogni direzione (lo si capisce dal fatto che lo sta-
costituito da macchina con palloncino e aria è in to delle pareti del palloncino cambia dal momento
quiete. Nel momento in cui si lascia uscire l’aria dal in cui è sgonfio al momento in cui è riempito d’a-
palloncino, non intervenendo alcuna forza esterna, ria). Le forze che l’aria esercita sono dirette verso
la quantità di moto del sistema deve continuare a l’alto, verso il basso, verso sinistra e verso destra. Il
essere nulla. Possiamo sempre scrivere la quantità palloncino produce sull’aria forze uguali e contrarie,
di moto totale come la quantità di moto del sistema altrimenti l’aria all’interno del palloncino potrebbe
macchina–palloncino pm piú quella dell’aria che esce muoversi. Le forze prodotte dall’aria sono tutte in-
pa : terne al sistema perciò le forze dirette verso l’alto si
sommano in modo da essere uguali in modulo a quel-
0 = p = pm + pa (19.10) le dirette verso il basso. Se cosí non fosse vedremmo

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19.2. LA CONSERVAZIONE DELLA QUANTITÀ DI MOTO 227

Fisica e sport esperimento possiamo attribuire il moto anche al


La conservazione della quantità di moto, di fat- fatto che l’aria che esce dal palloncino esercita sul-
to, produce gli stessi effetti prodotti da una l’aria circostante una forza che produce, per il terzo
forza esterna. In particolare, nei sistemi la cui principio della dinamica, una forza uguale e con-
massa diminuisce nel corso del tempo, genera traria sul sistema. È un po’ come se, trovandoci su
lo stesso effetto di una forza accelerante. Oltre una canoa, spingessimo con un remo sulla spiaggia:
che nell’astronautica e nell’aeronautica, l’effetto quest’ultima produrrebbe una forza sulla canoa in
è impiegato dai team di Formula 1 per delineare virtú del terzo principio, che si allontanerebbe dalla
le strategie di gara. spiaggia.
Le monoposto partono con un serbatoio di car- Se ne potrebbe dedurre che il principio potrebbe
burante solo parzialmente riempito, in modo da funzionare solo in presenza di un vincolo, ma non
essere piú leggere e far sí che l’energia sviluppa- è cosí: i razzi, infatti, sono in grado di spingere un
ta dal motore permetta di raggiungere velocità veicolo anche nello spazio completamente vuoto. Ne
piú elevate (ricordate che l’energia cinetica di- sono una chiara dimostrazione le sonde spaziali che
pende dalla massa e dalla velocità al quadrato: a riescono a raggiungere punti remoti dello spazio riu-
parità di energia, dunque, per masse piú picco- scendo comunque a manovrare grazie all’uso di razzi
le si hanno velocità piú grandi). Nel corso della usati per correggerne la rotta (una volta raggiunta
gara la massa complessiva della vettura dimi- la velocità di crociera nello spazio la sonda non ha
nuisce man mano che il carburante si consuma bisogno di razzi per muoversi: per effetto del primo
e questo permette di accelerare ancor di piú. principio continuerà a muoversi di moto rettilineo
In questo modo si può guadagnare abbastan- uniforme all’infinito, fino a quando qualche corpo
za tempo da rendere una sosta ai box per fare celeste non ne modificherà la traiettoria e la veloci-
rifornimento piú vantaggiosa: il tempo di per- tà attraendolo verso di sé). Lo spazio interplanetario
correnza totale potrà essere inferiore a quello non è del tutto vuoto: qualche particella è pur sem-
necessario per svolgere la gara senza soste, ma pre presente, ma con densità talmente basse da non
col serbatoio pieno. permettere di appoggiarvisi per spingersi in avanti:
parliamo di una decina di protoni per centimetro
cubo.
il nostro apparato librarsi in aria o sprofondare. An- Tutte e tre le interpretazioni del fenomeno che
che le forze rivolte verso destra devono uguagliare, abbiamo dato sono coerenti: quando usiamo il fatto
in modulo, quelle verso sinistra, perché altrimenti ci che la quantità di moto si conserva consideriamo il
sarebbe una forza interna netta sul sistema che lo sistema composto complessivamente da automobile
spingerebbe in una particolare direzione. piú aria come un sistema isolato (come se fosse nel-
Liberando l’apertura del palloncino l’aria che lo spazio vuoto e lontano da ogni sorgente di forza);
esercitava una forza, ad esempio, verso destra, non nell’interpretazione secondo la quale a spingere la
è piú vincolata a stare dentro e non può piú eserci- macchina è l’aria che preme sulla parete sinistra del
tare una forza su una parete del palloncino, da cui palloncino, non bilanciata da una forza che spinge
in effetti esce. Di conseguenza, all’interno rimane verso destra, consideriamo il sistema come compo-
aria che oltre a spingere in su e in giú nello stes- sto dalla sola macchina: l’aria che ne esce (e quel-
so modo, continua a spingere sulla parete di sini- la che resta dentro) non è parte del sistema, ma è
stra provocando il moto del sistema, non essendo esterna ad esso; nel terzo caso, il sistema è forma-
piú bilanciata da quella che si esercita sulla parete to dall’insieme dell’automobile, dell’aria interna al
opposta. palloncino e di quella esterna che funge da vincolo:
Vale la pena osservare che nel caso del nostro in questo caso quella che si conserva è la quantità di
moto totale della macchina e dell’intero pianeta, il

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19.2. LA CONSERVAZIONE DELLA QUANTITÀ DI MOTO 228

quale però è troppo pesante per subire un qualunque


tipo di effetto misurabile e si può quindi considerare
fermo.

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Unità Didattica 20
Urti

tuati dalla comune esperienza, l’urto della luce sugli


Prerequisiti: Quantità di moto e sua oggetti non ne altera lo stato in maniera significa-
conservazione. Energia cinetica. tiva, perché gli oggetti macroscopici hanno masse
talmente grandi da richiedere energie enormi per
In questo capitolo studiamo le conseguenze del- essere spostate rispetto a quella trasportata dalla
la conservazione della quantità di moto nel caso luce. Ma se l’oggetto della nostra attenzione diven-
dell’urto tra un proiettile e un bersaglio. ta piccolissimo, come un atomo, il solo illuminarlo
Come al solito, l’argomento non presenta un par- per tentare di vederlo ne provoca lo spostamento e
ticolare interesse per sé: un abile giocatore di biliar- non sapremo mai con precisione né qual era la sua
do o di curling sa benissimo come si comportano le posizione né la sua velocità.
biglie o le stone del gioco, senza bisogno di conoscere
la fisica dell’urto.
La fisica degli urti però è interessante per alme- 20.1 Urti unidimensionali
no un motivo: in molti casi l’oggetto del nostro in-
teresse scientifico non è direttamente osservabile o Per semplicità ci occuperemo solo di urti che avven-
raggiungibile. Pensate, ad esempio, al problema di gono tra punti materiali (in modo da poter trascu-
sapere com’è fatto un atomo al suo interno, o a quel- rare gli effetti delle superfici e delle forme) in urti
lo di ricostruire ciò che è avvenuto nell’interazione che avvengono in una sola direzione. Potremo per-
tra due corpi celesti che si sono urtati miliardi di ciò confrontare i nostri risultati soltanto con espe-
anni fa e di cui oggi possiamo osservare lo stato suc- rimenti nei quali, ad esempio, due biglie si urtano
cessivo all’urto. In definitiva la stessa osservazione centralmente.
diretta degli oggetti della nostra curiosità si riduce Consideriamo due biglie di massa m1 e m2 che
a provocare urti: se possiamo vedere un mazzo di si possono muovere lungo una sola direzione, del-
chiavi cadere a terra è perché la luce urta contro le quali una ha velocità u1 e l’altra velocità u2 .
le chiavi e ne viene diffusa, permettendoci di misu- La quantità di moto del sistema formato dalle due
rarne la posizione in funzione del tempo. È proprio biglie è
pensando a questo fenomeno che si giungerà a for-
mulare quello che si chiama principio d’indeter- pin = m1 u1 + m2 u2 . (20.1)
minazione nella Meccanica Quantistica: se voglio Se le biglie si urtano, subito dopo non sono piú in
osservare qualcosa devo provocare un urto tra l’og- contatto quindi non ci sono forze che si esercitano
getto dell’osservazione e qualcosa che posso rivelare tra loro e di conseguenza la quantità di moto com-
(ad esempio la luce). Piú diventa piccolo l’ogget- plessiva dev’essere ancora nulla. Se chiamiamo v e
1
to del mio studio piú l’urto con il proiettile usato v le velocità dopo l’urto abbiamo che
2
per l’osservazione modificherà lo stato dell’oggetto,
impedendomi di conoscerne lo stato con precisione pf in = m1 v1 + m2 v2 . (20.2)
assoluta. Nella fisica classica, quella cui siamo abi-
20.1. URTI UNIDIMENSIONALI 230

Per la conservazione della quantità di moto


sappiamo che pin = pf in e quindi 2m1 u1
v2 = = u1 . (20.11)
2m1
m1 (u1 − v1 ) = m2 (v2 − u2 ) . (20.3) Se il corpo 2 era inizialmente fermo u2 = 0 e
v1 = 0 e v2 = u1 : il proiettile si arresta e il ber-
Se l’urto avviene come descritto si dice elastico e
saglio comincia a muoversi con la stessa velocità
oltre alla quantità di moto si conserva anche l’ener-
che inizialmente aveva il proiettile. Potete cercare
gia (non sono intervenute forze di alcun tipo, tranne
su YouTube qualche partita di curling per osservare
quelle che hanno provocato l’urto stesso, il cui lavoro
quest’effetto.
è di fatto nullo). Abbiamo quindi che
Se il proiettile (che possiamo identificare con il
corpo 1) è molto piú leggero del bersaglio (come
1 1 1 1 accade quando la biglia di un biliardo colpisce la
m1 u21 + m2 u22 = m1 v12 + m2 u22 (20.4)
2 2 2 2 sponda), accade che m1 ' 0 e quindi, quando u2 =
0,
che si può riscrivere come
m2 u1
v1 = − = −u1 (20.12)
m1 u21 v12 v22 u22 (20.5)
 
− = m2 − . m2
e
Possiamo dividere membro a membro quest’equa-
zione con quella che esprime la conservazione della 2m1 u1
quantità di moto per giungere alla relazione = 0. (20.13)
v2 =
m2
Come ben sappiamo, infatti, la biglia rimbalza, cioè
u1 + v1 = u2 + v2 .. (20.6)
cambia il verso della propria velocità, mentre la
Combinando quest’equazione con la (20.3) si ottiene sponda resta ferma con tutto il biliardo.
il sistema Se è il proiettile a essere molto pesante, allora,
quando u2 = 0 possiamo scrivere che m2 = 0 e
( quindi
u1 + v1 = u2 + v2
. (20.7) m1 u1
m1 (u1 − v1 ) = m2 (v2 − u2 ) v1 = = u1 (20.14)
m1
Risolvendo il sistema si trova facilmente che e

2m2 u2 + (m1 − m2 ) u1 2m1 u1


v1 = (20.8) v2 = = 2u1 . (20.15)
m1 + m2 m1
e Il moto del proiettile, come ci aspettiamo, non è
praticamente perturbato in seguito all’urto, mentre
2m1 u1 + (m2 − m1 ) u2 il bersaglio si muove a una velocità doppia rispetto
v2 = . (20.9)
m1 + m2 a quella del proiettile. Possiamo vedere quest’urto
Vediamo adesso alcuni casi particolari. Consideria- anche in un altro modo. Mettiamoci nel sistema di
mo il caso m1 = m2 che è quello che si verifica riferimento del bersaglio. Quello che vedremmo sarè
quando due bocce, due palle da biliardo o due stone il proiettile venirci addosso a velocità u1 . Dopo l’ur-
del curling si urtano. In questo caso to dovremmo vedere il proiettile allontanarsi da noi
alla stessa velocità (perché noi, nel nostro sistema
2m2 u2 di riferimento, non ci siamo spostati). Di conseguen-
v1 = = u2 (20.10)
2m2 za, la nostra velocità nel sistema di riferimento nel
e quale il proiettile si muove a velocità u1 prima e

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20.3. URTI ANELASTICI 231

dopo l’urto dev’essere doppia rispetto a quella di


quest’ultimo. 4EmM
∆E =
(m + M )2
e considerando che M ' mA
20.2 Moderatori di neutroni
4EA
Nelle centrali nucleari si usano barre di materiale ∆E ' .
(1 + A)2
leggero per rallentare i neutroni prodotti in quanti-
Si vede subito che, all’aumentare di A, cioè del pe-
tà dalle reazioni di fissione. Se i neutroni prodotti
so del nucleo bersaglio, la perdita di energia dimi-
fossero troppo veloci potrebbero compromettere la
nuisce. Se quindi si vuole ottenere il massimo effet-
sicurezza della centrale portando alla fusione il nòc-
to frenante si devono usare materiali relativamente
ciolo dell’impianto. Per questa ragione i neutroni
leggeri.
devono essere rallentati e per farlo se ne deve dimi-
nuire l’energia cinetica attraverso l’urto con qualche
materiale. 20.3 Urti anelastici
L’energia cinetica E di un neutrone che si muove
con velocità u è Se fate cadere a terra una pallina di gomma questa
rimbalza e torna piú o meno all’altezza da cui era
1
E = mu2 partita. La piccola differenza di altezza tra lo stato
2 iniziale e quello finale si deve al fatto che una par-
dove m è la massa del neutrone. Consideriamo l’ur- te dell’energia totale della pallina (che inizialmente
to elastico di un neutrone con un nucleo di peso era mgh) è stata consumata dalle forze dissipative
atomico A, la cui massa M ' mA1 . Se il nucleo è che inevitabilmente entrano in gioco nei casi reali.
inizialmente fermo e l’urto è centrale, le velocità del Se trascuriamo queste forze possiamo affermare che
neutrone v1 e del nucleo v2 dopo l’urto sono l’urto col pavimento è elastico e in effetti la pallina
m−M giunge al suolo con velocità
v1 = u
m+M
(20.16)
p
e v= 2gh ,
lo urta e, come illustrato al paragrafo precedente,
2m
v2 = u. cambia il verso della sua velocità in modo da pun-
m+M
tare verso l’alto (si tratta, di fatto, dell’urto di un
L’energia persa dal neutrone nell’urto si scrive oggetto di massa m – la pallina – con un oggetto di
dunque come massa pressoché infinita: la Terra).
Se invece di lasciar cadere una pallina di gomma
1

m−M
2 ne lasciate cadere una di plastilina, questa si spiac-
∆E = E − E 0 = E − m u2 . cica sul pavimento senza praticamente rimbalzare.
2 m+M
In questo caso l’urto della pallina di plastilina col
Manipolando un po’ quest’equazione (raccoglien- pavimento si dice anelastico. In generale si dicono
do E = 12 mu2 a fattor comune ed espandendo i anelartici tutti gli urti non elastici, nei quali non si
quadrati) si trova conserva l’energia meccanica. Attenzione, qui: non
si conserva l’energia meccanica, ma l’energia totale
1
Il peso atomico di un nucleo è il numero di nucleoni
di cui è composto, cioè la somma del numero di protoni e
si conserva sempre. Semplicemente una parte dell’e-
di neutroni. Protoni e neutroni hanno circa la stessa massa, nergia (al limite tutta) è impiegata per fare lavoro
perciò se m è la massa di un neutrone (o di un protone) e A non conservativo. Il grado di anelasticità dipende da
il peso atomico, la massa del nucleo è circa mA.

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20.3. URTI ANELASTICI 232

quanta frazione dell’energia meccanica non è con-


servata. Nel caso che abbiamo appena visto l’urto si
dice totalmente anelastico perché tutta l’energia
meccanica iniziale è persa dopo l’urto. Ma natural-
mente si possono dare casi in cui solo una frazione
di questa è persa (nel caso della palla di gomma
realistica questa frazione è molto piccola).
Nel caso particolare di un urto totalmente ane-
lastico come quello appena descritto, la quantità di
moto si conserva comunque, ma l’energia no e

mu = (m + M )v . (20.17)
In quest’equazione m e M rappresentano, rispetti-
vamente la massa della pallina e dell’oggetto urtato
cui si lega (nell’esempio la Terra). La quantità di
moto iniziale è solo quella
√ della pallina che si muo-
ve con velocità u = 2gh prima di toccare il pavi-
mento. Dopo l’urto, se il proiettile resta attaccato al
bersaglio, entrambi si muovono alla stessa velocità
v che nel caso in esame vale quindi
m
v= u. (20.18)
m+M
Qualunque sia u, se M  m v tende a zero e in-
fatti la pallina di plastilina resta ferma. Se M non
è troppo grande si può avere un urto anelastico nel
quale v 6= 0.

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Unità Didattica 21
Simmetria e conservazione

21.1 La conservazione dell’e-


Prerequisiti: Il concetto di energia.
nergia
In questo capitolo affrontiamo un tema difficile,
ma importante. Il fatto che sia importante non vuol Secondo quanto emerge dall’analisi dei moti de-
dire che sia necessario ai fini pratici o della compren- gli corpi sottoposti a forze conservative possiamo
sione della fisica illustrata in questo volume, ma che affermare che la quantità
la sua attenta lettura può allargare i vostri orizzon- 1
ti e contribuire a farvi acquisire una visione della E = K + U = mv 2 + U (x) (21.1)
2
fisica e, in ultima analisi, del funzionamento del- è costante nel tempo. La E si chiama energia mec-
l’Universo, molto piú profonda e ricca di quanto si canica, K = 12 mv 2 prende il nome di energia ci-
possa ottenere attraverso lo studio sperimentale dei netica e U (x), che si chiama energia potenziale
fenomeni. è una funzione scalare delle coordinate che è ugua-
In linea di principio potete quindi anche salta- le al lavoro fatto dalle forze agenti sul corpo che
re questo capitolo, senza compromettere la vostra possiede quell’energia per portarlo da una posizione
conoscenza. Potete anche decidere di rileggere que- arbitraria a quella che occupa nell’istante in cui si
sto capitolo quando avrete raggiunto un grado di valuta.
preparazione maggiore di quello che potreste aver L’energia meccanica di un corpo, dunque, non di-
raggiunto fin qui, se avete seguito la sequenza di pende dal tempo. Assume lo stesso valore a ogni
argomenti proposta nel volume. istante di tempo. È dunque simmetrica per cam-
Quello che stiamo per affrontare è lo studio teo- biamenti del tempo. Se non dipende dal tempo,
rico della fisica. La fisica teorica si differenza da significa che il rapporto
quella sperimentale per il fatto che le leggi fisiche
che abbiamo derivato sperimentalmente si fanno in ∆E
(21.2)
un certo senso discendere da princípi che hanno ∆t
lo stesso ruolo che nella matematica hanno gli as- è nullo, essendo ∆E = E(t) − E(t0 ) e ∆t = t − t0 .
siomi o i postulati. A differenza delle matemati- Vediamo che succede al secondo membro dell’equa-
che, però, i princípi della fisica non possono essere zione. Il fatto che E non dipende dal tempo non
arbitrari come nelle matematiche. Devono necessa- significa che tutto resta costante: v potrebbe cam-
riamente portare alla formulazione di leggi fisiche biare nel corso del tempo, purché U cambi in modo
coerenti con le osservazioni sperimentali. Da que- tale da mantenere E costante. Se v cambia significa
sto punto di vista sono quindi, in un certa misura, che v 6= v0 , avendo indicato con v la velocità al tem-
pregiudizi derivanti dall’esperienza. po t e con v0 quella al tempo t0 , e dunque si osserva
un’accelerazione
∆v
a= (21.3)
∆t
21.1. LA CONSERVAZIONE DELL’ENERGIA 234

(sia l’accelerazione che la velocità sono vettori, ma ∆U nell’equazione di conservazione trovata sopra
possiamo continuare a lavorare con scalari perché si ottiene
possiamo sempre trovare un sistema di assi coordi-
nati tali per cui due delle tre componenti di ciascun 0 = ma − F (21.11)
vettore si annullano). Nell’espressione di E compare che non è altro che la seconda Legge di Newton la
v 2 . Se la velocità cambia, lo fa anche v 2 . Dobbiamo quale diventa semplicemente una conseguenza del-
cercare di capire come. l’invarianza dell’energia per traslazioni temporali.
Al tempo t0 , l’energia cinetica del corpo vale La prima Legge di Newton è, a sua volta, una con-
1 seguenza della seconda: se F = 0 anche a è nulla e il
K0 = mv02 . (21.4) corpo non cambia la sua velocità. Se era fermo resta
2
fermo e se si muoveva a velocità v permane nel suo
A un istante successivo avremo
stato di moto rettilineo uniforme.
Possiamo cosí formulare un principio teorico dal
1 2 1 1 1 quale discende, come conseguenza, gran parte della
K = mv = m (v0 + ∆v)2 = mv02 + m∆v 2 +mv∆v .
2 2 2 2 fisica che abbiamo fatto finora: per ogni corpo di
(21.5) massa m in un campo di forze conservative si può
In quest’ultima espressione, quando ∆t è piccolo lo misurare una grandezza fisica E definita sopra
è anche ∆v e quindi, a maggior ragione, ∆v 2 . Se che è costante nel tempo. Possiamo fare un ulterio-
scegliamo un intervallo di tempo abbastanza piccolo re passo in avanti per giustificare un tale principio
possiamo trascurare l’addendo con ∆v 2 e scrivere di conservazione: lo stato di un punto materiale è
1 caratterizzato dalla sua massa, dalla sua velocità e
K ' mv02 + mv∆v . (21.6) dalla sua posizione. Le ultime due grandezze hanno
2
carattere vettoriale, mentre la massa è uno scala-
cosí che
re. Se esiste una grandezza fisica scalare che si può
associare allo stato del punto materiale questa non
∆K = K − K0 ' mv∆v . (21.7)
può dipendere da velocità e posizione, perché sono
Dividendo entrambi i membri per ∆t si ottiene vettoriali. Ma può dipendere dal loro quadrato, che
è uno scalare.
∆K ∆v Poiché tutte le posizioni sono equivalenti, in as-
= mv = mva . (21.8)
∆t ∆t senza di forze, questa grandezza deve dipendere
Quando cambia t cambia la posizione del corpo per- soltanto dalla massa e dalla velocità al quadrato,
ciò U 6= U0 , avendo indicato con U l’energia poten- quindi dev’essere del tipo
ziale all’istante t e con U0 quella all’istante t0 . La
variazione di U col tempo vale E = Cmv 2 (21.12)
∆U ∆U ∆x ∆U e si scopre che C = 12 . In presenza di forze si de-
= =v . (21.9) ve poter aggiungere una quantità che dipende dalla
∆t ∆x ∆t ∆x
Sommando i due pezzi abbiamo: posizione, o meglio da una distanza, che è l’unica
cosa che si può misurare. Data la posizione x di
∆U un punto, la sua distanza dall’origine si può sempre
0 = m va + v . (21.10)
∆x scrivere come
Ricordiamo ora che ∆U = −∆L = −F ∆x (il mo- √ √
to è unidimensionale e la forza agisce parallelamen- x = x2 = x · x (21.13)
te allo spostamento). Sostituendo l’espressione di perciò il termine che si deve aggiungere a E per
descrivere lo stato di un punto materiale dev’esse-

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21.2. L’OMOGENEITÀ DELLO SPAZIO 235

re una funzione scalare che deve dipendere soltanto e l’energia totale del sistema composto dai due punti
dalla distanza x del punto da qualcosa U (x). La va- vale
riazione di questa funzione per unità di distanza dà
origine alle forze secondo la relazione
1 1
E = EA +EB = mA vA2 + mB vB2 +U (xA )+U (xB ) .
∆U 2 2
= −F . (21.14) (21.18)
∆x
Formuliamo adesso un principio di simmetria: lo
La seconda Legge di Newton, quindi, si può pensare spazio è omogeneo, vale a dire che ogni punto è
come a una conseguenza del fatto che noi crediamo uguale all’altro e che il diverso valore dell’energia
che lo stato di un punto materiale ne determini il potenziale di ciascuno dei due punti materiali non
valore di una grandezza fisica scalare che non può può dipendere dalle coordinate del punto, ma sol-
che dipendere dallo stato stesso e che, se tale funzio- tanto dalla differenza di coordinate tra A e B. Se
ne è scalare, deve dipendere soltanto dal quadrato quindi si trasla tutto il sistema di riferimento in mo-
delle grandezze vettoriali coinvolte. do tale che le posizioni di A e B non siano piú xA
In questo modello le forze traggono la loro origine e x , ma diventino y = x + δ e y = x + δ, la
B A A B B
dal fatto che lo spazio circostante un punto materia- differenza tra le posizioni di A e B non cambia e
le è in qualche maniera caratterizzato dal fatto che l’energia deve rimanere la stessa.
a ciascun punto di esso possiamo associare il valore La velocità del punto A è
di una funzione scalare U delle coordinate: se tale
funzione non è costante il punto materiale che si tro- ∆x x(t) − x(t0 )
va in quella regione di spazio percepisce una forza vA = = , (21.19)
∆t t − t0
la cui intensità dipende da quanto varia la funzione
quindi se si cambia il sistema di riferimento in ma-
U spostandosi da x a x + ∆x.
niera che x(t) diventa x(t) + δ e x(t0 ) = x(t0 ) + δ la
Quello che abbiamo detto per una dimensione si
velocità non cambia essendo
può ripetere per le altre e quindi l’argomento vale in
generale. Il rapporto ∆U/∆x si può calcolare nelle
tre direzioni spaziali e ciascun rapporto fornirà la x(t) + δ − x(t0 ) − δ
vA 0 = = vA . (21.20)
componente relativa della forza: t − t0
∆U Lo stesso accade per vB , quindi l’energia nel nuovo
= −Fi . (21.15)
∆xi sistema si scrive

21.2 L’omogeneità dello spa- 1 1


E 0 = mA vA2 + mB vB2 + U (xA + δ) + U (xB + δ) .
zio 2 2
(21.21)
Dovendo essere E = E deve accadere che
0
Supponiamo ora di avere due punti materiali A e
B che interagiscono attraverso qualche forza per la
quale si può scrivere l’energia di A come U (xA + δ) + U (xB + δ) = U (xA ) + U (xB ) . (21.22)
1
EA = mA vA2 + U (xA ) (21.16) Se δ è abbastanza piccolo possiamo sempre scrivere
2 che
e quella di B come
1 U (x + δ) ' U (x) + mδ (21.23)
EB = mB vB2 + U (xB ) (21.17)
2 da cui possiamo ricavare m come

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21.2. L’OMOGENEITÀ DELLO SPAZIO 236

U (x + δ) − U (x) ∆U (x)
m' = , (21.24)
δ ∆x
chiamando ∆U la differenza tra due valori di U
calcolati in due punti che distano ∆x l’uno dall’al-
tro. Riscriviamo l’equazione (21.22) usando questo
risultato:

∆U (xA ) ∆U (xB )
U (xA )+ δ+U (xB )+ δ = U (xA )+U (xB )
∆x ∆x
(21.25)
che è verificata solo quando

∆U (xA ) ∆U (xB )
=− . (21.26)
∆x ∆x
Ora osserviamo che la variazione di energia poten-
ziale per unità di percorso rappresenta la compo-
nente della forza subíta da A lungo lo spostamento
∆x:

∆(xA )
= FA (21.27)
∆x
e analogamente

∆(xB )
= FB . (21.28)
∆x
Si deve perciò avere che FA = −FB , cioè che la forza
che A subisce per il fatto d’interagire con B e ugua-
le e contraria alla forza che B subisce per il fatto
d’interagire con A. Abbiamo cosí ricavato il ter-
zo principio della dinamica come conseguenza
dell’omogeneità dello spazio.
In definitiva affermiamo che il solo fatto che lo
spazio sia omogeneo (cioè che noi crediamo che ogni
punto dello spazio sia del tutto equivalente a qua-
lunque altro punto) porta a una conseguenza impor-
tante consistente nel fatto che due punti materiali
interagenti devono agire l’uno sull’altro esattamen-
te nello stesso modo. Non è possibile che uno agisca
sull’altro con una forza maggiore di quanto l’altro
faccia sull’uno.

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Unità Didattica 22
Le leggi dei gas

sistema che daranno un qualche contributo all’ener-


Prerequisiti: Concetto di forza gia potenziale del sistema che sarà la somma delle
energie potenziali delle particelle di cui è composto.
Al Paragrafo 17.5 vediamo che il lavoro fatto su In un liquido queste forze saranno certamente piú
un sistema fisico, composto di un numero arbitrario deboli, ma non saranno del tutto assenti, perché è
di parti, da parte di forze non conservative com- pur vero che le particelle di cui possiamo immagina-
porta una variazione della somma della sua energia re composto il liquido sono piú libere di cambiare la
interna e della sua energia potenziale. Quello che propria posizione rispetto a quelle del solido, visto
dobbiamo pensare quindi è che, in seguito alla som- che il liquido assume la forma del recipiente che lo
ministrazione di lavoro a un sistema fisico, le parti contiene, ma non abbastanza libere da abbandonare
che lo compongono acquisiscono energia cinetica e/o il liquido e andarsene in giro come gli pare!
energia potenziale. Un gas, invece, specie se abbastanza rarefatto, oc-
D’altra parte sappiamo che somministrando lavo- cupa (quasi1 ) sempre tutto il volume a disposizione.
ro non conservativo (per esempio attraverso lo sfre- Segno, questo, che se il gas è composto di particel-
gamento di un pezzo di carta vetrata su un pezzo le, queste sono capaci di allontanarsi le une dalle
di ferro), la temperatura del sistema aumenta. altre a piacere, in modo da poter occupare comple-
Queste due cose devono essere tra loro collegate: tamente il volume del recipiente che lo contiene. Se
conviene dunque studiare quel che accade a un siste- è cosí, significa che le forze tra le componenti del
ma fisico composto di varie parti quando si fa un la- gas sono praticamente assenti e quindi l’energia po-
voro su quel sistema. È anche evidente che converrà tenziale di ciascuna di esse è prossima a zero. Al
studiare un sistema relativamente semplice per tro- limite potremmo pensare che sia esattamente zero,
vare qualche indizio utile: in un sistema generico, anche se non sarà mai esattamente cosí: le compo-
in seguito alla somministrazione di lavoro, aumenta nenti del gas devono comunque interagire le une con
la somma di energia cinetica e potenziale. Mentre le altre perché quando si avvicinano abbastanza tra-
la prima dipende solo dalla massa e dalla velocità sformano il gas in liquido e poi in solido. Ma se le
delle particelle che compongono il sistema, la secon- particelle di cui il gas è composto sono abbastanza
da deve dipendere da tutte le forze cui le particelle lontane, le interazioni mutue tra le sue componenti
sono soggette. Ora è evidente che se si considera un sono del tutto trascurabili e di conseguenza lo è la
pezzo di ferro come un oggetto composto di varie somma delle energia potenziali delle particelle che
particelle, queste devono essere in una qualche mi- lo compongono. Un gas per il quale l’energia poten-
sura legate le une alle altre da qualche forza che fa ziale delle sue particelle si può considerare nulla è
in modo che le particelle che si trovano sulla super- detto gas perfetto.
ficie del pezzo di ferro non possano abbandonarlo,
altrimenti si assisterebbe a una specie di evapora-
1
Se il gas non è abbastanza rarefatto e non è abbastanza
caldo questo non avviene, ma nella maggior parte dei casi
zione del pezzo di ferro. In generale in un solido ci
pratici è cosí.
devono essere forze che tengono insieme le parti del
22.1. LO STATO DEI GAS 238

Se si fa un lavoro nei confronti di un gas perfetto calcio, uno pneumatico, etc.) le forze elastiche sono
l’unica grandezza che può cambiare è la sua ener- cosí forti che, se si applica una forza in un punto
gia cinetica e quindi conviene studiare il comporta- qualunque del palloncino, questo non cede e la sua
mento dei gas per capire come funziona il trasferi- forma non si modifica apprezzabilmente.
mento di lavoro a un sistema fisico: il gas perfetto,
infatti, è il sistema fisico piú semplice che possiamo 22.1.1 La pressione
immaginare.
Se tappate la cannula di una pompa da bicicletta
con il pollice e spingete sulla pompa, sul polpastrel-
22.1 Lo stato dei gas lo avvertite qualcosa che spinge. Vuol dire che sul
polpastrello si sta esercitando una forza che non può
Quando si ha a che fare con i punti materiali, lo sta- essere dovuta allo stantuffo della pompa, che non
to di questi è perfettamente definito quando se ne è in contatto con il dito, ma dev’essere provoca-
misurino posizione e velocità (assumiamo, per sem- ta dall’aria contenuta nella pompa, compressa dallo
plicità, che la massa dei punti materiali sia sempre stantuffo spinto.
la stessa). Date massa, posizione e velocità è possi- Un altro esperimento che si può fare consiste nel
bile infatti prevedere lo stato del sistema meccanico prendere un palloncino gonfiato con aria poggiato su
composto di punti materiali a qualunque istante di un tavolo. In assenza di correnti d’aria tutte le forze
tempo, se conosciamo le stesse grandezze al tempo esterne al palloncino si possono considerare nulle. In
t = 0. Avendo a che fare con un gas non ha alcun queste condizioni, infatti, le uniche forze agenti sul
senso misurarne la posizione o la velocità. Che in- palloncino sono la forza peso e la reazione vincolare
tendiamo per queste grandezze? Non hanno alcun del tavolo, che si annullano a vicenda.
senso per un oggetto esteso come un gas. Sulla superficie del palloncino agiscono evidente-
Di un gas si possono misurare varie grandezze co- mente forze dall’interno, che ne provocano la dilata-
me, ad esempio, il suo volume, che coincide con il zione, del tutto simili a quelle che provocano la sen-
volume del suo recipiente. Di un gas si può anche sazione di compressione sulle dita nell’esperimento
misurare la temperatura. Naturalmente la quan- della pompa. Queste forze devono agire in tutte le
tità di gas in un recipiente è anch’essa una grandez- direzioni e devono essere uguali in tutte le direzio-
za che si può misurare (per esempio misurandone la ni, altrimenti il palloncino si muoverebbe nella di-
massa m). rezione della risultante di queste forze. Le forze in
Se si mette una certa quantità di gas in un reci- questione, inoltre, devono per forza essere perpendi-
piente (per esempio un palloncino), questo provoca colari alla superficie del palloncino: se non lo fossero
sul recipiente stesso fenomeni che si possono ascri- le porzioni di palloncino soggette a queste forze, in-
vere alla presenza di forze sprigionate dal gas stesso. vece che espandersi verso l’esterno si muoverebbero
Per esempio, se si gonfia un palloncino si trova che tangenzialmente alla sua superficie e questo non si
le sue pareti diventano via via piú turgide. Possiamo osserva mai.
interpretare questo fenomeno dicendo che le pareti Gli effetti delle forze sulle pareti del palloncino
del palloncino sono, evidentemente, elastiche e che non dipendono solo dall’intensità della forza che agi-
il gas al suo interno esercita una forza nei loro con- sce, ma anche da quanto è estesa l’area della super-
fronti che ne provoca la dilatazione. All’aumenta- ficie che subisce la forza. Gonfiate un palloncino e
re della dilatazione del palloncino le forze elastiche poggiate su di esso un libro: l’effetto che si produce
che ne governano la relazione tra le sue componenti quando il libro è poggiato sulla copertina è diver-
diventano sempre piú forti (ricordiamo che la for- so da quello che si osserva quando è poggiato sulla
za elastica è tanto piú intensa quanto piú è grande costa (dovete fare in modo che il libro non si apra:
lo spostamento). In certe condizioni (un pallone da basta circondarlo con un elastico). È utile quindi

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22.1. LO STATO DEI GAS 239

caratterizzare lo stato del palloncino (o meglio del solido originale. Tagliare un solido significa quindi
gas in esso contenuto) con una grandezza fisica che allontanare abbastanza le parti che lo compongono
chiameremo pressione definita come in modo da spezzare i legami che le tengono insie-
me. Per questo occorre esercitare sulle parti forze
F
p= (22.1) sufficientemente intense.
S Ora, immaginate di avere davanti a voi un bel
dove F è il modulo della forza agente perpendicolar- budino e di spingere con una forza F il bordo di
mente alla superficie di area S di palloncino. Poiché un cucchiaino sulla sua superficie. Se il bordo del
la forza che consideriamo è sempre perpendicolare cucchiaino è largo L, lungo ` e le particelle di cui è
alla superficie non c’è bisogno di indicarne direzione formato il budino distano in media d l’una dall’altra,
e verso (che peraltro cambierebbe da punto a punto la forza F si distribuisce su N = L × `/d2 particelle,
del palloncino), ma basta fornirne il modulo F . La quindi su ciascuna coppia di particelle agisce una
pressione dunque è una grandezza scalare. forza
Le dimensioni fisiche della pressione sono quel-
le di una forza divisa una superficie e quindi F d2 F d2
F i = = = pd2 . (22.2)
le pressioni si misurano in N/m2 e si dice che L×` S
1 N/m2 =1 Pa, dove Pa si legge Pascal in onore La forza che agisce su ciascuna componente del bu-
di Blaise Pascal2 . dino dunque è proporzionale alla pressione esercita-
La pressione è una grandezza fisica che ha sen- ta sullo stesso. Il budino si taglia se Fi è abbastan-
so misurare per ogni tipo di sostanza solida, liquida za grande, cioè se p è abbastanza grande. Nel caso
o gassosa che sia. Cerchiamo di capire che succede di una bistecca, le forze Fi necessaria a spezzare le
quando si esercita una pressione sulla superficie di molle che ne trattengono le parti le une vicine alle
qualcosa, cominciando da un solido. Per dividere il altre sono molto piú intense e per questo occorre
solido in due lo si deve tagliare. Ma che vuol dire una pressione maggiore che, a parità di forza con la
tagliarlo? Cosa succede al solido quando è taglia- quale si agisce sulla posata, aumenta col diminuire
to? Un solido non è altro che qualcosa composto di della superficie d’appoggio: la superficie di una la-
molte piccole parti (particelle) che sono in qualche ma affilata è certamente molto minore di quella del
maniera costrette a rimanere le une vicine alla al- bordo di un cucchiaino.
tre. Se cosí non fosse porzioni di solido potrebbero Per ragioni del tutto simili, se si deve bucare
staccarsi dalla massa complessiva e andare in giro qualcosa è necessario che l’oggetto con il quale si
liberamente. È evidente che questa costrizione deve spinge sulla superficie abbia una punta piccolissima.
essere provocata dall’esistenza di forze che si eserci- La pressione p necessaria per bucare un palloncino,
tano tra le parti. Questo forze saranno in generale per quanto sopra, dipende solo dalle caratteristiche
molto complicate da descrivere, ma qualunque sia la del materiale di cui è fatto. La forza che si deve
loro origine, per spostamenti piccoli delle parti de- applicare per bucarlo dunque dev’essere
vono essere descrivibili come forze di tipo elastico.
In sostanza possiamo immaginare un solido come F > pmin S (22.3)
fatto di palline legate tra loro da molle. Le palline
si possono muovere attorno alla posizione di equili- ed è quindi tanto maggiore quanto maggiore è la
brio, ma solo limitatamente. Se una pallina si allon- superficie di contatto S. Per questa ragione, spin-
tana parecchio dalle altre la molla si tira sempre piú gendo col dito, il palloncino non si rompe, mentre
e per distanze abbastanza grandi si può rompere. A se si applica la stessa forza attraverso un ago sí.
questo punto la pallina è libera: non fa piú parte del
2
scienziato francese del XVII secolo.

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22.2. L’EQUAZIONE DI STATO DEI GAS 240

22.2 L’equazione di stato dei modulo e quindi V = 0. In linea di principio nulla


vieterebbe di scendere ancora in temperatura per
gas cui si avrebbe la condizione che V < 0, il che è
Abbiamo dunque trovato un certo numero di gran- impossibile! Questo deve significare che esiste una
dezze fisiche che possiamo misurare per caratteriz- temperatura sotto la quale non si può scendere, che
zare lo stato di un gas: per dire, cioè, in quale con- chiamiamo temperatura assoluta. A dire il vero
dizione si trova il gas in un dato istante. Non è affat- potremmo anche pensare che l’andamento di V in
to detto, naturalmente, che queste grandezze siano funzione di T sia solo approssimativamente linea-
indipendenti l’una dall’altra, quindi bisognerà stu- re, per cui, quando la temperatura scende molto, si
diarne eventuali relazioni. Le grandezze in questione dovrebbe osservare un andamento diverso di V in
sono la quantità di gas, esprimibile attraverso la sua funzione di T . Per il momento assumiamo che non
massa M , la pressione p, la temperatura T e il volu- sia cosí, e cioè che effettivamente V dipenda linear-
me V . Per studiare le relazioni esistenti tra queste mente da T : in questo caso esiste una temperatura
grandezze facciamo esperimenti nei quali due sono (minore dello zero centigrado) per la quale V = 0.
fisse, una la facciamo variare e misuriamo l’altra. In questo caso il punto in cui la scala termometri-
Una prima misura che possiamo fare è la seguen- ca è zero non è piú arbitrario, ma possiamo definire
te: poniamo una certa quantità M di gas dentro un una scala di temperatura per cui lo zero coincide
recipiente di volume V a temperatura T e misuria- con la temperatura alla quale un gas perfetto assu-
mo la pressione p. Se cambiamo la temperatura del me volume nullo. Quel che si vede dalle misure è che
gas, per esempio mettendolo in contatto con una il volume di un gas che si comporta come un gas per-
sorgente a temperatura piú alta o piú bassa, possia- fetto diventa negativo sempre quando T < −273◦ C
mo misurare che la pressione cambia in modo tale circa. Possiamo quindi definire una scala di tempe-
che rature che chiameremo assoluta per la quale lo zero
corrisponde a T = −273◦ C e tale per cui l’ampiezza
p = αT + β , (22.4) del grado è la stessa della scala centigrada. Di con-
seguenza la temperatura alla quale fonde il ghiac-
cioè all’aumentare della temperatura aumenta la cio corrisponde, in questa scala, alla temperatura
pressione. Se il recipiente nel quale abbiamo inserito T = 273. Chiamiamo Kelvin3 l’unità di misura di
il gas ha volume regolabile (per esempio potrebbe questa scala e indichiamo quindi la temperatura di
trattarsi di un cilindro con un pistone mobile come fusione del ghiaccio come
una siringa), possiamo fare in modo di modificare
il volume del gas. In un altro esperimento dunque T = 273 K . (22.6)
quel che possiamo fare è cambiarne la temperatu-
ra e aggiustare il volume del gas in modo tale da La temperatura T = 0 K, corrispondente e −273◦ C,
lasciare la pressione del gas costante. In questo ca- corrisponde alla temperatura alla quale p = 0, il che
so vediamo che maggiore è la temperatura del gas, significa che, usando questa scala di temperature,
maggiore è il il volume occupato: p = αT e β = 0. D’ora in poi, quindi, useremo
sempre la temperatura assoluta T , per cui V = γT
V = γT + δ . (22.5) e p = αT . Quando T = 0 K il volume occupato da
un gas è nullo e di conseguenza lo è anche la sua
Qui ci viene subito un dubbio: supponiamo di porta-
pressione. Quello che si vede è che il prodotto pV ,
re la temperatura a T = 0◦ C. In questo caso V = δ.
a parità di tipo e quantità di gas e di temperatura
Se però la temperatura scende sotto lo zero il pro-
è costante e cioè che
dotto di γT diventa negativo, se γ > 0 come si evin-
ce dalle misure. Continuando a scendere con la tem-
3
in onore di Lord John Kelvin.
peratura a un certo punto succederà che γT = δ in

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22.2. L’EQUAZIONE DI STATO DEI GAS 241

viceversa), altrimenti non tutte le particelle di un


pV = AT , (22.7) gas si sarebbero legate con tutte quelle dell’altro.
Un’altra maniera di misurare la quantità di gas
con A costante. La costante A in realtà dipende dal-
consiste nel misurarne il numero di particelle N di
la quantità M di gas che s’introduce nel recipiente,
cui è composto. Se si suppone che la quantità di gas
perciò potremmo scrivere che
nell’equazione che lega p, V e T si deve misurare in
questi termini, si deve supporre che
pV = M BT , (22.8)
con B costante. Facendo esperimenti con diversi gas pV = N kB T , (22.11)
si trovano risultati molto diversi. In particolare, a
dove kB è una costante che prende il nome di co-
parità di massa di gas, se si valuta il rapporto pV /T
stante di Boltzmann dal nome di Ludwig Boltz-
si trovano numeri abbastanza diversi. Naturalmen-
mann che contribuí a comprendere il comportamen-
te questo potrebbe voler dire che B non è affatto
to dei gas. Poiché per l’idrogeno e per l’acqua il rap-
una costante (potrebbe dipendere dal tipo di gas)
porto è lo stesso, potremmo ipotizzare che il numero
oppure che altre variabili influenzano lo stato del
di particelle d’idrogeno e di acqua negli esperimenti
sistema.
descritti sopra debba essere lo stesso: se indichiamo
Per cercare di capire se esiste una relazione uni-
con NA il numero di particelle d’ossigeno presenti in
versale tra le variabili di stato dei gas, si possono fa-
32 g di questo gas, in 4 g d’idrogeno ci dovrebbero
re esperimenti con gas tra i quali si possono stabilire
essere il doppio di queste particelle 2NA e lo stesso
relazioni diverse.
numero di particelle si deve trovare in 36 g di acqua.
Dalla chimica, per esempio, sappiamo che, facen-
Se quindi in 32 g d’ossigeno ci sono N = NA
do reagire 4 g d’idrogeno con 32 g di ossigeno si
particelle, in 64 g ce ne sono N = 2NA e cosí via.
producono 36 g di acqua. Per i 4 g d’idrogeno in un
Corrispondentemente in 4 g d’idrogeno ci sono N =
recipiente si trova che
2NA particelle, in 2 g ce ne sono N = NA e cosí via.
pV m3 Pa In generale N = nNA , dove il numero n, che prende
= 16.628 . (22.9) il nome di numero di moli rappresenta la quantità
T K
di gas che contiene lo stesso numero di particelle
Lo stesso numero si ottiene per l’acqua (opportu-
contenute in 32 g di ossigeno o in 2 g d’idrogeno.
namente scaldata per portarla allo stato gassoso).
Una mole d’idrogeno corrisponde quindi a 2 g di
Corrispondentemente, usando 32 g di ossigeno si ha
questo gas; una mole d’ossigeno sono invece 32 g e
che
una mole d’acqua deve corrispondere a 36 g. Facen-
pV m3 Pa do altri esperimenti di chimica si scopre che le mas-
= 8.314 , (22.10) se delle singole particelle di ciascun elemento sono
T K
che è proprio la metà del numero ottenuto per l’i- sempre multipli approssimativamente interi di quel-
drogeno e per l’acqua. Cerchiamo di capire come si la dell’idrogeno perciò possiamo misurare le mas-
possono interpretare questi fatti. Se pensiamo che se in unità di massa di quest’ultimo. Una mole di
idrogeno, ossigeno e acqua siano fatti di particel- sostanza, dunque, è una quantità di quella sostan-
le discrete, dal momento che nello stato finale non za il cui peso espresso in grammi è uguale al peso
troviamo né idrogeno né ossigeno, ma solo acqua, di quella sostanza in unità di massa dell’idrogeno.
dobbiamo pensare che le particelle dei due gas ini- Quest’ultima si può misurare facendo esperimenti di
ziali si sono legate tra loro in modo tale da formare chimica con varie sostanze e si può quindi costruire
l’acqua e che il numero di particelle d’idrogeno de- una tabella nella quale per ogni elemento si ripor-
v’essere un multiplo intero di quelle di ossigeno (o ta quello che si può chiamare peso molecolare.
Diremo allora che una particella (o una molecola)

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22.2. L’EQUAZIONE DI STATO DEI GAS 242

d’idrogeno ha un peso molecolare pari a 2, una d’os- mico coincidono e di conseguenza una mole di elio
sigeno ha un peso molecolare pari a 32, una d’acqua corrisponde a 4 g, una di xenon a 131 g e cosí via.
36. Se si misura la quantità di gas in numero di moli
Con il tempo si scoprirà che l’idrogeno è un gas le n possiamo scrivere che N = nNA e quindi che
cui particelle (molecole) sono a loro volta costituite
di altre due particelle uguali apparentemente non pV = nNA kB T , (22.13)
ulteriormente divisibili e perciò chiamate atomi
e definendo NA kB = R
dal greco che vuole dire non divisibile. Diremo per-
ciò che l’idrogeno gassoso è formato di molecole cia-
pV = nRT . (22.14)
scuna composta di due atomi d’idrogeno: indicando
l’atomo d’idrogeno col simbolo H, la corrispondente Questa legge, in questa o nella forma pV = N kB T ,
molecola si indica con H2 . Analogamente si scopri- prende il nome di equazione di stato dei gas per-
rà che l’ossigeno gassoso è fatto di molecole di O2 , fetti perché rappresenta la relazione esistente tra le
cioè di molecole costituite di due atomi d’ossigeno variabili che determinano lo stato di un gas. La co-
O legati tra loro. La reazione chimica che porta alla stante R = NA kB si chiama costante universale
formazione dell’acqua si indica quindi come dei gas e vale

2H2 + O2 → 2H2 O (22.12)


R = 8.314 4743 ± 0.000 0088 J K−1 mol−1 (22.15)
che indica che, al fine di formare due molecole d’ac-
qua, ciascuna costituita di 2 atomi d’idrogeno e una dove con mol si indica l’unità di misura della mole
d’ossigeno, occorrono 2 molecole d’idrogeno e una (che si potrebbe anche omettere essendo di fatto un
d’ossigeno. Il numero totale di atomi d’idrogeno e numero adimensionale). Il numero NA di particelle
d’ossigeno resta lo stesso tra lo stato iniziale e quel- che si trova in una mole di sostanza si chiama Nu-
lo finale e quel che cambia è solo il modo in cui sono mero di Avogadro: l’ipotesi secondo la quale in
legati. una mole di sostanza fosse sempre presente lo stes-
La Fig. 22.6 alla fine di questo capitolo mostra so numero di particelle si deve infatti ad Amedeo
quella che prende il nome di tavola periodica di Avogadro e fu avanzata [?] nel 1811. Oggi sappia-
Mendelev nella quale sono riportati, oltre ad altri mo che il numero NA è molto alto, come del resto è
dati, i pesi atomici di ciascun elemento. Il peso facilmente presumibile, e vale
atomico di un elemento rappresenta approssimati-
vamente la sua massa misurata in unità di massa
dell’atomo d’idrogeno, il cui peso atomico è 14 . Nella NA = 6.022 141 79 ± 0.000 000 10×1023 . (22.16)
tavola periodica il peso atomico di ciascun elemento
è indicato in alto a sinistra. Dalla conoscenza di questo numero è facile ricavare
Gli unici gas che si conoscano le cui molecole so- il valore della costante di Boltzmann:
no formate da un singolo atomo sono quelli detti
gas nobili che nella tavola occupano l’ultima co- R 8.314 4743
lonna a destra: elio, neon, argon, krypton, xenon e kB = = ' 1.380 650 704×10−23
NA 6.022 141 79 × 1032
radon. Per questi gas il peso molecolare e quello ato- (22.17)
4
I pesi atomici sono definiti a partire dalla massa dell’ato- con un errore che possiamo stimare sapendo che NA
mo di carbonio per ragioni che non è qui il caso di discutere è noto con una precisione di
e non sono multipli interi del peso atomico dell’idrogeno, ma
si possono considerare tali con buona approssimazione.
σNA 0.000 000 10
= ' 17 × 10−9 (22.18)
NA 6.022 141 79

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22.3. LA TRASFORMAZIONE DI UN GAS 243

e R con una precisione di Per esempio, consideriamo un palloncino riempito


d’aria. Il gas contenuto si può considerare, con buo-
na approssimazione, perfetto e vale la relazione per
σR 0.000 0088
= ' 1.1 × 10−6 . (22.19) la quale
R 8.314 4743
Il secondo numero è molto meno preciso del primo, pV = nRT . (22.21)
quindi l’errore su kB è dominato da quest’ultimo e In condizioni di equilibrio un palloncino di circa 1 `,
sarà dello stesso ordine di grandezza: pari a 10−3 m3 , alla pressione di 111 kPa e alla tem-
σkB σR peratura di 20◦ C corrispondenti a 293 K, dovrebbe
' (22.20) contenere
kB R
per cui σkB ' kB × 1.1 × 10−6 ' 0.000 001 5 × 10−23 .
pV 111 × 103 10−3
n= = ' 0.046 (22.22)
RT 8.314 × 293
22.3 La trasformazione di un moli di gas. L’aria è una miscela di vari gas di cui
gas possiamo valutare la massa molecolare media che è
circa 29. Questo significa che 1 ` d’aria dovrebbe
Lo stato di una certa quantità di gas è dunque pesare circa 29 × 0.046 = 1.334 g. Alla pressione di
caratterizzato da due sole variabili termodinami- 111 kPa l’aria ha una densità pari a 1.320 kg/m3
che: la terza, infatti, dipende dalle altre due. Se che corrisponde quasi esattamente a quella ricavata
conosciamo la quantità di gas presente in un dato dall’equazione di stato dei gas perfetti. Per questa
volume e ne misuriamo la temperatura, possiamo ragione si può considerare tale.
conoscerne la pressione, per esempio. Possiamo an- Se però si fa esplodere il palloncino l’aria con-
che rappresentare graficamente lo stato di un gas tenuta passa istantaneamente da una pressione di
con un punto alle coordinate (V, p) di un piano car- 111 kPa a una di 101 kPa e dispone di un volume
tesiano: il prodotto V p ci dirà, infatti, quanto va- decisamente maggiore, mentre la temperatura resta
le la temperatura di quel gas se ne conosciamo la approssimativamente costante perché l’aria nel pal-
quantità. Il piano (V, p) prende il nome di piano di loncino è in equilibrio termico con quella esterna.
Clapeyron, dal nome di Benoît Clapeyron che ne In breve l’aria che era nel palloncino si mescola con
introdusse l’uso [?]. l’aria esterna e raggiunge una nuova condizione di
Lo stato di un gas che cambia nel corso del tempo equilibrio per la quale si può ancora considerare un
si può quindi rappresentare con una successione di gas perfetto, ma è chiaro che il passaggio dallo stato
punti sul piano di Clapeyron, a patto che in ciascuno iniziale a quello finale avviene attraverso stati che
degli istanti tra quello iniziale e quello finale il gas si non sono affatto di equilibrio: durante l’esplosione
possa considerare come perfetto. La successione di e le fasi immediatamente successive, non è affatto
punti sul piano è una curva che rappresenta quella vero che pV = nRT e quindi lo stato dell’aria non
che si definisce una trasformazione. Con questo si può rappresentare sul piano di Clapeyron.
termine non s’intende un cambiamento della natura Le trasformazioni che si possono rappresentare
del gas, ma del suo stato. sul piano come curve continue si dicono reversi-
Se le condizioni assunte per ricavare la relazio- bili, mentre quelle per cui questo non è possibile si
ne esistente tra le variabili di stato di un gas non dicono irreversibili.
sono verificate, naturalmente il gas non si può piú Consideriamo un palloncino gonfiato con aria:
considerare perfetto. Anche se il gas si potesse con- premendo sulla sua superficie, il volume diminui-
siderare tale nello stato iniziale e in quello finale, sce e la pressione interna aumenta. In ogni momen-
non è detto che lo sia durante la trasformazione. to pressione e volume non sono indipendenti l’uno

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22.4. IL LAVORO FATTO DA UN GAS 244

dall’altra: se il palloncino è in equilibrio con l’am- di equilibrio e la trasformazione non è reversibile.


biente la sua temperatura resta costante durante
una trasformazione nella quale il volume si riduce e
la pressione aumenta. L’equazione di stato dei gas 22.4 Il lavoro fatto da un gas
predice che il prodotto pV resti costante e in ogni
Un gas che si espande evidentemente compie un la-
istante si può individuare un punto sul Piano di Cla-
voro perché deve esercitare una forza nei confron-
peyron per cui la trasformazione che porta il gas a
ti del recipiente che lo contiene per farlo espande-
passare dal volume Vin al volume Vf in è una succes-
re. Per esempio, se si riuscisse a far espandere il
sione di punti che si può rappresentare graficamen-
gas contenuto in un palloncino il volume di questo
te come una curva. Rilasciando la pressione sulla
aumenterebbe. Perché questo accada è necessario
superficie del palloncino possiamo fargli seguire la
che sia applicata una forza alle pareti del pallonci-
trasformazione inversa.
no che si spostano di una certa quantità in seguito
Se a un certo punto lo facciamo esplodere è ma-
all’applicazione di questa forza.
nifestamente impossibile far eseguire all’aria la tra-
Per valutare il lavoro fatto da questa forza consi-
sformazione inversa. Durante e subito dopo l’esplo-
deriamo un caso semplice che consiste nel prendere
sione l’aria contenuta nel palloncino non ha uno sta-
un gas contenuto in un recipiente cilindrico di al-
to ben definito: al momento dell’esplosione il volu-
tezza h e raggio R con una delle basi scorrevole.
me e la temperatura del gas sono ancora le stes-
Inizialmente il gas si trova in uno stato di pressione
se dell’istante immediatamente precedente, ma la
e temperatura per il quale occupa un volume
pressione scende improvvisamente al livello di quel-
la atmosferica. A questo punto il gas comincia ad nRT
espandersi molto rapidamente (questo provoca lo V = . (22.23)
p
scoppio, cioè il suono prodotto dalla rottura del
palloncino, che altro non è se non la perturbazione Il volume V non è altro che il volume del cilindro
provocata sull’aria circostante dal movimento ra- che lo contiene V = πR2 h. Supponiamo di scaldare
pido del gas che esce). In queste condizioni non è il gas mantenendone costante la temperatura: il gas
piú vero che pV = nRT . La trasformazione non assumerà un volume
si può rappresentare sul Piano di Clapeyron ed è nRT 0
irreversibile. V0 = (22.24)
p
Un’altra trasformazione irreversibile è quella cui
va incontro il gas contenuto in una lattina di una bi- dove V 0 = πR2 h0 perché il volume cambia solo in
bita gassata quando è aperta5 . All’interno della lat- quanto il tappo del recipiente si alza rispetto allo
tina si trova una certa quantità di gas (parzialmente stato iniziale. Questo significa che il tappo si è spo-
disciolto nella bibita) ad alta pressione. Stappando stato lungo un asse parallelo all’asse del cilindro di
la lattina il gas si trova improvvisamente in uno sta- una quantità ∆h = h0 − h. Per spostarsi di ∆h è
to nel quale il volume disponibile non è piú quello stata necessaria una forza F che evidentemente è
della lattina, ma è molto piú grande. Il risultato è stata esercitata sul tappo dal gas, nella direzione in
che il gas comincia a fuoriuscire violentemente dal- cui il tappo si è mosso. Il lavoro fatto dal gas quindi
la lattina provocando un caratteristico sibilo e, in vale
certi casi, la fuoriuscita di parte del liquido conte-
nuto. Durante questa fase l’equazione di stato non ∆L = F ∆h . (22.25)
è piú vera perché il gas è lontanissimo da uno stato La forza che il gas esercita nei confronti del tap-
Quello che accade in questo caso è simile a quel che po è, per definizione, F = pS, dove S = πR è la
2
5

accade aprendo una bottiglia di spumante o di birra. superficie del tappo. Possiamo allora scrivere che

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22.5. IL CALORE SCAMBIATO COL GAS 245

dove c è il calore specifico del particolare gas misu-


∆L = pS∆h = p∆V (22.26) rato in calorie per Kelvin per mole, invece che in ca-
lorie per Kelvin per kg. Non è difficile rendersi conto
dove ∆V = V 0 − V è la variazione di volume del gas
che il calore specifico di un gas non dipende soltan-
che è proprio
to dal tipo di gas, ma anche dalla trasformazione
subíta dal gas. Basta misurare di quanto aumen-
∆V = V 0 − V = πR2 (h0 − h) . (22.27) ta la temperatura del gas somministrando sempre
la stessa quantità di calore e cambiando il tipo di
Se si ripete lo stesso ragionamento per ogni direzione gas e/o il tipo di trasformazione. In relazione al ti-
nella quale si può espandere un gas si trova sempre po di sostanza si scopre che molti gas, quando sono
lo stesso risultato perciò, per un gas, in condizioni di potersi considerare perfetti, hanno
tutti lo stesso calore specifico: riscaldando un gas
∆L = p∆V . (22.28) nobile (elio, neon, argon, etc.) in un recipiente ri-
gido (una bombola) si trova che la temperatura di
questi gas cambia sempre nello stesso modo e per
questi gas si misura c ' 3 cal/(mol K), qualunque
22.5 Il calore scambiato col sia il gas contenuto nella bombola.
Molti altri gas (idrogeno, ossigeno, azoto, etc.),
gas invece, hanno un calore specifico c ' 5 cal/(mol K),
indipendente dalla specie.
Quando il gas va incontro a una trasformazione del Se però si prende un gas nobile e lo si scalda in
proprio stato può cedere o assorbire calore nel corso maniera tale da mantenerne costante non il volu-
della trasformazione, a meno che non sia contenuto me, ma la pressione, il calore specifico cambia. Lo
in un recipiente isolante che impedisca il passaggio stesso accade ai gas come l’idrogeno, l’ossigeno e
di calore dal gas all’ambiente e viceversa. l’azoto. Per l’elio si trova c ' 5 nelle unità date e
La quantità di calore scambiata durante la tra- per l’idrogeno c ' 7. In altre parole il calore spe-
sformazione può determinare la variazione di una o cifico di un gas che subisce una trasformazione a
piú variabili di stato. Esiste un’evidente relazione pressione costante è piú alto di quello a volume co-
tra la quantità di calore ∆Q scambiata col gas e stante. Quando parliamo di calore specifico di un
la conseguente variazione di temperatura ∆T . Nel gas, dunque, dobbiamo esplicitare la trasformazio-
determinare gli effetti dello scambio di calore con ne che subisce. Abbiamo perciò, per lo stesso gas,
solidi e liquidi si trova che infiniti possibili valori del calore specifico. Nel caso
in cui una delle tre variabili termodinamiche resti
∆Q = cm∆T (22.29) costante durante la trasformazione possiamo parla-
dove a c si dà il nome di calore specifico e m rap- re di calore specifico a volume costante cV , o a
presenta la massa dell’oggetto la cui temperatura pressione costante cP o ancora a temperatura
cambia di ∆T in seguito allo scambio di calore ∆Q. costante cT . È chiaro che si potrebbe definire un
Il calore specifico dipende unicamente dal tipo di calore specifico diverso cτ per ogni trasformazione
materiale di cui è fatto l’oggetto che si scalda o si τ.
raffredda. La quantità di calore che serve per cambiare la
La quantità di gas presente in un recipiente so- temperatura di un gas di ∆T in una trasformazione
litamente si esprime in moli e non in kg, quindi τ quindi si deve scrivere
potremmo scrivere che, per i gas,
∆Q = ncτ ∆T , (22.31)
∆Q = cn∆T (22.30)

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22.5. IL CALORE SCAMBIATO COL GAS 246

dalla quale si ricava che e che il gas costituisce una sorgente di tempe-
ratura. L’atmosfera terrestre, per esempio, si può
∆Q considerare una buona sorgente di temperatura. La
∆T = . (22.32)
ncτ quantità di gas presente in atmosfera è cosí grande
Cerchiamo di capire il significato di quest’espressio- che anche se accendiamo un fuoco l’aria si scalda un
ne: l’equazione ci dice che, a parità di calore ceduto poco localmente, ma già a distanza di alcune decine
al gas, la sua temperatura aumenta di piú se il calore di cm la temperatura dell’aria non cambia apprezza-
specifico è piú piccolo. Dice anche che per ottenere bilmente. La temperatura media dell’atmosfera ter-
lo stesso ∆T occorre una quantità di calore mag- restre, in pratica, è relativamente costante, almeno
giore se il calore specifico è piú alto. Come abbiamo su tempi abbastanza brevi.
visto cV < cp , quindi, a parità di calore ceduto, la Le misure di questa grandezza fatte nel corso del
temperatura del gas aumenta di piú se il gas subisce tempo dimostrano che effettivamente la capacità
una trasformazione nella quale il volume resta co- termica dell’atmosfera non è affatto infinita e che
stante rispetto al caso in cui è la pressione a restare col tempo questa temperatura sta progressivamen-
costante. te aumentando, in particolare dai tempi della ri-
In effetti chi si diletta in cucina sa bene che per voluzione industriale a oggi. Molti ritengono che
cuocere i cibi con una pentola a pressione occorre questo aumento di temperatura sia opera dell’uomo
meno tempo rispetto a quello necessario per la cot- che contribuisce, con le sue attività, in parte a in-
tura tradizionale. Il motivo è presto detto: in una nalzare direttamente la temperatura di questo gas
pentola a pressione il gas (l’aria) contenuto è co- e in parte ad alternarne la composizione favorendo-
stretto a restare nel volume della pentola. Il calore ne indirettamente l’aumento di temperatura attra-
fornito dal fornello fa fare al gas una trasformazione verso l’immissione in atmosfera di quelli che sono
a volume costante, durante la quale la temperatura chiamati gas serra. Non importa come la pensiate
del gas aumenta. su questo punto: l’innalzamento della temperatura
Anche in una pentola normale il gas contenuto media del pianeta è innegabile, come si evince dalla
nella pentola aumenta, ma in questo caso il volu- Figura 22.1. Si può dibattere sulle cause, che non
me del gas non resta costante perché il gas può sono cosí semplici da individuare a causa della com-
espandersi nell’ambiente. Quel che resta costante è plessità del sistema, ma non sull’evidenza del fatto
la pressione (che poi è uguale alla pressione atmo- sperimentale.
sferica). Di conseguenza, poiché il calore specifico Tuttavia, per quanto riguarda gli esperimenti che
in questo caso è maggiore, l’incremento di tempe- possiamo fare nei nostri laboratori scolastici, in ge-
ratura è minore e occorre piú tempo per cuocere il nere si può senz’altro assumere che l’atmosfera ter-
contenuto6 . restre rappresenti un’ottima sorgente di temperatu-
Vale la pena di notare che, contrariamente a quel ra perciò possiamo immaginare esperimenti nei qua-
che si pensa di solito, non è affatto vero che in li un gas assorbe calore da qualche parte (per esem-
una trasformazione nella quale la temperatu- pio perché scaldato da una fiamma), ma essendo in
ra resti costante, il calore scambiato sia nullo. contatto con una sorgente non varia la sua tempera-
Un modo per mantenere costante la temperatura di tura. Se vale la relazione stabilita dall’equazione di
un gas cedendogli o sottraendogli calore consiste nel stato dei gas, il prodotto pV deve restare costante
far tendere all’infinito n: in questo caso, se c e ∆Q in queste circostanze, quindi se il gas, assorbendo
sono finiti e diversi da zero, ∆T tende a zero e si dice calore, aumenta di volume, la sua pressione deve
che la capacità termica C = nc del gas è infinita diminuire in modo caratteristico. Abbiamo cosí rea-
lizzato una trasformazione nella quale ∆T = 0, ma
Il che non è sempre uno svantaggio, perché certe pietanze
6

vanno cotte a fuoco lento. ∆Q 6= 0.

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22.6. TRASFORMAZIONI SPECIALI 247

vaschetta, esattamente come se si trattasse di un


liquido. La stessa cosa accade con altri gas a tem-
peratura molto bassa (come l’azoto, per esempio).
Solo quando il gas è molto caldo si può considerare
come perfetto.
In quanto segue facciamo l’ipotesi che il gas consi-
derato si possa considerare come perfetto. Inoltre, la
trasformazione che subisce si deve poter considerare
come reversibile: solo cosí possiamo rappresentarla
sul Piano di Clapeyron come una curva continua.

22.6.1 Trasformazioni isobare


Figura 22.1 Anomalia termica media ne- Un gas che si espande in modo reversibile in maniera
gli Stati Uniti in funzione del
che la sua pressione resti costante compie una tra-
tempo a partire dalla fine del
1 800 secondo i dati riporta- sformazione isòbara. Nelle trasformazioni isobare
ti in [?] aggiornati con quel- di un gas
li presenti sul sito della NA-
SA. L’anomalia termica è de- nRT
finita come la differenza tra
p= = cost . (22.33)
V
la temperatura media misu-
Sul piano di Clapeyron (Fig. 22.2) la trasformazio-
rata in un insieme di luoghi
e la temperatura media del- ne è rappresentabile come una successione di pun-
lo stesso insieme in un de- ti che, partendo dalle coordinate (Vi , p) giunge alle
terminato istante (nel caso coordinate (Vf , p). Dal momento che p è costante il
in esame nell’anno 1943, a segmento è parallelo all’asse delle ascisse.
metà dell’intervallo originale
considerato dagli autori).
Il lavoro svolto dal gas in questo caso è semplice
da calcolare: come dimostrato sopra si trova molti-
plicando la pressione costante per la variazione di
22.6 Trasformazioni speciali volume

Le trasformazioni cui può essere soggetto un gas ∆L = p (Vf − Vi ) . (22.34)


sono infinite. Di un gas possono cambiare pressione,
volume e temperatura in modo arbitrario, purché il Geometricamente possiamo pensare al lavoro fat-
prodotto pV sia sempre uguale al prodotto nRT , to dal gas come all’area del rettangolo sul Piano
se il gas si può considerare perfetto. Se cosí non è di Clapeyron definito dall’asse delle ascisse (quello
l’equazione di stato dei gas non è piú vera. dei volumi), le rette parallele all’asse delle ordinate
Il ghiaccio secco, per esempio, che altro non è (quello delle pressioni) che passano per i punti di
se non anidride carbonica in forma solida, a tem- coordinata 1 Vi e Vf , rispettivamente, e il segmento
peratura ambiente sublíma: passa cioè dallo stato che rappresenta la trasformazione.
solido a quello gassoso. L’anidride carbonica che si Affinché si possa espandere, il gas si deve scal-
produce in questo processo si trova in un stato nel dare. In effetti, nello stato iniziale il prodotto pV
quale la condizione del gas è molto lontana dall’es- è minore di quello nello stato finale, quindi la tem-
sere quella di un gas perfetto: il gas, infatti, essendo peratura iniziale dev’essere inferiore a quella finale.
pesante tende a cadere verso il basso e si può addi- L’aumento di temperatura che conduce all’espan-
rittura raccogliere in un recipiente aperto come una sione si ottiene trasferendo al gas una quantità di
calore

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22.6. TRASFORMAZIONI SPECIALI 248

p (kPa) p (kPa)
500 500

400 400

300 300

200 200

100 100

0 0
0 1 2 3 4 5 V (m3 ) 0 1 2 3 4 5 V (m3 )

Figura 22.2 Una trasformazione isoba- Figura 22.3 Una trasformazione isoco-
ra (a pressione costante) ra (a volume costante) che
che porta il gas dallo stato porta il gas dallo stato
A = (1 m3 , 300 kPa) allo sta- A = (1 m3 , 100 kPa) allo sta-
to B = (4 m3 , 300 kPa). In to B = (1 m3 , 300 kPa) non
questa trasformazione il gas fa lavoro.
si espande quadruplicando il
suo volume mantenendo co-
stante la pressione. Il lavoro
fatto dal gas è rappresentato espandere il gas all’interno che occupando un volu-
dall’area tratteggiata. me maggiore abbassa la sua pressione in modo da
farla immediatamente coincidere con quella esterna.

22.6.2 Trasformazioni isocore


∆Q = ncp ∆T (22.35)
La trasformazione di un gas che ne lasci invaria-
dove cp è quello che si chiama calore specifico a to il volume si dice isòcora. In questo genere di
pressione costante. In pratica, per realizzare una trasformazioni V resta costante e quindi sul Piano
trasformazione di questo genere si deve prendere un di Clapeyron la trasformazione si rappresenta co-
gas contenuto in un recipiente il cui volume pos- me un segmento verticale che parte dalle coordina-
sa cambiare in modo tale da mantenere costante te (V, pin ) e arriva al punto di coordinate (V, pf in ),
la pressione. Consideriamo l’aria contenuta in una come mostrato in Figura 22.3.
siringa. Il pistone della siringa normalmente è fer- Poiché in questo genere di trasformazioni il vo-
mo perché l’aria all’interno ha una pressione ugua- lume non cambia, il lavoro fatto dal gas è nullo. Il
le a quella esterna, quindi esercita sul pistone una gas preme sulle superfici del recipiente esercitando
forza uguale e contraria a quella esercitata dall’at- una forza su di esse, ma non ne cambia la posizione.
mosfera. Se si scalda il contenuto della siringa la Benché le molecole di gas individualmente si sposti-
pressione interna aumenta e la forza con la qua- no, complessivamente il gas è fermo e non fa alcun
le il gas spinge sulla superficie interna del pistone lavoro.
aumenta diventando maggiore di quella esercitata
dall’atmosfera. Cosí il pistone si muove lasciando

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22.6. TRASFORMAZIONI SPECIALI 249

Il calore scambiato in una trasformazione isocora


si può scrivere come p (kPa)
500
∆Q = ncV ∆T (22.36)
400
dove cV prende il nome di calore specifico a vo-
lume costante. Acquistando calore, la tempera-
300
tura di un gas costretto ad assumere un dato volu-
me aumenta. Di conseguenza deve aumentare la sua
200
pressione.
Un esempio di trasformazione isocora è quella che
avviene in una pentola a pressione. Il volume del 100
gas contenuto nella pentola è fissato dalle dimen-
sioni della pentola. Scaldandolo il gas aumenta la 0
3
0 1 2 3 4 5 V (m )
propria pressione. Questa crescerebbe sempre con-
tinuando a scaldare il gas, ma un aumento eccessivo
della pressione potrebbe provocare lo scoppio del re- Figura 22.4 Una trasformazione isoter-
cipiente! Per questa ragione sulle pentole a pressio- ma (a temperatura costan-
ne si montano valvole che permettono la fuoriuscita te) che porta il gas dallo sta-
di parte del gas quando questa supera una soglia to A = (1 m3 , 300 kPa) al-
lo stato B = (4 m3 , 75 kPa).
predeterminata. In questa trasformazione il
Quando il gas esce, diminuisce il numero di moli n prodotto pV resta costan-
di gas per cui il prodotto pV si abbassa: non potendo te e il lavoro fatto dal
cambiare V diminuisce p. A parità di calore fornito, gas è rappresentato dall’area
l’uso di una pentola a pressione riduce il tempo di tratteggiata.
cottura perché il suo interno raggiunge prima una
temperatura piú alta. Accendendo lo stesso fornello
sotto due pentole, una a pressione e una tradiziona- 22.6.3 Trasformazioni isoterme
le, la quantità di calore fornita a ciascuna stoviglia
Una trasformazione nella quale la temperatura di
è la stessa e quindi
un gas resta costante si dice isoterma. L’equazione
di un’isoterma è
ncV ∆TV = nci ∆Ti (22.37)
pV = nRT = cost (22.38)
dove ci e ∆Ti rappresentano, rispettivamente, il ca-
lore specifico e la variazione di temperatura del gas e di conseguenza sul Piano di Clapeyron ha l’aspetto
contenuto nella pentola (molto grossolanamente si di un’iperbole.
potrebbe pensare alla trasformazione subíta dal gas La Figura 22.4 mostra la trasformazione isoter-
nella pentola tradizionale come a una trasformazio- ma di n = 100 moli di gas inizialmente nello stato
ne a pressione costante perché il gas si trova sempre A = (1 m3 , 300 kPa). Un gas in questo stato ha una
alla pressione atmosferica). Poiché ∆TV , che rap- temperatura
presenta l’incremento di temperatura del gas nella
pentola a pressione, è maggiore di ∆Ti , dev’essere pV 300 × 103 × 1
cV < ci . T = = ' 361 K = 88◦ C.
nR 100 × 8.314
(22.39)
Quando il gas si espande quadruplicando il suo
volume, la temperatura resta costante e

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22.6. TRASFORMAZIONI SPECIALI 250

che il calore non provoca necessariamente la varia-


zione della temperatura, ma in generale produce una
nRT 100 × 8.314 × 361
p= = ' 75 kPa . (22.40) variazione dello stato del gas.
V 4 Per comprendere come la quantità di calore in-
Il calcolo del lavoro eseguito dal gas in questo caso fluisca sullo stato del gas e calcolare quindi il calore
non è banale, perché la pressione non resta costante. scambiato in una trasformazione isoterma bisognerà
Però possiamo immaginare di dividere l’intervallo prima capire la natura del calore.
da Vi = 1 m3 a Vf =4 m3 in N intervallini di ampiez-
za ∆V abbastanza piccoli, in ciascuno dei quali la 22.6.4 Trasformazioni adiabatiche
pressione vari talmente poco da poterla considerare
costante. In questo caso in ogni intervallino k C’è un altro tipo di trasformazione speciale che vale
la pena di studiare: quella in cui il gas cambia il suo
∆Lk = pk ∆V (22.41) stato senza scambiare calore con l’ambiente. Una
trasformazione nella quale ∆Q = 0 si dice adia-
e il lavoro complessivo sarà
batica. Supponiamo che il gas si trovi inizialmente
N N nello stato A = (Vi , pi ) = (1 m3 , 300 kPa) e che si
(22.42) espanda in modo reversibile fino a quadruplicare il
X X
∆L = ∆Lk = pk ∆V .
k=1 k=1 suo volume, come negli esempi precedenti, ma senza
Nell’intervallo k-esimo la pressione vale scambio di calore.
In una trasformazione adiabatica nessuna delle
nRT tre variabili termodinamiche resta costante, perciò
pk = (22.43)
Vk una variazione della sua temperatura implica una
ed essendo il prodotto nRT costante si ha variazione della pressione e del volume. Supponia-
mo che nel corso di una simile trasformazione la
temperatura del gas cambi di ∆T = Tf − Ti . Poiché
XN XN
∆V la temperatura di un gas perfetto si scrive
∆L = pk ∆V = nRT . (22.44)
Vk
k=1 k=1 pV
T = (22.46)
Eseguendo la somma si trova che nR
una sua variazione è conseguenza di una variazione
Vf del prodotto pV . Se variano p e V il prodotto pV
∆L = nRT log . (22.45)
Vi diventa
Abbiamo già osservato che il fatto che ∆ = 0 non
implica automaticamente che ∆Q = 0. In effetti,
pV → (p + ∆p) (V + ∆V ) = pV +p∆V +V ∆p+∆V ∆p .
una trasformazione isoterma potrebbe avvenire co-
(22.47)
me segue: il gas assorbe calore dall’esterno e di con-
Una variazione di temperatura ∆T corrisponde
seguenza si espande. La sua temperatura non au-
quindi a una variazione del prodotto pV che si può
menta perché in contatto con una sorgente. Tutte
indicare come ∆(pV ) = (p + ∆p) (V + ∆V ) − pV .
le trasformazioni sufficientemente lente nelle quali il
Se ∆V e ∆p sono piccole il loro prodotto si può
gas è in contatto termico con l’ambiente si possono
trascurare, quindi possiamo scrivere che
considerare isoterme.
Il calore scambiato durante questa trasformazio-
∆(pV ) ' p∆V + V ∆p (22.48)
ne non si può scrivere come ∆Q = ncT ∆T perché in
questo caso ∆T = 0! Quest’osservazione ci dà l’idea e quindi che

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22.7. IL LAVORO TERMODINAMICO 251

siderare la pressione pi costante nella trasformazio-


p∆V + V ∆p
∆T = . (22.49) ne i–esima. ∆Vi è la variazione di volume nel corso
nR della stessa trasformazione.
Dividiamo primo e secondo membro per il prodotto Consideriamo dapprima un caso semplice: faccia-
pV ottenendo mo espandere un gas isobaricamente dallo stato A
allo stato B. Quindi ne diminuiamo la pressione at-
∆T 1 ∆T 1

∆V ∆p
 traverso una trasformazione isocora fino allo stato
= = + (22.50) C per poi riportarlo, attraverso una trasformazio-
pV nR T nR V p
ne isobara, al volume iniziale, quando avrà raggiun-
Sostituendo infine a pV del denominatore del primo to lo stato D. Infine riportiamo anche la pressione
membro, quanto deriva dall’equazione di stato del al valore originale riportando il gas nello stato A
gas nRT si ottiene attraverso una trasformazione isocora.
In pratica possiamo eseguire l’operazione in que-
∆T
=
∆p ∆V
+ . (22.51) sto modo: iniziamo da un gas a una data tempera-
T p V tura TA (per esempio a temperatura ambiente) con-
Per ottenere un’equazione che rappresenti una cur- tenuto in un cilindro con un tappo che può scorrere
va sul piano (p, V ) è necessario eliminare la tem- liberamente lungo l’asse del cilindro. All’inizio il gas
peratura da questa relazione. Questo potremo farlo occupa un certo volume VA = πr h dove r è il rag-
2

soltanto dopo aver stabilito una delle leggi fonda- gio del cilindro e h l’altezza del tappo. Se il tappo
mentali della fisica: quella che va sotto il nome di non cade sul fondo del cilindro significa che il gas
primo principio della termodinamica. sta esercitando nei suoi confronti una forza uguale
e contraria a quella dovuta al suo peso mg (trascu-
rando l’effetto della pressione esterna). La pressione
22.7 Il lavoro termodinamico del gas pA deve quindi essere uguale a

Un gas, come molti altri sistemi, si può sottoporre a mg


. pA = (22.53)
trasformazioni cicliche: trasformazioni, cioè, che πr2
lo riportano nello stato iniziale dopo avergli fatto Ora dobbiamo fare in modo che il gas si espanda,
assumere stati diversi. Dalla dinamica dei punti ma- mantenendo sempre la pressione uguale. Si può ot-
teriali sappiamo che le trasformazioni cicliche dello tenere quest’effetto scaldando il gas: poiché pV =
stato sono interessanti: il fatto che il lavoro svolto nRT , aumentando T deve aumentare il prodotto
da una forza che sposta il suo punto d’applicazione pV . Dal momento che il peso del tappo non cambia,
lungo una curva chiusa sia nullo, per esempio, porta p resta costante e quindi aumenta V che diventa VB .
alla definizione di energia potenziale. È utile quindi Durante la trasformazione p = pA resta costante.
vedere se il lavoro svolto su un gas (o da un gas) per Una volta raggiunto il nuovo stato in cui la tem-
fargli fare una trasformazione ciclica abbia qualche peratura è TB > TA e VB > VA , possiamo bloccare
speciale proprietà. il tappo nella sua posizione e raffreddare il gas in
Il lavoro fatto da un gas per andare dallo stato A modo tale che la sua temperatura passi da TB a
allo stato B è TC < TB e di conseguenza la pressione diminuisca
fino a pC < pB (il volume resta costante perché il
tappo è fermo nella sua posizione).
X
∆LA→B = pi ∆Vi (22.52)
i Sbloccando il tappo se ne può quindi far diminuire
dove la somma è estesa a tutte le porzioni di trasfor- il volume continuando a raffreddare il gas: in questa
mazione in cui possiamo suddividere la trasforma- fase la pressione resta costante e il volume diminui-
zione A → B sufficientemente piccole da poter con- sce raggiungendo lo stato (pD , VD ). Riportando la

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22.7. IL LAVORO TERMODINAMICO 252

che geometricamente corrisponde all’area del ret-


p (kPa) tangolo che rappresenta la trasformazione nella
500 Fig. 22.5. Questo risultato è completamente gene-
rale perché qualunque sia la forma che la trasfor-
400 mazione assume sul piano (p, V ) possiamo sempre
dividerla in tanti rettangolari abbastanza piccoli da
A B
300 approssimare bene a piacere la forma reale.
Come può essere negativo il lavoro nel tratto da
200 C a D? Il lavoro è dato dalla forza moltiplicata sca-
larmente per lo spostamento. Se è negativo significa
100 che la forza che agisce ha verso opposto allo sposta-
D C
mento. In questo caso lo spostamento è quello del
0 pistone che si sposta verso il basso. La forza che il
3
0 1 2 3 4 5 V (m ) gas esercita sul pistone è rivolta verso l’alto, ma il
pistone si muove verso il basso. Questo significa che
sul pistone, oltre alla forza prodotta dal gas, deve
Figura 22.5 Una trasformazione ciclica. agire qualche altra forza dall’esterno che lo spinge
verso il basso. Ma noi non abbiamo esercitato alcu-
na forza sul pistone. Ci siamo limitati a raffreddare
temperatura al valore iniziale TA naturalmente la il gas. Questa cosa ci fa pensare che modificare la
pressione si riporterà al valore iniziale (il volume lo temperatura di un gas somministrando calore deve
è già). produrre effetti simili a quelli prodotti da una forza.
La trasformazione è rappresentata nella Fig. 22.5.
Il lavoro fatto dal gas lo possiamo valutare come
la somma dei lavori fatti in ciascuna trasformazione.
Andando da A a B il gas esegue un lavoro pari a

∆LA→B = pA (VB − VA ) . (22.54)


Nel tratto da B a C il lavoro fatto è nullo perché
non c’è lo spostamento di alcunché. Il lavoro fatto
dal gas nella compressione da C a D vale

∆LC→D = pC (VD − VC ) . (22.55)


Sapendo che VD = VA e che VC = VB possiamo
anche scrivere che

∆LC→D = pC (VA − VB ) . (22.56)


Osserviamo che ∆LC→D < 0 peché VA < VB , e che
in valore assoluto è minore di ∆LA→B perché pC <
pA . Poiché anche nel tratto D → A il lavoro è nullo,
complessivamente il gas ha svolto un lavoro pari a

∆L = (pA − pC ) (VB − VA ) (22.57)

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22.7. IL LAVORO TERMODINAMICO 253

La misura del Numero di Avogadro


La misura del Numero di Avogadro appare piut-
tosto difficile. Si devono contare le molecole
che compongono un gas che sono sicuramente
tantissime. Uno dei primi tentativi di misurare
il numero di particelle che costituiscono un gas
risale al 1646, quando il monaco Chrysosto-
mus Magnenus stimò il numero di molecole
d’incenso che aveva bruciato in una chiesa mi-
surando il volume della stessa e assumendo che
ci dovesse essere almeno una molecola di que-
sta sostanza nel suo naso per avvertirne l’odo-
re [?]. Va detto che a quell’epoca l’ipotesi ato-
mica non era ancora stata formulata per bene:
anche se l’ipotesi risale addirittura al tempo di
Democrito, attorno al 400 a.C., per una formu-
lazione scientificamente coerente dell’ipotesi si
dovrà attendere il XIX Secolo con Dalton. Ame-
deo Avogadro propose che il numero di particelle
presenti in una mole di sostanza fosse costante
nel 1811.
La prima misura attendibile del Numero di Avo-
gadro valse, di fatto, il Premio Nobel nel 1926
a Jean Baptiste Perrin. Il modo di eseguire la
misura gli fu suggerito da un articolo del 1905
di Albert Einstein sul cosiddetto moto Brow-
niano [?]. La procedura è illustrata in maniera
semplice in un articolo [?] di Lew Brucacher nel
quale si suggerisce anche un modo in cui si può
rieseguire la misura in proprio.
La misura di Perrin segnò una svolta filosofi-
camente fondamentale nel metodo scientifico e
nella fisica in particolare: può sembrare strano
oggi, ma al tempo di Perrin erano ancora in
molti a non accettare l’ipotesi atomica soste-
nendo che si trattasse soltanto di un’ipotesi non
scientificamente verificabile dal momento che gli
atomi sarebbero stati comunque inosservabili.
Perrin ammise che gli atomi non erano osserva-
bili, ma »si potevano contare«. Questo prova-
va che gli atomi erano oggetti reali e non mere
speculazioni o artifici matematici.

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22.7. IL LAVORO TERMODINAMICO 254

Figura 22.6 La tavola periodica degli


elementi chimici.

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Unità Didattica 23
La teoria cinetica dei gas

Sono molti gli esperimenti che fanno ritenere che biato numero. Quel che dev’essere cambiato è che
la materia sia costituita di particelle di qualche tipo. in un primo tempo le particelle dovevano trovarsi in
Questi costituenti, che potremmo definire elementa- posizioni abbastanza ben definite, mentre, quando
ri, devono sicuramente essere molto piccoli e in gran il ghiaccio si è trasformato in acqua, le posizioni oc-
numero. Neanche con il piú potente microscopio si cupate dai costituenti non sono cosí fisse. In qualche
riesce a verificare quest’ipotesi, il che implica che le modo le particelle si ammucchiano le une sulle altre
dimensioni dei costituenti elementari della materia per effetto della forza peso ed evidentemente non c’è
devono essere inferiori alla lunghezza d’onda della attrito sufficiente a fare in modo che si dispongano a
luce usata per illuminarli. Se infatti le dimensioni formare una sorta di cono come succederebbe con la
di questi oggetti fossero maggiori se ne produrreb- sabbia: non serve nemmeno scuotere il contenitore
be l’ombra, mentre se fossero comparabili si osser- per fare in modo che i costituenti si dispongano in
verebbe qualche fenomeno di diffrazione. Se sono modo da formare un piano orizzontale, senza però
piccolissimi devono anche essere moltissimi. Devo- avere una forma definita.
no essere in un numero straordinariamente grande. Questo significa che i costituenti del ghiaccio sono
Possiamo anche stimare un limite inferiore. Consi- legati gli uni agli altri e non si possono allontana-
deriamo un centimetro cubo di materia qualsiasi (un re dai loro vicini. Quelli dell’acqua invece no. Sono
piccolo cubetto di ghiaccio). I suoi costituenti devo- piuttosto slegati, anche se la forza peso fa in modo di
no essere molto piú piccoli della lunghezza d’onda farli precipitare verso il basso e di tenerli comunque
della luce visibile che è compresa tra circa 500 e gli uni vicini agli altri.
700 nm. Questo significa che le dimensioni trasver- Se si scalda l’acqua si osserva che questa evapo-
sali di questi oggetti devono essere molto minori di ra: si trasforma cioè in gas. Quando è un gas l’acqua
500 × 10−9 = 5 × 10−7 m. In un centimetro, pari a sembra quasi non risentire della forza peso: si capi-
10−2 m, ce ne stanno sce che questa continua ad agire perché il vapore
acqueo tende comunque a cadere verso il basso, ma
10−2 una gran parte di esso resta sospeso, quasi senza pe-
N`   20 000 , (23.1)
5 × 10−7 so. Quasi certamente quel che sta accadendo è che
il che significa che ce ne devono stare almeno le forze che tengono legate le particelle le une al-
200 000. In un centimetro cubo ce ne saranno perciò le altre sono diventate ancor piú deboli, tanto da
almeno 8 × 1015 . rendere praticamente libere di muoversi in ogni di-
Se lo scaldiamo il ghiaccio fonde e diventa acqua. rezione ciascuna singola particella. È probabile che
Se crediamo che sia composto di particelle dobbia- allo stato liquido le particelle non siano legate come
mo pensare che le particelle che prima costituivano quando si trovano allo stato solido, ma un minimo
il ghiaccio ora fanno parte dell’acqua: probabilmen- di forza residua tra le particelle deve continuare a
te non hanno cambiato genere, anche perché è possi- esercitarsi, in modo tale che molte particelle si man-
bile far tornare l’acqua allo stato solido raffreddan- tengano comunque legate tra loro a formare gocce di
dola. E probabilmente non hanno nemmeno cam-
23.1. UN GAS IDEALE 256

liquido abbastanza pesanti da cadere.


Se le particelle che formano queste gocce si al-
lontanano l’una dall’altra diventano punti materiali
con una massa cosí piccola da riuscire a fluttuare
nell’aria (non perché la forza peso non le faccia ca-
dere verso il basso, ma perché, oltre alla forza peso,
su queste particelle agisce la stessa forza che, per
esempio, impedisce a un foglio di carta di cadere
esattamente come un martello).

23.1 Un gas ideale


Se vogliamo studiare i costituenti elementari del-
la materia è meglio se partiamo da una situazione
relativamente semplice, che è proprio quella di un
gas. In un gas di fatto non si esercitano forze tra le Figura 23.1 Una particella di gas che
particelle costituenti, quindi la trattazione di que- si muove da una parete del
sto sistema sarà semplificata rispetto a quella di un recipiente a quella opposta.
liquido o di un solido. Ci sarà la forza peso ad agire
sulle singole particelle, ma questa si può considera-
re molto piccola (ricordiamo che F = mg e se m sistema di riferimento con l’origine in un vertice del
è piccola lo è F ): al limite possiamo benissimo tra- recipiente e gli assi orientati secondo gli spigoli che
scurarla e ignorarne perciò l’esistenza. Le particelle convergono in quel vertice. Che succede a una par-
di un gas quindi sono libere di muoversi in tutte ticella che si muove con velocità parallela all’asse 1?
le direzioni e questo è coerente con le osservazioni È semplice: inizialmente (Figura 23.1) la velocità è
sperimentali secondo le quali un gas occupa sem- v = (v1 , 0, 0); dopo l’urto la particella torna indie-
pre tutto il volume del recipiente che lo contiene. A tro e perciò, quando giunge nella posizione che aveva
differenza di un liquido, questo è possibile solo se al tempo t = 0, la sua velocità è v0 = (−v1 , 0, 0),
tutti i suoi costituenti si possono muovere in tutte come di vede dalla Figura 23.2. In altre parole la
le direzioni possibili, cosí che muovendosi in una di- variazione di velocità subíta dalla particella è
rezione dove c’è un volume libero una particella lo
raggiunge e lo occupa.
È anche ovvio che, nel momento in cui una parti- ∆v = v0 − v = (2v1 , 0, 0) = 2v . (23.2)
cella di gas dovesse urtare la parete del recipiente,
ne verrebbe respinta. Come fa la palla di un biliar- Se la velocità varia significa che la particella è
do che urta la sponda con una certo angolo, cosí la soggetta a un’accelerazione
particella di gas che colpisce il recipiente con un an- ∆v
golo θ rispetto alla normale alla superficie del reci- a= (23.3)
∆t
piente cambia direzione in maniera tale che l’angolo
dove ∆t è il tempo in cui avviene questa variazione.
d’uscita sia sempre θ.
Una particella che parte vicino alla parete sinistra
Proviamo a studiare il moto di una singola par-
del recipiente con velocità v, giunta in corrispon-
ticella di questo gas ideale per capire cosa ci do-
denza della parete destra la urta e la sua velocità
vremmo aspettare. Per semplicità consideriamo un
cambia segno. Quando torna in prossimità della pa-
recipiente a forma di cubo di lato L e scegliamo un
rete di sinistra, da dov’era partita, la sua velocità,

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23.1. UN GAS IDEALE 257

Non possiamo pensare che tutte le particelle di gas


si muovano esattamente con la stessa velocità, ma
indicando con Fi la forza prodotta dalla particella
i–esima abbiamo
N N (i) 2
X X v
F = Fi = m 1 (23.7)
i=1 i=1
L
(i)
dove v1 indica la velocità lungo l’asse 1 della
particella i–esima. Essendo
N
1 X (i) 2
hv12 i = v (23.8)
N i=1 1
il valor medio della velocità lungo l’asse 1 al
quadrato possiamo riscrivere
Figura 23.2 Una particella di gas che
giunge vicino la parete di un
hv1 i2
. (23.9)
F = mN
recipiente dopo aver rimbal- L
zato su quella opposta. Naturalmente le particelle del gas non si muove-
ranno tutte in direzione della parete di destra del
recipiente,
 ma
 in generale avranno velocità v =
(i)
(i) (i) (i)
immediatamente prima di un nuovo urto vale −v. v1 , v2 , v3 qualunque. Però non c’è alcuna ra-
La durata dell’intervallo di tempo in cui avviene gione per la quale hv12 i debba essere diversa da hv22 i
tutto questo è o da hv32 i e quindi dobbiamo supporre che
L
∆t = 2 . (23.4) hv12 i ' hv22 i ' hv32 i . (23.10)
v1
Il modulo quadro della velocità della particella i–
Sostituendo nell’equazione che ci dà l’accelerazione
esima vale
abbiamo
2 (i) 2 (i) 2 (i) 2
v1 v12 v (i) = v1 + v2 + v3 (23.11)
a = 2v = . (23.5)
2L L e di conseguenza la velocità quadratica media
Se la particella accelera significa che è stata soggetta delle particelle di gas si può scrivere come
a una forza d’intensità
N
v12 1 X (i) 2
F = ma = m , (23.6)
2
hv i = v = hv12 i + hv22 i + hv32 i (23.12)
L N i=1
che evidentemente ha applicato la parete del reci- ed essendo i tre addendi tutti circa uguali al primo
piente. Quest’ultima, a sua volta, subísce dalla par- possiamo affermare che
ticella una forza uguale e contraria, il cui effetto è
ostacolato dalle forze interne che ne mantengono la hv 2 i ' 3hv12 i . (23.13)
forma e la posizione stabile. Se le particelle di gas
che urtano la parete sono molte la forza subíta dal- Ma allora hv1 i ' 3 hv i e la forza che il gas esercita
2 1 2

la parete del recipiente è la somma di queste forze. complessivamente su una delle pareti del recipiente
vale

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23.2. LO SCIOGLIMENTO DEL GHIACCIO 258

della materia: in un liquido o in un solido le particel-


1 hv 2 i
F = mN . (23.14) le non devono stare ferme, ma si devono muovere in
3 L maniera tale da avere in media un’energia cinetica
Moltiplicando e dividendo per 2 e ricordando che pari a
l’energia cinetica di una particella di massa m con
velocità v è E = 12 mv 2 abbiamo 3
hEi = kB T . (23.21)
2
2 1 2
F = N mhv 2 i = N hEi (23.15) Il fatto che le particelle, in questi casi, non siano del
3L 2 3L tutto libere di muoversi non impedisce loro di avere
dove hEi rappresenta l’energia cinetica media del- quell’energia: è sufficiente che le particelle oscillino
le particelle di gas. Se questa è la forza che il gas attorno a un punto di equilibrio perché, pur muo-
esercita sulla superficie di area L2 la pressione sulla vendosi, mantengano la loro posizione. La rapidità
faccia corrispondente del recipiente è con la quale si muovono queste particelle è tanto
maggiore quanto piú è alta la temperatura.
Cedere calore a un corpo significa dunque trasfe-
F 2 2N
p= 2 = N hEi = hEi . (23.16) rirgli energia in modo tale da farne aumentare la
L 3L3 3V
temperatura.
Di conseguenza, moltiplicando per V entrambi i
membri di quest’equazione si ottiene
23.2 Lo scioglimento del
2
pV = N hEi
3
(23.17) ghiaccio
e confrontando con l’equazione di stato dei gas pV = Alla luce di questa scoperta possiamo interpretare
N kB T si vede subito che facilmente quel che succede quando si scalda un pez-
2 zo di ghiaccio: le particelle d’acqua di cui è costitui-
hEi = kB T (23.18) to sono legate tra loro da forze di qualche natura di
3
cui al momento possiamo non avere alcuna idea. Se
e quindi che
mettiamo il cubetto di ghiaccio vicino a un bicchie-
2 re pieno d’acqua, questo non è attratto dal ghiaccio
T = hEi . (23.19) e questo significa che le forze che tengono insieme
3kB
le particelle d’acqua nel ghiaccio non sono abba-
In definitiva la temperatura assoluta non è che una
stanza forti da attrarre quelle nel bicchiere. Dob-
misura dell’energia cinetica media delle particelle
biamo quindi pensare che queste forze dipendano
che compongono il gas. Un gas a temperatura T è
dalla distanza:
quindi formato da particelle la cui energia cinetica
media vale
F = F(d) . (23.22)
3
hEi = kB T . (23.20) Anche se non abbiamo alcuna idea di come siano
2 fatte queste forze sappiamo che la loro intensità è
Non si può scendere con la temperatura sotto lo una funzione della distanza d che si può sempre ap-
zero assoluto perché la minima energia cinetica che prossimare, almeno per d sufficientemente piccole,
una particella può avere è zero, che si ha quando la con un polinomio:
particella è ferma.
Se questa è l’interpretazione corretta della tem- F (d) ' F0 + F1 d + F2 d2 + · · · (23.23)
peratura di un gas dev’esserlo anche per altri stati

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23.2. LO SCIOGLIMENTO DEL GHIACCIO 259

Se la distanza d alla quale la forza si manifesta è le particelle d’acqua che si muovono troppo rapida-
molto piccola possiamo trascurare tutti i termini di mente. Non tutte le molle si rompono: alcune con-
ordine superiore e scrivere che tinuano a funzionare perciò il ghiaccio di fatto si
rompe in minuscoli pezzettini, ciascuno dei quali è
F (d) ' F0 + F1 d . (23.24) libero di muoversi rispetto agli altri. Inoltre, l’assen-
za dei vincoli imposti dalla presenza delle particelle
Quello che deve capitare è che, se la distanza tra
vicine permette alle molle di allungarsi molto di piú
due particelle d’acqua è d < d0 la forza è repulsiva,
e di permettere alle particelle d’acqua di oscillare
perché le particelle d’acqua non si devono tocca-
piú lentamente, ma con ampiezza maggiore.
re: se infatti si cambia la temperatura del ghiaccio
Quando si continua ad aumentare la temperatura
questo cambia il proprio volume, segno che le parti-
anche queste molle residue si rompono e le particel-
celle di cui è costituito stanno a una certa distanza
le d’acqua sono libere di muoversi dove vogliono. In
tra loro il che permette a queste di allontanarsi e
assenza di altre forze dunque continuano a muover-
di avvicinarsi secondo la temperatura1 . Se invece
si di moto rettilineo uniforme fino a che le forze di
d > d0 la forza diventa attrattiva, ma diminuisce
reazione delle pareti del recipiente che contiene il
con la distanza. Possiamo perciò scrivere che
vapore non producano accelerazioni di queste parti-
celle che ne cambiano la velocità (la direzione, non
F (d) ' F0 − F1 (d − d0 ) (23.25)
il modulo).
dove il segno − è stato introdotto per far sí che f1
si possa considerare positivo. È evidente che, per
d = d0 la forza deve annullarsi perciò F0 = 0 e
quindi

F (d) ' −F1 (d − d0 ) (23.26)


che somiglia moltissimo alla forza esercitata da una
molla. Possiamo perciò pensare al ghiaccio come a
qualcosa fatto di particelle di acqua molto vicine le
une alle altre, tenute insieme da molle che collegano
ciascuna particella a quelle vicine. Non importa che
il ghiaccio non sia fatto esattamente cosí: di sicuro
non ci saranno delle molle, ma è come se ci fossero.
Siamo quindi autorizzati a pensare che il ghiaccio
sia fatto cosí.
Le particelle d’acqua collegate con le molle dun-
que oscillano, si agitano attorno alla posizione d’e-
quilibrio. Aumentando la temperatura del ghiaccio
aumenta l’energia cinetica di queste particelle che
quindi si muovono piú rapidamente. A un certo pun-
to succede che le molle non riescono piú a trattenere
1
Osserviamo che il fatto che l’acqua si comporti in mo-
do anomalo rispetto alle altre sostanze e cioè che aumen-
ti di volume al diminuire della temperatura, non cambia
quest’interpretazione.

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Unità Didattica 24
Il primo principio della termodinamica

Quello che in fisica si chiama un sistema, cioè un to. Se invece il sistema compie lavoro nei confronti
insieme di corpi relativamente complesso sui quali si dell’ambiente, in genere si raffredda.
possono eseguire misure di vario tipo, si può riscal- Al Capitolo 23 vediamo come un gas, che è il siste-
dare (o raffreddare) attraverso due modalità: o si ma piú semplice che possiamo considerare, si possa
mette in contatto con quella che chiameremo sor- considerare come composto di particelle la cui ener-
gente di temperatura o si esegue lavoro su di esso gia cinetica media definisce in qualche maniera la
(se ne estrae lavoro). temperatura del gas. Cambiare la temperatura del
Una sorgente di temperatura è qualcosa che si gas, dunque, significa cambiarne l’energia cinetica
può mettere in contatto termico con il sistema in dei suoi costituenti. In generale, qualunque siste-
esame, con il quale può scambiare calore. Nel ca- ma, sia esso gassoso, liquido o solido, si può pensare
so piú semplice la temperatura della sorgente resta costituito di particelle la cui energia cinetica me-
costante: in linea di principio questo non sarebbe dia ne definisce la temperatura. Una variazione di
possibile perché se si estrae una quantità di calore temperatura del sistema corrisponde a una varia-
∆Q da una sorgente di massa m la sua temperatura zione dell’energia cinetica dei suoi costituenti. Una
cambia di qualunque cessione di energia a un sistema ne può
provocare una variazione di energia cinetica e/o di
∆Q ∆Q energia potenziale (che nei gas è nulla). La frazione
∆T = = (24.1)
C cm di energia assorbita come energia cinetica determi-
dove C si chiama capacità termica della sorgen- na l’aumento di temperatura del sistema, mentre la
te e c è il suo calore specifico. Ma se C è molto frazione di energia assorbita come energia potenzia-
grande (il che significa che c o m o entrambi sono le provoca una modifica delle relazioni spaziali tra
molto grandi), ∆T ' 0 e quindi la sua temperatura i costituenti, visto che l’energia potenziale dipende
si può considerare costante. Un esempio di questo dalle forze che si stabiliscono tra questi e dalle ri-
tipo di sorgente è l’ambiente: esponendo all’aria spettive distanze. In questo modo si può interpreta-
un qualunque corpo a qualunque temperatura, que- re, ad esempio, il fenomeno della dilatazione termi-
sto prima o poi raggiunge la temperatura ambiente ca: l’aumento di temperatura di una sbarra di ferro
perché la capacità termica di quest’ultimo è quasi è la conseguenza della cessione di energia al sistema.
sempre molto maggiore di quella del corpo. Una parte di quest’energia è assorbita dalla sbarra
In alternativa si può avere una sorgente a tem- sotto forma di energia cinetica dei costituenti che
peratura costante quando la sottrazione o la cessio- si muovono piú rapidamente provocando l’innalza-
ne di calore provoca il cambiamento di stato fisico mento della sua temperatura. Una parte dell’energia
della sorgente: durante lo scioglimento del ghiac- assorbita, invece, serve a modificare l’energia poten-
cio o l’ebollizione dell’acqua la temperatura resta ziale dei costituenti. Se immaginiamo il ferro come
costante. composto di tanti corpuscoli collegati l’uno all’altro
Eseguendo lavoro nei confronti di un sistema lo si con molle, un aumento dell’energia potenziale di cia-
può scaldare, per esempio grazie alla forza di attri-
24.1. L’ENERGIA INTERNA 262

scuno si può avere in seguito a un allungamento di


queste molle, il che equivale a un allontanamento ∆U = ∆Q − ∆L . (24.3)
reciproco delle particelle che lo costituiscono. Il ri-
A ∆Q e a ∆L si attribuiscono i segni in maniera
sultato è che la sbarra appare dilatata perché i suoi
da essere coerenti con quanto osservato sopra: se si
costituenti si sono dovuti allontanare gli uni dagli
cede calore a un sistema, la sua temperatura deve
altri.
aumentare e quindi deve farlo anche la sua energia
interna, perciò ∆U > 0 e ∆Q > 0. Se invece si
24.1 L’energia interna estrae calore da un sistema evidentemente ∆Q <
0 in modo tale che ∆U < 0 e corrisponda a una
Dato un qualunque sistema, la sua energia totale U diminuzione della sua energia interna, cioè della sua
è la somma delle energie cinetiche Ki e potenziali Vi temperatura.
dei suoi N costituenti: Se invece si altera l’energia di un sistema eseguen-
do lavoro, questo si deve considerare positivo quan-
XN XN
do l’energia interna diminuisce, perché ∆U = −∆L
U= Ki + Vi . (24.2) per ∆Q = 0. Questo significa che il lavoro si consi-
i=1 i=1
dera positivo quando è fatto dal sistema e negativo
Se N è molto grande (tipicamente sarà dell’ordine quando è fatto nei confronti del sistema.
del Numero di Avogadro) non possiamo sperare di Ma se scriviamo ∆U = ∆Q − ∆L dobbiamo po-
misurare individualmente tutte le Ki e le Vi . Possia- ter scrivere tutte e tre le grandezze nelle stesse unità
mo però sapere come varia U che chiameremo ener- di misura. Questo è sicuramente possibile per ∆U
gia interna del sistema. Se il sistema fosse fatto di e per ∆L che si misurano entrambe in J, ma non
particelle non interagenti la sua energia interna sa- per ∆Q che si misura in calorie. Deve quindi essere
rebbe solo dovuta all’energia cinetica delle particelle possibile esprimere questo numero in unità di mi-
e questa si potrebbe cambiare cedendo o sottraendo sura di energia attraverso un fattore di conversione,
calore dal sistema. In sostanza il calore dev’essere esattamente come si esprime una lunghezza in metri
semplicemente energia che fluisce da una parte al- conoscendola in pollici. In altre parole dev’essere
l’altra e quindi deve avere le stesse dimensioni fisiche
dell’energia. ∆U [J] = c∆Q [cal] (24.4)
D’altra parte un modo per cambiare la tempera-
quando ∆L = 0. Evidentemente c si misura in J/cal
tura di un sistema, e quindi la sua energia interna,
e si chiama equivalente meccanico del calore.
consiste nel fare lavoro nei confronti del sistema.
La prima misura di questa quantità fu eseguita da
Per esempio si potrebbe fare del lavoro sul sistema
James Joule nel 1845 [?] per mezzo di un esperi-
attraverso l’applicazione di forze di attrito. Il lavo-
mento nel quale si riscaldava acqua in un recipiente
ro fatto da queste forze sul sistema ne provoca il
grazie all’attrito prodotto da pale in ottone messe in
cambiamento dell’energia interna e, di conseguen-
rotazione da pesi in caduta libera. L’energia iniziale
za, della sua temperatura. Se il lavoro è fatto da
del sistema è solo quella potenziale dei pesi
qualcosa di esterno al sistema nei confronti di que-
sto, la sua energia interna aumenta e aumenta la
Ein = mgh (24.5)
sua temperatura. Se invece è il sistema a compie-
re lavoro nei confronti dell’ambiente, allora la sua mentre quella finale dovrebbe essere
energia interna deve diminuire e lo stesso deve fare
1
la sua temperatura. Ef in = mv 2 (24.6)
Possiamo scrivere quindi che 2
dove v è la velocità dei pesi all’impatto col pavimen-
to. Questa velocità è molto minore di quella atte-

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24.1. L’ENERGIA INTERNA 263

sa nel caso in cui i pesi cadano liberamente, senza un sistema implica uno scambio di calore o di lavoro
dover mettere in moto le pale, e l’energia finale vale con quel sistema.
L’energia interna di un sistema è qualcosa di com-
1 plicato da stimare o misurare, in generale, perché è
Ef in = mw 2
(24.7)
2 una somma di tantissimi piccoli contributi. Ciascu-
con w  v. La differenza di energia ∆U = mgh − no di essi però rappresenta l’energia di una parti-
1
2
mw2 evidentemente è stata spesa per scaldare l’ac- cella la quale, se partendo da uno stato iniziale A
qua facendone incrementare la temperatura di ∆T . arriva in uno stato B per poi ritornare nello stato
Lo stesso incremento di temperatura si sarebbe ot- A, deve tornare ad avere la stessa energia che aveva
tenuto cedendo all’acqua, di calore specifico ca e all’inizio. Di conseguenza l’energia interna di un si-
massa M , una quantità di calore stema qualunque dev’essere una funzione di stato:
la sua variazione deve dipendere soltanto dallo sta-
∆Q = ca M ∆T (24.8) to iniziale e da quello finale della trasformazione,
che dev’essere quindi uguale a ∆U . Joule trovò che non dalla particolare trasformazione fatta. Nel caso
per innalzare la temperatura di 3 557 g d’acqua di di una singola particella lo stato è determinato da
0.56◦ C occorreva far cadere i pesi in modo da dis- posizione e velocità di quella particella ed è chiaro
sipare un’energia totale di 8 226 J1 . La quantità di che, se la particella si muove lungo una traiettoria
calore necessaria per far cambiare la temperatura chiusa per tornare, alla fine, nello stato iniziale, la
dell’acqua come misurato è sua energia non può essere cambiata. Nel caso di un
gas le particelle sono molte e noi non ne misurere-
mo mai la posizione e la velocità di ciascuna: del gas
∆Q = ca M ∆T = 1 × 3 557 × 0.56 ' 1 992 cal . misuriamo la pressione, il volume e la temperatura.
(24.9) Se il gas parte da uno stato A = (pA , VA ) e giunge
Questo significa che 8 226 J equivalgono a 1 992 cal in un altro stato B = (pB , VB ) per poi tornare nello
e quindi che il fattore di proporzionalità c vale stato A nessuno ci garantisce che ciascuna singola
particella sia tornata al proprio posto ed esattamen-
8 226
c= ' 4.132 J cal .−1
(24.10) te con la velocità che aveva all’inizio. Però sappiamo
1 992 che in media la velocità delle particelle sarà quella
Attraverso misure piú raffinate si trova oggi che di prima, perché la temperatura, nel corso della tra-
sformazione è passata da TA a TB e poi è tornata
c = 4.185 J cal−1 . (24.11) ad essere T . Le posizioni delle singole particelle non
A
saranno magari esattamente le stesse di prima, ma
Misurando le quantità di calore in unità di ener-
mediamente N particelle si distribuiscono in modo
gia si può allora legittimamente scrivere quello
ciascuna da occupare un volumetto V /N del totale.
che prende il nome di primo principio della
Se N è abbastanza grande non ci saranno differenze
termodinamica come
apprezzabili tra la situazione iniziale e quella finale
e l’energia interna sarà la stessa nei due casi.
∆U = ∆Q − ∆L . (24.12)
Ora supponiamo che la variazione di energia per
Quest’equazione esprime il principio di conservazio- andare dallo stato A a quello B passando attraverso
ne dell’energia in una forma piú generale: non è l’e- una certa sequenza di stati sia ∆UAB . Qualunque sia
nergia meccanica che si conserva, ma quella totale la sequenza di stati per andare da B ad A dev’esse-
(interna) dei sistemi. Ogni variazione di energia in re ∆UBA = −∆UAB cosí che ∆U nel ciclo sia nulla.
1
I pesi erano riportati su piú volte nel corso dell’espe-
Se la trasformazione da A a B passando per una
rimento. Nell’articolo originale i dati sono forniti in unità sequenza di stati diversi producesse una variazione
anglosassoni. di energia interna ∆WAB 6= ∆UAB si arriverebbe a

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24.3. I CALORI SPECIFICI DEI GAS 264

una contraddizione perché potremmo tornare dallo Se ora si apre il rubinetto il gas occupa anche l’altra
stato B allo stato A attraverso la stessa sequenza metà del volume a sua disposizione raddoppiando il
di stati di prima per cui la variazione di energia proprio volume che passa da V a 2V . Contempo-
sarebbe ∆UBA e la variazione di energia totale sa- raneamente la sua pressione si riduce della metà e
rebbe ∆WAB +∆UBA che non è nulla se non quando la misura della temperatura conferma che T non è
∆WAB = ∆UAB . cambiata.
Se la variazione di energia interna dipende so- Passando dallo stato iniziale A = (p, V ) allo sta-
lo dallo stato iniziale e da quello finale, l’energia to finale B = (p/2, 2V ), l’energia interna del gas
interna stessa dipende soltanto dallo stato del si- dovrebbe cambiare di ∆U = U (B) − U (A). Duran-
stema. L’energia nello stato A può soltanto dipen- te questa trasformazione non c’è scambio di calore,
dere dallo stato A, cioè U = U (A), mentre nello perché il recipiente è isolante: ∆Q = 0. D’altra par-
stato B U = U (B). La variazione di energia in- te il gas, espandendosi, in questo caso non fa alcun
terna passando dallo stato A allo stato B quindi è lavoro perché nella metà libera del recipiente c’è il
∆U = U (B) − U (A). vuoto: per poter occupare quella zona il gas non de-
È interessante osservare che ∆U è una funzione ve esercitare alcuna forza nei confronti di alcunché.
di stato, essendo definita come la somma di ener- Quindi anche ∆L = 0. Di conseguenza ∆U = 0
gia cinetica e potenziale di tutte le particelle di cui e quindi l’energia interna del gas non è cambiata.
è composto il gas, ma né ∆Q, né ∆L lo sono. En- Delle tre variabili di stato p, V e T l’unica che è
trambe queste quantità dipendono (possono dipen- rimasta costante è T e quindi l’energia interna, che
dere, meglio) dalla trasformazione eseguita. Il calore è una funzione di stato, cioè delle variabili che de-
scambiato in una trasformazione dipende da que- terminano lo stato del gas, non può dipendere né da
st’ultima, mentre l’innalzamento di temperatura di p né da V , visto che non è cambiata. L’unica varia-
un gas per effetto del lavoro somministrato dipen- bile da cui può dipendere è T . L’energia interna di
de in modo manifesto da come si somministra tale un gas perfetto dunque dipende soltanto dalla sua
lavoro. Si scopre dunque che, presi singolarmente, temperatura.
calore e lavoro non sono funzioni di stato, ma la Alla luce della teoria cinetica dei gas questo ri-
loro somma algebrica lo è. sultato non sorprende: l’energia interna di un gas
perfetto è la somma delle energie cinetiche di tutte
le particelle di cui è composto, il cui valor medio
24.2 L’espansione libera di un ne determina la temperatura T . Se non cambia l’e-
gas perfetto nergia cinetica di queste particelle non cambia T e
viceversa. Quindi U = U (T ).
Un altro fondamentale esperimento attribuito a
Joule consiste nella misura della temperatura di un
gas tenuto in un recipiente diviso a metà da un set- 24.3 I calori specifici dei gas
to sul quale è montato un rubinetto. Il recipiente è
Un gas che subísce una trasformazione isocora non
teoricamente isolante: vale a dire che le sue pareti
compie né riceve lavoro, perciò in quel caso
sono realizzate in modo da ridurre praticamente a
zero gli scambi di calore con l’esterno. Inizialmen-
∆U = ∆Q (24.14)
te il gas occupa solo la metà del recipiente, mentre
nell’altra metà è fatto il vuoto. Si misura la tempe- per il primo principio della termodinamica. Ma du-
ratura del gas T in queste condizioni. Naturalmente rante questa trasformazione il calore scambiato vale
si troverà che ∆Q = ncV ∆T dove ∆T è la variazione di tempe-
ratura del gas e cV il suo calore specifico a vo-
pV = nRT . (24.13) lume costante: il calore specifico di un gas, cioè

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24.3. I CALORI SPECIFICI DEI GAS 265

la quantità di calore necessaria per farlo passare da quantità di calore nota a un gas contenuto in un
uno stato di temperatura a un altro, dipende dalla recipiente rigido: il gas, evidentemente, sarà sog-
trasformazione. Quindi possiamo scrivere, in questo getto a una trasformazione a volume costante che
caso, lo porterà dalla temperatura Tin alla temperatura
Tf in .
∆U = ncV ∆T (24.15) Per eseguire l’esperimento conviene usare un gas
inerte, che non reagisca chimicamente con altre so-
il che significa che
stanze che potrebbero comunque trovarsi, anche se
in tracce, nel recipiente o con il recipiente stesso.
U = ncV T . (24.16)
Una mole di elio pesa circa 4 g. Se forniamo una
Ma l’energia interna è una funzione di stato che caloria, pari a 4.185 J, a una mole di elio la sua
non dipende dalla trasformazione perciò l’espres- temperatura è prevista aumentare di
sione trovata sopra per una particolare trasforma-
zione deve valere per ogni trasformazione. In effet-
ti, nel caso dell’espansione libera del gas che abbia- ∆Q 1
∆T = = ' 0.34 K . (24.21)
mo illustrato sopra, che di certo non è isocora, T ncV 1 × 2.98
resta costante e in questo caso lo resterebbe anche Sperimentalmente si trova proprio questo valore. Lo
U : ∆U = 0. Vale la pena osservare che, usando la stesso accade per il neon e per gli altri gas nobili. Se
temperatura assoluta, U = 0 per T = 0 come ci si esegue l’esperimento con idrogeno, con ossigeno o
si aspetta dal fatto che la temperatura assoluta è con azoto si trova che ∆T ' 0.21, che implica un
una misura dell’energia cinetica delle particelle che diverso valore per cV . Il rapporto dei calori specifici
costituiscono il gas. dev’essere
Secondo la teoria cinetica, l’energia cinetica
media di ciascuna particella del gas vale cV (elio) 0.21
= ' 0.62 . (24.22)
cV (idrogeno) 0.34
3
hEi = kB T (24.17) Una possibile interpretazione di questo fenomeno
2
per cui l’energia interna totale di un gas perfetto potrebbe risiedere nel fatto che, evidentemente, elio
fatto di N particelle è e neon si comportano come gas perfetti, mentre
idrogeno, ossigeno e azoto no, anche quando si trovi-
3 no in condizioni di pressione, volume e temperatura
U = N hEi = N kB T (24.18)
2 del tutto simili.
e, ricordando che N kB = nR, La teoria cinetica dei gas prevede che l’energia
cinetica media delle particelle sia
3
U = N hEi = nRT . (24.19) 3
2 hEi = kB T (24.23)
Confrontando quest’ultima equazione con l’equazio- 2
ne (24.15) possiamo predire il valore del calore perché ciascuna delle tre direzioni spaziali in cui
specifico a volume costante dei gas, che vale si possono muovere le particelle contribuisce per
1
k T . In quella teoria ogni particella costituente
2 B
3
cV = R . (24.20) si comporta come un punto materiale che ha, come
2 si dice, tre gradi di libertà: si può muovere, in
Sostituendo il valore di R si trova cV = effetti, lungo tre direzioni indipendenti. Se le parti-
12.471 J K−1 ' 2.98 cal K−1 . Possiamo verificare celle di gas avessero una struttura interna i gradi di
sperimentalmente la teoria misurando l’innalzamen- libertà sarebbero diversi: una molecola di gas fatta
to di temperatura conseguente alla fornitura di una

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24.3. I CALORI SPECIFICI DEI GAS 266

di due atomi si potrebbe pensare come a un ogget- unità, il rapporto tra questi due numeri fa
to costituito di due particelle legate da una molla
relativamente rigida. In altre parole, una molecola cV (elio) 12.471
= = 0.6 . (24.25)
cosí fatta non si può considerare un punto materiale cV (idrogeno) 20.785
e se si cede energia a un oggetto come questo solo Proprio quel che troviamo sperimentalmente! Se la
una parte può andare in energia cinetica. Una par- nostra teoria è corretta l’idrogeno gassoso dev’essere
te dell’energia ceduta è assorbita dalla molecola per composto di molecole fatte di due atomi d’idrogeno,
ruotare attorno a un asse. Possiamo identificare la che è quel che c’insegnano i chimici. L’idrogeno, il
direzione dell’asse con un versore orientato secon- cui simbolo chimico è H, non esiste in natura in
do la regola della mano destra: se si dispone il quanto tale, ma solo in molecole costituite di due
pollice della mano destra parallelamente al versore, atomi H2 .
con la punta del versore rivolta verso la punta del Il calore specifico di un gas quando la quanti-
pollice, piegando le altre dita della mano si ottiene tà di gas si esprime in numero di moli invece che
il senso nel quale ruota la molecola. in grammi dipende dal tipo di trasformazione. In
Ogni versore in uno spazio tridimensionale si può una trasformazione a pressione costante, il calo-
sempre scrivere come somma di tre vettori: uno lun- re specifico cp è quella quantità per la quale il calore
go l’asse 1, uno lungo l’asse 2 e l’altro lungo l’asse 3, scambiato in una trasformazione isobara vale
le cui direzioni sono scelte arbitrariamente, ma in
modo da risultare perpendicolari. Prendiamo l’as- ∆Q = ncp ∆T . (24.26)
se 3 parallelo all’asse della molecola (cioè all’asse Dal primo principio della termodinamica però
che ne collega i due atomi, parallelo alla molla che sappiamo che
li tiene insieme): è chiaro che, se anche ci fosse una
rotazione attorno a quest’asse, questa sarebbe del ∆U = ∆Q − ∆L (24.27)
tutto inosservabile e quindi irrilevante ai fini della
misura dell’energia della molecola. I due atomi che e dal fatto che U è una funzione di stato sappiamo
la costituiscono, infatti, si possono (quelli sí) consi- che per i gas perfetti dipende solo dalla temperatura
derare come punti materiali, mentre la molla che li e la sua variazione si scrive
unisce è un segmento e nessuna di queste componen-
ti può ruotare attorno a quell’asse (né il segmento ∆U = ncV ∆T . (24.28)
né i punti cambierebbero posizione - o stato - nel Non fatevi ingannare dal fatto che stiamo parlan-
corso del tempo). Quindi l’asse di rotazione si deve do di una trasformazione isobara! L’energia inter-
costruire combinando due rotazioni attorno ai due na è una funzione di stato quindi il suo valore
assi ad esso perpendicolari. non dipende dalla particolare trasformazione ese-
In definitiva ci sono altri due modi in cui le parti-
guita. Purché gli stati iniziali e finali siano gli stes-
celle che costituiscono il gas possono muoversi: ruo- si il valore della variazione di energia è lo stes-
tando attorno a due assi perpendicolari tra loro e so. Se troviamo che per una trasformazione isocora
all’asse definito dalla molecola. I gradi di libertà ∆U = ncV ∆T quando il gas passa dallo stato T1
della molecola dunque non sono 3, ma 3 + 2 = 5. Ci allo stato T2 , per una trasformazione qualsiasi che
possiamo allora aspettare che porti il gas dalla temperatura T1 a quella T2 varrà
che ∆U = ncV ∆T , indipendentemente dalla natura
5 5 della trasformazione.
cV = R ' 8.314 ' 20.785 J K −1
(24.24) Sostituendo a ∆U e a ∆Q la loro espressione, e a
2 2
∆L = p∆V , abbiamo che
per una molecola biatomica. Sapendo che il calo-
re specifico dell’elio è invece di 12.471 nelle stesse ncV ∆T = ncp ∆T − p∆V . (24.29)

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24.4. L’EQUAZIONE DELL’ADIABATICA 267

Poiché vale sempre che pV = nRT , se cambia il cp > cV dev’essere vero in generale perché l’uni-
volume di ∆V significa che cambia la temperatura ca differenza tra un gas perfetto e uno reale consi-
di ∆T in modo tale che ste nel fatto che la componente dell’energia interna
costituita di energia potenziale è diversa.
p∆V = nR∆T (24.30)
perciò possiamo riscrivere il primo principio come 24.4 L’equazione dell’adiabati-
ncV ∆T = ncp ∆T − nR∆T . (24.31) ca
Dividendo tutto per n∆T si ottiene che Riprendiamo l’equazione della trasformazione adia-
batica ricavata al Paragrafo 22.6.4 a pag. 251, che
cV = cp − R . (24.32) è
Questo risultato è coerente con l’osservazione fatta ∆T ∆p ∆V
a pag. 22.6.2: il calore specifico del vapore sopra una = + . (24.37)
T p V
pentola tradizionale si può considerare come il ca-
lore specifico a pressione costante, trovandosi il gas Conoscendo l’espressione dell’energia interna pos-
sempre alla pressione atmosferica; in una pentola a siamo eliminare ∆T da quest’equazione facendovi
pressione invece il volume del gas è costante e il suo comparire soltanto p e V . Possiamo cosí pensare di
calore specifico è quello a volume costante. Poiché scrivere p = p(V ), cioè la pressione come funzio-
dalla nostra analisi risulta che ne del volume e rappresentare in questo modo una
trasformazione adiabatica sul piano di Clapeyron.
cp = cV + R (24.33) Dal momento che l’energia interna è una funzione
di stato la sua variazione ∆U non dipende dalla par-
si vede che cp > cV . Questo significa che, per provo- ticolare trasformazione eseguita dal gas, e possiamo
care la stessa variazione di temperatura ∆T serve, sempre scrivere che, anche per una trasformazione
in un caso, una quantità di calore adiabatica

∆QV = ∆Qpp = ncV ∆T (24.34) ∆U = ncV ∆T . (24.38)


e nell’altro Il fatto che la trasformazione non avvenga a volume
costante non significa nulla: U è una funzione di
∆Qp = ∆Qpt = ncp ∆T (24.35) stato e se so calcolare ∆U in una trasformazione
(con i pedici pp e pt abbiamo indicato il calore ne- isocora posso usare il risultato del mio conto per
cessario per scaldare il gas in una pentola a pressio- scrivere ∆U nel corso di un’altra trasformazione.
ne e in una pentola tradizionale, rispettivamente. Il Possiamo allora scrivere che
rapporto vale
∆U
. ∆T =(24.39)
ncV
∆Qpt cp cv + R R
=γ= = =1+ > 1 . (24.36) In una trasformazione adiabatica ∆Q = 0 e il primo
∆Qpp cV cV cV principio della termodinamica ci assicura dunque
che ∆U = −∆L = −p∆V . Sostituendo nell’ultima
Significa che per ottenere lo stesse scopo occorre piú
equazione si trova che
calore in una pentola tradizionale rispetto a quello
necessario per una pentola a pressione. Anche se i p∆V
numeri valgono solo per i gas perfetti, il fatto che ∆T = − . (24.40)
ncV

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24.4. L’EQUAZIONE DELL’ADIABATICA 268

Inoltre pV = nRT e scrivendo T in funzione delle


altre grandezze abbiamo che pf Vfγ = pi Viγ . (24.49)
Poiché questo è vero per ogni punto dell’adiabatica
(24.41) significa che la sua equazione si scrive
∆T p∆V 
nR R ∆V
= − =− .
T ncV pV
  cV V
pV γ = cost. (24.50)
Sostituiamo quest’espressione nell’equazione dell’a-
diabatica portando tutto a primo membro per Quest’equazione si può riscrivere sostituendo p o V
ottenere con l’espressione che se ne ricava in funzione di T
dall’equazione di stato del gas. Ad esempio, per far
R ∆V ∆p ∆V
+ + = 0. (24.42) scomparire p dall’equazione si può scrivere
cV V p V
Raccogliamo a fatto comune: nRT
p= (24.51)
  V
∆V R ∆p
1+ + =0 (24.43) e sostituendo:
V cV p
nRT γ nRT
La parentesi vale V = γ−1 = cost. (24.52)
V V
R cV + R cp Essendo nR = cost. possiamo riscrivere l’equazione
1+ = = =γ (24.44)
cV cV cV dell’adiabatica in termini di T e V come
e l’equazione diventa
T V γ−1 = cost. (24.53)
∆V ∆p
γ + = 0. (24.45)
V p
Durante la trasformazione né p né V restano co-
stanti, quindi possiamo pensare di dividere la tra-
sformazione in un numero infinito di piccolissime
adiabatiche entro le quali si può considerare relati-
vamente costante almeno una delle due variabili ter-
modinamiche. Sommando su queste infinite piccole
trasformazioni si deve avere che
X ∆Vi X ∆pi
γ + =0 (24.46)
i
Vi i
pi
che si può riscrivere dicendo che
Vf pf
γ log + log = 0. (24.47)
Vi pi
Per le proprietà dei logaritmi quest’espressione si
può riscrivere come

pf Vfγ
log =0 (24.48)
pi Viγ
il che significa che l’argomento del logaritmo vale 1
e cioè che

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Unità Didattica 25
L’entropia

domanda. È uno di quei casi in cui il tentativo di


Prerequisiti: trasformazioni termodinamiche, rispondere a una domanda (perché non si riesce a co-
primo principio della termodinamica struire una macchina che funzioni per sempre senza
consumare alcun tipo di carburante?) porta i fisici
Se dessimo retta alle leggi fisiche sui gas che di- a scoprire aspetti fondamentali del funzionamento
scendono dal primo principio della termodinamica e dell’Universo.
dall’equazione di stato dei gas, non potremmo spie-
gare molti fenomeni piuttosto facili da osservare. Ad
esempio, non succede mai che l’aria contenuta in 25.1 Macchine termiche
una stanza si disponga in modo tale da lasciare del
tutto vuota una porzione del volume di quella stan- Una macchina è un dispositivo che compie lavo-
za, anche se, in linea di principio, questo sarebbe ro. Per esempio, il motore di un’automobile è una
possibile: non c’è alcuna legge fisica che lo vieta. macchina perché sposta l’auto e i suoi passeggeri
Quando si apre una lattina di una bibita gassata, il applicando una forza alle ruote; una gru è una mac-
gas ne viene fuori rapidamente e non succede mai china perché attraverso l’applicazione di una forza
che vi rientra spontaneamente o che resti all’inter- permette di sollevare dei pesi, spostandoli dalla lo-
no della lattina. Non accade mai che un cubetto di ro posizione originaria; una pompa è una macchina
ghiaccio si raffreddi ulteriormente, una volta tira- perché sposta un liquido o un gas applicandogli una
to fuori dal freezer, sottraendo calore dall’ambiente forza.
circostante, né succede che una tazza di tè si scaldi Definendo una macchina come qualcosa che com-
raffreddando la stanza nella quale lo stiamo beven- pie lavoro, potremmo catalogare tra le macchine an-
do. Di processi come questi ne possiamo trovare a che la stessa Terra, che attraendo verso di sé gli og-
centinaia nella vita quotidiana. getti con la forza di gravità, compie lavoro nei loro
Tutti questi processi hanno in comune il fatto confronti. Questo tipo di macchina però non è molto
che violano l’invarianza temporale intrinseca del- utile: una volta arrivato a terra l’oggetto resta do-
le leggi fisiche che li descrivono. La legge che descrive v’è e non si può piú sfruttare la forza di gravità per
il passaggio di calore tra aria e tè, ad esempio, affer- cambiarne lo stato. Per essere utili le macchine de-
ma che la quantità di calore ceduta dal tè dev’essere vono essere cicliche: devono cioè tornare allo stato
uguale a quella acquistata dall’aria circostante, ma iniziale dopo aver compiuto un lavoro. Per esempio,
non dice nulla circa il verso nel quale fluisce il calore una gru è una macchina utile perché il suo gancio
che quindi potrebbe passare dall’aria al tè. Perché può scendere e salire e quindi si può riportare, una
non lo fa? volta fatto un lavoro, nella condizione iniziale. Il
In questo capitolo, partendo dal tentativo di rea- motore di un’auto è una macchina utile perché, una
lizzare una macchina che funzioni senza alcun in- volta che il pistone ha compresso il carburante pro-
tervento esterno e senza somministrazione di una vocandone l’incendio, torna nello stato iniziale ed
qualsiasi forma di energia, diamo risposta a questa è pronto per una nuova compressione: se rimanesse
25.1. MACCHINE TERMICHE 270

dov’è l’auto non si muoverebbe. Lo stesso vale per tro e ∆L il lavoro svolto dalla macchina o fatto dal-
una pompa: una volta introdotta l’aria nella ruota l’esterno nei confronti della macchina. Se ∆Q > 0
di una bicicletta, se non si riporta lo stantuffo nella la macchina assorbe calore da qualcosa che si tro-
posizione originale non si riesce a continuare a fare va all’esterno della macchina (che deve quindi avere
del lavoro. una temperatura Tc maggiore di quella della mac-
Le macchine che c’interessa studiare dunque so- china). Se ∆Q < 0 la macchina cede calore all’am-
no le macchine cicliche. Una macchina ciclica è biente che la circonda: pertanto la temperatura Tf
qualcosa che si trova in un particolare stato all’i- di questo dev’essere minore di quella della macchi-
nizio, svolge un qualche tipo di lavoro cambiando il na. È evidente che dev’essere Tc > Tf altrimenti la
proprio stato e ritorna nello stato iniziale. Una mac- macchina non potrebbe prendere calore dalla sor-
china reale non torna mai esattamente nello stesso gente a temperatura Tc e cederla alla sorgente1 a
stato di partenza (quanto meno si usura un po’, si temperatura Tf . Prendendo calore dalla sorgente a
scalda, etc.). Ma noi possiamo sempre immagina- temperatura Tc deve portare la sua temperatura T
re di poter costruire macchine capaci di farlo, an- a un valore T + ∆T , con ∆T < Tc . Per poter cede-
che se non saremo mai capaci di realizzarle davve- re calore alla sorgente a temperatura Tf dev’essere
ro. Eventuali limitazioni di tipo tecnologico hanno T + ∆T > Tf , cioè dev’essere Tc > ∆T > Tf − T e
poca importanza: prima o poi riusciremo a superar- quindi che Tc > Tf − T . In particolare, visto che T
le. Quello che c’interessa fare adesso è capire quali può solo essere positiva, Tc > Tf .
condizioni siamo obbligati a rispettare per realizza- Immaginiamo dunque di avere una macchina che
re una macchina ideale. Una macchina ideale, non compie un lavoro ∆L e che assorbe calore da una
reale, è un’approssimazione di una macchina reale sorgente a temperatura Tc , cedendone a una sor-
che da un lato ci semplifica la vita (possiamo trascu- gente a temperatura Tf . Chiamiamo ∆Qc il calo-
rare tutta una serie di effetti che si verificano sulle re scambiato con la sorgente a temperatura Tc e
macchine reali che sarebbero difficili da riprodurre ∆Qf quello scambiato con la sorgente a temperatu-
in un modello matematico), dall’altro ci dà indica- ra Tf . Una grandezza fisica di particolare interesse
zioni su quali sono i limiti di questi dispositivi: è è il rendimento η della macchina, definito come
chiaro che una macchina reale potrà solo avvicinar-
si a una ideale e se qualcosa è impossibile per una ∆L
η= (25.1)
macchina ideale a maggior ragione lo sarà per una ∆Qc
macchina reale. Da questo punto di vista una mac- che ci dice quanto lavoro ∆L riesce a svolgere la
china ciclica ideale è un qualunque sistema fisico che macchina a parità di calore assorbito ∆Qc . Ci pia-
può compiere un lavoro partendo da uno stato e tor- cerebbe, infatti, disporre di una macchina che possa
nando, passando per una sequenza di stati diversi, svolgere lavoro senza prendere calore dall’esterno!
a questo. In particolare un gas in un recipiente sot- Se una macchina del genere esistesse potremmo far
toposto a trasformazioni cicliche si può considerare andare un’automobile senza bruciare carburante, o
una macchina tra le piú semplici, dal momento che sollevare pesi con una gru senza un motore o pom-
il suo stato dipende esclusivamente dalla tempera- pare aria in una ruota senza sudare. D’altra parte,
tura e non dalla posizione dei suoi costituenti. Una a parità di carburante bruciato o di fatica fatta, la
tale macchina si chiama macchina termica e rap- macchina ha un’efficienza piú alta se il lavoro svolto
presenta un utile strumento per capire le proprie- è maggiore. Alla luce del primo principio abbiamo
tà delle macchine, perché particolarmente semplice, che
senza complicazioni di alcun genere. Chiamiamo sorgente un qualunque sistema la cui
1
Il primo principio della termodinamica afferma temperatura sia fissata, sia che assorba che ceda calore.
che ∆U = ∆Q − ∆L dove ∆Q è il calore che la
macchina assorbe da qualcosa o cede a qualcos’al-

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25.2. LA MACCHINA DI CARNOT 271

tale che pV = nRT in ogni istante. Quindi, dimi-


∆Q − ∆U nuendo la pressione sulle pareti, dal momento che il
η= , (25.2)
∆Qc gas continuerebbe a essere in equilibrio si potrebbe
ma dal momento che la macchina è ciclica ∆U = 0 tornare nello stato iniziale ripassando per gli stessi
(l’energia interna U è una funzione di stato perciò stati dai quali si è passati nel corso della compressio-
la variazione di energia interna tra due stati identici ne. Per questa ragione a volte si dice che le trasfor-
non può che essere nulla) e quindi mazioni reversibili sono quelle che avvengono lenta-
mente, ma non è sempre vero: lo scioglimento di un
ghiacciaio è sicuramente lento, ma non reversibile.
∆Q ∆Qc − ∆Qf ∆Qf
η= = =1− . (25.3) Se la macchina reversibile, qualunque essa sia, fos-
∆Qc ∆Qc ∆Qc se in contatto termico con una sola sorgente di tem-
peratura, il gas sarebbe sempre in equilibrio con
25.2 La Macchina di Carnot questa sorgente e perciò avrebbe sempre la stessa
temperatura T della sorgente: in altre parole la tra-
La macchina piú semplice che possiamo pensare di sformazione sarebbe isoterma, sia all’andata che al
costruire è fatta con un gas che compie una tra- ritorno. In definitiva la macchina passerebbe dallo
sformazione ciclica reversibile. Reversibile signifi- stato A allo stato B percorrendo un ramo d’iper-
ca che la macchina passa da uno stato A a uno stato bole nel piano di Clapeyron, per poi tornare nello
B passando per una serie di stati distinti che si pos- stato A percorrendo all’indietro lo stesso identico ra-
sono ripercorrere all’indietro. Immaginiamo dunque mo d’iperbole. Ricordando che il lavoro svolto dalla
una trasformazione reversibile che porti un gas da macchina non è altro che l’area racchiusa all’interno
uno stato nel quale ha pressione pA e volume VA a della linea chiusa che rappresenta la trasformazio-
uno stato in cui ha pressione pB e volume VB , per ne, si vede subito che in questo caso ∆L = 0, di
poi tornare nello stato iniziale (pA , VA ). Se la tra- conseguenza il rendimento η = 0 e la macchina non
sformazione è reversibile significa che la sequenza sarebbe molto utile!
di stati per i quali si è passati andando dallo stato Un esempio di questo genere di macchina è il se-
A allo stato B si deve poter percorrere al contra- guente: prendiamo un recipiente a forma di cilindro
rio, dallo stato B allo stato A. Perché questo sia la cui base superiore è mobile e sulla quale si ap-
possibile è necessario che in ogni istante durante la poggia un peso di massa m. Si riempie il cilindro di
trasformazione il gas si trovi in uno stato di equili- gas che si pone in contatto termico con una sorgen-
brio per cui vale pV = nRT . Se infatti cosí non fosse te a temperatura fissata (basta metterlo in contatto
la trasformazione da A a B non sarebbe reversibile: con l’aria avendo cura che l’esperimento abbia una
aprendo la lattina di una bibita gassata l’anidride durata non sufficiente a provocare il cambiamento
carbonica presente si espande rapidamente uscen- della temperatura di questa). La pressione del gas
do dalla lattina e non è affatto vero che il prodotto esercita una forza nei confronti del coperchio che
della pressione per il volume è uguale a nRT ! Di quindi inizia a muoversi verso l’alto. Il moto si arre-
conseguenza è impossibile riportare il gas fuoriusci- sta quando la forza di gravità cui è soggetto il peso
to dalla lattina al suo interno facendogli percorrere diventa uguale in modulo alla forza esercitata dalla
la trasformazione inversa: non sapremmo nemmeno pressione del gas, cioè quando
quale trasformazione fargli subire perché lo stato del
gas non è ben definito tra l’istante iniziale e quello mg = −pA (25.4)
finale della trasformazione. Se invece comprimiamo
abbastanza lentamente il gas contenuto in un pal- se A è l’area di base del cilindro. Il risultato è co-
loncino, la pressione esercitata dal gas sulle pareti munque il compimento di un lavoro L = mgh dove
del palloncino aumenta progressivamente in modo h è lo spostamento verticale del peso, che possiamo

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25.2. LA MACCHINA DI CARNOT 272

sfruttare per sollevare, appunto, dei pesi. Per uti- Questo ciclo si chiama Ciclo di Carnot2 ed è
lizzare nuovamente, con un altro peso, questa mac- particolarmente importante perché rappresenta il
china dobbiamo riportarla nella condizione iniziale. ciclo piú semplice possibile con il quale si può pro-
Peccato che per farlo dobbiamo compiere nei con- durre lavoro. Tutti gli altri cicli reversibili si possono
fronti del gas un lavoro pari a pAh (dobbiamo cioè sempre pensare come somma di cicli di Carnot. Im-
esercitare una forza uguale e contraria a quella pro- maginiamo infatti un ciclo qualsiasi, che sul piano di
dotta dal gas pA per un tratto lungo h). Ma dal Clapeyron assume una forma qualunque: ogni trat-
momento che pA = −mg i due lavori (quello fatto to del ciclo si può sempre pensare decomposto in
dal gas e quello fatto da noi per riportare il gas nello un tratto di isoterma seguito da un tratto di adia-
stato iniziale) sono identici, ma con segno diverso, batica, purché questi tratti siano sufficientemente
per cui il lavoro netto compiuto dal sistema in un brevi. Il perimetro del ciclo dunque è formato da
ciclo è nullo. In definitiva la macchina è stata inuti- una serie di isoterme e adiabatiche. L’intera super-
le: potevamo fare il lavoro di sollevare il peso invece ficie del ciclo, a questo punto, si può ricoprire con
di fare quello di abbassare il pistone. Il risultato cicli di Carnot opportuni. Il lavoro compiuto dalla
sarebbe stato lo stesso. macchina che compie quel ciclo è quindi equivalen-
Perché la macchina sia utile dobbiamo per for- te al lavoro compiuto da piú macchine di Carnot i
za operare tra almeno due temperature Tc e Tf . In cui cicli ricoprano completamente quello della no-
questo caso la macchina piú semplice che possiamo stra macchina. Analizzando dunque le proprietà di
costruire deve passare da uno stato A a uno stato B un ciclo di Carnot troveremo le proprietà generali
percorrendo un’isoterma a temperatura Tc (la mac- di ogni ciclo.
china in questione potrebbe essere la stessa impie- Nel caso di un ciclo reversibile come quello di Car-
gata nell’esempio precedente allo scopo di sollevare not, il calore è scambiato solo durante le trasforma-
un peso). Per tornare da B ad A siamo però co- zioni isoterme (nelle adiabatiche non c’è scambio di
stretti a passare da uno stato a temperatura diversa calore). Evidentemente il calore è assorbito duran-
(quindi, prima di comprimere il gas, dovremmo ab- te l’espansione isoterma che avviene a temperatura
bassarne la temperatura in qualche modo). Un’altra Tc e ceduto nel corso della compressione isoterma a
isoterma a temperatura Tf < Tc sarebbe rappresen- temperatura Tf . Nelle isoterme la temperatura non
tata sul piano di Clapeyron da un ramo d’iperbole varia perciò ∆U = 0, quindi ∆Q = ∆L. Il lavoro
piú vicino all’asse delle ascisse e non incontrerebbe fatto durante l’espansione a temperatura Tc vale
mai il ramo d’iperbole della prima isoterma. L’unico
modo di connettere questi stati tra loro consiste nel VB
∆Lc = nRTc log = ∆Qc (25.5)
fare una prima trasformazione che porta il gas dallo VA
stato B a uno stato C in cui la temperatura passi mentre quello fatto nel corso della compressione a
da Tc a Tf , fargli percorrere un’isoterma fino a uno temperatura Tf (che è negativo), vale
stato D da cui si raggiunge nuovamente lo stato A
(dopo aver compresso il gas dovremmo quindi riscal-
VC
darlo). Nei tratti BC e DA non si deve scambiare ∆Lf = −nRTf log = −∆Qf (25.6)
VD
calore con nessun’altra sorgente se vogliamo averne
solo due, perciò queste trasformazioni devono essere Pertanto possiamo scrivere il rendimento come
adiabatiche. Il lavoro fatto da questa macchina è
rappresentato dall’area racchiusa nella porzione di V
Tf log VDC
piano di Clapeyron delimitata dalle trasformazioni η =1− . (25.7)
Tc log VVB
passanti per ABCD. A

Dal nome del fisico Sadi Carnot (1796–1832) che per


2

primo ne illustrò le proprietà.

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25.2. LA MACCHINA DI CARNOT 273

I rapporti tra i volumi sono determinati dal fatto T = 0 K. Quando la mettiamo in contatto con la no-
che VB e VC , cosí come VD e VA sono punti rag- stra macchina, questa deve cedergli calore e questo
giunti nel corso di un’espansione e una compressione non può che innalzare la sua temperatura, anche se
adiabatica, per cui per essi vale l’equazione di pochissimo. Se però Tf 6= 0 il rendimento è η < 1
e da questo momento in poi la macchina funzionerà
T V γ−1 = const (25.8) in questo regime. Nel caso in cui Tf = Tc , inoltre,
si vede subito che η = 0, ma questo lo sappiamo
quindi possiamo scrivere che
già perché in questo caso la macchina non fa lavoro
(utile).
TA VAγ−1 = TD VDγ−1 (25.9)
Una macchina di Carnot efficiente deve lavora-
e che re tra due temperature molto diverse tra loro, in
modo tale che il rapporto Tf /Tc sia il piú picco-
TB VBγ−1 = TC VCγ−1 . (25.10) lo possibile, ma in ogni caso questo rapporto sarà
Dividendo membro a membro queste equazioni si strettamente maggiore di zero e cosí il rendimento
trova che sarà strettamente minore di uno.
Tutte le macchine reversibili, per quanto detto so-
pra, si possono sempre rappresentare come macchi-
 γ−1  γ−1
TB VB TC VC
= (25.11) ne che compiono una serie di cicli di Carnot, perciò
TA VA TD VD
il loro rendimento si scrive sempre come
ed essendo TA = TB e TC = TD si ottiene che
Tf
VB VC η =1− . (25.14)
= . (25.12) Tc
VA VD
Le macchine irreversibili, invece, non possono
Scopriamo cosí che gli argomenti dei logaritmi a nu- che fare meno lavoro di quelle reversibili: per loro
meratore e denominatore nella formula che dà il ren- dunque vale la relazione
dimento di questa macchina sono uguali. Quindi lo
sono anche i loro logaritmi e il loro rapporto fa sem- Tf
η 61− (25.15)
plicemente 1. Di conseguenza il rendimento si scrive Tc
come
È utile osservare che questa relazione vale per ogni
Tf macchina. Ogni macchina, anche se non è una mac-
η ≡1− . (25.13) china termica, deve rispettare il primo principio del-
Tc
la termodinamica per cui nel caso in cui ∆Q = 0,
Si vede subito che, dovendo essere Tc > Tf , η è sem-
può compiere lavoro solo se cambia la sua energia
pre minore di 1 e maggiore di zero. Questo significa
interna. Ma se la macchina fosse perfetta e la sua
che non si può fare una macchina che trasformi in
temperatura non cambiasse nel corso del ciclo che
lavoro tutto il calore assorbito, per la quale η = 1.
produce lavoro, la variazione di energia interna non
Questo sarebbe possibile solo se Tc tendesse all’infi-
potrebbe che derivare da una variazione dell’energia
nito: in quest’ultimo caso il rapporto Tf /Tc tende-
potenziale dei suoi costituenti: questo significa che
rebbe a zero e η a uno. Il prezzo da pagare è che
l’organizzazione interna della macchina cambiereb-
occorre mettere in contatto la macchina con una
be nel tempo. Prima o poi, dunque, i costituenti di
sorgente a temperatura infinita, il che evidentemen-
questa macchina occuperanno posizioni relative di-
te non è possibile. A ben guardare anche nel caso
verse da quelle iniziali e di conseguenza la macchina
in cui Tf = 0 il rendimento sarebbe uguale a uno.
non potrà mai tornare nelle condizioni di partenza
Ma anche questo è impossibile. Infatti, supponiamo
(a meno che non si fornisca calore o si faccia nei
di riuscire a realizzare una sorgente a temperatura

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25.4. IL SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA 274

confronti della macchina un lavoro per riportare i che si può tradurre dicendo che il rapporto tra il
suoi costituenti nelle posizioni iniziali). calore scambiato in una trasformazione, diviso per
Questa scoperta, avvenuta alla fine del XVIII se- la temperatura alla quale avviene la trasformazio-
colo, decretò la fine delle ricerche che avevano lo ne è costante (evidentemente, qualunque sia la tra-
scopo di realizzare il moto perpetuo, cioè di un sformazione, si può sempre dividere in un numero
motore che potesse funzionare per sempre senza es- arbitrario di passi abbastanza piccoli da poter consi-
sere ricaricato in qualche modo e senza l’apporto di derare costante la temperatura in ciascuno di essi).
carburanti o di altre fonti esterne. Al rapporto ∆S = ∆Q/T si dà il nome di entropia
o, meglio, variazione di entropia, intendendo che
il rapporto in questione si può definire per una tra-
25.3 Entropia sformazione che porta una macchina da uno stato A
a uno stato B durante la quale la macchina assorbe
Il rendimento di una qualunque macchina è, per de-
o cede una quantità di calore ∆Q. Se la macchina
finizione, il rapporto tra il lavoro ∆L che riesce a
non cambia stato la sua variazione di entropia è evi-
fare e la quantità di calore ∆Qc che si deve fornire
dentemente nulla, cosí come è nulla la variazione di
dall’esterno per farla funzionare:
entropia nel corso di una trasformazione adiabatica
(essendo ∆Q = 0). Per un ciclo reversibile la som-
∆L ∆Qc − ∆Qf ∆Qf ma delle variazioni di entropia è nulla. Infatti, se il
η= = =1− . (25.16)
∆Qc ∆Qc ∆Qc rapporto ∆Q/T è costante allora
Per ogni macchina vale anche che ∆Qc ∆Qf
− = 0. (25.22)
Tf Tc Tf
η 61− (25.17)
Tc Questo risultato si può scrivere nella forma
e quindi si deve avere che X ∆Qi
= 0, (25.23)
∆Qf Tf Ti
1− 61− , (25.18) i
∆Qc Tc
dove i segni di ∆Qi si prendono secondo le usuali
da cui segue che convenzioni (positivo se il calore entra nella mac-
∆Qf Tf china, negativo se esce). Se la variazione di entropia
> . (25.19) in una trasformazione ciclica è nulla, come sempre
∆Qc Tc
questo significa che l’entropia è una funzione di
Possiamo anche scrivere questa relazione nella
stato: dipende cioè solo dallo stato della macchina
forma
e non dal particolare modo in cui tale stato è stato
∆Qf ∆Qc raggiunto. Di conseguenza la variazione di entropia
> . (25.20) dipende solo dagli stati iniziale e finale e non dalla
Tf Tc
particolare trasformazione subíta dalla macchina.
Per le macchine cicliche irreversibili, dal momento
25.4 Il secondo principio della che
termodinamica ∆Qf Tf
> , (25.24)
Per le macchine reversibili evidentemente vale la ∆Qc Tc
relazione di uguaglianza vale che, in un ciclo,

∆Qf ∆Qc ∆Qf ∆Qc


= , (25.21) > . (25.25)
Tf Tc Tf Tc

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25.4. IL SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA 275

Possiamo riscrivere la relazione come cazioni sulle possibilità di realizzare macchine effi-
cienti. In primo luogo quella appena enunciata è una
∆Qc ∆Qf legge fisica fondamentale che deriva da una teoria:
− 6 0, (25.26)
Tc Tf la stessa seconda legge di Newton per cui a = m F
non
cioè che è altrettanto fondamentale, perché in fondo non fa
altro che tradurre in termini formali un’osservazione
X ∆Qi
6 0. (25.27) sperimentale. Il secondo principio della termodina-
i
Ti mica invece, pur prendendo le mosse da osservazio-
ni sperimentali (e non potrebbe essere altrimenti),
In questo caso, evidentemente, il rapporto ∆Q/T
deriva dall’analisi delle proprietà matematiche del
non è una funzione di stato (in una trasformazio-
rapporto ∆L/∆Qc . Il risultato, cioè, non è diret-
ne ciclica la somma di questi rapporti non è nulla, il
tamente deducibile dall’esperienza. L’altro motivo
che significa che la somma dipende dalla particolare
per cui questo risultato assume un’importanza par-
trasformazione fatta).
ticolare è che stabilisce la direzione nella quale flui-
Dal momento che per una trasformazione cicli-
sce il tempo: quella in cui l’entropia dell’Universo
ca reversibile ∆S = 0 possiamo sostituire a zero il
aumenta! Vale la pena fare due precisazioni.
simbolo ∆S e scrivere che
X ∆Qi 1. La variazione di entropia per portare un qua-
6 ∆S , (25.28) lunque sistema da uno stato A a uno stato
Ti
i B 6= A si può calcolare scegliendo una o piú
cioè che trasformazioni reversibili qualunque che porti-
X ∆Qi
∆S > . (25.29) no il sistema dallo stato A allo stato B, indi-
i
Ti pendentemente dalla trasformazione che il si-
Se però ∆S è una funzione di stato, la stessa relazio- stema ha effettivamente subíto e indipenden-
ne vale qualunque sia la trasformazione. Se quindi temente dal fatto che la trasformazione sia o
si prende una qualunque trasformazione che porta meno reversibile.
la macchina da uno stato A a uno stato B 6= A, 2. La variazione di entropia di un sistema può es-
possiamo scrivere che sere sia positiva che negativa (in un sistema
l’entropia può quindi aumentare o diminuire),
X ∆Qi
∆SA→B > , (25.30) ma non può essere negativa (l’entropia non può
Ti diminuire) se il sistema è isolato.

i A→B
intendendo che la somma va estesa a tutte le por- Il sistema isolato per eccellenza è l’Universo,
zioni di trasformazione che portano il sistema da il quale non può scambiare calore o fare lavo-
A a B. La somma sulla destra prende il nome di ro con nient’altro, perciò possiamo affermare che
integrale di Clausius, dal nome di Rudolf Clau- l’entropia dell’Universo può solo aumenta-
sius che coniò il termine di entropia per il rapporto re. Nei paragrafi che seguono calcoliamo la varia-
∆Q/T . zione di entropia di alcuni sistemi notevoli, per
La conseguenza è che in un sistema isolato, che prendere confidenza con questa grandezza fisica, le
non scambia calore con l’esterno, ∆Qi = 0 e quindi cui dimensioni sono quelle di un’energia diviso una
∆S > 0, cioè la variazione di entropia non è mai temperatura e che perciò si misura in J/K.
negativa o, il che è lo stesso, l’entropia non può che Prima però osserviamo che lo studio del rendi-
aumentare. Questo risultato prende il nome di se- mento dei motori ci ha portato a una conclusio-
condo principio della termodinamica ed è par- ne estremamente importante: l’entropia dell’intero
ticolarmente importante, non soltanto per le impli- Universo non può mai diminuire. Questo fissa, in un

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25.4. IL SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA 276

certo senso, la direzione nella quale scorre il tempo: entropia diminuisce. Questo non è in contraddizio-
i processi si possono svolgere soltanto se portano a ne con il fatto che l’entropia complessiva dell’Uni-
un aumento dell’entropia dell’Universo. Se la varia- verso deve aumentare: se l’entropia di una parte
zione di entropia di un determinato processo porta dell’Universo (quella costituita dal sistema in esa-
l’entropia dell’Universo a diminuire, quel processo è me) diminuisce, l’entropia del resto dell’Universo
vietato. deve aumentare in modo tale che complessivamen-
Trattandosi della conseguenza di una teoria, il se- te l’entropia dell’Universo aumenti (o al piú resti
condo principio va messo alla prova eseguendo una costante).
serie di esperimenti i cui risultati si devono poter Un caso particolarmente semplice si ha quando si
predire in base a questa teoria. Vediamo quindi una provoca la solidificazione di una quantità m di acqua
serie di esperimenti che si possono condurre per che si trasforma in ghiaccio. Perché possa avveni-
verificare quanto sopra. re questo fenomeno è necessario sottrarre all’acqua
una quantità di calore ∆Q = λm, dove λ è il calo-
25.4.1 Passaggi di calore a volume re latente di solidificazione. Durante il processo la
temperatura T resta costante e pari a T = 273 K
costante circa. La variazione di entropia dell’acqua dunque
Quando un sistema è scaldato, la sua temperatura vale
passa dal valore iniziale Ti a un valore finale Tf > Ti
λm
in seguito all’assorbimento di una certa quantità di ∆S = − (25.33)
calore ∆Q che si può scrivere come ∆Q = C∆T T
dove C è la capacità termica del sistema. Se il siste- dove il segno − indica che all’acqua si sta sottraendo
ma è un solido o un liquido C = mc con c pari al calore. Quando il ghiaccio si scioglie, invece, acqui-
calore specifico della sostanza di cui è formato. Nel sta calore perciò la sua variazione di entropia sarà
caso dei gas perfetti C = ncV = 32 nR. La variazio- la stessa, ma positiva:
ne di entropia subita dal sistema la possiamo percò λm
scrivere come ∆S = . (25.34)
T
X ∆Q X C∆T Nei processi che abbiamo descritto la variazione di
∆S = = . (25.31) entropia del sistema che consideriamo può essere sia
T T
i i
positiva che negativa, perché il sistema non è mai
Dal momento che durante la trasformazione la tem- isolato (altrimenti non potrebbe scambiare calore
peratura cambia, non possiamo calcolare banalmen- con l’esterno). D’altra parte il ghiaccio si scioglie
te la somma a destra dell’equazione. L’analisi ma- solo se è in contatto termico con qualcosa a tem-
tematica permette di eseguire il calcolo che, come peratura maggiore, come l’aria, ad esempio. La va-
risultato, dà riazione di entropia dell’aria sarà ∆Q/Taria , ma dal
momento che Taria > T e che resta praticamente
Tf
∆S = C log . (25.32) costante, mentre ∆Q = λm dev’essere pari a quella
Ti
necessaria per sciogliere il ghiaccio, si vede subito
Poiché Tf > Ti il logaritmo è positivo, cosí come la che
variazione di entropia (sia che si tratti di un solido,
di un liquido o di un gas).
Se invece di riscaldare il sistema lo raffreddia- ∆SU = ∆Sghiaccio + ∆Saria
mo quello che succede è che non cambia l’espres- (25.35)
 
1 1
sione della variazione di entropia, ma il suo segno = λm − > 0 .
T T aria
sí. Quando si raffredda un sistema, dunque, la sua

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25.5. L’ESPANSIONE IRREVERSIBILE DI UN GAS 277

Consideriamo ora un sistema completamente isola- e si vede subito che il numeratore è maggiore del
to, che non scambia calore con altri sistemi né com- denominatore, perciò l’argomento del logaritmo è
pie lavoro, come una coppia di oggetti a temperatu- maggiore di uno e la variazione di entropia com-
ra diversa Tc e Tf con Tc > Tf . Se posti a contatto, plessiva è positiva: ∆SU > 0, come ci aspettavamo3 .
i due oggetti raggiungono la stessa temperatura di L’entropia diminuirebbe solo se Tc aumentasse e Tf
equilibrio T . Se, per semplicità, i due oggetti sono diminuisse e cioè se il corpo freddo diventasse piú
uguali e fatti dello stesso materiale la loro capacità freddo e quello caldo piú caldo. Vale la pena notare
termica è la stessa e che un caso come questo non sarebbe vietato dal-
le altre leggi fisiche, incluso il primo principio del-
Tc + Tf la termodinamica. Nulla vieta, infatti, che il calore
T = . (25.36)
2 si propaghi dai corpi freddi a quelli caldi rendendo
La variazione di entropia dell’oggetto inizialmente quelli freddi ancor piú freddi! In effetti la propaga-
piú freddo è positiva e vale zione del calore da un corpo all’altro avviene perché
le parti di cui è composto un corpo caldo si muovono
T
∆Sf = C log (25.37) piú rapidamente di quelle di cui è composto un cor-
Tf po freddo. Se le parti del corpo caldo urtano quelle
(T > Tf , quindi il logaritmo è positivo) mentre del corpo freddo possono trasferire energia cinetica
quella dell’oggetto inizialmente piú caldo è negativa, a queste ultime, riscaldandolo. Ma potrebbe anche
perché T < Tc e vale succedere che nell’urto sia la particella del corpo
caldo a sottrarre energia da quella del corpo freddo,
T provocandone un abbassamento della temperatura.
∆Sc = C log . (25.38)
Tc Questo processo non è vietato da alcuna legge fisica,
La variazione di entropia totale ∆SU (dell’Univer- purché l’energia totale si conservi! L’unica legge che
so, diremmo) è la somma delle due variazioni di impone che i corpi freddi si scaldino a contatto con
entropia: quelli caldi è quella che abbiamo trovato in questo
capitolo e cioè che in ogni trasformazione l’entropia
  dell’Universo deve necessariamente aumentare o, al
T T
∆SU = ∆Sc + ∆Sf = C log + log piú, restare costante.
Tc Tf
T2
= C log 25.5 L’espansione irreversibile
Tc Tf
(25.39) di un gas
dove abbiamo sfruttato la proprietà dei logaritmi
per cui la somma dei logaritmi è il logaritmo del Abbiamo già osservato che, aprendo la lattina di
prodotto. Sostituendo nell’espressione sopra trovata una bibita gassata, il gas contenuto nella lattina si
quella di T abbiamo che espande rapidamente uscendo dalla lattina e non
succede mai che dell’aria penetri nella lattina au-
(Tc + Tf )2
∆SU = C log . (25.40) mentando la quantità di gas presente all’interno. In
4Tc Tf effetti, quando si apre una lattina, il gas passa da
Se poniamo Tc = Tf + δ, l’argomento del logaritmo uno stato di equilibrio in cui pressione e volume sono
si scrive come tali per cui vale
Vale la pena osservare che per δ = 0 l’argomento del
3

2
4Tf2 + 4Tf δ + δ 2 logaritmo vale 1 e quindi la variazione di entropia è nulla.
(2Tf + δ)
= (25.41)
4 Tf2 + δTf 4Tf2 + 4Tf δ

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25.5. L’ESPANSIONE IRREVERSIBILE DI UN GAS 278

pV = nRT (25.42) p (kPa)


400 p = const
a uno stato in cui la pressione diventa improvvisa-
mente pari a quella atmosferica (dunque inferiore a
p) e il volume a disposizione aumenta improvvisa- 300

V = const
mente. Nel volgere di alcuni secondi il gas, fuoriu- T
=
scendo dalla lattina, raggiunge l’equilibrio termico 200 co
ns
con l’aria circostante. Supponiamo di realizzare l’e- t
sperimento con una lattina tirata fuori da un frigo- 100 ∆Q
rifero a T = 4◦ C, pari a T ' 277 K. In una tipica =
0
lattina da 33 cl ci sono circa4 n = 0.05 moli di CO2 , 0
perciò la pressione del gas è pari a 0 1 V × 103 (m3 )

nRT 0.05 × 8.314 × 277 Figura 25.1 Tre possibili trasformazioni


p= ' ' 349 kPa . che portano un gas da uno
V 0.33 × 10−3
(25.43) stato iniziale in cui pi =
349 kPa e Vi = 33 cl, a uno
Nello stato finale il gas ha una pressione pf pari a
stato in cui pf = 101 kPa
quella atmosferica pf ' 101 kPa e una temperatu- e Vf = 121cl: un’isobara se-
ra pari a quella ambiente T ' 20◦ C = 293 K. L’e- guita da un’isocora (in ne-
spansione e il riscaldamento del gas non sono affatto ro), un’isoterma seguita da
trasformazioni reversibili e negli stati intermedi tra un’isocora (in blu) e un’adia-
batica seguita da un’isocora
quello iniziale e quello finale l’equazione di stato dei (in rosso). Il tratto di isoco-
gas non è valida. Nonostante ciò possiamo calcolare ra blu è poco visibile perché
la variazione di entropia del gas trovando una qua- brevissimo.
lunque trasformazione che porti il gas dallo stato in
cui la pressione vale pi = 349 kPa e la temperatu-
dunque una trasformazione isobara seguita da un’i-
ra vale Ti = 277 K, a uno stato in cui pressione e
socora, come quella in nero della Figura 25.1); in
temperatura valgono pf = 101 kPa e Tf = 293 K, ri-
alternativa si potrebbe far compiere al gas una tra-
spettivamente. Un gas perfetto in queste condizioni
sformazione isoterma (in blu nella stessa figura) che
avrebbe un volume
lo porterebbe a una pressione di poco diversa da
nRT quella finale, seguita da una trasformazione isocora,
Vf = ' 1.21 × 10−3 m3 . (25.44) oppure si potrebbe fargli compiere una trasforma-
p
zione adiabatica (in rosso) per portarla al volume
Ci sono infiniti modi per passare dallo stato iniziale
finale, seguita ancora una volta da un’isocora per
a quello finale con trasformazioni reversibili: uno di
portare il gas alla pressione di equilibrio.
questi consiste nel far espandere il gas a pressione
Calcoliamo la variazione di entropia nelle diverse
costante da Vi a Vf per poi portare la sua pressio-
trasformazioni, iniziando da quella isobara che por-
ne a pf lasciando costante il volume (il gas compie
ta il gas dallo stato (pi , Vi ) allo stato (pi , Vf ). Du-
4
La stima è stata fatta assumendo che il gas abbia a di- rante questa trasformazione la temperatura cambia
sposizione tutto il volume all’interno della lattina; evidente- quindi dobbiamo dividere la trasformazione in tratti
mente non è cosí. Inoltre, nelle condizioni in cui si trova il gas, sufficientemente brevi da potervi considerare la tem-
quest’ultimo non si può considerare ideale, quindi l’equazio-
ne di stato non vale esattamente. Per i nostri fini, tuttavia,
peratura costante, in ciascuno dei quali possiamo
la quantità di gas presente è un numero arbitrario. scrivere che

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25.5. L’ESPANSIONE IRREVERSIBILE DI UN GAS 279

dove, dal momento che in un’isoterma ∆U = 0, la


∆Qi ncp ∆Ti quantità di calore scambiata ∆QT = ∆LT , dove con
∆Si = = , (25.45)
Ti Ti ∆LT abbiamo indicato il lavoro fatto nel corso della
dove cp = cv + R è il calore specifico a pressione trasformazione che possiamo calcolare come l’area
costante e cv = 32 R quello a volume costante.
P Come sottesa dalla curva dell’isoterma sul piano (p, V ):
nel caso dell’equazione (25.32) la somma i ∆Si si dividendo l’intervallo tra Vi e Vf in piccoli intervalli
scrive come di ampiezza ∆Vi , in ciascuno possiamo considerare
la pressione pi costante e scrivere che
T
ncp log (25.46)
Ti
X X
∆L = ∆Li = pi ∆Vi , (25.53)
in cui T rappresenta la temperatura del gas nello i i
stato (pi , Vf ) che si ottiene dall’equazione di stato ma vale sempre che pi = nRT /Vi e dunque
per cui
X ∆Vi
pi V f ∆L = nRT , (25.54)
T = . (25.47) i
Vi
nR
In definitiva abbiamo che la variazione di entropia uguale, per la solita ragione, a
∆Sp del gas nel corso dell’espansione isobara è Vf
∆L = nRT log . (25.55)
pi V f Vi
∆Sp = ncp log , (25.48) Di conseguenza
nRT
i
che per l’equazione di stato dei gas che assicura che
nRTi = pi Vi , si può riscrivere come Vf Vf
∆ST = nR log = N kB log . (25.56)
Vi Vi
pi V f Vf Quando si percorre il tratto di isocora possiamo usa-
∆Sp = ncp log = ncp log , (25.49) re il risultato ottenuto sopra, all’equazione (25.50)
pi V i Vi
In maniera del tutto analoga, nel corso dell’isocora 3 Tf 3 pf
si varia l’entropia ∆SV del gas di ∆SV = nR log = nR log . (25.57)
2 T 2 pi
in cui, al posto di pi c’è la pressione p che il gas
Tf pf
∆SV = ncv log = ncv log . (25.50) avrebbe avuto avendo raggiunto il punto finale della
T pi prima isoterma per la quale T = Ti e V = Vf , quindi
Sommando i due contributi si ottiene nRTi Vi
p= = pi . (25.58)
Vf Vf
5 Vf 3 pf Sostituendo si trova
∆S = ∆Sp + ∆SV = nR log + nR log .
2 Vi 2 pi
(25.51) 3 pf Vf
∆SV = nR log . (25.59)
Eseguiamo ora lo stesso conto assumendo che il 2 pi V i
gas compia prima la trasformazione isoterma e poi La somma dei due contributi dà
l’isocora. Durante l’isoterma la temperatura resta
costante perciò la variazione di entropia ∆ST si Vf
scrive ∆S = ∆ST + ∆SV =nR log +
Vi
(25.60)
∆QT 3 pf Vf
∆ST = (25.52) 2
nR log
pi Vi
,
T
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25.6. INTERPRETAZIONE MICROSCOPICA DELL’ENTROPIA 280

che, grazie alle proprietà dei logaritmi, diventa e quindi, scrivendo che log ab = b log a, come


3

Vf 3 pf 3 pf 5 Vf
∆S = nR 1 + log + nR log , (25.61) ∆S = nR log + nR log (25.67)
2 Vi 2 pi 2 pi 2 Vi

che è esattamente quanto abbiamo ottenuto all’e- che è ancora uguale all’equazione (25.51).
quazione (25.51), come del resto dovevamo aspet- In generale, quando si deve valutare una varia-
tarci sapendo che l’entropia è una funzione di sta- zione di entropia, proprio allo scopo di semplificare
to la cui variazione dipende solo dagli stati ini- i calcoli, si sceglie una trasformazione che porti il
ziale e finale e non dalla particolare trasformazio- sistema dallo stato iniziale a uno stato con il volu-
ne fatta. È evidente, a questo punto, che lo stes- me finale attraverso un’adiabatica (in modo tale che
so risultato dobbiamo ottenerlo nel caso della ter- in questo tratto la variazione di entropia sia nulla).
za serie di trasformazioni: un’adiabatica seguita da Quindi si valuta la pressione raggiunta imponendo
un’isocora. In questo caso, poiché durante l’adiaba- che pV γ resti costante e, a questo punto, basta scri-
tica non si scambia calore, la variazione di entro- vere la variazione di entropia provocata dalla tra-
pia ∆SA = 0 e basta calcolare solo quella derivante sformazione isocora che porta il sistema nello stato
dalla trasformazione isocora, che è sempre finale dato.

3 pf
∆SV = nR log . (25.62) 25.6 Interpretazione microsco-
2 pi
Qui la pressione iniziale p è quella che il gas avrebbe pica dell’entropia
raggiunto se avesse subíto la trasformazione adiaba-
tica partendo dallo stato (pi , Vi ). Dal momento che Come già abbiamo accennato all’inizio di questo
durante un’espansione adiabatica il prodotto pV γ , capitolo, se riprendiamo con una telecamera certi
con γ = cp /cv = 5/3 resta costante, abbiamo che processi elementari come l’urto tra due bocce o l’o-
scillazione di un pendolo, questi processi appaiono
γ
pVf = pi Viγ
(25.63) del tutto plausibili sia se osservati in avanti che al-
l’indietro: questo riflette la perfetta simmetria del-
da cui si ottiene le leggi fisiche che li governano che sono identiche
 γ se si cambia il segno della variabile tempo. Si dice
Vi
p = pi (25.64) che le leggi fisiche sono invarianti per inversioni
Vf temporali.
che, sostituita al posto di pi dell’equazione che ci dà Altri processi, però, non hanno la stessa caratte-
∆SV conduce al risultato ristica: se osservassimo all’indietro il filmato dello
scioglimento di un cubetto di ghiaccio, del raffred-
 5 damento di un corpo caldo posto a contatto con un
3 pf V f 3
∆S = ∆SV = nR log . (25.65) corpo freddo o della fuoriuscita di anidride carboni-
2 pi V i ca da una lattina appena stappata, ci accorgerem-
mo immediatamente del fatto che quei processi non
Grazie alle proprietà dei logaritmi possiamo
appaiono affatto plausibili!
riscrivere quest’equazione come
La differenza rispetto ai processi elementari sopra
illustrati sta nel fatto che nel primo caso i protagoni-
3 pf 3
  35
Vf sti dei filmati si possono considerare come particelle
∆S = nR log + nR log (25.66) puntiformi, almeno entro certi limiti, mentre nel ca-
2 pi 2 Vi
so dei secondi non è cosí: il processo di scioglimento

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25.6. INTERPRETAZIONE MICROSCOPICA DELL’ENTROPIA 281

del ghiaccio lo possiamo interpretare assumendo che


il cubetto sia formato da tante goccioline d’acqua
(puntiformi) che stanno vicine le une alle altre che,
quando raggiungono la temperatura di zero gradi
centigradi, cominciano a sentirsi meno legate alle (1a) (1b)
altre e perciò sono piú libere di muoversi. Analoga-
mente possiamo pensare a due corpi a temperatura Figura 25.2 Una particella si può dispor-
differente come composti da moltissime particelle re nella parte sinistra o nella
piú piccole che si agitano in modo tale che la loro parte destra di un volume.
energia cinetica media aumenti all’aumentare del-
la temperatura del corpo: in questo modo il corpo
caldo sarà composto di particelle che si muovono fatto che l’entropia dell’Universo non può mai di-
piú rapidamente, in media, delle particelle del corpo minuire a determinare il fatto che il tempo scorre
freddo. Quando una particella del corpo caldo urta sempre in un’unica direzione? E se sí, perchè?
una del corpo freddo potrebbe trasferirle un po’ di Nel paragrafo precedente abbiamo calcolato la va-
energia cinetica e provocarne cosí l’aumento di tem- riazione di entropia conseguente al verificarsi di una
peratura. Infine, nel caso dell’espansione libera del trasformazione isoterma, eq. (25.56) di un gas, che
gas contenuto nella lattina appena stappata, eviden- riportiamo per comodità:
temente possiamo pensare che il gas sia formato da
un gran numero di particelle che si muovono costret- Vf
.
∆ST = nR log (25.68)
te a rimanere in un volume relativamente piccolo: Vi
nel momento in cui la lattina si stappa le particelle che si può anche riscrivere come
che si stavano muovendo in direzione del tappo non
vengono piú fermate da questo e continuano il loro Vf
∆ST = N K log . (25.69)
moto verso l’esterno. Vi
Questo però non spiega perché i processi avvengo- dove N è il numero di particelle di cui è composto
no solamente in uno dei possibili versi del tempo: in il gas che subisce la trasformazione e k la costante
fondo i processi elementari che stanno alla base della di Boltzmann. Ora, proviamo ad analizzare il com-
descrizione che ne abbiamo dato sono perfettamen- portamento del gas dal punto di vista microscopico.
te reversibili. Possono avvenire, cioè, in entrambi Un gas perfetto è, per definizione, un gas compo-
i sensi! Per esempio, nel caso del gas contenuto nel- sto di particelle che non interagiscono in alcun mo-
la lattina, è vero che le particelle che stavano nella do e prive di volume (puntiformi) quindi possiamo
lattina e che si muovevano in direzione del tappo, rappresentarlo come N particelle che si possono di-
una volta rimosso questo possono allontanarsi indi- sporre in un numero arbitrario in qualsiasi volume.
sturbate, ma è anche vero che ci saranno altre par- In particolare disponiamo le particelle in un volu-
ticelle che dall’esterno della lattina si muovevano in me V diviso idealmente in due parti V1 , V2 , con
direzione del tappo e che perciò, una volta rimos- V = V1 + V2 .
so quest’ultimo, dovrebbero penetrare nella lattina Cominciamo a considerare il caso N = 1, cioè di
stessa. Forse succede, ma perché quelle che escono un gas (un po’ speciale) costituito di un’unica par-
sono molte di piú di quelle che entrano? ticella. In questo caso ci sono solo due possibilità: la
I processi irreversibili, che sono poi quelli che particella si trova o nel volumetto di sinistra oppure
avvengono spontaneamente, hanno tutti la caratte- in quello a destra (Fig. 25.2.
ristica, oltre che di procedere in un solo verso nel Quando N = 2 le due particelle si possono dispor-
tempo, di provocare un aumento dell’entropia del- re in piú modi: possono stare entrambe a sinistra o
l’Universo. Che ci sia una correlazione? Forse è il

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25.6. INTERPRETAZIONE MICROSCOPICA DELL’ENTROPIA 282

(2a) (2b) (3a) (3b)

(2c) (2d) (3c) (3d)

Figura 25.3 Ci sono quattro modi diver-


si di disporre 2 particelle nel
volume.

(3e) (3f )
entrambe a destra, ma si possono anche disporre in
modo che la prima (quella blu in Fig. 25.3) sia a
sinistra e l’altra (rossa) a destra o viceversa.
S poi N = 3 ci sono ben otto modi in cui possia-
mo disporre le particelle nelle due porzioni in cui è
diviso il volume, come si vede dalla Fig. 25.4. (3g) (3h)
Molte di queste configurazioni (che chiameremo
microstati), però, sono del tutto equivalenti l’una Figura 25.4 Se le particelle sono tre esi-
all’altra perché le particelle che compongono il gas stono otto diverse disposizio-
ni.
sono tutte indistinguibili, quindi esistono configu-
razioni diverse che però producono gli stessi effetti
macroscopici. Ad esempio, quando si verifica il mi-
crostato (2a) di Fig. 25.3 possiamo pensare, se la In questo caso sono tre le configurazioni che pro-
pressione esercitata sulle pareti della scatola è pro- ducono effetti macroscopici diversi, ma una si può
porzionale al numero di particelle in vicinanza di verificare in due modi diversi, quindi ha il doppio di
ciascuna parete, che la pressione sul lato sinistro probabilità di verificarsi rispetto alle altre due. Una
della scatola, esercitata dalle particelle presenti, sia cosa simile accade quando le particelle sono tre: il
maggiore rispetto a quella esercita sul lato destro; microstato (3a) e quello (3b) dànno origine a due
nel caso (2b) sarà maggiore la pressione sul lato de- macrostati diversi (pressione maggiore a sinistra e a
stro rispetto al lato sinistro, mentre nei casi (2c) e destra, rispettivamente); i macrostati da (3c) a (3e)
(2d) la pressione sarà la stessa in entrambi i casi. sono tutti equivalenti (la pressione a sinistra è 2/3
Se coloriamo le palline che rappresentano le singole di quella a destra) cosí come quelli da (3f ) a (3h).
particelle nello stesso modo si vede subito quali so- Ci sono quindi quattro macrostati diversi.
no i microstati tra loro equivalenti, che producono, Proseguendo nell’esercizio si vede che il numero
cioè, gli stessi macrostati. La Figura 25.5 mostra di modi in cui possiamo disporre quattro particelle
le stesse configurazioni di Fig. 25.3, ma impedendo è 16, con N = 5 avremmo 32 possibili combinazioni
di distinguere le singole particelle l’una dall’altra. e così via. In effetti il numero di microstati possibili

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25.6. INTERPRETAZIONE MICROSCOPICA DELL’ENTROPIA 283

(2a) (2b) (3a) (3b)

(2c) (2d) (3c) (3d)

Figura 25.5 Ci sono quattro modi diver-


si di disporre 2 particelle nel
volume, ma se le particel-
le sono indistinguibili le con-
figurazioni davvero diverse
sono solo tre. (3e) (3f )

è µ = 2N perché ogni particella si può disporre in


soli due modi: a destra o a sinistra; quindi N si pos-
sono disporre in µ = 2N modi diversi. Se avessimo (3g) (3h)
diviso il volume in tre parti, il numero di possibili
configurazioni sarebbe stato pari a µ = 3N . È facile
Figura 25.6 Il numero di macrostati con
generalizzare dicendo che, se dividiamo il volume V N = 3 è pari a quattro.
in volumetti v possiamo scrivere che il numero di
volumi a disposizione è V /v e quindi
 N
V
µ= (25.70) si = log µi = N log
Vi
(25.72)
v v
Il logaritmo di quest’espressione dà mentre nello stato finale vale
V Vf
log µ = N log (25.71) sf = log µf = N log (25.73)
v v
che somiglia moltissimo al secondo membro dell’e- e la variazione di s, ∆s = sf − si si scrive
quazione (25.56) che rappresenta la variazione di
entropia in una trasformazione isoterma.  
La somiglianza è resa ancor piú evidente se con- Vf Vi
∆s = sf − si = N log − log (25.74)
sideriamo una trasformazione del gas rappresentato v v
dalle N particelle nella quale il volume passa da un
che sfruttando le proprietà dei logaritmi si riscrive
valore Vi a un valore Vf . Il logaritmo del numero di
come
possibili modi di disporre le N particelle nello stato
iniziale vale Vf v Vf
∆s = N log = N log . (25.75)
v Vi Vi

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25.7. LA MEDIA E LA VARIANZA DI UNA DISTRIBUZIONE 284

A questo punto è evidente che, a meno di una co- stati che dànno luogo a un aumento è sempre molto
stante pari alla costante di Boltzmann ∆s è pro- maggiore rispetto a quello degli stati che portano
prio la variazione di entropia del sistema: kB ∆s = a una diminuzione dell’entropia. Il motivo per cui
∆S e quindi possiamo affermare che la variazione di i processi procedono in un solo verso nel tempo è
entropia di un sistema è una misura (un po’ stra- dunque puramente statistico: l’aria in una stanza
na, ma pur sempre una misura) di quanto varia il ne occupa tutto il volume semplicemente perché è
numero di possibili modi in cui si possono disporre improbabile che ne occupi solo la metà.
le particelle di cui è composto. Se l’entropia aumen- Lo si può vedere subito considerando i macro-
ta significa che il numero di modi in cui si possono stati del nostro gas di 2 o 3 particelle, illustrati
disporre le particelle di cui è composto il sistema nelle Figure 25.5 e 25.6. Nel primo caso gli stati
che stiamo esaminando aumenta. In un gas con un in cui il gas occupa il volume uniformemente erano
certo volume V ciascuna delle N particelle di cui due su quattro, ma già nel secondo gli stati in cui
è composto può occupare uno qualunque dei volu- la distribuzione delle particelle è piú uniforme sono
metti v = V /N in cui possiamo dividere il volu- sei su otto. Non è difficile immaginare che all’au-
me totale (se il gas fosse ideale tutte le particelle mentare delle particelle la probabilità di raggiun-
potrebbero anche stare nello stesso volumetto). Al- gere uno stato macroscopico piú uniforme aumenta
l’aumentare del volume aumenta anche il numero di vertiginosamente.
volumetti a disposizione e quindi aumentano le pos-
sibili scelte che le particelle possono fare per andare
a disporsi dentro il volume V . Quando invece un 25.7 La media e la varianza di
corpo si scalda, le particelle di cui è composto co- una distribuzione
minciano a muoversi piú rapidamente. Questo moto
non è un moto ordinato: alcune particelle avranno Uno degli errori piú frequenti in statistica consiste
un’energia cinetica maggiore rispetto a quella me- nel ritenere che se una variabile casuale ha una cer-
dia, altre l’avranno minore. Piú è grande l’energia ta distribuzione, la somma di queste variabili avrà
cinetica media (e quindi la temperatura), maggiore la stessa distribuzione. Per esempio, se lanciamo un
è l’ampiezza della distribuzione di energie cinetiche, dado abbiamo la stessa probabilità di ottenere un
quindi all’aumentare della temperatura aumentano punteggio compreso tra 1 e 6 e possiamo afferma-
le possibilità di ciascuna particelle di occupare uno re che la probabilità di ottenere il punteggio i, con
stato con una determinata velocità e di conseguen- i = 1, . . . , 6 è pi = 61 . Se chiamiamo xi il risultato
za aumenta l’entropia. In sostanza l’entropia misura ottenuto con il lancio i-esimo, contiamo il numero
il grado di disordine di un sistema: piú il sistema di volte N (i) che si ottiene il punteggio i e ne fac-
è disordinato piú è alta l’entropia di quel sistema, ciamo un grafico in funzione dei possibili valori di
indipendentemente dalla natura del disordine. Per xi (che poi vanno da 1 a 6) otteniamo quella che si
questa ragione l’entropia è una funzione di stato: chiama una distribuzione uniforme: una distri-
che il sistema subisca un aumento di volume o un buzione per cui la probabilità che esca il valore i è
aumento di temperatura, il risultato è lo stesso e costante e pari a 1/n, quando n è il numero di pos-
cioè che il numero di stati (posizione e velocità) che sibili valori che può assumere i (nel caso del dado
le particelle possono occupare aumenta. n = 6). La Figura 25.7 è stata prodotta lanciando
La natura statistica dell’entropia spiega anche N = 1 000 volte un dado (non serve farlo realmente,
perché questa aumenta sempre nelle trasformazio- basta usare la capacità di un computer di genera-
ni spontanee: il fatto è che, in linea di principio, re numeri a caso). Come si vede la frequenza con
le trasformazioni spontanee possono avvenire sia un la quale si presenta ciascun risultato è abbastan-
senso (quello dell’aumento dell’entropia) che nell’al- za costante (le fluttuazioni che si osservano sono di
tro (quello della sua diminuzione), ma il numero di

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25.7. LA MEDIA E LA VARIANZA DI UNA DISTRIBUZIONE 285

200 200

150 150

100 100

50 50

0 0
0 1 2 3 4 5 6 7 0 2 4 6 8 10 12 14

Figura 25.7 I lanci di un dado seguono Figura 25.8 I lanci di due dadi seguono
una distribuzione uniforme. una distribuzione triangola-
re.

natura statistica e diventano via via piú piccole al 100

crescere di N ).
Se ora, invece di lanciarne uno, di dadi ne lancia- 80

mo due possiamo ottenere tutti i valori compresi tra


60
2 e 12 e talvolta si è tentati di affermare che anche
la distribuzione di questi punteggi sarà uniforme, 40

ma non è cosí. Il valore 2 (o il valore 12) si possono


ottenere con un’unica combinazione: 1 + 1 (6 + 6 nel 20

caso di 12). La combinazione 1 + 1 si può ottenere


0
solo se entrambi i dadi dànno come risultato 1. Il 10 20 30 40 50 60

valore 7 invece si può ottenere con le combinazioni


Figura 25.9 I lanci di dieci dadi seguono
1+6, 2+5, 3+4, ciascuna delle quali si può ottenere una distribuzione a campana
in due modi distinti (per esempio 1 + 6 = 6 + 1). centrata sul valore 35.
Quindi il valore 7 si presenterà con una probabilità
sei volte maggiore rispetto a 2 o a 125 .
Nel linguaggio della termodinamica diremmo che
Il risultato è una distribuzione triangolare come
esiste un solo microstato (1, 1) che dà origine al
quella di Fig. 25.8.
macrostato p = 2 se con p indichiamo il punteg-
Se il numero di dadi di cui si somma il punteg-
gio complessivo. Ci sono invece sei microstati (1, 6),
gio aumenta fino a diventare dieci, la distribuzione
(2, 5), (3, 4), (4, 3), (5, 2) e (6, 1) che producono il
assume un aspetto ancor piú piccato, come si vede
macrostato p = 7.
nella Figura 25.9
5
Il calcolo è semplice: per ottenere la combinazione 1+1 è Man mano che il numero di variabili casuali che
necessario che il punteggio del primo dado sia 1, il che avviene si sommano cresce la distribuzione tende sempre di
con una probabilità di 1/6, e che quello del secondo dado sia
piú a somigliare a una funzione gaussiana, dalla
1; questo avviene con probabilità 1/6 perciò la probabilità
complessiva è 61 × 16 = 36 1
. Il punteggio 7 invece si ottiene caratteristica forma a campana. È il teorema del
con uno qualunque dei punteggi da 1 a 6, che si ottiene con limite centrale secondo il quale la somma di va-
probabilità 1, seguito da uno solo dei possibili 6 risultati, che riabili casuali x, all’aumentare degli addendi, tende
avviene con probabilità 1/6. Di conseguenza la probabilità ad assumere una distribuzione gaussiana, qualunque
totale di ottenere 7 è 1 × 61 = 16 .
sia la distribuzione della variabile x. Ad esempio,
per N = 1 000 i punteggi potenziali vanno da 1 000

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25.7. LA MEDIA E LA VARIANZA DI UNA DISTRIBUZIONE 286

20 N σ σ/(b − a)
1 1.7 0.28
15 2 2.4 0.20
10 5.2 0.09
10 1 000 17 0.03
Tavola 25.1 I valori della deviazione stan-
5
dard delle distribuzioni di
1 000 lanci di N dadi. Nel-
0
l’ultima colonna sono ripor-
1000 2000 3000 4000 5000 6000 tati i valori di σ divisi per
l’ampiezza dei possibili valori
Figura 25.10 I lanci di mille dadi seguo- (b − a).
no una distribuzione prati-
camente gaussiana.

Nei lanci che abbiamo effettuato per produrre le fi-


a 6 000, ma guardando la Figura ?? si capisce che gure riportate in questo paragrafo abbiamo ottenuto
la maggior parte dei valori non escono praticamente i valori di σ riportati in Tabella 25.1.
mai! Solo un piccolo gruppo di valori compresi attor- Il valore 1.7 per N = 1 indica che i dati si di-
no al valor medio di 3 500 ha una certa probabilità stribuiscono attorno al valor medio in modo da ag-
di uscire. gregarsi a una distanza (simmetrica a sinistra e a
L’intervallo di valori che si presentano con una destra del valor medio) pari a 1.7, quindi attorno ai
frequenza ragionevolmente alta si può caratterizzare punti 3.5−1.7 = 1.8 e 3.5+1.7 = 5.2 che grosso mo-
con la deviazione standard della distribuzione. Se do stanno in mezzo alla parte sinistra e destra della
il valor medio hxi si ottiene con la formula distribuzione. Quando N = 1 000, i dati si distri-
buiscono in modo da avere una distanza dal valor
1 X
N medio di 3 500 pari appena a 17. Se si misurano que-
hxi = xi , (25.76) ste distanze in unità d’ampiezza dell’intervallo b − a
N i=1
dei possibili valori si ottengono valori sempre piú
la deviazione standard σ deve fornire una misura piccoli, il che indica che la distribuzione si stringe
di quanto distano i dati con probabilità elevata da sempre piú attorno al valor medio.
questo numero. Una possibile misura di quanto il La statistica insegna
√ che il valore di σ/(b − a) di-
dato i-esimo disti da hxi sarebbe minuisce come 1/ N , per√cui nel caso di N = 1 000
otteniamo σ/(b − a) ' 1/ 1 000 ' 0.03. Quando il
di = |xi − hxi| . (25.77) numero di dadi diventa comparabile con il Numero
L’operazione di modulo però è scomoda da mani- di Avogadro N ' 6 × 1023 la deviazione standard
polare e conviene usare la radice del quadrato della diventa dell’ordine di
differenza, che fornisce lo stesso risultato
σ 1
'√ ' 1.3 × 10−12 . (25.80)
q
di = (xi − hxi)2 . (25.78) b−a 6 × 1023
Una misura complessiva, che dia il senso di quanto Questo significa che a fronte di un numero enorme
sia ampia la distribuzione, si può ottenere facendo di possibili configurazioni solo una su mille miliardi
la media delle distanze di : si verifica effettivamente con una certa probabilità.
1
q Questo spiega perché i gas si comportano in modo
σ= (xi − hxi)2 . (25.79) da occupare la stato piú uniforme possibile che è
N
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25.7. LA MEDIA E LA VARIANZA DI UNA DISTRIBUZIONE 287

quello medio in cui la densità di gas è la stessa in


ogni porzione di volume: le altre configurazioni sono
possibili, ma estremamente improbabili. Di fatto,
impossibili da osservare.

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Unità Didattica 26
Forze elettriche

adesivi, per poter fare il loro mestiere, devono ne-


Prerequisiti: Per una piena comprensione è utile cessariamente produrre forze che si oppongono alla
conoscere il primo principio della termodinamica, forza peso. Se pensiamo che gli oggetti solidi siano
ma non è strettamente necessario. costituiti di minutissime particelle (atomi) tratte-
nute le une vicine alle altre, dobbiamo pensare che
Nel fare gli esperimenti per capire come l’attrito
ci siano delle forze a trattenerle nelle loro posizioni.
modifica lo stato termico dei corpi potreste imbat-
Queste forze non possono essere della stessa natu-
tervi in un fenomeno nuovo, che consiste nel mani-
ra della forza peso, ma possono essere della stes-
festarsi, in certe condizioni, di forze di natura diver-
sa natura di quelle che permettono a un adesivo di
sa dalla forza peso o dalle forze di contatto con le
incollare insieme due oggetti.
quali abbiamo familiarità. Un esperimento che per-
mette di dimostrare in maniera evidente l’esistenza
di queste nuove forze è il seguente: prendete un co- 26.1 Esperimenti elettrizzanti
mune palloncino per bambini e gonfiatelo, quindi
strofinatelo per bene con carta da cucina o con un Per capire la natura di queste forze conviene fare
fazzoletto di carta. Si vede subito che il palloncino qualche esperimento con un po’ di metodo. Comin-
cosí trattato, avvicinandosi a certi oggetti sufficien- ciamo col prendere un palloncino e con lo strofinarlo
temente leggeri (capelli, pezzettini di carta, etc.), li con un fazzoletto di carta. Poiché il palloncino at-
attrae facendoli aderire alla sua superficie. Facendo trae pezzi di carta significa che è sorgente di una
scorrere un filo d’acqua da un rubinetto e avvicinan- forza che si deve ritenere responsabile del cambia-
do un palloncino cosí trattato si vede chiaramente mento di stato della carta che da ferma tende a
che l’acqua è attratta dal palloncino. muoversi verso il palloncino. Lo stesso palloncino,
In certi casi non è neanche necessario strofinare gli una volta strofinato, si deve trovare in uno stato
oggetti perché manifestino la capacità di attrazione diverso da quello in cui si trovava prima di essere
verso altri oggetti. Vi sarà sicuramente capitato di strofinato, perché prima non aveva la stessa capa-
dover preparare dei pezzi di nastro adesivo da usare cità di attrazione nei confronti della carta. Diremo
per chiudere un pacco e nel fare ciò avrete notato che il palloncino risulta elettrizzato per strofinío e
che i singoli pezzi tendono ad arrotolarsi oppure ad chiameremo il fenomeno che permette al palloncino
aderire a qualcosa spontaneamente, contorcendosi di raggiungere questo stato triboelettricità1 .
in un modo del tutto innaturale rispetto a quel che È utile far notare che il fatto che il palloncino
ci si aspetterebbe se fossero soggetti alla sola for- sia elettrizzato dallo sfregamento con la carta non
za peso. Qualcosa di analogo càpita anche con altri ha nulla a che fare con il fatto che attragga que-
materiali, per lo piú plastici. sta stessa sostanza. Lo stesso palloncino, infatti, si
In commercio si trovano anche dei foglietti che 1
dal greco tribein (strofinare) ed elektron (ambra, dal no-
aderiscono a qualsiasi superficie senza uso di còlle o me della prima sostanza sulla quale si è sperimentato l’effetto
altri tipi di adesivi. E a pensarci bene còlle e altri nell’antichità.
26.2. LA MISURA DELLA FORZA ELETTRICA 290

può elettrizzare, ad esempio, con lana o altri tipi uno stato di carica il cui segno dipende da quello
di tessuto e può attrarre altre sostanze come l’ac- dell’oggetto che provoca la forza.
qua, i capelli, etc.. Usiamo carta solo perché è facile
procurarsela.
Per definire completamente lo stato di un pallon- 26.2 La misura della forza elet-
cino, quindi, oltre a posizione, velocità, temperatu- trica
ra, etc., se ne dovrebbe misurare lo stato elettri-
co: piú propriamente si dice lo stato di carica o Per misurare la forza elettrica o meglio elettrosta-
di carica elettrica. Un palloncino, in effetti, può tica possiamo procedere appendendo a sottili fili
trovarsi in uno stato nel quale il suo grado di elet- (che possiamo considerare privi di massa) due pal-
trizzazione è grande o piccolo: corrispondentemente loncini elettricamente carichi, disposti a distanza r
la sua capacità di attrarre altri oggetti è grande o l’uno dall’altro. Quello che si vede è che i fili, tra-
piccola. Diremo che è piú carico quando attrae fa- scinati dal moto dei palloncini che si respingono,
cilmente altri oggetti rispetto al caso in cui è meno formano ciascuno un angolo θ con la verticale.
carico che si verifica quando l’attrazione è meno Questo implica evidentemente che la forza con la
intensa. quale i palloncini si respingono debba agire lungo
Naturalmente dovremmo definire una procedura la congiungente i due palloncini e debba avere un
per la misura dello stato di carica di un pallonci- modulo F pari a
no, ma al momento rimandiamo quest’operazione a
quando saremo in grado di capirne di piú. Per il mo- Fe = P tan θ (26.1)
mento è sufficiente poter disporre in ordine crescente
dove P è il modulo della forza peso. Cambiando la
palloncini in diversi stati di carica.
distanza alla quale si trovano i palloncini possiamo
Se avviciniamo due palloncini elettricamente ca-
scoprire come cambia l’intensità della forza al varia-
richi possiamo osservare che i due palloncini tendo-
re di r. Naturalmente ci sarà una distanza oltre la
no a respingersi. Evidentemente due oggetti che
quale la forza sarà troppo piccola per poter essere
possiedono la stessa carica elettrica esercitano l’uno
misurata, ma possiamo assumere che l’andamento
sull’altro una forza di tipo repulsivo.
sia lo stesso per ogni distanza. Quel che si scopre
Esperimenti del tutto simili si possono fare, invece
è che se a una certa distanza la forza vale Fe (r), a
che con i palloncini in gomma, con una bacchetta di
distanza doppia vale Fe (2r) = Fe (r)/4 e triplicando
vetro. Anche in questo caso, le bacchette avvicinate
la distanza Fe (3r) = Fe (r)/9. In sostanza vediamo
a pezzetti di carta li attirano e avvicinate tra loro
che
si respingono.
Se però si avvicinano un palloncino carico e una C
bacchetta carica si scopre che la forza che si ma- .
Fe = Fe (r) = (26.2)
r2
nifesta tra i due oggetti non è piú repulsiva, ma è La quantità a numeratore deve dipendere dallo sta-
attrattiva. to di carica che può essere positivo o negativo. Nel
Da questi esperimenti se ne conclude che esistono caso in cui sia positivo la forza deve risultare repul-
due distinti stati di carica: uno stato, che potrem- siva, altrimenti dev’essere attrattiva. Se r è un vet-
mo definire positivo e attribuire al vetro e uno, tore che ha come origine il corpo A e rappresenta
che definiremo negativo, raggiunto dalla gomma la distanza dal corpo B, la forza Fe che il corpo A
in seguito allo strofinamento. esercita sul corpo B quando A e B hanno lo stesso
Due oggetti con carica dello stesso segno si re- segno è
spingono, mentre se hanno carica opposta si at-
traggono. Evidentemente, quindi, gli oggetti attira- C
ti da entrambi devono in qualche maniera esibire Fe (r) = r̂ . (26.3)
r2

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26.3. CONDUTTORI E ISOLANTI 291

La forza, in questo modo, è un vettore parallelo a r e


avente lo stesso verso. È quindi repulsiva. Lo stesso
F r2 M LT −2 L2 M L3 T −2
     
accade se invece si misura la forza che B esercita su [k] = = =
qA qB Q2 Q2
A. In questo caso il vettore r ha il verso in maniera
(26.5)
tale da puntare da B ad A e, dal momento che la
e si usa misurarla in Nm /C . Con [Q] abbiamo in-
2 2
forza ha lo stesso verso di r, anche in questo caso
dicato le dimensioni fisiche della carica elettrica che
risulta repulsiva, come deve.
non sappiamo, almeno per il momento, ricondurre
Per ottenere una forza attrattiva dovremmo mol-
a qualche altro tipo di misura.
tiplicare per −1 l’espressione sopra trovata. Abbia-
Per il momento quel che possiamo fare è stabili-
mo una forza attrattiva quando lo stato di carica
re che due corpi elettrizzati hanno presumibilmente
dei due corpi che interagiscono è diverso. Se conve-
la stessa carica se sono uguali e sono stati trattati
niamo di indicare col segno + la quantità di carica
nello stesso modo. Possiamo quindi stabilire arbi-
posseduta dal corpo carico positivamente e col segno
trariamente un’unità di carica Q = 1 C e misurare
− quella del corpo carico negativamente, la forza è
le altre in frazioni di questa in base alla forza che
attrattiva se il prodotto delle due cariche è nega-
producono nei confronti di una carica campione. In
tivo, cioè quando le cariche sono di segno opposto.,
queste unità la costante di Coulomb vale
come si trova sperimentalmente.
Se sapessimo misurare lo stato di carica dei corpi
k = 8.987 552 × 109 Nm2 /C2 . (26.6)
potremmo attribuire a ciascun corpo un numero q
che può essere positivo o negativo che ne rappresen-
terebbe lo stato di carica. Se q = 0 si dice che il 26.3 Conduttori e isolanti
corpo è neutro (non carico). Dette qA e qB le ca-
riche, rispettivamente, del corpo A e del corpo B I corpi si caricano elettricamente con piú o meno
abbiamo quindi che facilità: in alcuni casi caricare un oggetto è facile,
qA qB in altri quasi impossibile. Quello che possiamo os-
Fe (r) = k r̂ , (26.4) servare facendo diverse prove è che tutti i materia-
r2
li plastici, la gomma, la carta, si caricano con una
dove k è una costante, detta costante di Cou- relativa facilità. I metalli sono in genere piú diffici-
lomb2 che dev’esserci per fare in modo che le di- li da caricare elettricamente e risulta praticamente
mensioni fisiche siano corrette e che la misura del- impossibile se li si tiene tra le mani durante l’ope-
la forza sia quella che si ottiene sperimentalmente razione di carica, a meno che non siano tenuti at-
avendo attribuito alle cariche valori che, una volta traverso un manico di materiale plastico. Una volta
stabilita una scala, sono di fatto arbitrari. Il pro- caricato, un metallo si scarica facilmente se viene
dotto della costante k per il quadrato di una carica semplicemente toccato.
elettrica, divisa per una distanza al quadrato de- Una maniera abbastanza efficace di caricare un
ve avere le dimensioni di una forza. Se, come nel corpo metallico consiste nel toccarlo con un qualun-
SI, scegliamo per l’unità di misura della carica una que altro corpo carico. Per comodità conviene usare
grandezza che chiamiamo Coulomb, che indichia- una bacchetta di plexiglass o di materiale analo-
mo col simbolo C, le dimensioni fisiche di k sono go carica per toccare l’oggetto metallico da caricare
quelle di perché abbiamo visto che anche tenendola in mano
2
in onore di Charles Coulomb che fu tra i primi a studiare questa si carica. Non è cosí per il metallo che de-
le forze elettriche e a determinare l’espressione della forza [?]. v’essere manipolato attraverso un manico che deve
isolarlo dal contatto con la pelle. I materiali che
consentono di isolare i metalli dal contatto con la
pelle impedendo loro di perdere l’eventuale carica

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26.3. CONDUTTORI E ISOLANTI 292

elettrica li chiameremo perciò isolanti. Tutti i ma- d’aria e altri possibili disturbi alterino il moto delle
teriali plastici sono isolanti. Lo è in una certa mi- lamine. Quel che abbiamo realizzato è un elettro-
sura anche la carta. Anche il legno, il sughero e la scopio o elettrometro (se graduato). Misurando
ceramica sono ottimi isolanti. infatti l’angolo formato dalle lamine (dette anche
I metalli, per contro, li chiameremo condutto- foglie da cui il nome elettroscopio a foglie dello
ri. Tutti i metalli risultano essere buoni conduttori. strumento) si può risalire alla forza che si esercita
Abbiamo già visto che se un isolante carico tocca tra le lamine e quindi alla quantità di carica presente
un conduttore quest’ultimo si carica. Se un condut- su di esse.
tore viene a contatto con un altro conduttore carico Osserviamo subito che la carica presente sulle fo-
si carica anch’esso. Anche se due isolanti vengono a glie dell’elettroscopio non è necessariamente uguale
contatto si caricano, ma la cosa avviene con maggio- a quella del corpo con il quale l’elettroscopio è stato
re difficoltà e in ogni caso la carica resta localizzata toccato. Questo, infatti, dopo l’operazione appare
nel punto di contatto (avvicinando un’altra carica spesso ancora carico. Possiamo però vedere che pas-
elettrica a un isolante si vede che in certi punti l’i- sando piú volte sull’elettroscopio con il corpo carico
solante risulta piú carico che ini altri). Nel caso dei e facendo in modo di esporne la maggior parte della
conduttori si osserva che questi ultimi si caricano superficie allo strumento, la carica trasferita aumen-
su tutta la loro superficie, anche se non necessaria- ta. Questo ci fa pensare che evidentemente le cariche
mente in modo uniforme. L’intensità della forza sull’isolante si spostano da questo al conduttore
elettrica che si misura in prossimità del conduttore nel quale sono libere di muoversi perché altrimenti
carico dipende dalla geometria del conduttore. non riuscirebbero a raggiungere le foglie dell’elet-
Questo suggerisce una maniera di misurare in mo- troscopio una volta trasferite dal corpo carico all’a-
do oggettivo le cariche elettriche, almeno quelle sui sta. Al contrario, nell’isolante le cariche non devono
conduttori. Facciamo passare attraverso un tappo di essere troppo libere di muoversi perché altrimenti
sughero (o di altro materiale isolante) un’asta me- non si spiega come mai, per caricare l’elettrosco-
tallica alla quale appendiamo due sottilissime lami- pio, bisogna strusciare il corpo carico sull’asta del-
ne metalliche. Toccando con un corpo elettricamen- l’elettroscopio anche piú volte e lungo tutta la sua
te carico la parte superiore dell’asta le lamine sem- superficie.
brano volersi allontanare l’una dall’altra. Evidente- Se si collega con un filo metallico l’asta di un elet-
mente la carica elettrica si trasferisce, parzialmente, troscopio scarico a uno carico si osserva che parte
sul conduttore che la distribuisce a tutte le sue parti della carica si trasferisce dallo strumento carico a
e raggiunge quindi le lamine. Queste si caricano en- quello scarico. In pratica i due strumenti e il filo
trambe dello stesso segno e quindi si manifesta tra insieme costituiscono un unico conduttore, anche
loro una forza repulsiva che tende ad allontanarle. perché continuando a toccare uno dei due con un
Al fine di favorire il processo le lamine devono esse- corpo elettricamente carico, entrambi gli elettrosco-
re leggerissime, in modo che la forza peso non possa pi mostrano un aumento della propria carica elet-
opporsi troppo al moto indotto dalle forze elettriche. trica. Una conferma che nei conduttori le cariche
Inoltre il contatto tra queste e l’asta dev’essere am- elettriche sono libere di muoversi e in genere lo fan-
pio e ben saldo. La superficie di contatto tra l’asta no, almeno fino a quando qualche forza non glielo
e l’oggetto carico che trasferisce parte della propria impedisce.
carica a questo strumento dev’essere la piú ampia Se cosí è possiamo interpretare il fatto che i metal-
possibile perciò conviene corredare questo strumen- li si scaricano se toccati col fatto che anche il nostro
to da un’ampia piastra metallica in contatto con corpo è conduttore e lo dev’essere anche la Terra
l’asta. La porzione di asta che sta sotto il tappo intera. Quando tocchiamo l’asta di un elettroscopio
isolante, che serve da supporto, è meglio che stia in carico questo si scarica immediatamente, perdendo
un barattolo chiuso, in modo da evitare che correnti tutta la sua carica. Evidentemente quel che succede

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26.4. L’INDUZIONE 293

è che la carica elettrica dell’elettroscopio si ridistri- particelle, alcune delle quali elettricamente cariche.
buisce sull’unico conduttore formato dall’elettrosco- Se la carica elettrica complessiva delle particelle po-
pio, il nostro corpo e la Terra stessa. Usando due sitive è uguale e contraria a quella complessiva delle
elettroscopi si vede facilmente che quello piú gran- particelle negative il corpo appare neutro. Attraver-
de in genere presenta una carica maggiore (le foglie so il contatto una parte delle cariche negative di uno
si dispongono a formare un angolo piú ampio). La dei due corpi potrebbe passare nell’altro lasciando
Terra è infinitamente piú grande del resto e quin- un eccesso di carica positiva nel primo. I due corpi
di praticamente tutta la carica finisce nel pianeta e quindi potrebbero caricarsi l’uno di carica negati-
abbandona l’elettroscopio. A conferma di ciò si può va e l’altro di carica positiva semplicemente perché
ripetere l’esperimento indossando scarpe isolanti o le cariche elettriche totali non sono piú bilanciate.
salendo su uno sgabello di plastica: l’elettroscopio, Questo è confermato dal fatto che in genere, attra-
toccato con un dito, non si scarica (o meglio, perde verso il contatto, entrambi gli isolanti si caricano
solo parte della propria carica elettrica). elettricamente e si caricano di carica opposta. Da-
Quando un oggetto è collegato elettricamente ta la diversa efficienza con la quale queste cariche si
alla Terra (cioè connesso a questa attraverso un con- possono misurare con un elettroscopio non è sempre
duttore) si dice che è messo a terra. Un corpo facilissimo verificarlo, ma se si fanno le misure con
metallico messo a terra evidentemente non si carica attenzione si vede che le cose stanno effettivamente
mai. cosí.
Ora supponiamo di avvicinare un corpo elettrica-
mente carico a un conduttore: in questo le cariche,
26.4 L’induzione che sono già presenti, ma distribuite in modo da
mantenere il conduttore complessivamente neutro,
Nel fare gli esperimenti sopra descritti avrete notato
sono libere di muoversi. Se quindi si avvicina una
che, avvicinandosi all’elettroscopio con un corpo per
carica negativa al conduttore, le particelle negati-
caricarlo, càpita qualcosa di strano: man mano che
ve presenti in esso tenderanno a essere respinte e si
ci si avvicina allo strumento le foglie si allargano
allontaneranno dalla carica negativa, lasciando cosí
anche se il corpo carico non tocca l’asta metallica.
un eccesso di carica positiva vicino a quest’ultima.
Nel momento in cui lo si tocca l’elettroscopio sembra
Il conduttore, in altre parole, risulta sempre com-
quasi scaricarsi per poi rimanere carico quando si
plessivamente neutro, ma le cariche non sono piú
allontana il corpo isolante col quale è stato posto in
distribuite in modo simmetrico. Se avviciniamo una
contatto.
carica negativa all’asta di un elettroscopio quindi
Proviamo a fare queste operazioni lentamente e
le cariche negative di cui è composto vengono spin-
a osservare meglio il fenomeno. Effettivamente, per
te verso il punto piú lontano, cioè verso le foglie,
far comparire una carica sull’elettroscopio, non è ne-
che acquistano una carica negativa e si respingono.
cessario il contatto con un altro corpo carico. È suf-
L’estremità dell’asta piú vicina al corpo carico si
ficiente avvicinare quest’ultimo allo strumento. So-
carica invece di carica positiva. Diciamo che la pre-
lo che, se il corpo carico isolante viene in contatto
senza della carica negativa induce una carica sul-
con lo strumento questo resta carico, altrimenti si
l’elettroscopio e chiamiamo il fenomeno induzione
scarica dopo aver allontanato l’isolante.
elettrostatica. Nel momento in cui la carica indu-
Proviamo a dare un’interpretazione di questo fe-
cente si allontana viene meno la forza che spinge le
nomeno: se due corpi isolanti si caricano per con-
cariche dello stesso segno ad allontanarsi che, attrat-
tatto si potrebbe pensare che questo provochi in
te nuovamente da quelle di segno opposto presenti
qualche maniera la comparsa della carica elettrica
all’altra estremità vi si trasferiscono riportando lo
laddove prima non c’era. Un’altra possibile inter-
strumento allo stato neutro.
pretazione è che in realtà ogni corpo sia formato di
Potete fare molti altri esperimenti di questo tipo

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26.5. POLARIZZAZIONE 294

combinando gli effetti di cariche elettriche diverse e trica non nulla e opposta a quella del palloncino,
verificare che il modello funziona. ma in questo caso avvicinando un oggetto di carica
L’induzione elettrostatica permette anche di ca- dello stesso segno la carta dovrebbe esserne respinta
ricare efficacemente un elettroscopio lasciandolo in e questo non avviene mai.
uno stato di carica non nulla. Se infatti si avvicina Si potrebbe dunque pensare che quel che accade
all’elettroscopio scarico una carica negativa toccan- è un fenomeno di tipo induttivo: la carta, come del
do l’asta con un dito le cariche negative presenti resto tutti gli altri materiali, dev’essere costituita
nell’elettroscopio tendono ad allontanarsene. In as- di particelle piccolissime di cui almeno una parte è
senza di un contatto col nostro corpo le cariche ne- elettricamente carica. Il numero di particelle cari-
gative dell’elettroscopio potrebbero al massimo ar- che positivamente è uguale a quello delle particelle
rivare fino alle foglie provocandone l’apertura, ma di carica opposta e il corpo appare neutro perché
se lo tocchiamo queste cariche possono passare nel evidentemente queste sono distribuite in modo uni-
nostro corpo e da lí a terra se indossiamo scarpe forme al suo interno. Quando avviciniamo una ca-
che conducono. Allontanando la carica inducente, rica negativa alla carta, le particelle negative di cui
le cariche che si erano allontanate sono nuovamente è formata tendono ad allontanarsi da quella indu-
attratte da quelle positive lasciate nell’elettroscopio, cente lasciando la parte piú vicina a questa con una
che tornerebbe scarico, a meno che non s’interrompa leggera carica positiva.
il collegamento elettrico. Se infatti, quando la cari- La forza con cui il pezzetto di carta è attratta
ca inducente è vicina, rimuoviamo il contatto tra il dal palloncino è la somma delle forze con cui sono
nostro corpo e l’elettroscopio, allontanando la ca- attratte le singole particelle di cui è formata. Poi-
rica inducente quelle cariche che erano passate dal ché la parte di carta piú vicina al palloncino pre-
nostro corpo non possono piú tornare indietro e lo senta una carica netta positiva, mentre quella piú
strumento resta carico. lontana negativa, la forza con la quale le particelle
Si può verificare che lo strumento è carico positi- positive sono attratte, che dipende dalla distanza,
vamente avvicinando a questo una carica negativa: è seppur di poco, maggiore della forza con la quale
questa sposta altre cariche negative verso le foglie sono respinte quelle piú lontane dello stesso segno.
che annullano la carica positiva presente. Se invece Il risultato è che la forza, in questi casi, risulta sem-
si avvicina una carica positiva accade il contrario: pre essere di tipo attrattivo perché le particelle dello
l’angolo formato dalle foglie aumenta per via del stesso segno della carica che si avvicina a un corpo
fatto che le cariche negative pur presenti sulle foglie neutro sono sempre piú lontane da questa rispetto
sono richiamate verso la sommità dell’asta aumen- a quelle di segno opposto.
tando il grado di carica positiva complessivo della L’unico problema in questo modello consiste nel
foglie. fatto che la carta è un isolante perciò in essa il mo-
to delle cariche se non impossibile dovrebbe comun-
que essere difficile. Esiste comunque una possibilità
26.5 Polarizzazione di spiegare il fenomeno in questo modo ammetten-
do che le particelle di cui è formata la carta siano
Le osservazioni sull’induzione elettrostatica ci per-
polari: in un modello estremamente semplificato si
mettono d’interpretare il fenomeno che porta og-
potrebbe pensare che, al fine di mantenere neutri i
getti neutri a essere attratti dalle cariche elettriche.
corpi le particelle di cui sono composti siano lega-
Quando infatti avviciniamo il palloncino caricato at-
te tra loro in modo tale da formare composti elet-
traverso lo strofinío a dei pezzettini di carta questi
tricamente neutri. Nel caso piú semplice possiamo
ne vengono attratti pur senza essere stati preventi-
pensare alla singola particella di carta come a un
vamente caricati. Naturalmente potrebbe anche es-
oggetto composto, a sua volta, di una particella po-
sere che la carta possieda di per sé una carica elet-
sitiva e una negativa che si trovano stabilmente a

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26.6. IL PROCESSO DI ELETTRIZZAZIONE 295

una certa distanza l’una dall’altra a formare quello Il lavoro fatto dalle forze di attrito potrebbe esse-
che si chiama un dipòlo. re responsabile del fatto che una parte dell’energia
Quando si avvicina una carica negativa a un dipo- cosí ceduta al corpo è usata da questo per compie-
lo, sull’estremità positiva si ha una forza attrattiva re il lavoro necessario a liberare alcune cariche che
e su quella negativa una forza repulsiva. Dovendo passano dall’uno all’altro corpo lasciando entrambi
mantenere fissa la distanza tra le cariche, il dipolo carichi di carica opposta.
tenderà quindi a ruotare in modo tale da esporre Questa spiegazione permette d’interpretare il pro-
verso la carica inducente l’estremità positiva, men- cesso di carica per strofinío, ma non i fenomeni che
tre quella negativa si disporrà in modo da allineare abbiamo visto nell’introduzione a questo capitolo:
l’asse del dipolo con la retta che lo congiunge al- alcuni materiali, infatti, sembrano possedere una ca-
la carica inducente. In questo modo la carica po- rica elettrica propria in ogni caso e sembrano non
sitiva è comunque piú vicina (anche se di pochis- scaricarsi mai. La carica elettrostatica presente su
simo) a quella inducente, che è sempre di segno certi tipi di materiali permette a questi materiali
opposto, e questo può provocare il moto degli og- di aderire praticamente a ogni superficie, indipen-
getti se i dipoli di cui è costituito sono in numero dentemente dalla natura isolante o conduttrice del
sufficiente a produrre una forza macroscopicamente materiale o dallo stato di carica di questa.
apprezzabile. Sebbene su praticamente tutti i libri di fisica si
continui a scrivere che il processo di carica di un
materiale sia dovuto allo sfregamento, gli esperti so-
26.6 Il processo di elettrizza- no concordi nel ritenere che il processo rilevante non
zione sia l’attrito, ma il semplice contatto. Chimici, fisici
e ingegneri che lavorano nell’industria degli adesivi
A questo punto possiamo interpretare in maniera sanno che le colle funzionano grazie al fatto che tra
relativamente semplice quel che accade nel processo la colla e il substrato sul quale è depositata si pro-
di elettrizzazione: sfregando la superficie di un ma- ducono forze elettriche molto intense grazie al sem-
teriale si cede energia alle particelle di cui è com- plice contatto tra materiali diversi. È il contatto
posto. Una parte di quest’energia è spesa dalle par- che provoca il passaggio di carica da un corpo al-
ticelle per aumentare la propria energia cinetica e l’altro e non l’attrito. Lo strofinío serve soltanto ad
quindi aumentare la temperatura del corpo. Un’al- amplificare l’effetto: l’amplificazione è parzialmen-
tra parte dell’energia può essere spesa per compiere te dovuta al fatto che entrambi i corpi guadagnano
il lavoro necessario a liberare le cariche elettriche energia dal processo, aumentando la probabilità del
che devono essere organizzate in dipoli, quadrupoli, passaggio di carica da un corpo all’altro; in buona
etc.. Le componenti di un corpo esteso devono es- parte lo strofinío ha il solo scopo di aumentare la
sere neutre fino a dimensioni molto piccole perché superficie effettiva di contatto tra i corpi. Se potes-
altrimenti dividendo un corpo in pezzettini piccoli simo vedere la superficie di due corpi che scivolano
a un certo punto si dovrebbero osservare pezzetti- l’uno sull’altro molto da vicino ci accorgeremmo che
ni elettricamente carichi e questo non accade mai. tali superfici non sono affatto lisce come sembrano:
Queste componenti possono essere neutre se sono presentano numerosi avvallamenti e molte punte. La
composte di particelle neutre a loro volta oppure di superficie effettiva di contatto tra due corpi dunque
coppie di particelle cariche legate tra loro. Il legame è piccolissima, ma facendoli scivolare uno sull’altro
tra queste particelle dev’essere dovuto a una forza si aumenta questa superficie, sia perché si sposta-
di tipo elettrico e per allontanare l’una dall’altra fi- no le valli e le punte in posti diversi sia perché
no a spezzare questo legame è necessario compiere la profondità di queste valli si riduce e la superfi-
un lavoro. cie di contatto aumenta grazie allo schiacciamento
conseguente.

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26.8. ALTRI FENOMENI RILEVANTI 296

Il nastro adesivo tende ad accartocciarsi su sé dalle altre. Il modo piú efficace di tenersi il piú lon-
stesso perché quando lo si strappa dal rotolo una tano possibile da tutte le altre cariche consiste nel
parte delle cariche elettriche presenti è rimasta at- raggiungere la superficie del conduttore e disporsi
taccata al rotolo e questo rende la striscia elettrica- in modo tale da produrre una distribuzione di ca-
mente carica. Lo stesso fatto che sia adesivo è dovu- rica tale da annullare le forze che ciascuna esercita
to al fatto che le cariche elettriche presenti su una sull’altra.
delle superfici passano facilmente nel corpo sul quale Nei conduttori dunque le cariche elettriche (quel-
è apposto producendo uno sbilanciamento di cariche le in eccesso, naturalmente) si dispongono sempre
che provoca intense forze elettriche tra il nastro e la in maniera da raggiungerne la superficie: all’interno
superficie sulla quale è applicato. del conduttore non possono esserci cariche elettriche
Il passaggio di cariche può essere piú o meno ef- libere. Se il conduttore è cavo, le cariche si dispon-
ficace, secondo il tipo di materiali che vengono a gono sempre lungo la superficie esterna del condut-
contatto, ma è pur sempre dovuto a questo. Non do- tore perché questa è quella che rende massima la
vremmo quindi pensare al processo di elettrizzazio- distanza tra tutte le cariche. Un conduttore carico
ne come a un processo in cui l’attrito gioca un ruolo dunque rappresenta uno schermo elettrostatico:
fondamentale. È il semplice contatto a generare l’e- al suo interno è impossibile trovare cariche elettri-
lettrizzazione e gli esperti rifiutano il concetto di tri- che libere. Se ve ne fossero queste raggiungerebbero
boelettricità in favore di quello di elettrizzazione ben presto la superficie esterna lasciando l’interno
per contatto. neutro. Un involucro di metallo quindi costituisce
Spiegare perché il contatto provochi il caricamen- un dispositivo in grado di impedire a qualsiasi og-
to non è difficile alla luce del modello che abbia- getto si trovi al suo interno di sentire gli effetti delle
mo fatto della struttura della materia. Le particelle forze elettriche.
di cui sono composti i corpi sono, almeno parzial- Questo dispositivo funziona anche se sulla sua su-
mente, elettricamente cariche. Avvicinando particel- perficie sono presenti aperture: in ogni caso le cari-
le cariche di un corpo a quelle cariche di un altro si che si distribuiscono lungo la porzione di superficie
producono forze elettriche che possono essere suffi- piú esterna. Una gabbia metallica, per esempio,
cientemente intense da strappare le cariche da un funziona altrettanto bene e non a caso gli scher-
corpo all’altro provocando lo sbilanciamento. Affin- mi elettrostatici si chiamano anche gabbie di Fa-
ché un corpo di un materiale A si carichi è quindi raday, dal nome di Michael Faraday che dimostrò
necessario che venga in contatto con un materiale sperimentalmente questo principio [?].
B e che sia facile strappare cariche dal materiale A
mentre risulti difficile per B o viceversa.
26.8 Altri fenomeni rilevanti
26.7 Schermo elettrostatico In qualche caso vi sarà capitato di generare scintil-
le togliendo un indumento oppure avvicinandovi a
Nei materiali conduttori, almeno una parte delle ca- qualche altra persona o a un oggetto di metallo. Se
riche elettriche sono libere di muoversi. Supponiamo ci fate caso vedrete che le scintille solitamente scoc-
quindi di prendere un conduttore e di dotarlo, per cano in prossimità di qualche punta come quella di
induzione o per contatto, di una carica elettrica in una chiave (Filmato 26.1). Le scintille sono sicura-
eccesso, per esempio negativa. mente un fenomeno legato alla presenza di cariche
Se inizialmente le cariche possono essere dispo- elettriche. Si possono, infatti, generare quando due
ste in qualunque maniera, tra queste si esercitano oggetti elettricamente carichi si avvicinano l’uno al-
forze di tipo elettrico repulsive che tenderanno a fa- l’altro. Un dispositivo didattico molto scenografico
re in modo che queste si allontanino tutte le une è il cosí detto elettroforo di Volta. L’elettrofo-

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26.8. ALTRI FENOMENI RILEVANTI 297

filmato non riproducibile su questo sua carica era praticamente inesauribile.


supporto: digita l’URL nella caption o Ciò significa che le scintille emesse da noi sono do-
scarica l’e-book vute a fenomeni elettrostatici derivanti dal contatto
Figura 26.1 Avvicinandosi a una serratu- con indumenti di materiali particolari (sintetici) con
ra con una chiave in mano la pelle o con altri tessuti oppure dal contatto tra le
in certi casi possono scoccare
scintille [todo].
scarpe e il suolo o con altri materiali (per esempio il
tappetino dell’automobile, che a sua volta si carica
grazie al contatto tra gli pneumatici e l’asfalto).
Le scintille si verificano per lo piú se il tempo è
ro è costituito di un disco di plexiglass sul quale si secco: evidentemente l’umidità rende piú difficile il
appoggia un disco metallico dotato di un manico moto delle cariche oppure ne ostacola l’accumulo.
isolante.
Inizialmente si carica il disco di plexiglass strofi-
nandolo con la carta. Quindi si appoggia su questo
il disco di metallo. Il contatto tra il disco di metal-
lo e quello di plexiglass è molto poco efficace: per
quanto lisce le due superfici vengono in contatto ef-
fettivo solo in pochissimi punti. Il disco di metallo
quindi si polarizza: le cariche positive sono attratte
sulla faccia inferiore dalla carica negativa del plexi-
glass, mentre quelle negative sono spinte verso la
faccia superiore. Toccando con un dito o con qual-
che punta metallica (meglio: può non essere piacevo-
le toccare il disco con un dito) la faccia superiore si
scarica, spesso con una sonora scintilla. Rimuoven-
do quindi il disco grazie al manico isolante, questo
rimane carico e si può usare per caricare un elettro-
scopio. Basta avvicinare il disco all’estremità di un
elettroscopio per veder partire una potente scintil-
la. Subito dopo la scintilla l’elettroscopio si carica e
il disco si scarica. È quindi evidente che le scintille
sono un fenomeno che si verifica quando una consi-
stente quantità di carica si sposta violentemente da
un corpo all’altro.
È interessante osservare che, una volta eseguita
quest’operazione, rimettendo il disco metallico al
suo posto, questo si carica di nuovo senza bisogno
di strofinare nuovamente il plexiglass con la carta.
Il caricamento del disco metallico infatti non avvie-
ne per contatto, ma per induzione, quindi la carica
iniziale del disco di plexiglass non si riduce apprez-
zabilmente. In questo modo si può caricare un elet-
troscopio con quantità davvero grandi di carica. Per
questa ragione Alessandro Volta, l’inventore di que-
sto strumento, lo chiamò elettroforo perpetuo: la

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Unità Didattica 27
Il magnetismo

Alcuni oggetti presentano questa curiosa proprie- 27.1 Un po’ di esperimenti


tà: si attaccano ad altri oggetti di ferro oppure li
attraggono. In ogni città turistica trovate di sicu- Per i primi esperimenti useremo magneti del tipo
ro piccoli souvenir magnetici: si tratta di oggetti di quelli che attraggono oggetti in ferro. Se ne pos-
che hanno la capacità di restare attaccati a qual- sono trovare di forme e dimensioni varie: circolari,
siasi superficie ferrosa. Alcuni di questi (quelli che cubici, a forma di bastoncino o di ferro di caval-
solitamente hanno una specie di bottoncino per lo lo. Qualunque sia la forma di questi oggetti quello
piú a forma di disco incollato sul retro) attraggono che si può osservare avvicinandoli a un oggetto di
anche oggetti di ferro come chiodi, puntine da dise- ferro è che questo ne viene inevitabilmente attrat-
gno, etc.. Altri, che invece hanno una forma piatta to e, quando la distanza è sufficientemente picco-
e un aspetto che è una via di mezzo tra quello di la, vi s’incolla su un’estremità o su quella opposta.
un metallo e quello di una plastica, si attaccano alle Non succede praticamente mai che l’oggetto attrat-
superfici in ferro, ma non attraggono i chiodi o altri to si attacchi al magnete in un punto diverso (se
oggetti simili. accade basta una piccolissima perturbazione per far
Oggetti simili si trovano sugli sportelli dei mobi- cambiare posizione all’oggetto).
li, sulle cover di cellulari e tablet e qualche volta Un gioco per bambini abbastanza comune consi-
su monili vari come orecchini o finti piercing (finti ste di piccoli prismi magnetici di lunghezza e colore
perché si applicano sulla pelle senza la necessità di diversi e di una serie di sferette di ferro. Se si av-
praticare fori). vicina il prisma alla sfera questa si attacca a una o
In commercio potete trovare anche prodotti ma- all’altra estremità e mai in un punto della superficie
gnetici che hanno la consistenza di una pasta da laterale.
modellare, con cui si può giocare dando a questa Se poi si avvicinano due prismi si vede che que-
forme insolite facendole danzare usando un potente sti si attraggono a vicenda e si attaccano sempre
magnete al neodimio o sostanze liquide come il in maniera da mantenere i rispettivi assi allineati.
ferro fluido che assume forme bizzarre e si muove In certi casi, prima di attaccarsi uno dei due prismi
sotto l’effetto di un magnete posto all’esterno del ruota su sé stessa per esporre una particolare base
contenitore nel quale si trova. all’altro. Se marchiamo con un pennarello indelebile
Tutti questi oggetti si chiamano collettivamente le basi che vengono in contatto in questi casi, facen-
magneti. Quelli tra loro che sono capaci di atti- do diverse prove vediamo che accade sempre che le
rare oggetti in ferro presentano anche altre stra- basi che si toccano sono sempre o quelle marcate o
ne proprietà che andremo ad analizzare in questo quelle prive di marchio. Non accade mai che la base
capitolo. marcata di uno dei prismi si attacchi alla base non
marcata dell’altro.
Se poi si tengono i magneti con le dita e si prova
ad avvicinarli si percepisce chiaramente che, quando
27.2. I MAGNETI DA FRIGO 300

i prismi sono affacciati in modo da avere le basi mar- dalla distanza r, F = F (r), ma l’andamento della
cate rivolte l’una verso l’altra o viceversa, i magneti forza con la distanza appare molto complicato da
tendono ad attrarsi. Se invece si espongono una ba- descrivere con un’espressione matematica relativa-
se marcata e una non marcata i magneti tendono a mente semplice e difficilmente riusciremmo a scri-
respingersi. vere un’espressione valida per ogni tipo di magnete:
In sostanza i magneti sembrano interagire tra loro sicuramente dipende anche dalla forma di questo.
in due modi diversi: con una forza attrattiva o re- Una cosa abbastanza curiosa che accade è questa:
pulsiva, secondo il modo in cui sono affacciati l’uno se si uniscono due magneti mettendo in contatto due
all’altro. Inoltre, se avvicinati a oggetti che non sono poli opposti i due magneti si comportano come se
magneti, ma sono di ferro, li attraggono in ogni caso. fossero un unico magnete con due poli alle estremi-
Questo comportamento è indipendente dalla forma tà: non si sperimenta piú alcuna forza in vicinanza
assunta dal magnete che determina soltanto la po- dei due poli che inizialmente erano separati. Se in-
sizione delle facce che si respingono o si attraggono: vece si divide in due un magnete ciascuna sezione
nel caso dei prismi e dei cilindri queste coincidono diventa a sua volta un magnete con due poli: nel
con le basi del solido, anche quando questo è molto punto di divisione compaiono due poli opposti tra
basso come nel caso dei magneti di forma discoidale; loro e a quelli originariamente presenti sul magnete.
nel caso dei magneti a forma di ferro di cavallo i due Questo fenomeno si verifica a ogni ulteriore divi-
poli si trovano in corrispondenza delle estremità. sione per cui immaginando di continuare a dividere
I due poli di un magnete non sono uguali perché all’infinito un magnete si otterrebbero sempre ma-
affacciando a uno dei due un polo o l’altro di un gneti di lunghezza sempre minore, al limite tendente
secondo magnete questo si comporta diversamente. a zero, con due poli opposti.
Occorre dunque distinguerli e per farlo li indichere- Per quanto riguarda le altre specie di magneti vi-
mo con i nomi di polo Nord e polo Sud. Il nome ste nell’introduzione, il ferro fluido non è altro che
ha una derivazione chiaramente geografica perché polvere di ferro dispersa in un liquido oleoso, che
quel che si scopre facilmente è che l’ago di una bus- non si mescola con l’acqua. Il moto e la forma as-
sola, che punta sempre nella direzione Nord–Sud, ha sunta dal fluido dipende quindi dalle forze magne-
tutte le caratteristiche di un magnete: è, infatti, un tiche con le quali le minutissime particelle disperse
magnete. Quelli che abbiamo usato nei nostri espe- nel liquido sono attratte. Le paste magnetiche fun-
rimenti non si orientano nella direzione Nord–Sud zionano allo stesso modo: si tratta di un materiale
soltanto perché sono abbastanza pesanti da provo- cremoso all’interno del quale sono disperse innume-
care un attrito sufficiente a impedire loro di ruotare revoli piccolissime particelle di ferro o altro mate-
e disporsi come vorrebbero. riale sensibile alle forze di tipo magnetico. Gli effetti
Usando due bussole si può vedere (non è facile, collettivi delle forze magnetiche applicate a queste
data la forza piuttosto debole che si esercita tra loro) producono gli effetti che potete vedere nel Filma-
che avvicinando le tra loro le estremità delle bussola to ??. Non c’è quindi molto da imparare da que-
che puntano a Nord gli aghi si respingono, cosí come sti strumenti: sono spettacolari, ma non aggiungono
quando si avvicinano le estremità opposte. I due nulla o quasi alla nostra conoscenza del fenomeno.
aghi invece tendono ad avvicinarsi se si dispongono
in modo che il polo Nord dell’uno sia vicino al polo
Sud dell’altro. 27.2 I magneti da frigo
Diremo quindi che in presenza di due magneti si
Una particolare classe di magneti da frigorifero ha
osserva una forza repulsiva quando si espongono due
la proprietà di aderire alla superficie dei materiali
poli dello stesso tipo, mentre tra due poli opposti si
ferrosi, ma l’adesione può avvenire soltanto su una
manifesta una forza attrattiva.
delle due facce; due magneti di questo tipo, inoltre,
L’intensità F di questa forza dipende chiaramente

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27.2. I MAGNETI DA FRIGO 301

Figura 27.2 Una sequenza di Halbach.

un lato del magnete si sommano mentre dall’altro


si cancellano, come mostrato nella Figura 27.2.
Sulla faccia superiore l’alternanza di poli Sud e
Nord produce forze del tutto simili a quelle prodot-
te da una calamita1 ripiegata a ferro di cavallo:
in prossimità di quei poli le forze sono abbastanza
Figura 27.1 Un magnete da frigo è ana- intense. Sulla faccia inferiore i poli sono molto piú
lizzato tramite un foglio vi-
sualizzatore di campo ma-
ravvicinati e si ottiene lo stesso effetto che si ot-
gnetico. Si vede il modo in terrebbe piegando la calamita in modo da formare
cui sono disposti i magneti un anello: i due poli sono affacciati l’uno all’altro
a formare una sequenza di e si attirano a vicenda producendo nelle vicinanze
Halbach. L’immagine è stata soltanto forze piuttosto deboli.
concessa da K&J Magnetics.
Questo tipo di magneti, quindi, non è diverso da
quelli a bastoncino o a bottone visti nel paragrafo
precedente. Si tratta semplicemente di una dispo-
non si attraggono. Il fatto che il magnete aderisca sizione furba di magneti del primo tipo. Per capire
solo su superfici ferrose (o che contengono ferro al di come funzionano le forze magnetiche dunque sarà
sotto di quella esposta) rende abbastanza evidente sufficiente studiare i primi.
che la forza che lo trattiene è di natura magnetica.
Capire come funziona un magnete di questo tipo
non è però facile. Per capire come funzionano possia-
mo usare un foglio visualizzatore di campo ma-
gnetico (magnetic viewer sheet in inglese). Si trat-
ta di un dispositivo che si presenta come un foglio
traslucido. All’interno de foglio sono presenti mi-
croparticelle magnetiche che hanno la proprietà di
trasmettere la luce in modo diverso secondo l’inten-
sità di quella che per il momento possiamo chiama-
re forza magnetica, producendo un’immagine come
quella che si vede nella Figura 27.1.
Il foglio appare piú scuro vicino a un polo e piú
chiaro vicino al polo opposto. Dalla figura si capi-
sce che i poli del magnete da frigo sono disposti a
formare strisce di polarità opposta in una sequen-
za chiamata sequenza di Halbach dal nome del
fisico tedesco che l’ha inventata [?]. In una sequen-
za di Halbach tanti magneti sono disposti in modo
che due magneti adiacenti producano forze che da 1
un altro nome per i magneti.

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Unità Didattica 28
Campi di forze

Un certo numero di forze che si possono osserva- 28.1 Il concetto di campo


re in Natura, al contrario di quelle che sperimentia-
mo su noi stessi, che agiscono attraverso il contatto, Anche se non sappiamo dare una risposta a queste
sembrano agire a distanza. Le forze di tipo elet- domande possiamo ugualmente costruire una gran-
trostatico, per esempio, oppure quelle magnetiche; dezza fisica che non dipende da due corpi, come le
anche la forza peso sembra agire a distanza. forze, ma da uno solo, come dev’essere per qualcosa
Almeno queste forze dovrebbero avere qualcosa che esiste a prescindere dalla presenza di un altro
in comune tra loro e se le studiamo dal punto di corpo con le stesse caratteristiche.
vista delle proprietà generali forse riusciamo a ca- Iniziamo a occuparci delle forze elettriche che so-
pire qualcosa di piú sul modo in cui funziona l’Uni- no le piú semplici sulle quali fare misure. La forza
verso. Cominciamo col costruire qualche grandezza che si misura tra due cariche q1 e q2 vale
fisica che potrebbe aiutarci in quest’impresa. Lavo- q1 q 2
rando con le forze abbiamo sempre bisogno di due F=k r̂ . (28.1)
r2
sorgenti che interagiscono. Una cosa che si nota
Dividendo questa grandezza per la carica q2 si ottie-
abbastanza facilmente è che le sorgenti di un cer-
ne una grandezza che dipende soltanto da q1 e dalla
to tipo di forze sono anche quelle che le subiscono.
distanza da essa:
Una carica elettrica provoca su un’altra carica elet-
trica una forza di tipo elettrico. Un magnete attira q1
E=k r̂ . (28.2)
(o respinge) un altro magnete. r2
Come si sprigiona la forza tra due corpi? La cau- Chiamiamo questa grandezza campo elettrico.
sa della forza è presente solo nel momento in cui Dalla sua definizione si capisce che il campo elet-
due oggetti sono sufficientemente vicini oppure esi- trico non è altro che la forza per unità di carica che
ste anche quando in una certa regione di spazio sia la carica q1 è in grado d’imprimere a una carica q
presente un solo corpo? In altre parole supponiamo, qualunque. La forza in questione, in effetti, si trova
tanto per fissare le idee, che il corpo A sia elettrica- banalmente come
mente carico. Fino a quando non metto nelle vici-
nanze di A un corpo B ugualmente carico non può F = qE . (28.3)
accadere nulla, ma quando questo avviene la forza
promana da un corpo all’altro e viceversa perché l’u- È evidente dalla definizione che le dimensioni del
no, in qualche maniera, si accorge dell’altro, oppure campo E sono quelle di una forza divisa una carica,
i corpi sono già in uno stato tale per cui mettendo pertanto il campo elettrico si misura in N/C.
B vicino ad A questo ne subisce gli effetti non per- Possiamo però dare un’interpretazione piú fisica
ché sappia che c’è A vicino, ma per qualche altra a questa grandezza. Possiamo pensare che il cam-
ragione? po elettrico sia qualcosa che ogni carica elettrica è
in grado di produrre e che circonda completamente
28.2. LA RAPPRESENTAZIONE DEL CAMPO 304

la carica, estendendosi fino all’infinito. In sostan- principio di sovrapposizione.


za potremmo azzardare l’ipotesi secondo la quale lo Tutto sommato, quest’idea secondo la quale nello
spazio circostante una carica elettrica possiede una spazio che circonda un corpo c’è qualcosa prim’an-
proprietà speciale: quella di produrre forze su altre cora d’immergervi un altro corpo, dovrebbe esservi
cariche elettriche poste al suo interno, in virtú del abbastanza familiare. Sapete bene che un cellulare
fatto che tale spazio è riempito di campo prodotto funziona se c’è campo: ci dev’essere cioè una qual-
dalla carica q1 . Il campo, dunque, esiste a prescinde- che condizione nello spazio che lo circonda che gli
re dalla possibilità di misurarlo attraverso una mi- permette di funzionare. E questo qualcosa dev’es-
sura di forze con un’altra carica ed è prodotto da sere prodotto da una sorgente, indipendentemente
ogni carica. In assenza di carica elettrica il campo dalla presenza del cellulare: si tratta delle antenne
sarebbe nullo e lo spazio non avrebbe alcuna parti- delle società telefoniche. Analogo discorso vale per
colare proprietà. In questa interpretazione non è la il Wi–Fi.
carica B a interagire con la carica A: la carica B Se andate in aperta campagna o in alta montagna
interagisce col campo prodotto dalla carica A. o in una remota valle, invece, può capitare che non
Dagli esperimenti fatti, poi, sembra che un corpo ci sia campo perché nelle vicinanze non c’è alcuna
possa interagire col campo da esso stesso prodot- sorgente e il vostro dispositivo mobile non funziona.
to. Una carica elettrica produce un campo elettrico,
subendone gli effetti. Una particella neutra non pro-
duce campo elettrico e neanche ne subisce gli effetti. 28.2 La rappresentazione del
Un magnete produce un campo magnetico e ne è in- campo
fluenzato. I corpi non magnetici non solo non produ-
cono campo, ma messi nel campo magnetico di una Un campo è un vettore quindi graficamente si può
calamita non risentono di alcun effetto. Evidente- rappresentare come una freccia di lunghezza, dire-
mente la Terra produce un campo da cui i corpi che zione e verso opportuni. Dal momento però che il
vi si trovano sopra sono attratti. È quindi probabile campo riempie, pervade tutto lo spazio attorno al-
che la sorgente del campo che produce la forza peso la sua sorgente, rappresentarlo graficamente diventa
sia presente nei corpi, oltre che, naturalmente, nella difficile. Dovremmo disegnare un vettore in ciascun
Terra. punto dello spazio il che è impossibile. Naturalmen-
Se invece di avere due cariche elettriche ne aves- te potremmo disegnare i vettori campo soltanto in
simo tre, sulla carica q3 agirebbe una forza diretta certi punti, assumendo che tra l’uno e l’altro il cam-
lungo la congiungente q1 con q3 e una forza diret- po abbia un’intensità, una direzione e un verso che
ta secondo la retta passante per q2 e q3 . Il risulta- sono, tutto sommato, non troppo diversi da quelli
to sarebbe una forza complessiva pari alla somma rappresentati.
vettoriale delle due forze. Dobbiamo quindi pensare Un campo, di fatto, è una regione di spazio nella
che piú campi, ciascuno prodotto da una sorgente, quale si può pensare di poter misurare una gran-
si possono sommare nello stesso punto, cioè che dezza vettoriale, quindi una qualunque situazione
di questo tipo può rappresentare un campo. Se per
N
X esempio si vuole rappresentare graficamente il ven-
E (r) = Ei (r − ri ) , (28.4)
to presente in una certa regione del globo, si può
i=1
disegnare un campo vettoriale di velocità del-
dove Ei rappresenta il campo della sorgente i–esima l’aria: in ogni punto dello spazio l’aria si sposta
nel punto r, che dipenderà dalla distanza tra questo con una certa velocità che possiamo rappresentare
punto e quello ri dove si trova la sorgente. graficamente con un vettore anche soltanto in certi
Il fatto che i campi si possano sommare vetto- punti discreti, scelti opportunamente (possiamo sia
rialmente nello stesso punto si indica col nome di

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28.2. LA RAPPRESENTAZIONE DEL CAMPO 305

Figura 28.2 Il campo della forza peso è


uniforme: i vettori del cam-
po sono tutti rivolti nella
stessa direzione e hanno tut-
ti lo stesso modulo. In ascissa
ci sono le coordinate misura-
te in qualunque unità e in or-
dinata le altezze dal suolo in
metri.

una curva che sia sempre tangente al campo dov’è


Figura 28.1 Il campo di velocità del ven-
to in Italia di lunedií 14 mar- disegnato e supponiamo che lo sia anche laddove il
zo 2016. Le frecce indicano campo non è stato disegnato. Le curve cosí ottenu-
direzione e verso del cam- te prendono il nome di linee di forza. Una linea
po di velocità. Le barrette di forza dunque è una curva che ha la proprietà di
trasversali indicano il modu-
essere sempre tangente al campo e quindi alla for-
lo del vettore. L’immagine è
stata presa dal sito dell’Aero- za che eventualmente un corpo sentirà se messa nel
nautica Militare all’indirizzo campo. La direzione della linea di forza dunque è
http://www.meteoam.it/. quella dell’accelerazione del corpo.
Dovremmo discutere anche il verso da attribuire
al campo. Per certi campi è ovvio: per esempio, nel
scegliere un reticolato regolare sia scegliere arbitra- caso del campo prodotto dalla Terra nel quale
riamente i punti nei quali rappresentare il campo: cadono i corpi, è evidente che il campo è diretto
l’informazione che se ne ottiene è grosso modo la verso il basso (Fig. 28.2). Il campo della forza peso
stessa). Nella Fig. 28.1 si vede la mappa vettoria- si dice uniforme: con questo termine s’intende che
le del vento in Italia, nella quale le frecce circolari il modulo, la direzione e il verso del campo sono
rappresentano luoghi nei quali il vento è a carattere uguali in tutti i punti dello spazio. In questo caso
locale e non se ne può determinare direzione e verso la rappresentazione in termini di linee di forza è
precisi. facilissima: le linee sono tutte verticali e parallele
Un’altra maniera di rappresentare il campo po- tra loro. Le linee si orientano in modo da puntare
trebbe essere la seguente: una volta disegnati i vet- verso il basso.
tori in certi punti discreti dello spazio uniamoli con Poiché la forza peso che agisce su una massa m

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28.2. LA RAPPRESENTAZIONE DEL CAMPO 306

si scrive P = mg, il campo, che non deve dipendere


dalla grandezza su cui si misura la forza, deve valere
F
G= m = g.
Facciamo notare che benché G sia un campo co-
me E non ha le stesse dimensioni fisiche di que-
st’ultimo. Il campo della forza peso in effetti ha le
dimensioni di un’accelerazione e si misura in ms−2 .
Il fatto che entrambe le grandezze siano campi non
significa che siano della della natura! Significa so-
lo che hanno proprietà in comune, cosí come tutti
i vettori sono vettori, ma alcuni rappresentano una
velocità, altri una forza, etc..
Questa semplice osservazione ci fa capire che se la
sorgente del campo elettrico è la carica elettrica, Figura 28.3 Il campo elettrico prodotto
da una carica positiva pun-
quella della forza peso è la massa. La forza peso tiforme posta alle coordina-
dunque deve dipendere dal fatto che la Terra pesa. te (0, 0) rappresentato co-
Nel caso dei campi elettrici o dei campi magnetici, me una mappa vettoriale. In
questi possono essere attrattivi o repulsivi. Quello ascissa e in ordinata ci sono
le coordinate spaziali in unità
che si fa in questi casi è decidere un verso arbitrario
arbitrarie.
per una sorgente di un certo tipo: il verso della forza
dipenderà dall’altra sorgente. Nel caso dei campi
elettrici, per esempio, si sceglie di rappresentare il
campo elettrico come uscente dalle cariche positive dell’altra, e sommarli. Quelli che otterrete saranno
ed entrante in quelle negative, coerentemente con la i campi elettrici della distribuzione di carica co-
definizione stituita di due cariche puntiformi a distanza d l’u-
na dall’altra (che formano, quando sono uguali e
(28.5) contrarie, quel che si chiama un dipòlo elettrico).
Q
E = k 2 r̂
r Farlo a mano non è difficile, ma è un’operazio-
se si prende Q > 0 e se le distanze si misurano ne molto lunga. Quel che potete fare è calcolare
a partire dalla sorgente del campo. Mettendo una i campi usando, ad esempio, un foglio elettronico.
carica positiva q nel campo della prima, la forza che Disponiamo le nostre due cariche elettriche su un
subirà sarà piano e scegliamo un sistema di riferimento con l’o-
rigine a metà dell’asse congiungente le cariche che
qQ
qE = k 2 r̂ (28.6) coincide con l’asse 1 del sistema, in modo che ab-
r biano rispettivamente coordinate d
e

x A = 2
, 0, 0
repulsiva. Se q < 0 invece la forza ha segno opposto xB = − d2 , 0, 0 .

ed è attrattiva. Se il campo si rappresenta con il Calcoliamo la componente 1 del campo elettrico
metodo delle linee di forza basta orientare le linee EA (x, y, 0) prodotto nel punto di coordinate (x, y, 0)
opportunamente per conoscere il verso del campo. dalla carica QA che si trova nel punto xA . Questa
Disponendo di due cariche elettriche relativamen- vale
te vicine, in ogni punto dello spazio circostante ci
sarà la somma vettoriale dei campi elettrici prodot- QA
E1A (x, y, z) = k 2 r̂1 . (28.7)
ti da ciascuna. Per capire com’è fatto il campo quel r
che dovete fare è disegnare in ogni punto i vettori La distanza r2 è facile da calcolare: r2 = x − d 2 +

2
campo di ognuna, indipendentemente dalla presenza y 2 . Il versore r̂ si trova dividendo il vettore r che

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28.2. LA RAPPRESENTAZIONE DEL CAMPO 307

congiunge il punto xA con il punto di coordinate


(x, y, 0) per il suo modulo. Il vettore r ha coordinate
 
d
r = x − , y, 0 (28.8)
2
e il suo modulo è uguale a r. Perciò il versore r̂ è
 
1 d
r̂ = x − , y, 0 (28.9)
r 2
la cui prima componente è quindi
 
1 d
r̂1 = x− . (28.10)
r 2
Figura 28.4 Il campo elettrico prodotto
In definitiva la prima componente del campo pro- da un dipòlo rappresentato
dotto da QA nel punto di coordinate (x, y, z) come una mappa vettoriale.
è
 
QA d
A
E1 (x, y, z) = k 3 x − . (28.11) che vi permette di disegnare vettori in maniera sem-
r 2 plice. Se fate un file con quattro colonne di numeri
A questo punto è facile calcolare le altre coordinate in cui i primi due numeri di ciascuna riga rappre-
che saranno sentano le coordinate di un punto del piano, men-
tre le ultime due sono le componenti orizzontale e
QA
(28.12) verticale dei due numeri, con il comando
A 1
E2 (x, y, z) = k 3 y
r
e E3 = 0. Per quanto riguarda il campo prodotto plot 'file' with vectors
da QB avremo
  vedrete la mappa del campo rappresentata con un
QA d
B
E1 (x, y, z) = k 3 x + (28.13) insieme di vettori distribuiti sul piano, come nella
r 2 Figura 28.4, nella quale, per rendere il tutto piú visi-
(l’unica cosa che cambia rispetto a prima è il segno bile, abbiamo normalizzato le lunghezze dei vettori
della prima coordinata di xB ), mentre E2B (x, y, z) = in modo da renderle tutte uguali (i vettori piú vici-
E1A (x, y, z) ed E3B (x, y, z) = 0. ni alle cariche, rappresentate come quadratini blu,
Per ogni punto di coordinate (x, y, z) dobbiamo dovrebbero essere piú lunghi).
sommare le rispettive coordinate dei due campi per Immaginando di disegnare curve tangenti a ogni
ottenere che vettore si capisce che il campo di un dipòlo, rappre-
sentato usando le linee di forza, è quello che si vede
nella Figura 28.5.
Ei (x, y, z) = Ei (x, y, z) + Ei (x, y, z) (28.14)
A B
Nel caso dei campi magnetici, poiché gli aghi
si orientano sempre in direzione del campo nella di-
con i = 1, 2, 3. Definite a questo punto un reticolato rezione Nord–Sud, è evidente che il vettore campo
di punti con passo regolare e calcolate i campi co- magnetico dev’essere tangente alla posizione assun-
me sopra descritto, quindi disegnateli su un foglio. ta dall’ago. Le linee di forza dunque sono tangenti a
Il programma gnuplot è un programma di visualiz-
zazione di dati gratuitamente disponibile sulla rete
1
nel comando file rappresenta il nome che avete dato al
file contenente i dati.

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28.2. LA RAPPRESENTAZIONE DEL CAMPO 308

Figura 28.5 Il campo elettrico prodot- Figura 28.6 Il campo magnetico della
to da un dipòlo nella rap- Terra dev’essere prodotto da
presentazione delle linee di qualche magnete che si tro-
forza (da Wikimedia Com- va al suo interno, il cui po-
mons. Copyright © 2010 lo Sud deve trovarsi al Polo
Geek3 distribuito con licenza Nord geografico (da Wikime-
GNU-FDL). dia Commons. Copyright ©
2010 Geek3 distribuito con
licenza GNU-FDL).

queste posizioni e si sceglie il polo Nord come pun-


to da cui il campo esce e il polo Sud quello in cui
entra. Vale la pena osservare che un ago magnetico (tipicamente il Tesla, o meglio uno dei suoi sotto-
punta verso il Nord geografico dal lato marcato N. multipli) misurato lungo le tre direzioni corrispon-
Poiché questo lato è, per convenzione, il polo Nord denti alla larghezza, alla lunghezza e allo spessore
di un magnete, al polo Nord geografico deve trovarsi del telefono. Spostandovi in diversi punti dovreste
il polo Sud magnetico della Terra e viceversa. poter leggere questi valori e riportarli su una map-
La Fig. 28.6 mostra la rappresentazione del cam- pa o su un foglio insieme alle coordinate geografiche
po magnetico terrestre con le linee di forza. Potete (che potete ottenere, se l’avete, dal GPS integrato
ottenere una mappa vettoriale del campo magnetico nel telefono). Di solito la misura di questo campo
terrestre in modo relativamente semplice (si tratta fluttua molto rapidamente: i numeri cambiano in
di una procedura un po’ lunga, ma non difficile). continuazione con una certa rapidità. Ciò è dovu-
Non è difficile trovare un’App per smartphone che to, oltre che alle normali fluttuazioni statistiche del
consente di visualizzare i dati dei sensori presenti nel sensore, anche al fatto che nelle nostre città sono
dispositivo. Su quasi tutti i moderni apparecchi c’è presenti numerosi campi magnetici variabili dovuti
anche un sensore di campo magnetico che il dispo- ai segnali Wi–Fi e dei telefoni cellulari. Anche al-
sitivo usa per orientarsi quando fa da navigatore. I cuni elettrodomestici e i motori possono contribuire
sensori di campo forniscono tre numeri, che rappre- alla produzione di campi magnetici. Facendo l’espe-
sentano le componenti del campo in qualche unità rimento in luoghi in cui il campo delle compagnie
telefoniche è basso si ottengono risultati piú stabili.

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28.2. LA RAPPRESENTAZIONE DEL CAMPO 309

In alcuni casi le App in questione dànno la possi- te fatte misure definitive sull’argomento. Se volete
bilità di registrare in qualche maniera i valori del sapere perché mai la rotazione del nucleo dovreb-
campo a un dato istante. Basta prenderne un po’ e be produrre un campo magnetico dovete studiare il
fare le medie per ottenere valori abbastanza buoni. Capitolo ??.
Noi abbiamo misurato per dieci volte il campo e Ogni magnete, qualunque ne sia la forma, si può
abbiamo calcolato la media delle tre componenti ot- sempre pensare come costituito da piccoli microsco-
tenendo 23.8±2.0, 28.8±0.8 e −44.6±1.4 µT, rispet- pici magneti a bastoncino, i quali hanno sempre due
tivamente. L’intensità del campo si trova sommando poli simmetrici. Dal momento che i due poli sono del
i quadrati di queste componenti ed estraendo la ra- tutto identici l’uno all’altro, salvo che per il verso
dice quadrata. Si ottiene cosí B = 54.6±1.4 µT, che del campo magnetico che entra o esce, le linee di
torna con il valore noto del campo magnetico terre- forza di un magnete di questo tipo devono necessa-
stre che è dell’ordine di 50 µT, alle nostre latitudini. riamente essere simmetriche. Difficile pensare a un
La variabilità del campo terrestre è piuttosto ampia magnete perfettamente simmetrico che presenti un
e va dai circa 25 ai circa 65 µT2 . campo piú intenso al polo Nord che al polo Sud o
È utile osservare che nel caso dei campi magne- viceversa. In effetti tutti gli esperimenti che si pos-
tici è molto difficile darne una definizione operativa sono fare mostrano che il campo vicino al polo Nord
simile a quella che abbiamo dato per altri campi. è assolutamente identico a quello vicino al polo Sud,
Negli altri casi abbiamo definito il campo come il tranne che per il verso. Di conseguenza ogni linea di
rapporto tra la forza subíta da un corpo che inte- forza che esce dal polo Nord, per quanto tortuoso
ragisce con un altro e la grandezza fisica che carat- possa essere il suo cammino, prima o poi deve rien-
terizza il corpo in questione omogenea alla sorgente trare nel polo Sud, in maniera tale che il numero
del campo. Per esempio, la carica elettrica è la sor- di quelle che escono dal primo sia uguale a quello
gente del campo elettrico che si trova dividendo la di quelle che entrano nel secondo. Se cosí non fosse
forza subíta da una carica divisa per il valore di alcune linee di forza potrebbero uscire da un polo e
questa; la massa è la sorgente del campo della forza finire per entrare chissà dove in un punto S 0 . Affin-
peso e quindi il campo si trova dividendo la forza ché il polo opposto presenti lo stesso numero di linee
peso per la massa. Nel caso dei campi magnetici, di forza è allora necessario che altre linee di forza
mentre è facile determinare la direzione e il verso escano da un punto N 0 e raggiungano il magnete
delle linee di forza usando un ago magnetico, non che stiamo considerando entrando nel polo giusto.
è per niente facile stabilire quanto sia intensa la Nessuno è mai riuscito a osservare quello che si chia-
sorgente. Non è per nulla facile, infatti, identificare merebbe un monopólo magnetico, quindi punti
la sorgente del campo magnetico. dello spazio nei quali entrano o dai quali escono li-
Un modo alternativo di rappresentare un campo nee di forza in assenza di un magnete non esistono,
consiste nell’usare un codice di colori che ne rappre- per quanto ne sappiamo. Anche se esistessero, i due
senti l’intensità. In questo modo si perde l’informa- punti S 0 e N 0 si comporterebbero esattamente come
zione relativa alla direzione e al verso del campo, i poli Sud e Nord di un altro magnete e quindi in
ma si possono sovrapporre piú mappe (per esempio ogni caso il numero di linee di forza uscenti da un
una in codice di colori e una con le linee di forza) magnete sarebbe uguale a quello delle linee entran-
per avere una rappresentazione efficace e completa. ti. Poiché finora nessuno è stato capace di osservare
L’origine del campo magnetico terrestre è tuttora un monopòlo ne concludiamo che la regola vale per
poco nota. Si suppone che sia dovuto alla rotazione ogni campo magnetico prodotto da ogni dispositi-
di un nucleo di metallo fuso che dovrebbe trovarsi al vo in grado di generarlo, che necessariamente deve
centro del nostro pianeta, ma non sono ancora sta- avere due poli.
2
Dati dell’osservatorio geologico britannico.

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28.2. LA RAPPRESENTAZIONE DEL CAMPO 310

Campi esotici
I campi descritti in questo capitolo sono solo
quelli che si possono sperimentare abbastanza
facilmente nella vita quotidiana. Oggi sappia-
mo che esistono almeno altri due campi: quello
forte e quello debole. Il primo è prodotto dal-
le particelle che costituiscono il nucleo atomico:
i quark, che a loro volto sono i costituenti dei
protoni e dei neutroni. La sorgente del campo
forte è la carica di colore. A questo campo, ge-
nerato dai quark, sono sensibili gli stessi quark
che subiscono una forza molto intensa (per que-
sto si chiama forte) che è quella che consente
al nucleo atomico di esistere: se non ci fosse la
forza forte i protoni che lo costituiscono si re-
spingerebbero l’un l’altro per effetto del campo
elettrico e il nucleo esploderebbe.
La forza debole è responsabile delle interazioni
che hanno i neutrini con la materia e dei de-
cadimenti radioattivi degli atomi e delle parti-
celle subatomiche instabili. Se non esistesse il
campo debole, che produce la forza omonima, i
neutrini non interagirebbero minimamente con
la materia perché non hanno massa (e quindi
non risentono del campo gravitazionale) e non
hanno carica elettrica (quindi non subiscono la
forza elettrica): non possedendo carica elettrica
non possono nemmeno risentire della forza ma-
gnetica che, anche se in questo capitolo non è
evidente, richiede una carica elettrica non nulla
per agire.

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Unità Didattica 29
Un importante Teorema

la carica elettrica puntiforme. In questo caso il cam-


po nella rappresentazione delle linee di forza si vede
nella Fig. 29.1.
Man mano che ci si allontana dalla carica la den-
sità delle linee di forza diminuisce. Al contrario, nel
caso della forza peso, la densità delle linee di forza
è costante in tutti i punti dello spazio. La rappre-
sentazione è necessariamente bidimensionale, ma il
campo è tridimensionale e quel che si deve imagina-
re è che tutte le rappresentazioni si estendano nelle
tre dimensioni. Nel caso della forza peso il campo
è uniforme in ogni direzione e il numero di linee di
forza che attraversa una superficie qualunque (per
esempio di forma rettangolare) è proporzionale alla
superficie stessa. Quindi la densità di linee di forza,
che si trova dividendo il numero di linee di forza
che attraversano una superficie per l’area di que-
Figura 29.1 Il campo elettrico nella rap- sta superficie, è sempre la stessa, qualunque sia la
presentazione delle linee di
forza di una carica punti-
superficie che provate a far attraversare dal campo.
forme positiva (da Wikime- Nel caso della carica puntiforme potete immagi-
dia Commons. Copyright © nare di disegnare superfici di forma sferica centrate
2010 Geek3 distribuito con sulla carica. In questo caso il numero di linee di for-
licenza GNU-FDL). za che attraversano questa superficie è sempre lo
stesso, perché tutte le linee di forza uscenti dalla
carica prima o poi raggiungeranno la superficie. Ma
Guardando la rappresentazione di un campo fat- la densità ρ non è costante. Infatti, se disegniamo
ta con le linee di forza ci si rende conto facilmente N linee di forza uscenti dalla carica (dove N è un
che anche in questa rappresentazione si può dare numero a piacere), il rapporto tra questo numero e
una misura dell’intensità del campo. Consideriamo la superficie dipende dal raggio della sfera r:
inizialmente un caso semplice, come il campo della
forza peso. Il campo in questione è uniforme e le N
ρ= . (29.1)
linee di forza sono tutte parallele le une alle altre. È 4πr2
abbastanza naturale disegnarle a distanze regolari La densità delle linee di forza in questo caso va come
l’una dall’altra. 1/r2 , esattamente come il campo. Quindi laddove le
Un altro caso relativamente semplice è quello del- linee di forza sono piú fitte il campo è piú intenso e
viceversa. Un’altra maniera di vedere la stessa co-
312

sa consiste nello scegliere una superficie qualunque Se però disponiamo la superficie in verticale nean-
e misurare il numero di linee di forza che l’attra- che una delle linee di forza l’attraverserà e dovrem-
versano: maggiore è questo numero, piú intenso è il mo concluderne che Φg (S) = 0! È evidente quindi
campo. Questa misura del campo si potrebbe quindi che indicare solo l’estensione della superficie non è
definire come sufficiente per dare una misura di questa grandezza.
Dobbiamo scegliere una definizione che tenga con-
Φ(S) = N · S (29.2) to dell’angolo formato tra la direzione del campo
dove N rappresenta il numero di linee di forza che (che nel caso di g è sempre verticale) e la superfi-
attraversano la superficie S. Notiamo però che in cie. Ma la superficie non ha una direzione. O, forse,
questa misura il numero di linee di forza da cui Φ(S) ne ha infinite: tutte le rette che giacciono sulla su-
dipende è del tutto arbitrario. Di conseguenza lo perficie, comunque orientate nello spazio, sarebbero
sarebbe anche il valore di questa grandezza fisica equivalenti. Quale scegliere? Ogni scelta condurreb-
che, inoltre, sarebbe indipendente dalla natura del be a una definizione diversa di Φ. C’è però una di-
campo: il valore di Φ(S) di un campo magnetico rezione comune a tutti i punti della superficie, che è
avrebbe le stesse dimensioni fisiche (quelle di una la direzione perpendicolare a essa. Possiamo perciò
superficie) del valore di Φ(S) di un altro campo, definire la direzione della superficie come quella
come quello elettrico. della retta perpendicolare a questa.
Una misura piú fisica di questa quantità la si po- Ora dobbiamo trovare la maniera di calcolare il
trebbe ottenere misurando, piú che il numero di prodotto tra il campo e la superficie che dipende dal-
linee di forza, l’intensità del campo che passa at- l’angolo tra il campo e la direzione della superficie. Il
traverso la superficie. In questo modo potremmo risultato dev’essere nullo se la superficie è parallela
definire al campo, cioè se la sua direzione è perpendico-
lare al campo. E dev’essere massimo e pari a gS nel
ΦF (S) = F · S (29.3) caso in cui la direzione della superficie sia paralle-
la al campo. Il prodotto scalare tra due vettori ha
dove F rappresenta il campo cui siamo interessati. proprio questa proprietà: è nullo quando due vettori
Per il campo della forza peso g avremmo sono perpendicolari e massimo quando sono paralle-
li. Potremmo allora definire un vettore superficie
Φg (S) = gS , (29.4) orientato in maniera da risultare perpendicolare alla
per quello elettrico E stessa e avente come modulo la superficie stessa:

ΦE (S) = ES (29.5) S = S n̂ . (29.7)


e per quello magnetico B Il versore n̂ è un vettore di modulo unitario diret-
to perpendicolarmente alla superficie attraverso la
ΦB (S) = BS . (29.6) quale si calcola la grandezza Φ(S). Il verso di que-
sto vettore è arbitrario, ma questo non importa. La
C’è però un altro problema. Se definissimo in questo
grandezza che vogliamo definire può essere positiva
modo la grandezza Φ il suo valore dipenderebbe da
o negativa: l’importante è che il suo modulo sia lo
quale orientazione scegliamo di dare alla superficie.
stesso a parità di condizioni. In questo modo la gran-
Il caso piú evidente è quello del campo g. Scegliamo
dezza fisica che stiamo cercando di definire, a cui
di misurare Φ attraverso una superficie quadrata di
daremo il nome di flusso del campo F attraverso
lato L. Se disponiamo la superficie parallelamente al
la superficie S, potrebbe essere
suolo, le linee di forza del campo l’attraversano tutta
cosí come i vettori g che possiamo disegnare appena
ΦF (S) = F · S . (29.8)
sopra la superficie. In questo caso Φg (S) = gL2 .

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29.1. IL TEOREMA DI GAUSS 313

Il prodotto scalare si può calcolare facendo la som- Ogni superficie ∆Si si può scegliere sufficientemen-
ma dei prodotti delle coordinate omologhe oppure te piccola da essere praticamente piana per cui la
moltiplicando il modulo del primo vettore per il mo- sua direzione è ben definita. Il flusso totale attra-
dulo del secondo per il coseno dell’angolo compreso. verso una superficie curva si definisce quindi come
Quando il campo interseca la superficie perpendi- la somma dei flussi elementari calcolati attraverso
colarmente, il vettore superficie è parallelo al cam- ciascuna superficie:
po e l’angolo compreso tra i due vettori è nullo. Di
conseguenza il coseno di quest’angolo vale uno e X X
ΦF (S) = F · ∆Si = F · ∆Si (29.13)
ΦF (S) = F S . (29.9) i i

Se invece la superficie è parallela al campo, il suo


vettore è perpendicolare a questo e il coseno va- 29.1 Il teorema di Gauss
le zero, perciò ΦF (S) = 0. In tutti gli altri casi
Una maniera di comprendere il significato fisico di
intermedi
questa grandezza consiste nell’applicare la definizio-
ne a qualcosa che si possa visualizzare come nel caso
ΦF (S) = F S cos θ (29.10)
di un campo di velocità che potrebbe essere quel-
dove θ è l’angolo tra il vettore campo e il vettore lo delle particelle d’acqua che scorrono in un tubo
superficie. o lungo un fiume, oppure quello di automobili che
Le dimensioni fisiche di un flusso sono quelle del viaggiano su una strada. Consideriamo quest’ultimo
campo moltiplicate per una superficie. Naturalmen- caso.
te un flusso si può definire per qualunque campo Per il calcolo di un flusso abbiamo bisogno di sce-
vettoriale. Per esempio, nel caso del campo di velo- gliere una superficie attraverso la quale calcolarlo e
cità, che descrive il moto di un insieme di particelle di un vettore. Se non siamo interessati a distinguere
disposte nello spazio, avremmo il flusso di automobili veloci da quello di automobili
lente possiamo usare il versore velocità v̂ delle auto
Φv (S) = v · S = vS cos θ . (29.11) che attraversano la superficie scelta come campo di
cui calcolare il flusso. Il modulo del versore velocità
Resta soltanto un piccolo problema. La definizione
è sempre unitario e v = 1 nell’unità di misura scelta
che abbiamo appena dato va bene per una superfi-
per la sua rappresentazione.
cie piana perché in quel caso qualunque punto della
La situazione è rappresentata nella Fig. 29.2. Il
superficie si scelga la direzione a essa perpendicola-
flusso della velocità si calcola in questo modo: di-
re è ben definita ed è sempre la stessa. Non è cosí
vidiamo la superficie rossa sotto il cartello in tanti
per una superficie curva. Se scegliamo una superficie
quadratini molto piccoli. Solo alcuni di questi qua-
a forma di semisfera, per esempio, la direzione per-
dratini sono attraversati dall’automobile che si vede
pendicolare alla superficie al polo è diversa da quella
in primo piano, che per semplicità schematizziamo
che si trova in qualunque altro punto. In particolare
come un parallelepipedo di ` = 1.83 m di larghezza,
all’equatore ci sono infinite direzioni perpendicolari,
p = 2.64 m di lunghezza e z = 1.48 m di altez-
ciascuna a sua volta perpendicolare a quella al polo.
za. in ciascuno dei quadratini in cui abbiamo diviso
Questo però è un problema minore. Infatti pos-
la superficie rossa attraversati dall’auto il flusso va-
siamo sempre dividere una superficie S in tante
le v∆S, dove ∆S è l’area del singolo quadratino,
superfici elementari ∆Si in modo che
mentre in tutti gli altri vale zero, essendo nulla la
X velocità degli oggetti che l’attraversano. Sommando
S= ∆Si . (29.12)
tutti i flussi elementari ed essendo v = 1 sempre la
i
stessa abbiamo che

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29.1. IL TEOREMA DI GAUSS 314

Figura 29.3 Due auto attraversano l’area


sotto al cartello in direzioni
diverse.
Figura 29.2 La superficie attraverso la
quale calcolare il flusso della
velocità delle auto che pas-
sano sotto il cartello di for-
ma rettangolare con i lati L Φv (S) = v`z cos θ . (29.15)
e h (l’immagine è di Luca Qual è il significato di questa cosa? Per capirlo os-
Fascia).
serviamo la Fig. 29.3 nella quale sono riprodotte due
automobili che attraversano l’area del cartello con
angoli diversi.
L’auto di sinistra contribuisce al flusso per una
X quantità2
v`h, mentre quella di destra per v`h cos θ.
Φv (S) = v · ∆Si = v×`×z = 1×1.83×1.48 ' 2.7 km/h m
La superficie interessata dall’attraversamento nei
i
due casi è diversa: a sinistra l’intersezione tra l’a-
(29.14)
rea attraverso la quale si calcola il flusso e quella
(potremmo riscrivere la velocità in ms−1 per sempli-
dell’auto è `h, mentre a destra è come se un’au-
ficare l’unità di misura del flusso, ma mantenendo
to di larghezza cos` θ attraversasse la stessa superfi-
quella usata per la misura della velocità è piú evi-
cie con la stessa velocità dell’altra. In alternativa si
dente il significato della grandezza). Se l’auto, inve-
può pensare al contributo dell’auto di destra come a
ce di viaggiare lungo la strada, l’attraversasse per-
quello prodotto da un’auto che attraversa la stessa
pendicolarmente il flusso sarebbe nullo, come del re-
superficie di quella di sinistra, ma che si muove con
sto ci potremmo aspettare intuitivamente. In effetti
velocità ridotta v 0 = v cos θ.
se l’auto si muove perpendicolarmente alla strada di
C’è ancora un altro modo di vedere la cosa. Se
fatto non attraversa la superficie sotto il cartello.
si proietta la superficie in direzione della normale
Lo stesso accade se la superficie considerata è quel-
a essa, la stessa superficie si troverà piú avanti. Se
la rossa ruotata di 90◦ attorno a uno dei pali che
N auto che vanno dritte attraversano la superficie
reggono il cartello.
sotto il cartello, le stesse N auto attraverseranno la
Se nel momento in cui passa sotto il cartello la
superficie proiettata piú avanti. Se però le N auto
velocità forma un angolo θ con la linea di mezze-
viaggiano con angoli diversi, il numero di quelle che
ria (perpendicolare alla superficie e quindi parallela
attraverseranno la superficie proiettata sarà minore:
al versore n̂ che rappresenta direzione e verso del-
tanto minore quanto minore è il coseno dell’angolo
la superficie), per esempio perché impegnata in una
formato tra la direzione della velocità e quella della
manovra di rientro nella corsia di marcia da quella
normale alla superficie.
di sorpasso o viceversa, il flusso vale

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29.2. IL FLUSSO DI UN CAMPO GENERICO 315

Fare un conto esatto non è difficile: il contributo al Riuscire a stabilire una o piú regole che permet-
flusso di ciascuna auto che attraversa il cartello con tono di stimare il flusso di un qualsiasi campo vet-
velocità vi che forma un angolo θi con la direzione toriale in maniera generale è quindi una maniera di
della strada è valutare le caratteristiche del campo vettoriale. Se
consideriamo superfici chiuse quello che possiamo
Φv,i (S) = v`z cos θi . (29.16) vedere è che in tutti i casi nei quali all’interno di
Se passano N auto il flusso totale vale queste superfici non ci sono sorgenti di campo, il
flusso totale è nullo. Un esempio di superficie chiusa
è quella che circonda completamente un’autostrada.
N N
X X Le auto possono entrarvi da un casello contribuen-
Φv (S) = Φv,i (S) = v`z cos θi (29.17)
do al flusso in ingresso, ma prima o poi ne devono
i=1 i=1
uscire, non necessariamente dalla stessa parte da cui
e quindi sono entrate. Quando ne escono, se si ha l’accortez-
za di scegliere il vettore superficie in modo coerente,
Φv (S) = v`zN hcos θi (29.18) che si trova cioè sempre dallo stesso lato di questa
dove hcos θi rappresenta il valor medio del coseno (per esempio sempre uscente), il flusso è lo stesso
dell’angolo calcolato sulle N auto. Se le auto si muo- che in entrata, ma ha segno opposto e quindi il flus-
vono tutte perpendicolarmente al cartello avremo so totale è nullo. All’interno dell’autostrada infatti
hcos θi = 1 e il rapporto tra il flusso delle N auto non ci sono sorgenti di auto. Il flusso di auto in
che viaggiano in direzioni casuali e quello delle vet- ingresso e in uscita da una città, invece, non è ne-
ture che viaggiano perpendicolarmente al cartello cessariamente nullo. Alcune auto escono e altre en-
vale trano. Il saldo complessivo dipende dalla differenza
tra quelle in ingresso e quelle in uscita. Se da una
v`zN hcos θi città potessero solo uscire auto, poiché all’interno ve
R= = hcos θi . (29.19)
v`zN ne sono già all’inizio, il flusso è necessariamente di-
Osserviamo che si ottiene lo stesso risultato anche verso da zero (e positivo se si sceglie il verso uscente
se la superficie è curva oppure se la proiezione non per la superficie che racchiude la città).
è ortogonale. Pensate, ad esempio, al caso di una Questa è l’essenza del Teorema di Gauss secon-
barriera autostradale (o al delta di un fiume, che è do il quale il flusso attraverso una superficie chiusa
lo stesso). Dopo l’ultimo cartello che indica il casel- di un qualunque campo vettoriale non dipende dal-
lo l’autostrada si amplia in modo da consentire alle la forma o dall’estensione della superficie, né dalla
auto di disporsi su diverse file parallele. Le auto posizione di eventuali sorgenti del campo, ma di-
che attraversano l’ultimo cartello con un qualunque pende solamente dalla quantità di sorgenti presenti
angolo minore dell’angolo formato tra la direzione all’interno.
iniziale dell’autostrada e quella dei suoi bordi do-
po il cartello prima o poi riescono a raggiungere il
casello e il flusso si conserva. Se le auto potessero 29.2 Il flusso di un campo
uscire dall’autostrada prima di attraversare il ca- generico
sello il numero di quelle che attraversano l’ultimo
cartello non sarebbe uguale a quello di quelle che In questo paragrafo facciamo un’operazione di
pagano il pedaggio. Il rapporto tra quelle effettiva- astrazione forse un po’ ardita, ma altamente istrut-
mente paganti e quelle transitate sarebbe proprio tiva. Da una parte le considerazioni che facciamo si
uguale a hcos θi, che rappresenta la media dei cose- possono usare per ricordare le caratteristiche sa-
ni degli angoli formati tra la velocità e la superficie lienti dei campi vettoriali, dall’altra ci forniscono un
attraversata, qualunque sia la sua forma. esempio molto chiaro di quel che può fare la fisica

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29.2. IL FLUSSO DI UN CAMPO GENERICO 316

teorica. Vediamo, infatti, che considerazioni astrat- sulla sfera V è costante. Quindi possiamo scrivere
te, ma basate su argomenti ragionevoli e derivanti che
dall’esperienza ci portano quasi sempre a risultati
sperimentalmente verificabili. X X
Immaginiamo un generico campo vettoriale V, Φ= Φi (S) = V ∆Si = V S (29.22)
che in linea di principio, oltre che dipendere dal- i i

l’intensità della sorgente, potrebbe dipendere anche


dove S = 4πr2 è la superficie della sfera di rag-
dalla distanza r da essa. Se la sorgente è puntifor-
gio r. Il modulo del campo V certamente dipende
me il campo non può che avere simmetria sferica:
da quanto è grande la sorgente e potrebbe diminui-
non c’è alcuna ragione per la quale il campo di una
re, restare costante o aumentare all’aumentare della
sorgente puntiforme debba essere pú intenso in una
distanza da questa. Possiamo perciò scriverlo come
direzione piuttosto che nell’altra, cosí come non si
capisce perché mai il campo dovrebbe puntare in
V = Qf (r2 ) (29.23)
una direzione speciale, visto che la sorgente non ne
definisce una. I vettori che rappresentano il campo dove f (r2 ) rappresenta una generica funzione del-
quindi devono per forza essere radiali: devono cioè la distanza al quadrato dalla sorgente Q. Il flusso
uscire dalla sorgente (o entrarvi). Il campo perciò si di questo campo attraverso una superficie sferica di
può scrivere come raggio r centrata sulla carica è

V = V r̂ . (29.20) Φ = 4πQf (r2 )r2 . (29.24)


Il modulo V del campo può dipendere da r, ma dal Se f (r2 ) = k
r2
, con k costante, allora
momento che V è uno scalare e r un vettore la dipen-
Q 2
denza si deve avere attraverso una qualche funzione Φ = 4πk
r = 4πkQ (29.25)
scalare di r. Un modo per costruire uno scalare par- r2
tendo da un vettore consiste nel moltiplicarlo per sé e non dipende dal raggio della sfera, ma soltanto da
stesso: r2 = r·r. Quindi V , se dipende da r, dipende Q. È facile vedere che dev’essere cosií: come negli
in realtà dal quadrato del suo modulo: V = V (r2 )1 . esempi illustrati al paragrafo precedente, il flusso
Valutiamo il flusso del campo che attraversa una di qualcosa che attraversa una superficie dev’esse-
sfera centrata nella sorgente. Il campo è radiale re uguale a quello che attraversa una superficie piú
quindi è sempre perpendicolare a questa superfi- lontana se questa è la proiezione della prima e se tra
cie. Il coseno dell’angolo compreso tra il campo e le due superfici non ci sono sorgenti. Se proiettiamo
la normale alla superficie di conseguenza vale uno la nostra sfera piú lontano otteniamo una sfera piú
e il flusso attraverso un elemento piccolissimo della grande che circonda la prima. Se tra le due sfere non
superficie della sfera di area ∆S è ci sono sorgenti del campo, il campo che attraver-
sa la prima deve necessariamente attraversare anche
Φi (∆S) = V ∆S . (29.21) la seconda e il flusso dev’essere identico. Quindi il
flusso non può dipendere da r in nessun modo e il
Il flusso attraverso tutta la sfera si calcola somman- campo può solo andare come r12 .
do i flussi su tutti gli elementi di area della sfera. A questo punto osserviamo che lo stesso risultato
Poiché tutti i punti della sfera sono alla stessa di- si deve avere qualunque sia la forma della superfi-
stanza dalla sorgente, per ciascuno di essi r2 sarà cie che racchiude la sfera. In quel caso non sarà piú
lo stesso e qualunque sia la dipendenza di V da r2 , vero che il coseno dell’angolo formato tra il cam-
1
Il che non significa che r2 deve comparire in V . Potrebbe po e un qualunque elemento di superficie sarà uno,
dipendere da r che però si può sempre scrivere come la radice ma i flussi elementari si devono per forza sommare
di r2 .

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29.2. IL FLUSSO DI UN CAMPO GENERICO 317

in maniera tale da dare lo stesso flusso che attra- una forma qualunque con un buco sferico al centro.
versa la superficie sferica che abbiamo considerato Mettendo una sorgente nel centro di questo buco
inizialmente. In altre parole il flusso attraverso una il flusso del campo prodotto da questa sorgente e
superficie di forma qualunque con un buco sferico entrante nella superficie è uguale a quello calcolato
al centro del quale si trovi una sorgente di campo prima. Ma questo flusso deve anche essere uguale a
deve necessariamente essere nullo. Ma se è nullo il quello che esce dalla superficie piú esterna, perché
flusso attraverso la superficie piú esterna, di forma non c’è, tra la sfera e la superficie esterna, alcu-
qualsiasi, dev’essere uguale e contrario a quello della na sorgente. Pertanto il flusso attraverso una qua-
superficie sferica interna. Scegliendo come verso po- lunque superficie disegnata attorno alla sorgente è
sitivo del vettore superficie quello uscente da essa, uguale a quello che si calcola per la sfera. È qui la
in corrispondenza del buco sferico centrale il flusso parte importante della dimostrazione del teorema.
ΦI di un campo uscente dalla sorgente è negativo e Vale anche la pena precisare che per sorgente in-
quindi quello uscente dalla superficie esterna ΦE è tendiamo sia qualcosa che emette un campo sia qual-
positivo e vale cosa che lo assorba per cui assenza di sorgenti signi-
fica che non c’è nulla dentro la superficie che sia
ΦE = −ΦI . (29.26) capace né di aumentare né di diminuire l’intensità
Visto che ΦI è indipendente da r lo dev’essere anche del campo rispetto a quella che si misura nella sfera
ΦE e anzi abbiamo che piú interna.
Potete capire bene il significato del Teorema di
ΦE = 4πkQ (29.27) Gauss anche ripensando all’esempio dell’autostrada
o al caso di un annaffiatoio con cipolla. Il flusso di
indipendentemente dalla forma scelta per la super- acqua che esce dall’annaffiatoio dipende soltanto da
ficie esterna. Evidentemente quindi il flusso non di- quanta acqua avete messo dentro e non dalla sua
pende neanche dalla posizione della sorgente all’in- forma. Se togliete la cipolla il flusso di acqua che
terno di questa superficie. Per sapere quanto vale esce dal beccuccio è identico a quello che uscireb-
un flusso di questo tipo basta conoscere il valore da be dai fori della cipolla e qualunque sia la forma
attribuire alla sorgente Q: qualunque sia la superfi- di quest’ultima. In definitiva il flusso è una misura
cie scelta per calcolarlo e qualunque sia la posizione di quanto qualcosa esce da una superficie. Se la su-
della sorgente rispetto a questa il flusso si calcola perficie è chiusa, questo può dipendere soltanto da
sempre come quel che abbiamo messo dentro a quella superficie e
non dalla forma data a quest’ultima.
Φ = 4πkQ (29.28)
che è poi una delle forme nelle quali si può scrivere il
Teorema di Gauss. Ricapitoliamo i passaggi seguiti
fin qui: per dimostrare il Teorema di Gauss consi-
deriamo un generico campo radiale che dipende da
r come
Q
V=k r̂ (29.29)
r2
e calcoliamo il flusso di questo campo attraverso una
superficie di forma sferica centrata nella sorgente del
campo. Attenzione! Fin qui stiamo banalmente ese-
guendo un conto e non stiamo dimostrando alcun
teorema. Ora consideriamo una superficie che abbia

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Unità Didattica 30
Il flusso dei campi

In questo Capitolo affrontiamo il calcolo del flus- distanza, ma nessun libro spiega bene come si arrivi
so di alcuni dei campi che si studiano in fisica, nelle a questo risultato. Perché non è affatto facile. Anche
diverse circostanze. Attraverso questi calcoli possia- convincersi della validità della forma della forza di
mo scoprire importanti proprietà dei campi stessi e Newton, dunque, è di fatto un atto di fede.
persino scoprire che certi campi, come quello della Noi pensiamo che non sia per nulla necessario se-
forza peso, sono una manifestazione di campi so- guire un criterio cronologico per imparare la fisi-
lo apparentemente molto diversi, come quello delle ca. Per noi oggi è decisamente piú facile misurare
forze che permettono al Sistema Solare di esistere. gli effetti delle forze elettriche e ricavarne la forma
In questo caso vale la pena fare qualche riflessione che misurare la posizione dei pianeti rispetto al So-
di carattere metodologico. In tutti i corsi di Fisica le. Non c’è quindi alcuna vera ragione per spiegare
che si trovano in commercio la fisica dei corpi cele- prima il moto dei pianeti e poi quello delle cariche
sti è illustrata con un certo grado di dettaglio ben elettriche. È piuttosto vero il contrario: è meglio il-
prima dell’introduzione della fisica dei campi elet- lustrare e capire prima la fisica delle forze elettriche,
trici e magnetici. Il motivo è che effettivamente la piú facili da osservare.
fisica del campo gravitazionale è stata studiata Dopo che avremo capito le forze elettriche sarà
e compresa prima di quella del campo elettroma- facile comprendere la natura delle forze gravitazio-
gnetico, grazie a misure di elevata precisione che nali e non ci sarà alcun bisogno di atti di fede. Per di
erano state fatte dagli astronomi nel corso di lunghi piú, grazie a questo processo di apprendimento, si
anni di osservazione. Si tratta di misure nient’affat- dovrebbero superare un paio di problemi che spesso
to semplici da fare, che richiedono modelli complessi affliggono gli studenti. Quasi tutti quelli che han-
e calcoli complicati, oltre che strumenti di alta qua- no studiato un po’ di fisica a scuola sono convinti
lità. Nessuno di voi potrebbe eseguire queste misure che i campi gravitazionali siano sempre radiali, ma
in tempi ragionevoli con la precisione necessaria. In questo non è affatto vero. Sono tali soltanto a gran-
effetti i risultati sperimentali che hanno condotto di distanze da un corpo celeste, ma vicino a esso
alla formulazione della teoria Newtoniana della gra- possono essere molto diversi, specialmente se tali
vità si devono prendere per buoni un po’ come un corpi non hanno la forma tipica di un pianeta o di
atto di fede e sono quasi sempre enunciati come ta- una stella. L’atterraggio della sonda Philae della
li nei libri. Chi di voi potrebbe convincersi da solo missione Rosetta su una cometa, la cui forma non
della validità delle Leggi di Keplero? Chi potreb- somiglia affatto a quella di una sfera, è stato mol-
be facilmente affermare che il quadrato dei tempi di to piú complicato di quello del LEM sulla Luna.
rivoluzione dei pianeti è proporzionale al cubo della Mentre in quest’ultimo caso si poteva approssimare
loro distanza media dal Sole? il campo gravitazionale della Luna come radiale da
Le osservazioni di Keplero condussero Newton a lontano e uniforme da vicino, quello della cometa,
formulare la legge secondo la quale la forza che tiene per via della sua forma irregolare (Fig. 30.1) ha una
insieme il Sistema Solare decresce col quadrato della struttura molto piú complicata che si stima con le
30.1. IL FLUSSO DI UNA CARICA ELETTRICA PUNTIFORME 320

30.1 Il flusso di una carica


elettrica puntiforme
Il campo elettrico prodotto da una carica pun-
tiforme Q si scrive con la Legge di Coulomb
come
Q
E=kr̂ (30.1)
r2
È immediato ripetere le considerazioni del Capito-
lo 29 per trovare che il flusso del campo elettrico di
una carica puntiforme Q attraverso una qualunque
superficie chiusa è uguale a

Φ = 4πkQ (30.2)
che si può riscrivere definendo una nuova costante
Figura 30.1 La cometa 67P/Churyumov–
Gerasimenko su cui è atterra- 1
ta la sonda Philae ha una for-
ε= (30.3)
4πk
ma molto irregolare e il suo
campo gravitazionale, a di-
in modo tale che
stanze comparabili con le di-
1
mensioni tipiche della come- k= (30.4)
ta (circa 4 km), non somiglia 4πε
affatto a quello di una stel- che, sostituita nell’equazione per il flusso dà come
la o di un pianeta, che so- risultato
no approssimativamente sfe-
rici. Foto del 7 luglio 2015, Q
eseguita da 145 km di di- Φ=. (30.5)
stanza, dell’Agenzia Spaziale ε
Europea (ESA) La costante ε non è concettualmente diversa dalla
costante di Coulomb k, ma risulta comodo usarla
perché permette di far sparire il fattore π dall’e-
stesse tecniche usate per valutare il campo elettrico spressione del flusso. Sperimentalmente si trova che
prodotto da un oggetto di plastica di forma irrego- il valore della costante di Coulomb dipende in realtà
lare. Il secondo problema che affligge molti studenti dal mezzo nel quale si produce il campo elettrico. In
è quello per il quale i piú sono convinti che il Teore- aria e nel vuoto k ' 8.99 × 109 Nm2 /C2 e quindi
ma di Gauss riguardi soltanto i campi elettrici e ma-
gnetici, quando invece vale chiaramente anche per i 1 1
campi gravitazionali. ε = ' ' 8.85 × 10−12
4πk 4 × 3.1416 × 8.99 × 109
(30.6)
in unità SI. In materiali diversi k è diversa e quindi
anche ε cambia. Si usa perciò scrivere che

ε = ε0 εr (30.7)

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30.3. IL FLUSSO DI UNA DISTRIBUZIONE SFERICA 321

dove ε0 = 8.85 × 10−12 C2 N−1 m−2 prende il nome di Questo è vero in generale, qualunque sia la natura
costante dielettrica del vuoto, mentre εr è adi- della sorgente e del campo. Se abbiamo una qualun-
mensionale e si chiama costante dielettrica rela- que sorgente puntiforme di campo sappiamo che il
tiva perché rappresenta il rapporto tra quella del flusso di questo attraverso qualunque superficie si
materiale considerato e quella del vuoto. La gran- scrive come
dezza εr si chiama anche permittività elettrica,
anche se questo nome è poco usato. Per il vuoto evi- Φ = 4πkQ . (30.9)
dentemente εr = 1. Per la carta, per esempio, vale
Se invece di averne una ne abbiamo N il flusso è
εr = 3.9, nel cemento εr = 4.5; nell’acqua εr dipen-
de dalla temperatura (attorno ai 20 gradi vale circa N
X
80). Il fatto che la costante dielettrica dell’acqua sia Φ = 4πk Qi (30.10)
alta è quel che permette all’acqua di sciogliere molte i=1
sostanza come il sale. indipendentemente dalla forma della superficie e da
Il sale infatti è composto di cristalli fatti di par- dove si trovano le sorgenti rispetto alla superficie
ticelle elettricamente cariche che si attraggono l’un (purché siano al suo interno).
l’altra grazie a forze di natura elettrostatica. Queste
forze si riducono di un fattore circa 80 in acqua e le
particelle di cui è composto il sale non si attraggo- 30.3 Il flusso di una distribu-
no piú abbastanza fortemente da restare attaccate zione sferica
le une vicine alle altre. Per questo il cristallo di sale
si scioglie. Oggetti puntiformi non esistono davvero nei nostri
Esistono sostanze per le quali la costante die- laboratori. Sono solo un’astrazione. Quello che piú si
lettrica relativa può essere molto alta: fino a oltre avvicina a un oggetto puntiforme è un oggetto sfe-
200 000 − 250 000. Non si conoscono, al contrario, rico sufficientemente piccolo. Converrà perciò stu-
sostanze per le quali εr < 1. La massima intensità diare il flusso del campo prodotto da un oggetto del
di un campo elettrico dunque si ha nel vuoto. genere.
Il campo prodotto da un oggetto di questo tipo
deve avere simmetria sferica. Non c’è alcuna ragio-
30.2 Il flusso di una distribu- ne per la quale un oggetto sferico debba produrre
zione di cariche un campo diretto secondo una direzione particolare.
Le linee di forza di questo campo si dipartono dal
Supponiamo d’avere N cariche elettriche puntiformi centro dell’oggetto in modo radiale, esattamente co-
distribuite a caso nello spazio vuoto. Circondando me fanno quelle della sorgente puntiforme. È anche
tutto lo spazio entro il quale si trovano le cariche con ovvio che a grandissime distanze questo campo de-
una superficie di forma qualunque si troverebbe, per v’essere identico a quello della sorgente puntiforme,
il Teorema di Gauss, che perciò
X Qi Q Q
Φ= = (30.8) V'k
r̂ (30.11)
i
ε0 ε0 r2
Si vede subito però che questo risultato è esatto. In-
dove Q = i Qi è la carica totale presente all’in-
P
fatti, se il campo ha simmetria radiale le sue linee di
terno della superficie. Osserviamo che Qi può essere
forza attraverseranno perpendicolarmente una sfera
sia positiva che negativa, quindi Q potrebbe anche
di raggio r che circonda completamente la distri-
essere nulla e in questo caso il flusso sarebbe nullo.
buzione di sorgenti. Inoltre il campo avrà lo stesso
modulo V su tutti i punti di questa superficie se

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30.4. IL FLUSSO DI UN CAMPO UNIFORME 322

il suo centro coincide con quello della distribuzione


sferica di sorgenti. Di conseguenza il flusso si potrà Q
V =k
r. (30.19)
scrivere semplicemente come R3
Il valore di R è fissato dalla geometria delle sorgen-
Φs (V ) = 4πr2 V (30.12) ti, quindi è costante come k e Q. IL campo quin-
di, all’interno della distribuzione sferica, cresce li-
Per il Teorema di Gauss, questo stesso flusso de- nearmente con la distanza dal centro. Come ci si
v’essere proporzionale alla quantità di sorgente po- può aspettare il valore di questo campo per r = R
sta all’interno della superficie attraverso la quale si coincide con quello calcolato prima.
calcola e Al centro della distribuzione il campo è nullo. È
utile osservare che le varie sorgenti elementari di
Φs (V ) = 4πkQ . (30.13) cui si può pensare costituita la sfera producono un
Pertanto campo, in un punto r, che dipende dalla distanza
tra ciascuna sorgente elementare e il punto in que-
4πr2 V = 4πkQ (30.14) stione, ma la somma di tutti i campi è sempre tale
da dipendere soltanto dalla distanza dal centro della
e
sfera di sorgenti.
Q Se poi la sfera non è uniformemente carica, ma
V =k . (30.15) lo è soltanto sulla sua superficie, all’interno di es-
r2
Quanto detto vale per ogni > R devo R è il rag- sa non ci sono sorgenti e per il Teorema di Gauss
gio della distribuzione sferica di sorgenti (nel ca- Φs (V ) = 0. Di conseguenza non può che essere nullo
so del campo elettrico le sorgenti saranno cariche anche il campo. Un risultato importante: non im-
elettriche). porta quanto vicino uno si trovi alla superficie della
Se si calcola il flusso attraverso una superficie sfe- sfera sulla quale sono distribuite le sorgenti. Le sor-
rica il cui raggio r è inferiore a quello della distri- genti vicine produrranno senz’altro un campo mol-
buzione di sorgenti non tutta la sorgente sarà con- to intenso, ma quelle piú lontane, che producono in
tenuta all’interno della sfera di Gauss. Se la sfera quello stesso punto campi piú modesti, sono di piú
è piena in modo uniforme di sorgenti e ρ è la loro e alla fine la somma di tutti i campi elementari è
densità, cioè se nulla.
Una sfera elettricamente carica quindi produce al
Q di fuori di essa un campo elettrico identico a quel-
ρ= , (30.16)
4
πR3 la che produrrebbe una carica puntiforme concen-
3
trata nel suo centro. All’interno dipende da come
allora il flusso calcolato con il Teorema di Gauss vale
sono distribuite le cariche: se si trovano solo sulla
sua superficie il campo all’interno è nullo. Se in-
4 r vece sono anche all’interno e sono distribuite uni-
Φs (V ) = 4πkρ πr3 = 4πkQ . (30.17)
3 R formemente il campo è nullo al centro e aumenta
proporzionalmente alla distanza da questo.
Di conseguenza, uguagliando questo risultato a
quello che si ottiene calcolando il flusso usandone
la definizione, 30.4 Il flusso di un campo
4πr2 V = 4πkQ
r3
(30.18)
uniforme
R3
e Una particolare distribuzione di sorgenti puntiformi
è quella uniforme: per distribuzione uniforme s’in-

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30.4. IL FLUSSO DI UN CAMPO UNIFORME 323

tende una distribuzione di sorgenti uniformemente o il campo entra nel piano o ne esce. Questo può
distribuite su una superficie. Una distribuzione con- dipendere dalle caratteristiche della sorgente.
tinua di sorgenti si può sempre immaginare come la Ora siamo in grado di calcolare il flusso di questo
somma di un numero infinito di sorgenti microsco- campo attraverso una superficie scelta opportuna-
piche ciascuna delle quali si può considerare punti- mente. Ci si potrebbe chiedere che interesse possa
forme e per il Teorema di Gauss il flusso del campo avere calcolare il flusso del campo prodotto da una
prodotto da questa distribuzione di sorgenti attra- distribuzione del genere che chiaramente non può
verso una qualunque superficie chiusa deve valere esistere. Ma dobbiamo ricordarci che quel che stia-
4πkQ, qualunque sia la forma della superficie (at- mo facendo è fisica e non matematica. La parola
traverso la quale si misura il flusso) e la distribuzio- infinito in matematica significa un numero n che
ne delle sorgenti. In quest’espressione Q = i Qi è è sempre maggiore di ogni altro numero m che si
P
la somma dei valori della sorgente in unità oppor- può immaginare. In fisica, invece, infinito signifi-
tune (per esempio, nel caso delle cariche elettriche ca molto piú grande di qualunque altro numero che
sono i valori delle cariche espresse in C) e k la co- si può misurare. Se quindi prendiamo una lastra
stante che determina l’intensità del campo (nel caso piana di forma quadrata di lato L, la superficie di
del campo elettrico è la costante di Coulomb). area L2 è praticamente infinita rispetta a qualcosa
Immaginiamo allora una superficie piana unifor- le cui dimensioni siano h  L. Se quindi prendiamo
memente coperta di sorgenti e infinita. Scegliamo un foglio di materiale isolante elettricamente cari-
un punto alle coordinate r = (x1 , x2 , x3 ) qualunque co in modo uniforme, nelle immediate vicinanze del
dello spazio e valutiamo il campo prodotto comples- foglio, non vicino ai bordi, il campo elettrico dev’es-
sivamente da queste sorgenti. Una maniera di farlo sere proprio come descritto piú sopra, almeno fino
consiste nel prendere una sorgente elementare, cal- a quando la distanza dal foglio h si mantiene molto
colarne il campo nel punto r e sommarlo a quello piú piccola del suo lato L. Allontanandosi dal foglio
di tutte le altre sorgenti, ciascuna delle quali potrà il campo comincia a non essere piú uniforme, ma se
trovarsi a distanze diverse dal punto e quindi potrà ci si allontana abbastanza il foglio appare sempre di
contribuire piú o meno al campo totale. Un mo- piú come un puntino lontano e il campo deve asso-
do piú semplice però è il seguente. Qualunque puto migliare a quello di una carica puntiforme. Vedete
r0 6= r è del tutto equivalente all’altro: dal momento come le caratteristiche di un campo possano variare
che la superficie piana ha estensione infinita ci sono secondo il modo in cui lo si guarda (misura).
tante sorgenti a distanza r0 da r0 quante ce ne sono a Proviamo a calcolare il flusso di un campo vet-
distanza r da r per ogni distanza che potete imma- toriale uniforme e perpendicolare a una superficie
ginare. Di conseguenza il campo prodotto da tutte piana sulla quale sono distribuite uniformemente le
le sorgenti nel punto r non può essere diverso da sorgenti di questo campo. Per calcolare il flusso sce-
quello prodotto dalle stesse sorgenti in qualunque gliamo una superficie a forma di cilindro, che attra-
altro punto r0 . Perciò il campo V di queste sorgen- versi quella su cui sono adagiate le sorgenti, di area
ti non può dipendere dalle coordinate e dev’essere di base πR2 e di altezza 2h.
quindi uniforme: deve cioè avere lo stesso modu- Supponiamo che il campo sia uscente dal piano
lo, la stessa direzione e lo stesso verso ovunque: (se è entrante cambia solo il segno del flusso). Im-
V = V n̂. Ma quale direzione e quale verso deve maginando la distribuzione di sorgenti vista di ta-
avere il campo? glio e disposta verticalmente il campo sarà diretto
Esiste una sola direzione che non dipende da una orizzontalmente e, a destra della distribuzione, sarà
scelta arbitraria rispetto a un piano di estensione rivolto verso destra, mentre a sinistra sarà rivolto
infinita, che è la direzione perpendicolare al pia- verso sinistra.
no stesso. Quindi questa è l’unica direzione che il La superficie laterale del cilindro è parallela al
campo può assumere. Ci sono due possibili versi: vettore campo, quindi la normale a questa superfi-

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30.5. IL CAMPO NEI CONDUTTORI 324

cie è perpendicolare al campo, pertanto il prodot- 2kσπ ovunque. Se il campo è un campo elettrico
to scalare tra quest’ultimo e la superficie è sempre possiamo scrivere k = 4πε
1
0
e
nullo. Il flusso del campo attraverso la superficie la-
terale è quindi nullo. Il campo, cioè, non attraversa 1 σ
E=2 σπ = . (30.25)
mai questa superficie. Le superfici di base, invece, 4πε0 2ε0
hanno un vettore normale che è parallelo al cam- A distanza relativamente piccole da un foglio elettri-
po e quindi il prodotto scalare si riduce al prodotto camente carico in modo uniforme, quindi, il campo
ordinario tra i moduli dei vettori. Su ciascuna base elettrico è perpendicolare al foglio e costante:
il prodotto del modulo del campo per quello della σ
base vale E= n̂ . (30.26)
2ε0
Φb = πR2 V (30.20)
e quello totale è semplicemente la somma di quel-
30.5 Il campo nei conduttori
lo delle due basi: Φ = 2πR2 V . Secondo il Teorema Dal Teorema di Gauss possiamo derivare un’impor-
di Gauss questo flusso dev’essere però anche ugua- tante proprietà dei conduttori: all’interno di ogni
le a Φ = 4πkQ dove Q è la quantità di sorgente conduttore il campo è nullo, mentre sulla sua su-
presente all’interno della superficie e k la costante perficie il campo è sempre perpendicolare alla su-
che determina l’intensità del campo di una sorgente perficie stessa. La prima proprietà discende dal fatto
puntiforme. che all’interno di un conduttore non possono esserci
I flussi calcolati usando la definizione di questa cariche elettriche: se ce ne fossero queste si muo-
grandezza e col Teorema di Gauss devono essere verebbero e in un tempo relativamente breve fini-
uguali, perciò rebbero per distribuirsi sulla sua superficie, come si
vede al Paragrafo 26.7. Se non ci sono cariche non
2πR2 V = 4πkQ (30.21) può esserci campo elettrico. Si potrebbe pensare che
da cui si ricava che ciascuna delle cariche distribuite sulla superficie del
conduttore produca un campo che in linea di prin-
Q cipio si può estendere anche al volume interno del
V = 2k . (30.22)
R2 conduttore, ma quando le cariche presenti hanno
Quanto vale Q? Il valore di questa grandezza si de- raggiunto la condizione di equilibrio i loro campi si
termina valutando la quantità di sorgente presen- devono sommare tra loro sin modo tale da annullare
te all’interno del cilindro che è soltanto quella di- completamente qualsiasi campo presente all’interno
stribuita sul piano in un’area uguale a quella de- del conduttore.
terminata dall’intersezione col cilindro stesso. Se la Il Teorema di Gauss infatti garantisce che il flusso
densità superficiale σ di sorgenti è uniforme (se totale del campo attraverso qualunque superficie
cioè la quantità di sorgente per unità di superficie è chiusa è proporzionale alla carica presente al suo in-
costante) possiamo scrivere che terno. Poiché all’interno dei conduttori non possono
esserci cariche elettriche, il flusso del campo attra-
Q = πR2 σ (30.23) verso qualunque superficie interna al volume del
e sostituendo nell’espressione di V si trova conduttore dev’essere nullo e poiché questo flusso è
nullo per qualunque superficie non può che esserlo
R2 σ
π a causa del campo che quindi dev’essere nullo lui
V = 2k = 2kσπ . (30.24) stesso.
R2
È relativamente facile eseguire un esperimento

Come ci aspettavamo il campo non dipende affatto
dalle coordinate: il suo modulo è costante e vale per dimostrare sperimentalmente quanto sopra: si

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30.6. INTRAPPOLARE IL CAMPO 325

prende un elettroscopio e si verifica che funzioni poi, non sono perfetti: presentano tutti un certo gra-
avvicinandogli un corpo elettricamente carico (una do di resistenza al moto delle cariche e quindi non
bacchetta di plexiglass o un palloncino strofinati con è detto che proprio tutte le cariche si spostino sulla
la carta da cucina o un fazzoletto. A causa del feno- loro superficie. Il risultato è che all’interno del con-
meno dell’induzione le foglie dell’elettroscopio do- duttore possono rimanere cariche elettriche residue
vrebbero allontanarsi l’una dall’altra. Ma se l’elet- che producono un campo piú o meno intenso. L’effi-
troscopio è rinchiuso all’interno di una gabbia fat- cacia di uno schermo elettrostatico dipende dal ma-
ta di materiale conduttore (una gabbia di Fara- teriale di cui è fatto e anche dalla sua geometria. Se
day) l’elettroscopio non risente affatto del campo il conduttore è un buon conduttore (cioè se nel ma-
pur prodotto dalla carica che gli viene avvicinata. teriale di cui è composto le cariche si muovono con
Come è possibile? È semplice: il campo prodotto estrema facilità) allora sono valide le considerazioni
dalla carica avvicinata all’elettroscopio produce una fatte, altrimenti lo sono solo parzialmente.
forza sulle cariche elettriche delle particelle di cui è La seconda proprietà dei conduttori (quella se-
composto il conduttore che lo contiene. Poiché nel condo la quale il campo sulla superficie dev’essere
conduttore queste cariche sono libere di muoversi lo diretto perpendicolarmente a essa) deriva anch’es-
faranno in seguito all’applicazione di questa forza in sa dal fatto che le cariche nei conduttori sono li-
modo tale da distribuirsi sulla sua superficie. Il mo- bere di muoversi: se esistesse una componente E||
to termina quando tutte le cariche si sono portate del campo elettrico sulla superficie del conduttore
in una condizione tale per cui all’interno del con- diretta parallelamente a essa, le cariche elettriche
duttore il campo sia nullo. Sugli strumenti presenti sulla sua superficie si muoverebbero fino a quan-
all’interno della gabbia dunque non agisce soltan- do il campo non si raggiungesse una condizione di
to il campo elettrico prodotto dalla carica avvici- equilibrio che evidentemente non può che ottener-
nata, ma anche quello delle cariche sulla superficie si per E|| = 0. Non potendoci essere componenti
esterna del conduttore che li contiene. Se cambia il del campo dirette parallelamente alla superficie il
campo esterno cambia anche quello prodotto dalle campo deve necessariamente essere perpendicolare
cariche sulla superficie della gabbia, in modo tale a questa.
che all’interno di questa il campo sia sempre nullo.
Questo principio si usa per schermare i disposi-
tivi elettronici dai campi esterni: avrete notato che 30.6 Intrappolare il campo
qualsiasi dispositivo elettronico è sempre rivestito
Il risultato del Paragrafo 30.4 permette di realizzare
da una superficie metallica (in qualche caso questa
un dispositivo capace di contenere il campo elettrico
si trova sotto la superficie visibile del dispositivo e
all’interno di un volume finito: una specie di conte-
quindi non si vede, ma se lo aprite si nota). I campi
nitore di campo, insomma. Infatti, secondo il risul-
elettrici esterni possono infatti modificare il com-
tato ottenuto in quel paragrafo, il campo prodotto
portamento di un circuito il cui funzionamento di-
da una distribuzione piana e uniforme di carica è
pende evidentemente da fenomeni di tipo elettrico.
indipendente dalla distanza da questa distribuzione
Se però si mettono i circuiti all’interno di una scato-
e vale
la metallica conduttrice i campi elettrici esterni non
possono piú influenzarli. L’efficacia della scherma- σ
n̂ .
E= (30.27)
tura dipende da vari fattori. Innanzi tutto bisogna 2ε0
considerare che quanto abbiamo detto vale rigoro- Il campo è sempre perpendicolare alla superficie pia-
samente per i campi elettrostatici che non variano na elettricamente carica e poiché σ = Q/S assume
nel tempo. Se i campi sono variabili nel tempo insor- il segno della carica Q deposta sul piano, è uscente
gono altri fenomeni di cui occorre tenere conto, che dal piano se Q > 0 e entrante altrimenti. Possia-
possono invalidare quanto detto finora. I conduttori,

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30.7. IL CAMPO DELLA FORZA PESO 326

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Figura 30.2 Il campo elettrico all’interno Figura 30.3 Il campo gravitazionale di
di una coppia di lastre uni- una distribuzione sferica di
formemente cariche è unifor- massa è radiale, ma visto da
me e ha un’intensità doppia molto vicino appare unifor-
rispetto al singolo strato. Al- me semplicemente perché la
l’esterno delle lastre invece il superficie della sfera appare
campo è nullo [todo]. piatta [todo]

mo quindi pensare di prendere una lastra metallica che di segno diverse, ma non con i campi che hanno
piana, di forma qualsiasi, per esempio rettangolare, sempre lo stesso segno.
e di caricarla positivamente. Vista di taglio la la-
stra appare come un segmento, a destra del quale
c’è un campo elettrico diretto verso destra, mentre 30.7 Il campo della forza peso
a sinistra il campo è diretto verso sinistra.
Basta pensarci un attimo per capire che quella de-
Ora prendiamo un’altra lastra uguale, ma cari-
scritta al Paragrafo 30.4 è la stessa situazione che
chiamola negativamente. Questa volta, vista di ta-
si verifica nel caso della forza peso. Il campo della
glio, la lastra presenta un campo elettrico rivolto a
forza peso è uniforme e il suo modulo vale g. È di-
sinistra alla sua destra e a destra alla sua sinistra.
retto vero il suolo ovunque. Questa coincidenza ci
La situazione è rappresentata nel Filmato 30.2.
fa sospettare che il campo che produce la forza peso
La lastra di colore blu, carica positivamente, produ-
possa essere un campo del tutto analogo a quello
ce il campo uniforme rappresentato dai vettori blu.
che produce la forza elettrica. In fondo, noi sappia-
Se avviciniamo una lastra carica negativamente (in
mo che la Terra ha la forma grosso modo di una
rosso) che produce un campo diretto al contrario
sfera, ma se guardiamo in basso ci appare assoluta-
vediamo che tra le due lastre i campi sono diret-
mente piatta. Il motivo è che il raggio di curvatura
ti nello stesso verso, mentre all’esterno del doppio
della Terra è talmente grande per cui al confronto
strato di cariche hanno versi opposti. Se la densità
con le distanze che possiamo raggiungere in condi-
di carica è in modulo la stessa, i due campi sono
zioni ordinarie, appare essere infinito. In definitiva,
uguali, perciò all’interno del doppio strato il campo
nei pressi della superficie terrestre, questa sembra
ha un’intensità doppia rispetto a quella del campo
piana, ma soltanto perché siamo molto vicini a essa
del singolo strato e
e soltanto perché R  h dove R è il raggio della
Q Terra e h l’altezza dalla quale facciamo le misure ri-
E= (30.28) spetto al suolo. Nell’animazione del Filmato 30.3 di
ε0
ed è diretto in modo tale da puntare dalla lastra può vedere come un campo radiale appaia uniforme,
positiva a quella negativa. All’esterno del doppio se visto da molto vicino alla superficie sferica che lo
strato invece i campi si cancellano a vicenda e genera, che a sua volta appare piatta.
Possiamo quindi pensare che la situazione fisica
E = 0. (30.29) che ci troviamo a sperimentare quando siamo sulla
Terra sia quella di un campo uniforme generato da
Questo stratagemma per intrappolare il campo si una superficie piana e infinita di tante sorgenti mi-
può usare con i campi elettrici, generati da cari- croscopiche di un campo diverso da quello elettrico,
ma fatto nello stesso modo. Se infatti il campo della

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30.7. IL CAMPO DELLA FORZA PESO 327

forza peso G fosse generato da una qualche sorgente Uguagliando i due flussi si ottiene
puntiforme Q potremmo scrivere che
M
πr2 g = 4πG πr2 (30.35)
Q 4πR2
G = G 2 r̂ . (30.30)
r e quindi
Poiché la forza subíta dai corpi nel campo della forza
peso è proporzionale alla loro massa, la sorgente del M
g=G 2. (30.36)
campo della forza peso dev’essere proprio la massa e R
possiamo quindi scrivere che un corpo puntiforme D’altra parte quest’interpretazione è anche coeren-
di massa m produce un campo, che cominciamo a te con il fatto che il campo prodotto da una di-
chiamare col suo nome gravitazionale stribuzione sferica di sorgenti è identico, all’ester-
no della distribuzione, a quello prodotto da una
M
G = G 2 r̂ . (30.31) sorgente puntiforme concentrata nel centro della
r distribuzione.
Ora consideriamo una superficie sferica di raggio R È pur vero che è difficile immaginare che la Ter-
sulla quale sia distribuita la massa della Terra. La ra sia una sfera completamente cava: quasi certa-
densità di sorgenti sarebbe mente la sua massa non è distribuita soltanto sulla
superficie, ma lo sarà anche all’interno e probabil-
M
s= . (30.32) mente nemmeno in modo uniforme. Questa però è
4πR2 solo un’ipotesi semplificativa per fare i conti.
Supponiamo che la massa della Terra sia tutta di- Possiamo fare un’ipotesi piú realistica scegliendo
stribuita sulla sua superficie e cioè che il nostro pia- come superficie di Gauss un cilindro di raggio r che
neta sia vuoto al suo interno. In questo caso il campo si estende per una lunghezza h all’esterno della Ter-
gravitazionale all’interno della Terra sarebbe nullo, ra e per uno spessore s all’interno. Scegliamo s  h
mentre all’esterno sarebbe identico a quello di una e r  s. Al solito, il flusso del campo gravitazio-
massa puntiforme (Paragrafo 30.3). nale attraverso le pareti laterali del cilindro è nullo.
Se scegliamo una superficie attraverso la quale Quello sulla base del cilindro esterna alla Terra vale
calcolare il flusso del campo a forma di cilindro di πr2 g. Invece sulla base interna si hanno due contri-
area di base πr2 e altezza 2h che attraversa la su- buti: il campo prodotto dalla superficie terrestre di
perficie terrestre, tale che h  R, possiamo consi- spessore s molto piccolo e interna al cilindro pro-
derare il campo localmente uniforme all’interno del duce un campo diretto verso l’interno della Terra,
cilindro. In questo caso il campo è parallelo alla su- mentre il resto della Terra produce un campo identi-
perficie laterale del cilindro, quindi quest’ultima non co a quello di una carica puntiforme, che quando at-
contribuisce al flusso. Attraverso la superficie di ba- traversa la base inferiore del cilindro è praticamente
se esterna alla Terra, poiché il campo vale g, il flusso perpendicolare a questa e quindi ha verso opposto
vale a quello prodotto dalla sola superficie. Dal Paragra-
fo 30.3 sappiamo che il campo prodotto dall’interno
Φs (G) = πr2 g (30.33) di una sfera piena coincide in modulo con quello
mentre attraverso la superficie di base interna è nul- prodotto da una sfera cava alla sua superficie, quin-
lo perché lí il campo è nullo. Per il Teorema di Gauss di i due campi (uno entrante nella base inferiore e
questo flusso dev’essere uguale a Φs (Q) = 4πGM uno uscente da questa) non solo hanno versi opposti,
dove M è la massa contenuta nel cilindro e quindi ma hanno anche lo stesso modulo: di conseguenza
si cancellano l’un l’altro e il flusso attraverso questa
M base è nullo.
M= 2
πr2 . (30.34)
4πR

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30.7. IL CAMPO DELLA FORZA PESO 328

Cosí otteniamo lo stesso risultato anche per una e quindi, per la Legge di Newton,
Terra piena, che sembra piú ragionevole.
In sostanza abbiamo imparato che le masse sono v2 M
m
= mG 2 . (30.39)
sorgenti di campo gravitazionale il quale, a grandi r r
distanze dalle sorgenti, si comporta come il campo La velocità media della Luna è
di una sorgente puntiforme. Se ci si avvicina alla sor-
2πr
gente questa appare sempre piú come una sfera, ma v= (30.40)
il campo non cambia apprezzabilmente perché quel- T
lo prodotto da questa distribuzione di masse è iden- con T che indica il periodo di rivoluzione di circa
tico, almeno all’esterno della distribuzione, a quello 27 giorni. Abbiamo dunque che
che sarebbe prodotto da una massa puntiforme po-
M 4π 2 r2
sta al centro della sfera. Se ci si avvicina molto alla G = (30.41)
superficie il campo risulta praticamente uniforme. r T2
e
Quindi sulla Terra la forza peso è il risultato del-
l’interazione tra le masse e il campo gravitazionale 4π 2 3
prodotto dalla Terra che, vista da lontano, appare T2 =
r . (30.42)
GM
come una sfera e deve quindi produrre un campo
Il risultato appena ottenuto è noto come terza Leg-
pari a
ge di Keplero il quale la determinò sperimental-
M mente misurando le distanze e i tempi di rivoluzione
G=G r̂ (30.37) non solo della Luna, ma di tutti i pianeti del Sistema
r2
Solare. Nella formulazione di Keplero la Legge dice
dove r  R, indicando con R il raggio della Terra.
che il quadrato del tempo di rivoluzione di un pia-
Questo significa che i corpi celesti vicini alla Terra
neta è proporzionale al cubo della sua distanza dal
(la Luna, per esempio, ma anche tutti i satelliti arti-
Sole. Il fattore di proporzionalità si ricava proprio
ficiali del nostro pianeta), essendo dotati di massa,
da questo rapporto, che è uguale per tutti i pianeti:
devono sentire gli effetti di questo campo e non è
difficile immaginare che il motivo per cui la Luna T2 4π 2
(e gli altri satelliti) girano intorno alla Terra invece = . (30.43)
r3 GM
che andarsene in giro liberi, deve risiedere proprio
dove M , parlando di pianeti, è la massa del corpo ce-
in questa interazione. Se sulla Luna non agisse al-
leste piú massivo del Sistema che è il Sole. Rispetto a
cuna forza, il nostro satellite si muoverebbe di moto
quella del Sole, le masse degli altri pianeti sono ridi-
rettilineo uniforme e si allontanerebbe sempre piú
colmente piccole quindi è come se fossero nulle ai fini
dalla Terra. Invece percorre praticamente un’orbi-
della produzione di campo gravitazionale ed è come
ta quasi circolare attorno alla Terra, il che significa
se nello spazio interplanetario ci fosse, almeno in pri-
che dev’esserci una forza centripeta che la trattiene
ma approssimazione, soltanto il campo prodotto dal
nelle vicinanze del pianeta.
Sole. È chiaro che avvicinandosi a uno qualunque
Questa forza dev’essere proprio quella prodotta
dei pianeti le cose cambiano radicalmente perché la
dal campo gravitazionale che è anche responsabile
distanza dal pianeta si riduce mentre quella dal So-
della caduta degli oggetti. In altre parole potrem-
le aumenta o resta approssimativamente costante e
mo dire che la stessa forza che fa cadere gli og-
il campo gravitazionale del pianeta comincia a di-
getti è quella che permette alla Luna di orbitare.
ventare abbastanza intenso da farsi sentire se non
L’accelerazione centripeta si scrive sempre come
molto piú intenso di quello del Sole. Sulla Terra,
v2 per esempio, noi percepiamo chiaramente il campo
a= (30.38) gravitazionale terrestre, ma non quello prodotto dal
r

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30.7. IL CAMPO DELLA FORZA PESO 329

Sole che è molto piú debole perché noi distiamo dal In effetti storicamente non è andata cosí: si è ca-
centro della Terra r ' 6 000 km, mentre il Sole sta pito prima che la forza peso e quella gravitazionale
a 149 milioni di km. erano della stessa natura e Isaac Newton determinò
C’è da essere piuttosto soddisfatti! Grazie a osser- la forma che doveva avere questa forza,
vazioni sulle proprietà elettriche della materia siamo
riusciti a determinare un risultato che vale per la Mm
F=G
r̂ , (30.49)
forza che fa cadere gli oggetti sulla Terra che si sco- r2
pre essere la stessa che impone ai pianeti di orbitare trovando che G ' 6.67 × 10−11 in unità SI. Se New-
attorno al Sole. Chi l’avrebbe detto? ton avesse saputo di piú sulle forze elettriche, il cui
Inoltre, grazie alle nostre osservazioni, adesso sia- studio sistematico iniziò oltre un secolo dopo, non
mo in grado di pesare oggetti come il Sole. Come avrebbe dovuto faticare tanto per trovare questo ri-
possiamo farlo? È semplice: è sufficiente conoscere sultato, che in effetti non è affatto facile da trovare
il valore della costante G, che fu misurata da Henry basandosi sui soli dati sperimentali derivanti dalle
Cavendish grazie a una bilancia di torsione. Il valore osservazioni del cielo.
di G è Adesso sappiamo che la forza F si scrive come
F = mG dove G è il campo gravitazionale. La
forza con la quale la Terra è attratta dal Sole dunque
G = 6.674 08±0.000 31×10−11 m3 kg−1 s−2 . (30.44) è il risultato dell’interazione tra la massa del nostro
pianeta m e il campo gravitazionale prodotto dal
La massa della Terra si ottiene facilmente dalla Sole G = GM r̂. Di fatto, dunque, la Terra (e tutti
r2
relazione gli altri pianeti) non fanno altro che cadere sul Sole,
M senza mai raggiungerlo.
g=G 2 (30.45) Potete vedere la cosa in questo modo: immaginate
R
di lanciare un sasso molto lontano e tanto per fissare
dove R ' 6 371 km è il raggio del nostro pianeta
le idee immaginiamo di fare l’esperimento al polo e
che si può misurare in molti modi (provate a farlo).
di lanciare il sasso lungo un meridiano. Il sasso per-
Invertendo questa relazione si trova
corre una traiettoria parabolica, almeno finché vale
l’approssimazione per cui il campo gravitazionale è
R 2 3 2
(6 371 × 10 ) uniforme, che a un certo punto interseca la super-
24
M =g ' 9.8 ' 5.96 × 10 kg . ficie terrestre, come si vede (avendo esagerato no-
G 6.674 × 10−11
(30.46) tevolmente le proporzioni) dalla Fig. 30.4. Aumen-
Una volta nota la massa della Terra quella del Sole è tando la velocità iniziale del sasso, questo giungerà
facile da calcolare sapendo che il periodo della Terra piú lontano. Nella Fig. 30.5 si vedono le traiettorie,
è di 365 giorni (che corrispondono a 31 536 000 s) e in diversi colori, fatte da un sasso lanciato a veloci-
che la distanza tra i due corpi è di 149 milioni di tà diverse. Prima o poi il sasso ricade sulla Terra e
km. Per la terza Legge di Keplero si ha che se lo lanciaste abbastanza forte potrebbe atterrare
proprio alle vostre spalle.
T2 4π 2 Continuando a lanciare sempre piú forte il vostro
= . (30.47)
r3 GM sasso, a un certo punto succederà che la velocità del
e quindi sasso è tale da fargli fare un giro completo della Ter-
ra e tornare in uno dei punti in cui era già passato:
3
quando giunge nel punto A della Fig. 30.6 da cui
4π 2 r3 4 × 3.142 × (149 × 109 ) era passato subito dopo il lancio, il sasso ha lo stes-
30
M= ' 2 ' 1.9×10 kg .
GT 2 6.674 × 10 −11 × (32 × 10 )
6 so stato che aveva allora e non essendo cambiate nel
(30.48) frattempo le forze esterne il suo moto sarà del tutto

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30.7. IL CAMPO DELLA FORZA PESO 330

Figura 30.6 Se la velocità del sasso è ab-


Figura 30.4 Un sasso lanciato con velo-
bastanza alta, il punto di ar-
cità sufficiente percorre una
rivo si può trovare addirittu-
traiettoria parabolica sulla
ra oltre il lanciatore e in certe
superficie terrestre e prima o
condizioni il sasso può torna-
poi atterra. La curva che ne
re ad assumere lo stesso sta-
descrive la traiettoria, mol-
to che aveva immediatamen-
to esagerata in rosso, inter-
te dopo il lancio. È cosí che
seca la superficie terrestre in
comincia a orbitare attorno
due punti: quello di partenza
al pianeta.
e quello di arrivo.

identico a quello degli istanti precedenti. Il sasso,


quindi, comincia a orbitare attorno alla Terra.
È cosí che si mette in orbita un satellite o un
veicolo spaziale: lo si getta molto lontano a grande
velocità. Un veicolo come la Stazione Spaziale Inter-
nazionale (ISS) di fatto è in continua caduta sulla
Terra. Per questa ragione gli astronauti che si tro-
vano a bordo fluttuano apparentemente senza peso.
Evidentemente la gravità terrestre agisce anche a
bordo della Stazione Spaziale, altrimenti questa non
potrebbe orbitare, ma si allontanerebbe muovendo-
si di moto rettilineo uniforme dalla Terra. Visti da
fuori, infatti, gli astronauti percorrono anche loro
Figura 30.5 Piú si aumenta la velocità orbite circolari. Ma misurando la loro posizione nel
iniziale del sasso, piú questo
giunge lontano, il che signifi-
sistema di riferimento accelerato della Stazione Spa-
ca che la traiettoria del sas- ziale occorre considerare la forza fittizia centrifuga
so interseca la superficie ter- che agisce in quel sistema. Nel sistema della ISS su-
restre in punti sempre piú gli astronauti agisce la forza peso diretta verso la
distanti. Al limite potreb- Terra e quella fittizia diretta verso l’esterno, che è
be giungere alle spalle del
lanciatore.
uguale e contraria alla precedente (nel suo sistema
di riferimento l’astronauta è fermo e dunque non

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30.8. LA MATERIA OSCURA 331

devono agire forze su di lui o su di lei). massa che questo sta dentro il Sole. La distanza
La forma della traiettoria dipende dalle condizio- Terra-Sole è di 150 milioni di km, perciò il centro di
ni iniziali e, come abbiamo detto, può essere un’el- massa dista dal Sole
lisse (di cui la circonferenza è un caso particolare),
una parabola o un’iperbole. I pianeti del Sistema 149 × 106
r1 = ' 500 km . (30.52)
Solare, che sono corpi celesti che orbitano attorno 300 000
al Sole, hanno orbite ellittiche (le uniche coniche Il raggio del Sole è di quasi 700 000 km, quindi il
a essere chiuse) di cui il Sole occupa uno dei due punto attorno al quale orbita si trova molto vicino
fuochi. Questo è l’enunciato di un’altra Legge di al suo centro.
Keplero: la prima. Anche questa legge fu determi-
nata in modo empirico da Keplero e fu a posteriori
spiegata da Newton che derivò, dalle osservazioni 30.8 La materia oscura
sperimentali, la forma matematica che doveva avere
Le galassie sono costituite di numerosissime stelle
il campo gravitazionale. Nel caso del Sistema Sola-
che orbitano attorno a un punto. Usando tecniche
re il Sole occupa uno dei fuochi dell’ellisse perché è
spettroscopiche si può misurare la velocità di rota-
molto piú pesante dei pianeti e la sua accelerazione
zione delle stelle presenti nelle galassie a varie di-
è trascurabile.
stanze dal centro. La tecnica consiste nell’isolare la
Nell’Universo esistono sistemi binari di stelle
luce proveniente da una piccola porzione di galassia
nei quali due stelle orbitano attorno a un punto co-
e osservarne le righe di assorbimento dello spettro,
mune, ciascuna seguendo una traiettoria ellittica. Il
disperdendone la luce con un prisma o un reticolo.
punto attorno al quale ruotano le stelle di questi si-
Quello che si osserva è che alcuni colori dello spettro
stemi è il loro centro di massa che occupa sempre
mancano (e in corrispondenza di questi colori com-
uno dei fuochi di entrambe le orbite. La posizione
paiono righe scure). La posizione di queste righe è
del centro di massa si ricava imponendo che
caratteristica degli elementi di cui sono composte le
stelle e le distanze relative tra le righe sono sempre
r1 M1 = r2 M2 (30.50)
le stesse, ma non la loro posizione. In alcuni casi
dove r = r1 + r2 è la distanza tra le due stelle e le righe sono spostate verso il rosso, in altri ca-
ri la distanza della stella i dal centro di massa; Mi si verso il blu. Questo fenomeno, noto anche come
è la massa della stella i–esima. Se due stelle han- red shift o blue shift s’interpreta come il risultato
no la stessa massa il loro centro di massa si trova dell’effetto Doppler applicato alla luce. La luce, che
nel punto a metà della congiungente le due stelle. è un’onda, proveniendo dalle stelle in avvicinamento
Se, per esempio, M2 = αM1 , le rispettive distanze verso di noi assume, per l’effetto Doppler, una lun-
delle stelle dal comune centro di massa si ricavano ghezza d’onda minore e appare piú azzurra, mentre
dall’equazione quella delle stelle in allontanamento appare piú ros-
sa perché noi la vediamo con un lunghezza d’onda
r1 = αr2 (30.51) piú ampia rispetto a quella con la quale è emessa.
per cui il corpo celeste piú pesante è anche quello In una galassia in rotazione alcune stelle si avvi-
piú vicino al centro di massa. In effetti questo accade cinano a noi e altre si allontanano e questo si vede
per qualunque coppia di corpi celesti. Nel caso della dallo spostamento delle righe spettrali delle stelle
Terra e del Sole, per esempio, entrambi orbitano che si osservano. Lo spostamento dipende dalla ve-
attorno al comune centro di massa. Il fatto è che locità con cui le stelle si avvicinano o si allontana-
il Sole è enormemente piú pensate della Terra (la no che dunque si può misurare dalla differenza di
massa del Sole è piú di 300 000 volte quella della lunghezza d’onda tra le righe.
Terra) perciò il Sole è talmente vicino al centro di

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30.8. LA MATERIA OSCURA 332

4
M (r) = ρV = ρ πr3 . (30.54)
3
La forza che subisce una stella di massa m a distanza
r dal centro della galassia ha quindi modulo

4πr3 ρm 4πρm
Fg = G 2
=G r (30.55)
3r 3
e cresce quindi come r fino a quando r = R, dopo di
che la galassia si comporta come un corpo puntifor-
me per cui ci si aspetta che questa forza, per r > R
vada come
Mm
Fg = G (30.56)
Figura 30.7 Nel grafico si vede la velo- r2
cità con la quale si muo-
essendo M = M (R) la massa complessiva della ga-
vono le stelle della galassia
NGC3198 in funzione della lassia. Se la stella di massa m orbita attorno alla
distanza dal centro. La curva galassia, la forza che abbiamo appena scritto dev’es-
indicata con disk rappresen- sere uguale alla sua massa per l’accelerazione, che
ta quella che dovrebbe essere è un’accelerazione centripeta e perciò, per r < R
la curva di rotazione secon-
dev’essere
do le Leggi della Gravitazio-
ne; quella marcata halo è la
differenza tra quella attesa e
4πρm v2
r=m . G (30.57)
quella sperimentale. 3 r
Dividendo per m entrambi i membri si trova
r
πρm
Facendo un grafico della velocità di rotazione del- v=2 G r. (30.58)
le stelle in funzione della distanza dal centro delle 3
galassie si trovano distribuzioni come quelle della La velocità dunque cresce linearmente con la distan-
Fig. 30.7. Questa distribuzione appare subito stra- za dal centro e questo è proprio quel che si vede nella
na. Per capire perché è necessario calcolare la di- prima parte della curva di rotazione della figura. A
stribuzione attesa. Per semplicità immaginiamo che distanze maggiori però ci si aspetterebbe che
una galassia sia costituita da un ammasso sferico
Mm v2
di stelle di densità costante, che si estende fino a G 2 =m (30.59)
un raggio R ' 10 kpc (kiloparsec: il parsec è una r r
misura di distanza corrispondente a 3.26 anni lu- da cui si ricava
ce). Il campo gravitazionale prodotto da una simile r
distribuzione di massa è M
v= G (30.60)
r
M (r)
G = G 2 r̂ , (30.53) per cui la
√ velocità delle stelle dovrebbe diminuire
r come 1/ r. Se non lo fa ci dev’essere un motivo.
dove M (r) rappresenta la massa della galassia con- Una possibile spiegazione è che attorno alla galassia
tenuta in un raggio r dal centro. Se la densità ρ è sia presenta un alone di materia non luminosa det-
costante questa massa si scrive ta materia oscura che dev’essere di natura diver-
sa rispetto alla materia ordinaria che conosciamo.

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30.9. IL FLUSSO DEL CAMPO MAGNETICO 333

Quest’ultima, infatti, produrrebbe comunque una dentro a fuori, mentre quelle che rientrano nel po-
sia pur debole radiazione luminosa che sarebbe pos- lo Sud l’attraversano in verso contrario. Cosicché
sibile rivelare, ma che invece non si riesce a vedere il flusso totale del campo attraverso la superficie è
in alcun modo. nullo: qualunque sia il numero di linee di forza che
Nei moderni acceleratori di particelle si cerca, tra attraversano la superficie in un senso, questo nume-
l’altro, di produrre questo tipo di materia attra- ro dev’essere uguale a quello che l’attraversano nel
verso la collisione tra particelle di materia ordina- senso contrario.
ria. Se davvero è questa la spiegazione, allora de- Naturalmente potremmo tagliare il magnete a ba-
v’essere possibile osservare eventi nei quali l’energia stoncino per farlo diventare sempre piú piccolo, ma
sembra non conservarsi: l’energia della materia or- questo non cambia le cose perché comunque il ma-
dinaria, infatti, sarebbe ceduta alla materia oscura gnete superstite avrà sempre, per quanto corto, un
ch non interagisce con i rivelatori e dunque non è polo Nord e un polo Sud e le linee di forza devono
osservabile. uscire dall’uno ed entrare nell’altro.
Naturalmente questa non è l’unica spiegazione Se invece di circondare completamente il magne-
possibile, ma è una spiegazione che appare possibile te con una superficie, scegliamo una superficie che
sulla base delle nostre attuali conoscenze. Si posso- lo interseca da qualche parte le cose non cambia-
no fare altre ipotesi come quella secondo la quale la no: se le linee di forza che entrano in un magnete
forma del campo gravitazionale non è esattamente sono uguali a quelle che ne escono, possiamo im-
quella prevista da Newton (e che noi abbiamo sco- maginarle sempre come linee chiuse che passano
perto in questo capitolo) oppure che esistano altri attraverso il materiale di cui è fatto il magnete. Il
fenomeni sconosciuti o ancora che il nostro modo numero di quelle che attraversano la superficie in un
d’interpretare le misure spettroscopiche sia sbaglia- verso dunque è sempre uguale al numero di quelle
to. Come sempre ciascuna ipotesi dev’essere verifi- che l’attraversano nel senso contrario e il flusso del
cata sperimentalmente, quindi c’è ampio spazio per campo continua a essere nullo.
nuove scoperte, sopra tutto considerando che, am- In definitiva il risultato delle nostre osservazioni è
mettendo che l’ipotesi della materia oscura sia cor- semplice: il flusso di un campo magnetico attraverso
retta, la stima che si ricava dalle osservazioni spe- una superficie chiusa è sempre nullo:
rimentali è che solo il 5 % della materia di cui è
costituito l’Universo sembrerebbe essere luminosa e ΦB (S) = 0 . (30.61)
quindi a noi nota. Tutto il resto, al momento, ci è
Un risultato del genere implica che non esistono sor-
completamente sconosciuto.
genti puntiformi del campo in questione: non esi-
stono cioè punti dello spazio da cui le linee di for-
30.9 Il flusso del campo ma- za promanano né punti in cui convergono piú linee
di forza, a meno che questi punti non coincidano.
gnetico Il campo magnetico dunque deve essere necessa-
riamente di natura diversa rispetto ai campi elet-
Il campo megnetico è prodotto dai magneti, i quali
trici e gravitazionali che sono generati da sorgenti
hanno sempre tutti un polo Nord e un polo Sud. Se
puntiformi.
quindi prendiamo un magnete a forma di baston-
cino e lo circondiamo con una superficie di forma
qualunque, le linee di forza uscente dal polo Nord
del magnete possono rientrare nel polo Sud restan-
do sempre all’interno della superficie oppure posso-
no attraversarla. Ma cosí facendo, le linee di forza
uscenti dal polo Nord attraversano la superficie da

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Unità Didattica 31
Energia e potenziale

31.1 Il lavoro di una forza


Prerequisiti: Il concetto di integrale è utile,
anche se non necessario. centrale
Ogni volta che una particella è immersa in un Scegliamo un sistema di riferimento nel quale la sor-
campo, se la particella in questione possiede una gente puntiforme di un campo centrale si trovi nel-
qualche caratteristica che la rende una sorgente di l’origine O e calcoliamo il lavoro svolto dalle forze
quello stesso campo, si produce una forza la cui del campo quando una particella di prova si sposta
intensità dipende dal prodotto delle sorgenti. Per dal punto A al punto B seguendo traiettorie diverse.
esempio, se metto una particella elettricamente ca- Potete pensare al campo come a quello gravitaziona-
rica con carica q in un campo elettrico generato le o a quello elettrico: è la stessa cosa. Scegliamone
da una carica Q si produce una forza d’intensità uno, tanto per fare qualche conto un po’ concreto,
proporzionale a qQ. Una particella di massa m po- ma ricordando che gli stessi ragionamenti si appli-
sta nel campo gravitazionale di un corpo di massa cano all’altro. Visto che il campo elettrico ha due
m percepisce una forza d’intensità proporzionale a possibili versi scegliamo questo, con il quale abbia-
mM . mo maggiore libertà. La forza che la particella di
Se la particella è libera di muoversi, in seguito prova di carica q sente nel campo prodotto dalla
al manifestarsi di questa forza si sposta. Di conse- particella Q è
guenza la sorgente del campo esegue un lavoro sulla
qQ
particella che vi si trova immersa (che si chiama, per F=k r̂ (31.2)
distinguerla dalla sorgente, particella di prova). r2
Il lavoro fatto dalla forza prodotta da un campo è, diretta come r che è il vettore che congiunge la sor-
per definizione, gente (nell’origine) con il punto nel quale si trova
la carica di prova. Il vettore r ha, quindi, le stes-
∆L = F · ∆s . (31.1) se coordinate della posizione della carica di prova.
In seguito all’interazione della particella di prova col
In questo capitolo calcoliamo questa grandezza fisi- campo, quest’ultima si sposta in modo da avvicinar-
ca per i campi che possiamo facilmente studiare spe- si o allontanarsi dalla sorgente del campo, muoven-
rimentalmente: gravitazionale, elettrico e magneti- dosi sempre lungo r. Supponiamo che Q > 0 e q > 0,
co. Poiché per almeno due di questi campi le cose in modo tale che il campo sia rivolto verso l’esterno
sembrano funzionare in modo del tutto simile con- e che la carica di prova si muova allontanandosene.
verrà studiare, in generale, il lavoro delle forze cen- Nel caso che stiamo esaminando la forza non è co-
trali, cioè di quelle forze che si producono quando stante, quindi non possiamo calcolare banalmente il
una particella si trova nel campo radiale prodotto lavoro come la forza per lo spostamento: quale for-
da un’altra particella. In questo caso la forza è di- za usiamo? Possiamo però sempre scrivere il lavoro
retta sempre lungo la congiungente le due particelle ∆L come
interagenti.
31.1. IL LAVORO DI UNA FORZA CENTRALE 336

X
∆L = ∆Li , (31.3)
i

cioè come la somma di lavori elementari, ciascu-


no calcolato lungo un cammino molto breve: tal-
mente breve da poter considerare la forza costante
tra il punto iniziale e quello finale (tanto i nostri
strumenti non saranno capaci di misurare eventuali
variazioni in quest’intervallo). Abbiamo dunque
X
∆L = Fi · ∆r (31.4)
i

dove abbiamo scritto lo spostamento come ∆r per


sottolineare che questo avviene lungo una direzione
radiale, parallela al campo. Se inizialmente la cari-
ca di prova si trova a distanza r1 da Q, dopo aver
subíto uno spostamento ∆r si troverà a distanza Figura 31.1 Una particella che si muove
r2 = r1 +∆r. Se gli spostamento ∆r sono molto pic- lungo una traiettoria costi-
coli possiamo trasformare la somma in un integrale1 tuita da tratti radiali e archi
e scrivere di circonferenza in un campo
centrale.
Z r2 Z r2
qQ
∆L = F dr = k 2 dr . (31.5)
r1 r1 r
Nell’espressione scritta sopra il prodotto scalare è La traiettoria è la somma di traiettorie radiali e
scomparso e si è trasformato nel prodotto dei modu- di archi di circonferenza. È evidente che muovendosi
li dei vettori semplicemente perché il vettore forza lungo il tratto a radiale il lavoro fatto dalla forza
e quello spostamento sono paralleli perciò il cose- elettrica vale, come abbiamo appena calcolato
no dell’angolo compreso tra i due vettori fattori del  
prodotto vale 1. Ricordando che possiamo portare 1 1
∆La = kqQ − (31.8)
fuori dall’integrale le costanti abbiamo r1 r2
Z r2 dove r1 e r2 sono rispettivamente la distanza di A
dr
∆L = kqQ (31.6) da Q e la distanza del punto di arrivo (notate che
2
r1 r abbiamo portato il segno − dentro la parentesi).
che vale Quando la particella si muove nel tratto b il suo
spostamento è sempre perpendicolare alla forza. Di
r   conseguenza il prodotto scalare tra quest’ultima e lo
1 2 1 1
∆L = −kqQ = −kqQ − . (31.7) spostamento è nullo e quindi la forza elettrica non fa
r r1 r2 r1 alcun lavoro durante questo spostamento: ∆Lb = 0.
Ricomincia a farlo quando la particella di prova si
Ora supponiamo che, in virtú di qualche meccani-
muove lungo il tratto c. Il lavoro fatto in questo caso
smo esterno, la carica sia costretta a muoversi tra i
sarà
punti A e B muovendosi come nella Figura 31.1.
 
1
Un integrale si può pensare come la somma di tanti, 1 1
∆Lc = kqQ − (31.9)
piccoli, contributi. Per comprendere i contenuti di questo r2 r3
capitolo vi basta sapere questo e fidarvi dei risultati.

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31.1. IL LAVORO DI UNA FORZA CENTRALE 337

dove r2 è la distanza tra q e Q, uguale a quella che Se la carica è giunta nel punto finale percorrendo
aveva prima di cominciare lo spostamento lungo b una traiettoria rettilinea che l’ha portata diretta-
e r3 è la distanza del punto raggiunto al termine mente dal punto iniziale a quello finale o se ci è ar-
del tratto lungo c. Muovendosi lungo d la particella rivata attraverso il percorso indicato nella Fig. 31.1
di prova non cambia la propria distanza da Q e il o in qualsiasi altra maniera non importa: il lavoro
lavoro fatto dalla forza elettrica, per lo stesso moti- è sempre lo stesso. Il valore della funzione U per la
vo che abbiamo discusso nel caso dello spostamento carica di prova è una grandezza fisica perché si
lungo b, è nullo: ∆Ld = 0. Lungo e abbiamo invece può misurare per il corpo in questione conoscendo-
che ne la carica elettrica q e la distanza r dalla carica
  Q. Questa grandezza fisica, per la carica elettrica
1 1 q, non dipende dalla storia di quella carica, ma sol-
∆Le = kqQ − . (31.10)
r3 r4 tanto dallo stato della particella definito, in questo
Sommando tutti i lavori si vede subito che caso, dalla posizione r e dalla carica q. In altre pa-
  role, il valore della funzione U non dipende affatto
∆L = kqQ
1

1
. (31.11) da ciò che è accaduto alla carica un istante prima
r1 r4 di raggiungere un determinato stato: noto questo
In sostanza il lavoro svolto dalle forze elettriche di- è noto il valore di U che per questo prende il no-
pende soltanto dalla distanza dalla quale è partita la me generico di funzione di stato. Una funzione di
carica e da quella a cui è arrivata. I passi intermedi stato non è altro che una funzione che restituisce il
sono del tutto ininfluenti. valore di una grandezza fisica misurabile per un da-
Ora, qualunque traiettoria segua la particella, to corpo che non dipende da quanto è accaduto al
una tale traiettoria si può pensare composta di una corpo fino a un istante prima di misurarla: il valore
serie di traiettorie radiali seguite da archi di cir- di una funzione di stato dipende unicamente dallo
conferenza: basta solo rendere abbastanza piccole le stato che ha la particella nel momento in cui se ne
singole componenti della traiettoria. Di conseguen- valuta il valore. È evidente che, dipendendo soltanto
za il risultato è valido per qualunque traiettoria: il dallo stato, se una particella parte da uno stato A
lavoro fatto dalle forze elettriche (centrali) per spo- (per esempio, se q parte da una distanza rA da Q),
stare una particella da una distanza r1 a una di- esegue una serie di movimenti qualunque e poi, dopo
stanza r2 , qualunque sia la forma della traiettoria, un tempo T , torna nello stato A, la grandezza fisica
dipende soltanto dal punto iniziale e da quello finale che stiamo esaminando, che è funzione di stato, non
(in particolare dipende soltanto dalla distanza tra la cambia, perciò la sua variazione è nulla: ∆U = 0.
particella di prova e quella che genera il campo). Il Questa è chiaramente una proprietà generale delle
lavoro di una forza centrale dunque è una funzione funzioni di stato: ogni volta che un corpo parte da
di stato e si può sempre scrivere il lavoro ∆L come uno stato A e vi ritorna dopo essere passata per una
la differenza ∆L = U (rf ) − U (ri ) dove U (r) dipen- serie di stati qualunque, ogni funzione di stato torna
de soltanto da r. Nel caso in esame, qualunque sia il al valore che aveva inizialmente e ∆U = 0.
modo in cui la carica di prova è giunta dal punto a La funzione di stato che stiamo trattando è
distanza r1 al punto a distanza r4 , il lavoro si scrive definita come

∆L = U (r4 ) − (r1 ) (31.12) ∆U = −∆L , (31.14)

dove prende il nome di energia potenziale e ha


espressione
qQ
U (r) = −k . (31.13) qQ
r U (r) = −k (31.15)
r

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31.1. IL LAVORO DI UNA FORZA CENTRALE 338

per una carica puntiforme. A essere pignoli si 31.1.1 L’energia potenziale gravita-
potrebbe sempre scrivere zionale
qQ La forza elettrica e la forza gravitazionale hanno di
U (r) = −k +C. (31.16)
r fatto la stessa forma matematica. La prima si scrive,
dove C è una costante, perché quando andiamo a in modulo,
calcolare il lavoro ∆L svolto dalla forza per portare
qQ
la carica q da ri a rf otteniamo F =k 2 (31.18)
r
 e laseconda
qQ qQ
∆L = −∆U = U (rf )−U (ri ) = −k +C− −k +C mM
rf ri F =G 2 . (31.19)
(31.17) r
che è sempre lo stesso indipendentemente da C. In Se l’energia potenziale della prima vale
altre parole l’energia potenziale U è definita a meno
di una costante. Il lavoro svolto dalle forze centra- qQ
U = −k (31.20)
li per spostare un corpo da un punto a un altro r
si calcola come la differenza dell’energia potenziale quella della seconda non può che scriversi come
valutata nei due punti cambiata di segno. Se al va-
mM
lore scelto di U sommiamo una quantità arbitraria U = −G . (31.21)
la differenza non cambia, quindi non possiamo di- r
re realmente quanto vale l’energia potenziale di una Su tutta la superficie terrestre r = r0 ' 6000 km
particella che si trova in un punto, ma soltanto di l’energia potenziale di un corpo di massa m al suolo
quanto varia. I possibili valori, tutti ugualmente le- è una costante che vale
gittimi, dell’energia potenziale di una particella in mM
un punto sono infiniti. Possiamo, naturalmente, sce- U = −G (31.22)
r0
glierne uno per convenzione e poi calcolare gli altri
sulla base di questo. I punti piú ovvi da usare sono con M pari alla massa della Terra. Spostando un
due: quello a distanza nulla dalla carica che genera corpo a una quota h lo si porta dalla distanza r = r0
il campo e quello a distanza infinita. Nel primo ca- alla distanza r = r0 + h e la sua energia diventa
so, qualunque sia C, U = ∞, quindi non possiamo
che scegliere il valore da dare a C quando r = ∞. In mM mM mM

h

questo caso U = C e se scegliamo C = 0, U = 0. Il U = −G r + h = −G  h
 ' −G
r0
1−
r0
.
punto a energia nulla è quindi quello a distanza infi-
0 r0 1 + r0
nita dalla sorgente. Ma non dobbiamo mai dimenti- (31.23)
care che possiamo sempre aggiungere o togliere una Poiché l’energia potenziale è sempre definita a me-
costante a nostro piacere a qualunque valutazione no di una costante possiamo sottrarre o aggiungere
dell’energia potenziale, purché usiamo tale valore in qualunque costante a U senza che la fisica cambi:
maniera coerente: se stiamo valutando il lavoro fat- quello che conta (che si può misurare) non è l’e-
to da una forza centrale possiamo farlo sottraendo i nergia, ma la variazione di energia. Se sommiamo
due valori dell’energia potenziale calcolati nei punti all’espressione di U gravitazionale la costante
iniziale e finale usando la stessa costante C.
mM
C=G (31.24)
r0
otteniamo

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31.1. IL LAVORO DI UNA FORZA CENTRALE 339

Allontanandosi da r0 , il valore di f (x) è sempre me-


U = mgh (31.25) no approssimabile con quello di f0 + f1 δ, ma se non
ci si allontana troppo si può sempre scrivere
con
M f (x) ' f0 + f1 δ + f2 δ 2 , (31.33)
g=G (31.26)
r02 e cosí via: si può sempre trovare un valore opportuno
che è proprio quella che abbiamo definito energia del grado N del polinomio per il quale
potenziale della forza peso. Quest’ultima, dunque,
N
non è altro che un’approssimazione di quella vera X
f (x) ' fi δ i . (31.34)
che si scrive
i=1

mM Molti studenti hanno difficoltà a comprendere il si-


U = −G (31.27)
r gnificato dell’energia potenziale. Qualche volta la si
quando r cambia poco. La quota che può raggiun- paragona a una sorta di moneta. In effetti sappia-
gere un corpo sulla superficie terrestre, infatti, per mo dalla dinamica che un lavoro fatto nei confronti
quanto elevata, è sempre molto minore del raggio r0 di un punto materiale o da quest’ultimo ne provoca
della Terra. Si tratta di un caso particolare di quella una variazione dello stato di moto che si traduce in
che si chiama espansione in serie di una funzione. una variazione della sua energia cinetica
Data una qualunque funzione f (x), che nel nostro 1
caso è K = mv 2 (31.35)
2
mM dove m è la massa della particella e v la sua velocità.
f (x) = −G , (31.28) In particolare vale la relazione secondo la quale
x
questa si può sempre approssimare con un polino-
mio di grado sufficientemente alto se x non varia ∆L = ∆K (31.36)
troppo. Molto vicino al suolo x si può considerare per cui la somministrazione di lavoro ∆L su una
costante e pari a r0 perciò particella di energia cinetica K ne provoca una va-
riazione di questa pari a ∆K = ∆L. Si tratta, in
mM
f (x) ' −G = cost. (31.29) effetti, di un caso particolare del primo princi-
r0
pio della termodinamica (che non vale solo per
Se ci allontaniamo di δ dal suolo possiamo scrivere i sistemi termodinamici, cioè per quelli costituiti di
x = r0 + δ e un gran numero di particelle, ma vale in generale).
Immaginiamo dunque una particella con energia ci-
mM mM

δ
 netica K come qualcuno nel cui portafogli ci sia
f (x) = −G ' −G 1− = f0 + f1 δ una somma S. Grazie alla sua disponibilità di de-
r0 + δ r0 r0
(31.30) naro, il nostro amico può togliersi un certo numero
dove di sfizi (va al cinema, a bersi una birra , a com-
2

prarsi un videogame) e può far fronte a una serie


mM di necessità (mangiare, coprirsi, etc.), almeno fino a
f0 = −G (31.31)
r0 quando nelle sue tasche c’è una quantità di denaro
e sufficiente. In sostanza, mantiene un certo tenore di
vita che dipende dalla quantità di denaro di cui di-
mM
f1 = G 2 . (31.32) spone. In modo del tutto analogo una particella può
r0 2
se non deve guidare

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31.1. IL LAVORO DI UNA FORZA CENTRALE 340

mantenere uno stato di moto che dipende dall’ener- le dell’energia: è definita a meno di una costante. Se
gia cinetica che possiede. Se il nostro amico va al si pensa all’energia come a una moneta, è chiaro che
ristorante, la sua disponibilità finanziaria di riduce non è la stessa cosa ricevere 10 euro per un lavoro
di −∆S pari all’importo del conto. Se invece svolge rispetto al caso in cui se ne percepiscono 1010. La
un lavoro per qualcuno, quest’ultimo sarà compen- capacità di spesa è maggiore in quest’ultimo caso, a
sato (almeno si spera) con una quantità ∆S di de- meno di non pensare che per ogni transazione eco-
naro che incrementerà la sua capacità di spendere. nomica sia necessario pagare 1000 euro, per cui se
Per le particelle accade qualcosa di analogo: se sulla ricevo 1010 euro di compenso e poi compro un og-
particella agisce una forza di attrito, la particella, getto che vale 10 euro devo pagarne comunque 1010.
muovendosi, esegue un lavoro nei confronti della su- Nell’interpretazione secondo la quale l’energia è una
perficie con la quale è in contatto perdendo, di fatto, misura del livello d’interazione di una particella con
una quantità di energia cinetica ∆K uguale al lavo- un campo, l’eventuale costante arbitraria rappresen-
ro fatto. In questo caso ∆K < 0 e il risultato è che ta una traslazione della scala usata per misurare
la capacità di muoversi della particella si riduce. Se quest’interazione. Ogni scala è arbitraria in quanto
invece si esegue lavoro sulla particella (per esempio definita da noi e non in maniera assoluta.
grazie all’applicazione di un campo esterno), la sua Non c’è, di fatto, grande differenza tra il concetto
energia cinetica aumenta. di energia e quello di temperatura: per quanto
Se il lavoro che si fa in questi casi è una funzione il secondo ci sembri piú familiare, a pensarci bene
di stato si può definire una energia potenziale si tratta di qualcosa che non è affatto banale come
come l’opposto di questo lavoro e il campo che dà sembra. La temperatura di un oggetto non è, nei fat-
origine alla forza da cui dipende l’energia potenziale ti, quella cosa che si sente col tatto (possiamo fare
si dice conservativo. esperimenti che dimostrano che il tatto non permet-
Un altro modo di comprendere il significato del- te di stimare una temperatura, ma la rapidità con
l’energia consiste nel considerarla una misura del- la quale il calore fluisce da o verso il nostro corpo),
l’intensità dell’interazione con un campo esterno (o ma una misura del livello di agitazione delle compo-
con un’altra particella che è la sorgente di questo nenti elementari di un corpo. L’energia potenziale è
campo). In assenza di qualunque interazione con un una misura di quanto intensamente le componenti
campo l’energia cinetica di una particella non cam- di un corpo si accoppiano a un campo.
bia perché se non c’è campo non c’è forza e quindi Come nel caso dell’energia, possiamo sempre sce-
non c’è accelerazione. Se invece la particella è in un gliere arbitrariamente la posizione dello zero della
campo conservativo, spostandosi da un punto A scala con la quale si misura la temperatura: nel-
a un punto B subísce una forza il che implica che la scala centigrada o Celsius, lo zero della tem-
perde o acquista lavoro e di conseguenza cambia la peratura corrisponde alla temperatura del ghiaccio
sua energia cinetica. Poiché però l’energia cinetica fondente, ma nella scala Fahrenheit lo zero corri-
cambia di una quantità pari a quella di cui varia sponde alla temperatura di circa 33 ◦ C. Allo stesso
quella potenziale, la somma dell’energia cinetica e modo, possiamo sempre scegliere di assegnare all’e-
dell’energia potenziale resta costante. Piú intenso è nergia potenziale di un pacco di pasta da 1 kg il
il campo con cui la particella interagisce piú è gran- valore zero quando si trova sul pavimento di una
de il lavoro fatto per spostarsi a parità di sposta- stanza, ma se questa stanza si trova al primo pia-
mento e piú è grande questo lavoro, piú è grande la no di un palazzo, lo stessa pacco di pasta avrebbe
variazione di energia potenziale. un’energia potenziale rispetto al piano terra pari a
Questo modo di concepire l’energia potenziale è mgh = 1 × 9.8 × 3.4 ' 33 J.
leggermente migliore rispetto al primo, non solo per- Nel caso delle temperature possiamo definire una
ché piú fisico (questo non ha grande importanza), scala assoluta usando i Kelvin perché questa
ma perché mantiene una caratteristica fondamenta- quantità rappresenta una misura dello stato di moto

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31.1. IL LAVORO DI UNA FORZA CENTRALE 341

delle componenti di un sistema, che presenta un evi-


dente minimo quando sono ferme. Alla stessa manie-
ra potremmo stabilire una scala assoluta di energia
attribuendo a questa il valore zero quando l’intera-
zione di ogni particella con ogni altra sia nulla. Per
esempio, nel caso delle forze centrali si può stabilire
in maniera assoluta che l’energia potenziale di una
particella infinitamente lontana da un’altra è nulla
perché se si fa tendere r all’infinito la quantità
qQ
U (r) = −k →0 (31.37)
r
tende a zero. È evidente che se attribuiamo all’e-
nergia di questa particella un valore C 6= 0 la fisica
non cambia, cosí come non cambia la fisica nel caso
in cui scegliamo di misurare la temperatura di un
corpo in una scala per la quale T = 0 K corrispon-
de a T 0 = C. Per quanto legittima, una tale scelta
risulta del tutto inutile visto che una particella non
può essere piú ferma di un oggetto fermo e non può
interagire meno intensamente di una particella che
non interagisce!

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Unità Didattica 32
Il potenziale dei campi

Al Capitolo ?? definiamo un campo per descrive- e definiamo quindi il campo prodotto dalla passa
re gli effetti provocati dalla presenza di una sorgente M come
indipendentemente dalla presenza di una particella
di prova. In modo del tutto analogo possiamo defi- F M
G=− = −G 2 r̂ . (32.2)
nire altre grandezze utili a descrivere gli effetti di un m r
campo indipendentemente dalla presenza della par- Due cariche elettriche q e Q esercitano l’una nei
ticella di prova. È chiaro, infatti, che un campo ma- confronti dell’altra una forza
nifesta i propri effetti soltanto se c’è una particella
qQ
con la quale interagisce. In assenza di tale parti- F=k r̂ (32.3)
cella è impossibile rivelare la presenza del campo. r2
Però supponiamo che il campo ci sia, indipendente- e il campo prodotto da Q si scrive come
mente dalla presenza o meno di qualcosa che ce ne F Q
fa apprezzare l’esistenza. E=− = −k 2 r̂ . (32.4)
q r
Gli effetti che il campo provoca su un’eventuale
particella di prova dipendono, evidentemente, dal- Il lavoro ∆L fatto dalle forze in questione per spo-
la natura e dalle caratteristiche di questa particella: stare una particella di un tratto ∆s è indipenden-
nel caso del campo elettrico, gli effetti provocati dal- te dalla traiettoria seguita dalla particella e di-
l’interazione con la carica di prova dipendono dalla pende soltanto dagli stati iniziale e finale. Pertan-
carica elettrica; nel caso del campo gravitazionale to quindi sempre esprimere ∆L come la differen-
dipendono dalla sua massa. za di due valori di una funzione di stato U :
Possiamo però studiare le proprietà generali dei ∆L = −∆U . Alla funzione U abbiamo dato il nome
campi eliminando la dipendenza da queste caratte- di energia potenziale. L’energia potenziale dipen-
ristiche nella descrizione degli effetti provocati. Una de dalle caratteristiche di entrambe le particelle che
delle grandezze fisiche che in qualche misura descri- interagiscono. Nel caso di particelle con massa
vono gli effetti del campo su una particella di prova mM
è l’energia potenziale. U = −G +C (32.5)
r
Per definire un campo abbiamo semplicemente di-
e nel caso delle particelle elettricamente cariche
viso l’espressione della forza agente su una particel-
la che si accoppia a quel campo per la caratteristica qQ
che ne definisce l’intensità dell’accoppiamento. Due U = −k +C (32.6)
r
corpi di massa m e M si attraggono a vicenda con dove C è una costante arbitraria.
una forza pari a In maniera del tutto analoga a quanto abbia-
mM mo fatto per definire i campi a partire dalle for-
F = −G r̂ (32.1) ze, possiamo immaginare di definire una grandez-
r2
za fisica che dipende soltanto dalla sorgente del
32.1. RAPPRESENTAZIONI DEL CAMPO: LE SUPERFICI EQUIPOTENZIALI 344

campo. In questa maniera l’energia potenziale, cioè 32.1 Rappresentazioni del


il grado d’interazione di una particella con un’al-
tra, dipenderà da una quantità sia;are che dipende
campo: le superfici
soltanto dalla sorgente del campo e dalla grandez- equipotenziali
za fisica che determina l’accoppiamento col campo
corrispondente. La grandezza fisica che abbiamo appena definito co-
Dividendo l’energia potenziale gravitazionale per me potenziale è utile per rappresentare il campo
m si trova una quantità che dipende soltanto da M associato. Cominciamo con l’analizzare il caso piú
e dunque è utile per caratterizzare la capacità della semplice che è quello del campo gravitazionale ter-
sorgente di produrre un campo. Quello che troviamo restre per il quale G = −g. La forza con la quale
è una massa m è attratta dalla Terra si trova moltipli-
cando il campo per la costante di accoppiamento
M
G = −G (32.7) m: F = −mG = −mg. Le linee di forza del campo
r sono verticali e perpendicolari al suolo. Il lavoro fat-
(abbiamo omesso la costante C che è irrilevante ed to dalla forza peso per spostare una massa m dalla
è inutile portarsi dietro). Allo stesso modo possia- quota h alla quota zero vale
mo costruire una quantità che in qualche misura ci
dice quale sarebbe l’effetto del campo elettrico pro-
∆L = F · ∆s = mg · (0 − h) ĝ = −mgh (32.9)
dotto da una carica Q su una carica q: basta divi-
dere l’energia potenziale di quest’ultima per q per (lo spostamento è parallelo a g). Questo numero
ottenere cambiato di segno è l’energia potenziale gravitazio-
nale, mentre il potenziale del campo vale gh. A pa-
Q
E =k . (32.8) rità di quota il potenziale è lo stesso. Questo si-
r gnifica che, a parità di massa, anche l’energia della
Entrambe queste quantità sono scalari e ci danno particella è la stessa. Tutte le particelle di massa
informazioni circa gli effetti prodotti dalla sorgente m hanno la stessa energia potenziale se si trovano
dalla quale dipendono su una particella che si ac- su un piano ad altezza h dal suolo. Tutti i punti
coppia al campo prodotto da quest’ultima. A questa di questo piano hanno lo stesso potenziale e il pia-
quantità diamo il nome generico di potenziale. Il no costituisce quella che si chiama una superficie
potenziale gravitazionale è l’energia potenziale equipotenziale.
gravitazionale per unità di massa per una particella Le superfici equipotenziali di un campo gravita-
che si trovi in quel campo. Il potenziale elettri- zionale terrestre sono dunque piani paralleli al suolo.
co è l’energia potenziale elettrica per unità di cari- Il potenziale sul piano di altezza h vale gh. Se una
ca elettrica di una particella elettricamente carica. particella di massa m si trova sul piano a distan-
Nelle vicinanze della superficie terrestre possiamo za h dal suolo ha un’energia potenziale pari a mgh.
approssimare il campo gravitazionale come una co- Il campo ha modulo g pari al potenziale diviso per
stante G ' −g (g ' 9.8 ms−2 ). L’energia poten- la distanza. Se una particella di massa m passa dal
ziale U di una massa ad altezza h dal suolo (dove piano di potenziale gh a quello di potenziale gh0 gua-
possiamo stabilire che U = 0) vale U = mgh e il dagna (o perde, secondo il segno) energia potenziale
potenziale gravitazionale terrestre è G = gh. pari a mg (h − h0 ).
Poiché l’energia potenziale di una particella è, per
definizione, il lavoro fatto dalle forze del campo cam-
biato di segno, il lavoro necessario per spostare una
particella di massa m lungo una superficie equipo-
tenziale è nullo. Il lavoro è la forza moltiplicata sca-

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32.1. RAPPRESENTAZIONI DEL CAMPO: LE SUPERFICI EQUIPOTENZIALI 345

larmente per lo spostamento e l’unico modo di avere


la garanzia che il lavoro sia nullo è imporre che lo
∆V = E· ∆s|| + ∆s⊥ = E·∆s|| +E·∆s⊥ . (32.11)

spostamento sia perpendicolare alla forza. Questo
significa che le superfici equipotenziali devono es- Il secondo addendo è nullo, mentre il primo vale
sere sempre perpendicolari alla forza (e quindi al semplicemente E∆s|| , perciò
campo) perché muovendosi sulla superficie il lavoro
dev’essere nullo. E=
∆V
. (32.12)
Grazie a questa proprietà un campo si può rap- ∆s||
presentare, oltre che con le linee di forza tangenti al Questo significa che la componente del campo lungo
campo stesso, anche con una serie di superfici equi- una certa direzione si trova dividendo la differenza
potenziali.Questa rappresentazione può in certi casi di potenziale tra due punti che giacciono lungo
essere piú comodo o piú semplice, semplicemente questa direzione per la distanza tra questi.
perché si tratta di una rappresentazione scalare e Facciamo qualche esempio per capire meglio, con-
non vettoriale. siderando il campo gravitazionale terrestre vicino
Se abbiamo l’accortezza di disegnare le superfici alla sua superficie per il quale sappiamo che il po-
equipotenziali a distanza tali per cui tra una super- tenziale del campo vale V = gh dove h è l’altezza
ficie e la successiva la differenza di potenziale dal suolo. Se vogliamo sapere quanto vale il cam-
resta costante, la densità delle superfici dà un’idea po nella direzione verticale dobbiamo scegliere due
di quanto sia intenso il campo. punti che definiscano la direzione verticale che sono
Se fate gli stessi ragionamenti usando una forza due punti uno sopra l’altro. Per esempio potremmo
elettrica o una forza gravitazionale centrale trovate scegliere x = (0, 0, 2) (in qualche unità, per esempio
gli stessi risultati: le superfici equipotenziali sono del SI) e y = (0, 0, 5). Abbiamo che V (x) = 2 × g e
superfici sempre perpendicolari alle linee di forza e V (y) = 5 × g. Lo spostamento ∆s tra i punti y e x
quindi al campo e la loro densità esprime l’intensità è
relativa del campo, che cresce (o decresce, secondo il
segno della differenza) sempre perpendicolarmente ∆s = (0, 0, 5 − 2) = (0, 0, 3) , (32.13)
alla superficie.
il cui modulo vale 3 e quindi
Una proprietà generale e abbastanza evidente del-
le superfici equipotenziali è quella di non potersi mai ∆V 5−2
intersecare: infatti, se lo facessero, lungo l’intersezio- E3 = =g =g (32.14)
∆s3 3
ne dovrebbero avere lo stesso potenziale, ma in que-
quindi E è un campo che lungo la direzione verticale
sto caso tutta la superficie dovrebbe avere lo stesso
ha modulo pari a g ed è diretto come il vettore che
potenziale e quindi le due superfici coinciderebbero
unisce y a x: verso il basso. Se scegliessimo i punti
integralmente.
x = (0, 0, 2) e y = (0, 3, 5) potremmo calcolare il
Consideriamo ora due superfici equipotenziali la
valore del campo lungo la direzione che unisce y a
cui differenza di potenziale sia ∆V . Per definizione
x come
questa differenza è
∆V
∆V = E · ∆s (32.10) E= . (32.15)
|y − x|
cioè il campo (indicato con E e considerato costan- Poiché la distanza dal suolo di ciascuno dei punti è
te) moltiplicato scalarmente per lo spostamento. Lo la stessa di prima evidentemente ∆V = 3g (sempre
spostamento ∆s lo possiamo sempre scrivere come nelle unità del SI). La distanza tra i punti ora vale
la somma di due vettori: uno ∆s|| parallelo al campo
E e l’altro ∆s⊥ perpendicolare a questo e cosí √
(32.16)
p
∆s = (3 − 0)2 + (5 − 2)2 = 3 2 .

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32.1. RAPPRESENTAZIONI DEL CAMPO: LE SUPERFICI EQUIPOTENZIALI 346

Il campo lungo questa direzione è dunque cui è composto un integrale, la differenza diventa
infinitesima e si scrive dV che è uguale a
3 g
E= √ g=√ . (32.17)
3 2 2 dV = E · ds . (32.21)
Geometricamente la direzione scelta è una retta che
Questo ci permette di rifare gli stessi ragionamenti
forma un angolo di 45◦ con la verticale. La proiezio-
che abbiamo fatto nel caso degli spostamenti fini-
ne del campo gravitazionale terrestre di modulo g
ti: se si considera uno spostamento infinitesimo ds
lungo questa direzione è proprio g moltiplicata per
√ come somma di due spostamenti infinitesimi, uno
il coseno di 45◦ , che vale proprio 1/ 2.
parallelo e uno perpendicolare al campo, possiamo
Se il campo non è costante non possiamo piú
scrivere
scrivere che
(32.22)

dV = E · ds|| + ds⊥ .
∆V = E · ∆s , (32.18)
Anche in questo caso il secondo addendo della som-
perché E può dipendere dalle coordinate e quindi
ma è nullo perché E è perpendicolare a ds⊥ e quindi
il prodotto scalare cambierebbe secondo il punto
resta
scelto per calcolarlo. Possiamo però sempre scrivere
che
dV = E · ds|| = Eds|| (32.23)
(32.19) dove il prodotto scalare è stato riscritto semplice-
X X
∆V = ∆Vi = Ei · ∆si
i i mente come il prodotto ordinario dei moduli grazie
dividendo lo spostamento ∆s in tanti piccoli spo- al fatto che i due vettori fattori sono ora tra lo-
stamenti ∆si : abbastanza piccoli perché in ciascuno ro paralleli e il coseno dell’angolo compreso vale 1.
il campo Ei si possa considerare costante. La diffe- Possiamo dunque scrivere che la componente E di
renza di potenziale totale è ovviamente la somma un campo parallela a uno spostamento ds si può
delle differenze di potenziale in ciascun tratto. La trovare come
somma può non essere facile da farsi. In certi casi si dV
può usare il calcolo integrale per farla. Lasciamo ,
E= (32.24)
ds
naturalmente all’insegnante di matematica il com-
pito di spiegare come si calcola un integrale. Per i cioè come la derivata del potenziale del campo
nostri scopi è sufficiente sapere che l’integrale rap- stesso. Nel caso, per esempio, di un campo radiale
presenta la somma di tanti piccoli contributi, per sappiamo che
cui passando la limite in cui lo spostamento ∆si è Q
infinitesimo (piccolissimo) possiamo sostituire ∆si V =k (32.25)
r
con il differenziale o incremento ds e la somma
dove k è una costante, Q la sorgente del campo (la
con un integrale scrivendo
massa per il campo gravitazionale e la carica elet-
Z b trica per quello elettrico) e r rappresenta la distan-
∆V = E · ds . (32.20) za dalla sorgente. Lungo la direzione di un raggio
a
avremo che
Gli estremi d’integrazione a e b rappresentano
i punti tra i quali s’intende calcolare la differenza
 
dV d Q Q
E= = k = −k 2 (32.26)
di potenziale. Se invece di sommare tanti contributi dr dr r r
per ottenere una differenza di potenziale finita ∆V
che è proprio l’espressione del modulo del campo
si calcola una variazione infinitesima del potenzia-
lungo la direzione radiale.
le, cioè se si tiene solo uno degli infiniti addendi di

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32.2. LA MISURA DEI POTENZIALI 347

In definitiva, per rappresentare un campo si pos- che evidente dal fatto che l’energia cinetica, definita
sono usare diverse rappresentazioni. Tra queste rap- come 12 mv 2 , è omogenea a quella potenziale). Il po-
presentazioni quella del potenziale è particolarmen- tenziale gravitazionale dunque ha evidentemente le
te comoda perché questa grandezza fisica è scala- dimensioni fisiche di una velocità al quadrato. Per
re e, si sa, fare i conti con gli scalari è piú facile il potenziale elettrico non si può ottenere una de-
che farli con i vettori. La rappresentazione peral- finizione piú semplice, ma si può definire un’unità
tro permette di conoscere facilmente le componenti di misura apposita: il Volt, indicato col simbolo V.
del campo in qualunque direzione: basta calcolare L’energia che una particella di carica pari a 1 C
la derivata del potenziale lungo la direzione nella guadagna (o perde) passando da un punto A a un
quale si vuole conoscere il valore della componente. punto B tra cui esista una differenza di potenziale
Cosí in un singolo numero V (x) è inclusa sia l’infor- di 1 V è pari a 1 J.
mazione su quanto intenso sia il campo nel punto x Avendo quest’unità a disposizione possiamo espri-
sia quanto rapidamente vari. E per di piú possiamo mere altre grandezze fisiche connesse in questi ter-
valutare l’energia U che possiederebbe una particel- mini. Per esempio, poiché il campo si ottiene di-
la se immersa nel campo nel punto x: U = qV (x) videndo una differenza di potenziale per uno spo-
(qui q è una carica elettrica se parliamo di poten- stamento, possiamo misurare il campo elettrico
ziale elettrico e una massa se parliamo di potenziale in V/m e quello gravitazionale in m/s2 (vi torna?
gravitazionale). è un’accelerazione).
Va detto che non tutti i campi si prestano a que- In effetti il V/m è l’unità piú comune per i cam-
sto tipo di rappresentazioni. Per esempio, nel ca- pi elettrici, perché è relativamente facile stabilire i
so dei campi magnetici, la rappresentazione con le valori dei potenziali e le misure di distanza sono
linee di forza funziona piuttosto bene, ma quella semplici da fare. È molto piú complicato fare una
col potenziale no. Non si riesce a definire, in effetti, misura di forza e una di carica.
un potenziale magnetico e il motivo consiste nel
fatto che il lavoro fatto dalle forze magnetiche non
è indipendente dallo spostamento del magnete di
prova.

32.2 La misura dei potenziali


I campi da cui dipendono i potenziali sono gran-
dezze fisiche tra loro non omogenee, quindi non c’è
alcun motivo per cui i potenziali debbano avere tut-
ti le stesse dimensioni fisiche. Ogni potenziale avrà
le sue dimensioni, secondo la sua natura.
Tutti i potenziali hanno le dimensioni di un’ener-
gia divisa per la sorgente del campo corrispondente.
Il potenziale del campo elettrico quindi si misura
in J/C e quello della forza peso o della forza gra-
vitazionale in J/kg. L’energia ha le dimensioni di
un lavoro, cioè quelle di una forza, che è una massa
per un’accelerazione, per uno spostamento. Di con-
seguenza le dimensioni di un’energia sono quelle di
una massa per una velocità al quadrato (com’è an-

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Unità Didattica 33
La corrente elettrica

se S è l’area della sua superficie. Il campo E1 è di-


Prerequisiti: è indispensabile la nozione di retto verso destra. Questo campo attrae le cariche
potenziale elettrostatico. Il primo principio del- negative presenti nel conduttore della lastra inizial-
la termodinamica si usa in questo capitolo per mente scarica (quella a destra) che iniziano a muo-
interpretare ciò che accade all’interno di un filo versi. Quando raggiungono la superficie, le cariche
conduttore. negative Q0 producono un campo di modulo
Chiunque legga queste pagine sa cosa sia la cor- σ0 Q0
rente elettrica: è quella cosa che si prende dalla pre- E2 = − =− . (33.2)
2ε0 2ε0 S
sa di corrente di casa. Ma cos’è quella cosa che esce
rivolto verso la faccia sinistra della lastra. Questo
da quei buchi sul muro? E poi perché diciamo che è
campo si somma algebricamente con quello prodot-
qualcosa che esce?
to dalla distribuzione di cariche presenti sulla lastra
In questo capitolo troviamo le risposte a queste
di sinistra: tra le due lastre i due campi sono con-
domande. Risposte che, come al solito, non sono
cordi (hanno lo stesso verso), mentre nella lastra e
fornite in modo assiomatico: le otteniamo dall’ana-
a destra di essa sono discordi per cui il modulo del
lisi dei fenomeni che possiamo sperimentare e dalla
campo dentro la lastra vale
conoscenza di alcune parti della fisica (indicate nei
prerequisiti).
Eint = E1 − E2 , (33.3)
come si vede dalla Fig. 33.1. Se il campo elettrico
33.1 Un contenitore d’energia nella lastra non è zero le cariche continuano a muo-
elettrica versi: quelle negative migrano verso sinistra e quelle
positive verso destra. Questo fa aumentare il mo-
Grazie al fatto che le forze elettriche possono essere dulo del campo E2 . Tutto ciò avviene fintanto che
sia di tipo attrattivo che repulsivo è possibile co- il campo elettrico totale E nel conduttore di destra
struire un dispositivo capace di confinare il campo non è nullo. Quando questo campo si annulla il mo-
elettrico in una regione di spazio relativamente pic- vimento delle cariche si arresta. Ora, E = 0 se e solo
cola: basta prendere due lastre metalliche parallele se Q = Q0 in modulo. In questi casi si dice che siamo
affacciate l’una all’altra (senza che si tocchino) ca- in regime di induzione completa: il fatto che la
ricandone elettricamente una (immaginiamo quella lastra sia vicina a una lastra carica positivamente,
alla nostra sinistra) con una carica Q che supporre- fa sí che sulla faccia interna delle prima si desta una
mo, tanto per fissare le idee, positiva. Questa lastra carica elettrica opposta uguale, in modulo, a quella
produce un campo elettrico la cui intensità vale della seconda.
Il dispositivo formato dalle due lastre metalliche
E1 =
σ
=
Q
(33.1) parallele cariche di carica opposta prende il nome di
2ε0 2ε0 S condensatore. I due conduttori di cui è formato si
33.1. UN CONTENITORE D’ENERGIA ELETTRICA 350

elettrico che, nel caso di un condensatore piano, vale


Q
E= (33.4)
ε0 S
in modulo, diretto dall’armatura positiva a quella
negativa. Lo si capisce bene guardando la Fig. 33.1
nella quale il campo prodotto dalla lastra carica po-
sitivamente è rappresentato con le frecce azzurre,
mentre quello prodotto dalla lastra carica negati-
vamente dalle frecce blu. Le frecce hanno tutte la
stessa lunghezza perché il modulo del campo, che
vale 2εQ0 S , non dipende dalla distanza dalla lastra,
ma quelle azzurre hanno verso opposto a quelle blu.
Il risultato è che dentro il condensatore i campi pro-
dotti dalle due distribuzioni di carica si sommano,
mentre fuori si cancellano a vicenda.
Se tra le armature non c’è il vuoto o l’aria, che
hanno una costante dielettrica relativa εr = 1, ma
un materiale di costante dielettrica εr , il campo
diventa
Q
E= . (33.5)
ε0 εr S
Figura 33.1 Un piano uniformemente ca-
rico di carica positiva produ- Corrispondentemente, se si misura la differenza di
ce un campo uscente da es- potenziale ai capi del condensatore, cioè tra le due
so e costante in modulo a armature, si trova
qualunque distanza (in blu
scuro). Il campo prodotto Q
dal piano caricato all’oppo- ∆V = Ed = d (33.6)
sto produce un campo identi- ε0 εr S
co, ma entrante nel piano (in dove d è la distanza tra le armature. Ricordiamo
azzurro). Tra i piani i campi che il potenziale di un campo è il lavoro per unità
si sommano e fuori di essi si
cancellano a vicenda. di sorgente, che nel caso del campo elettrostatico è
la carica elettrica. Di conseguenza il potenziale si
trova come il campo moltiplicato scalarmente per
lo spostamento che nel caso del condensatore piano
chiamano armature. Un condensatore si può rea- è d ed è parallelo al campo.
lizzare anche usando due conduttori cilindrici coas- Costruire un condensatore è piuttosto semplice: si
siali, cioè che hanno l’asse in comune. Se si carica prendono due fogli metallici e si separano con un fo-
il cilindro interno, quello esterno subisce gli stessi glio isolante. Per esempio si possono usare due fogli
fenomeni della lastra di prima. Toccando la super- di alluminio per cucina di 10 × 10 cm2 e un foglio
ficie esterna del cilindro se ne rimuovono le cariche di carta delle stesse dimensioni. Usando strisce di
dello stesso segno del cilindro interno e quello ester- alluminio e di carta alte 1 cm e lunghe 1 m la su-
no possiede una carica uguale e opposta a quella del perficie è la stessa, ma, una volta sovrapposte, le
cilindro interno. strisce si possono arrotolare in modo da realizza-
Tra le armature di un condensatore c’è un campo re un piccolo cilindretto che è molto piú manegge-

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33.1. UN CONTENITORE D’ENERGIA ELETTRICA 351

vole del condensatore quadrato. Osserviamo che la elettricamente neutro. Le cariche si spostano soltan-
quantità to da un’armatura all’altra, ma complessivamente il
condensatore non cambia il suo stato di carica. Se
∆V d
= (33.7) queste cariche fossero libere di muoversi potrebbero
Q ε0 εr S tornare nello stato originario dando luogo a un mo-
dipende soltanto da come è costruito il dispositivo: to di cariche che potremmo cercare di sfruttare in
da quanto sono grandi le sue armature, da quanto qualche maniera.
distano e da cosa c’è in mezzo. Si tratta dunque Prima di capire come si può sfruttare il moto delle
di una quantità che caratterizza completamente il cariche facciamo due conti per capire quanta ener-
condensatore, indipendentemente dal suo stato di gia possiamo immagazzinare in questo dispositivo.
carica. Il lavoro necessario per spostare una carica elemen-
Un condensatore è uno strumento interessante tare dQ da un’armatura all’altra tra cui ci sia una
perché per caricarlo è necessario spendere una cer- differenza di potenziale ∆V vale
ta quantità di energia per compiere il lavoro neces-
sario a spostare una carica da un’armatura all’al- Q
dL = dQ∆V = dQ d, (33.9)
tra. È importante osservare che non importa come ε 0 εr S
venga spostata la carica, dal momento che il cam- che cresce al crescere di ∆V la quale, a sua volta,
po elettrostatico è conservativo. Il lavoro necessario cresce all’aumentare della carica deposta su un’ar-
per spostare una carica elettrica da un’armatura al- matura. Il lavoro totale necessario per portare la
l’altra muovendosi lungo un segmento perpendico- carica di un’armatura da Q = 0 a Q 6= 0 (e l’arma-
lare alle armature è identico a quello necessario per tura opposta alla carica opposta) è la somma dei
compiere lo stesso spostamento con un qualunque lavori elementari, che possiamo riscrivere come
altro percorso tortuoso a piacere! Cosa c’è d’inte-
ressante nel fatto che per la carica di un condensa- Z Q Z Q
d d Q2
tore è richiesta una certa quantità d’energia? Che ∆L = dL = QdQ = .
l’energia si conserva e quindi l’energia cosí spesa re- 0 ε0 εr S 0 ε0 εr S 2
(33.10)
sta in qualche modo immagazzinata nel conden-
In quest’espressione compare la quantità
satore che potrebbe restituircela in qualche forma
in un tempo successivo. Il condensatore dunque si d
comporta come un contenitore di energia. =C (33.11)
ε0 εr S
Quando si solleva un oggetto di massa m a una
che abbiamo visto piú sopra. Possiamo allora
quota h l’oggetto immagazzina una quantità d’e-
riscrivere
nergia potenziale gravitazionale mgh, dove g rap-
presenta l’accelerazione di gravità. Nel momento in Q2
cui l’oggetto si lascia libero, l’energia ci viene in ∆L = C . (33.12)
2
qualche modo restituita nel senso che l’oggetto co-
Poiché
mincia a cadere raggiungendo una velocità v al suolo
tale che ∆V
C= (33.13)
1 2 Q
mv = mgh . (33.8) possiamo anche riscrivere
2
Allo stesso modo noi potremmo caricare un con- ∆V Q2 1
densatore spostando cariche da un’armatura all’al- ∆L = = Q∆V (33.14)
Q 2 2
tra. Attenzione: in questo caso caricare significa
di energia, perché il condensatore resta comunque o ancora, dal momento che

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33.2. SVUOTIAMO IL CONDENSATORE 352

armature sono separate dal vuoto o da un materia-


∆V le isolante non c’è modo per queste di attraversare
Q= (33.15)
C lo spazio tra le armature. È questo che permette
∆V 2 1 ∆V 2 al condensatore di funzionare. Una volta caricato
∆L = C = . (33.16) posso portare in giro il mio condensatore che conti-
2C 2 2 C
nua a contenere una certa quantità di energia, per
Quest’ultima espressione ci fornisce un’utile inter-
riottenere la quale devo fare in modo di far passare
pretazione per C: un condensatore ai cui capi sia pre-
nuovamente le cariche da un’armatura all’altra in
sente una differenza di potenziale ∆V è capace d’im-
senso contrario.
magazzinare una quantità di energia proporzionale
Occorre cioè far tornare il condensatore nello
a 1/C = C. Possiamo cioè scrivere che
stato iniziale: quello che aveva prima di essere
1 caricato.
∆L = C∆V 2 (33.17)
2
con
33.2 Svuotiamo il condensato-
Q
C= (33.18) re
∆V
e quindi anche Come possiamo svuotare questo contenitore di ener-
gia? È evidente: dobbiamo fare in modo che le ca-
Q2 riche accumulate su un’armatura tornino sull’altra.
∆L = . (33.19)
2C Per farlo dobbiamo collegare le due armature attra-
La quantità C ha le dimensioni di una carica elet- verso un materiale conduttore, come un filo metal-
trica, che si misura in C, divisa per una differenza lico. Se facciamo questa cosa osserviamo che in un
di potenziale, che si misura in V. Un condensatore tempo piú o meno breve il filo si scalda: segno che
nel quale un’armatura abbia una carica di 1 C e che al filo è stata ceduta energia. E da chi se non dal
presenti una differenza di potenziale di 1 V ai suoi condensatore che l’aveva immagazzinata?
capi ha una capacità di 1 C/V=1F. Il simbolo F si Cosí abbiamo mostrato che effettivamente il no-
legge Farad (in onore di Michael Faraday). stro condensatore rappresenta una specie di conteni-
La quantità di energia immagazzinata da un con- tore di energia elettrica che, quando viene estratta,
densatore le cui armature siano tenute a un dato provoca il riscaldamento del filo attraverso il qua-
potenziale è cosí proporzionale a C che in qualche le possono passare le cariche elettriche spostate da
misura rappresenta la capacità del condensatore un’armatura all’altra in fase di carica.
d’immagazzinare energia: maggiore è C, maggiore è Analizziamo questo processo da un punto di vi-
l’energia immagazzinabile a parità di ∆V . In un cer- sta termodinamico. Se il filo si scalda significa che
to senso C è l’analogo della capacità di un recipien- aumenta la sua energia interna ∆U . Secondo il pri-
te: la capacità di un recipiente rappresenta infatti la mo principio della termodinamica il riscaldamen-
quantità di liquido che il recipiente può immagazzi- to può avvenire attraverso la somministrazione di
nare. Analogamente la capacità di un condensatore calore ∆Q o di lavoro ∆L:
rappresenta la quantità di energia che può contene-
re una volta portate le sue armature a potenziale ∆U = ∆Q − ∆L (33.20)
∆V .
(ricordiamo che ∆L < 0 quando è fatto nei con-
Una volta carico il condensatore rimane tale per-
fronti nel sistema in esame che è il filo). È ovvio che
ché per scaricarsi le cariche dovrebbero potersi muo-
∆Q = 0 in questo caso. Quel che sta riscaldando il
vere e tornare nella condizione iniziale. Ma poiché le
filo è il lavoro ∆L immagazzinato nel condensatore

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33.2. SVUOTIAMO IL CONDENSATORE 353

durante la carica. Questo lavoro ci viene restituito ha tutte le caratteristiche di un campo, quindi siamo
facendo in modo che le cariche tornino nell’armatu- in qualche misura autorizzati a usare questa parola
ra da cui sono state spostate durante la carica. le per identificarlo. Se E è un campo omogeneo al cam-
cariche dunque si devono spostare e possono farlo po elettrostatico (con le stesse dimensioni fisiche),
solo passando attraverso il filo. Se lo fanno signifi- l’integrale
ca che su di esse agisce una forza d’intensità F che Z
compie un lavoro Ed` = ∆V (33.24)
Z
∆L = F d` (33.21) ha le dimensioni fisiche di una differenza di poten-
ziale che possiamo chiamare tensione oppure for-
dove l’integrale va fatto lungo il percorso definito za elettromotrice, che solitamente si abbrevia in
dal filo elettrico. Questo significa che la forza agisce fem. Il nome diverso serve a rendere esplicito il fat-
solo dentro il filo e che è responsabile dello sposta- to che pur avendo la stessa natura, si tratta di una
mento delle cariche. La forza F quindi dev’essere grandezza fisica diversa, che è numericamente ugua-
proporzionale alla carica q di queste, F = qE, e le alla differenza di potenziale presente ai capi del
possiamo quindi scrivere che condensatore quando è carico, all’inizio del proces-
Z so di scarica. In effetti il prodotto di q per ∆V è
∆L = qEd` . (33.22) proprio l’energia di una carica q quando si trova a
un potenziale ∆V . Quando il condensatore inizia a
q evidentemente non può dipendere dalla posizio- scaricarsi questa differenza di potenziale diminuisce
ne nel filo e quindi è costante rispetto a `. Possia- e questo si può osservare nel processo di riscalda-
mo quindi portarla fuori dal segno di integrale per mento del filo che inizialmente è molto intenso e
ottenere poi, man mano che passa il tempo, diventa sempre
Z meno violento.
∆L = q Ed` . (33.23) Il termine forza elettromotrice spesso trae in
inganno: è opportuno osservare che, a dispetto del
Non abbiamo usato il simbolo E a caso per scri- nome, la forza elettromotrice non è una forza! Le
vere F = qE. È chiaro che E deve avere le stesse sue dimensioni fisiche sono quelle di una differenza
dimensioni fisiche di un campo elettrostatico e quin- di potenziale e quindi si misura in V, mentre le forze
di dev’essere a questo omogeneo. Non è un campo si misurano in N. È lecito, naturalmente, domandar-
elettrostatico perché non è conservativo. Usando un si per quale diavolo di motivo i fisici, di solito molto
filo piú lungo o piú corto evidentemente si portano attenti a scegliere i nomi, abbiano scelto proprio un
sempre le cariche elettriche dal potenziale ∆V al po- nome cosí ingannevole per questa grandezza. Il fat-
tenziale nullo, ma se il filo è lungo il riscaldamento to è che quando un nome si è diffuso è difficile cam-
che si ottiene è diverso da quello che si misura quan- biarlo. Gli autori dei libri tendono a non discostarsi
do il filo è corto. Quel che si vede sperimentalmente troppo dalla tradizione e poiché quando è iniziato lo
è che quando un filo è corto il riscaldamento è piú studio dell’elettricità si supponeva che ci fosse una
intenso. Tuttavia E ha le stesse dimensioni fisiche di forza che si manifestava ai capi di un condensatore,
un campo elettrostatico e possiamo chiamarlo cam- gli autori dei primi libri sull’elettricità hanno usato
po elettromotore: non è un vero e proprio campo questo nome che, sfortunatamente, si è conservato
perché si manifesta soltanto in presenza di un con- fino a oggi. In quest’opera ci ripromettiamo il ten-
duttore. Un campo esisterebbe a prescindere dalla tativo di non seguire le tradizioni (in fondo è per
presenza del conduttore (e anzi sarebbe nullo al suo questo che si chiama Fisica Sperimentale), ma il
interno) e sarebbe prodotto da una sorgente che in termine forza elettromotrice è talmente diffuso che
questo caso si fatica a individuare. Ma formalmente è ormai praticamente impossibile evitare di usarlo.

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33.2. SVUOTIAMO IL CONDENSATORE 354

La rapidità con la quale il filo si scalda si può La corrente dunque deve risultare da un moto dei
caratterizzare valutando la potenza impegnata dal portatori di carica non simmetrico, perché le cari-
dispositivo che, per definizione, è che positive, in seguito all’applicazione di un qual-
Z che campo di natura elettrica, si muovono all’op-
dL dq posto di come fanno quelle negative. Il numero di
P = = Ed` . (33.25)
dt dt cariche positive che attraversa la sezione di un con-
Il rapporto duttore nell’unità di tempo dev’essere quindi diver-
so da quello delle cariche negative. Da quest’espres-
dq sione si capisce che la corrente deve avere un segno
I= (33.26)
dt che è positivo se a prevalere sono le cariche positive.
lo chiamiamo corrente elettrica. Questa grandez- Possiamo dunque dire che il verso nel quale scorre
za fisica ci dice quanto rapidamente si scalda un la corrente è quello nel quale si muovono i portatori
filo metallico quando le sue estremità sono colle- positivi di carica.
gate alle armature di un condensatore. Sostituendo È importante osservare che la corrente, per com’è
∆V all’integrale e I alla variazione di q nell’unità definita, non è un vettore, ma uno scalare con segno.
di tempo, possiamo quindi scrivere che Quello che definiamo il verso della corrente non ha
niente a che vedere con il verso di un vettore. Il ver-
P = I∆V . (33.27) so di una corrente ci dice in quale verso si muovono
La corrente elettrica rappresenta fisicamente la i portatori di carica positivi che la determinano. È
quantità di carica che nell’unità di tempo attraver- anche importante osservare che la corrente potrebbe
sa una sezione del conduttore. È dunque una misura anche essere determinata dalle sole cariche positive
del moto di cariche elettriche all’interno di un con- in moto nello stesso verso della corrente, oppure dal-
duttore. Le dimensioni fisiche della corrente sono le sole cariche negative in moto nel verso opposto.
quelle di una carica elettrica, misurata in C, divisa Se però la corrente dipendesse da una sola delle ca-
per un tempo. La corrente dunque si misura in C/s. riche possedute dalle particelle che compongono il
All’unità di corrente pari a 1 C/s si dà il nome di filo, tirando un filo nel verso della sua lunghezza
Ampère1 , che si indica con il simbolo A. si dovrebbe osservare una corrente scorrere in es-
Da questa analisi non possiamo dire se a muoversi so. Dal momento che questa cosa non succede, se
siano le cariche elettriche positivo o quelle negati- ne conclude che la corrente che si manifesta quan-
ve. Potrebbero anche essere entrambe. Immaginia- do il filo è collegato a un condensatore è il risultato
mo un filo conduttore con all’interno un certo nume- di un moto non identico di cariche positive e nega-
ro di cariche positive Q+ e negative Q− . Dal momen- tive. Per qualche ragione, quando le estremità del
to che il filo è complessivamente neutro Q+ = Q− in filo sono a potenziali diversi sia le cariche positive
valore assoluto. Il numero N+ delle cariche positive che quelle negative si muovono al suo interno, ma
che si spostano invece può essere diverso da quel- o quelle positive si muovono piú facilmente in di-
lo delle cariche negative N− . La corrente elettrica rezione della corrente oppure sono quelle negative
totale sarà a farlo, ma nella direzione opposta. Dal punto di
vista macroscopico si può quindi sempre pensare al-
la corrente che scorre in un certo verso come a un
∆Q ∆N+ Q+ − ∆N− |Q− | moto complessivo di cariche elettriche positive nello
I= = . (33.28)
∆t ∆t stesso verso.
1
per ricordare il contributo di André–Marie Ampère
allo studio dell’elettrodinamica.

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33.4. CONDENSATORI COMBINATI 355

33.3 Vedere l’energia


Usando un condensatore possiamo letteralmente ve-
dere l’energia contenuta in questo dispositivo. An-
che se non sappiamo come funziona è evidente a
tutti che un alimentatore, come quello del vostro
smartphone, è una sorgente di energia. Possiamo
sfruttare quest’energia per caricare un condensato-
re. Se infatti si collegano le due estremità di un con-
densatore a un alimentatore si portano le armature
a una differenza di potenziale uguale a quella che
si misura tra i due fili che escono dall’alimentatore
(se togliete il connettore vedrete che ci sono sempre
e solo due fili che escono da quest’oggetto). Un ali-
mentatore per telefonino, per esempio, fornisce una Figura 33.2 Il simbolo che rappresenta un
condensatore ne raffigura lo
differenza di potenziale di 5 V. schema costruttivo.
Se si scollegano le armature del condensatore dal-
l’alimentatore le cariche, che si sono distribuite sul-
le armature, non hanno piú modo di tornare al loro
posto e ai capi del condensatore continua a esserci satore di capacità maggiore il che si può ottenere
una tensione di 5 V. Il condensatore dunque resta costruendo un nuovo dispositivo, piú grande, oppu-
carico di energia. Come lo si vede? È semplice: colle- re usando piú dispositivi messi insieme, allo stesso
gate le estremità del condensatore a un LED. Que- modo di come si può immagazzinare piú acqua in
sto s’illumina come se fosse alimentato da una pila, piú bottiglie.
che è evidentemente un altro dispositivo che fornisce Una maniera di combinare due condensatori è
energia. Il LED si spegne praticamente subito: se- questa: prendiamo un condensatore e colleghiamo
gno che l’energia immagazzinata nel condensatore è una delle sue armature a una delle due armature di
stata consumata in breve tempo per produrre la luce un secondo condensatore. I condensatori li potete
del LED. E ricordate che la luce trasporta energia, acquistare in un negozio di elettronica o su Inter-
quindi l’energia inizialmente nel condensatore non net (non usate un condensatore elettrolitico per
è persa: è solo stata trasferita alla luce. Ancora una questi esperimenti: questo tipo di condensatori è co-
volta il primo principio della termodinamica sembra struito in modo tale da richiedere la scelta di un
funzionare. verso opportuno per collegarlo). Potete collegarne
le armature attorcigliando i terminali che sporgono
dal corpo del condensatore, elettricamente collegati
33.4 Condensatori combinati alle armature poste al suo interno, oppure usando
una basetta per collegamenti (breadboard in ingle-
Se vogliamo fare qualche esperimento per verificare se: si chiama cosí perché somiglia a un tagliere per
le nostre ipotesi sulla natura della corrente elettri- il pane, di quelli con i buchi per far cadere le bri-
ca occorrono condensatori di capacità diversa e fili ciole in una cassetta sottostante). Rappresentiamo
elettrici di diversa lunghezza, sezione e materiale, graficamente il condensatore con due segmenti pa-
quanto meno. ralleli che rappresentano le armature dello stesso,
L’analogia tra un condensatore e una bottiglia fa ciascuno collegato a un filo rappresentato come un
capire che, se vogliamo che l’effetto del passaggio segmento perpendicolare alle armature, come nella
di corrente duri di piú, dobbiamo usare un conden- Figura 33.2.

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33.4. CONDENSATORI COMBINATI 356

condensatore equivalente reca una carica Q e quel-


la di destra −Q come in un comune condensatore.
La differenza di potenziale ai capi del condensatore
equivalente è chiaramente

∆Veq = ∆V1 + ∆V2 (33.30)


con ovvio simbolismo. Usando la definizione di ca-
pacità possiamo riscrivere ∆Vi come ∆Vi = Q C
e
Figura 33.3 Due condensatori in serie. scrivere quindi che
Q Q Q
= + . (33.31)
Se montiamo come descritto sopra due conden- Ceq C1 C2
satori otteniamo la Figura 33.3. Si dice che i due La carica Q che compare in quest’espressione è
condensatori sono stati posti in serie. sempre la stessa e dividendo tutto per Q si trova
Quello che abbiamo ottenuto è di fatto un altro che
condensatore con due armature collegate ai fili che
si vedono a destra e a sinistra e una struttura in- 1 1 1
= + . (33.32)
terna un po’ piú complicata. In un condensatore c’è Ceq C1 C2
un isolante tra le armature: qui c’è un isolante, un In generale, se i condensatori in serie sono N si trova
conduttore formato dall’unione delle due armature,
N
e un altro isolante. Complessivamente quel che c’è 1 X 1
= . (33.33)
tra le due armature esterne è pur sempre un isolan- Ceq C i
i=1
te, perciò questo sistema si comporta esattamente
come un condensatore. Chiamiamo C1 la capacità Non è difficile rendersi conto del fatto che combi-
del condensatore di sinistra e C2 quella del conden- nando in questo modo i condensatori ne otteniamo
satore di destra e chiediamoci quale sarà la capacità uno la cui capacità è inferiore sia a C1 che a C2 .
del condensatore equivalente Ceq . Per definizione la In particolare, se C1 = C2 = C, Ceq = C2 . Cosí
capacità di un condensatore è scopriamo che questi due immagazzinato di energia
hanno un comportamento curioso: la loro capacità
Q non aumenta come quando si mettono insieme tan-
C= (33.29)
∆V te bottiglie, ma diminuisce. C’è però un modo per
dove Q è il valore assoluto della carica deposta su ottenere capacità piú grandi, come se si trattasse
una delle armature e ∆V la tensione ai suoi capi. di bottiglie. Basta montare i condensatori in modo
Se si carica questo condensatore quel che succede diverso: in parallelo invece che in serie.
è questo: sull’armatura di sinistra si accumula una Due condensatori infatti hanno ciascuno due ar-
carica Q. Per induzione questa fa apparire una cari- mature, che possiamo collegare l’una all’altra, ot-
ca −Q sull’armatura di destra di C1 . Questa carica tenendo sempre un dispositivo con due termina-
−Q è dovuta al fatto che le cariche elettriche che li collegati ad altrettante armature, come nella
erano disperse nel conduttore centrale si sono spo- Figura 33.4.
state verso sinistra, lasciando a destra un eccesso di Ciascuna delle due armature del condensatore
carica positiva +Q che quindi appare sull’armatura equivalente è ora formata dalla somma delle arma-
sinistra di C2 . Questa carica induce sull’armatura ture dei due condensatori. Ora si capisce che, se cia-
di destra dello stesso condensatore una carica −Q. scuna delle armature reca una carica, la carica tota-
Complessivamente quindi l’armatura di sinistra del le presente sull’armatura complessiva sarà la som-
ma delle cariche e questo farà sí che il condensa-

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33.5. LE PILE 357

N
X
Ceq = Ci . (33.38)
i=1

Possiamo cosí costruire condensatori di capacità


maggiore combinando piú condensatori in parallelo.
Anche cosí è difficile fare esperimenti con la corren-
te elettrica perché in ogni caso i condensatori che
possiamo sperare di riuscire a costruire avranno co-
munque una capacità tale da far durare gli effetti
sulle correnti poche frazioni di secondo.
Ci serve qualche sistema capace di mantenere a
lungo una differenza di potenziale stabile ai suoi ca-
Figura 33.4 Due condensatori in paralle- pi, in modo da poter eseguire gli stessi esperimenti
lo.
che si fanno con i condensatori per tempi piú lunghi.

tore si comporti proprio come ci si attende da un 33.5 Le pile


recipiente. Infatti ora avremo che
Grazie ad Alessandro Volta disponiamo oggi di
Qeq = Q1 + Q2 (33.34) sistemi capaci di mantenere per un tempo ragione-
volmente lungo una differenza di potenziale costan-
che possiamo riscrivere, sostituendo a Qi il prodotto te: le pile. Vediamo di che si tratta. L’elemento base
Qi = Ci ∆Vi , di una pila è costituito di un bagno acido all’inter-
no del quale si inseriscono due elettrodi (contatti
Ceq ∆Veq = C1 ∆V1 + C2 ∆V2 . (33.35) metallici) fatti di due metalli diversi, per esempio
Ora, poiché le armature sono conduttori, il poten- rame e zinco o alluminio. Se si inseriscono una la-
ziale dell’armatura di sinistra del condensatore in strina di rame e una di alluminio nella polpa di una
alto nella figura è identico a quello dell’armatura di mela, di un limone o di una patata, che hanno le
sinistra del condensatore in basso e lo stesso vale per caratteristiche richieste, quel che si osserva è che ai
le armature di destra. D’altra parte, le due armatu- capi degli elettrodi di rame e di alluminio si produce
re di sinistra, allo stesso potenziale, rappresentano una differenza di potenziale che resta costante per
anche l’armatura di sinistra del condensatore equi- un tempo piuttosto lungo: molto piú lungo di quello
valente, che quindi è a questo stesso potenziale. Lo che si può ottenere con un condensatore.
stesso vale per le armature di destra e la conclusione Una pila prende questo nome perché in origine
che se ne trae è che ∆Veq = ∆V1 = ∆V2 . Se tutte questi elementi erano letteralmente impilati l’uno
queste differenze di potenziale sono tra loro uguali sull’altro in modo tale che le differenze di poten-
possiamo usare lo stesso simbolo ∆V e scrivere ziale che si stabilivano ai capi di ciascun elemento
si sommassero per produrre la differenza di poten-
Ceq ∆V = C1 ∆V + C2 ∆V . (33.36) ziale desiderata. Anche oggi si fa cosí: le pile che
si trovano in commercio, infatti, forniscono tutte (o
Dividendo tutto per ∆V si ottiene quasi) una differenza di potenziale che è un multiplo
di 1.5 V. Si trovano pile da 1.5, 4.5 e 9 V, oltre a
Ceq = C1 + C2 (33.37) quelle da 12. Una pila da 4.5 V si realizza sempli-
e, in generale, per N condensatori, cemente montando in serie tre pile da 1.5 V. Per

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33.5. LE PILE 358

questo le pile prendono anche il nome di batterie: guito, parleremo piú frequentemente di generato-
una batteria è un insieme di pile. re per indicare un qualche dispositivo che riesce a
Come funziona una pila? Capirlo dai dati speri- mantenere una differenza di potenziale che si può
mentali non è facile perciò in questo caso ci limite- considerare costante ai suoi capi. Naturalmente le
remo a darne una descrizione sommaria che pren- pile sono generatori, ma non tutti i generatori so-
derete per buona, anche se non ci sarà possibile di- no pile. Gli alimentatori per cellulari, per esempio,
mostrare, dati alla mano, che questo è il meccani- sono generatori che mantengono una differenza di
smo corretto. La stessa interpretazione di Volta del potenziale di 5 V ai capi, ma non sono pile.
fenomeno era sbagliata, anche se ciò non toglie nul- Anche i pannelli fotovoltaici sono generatori.
la al suo genio che gli permise di costruire questo Anche in questo caso possiamo immaginare il pan-
dispositivo avendo capito che, in ogni caso, acco- nello come una specie di condensatore. Anche se la
stare due metalli diversi era la chiave per produrre spiegazione del funzionamento del pannello fotovol-
differenze di potenziale e quindi correnti elettriche. taico richiede la meccanica quantistica, si può im-
Possiamo immaginare il processo pensando a una maginare il processo come segue: l’energia traspor-
vaschetta con acido solforico in soluzione acquosa. tata dalla luce del Sole è impiegata dal pannello per
L’acido solforico è formato da due atomi d’idrogeno, produrre il lavoro necessario a separare le cariche
uno di zolfo e quattro di ossigeno (H2 SO4 ). In acqua positive da quelle negative che si accumulano su due
l’acido si dissocia: l’idrogeno, cioè, si separa dal re- lati opposti del pannello. Quando il campo elettrico
sto dando luogo a due ioni H+ formati ciascuno da prodotto da questa distribuzione di cariche è suffi-
un protone senza elettroni, e a uno ione SO−− 4 , cioè cientemente grande (cioè quando la differenza di po-
a un atomo di zolfo legato con quattro atomi di ossi- tenziale ai capi del pannello è sufficientemente alta)
geno con due elettroni di troppo. Allo stesso tempo l’energia della luce solare non basta piú a spostarle:
lo zinco presente nell’elettrodo si scioglie in acqua questa tenderebbe a portare altre cariche negative
diventando Zn++ , cioè zinco cui mancano due elet- verso quelle già spostate su una delle due facce, ma
troni, che restano intrappolati nell’elettrodo stesso. queste ultime producono una forza repulsiva mag-
Gli ioni H+ che vengono in contatto col rame, in- giore e impediscono ad altre cariche di avvicinarsi.
vece, gli strappano ciascuno un elettrone diventano Se però si collegano le due facce del pannello con un
H neutro per legarsi subito a formare una molecola filo conduttore la corrente inizia a scorrere e il nu-
H2 che emerge dalla soluzione sotto forma di idroge- mero delle cariche accumulate sulle facce si riduce
no gassoso. Poiché al rame mancano due elettroni, favorendo nuovamente il processo di accumulo che
rubati dall’idrogeno, se si mette il rame in contatto va cosí avanti fino a quando d’è abbastanza luce.
con l’elettrodo di zinco attraverso un filo metallico, Le pale eoliche, invece, sfruttano l’energia cine-
gli elettroni di troppo che si trovano in quest’ulti- tica del vento per trasformarla in lavoro necessario
mo tendono a migrare verso quello di rame e questo a separare le cariche in un qualche tipo di dispositi-
provoca il passaggio di una corrente elettrica. vo che, comunque sia fatto, alla fine si può sempre
Gli elettrodi di una pila si chiamano poli. Il po- pensare come del tutto simile a una pila. Il funzio-
lo a potenziale piú alto si chiama polo positivo e namento di una pala eolica si spiega al Paragrafo ??,
quello a potenziale piú basso polo negativo. Poiché ma dal nostro punto di vista possiamo interpretarne
i potenziali sono sempre definiti a meno di una co- il comportamento alla luce di quanto appreso fino-
stante possiamo sempre attribuire al polo negativo ra. L’energia cinetica del vento mette in moto l’eli-
il potenziale nullo e quindi al polo positivo spetterà ca che sottrae energia al vento e la usa per ruotare
un potenziale pari alla differenza di potenziale che (muoversi). La rotazione, per i fenomeni illustrati
si produce dalla reazione chimica sopra illustrata. al Paragrafo ?? producono una differenza di poten-
Oggi disponiamo di diversi sistemi per generare ziale che si può sempre immaginare come prodotta
differenze di potenziale costante. Per questo, nel se- dalla separazione di cariche elettriche opposte che si

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33.6. LA LEGGE DI OHM 359

accumulano sulle due facce di un dispositivo. In que- dove L rappresenta la lunghezza complessiva del cir-
sto caso sembra abbastanza naturale aspettarsi che cuito, troveremmo che la differenza di potenziale ai
la differenza di potenziale (che è il lavoro fatto dalle capi di ciascun pezzettino sarebbe
forze per unità di carica elettrica) dipenda dal lavoro
fatto dal vento per mettere le pale in rotazione e in ∆V
.
∆Vi = (33.40)
effetti è cosí. Le pale eoliche vanno quindi correda- ∆`i
te di un qualche dispositivo in grado di stabilizzare Cambiando la natura del conduttore si noterebbe
la tensione prodotta: una maniera di farlo consiste che il calore prodotto dal filo percorso da corrente,
nell’usare la corrente prodotta dalle pale per intro- che per unità di tempo è proprio I∆V , cambierebbe.
durre cariche elettriche in un dispositivo costruito In particolare quel che si osserva è che usando fili
come una pila, cioè in una batteria ricaricabile. di rame, alluminio o ferro, di sezione e lunghezza
Quando la tensione ai capi di questa batteria dimi- fissati, cambia la quantità di calore prodotta per
nuisce perché usata per alimentare la corrente che unità di tempo. Essendo ∆V fissato dal generatore
scorre in un filo, sono le cariche elettriche spinte dal l’unica cosa che può cambiare è I. Questo significa
vento che rimpiazzano quelle rimosse per effetto del che la corrente che scorre nel conduttore I dipende
collegamento col filo utilizzatore. In questo modo le dal tipo di materiale impiegato. Possiamo sempre
cariche disponibili nella soluzione acida non si con- scrivere che
sumano e la batteria potrebbe, in linea di principio,
durare all’infinito (in realtà si verificano processi che I ∝ σ∆V (33.41)
causano un danneggiamento degli elettrodi, quindi
dove σ, che chiamiamo conducibilità elettrica
anche le batterie ricaricabili hanno una vita finita,
dipende dal materiale di cui è fatto il filo.
ma molto piú lunga di quelle normali).
Misurando il calore prodotto usando conduttori
fatti dello stesso materiale, ma di lunghezza diversa,
33.6 La Legge di Ohm si nota che l’intensità di corrente I diminuisce al
crescere della lunghezza ` del conduttore. Questo
Disponendo di un generatore (sia esso una pila o significa che
meno), che riesce a mantenere una differenza di po-
∆V
tenziale costante (almeno entro la sensibilità degli I∝ . (33.42)
strumenti adoperati per misurarla) possiamo rea- `
lizzare dispositivi nei quali scorre una corrente co- Possiamo anche fare misure di intensità di corrente
stante per un tempo ragionevolmente lungo. Questi (che equivalgono a misure di potenza dissipata sotto
dispositivi li chiamiamo circuiti perché affinché ciò forma di calore) in funzione della sezione del filo S.
succeda è necessario che i conduttori impiegati per In questo caso troveremmo che la corrente aumenta
collegare il polo positivo col polo negativo di una quando la sezione aumenta, cioè che
pila formino almeno una linea chiusa.
La differenza di potenziale ai capi del generato- I ∝ S∆V . (33.43)
re è costante. Questo significa che lungo il circuito Cambiando altri fattori non si osservano cambia-
questa non può esserlo: se dividessimo il circuito in menti sensibili di I. Ad esempio, cambiando la tem-
tanti pezzettini uguali ∆`i tali che peratura alla quale si trova il conduttore si nota
X un leggerissimo aumento della corrente quando la
L= ∆`i (33.39) temperatura scende, ma si tratta di una diminuzio-
i ne molto piccola. Siamo dunque autorizzati a con-
siderare costante la conduttanza del circuito con
la temperatura, almeno un prima approssimazione.

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33.6. LA LEGGE DI OHM 360

Non sembrano esserci altri parametri da cui dipen-


de I perciò possiamo riassumere le nostre misure in
un’espressione secondo la quale

I = ∆V (33.44)
`
e definendo
1
σ= (33.45)
ρ
dove ρ prende il nome di resistività, per ciascun
conduttore si può definire una grandezza fisica
`
R=ρ (33.46)
S
che chiameremo resistenza elettrica per cui
∆V
I= . (33.47)
R
Il motivo per cui diamo questo nome a questa gran-
dezza fisica risiede nel fatto che, interpretando la
corrente elettrica come un moto di cariche elettri-
che in un conduttore, la resistenza esprime in qual-
Figura 33.5 I cavi dell’alta tensione so-
che maniera l’attitudine del conduttore a condurre
no sospesi ai tralicci median-
l’elettricità: piú è alta la resistenza piú è bassa que- te isolatori in ceramica o
st’attitudine. Al limite, per R → ∞, la corrente in vetro la cui forma ser-
che scorre in un filo sarebbe nulla, indipendente- ve a minimizzare la corren-
mente dalla differenza di potenziale applicata. Ai te che passa dal filo al tralic-
cio. L’immagine è tratta da
materiali isolanti, quindi, si può attribuire un va- Wikipedia.
lore di resistenza praticamente infinito (nella realtà
sarà un valore molto grande). Un materiale isolante
ideale sarebbe tale anche se avesse la forma di un
filo cortissimo e di grande sezione, perciò dobbiamo avviene con entrambi i meccanismi. Per questa ra-
pensare che per gli isolanti ρ ' ∞. Nella pratica gione i dispositivi usati per isolare elettricamente i
quello che si vede è che i materiali isolanti hanno fili percorsi da corrente dai supporti hanno forme
una resistività molto alta (molto piú alta di quella curiose. Osservando un traliccio dell’alta tensione,
dei conduttori), ma che comunque non è nulla. Un che sostiene i conduttori che trasportano l’elettri-
isolante impedisce alla corrente di passare solo se è cità dalla centrale in cui è prodotta alle utenze, si
abbastanza lungo e/o abbastanza sottile. nota che i fili sono appesi al traliccio da sostegni
Va detto che la corrente può scorrere sia nel volu- in ceramica o in vetro dalla forma simile a quella
me che sulla superficie del conduttore: del resto noi mostrata nella Figura 33.5.
non possiamo vedere le cariche elettriche che si muo- Se nel filo passa corrente, quando è appeso al tra-
vono che quindi potrebbero muoversi sia all’interno liccio una parte della carica potrebbe passare al tra-
che all’esterno del materiale. In effetti oggi sappia- liccio e da questa giungere a terra se il gancio cui
mo che la conduzione dell’elettricità nei materiali è appeso il filo fosse conduttore. In questi casi si

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33.6. LA LEGGE DI OHM 361

potrebbe produrre una situazione di pericolo per le metria del conduttore (equazione 33.46), prende il
persone perché quel che si sa è che il passaggio di nome di seconda Legge di Ohm. La resistenza
corrente attraverso il corpo umano può essere peri- elettrica si misura in
coloso: una corrente relativamente alta può produr-  
re ustioni e persino portare alla morte (il motivo è ∆V V
[R] = = = Ω. (33.48)
chiaro: il passaggio di corrente provoca la genera- I A
zione di calore che produce le ustioni; la morte può Se in un conduttore il rapporto tra ∆V e I vale 1,
essere causata da un malfunzionamento del cuore V
A
= 1, si dice che presenta una resistenza di 1 Ω
che batte grazie a impulsi elettrici che il cervello (che si legge Ohm).
invia a quest’organo). La Legge di Ohm permette di riscrivere la re-
Il sistema di aggancio del filo al traliccio quindi lazione P = I∆V , che esiste tra potenza dissi-
dev’essere fatto di materiale la cui resistività è mol- pata, differenza di potenziale applicata e corrente
to alta, come il vetro o la ceramica. In questo modo (eq. (33.27)), come
la resistenza R del dispositivo di aggancio è alta e la
corrente che passa dal filo al traliccio è molto picco- ∆V 2
P = RI 2 =
. (33.49)
la: al limite nulla. Ma la corrente potrebbe passare, R
oltre che all’interno del volume del dispositivo, an- Con un conduttore che presenta una resistenza al
che sulla sua superficie. Nei normali conduttori la passaggio di corrente si può dunque costruire una
corrente che scorre in superficie è trascurabile ri- stufa che produce una quantità di calore per unità
spetto a quella che scorre nel volume, ma se le cari- di tempo che, misurata in unità di energia è pari a
che elettriche non riescono ad attraversare il volume RI 2 . Possiamo interpretare la cosa in questo modo:
perché isolante, potrebbero muoversi sulla superficie la corrente rappresenta in qualche maniera il moto
non essendo ostacolate dal meccanismo, ancora non delle cariche elettriche nel conduttore. Le cariche in
ben delineato, che dà luogo alla resistenza elettrica. moto evidentemente possiedono una certa quanti-
È ragionevole aspettarsi che se il viaggio che devono tà di energia cinetica. Rimuovendo il generatore la
compiere le cariche per giungere da un punto all’al- corrente si arresta immediatamente, segno che le ca-
tro è piú lungo, la probabilità che queste arrivino è riche perdono l’energia che possiedono in un tempo
piú bassa. Se le cariche si muovessero in superficie, brevissimo. Questo significa che è proprio il genera-
rendendo grande quest’ultima si renderebbe piú dif- tore a fornire in continuazione l’energia necessaria
ficile il passaggio di corrente. Questo è il motivo per alle cariche per muoversi le quali, non appena acqui-
cui la forma di questo oggetti presenta tutti quei stano energia dal generatore, la perdono da qualche
rigonfiamenti: in questo modo si rende massima la parte per poi riacquistarla. È evidente che le cariche
superficie mantenendo l’ingombro piuttosto conte- possono perdere la loro energia soltanto nel condut-
nuto. La forma specifica dei rigonfiamenti aiuta an- tore che deve quindi aumentare la propria energia
che a far scorrere l’acqua piovana sulla superficie: interna. Ciò si manifesta con un aumento di tempe-
quando piove l’isolatore si bagna e questo fa dimi- ratura del conduttore. In definitiva la potenza ero-
nuire la sua capacità di isolare. È bene quindi che gata dal generatore alla fine è ceduta al conduttore
l’acqua sgoccioli facilmente dal dispositivo, in modo che la dissipa sotto forma di calore. Il fenomeno è
che si asciughi presto. conosciuto con il nome di effetto Joule.
La relazione 33.47 prende il nome di Legge di Facendo esperimenti con diversi materiali si può
Ohm2 , mentre quella che lega la resistenza alla geo- vedere che esistono materiali con resistività mol-
to diversa: si va dal rame che presenta una resi-
2
Il nome deriva da quello di Georg Ohm, che pubblicò
un trattato sull’elettricità nel quale la legge compare per stività dell’ordine di 10 Ωm a ottimi isolanti co-
−8

la prima volta, sebbene fosse di fatto nota già da studi me il Teflon che presentano una resistività che può
precedenti. raggiungere i 1025 Ωm.

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33.6. LA LEGGE DI OHM 362

Quel che anche si vede è che la Legge di Ohm


presenta alcune eccezioni: questo indica che non si
tratta di una legge fondamentale, ma solo di una
legge empirica che certamente deriva da qualche fe-
nomeno a carattere fondamentale che tuttavia deve
dipendere da fattori che al momento non riusciamo
a controllare.
Per esempio, per alcuni materiali, detti semicon-
duttori, come il silicio o il germanio la Legge di
Ohm vale soltanto in certe condizioni. Per esem-
pio, ad alta temperatura i semiconduttori posso-
no comportarsi come conduttori, mentre a bassa
temperatura sono isolanti.
Abbiamo inoltre già accennato al fatto che la re-
sistività di un materiale dipende debolmente dalla
temperatura. Esistono, tuttavia, materiali che han-
no un comportamento peculiare. Al di sotto di una
temperatura, detta temperatura critica, la resi-
stenza elettrica di questi materiali assume di colpo
valore nullo. Non piccolo. Nullo! Si tratta dei ma-
teriali cosí detti superconduttori, che diventano
tali solo a temperature molto basse. Al momento in
cui scriviamo il superconduttore la cui temperatura
critica è massima è il MgB2 (diboruro di magne-
sio) che diventa superconduttore a 39 K. Su Wiki-
pedia trovate una pagina che fornisce una lista dei
materiali superconduttori noti con alcuni parametri
d’interesse.
Nel caso dei superconduttori la Legge di Ohm non
vale. Mentre nei comuni conduttori occorre mante-
nere una differenza di potenziale non nulla ai capi
del conduttore per osservare una corrente circolare
in essi, in un superconduttore, una volta instaurata-
si una corrente si può rimuovere il generatore e, pur-
ché il conduttore formi una linea chiusa, la corrente
continuerà a scorrere all’infinito. I supercondutto-
ri, inoltre, non si scaldano quando passa corrente al
loro interno.

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Unità Didattica 34
Circuiti in Corrente Continua

Prerequisiti: Corrente elettrica, Legge di Ohm

Disponendo di un generatore e di un conduttore


possiamo costruire un circuito elettrico. La Leg-
ge di Ohm ci assicura che nel conduttore passerà
una corrente che possiamo misurare con opportuni
strumenti. Se il generatore riesce a mantenere una Figura 34.1 Il simbolo di un resistore.
differenza di potenziale costante nel tempo anche la
corrente che passa nel circuito lo sarà e il circuito
si dice in corrente continua. Il circuito piú sem-
plice possibile è fatto di un unico conduttore con-
nesso ai due poli di una pila (o di qualunque altro
generatore). Possiamo sempre pensare a un circui-
to come costituito di un conduttore perfetto (che si
comporta quindi come un superconduttore nel qua-
le la resistenza R = 0) e di un conduttore ohmico
con R 6= 0 localizzato in un particolare punto del
circuito. Questa situazione è rappresentativa anche
dei casi piú comuni nei quali un conduttore che pre-
Figura 34.2 Il simbolo impiegato per
senta una resistenza elettrica relativamente grande
rappresentare un generato-
è collegato ai poli di un generatore tramite fili con- re. La sbarra piú lunga
duttori in rame o altro metallo a bassa resistività. rappresenta il polo positivo.
Essendo la resistenza del filo molto minore di quella
dell’elemento inserito nel circuito si può trascura-
re la resistenza dei fili. Un elemento di circuito che
Figura 34.2.
presenta una resistenza molto maggiore di quella di
La necessità di rappresentare la posizione dei poli
un filo elettrico di poche decine di cm, che pren-
deriva dal fatto che la corrente, interpretata come
de il nome di resistore, si rappresenta schematica-
moto di cariche, può circolare in due versi in un cir-
mente con il simbolo illustrato nella Fig. 34.1. Un
cuito: dal polo positivo a quello negativo o viceversa.
generatore, invece, che si comporta come un con-
Fate attenzione al fatto che benché la corrente abbia
densatore che resta sempre carico, si rappresenta in
un verso, è pur sempre uno scalare, per come è de-
modo analogo a quest’ultimo, con l’unica differen-
finita! Non potendo osservare direttamente il moto
za che le armature assumono forma diversa, anche
di queste cariche possiamo soltanto scegliere il ver-
per distinguere il polo negativo da quello positivo.
so convenzionalmente. Si sceglie dunque di assumere
I generatori nei circuiti si rappresentano come nella
34.1. COMBINAZIONI DI RESISTORI 364

34.1 Combinazioni di resistori


Piú resistori si possono combinare per realizzare cir-
cuiti piú complessi. Due resistori si possono collega-
re tra loro in serie, cioè collegando uno dei due
terminali del resistore R1 con uno di quelli del resi-
store R2 . In questo caso nei due resistori non può che
scorrere la stessa quanità di corrente: tutte le cari-
che che fluiscono attraverso R1 infatti non possono
che attraversare anche R2 . L’insieme dei due resi-
Figura 34.3 Il circuito piú semplice è stori si comporta come se fosse un unico resistore di
composto di un generatore e
di un resistore.
resistenza Req . Per calcolare la resistenza equiva-
lente del resistore cosí formato possiamo applicare
la Legge di Ohm. Per definizione

che la corrente in un circuito scorra sempre dal po- V


Req = (34.2)
lo positivo al polo negativo del generatore. Questo I
corrisponde a immaginare che le cariche che si muo- dove V è la tensione misurata ai capi del resistore
vono siano positive, perché sono queste a muoversi equivalente (quindi tra il terminale libero di R1 e
dai punti a potenziale maggiore a quelli a potenziale quello libero di R2 e I la corrente che vi scorre.
minore. Se le cariche che si muovono in un condutto- La tensione ai capi della serie sarà la somma delle
re sono negative, il moto avverrebbe al contrario: dal tensioni ai capi di ciascun resistore: V = V1 + V2
polo negativo a quello positivo. Ciò non toglie che la avendo indicato con Vi = Ri I, cioè la tensione che
corrente sarebbe sempre quella indicata. Nella defi- si misura ai capi di Ri quando passa una corrente
nizione di corrente, infatti, l’effettivo verso del moto I. Sostituendo abbiamo
delle cariche è irrilevante. Potrebbe anche essere che
in effetti a muoversi siano entrambe le cariche: quel- V1 + V2 R1 I + R2 I
le positive in un verso e quelle negative nell’altro. Req = = = R1 + R2 . (34.3)
I I
In questo caso è sufficiente che il numero di cariche
positive che attraversano una sezione qualunque del Nel caso generale in cui i resistori in serie siano N >
conduttore nell’unità di tempo sia diverso da quello 2 è evidente che
delle cariche negative che fanno altrettanto in verso N
opposto per avere un rapporto ∆q 6= 0.
X
∆t Req = Ri . (34.4)
Il circuito piú semplice che possiamo pensare i=1
di realizzare in pratica è quello rappresentato nel- Fate attenzione al fatto che i resistori in serie si
la Figura 34.3. Detta V la fem del generatore, ci comportano in maniera opposta a quanto fanno i
aspettiamo di misurare una corrente condensatori: nel primo caso le resistenze si somma-
V no, mentre nel secondo caso le capacità si sommano
I= (34.1) quando i condensatori sono montati in parallelo.
R
Vediamo dunque cosa succede quando due resi-
che scorre in senso orario.
stori sono montati in parallelo. In questo caso un
estremo di R1 è collegato a un estremo di R2 e i
due estremi rimasti liberi sono tra loro collegati. In
questo caso la tensione V che si misura ai capi di en-
trambi i resistori è la stessa ed è anche quella che si

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34.2. GENERATORI REALI 365

misura ai capi del resistore equivalente formato dai


due (immaginate i due resistori chiusi in una scato-
la: quello che vedete è un oggetto da cui spuntano
due terminali che presenta una resistenza elettrica).
La resistenza equivalente Req del resistore cosí
composto si scrive, per la Legge di Ohm,
V
Req = (34.5)
I
e la corrente I che scorre nel resistore equivalen-
te è la somma di quella che scorre in R1 e in R2
(immaginando la scatola di prima, iniettando una
corrente in uno dei terminali questa passerà parte
su R1 e parte su R2 per poi ricongiungersi all’altro Figura 34.4 La tensione misurata ai ca-
pi di un generatore reale non
terminale). Abbiamo dunque che
è costante, ma diminuisce al
V diminuire della resistenza.
Req = . (34.6)
I1 + I2
È sempre scomodo avere una somma a denomina-
generatore è inferiore alla fem che si misura quando
tore perciò invertiamo primo e secondo membro in
nel circuito non scorre corrente e che questa differen-
modo da poter scrivere
za di potenziale cambia al variare della resistenza R.
1 I1 + I2 I1 I2 In altre parole sembra che la differenza di potenziale
= = + . (34.7) ∆V sia una funzione di R: ∆V = ∆V (R). L’anda-
Req V V V
mento che si riscontra sperimentalmente è quello che
Osservando che Ii = RVi possiamo scrivere che si vede nella Fig. 34.4 in cui riportiamo il rapporto
Vm = Vef f /V tra la tensione Vef f misurata ai capi
1 V V
= + . (34.8) di un generatore che alimenta un resistore di resi-
Req V R1 V R2
stenza R e la fem V . Allo scopo di rendere il grafico
Ancora una volta, in generale per N resistori, indipendente dai valori di R, riportiamo in ascis-
N
sa il valore di resistenza divisa per una resistenza
1 X 1 campione r.
= . (34.9)
Req i=1
R i Si vede che al tendere di R a infinito (cioè per R
grandi) Vef f → V perché il rapporto tende a 1, co-
La resistenza di piú resistori in serie è maggiore di
me se il generatore potesse produrre una differenza
ciascuna di quelle della serie, mentre la resistenza
di potenziale pari alla fem solo quando il circuito è
di piú resistori in parallelo è minore di tutte quelle
aperto (è allora che R = ∞). Per R = 0 la tensio-
che lo compongono.
ne che si misura ai capi del generatore è addirittu-
ra nulla, di conseguenza non scorre corrente. Appli-
34.2 Generatori reali cando la Legge di Ohm ci aspetteremmo che in un
circuito alimentato da una tensione V che presenti
Misurando la differenza di potenziale ai capi di un resistenza nulla la corrente dovrebbe essere infinita,
generatore che eroga corrente ci si accorge che non è ma se ci si pensa bene questo non è affatto ragione-
costante. Con uno strumento sufficientemente sensi- vole. Le cariche presenti nel conduttore, per quanto
bile si nota che la differenza di potenziale ai capi del possano essere numerose, sono comunque in numero

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34.2. GENERATORI REALI 366

finito, quindi la corrente non potrebbe essere infini- ferenza di potenziale tra uno dei poli del generatore
ta. E ci sarà comunque un limite alla corrente che e la resistenza interna. Quindi misuriamo
un generatore può erogare, altrimenti la potenza che
potrebbe impegnare potrebbe essere enorme. Que- V R
sto rappresenta un problema perché significherebbe Vef f = V − rI = V − r =V . (34.11)
r+R r+R
che il generatore potrebbe diventare una sorgente di
energia praticamente infinita, anche se soltanto per Potete vedere la cosa anche cosí: se c’è una resisten-
tempi brevi za interna al generatore di fem V , la tensione che
Ci dev’essere qualcosa che non quadra. E in fondo si misura ai suoi capi è Vef f = V − Vi . Vi si deve
non è cosí difficile capire cosa. Il modello semplifica- poter scrivere sempre come una resistenza r per una
to che abbiamo fatto del circuito è troppo semplice. corrente I e usando per I la corrente che scorre nel
Dobbiamo tener conto del fatto che se cominciamo circuito otteniamo Vef f = (r + R) I. Dividendo nu-
a estrarre troppa corrente dal generatore (e questo meratore e denominatore per r e chiamando x = Rr
avviene per resistenze piccole), il numero di cari- abbiamo
che libere che il generatore è capace di impegnare è
Vef f x
limitato e questo farà diminuire la corrente effettiva- = (34.12)
mente erogata. Pensate alle cariche come a un flusso V 1+x
d’acqua da un rubinetto con una sezione maggiore che ha proprio l’andamento mostrato nella Fig. 34.4.
di quella del tubo in cui scorre l’acqua dal serbato- La potenza erogata dal generatore, a questo pun-
io. La portata del tubo è limitata per cui se aprite to, non è costante e presenta un massimo. La
troppo il rubinetto non esce piú acqua di quanta il potenza è
tubo non sia capace di portarne. È come se il rubi-
netto avesse una sezione piú piccola di quella che ha R V R
P = Vef f I = V =V2 .
effettivamente. Analogamente possiamo pensare che r+Rr+R (r + R)2
all’interno del generatore avvengono processi per i (34.13)
quali il risultato è che la corrente è limitata in ogniNella Fig. 34.5 riportiamo l’andamento di P in
caso, come se nel circuito fosse presente un’ulterio- funzione del valore di R espresso in Ohm, per un
re resistenza r che possiamo chiamare resistenza circuito in cui V = 12 V e r = 1 Ω.
interna del generatore. Qualunque sia la causa che Si vede che la massima potenza è dissipata quan-
limita la corrente erogabile da un generatore, que- do R = 1 Ω: con l’analisi matematica potete facil-
sta si può sempre esprimere matematicamente come mente trovare il massimo di questa funzione che si
una resistenza in serie al generatore. trova proprio a R = r. Quando la resistenza di R è
Se è cosí il circuito si deve rappresentare come un nulla, cioè quando il generatore è cortocircuitato,
circuito nel quale sono presenti due resistori, di re- come si dice in gergo, la potenza erogata è nulla. Il
sistenza r e R, in serie. La resistenza equivalente motivo risiede nel fatto che il collegamento del polo
del circuito è dunque Req = r + R e la corrente che positivo del generatore con il negativo attraverso un
vi scorre è pertanto conduttore di resistenza nulla porta i due poli allo
stesso potenziale, per cui V = 0. La potenza massi-
V
I= (34.10) ma PM del circuito in esame si ottiene per R = r,
r+R cioè per
dove V è ora la fem nominale del generatore: quel-
la che si misura a circuito aperto. Abbiamo infatti V2
PM = (34.14)
trasferito gli effetti spuri nella resistenza interna. 4
Quando però misuriamo la differenza di potenziale che vale proprio PM = 36 W. Per R < r la po-
ai capi del generatore quella che misuriamo è la dif- tenza cresce e decresce per R > r. Per R → ∞ la

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34.3. LE LEGGI DI KIRCHHOFF 367

Stabilito convenzionalmente che le correnti en-


tranti in un nodo hanno segno positivo e quelle
uscenti negativo, la Legge di conservazione della
carica elettrica si può riformulare dicendo che la
somma algebrica delle correnti che passano in un
nodo N è sempre nulla:
X
Ii = 0 . (34.15)
i∈N

In effetti, ricordando che I = ∆q


∆t
, cioè la carica elet-
trica che fluisce attraverso una sezione di condutto-
re nell’unità di tempo, dire che la somma algebrica
Figura 34.5 La potenza dissipata da un delle correnti è nulla è come dire che la somma alge-
circuito con un resistore è brica delle cariche che attraversano il nodo è nulla.
massima quando il resisto- Ora è ovvio che se una carica entra in un nodo da
re presenta una resistenza qualche parte deve uscire e quindi la carica netta in
R pari a quella interna del
un nodo dev’essere nulla. Questa è quella che pren-
generatore r.
de il nome di prima Legge di Kirchhoff o Legge
dei nodi.
La seconda Legge di Kirchhoff o Legge delle
potenza tende a zero e anche questo è ragionevole maglie afferma che la somma algebrica delle diffe-
perché quando la resistenza è infinita il passaggio di renze di potenziale calcolate lungo una maglia M è
corrente si arresta. sempre nulla:
Di norma la resistenza interna di un generatore
si può trascurare essendo dell’ordine di pochi Ohm,
X
∆Vi = 0 . (34.16)
mentre i carichi, cioè le parti di circuito che utiliz- i∈M
zano la corrente, presentano resistenze molto mag-
Anche questa Legge non è altro che una riformula-
giori. Quando R  r l’equazione 34.10 si riduce alla
zione di un’altra legge di conservazione: quella del-
Legge di Ohm nella forma I = VR .
l’energia. La differenza di potenziale ∆VAB tra due
punti A e B è infatti il lavoro per unità di carica
34.3 Le Leggi di Kirchhoff elettrica fatto dalle forze elettriche per spostare le
cariche lungo un percorso che porta da A a B. Il
Un circuito elettrico è una rete di resistori variamen- lavoro è equivalente alla variazione di energia, per-
te connessi che possono formare diverse maglie: si ciò le cariche che passano da A a B subiscono una
chiama maglia di un circuito un qualunque percor- variazione di energia pari a q∆VAB . Ora è evidente
so chiuso che si può percorrere lungo una porzio- che se si prende una carica nel punto A e, seguendo
ne del circuito stesso. In un circuito possono quin- un qualunque percorso, si riporta nello stesso pun-
di esserci una o piú maglie. Tre o piú resistori che to, la differenza di potenziale tra A e A non può
convergono in un punto definiscono un nodo. che essere nulla e la carica non può aver né perso né
In elettrotecnica le Leggi della conservazione guadagnato energia perché si ritrova ad assumere lo
della carica elettrica e dell’energia si riformu- stesso stato di partenza.
lano secondo quelli che si chiamano i principi o La riformulazione delle leggi di conservazione non
Leggi di Kirchhoff . 1 aumenta in alcun modo la nostra conoscenza del
1
in onore di Gustav Kirchhoff che li formulò a metà del 1 800.

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34.3. LE LEGGI DI KIRCHHOFF 368

piú a destra. Anche il rettangolo che ha come lati la


serie R1 − R2 , R4 , R5 e V1 rappresenta una maglia.
In generale possiamo determinarne molte. Le maglie
che ci servono nel nostro problema sono quelle nel-
le quali una corrente scorre attraverso ciascuno dei
generatori. Conviene sceglierle in modo tale che nel
Figura 34.6 Un circuito con molti resisto- maggior numero di maglie possibile non compaia al-
ri e diversi generatori.
cun generatore (purché compaia nelle altre maglie),
perché in questo modo otterremo un’equazione con
il termine noto nullo.
funzionamento dell’Universo, ma può essere como- Supponiamo di scegliere come maglie da consi-
da quando si deve risolvere un circuito. Risolvere derare le tre rappresentate dai tre rettangoli in cui
un circuito significa trovare i valori di corrente, di risulta diviso il circuito totale (in questo modo la
differenza di potenziale o di potenza in porzioni del maglia piú a destra non ha generatori).
circuito in funzione di altre grandezze note. Per tro- Scegliamo, per ciascuna maglia, un verso arbitra-
vare le relazioni esistenti tra le grandezze misurabili rio per la corrente che scorre in quella maglia. Con-
in certi tratti di circuito e altre note, si possono im- viene scegliere il verso che corrisponde a una corren-
postare equazioni per le maglie che corrispondono te in uscita dal generatore la cui fem sia maggiore.
al secondo principio di Kirchhoff, imponendo che le Se, per esempio, V2 > V1 converrà scegliere il senso
differenze di potenziale si sommino in modo da dare orario per la corrente che circola nella maglia di si-
zero. In queste equazioni ci saranno alcune incognite nistra. Se invece V1 > V2 conviene scegliere il verso
che si potranno trovare imponendo che regole simili opposto, mentre per V1 = V2 la scelta è irrilevante.
debbano valere per piú maglie. Un esempio chiarirà Questo perché con queste scelte si riducono i segni
immediatamente la tecnica, fornendo anche qualche − da impiegare, il che è sempre un vantaggio. La
suggerimento per una soluzione efficace. corrente che scorre in questa maglia la chiameremo
Consideriamo il circuito di Fig. 34.6 e supponia- I1 .
mo di conoscere i valori delle fem di ciascuno dei Nella maglia centrale scegliamo di avere una cor-
generatori e delle resistenze. Ci chiediamo quindi rente che circola in senso antiorario per quanto detto
quale sia la potenza impegnata da ciascun genera- sopra. La chiameremo I2 .
tore. Per saperlo, ricordando che la potenza elettrica La terza maglia (quella piú a destra) si potrebbe
è data dal prodotto P = I∆V è necessario calcolare eliminare sostituendo la maglia con una resistenza
la corrente erogata da ciascuno dei generatori. equivalente pari alla serie di R2 e R5 in parallelo a
Poiché i generatori sono tre bisogna poter scri- R3 , ma per esercizio lasciamola com’è e scegliamo
vere tre equazioni che contengano tre incognite che un verso arbitrario per la corrente I3 che vi scorre:
consentano di valutare le correnti erogate da ciascu- per esempio orario.
no. Le Leggi di Kirchhoff ci permettono di scrive- Secondo la seconda Legge di Kirchhoff, sceglien-
re tre equazioni per altrettante maglie del circui- do il verso positivo delle correnti come orario,
to, cioè per altrettanti percorsi chiusi che possiamo l’equazione della maglia di sinistra è
individuare nel circuito in esame.
Di maglie, nel circuito in figura, ce ne sono molte:
V2 − V3 = R4 (I1 − I2 ) + R6 I1 + R7 I1 . (34.17)
una, per esempio, è quella costituita dal perimetro
esterno del circuito; un’altra si può disegnare consi- Nella maglia di sinistra, infatti, passa la corrente
derando la porzione di circuito che forma il rettango- I1 nelle resistenze R6 e R7 , mentre attraverso la re-
lo piú a sinistra nella figura. IL rettangolo centrale sistenza R4 passano I1 e I2 in verso opposto l’una
costituisce anch’esso una maglia, cosí come quello rispetto all’altra.

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34.3. LE LEGGI DI KIRCHHOFF 369

L’equazione della seconda maglia è


300 −100 0
(34.23)

det A = 100 300 100
V1 = R3 (I2 + I3 ) + R1 I2 + R4 (I2 + I1 ) . (34.18) 0 100 300
che vale
In questo caso, infatti, su R4 scorrono sia la corrente
I1 che la corrente I2 nello stesso verso, su R1 solo
I2 e su R3 scorrono le correnti I2 e I3 nello stesso det A =300 × (300 × 300 − 100 × 100) +
verso. (34.24)
100 (100 × 300) = 27 000 000 .
L’equazione della terza e ultima maglia è
Per conoscere il valore di Ii (i = 1, 2 o 3) basta so-
stituire alla colonna i della matrice dei coefficienti la
0 = (R2 + R5 ) I3 + R3 (I3 + I2 ) . (34.19) colonna dei termini noti, calcolarne il determinante
e dividere per det A. Per esempio
Queste equazioni devono essere tutte e tre valide,
quindi possiamo metterle a sistema:

0 −100 0
(34.25)

det A1 = 3 300 100
 0 100 300
 V2 − V3 = R4 (I1 − I2 ) + R6 I1 + R7 I1

V1 = R3 (I2 + I3 ) + R1 I2 + R4 (I2 + I1 ) Per questa ragione conviene scegliere le maglie in
 modo, se possibile, di avere maglie prive di gene-
 0 = (R2 + R5 ) I3 + R3 (I3 + I2 )
ratori: in questo modo in almeno una riga compare
(34.20)
uno zero che semplifica il calcolo del terminante. Nel
Le nostre incognite sono le correnti, quindi conviene
caso in esame ne abbiamo addirittura due, grazie al
riscrivere le equazioni ordinando per Ii :
fatto che nella prima riga il termine noto vale V2 −V3
e che nell’esempio V2 = V3 = 3 V. Il determinante
di A1 vale (calcolatelo) 900. Di conseguenza

 V2 − V3 = (R4 + R6 + R7 ) I1 − R4 I2

V1 = R4 I1 + (R3 + R1 + R4 ) I2 + R3 I3


0 = R3 I2 + (R2 + R5 + R3 ) I3 90 000
I1 = = 3.3 × 10−3 A . (34.26)
(34.21) 27 000 000
Per risolvere un sistema di tre o piú equazioni il
L’unità di misura di I1 è necessariamente quella del
metodo piú semplice è quello algebrico: si calcola il
SI avendo usato solo unità di questo sistema. So-
determinante della matrice dei coefficienti
stituendo le altre due colonne si trova I2 = 0.01 A
e I3 = −3.3 × 10−3 A. Il fatto che I3 sia negativa
0 indica che il verso in cui scorre è opposto a quello

R4 + R6 + R7 −R4
R3 scelto da noi: quindi antiorario. Ora che conoscia-

det A = R4 R3 + R1 + R4
R2 + R5 +moR3 i valori di queste correnti possiamo valutare, per

0 R3
(34.22) esempio, la po senza erogata da V1 sapendo che in
Avendo almeno una riga o una colonna con uno esso scorre la corrente I2 . Pertanto P1 = V1 I2 =
zero il conto è facile. Conviene fare un esempio 3 × 0.01 = 0.03 W (ancora una volta l’unità di mi-
numerico per semplificare la scrittura: supponia- sura di P1 è quella che spetta a una potenza nel
mo che tutti i resistori abbiano la stessa resistenza SI. Attraverso V2 e V3 scorre la corrente I1 pertanto
R = 100 Ω e che tutti i generatori abbiano V = 3 V. entrambi i generatori impegnano la stessa potenza
Il determinante della matrice dei coefficienti è P2,3 = V2 I1 = V3 I1 = 3 × 3.3 × 10−3 = 9.9 mW.

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34.4. IL CIRCUITO RC 370

una resistenza, è come aprire il circuito. Se il circui-


to è aperto la corrente non può passare. Questo è
vero per tempi sufficientemente lunghi, ma per tem-
pi brevi a partire dal momento in cui il condensatore
è collegato al generatore le cose sono un pochino piú
complicate.
Quello che accade, infatti, è che nel momento in
cui si chiude il circuito e il condensatore è scarico,
quest’ultimo comincia a caricarsi, cioè a prelevare
Figura 34.7 Un circuito RC.
cariche elettriche dal generatore che si depositano
sulla superficie dell’armatura in contatto con que-
sto. Prima di chiudere il circuito il potenziale del
condensatore e quello del polo positivo della pila
Se volessimo conoscere la potenza dissipata dal re- sono diversi. Nel momento in cui li mettiamo in con-
sistore R4 dovremmo ragionare cosí: la potenza dis- tatto chiudendo l’interruttore i due potenziali devo-
sipata da un resistore di resistenza R vale P = RI 2 no diventare uguali, ma non possono farlo istan-
dove I è la corrente che vi scorre. Nel caso di R4 taneamente. Il potenziale dell’armatura del con-
abbiamo che in esso scorrono la corrente I1 dall’al- densatore può diventare uguale a quello della pila
to verso il basso e la corrente I2 nello stesso verso. solo trasferendo cariche dalla pila e questo richiede
Complessivamente la corrente che attraversa R4 vale tempo. Man mano che l’armatura superiore si cari-
I1 + I2 = 3.3 + 10 mA= 13.3 mA e quindi ca quella inferiore fa lo stesso, caricandosi di carica
opposta per induzione. Il processo si arresta quando
2 la differenza di potenziale ai capi del condensatore
PR4 = R4 I 2 = 100 × 13.3 × 10−3 = 0.018 W .
è uguale alla fem della pila.
(34.27)
Proviamo a descrivere questo processo usando la
In definitiva le Leggi di Kirchhoff sono molto como-
matematica. Se la differenza di potenziale ai capi
de per risolvere un circuito, sebbene non abbiano
del condensatore a un certo istante di tempo t vale
alcun valore fondamentale.
VC , il condensatore si può vedere come un genera-
tore montato al contrario rispetto a V (la sua ar-
34.4 Il circuito RC matura positiva è rivolta verso il polo positivo della
pila). Possiamo quindi scrivere, usando le Leggi di
Un circuito in corrente continua si può realizzare Kirchhoff, che
anche mettendo uno o piú condensatori in serie al
generatore. Poiché qualunque conduttore presenta V − VC = RI (34.28)
una sia pur minima resistenza il circuito con con-
dove I è la corrente che scorre nel circuito dovu-
densatori piú semplice possibile è sempre schema-
ta al flusso di cariche che passano dalla pila al
tizzabile come un circuito in cui sono presenti un
condensatore per caricarlo. Sappiamo che
generatore, un resistore e un condensatore in serie
(Fig. 34.7). Un circuito di questo genere si chiama Q
circuito RC. VC = (34.29)
C
È abbastanza facile capire che in un circuito di se Q è la carica del condensatore che non è costan-
questo tipo non ci aspettiamo passare corrente: un te, ma varia nell’intervallo ∆t di ∆Q secondo la
condensatore, in fondo, è un elemento in cui due corrente
conduttori sono separati da un isolante. Di conse-
guenza, inserire un condensatore in un circuito con

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34.4. IL CIRCUITO RC 371

una carica. Il secondo addendo è formato da un og-


∆Q getto che ha le dimensioni di una carica (Q) per un
I= . (34.30)
∆t rapporto che dev’essere adimensionale: questo signi-
Sostituendo nell’equazione scambiando il primo col fica che il prodotto RC ha le dimensioni fisiche di
secondo membro si trova un tempo. Definendo τ = RC rendiamo palese la
natura di tempo di questo prodotto e lo chiamiamo
∆Q Q
R =V − . (34.31) costante di tempo del circuito. Possiamo dunque
∆t C riscrivere l’equazione come
L’equazione ci dice come cambia la carica del con-
densatore. Scritta esplicitamente, la variazione della V ∆t
∆Q = ∆t − Q . (34.33)
carica del condensatore ∆Q vale R τ
  Quella che abbiamo scritto è un’equazione diffe-
V Q
∆Q = − ∆t . (34.32) renziale nella quale una grandezza (Q) varia (∆Q)
R RC in proporzione a sé stessa. Non è difficile farsi un’i-
Leggiamo quest’equazione: prima di tutto ci dice che dea di come debba variare col tempo la grandezza
la carica del condensatore varia (∆Q è uguale a una Q: basta scegliere valori qualsiasi per V /R e per τ ,
quantità diversa da zero). Questa variazione è tanto scegliere Q(0) = 0 e calcolare Q(t) per diversi valori
piú piccola quanto maggiore è la carica già presente del tempo t. Scegliendo V /R = τ = 1 l’equazione è
nel condensatore: il primo addendo in parentesi è particolarmente semplice:
costante e il secondo è negativo e proporzionale a
Q. Quindi quando Q è piccolo (all’inizio del proces- ∆Q = ∆t (1 − Q) . (34.34)
so di carica), la parentesi è grande perché da V /R
Facciamo una tabella con i valori di t, ∆Q e Q(t).
sottraiamo un numero piccolo. Di conseguenza ∆Q
Quando t = 0, Q = 0. Dopo un tempo ∆t = 0.3 s,
è grande e la carica del condensatore varia molto.
∆Q = 0.300 in opportune unità, quindi Q(0.3) =
Man mano che aumenta la carica del condensatore,
0.30. Trascorsi altri 0.3 s, t = 0.6 s e ∆Q = 0.3 ×
Q diventa grande, quindi la parentesi diventa pic-
(1 − 0.30) = 0.210 e quindi Q diventa Q(0.02) =
cola e con essa ∆Q. In definitiva quello che succede
0.30 + 0.21 = 0.51. Proseguiamo cosí per un tempo
è questo: all’inizio Q = 0 e ∆Q = VR ∆t. Trascorso
sufficientemente lungo e costruiamo la Tabella 34.1.
un tempo ∆t il condensatore vorrebbe caricarsi an-
Riportando in un grafico il valore di Q in funzione
cora perché la differenza di potenziale ai suoi capi è
di t si vede quanto mostrato nella Fig. 34.8. L’an-
ancora troppo piccola per ostacolare il passaggio di
damento caratteristico di questo tipo di equazioni è
cariche dalla pila. Ma quando queste migrano verso
ben descritto da una legge del tipo
le armature del condensatore, quelle già presenti ne
ostacolano il moto perché le respingono. Il risultato
Q(t) = 1 − exp (−t) . (34.35)
è che un po’ di cariche passano sulle armature del
condensatore, ma un po’ meno di prima. ∆ infat- Questa è la soluzione di ogni equazione della for-
ti è diminuito. Man mano che passa il tempo ∆Q ma (34.34). Non è difficile convincersi del fatto che
diventa sempre piú piccola perché il numero di ca- la soluzione dell’equazione originale (34.33) è
riche che si oppone al passaggio di altre cariche dai
terminali della pila aumenta sempre di piú.   
t
Osserviamo anche che entrambi gli addendi de- Q(t) = V C 1 − exp − . (34.36)
τ
vono avere le stesse dimensioni fisiche: nel primo
addendo questo è evidente perché il rapporto V /R Per dimostrarlo si può ragionare cosí: l’equazione
è una corrente che, moltiplicata per un tempo, dà originale è

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34.4. IL CIRCUITO RC 372

t (s) Q (u.a.) ∆Q (u.a.)


0.00 0.00 0.300
0.30 0.30 0.210
0.60 0.51 0.147
0.90 0.66 0.103
1.20 0.76 0.072
1.50 0.83 0.050
1.80 0.88 0.035
2.10 0.92 0.025
2.40 0.94 0.017
2.70 0.96 0.012
3.00 0.97 0.008
3.30 0.98 0.006
3.60 0.99 0.004 Figura 34.8 La carica di un condensato-
re ha un andamento esponen-
3.90 0.99 0.003 ziale.
4.20 0.99 0.002
4.50 1.00 0.001
Tavola 34.1 La carica presente in un
condensatore in funzione del X ∆x X ∆t
tempo in unità arbitrarie =−
, (34.42)
x τ
(u.a.).
dove la somma è estesa a tutti i possibili incremento
∆x a sinistra e ∆t a destra. L’equazione in analisi
matematica si scrive
 
V Q Z x(t)
dx
Z t
t
∆Q = − ∆t . (34.37) =− (34.43)
R τ x τ
x(0) 0
Ridefiniamo il contenuto della parentesi come
la cui soluzione (mostrata in Appendice) è
V Q
(34.38)
 
− = x. x(t) t
R τ = exp − . (34.44)
x(0) τ
Se Q varia di ∆Q, x varia di
A questo punto sostituiamo a x(t) la sua espressione
∆Q
∆x = − (34.39) V Q(t)
τ x(t) = − (34.45)
perché sia V che R sono costanti. L’equazione si può R τ
allora riscrivere come e otteniamo
V
− Q(t)
 
− τ ∆x = x∆t (34.40) t
R
V
τ
= exp − . (34.46)
τ
oppure ancora come R
Riordinando i termini e cambiando segno si ottiene
∆x ∆t
=− . (34.41)
x τ   
Q(t) V t
Se è vera quest’equazione allora dev’essere verificata = 1 − exp − . (34.47)
anche l’equazione τ R τ

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34.4. IL CIRCUITO RC 373

Ricordando poi che il potenziale ai capi del conden-


satore vale V = Q/C, basta dividere quest’ultima
equazione per C e moltiplicarla per τ = RC per
ottenere VC :
  
t
VC (t) = V 1 − exp − . (34.48)
τ
Possiamo misurare questa tensione e verificare che,
in effetti, la tensione ai capi del condensatore sale
come un esponenziale e raggiunge il valore massimo
in un tempo dell’ordine di qualche τ = RC.
Ogni volta che la variazione ∆A di una grandezza
fisica A è proporzionale alla variazione ∆b di un’al-
Figura 34.9 La scarica di un conden-
tra grandezza fisica b e alla grandezza fisica A stessa
satore ha un andamento
il risultato è che A dipende da b esponenzialmente. esponenziale.
Se infatti rimuoviamo la pila e chiudiamo il cir-
cuito quel che succede è il condensatore si scarica:
si comporta cioè per certi versi come una pila, ma
a differenza di questa la tensione ai suoi capi non è circuito sono presenti solo il condensatore e la re-
costante, ma cala al passare del tempo. Come scen- sistenza la Legge di Kirchhoff delle maglie ci dice
de? È semplice: la quantità di carica che possiamo che
estrarre dal condensatore ∆Q dev’essere proporzio-
nale alla sua carica totale Q. Naturalmente è an- − VC = RI (34.53)
che proporzionale all’intervallo di tempo considera- (il segno − deriva dalle convenzioni adoperate: stia-
to ∆t ed è negativa perché le cariche diminuiscono. mo riscrivendo l’equazione del circuito con la pila in
Avremo quindi che cui V = 0). Essendo VC = Q/C possiamo riscrivere
l’equazione del circuito come
∆Q = −αQ∆t (34.49)
Q ∆Q
dove α è una costante che deve avere le dimensioni − =R (34.54)
C ∆t
di un tempo alla meno uno. Scrivendo
che riordinata,
1
α= (34.50) Q
τ ∆t ,∆Q = − (34.55)
RC
dove τ ha le dimensioni di un tempo si trova
e confrontata con l’equazione (34.51), ci dice che,
∆t di nuovo, τ = RC. L’andamento di Q col tempo è
∆Q = −Q (34.51)
τ dunque quello di Fig. 34.9.
che potete risolvere usando la stessa tecnica
illustrata piú sopra per trovare che
 
t
Q(t) = Q(0) exp − . (34.52)
τ
La carica depositata sulle armature del condensato-
re diminuisce esponenzialmente col tempo e lo stes-
so fa la differenza di potenziale ai suoi capi. Se nel

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Unità Didattica 35
Elettromagnetismo

tangente alle linee di forza del campo. Convenzio-


Prerequisiti: Correnti elettriche. Concetto di nalmente il campo magnetico è orientato in direzio-
campo. ne Nord–Sud per cui basta osservare il modo in cui
si dispone l’ago magnetico per trovare il verso che è
Nel 1820 il fisico danese Hans Christian Ørsted quello in cui punta l’estremità Nord dell’ago. Si sco-
osservò [?] un fenomeno curioso, di cui nessuno ave- pre, cosí, che le linee di forza del campo prodotto
va fatto menzione prima1 . Il fenomeno osservato da dal filo hanno la forma di circonferenze centrate
Ørsted consiste nel fatto che un ago magnetico, po- sul filo. Il verso del campo è tale per cui si può
sto nei pressi di un filo percorso da corrente elettri- trovare la direzione delle linee di forza con la rego-
ca, subisce una forza che lo induce ad assumere una la della mano destra: disponendo il pollice destro
direzione perpendicolare al filo. nella direzione in cui scorre la corrente e piegando
Una tale scoperta, per l’epoca, era abbastanza le altre dita, la direzione da attribuire alle linee di
sorprendente. Perché una corrente elettrica dovreb- forza è quella indicata da queste ultime.
be produrre effetti di tipo magnetico? In questo ca- Nel fare queste misure si deve tener conto della
pitolo cerchiamo di eseguire alcuni esperimenti allo presenza del campo magnetico terrestre, i cui effetti
scopo di capire che relazione esiste tra le forze di si potrebbero sommare a quelli del campo prodotto
natura elettrica e quelle di natura magnetica: per dalla corrente. Per fare in modo che ciò non avvenga
questa ragione i fenomeni qui descritti prendono il è necessario che il campo magnetico prodotto dal
nome di fenomeni elettromagnetici. filo sia abbastanza piú intenso di quello terrestre.
Se il campo prodotto dalla nostra sorgente non è
35.1 Correnti e forze magneti- molto piú grande di quello terrestre quest’ultimo va
misurato a sottratto dal campo misurato in presenza
che della sorgente, componente per componente.
Di sicuro l’intensità del campo dipende dalla cor-
L’esperimento di Ørsted dimostra inequivocabil- rente I che scorre nel filo perché per I = 0 si deve
mente che i fili percorsi da corrente producono un avere B = 0. Una misura dell’intensità del campo
campo magnetico nelle loro vicinanze. Se ne pos- oggi si può fare facilmente con un comune smart-
sono studiare le caratteristiche eseguendo misure re- phone: molti di essi hanno infatti a bordo un sen-
lativamente semplici. Per determinare direzione e sore magnetico ed esistono diverse App in grado di
verso del campo possiamo usare un ago magnetico. mostrarne sul display l’intensità, la direzione e il
L’ago, infatti, si dispone sempre in modo da essere verso2 . Tenendo fisso il misuratore di campo, pos-
1
In realtà pare [?] che già nel 1802 l’italiano Gian Dome- siamo cambiare l’intensità della corrente che circola
nico Romagnosi avesse già osservato e riferito il fenomeno, 2
Naturalmente quando questi fenomeni furono scoperti
ma dal momento che la scoperta fu pubblicata sulla Gazetta nessuno disponeva di un tale strumento, ma non c’è ragione
di Trentino non ebbe la pubblicità che avrebbe meritato. di non usarlo oggi.
35.1. CORRENTI E FORZE MAGNETICHE 376

nel filo. Riportiamo, per diversi valori d’intensità di misura in Tm/A. In queste unità si vede che C =
corrente, i corrispondenti valori di campo trovando 2 × 10−7 Tm/A.
una relazione approssimativamente lineare, i cui pa- La relazione che abbiamo appena determinato
rametri (pendenza e intercetta) si possono ricavare prende il nome di Legge di Biot–Savart3 e di
con un fit ai dati sperimentali. solito è scritta nella forma
La Tavola ?? riporta alcune misure eseguite usan-
do un filo percorso da corrente e uno smartphone µ0 I
B= (35.3)
posto a XX cm da esso. Il campo è stato misura- 2π r
to usando un’App di nome Sensors Multitools (è con µ0 che prende il nome di permeabilità ma-
una delle tante App che forniscono i valori registrati gnetica che in aria e nel vuoto vale 4π×10−7 Tm/A.
dai vari sensori presenti in uno smartphone). Il cam- Il fattore 2π che si introduce ridefinendo
po è una grandezza vettoriale di cui la App ci for- µ0
nisce le componenti. Basta sommarle in quadratura C= (35.4)

ed estrarre la radice quadrata per averne l’intensità.
torna utile perché le linee di forza di questo tipo di
Affinché le misure non dipendano dalla geometria
campi sono circolari e in molti casi compaiono nelle
del filo usiamo un filo molto lungo e ci mettiamo a
relazioni fattori 2π che si semplificano.
poca distanza da esso per eseguire le misure. Se la
Se l’esperimento si esegue in un materiale diver-
lunghezza ` del filo è molto maggiore della distanza
so dal vuoto (per esempio immergendo il filo in un
r alla quale si esegue la misura il filo si può conside-
liquido o tenendolo in un recipiente con gas diversi)
rare in pratica infinitamente lungo. Per esempio, se
si scopre che l’intensità del campo cambia. Eviden-
r, come nel nostro caso, è dell’ordine di alcuni cm,
temente questa dipende dal materiale nel quale si
la lunghezza del filo dev’essere almeno dell’ordine
produce il campo. Della dipendenza dal materiale
del metro.
si tiene conto scrivendo
Riportando in un grafico il campo B in funzione
della corrente I si vede (Figura ??) che il campo µ I
ha un andamento lineare con la corrente, per cui B= (35.5)
2π r
possiamo scrivere che con µ = µr µ0 e µr , chiamata permeabilità ma-
gnetica relativa che è una costante adimensiona-
B ∝I. (35.1) le che dipende, appunto, dal materiale nel quale si
Spostando lo smartphone noteremmo che l’intensità misura il campo. È evidente che deve esistere un fe-
del campo diminuisce con la distanza r dal filo. Se nomeno analogo nei solidi, anche se in questi casi
la distanza raddoppia il campo si dimezza e se la eseguire la misura è piú difficile. Ciò nonostante si
distanza triplica il campo si riduce di un fattore tre. può determinare il valore di µr per i diversi mate-
Di conseguenza riali e riportarli in una tabella (sulla rete ne trovate
moltissimi tabulati). In certi materiali la permea-
I bilità relativa può essere molto alta: nel ferro, ad
B=C . (35.2)
r esempio, può raggiungere il valore µr ' 200 000.
La costante C permette di aggiustare le dimensioni Se accade che una corrente sia in grado di pro-
fisiche dell’espressione e ha un valore che dipende durre un campo magnetico, allora è possibile che le
dal sistema di unità di misura impiegato. Nel SI correnti siano soggette a una forza quando si trovi-
le correnti si misurano in A e le distanze in m. I no in un campo magnetico. In tutti i casi che co-
campi magnetici, invece, si misurano in T, perciò C nosciamo la sorgente di un campo ne subisce anche
ha le dimensioni di un campo magnetico diviso una gli effetti: si tratta di una chiara conseguenza di un
corrente e moltiplicato una distanza e pertanto si 3
Dai nomi di Jean Baptiste Biot e di Félix Savart. che

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35.1. CORRENTI E FORZE MAGNETICHE 377

principio di simmetria. Le masse, ad esempio, so- massimo quando sarà esso stesso perpendicolare alla
no sorgenti di campi gravitazionali e, in quanto tali, corrente che lo subisce. Possiamo determinare facil-
li subiscono. In effetti, se la massa ma produce un mente la direzione e il verso della forza sperimentata
campo gravitazionale, lo stesso deve fare la massa dai fili con una semplice regola mnemonica: una re-
mb che, se messa nel campo prodotto dalla prima gola della mano destra diversa da quella definita
ne subisce gli effetti. Le cariche elettriche genera- poco sopra. In questa versione della regola si dispo-
no un campo elettrico e ne sperimentano gli effetti. ne sempre il pollice destro in direzione della corren-
Allo stesso modo, se una corrente è sorgente di un te, mentre le altre dita della mano si dispongono in
campo magnetico, deve anche esserne influenzata. modo da essere dirette come il campo magnetico.
In effetti questo è proprio quel che si vede: met- La forza che agisce sulla corrente orientata come il
tendo un filo vicino a un potente magnete e facendo pollice è diretta in maniera da uscire dal palmo della
passare una corrente nel filo, questo si muove. Per- mano.
ché si possa osservare il fenomeno è necessario che Un’altra osservazione che si può fare è la seguente:
la corrente che circola nel filo sia molto alta e anche se la lunghezza del filo raddoppia, raddoppia anche
che il magnete sia piuttosto potente. la sua massa e tuttavia il filo si muove nella stessa
A questo punto è abbastanza facile prevedere co- maniera. Ciò significa che l’intensità della forza che
sa succede quando due fili percorsi da corrente si lo fa muovere dev’essere proporzionale alla lunghez-
mettono l’uno vicino all’altro. Il primo produce, co- za ` del filo (o meglio alla lunghezza della porzione
me sappiamo dall’esperimento di Ørsted, un campo di filo immersa nel campo):
magnetico che, agendo sul secondo filo, produce su
di esso una forza. Naturalmente la forza prodotta su F ∝ BI2 ` . (35.8)
uno dei fili dipende dal campo magnetico ed è pro-
Non essendoci altre grandezze da cui dipende questa
porzionale a questo: detta B l’intensità del campo
forza possiamo scrivere che
magnetico prodotta dal primo filo e I2 la corrente
che scorre sul secondo avremo che
F = ABI2 ` , (35.9)
F ∝ BI2 . (35.6) con A costante che si può scegliere essere pari a 1
se si definisce l’unità di campo magnetico a partire
Dal momento che B dipende a sua volta dalla
da questa misura. In pratica un campo magnetico
corrente che scorre nel primo filo, abbiamo che
di 1 T è quello che provoca una forza di 1 N su un
µ0 I1 I2 filo di 1 m nel quale scorre una corrente di 1 A.
F ∝ (35.7) Prendendo questa decisione (arbitraria), abbiamo
2π r
dove r rappresenta la distanza tra i fili. Questa pre- che
visione si può verificare sperimentalmente usando
due fili sospesi molto leggeri nei quali si fanno pas- F = BI` : (35.10)
sare correnti diverse (ma molto intense). Quel che la forza subíta da un filo lungo ` nel quale scorre
si vede è che la forza si comporta come previsto se i una corrente I e che si trova in un campo magne-
fili sono paralleli ed è attrattiva se la corrente scor- tico d’intensità B uniforme a esso perpendicolare è
re nello stesso senso in entrambi i fili, altrimenti è uguale al prodotto di B per I per `.
repulsiva.
Anche questo appare del tutto coerente con quan-
to sappiamo. Un filo percorso da corrente, in effetti,
produce un campo perpendicolare alla direzione del-
la corrente, il quale produrrà sull’altro filo l’effetto

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35.2. IL CAMPO MAGNETICO DI UNA SPIRA 378

due dimensioni. Di solito si tende a rappresentare


le linee di forza lungo un piano che coincide con
quello della rappresentazione. I vettori entranti nel
piano si rappresentano come una croce × o come
⊗ mentre quelli uscenti con un punto · oppure con
un punto circondato da una circonferenza . L’i-
dea che c’è dietro questa rappresentazione è che il
vettore si può rappresentare graficamente come una
freccia. Immaginando una freccia dalla punta coni-
ca, vista dal davanti apparirebbe, appunto, come .
Se sulla coda della freccia sono presenti due timoni
incrociati, visti da dietro appaiono come ⊗.
Nella figura la corrente scorre su una spira che
si vede di taglio. Nella spira la corrente entra nel
piano nel punto piú in basso, gira dietro il foglio
e ne esce nel punto piú in alto. Secondo la regola
della mano destra, disponendo il pollice perpendi-
Figura 35.1 Le linee di forza del cam- colarmente al piano ed entrante in esso, le linee di
po magnetico prodotto da
una spira percorsa da cor-
forza del campo magnetico sono dirette verso de-
rente. La figura è stata trat- stra all’interno della spira, cosí come accade quando
ta da WikiPedia ed è stata il pollice rappresenta la corrente entrante nel piano
prodotta dall’utente Geek3. del foglio. Se disponiamo il pollice della mano destra
in direzione uscente dal foglio (quindi nella direzione
della corrente nella parte alta della figura), le linee
35.2 Il campo magnetico di di forza del campo magnetico sono dirette in sen-
so antiorario e quindi, all’interno della spira, sono
una spira rivolte verso destra.
La forma delle linee di forza si spiega bene assu-
Fare esperimenti con fili molto lunghi e tesi è sem- mendo il principio di sovrapposizione: si assume
pre complicato: un apparato piú compatto si può cioè che ciascun elemento di filo produce in un pun-
ottenere facendo assumere al filo una forma chiusa, to dello spazio un campo che si somma con tutti
ad anello. Un filo chiuso ad anello si chiama spira. quelli prodotti dagli altri elementi di filo.
Possiamo far passare corrente attraverso una spira Lungo l’asse del filo il campo è sempre diretto per-
collegando le estremità del filo a una pila. pendicolarmente alla spira. Un qualunque pezzetti-
Quello che si osserva in questi casi è che il campo no di spira infatti produce un campo magnetico le
magnetico assume una forma piú complicata, che cui linee di forza sono circonferenze centrate e per-
tuttavia possiede caratteristiche che si possono de- pendicolari al pezzettino di filo. Al centro della spira
sumere dal comportamento del filo rettilineo. Con tutti i campi prodotti da qualunque elemento del fi-
qualche esperimento e un po’ di fatica si vede che le lo si sommano dando luogo a un campo complessivo
linee di forza del campo magnetico prodotto da una diretto come l’asse della spira stessa.
spira sono come quelle mostrate nella Figura 35.1. Il verso delle linee di forza del campo magnetico
La rappresentazione di un campo tridimensiona- si determina facilmente usando la regola della mano
le sulla pagina di un libro, lo schermo di un com- destra: orientando il pollice della mano destra come
puter o su un foglio di carta è sempre molto com- la corrente, il verso delle linee di forza del campo
plicata perché tutti questi supporti hanno soltanto magnetico è quello delle dita della mano destra pie-

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35.3. IL CAMPO MAGNETICO DI MOLTE SPIRE 379

gate a formare un anello. Basta disporre il pollice filmato non riproducibile su questo
lungo la spira per capire che che il verso è quello supporto: digita l’URL nella caption o
mostrato nella figura. Infatti, nella parte superiore scarica l’e-book
della figura, il pollice dovrebbe uscire dal piano del Figura 35.2 Il campo magnetico di tan-
foglio e le altre dita si dispongono in modo che fuori te spire sovrapposte si ottie-
ne sommando i campi di cia-
della spira le linee siano dirette a sinistra e dentro scuna spira. All’interno della
a destra. Allo stesso modo, nella parte bassa del- spira i campi si sommano set-
la figura, dove la corrente è entrante nel piano del torialmente e l’intensità au-
foglio, lo è anche il pollice e le dita si dispongono menta. Fuori della spira in-
come le linee di forza riportate. vece i campi tendono a can-
cellarsi [https://youtu.be/
AGnNTvgxT_U].
35.3 Il campo magnetico di
filmato non riproducibile su questo
molte spire supporto: digita l’URL nella caption o
Avvicinando una spira percorsa da corrente a un’al- scarica l’e-book
tra spira mantenendo allineati i rispettivi assi, il Figura 35.3 Il campo magnetico di cui
campo prodotto da ciascuna si somma a quello pro- si vede l’intensità nel Filma-
to 35.2 è riprodotto in que-
dotto dall’altra. Osservando la Figura 35.1 si vede
sto filmato usando i vettori,
che il campo, in prossimità del centro della spira, in modo che se ne apprez-
è diretto verso destra sia dietro (a sinistra) che da- zi direzione e verso [https:
vanti (a destra) della spira. Se da destra si avvicina //youtu.be/1GHucb4cQBs].
un’altra spira con la corrente che scorre nello stes-
so verso il campo di questa si somma a quello della
prima perché è diretto nello stesso modo. Le linee magine è bianca il campo è piú intenso (vicino ai
di forza del campo a destra della prima spira pun- fili) mentre è debole dove è piú scura.
tano leggermente verso l’alto; quelle della seconda Il Filmato 35.3 illustra lo stesso campo mostran-
punteranno leggermente verso il basso e il risultato done il modulo, la direzione e il verso dei vettori che
sarà che le linee di forza del campo tra le due spire lo rappresentano. Dal filmato si vede come all’inter-
tenderanno a diventare parallele all’asse del siste- no delle spire il campo tenda ad allinearsi secondo
ma. La stessa cosa succede all’esterno, ma lí le linee la direzione dell’asse del sistema, mentre in vicinan-
di forza sono molto piú incurvate. La linea di forza za delle spire questo somigli molto al campo pro-
aperta piú in alto a destra che si vede nella figura dotto da un filo rettilineo le cui linee di forza sono
è diretta decisamente verso l’alto; quella della se- circonferenze tangenti al campo.
conda spira sarà rivolta esattamente al contrario e Un sistema del genere si può realizzare facilmente
quando i corrispondenti campi si sommano tende- avvolgendo un filo elettrico a formare un’elica, come
ranno a cancellarsi: sopravviverà solo una piccola nella Fig. 35.4. Da quanto abbiamo visto si capisce
parte di campo. che il campo all’interno di quest’oggetto, detto so-
Avvicinando molte spire una all’altra si capisce lenoide è tanto piú intenso quante piú sono le spire
quindi che all’interno il campo sarà uniforme e pa- e tanto maggiore quanto piú le spire sono strette.
rallelo all’asse del sistema, mentre all’esterno sarà Se poi si avvolgono le spire attorno a un cilindro di
piuttosto debole. Il Filmato 35.2 fa vedere l’intensi- materiale con alta permeabilità magnetica relativa,
tà del campo in presenza di spire circolari perpendi- il campo magnetico in vicinanza della superficie di
colari al piano del foglio (si vede l’intersezione delle base di questo cilindro (che è praticamente uguale
spire con il piano mediano della stessa). Dove l’im-

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35.3. IL CAMPO MAGNETICO DI MOLTE SPIRE 380

⊗ ⊗ ⊗ ⊗ ⊗

⊙ ⊙ ⊙ ⊙ ⊙
Figura 35.4 Un solenoide è un filo av-
volto a formare una spirale.
In genere è avvolto in mo-
do da formare spire circola- Figura 35.5 La spira al centro di que-
ri, ma le proprietà del campo sto gruppo di bobine produce
al suo interno sono abbastan- un campo magnetico quando
za indipendenti dalla sua for- percorsa da corrente. Le linee
ma, se si sta abbastanza lon- di forza del campo prodotto
tano dal filo. L’immagine è di da ciascuna delle due porzio-
Zureks. ni di filo al centro dell’imma-
gine sono riprodotte in rosso
e in blu e il verso è dato dal-
la regola della mano destra.
a quello all’interno del solenoide) diventa molto piú Il campo al centro del sole-
intenso. Con qualche misura si vede che il campo noide è la somma di questi
due campi, evidenziati con
si moltiplica per un fattore µr che può anche essere frecce dello stesso colore, piú
molto alto. tutti quelli prodotti dalle al-
Il calcolo (approssimato) del campo effettivamen- tre spire, che hanno le stesse
te prodotto da un lungo solenoide è al Paragrafo ??. caratteristiche.
Anche senza il calcolo, però, si capisce una cosa: piú
aumenta il numero di spire di cui è composto il so-
lenoide e piú si fa intenso il campo all’interno; corri- no e su ogni punto agiscono tanti campi in una di-
spondentemente il campo all’esterno diventa sempre rezione quanti nell’altra, perciò alla fine il campo
piú debole. Infatti, facendo riferimento alla Fig. 35.5 totale dev’essere nullo. Allo stesso modo ogni punto
si vede che i campi prodotti da due punti oppo- interno del solenoide è equivalente a tutti gli altri e
sti della spira all’interno del solenoide si sommano se sull’asse si ha un campo parallelo a questo cosí
allineandosi verso sinistra sull’asse del dispositivo. dev’essere in ogni punto interno al dispositivo.
Nei punti interni del solenoide che non coincidono Naturalmente è impossibile costruire un solenoi-
con l’asse i campi si sommano comunque, anche se de di lunghezza infinita, ma se il raggio della spira
avranno una componente verticale non nulla che pe- è molto minore della lunghezza dell’insieme allora
rò tende a diminuire all’aumentare del numero e in punti non troppo vicini ai bordi il solenoide si
della densità delle spire. All’esterno del solenoide, comporta come uno di lunghezza infinita. In gene-
invece (Fig. 35.6), i campi tendono a cancellarsi. Il rale si può assumere che il campo compreso tra due
campo rappresentato in blu nella figura è meno in- o piú spire uguali disposte parallelamente l’una al-
tenso di quello in rosso perché la porzione di filo che l’altra con gli assi coincidenti sia ragionevolmente
lo genera è piú lontana, ma sul punto in esame ci uniforme con il campo diretto parallelamente all’as-
saranno i campi prodotti da tutte le spire di cui è se delle spire. Questa è proprio la tecnica che si usa
composto il solenoide: sia quelle alla sua sinistra sia per fabbricare magneti artificiali.
quelle a destra.
Se il solenoide diventa di lunghezza infinita ogni
punto esterno è equivalente a ogni altro punto ester-

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35.4. IL GIOGO DI UN MAGNETE 381

quello delle linee che ne escono. Inoltre la densità


delle linee di forza dev’essere maggiore dove il cam-
⊗ ⊗ ⊗ ⊗ ⊗ po è piú intenso. Poiché dunque la densità (quin-
di il numero) di linee presenti nel volume occupato
dal blocchetto dev’essere piú grande di quella fuori,
⊙ ⊙ ⊙ ⊙ ⊙ non essendoci sorgenti di campo magnetico l’unica
cosa che può succedere è che le linee che inizialmen-
te erano parallele le une alle altre si deformano per
addensarsi all’interno del blocchetto. Cosí facendo
Figura 35.6 La spira al centro di que-
sto gruppo di bobine produce
il campo fuori, ma vicino, al blocchetto si riduce.
un campo magnetico quando Se si connettono con un pezzo di materiale ad alta
percorsa da corrente. Le linee permeabilità le due espansioni polari di un magnete
di forza del campo prodotto quel che accade è che il campo nelle vicinanze del
da ciascuna delle due porzio- magnete si riduce moltissimo, come se il dispositi-
ni di filo al centro dell’imma-
gine sono riprodotte in rosso
vo, detto giogo, riuscisse a spegnere (o quanto meno
e in blu e il verso è dato dal- ad attenuare fortemente) il campo magnetico circo-
la regola della mano destra. stante. In realtà il campo è come segregato nel giogo.
Il campo all’esterno del sole- Per questa ragione molte calamite sono vendute con
noide è la somma algebrica di il giogo in dotazione: se il campo prodotto è molto
questi due campi, evidenziati
con frecce dello stesso colore, intenso può essere pericoloso (potrebbe portare al
piú tutti quelli prodotti dalle malfunzionamento di carte di credito o bancomat,
altre spire, che hanno le stes- per esempio, o alla cancellazione di dati sui suppor-
se caratteristiche. Somman- ti magnetici come gli hard disk). Maneggiare questi
do infiniti campi si ottiene un
magneti con il giogo in posizione è sempre una buo-
campo totale nullo.
na idea, per evitare che accidentalmente vengano in
contatto con qualcosa di sensibile al campo da loro
prodotto.
35.4 Il giogo di un magnete
Il campo magnetico che si registra in un materiale
con alta permeabilità magnetica µr può essere mag-
giore di quello che si misurerebbe in assenza di que-
sto materiale. Se allora inseriamo un blocchetto di
materiale con µr  1 in una regione di spazio nella
quale è presente un campo magnetico, che per sem-
plicità immaginiamo uniforme, quello che deve suc-
cedere è che, in qualche maniera, il blocchetto deve
come risucchiare parte delle linee di forza del cam-
po attorno a sé. Infatti, il flusso ΦS (B) di un cam-
po magnetico B attraverso una qualunque superficie
chiusa è

ΦS (B) = 0 (35.11)
e quindi il numero di linee di forza che entrano in
una qualunque superficie chiusa dev’essere uguale a

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Unità Didattica 36
Applicazioni dell’elettromagnetismo

so perpendicolare, accelera. Se inizialmente fermo si


Prerequisiti: Le forze magnetiche sui fili mette in moto e, secondo che sia presente attrito o
percorsi da corrente. meno, può muoversi di moto accelerato (con acce-
lerazione positiva o negativa) o di moto rettilineo
Grazie al fatto che su un filo percorso da corrente uniforme (una volta messo in moto l’attrito dina-
agisce una forza quando è immerso in un campo ma- mico potrebbe produrre una forza uguale e contra-
gnetico, possiamo costruire diversi dispositivi utili. ria a quella prodotta dal campo magnetico, come
In questo capitolo passiamo in rassegna solo alcuni quando si spinge una cassa facendola scivolare sul
di essi e nella loro versione piú semplice. Non c’in- pavimento).
teressano i dettagli costruttivi, ma solo i principi di Con questo sistema possiamo dunque realizzare
funzionamento di questi dispositivi. un motore: un dispositivo che provoca lo sposta-
Inoltre, sempre grazie a questo fenomeno, possia- mento di qualcosa. La forza che si desta quando si
mo definire una procedura che permette di misura- fa passare la corrente nel filo è piuttosto debole, a
re il campo magnetico. Se siamo in grado di misura- dir la verità: per avere una forza di 1 N (quella che
re l’intensità della forza F prodotta su un filo su cui corrisponde al peso di un oggetto di massa pari a
passa una corrente I in un campo magnetico d’in- circa 100 g) è necessario far passare una corrente
tensità B perpendicolare al filo possiamo misurare di 1 A in un filo lungo 1 m immerso in un campo
B come di 1 T. Sono tutti numeri grandi: 1 A è una corren-
F te molto intensa e un campo di 1 T è abbastanza
B= . (36.1) complicato da realizzare (considerate che le mac-
I`
chine per la risonanza magnetica impiegano campi
Il campo magnetico che produce una forza di 1 N su
dell’ordine di 1.5 T per funzionare).
un filo lungo 1 m quand’è attraversato da una cor-
Un motore cosípoi occuperebbe tutto lo spazio
rente di 1 A ha un’intensità pari a 1 Nm−1 A−1 . Da
necessario per ottenere il moto di quanto a esso col-
questa unità di misura se ne possono derivare altre.
legato. Non è proprio un dispositivo particolarmen-
Per esempio, sapendo che 1 N corrisponde a 1 Jm−1 ,
te furbo! Se riuscissimo a costruire un motore che,
possiamo misurare i campi in
invece di far muovere qualcosa di moto rettilineo,
J consentisse un moto circolare potremmo usarlo an-
[B] = = 1 T . (36.2) che per compiere moti rettilinei: basterà collegare
Am2
Il simbolo T si legge Tesla in onore di Nikola Tesla. all’albero del motore una ruota come nel caso delle
automobili.
Un dispositivo cosí si può fare usando un filo ripie-
36.1 I motori gato a formare una spira che, inizialmente, suppor-
remo quadrata come quella che si vede nel Filma-
Se un filo percorso da corrente subisce una forza to 36.1. Facendo passare una corrente nel filo colle-
quando è immerso in un campo magnetico B a es-
36.1. I MOTORI 384

filmato non riproducibile su questo


supporto: digita l’URL nella caption o
scarica l’e-book
Figura 36.1 Un motore elettrico: la
corrente è rappresentata
dai pallini rossi in moto. ⊗
Il campo magnetico è co-
stante in viola e le forze
subite dai diversi tratti di
filo nel campo magnetico
sono riportate in arancio
[[https://www.youtube.com/watch?v=aMH7pdn-
qr4]. Il filmato è stato
realizzato da Michael R.
Gallis.

gandone gli estremi a un generatore (che nel filmato


è rappresentata dai pallini rossi che si muovono) sui
diversi tratti di filo agiscono forze orientate in ma-
niera diversa secondo l’orientazione relativa del filo
e del campo. La spira è un corpo rigido perciò non
si può trattare come un semplice punto materiale.
Su un qualunque punto della spira, infatti, non agi-
sce solo la forza magnetica, ma anche tutte quelle Figura 36.2 Una spira vista di taglio in
forze prodotte dai tratti di filo adiacenti che impe- un campo magnetico unifor-
me (in blu) nella quale scorre
discono al filo di dissolversi. La fisica di questo tipo una corrente (in rosso) è sog-
di corpi è trattata al Capitolo ??, ma possiamo im- getta a una coppia di forze
maginare facilmente quel che accade, anche senza (in arancio) che ne provocano
saper calcolare esattamente le grandezze fisiche che la rotazione in senso orario.
c’interessano.
Quando il piano della spira è perpendicolare alla
direzione del campo magnetico, sulla spira agiscono questo caso è chiaro quel che succede: la spira ruota
forze magnetiche che tenderebbero a schiacciarla, attorno al suo asse, come si vede nell’animazione.
facendola collassare: se la spira è sufficientemente Se la spira fosse direttamente collegata alla pila la
rigida questo non avviene e la spira resta immobi- corrente scorrerebbe sempre nello stesso verso e una
le. Non appena il piano della spira forma un angolo volta ruotata di 180◦ il verso della forza magnetica
compreso tra zero e 90 gradi con il campo magne- cambierebbe. La Figura 36.2 mostra la spira vista di
tico quel che succede è che su due lati della spira taglio con la corrente che scorre in un verso, per cui
continuano ad agire forze che tendono a far accar- nel tratto perpendicolare al campo nella parte supe-
tocciare la spira, il cui effetto è vanificato dalle forze riore della figura la corrente è entrante nel piano del
interne al filo che ne consentono l’esistenza come foglio, mentre è uscente dalla parte inferiore. Usan-
solido. Su altri due lati, però, compaiono due forze do la regola della mano destra (disponendo cioè il
uguali e contrarie, ma non allineate (usate la regola pollice di questa mano nel verso della corrente e le
della mano destra per prevedere la direzione della altre dita in direzione del campo) si vede che le forze
forza nei vari tratti di filo nelle diverse situazioni). In che agiscono sui due tratti perpendicolari al foglio

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36.1. I MOTORI 385

Figura 36.4 L’albero di un motore elet-


trico con tre gruppi di spire,
ciascuno dei quali composto
da numerosi avvolgimenti di
⊗ filo di rame attorno a un nu-
cleo di ferro. Il nucleo di fer-
ro serve sia da supporto che
per convogliare il campo at-
traverso la spira in modo piú
efficace grazie alla sua ele-
vata permeabilità magnetica.
L’immagine è di Zephyris.
Figura 36.3 Quando la spira della
Fig. 36.2 si trova nella
posizione illustrata in questa
figura, la coppia di forze ne
provoca la rotazione in senso
della spira è perpendicolare al campo magnetico la
antiorario. corrente cambia verso perché il capo che era inizial-
mente collegato al polo positivo della pila finisce in
contatto con quello negativo e viceversa.
È chiaro che il meccanismo funziona qualunque
sono diretti come le frecce arancioni (uscenti dal pal-
sia la forma della spira che può anche non essere
mo della mano). In seguito all’azione di queste forze
quadrata o rettangolare (con questa forma è solo
la spira si porterebbe nella posizione indicata dalla
piú semplice l’analisi delle forze). Se poi invece di
Fig. 36.3 in cui la regola della mano destra mostra
una sola spira se ne mettono tante la forza magne-
che le forze magnetiche agirebbero in modo da far
tica agisce su ciascuna di esse e complessivamente
ruotare la spira in senso opposto. Il risultato netto
sul motore agisce una forza magnetica che è in mo-
consisterebbe in un’oscillazione della spira attorno
dulo F = N BI` dove N è il numero di spire avvolte
all’asse centrale.
sull’albero rotante. Infine è possibile collegare a un
Se però si ha l’accortezza di invertire il verso della
albero piú sistemi di spire avvolte ciascuno attor-
corrente ogni volta che la spira sta sul piano perpen-
no a un asse diverso: la spinta prodotta da ciascun
dicolare a quello del foglio, le forze magnetiche, al
gruppo di spire cosí si somma a quella prodotta dalle
contrario, sono dirette sempre nel verso giusto affin-
altre.
ché la spira ruoti sempre nello stesso senso. A questo
Qualunque elettrodomestico (lavatrice, asciuga-
scopo servono i contatti striscianti che si vedono in
capelli), attrezzo (trapano) o veicolo con un motore
primo piano nel Filmato 36.1: ogni volta che il piano

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36.2. LA MISURA DELLE CORRENTI 386

elettrico funziona grazie a questo principio. certo punto la forza esercitata dalla molla uguaglia,
in modulo, quella prodotta dalla corrente e la spira,
invece di girare, assume una posizione che forma
36.2 La misura delle correnti un angolo α rispetto a quella di equilibrio. Questo
succede quando
Grazie al fatto che un filo percorso da corrente su-
bisce una forza quando è immerso in un campo ma-
kα = BI` . (36.6)
gnetico, possiamo costruire un dispositivo di misura
della corrente. Il dispositivo piú semplice di tutti, Misurando l’angolo α si ottiene una misura di I
almeno dal punto di vista del principio di funziona- essendo
mento, è costituito di un singolo filo immerso in un
k
campo uniforme B e disposto perpendicolarmente I= α (36.7)
a questo per una lunghezza `. Se si fa passare una B`
corrente I nel filo, su quest’ultimo agisce una forza (B, k e ` sono tutte caratteristiche costruttive del-
di modulo lo strumento e quindi sono note). Il campo B può
essere prodotto da un magnete permanente (una ca-
F = BI` (36.3) lamita) e cosí possiamo ottenere uno strumento di
misura per l’intensità di corrente che, oltre a fornire
che si può misurare, in linea di principio, con un l’intensità fornisce anche il verso della corrente: in-
dinamometro. Conoscendo la forza ricaviamo la fatti l’angolo di cui ruota la spira sarà positivo quan-
corrente I come do la corrente scorre in un verso e negativo quando
F scorre nell’altro. Basta montare un ago sull’asse del-
I= . (36.4) la spira e una scala graduata in corrispondenza della
B`
punta di quest’ultimo per realizzare uno strumento
La misura di forza in questo caso però è resa dif-
tarato che prende il nome di galvanometro.
ficoltosa da l fatto che F è molto piccola e poi si
Uno di questi strumenti è mostrato nella Figu-
dovrebbe consentire al filo di spostarsi nel campo
ra 36.5. Al giorno d’oggi si usano strumenti digitali
pur in presenza di un contatto elettrico stabile.
molto piú maneggevoli e compatti detti ampero-
Un dispositivo un po’ piú furbo consiste nell’usa-
metri, molti dei quali funzionano comunque grazie
re una spira come quella impiegata per costruire il
all’interazione tra correnti e campi magnetici.
motore del paragrafo precedente. Facendo passare
L’effetto Hall1 , illustrato al Capitolo 37, è uno
corrente nel filo la spira (o il gruppo di spire) ten-
dei fenomeni che si sfruttano in questi strumenti.
derebbe a ruotare. Se sull’asse della spira si monta
una molla a spirale, questa può esercitare una forza
uguale e contraria a quella prodotta dal passaggio
di corrente. La forza elastica prodotta dalla molla
a spirale su un tratto di spira è del tutto analoga a
quella di una comune molla: la sua intensità dipen-
de da quanto si deforma. Misurando la deformazione
in unità di angolo possiamo scrivere la forza F che
agisce su una porzione di spira come

F = −kα (36.5)
dove k è una costante che dipende dalla molla e α
l’angolo di cui è ruotato il suo estremo libero. A un
1
dal nome del suo scopritore Edwin Hall.

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36.2. LA MISURA DELLE CORRENTI 387

Figura 36.5 Un antico galvanometro: si


vedono le spire avvolte at-
torno a un cilindro che ruo-
ta attorno all’asse orizzonta-
le tra le espansioni polari di
un magnete permanente sa-
gomate in modo da circon-
dare completamente il cilin-
dro. Sull’asse della bobina è
fissato un ago che indica la
corrente su una scala gra-
duata. L’immagine è tratta
da Wikimedia Commons ed
è di proprietà di Wellcome
Images.

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Unità Didattica 37
La Forza di Lorentz

Gli esperimenti esposti al Capitolo 35 consentono tato, è perpendicolare alla direzione della corrente,
di dare un’interpretazione relativamente semplice quindi alla direzione della velocità delle cariche. È
dei fenomeni magnetici illustrati al Paragrafo 27.1: anche perpendicolare al campo magnetico nel quale
evidentemente il campo magnetico di un magnete i fili sono immersi.
permanente è prodotto da correnti dovute al mo- Dato che I = ∆q
∆t
per un filo lungo ∆` immerso in
to di particelle elettricamente cariche all’interno del un campo magnetico B possiamo scrivere che
materiale. Immaginando, per semplicità, che alcune
cariche elettriche si muovano nel materiale di moto ∆q
∆F = B ∆` (37.1)
circolare, si deve pensare che queste siano assimi- ∆t
labili a una spira percorsa da corrente che produce e poiché la velocità della carica v si può scrivere co-
un campo magnetico perpendicolare al piano della me v = ∆`/∆t possiamo sostituire questo rapporto
spira. Se si spezza il magnete in due, in ciascuna nell’espressione sopra riportata con v e ottenere
delle due parti le cariche elettriche presenti conti-
nueranno a muoversi in questo modo producendo in ∆F = B∆qv . (37.2)
ciascuna porzione un campo magnetico perpendico- Se ne deduce che su una singola carica q in moto
lare alla spira. Per questa ragione non è possibile in campo magnetico con velocità v agisce una forza
osservare quello che potremmo chiamare un mono- d’intensità
pòlo magnetico. Il campo magnetico non è prodotto
da sorgenti puntiformi, ma da correnti che si svilup- F = qvB (37.3)
pano su un piano: il campo magnetico è sempre per-
quando il moto è perpendicolare al campo magneti-
pendicolare a questo piano e quindi è sempre carat-
co. Questa forza dev’essere nulla quando la velocità
terizzato da due possibili versi o poli: uno da un lato
delle cariche è parallela al campo perché quando un
e l’altro dall’altro del piano sul quale si muovono le
filo in un campo magnetico è disposto parallelamen-
cariche.
te a quest’ultimo non subisce alcuna forza e assume
Quest’osservazione rafforza la nostra convinzione
un valore intermedio in tutti gli altri casi. Possiamo
che i corpi siano costituiti di particelle, alcune delle
dunque ammettere che
quali (almeno) devono avere carica elettrica.
Nel momento in cui osserviamo che un filo percor-
F = qv × B (37.4)
so da corrente subisce una forza quando è immerso
in un campo magnetico dobbiamo ritenere che le dove l’operatore × rappresenta il prodotto vettoria-
cariche elettriche in movimento subiscano una ta- le tra due vettori. Quest’operazione restituisce un
le forza: gli effetti osservati sui fili non dovrebbero vettore di modulo
essere altro se non la somma di tutti gli effetti pro-
dotti su ciascuna carica elettrica elementare che si F = qvB sin θ (37.5)
muove in un filo. dove θ è l’angolo compreso tra la direzione di v e
Questa forza, secondo quanto abbiamo sperimen- quella di B e assume quindi il massimo nel caso in
37.1. L’EFFETTO HALL 390

cui la particella carica si muova perpendicolarmen-


mv
te a B (sin θ = 1). Per θ = 0 la forza è nulla. La r= . (37.10)
qB
direzione e il verso del vettore risultante da quest’o-
perazione sono quelli che si ottengono dalla regola Visto che la forza è sempre perpendicolare a v lo è
della mano destra e sono quindi coerenti con quanto anche rispetto allo spostamento ∆s = v∆t e quindi
trovato sopra. si tratta di una forza che non fa lavoro.
L’espressione dell’equazione (37.4) prende il nome Se la velocità della particella non è perpendico-
di Forza di Lorentz. Poiché questa forza è sempre lare al campo magnetico il moto della particella è
perpendicolare alla velocità della particella lo è an- la combinazione di un moto circolare, che dipende
che l’accelerazione e quando l’accelerazione è per- dalla componente della sua velocità perpendicolare
pendicolare alla velocità il moto è sempre circolare al campo, e di un moto rettilineo uniforme in dire-
uniforme. Una particella carica che si muove perpen- zione del campo. Di fatto, quindi, la traiettoria ha
dicolarmente a un campo magnetico dunque percor- l’aspetto di un’elica il cui raggio dipende dal cam-
re sempre una traiettoria che si può rappresentare po, dalla componente di v perpendicolare a questo,
come una circonferenza il cui raggio di curvatura r dalla carica elettrica e dalla massa della particella.
si trova come segue. Il lavoro svolto dalla Forza di Lorentz è sempre
Mettendoci nel sistema di riferimento della carica nullo, perché quando la forza agisce su una parti-
q, questa appare ferma il che significa che la risultan- cella in moto è sempre diretta perpendicolarmente
te delle forze che agiscono su essa è nulla. Sulla par- alla sua veloctà. La velocità è sempre tangente allo
ticella agisce la forza di Lorentz F = qvB, ma anche, spostamento, perciò la Forza di Lorentz F è sem-
essendo in un sistema di riferimento non inerziale pre perpendicolare allo spostamento ∆s ed essen-
2
quella centrifuga Fc = m vr . Affinché nel sistema do il lavoro ∆L = F · ∆s, abbiamo ∆L = 0 dal
della particelle non si osservino forze dev’essere momento che il coseno dell’angolo tra la forza e lo
spostamento vale sempre zero.
v2 Questo significa che l’applicazione della Forza di
qvB = m (37.6)
r Lorentz a una particella non ne cambia l’energia. Ne
cioè cambia lo stato, cambiandone la direzione velocità,
ma non l’energia.
mv
r= . (37.7) È anche interessante osservare che per la Forza
qB di Lorentz il terzo principio della dinamica sembra
In alternativa possiamo pensare a quel che accade essere violato. La Forza di Lorentz, infatti, è respon-
cosí: nel sistema del laboratorio la forza agente sulla sabile della forza con la quale si attraggono due fili
particella, di modulo qvB, produce su questa un’ac- paralleli percorsi da corrente. In questo caso il terzo
celerazione centripeta (cioè rivolta verso il centro principio funziona benissimo:
della traiettoria) a = v 2 /r. Dalla seconda legge di
Newton abbiamo che
37.1 L’effetto Hall
F
a= (37.8)
m Quando un filo percorso da corrente è immerso in
e quindi che un campo magnetico i suoi portatori di carica,
cioè le cariche elettriche di cui è composto libere di
v2 qvB muoversi, sono soggette alla Forza di Lorentz, che è
= (37.9)
r m in ultima analisi responsabile della forza subíta dal
per cui si ottiene ancora che filo in queste condizioni.

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37.1. L’EFFETTO HALL 391

Acceleratori di particelle sabili del trasporto di corrente sono spinte da una


La Forza di Lorentz trova numerose appli- forza parallela a w su uno dei lati del rettangolo.
cazioni. Una di queste sono gli acceleratori di Non potendo uscire dal conduttore si accumulano
particelle. Una volta accelerate le particelle ca- su questo lato producendo un doppio strato di cari-
riche si muoverebbero in linea retta se non sot- che come in un condensatore. Ricordate sempre che
toposte a forze. Se vogliamo che seguano traiet- il conduttore è e resta neutro: se quindi una cari-
torie diverse, per esempio circolari nel caso dei ca di un segno (p.e. positiva) si sposta su un lato
collisori , possiamo impiegare un campo ma- del conduttore, lascia una carica di segno opposto
gnetico perpendicolare alla velocità della par- (negativa) nel punto che ha abbandonato.
ticella. Il campo si può produrre facendo passa- Questo significa che all’interno del conduttore è
re una corrente elettrica in una bobina e cosí presente un campo elettrico che si mantiene e non
una particella carica che passa tra due bobi- svanisce rapidamente come in un conduttore nel
ne parallele, tra le quali si stabilisce un cam- quale non circola corrente perché il generatore osta-
po magnetico ragionevolmente uniforme, segue cola il riarrangiamento delle cariche che tendereb-
una traiettoria che è un arco di circonferenza di bero a fare in modo che all’interno del conduttore il
raggio r = mv/qB. Se la velocità della parti- campo sia nullo.
cella è abbastanza grande si deve tenere conto A un certo punto, le cariche accumulatesi su uno
degli effetti relativistici per i quali accade che dei lati del conduttore producono un campo elettri-
il raggio effettivo è molto piú grande: diventa co EH che a sua volta produce una forza F = qEH
infatti r = γmv/qB con γ pari a su quelle che si stanno muovendo lungo l’altezza del
rettangolo per effetto della presenza del generatore.
1 Quando questa forza è uguale e contraria a quella
γ=q . (37.11)
v2 di Lorentz F = qvB la corrente scorre indisturbata.
1− c2 Questo accade quando
In effetti quel che succede è che una particel-
la carica, nel suo sistema di riferimento vede qEH = qvB (37.12)
una traiettoria contratta di un fattore γ, quindi
cioè per
nel sistema di riferimento del laboratorio la lun-
ghezza della traiettoria ` aumenta di un fattore
EH = vB . (37.13)
γ ed essendo ` = 2πr altrettanto fa il raggio di
curvatura. Provate a calcolare il raggio di curva- A causa dell’accumularsi delle cariche tra i due lati
tura di un acceleratore in cui B = 1 T che porta del conduttore si deve osservare una differenza di
un protone a velocità pari al 10 %, al 75 %, al potenziale
90 % e al 99 % della velocità della luce.
VH = EH w = vBw . (37.14)

Immaginiamo un conduttore che per semplicità Misurando questa differenza di potenziale possiamo
possiamo prendere avente la forma di un rettango- cosí risalire all’intensità di B collegando un condut-
lo molto lungo (un nastro) di base w e altezza L. tore a una pila e tenendolo nel campo che vogliamo
Lungo l’altezza L facciamo scorrere una corrente I misurare:
grazie a un generatore applicato tra le basi. Immer- VH
giamo quindi tutto in un campo magnetico unifor- .B= (37.15)
vw
me perpendicolare al piano del conduttore. Poiché
Per fare una misura dovremmo conoscere v, che si
la corrente è parallela a L e il campo magnetico è
può sempre scrivere come
perpendicolare sia a L che a w, le cariche respon-

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37.1. L’EFFETTO HALL 392

lungo tre assi mutuamente perpendicolari per mi-


L surare le tre componenti del campo magnetico nelle
v= (37.16)
∆t tre direzioni lungo le quali si fa scorrere la corrente
dove ∆t è il tempo necessario alle cariche per giun- e misurare la differenza di potenziale ai lati degli
gere da un estremo all’altro del conduttore nel senso stessi.
della sua lunghezza L. Poiché la corrente che scorre
I è
∆q
I= (37.17)
∆t
possiamo ricavare ∆t da questa relazione e
sostituirla nella precedente ottenendo
IL
v= . (37.18)
∆q
In quest’espressione ∆q è il numero di cariche che
passano da un estremo all’altro del conduttore, che
è uguale al numero N di cariche complessivamente
contenute nel conduttore per la carica elementare e
di ciascuna di queste. L’equazione che ci fornisce B
si può quindi riscrivere come
VH
B= Ne . (37.19)
ILw
Se il conduttore è spesso h possiamo moltiplica-
re e dividere per questa quantità in modo da far
comparire il volume V = Lwh del conduttore a
denominatore cosí che
N N
ne = = (37.20)
V Lwh
rappresenti la densità di portatori di carica (il
numero di cariche libere per unità di volume) e
ottenere, infine, che
VH VH
B= N he = ne he . (37.21)
ILwh I
Di nuovo, per fare questa misura dovremmo co-
noscere il prodotto ne e che però presumibilmente
dipenderà soltanto dal materiale di cui è fatto il
conduttore. Basta quindi misurarlo una volta fa-
cendo una misura di VH in un campo B noto per
conoscerlo.
In questa maniera funzionano molti sensori di
campo magnetico, come quelli presenti sugli smart-
phone. Basta disporre tre conduttori di questo tipo

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Unità Didattica 38
Il teorema di Ampère

Consideriamo un filo elettrico percorso da corren- magnetico lungo quel tratto si può considerare co-
te: un dispositivo di questo tipo produce un cam- stante e quindi possiamo scrivere Ci = Bi · ∆si =
po magnetico le cui linee di forza sono circonferen- B∆s cos θi dove θi è l’angolo formato tra il cam-
ze centrate sul filo e la cui intenistà è data dalla po e lo spostamento nel tratto i–esimo. Lungo un
formula di Biot–Savart percorso qualsiasi evidentemente
µ0 I
B= . (38.1) X X X
2π r C= Ci = B · ∆si = Bi ∆si cos θi .
Allontanandosi dal filo r aumenta e, corrisponden- i i i
temente B diminuisce. Il prodotto dell’intensità del (38.5)
campo magnetico B moltiplicata per la distanza dal Nella Fig. 38.1 si vede un esempio di come si può
filo r è quindi una costante che vale calcolare la quantità C lungo la curva continua di
colore blu che va da A a B nel caso di un filo per-
µ0
Br = I (38.2) corso da corrente.Possiamo approssimare il percorso
2π continuo con una curva costituita di archi di circon-
e che dipende dalla grandezza che caratterizza la ferenza e segmenti a questi perpendicolari (in trat-
sorgente del campo, che è la corrente. Una gran- to a puntini nella figura) e calcolare C come somma
dezza di questo tipo, ottenuta moltiplicando il cam- dei diversi Ci che si possono calcolare in ciascuno
po per una distanza, è per certi versi analoga a quel- dei tratti ∆si in cui è diviso il percorso. Lungo gli
la che abbiamo definito potenziale nel caso delle archi il campo magnetico Bi è costante e parallelo a
forze elettriche e nel caso delle forze gravitazionali. ∆si . Lungo i tratti rettilinei Ci = 0 perché il campo
In quei casi il potenziale del campo era definito come è perpendicolare allo spostamento.
il prodotto scalare del campo per uno spostamento. Lungo gli archi di circonferenza
Per il campo elettrico E, per esempio,
∆s = r∆θi (38.6)
V = E · ∆s . (38.3)
e di conseguenza
Proviamo a definire questa grandezza nel caso dei
campi magnetici e calcoliamo
µ0 I µ0 I
Ci = rBi ∆θi = r ∆θi = ∆θi . (38.7)
C = B · ∆s . (38.4) 2πr 2π
Se vogliamo calcolare questa quantità lungo una Nella figura la curva e la sua approssimazione non
curva qualsiasi dobbiamo dividere questa curva in sono molto simili, ma basta aumentare a piacere
tanti tratti molto piccoli, in ciascuno dei quali lo il numero di tratti in cui dividere il percorso per
spostamento è ∆si e il campo magnetico è Bi . Se i migliorare l’approssimazione all’infinito. Cosí ogni
tratti sono abbastanza piccoli l’intensità del campo curva si può sempre pensare come costituita da una
394

B B

I I A
A

Figura 38.1 La quantità C = B · ∆s Figura 38.2 Il valore della somma C =


µ0 I
si può calcolare dividendo il 2π ∆θ non può dipendere so-
percorso da A a B indica- lo dai punti A e B. In questo
to con un tratto continuo di caso, infatti, ∆θ è l’angolo
colore blu in tante porzioni, evidenziato in verde. Il risul-
rappresentate con un tratto tato sarebbe evidentemente
puntinato dello stesso colo- diverso da quello che si otter-
re. La curva blu si può sem- rebbe usando l’angolo della
pre approssimare con un nu- Fig. 38.1.
mero sufficientemente grande
di tratti puntinati che pos-
sono essere archi di circon-
ferenze o segmenti a questi Portiamo fuori dal segno di somma le grandezze che
perpendicolari. non dipendono da i:
µ0 I X
C= ∆θi (38.10)
successione di archi di circonferenza e di tratti a 2π i
questi perpendicolari. Lungo una tale curva eP la somma di tutti gli spostamenti angolari
X X i ∆θi = ∆θ è uguale all’angolo formato da una
C= Ci + Ci , (38.8) retta perpendicolare al filo e passante per il punto
|| ⊥ iniziale del percorso e una retta sempre perpendico-
dove la prima somma è estesa a tutte le porzioni lare al filo passante per il punto finale (l’angolo in
di curva tangenti a una linea di forza la seconda a questione è evidenziato in giallo nella Fig. 38.1.
quelle perpendicolari. Gli addendi di quest’ultima Una quantità di questo genere non può costituire
somma sono tutti nulli, quindi un analogo del potenziale elettrico o di quello gra-
vitazionale. Infatti C non è una funzione di stato
X µ0 I
(38.9) di qualcosa. Inoltre non dipende soltanto dai punti
X
C= Ci = ∆θi .
|| i
2π A e B estremi della traiettoria scelta per calcolarla,
ma anche da quale dei due possibili angoli si sceglie
per farlo. Possiamo infatti andare da A a B percor-

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395

rendo l’angolo piú piccolo α in giallo in Fig. 38.1, filmato non riproducibile su questo
per il quale supporto: digita l’URL nella caption o
scarica l’e-book
α
C = µ0 I (38.11) Figura 38.3 Per il teorema di Ampère la
2π circuitazione del campo ma-
oppure quello piú lungo β, evidenziato in verde nella gnetico lungo la linea rossa è
Fig. 38.2 per il quale data dalla costante µ0 molti-
plicata per la somma algebri-
β ca delle correnti che attraver-
C = µ0 I . (38.12) sano la superficie che ha per
2π bordo la linea rossa, qualun-
Se però il punto iniziale e finale coincidono, cioè se il que sia la forma e l’estensione
percorso che abbiamo scelto lungo il quale calcolare di questa [todo].
C è chiuso, il valore di C è indipendente dalla forma
e dalla lunghezza del percorso e vale
percorso lungo il quale si calcola la circuitazione si
µ0 I µ0 I 
C= ∆θ =   2π = µ0 I . (38.13) dicono concatenate con quel percorso. Se abbia-
2π 2π mo due correnti uguali concatenate con un percorso
Dipende cioè solo dalla corrente che attraversa la su- che scorrono in verso opposto su due fili paralleli la
perficie delimitata dal percorso scelto per calcolarla. circuitazione su quel percorso vale C = 0.
La quantità C calcolata su un percorso chiuso qual- Va detto che di superfici che, quando si parla di
siasi si chiama circuitazione del campo magneti- superficie il cui bordo è rappresentato dalla curva
co. Ogni volta che ci imbattiamo in una quantità lungo la quale si calcola la circuitazione, in molti
di questo tipo, definita a partire da una scelta arbi- pensano soltanto alla superficie minima possibile:
traria, ma che alla fine non dipende da questa scel- nel caso di una curva che giace su un piano, per
ta, dobbiamo sempre considerarla seriamente per- esempio, come quella usata negli esempi sopra ri-
ché quasi sempre si tratta di una grandezza fisica portati, si pensa sempre alla superficie piana interna
particolarmente importante. alla curva che giace sullo stesso piano della curva.
È naturale che, poiché il campo magnetico pro- Ma non è cosí: non ci vuole molto a convincersi del
dotto da due correnti non è altro che la somma del fatto che qualunque superficie avente per bordo la
campo prodotto da ciascuna delle due correnti co- curva lungo la quale si calcola la circuitazione è al-
me se l’altra fosse assente, essendo il risultato otte- trettanto buona. Il Filmato 38.3 illustra un caso di
nuto sopra valido per entrambe le correnti avremo un filo rettilineo accanto a un filo piegato a forma
che la circuitazione del campo magnetico lungo un di U. La curva lungo la quale abbiamo scelto di cal-
percorso che abbraccia N correnti Ii sarà colare la circuitazione è evidenziata in rosso e la
X superficie minima che ha per bordo questa curva è
C = µ0 Ii , (38.14) quella che si vede all’inizio del filmato. Se la corrente
i
che scorre in ciascun filo vale I, la circuitazione vale
qualunque sia la forma e la lunghezza del percor- µ0 I: infatti, la corrente passante nel filo ripiegato
so scelto per calcolarla. Le correnti Ii vanno con- attraversa la superficie due volte in versi opposti e
siderate con un segno che dipende dal verso rela- il suo contributo è nullo. E resta nullo qualunque
tivo nel quale scorre la corrente in corrispondenza sia la forma della superficie. Possiamo, per esempio,
della superficie di cui il percorso scelto per il cal- stirare la superficie in modo che abbia la forma di
colo della circuitazione rappresenta il bordo. Tutte un bicchiere senza modificarne il bordo. Dal filma-
le correnti che hanno la proprietà di passare attra- to si vede che, qualunque sia l’altezza del bicchiere,
verso una qualunque superficie che ha per bordo il la circuitazione non cambia. Anche quando il fondo

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38.1. IL CAMPO MAGNETICO DI UN SOLENOIDE 396

X X X
⊗ ⊗ ⊗ ⊗ ⊗ C= Bi · ∆si = Bi · ∆si + Bi · ∆si +
i i∈OE i∈V D
X X
Bi · ∆si + Bi · ∆si ,
i∈OI i∈V S
(38.15)
dove abbiamo scritto la circuitazione come somma
di quattro contributi: quello lungo la linea orizzon-
⊙ ⊙ ⊙ ⊙ ⊙ tale esterna al solenoide (OE), quello lungo la linea
verticale a destra (V D), quello orizzontale dentro il
Figura 38.4 Il campo di un solenoide infi-
nito è uniforme al suo inter- solenoide (OI) e quello verticale a sinistra (V S).
no. La circuitazione lungo la Il primo addendo di questa somma è nullo per-
linea blu è data dal Teorema ché in quella regione B = 0,P di conseguenza ogni
di Ampère. prodotto scalare nella somma i∈OE Bi · ∆si è nul-
lo. Anche il secondo e il quarto addendo sono nulli,
perché nei tratti verticali del percorso scelto per cal-
del bicchiere finisce in un punto in cui la corren- colare la circuitazione B è perpendicolare a ∆si , di
te che passa nel filo a forma di U non l’attraversa conseguenza il prodotto scalare è nullo. Resta solo
piú, la corrente concatenata totale vale sempre I e il terzo addendo
il teorema di Ampère resta valido.
Il fatto che la circuitazione del campo magnetico X X
è sempre uguale alla somma algebrica delle correnti C = B i · ∆s i = Bi ∆si cos θi (38.16)
concatenate moltiplicata per la costante µ0 prende i∈OI i∈OI

il nome di Teorema di Ampère. per il quale Bi = B è costante per ogni i come


l’angolo θi = θ compreso tra Bi e ∆si che è nullo
per cui cos θ = 1. Quindi possiamo portare fuori dal
38.1 Il campo magnetico di un segno di sommatoria B e scrivere
solenoide X
C=B ∆si .. (38.17)
Il fatto che la circuitazione del vettore campo ma- i∈OI
gnetico non si comporti come un potenziale non si- Ma la somma dei tratti ∆si non è altro che la
gnifica che non sia utile. Il Teorema di Ampère per- lunghezza ` della base del rettangolo costituito dal
mette, infatti, di valutare l’intensità del campo al- percorso scelto. Abbiamo dunque che
l’interno di un solenoide di lunghezza infinita (che
naturalmente non esiste, ma il campo di questo so- C = B` . (38.18)
lenoide è uguale al campo al centro di un solenoi-
de di lunghezza finita, ma molto maggiore del suo D’altra parte il Teorema di Ampère garantisce che
diametro).
Il campo all’interno di un solenoide di questo tipo C = µ0 nI , (38.19)
è uniforme e diretto secondo la regola della mano dove n è il numero di spire contenute nel rettangolo
destra, come nella Figura 38.4. All’esterno è nul- e I la corrente che scorre in ciascuna spira. Possiamo
lo. Calcoliamo allora la circuitazione lungo la li- dunque scrivere che
nea blu mostrata nella figura. Per com’è definita,
la circuitazione è µ0 nI = B` (38.20)

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38.2. LA CORRENTE DI SPOSTAMENTO 397

e quindi filmato non riproducibile su questo


supporto: digita l’URL nella caption o
n scarica l’e-book
B = µ0 I . (38.21)
` Figura 38.5 La corrente che attraversa la
Otteniamo un risultato che qualitativamente è quel- superficie che ha per bordo la
lo che ci aspettiamo: il campo è tanto piú intenso linea rossa dipende dalla scel-
quanto maggiore è la corrente del solenoide e quanto ta della superficie: quando la
superficie si trova nello spa-
piú sono dense le spire del solenoide. Un solenoide zio interno al condensatore
con le spire molto fitte è piú corto di un solenoide nessuna corrente l’attraversa
con lo stesso numero di spire distanti l’una dall’al- [todo].
tra. Nel primo caso il rapporto n/` è piú grande nel
primo caso e quindi il campo magnetico prodotto
da un solenoide con le spire ravvicinate è maggiore permette il passaggio di carica elettrica. La corrente
di quello prodotto da un solenoide con le spire lar- dentro il condensatore è quindi sempre nulla. Nel
ghe. Quello che conta per ottenere un buon campo filo però no: le cariche presenti sulle armature le
magnetico è la densità delle spire: piú è grande e abbandonano per passare attraverso il filo e in esso
piú il campo è intenso. si verifica il passaggio di una corrente. Quando su
un filo passa corrente, attorno ad esso si misura un
38.2 La corrente di sposta- campo magnetico B la cui circuitazione lungo un
percorso concatenato con il filo è non nullo e vale
mento µ0 I, se I è la corrente che scorre nel filo.
Guardiamo ora il Filmato 38.5. Quando la super-
Un’analisi approfondita delle conseguenze del teo- ficie che ha per bordo il percorso rosso è quella mi-
rema di Ampère mostra che, cosí come formula- nimale è attraversata da una corrente I (non co-
to al paragrafo precedente, può portare a qualche stante) per cui C = µ0 I secondo quanto previsto
problema. dal teorema di Ampère. Se però scegliamo una su-
Consideriamo, infatti, un circuito elettrico nel perficie a forma di bicchiere il cui fondo si trova tra
quale sia presente un condensatore inizialmente ca- le armature del condensatore, non ci sono correnti
rico. Quando si chiude il circuito il condensatore che l’attraversano e la circuitazione dovrebbe valere
inizia a scaricarsi: la carica deposta sulle sue ar- zero.
mature diminuisce in valore assoluto provocando il La circuitazione però non può dipendere dalla
passaggio di una corrente nel filo, che supponiamo scelta che facciamo per la superficie perché per de-
presenti una resistenza elettrica R, che lo collega finizione è la somma dei prodotti scalari del campo
agli altri elementi del circuito (laddove presenti). (che non dipende da questa scelta) per l’elemento
Teniamo presente bene quel che accade: il condensa- di percorso (che di nuovo non dipende dalla scelta
tore, che possiamo sempre pensare come costituito della superficie). Questo significa che, qualora nes-
di due conduttori a facce piane e parallele, funziona suna corrente attraversi la superficie scelta si deve
come un generatore di tensione con una differenza comunque avere che
di potenziale che cambia istante per istante e che
vale C = µ0 I . (38.23)
Q Nello spazio compreso tra le armature del conden-
∆V = . (38.22)
C satore non ci sono correnti elettriche, ma solo un
All’interno del condensatore non passano cariche, campo elettrico che cambia nel corso del tempo.
perché lo spazio tra le armature è isolante e non

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38.2. LA CORRENTE DI SPOSTAMENTO 398

La circuitazione quindi deve dipendere da questo. la stessa, indipendentemente dalla scelta che si fa
Dobbiamo cioè avere che della superficie, si deve avere che
∆E α
C=α , (38.24) = µ0 , (38.32)
∆t ε0 S
dove α è una costante e il prodotto di questa co- cioè che
stante per la variazione di E nell’unità di tempo
deve dare qualcosa che ha le dimensioni di una cir- α = ε0 µ 0 S (38.33)
cuitazione e anzi dev’essere uguale a quella che si
per cui
calcola quando come superficie se ne sceglie una che
interseca il filo µ0 I. ∆E
Il campo elettrico all’interno del condensatore lo C = ε0 µ 0 S . (38.34)
∆t
possiamo sempre scrivere come Il prodotto SE = ΦS (E) non è altro che il flusso del
∆V campo elettrico interno al condensatore attraverso
E= (38.25) la superficie scelta (laddove la superficie esca dal
d
mentre la differenza di potenziale ∆V si può riscri- condensatore il campo elettrico è nullo e quindi l’u-
vere in termini della capacità del condensatore e nica porzione di superficie che contribuisce al flusso
della carica Q presente sulle sue armature è quella che si proietta sulle armature) e possiamo
riscrivere la relazione come
Q
∆V = . (38.26) ∆ΦS (E)
C C = ε0 µ 0 . (38.35)
Abbiamo allora che ∆t
È evidente da com’è scritta che la quantità
Q

∆ Cd
C=α (38.27) ∆ΦS (E)
∆t Is = ε0 (38.36)
∆t
Il rapporto CdQ
può variare solo se cambia Q (C e d
sono costanti) e quindi deve avere le dimensioni fisiche di una corrente (ve-
rificatelo) e per questo Is si chiama corrente di
spostamento (il nome è forse un po’ infelice perché
 
Q ∆Q
∆ = , (38.28)
Cd Cd in realtà all’interno del condensatore non si sposta
da cui segue che nulla: il nome deriva dal fatto che anticamente si
credeva che lo spazio attraverso il quale si manife-
α ∆Q stava un campo elettrico dovesse essere composto di
C= . (38.29)
Cd ∆t una sostanza materiale che si spostava).
La capacità del condensatore, d’altra parte, si scrive Con l’introduzione della corrente di spostamento,
in termini delle sue proprietà geometriche: il teorema di Ampère dunque si deve scrivere come

S
C = ε0 (38.30) X 
∆ΦE (S)

d Bi · ∆si = µ0 I + ε0 . (38.37)
e, sostituendo, i
∆t

α ∆Q Per rendere esplicito il fatto che il calcolo va fatto su


C= . (38.31)
ε0 S ∆t una linea chiusa riscriviamo la sommatoria usando
Ma ∆Q∆t
= I è proprio la corrente che scorre nel un simbolo che chiamiamo integrale di linea cosí
circuito e quindi, affinché la circuitazione sia sempre

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38.2. LA CORRENTE DI SPOSTAMENTO 399

I  
dΦE (S)
B · ds = µ0 I + ε0 . (38.38)
dt

In quest’espressione abbiamo anche sostituito i ∆


con delle d per sottolineare che il rapporto dev’es-
sere calcolato per variazioni piccolissime di flusso e,
di conseguenza, per intervalli di tempo cortissimi, al
limite quasi nulli. Il rapporto cosí ottenuto si chia-
ma derivata del flusso rispetto al tempo. R  L’equa-
zione (38.38) si legge cosí: la somma eseguita
su un percorso chiuso (◦) di innumerevoli prodotti
del campo magnetico per un elemento di questo per-
corso è uguale alla costante µ0 moltiplicata per la
somma della corrente concatenata e della variazio-
ne del flusso del campo elettrico nell’unità di tempo
moltiplicata per ε0 .

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Unità Didattica 39
Produrre elettricità

Nelle nostre case e nei posti di lavoro abbondano gata anche a terra attraverso il conduttore centrale,
le prese elettriche: elementi solitamente fissati al poiché la Terra è un miglior conduttore rispetto al
muro con due o tre buchi nei quali s’infilano le spine corpo umano, la maggior parte della corrente flui-
presenti sugli apparecchi che, per funzionare, richie- rà in direzione della terra e solo una piccola parte
dono energia elettrica. Lo scopo di questo capito- attraverserà il corpo del malcapitato, salvandogli la
lo è di farvi comprendere da dove arriva la corrente vita (purché l’impianto sia stato ben realizzato).
che alimenta i nostri elettrodomestici e come questi Un elettrodomestico quassia si può rozzamente
ultimi siano in grado di usarla per compiere il lavoro schematizzare come una semplice resistenza elettri-
per il quale sono stati costruiti. ca. Inserendo l’elettrodomestico nella presa equivale
Prima di tutto qualche numero e qualche precisa- a mettere una resistenza in serie a un circuito chiuso
zione, però, perché nonostante si sappia che la cor- su un generatore a monte della presa. Gli altri due
rente si misura in Ampère, si sente spesso parlare di buchi della presa quindi servono a far circolare la
corrente a 220 Volt! Vediamo dunque di fare chia- corrente che entra da una parte ed esce dall’altra.
rezza. Dei tre buchi presenti sulle prese uno (soli- A differenza della corrente generata da una pila,
tamente quello centrale) è collegato a terra: sí, è che è continua (costante in intensità e verso), quel-
proprio collegato alla terra nel senso che il filo me- la erogata dalle prese domestiche è alternata: non
tallico collegato a quel buco sul retro della presa è è costante, né in intensità né in verso. L’intensità
poi collegato a un palo di metallo infisso nella ter- della corrente ha un andamento sinusoidale con una
ra nei pressi dell’abitazione. In questo modo quel frequenza di ν = 50 Hz. Se all’istante t = 0 è nulla,
buco è in contatto elettrico con la Terra (con l’in- lo è di nuovo per ogni istante t = mT con m intero
tero pianeta). Il corrispondente spinotto sulle spi- e T = 1/ν = 0.02 s. Anche all’istante T /2 = 0.01 s
ne degli elettrodomestici è invece connesso alla su- è nulla, cosí come in tutti i multipli interi di questo
perficie metallica esterna del dispositivo. Se, per un numero. Tra t = 0 e t = T /2 la corrente scorre in
malaugurato incidente, la scocca dell’elettrodome- un verso e la sua intensità raggiunge un massimo
stico dovesse venire in contatto con la corrente che quanto t = T /4. Nel successivo semiperiodo inve-
fluisce dalla presa quando è collegato, l’utente po- ce la corrente scorre in senso opposto e raggiunge
trebbe ferirsi o addirittura perdere la vita. Il corpo il massimo per t = 3T /4. Se potessimo osservare le
umano infatti è un buon conduttore di elettricità e cariche elettriche presenti nel filo le vedremmo oscil-
molti dei nostri organi funzionano grazie a questa. lare attorno a un punto con una frequenza di 50 Hz.
In particolare i nervi e il cuore. Un forte passaggio Dal punto di vista dei fenomeni elettrici non cambia
di corrente attraverso il cuore lo farebbe funzionare molto: pur sempre di moto di cariche si tratta.
male e potrebbe portare alla morte. Se siete fortuna- La quantità di carica che nell’unità di tempo
ti ve la cavereste con qualche ustione, che tuttavia attraversa una qualunque superficie di conduttore
non è piacevole (le ustioni sono dovute all’effetto dipende dall’elettrodomestico. Gli elettrodomestici
Joule e al primo principio della termodinamica). Se piú potenti richiedono una corrente massima di qua-
però la parte esterna dell’elettrodomestico è colle- si 15 A (ricordate che la corrente varia sinusoidal-
39.1. PRODURRE ELETTRICITÀ 402

mente tra 0 e 15 A in un verso e nell’altro). Di solito


non potete estrarre piú di 18 A dalla presa elettrica
di casa: la corrente erogabile è limitata per ragioni
di sicurezza e se provate a estrarne di piú (per esem-
pio accendendo contemporaneamente un forno elet-
trico e una lavatrice) l’interruttore di sicurezza si
apre automaticamente interrompendo l’erogazione Figura 39.1 Su ogni elettrodomestico è
di energia elettrica. applicata un’etichetta che in-
dica la tensione efficace di
Poiché anche per la corrente alternata vale la
funzionamento (da 220 a
V = RI, se I varia sinusoidalmente lo fa anche V . 240 V), la frequenza della re-
Il massimo valore assunto dalla tensione nelle reti te elettrica (da 50 a 60 Hz) e
elettriche domestiche è di circa 310 V. La potenza la potenza richiesta (da 2000
richiesta da un elettrodomestico è pari a W = V I e a 2400 W).
al massimo può valere

rispetto alla Terra (cioè dovrebbe trovarsi costante-


Wmax = 310 × 18 = 5 580 W ' 5.5 kW . (39.1) mente al potenziale terrestre) e l’altro a un poten-
ziale variabile tra 0 e ±310 V. Il primo si chiama
Questi numeri sono quelli che riguardano i valo-
neutro e l’altro prende il nome di fase. Toccando
ri massimi. Solitamente gli impianti sono denomi-
soltanto il neutro con un dito dunque non dovreb-
nati in quelli che si chiamano i valori efficaci
be succedere nulla, mentre toccare la fase con un
uguali a quelli massimi divisi per la radice di due.
dito può risultare pericoloso se, per qualche ragio-
La tensione nominale di un impianto domestico è
ne, veniamo in contatto con la terra: in questo caso
quindi
una corrente pari a V /R, con R pari alla resisten-
Vmax 310 za del nostro corpo, ci attraverserebbe. Consigliamo
V = √ ' √ ' 220 V (39.2) comunque di non tentare questo esperimento, nean-
2 2
che con il neutro, perché spesso gli impianti elettri-
e la corrente
ci non sono fatti come dovrebbero perché realizzati
Imax 18 da elettricisti non qualificati o perché molto vecchi.
I = √ ' √ ' 13 A . (39.3) Non c’è quindi alcuna garanzia che il neutro sia tale.
2 2
Ora che abbiamo fatto un po’ di chiarezza pos-
Corrispondentemente la potenza efficace vale
siamo tornare al nostro problema: da dove viene la
corrente che preleviamo dalla presa? E come fan-
Wef f = 220 × 13 = 2 860 W ' 3 kW . (39.4) no gli elettrodomestici a produrre lavoro con questa
corrente?
Il bollitore elettrico di cui è mostrata l’etichetta
nella Fig. 39.1 richiede, per funzionare, una corrente
efficace massima di 39.1 Produrre elettricità
W 2400 Al Capitolo 35 vediamo come le correnti elettri-
I= = = 10 A . (39.5) che siano sorgenti di campi magnetici. I magneti
V 240
La tensione va naturalmente misurata tra i due con- dunque, che sono anch’essi sorgenti di campi ma-
duttori che fanno capo ai due fori presenti nella pre- gnetici, possono interagire con le correnti elettri-
sa. Nelle abitazioni, un impianto ben fatto dovreb- che. Questo suggerisce che campi magnetici ed elet-
be sempre avere un conduttore a potenziale nullo trici siano in qualche maniera profondamente legati

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39.1. PRODURRE ELETTRICITÀ 403

e che, se le cariche, che sono le sorgenti del campo


elettrico, danno vita a un campo magnetico quan-
do sono in moto, sorgenti di campo magnetico po-
trebbero dar vita a campi elettrici, quando non sia-
no ferme, provocando la comparsa di una corrente
elettrica in circuiti privi di generatori.
Per verificarlo possiamo fare un esperimento con-
dotto per la prima volta da Michael Faraday e da
Joseph Henry nel 1831. L’esperimento consiste nel-
l’usare un magnete permanente in moto rispetto a
un circuito costituito di un filo di rame sul quale di-
sponiamo uno strumento per la misura dell’intensità
della corrente (non importa che sappiate come fun-
ziona: l’importante è sapere che lo fa). In condizioni Figura 39.2 La corrente che scorre in una
spira quando è attraversata
normali, naturalmente, lo strumento non misura al- da un magnete che cade da
cuna corrente, dal momento che sul circuito non è varie altezze rispetto al piano
presente alcun generatore. della stessa.
Ma se al circuito si avvicina il magnete si comin-
ciano a vedere strani fenomeni. L’indicatore dello
strumento mostra che una corrente, sia pur debole, tutto invariato, facciamo diversi esperimenti facen-
passa nel circuito, anche in assenza di generatori. do cadere il magnete da altezze variabili. Usando un
La corrente passa solo quando il magnete si muove: magnete di quelli che si trovano nei giochi di costru-
sia che il magnete si avvicini sia che si allontani. zioni magnetiche per bambini, troveremmo correnti
Se lo strumento è capace di mostrare il verso della circolare nella spira che vanno da meno di 2 mA a
corrente si vede che nei due casi il verso è opposto. 10–15 mA, per cadute che vanno dai 2 cm a circa
La corrente che circola dipende anche dalla ve- 1 m. Disegnando un grafico della corrente in funzio-
locità con la quale si muove il magnete: piú è alta ne di h vedremmo che avrebbe l’aspetto mostrato
maggiore è l’intensità della corrente rilevata. Non nella Fig. 39.2.
solo. Entro certi limiti dipende anche dalla taglia Sembra che la corrente che scorre nel circuito sia
del circuito, anche se in modo complicato. proporzionale alla radice della quota h. Per convin-
Il moto tra il magnete e il circuito è relativo, cercene possiamo fare un grafico della corrente I in
evidentemente. Quindi ci aspettiamo che tenendo funzione di h, mostrato nella Fig. 39.3 che, a par-
fermo il magnete e muovendo il circuito nei suoi te fluttuazioni statistiche del tutto normali, rappre-
confronti dovremmo vedere lo stesso fenomeno. In senta bene un andamento rettilineo.
effetti questo è quel che si osserva sperimentalmente. √ Ne possiamo
concludere che effettivamente I ∝ h. Poiché però
Se vogliamo capirci qualcosa converrà fare una osserviamo che non è la posizione a determinare la
serie di misure quantitative e ben progettate. Ini- generazione di corrente, ma il fatto che il magnete
ziamo con un circuito costituito di un anello di filo si sta muovendo, dovremmo trovare una qualche re-
di materiale conduttore di raggio R (spira) che di- lazione tra I e una grandezza fisica che caratterizza
sponiamo su un piano orizzontale con un largo foro il moto che dipende dalla radice di h. In effetti la
al centro. Posizioniamo quindi un magnete a for- velocità di caduta v del magnete da un’altezza h si
ma di sbarretta a una certa altezza h dal piano in scrive come
prossimità dell’asse della spira e lo lasciamo cade-
re. Quel che si vede è che durante la caduta nella (39.6)
p
v= 2gh
spira passa una debole corrente. Lasciando sempre

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39.1. PRODURRE ELETTRICITÀ 404

all’intensità del campo:


∆h
I ∝ Bv = B . (39.7)
∆t
Il fatto invece che la corrente aumenti proporzional-
mente al numero di avvolgimenti e in modo com-
plicato dalla taglia di questa fa ritenere che questa
dipenda da quella che potremmo chiamare comples-
sivamente la superficie efficace della spira, che in
prima approssimazione è la superficie della singola
spira moltiplicata per il numero di spire m. Usan-
do spire relativamente piccole (non è facile, perché
bisogna essere precisi nel far passare il magnete) la
Figura 39.3 La corrente che scorre in una corrente è inferiore a quella che si misura usando
spira in funzione della radi-
spire piú grandi, anche se da un certo raggio in poi
ce dell’altezza da cui cade un
magnete che ne attraversa il non sembrano esserci grosse differenze. In definitiva
piano. potremmo dire che
∆h
I ∝ BS
. (39.8)
∆t
perciò è ragionevole aspettarsi che la corrente che
È abbastanza evidente che se l’intensità del cam-
circola nella spira dipenda dalla velocità del magne-
po B non dipendesse dalla distanza dal magnete,
te. Possiamo fare un esperimento per verificare che
sul filo non potrebbe generarsi alcuna corrente an-
è effettivamente cosí. Si lancia il magnete lungo una
che se il magnete si muovesse. Il filo, infatti, non
guida orizzontale passante attraverso la spira tenuta
potrebbe sapere che il magnete si sta muovendo. Il
in verticale in modo che assuma diverse velocità e si
filo vede solo il campo magnetico del magnete e la
verifica che l’andamento è del tutto simile a quello
corrente dev’essere prodotta dal fatto che il campo
atteso: la corrente che circola è proporzionale alla
magnetico non è uniforme e cambia man mano che
velocità del magnete.
il magnete si avvicina o si allontana dal filo. Quello
Se invece di usare un solo magnete se ne utilizzano
che conta, dunque, non può essere B, ma la sua va-
N legati assieme da nastro adesivo si scopre che la
riazione lungo h, che è ∆B . Possiamo allora scrivere
corrente aumenta di un fattore N . Analogamente, ∆x
che
se la spira è formata da m avvolgimenti uguali la
corrente aumenta di un fattore m. Con l’aiuto di ∆B ∆h ∆B
un buon oscilloscopio probabilmente riusciremmo a I = cS =c S, (39.9)
∆h ∆t ∆t
vedere che la corrente scorre in un verso quando il dove c è una costante da determinare e S la su-
magnete si avvicina alla spira e nel verso opposto perficie efficace della spira. In questo modo sparisce
quando se ne allontana. completamente la dipendenza da h, come dev’esse-
Quel che aumenta quando il magnete si avvici- re perché la corrente non può dipendere da dove è
na alla spira è il campo magnetico che diminuisce posizionato un magnete rispetto alla spira, ma sol-
al crescere della distanza da questa. Il campo inol- tanto da come si muove, quindi da come varia la sua
tre diminuisce quando il magnete si allontana dalla posizione rispetto a questa.
spira. Il fatto che la corrente aumenti proporzional- Se invece di usare un filo di rame, per l’esperi-
mente al numero di magneti ci induce poi a pensare mento usiamo un filo di altro conduttore osserviamo
che la corrente generata debba essere proporzionale che, a parità di tutte le altre condizioni la corrente

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39.1. PRODURRE ELETTRICITÀ 405

è diversa. Nei metalli con resistività piú alta la cor- ti perciò la variazione di flusso può soltanto essere
rente è piú bassa e viceversa. Poiché sappiamo che causata da una variazione di B:
I = V /R possiamo assumere che il magnete in moto
relativo rispetto alla spira non generi propriamente ∆ (BS cos θ) = ∆B (S cos θ) . (39.12)
la corrente, ma un campo elettromotore la cui fem Sembra tuttavia del tutto ragionevole affermare
vale che V sia determinata da una variazione di flusso
∆B magnetico indipendentemente dalla maniera in cui
V = c0 S, (39.10) questa è avvenuta e cioè
∆t
dove c0 = Rc. Quest’espressione ci dice che ciò che
provoca la comparsa di una fem in un circuito è la ∆ΦS (B) ∆
V =− =− (B · S) . (39.13)
variazione di flusso del campo magnetico attra- ∆t ∆t
verso la superficie che ha per contorno il circuito Questa legge prende il nome di Legge di Faraday–
stesso. Avremo dunque che Neumann–Lenz o dell’induzione magnetica1 .
Secondo questa Legge è possibile generare (indur-
0 ∆B
V =c · S. (39.11) re) una fem in un circuito variando il flusso del cam-
∆t po magnetico attraverso una superficie che ha per
Il vettore S è quello perpendicolare alla superficie bordo il circuito stesso.
stessa. Osserviamo che possiamo scegliere, per S, Osserviamo che il flusso del campo è una grandez-
una qualunque superficie che abbia per contorno il za fisica il cui segno dipende da una nostra scelta
circuito: S può essere la porzione di piano racchiusa arbitraria: in effetti siamo noi, in modo del tutto
dentro il circuito, ma anche una superficie a forma arbitrario, a scegliere il verso del vettore normale
di cupola o di bicchiere con il bordo coincidente alla superficie con il quale si calcola il flusso e, di
con il circuito (e anche forma ancora piú bizzarra). conseguenza, la sua variazione. È possibile che il ri-
Il flusso, infatti, non cambia al cambiare della forma sultato di un esperimento dipenda da una nostra
della superficie. scelta? Evidentemente no.
Misurando l’intensità del campo in Tesla, il tem- Per calcolare un flusso abbiamo bisogno di fissa-
po in secondi e le superfici in metri quadri, si vede re un verso per il vettore superficie. Consideriamo
che la fem generata è quella che ha modulo pari a V il caso di spira orizzontale con magnete che cade
quando c0 = 1. Resta soltanto da stabilire il segno di dall’alto con il polo Nord rivolto verso la spira e
V , che può essere positivo o negativo a indicare che scegliamo come verso della superficie quello rivol-
la corrente può scorrere in un verso o nell’altro nella to verso l’alto. Durante la fase di avvicinamento il
spira. Per il momento scegliamo convenzionalmente campo magnetico è rivolto verso il basso, in senso
c0 = −1. Piú avanti discutiamo il merito di questa contrario al vettore superficie. Il flusso del campo
scelta. In fondo il verso della corrente dipende da magnetico all’istante t = 0 si scrive
dove la si guarda, quindi in una qualche misura il
segno di c0 è arbitrario.
Riflettiamo prima su quanto abbiamo potuto af- ΦS (B(0)) = B(0) · ∆S ' −B(0)S < 0 (39.14)
fermare: stiamo dicendo che la fem in un circuito si
(il segno − deriva dal fatto che il campo magneti-
genera quando c’è una variazione di flusso, che ab-
co e il vettore superficie sono antiparalleli, mentre il
biamo attribuito a una variazione dell’intensità del
campo, ma che in realtà potrebbe verificarsi a causa 1
Faraday fu il primo a osservare l’induzione; a Neu-
di una variazione dell’area efficace oppure dell’an- mann [?] si deve la formalizzazione teorica, mentre Lenz attri-
golo θ compreso tra la direzione di B e quella di S! buí correttamente il segno a V (contributo non da poco, per-
ché determina l’effettiva conservazione dell’energia nel corso
Nel caso dei nostri esperimenti S e θ restano costan- del fenomeno).

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39.1. PRODURRE ELETTRICITÀ 406

segno ' l’abbiamo messo perché il campo non è uni- pollice è orientato come il vettore superficie. La cor-
forme e non ha nemmeno la stessa direzione del vet- rente, essendo determinata dalla Legge di Ohm, ha
tore superficie dappertutto). In un tempo successivo lo stesso segno di V .
∆t il flusso vale Vediamo come quanto sopra si applica ai nostri
esperimenti: nel primo caso il vettore superficie era
orientato verso l’alto e abbiamo trovato V > 0 usan-
ΦS (B(∆t)) = B(∆t) · ∆S ' −B(∆t)S < 0 , do la Legge di Faraday–Neumann–Lenz. Questo si-
(39.15) gnifica che la corrente deve scorrere nel verso posi-
ed è sempre negativo, ma in valore assoluto B(∆t) > tivo individuato dalla regola della mano destra. Se
B(0) perché il magnete si sta avvicinando e il campo disponiamo il pollice della mano destra verso l’alto
si fa piú intenso. La variazione di flusso è vediamo che le dita della mano si piegano in mo-
do da indicare il verso antiorario se visto dall’alto.
Dunque la corrente deve scorrere in questo verso,
ΦS (B(∆t) − ΦS (B(0)) ' (−B(∆t) + B(0)) S che è proprio quel che osserviamo.
(39.16) Se invece scegliamo il verso opposto per il vettore
che è negativa essendo B(∆t) > B(0). La forza elet- superficie (verso il basso) il flusso al tempo t = 0 è
tromotrice indotta è uguale al rapporto tra questa circa B(0)S > 0 perché ora B e S puntano pratica-
variazione di flusso e ∆t cambiato di segno ed è mente nello stesso verso (verso il basso). Allo stesso
dunque positiva: modo B(∆t)S > 0 e la variazione di flusso nell’unità
∆ΦS (B) di tempo è
V =− > 0. (39.17)
∆t
In questo caso si osserva che la corrente scorre in B(∆t) − B(0)
∆ΦS (B) ' S > 0. (39.19)
senso antiorario se la si guarda dall’alto. ∆t
Se come verso del vettore superficie scegliamo
Di conseguenza V < 0. In questo caso la corrente
quello opposto, cioè quello per cui questo vettore
deve scorrere al contrario rispetto al verso indica-
punta verso il basso, avremo che il flusso del campo
to dalle dita della mano destra quando il pollice
magnetico per t = 0 e per t = ∆t è lo stesso di
è disposto come il vettore superficie. Se facciamo
prima, in modulo, ma ha segno opposto. Pertanto,
puntare il pollice verso il basso le dita della mano
in questo caso,
destra indicano il senso orario se viste dall’alto. La
∆ΦS (B) corrente deve scorrere al contrario, quindi in senso
V =− < 0. (39.18) antiorario, come in effetti si vede.
∆t
Potete fare da soli l’esercizio di calcolare il verso
La scelta del verso del vettore superficie, come ab-
della corrente quando il magnete si avvicina con il
biamo osservato sopra, essendo arbitraria non può
polo Sud rivolto verso la spira, oppure quando se ne
determinare il segno della forza elettromotrice in-
allontana. La regola di Lenz, che è quella esposta
dotta e, di conseguenza, quello in cui circola la cor-
sopra, fornisce sempre il verso giusto della corrente
rente. La corrente deve dunque circolare sempre nel-
(che è poi quello che si misura sperimentalmente).
lo stesso verso, che è quello antiorario se si guarda
Cosí come formulata, la regola è un po’ difficile
la spira da sopra.
da applicare, indubbiamente. La si può però rifor-
Possiamo interpretare questo risultato come se-
mulare in un altro modo: la corrente indotta circola
gue: guardando la spira dal lato in cui punta il vet-
nella spira come se volesse opporsi alla variazione
tore superficie, la corrente è positiva quando scor-
di flusso. Sia chiaro che questa forma della regola
re nel verso delle dita della mano destra quando il
serve unicamente ad applicarla nel modo corretto
in maniera semplice: la corrente non possiede alcu-

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39.2. L’ENERGIA MAGNETICA 407

na capacità di prendere una decisione su cosa fa-


re, né tantomeno può decidere di opporsi a qualche V0
I=
. (39.20)
fenomeno. Si tratta solo di un modo semplice di R
ricordare quanto sopra. vediamo perché funziona. Poiché nel filo scorre corrente, il circuito si trova im-
Quando la corrente indotta circola nella spira, co- merso nel campo magnetico prodotto dallo sé stesso.
me tutte le correnti produce essa stessa un campo Se la corrente nel circuito scorre in senso antiorario,
magnetico. Il verso nel quale sono orientate le li- il campo magnetico all’interno del circuito è diretto
nee di forza di questo campo (il campo magneti- mediamente verso l’alto, mentre all’esterno del suo
co indotto) è quello determinato dalla regola della perimetro è diretto verso il basso.
mano destra. Quando la corrente dell’esperimento Se inizialmente il circuito è aperto, nel filo non
illustrato sopra circola in senso antiorario se vista scorre corrente e non c’è alcun campo magnetico, a
dall’alto, il campo indotto si trova disponendo il parte quello terrestre B0 , che attraversa il circuito.
pollice della mano destra tangenzialmente alla spi- Non appena si chiude il circuito però la corrente co-
ra e rivolgendolo come la corrente. Si vede cosí che mincia a scorrere e si produce un campo magnetico
il campo indotto all’interno della spira è rivolto d’intensità media B. Questo significa che, inizial-
verso l’alto e all’esterno verso il basso. mente, il flusso del campo magnetico che attraver-
Il flusso del campo inducente (quello del magne- sava la superficie S delimitata dal circuito era circa
te che cade), tra t = 0 e t = ∆t aumenta in modulo e Φa ' B0 S e che, una volta chiuso, questo flusso
il campo è rivolto verso il basso. Il campo indotto cambia e diventa circa Φc ' (B0 + B) S con una
è rivolto verso l’alto, e sommandosi algebricamente variazione improvvisa di flusso pari a
a quello inducente produce un campo netto all’inter-
no della spira piú piccolo, portando a una riduzione ∆Φ = Φc − Φa = BS . (39.21)
complessiva del flusso e quindi della sua variazione. La variazione di flusso avviene in un tempo molto
Possiamo dunque pensare che le cose vadano in que- breve ∆t, quindi nel circuito si desta una corrente
sto modo: la spira si trova in uno stato nel quale indotta Ii da una fem Vi pari a
il flusso del campo magnetico attraverso la sua su-
perficie è costante; a un certo punto vede un campo BS
Vi ' −
. (39.22)
magnetico rivolto verso il basso che tende ad au- ∆t
mentare. Al fine di opporsi a questo cambiamento Questa corrente, secondo i nostri esperimenti, de-
del suo stato comincia a far scorrere una corrente ve scorrere come se volesse opporsi all’aumento di
che deve ricostituire lo stato iniziale. Poiché il flusso flusso magnetico. La corrente indotta dunque de-
visto dalla spira sta aumentando, per farlo diminuire ve produrre un campo magnetico di verso opposto
non c’è che un modo: produrre un campo indotto a quello che la sta provocando, che è rivolto ver-
rivolto in senso opposto e cioè verso l’alto. Questo so l’alto ed è prodotto dalla corrente provocata da
si può ottenere facendo circolare una corrente nella V0 che scorre in senso antiorario. Il campo indotto
spira in senso antiorario se vista dall’alto. deve dunque essere rivolto verso il basso e la corren-
te indotta che lo determina deve scorrere in senso
orario.
39.2 L’energia magnetica La corrente Ii si spegne subito perché se la cor-
rente I è costante, anche il campo magnetico che
Supponiamo di avere un circuito elettrico costituito
produce lo è e quindi il fenomeno si manifesta solo
di un filo conduttore di resistenza complessiva R
nel corso di brevissimi istanti alla chiusura e alla
collegato ai due poli di una pila che fornisce una
successiva riapertura del circuito. Per farci un’idea
tensione V0 . In questo circuito scorre una corrente
piú precisa di quel che accade possiamo fare qual-
I determinata dalla Legge di Ohm
che semplice conto con l’aiuto di un foglio elettro-

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39.2. L’ENERGIA MAGNETICA 408

nico, immaginando di avere un circuito alimenta- scriviamo dunque Vi = − ∆Φ ∆t


. Se indichiamo con
to con una batteria da 12 V avente una resistenza Aij la cella del foglio alla riga i e alla colonna j
R ' 200 Ω: la corrente in condizioni normali sarebbe scriveremo in A25 l’espressione
pari a 60 mA.
A24 − A14
Sulla prima colonna del foglio mettiamo un po’ di A25 = . (39.26)
valori di tempo distanti, per esempio, 5 µs l’uno dal- A21 − A11
l’altro. Sulla seconda colonna inseriamo la corrente La colonna 4 infatti contiene i valori di flusso a
che scorre nel circuito che, in assenza di induzione, tempi diversi, mentre la colonna 1 riporta i tem-
sarebbe costante e pari a 60 mA. Solo sulla prima pi corrispondenti. Copiamo questa formula in tutte
riga, per t = 0, mettiamo I = 0 perché il circuito al- le celle della colonna 5. La fem cosí prodotta si deve
l’istante iniziale è ancora aperto. Sulla terza colonna sommare (algebricamente) a quella del generatore.
inseriamo una formula per calcolare il campo ma- Pertanto la corrente che scorre nel circuito non è piú
gnetico prodotto da questa corrente. Naturalmente
V0
l’intensità del campo dipende dalla distanza dal fi- I= (39.27)
R
lo, ma a noi basterà scrivere un’intensità media a
con V0 = 12 V, ma
qualche cm dal filo. Usando la Legge di Biot–Savart
troviamo che a 1 cm dal filo V0 + Vi
I= (39.28)
R
µ0 I 4π × 10−7 (attenzione che Vi < 0). Dobbiamo quindi modifi-
−5 T
B= = I = 2 × 10 I . (39.23) care il contenuto della colonna 2 mettendo, a par-
2π r 2π × 10−2 A
tire dalla riga 2, la formula sopra riportata che in
Sulla quarta colonna mettiamo una formula per il termini di coordinate del foglio elettronico si scrive
calcolo del flusso ΦS (B) del campo B attraverso la
superficie individuata dal circuito. Anche in questo 12 + A15
A22 = . (39.29)
caso dovremmo dividere la superficie in tanti pic- 200
coli rettangoli, calcolare il flusso in ciascuno di essi Copiando la formula su tutte le righe successive co-
e sommare. Basterà però sapere che il flusso attra- minciamo a capire quel che accade. Dobbiamo guar-
verso l’intera superficie è proporzionale al flusso at- dare solo le righe dispari, perché i valori di corrente
traverso un quadratino di lato pari a 1 cm che si riportati nelle righe pari sono quelli che si avreb-
trova a 1 cm dal filo (dal lato interno) per il quale bero in assenza di induzione provocata da questa
abbiamo calcolato B. Possiamo quindi scrivere che stessa corrente. La corrente che scorre nel circui-
to è la somma di quella provocata dal generatore
ΦS (B) = AsB (39.24) e di quella indotta, che inizialmente è relativamen-
te alta perché il flusso del campo magnetico cambia
dove s = 1 cm2 è l’area di questo quadratino e B è il
improvvisamente. Di conseguenza la corrente che ef-
campo calcolato sopra. A è una costante di propor-
fettivamente scorre nel circuito è un po’ piú bassa di
zionalità il cui valore effettivo poco importa e pos-
quella che scorrerebbe in assenza di induzione elet-
siamo sceglierlo arbitrariamente (per esempio A = 5
tromagnetica. Abbassandosi la corrente, si abbassa
in opportune unità). In definitiva possiamo sempre
anche il campo magnetico prodotto da questa e al-
scrivere
l’istante successivo il flusso varia un po’ meno. Cosí
la fem (e quindi la corrente) indotta diminuisce un
ΦS (B) = 5B . (39.25)
poco riportando la corrente a valori piú prossimi a
La quinta colonna deve contenere l’espressione di Vi quelli che avrebbe avuto in assenza di induzione.
calcolata con la Legge di Faraday. Nella cella cor- Questo processo continua fino a quando la variazio-
rispondente alla seconda riga della quinta colonna ne di flusso del campo magnetico è cosí piccola da

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39.2. L’ENERGIA MAGNETICA 409

t (µs) I (mA) B (µT) Φ(B) (u.a.) − ∆Φ


∆t
(V)
valore di t. L’induzione provoca, nei fatti, un ab-
0 0 0 0 0
bassamento di V (t) che è tanto piú grande quanto
10 0.54000 1.0800 5.4000 0.12000
maggiore è la variazione del campo magnetico che
20 0.59340 1.1868 5.9340 0.025200
attraversa la superficie individuata dal circuito che,
30 0.59921 1.1984 5.9921 0.0040920
a sua volta, è proporzionale alla variazione di cor-
40 0.59990 1.1998 5.9990 0.00060732 rente che scorre nel circuito nell’unità di tempo. In
50 0.59999 1.2000 5.9999 0.000086617 sostanza, l’induzione tende ad abbassare la tensione
60 0.60000 1.2000 6.0000 0.000012116 effettiva che scorre nel circuito, ma l’abbassamento
deve dipendere dalla stessa tensione e da quanto
Tavola 39.1 Dati calcolati con un foglio
tempo passa.
elettronico relativi alla cor-
rente che scorre in un circuito La Legge di Ohm per questo circuito si scrive
alimentato da un generatore
da 12 V in presenza di indu- V0 − V (t) = RI , (39.30)
zione e.m. (u.a. sta per unità
arbitrarie). dove V (t) è la fem autoindotta. Quest’ultima di-
pende dalla variazione di flusso del campo magne-
tico nell’unità di tempo che, a sua volta, dipende
dalla variazione di corrente ∆I nell’unità di tempo.
Possiamo perciò scrivere che
∆I
V (t) = L (39.31)
∆t
con L che è una costante di proporzionalità che
prende il nome di induttanza. Il valore di L di-
pende sostanzialmente dalla forma del circuito (che
determina sia l’area S che la forma del campo B
prodotto dal circuito quando vi scorre corrente).
Con questa sostituzione l’equazione del circuito
diventa

Figura 39.4 La corrente I che scorre in un ∆I


circuito alimentato da un ge-
V0 − L
= RI (39.32)
∆t
neratore da 12 V in funzione
del tempo dall’istante in cui
che possiamo riscrivere nella forma
il circuito è chiuso.
∆I
−L
= RI − V0 . (39.33)
∆t
Se definiamo J = RI − V0 possiamo scrivere
non essere piú apprezzabile e la corrente che scorre
nel circuito è quella prevista dalla Legge di Ohm. J + V0
I= (39.34)
I dati calcolati col processo sopra descritto sono R
riportati alla Tavola 39.1 e il grafico di I in funzione e la variazione di I, ∆I, può essere dovuta soltanto
di t si può vedere alla Figura 39.4. alla variazione di J, ∆J, dal momento che sia R che
La forma del grafico fa pensare che si tratti di V0 sono costanti:
un processo esponenziale. In effetti possiamo rap-
presentare quel che accade come segue. In assenza ∆I =
∆J
. (39.35)
di induzione elettromagnetica V (t) = V0 per ogni R

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39.2. L’ENERGIA MAGNETICA 410

In questa maniera l’equazione del circuito si scrive campo magnetico che si oppone alla variazione, ma
in un istante successivo s’indebolisce e il campo ma-
L ∆J gnetico varia ancora un po’ provocando un’ulteriore
− =J (39.36)
R ∆t diminuzione della corrente (che cerca di mantenere
oppure, dividendo entrambi i membri per J e poi il flusso costante). Il tutto procede fino a quando il
moltiplicando per il rapporto R/L e per ∆t, come campo magnetico, e di conseguenza la corrente au-
toindotta, sono troppo deboli. L’andamento esatto
∆J R
= − ∆t (39.37) si ricava dalla stessa equazione che abbiamo appena
J L
trovato quando V0 = 0. L’equazione generale era
Quest’equazione ha una soluzione nota, che si può
scoprire all’appendice matematica. È l’equazione
 
R
che descrive come evolve col tempo una quantità J(t) = J(0) exp − t . (39.42)
L
che cambia, nel tempo, in modo tale che la sua va-
Il valore di J(0) adesso è quello determinato nell’i-
riazione sia proporzionale alla quantità stessa e al
stante in cui nel circuito scorre la corrente massima
tempo. La soluzione di quest’equazione è
I(0) = 60 mA nell’esempio. Poiché V0 = 0, J = RI
J(t) R e quindi
log =− t (39.38)
J(0) L 
R

che si può anche scrivere, prendendo l’esponenziale I(t) = I(0) exp − t . (39.43)
L
di entrambi i membri, come La corrente I che scorre nel circuito non scompare

R
 subito, nel momento in cui V0 diventa nulla, ma si
J(t) = J(0) exp − t . (39.39) spegne esponenzialmente. Una situazione di questo
L
tipo la si può realizzare con un circuito nel quale al
Tornando a sostituire a J la sua espressione J = posto di una pila si usi un generatore d’impulsi
RI − V0 abbiamo quindi che rettangolari. Un dispositivo, cioè, che funzioni co-
  me un corto circuito salvo in certi periodi di tempo
R
RI − V0 = −V0 exp − t (39.40) nei quali funziona come un generatore di tensione
L costante V0 .
(ricordate che al tempo t = 0 la corrente è nulla La Figura 39.5 mostra l’andamento della corren-
perciò quando si calcola J(0) si deve porre I = 0) e te quando al circuito è applicata una tensione co-
quindi me quella sopra descritta. Inizialmente nel circuito
   non c’è alcuna corrente perché non ci sono tensio-
V0 R ni (t < 0). All’istante t = 0 la tensione passa da 0
I= 1 − exp − t , (39.41)
R L a 12 V (in verde, scala a destra). Corrispondente-
che come funzione del tempo ha proprio la forma mente, nel circuito comincia a scorrere corrente (in
della Fig. 39.4. viola, scala a sinistra) che, per effetto dell’induzione,
Se a un certo punto il generatore fosse improvvisa- non ha lo stesso andamento della tensione come fa-
mente sostituito da un corto circuito, la tensione rebbe presupporre la Legge di Ohm, ma cresce espo-
V0 sparirebbe e la corrente non sarebbe piú soste- nenzialmente fino al valore previsto da quest’ultima
nuta da questo. Ma in conseguenza dell’improvvisa (60 mA nell’esempio). All’istante t = 61 µs la ten-
sparizione della corrente I = V0 /R il flusso del cam- sione è nuovamente riportata a zero. La corrente nel
po magnetico prodotto da quest’ultima attraverso circuito si spegne con una certa inerzia.
la superficie del circuito cambierebbe e nel circui- Prima di fare altre considerazioni, analizziamo il
to scorrerebbe una nuova corrente autoindotta. risultato dal punto di vista dimensionale. La fem
Questa corrente riesce a produrre inizialmente un indotta è

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39.2. L’ENERGIA MAGNETICA 411

Figura 39.5 La corrente (in viola) che


scorre in un circuito con in-
duttanza L quando la ten-
sione applicata è un impul-
so di forma rettangolare (in Figura 39.6 Induttori di varie forme e in-
verde). duttanze. All’interno dell’in-
duttore verde in basso a de-
stra non c’è altro che una
serie di spire di filo condut-
tore. La figura è tratta da
∆I WikiPedia grazie all’utente
V (t) = −L (39.44) FDominec.
∆t
perciò le dimensioni di L devono essere tali per cui
moltiplicando L per una corrente e dividendola per
un tempo bisogna ottenere una tensione:
 
V ∆t
[L] = . (39.45)
∆I
Nel Sistema Internazionale le induttanze si devo-
no dunque misurare in Vs/A. Ma 1 V/A=1 Ω e
quindi le induttanze si misurano in Ωs. Si defini-
sce 1 Ωs=1 Henry che si indica con il simbolo H, in
onore di Joseph Henry che aveva scoperto l’induzio-
ne elettromagnetica indipendentemente da Faraday,
ma le cui scoperte non ebbero la stessa diffusione (la
pubblicità conta anche in campo scientifico). Figura 39.7 I cavi degli alimentatori so-
L’induttanza di un circuito si può aumentare se no spesso dotati di indutto-
il flusso del campo magnetico attraverso il circuito ri per compensare eventua-
aumenta: se per esempio si monta un solenoide con li rapidi sbalzi della corren-
te fornita dalla rete. La figu-
N spire di area A in serie a un circuito, è eviden-
ra è tratta da WikiPedia ed
te che il flusso complessivo del campo aumenta di è stata prodotta dall’utente
BN A dove B è il campo medio che attraversa il so- Stwalkerster.
lenoide. Un componente di un circuito fatto apposta
per aumentarne l’induttanza si chiama induttore.

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39.2. L’ENERGIA MAGNETICA 412

La Figura 39.6 mostra alcuni esempi di induttori È come se una parte di questa energia, precisamente
usati in vari circuiti. Una delle applicazioni degli in- P 0 = Vi I, si perdesse. Il primo principio della termo-
duttori consiste nell’opporsi a variazioni di corren- dinamica però ci assicura che l’energia si deve con-
te. Se avete un dispositivo alimentato da corrente servare. Questo significa che la porzione di energia
che richiede un flusso stabile di cariche, montan- mancante dev’essere stata spesa per qualcos’altro.
do in serie al dispositivo un induttore, qualora per In effetti, per produrre il campo magnetico la cui
qualsiasi ragione si verificasse un abbassamento o variazione in definitiva provoca la corrente indotta,
un aumento di corrente, questo sarebbe ostacolato dev’essere necessaria una certa quantità di energia
dalla presenza dell’induttore che in qualche misura che poi è quella che dev’essere ceduta alle cariche
quindi protegge il circuito a valle da sbalzi trop- elettriche nel circuito per farle muovere al contrario
po rapidi di corrente. Sul cavo di molti alimentatori di come si muovono quelle spinte dal generatore.
per apparati elettronici è spesso presente una specie Non è difficile scrivere questa potenza che è, visto
di rigonfiamento (Fig. 39.7) che contiene in effetti che Vi = −L ∆I ∆t
,
un’induttore simile a quello che si vede in alto al
centro della Fig. 39.6. L’anello scuro attorno al qua- ∆I
P 0 = LI (39.46)
le è avvolto il filo è fatto di materiale di permeabilità ∆t
magnetica relativa µr alta in modo tale da aumen- (il segno − non c’interessa visto che stiamo valutan-
tare l’induttanza (con µr alto il campo magnetico do il modulo della potenza: la potenza è negativa se
all’interno della spira aumenta di un fattore µr e di è persa dal generatore e positiva se impegnata dal
conseguenza aumenta la variazione del suo flusso). circuito). L’energia persa dal generatore nelle prime
Esistono altre applicazioni degli induttori che agi- fasi di funzionamento del circuito dev’essere stata
scono principalmente da filtro sui segnali elettrici immagazzinata da qualche parte perché nel momen-
variabili. I segnali rapidamente variabili tendono a to in cui si cortocircuita il generatore la potenza ci
essere cancellati da un induttore che reagisce alla viene in qualche maniera restituita dal circuito nel
rapida variazione di corrente con una forte corrente quale continua a scorrere una corrente per qualche
indotta; i segnali lenti, invece, non provocano grosse istante, come si vede dalla Figura 39.5. È chiaro che
variazioni di flusso e di conseguenza passano quanti quest’energia non può che essere stata imprigiona-
indisturbati oltre l’induttore. ta nel campo magnetico prodotto dal circuito e, in
A questo punto dobbiamo riflettere su una co- ultima analisi, dalla sua induttanza.
sa: quando in un circuito come quello dell’esempio Quest’energia dev’essere pari a
passa corrente l’alimentatore impegna una potenza X
P = V I, cioè eroga nell’unità di tempo una certa P 0 ∆t = LI ∆I . (39.47)
quantità di energia, perdendola. L’energia persa dal i

generatore in un tempo ∆t è E = V I∆t. In assenza La somma è necessaria perché all’inizio ∆I è gran-


di induzione l’energia è dispersa sotto forma di calo- de, ma man mano che passa il tempo ∆I cambia
re per effetto Joule. La potenza emessa dal circuito e per intervalli di tempo ∆t uguali l’energia im-
in questa forma si può riscrivere come P = RI 2 magazzinata non è la stessa, ma diminuisce sempre
usando la Legge di Ohm. piú. Per calcolare questa somma si può ricorrere al
In presenza di induzione la corrente che scorre nel calcolo integrale, ma possiamo anche fare cosí: l’e-
circuito è inferiore, almeno all’inizio, e di conseguen- nergia accumulata dall’induttore per ogni variazio-
za il prodotto RI 2 è piú basso di quello che sarebbe ne di corrente ∆I è il prodotto di LI per ∆I, che
in assenza di induzione. Il generatore però sta impe- si può immaginare come l’area di un rettangolo di
gnando sempre la stessa potenza perché deve fornire base ∆I e altezza LI. Se riportiamo in un grafico
comunque la corrente necessaria a produrre il cam- i valori di LI in funzione di I quel che troviamo è
po magnetico che a sua volta ne contrasta il flusso.

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39.3. ENERGIA ELETTROMAGNETICA 413

sia presente un campo elettromagnetico contiene


LI una certa quantità di energia che si può attribuire
al campo stesso.
3

2 39.3 Energia elettromagnetica


1
L’energia di un campo elettromagnetico si può
0
immagazzinare in un circuito che possieda un’in-
O
0 1 2 3 4 5 6 I duttanza L e una capacità C e si esprime
come
Figura 39.8 L’energia totale immagazzi-
nata da un induttore è la
1 1
E = CV 2 + LI 2 . (39.50)
somma delle aree dei rettan- 2 2
goli in figura che, al tende- Ricordando che
re della base del rettangolo
a zero, tendono all’area del S
triangolo di base I e altezza , C = ε0 (39.51)
LI.
d
con S e d uguali, rispettivamente, alla superficie del-
le armature del condensatore e alla carica immagaz-
zinata su di esse, possiamo riscrivere il contributo
una retta passante per l’origine di pendenza L. Di- del campo elettrico come
videndo l’asse delle ascisse in parti uguali ∆I, come
nella Fig. 39.8 vediamo che la somma P 0 ∆t, che rap- 1 ε0 S 2 2
EE = CV 2 = dE (39.52)
presenta l’energia immagazzinata dall’induttanza, è 2 2 d
esprimibile come la somma delle aree dei rettangoli avendo sostituito V = Ed (il campo all’interno di un
colorati di base ∆I e altezza LI. La somma è tanto condensatore è costante). Il prodotto Sd che com-
piú accurata quanto minore è la base ∆I, purché si pare non è altro che il volume del condensatore
sommino le aree di tutti i rettangoli che vanno da 0 che quindi contiene una densità d’energia, cioè
a I, per cui al tendere di ∆I a zero la somma tende un’energia per unità di volume, pari a
all’area del triangolo
ε0 2
1 2 uE = E . (39.53)
E = LI . (39.48) 2
2 Anche per il campo magnetico possiamo trovare
Insomma, l’induttanza si comporta come un con- un’espressione analoga, considerando il caso di un
tenitore di energia, analogamente a quanto fa un solenoide infinito nel quale il campo vale
condensatore, la cui energia si può esprimere come
N
1 B = µ 0 I (39.54)
E = CV 2 . (39.49) d
2 essendo N/d il numero di spire per unità di lun-
Un condensatore accumula energia sotto forma di ghezza. Ricaviamo la corrente I da questa relazione
energia del campo elettrico, mentre un’induttanza lo come
fa sotto forma di energia del campo magnetico. En-
trambi i campi, quello elettrico e quello magnetico, I=
Bd
. (39.55)
sono dunque in grado di trasportare energia. Qua- N µ0
lunque volume in una regione di spazio nella quale

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39.3. ENERGIA ELETTROMAGNETICA 414

Questa è la corrente necessaria a produrre il cam-


po B nel solenoide. L’induttanza di un solenoide si
ricava sapendo che

∆I ∆ΦS (B)
L = (39.56)
∆t ∆t
perciò

LI = ΦS (B) = N BS , (39.57)
dove S è l’area di ciascuna delle spire del solenoide.
Da questa relazione possiamo ricavare
N BS
L= (39.58)
I
che sostituita nell’espressione dell’energia fornisce
1 N BS 2
EB = I . (39.59)
2  I
In quest’espressione I è la corrente che serve a
produrre il campo B, data dall’equazione (39.55).
Sostituiamo e otteniamo

1 1 Bd
EB = N BSI = N
BS . (39.60)
2 2 N µ0



Ancora una volta Sd non è altro che il volume del


solenoide e quindi la densità d’energia magnetica si
può scrivere come
1 2
EB = B . (39.61)
2µ0
Nel volume interno a qualunque spira, incluso quel-
lo interno al piú semplice circuito che potete imma-
ginare, è sempre racchiusa una certa quantità d’e-
nergia sotto forma di campo magnetico, pronta a
essere impiegata in qualche modo quando il circuito
non sia piú alimentato. Quanto meno quello che ci
aspettiamo che succeda è che quando nel circuito
non circola piú corrente a causa di un generatore,
in esso continua a scorrere un po’ di corrente che
si spegne rapidamente, alimentata dall’energia del
campo magnetico che va a zero.

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Unità Didattica 40
Equazioni di Maxwell

Tutte le leggi dell’elettromagnetismo trovate nei 4. il Teorema di Ampère


capitoli precedenti si possono riassumere un cinque
relazioni, di cui quattro che godono di una parti-  
colare simmetria tra campi elettrici e magnetici e
X ∆ΦS (E)
Bi · ∆si = µ0 I + ε0 . (40.4)
che sono quelle che vanno complessivamente sotto il i
∆t
nome di Leggi di Maxwell.
James Maxwell pubblicò nel 1865 il trattato A dy-
L’unica equazione dell’elettromagnetismo indipen-
namical theory of the electromagnetism [?] nel quale
dente è quella che determina la forza che agisce su
giungeva a una formulazione delle leggi dell’elettro-
una particella di carica q, che si può definire come
magnetismo note fino ad allora molto simile a quella
la Forza di Lorentz
con cui le abbiamo scritte in quest’opera. Il lavoro di
Maxwell non si limitava a una riscrittura delle leg-
F = q (E + v × B) . (40.5)
gi che regolavano i fenomeni elettromagnetici, ma
ne proponeva un’interpretazione che fino ad allora I fenomeni descritti da queste cinque leggi, insie-
nessuno era riuscito a darne (Maxwell, tra l’altro, me ai risultati ottenuti dalla termodinamica, ci
aveva già introdotto la corrente di spostamento nel permettono di farci un’idea di come sia formata la
Teorema di Ampère). Le quattro Leggi di Maxwell materia. Tutta la materia, in qualunque stato fisico
sono: si trovi, dev’essere formata da particelle minutissi-
me, invisibili con qualunque strumento, alcune delle
1. il Teorema di Gauss per i campi elettrici quali, almeno, devono avere carica elettrica. Il teo-
rema di Gauss assicura che il numero di cariche elet-
Q triche negative e di quelle positive in ogni corpo è di
ΦS (E) = ; (40.1)
ε0 norma lo stesso perché non si osserva alcun campo
elettrico nelle vicinanze di questi (a meno che, na-
turalmente, non sia caricato). Anche avvicinandosi
2. il Teorema di Gauss per i campi magnetici
molto non si osserva alcun campo il che significa
che le cariche negative devono trovarsi molto vicine
ΦS (B) = 0 ; (40.2) a quelle positive, altrimenti si potrebbero disegnare
superfici molto piccole vicine alle superfici dei corpi
solidi attraverso le quali il flusso del campo elettrico
3. la Legge dell’induzione elettromagnetica, ri- sarebbe non nullo.
scritta tenendo conto che V = i Ei · ∆si Le particelle in questione devono essere in moto
P

perché solo cosií possono produrre i campi magne-


X ∆ΦS (B) tici che si osservano in certi materiali. È probabile
Ei · ∆si = − e (40.3)
∆t che anche nei materiali che non presentano eviden-
i
za di campo magnetico sia cosí, ma evidentemente
40.1. ONDE ELETTROMAGNETICHE 416

in quest’ultimo caso i campi elementari prodotti da 40.1 Onde elettromagnetiche


ciascuna particella in moto sono orientati a caso e
sommandosi dànno un campo nullo. Nelle Equazioni di Maxwell c’è molto piú di quan-
Al fine di mantenere le cariche elettriche negative to possa sembrare a prima vista. Si può immagina-
vicine a quelle positive e al contempo garantire che re l’importanza di queste equazioni facendo la se-
si generino i campi magnetici è necessario ipotizzare guente considerazione: al Paragrafo 39.3 vediamo
che i corpi siano costituiti da quelli che potremmo che i campi elettrici e magnetici trasportano energia
cominciare a chiamare atomi costituiti da un nu- in ragione della loro ampiezza. La densità d’ener-
cleo elettricamente carico (per esempio, positivo) gia in una regione di spazio riempita solo di campo
circondato da particelle cariche di segno opposto che elettromagnetico è
orbitano attorno al nucleo. Cos
ε0 2 1 2
i facendo le particelle cariche restano sempre tutte u= E + B . (40.6)
le une vicine alle altre mantenendo il corpo neutro, 2 2µ0
ma garantendo la presenza di un campo magnetico Affinché sia possibile produrre il campo con quest’e-
elementare prodotto da ciascun atomo. nergia è necessario prelevare l’energia necessaria da
I solidi si devono formare grazie a interazioni di qualche sorgente: possiamo prenderla da una pila,
tipo elettrico: le particelle negative cha abbiamo im- sfruttando l’energia che si libera nei processo chimi-
maginato orbitare attorno a quelle positive di un ci che portano alla separazione delle cariche al suo
atomo devono essere da una parte attratte dai nuclei interno, oppure dal lavoro fatto per far ruotare una
degli atomi vicini e dall’altra respinte da quelle che spira in un campo magnetico. In ogni caso abbia-
vi orbitano attorno, cosí che tendano ad avvicinar- mo bisogno di spendere quest’energia per produrre
si, ma solo fino a un certo punto. Questo dovrebbe il campo. Ma come sempre, una volta che abbiamo
spiegare anche il procedere di tutte le reazioni chi- a disposizione il campo con la sua energia possia-
miche con gli effetti che ne conseguono (produzione mo pensare di estrarla in qualche maniera dal cam-
o assorbimento di calore): l’avvicinamento e il lega- po e utilizzarla per compiere un lavoro. Dovrebbe
me tra due atomi porta questi ultimi a cambiare la dunque essere possibile usare energia in un punto
loro energia potenziale perché cambiano le relazioni A dello spazio per produrre un campo elettroma-
spaziali tra di essi, ma l’energia totale si conserva gnetico tutt’intorno a questo punto e mettere in un
e se l’energia potenziale è diminuita deve aumenta- punto B 6= A dello spazio circostante qualcosa che
re l’energia cinetica dei composti (con conseguente riesca a prelevare l’energia dal campo senza che ci
riscaldamento), mentre se l’energia potenziale è au- sia un contatto fisico tra la sorgente del campo e
mentata, quella cinetica deve diminuire con conse- l’utilizzatore.
guente raffreddamento della sostanza che si forma In effetti questa cosa è possibile e lo sappiamo
nella reazione. bene: i telefoni cellulari, il Wi–Fi, la radio, la tele-
Bisogna ammettere che, rispetto alle prime pa- visione e ogni altro mezzo di comunicazione a di-
gine di questo volume abbiamo fatto un bel passo stanza funziona proprio grazie a questo principio.
in avanti: da semplici misure e osservazioni siamo In una comunicazione wireless qualcuno utilizza un
giunti addirittura a formulare una teoria consisten- dispositivo nel quale circola corrente per produrre
te della struttura della materia che rende ragione di tutt’intorno un campo elettromagnetico che prima
tutte le osservazioni fatte, sebbene i costituenti della o poi raggiunge un altro punto dove si trova un altro
materia siano inaccessibili all’indagine diretta. dispositivo che ne preleva l’energia per far circolare
corrente al suo interno a sua volta. Vediamo come,
partendo proprio dall’inizio: facciamo, cioè, circola-
re corrente in un filo. Dalle Equazioni di Maxwell
sappiamo che se la corrente è costante l’unica cosa

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40.1. ONDE ELETTROMAGNETICHE 417

filmato non riproducibile su questo (possiamo far cadere il pedice 1 non essendoci nel-
supporto: digita l’URL nella caption o l’espressione altre distanze). Il vettore B nel punto
scarica l’e-book di coordinate (x, 0, z) è orizzontale e orientato lungo
Figura 40.1 Una corrente variabile (in l’asse 2. È lo stesso per ogni z se il filo si può consi-
nero sull’asse verticale) pro- derare infinito (il che è vero se non ci si mette troppo
duce un campo magnetico
variabile la cui direzione è
distanti dal filo). Evidentemente nel punto di coor-
perpendicolare a quella nel- dinate (−x, 0, z) il campo ha la stessa direzione e lo
la quale si muove la corrente stesso modulo, ma verso opposto (Filmato 40.1).
(in rosso si vedono le linee di La presenza di un campo magnetico variabile in
forza e il campo in due pun- una regione di spazio produce un campo elettrico
ti di coordinate, rispettiva-
mente, (−x, 0, h) e (x, 0, h)) in quella stessa regione per effetto della Legge di
[todo]. Faraday–Neumann-Lenz. Il fatto che in una spira
non alimentata si osservi, in queste condizioni, il
passaggio di una corrente significa che nella spira si
produce un campo elettrico E che dev’essere respon-
che possiamo sperare di produrre è un campo ma-
sabile del moto delle particelle cariche. Non c’è alcu-
gnetico costante che non produce alcun effetto utile
na ragione di credere che un tale campo si produca
ai nostri fini. L’idea è dunque di usare una corrente
soltanto in presenza di un conduttore. Possiamo be-
alternata, la cui forma sia, per esempio
nissimo assumere che in realtà il campo elettrico si
produca ovunque nelle vicinanze di un campo ma-
I(t) = I0 sin ωt (40.7)
gnetico variabile, ma che dia luogo a effetti visibili
con ω costante. Le considerazioni che faremo var- solo quando ci siano cariche elettriche nella regione,
ranno naturalmente per ogni tipo di corrente va- il che è possibile all’interno dei conduttori (sono an-
riabile perché il Teorema di Fourier ci assicura che che negli isolanti, ma lí non possono muoversi per-
ogni funzione periodica del tempo f (t) si può sem- ciò il campo elettrico indotto non produce alcuna
pre scrivere come somma di funzioni sinusoidali del corrente).
tempo stesso. Nel caso piú semplice la corrente scor- Il campo elettrico di cui parliamo è tale per cui la
re lungo un filo rettilineo la cui direzione possiamo sua circuitazione lungo una qualunque linea chiusa
scegliere essere quella dell’asse 3 di un sistema di è uguale alla variazione del flusso del campo magne-
assi cartesiani (al fine di semplificare la discussio- tico attraverso la superficie che ha per contorno la
ne del sistema immaginiamo di aver teso questo filo linea chiusa. Consideriamo allora una linea chiusa
nella direzione verticale cosií che l’asse 3 sia diretto a forma di rettangolo come quella della Fig. 40.2,
in quella direzione). di base ∆x e altezza z con ∆x  z (la figura
Il filo produce attorno a sé un campo magnetico non è in scala). Se ∆x è sufficientemente piccolo,
B le cui linee di forza sono circonferenze centrate il campo magnetico che attraversa la superficie si
attorno al filo che giacciono sul piano perpendicolare può considerare costante e di modulo pari a
a questo (e quindi su quello orizzontale nel nostro
µ0
esempio). L’intensità B del campo decresce con la I0 sin ωtB(x) = (40.9)
Legge di Biot–Savart 2πx
dove x è la coordinata lungo l’asse 1 (quello ros-
µ0 µ0
B= I= I0 sin ωt , (40.8) so della figura) del vertice in basso a sinistra del
2πr 2πr rettangolo. Il flusso di questo campo attraverso la
dove r = x1 + x2 rappresenta la distanza dal filo superficie di area S = z∆x è
p
2 2

del punto nel quale si valuta il campo. Sul piano


individuato dagli assi 1 e 3, x2 = 0 e r = x1 = x

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40.1. ONDE ELETTROMAGNETICHE 418

E1 ∆x. Il contributo del lato lungo a destra è uguale


all’altro cambiato di segno −E3 h, come quello lungo
il lato corto in basso, che vale −E1 ∆x. Il campo elet-
trico dipende dal campo magnetico che non dipen-
de da z, perciò il valore di E1 sui lati del rettangolo
superiore e inferiore è lo stesso e i due contributi
si cancellano. Nel caso dei lati lunghi, invece, men-
tre sul lato sinistro la coordinata 3 del campo vale
E3 (x), sul lato destro vale E3 (x + ∆x). Poiché le
Figura 40.2 La superficie in marroncino è altre componenti, se ci sono, sono irrilevanti, omet-
quella attraverso la quale cal- tiamo semplicemente il pedice 3 nelle equazioni e
coliamo il flusso di B che in- scriviamo la circuitazione come
duce un campo elettrico E la
cui circuitazione lungo il bor-
do della superficie è uguale X
alla variazione di flusso nel- Ei · ∆si = zE(x)z − zE(x + ∆x) . (40.12)
l’unità di tempo del campo i
magnetico. La figura non è in
scala per essere meglio visibi-
Evidentemente si può sempre scrivere che
le: la base del rettangolo ∆x
è in effetti molto minore della ∆E
sua altezza z. E(x+∆x) = E(x)+∆E = E(x)+ ∆x (40.13)
∆x
dove nell’ultimo passaggio non abbiamo fatto altro
che moltiplicare e dividere per la stessa quantità
∆x. La circuitazione diventa allora
µ0
ΦS (B) = B(x)S = B(x)z∆x = z∆x I0 sin ωt .
2πx
(40.10) zE(x) − zE(x + ∆x) = zE(x)  − z ∆E ∆x
 − 
 zE(x)
 
Si vede subito che il flusso non è costante, visto che ∆x
dipende da t, di conseguenza sussiste la relazione (40.14)
per cui e l’equazione che descrive l’induzione elettromagne-
tica si può riscrivere
X ∆ΦS (B)
Ei · ∆si = − . (40.11) ∆E ∆B
∆t − z ∆x = −S (40.15)
i ∆x ∆t
La circuitazione del campo elettrico, sulla destra di (il flusso, in effetti, varia solo perché varia B e la
quest’espressione, possiamo scriverla come la som- variazione di flusso ∆Φ = ∆ (SB) la si può scrivere
ma del prodotto scalare del campo per ciascuno dei semplicemente S∆B). La superficie S attraverso cui
lati del rettangolo scelto. In generale si potrebbe si calcola il flusso vale S = z∆x e quindi
avere che il campo E sia diretto lungo una direzione
qualsiasi e E = (E1 , E2 , E3 ). Quando moltiplichia- ∆E  ∆B .
− z ∆x = − z∆x
 (40.16)
mo scalarmente questo campo per il vettore spo-

∆x ∆t
stamento lungo il lato sinistro del rettangolo, scelto Sappiamo cosí che a distanza x dal filo c’è un campo
in modo che vada verso l’alto, di coordinate ∆s = elettrico la cui componente lungo l’asse 3 è tale per
(0, 0, z) otteniamo semplicemente zE3 . Il prodotto cui
scalare dello spostamento lungo il tratto orizzontale
∆E ∆B
superiore, che ha coordinate ∆s = (∆x, 0, 0), vale = . (40.17)
∆x ∆t
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40.1. ONDE ELETTROMAGNETICHE 419

traverso una superficie a forma di rettangolo di-


sposta orizzontalmente, come quella mostrata in
Figura 40.3, di area S = y∆x, che vale

ΦS (E) = y∆xE(x) (40.19)


se ∆x è abbastanza piccolo da poter considerare E
costante all’interno della superficie. Secondo il Teo-
rema di Ampère, la variazione di questo flusso de-
Figura 40.3 La superficie in marroncino è
v’essere uguale alla circuitazione di B lungo il pe-
quella attraverso la quale cal- rimetro del rettangolo. Il campo B ha componenti
coliamo il flusso di E indot- lungo le direzioni 1 e 2 (orizzontali) perché il flusso
to dal campo variabile B di del campo elettrico non cambia se si sposta la super-
cui si vedono in rosso le li- ficie lungo l’asse verticale. Quindi B = (B1 , B2 , 0).
nee di forza. Il campo elet-
trico indotto è rappresentato Guardando il rettangolo dall’alto partiamo dall’an-
dalla freccia nera rivolta ver- golo in basso a sinistra e muoviamoci verso destra
so l’alto. La figura non è in fino a giungere all’altro angolo: lungo questo trat-
scala per essere meglio visibi- to il contributo alla circuitazione è circa B(x)∆x.
le: la base del rettangolo ∆x
Da questo punto ci spostiamo vero l’alto fino a rag-
è in effetti molto minore della
sua altezza y. giungere l’angolo successivo, spostandoci di y. In
questo punto il campo magnetico vale, in modulo,
B(x + ∆x) e quindi il contributo alla circuitazione
è yB(x + ∆x). Nel tratto parallelo al primo il con-
Osserviamo adesso che potremmo rifare il conto tributo alla circuitazione sarà uguale e contrario a
usando una superficie orizzontale: in questo caso questo e dunque questi due lati del triangolo com-
le componenti del campo che comparirebbero nel- plessivamente non contribuiscono alla circuitazione.
l’espressione della circuitazione sarebbero le com- Viceversa, nel tratto che ci riporta da dove siamo
ponenti orizzontali. Ma il flusso attraverso questa partiti il contributo vale −yB(x). Di fatto abbiamo
superficie non varia col tempo, anzi: è proprio nul- che
lo perché il campo è sempre parallelo alla superfi-
cie. Questo significa che il campo elettrico indotto
ha solo una componente verticale: è cioè parallelo
X
Bi · ∆si = yB(x + ∆x) − yB(x) . (40.20)
alla direzione della corrente che ne sta provocan- i
do la comparsa attraverso il campo magnetico. In
Anche in questo caso possiamo scrivere B(x+∆x) =
sostanza E = (0, 0, E).
B(x) + ∆B = B(x) + ∆B ∆x e, sostituendo,
Poiché E dipende dal campo magnetico B che a ∆x

sua volta dipende dal tempo, E non è costante e di X ∆B


conseguenza siamo nelle condizioni di validità del Bi · ∆si = y ∆x . (40.21)
∆x
Teorema di Ampère. Nel punto di coordinata x 6= 0 i

non ci sono correnti elettriche dunque il Teorema si In definitiva


scrive
∆B  ∆E ,
y ∆x = ε0 µ0
 y∆x
 (40.22)
X ∆ΦS (E)
 ∆x ∆t
Bi · ∆si = ε0 µ0 . (40.18) cioè
i
∆t
Calcoliamo allora il flusso del campo elettrico at- ∆B ∆E
= ε0 µ 0 , (40.23)
∆x ∆t
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40.1. ONDE ELETTROMAGNETICHE 420

Se da questa equazione ricaviamo ∆B, filmato non riproducibile su questo


supporto: digita l’URL nella caption o
∆E scarica l’e-book
∆B = ε0 µ0 ∆x , (40.24)
∆t Figura 40.4 La propagazione di un’on-
e sostituiamo la sua espressione nell’eq. (40.29) da elettromagnetica consiste
troviamo nella produzione di campi
elettrici e magnetici variabi-
∆E ∆E li da parte di una corrente.
= ε0 µ0 2 ∆x , (40.25) In questo filmato si vedono i
∆x ∆t campi elettrici che oscillano,
che si può riscrivere come prodotti dai campi magneti-
ci variabili (di cui si vedono
∆E ∆E alcune linee di forza in rosso)
= ε 0 µ 0 . (40.26) [todo].
∆x2 ∆t2
È facile vedere che anche per il campo magnetico
vale un’equazione del tutto analoga:
Il significato dell’equazione delle onde è il seguen-
∆B ∆B te: una variazione del campo (elettrico o magneti-
2
= ε0 µ 0 2 . (40.27)
∆x ∆t co) che avviene al tempo t, porta inevitabilmente
Quelle che abbiamo appena trovato sono le equa- alla variazione dello stesso campo in un punto dello
zioni delle onde, valide per ogni onda di qualsivo- spazio t e queste variazioni s’influenzano l’un l’altra
glia natura. A essere precisi l’equazione si dovrebbe conducendo a un meccanismo per cui una corrente
scrivere usando l’analisi matematica come (nel caso produce un campo magnetico variabile, che dà ori-
del campo elettrico) gine a un campo elettrico variabile, che a sua volta
produce un altro campo magnetico variabile, il quale
d2 E d2 E
= ε 0 µ 0 , (40.28) fa nascere un campo elettrico variabile e cosí via: il
dx2 dt2 risultato è che dal filo percorso da corrente s’irradia
o, ancor meglio, una sequenza di campi magnetici ed elettrici oscil-
∂ 2E ∂ 2E lanti che si propaga in direzione perpendicolare al
= ε 0 µ 0 . (40.29) filo e agli stessi campi che compongono tale sequen-
∂x2 ∂t2
za. Una sequenza cosí fatta è quella che si chiama
Nella prima il simbolo ∆ è stato sostituito dal sim-
un’onda elettromagnetica.
bolo d2 per indicare quella che si chiama la deriva-
Il Filmato 40.4 mostra cosa si deve intendere per
ta doppia del campo elettrico rispetto alla variabile
onda elettromagnetica che si propaga: i campi elet-
che si trova a denominatore. Il campo, infatti, dipen-
trici e magnetici prodotti nel modo descritto oscilla-
de sia dalla variabile x, che rappresenta la distan-
no alla stessa frequenza della corrente che li produce
za dalla sorgente, sia dal tempo t. La derivata del
e si propagano nello spazio circostante. Nel filmato
campo rispetto a una di queste quantità, per esem-
si vede la corrente alternata che scorre lungo l’asse
pio dE rappresenta la variazione del campo con la
dx verticale passante per l’origine del sistema di rife-
variabile rispetto alla quale è derivato (nell’esempio
rimento. La corrente produce il campo magnetico
rappresenta la variazione del campo con la distanza
oscillante di cui si vede una linea di forza e due dei
dalla sorgente). La variazione della variazione si
2 vettori campo nei punti di coordinate (±x, 0, h) che
indica con il simbolo ddxE2 . Quando qualcosa dipende
oscillano. La variazione di flusso di questo campo
da piú variabili (come in questo caso in cui E dipen-
magnetico produce il campo elettrico variabile adia-
de da x e da t) si usa scrivere, al posto del simbolo
cente che, oscillando, dà origine al campo magneti-
d, il simbolo ∂, una sorta di d un po’ storta, che
co di cui si vede una linea di forza (mostrata solo
prende il nome di derivata parziale.

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40.2. ANTENNE 421

quando l’intensità del campo è abbastanza alta). La L’energia trasportata dall’onda naturalmente è
comparsa di questo campo magnetico fa nascere un costante ed è pari a quella impiegata dal trasmetti-
campo elettrico nelle sue vicinanze che a sua volta tore per produrla. Se l’onda si propaga in tutte le
produce un altro campo magnetico e cosí via. direzioni, la stessa energia si distribuisce su una su-
perficie sferica il cui raggio aumenta con il tempo e
quindi con la distanza dalla sorgente. Poiché la su-
40.2 Antenne perficie di una sfera di raggio r è S = 4πr2 , l’energia
che si può estrarre a distanza d da una sorgente di-
Si può, a questo punto, pensare di mettere in un
minuisce come 1/d2 . Per questa ragione, se l’energia
punto dello spazio distante dall’asse lungo il quale
iniziale è piccola, la possibilità di vedere un segnale
scorre la corrente che produce l’onda, un secondo filo
a distanza sufficientemente grande dalla sorgente è
conduttore, sempre allineato lungo la direzione ver-
piccola.
ticale. Quando l’onda elettromagnetica giunge nel
Le diverse che assumono le antenne si scelgono
punto in cui si trova il filo, il campo elettrico oscil-
allo scopo di ottenere una piú o meno grande di-
lante di quest’onda provoca il moto delle particelle
rezionalità di trasmissione. Un’antenna parabolica,
cariche di cui il filo è composto e nel filo comincia a
per esempio, riesce a trasmettere il segnale prati-
scorrere una corrente con la stessa frequenza con la
camente soltanto lungo l’asse della parabola, men-
quale scorre nel filo sorgente.
tre un’antenna costituita da un conduttore rettili-
I due fili, in altre parole, funzionano come
neo permette d’irradiare onde elettromagnetiche su
un’antenna trasmittente il primo e un’antenna ri-
superfici cilindriche in ogni direzione.
cevente il secondo. Sul secondo filo è possibile misu-
Per ricevere i segnali elettromagnetici le antenne
rare una corrente uguale a quella che si fa scorrere
devono esser fatte in modo tale che il campo elettri-
nel primo e cosí possiamo trasmettere informazione
co oscillante che le investe sia quanto piú possibile
opportunamente codificata nella corrente a distanza
orientato in direzione del conduttore, in modo da far
in modalità wireless: senza bisogno di un supporto
scorrere le cariche in esso nella direzione della sua
fisico.
lunghezza. Le cariche q, sollecitate dal campo elet-
È cosí che funzionano i telefoni cellulari, il segnale
trico oscillante E(t) subiscono una forza variabile
Wi–Fi, la radio, la televisione, etc.. Anche le carte
nel tempo
di credito contactless e i sistemi RFID funziona
grazie agli stessi principi. Nel caso delle carte con-
F (t) = qE(t) = qE0 sin ωt . (40.30)
tactless non c’è neanche bisogno di un alimentatore
per produrre il segnale da trasmettere. Il sistema, in- Questa forza produce la variazione dello stato di mo-
fatti, funziona cosí: il lettore, che è alimentato dalla to delle cariche che subiscono un’accelerazione a =
rete elettrica domestica, emette un’onda elettroma- F (t)/m, che porta le cariche a muoversi oscillando:
gnetica a una certa frequenza che raggiunge un filo
avvolto a spirale incluso nello spessore della carta. x(t) = x0 sin ωt . (40.31)
In questo filo, grazie all’energia trasportata dall’on- Usando l’analisi matematica (con un po’ di sfor-
da elettromagnetica, comincia a scorrere corrente, zo si fa anche senza) si può facilmente dimostrare
sufficiente per alimentare un microscopico trasmet- che l’accelerazione di una particella che si muove in
titore che produce un’altra onda elettromagnetica questo modo è
che si propaga per brevi distanze e che contiene
le informazioni da trasmettere al lettore sotto for- a(t) = −x0 ω 2 sin ωt (40.32)
ma di modulazioni dell’ampiezza o della frequenza
di quest’onda. Il lettore intercetta quest’onda e la e quindi si deve avere
decodifica.

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40.3. LA NATURA DELLA LUCE 422

ricevere onde di diversa frequenza si può quindi fa-


re montando su un’asta tante sbarre di conduttore
di lunghezza diversa, mettendo quelle piú corte piú
vicino alla sorgente (Fig. ??. In questo modo, all’ar-
rivo di un’onda composta dalla somma di due onde
con frequenze diverse, la sbarra piú corta assorbe
l’energia dalla prima onda e quella piú lunga dalla
seconda1 .

40.3 La natura della luce


Il campo elettrico e il campo magnetico in
un’onda elettromagnetica oscillano come descritto
dal’equazione delle onde, secondo la quale

d2 E d2 E
= ε 0 µ 0 (40.36)
Figura 40.5 Un’antenna televisiva deve
dx2 dt2
ricevere segnali di diversa fre- (un’equazione del tutto simile vale per il campo B).
quenza: per questa ragione è L’equazione ci dice che E (o B) deve dipendere sia
fatta di tanti conduttori di da x che da t e che a una variazione di E nel corso del
lunghezza diversa, ciascuno
dei quali capta segnali la cui
tempo corrisponde una variazione di E nello spazio.
frequenza è compresa in una Ma che significa in pratica? Supponiamo d’aver mi-
certa banda. La figura è trat- surate E con un qualche strumento piazzato in un
ta da WikiPedia ed è di K. determinato punto dello spazio a distanza x dalla
Krallis. sorgente. Quello che vedremmo al passare del tem-
po è che E varia, oscillando tra un valore minimo e
un valore massimo. Nel caso piú semplice vedrem-
mo che E = E0 sin ωt. Se ora disponiamo in diversi
q E0 punti dello spazio, a varie distanze, vari strumenti
x0 = . (40.33)
m ω2 di misura del campo che eseguono la stessa misu-
La velocità della carica, invece, si scrive ra contemporaneamente, cioè allo stesso istante
di tempo t, vedremmo che lo strumento nel punto
v(t) = x0 ω sin ωt (40.34) x = x1 produce un valore diverso da quello prodot-
e l’energia necessaria per farla muovere to dallo strumento posto in x = x2 , che è ancora
diverso da quello che si vede in x = x3 . Ma se si fa
1 1 il grafico di Ei in funzione di xi quel che si osserva è
K = mv 2 = mx20 ω 2 sin2 ωt . (40.35)
2 2 che il modo di variare di E con x è identico a quel-
Quando su un filo arriva un’onda di una certa ener- lo con il quale E varia col tempo. L’equazione dice
gia, le cariche elettriche gliene sottraggono una por- infatti che la variazione di E col tempo è uguale (a
zione pari a K se possono percorrere uno spazio pari parte un fattore moltiplicativo) a quella di E con lo
a x0 , spostandosi da un estremo all’altro del filo. Se spazio.
il filo è piú corto gliene sottraggono un po’ meno; 1
Il processo è naturalmente un po’ piú complesso e
se è piú lungo un po’ di piú. Un’antenna capace di coinvolge il concetto di risonanza, ma l’idea è questa.

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40.3. LA NATURA DELLA LUCE 423

Le soluzioni delle equazioni delle onde sono sem- Gli esperimenti sulla diffrazione permettono di
pre funzioni di una combinazione di spazio e tempo misurare la frequenza ν delle onde luminose, che è
del tipo f (x ± vt), dove v ha le dimensioni fisiche di compresa tra i 430 e i 750 THz (1 THz= 1012 Hz).
una velocità e rappresenta la velocità di propagazio- Ricordando (è facile, basta ricordare le unità di mi-
ne dell’onda stessa. Nel caso delle equazioni sopra sura) che la lunghezza d’onda λ = c/ν, le lunghezze
ricavate quando la corrente oscilla sinusoidalmente d’onda della luce vanno da
è facile vedere, sostituendovi le variazioni (derivate)
dei campi, che la soluzione è, nel caso per esempio
c 3 × 108
del campo elettrico, λ= ' ' 7 × 10−9 m (40.40)
ν 430 × 1012

E(x, t) = E0 sin (x ± vt) (40.37) a


con
c 3 × 108
1 λ= ' ' 4 × 10−9 m . (40.41)
v=√ . (40.38) ν 750 × 1012
ε0 µ 0
Possiamo quindi immaginare che le particelle di car-
Sostituendo i valori di queste costanti nel SI, rispet-
bone oscillino, a temperatura ambiente, a frequenze
tivamente ε0 = 8.85 × 10−12 e µ0 = 4π × 10−7 si
inferiori ai 430 THz, ma che, all’aumentare della
trova
temperatura, questa frequenza aumenti fino a supe-
rare questa soglia. In questa maniera le onde elet-
1 m tromagnetiche emesse dal carbone potrebbe esse-
v'√ = 299 863 380.44 .
8.85 × 10 −12 × 4π × 10 −7 s re rivelate dall’occhio umano, che potrebbe funzio-
(40.39) nare come un’antenna sensibile a certe frequenze,
Il numero che otteniamo è quanto meno sospetto, e produrre nel nostro cervello la sensazione visiva
dal momento che è proprio identico a quello che ot- corrispondente al colore rosso.
teniamo se misuriamo la velocità della luce! Se Si può verificare sperimentalmente che, all’au-
poi teniamo conto del fatto che le onde elettroma- mentare della temperatura del corpo, la frequenza
gnetiche trasportano energia, come sappiamo fa la media della luce emessa aumenta, come ci si aspet-
luce (che scalda i corpi che ne sono colpiti) e che ta dall’interpretazione che abbiamo appena dato del
i corpi caldi emettono luce, il sospetto diventa, co- fenomeno.
me diceva Agatha Christie («un indizio è un indizio, Evidentemente, dunque, la luce non è altro che
due indizi sono una coincidenza, tre indizi sono una un’onda elettromagnetica di frequenza compre-
prova»), qualcosa di piú. sa nell’intervallo a cui sono sensibili i nostri occhi.
Un pezzo di carbone, infatti, come tutti i corpi Possiamo costruire dispositivi (come le termoca-
materiali dev’esser fatto di innumerevoli particel- mere) che sono sensibili a frequenze alle quali il
le, tra le quali almeno alcune devono essere elettri- nostro occhio non vede nulla, e vedere cosí le on-
camente cariche. Queste particelle non sono ferme, de elettromagnetiche emesse dai corpi alla tempe-
ma oscillano rapidamente attorno alla loro posizione ratura ambiente (che sono tipicamente nella banda
d’equilibrio e lo fanno tanto piú rapidamente quan- dell’infrarosso) oppure da corpi molto piú caldi che
do piú è alta la temperatura del carbone. Una parti- emettono nell’ultravioletto. Il Sole è uno di que-
celle carica che oscilla è assimilabile a una corrente sti corpi e una parte delle onde elettromagnetiche
alternata di frequenza pari a quella dell’oscillazio- emesse dalla nostra Stella e che arrivano fino a noi
ne, che dunque produce un’onda elettromagnetica è proprio in questa banda. Se la quantità di luce ul-
di pari frequenza. travioletta che arriva sulla superficie dei nostri corpi
è molto alta, come quando si sta d’estate sdraiati su

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40.3. LA NATURA DELLA LUCE 424

una spiaggia a prendere il Sole, rischiamo di provo- una giornata poco soleggiata o spalmandoci una so-
care lesioni sulla nostra pelle come eritemi e scotta- stanza capace di assorbire la radiazione ultraviolet-
ture: le onde elettromagnetiche, infatti, trasportano ta questo non accade. Se il nostro corpo è capace di
energia e, una volta assorbite dai corpi, quest’ener- assorbire onde elettromagnetiche, tutta la luce visi-
gia è in un certo senso trasformata sin calore. Stare bile e non dovrebbe essere, alla fin fine, trasformata
troppo al Sole, quindi, provoca effetti simili a quelli in calore. Se uno si espone a una certa quantità di
di una bruciatura. ultravioletti dovrebbe assorbire una corrispondente
Ci sono solo due cose che non tornano molto quantità di energia. Se, per esempio, il campo elet-
in quest’interpretazione dei fenomeni che, in ve- trico di un’onda ultravioletta si può rappresentare
rità, appare molto astuta e, allo stesso tempo, come
di grande soddisfazione (ricordate che siamo par-
titi dal chiederci cosa voleva dire misurare una EU V sin ωt , (40.43)
temperatura).
sollecitate da questo campo le nostre particelle do-
La prima cosa strana consiste nel fatto che nel-
vrebbero oscillare alla stessa frequenza e l’equazione
l’equazione delle onde elettromagnetiche compare la
del moto ci permette di predire la loro posizione x(t)
velocità
come
1
c= √ ' 108 ms−1 , (40.42) x(t) = x0 sin ωt . (40.44)
ε0 µ 0
che cosí com’è è una velocità assoluta. Ci si aspet- La velocità di una particella che si muove in questo
terebbe che la velocità alla quale si muovono le onde modo è
elettromagnetiche dipende dal sistema di riferimen-
to dal quale si osservano. È strano che in un’equa- v(t) = x0 ω cos ωt (40.45)
zione compaia una velocità assoluta, co un valore e di conseguenza l’energia cinetica (che dev’essere
preciso dato dal prodotto di costanti universali: do- sottratta all’onda) vale
vrebbe comparire una velocità generica v il cui va-
lore dovrebbe dipendere dallo stato di moto dell’os-
servatore. Se per esempio corressimo incontro a un 1 1
K = mv 2 = mx20 ω 2 cos2 ωt , (40.46)
raggio di luce, che si muove a 3 × 108 m/s alla sua 2 2
stessa velocità, ci aspetteremmo di vedere l’onda ar- il cui valor medio dipende dall’ampiezza x20 dell’o-
rivare verso di noi a una velocità di 6 × 108 m/s. scillazione e dal quadrato della frequenza ω 2 . Al
Se invece corressimo dietro a un raggio di luce alla paragrafo precedente mostriamo che
sua stessa velocità dovremmo vederlo fermo: come
quando con un’automobile se ne insegue un’altra. q EU V
x0 = (40.47)
La macchina che sta davanti appare ferma se se ne m ω2
misura la velocità come la distanza percorsa rispetto e sostituendo si trova
a chi segue la vettura nell’unità di tempo. È natu-
rale che, dal momento che la velocità della luce è 1 q 2 EU2 V
K= cos2 ωt . (40.48)
cosí alta è difficile fare un esperimento del genere, 2 mω 2

ma ci si può provare, per cercare di capire se e co- Per quanto la trattazione che stiamo facendo sia
me si devono modificare le equazioni di Maxwell per molto grossolana (per esempio, stiamo trattando
includere quest’effetto. le particelle del nostro corpo come fossero libere
Il secondo problema è il seguente: se ci stendia- di muoversi il che è evidentemente falso), si capi-
mo su un asciugamano al Sole su una spiaggia per sce che l’energia sottratta all’onda elettromagnetica
troppo tempo ci bruciamo, mentre se lo facciamo in dovrebbe essere proporzionale al quadrato della sua

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40.3. LA NATURA DELLA LUCE 425

ampiezza e inversamente proporzionale a quello del-


la sua frequenza. Se quindi ci esponessimo a luce di
frequenza piú bassa, purché di ampiezza sufficiente,
dovremmo subire effetti piú importanti: le scotta-
ture dovremmo quindi procurarcele stando alla luce
del tramonto e non a quella di mezzogiorno, perché
la prima è piú rossa e dunque di frequenza minore.
Avrà anche ampiezza minore, ma possiamo fare fa-
cilmente esperimenti con i quali si dimostra che la
luce ultravioletta trasporta decisamente piú energia
di quella infrarossa e visibile.
Questi due problemi saranno risolti, rispettiva-
mente, dalla teoria della relatività e dalla mec-
canica quantistica. Un aspetto interessante e cu-
rioso al tempo stesso di questa storia è che entrambe
le soluzioni sono di fatto opera di uno dei piú grandi
geni della fisica: Albert Einstein.

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Unità Didattica 41
Gira che ti rigira...

Al capitolo sulle caratteristiche della forza pe- Non possiamo piú dire che l’anta cade con acce-
so si dimostra sperimentalmente come l’accelera- lerazione g perché ciascun punto dell’anta cade con
zione con cui cade ogni oggetto sulla Terra sia co- velocità diversa e quindi deve avere un’accelerazione
stante e pari a g ' 9.8 ms−2 . Possiamo però fare diversa.
un esperimento che mette apparentemente in crisi
quest’affermazione.
Costruite, usando due tavole o due lastre di mate- 41.1 Un esercizio
riale plastico sufficientemente rigido, un dispositivo
Per capire cosa accade (e come trattare il proble-
come quello mostrato nella Figura ??, fatto di due
ma) consideriamo un singolo punto dell’asta, che in
ante unite da una cerniera. Se disponete il dispositi-
un sistema di riferimento con l’origine sula cerniera,
vo in orizzontale, con l’asse della cerniera orientato
l’asse 1 orizzontale e l’asse 2 verticale ha coordina-
nello stesso modo, vedete che, lasciando andare una
te r(t) = (x1 (t), x2 (t), 0) in un istante qualunque
delle due ante, questa cade ruotando attorno all’as-
t (all’istante t = 0 le coordinate di questo punto
se della cerniera. Nessuno si sorprenderà di questo
sono evidentemente r(0) = (r, 0, 0). Corrisponden-
risultato, che appare del tutto ovvio.
temente la velocità di questo punto sarà un vettore
Ma ora riflettete su quanto avete osservato: i pun-
v(t) = (v1 (t), v2 (t), 0) = ω(x1 , x2 , 0), che all’istante
ti piú lontani dalla cerniera dell’anta in movimen-
t = 0 ha coordinate v(0) = (0, 0, 0). Tralasciando
to si muovono piú rapidamente di quelli vicini alla
la terza coordinata, lungo la quale l’equazione del
cerniera: quei punti, infatti, devono percorrere piú
moto è un’identità 0 = 0, scriviamo le equazioni del
spazio nello stesso tempo. La velocità angolare ω di
moto del punto come
tutti i punti dell’anta che cade è la stessa e vale
∆v1 F1

∆θ =
(41.1)

ω=

∆t m . (41.3)
∆t ∆v F
2 2
dove ∆θ è la variazione dell’angolo formato con l’o- =


∆t m
rizzontale tra due istanti t0 e t1 e ∆t = t1 − t0 è
v1 e v2 , a loro volta, sono le variazioni delle rispettive
la durata di questa variazione. Ma la velocità di un
coordinate nell’unità di tempo, perciò abbiamo che
punto dell’anta è
∆x1 ∆(r cos θ)
∆x r∆θ v1 = = (41.4)
v= = = rω , (41.2) ∆t ∆t
∆t ∆t e
dove r rappresenta la distanza del punto dall’asse di
rotazione, misurata lungo l’anta. In sostanza, la ve- ∆x2 ∆(r sin θ)
v2 = = . (41.5)
locità dei punti dell’anta durante la caduta aumenta ∆t ∆t
in proporzione alla distanza dall’asse di rotazione. Il prodotto (r cos θ) può variare se varia r, se varia
θ o entrambi. Ma per un dato punto r resta costan-
41.1. UN ESERCIZIO 428

te, quindi la variazione ∆(r cos θ) si può imputare Osserviamo che se le variazioni sono piccole, il lo-
soltanto alla variazione dell’angolo θ: ro prodotto è piccolissimo e sarà trascurabile. Per
esempio, per x2 ' ω ' 1 in qualche unità, con
∆x2 ' ∆ω ' 0.1, il prodotto ∆x2 ∆ω ' 0.01, die-
∆(r cos θ) = r cos (θ + ∆θ) − r cos θ . (41.6) ci volte piú piccolo degli altri addendi. Scriviamo
allora
Usando le formule della trigonometria troviamo
∆(x2 ω) ' x2 ∆ω + ∆x2 ω (41.15)
∆(r cos θ) = r (cos θ cos ∆θ − sin θ sin ∆θ) − r cos θ . da cui si evince anche che
(41.7)
Se la variazione ∆θ è piccola cos ∆θ ' 1 e sin ∆θ ' ∆(x1 ω) ' x1 ∆ω + ∆x1 ω . (41.16)
∆θ. Con quest’approssimazione
Sostituiamo nelle equazioni del moto:
∆(r cos θ) = −r∆θ sin θ . (41.8) 
∆x ∆ω F1
 − 2 ω − x2
 =
Analogamente si trova che ∆t ∆t m . (41.17)
∆x 1 ∆ω F 2
ω + x1 =


∆(r sin θ) = r∆θ cos θ . (41.9) ∆t ∆t m
Pertanto possiamo riscrivere le velocità come Ora ricordiamo che ∆t = vi e quindi
∆xi

∆ω F1

∆θ  −v2 ω − x2 =
(41.10)

v1 = −r sin θ = −x2 ω ∆t m .
∆t (41.18)
∆ω F
e 
 v1 ω + x1 =
2
∆t m
(41.11) Se moltiplichiamo la prima equazione per −x2 e la
∆θ
v2 = r cos θ = xω .
∆t seconda per x1 , sommando le equazioni del sistema
Le equazioni del moto diventano membro a membro otteniamo l’equazione

∆(x2 ω) F1

− = 2 ∆ω 2 ∆ω F1 F2

∆t m . (41.12) x2 v2 ω + x2 ∆t + x1 v1 ω + x1 ∆t = −x2 m + x1 m
 ∆(x1 ω) = F2

(41.19)
∆t m che possiamo semplificare osservando che v1 = −yω
Ancora una volta dobbiamo calcolare la variazio- e v = xω per cui gli addendi proporzionali a ω a
2
ne ∆(x2 ω) del prodotto x2 ω (e qualcosa di simile primo membro sono uguali e opposti e
per l’altra equazione). Il prodotto cambia se cambia
x2 , se cambia ω o se cambiano entrambi. Possiamo ∆ω F2 F1
r2 = x1 − x2 . (41.20)
scrivere quindi che ∆t m m
È stato un po’ faticoso, ma alla fine abbiamo otte-
nuto un’equazione che ben descrive quel che accade
∆(x2 ω) = (x2 + ∆x2 ) (ω + ∆ω) − x2 ω . (41.13)
nel caso dell’asta incernierata. Il punto a distanza
Svolgiamo le parentesi ottenendo r = 0 è fermo perché su di esso la risultante di tut-
te le forze è nulla. Di conseguenza non si muove. Il
punto estremo dal lato libero dell’asta inizialmente
∆(x2 ω) =  ω + x2 ∆ω + ∆x2 ω + ∆x2 ∆ω − 
x2
 ω . ha coordinate r = (L, 0, 0) ed è soggetto a due for-
x2

(41.14) ze: una è quella di gravità −mgx̂2 e l’altra quella

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41.2. IL PRODOTTO VETTORIALE 429

che lo tiene incollato al resto dell’asta, che è diret- 41.2 Il prodotto vettoriale
ta come l’asse 1, ma ha verso opposto: −F x̂1 . Qui
m è una piccola frazione della massa dell’asta, che La matematica è un linguaggio, con il quale pos-
corrisponde a un pezzettino microscopico di essa nel siamo esprimere ogni sorta di concetto. Basta che
punto corrispondente all’estremo libero. All’istante abbiamo l’alfabeto e il dizionario giusto. Da quanto
iniziale emerge dal paragrafo precedente si capisce che dati
due vettori sul piano a = (a1 , a2 , 0) e b = (b1 , b2 , 0),
2 ∆ω una combinazione rilevante delle loro coordinate è
L = −Lg (41.21)
∆t quella che si ottiene attraverso un’operazione che
e quindi cambia la velocità angolare ω del sistema. mescola le componenti dei due vettori
Non appena l’asta comincia a cadere le forze inter-
ne al sistema che tengono unito l’estremo dell’asta M3 = a1 b2 − a2 b1 . (41.25)
al resto acquistano una componente verticale diretta Il motivo per cui abbiamo messo il pedice 3 a M
verso l’alto e allora abbiamo sarà chiaro tra poco, ma per il momento possia-
mo pensare che si tratti di un sistema per ricordare
che stiamo moltiplicando componenti di vettori che
 
2 ∆ω F F
L = L cos θ −g + sin θ − L sin θ cos θ . hanno la terza componente nulla.
∆t m m
(41.22) Il sistema di riferimento usato in questo caso ha
La cosa si fa interessante: quello che succede in que- l’asse 1 orizzontale e diretto, per esempio, verso de-
sto caso è che, qualunque sia l’angolo θ formato dal- stra; l’asse 2 è verticale che punta verso l’alto e l’as-
l’asta con l’orizzontale, i termini che contengono la se 3 che entra nella pagina. Se ruotassimo il nostro
forza F si cancellano a vicenda e resta soltanto il sistema di riferimento di 90◦ attorno all’asse 2, in
contributo della forza esterna. Questo è interessante senso antiorario guardandolo da sopra, quello che
perché noi non sappiamo dire nulla sulle forze inter- prima era l’asse 3 avrebbe la stessa direzione e ver-
ne a un sistema rigido e F ci è completamente sco- so opposto di quello che era l’asse 1; quest’ultimo
nosciuta. Ma se la sua conoscenza non contribuisce invece avrebbe la stessa direzione di quello che era
a quella del moto non è un problema. l’asse 3 e potremmo scrivere −a3 al posto di a1 e −b3
Questo comportamento è del tutto generale. al posto di b1 . A questo punto sembra ragionevole
Sembra, cioè, che la combinazione sostituire il pedice 3 col pedice 1

F2 F1
M = x1 − x2 (41.23) M1 = −a3 b2 + a2 b3 = a2 b3 − a3 b2 . (41.26)
m m
conduca sempre a una quantità al cui valore contri- Osservando bene le due definizioni di M e M viene
1 3
buiscono soltanto le forze esterne. Qualunque sia il naturale costruire una terza combinazione
valore delle componenti delle forze interne, questo è
irrilevante. M2 = a3 b1 − a1 b3 . (41.27)
Evidentemente, poiché F = ∆p ∆t
la combinazione
sopra scritta sarà uguale a Le tre combinazioni M1 , M2 , M3 sono costruite
usando componenti dei vettori a e b i cui indi-
∆p2 ∆p1 ci sono diversi da quelli della Mi corrispondente
L = x1 − x2 . (41.24)
∆t ∆t (i = 1, 2, 3). Per costruire la combinazione Mj si
prende la componente i del primo vettore e la si
moltiplica per la componente k del secondo, in modo
tale che la sequenza jik degli indici usati sia ugua-
le a 123 oppure a una sua combinazione ciclica:

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41.2. IL PRODOTTO VETTORIALE 430

312 oppure 231. Da questo prodotto si sottrae quello


delle componenti con gli indici scambiati.
Poiché con due vettori di tre componenti si pos-
sono costruire tre combinazioni, possiamo sempre
interpretare tali combinazioni come, a loro volta, le
componenti di un vettore M = (M1 , M2 , M 3). Il
vettore M dunque si ottiene dalla combinazione di
due vettori a e b. Poiché le componenti di M hanno
le dimensioni delle componenti di a per quelle di b
l’operazione che deve condurre a M è qualcosa di si-
mile a un prodotto. Con due vettori si può costruire
un’operazione prodotto scalare a · b il cui risultato
però è uno scalare, appunto. Possiamo però defini-
re un’altra operazione di prodotto tra vettori che
chiameremo, per distinguerla dall’altra, prodotto Figura 41.1 Il vettore M risultante dal
prodotto di due vettori a e
vettoriale, che dobbiamo anche indicare in modo b.
diverso: per esempio a × b oppure a ∧ b. Quest’ope-
razione restituisce un vettore le cui componenti si
calcolano come descritto sopra.
Osserviamo che il prodotto vettoriale non è com- individuato dai due vettori dai quali si ottiene il
mutativo: a×b 6= b×a. I due prodotti sono diversi prodotto e si può anche scrivere come
per il segno, come si vede scambiando le componen-
ti di a con quelle di b nelle formule che danno le M = ab sin θ (41.30)
componenti di M. con θ pari all’angolo tra i vettori a e b. Il modulo
Vediamo anche che se a3 = b3 = 0 le componenti di M quindi è massimo (e vale ab) quando i vettori
M1 e M2 sono nulle. Il vettore risultante dal prodot- sono tra loro perpendicolari (il seno vale 1), mentre
to vettoriale dunque è perpendicolare ai vettori che è nullo se sono paralleli (esattamente al contrario di
ne costituiscono i fattori. Il modulo quadro di M è quanto accade col prodotto scalare).
Manca da definire il verso del vettore prodotto.
Questo lo possiamo determinare sempre osservando
M 2 =M12 + M22 + M32 =
la Figura 41.1 dove abbiamo riportato il vettore M
(a2 b3 − a3 b2 )2 + (a3 b1 − a1 b3 )2 + (a1 b2 − a2 b1 )2 restituito
. dal prodotto vettoriale. Un modo per dire
(41.28) in quale verso è rivolto M è il seguente: usando la
Possiamo renderci la vita piú facile se scegliamo un mano destra disponete il pollice lungo la direzione
sistema di riferimento opportuno nel quale rappre- di a e le altre dita della mano in direzione di b: il
sentare i vettori. Per esempio potremmo sceglierne vettore M esce dal palmo della mano. Ricordate che
uno nel quale il vettore a giace sull’asse 1 e quin- il prodotto vettoriale non è commutativo, quindi il
di a = (a1 , 0, 0). Il vettore b lo possiamo sempre pollice va messo sempre nella direzione del primo
scegliere in modo che giaccia sul piano (1,2), cioè vettore.
b = (b1 , b2 , 0). Cosí facendo il modulo si M si scrive

M = a1 b 2 . (41.29)
Osservando la Figura 41.1 si vede che M rappre-
senta, geometricamente, l’area del parallelogramma

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41.4. LA FISICA DEI MOMENTI 431

41.3 La seconda Legge della golare. La quantità M = r × F la chiameremo mo-


mento delle forze e potremmo aggiungere ester-
dinamica ne visto che il momento delle forze interne, come
Ora che grazie alla matematica abbiamo un nuovo abbiamo visto, è sempre nullo.
costrutto sintattico da impiegare, possiamo riformu- L’equazione (41.32) si può allora riscrivere come
lare il secondo principio della dinamica in una ma- ∆L
niera diversa. Usando la lingua italiana possiamo M= (41.33)
∆t
scrivere due frasi dal significato equivalente, come
che ci dice che l’applicazione di una forza esterna
in
a un qualunque sistema ne provoca una variazione
Quando avevo circa cinquant'anni del momento angolare.
mi persi in un bosco molto fitto

che equivale a
41.4 La fisica dei momenti
È evidente che la dinamica del punto materiale de-
Nel mezzo del cammin di nostra vita
v’essere contenuta nella legge testé formulata. Ve-
mi ritrovai per una selva oscura
diamo se effettivamente le cose stanno cosí. Conside-
ma non c’è dubbio che la seconda formulazione sia riamo un punto materiale di massa m che si muove
piú efficace della prima. La seconda formulazione con velocità v = (v, 0, 0): scegliamo cioè un siste-
esprime molto di piú della prima: vi si legge l’ango- ma di riferimento con l’asse 1 parallelo alla velocità
scia e lo smarrimento dell’autore, per esempio, che di questo. Supponiamo che inizialmente il punto si
nella prima è molto piú sfumata. Allo stesso mo- trovi alle coordinate x = (0, `, 0), che corrispondono
do, usando l’alfabeto matematico, possiamo costrui- a un punto dell’asse 2 che dista ` dall’origine.
re nuove parole del nostro dizionario che consentano Per calcolare i momenti possiamo sempre sceglie-
di riformulare le leggi fisiche in modo equivalente, re un vettore r che ha le coordinate del punto ma-
ma per certi versi piú utile. teriale, dunque r = x. In altre parole, geometrica-
Usano i risultati trovati al Paragrafo 41.1 mente il vettore che serve per calcolare i momenti si
possiamo vedere facilmente che dev’essere rappresenta come una freccia che parte dall’origine
degli assi e finisce nel punto.
∆p Il momento della quantità di moto L del punto
r× = r × F. (41.31)
∆t è L = r × p che inizialmente ha modulo L = `mv
In pratica non facciamo altro che moltiplicare primo e, secondo la regola della mano destra, è rivolto in
e secondo membro dell’equazione maniera da entrare nel foglio se l’asse 1 è orientato
verso destra e quello 2 verso l’alto. In assenza di
∆p forze il punto dovrebbe continuare a muoversi di
=F (41.32)
∆t moto rettilineo uniforme, perciò dopo un tempo t
per il vettore r a sinistra (il prodotto vettoriale non si troverà alle coordinate x = (vt, `, 0). Poiché la
è commutativo). r evidentemente è un vettore ar- sua quantità di moto è sempre p = (mv, 0, 0) il
bitrario, le cui componenti hanno le dimensioni di momento della quantità di moto ha componenti
una lunghezza, e quindi rappresenta una posizione
che possiamo scegliere come meglio crediamo. L1 = r2 p3 − r3 p2 = 0
Alla quantità L = r × p diamo il nome di mo- L2 = r3 p1 − r1 p3 = 0 (41.34)
mento della quantità di moto1 o momento an- L3 = r1 p2 − r2 p1 = −`mv
1
il nome momento deriva dal latino movimentum.

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41.4. LA FISICA DEI MOMENTI 432

che perciò ha lo stesso modulo di prima (e lo stesso Fate da soli l’esercizio di vedere com’è orientato
verso, sempre per la regola della mano destra). Un il vettore momento angolare di Anna in ogni istante
modo equivalente di calcolare il modulo del momen- del moto: vedrete che è sempre diretto verticalmente
to angolare del punto materiale consiste nel prende- rispetto al pavimento (e punta in su o in giú secondo
re il modulo di r e moltiplicarlo per quello di mv il verso in cui si muove Anna).
e per il seno dell’angolo compreso. Basta fare un Questo risultato è interessante perché da una par-
disegno per capire che il risultato è proprio quello te ci descrive perfettamente il moto in maniera mol-
che abbiamo ottenuto. In alternativa si può definire to concisa, cosa che la seconda Legge formulata nel
il modulo del prodotto vettoriale come la quantità modo classico non sarebbe riuscita a fare altrettan-
di moto per il suo braccio che è la distanza tra il to bene (naturalmente quella legge è sempre valida
punto scelto per calcolare i momenti (l’origine) e la perché Anna subisce un’accelerazione in seguito al-
retta sulla quale giace la quantità di moto (che è l’applicazione della forza da parte di Bruno). Dal-
parallela all’asse 1 perciò il braccio vale sempre `). l’altra ci fornisce un esempio di come il momento
Si vede subito che il momento della quantità di angolare sia una grandezza che ha senso calcolare
moto non cambia. In effetti in assenza di forze il per ogni tipo di moto. Molti studenti hanno l’abitu-
momento di quest’ultime dev’essere nullo e di con- dine di considerare il momento angolare di un corpo
seguenza è nulla la variazione di momento angolare: come qualcosa che ha senso calcolare solo quando
quest’ultimo, quindi, resta costante. qualcosa ruota (come fa Anna dopo l’applicazione
Ora immaginate la situazione seguente: Anna della forza), a causa della parole angolare e per il
cammina a velocità costante parallelamente a uno fatto che solitamente il concetto s’introduce nel caso
dei muri della classe e su di lei non agisce alcuna dei moti circolari, come abbiam fatto anche noi. In
forza (la forza peso è bilanciata dalla reazione del realtà il momento angolare ha senso per ogni tipo di
pavimento). La sua quantità di moto è rmv e tale moto e non è affatto vero che un corpo che si muove
resta, dove r è la distanza tra la sua traiettoria e di moto rettilineo non abbia momento angolare, co-
un punto qualunque della stanza. Nel punto scelto me dimostra il caso di Anna che cammina in linea
supponiamo ci sia Bruno che riesce, quando Anna retta.
passa nelle vicinanze, a prenderla sottobraccio re- Un altro caso interessante è quello del ballerino:
stando per‘øfermo sul posto. Quello che succede è quando un ballerino intende eseguire una piroetta,
che Anna è costretta a ruotare attorno a un asse di solito allarga le braccia piú che può, si dà una
coincidente con Bruno. spinta che lo pone in rotazione e poi ritira le braccia
Questa situazione è perfettamente descritta dal- verso il corpo. Immediatamente comincia a ruotare
la legge della dinamica che abbiamo appena scritto. molto piú vorticosamente di quanto non avesse fatto
Il momento angolare di Anna quando cammina in all’inizio del moto. Perché avviene questo?
linea retta è rmv. Nell’istante in cui Bruno la pren- Consideriamo il ballerino con le braccia stese. Su
de sottobraccio il momento angolare di Anna vale un qualunque punto del suo corpo, che è abbastanza
ancora rmv. In un istante successivo Bruno esercita simmetrico rispetto a un asse verticale passante per
su Anna una forza diretta verso di sé, ma si tratta i l suo centro, agisce la forza peso diretta verso il bas-
di una forza diretta parallelamente al vettore r che so. Per esempio, sulla sua mano destra la forza peso
congiunge Bruno con Anna, quindi l’angolo compre- vale mg (con m pari al peso della mano) e punta ver-
so tra r e questa forza è nullo e il momento di que- so il basso. Lo stesso accade alla sua mano sinistra.
sta forza è nullo. Di conseguenza il momento della Calcoliamo i momenti delle forze esterne rispetto a
quantità di moto di Anna non cambia: infatti Anna un punto situato al centro del ballerino, tra le due
continua a muoversi in modo tale che il suo momen- mani. Il momento della forza che agisce sulla ma-
to angolare valga ancora, in modulo rmv, anche se no destra vale M = `mg dove ` è la distanza l’asse
cambia la direzione di v. centrale del ballerino e la mano. Per la regola della

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41.5. PIANETI E STELLE 433

mano destra tale momento punta in avanti (stendete nuare ad avere lo stesso modulo perché il momento
il braccio tenendo la mano in modo che il pollice sia delle forze esterne è nullo. Di conseguenza, non po-
orizzontale e le altre dita puntino verso il basso: il tendo aumentare la massa del ballerino, aumenta v
momento esce dal palmo della mano). Naturalmen- in maniera tale che
te sulla mano destra c’è anche una forza interna che
la tiene attaccata al polso (altrimenti gli cadrebbe, 2`mv = 2`0 mv 0 (41.36)
poverino). Ma il suo momento è nullo, come si ve-
dove le grandezze con l’apice sono quelle relative
de facilmente. Sulla mano sinistra il momento delle
alla situazione in cui le braccia del ballerino sono
forze esterne ha lo stesso modulo di quello della ma-
vicine al corpo. In questo caso `0 < ` e
no destra, ma è rivolto all’indietro. Di conseguenza
il momento totale, che è la somma dei momenti, è `
nullo. Questa cosa succede per ogni coppia di punti v0 = v (41.37)
`0
del corpo del ballerino, quindi il momento di tutte è maggiore di v. Per questo la velocità di rotazione
le forze che agiscono sul ballerino è zero (del resto del ballerino aumenta in modo considerevole.
è zero la forza complessiva che agisce sul ballerino,
perché tutto il suo peso è bilanciato dalla reazione
del pavimento della pista da ballo). Il momento del- 41.5 Pianeti e stelle
la quantità di moto del ballerino dunque si deve
conservare, cioè deve rimanere costante. La conoscenza della fisica dei momenti angolari ci
Il momento della quantità di moto è la somma permette di studiare il comportamento di oggetti al-
dei momenti delle quantità di moto di tutte le sue trimenti difficilmente accessibili. Consideriamo, ad
parti. La sua mano destra ha una quantità di moto esempio, un pianeta che ruota attorno alla sua stel-
mv diretta orizzontalmente in un verso o nell’al- la. Poiché il pianeta compie un’orbita curva è evi-
dente che su di esso deve agire una forza, altrimenti
tro, secondo il senso di rotazione. Per fissare le idee
si muoverebbe di moto rettilineo uniforme. La for-
supponiamo che il ballerino, visto dall’alto, ruoti in
senso antiorario. Il momento della quantità di moto za che impone al pianeta di orbitare attorno a una
stella è quella di gravità, che è diretta secondo la
della mano, per la regola della mano destra, è rivolto
retta congiungente la stella col pianeta.
verso l’alto (stendete il braccio rivolgendo il pollice
verso l’esterno e le dita in avanti: il palmo è rivoltoIl momento M della forza di gravità F calcolato
rispetto alla stella è evidentemente nullo, perché la
verso l’alto). Se fate lo stesso lavoro sulla mano si-
nistra (usando però sempre la destra per calcolare direzione del vettore r che rappresenta la distanza
il verso del momento) vedete che anche quello è di- tra il pianeta e la stella coincide con la direzione
retto verso l’alto. I due momenti quindi si sommano della forza. Il momento M = r × F è nullo infatti
quando r e F sono paralleli. Per questo motivo il
e si sommano con tutti quelli di tutti i punti di cui
è formato il corpo del ballerino. Possiamo semplifi-momento angolare L = mr × v del corpo celeste de-
care la situazione immaginando che tutta la massa ve rimanere costante lungo l’orbita, qualunque sia
del ballerino sia concentrata nelle sue mani (tanto la sua forma (che può essere circolare, ellittica, pa-
quel che cambia è solo il modulo di L e non la sua rabolica o iperbolica). Se nel percorrere l’orbita il
direzione o il suo verso). Il momento della quantitàpianeta si allontana dalla stella r aumenta, quindi
di moto totale vale, in modulo, deve diminuire v (m non può cambiare) e viceversa.
Se dunque un pianeta percorre un’orbita ellittica, la
L = 2`mv (41.35) sua velocità all’afelio, che è il punto in cui il pianeta
è alla maggiore distanza dalla sua stella, è la mini-
e si deve conservare. Quando il ballerino ritrae le
ma possibile, mentre al perielio, che è la minima
braccia la distanza ` diminuisce, la L deve conti-

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41.5. PIANETI E STELLE 434

distanza raggiunta dal pianeta rispetto alla stella, è zioni sul comportamento di certe stelle. Quando il
massima. carburante che permette alle stelle di brillare (i pro-
Le comete, che hanno orbite molto eccentriche toni al suo interno) finisce, la pressione esercitata
e talvolta aperte (paraboliche o iperboliche) sono dalla parte interna della stella per effetto dell’alta
molto piú veloci quando sono vicino al Sole rispetto temperatura viene a mancare e la gravità fa collas-
a quanto non lo siano quando ne sono distanti. sare la stella che si contrae e diventa sempre piú
Un risultato del genere fu trovato sperimental- piccola (di fatto il materiale di cui è fatta cade ver-
mente da Johannes Kepler che lo formulò nel modo so il suo centro). La stella, quindi, la cui superficie,
seguente: il segmento che unisce il Sole con un pia- a distanza R dal centro, inizialmente ruotava a ve-
neta descrive aree uguali in tempi uguali. Il motivo locità v, contraendosi comincia a ruotare a velocità
per il quale avviene questo è che la forza che tiene V per cui
il pianeta legato al Sole è radiale e il momento di
tutte le forze radiali è nullo rispetto alla sorgente mvR = mV r (41.40)
della forza. Quindi il momento angolare del pianeta quando raggiunge il raggio r < R2 . Se la sua velocità
si conserva. Ma cosa c’entra il momento angolare iniziale era v quella finale è
con l’area spazzato dal segmento in questione? È fa-
cile capirlo considerando due posizioni molto vicine R
.
V =v (41.41)
del pianeta. La figura descritta dal segmento di cui r
si parla nella seconda Legge di Keplero che stia- Una stella come il Sole ha un raggio di quasi
mo analizzando descrive una specie di triangolo con 700 000 km e se collaudasse potrebbe raggiungere
uno dei lati curvi. Se il tempo trascorso tra l’istan- dimensioni non piú grandi di qualche decina di km.
te t1 in cui si trova nel punto iniziale e quello t2 in La sua velocità di rotazione oggi si ricava sapendo
cui si trova nel punto finale è piccolo il lato curvo è che il periodo di rotazione T è di poco superiore ai
praticamente rettilineo e il triangolo è quasi isosce- 25 giorni, perciò
le. L’altezza di questo triangolo coincide, in pratica,
con la distanza dal Sole del pianeta (che è in pra-
2πR 2 × 3.14 × 7 × 105 km m
tica la stessa per entrambe le posizioni), mentre la v= = ' 180 000 ' 2 000 .
base è lunga r∆θ = rω∆t dove ∆θ è l’angolo (pic- T 25 d s
(41.42)
colo) formato dai due segmenti nei due istanti t1 e t2 Contraendosi fino a 10 km la sua velocità
per cui t2 − t1 = ∆t e ω = vr è la velocità angolare aumenterebbe fino a raggiungere il valore di
del pianeta che si muove a velocità v a distanza r
dal Sole. Abbiamo allora che l’area di questo quasi
triangolo vale 7 × 105 m
V = 2 × 103 = 1.4 × 108 (41.43)
10 s
1 v 1
∆A = r ∆t × r = vr∆t . (41.38) che è circa la metà della velocità della luce!
2 r 2
Ruoterebbe quindi con un periodo di
Il rapporto
2
Per eseguire un calcolo numericamente attendibile del
∆A 1 momento angolare di un corpo sferico come una stella oc-
= vr (41.39) correrebbe considerare quel che si chiama il suo momento
∆t 2
d’inerzia che tiene conto del fatto che non tutti i punti ruo-
è quindi costante perché L = mvr è costante e tano con la stessa velocità, che aumenta all’aumentare del
quindi l’area ∆A spazzata nell’unità di tempo ∆t raggio. Nel modello semplificato che stiamo adottando è co-
è costante. me se tutta la massa della stessa fosse concentrata sulla sua
Dal fatto che il momento angolare si conserva in superficie: in pratica è come se la stella fosse vuota. Tuttavia,
le considerazioni che facciamo sono ugualmente valide anche
certe condizioni si possono ricavare anche informa- per una stella piena.

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41.5. PIANETI E STELLE 435

solo: quello che si conserva è il vettore momento an-


golare, quindi anche direzione e verso di quel vettore
si conservano. È per questo motivo che la direzio-
ne dell’asse di rotazione della Terra resta costante,
formando, con la direzione dell’asse perpendicolare
al piano della sua orbita attorno al Sole, un angolo
di ◦ . In estate, i raggi del Sole giungono sull’emi-
sfero Nord del nostro pianeta con un angolo diverso
da quello con il quale giungono in inverno e questo
Figura 41.2 A sinistra, in inverno i rag- provoca le diverse temperature e la diversa durata
gi del sole (in giallo) arri- del giorno.
vano con un angolo allo ze-
nit maggiore rispetto a quan-
to avviene in estate, perché
l’asse terrestre è inclinato e
la sua inclinazione si man-
tiene costante in virtú del-
la conservazione del momen-
to angolare. In inverno quin-
di il Sole appare piú basso
sull’orizzonte: sorge piú tardi
e tramonta prima. La radia-
zione solare, inoltre, deve at-
traversare uno spessore mag-
giore di atmosfera prima di
raggiungere la superficie.

2πr 2 × 3.14 × 104


T = = ' 0.4 ms . (41.44)
V 1.4 × 108
Stelle che appaiono ruotare cosí rapidamente ce ne
sono. La prima fu scoperta da Jocelyn Bell Bur-
ner nel 1967 che la osservò come una pulsar: una
stella che emette brevissimi e intensi lampi di ra-
diazione con un periodo brevissimo. Queste stelle
emettono one radio lunghe due direzioni opposte e
ruotando vorticosamente gli impulsi ci raggiungo-
no a intervalli regolari e a brevissima distanza l’uno
dall’altro.
La conservazione del momento angolare deter-
mina anche l’alternarsi delle stagioni sulla Terra.
Il momento angolare del nostro pianeta è infatti
L = mvrn̂ che è un vettore orientato come l’as-
se di rotazione terrestre il cui versore è n̂. Massa
e raggio terrestre sono evidentemente costanti, cosí
come il modulo della velocità di rotazione. Ma non

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Unità Didattica 42
La teoria della Relatività Ristretta

appariva essere un vero e proprio controsenso, che


Prerequisiti: cinematica, dinamica elementare tuttavia è tale solo a causa della nostra esperienza.
L’Universo ha le sue Leggi, che naturalmente po-
Dopo gli esperimenti di Michelson e Morley non trebbero essere di qualunque natura e non c’è nes-
c’erano piú scuse: per quanto possa sembrare stra- sun motivo di principio secondo il quale l’Universo
no la velocità della luce risulta essere indipenden- debba funzionare come a noi sembrerebbe logico! Se
te dal moto relativo tra la sorgente e l’osservatore. a noi le Leggi dell’Universo appaiono illogiche non
Quest’osservazione sperimentale pone un serio pro- è un problema dell’Universo: è un problema nostro!
blema filosofico. Secondo la logica comune, andan- La fisica è una scienza sperimentale: ha a che fa-
do incontro a un raggio di luce ad altissima veloci- re con ciò che si misura, che ci piaccia o no. Una
tà, dovremmo vederlo arrivare verso di noi a una volta stabilito sperimentalmente che la velocità
velocità pari alla somma tra la velocità del rag- della luce è indipendente dal sistema di riferimento
gio di luce e la nostra; viceversa, se inseguissimo nel quale si esegue la misura, non possiamo far al-
un raggio di luce alla sua stessa velocità dovremmo tro che accettarne le conseguenze, anche se possono
vederlo fermo! E se potessimo viaggiare a velocità sembrare dei controsensi.
piú alte dovremmo riuscire addirittura a superarlo La teoria della relatività ristretta (o relatività
e a vederlo allontanarsi da noi in direzione opposta speciale) riguarda i sistemi di riferimento in moto
rispetto a quella nella quale si sta effettivamente l’uno rispetto all’altro di moto rettilineo uniforme.
muovendo rispetto alla sorgente considerata ferma!
Eppure, secondo i risultati degli esperimenti non è
cosí: se accendiamo una lampada vediamo la luce 42.1 Le trasformazioni di Lo-
allontanarsi dalla lampada a una velocità di circa
300 000 km/s; se inseguissimo questa luce a bordo
rentz
di un mezzo che si muove a velocità altissima, dicia- Consideriamo una sorgente di luce puntiforme nel-
mo 299 000 km/s, non la vedremmo allontanarsi da l’origine di un sistema di riferimento in quiete. Se
noi a 1000 km/s, ma sempre a 300 000 km/s. Sem- la luce si muove a velocità c, preso un punto di
bra una cosa completamente assurda! Impossibile! coordinate (x, y, z), il tempo necessario alla luce per
Un controsenso! arrivarci sarà
In un testo teatrale di Luigi Malerba intitolato
”Stazione zero” 1 qualcuno dice che ”Con i contro-
r
x2 + y 2 + z 2
sensi qualche volta si risolvono problemi che non si t= . (42.1)
c2
possono risolvere con la logica”.
Prendendo il quadrato di quest’equazione e
Nel 1905 Albert Einstein risolse il problema appa-
moltiplicando tutto per c2 si ottiene
rentemente irrisolvibile logicamente con quello che
Tratto da ”Ai poeti non si spara”, di Luigi Malerba, ed.
1
x2 + y 2 + z 2 = c2 t2 . (42.2)
Manni.
42.1. LE TRASFORMAZIONI DI LORENTZ 438

Se osservassimo lo stesso fenomeno da un sistema e di conseguenza t si deve trasformare in modo


di riferimento che si muove lungo l’asse x a velocità simile e cioè come
v rispetto al primo, secondo la relatività galileiana
l’equazione si scriverebbe t0 = t − αx . (42.8)
La trasformazione che abbiamo appena ipotizzato
x02 + y 02 + z 02 = c2 t02 , (42.3) non potrà essere giusta, ma è un primo tentativo
dove per trovare il modo di scriverla correttamente. Sosti-
 0 tuiamo nell’equazione (42.3), ricordando che y 0 = y

 x = x − vt e z 0 = z, per ottenere
 y0

=y
(42.4)
 z0 =z


 0 (x − vt)2 + y 2 + z 2 = c2 (t − αx)2 . (42.9)
t =t
e avremmo che Espandiamo i quadrati:

(x − vt)2 + y 2 + z 2 = c2 t2 (42.5)
x2 + v 2 t2 − 2vxt +y 2 +z 2 = c2 t2 + α2 x2 − 2αxt
 

cioè che (42.10)


e raccogliamo i termini simili:

x2 + v 2 t2 − 2xvt + y 2 + z 2 = c2 t2 (42.6)
x2 1 − c2 α2 +y 2 +z 2 = t2 c2 − v 2 −2xt c2 α − v .
  
in aperto contrasto con quanto scritto nell’equazio- (42.11)
ne (42.2). È ovvio perché: nella relatività galileiana Se vogliamo che quest’equazione sia uguale a (42.2),
è impossibile che la velocità di qualcosa sia la stessa sicuramente non deve esserci il termine propor-
se misurata in due sistemi di riferimento in moto zionale a xt e dobbiamo evidentemente imporre
l’uno rispetto all’altro. Se vogliamo che gli osserva- che
tori in un sistema di riferimento e nell’altro siano
in accordo circa le misure che conducono è necessa- c2 α = v (42.12)
rio che x, y, z e t si trasformino in maniera diversa
passando dall’uno all’altro sistema. Osservando le e quindi che α = v/c2 . Cosí facendo l’equazione
due equazioni è chiaro che, nel caso in esame, né y diventa
né z subiscono alcuna trasformazione e quindi l’u-
nica maniera di far tornare le equazioni consiste nel v2 v2
   
trasformare t e x in modo tale da cancellare i ter- x 1 − 2 + y + z = c t 1 − 2 . (42.13)
2 2 2 2 2
c c
mini indesiderati nell’equazione. La trasformazione
deve essere tale per cui, per velocità non confronta- A questo punto, perchè il gioco sia fatto, è sufficien-
bili con quella della luce (v  c), la trasformazione te che sia x che t si trasformino, passando da un
di x deve tornare a essere quella galileiana perciò sistema all’altro, in modo tale che i termini all’in-
possiamo provare2 a mantenerla ponendo terno delle parentesi spariscano dall’ultima equazio-
ne scritta. Per questo dobbiamo fare in modo che le
x0 = x − vt (42.7) trasformazioni siano tali da contenere un fattore che
cancella la parentesi (1 − v 2 /c2 ), cioè dev’essere
2
Se fossimo abili matematici scriveremmo subito che la
trasformazione giusta deve essere lineare perciò avremmo che 1
x0 = α(x − βt) e t0 = γ(t − δx), determinando α, β, γ e δ x0 = q (x − vt) . (42.14)
v2
imponendo l’invarianza della velocità della luce. 1− c2

© (2013–2015) Giovanni Organtini – Fisica Sperimentale


42.2. LA DILATAZIONE DEL TEMPO 439

In questo modo, elevando al quadrato la coordinata ratore e a denominatore, che rendono complicate le
x0 compare un fattore a denominatore uguale a quel- formule. Una volta trovato il risultato, per ottenere
lo che compare nell’equazione (42.11), quindi questi i valori delle misure in unità SI basterà moltiplicarlo
due termini si semplificano e l’equazione assume la per un’opportuna potenza di c, tale da renderlo di-
forma voluta. Una cosa analoga accade per t0 . In mensionalmente corretto. Ad esempio, nel caso delle
definitiva le trasformazioni giuste sono trasformazioni (42.17), per tornare a quelle espres-
se nel SI, basta osservare che l’equazione che dà x0
0
 x → x = γ (x − βct)

deve avere le dimensioni di una lunghezza. Essen-
(42.15) do γ adimensionale, l’espressione tra parentesi deve
 
0 β
t → t = γ t − x
c essere una lunghezza. x lo è, mentre βt ha le di-
dove γ e β sono, rispettivamente mensioni di un tempo. L’unico modo di far avere
a questo addendo le dimensioni giuste consiste nel
moltiplicarlo per una velocità che è chiaramente c,
1 v per ottenere x0 = γ (x − βct). Allo stesso modo, l’e-
γ=p e β= . (42.16)
1 − β2 c spressione che ci dà t0 deve avere le dimensioni di un
Osserviamo che per v  c, β ' 0 e γ ' 1 e le tempo. Tra parentesi c’è la differenza tra t, che ha le
trasformazioni (42.15) si riducono a quelle di Gali- giuste dimensioni, e βx, che ha le dimensioni di una
leo, perché v 2 /c2 risulta trascurabile rispetto a 1 e lunghezza. Per far avere a questo addendo le dimen-
quindi γ ' 1. Inoltre v/c2 ' 0 e quindi t0 ' t. sioni di un tempo occorre dividerlo per una velocità
e quindi l’espressione diventa t0 = γ t − βc x . Nel

Le trasformazioni (42.15) si chiamano trasfor-
mazioni di Lorentz, dal nome del fisico Hendrik resto di questo capitolo, ove non diversamente in-
Lorentz che aveva scoperto che queste stesse trasfor- dicato, si usano le unità naturali per la derivazione
mazioni lasciavano invariate le equazioni di Maxwell delle relazioni tra le grandezza fisiche.
passando da un sistema di riferimento inerziale as- A differenza di Lorentz, Einstein aveva capito che
soluto (al tempo chiamato etere) a un qualunque non era necessario supporre l’esistenza di un etere
sistema di riferimento in moto rettilineo uniforme con strane proprietà di trasformazione per spiegare
rispetto a questo. il fatto sperimentale secondo il quale la luce si muo-
Le trasformazioni di Lorentz assumono una for- ve sempre alla stessa velocità, in qualunque sistema
ma particolarmente simmetrica se si usano le uni- di riferimento. Secondo la visione di Einstein lo spa-
tà naturali, cioè un sistema di unità di misura nel zio e il tempo non sono concetti assoluti, come fino
quale c = 1 ed è adimensionale. In questo sistema ad allora si era ritenuto, ma essendo essi stessi gran-
le velocità sono grandezze fisiche adimensionali e si dezze fisiche misurabili, erano concetti relativi: per
misurano in frazioni della velocità della luce, men- eseguire una misura bisogna sempre confrontare una
tre le lunghezze si misurano in velocità per tempo grandezza fisica con una ad essa omogenea. Spazio
(ed essendo c adimensionale si misurano perciò in e tempo non fanno eccezione: se gli strumenti at-
secondi)3 . In questo sistema, infatti β = v e traverso i quali li misuro cambiano passando da un
sistema all’altro, la misura dello spazio e del tempo
non è assoluta.
(
x → x0 = γ (x − βt)
. (42.17)
t → t0 = γ (t − βx)
Usare le unità naturali semplifica enormemente i 42.2 La dilatazione del tempo
conti, perché si eliminano tutti i fattori c a nume-
Ma che vuol dire che il tempo non è assoluto? Il
3
L’anno luce, comunemente usato in astrofisica, è una mi- tempo, come abbiamo detto, è una grandezza fisica
sura di lunghezza in queste unità: rappresenta la lunghezza
e pertanto occorre misurarla con un qualche stru-
del percorso fatto dalla luce in un anno.

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42.2. LA DILATAZIONE DEL TEMPO 440

filmato non riproducibile su questo muoversi rispetto a lui a velocità v e ne concluderà


supporto: digita l’URL nella caption o che quell’orologio va indietro rispetto a quello che
scarica l’e-book porta con sé. In maniera del tutto analoga, l’osser-
Figura 42.1 Usando un orologio a luce vatore fermo, osservando l’orologio che porta con
si capisce bene che il tem- sé l’osservatore in moto, lo vedrà rallentare rispetto
po non può essere assolu-
to [https://www.youtube.
al suo. Entrambi gli osservatori trarranno le stesse
com/watch?v=g2eI0Wi2bVA] conclusioni, senza ambiguità. Osserviamo anche che
la distinzione tra osservatore fermo e in moto è del
tutto arbitraria: non c’è modo di stabilire chi si stia
muovendo e chi sta fermo!
mento. Lo strumento con il quale si misura il tempo
Ci si potrebbe chiedere se l’effetto è reale o ap-
è l’orologio. Secondo la teoria di Einstein, detta del-
parente, ma a dir la verità anche questa domanda
la relatività, la durata di un secondo non è la stessa
appare mal formulata: la fisica è una scienza speri-
per tutti gli osservatori: quando per un osservato-
mentale ed è reale quel che si misura. Se attraverso
re fermo sono passati τ secondi, per un osservatore
le misure trovo che il tempo scorre in maniera diver-
che si muove a velocità v rispetto a questo ne sono
sa secondo il sistema di riferimento nel quale faccio
passati, usando lo stesso orologio
la misura, ne devo concludere che è cosí. Punto!
1
t = γτ = p τ. (42.18) Esercizio 42.1 Il tempo in orbita
1 − β2
Nello scrivere questo tempo abbiamo semplicemente I satelliti della costellazione GPS orbitano attorno
usato la trasformazione di Lorentz ponendo x = 0 alla Terra, a una quota di 20 000 km, muovendosi
(dal momento che possiamo scegliere sempre di met- a una velocità media di circa 4 km/s. Calcola la
tere l’orologio nell’origine del sistema di riferimento durata di un secondo, di un giorno, di un mese e di
dell’osservatore fermo). un anno a bordo del satellite, se il tempo è misurato
Si vede subito che, per v  c il fattore di Lorentz con un orologio fermo a Terra [?].
γ ' 1 e, come ci aspettiamo, il tempo appare quasi soluzione →
assoluto. Se però la velocità dell’osservatore diven-
ta ragguardevole si possono verificare strani feno-
meni (strani, naturalmente, per quel che è la nostra In ogni caso l’effetto è molto piú reale4 di quanto
esperienza quotidiana). si pensi. Il nostro pianeta è oggetto di una continua
Il tempo τ misurato con un orologio fermo nello pioggia di particelle che provengono dallo spazio, i
stesso sistema di riferimento in cui si esegue la mi- cosí detti raggi cosmici. Queste particelle, urtando
sura di un qualche fenomeno fisico si chiama tempo gli atomi degli strati piú alti dell’atmosfera, a una
proprio. quota di circa 10 km, ne producono altre chiamate
Qui bisogna fare attenzione a non commettere er- muoni. I muoni sono particelle instabili, che decado-
rori grossolani: se due osservatori sono in moto rela- no, cioè si trasformano spontaneamente, in un elet-
tivo rettilineo e uniforme l’uno rispetto all’altro, per trone e due neutrini mediamente in circa 2 µs. Se i
ciascuno di essi il tempo scorre esattamente come ci muoni si muovessero alla velocità della luce, in 2 µs
si aspetta che scorra. Se però un osservatore misura 4
Riflettete sul significato di questa parola: per la fisica è
il tempo con un orologio che si trova a bordo del- reale ciò che si misura. Non ha senso chiedersi se effettiva-
l’altro sistema vede una discrepanza rispetto a quel mente il tempo scorra piú lentamente oppure se si tratti di
che misura con il proprio orologio! È evidente che, una limitazione della nostra capacità di misurarlo. Quel che
si misura è. E del resto il caso del decadimeto del muone
dal momento che il moto è relativo, l’osservatore in
dimostra che la domanda è praticamente priva di senso.
moto rispetto al primo vedrà l’orologio del primo

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42.3. CONTRAZIONE DELLA LUNGHEZZA 441

filmato non riproducibile su questo


supporto: digita l’URL nella caption o
42.3 Contrazione della
scarica l’e-book lunghezza
Figura 42.2 I navigatori GPS funzionano
grazie alla teoria della Contestualmente al tempo, secondo la teoria del-
relatività. In questo filmato la relatività, si modificano anche le proprietà dello
se ne spiegano i princípi di spazio. In particolare, consideriamo una riga lunga
funzionamento. Risolvete ` in un sistema di riferimento fermo (ricordiamo pe-
l’esercizio 1 per valutare
rò che si tratta di una convenzione, non potendo
l’effetto della dilatazione
dei tempi su questo sistema affatto stabilire se il sistema sia davvero fermo o si
di navigazione [https: stia muovendo di moto rettilineo uniforme rispetto
//www.youtube.com/ a un altro) orientata lungo l’asse x in modo tale che
watch?v=8hFhKDxfyHQ]. l’estremo sinistro sia nell’origine del sistema di ri-
ferimento e l’altro nel punto di coordinate (`, 0, 0).
Osservando questa stessa riga da un altro sistema di
percorrerebbero circa 2 × 10 × 3 × 10 = 600 m. riferimento, in moto con velocità v rispetto al pri-
−6 8

In realtà si osservano numerosissimi muoni a livello mo lungo l’asse x, la coordinata dell’estremo sinistro
del mare (un centinaio per metro quadro al secon- diventa
do), quindi questi devono poter aver viaggiato per
oltre 10 km. La teoria della relatività spiega questa x0L = −γβt (42.19)
apparente stranezza: nel sistema di riferimento del mentre la coordinata dell’estremo destro diventa
muone, nel quale è fermo, il tempo scorre in manie-
ra tale che mediamente, trascorsi 2 µs, buona parte x0R = γ (` − βt) . (42.20)
dei muoni decadono. Ma quando noi osserviamo i
muoni provenire dallo spazio, li vediamo muoversi a La lunghezza della riga per l’osservatore in moto è
velocità molto vicine a quella della luce, per cui, per dunque xR − xL che vale
0 0

noi che siamo a terra, il tempo a bordo del muone


scorre molto piú lentamente. Occorrono γτ secon-
di misurati a terra per far decadere i muoni e se x0R − x0L = `0 = γ (` − βt + βt) = γ` (42.21)
γ è abbastanza grande questo tempo si può dilata-
L’osservatore in moto dunque leggerà il numero `
re a dismisura. Questo fenomeno si osserva quoti-
sulla riga a una distanza pari a
dianamente nei laboratori di fisica, agli acceleratori
di particelle. E anche se non si vede direttamente, `0
il fenomeno è ormai ben presente nella nostra vita ` = (42.22)
γ
quotidiana. I sistemi di navigazione GPS funziona-
ed essendo sempre γ > 1 vedrà la riga contrarsi
no grazie a una costellazione di satelliti a bordo dei
di un fattore γ rispetto al suo sistema di unità di
quali ci sono orologi atomici molto precisi. Se non si
misura.
tenesse conto degli effetti della relatività nella mar-
Il lungo percorso fatto dai muoni visti nel Para-
cia di questi orologi i sistemi di navigazione sarebbe-
grafo 42.2 prima di decadere si può spiegare anche
ro del tutto inutili perché fornirebbero la posizione
alla luce di questo fenomeno. Il muone in volo, in-
dell’utente con un errore crescente nel tempo, che
fatti, nel suo sistema di riferimento, vede la Terra
può arrivare anche a diversi km!
corrergli incontro a grandissima velocità. La distan-
za tra il muone e la Terra dunque appare al muone
contratta di un fattore γ per cui nel suo sistema di

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42.4. COMPOSIZIONE DELLE VELOCITÀ 442

riferimento questa particella non percorre molto piú Il paradosso dei gemelli
dei 600 m previsti. Uno dei piú noti apparenti paradossi della fisi-
Dalle trasformazioni di Lorentz è anche evidente ca relativistica è quello detto dei gemelli. Am-
che le dimensioni trasversali degli oggetti (le lun- mettiamo che in un lontano futuro sia possibile
ghezze, cioè, misurate lungo direzioni ortogonali a costruire un’astronave superveloce a disposizio-
quella nella quale si stanno muovendo l’uno rispet- ne di due gemelli: Ulisse e Telemaco. Ulisse sale
to all’altro i sistemi di riferimento) non cambiano a bordo dell’astronave e intraprende un viaggio
quando si passa da un sistema all’altro. che, per lui, dura circa dieci anni. Al ritorno
sulla Terra i due gemelli non sarebbero piú tali
Esercizio 42.2 Il viaggio d’un muone perché, secondo la teoria della relatività, Tele-
maco da Terra vede scorrere il tempo del fratello
In seguito alle interazioni dei raggi cosmici primari molto piú lentamente del suo. Quindi Ulisse in-
con i nuclei dei gas dell’atmosfera, a circa 10 km di vecchia piú lentamente di Telemaco e torna a
quota, si produce un muone che viaggia verso terra casa piú giovane.
a una velocità pari al 99.5 % di quella della luce.
Il paradosso sta nel fatto che lo stesso discorso
Quanto dovrà percorrere il muone prima di urtare
si potrebbe applicare a Ulisse, il quale nel suo
la Terra, secondo il suo metro?
soluzione → sistema di riferimento vede il tempo scorrere co-
me se fosse a Terra e quindi invecchia normal-
mente, ma dovrebbe vedere Telemaco sfrecciare
a velocità elevatissime e quindi dovrebbe vede-
re il suo tempo rallentare. È quindi Telemaco a
42.4 Composizione delle velo- risultare piú giovane, per Ulisse.
In realtà il paradosso cosí com’è non si può for-
cità mulare perché la teoria della relatività ristretta
Dal momento che secondo la teoria della relativi- si applica solo ai sistemi di riferimento inerziali,
tà ristretta le trasformazioni di Galileo non sono che si devono muovere di moto rettilineo unifor-
piú valide, occorre trovare nuove trasformazioni per me l’uno rispetto all’altro. Se Ulisse a un certo
calcolare la velocità di un oggetto come vista da un punto torna indietro, il suo moto non può es-
sistema di riferimento in moto rispetto a un altro. sere rettilineo uniforme (per non parlare delle
Farlo non è difficile: basta osservare che la velo- fasi di arrivo e partenza), quindi in questo ca-
cità è data dal rapporto u = ∆x/∆t tra lo spazio so la relatività ristretta non vale. Vale però la
percorso ∆x e il tempo impiegato a percorrerlo ∆t. relatività generale secondo la quale comunque
Trasformando con Lorentz queste due quantità otte- avviene che Ulisse invecchia meno rapidamente
niamo, assumendo sempre che l’asse x sia orientato di Telemaco.
nella direzione del moto relativo tra i due sistemi,
che
u−β
∆x0 ∆x − β∆t u0 = . (42.25)
u =0
0
= . (42.23) 1 − βu
∆t ∆t − β∆x
Osserviamo anzitutto che l’espressione risulta esse-
Dividendo l’ultimo membro per ∆t si ottiene re adimensionale, come deve, dal momento che in
∆x unità naturali le velocità non hanno dimensioni e si
∆x0 −β
0
u = = ∆t
. (42.24) misurano in frazioni di velocità della luce. Dove si
∆t0 1 − β ∆x
∆t legge u, dunque, si deve sempre intendere misurato
e quindi in unità di c e quindi numericamente pari a u/c. In

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42.5. I QUADRIVETTORI 443

questo caso è utile riscrivere l’espressione in unità in fondo, non è che un pregiudizio: nessuno ci è mai
SI. Il passaggio a unità SI è quanto mai semplice: riuscito.
basta moltiplicare il tutto per una velocità, che non Un’altra osservazione utile è la seguente: suppo-
può che essere c. L’espressione in unità SI è dunque, niamo di non conoscere affatto le trasformazioni di
ricordando che per u dobbiamo intendere u/c, Lorentz, ma di sapere che le velocità si trasformano
u
in modo tale che, per v piccole, valgono le leggi di
−β u−v
0
u = c
c= , (42.26) trasformazione di Galileo, mentre per v grandi le ve-
1 − β uc 1 − uv
c2 locità devono tendere a quella della luce. Possiamo
che è l’espressione che si trova comunemente scritta sempre scrivere che
sui libri (ricordiamo che β = v/c). Quest’espressio-
ne, sebbene un po’ piú complessa, è sempre facile da u0 = A (u − v) (42.27)
ricordare, perché a numeratore c’è la differenza tra dove A è un numero che dipende da u e da v e che
le velocità del punto materiale e del sistema di rife- deve tendere a 1 quando v è piccolo. Possiamo dun-
rimento dal quale lo si guarda, come nella relatività que scrivere A = 1 + B con B = f (u, v), tale che
galileiana, che deve essere corretta relativisticamen- per v che tende a zero, f (u, v) ' 0. A questo pun-
te applicando un fattore che nel limite v  c diventa to possiamo ripetere il ragionamento fatto sopra: u
pari a 1, che è quello a denominatore. Questo fatto- e v sono per natura dei vettori, mentre B è uno
re deve essere adimensionale e deve dipendere da u scalare. Un modo di costruire uno scalare con due
e da v che, per natura, sono vettori. Un modo per vettori è farne il prodotto scalare: u · v = uv nel
costruire una grandezza scalare usando due vettori caso specifico. Il prodotto uv non è adimensionale
è farne il prodotto scalare u · v = uv nel caso in come deve essere B, quindi dobbiamo dividerlo per
esame perché u e v sono tra loro paralleli. Questo una velocità assoluta al quadrato: c2 . Otteniamo
prodotto ha le dimensioni di una velocità al quadra-
to e per renderlo adimensionale si può dividerlo per
 uv 
u0 = 1 + 2 (u − v) (42.28)
c2 . c
Per v  c il rapporto uv/c2 è piccolo e trascu- che è solo apparentemente diversa dalla relazione
rabile rispetto a 1 e riotteniamo la trasformazione esatta ricavata sopra. Infatti, come si vede nell’Ap-
di Galileo. Per v ' c, u0 ' −c. La velocità di qua- pendice al paragrafo sull’approssimazione di funzio-
lunque cosa vista da un sistema di riferimento che ni, l’espressione 1/(1 − x) si può approssimare, per
si muove alla velocità della luce è sempre pari al- x piccolo, a 1 + x (vedi eq. (57.68)). Si vede subito
la velocità della luce. Inoltre, se u = c, la velocità che
u0 = c per ogni valore di v (come ci aspettiamo dal
momento che tutto deriva dalla solita osservazio- u−v  uv 
ne sperimentale secondo la quale la velocità della u0 = ' 1 + (u − v) . (42.29)
1 − uv c2
luce è indipendente dal sistema di riferimento nel c2

quale la si misura). Esiste dunque un limite alla Come si vede si può ricavare un risultato abbastan-
velocità con la quale si possono muovere gli oggetti: za vicino a quello corretto semplicemente usando
nessuno potrà mai misurare una velocità superiore argomenti dimensionali e un po’ di matematica.
a quella della luce. Il risultato può apparire quan-
to meno sorprendente, ma per quanto strano possa
sembrarci è un fatto sperimentale che, fin quando 42.5 I quadrivettori
non verrà smentito con altre osservazioni, resta va-
lido e dobbiamo metterci l’anima in pace. Del resto, La maniera in cui si descrivono lo spazio e il tem-
che qualcosa si possa muovere a qualunque velocità, po suggerisce che la descrizione classica secondo la
quale lo stato di un punto materiale è determinato

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42.6. IL QUADRIVETTORE ENERGIA–IMPULSO 444

da posizione e velocità non è corretta, ma è un’ap- a quattro dimensioni con le posizioni e gli istanti di
prossimazione della descrizione corretta nel limite tempo in questo modo:
di basse velocità.
Lo stato di un oggetto non si può rappresentare s = (t, ix, iy, iz) (42.33)
con posizione e velocità, che sono due vettori nello √
dove i = −1 è l’unità immaginaria. In questo mo-
spazio a tre dimensioni, perché le posizioni e le velo-
do, prendendo il prodotto scalare s · s, che si ottie-
cità non sono assolute, ma dipendono dall’osserva-
ne sommando i prodotti delle coordinate omologhe,
tore. La grandezza fisica s2 = t2 −(x2 + y 2 + z 2 )5 , al
otteniamo proprio il valore di s2 .
contrario, è assoluta: assume lo stesso valore in tutti
Possiamo dunque pensare a s come a dei vettori
i sistemi di riferimento. Questa grandezza quindi di
in uno spazio quadridimensionale in cui le trasfor-
chiama invariante di Lorentz.
mazioni di Lorentz eseguono delle rotazioni6 di que-
Un punto materiale che si trova al tempo t alle
sti quadrivettori. La prima componente di que-
coordinate (x, y, z) in un sistema di riferimento, in
sto quadrivettore è il tempo (moltiplicato per c se
un altro sistema di riferimento che si muove rispet-
si scrive in unità SI), mentre le restanti coordina-
to al primo di moto rettilineo uniforme parallela-
te sono quelle spaziali moltiplicate per l’unità im-
mente all’asse x, avrebbe coordinate (x0 , y 0 , z 0 ) =
maginaria. Possiamo anche eliminare quest’ulterio-
(γ (x − βt) , y, z) all’istante t0 = γ (t − βx). La
re complicazione ridefinendo l’operazione di prodot-
quantità s2 , espressa nel sistema di riferimento in
to scalare in questo spazio particolare (detto spa-
moto, è
zio di Minkowski)7 : basta ricordare che le com-
ponenti spaziali e quelle temporali vanno sommate
02 02 02 02 02 col segno opposto (quale segno di fatto è irrilevante,

s =t − x + y + z =
tanto cambierebbe solo il segno dell’invariante, che
γ 2 (t − βx)2 − γ 2 (x − βt)2 + y 2 + z 2 .

tuttavia continuerebbe a restare costante).
(42.30)
In fisica relativistica, dunque, i concetti di po-
Svolgendo i quadrati l’espressione sopra scritta
sizione e di velocità di un punto perdono parte
diventa
del loro significato, giacché la posizione e la veloci-
tà di un punto materiale sono qualcosa di relativo:
02
 dipendono dall’osservatore e dal tempo. Queste due
s = γ t + β x − 2βxt −γ x + β t − 2βxt −y 2 −z 2
2 2 2 2
 2 2 2 2

(42.31) nozioni sono sostituite dalla nozione di evento, che


e, al solito, raccogliendo i termini comuni abbiamo si caratterizza fornendo sia la posizione sia il tempo
al quale la posizione del punto è stata raggiunta per
un determinato osservatore.
02 2 2 2 2 2 2 2 2
 
s =t γ 1−β −x γ 1−β −y −z .
(42.32)
I termini misti proporzionali a xt si elidono a vi- 42.6 Il quadrivettore energia–
−1
cenda. Ora osserviamo che γ 2 = (1 − β 2 ) e i coef- impulso
ficienti di x2 e di 2t2 valgono quindi entrambi 1.
Perciò s02 = s2 . Si dice che s2 è un invariante rela- Possiamo definire altri quadrivettori a partire dal
tivistico perché il suo valore non cambia passando quadrivettore posizione che definisce un evento. Co-
da un sistema di riferimento a un altro. me nel caso dei comuni vettori, un quadrivetto-
Possiamo pensare a s come al prodotto scalare re moltiplicato scalarmente per un altro quadri-
2

di un vettore per sé stesso, se costruiamo dei vettori 6


Le rotazioni di un vettore ne cambiano le coordinate, ma
5
L’espressione di s 2
in unità SI è s 2
= 2 2
c t − non il modulo.
x2 + y 2 + z 2
7
Dal nome del matematico Hermann Minkowski.


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42.6. IL QUADRIVETTORE ENERGIA–IMPULSO 445

vettore dà uno scalare (che è quindi un invarian- ottenuto prendendo come β = u/c la velocità della
te per trasformazioni di Lorentz), mentre un qua- particella in unità di c, perché stiamo scrivendo le
drivettore moltiplicato per uno scalare è ancora un grandezze trasformando il tempo misurato nel siste-
quadrivettore. ma di riferimento del laboratorio al sistema di rife-
In fisica classica si definisce la quantità di moto rimento in cui la particella di cui si sta misurando
come il prodotto p = m0 u della massa m0 di un la velocità è ferma.
punto materiale per la sua velocità u. Per misurare La quadrivelocità è un quadrivettore (essendo un
una velocità dobbiamo prendere uno spostamento e quadrivettore diviso uno scalare) e dunque per es-
dividerlo per un tempo. Consideriamo un punto ma- sa valgono le trasformazioni di Lorentz. Il quadri-
teriale che al tempo t1 del nostro orologio si trova in vettore velocità v, misurato in un sistema di rife-
r1 = (x1 , x2 , x3 ). Per questo punto materiale possia- rimento fermo, visto da un sistema di riferimento
mo definire il quadrivettore r1 = (ct1 , x1 , y1 , z1 ) (in in moto con velocità V rispetto al primo, si ottiene
questo caso stiamo usando le unità SI, perché que- trasformando con Lorentz le componenti temporali
sto ci aiuterà nel dare la corretta interpretazione ai e spaziali. Per semplicità supponiamo che, in unità
risultati). Se il punto si trova in r2 = (x2 , y2 , z2 ) naturali,
al tempo t2 possiamo definire un secondo quadri-
vettore r2 = (ct2 , x2 , y2 , z2 ). La differenza tra due
quadrivettori è ancora un quadrivettore: v = γ (vt , vx , vy , vz ) = γ (1, u, 0, 0) (42.36)

∆r = (c∆t, ∆x, ∆y, ∆z) (42.34) e


dove ∆t = t2 − t1 e ∆x = x2 − x1 (e analogamente V = (β, 0, 0) , (42.37)
per le altre coordinate). Potremmo chiamare questo
quadrivettore spostamento. Si sarebbe a questo cioè che l’oggetto di quadrivelocità v e l’osservatore
punto tentati di dividere tutto per ∆t per ottenere si muovano lungo lo stesso asse che consideriamo
un quadrivettore che rappresenti la velocità, ma ∆t come l’asse x. Secondo le trasformazioni di Lorentz,
non è uno scalare nello spazio di Minkowski, perché dal sistema con velocità V vedremo il quadrivettore
non è invariante per trasformazioni di Lorentz. Per v avere le componenti
trovare uno scalare che abbia le dimensioni di un
tempo dobbiamo ricorrere al tempo proprio, che è vt0 = W (vt − βvx ) = W γ (1 − βu)
ben definito ed è sempre lo stesso in ogni sistema di (42.38)
vx0 = W (vx − βvt ) = W γ (u − β)
riferimento. Il tempo proprio in questo caso è il tem-
po misurato con un orologio che si muove insieme con W = 1/ 1 − β 2 , che è il fattore di Loren-
p
al punto materiale di cui si sta misurando la posi- tz del sistema in moto rispetto a quello fisso. Ora
zione. Dividendo il quadrivettore spostamento per osserviamo che le componenti del quadrivettore v
lo scalare ∆τ e ricordando che t = γτ , otteniamo sono
un ulteriore quadrivettore che potremmo chiamare
 
quadrivelocità: ∆t ∆x
v= , , 0, 0 (42.39)
∆τ ∆τ
e quelle di v 0
 
∆r c∆t ∆x ∆y ∆z
v= = , , , = γ (c, ux , uy , uz )
∆τ ∆τ ∆τ ∆τ ∆τ  0
∆t ∆x0

(42.35) 0
v = , , 0, 0 . (42.40)
con ux = ∆x
∆t
∆x
= γ∆τ la componente x della velocità ∆τ ∆τ
tridimensionale (e analogamente per uy e uz ). Os- Pertanto, la velocità misurata da un osservatore nel
−1/2
serviamo che γ = (1 − β 2 ) è il fattore di Lorentz sistema in moto, è

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42.6. IL QUADRIVETTORE ENERGIA–IMPULSO 446

0 0
quantità di moto8 della particella. Vediamo invece
∆x ∆x ∆τ vx0 che risulta essere pari a γm0 u. C’è un fattore γ di
= = . (42.41)
∆t0 ∆τ ∆t0 vt0 troppo. Questo non è strano: in effetti la quantità
Ritroviamo cosí la formula per la composizione delle di moto dovrebbe essere una grandezza conservata
velocità in assenza di forze esterne, ma se si applicano le
trasformazioni di Lorentz potrebbe accadere che la
∆x0 Wγ (u − β) quantità di moto totale di un certo numero di parti-
= u0
= 
. (42.42)
∆t0 W
 γ (1 − βu)
 celle sia conservata in certi sistemi di riferimento e
Questo vi fa capire che l’uso della quadrivelocità non in altri. La teoria della relatività suggerisce che
può essere comodo quando si debbano ricavare le non sia m0 u a restare costante nel tempo in assenza
leggi di composizione della velocità perché è suffi- di forze, ma p. Per velocità basse γ ' 1 e si ottie-
ciente ricordare che si tratta di un quadrivettore e ne per la componente spaziale l’usuale definizione
le trasformazioni di Lorentz di questi, ma che biso- di quantità di moto. Ma quando γ diventa gran-
gna stare attenti a interpretarne le componenti. La de la quantità di moto si deve sostituire con γm0 u
velocità di un corpo non è la componente spaziale che può anche diventare infinita. È come se (e sot-
di un quadrivettore velocità, ma il rapporto tra la tolineiamo come se) la massa della particella m0
sua componente spaziale e quella temporale! aumentasse di un fattore γ diventando m = γm0 .
Vale la pena osservare che la somma di due qua- Va detto che la massa di una particella è costante
drivelocità, pur essendo un quadrivettore, non ha anche in relatività. L’affermazione secondo la quale
alcun significato fisico particolare e non è una qua- la massa aumenterebbe all’aumentare della velocità
drivelocità. Infatti, una proprietà della quadrive- è di per sé falsa, anche se in certi casi pensare in que-
locità abbastanza evidente è che il suo modulo vale sti termini funziona! In effetti funziona nei casi in
c (oppure 1 in unità naturali). Infatti, facendo il cui ci si ostina a interpretare i fenomeni alla luce dei
quadrato del quadrivettore 42.35 si ottiene risultati della fisica classica. Per accelerare una par-
ticella e farne variare la quantità di moto, secondo
la meccanica classica occorre una forza (per la Leg-
1 ge di Newton F = ∆p/∆t, quindi ∆p = F∆t). Man
v 2 = γ 2 c2 − u2 = c2 − u 2 = c2 .
 
u2
1 − c2 mano che la particella accelera e cambia la sua velo-
(42.43) cità, se al crescere della velocità la massa crescesse,
Una quadrivelocità quindi è un quadrivettore il cui la forza necessaria per far aumentare anche solo di
modulo vale sempre c e di conseguenza la somma pochissimo la sua velocità diventerebbe sempre piú
di due quadrivelocità non può essere una quadrive- alta (in questo schema possiamo riscrivere la Legge
locità. In altre parole la quadrivelocità non è una di Newton come a = F/m, con m variabile) e cosí
grandezza fisica interessante: si tratta solo di un ar- alla fine non si riesce mai a raggiungere la velocità
tificio per costruire altri quadrivettori d’interesse. limite della luce. Infatti, secondo questa interpreta-
In effetti, moltiplicando tutto per la massa m0 del zione, la grandezza m (che è il rapporto tra la forza
punto materiale che si è spostato nel tempo ∆t da e l’accelerazione di un punto materiale, quindi una
r1 a r2 costruiamo il quadrivettore grandezza fisica diversa da quella che si misura con
una bilancia) può diventare infinita e, sempre secon-
p = m0 v = γ (m0 c, m0 ux , m0 uy , m0 uz ) = γm0 (c, u) . 8
La quantità di moto di una particella si può chiamare an-
(42.44) che impulso, anche se questo termine non è del tutto esatto;
si riferisce infatti non alla quantità di moto della particella,
Per come è stata costruita, la componente spaziale ma all’integrale nel tempo delle forze agenti sulla particel-
di questo quadrivettore dovrebbe rappresentare la la che numericamente è uguale alla quantità di moto, ma
concettualmente è qualcosa di diverso.

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42.6. IL QUADRIVETTORE ENERGIA–IMPULSO 447

do la fisica classica, nessuna forza potrà mai modi- Come si vede piú sotto, l’energia di una particelle
ficarne la velocità. Il fatto è che quando si applica dipende dalla sua quantità di moto e dalla sua mas-
una forza a una particella, accelerandola, non se ne sa. La massa di una particella è un invariante relati-
modifica la velocità, come in meccanica classica, ma vistico dato, a meno di una costante c2 , dalla radice
l’energia! Consigliamo dunque di non assumere mai del modulo quadro del quadrimpulso (eq. (42.50)).
questa interpretazione e ne parliamo perché si trova La massa effettiva misurata classicamente no: que-
su molti libri e su molte pubblicazioni. sta cresce con la velocità della particella di un fatto-
re γ per dare una massa classica m = γm0 dove m0 ,
Esercizio 42.3 Elettroni accelerati detta massa a riposo della particella, è la massa
della particella misurata in un sistema di riferimento
Un fascio di N elettroni è accelerato da una diffe- in cui è ferma.
renza di potenziale di 100 000 V per poi, dopo aver Come dobbiamo interpretare, invece, la parte
percorso 150 m, andare a collidere con un calori- temporale di questo quadrivettore, che vale γm0 c?
metro con 2 ` d’acqua la cui temperatura s’innalza Per capire di che si tratta è utile riscriverlo nell’ap-
di 10−4 ◦ C. Calcola quanti elettroni sono presenti prossimazione classica, cioè per v  c. In questo
nel fascio e trova il tempo impiegato a percorrere caso
la distanza che li separa dal calorimetro, una volta
usciti dall’acceleratore. 1 1
γ=p ' 1 + β2 (42.45)
soluzione → 1 − β2 2
come si evince dal Paragrafo approssimazione
Uno dei casi in cui l’interpretazione sembra fun- di funzioni dell’Appendice, equazione (57.37). La
zionare è quello del calcolo del raggio di curvatura quantità γm0 c in approssimazione non relativistica
di una particella carica in campo magnetico. Il rag- diventa quindi
gio di curvatura aumenta di un fattore γ rispetto a
quanto previsto dalla Forza di Lorentz e questo po- u2
 
1 2
trebbe far pensare al fatto che in effetti la massa au- γm 0 c ' 1 + β m 0 c = m 0 c + m0 (42.46)
2 2c
menta. Va detto che il calcolo della forza di Lorentz
in questi casi non è cosí banale come può sembra- che moltiplicata per c dà
re perché la particella carica non si muove affatto
u2
di moto rettilineo uniforme rispetto a noi fermi nel E = γm0 c2 ' m0 c2 + m0 . (42.47)
laboratorio. Tuttavia se si esegue il calcolo corretto 2
si trova il risultato dell’equazione (48.1). In realtà Il secondo addendo è l’energia cinetica della par-
la questione si può reinterpretare in altri termini: il ticella. Evidentemente anche il primo addendo ha
raggio di curvatura R determina la lunghezza della le dimensioni di un’energia. Dobbiamo quindi inter-
traiettoria L = 2πR. Se R è abbastanza grande il pretare la componente temporale di questo quadri-
moto si può considerare approssimativamente ret- vettore, come l’energia della particella divisa per la
tilineo e la lunghezza vista dalla particella carica è costante c. Ma una particella ferma in assenza di
contratta di un fattore γ rispetto a quella misurata forze non possiede energia, mentre in questo caso
da chi si trova fermo nel laboratorio. Poiché la par- avremmo che l’energia di una particella in quiete
ticella carica, nel suo sistema di riferimento, vede non è nulla, ma vale m0 c2 . Questa grandezza, det-
una lunghezza pari a quella prevista dalla formula ta energia a riposo della particella, rappresenta
classica di Lorentz, noi, nel laboratorio, la vediamo dunque l’energia posseduta da una particella ferma
piú lunga di un fattore γ. Di conseguenza il raggio per il solo fatto di avere una massa m0 .
di curvatura aumenta dello stesso fattore. In altre parole potremmo concluderne che la mas-
sa di una particella non è altro che un’altra forma di

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42.6. IL QUADRIVETTORE ENERGIA–IMPULSO 448

energia, dal momento che contribuisce a quest’ulti- Osserviamo infine che il rapporto p/E tra il mo-
ma per una quantità proporzionale a essa. Possiamo dulo della quantità di moto e l’energia totale della
quindi definire   particella vale
E
P = ,p (42.48) p γm0 βc β
c = 2
= (42.51)
E γm0 c c
come il quadrivettore energia–impulso o qua-
drimpulso che ha la componente temporale pari che in unità naturali si riscrive come p/E = β. È an-
all’energia della particella misurata in unità di c e che utile osservare che, in unità naturali, l’energia ha
quella spaziale pari alla sua quantità di moto (ri- le stesse dimensioni fisiche della quantità di moto (le
cordando di usare, per questa, la massa relativistica componenti di un quadrivettore devono sempre ave-
m = γm0 ). re le stesse dimensioni fisiche) e che anche la massa
Ricaviamo alcune relazioni utili da questo qua- ha le stesse dimensioni fisiche dell’energia. Le masse
drivettore: innanzi tutto conoscendo l’energia totale perciò si possono misurare in unità di energia e per
E = γm0 c2 di una particella e la sua massa, se ne trovare il loro valore in unità SI basta dividerne il
può ricavare il fattore di Lorentz γ = E/m0 c2 (che valore espresso in unità di energia per c . Ad esem-
2

in unità naturali diventa γ = E/m0 ). Calcoliamo pio la massa di un protone in unità naturali vale
quindi il modulo quadro del quadrimpulso: circa 1 GeV. Ricordiamo che 1 eV = 1.6 × 10−19 J,
quindi nel SI la massa del protone vale

E 2 2 γ 2 m20 c4 2 2 2 2
P2 = 2 2 2 2

−p = −γ m β c = γ m c 1 − β .
c2 c2 0 0
mp ' 1 × 109 × 1.6 × 10−19 ' 1.6 × 10−10 J . (42.52)
(42.49)
2 −1
Osservando che γ = (1 − β ) si ottiene che
2
Dividendo per c2 = 9×1016 m2 s−2 si ottiene il valore
della massa in kg: mp ' 1.6 × 10−10 /(9 × 1016 ) '
2 2 2
P = m0 c (42.50) 1.8 × 10−27 kg.
cioè che il modulo quadro del quadrimpulso è una La relazione relativistica secondo cui E 2 − p2 =
costante pari alla massa a riposo della particella m in unità naturali (in unità SI la stessa relazione
2

moltiplicata per c (in unità naturali è proprio uguale diventa E 2


− p2 c2 = m2 c4 ) ha un’interessante con-
alla massa della particella). Si tratta di una relazio- seguenza: se m = 0, E = p e quindi p/E = β = 1:
ne molto utile che permette di calcolare lo stato di la particella si muove alla velocità della luce.
una particella dopo aver interagito con altre parti- Quest’osservazione permette di affermare che,
celle, perché si può imporre che il quadrimpulso to- qualora la luce si possa considerare un flusso di
tale si conservi e che il suo modulo quadro sia ugua- particelle, queste devono avere massa nulla.
le alla massa quadra delle particelle corrispondenti
(che è invariante e quindi non dipende dal sistema
di riferimento in cui si eseguono le misure).

Esercizio 42.4 Le dimensioni di LHC

I protoni in LHC con un’energia di 7 TeV sono


mantenuti nella loro traiettoria da un campo ma-
gnetico uniforme di 8.4 T, perpendicolare alla loro
velocità. Calcola la lunghezza dell’acceleratore.
soluzione →

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42.6. IL QUADRIVETTORE ENERGIA–IMPULSO 449

Energia dalle stelle


Da dove proviene l’energia che emanano le Stel-
le, che giunge fino a noi sotto forma di luce e
calore? In effetti la risposta sta nella fisica rela-
tivistica. Nella parte piú interna delle stelle, a
causa delle alte pressioni provocate dalla forza
gravitazionale, singoli protoni si avvicinano ab-
bastanza da fondere in nuclei di elio combinan-
dosi con neutroni, a loro volta derivanti dalla
trasformazione di protoni in neutroni, elettro-
ni e neutrini. La massa di un protone in unità
di massa atomica (l’unità corrisponde a 1/12
della massa del nucleo di 12 C) è 1.008, men-
tre quella di un nucleo di elio è di 4.002602.
Partendo da quattro protoni, la cui massa to-
tale è 4 × 1.008 = 4.032, si finisce con un nu-
cleo di elio di massa piú bassa con una diffe-
renza di poco meno di 0.030. Questa differen-
za di massa è dissipata sotto forma di energia
(cinetica dei prodotti delle reazioni e dei foto-
ni emessi nel corso del processo). Ogni quattro
protoni che fondono dunque il Sole produce cir-
ca 30 MeV di energia (un’unità di massa ato-
mica corrisponde circa alla massa di un protone
che pesa approssimativamente 1 GeV in unità
naturali).

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Unità Didattica 43
Muoversi tra sistemi

e x la distanza a cui si trova l’astronave al tempo t


Prerequisiti: Relatività ristretta. misurata nel sistema di riferimento terrestre. Dopo
un anno, dalla Terra parte un segnale radio, che
Secondo quanto abbiamo appreso, per conoscere viaggia a velocità c, la cui equazione del moto si
lo stato di un oggetto non basta conoscerne posizio- può scrivere come
ne e velocità: è necessario conoscere anche l’istante
di tempo al quale lo stato è riferito e in quale riferi- xS = c (t − t0 ) , (43.2)
mento è espresso. Solo cosí è possibile esprimere lo
stato dello stesso oggetto in qualunque altro sistema dove t0 = 1. Evidentemente il segnale radio
di riferimento. raggiunge l’astronave quando x = xS , cioè per
Per capire come comportarsi quando si passa da
un sistema di riferimento a un altro possiamo proce- vt = c (t − t0 ) (43.3)
dere con un esempio, tratto (ma un po’ modificato) il che avviene per
dalla prima simulazione della prova d’esame di fisica
fornita dal Ministero della Pubblica Istruzione nel ct0
t= . (43.4)
2015. Nel problema proposto un’astronave si muove c−v
a una velocità pari al 75 % di quella della luce allon- In quest’istante l’astronave si trova in
tanandosi dalla Terra, diretta verso una destinazio-
ct0
ne molto lontana. Per ragioni tecniche è necessario x = vt = v . (43.5)
c−v
che dalla Terra sia inviato un segnale radio che in-
teragisca con i sistemi di bordo e questo viene fatto Numericamente abbiamo che
a distanza di un anno dalla partenza dell’astronave. 1
Si chiede quindi di conoscere quanto tempo passa, t=
1 − 0.75
=4
secondo gli astronauti a bordo, tra il momento del- (43.6)
1
la partenza e quello dell’invio del segnale da Terra, x = 0.75
1 − 0.75
= 3 .
nonché il tempo trascorso tra la partenza della na-
Le coordinate quadridimensionali (o, se preferite,
vicella e l’arrivo di questo segnale. Nel problema si
il suo quadrivettore spazio–temporale) dell’evento
assume che tutte le accelerazioni siano trascurabili
che consiste nel raggiungimento dell’astronave da
e che il moto sia rettilineo e uniforme.
parte del segnale radio sono, nel sistema di riferi-
Come al solito converrà esprimere tutto in uni-
mento della Terra, (4, 3) dove il primo numero rap-
tà naturali (c = 1). Secondo il controllo a Terra,
presenta il tempo (misurato in anni) e il secondo la
l’equazione del moto dell’astronave è
distanza (misurata in anni–luce).
Come si ottengono le coordinate dello stesso
x = vt (43.1)
evento nel sistema di riferimento degli astronau-
dove v = 0.75 è la velocità dell’astronave misurata ti? È semplice: basta applicare le trasformazioni di
a Terra in unità di c, t è il tempo trascorso a Terra Lorentz, secondo le quali
43.1. UNA TECNICA ALTERNATIVA 452

che con le approssimazioni fatte coincide con s2 . In


0
t = γ (t − vx)
(43.7) sostanza, ogni volta che si ha la necessità di calco-
x0 = γ (x − vt) lare il valore di una grandezza fisica misurata in un
dove sistema di riferimento in moto rispetto a un altro, è
sufficiente calcolare le coordinate dell’evento nel si-
1 stema nel quale si hanno i dati, per poi trasformarle
γ= ' 1.5 . (43.8)
1 − v2 con Lorentz.
Il risultato è che l’evento si verifica alle coordinate

t0 ' 1.5 (4 − 0.75 × 3) = 2.63 43.1 Una tecnica alternativa


(43.9)
x0 ' 1.5 (3 − 0.75 × 4) = 0 . Un altro modo (piú geometrico e grafico) di vedere
Il fatto che x = 0 è una conferma che il conto fatto
0 la stessa cosa è il seguente. Nel piano (t, x) tutti
è corretto: infatti, nel sistema di riferimento degli i punti sull’asse delle ascisse sono punti per i quali
astronauti, la coordinata spaziale alla quale il se- x = 0, mentre quelli sull’asse delle ordinate hanno in
gnale giunge presso la navicella coincide con l’origi- comune il valore di t = 0. Un evento si rappresenta
ne del sistema di riferimento, quindi doveva essere su questo piano come un punto di coordinate (t, v)
per forza x0 = 0! Le nuove coordinate, nel nuovo e il piano in questione prende il nome di piano (o
sistema di riferimento, sono dunque (2.63, 0). spazio) di Minkoski1 .
Per calcolare l’istante di tempo al quale, secondo Tutti gli eventi simultanei, che cioè avvengono
gli astronauti, il segnale parte dalla Terra è suffi- nello stesso istante di tempo, sono quelli che si tro-
ciente applicare la stessa tecnica all’evento di coor- vano lungo rette verticali, parallele all’asse spaziale
dinate (1, 0), perché il segnale parte a t = 1 dal x. Al contrario, tutti gli eventi che avvengono nel
punto x = 0: stesso punto (ma a istanti diversi) sono disposti su
rette parallele all’asse delle ascisse.
Trasformando con Lorentz un punto sull’asse dei
t0 = γt ' 1.5 tempi di un sistema in moto con velocità v rispetto
(43.10)
x0 = vγt ' −0.75 × 1.5 × 1 = −1.125 . a quello considerato (x0 = 0) si trova che
Questo significa che, secondo gli astronauti, il se- x = vγt0
gnale parte dalla Terra dopo un anno e mezzo dalla (43.13)
t = γt0 .
loro partenza, quando la Terra si trova a una di-
stanza pari a 1.125 anni–luce da loro (il segno − c’è Dividendo membro a membro si trova che xt = v o
perché la Terra si sta allontanando dalla parte delle x = vt che, nel piano di Minkoski, si rappresenta
x negative rispetto all’astronave. come una retta passante per l’origine di coefficiente
Osserviamo che il modulo quadro del quadrivet- angolare v. Tutti i punti di questa retta hanno in
tore è invariante per trasformazioni del sistema di comune il fatto che in ciascuno di essi x0 = 0: sono
riferimento: infatti, nel sistema della Terra quindi punti dell’asse temporale nel sistema in mo-
to: rappresentano quindi l’asse delle t0 nel sistema in
s2 = t2 − x2 = 16 − 9 = 7 , (43.11) moto. I punti che invece sono simultanei nel sistema
mentre nel sistema di riferimento degli astronauti In molti libri il piano di Minkoski ha la coordinata tem-
1

porale lungo l’ordinata e quella spaziale lungo l’ascissa: evi-


avremo
dentemente è la stessa cosa, ma usando questa convenzione
si rischia di commettere errori grossolani dovuti al fatto che
s02 = t02 − x02 ' 6.9 (43.12) siamo abituati a vedere le equazioni del moto rappresentate
su un piano (t, x).

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43.1. UNA TECNICA ALTERNATIVA 453

in moto e per i quali t0 = 0, trasformati con Lorentz


v = 0.25
nel sistema fermo, hanno coordinate
b

x = γx0
(43.14)
t = vγx0 .
Dividendo ancora membro a membro si trova x = vt ,
che nel piano di Minkoski è una retta passante per
l’origine, di pendenza 1/v e simmetrica, rispetto alla b
C1
b
B1

bisettrice del primo quadrante, a quella con penden- b


E1

za v. Su questa retta giacciono tutti i punti che nel


sistema in moto hanno coordinata t0 = 0 e quin-
di questa retta rappresenta l’asse delle x0 in questo
sistema. (0,1)
In definitiva, la trasformazione di Lorentz ha l’ef-
b

(1,0)b F1
fetto di schiacciare gli assi verso la bisettrice del pri- b

b
D1

mo quadrante (vedi Figura 43.1). In effetti gli assi


t0 e x0 coincidono entrambi con la bisettrice quando
v = c. È come se gli assi dello spazio di Minko- Figura 43.1 Nel sistema di riferimen-
ski si potessero rappresentare usando righelli rigidi to rappresentato in nero
il punto B1 ha coordina-
incernierati agli estremi: schiacciando con le mani
te (D1 , C1 ). Una trasfor-
due vertici opposti del quadrato che rappresenta il mazione di Lorentz in cui
sistema fermo, la forma assunta dai righelli cam- v = 0.25 cambia le coordi-
bia, assumendo quella di un rombo. Maggiore è la nate di B1 in (F1 , E1 ). Puoi
velocità relativa tra i sistemi e piú è schiacciato il sperimentare l’effetto che fa
la trasformazione di Loren-
sistema in moto. È da notare che, in ciascuna del-
tz al variare di v all’indiriz-
le due situazioni, la lunghezza dell’unità di misura zo http://tube.geogebra.
non cambia, perciò chiunque esegua una misura di org/student/m836297.
distanza con questi righelli ha la sensazione che nul-
la cambi con il variare dello stato di moto. Ma se
θ = arctan v, essendo v la pendenza della retta che
si confrontano le misure fatte dall’uno e dall’altro,
giace sull’asse x0 . Analogamente le coordinate del
queste non coincidono (basta osservare che i pun-
punto (0, 1) del sistema in moto sono (sin θ, cos θ).
ti in cui s’incrociano le rette della griglia nera non
Individuati questi due punti sul piano basta trac-
coincidono piú con quelli in cui s’incrociano le rette
ciare le rette passanti per l’origine e per questi due
della griglia rossa).
punti per avere la direzione degli assi coordinati nel
Gli eventi che nel sistema in moto avvengono si-
sistema in moto. Le coordinate spazio–temporali di
multaneamente si trovano tutti su rette parallele al-
un qualunque evento B1 nel piano si ricavano nel
l’asse x0 , mentre gli eventi che avvengono a tempi
sistema fermo tracciando le rette parallele agli assi
diversi, ma nello stesso punto, sono allineati su rette
x e t e trovando i punti d’intersezione con gli assi di
parallele all’asse t0 .
questo sistema (in nero). Quelle nel sistema in moto
Per disegnare il grafico in questione puoi procede-
si ricavano conducendo da B1 le rette parallele agli
re in questo modo: il punto che ha coordinate (1, 0)
assi x0 e t0 . Ii punti in cui queste rette intersecano
nel sistema in moto (in rosso nella figura), in quello
gli assi x0 e t0 , misurati in unità di distanza tra l’ori-
fermo ha coordinate (cos θ, sin θ), dove θ è l’angolo
gine e i punti di coordinate (0, 1) e (1, 0) nel sistema
formato tra l’asse t e quello t0 , che si ricava come
in moto, rappresentano le coordinate dell’evento nel

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43.1. UNA TECNICA ALTERNATIVA 454

e il valore di q si trova imponendo il passaggio per


B1 :
v = 0.75

x
x′ 3 = 0.75 × 4 + q (43.16)
da cui si ricava che q = 0. Questo risultato è in ac-
t′
cordo con quello che abbiamo trovato prima, perché
implica che l’evento si trovi sull’asse delle t0 , doven-
C1
do avere x0 = 0. Anche graficamente si vede che il
punto B1 sta sull’asse t0 . La retta parallela all’altro
b b
B1

(0,1)
b asse invece ha equazione
b

(1,0)

t t
(43.17)
E1 D1

+q x=
b b

v
e di nuovo q si determina imponendo il passaggio
Figura 43.2 L’equazione del moto dell’a- per B1 :
stronave, x = vt, si rappre-
senta come una retta coin- 4
cidente con l’asse t0 . Il se- 3=
+q (43.18)
gnale radio partito dalla Ter- 0.75
ra dopo un anno è rappre- per cui q ' −2.33. Cerchiamo l’intersezione tra que-
sentato dalla linea arancio- sta retta (rappresentata in verde nella figura) e l’as-
ne. Il punto d’intersezione è
se delle t0 : dobbiamo mettere a sistema l’equazione
B1 che rappresenta l’even-
to consistente nel raggiungi- di questa retta con quella dell’asse per cui avremo
mento dell’astronave da par- che
te del segnale. Osservate che
la coordinata spaziale dell’e- t
+ q = vt (43.19)
vento coincidente con la par- v
tenza del segnale radio per gli
il che si verifica quando
astronauti è negativa.
 
1
t v− =q (43.20)
nuovo sistema. v
Un esempio chiarirà il meccanismo: secondo i tec- cioè per
nici rimasti a Terra dell’esempio riportato al para-
grafo precedente, le coordinate spazio–temporali del qv
t= = −qvγ ' 2.62 . (43.21)
punto in cui il segnale radio inviato da Terra dopo −1 v2
un anno dalla partenza raggiunge l’astronave, so- Potete verificare che il risultato è corretto osservan-
no B1 = (4, 3) (Figura 43.2), dove il primo numero do che il punto B1 nella Figura 43.2 si trova circa
rappresenta il tempo t misurato in anni dai tecnici a metà tra il punto di coordinate (2, 0) e quello di
a Terra e il secondo la distanza x alla quale si trova coordinate (3, 0) nel sistema (t0 , x0 ). Algebricamen-
l’astronave secondo costoro. te avevamo trovato lo stesso risultato (a meno di un
Le rette che rappresentano gli assi coordinati nel decimale, a causa degli arrotondamenti fatti).
sistema in moto hanno equazione x = vt e x = vt , ri- Le stesse coordinate di B1 si possono facilmen-
spettivamente. La retta parallela all’asse t0 passante te trovare con questo metodo grafico: l’equazione
per B1 ha equazione del moto dell’astronave, per chi sta a Terra, è in-
fatti x = vt e quindi la sua rappresentazione grafica
x = vt + q (43.15) coincide con l’asse delle t0 . Quella del segnale radio è

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43.2. ACCELERATORI E COLLIDER 455

x = c (t − t0 ) con t0 = 1, che nella rappresentazione (ad esempio, un fascio di protoni contro un bersa-
grafica è una retta passante di pendenza c = 1 che glio di carbonio, a sua volta costituito di protoni).
passa per il punto (t0 , 0), che è poi quella riprodotta Il quadrimpulso totale di questo sistema è
in arancio nella figura. Il punto in cui il segnale rag-
giunge l’astronave è quello in cui la retta arancione
e quella di equazione x = vt (in rosso, coincidente (E, p) + (m, 0) = (E + m, p) . (43.22)
con l’asse t0 ) s’incrociano: si vede subito che questo
Il modulo quadro di questo quadrivettore è
punto è B1 .
Il metodo grafico può essere un po’ piú laborioso
s2 = E 2 + m2 + 2Em − p2 (43.23)
di quello algebrico, ma è un sistema rapido per veri-
ficare, almeno a occhio, di non aver commesso errori ma E 2 − p2 = m2 e quindi
con l’algebra. Basta un righello e un foglio di carta:
si tracciano gli assi coordinati del sistema in moto e s2 = 2m (E + m) . (43.24)
si rappresentano le equazioni del moto degli ogget- Se nell’urto si potesse produrre una particella √ di
ti nel piano (t, x). I segnali luminosi (e tutti quelli massa M questa avrebbe una massa pari a s2 ,
che in generale si muovono a velocità c) si rappre- perché il suo quadrimpulso sarebbe, per la conserva-
sentano come rette parallele alla bisettrice, mentre zione di quest’ultimo, pari alla somma dei quadrim-
per trovare le coordinate dei punti nel sistema in pulsi delle particelle iniziali. Dunque per produrre
moto basta condurre le rette parallele ai nuovi assi particelle di massa M occorrono fasci di protoni di
passanti per gli eventi d’interesse. energia pari a

M2
43.2 Acceleratori e collider − m.
E= (43.25)
2m
Un altro effetto della trasformazione di una gran- Possiamo anche dire che l’energia disponibile per
dezza fisica da un sistema di riferimento a un altro la produzione di massa cresce come la radice del-
in moto relativo si ha negli esperimenti di fisica del- l’energia del fascio. Se volessimo produrre un bo-
le particelle, nei quali si produce lo scontro tra una sone di Higgs usando fasci di protoni, sapendo che
particella proiettile e una bersaglio. m ' 1 GeV e M ' 125 GeV abbiamo
Dal momento che l’energia e la massa sono di fat- 1252
to la stessa cosa possiamo pensare di produrre ener- E' − 1 ' 7 800 GeV . (43.26)
2
gia consumando massa o viceversa. La produzione
di energia a spese della massa è il meccanismo che È una quantità d’energia enorme (trasformatela in
tiene accese le stelle (vedi box) e le centrali nucleari Joule per rendervene conto). Se invece volessimo
nelle quali i nuclei di uranio sono spezzati in parti produrre questa stessa particella usando fasci di
piú piccole la cui somma delle masse è inferiore a uguale energia che collidono l’uno contro l’altro il
quella del nucleo originario. quadrimpulso totale sarebbe
Per creare massa dall’energia si può far urtare una
particella di energia abbastanza elevata su un ber- (E, p) + (E, −p) = (2E, 0) . (43.27)
saglio: l’energia della collisione è disponibile per la In questo caso l’energia disponibile per produrre una
produzione di particelle. Per capire quanta energia particella è
serve usiamo le proprietà dei quadrivettori, conside- √ √
rando dapprima il caso di una particella con massa s= s2 = 4E 2 = 2E , (43.28)
m, di energia E e quantità di moto p che urta contro
cioè la semplice somma delle energie delle particelle
un bersaglio costituito di particelle dello stesso tipo
collidenti. Per produrre un bosone di Higgs dunque

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43.2. ACCELERATORI E COLLIDER 456

basterebbero due protoni di energia pari a 125/2 =


62.5 GeV. Molto meno di prima!2
È per questo che si costruiscono gli accelerato-
ri circolari collisori o collider: l’energia disponi-
bile per produrre nuove particelle infatti cresce li-
nearmente con la massa delle particelle da produrre,
mentre nel caso di macchine a bersaglio fisso cresce
come il quadrato della massa.

2
In realtà occorre molto di piú perché i protoni non sono
particelle puntiformi, ma composte di quark. A scontrarsi
dunque sono questi ultimi, piú leggeri e con energia minore.

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Unità Didattica 44
La Relatività Generale

trasformazioni di Lorentz, che possiamo scrivere in


Prerequisiti: trasformazioni di coordinate, si- forma compatta come
stemi inerziali e non inerziali, dinamica elementare,
relatività ristretta x0µ = Lµν xν (44.1)
La teoria della relatività ristretta permette di dove nell’espressione sopra riportata s’intende la
predire il comportamento osservato di oggetti che somma su tutti gli indici ripetuti e µ = 0, . . . , 3
si muovono di moto rettilineo uniforme rispetto a rappresentano gli indici relativi alle componenti
un osservatore. Appare subito chiaro che limitare del quadrivettore. In sostanza x = (t, x, y, z) =
le predizioni a questo tipo di moto non è per nul- (x0 , x1 , x2 , x3 ). Lµν è qualcosa che ha due indici,
la soddisfacente: nulla si muove realmente di moto le cui componenti rappresentano i coefficienti del-
rettilineo uniforme. È dunque opportuno studiare i la trasformazione. Applicando l’equazione (44.1) si
moti relativi di sistemi accelerati (non inerziali), alla ha quindi che
luce dei risultati ottenuti avendo discusso la relati-
vità ristretta. È questo l’oggetto della teoria della x00 = L00 x0 + L01 x1 + L02 x2 + L03 x3 (44.2)
relatività generale.
Sfortunatamente l’apparato matematico necessa- e nello specifico, sapendo che t0 = γ (t − βx), abbia-
rio a trattare questo tipo di moti è particolarmente mo che L00 = γ, L01 = −γβ, L02 = 0 e L03 = 0. Allo
complesso e dunque risulta sempre molto complica- stesso modo, dalla trasformazione x0 = γ (x − βt) e
to introdurre questa teoria ai non esperti. In questo dall’equazione
capitolo proviamo quanto meno a introdurre le linee
generali e i concetti alla base di questa teoria. x01 = L10 x0 + L11 x1 + L12 x2 + L13 x3 (44.3)
si ricava che L10 = −γβ, L11 = γ, L12 = 0 e L13 = 0.
44.1 La misura nei vari sistemi Non è difficile trovare tutte le 16 componenti di L,
che si può esprimere come una matrice. È abbastan-
di riferimento za chiaro che fare una teoria che permetta di scri-
vere le equazioni del moto in sistemi di riferimento
La relatività ristretta insegna che per definire lo sta-
qualunque significa fare una teoria che consenta di
to di un evento in un sistema di riferimento occorre
individuare le componenti della matrice L (che piú
fornire oltre alla posizione degli oggetti che si stan-
propriamente si chiama tensore, che in matemati-
no misurando, anche il tempo della misura misurato
ca definisce le relazioni geometriche esistenti tra le
da un orologio solidale con il sistema di riferimen-
coordinate dei vettori in uno spazio qualunque).
to usato per misurare le posizioni. Secondo questa
Possiamo usare un tensore per esprimere la lun-
teoria, passando da un sistema di riferimento a un
ghezza del quadrivettore, definendo il modulo qua-
altro in moto rettilineo uniforme rispetto al primo,
dro di un quadrivettore x, che sappiamo essere
le coordinate dei quadrivettori si trasformano con le
un’invariante, come
44.2. IL PRINCIPIO DI EQUIVALENZA 458

In entrambi i casi il valore numerico della distanza


2 µ ν
s = gµν x x . (44.4) sarebbe lo stesso, ma in uno spazio curvo i valo-
Ricordando che questa scrittura significa che ri di gµν sono tali da cambiare la distanza tra due
occorre sommare sugli indici ripetuti abbiamo che punti rispetto a quella che si avrebbe in uno spa-
zio piatto. Se calcoliamo la distanza tra due punti
su un piano otteniamo un valore che è diverso da
s2 = gµ0 xµ x0 + gµ1 xµ x1 + gµ2 xµ x2 + gµ3 xµ x3 (44.5) quello che si otterrebbe se questo piano fosse ada-
giato sulla superficie curva della Terra. La distanza
in cui ancora l’indice µ è ripetuto e perciò euclidea tra i punti è la corda che unisce i due pun-
ti adagiati su una sfera, mentre la distanza effettiva
s2 =g00 x0 x0 + g10 x1 x0 + g20 x2 x0 + g30 x3 x0 + sarebbe la lunghezza dell’arco di circonferenza che li
unisce. In generale per spazio curvo s’intende uno
g01 x0 x1 + g11 x1 x1 + g21 x2 x1 + g31 x3 x1 + spazio in cui le relazioni geometriche sono tali da
g02 x0 x2 + g12 x1 x2 + g22 x2 x2 + g32 x3 x2 + non riprodurre i risultati della geometria euclidea.
g03 x0 x3 + g13 x1 x3 + g23 x2 x3 + g33 x3 x3 Quello che ci possiamo aspettare è che i valori
(44.6) assunti dal tensore metrico dipendano dalla trasfor-
Confrontando con l’espressione della lunghezza del- mazione. Nel caso delle trasformazioni di Lorentz
l’invariante
 di Lorentz s = t − (x + y + z ) =
2 2 2 2 2
il tensore metrico è simmetrico e sulla diagonale ci
2 2 2 2
(x0 ) − (x1 ) + (x2 ) + (x3 ) si vede subito che sono i valori (+1, −1, −1, −1). Ma se si passa a de-
scrivere la fisica in un sistema di riferimento non
gµν = 0 ogni volta che µ 6= ν e in caso contrario
inerziale le trasformazioni non saranno piú quelle di
vale −1 se µ = ν 6= 0 e +1 se µ = ν = 0.
Lorentz e i valori del tensore metrico cambiano.
Il tensore gµν si chiama tensore metrico per-
Naturalmente nel caso inerziale la trasformazione
ché serve per calcolare la lunghezza dei segmenti
assume sempre la stessa forma, perché il moto re-
che hanno un estremo nell’origine del sistema di ri-
lativo tra i sistemi di riferimento è unico: cambiano
ferimento e l’altro nel punto scelto. I valori di gµν
solo i valori, non la forma della trasformazione. Nel
dipendono, naturalmente, dalle caratteristiche del
caso invece dei sistemi di riferimento non inerziali
sistema di riferimento scelto per esprimere le coor-
il moto relativo potrebbe essere qualunque e quindi
dinate e dalle proprietà dello spazio. Ce ne possia-
non è possibile scrivere una trasformazione generica
mo rendere conto facilmente considerando un siste-
come quella di Lorentz che valga per tutti i sistemi.
ma di riferimento cartesiano bidimensionale, in cui
Ogni moto avrà la sua propria trasformazione. Se
il tensore metrico gµν è una matrice 2 × 2. In que-
ne potrebbe trarre la conseguenza che quindi non
sto sistema il punto (x, y) = (x0 , x1 ) individua un
si potrebbe imparare niente di realmente nuovo da
punto che dista dall’origine una quantità r pari a
2 2 questo studio, ma in realtà non è cosí.
r2 = (x0 ) + (x1 ) cosicché in questo sistema di
riferimento g00 = g11 = +1 e g01 = g10 = 0. Se
invece scegliamo di rappresentare il punto in coor- 44.2 Il principio di equivalenza
dinate cartesiane abbiamo che le coordinate sono
(r, θ) = (x00 , x01 ) dove Già sappiamo che quando si descrive il moto di qual-
( cosa osservandolo da un sistema di riferimento non
x = x0 = r cos θ = x00 cos x01 inerziale, nelle equazioni del moto compaiono dei
(44.7)
y = x1 = r sin θ = x00 sin x01 . termini che hanno la stessa forma matematica di
una forza e per questo diciamo che nei sistemi di
In questo caso la lunghezza quadra del vettore è
2 riferimento non inerziali si producono le forze ap-
semplicemente r2 = (x00 ) , quindi gµν = 0 sempre
parenti. Queste forze sono dette apparenti proprio
tranne che per µ = ν = 0 per il quale vale g00 = 1.

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44.2. IL PRINCIPIO DI EQUIVALENZA 459

perché non esistono in quanto tali: non sono forze ha le dimensioni di una forza e che deve essere tale
nel senso che non sono il prodotto di un’interazione. da annullare l’accelerazione. Se Fapp = ma vedia-
Sono solo matematicamente equivalenti a forze. mo subito che il risultato è che la risultante delle
Un esempio ben noto è la forza centrifuga. Se forze applicate è nulla. Nel caso del moto circola-
mettiamo in rotazione con le mani un sasso legato re uniforme l’accelerazione è diretta verso il centro
a uno spago, sulle dita percepiamo una forza che ti- della traiettoria e vale v 2 /r dove v è il modulo del-
ra verso il sasso. Molti ritengono erroneamente che la velocità del sasso e r la sua distanza dall’asse di
questa forza sia la forza centrifuga. In realtà non rotazione. La forza centrifuga quindi vale
è altro che la tensione dello spago che si manifesta
per effetto della terza Legge di Newton dal momento v2
Fapp = m
r̂ . (44.9)
che all’altro capo è presente una forza centripeta, r
diretta cioè verso la mano. In assenza dello spago il La forza centripeta (che invece è una forza vera,
sasso si muoverebbe di moto rettilineo allontanan- effettivamente dovuta a una qualche interazione),
dosi dalla mano. Trascinando con sé lo spago, anche vale
i punti di questo si dovrebbero muovere di moto ret-
tilineo. Ma quando lo spago si tende, le dita della v2
F = −m
r̂ , (44.10)
mano lo trattengono applicando una forza diretta r
verso la mano stessa. Il punto di contatto tra la ma- e l’accelerazione del sasso (misurata nel sistema di
no e lo spago non si muove perché si desta una forza riferimento in cui è fermo) è nulla. Da quanto sopra
di reazione diretta verso l’esterno che annulla l’ef- se ne deduce che scrivere le trasformazioni che per-
fetto della forza applicata dalla mano. La forza di mettono di passare da un sistema di riferimento a un
reazione è il risultato della somma delle forze (di altro in moto accelerato rispetto al primo equivale
tipo elettromagnetico) che si esercitano tra le parti- a trattare un problema in cui sia localmente pre-
celle di cui è composto lo spago e che impediscono sente una forza. E non una forza qualsiasi, ma una
a questo di dissolversi. Di conseguenza ogni punto forza di tipo gravitazionale. Perché sappiamo che la
dello spago è soggetto a questa forza e a una forza seconda Legge di Newton dice che l’accelerazione a
uguale e contraria per effetto della terza Legge di subita da un corpo di massa mi è proporzionale alla
Newton. All’altro capo dello spago (quello cui è le- forza applicata
gato il sasso) dunque c’è una forza diretta verso la
mano prodotta dalle forze interne dello spago, non F
, a= (44.11)
annullata da altre forze. È questa forza, centripeta mi
appunto, che produce l’accelerazione che fa cambia- ma al contempo sappiamo che la forza di gravità si
re la direzione della velocità e fa muovere il sasso di scrive F = mG g dove mG = mi . Quest’ultimo fatto
moto circolare. è un fatto sperimentale. Non c’è alcuna ragione per
Se però osserviamo lo stesso fenomeno stando se- la quale il coefficiente che sta a denominatore nella
duti sul sasso, vedremmo il sasso fermo accanto a Legge di Newton debba essere uguale alla costante
noi! Se il sasso è fermo e resta tale vuol dire che non di accoppiamento delle interazioni gravitazionali. La
ci sono forze in questo sistema e per far valere la fisica relativistica dunque dovrà essere equivalente
seconda Legge di Newton siamo costretti a scrivere (almeno localmente) alla fisica della gravitazione.
che, in questo particolare sistema di riferimento, Se non possiamo eseguire misure di oggetti molto
distanti da noi (se ad esempio siamo chiusi in una
ma = F + Fapp (44.8) stanza senza finestre) e vediamo degli oggetti cadere
non possiamo sapere se questi cadono perché c’è un
dove F è la risultante delle vere forze agenti sul sas-
campo di forze gravitazionali oppure perché l’intera
so (la tensione dello spago), e Fapp è qualcosa che
stanza è accelerata verso l’alto. Potremmo saperlo

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44.3. LA GEOMETRIA DELL’UNIVERSO 460

studiando il moto di oggetti lontani come i pianeti, La lettera di Leibniz a Clarke


per questo diciamo che il principio di equivalenza è In una delle lettere che Leibniz invia a Samuel
valido localmente. Clarke, pubblicate dopo la sua morte, si legge:
Da quanto abbiamo detto sopra si capisce che la ”As for my own opinion, I have said more than
trasformazione da applicare passando da un sistema once that I hold space to be something purely
a un altro determina le proprietà geometriche del- relative, as time is, that I hold it to be an order
lo spazio–tempo e dal momento che trovarsi in un of coexistences, as time is an order of succes-
sistema di riferimento accelerato equivale a trovar- sions.”. E ancora ”I have many demonstrations
si in un campo gravitazionale, ne concludiamo che to confute the fancy of those who take space to
la presenza di un campo gravitazionale è equiva- be a substance or at least an absolute being.” e
lente alla presenza di una geometria distorta dello ne illustra una, di tali confutazioni (che per la
spazio–tempo nei pressi delle sorgenti del campo (il scienza moderna suona poco appropriata, ma
campo è piú intenso vicino ai corpi massicci e lí la l’idea di base è in fondo corretta): ”without the
geometria somiglierà meno a quella euclidea rispetto things placed in it [the space, ndr], one point
a quella che si ha piú lontano). of space absolutely does not differ in any re-
La relatività generale, in definitiva, permette di spect whatsoever from another point of space.
scrivere in generale la trasformazione di coordinate Now from this it follows [...] that it is impossible
da un sistema di riferimento a un altro sistema acce- there should be a reason why God, preserving
lerato rispetto al primo, ma oltre a ciò rappresenta the same situations of bodies among themselves,
una teoria del campo gravitazionale inteso come una should have placed them in space after one cer-
distorsione delle proprietà geometriche dello spazio– tain particular manner and not otherwise”. In
tempo dovuta alla presenza delle masse, che sono le sostanza Leibniz afferma che lo spazio non può
sorgenti del campo gravitazionale. essere assoluto perché non ci sarebbe nessuna
ragione per la quale gli oggetti che noi osservia-
mo sono qui e non altrove. Se fossero disposti
44.3 la geometria dell’Univer- nello stesso modo in un altro punto di uno spa-
so zio assoluto non potremmo distinguere questa
situazione da quella attuale, dunque quello che
Di fatto la relatività generale è una teoria sulla geo- conta non è lo spazio in sé, ma le relazioni tra
metria dello spazio (o, per essere piú precisi, dello gli oggetti.
spazio–tempo, cioè dello spazio quadridimensio-
nale introdotto con la teoria della relatività ristret-
ta). È interessante osservare che l’idea che lo spazio pia [?], nello scolio1 alla fine del capitolo sulle de-
e il tempo non siano qualcosa di assoluto, ma che finizioni, cita un esperimento ideale per dimostrare
la loro percezione dipenda dall’osservatore, non è l’assolutezza dello spazio: si prenda un secchio pie-
stata introdotta per la prima volta da Einstein con no d’acqua sospeso a una corda attorcigliata. La-
le sue teorie: già il filosofo e matematico Leibniz nel sciando andare la corda il secchio comincia a ruota-
1715 aveva intuito che lo spazio, cosí come il tempo, re rapidamente, mentre l’acqua, all’inizio, è ferma.
andavano considerati come ”qualcosa di puramente Man mano che la corda si svolge, l’acqua si dispone
relativo”. Lo spazio, per Leibniz, ”è un ordine del- in modo tale da formare una superficie concava. Il
le coesistenze”, mentre il tempo ”è un ordine delle moto dell’acqua relativo al secchio non ha alcuna
successioni” [?]. importanza, per Newton, dal momento che rispetto
La disputa sulla natura dello spazio e del tempo,
Con questo termine s’intendeva una specie di commento
1
quindi, è molto antica. Anche Newton, nei Princi- conclusivo al termine di una serie di dimostrazioni formali.

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44.3. LA GEOMETRIA DELL’UNIVERSO 461

al secchio l’acqua sarebbe ferma. Il fatto che l’acqua


risalga i bordi del secchio implica l’esistenza di uno
spazio assoluto rispetto al quale l’acqua sa di ruota-
re. Ernst Mach confutò questo esperimento (molti
anni dopo, alla fine del XIX secolo) osservando che
il moto dell’acqua nel secchio deve essere in qualche
modo il risultato delle interazioni con il resto del-
l’Universo: se infatti togliessimo tutto dal’Universo
tranne il secchio con l’acqua non potremmo nean-
che dire che il secchio sta ruotando, perché non si
potrebbe stabilire rispetto a cosa stia ruotando.
L’idea alla base della relatività generale di Ein-
stein è che l’acqua nel secchio s’incurva, quando
ruota, perché interagisce (gravitazionalmente) con il
resto dell’Universo e questa interazione non è altro
che il risultato della geometria assunta dall’Universo Figura 44.1 Lo spazio è una relazione tra
per il fatto che in esso i corpi assumono certe relazio- oggetti e non è qualcosa di
assoluto. Per questo non esi-
ni spazio–temporali. Un Universo in cui sia presen- ste un confine dello spa-
te una sola particella puntiforme è un Universo nel zio, come quello immagina-
quale lo spazio è semplicemente un concetto privo to da Camille Flammarion in
di senso: lo spazio non esiste in questo Universo. quest’incisione.
Con due particelle si può solo definire la distanza
tra le due particelle, quindi al piú si può definire clideo, nel quale due rette parallele non s’incontrano
uno spazio unidimensionale, ma anche in questo ca- mai, ma curvo. Anche se può sembrare strano, uno
so avremmo qualche problema, perché non avremmo spazio curvo non è una cosa cosí astrusa: supponia-
la possibilità di definire un’unità di misura. Lo spa- mo di essere fermi al Polo Nord in compagnia di
zio piú semplice, che abbia un minimo interesse, che un amico e di decidere di separarci procedendo in
possiamo immaginare è formato da almeno tre par- due direzioni opposte sempre dritti davanti al nostro
ticelle. Se una delle tre si sposta rispetto alle altre naso. In uno spazio piatto non c’incontreremmo piú
possiamo misurare l’esistenza di un fenomeno, che con il nostro amico e sarebbe meglio salutarsi per
consiste nella variazione della posizione della par- sempre. Ma sulla Terra, sulla quale lo spazio non è
ticella rispetto alle altre. Lo spazio, dunque, come piatto, dopo un po’ di tempo (e qualche difficoltà
ente assoluto, non esiste. Lo spazio è semplicemente di ordine pratico che assumiamo di poter superare)
determinato dalle cose che vi sono immerse: è una ci vedremmo venire incontro l’un l’altro in prossi-
relazione tra oggetti. mità del Polo Sud. Se poi continuassimo a cammi-
Se la materia nell’Universo fosse infinita, lo sareb- nare dritti (non prima di esserci salutati di nuovo)
be anche lo spazio, ma se cosí non è lo spazio stesso prima o poi c’incontreremmo nuovamente al Polo
deve essere finito. Quest’affermazione può generare Nord e cosí via all’infinito. Pur camminando sem-
un po’ di confusione perché uno s’immagina che re- pre in avanti non raggiungeremmo mai un confine,
candosi in prossimità della galassia piú lontana dal un limite. Nonostante questo sappiamo bene che la
centro dell’Universo dovrebbe vedere una specie di superficie della Terra non è infinita. Ci troviamo, in
confine oltre il quale non c’è nulla pur tuttavia si questo caso, in uno spazio finito, ma illimitato.
potrebbe immaginare l’esistenza di uno spazio. La superficie della Terra è uno spazio curvo bi–
Un modo per superare l’impasse consiste nell’as- dimensionale (ci si può muovere solo su due dimen-
sumere che lo spazio non sia piatto come quello eu-

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44.4. EFFETTI GRAVITAZIONALI SUL TEMPO 462

sioni, almeno in prima approssimazione). Se descri- sue variazioni) rispetto alle coordinate dello spazio–
viamo il nostro moto in uno spazio tri–dimensionale tempo. Con questo tensore e con il tensore metrico si
la geometria è euclidea, naturalmente. Non lo è solo può costruire un oggetto che è anch’esso un tensore,
quando scriviamo le relazioni tra gli oggetti usando perché è la somma di due tensori:
solo due numeri invece che tre.
Se lo spazio tri–dimensionale cui siamo abituati 1
Gµν = Rµν + gµν R (44.13)
fosse curvo potremmo fare il seguente esperimen- 2
to: con il nostro amico ci piazziamo in un punto dove R è una combinazione delle componenti di Rµν .
dell’Universo e guardiamo entrambi nella stessa di- Questo tensore non può che essere uguale a un altro
rezione. Uno dei due resta fermo e l’altro comincia tensore, le cui componenti devono dipendere dal-
a camminare sempre dritto davanti a sé. Cammina, la distribuzione di materia ed energia: il tensore
cammina, prima o poi succederà che il nostro amico energia–impulso2 Tµν . L’unica relazione possibi-
ce lo vedremmo arrivare alle nostre spalle! le è una relazione di proporzionalità la cui costante
In uno spazio come questo le relazioni geometri- si determina essere 8πG/c4 dove G è la costante di
che tra gli oggetti cambiano, anche se in maniera gravitazione universale e quindi
per noi impercettibile. Resta però valido il princi-
8πG
pio generale secondo il quale le distanze quadre tra Gµν = Tµν . (44.14)
c4
i punti dello spazio e l’origine delle coordinate si
possono scrivere come In assenza di materia ed energia Tµν = 0 per ogni
coppia µ, ν. In questo caso Gµν = 0 il che implica
s2 = gµν xµ xν . (44.12) che le variazioni delle gµν siano nulle per cui gµν
risulta essere costante ed evidentemente deve es-
L’unica differenza consiste nel fatto che ora le com- sere proprio il tensore determinato dalla relatività
ponenti di gµν non sono piú quelle di prima, e in ristretta.
generale non sono costanti. Capire come si scrivono In presenza di materia, invece, lo spazio–tempo
le gµν in funzione della distribuzione delle masse è si deforma e la forza di gravità che si esercita tra
un compito troppo arduo per un non esperto, che ri- i corpi non è altro che il risultato di questa defor-
chiede una matematica troppo avanzata. Ma alcune mazione. Come una persona che cammini in linea
considerazioni di carattere generale possiamo farle. retta su una superficie curva come la Terra percorre
Dal momento che per la relatività ristretta massa di fatto una traiettoria curva, un corpo che si muo-
ed energia sono la stessa cosa (nel senso che l’u- ve in linea retta in uno spazio curvo come quello
na si può trasformare nell’altra), la geometria del- prodotto dalla presenza di un’altra massa nell’Uni-
l’Universo non dipenderà solo dalla distribuzione di verso percorrerebbe una traiettoria che, vista da un
materia, ma anche dalla distribuzione di energia. ipotetico sistema inerziale, apparirebbe curva.
Inoltre, per ogni componente di gµν si potrebbe
scrivere, in linea di principio, un’equazione che di-
ce come varia la componente in esame in funzione 44.4 Effetti gravitazionali sul
della distribuzione di materia ed energia. Si pos-
sono cioè scrivere 16 equazioni che ci dicono come
tempo
variano le diverse componenti di gµν nei diversi pun- La teoria della relatività ristretta afferma che il tem-
ti dello spazio–tempo in relazione alla presenza, in po non è assoluto, ma scorre in modo diverso nei di-
certi punti, di materia o energia. A partire da que- versi sistemi di riferimento. La teoria della relatività
ste 16 equazioni si può costruire un oggetto che è generale ci dice invece che trovarsi nelle vicinanze di
anch’esso un tensore, detto Tensore di Riemann
Rµν . In effetti Rµν contiene le derivate di gµν (le L’impulso o quantità di moto dipende dalla massa,
2

dunque dà il contributo della materia a questo tensore

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44.4. EFFETTI GRAVITAZIONALI SUL TEMPO 463

un corpo massivo equivale a trovarsi in un sistema


di riferimento non inerziale (quindi sicuramente in M
G = −G (44.17)
moto). r
dove M è la massa della Terra e r la distanza dal
Esercizio 44.1 Spazi curvi centro. Evidentemente il potenziale ha le dimensio-
ni di un’energia divisa per una massa, quindi ha le
Gli orologi atomici che si trovano a bordo dei sa- dimensioni di una velocità al quadrato. L’unico mo-
telliti GPS sono soggetti a una forza gravitazionale do di costruire una grandezza adimensionale quindi
inferiore rispetto a quella cui sono soggetti gli oro- consiste nel dividere questa quantità per una ve-
logi a Terra. Calcola l’anticipo degli orologi di bor- locità al quadrato, che non può che essere l’unica
do dovuto alla curvatura dello spazio–tempo pro- velocità indipendente dai sistemi di riferimento: c.
dotta dalla massa della Terra. Deve quindi essere
soluzione →  
M
t' 1+G 2 τ, (44.18)
cr
Il campo gravitazionale diminuisce come 1/r2 con che è praticamente identica al risultato che si trova
la distanza r dal centro del corpo che lo genera, usando la teoria completa. Il segno + presente in
quindi il campo è piú intenso vicino alla superficie questa relazione indica che il tempo in prossimità
della Terra e meno intenso ad alta quota. Un oro- di un corpo massivo scorre piú lentamente rispet-
logio a Terra, dunque, segna il tempo come se si to a quello che scorre in punti dell’Universo lontani
trovasse in un laboratorio piú accelerato rispetto a da sorgenti di campo gravitazionale. Che il segno sia
un orologio a bordo di un satellite. Di conseguenza il giusto lo si capisce osservando che in assenza di cam-
tempo a Terra scorre piú lentamente di quanto non pi non ci sono accelerazioni ed è come se l’orologio
faccia a bordo di un satellite. La teoria della rela- fosse in un sistema di riferimento fermo. In presen-
tività generale permette di calcolare a quanto am- za di accelerazioni si misura una forza ed è come
monta il ritardo, ma i calcoli sono molto complicati. se l’orologio si muovesse. Per accelerazioni piccole
Nonostante questo si può ottenere un’ottima stima il sistema si deve comportare come nella relatività
del ritardo relativo tra gli orologi usando semplici ristretta e rispetto al caso dell’orologio fermo de-
argomenti dimensionali. Se t è il tempo a Terra e τ ve risultare una durata maggiore dell’intervallo di
quello a bordo del satellite, sicuramente deve essere tempo.
t = ατ (44.15)
dove α è una costante adimensionale. α deve potersi
scrivere nella forma

α'1+δ (44.16)
perché in assenza di campo gravitazionale dev’es-
sere t = τ e quindi δ = 0. Evidentemente δ deve
dipendere dal potenziale del campo gravitazionale3
che sappiamo scrivere come
3
Deve dipendere dal potenziale e non dal campo perché
deve essere uno scalare, come il potenziale, mentre il campo
è un vettore.

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44.4. EFFETTI GRAVITAZIONALI SUL TEMPO 464

Il paradosso dei gemelli - 2 Che cos’è lo spazio http://www.radioscienza.


Il fatto che il tempo scorra in maniera diversa it/2012/09/16/lo-spazio/
in sistemi di riferimento in moto l’uno rispet- E = mc2 http://www.radioscienza.it/2013/
to all’altro sembra causare un paradosso per- 11/01/emc2/
ché il risultato di una misura, che consiste nel
confrontare l’età di uno dei gemelli con quel- Il GPS http://www.radioscienza.it/2012/06/
la dell’altro, è diverso secondo il punto di vista 18/il-gps/
adottato. In realtà il paradosso non esiste per-
ché la misura è impossibile dal momento che la La teoria della Relatività http://www.
relatività ristretta si applica solo nel caso di si- radioscienza.it/2013/01/16/
stemi di riferimento inerziali e un’astronave che la-teoria-della-relativita/
parte e torna successivamente da dov’è partita
La Relatività Generale http://www.
di sicuro accelera in almeno tre fasi del viaggio
radioscienza.it/2013/06/28/
(partenza, inversione del moto, arrivo).
la-relativita-generale/
La relatività generale risolve il paradosso affer-
mando che in effetti il viaggiatore torna con
un’età diversa rispetto a quella del gemello.
Mentre nei sistemi di riferimento in moto rettili-
neo uniforme l’uno rispetto all’altro non è pos-
sibile stabilire in maniera oggettiva quale dei
due sia in moto e quale sia fermo (ma si può
davvero stabilire che un sistema di riferimento
è fermo?), nel caso di sistemi di riferimento ac-
celerato si può sempre dire quale dei due sia in
moto e quale no: quello nel quale si manifestano
le forze apparenti è il sistema in moto. Nel siste-
ma di riferimento del gemello viaggiatore sono
presenti accelerazioni e decelerazioni che pro-
vocano un’alterazione della marcia degli orologi
che dipende dall’intensità dell’accelerazione.
Piú è grande quest’accelerazione pié lentamente
scorre il tempo a bordo dell’astronave. Secon-
do che la somma delle accelerazioni a bordo sia
maggiore o minore di quelle subite dal gemello
a terra (che è soggetto alla gravità di quest’ul-
tima), il gemello viaggiatore può tornare piú o
meno giovane.

Fisicast
I seguenti podcast di Fisicast hanno a che fare con
l’argomento trattato negli ultimi due capitoli:

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Unità Didattica 45
Onde Gravitazionali

La prima osservazione sperimentale di un’onda Quest’espressione si può riscrivere in maniera piú


gravitazionale è stata compiuta il 14 settembre compatta come
2015. La rivelazione di questo fenomeno, prevista
dalla teoria della Relatività Generale di Einstein ds2 = ηµν dxµ dxν . (45.2)
è avvenuta a opera di due interferometri della
In questa espressione si fa la convenzione1 per la
Collaborazione LIGO.
quale sugli indici ripetuti, uno in alto e l’altro in
basso (µ e ν), si deve eseguire una somma su tut-
45.1 La generazione di onde ti i possibili valori. Neli caso in esame µ e ν vanno,
ciascuno, da 0 a 3. dx con i = 1, 2 o 3 rappresenta
gravitazionali uno spostamento e dx0 un intervallo di tempo. Ci
sono dunque sedici addendi nella somma (per ognu-
La teoria della Relatività Generale prevede che un no dei quattro valori di µ, l’indice ν assume quattro
corpo modifichi la geometria dello spazio–tempo. diversi valori). Il tensore η si può riscrivere come
µν
Questo significa che le proprietà geometriche dello una matrice
spazio–tempo sono diverse da quelle previste dalla
geometria euclidea e, in particolare, che il percorso
 
−1 0 0 0
piú breve per unire due punti non è una retta, ma  0 1 0 0
una curva (il tipo di curva naturalmente dipende ηµν = 
 0 0 1 0
 (45.3)
dal tipo di curvatura che lo spazio–tempo assume. 0 0 0 1
Nella teoria di Einstein le proprietà geometri-
Mentre i quadrivettori dxµ si scrivono come vettori
che dello spazio–tempo sono descritte dal cosiddet-
colonna
to tensore di Riemann Rµν . Si tratta di un og-
getto matematico piuttosto complicato che potete  
dt
immaginare come una sorta di estensione del con-  dx
cetto di vettore: per caratterizzare completamente dxµ =   .
 
(45.4)
quest’ultimo occorre fornire i tre numeri che ne rap-  dy 
presentano le coordinate; nel caso di un tensore di dz
Riemann di numeri ne occorrono sedici (in realtà Applicando la convenzione secondo la quale sugli in-
un po’ meno, grazie alle particolari simmetrie di cui dici ripetuti occorre eseguire una somma, dobbiamo
gode). Di fatto il tensore di Riemann ci dice come si sommare tutti gli elementi del tensore per le corri-
calcola la distanza spazio–temporale tra due punti. spondenti coordinate del vettore dxµ . Il prodotto di
In uno spazio piatto la distanza al quadrato ds2
tra due eventi, in unità naturali, cioè per c = 1, si
1
detta convenzione di Einstein
scrive

ds2 = dx2 + dy 2 + dz 2 − dt2 . (45.1)


45.1. LA GENERAZIONE DI ONDE GRAVITAZIONALI 466

ηµν per dxµ restituisce allora un vettore: I vettori con l’indice in alto si chiamano contro-
varianti, mentre quelli con l’indice in basso di di-
  dt   −dt
cono covarianti. Il motivo di questa terminologia

−1 0 0 0
µ
 0 1 0 0   dx  dx
   è il seguente. Supponiamo di avere un vettore (che
ηµν dx =    = . per semplicità immaginiamo in uno spazio bidimen-
0 0 1 0  dy   dy 
0 0 0 1 sionale) x = (a, b) che si può sempre scrivere come
dz dz
(45.5) x = cx̂, cioè come un multiplo del vettore unita-
Da quanto sopra è evidente che il prodotto di un rio. Per esempio, supponiamo che il vettore abbia le
tensore per un vettore è un vettore. D’altra parte il coordinate
prodotto ηµν dxµ dxν = ds2 dev’essere uno scalare (e 
2 1

come tale non dipende dalla scelta delle coordinate). x= √ ,√ (45.8)
5 5
Poiché il fattore ηµν dxµ è un vettore, il prodotto di
quest’ultimo per dxν dev’essere un prodotto scalare se misurate in centimetri. Questo vettore ha una
che algebricamente si ottiene sommando i prodotti lunghezza pari a
delle componenti omologhe. Un modo per riscrivere r
il prodotto scalare consiste nello scrivere il vettore 4 1
x= + = 1 cm . (45.9)
ηµν dxµ come un vettore riga, da moltiplicare per il 5 5
vettore colonna dxµ . In questo modo si otterrebbe e si può scrivere come x = 1 × x̂ dove x̂ si può rap-
presentare come una freccia inclinata di arccos √25 '
  27◦ rispetto all’asse orizzontale e lunga 1 cm. Se
dt scegliamo un sistema di coordinate diverso le coor-
dinate cambiano (non il vettore: le sue coordina-
 dx
(−dt dx dy dz)   = −dt2 + dx2 + dy 2 + dz 2 .
 
 dy  te). In un sistema in cui le lunghezze si misurano in
dz pollici il vettore unitario x̂0 sarebbe lungo 1 pollice
(45.6) cioè 2.54 cm. Lo stesso vettore, in questo sistema,
A questo punto possiamo pensare di riscrivere que- si scrive
sto prodotto semplicemente come dx0ν dxν dove dx0ν 1 0
differisce da dxν per il fatto che la sua coordinata x = 1 × x̂ = x̂ . (45.10)
2.54
temporale ha segno opposto e per il fatto di essere
Allo stesso modo, se in un sistema il vettore ha
un vettore riga. Grazie alla convenzione di Einstein,
coordinate
infatti, il prodotto di due oggetti con gli indici in al-
to e in basso ripetuti si ottiene facendo una somma 
2 1

su tutti i possibili valori degli indici. Questo signifi- √ ,√ ' (0.894, 0.447) (45.11)
5 5
ca che possiamo rappresentare i vettori riga con un
indice in basso invece che in alto e che il tensore ηµν nell’altro avrà coordinate
provoca l’abbassamento dell’indice non ripetuto,
cioè 
0.894 0.447

, ' (0.352, 0.176) . (45.12)
2.54 2.54
µ
ηµν dx = dxν . (45.7)
In sostanza è come se l’indice µ in alto e in basso Se l’unità aumenta, le coordinate diminuiscono e vi-
rispettivamente del vettore e del tensore si elides- ceversa. Per questa ragione si dice che le coordinate
sero, lasciando sopravvivere solo l’indice ν in bas- di un vettore controvariano al variare della ba-
so del tensore che si trasferisce al vettore. Si può se scelta per rappresentarli. Se però il vettore resta
dimostrare che questa è una proprietà generale. lo stesso il suo modulo non può cambiare. Il vettore

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45.1. LA GENERAZIONE DI ONDE GRAVITAZIONALI 467

con l’indice in basso dunque si dice covariante per- Osserviamo che sulla sfera la distanza tra due punti
ché moltiplicando quest’ultimo per un vettore con- vicini è la lunghezza dell’arco di circonferenza che
trovariante si ottiene uno scalare che è invariante unisce i due punti sulla sua superficie, per i quali
(o covariante) rispetto alle coordinate. R è lo stesso e dR = 0. La lunghezza di quest’arco
Nello spazio piatto, in cui la geometria è descritta è pari al raggio della sfera per l’angolo formato dai
dal tensore metrico ηµν , due eventi simultanei due raggi vettori che partono dal centro della sfera e
(per i quai cioè dt = 0) hanno una distanza che è giungono nei due punti. Per semplicità consideriamo
proprio quella data dalla geometria euclidea: due punti su un meridiano, per i quali φ è lo stesso
e dφ = 0. In questo caso la distanza vale
ds2 = dx2 + dy 2 + dz 2 . (45.13)
ds = Rdθ (45.18)
Vediamo che succederebbe nel caso in cui il tenso-
re metrico non sia quello di spazio piatto conside- che elevata al quadrato fornisce esattamente lo stes-
rando uno spazio sferico. Un punto sulla sfera ha so risultato trovato sopra. Potete verificare facil-
coordinate (t, x1 , x2 , x3 ) che, in coordinate polari, mente che lo stesso accade per due punti all’equa-
possiamo rappresentare come (t, R, θ, φ) dove R è tore (θ = 0 per entrambi), al polo (dθ = dφ = 0),
il raggio della sfera (che possiamo sempre sceglie- uno all’equatore e l’altro al polo e a una latitudine
re essere pari a 1 in opportune unità), θ è l’angolo intermedia. In sostanza il tensore metrico definisce
polare (la latitudine) e φ quello azimutale (la longi- il tipo di geometria (piatta o curva) dello spazio–
tudine). In questo caso il tensore metrico assume la tempo. Dire che la distanza quadridimensionale tra
forma due eventi non è quella euclidea equivale a dire che
lo spazio–tempo nel quale si trovano i due eventi
  non è piatto.
−1 0 0 0
 0 Quel che avviene vicino a un corpo massivo è che
1 0 0
(45.14) la distanza tra due eventi cambia a causa delle acce-

gµν =
 0 2

0 R 0
lerazioni prodotte dalle forze gravitazionali. Se cam-

2 2
0 0 0 R sin θ
bia la distanza è come se cambiasse la geometria e
e la distanza tra due eventi simultanei molti vicini viceversa. Perciò possiamo dire che la presenza di un
è corpo massivo M nello spazio ne determina la cur-
vatura: immaginiamo un corpo m che misura la sua
ds2 = gµν dxµ dxν (45.15) distanza da M all’istante t = 0. In assenza di forze
gravitazionali la distanza tra m e M resta costan-
che si calcola come il prodotto tra il vettore te (se i corpi sono inizialmente fermi). Al momento
controvariante dxν e quello covariante in cui si accende la gravità la distanza comincia a
   dt diminuire, come se il tensore metrico usato da m
−1 0 0 0 cambiasse. Il tensore metrico a un tempo t positivo,
 0 1 0 0   dR ma piccolo, è poco diverso da ηµν , ma è abbastanza

dxν =  0 0 R2
  (45.16)
0   dθ grande da far cambiare (di poco) la distanza tra M
0 0 0 R2 sin2 θ dφ ed m. Quando però m si avvicina la forza si fa piú
grande, come se il tensore metrico cambiasse di piú
che si deve intendere però come un vettore rispetto a quello dello spazio piatto. In definitiva, in
riga −dt, dR, R dθ, R sin θdφ . Eseguendo il
2
2 2

presenza di una massa, il tensore metrico ha com-
prodotto per dxν quando dt = 0 si trova ponenti che variano con le coordinate: vicino alla
massa lo spazio–tempo è piú curvo, mentre lontano
da questa somiglia a quello dello spazio piatto.
ds2 = dR2 + R2 dθ2 + R2 sin2 θdφ2 . (45.17)

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45.1. LA GENERAZIONE DI ONDE GRAVITAZIONALI 468

L’equazione del moto di una massa in presenza di siderazioni (molto piú complicate di cosí) si giunge
una forza è all’equazione di Einstein
F 8πG
a= . (45.19) Gµν =Tµν . (45.20)
m c2
L’accelerazione a rappresenta la derivata seconda Il tensore Tµν contiene informazioni circa la distri-
delle coordinate rispetto al tempo. In altre parole è buzione di materia ed energia, mentre la costan-
la variazione della variazione delle coordinate x del te 8πG/c2 si trova imponendo che per uno spazio
punto soggetto alla forza F. L’accelerazione è infatti piatto l’equazione tensoriale sopra scritta ritorni a
la variazione della velocità nell’unità di tempo e, a potersi scrivere come
sua volta, la velocità è la variazione delle coordinate
F M
nell’unità di tempo. Per misurare un’accelerazione si = G 2 r̂ .
a= (45.21)
devono misurare in due istanti diversi due velocità, m r
le quali si misurano dividendo una distanza per il Consideriamo adesso una situazione nella quale lo
tempo necessario a percorrerla. spazio–tempo sia leggermente deformato rispetto a
Se vogliamo trovare un’espressione relativistica- quello piatto (cioè quella in cui è presente un cor-
mente valida dobbiamo trovare l’analogo dell’acce- po di massa M che lo incurva). Potremmo sempre
lerazione nello spazio quadridimensionale valida per scrivere che
qualunque sistema di riferimento. Per misurare que-
sta quantità dobbiamo misurarne prima due che so- gµν = ηµν + hµν . (45.22)
no l’analogo della velocità. Dobbiamo quindi farne Quando si calcolano le variazioni di gµν evidente-
la differenza e dividere per il tempo intercorso tra mente il primo addendo, essendo costante, non con-
le due misure. L’analogo della velocità dev’essere tribuisce e al primo membro devono trovarsi soltan-
qualcosa che si misura misurando una distanza e to le variazioni di hµν . Nello spazio vuoto (in assenza
dividendo per il tempo impiegato a percorrerla. Le di materia) avremo quindi un’equazione nella quale
distanze però dipendono dal tensore metrico, quindi compaiono le derivate seconde di hµν al primo mem-
le velocità devono essere qualcosa che si calcola fa- bro e zero a secondo membro. L’equazione del moto
cendo la differenza tra due tensori metrici misurati dunque diventa
in due punti dello spazio–tempo e dividendo questa
differenza per il tempo necessario a passare dall’uno  2
d hµν d2 hµν d2 hµν d2 hµν

all’altro. Misurando due di queste velocità e dividen- − 2 + + + =0
dt dx2 dy 2 dz 2
do per un tempo si ottengono le quantità analoghe (45.23)
a a in relatività generale che quindi non sono altro che è proprio l’equazione di un’onda. Se, per esem-
che le derivate seconde del tensore metrico. pio, hµν non varia nella direzione y e nella direzione
A primo membro dell’equazione si trovano dun- z, l’equazione si riduce a
que le derivate seconde del tensore metrico: essendo
questo un tensore lo saranno anche le sue derivate.
 2
d hµν d2 hµν

Quindi a sinistra c’è un tensore Gµν che contiene − 2 + =0 (45.24)
dt dx2
le derivate seconde rispetto al tempo di gµν . Queste
la cui soluzione è
devono essere uguali a qualcosa, che dev’essere un
tensore, perché un tensore può soltanto essere ugua-
hµν = h0µν sin (kx − ωt) . (45.25)
le a un altro tensore, che rappresenta la materia (o
l’energia visto che in relatività energia e materia Infatti la derivata prima rispetto al tempo è
sono praticamente la stessa cosa). Da queste con-
dhµν
= −ωh0µν cos (kx − ωt) , (45.26)
dt
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45.2. LA MISURA DI UN’ONDA GRAVITAZIONALE 469

mentre quella rispetto a x vale distorce lo spazio–tempo accelera (è necessario che


la derivata seconda di gµν sia diversa da zero).
dhµν Quali fenomeni produce quest’onda quando giun-
= kh0µν cos kx − ωt . (45.27)
dx ge in prossimità della Terra? Abbiamo detto che
Le derivate seconde valgono quel che si propaga è una perturbazione dello
spazio–tempo che equivale alla presenza di un cam-
d2 hµν
= −ω 2 h0µν sin kx − ωt , (45.28) po gravitazionale. Naturalmente se la modifica delle
dt 2
proprietà geometriche dello spazio è del tutto ana-
e
loga a quella provocata da una massa l’effetto che
d2 hµν si può osservare è equivalente alla presenza di una
= −k 2 h0µν sin kx − ωt . (45.29) sorgente di campo gravitazionale che tende ad au-
dx2
mentare l’intensità del campo che si misura local-
Sostituendo nell’equazione (45.24) si ottiene
mente nell’istante in cui passa l’onda. Questa, però,
può avere ampiezza positiva o negativa: se l’ampiez-
ω 2 h0µν sin kx − ωt − ω 2 h0µν sin kx − ωt = 0 (45.30) za dell’onda in un certo punto a un dato istante è
opposta a quella prodotta da un comune campo gra-
che è sempre verificata per ogni valore di ω e k e vitazionale è come se ci fosse una forza gravitazio-
pertanto quella scelta è soluzione di quell’equazione. nale repulsiva. Due masse poste a una certa distan-
Quello che succede si può descrivere come segue. za dunque si avvicinerebbero quando investite da
Le componenti del tensore metrico gµν rappresen- una cresta negativa dell’onda e si allontanerebbero
tano di fatto il campo gravitazionale: se gµν = ηµν quando la cresta fosse positiva.
lo spazio–tempo è piatto e non c’è campo gravita- Un’altra caratteristica delle onde gravitazionali è
zionale. In questo spazio i corpi si muovono di moto che la deformazione dello spazio da loro prodotte
rettilineo uniforme. Se invece gµν 6= ηµν significa che avviene in modo opposto in due direzioni perpen-
lo spazio–tempo è curvo e in esso un corpo non si dicolari. Se in una direzione le masse si attraggono,
muove piú di moto rettilineo uniforme. In questo nella direzione perpendicolare le masse si respingono
senso le componenti di questo tensore descrivono il e viceversa.
campo gravitazionale.
La soluzione che abbiamo trovato dell’equazione
di Einstein nello spazio vuoto ci dice che una pertur- 45.2 La misura di un’onda gra-
bazione dello spazio–tempo dovuta a una variazione vitazionale
di gµν si propaga all’infinito come un’onda. Una va-
riazione di gµν si può avere quando un corpo cambia Potreste allora pensare di rivelare il passaggio di
la propria posizione nello spazio–tempo: il corpo ini- un’onda gravitazionale ponendo a una certa distan-
zialmente in un punto comprime lo spazio intorno za due masse e di monitorarne la distanza al pas-
a sé, ma quando si sposta comprime una porzione sare del tempo. Se non ci sono onde gravitaziona-
diversa di spazio, mentre quella che prima era com- li le masse devono restare al loro posto, altrimenti
pressa si rilassa. Questa perturbazione si propaga devono oscillare alla stessa frequenza dell’onda.
un po’ come le onde sul pelo dell’acqua dovute al- Non potete però eseguire la misura con un metro:
lo spostamento di un’anatra che nuota: laddove si se mettete un dispositivo del genere tra le due masse
trova l’anatra l’acqua è compressa e quando questa quel che succede quando passa l’onda è che anche il
si sposta l’acqua torna al livello normale e in que- metro si allunga e si accorcia al passaggio dell’onda
sto movimento trasmette il moto alle porzioni di e la distanza tra le masse resta di fatto costante!
liquido adiacente. La differenza, nel caso delle onde Serve una maniera piú furba. Per fare questa mi-
gravitazionali, è che l’onda si genera se la massa che sura si sfrutta il fatto che la luce è un’onda e che la

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45.2. LA MISURA DI UN’ONDA GRAVITAZIONALE 470

prosegue indisturbata. I due fasci di luce sono quin-


di riflessi all’indietro da due specchi piani (ETMN e
ETME ). I raggi di luce riflessi si ricombinano sullo
specchio semitrasparente e metà della luce che ar-
riva in questo punto (che è la somma delle luci che
viaggiano lungo i due bracci) è riflessa su un fotori-
velatore che misura l’intensità del segnale. Nel caso
di interferenza costruttiva la luce misurata sarà piú
intensa rispetto al caso di interferenza distruttiva.
La lunghezza dei bracci è di circa 4 km, ma la
luce che interferisce ne percorre circa 400 per braccio
grazie agli altri specchi tra i quali la luce è riflessa
avanti e indietro piú volte.
Naturalmente la luce deve andare perfettamente
dritta e non dev’essere diffusa. Per questa ragione
gli specchi si trovano alle estremità di tubi nei quali
Figura 45.1 Schema dell’interferometro
è fatto un vuoto molto spinto.
dell’esperimento LIGO.
Per evitare il rumore sismico (oscillazioni di bassa
frequenza dovute alle vibrazioni del suolo naturali o
artificiali) gli specchi sono sospesi a sistemi smor-
sua velocità è un invariante relativistico. Quando zanti che attenuano di molti ordini di grandezza
passa un’onda gravitazionale la velocità della luce tutte queste oscillazioni.
non cambia. Naturalmente cambia la sua lunghezza Nonostante tutti questi accorgimenti gli specchi
d’onda, ma non la velocità. Se allora fate interferire vibrano in continuazione: non fosse altro che per il
in un punto due onde luminose uguali che viaggia- fatto di trovarsi a temperatura finita. Le moleco-
no in direzioni mutuamente perpendicolari ottenete le di cui sono composti hanno un’energia cinetica
un’onda luminosa che ha una certa ampiezza che non nulla. Rivelare un segnale in queste condizio-
è la somma algebrica delle ampiezze in quel pun- ni appare proibitivo, ma se si costruiscono due di
to. Cambiando la distanza percorsa da una delle questi oggetti la probabilità che entrambi oscillino
due onde (o, il che è lo stesso, cambiandone la lun- allo stesso modo è praticamente nulla. Se lo fanno
ghezza d’onda) l’ampiezza dell’onda risultante cam- è perché c’è una sorgente esterna che li fa oscillare
bia. Se la variazione di lunghezza (o di lunghezza in modo sincrono.
d’onda) è periodica lo è anche il segnale prodotto Negli Stati Uniti ci sono due di questi disposi-
dall’interferenza tra le onde. tivi e un altro si trova in Italia, a Cascina, vicino
Si costruisce allora un dispositivo noto come in- Pisa. I due interferometri statunitensi hanno subí-
terferometro di Michelson, dal nome di Albert to la stessa identica oscillazione a distanza di 4 ms
Michelson che ne fece uso per verificare sperimen- l’uno dall’altro: proprio il tempo necessario alla lu-
talmente il fatto che la velocità della luce non di- ce (o a un’onda gravitazionale) per andare dall’u-
pendesse dal sistema di riferimento dal quale la si no all’altro. Questa coincidenza permette di dire
misurava. che si è osservato il segnale prodotto da un’onda
Il dispositivo si presenta come nella Figura 45.1. gravitazionale.
Un laser, in basso a sinistra, invia la propria luce
su uno specchio semitrasparente posto a 45 ◦ rispet-
to alla sua direzione (beam splitter). Metà della luce
è riflessa verso l’alto della figura, mentre l’altra metà

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Unità Didattica 46
La Meccanica Quantistica

Predire, in base alle leggi della fisica, il colore del


Prerequisiti: cinematica classica e relativistica, forno conoscendone la temperatura può apparire un
momenti magnetici, forze elettriche problema del tutto irrilevante (si dorme certamen-
te bene anche senza saperlo fare), ma per alcuni
Lo studio della meccanica quantistica rappresen- si trattava di un problema cui dare una risposta. Si
ta una tappa particolarmente importante per la for- può cercare di trovare una risposta a questa doman-
mazione scientifica. Come nel caso della scoperta dei da usando le leggi della termodinamica e dell’elet-
raggi cosmici, che darà origine alla fisica delle parti- tromagnetismo insieme. Riprodurre i calcoli che si
celle, anche la meccanica quantistica nasce grazie a facevano al tempo per cercare di trovare la risposta
un evento tutto sommato del tutto secondario che si a questa domanda è piuttosto noioso e in fondo non
potrebbe definire irrilevante, se non se ne conosces- aggiunge nulla alla nostra conoscenza, ma il risul-
sero le conseguenze: lo studio dello spettro di cor- tato di tutti i conti è che lo spettro predetto (cioè
po nero. In fisica, come in altre discipline, non c’è la distribuzione d’intensità della radiazione in fun-
niente di secondario: tutte le domande devono tro- zione della sua lunghezza d’onda) non è in accordo
vare una risposta, qualunque sia il giudizio a priori con i dati sperimentali.
sull’importanza di queste. Cerchiamo di capire perché. Intanto osserviamo
In questa pubblicazione non intendiamo ripercor- che non tutti i corpi che emettono luce sono caldi
rere le tappe di questa scoperta da un punto di vi- (un LED, ad esempio), ma tutti i corpi caldi emetto-
sta storico. Preferiamo portare il lettore a scopri- no luce (o comunque una qualche forma di radiazio-
re la meccanica quantistica attraverso una storia ne elettromagnetica). Un pezzo di carbone scaldato
leggermente alterata, che comunque include alcune emette una viva luce rossa e i corpi umani, che si
delle scoperte fondamentali che hanno portato alla trovano a una temperatura di 36 ◦ C emettono ra-
formulazione di questa teoria. diazione infrarossa, invisibile per i nostri occhi, ma
visibile attraverso opportuni dispositivi sensibili a
quel tipo di radiazione.
46.1 Il corpo nero Consideriamo una singola particella elettricamen-
Il cosí detto problema del corpo nero consiste nel te carica nel vuoto, che venga investita da una radia-
trovare la forma dello spettro della radiazione elet- zione elettromagnetica. Il campo elettrico che costi-
tromagnetica emessa da un corpo con emissività pa- tuisce questa radiazione fa muovere la particella, che
ri a 1. Detto in questi termini il problema appare oscilla in sincrono con il campo. Una particella cari-
difficile e astruso, ma lo si può riformulare in ter- ca accelerata, però, emette radiazione elettromagne-
mini meno generali e piú familiari in questo modo: tica: funziona infatti come un’antenna. La frequenza
perché mai guardando il forno di un pizzaiolo quan- della radiazione emessa è quella di oscillazione che
do è freddo appare nero e quando invece è caldo è a sua volta è quella della radiazione incidente.
di colore giallo? Le particelle che formano un gas, un liquido o
un solido, però non sono libere di muoversi. In ge-
46.1. IL CORPO NERO 472

filmato non riproducibile su questo radiazione incidente non è sufficiente a farlo irrag-
supporto: digita l’URL nella caption o giare. Ma all’aumentare della temperatura aumenta
scarica l’e-book la frequenza di oscillazione e le particelle comincia-
Figura 46.1 I visori notturni funzionano no a irradiare una radiazione a frequenze sempre piú
amplificando e trasformando alte a al limite visibili dall’occhio umano: il carbone
in luce visibile la radiazione
infrarossa emessa con mag-
diventa rosso.
giore intensità dai corpi piú Quello che può succedere è che la radiazione pro-
caldi, che si comportano, dotta dal carbone fa muovere altre particelle dello
in buona approssimazione, stesso carbone che potrebbero già essere in oscilla-
come corpi neri. Il filmato zione. Se le oscillazioni non sono in fase il risultato
è una gentile concessio-
ne di FLIR® [https: è un movimento caotico delle particelle con varie
//www.youtube.com/ frequenze. La somma delle diverse frequenze dà ori-
watch?v=rAvnMYqj2c0]. gine al colore che osserviamo. Il colore è determi-
nato da una condizione di equilibrio tra la radia-
zione emessa e quella assorbita dalle particelle in
nerale le particelle sono legate le une alle altre da moto. Tutte le frequenze sono permesse e l’ampiez-
forze che possiamo comunque pensare, in prima ap- za dell’oscillazione può variare da zero a un valore
prossimazione, funzionare come molle che collegano massimo.
le varie particelle. Nel caso del gas piú semplice, l’i- In linea di principio si possono eseguire dei calcoli
drogeno, le particelle coinvolte sono due: un protone per predire la forma di questo spettro: per un corpo
positivo e un elettrone negativo, legate tra loro da non nero il calcolo è complicato dal fatto che non
forze elettrostatiche. Se una radiazione elettroma- tutta la radiazione emessa è dovuta a questo mecca-
gnetica investe un atomo d’idrogeno fa muovere gli nismo. Un corpo che a temperatura ambiente appa-
elettroni e i protoni, che tuttavia non possono al- re verde possiede la proprietà di diffondere la luce
lontanarsi piú di tanto l’uno dall’altro. L’ampiezza verde che v’incide a causa delle proprietà ottiche
dell’oscillazione può essere piú o meno grande, se- della sua superficie. Per un corpo nero invece questi
condo le caratteristiche della forza che lega le par- effetti si possono trascurare. I calcoli esatti porta-
ticelle. Per questo i corpi talvolta non riescono ad no a un risultato incomprensibile: si ottiene sempre
assorbire l’energia della radiazione incidente e altre che l’energia irraggiata da un corpo nero caldo è di
volte, pur assorbendola, non la riemettono con le fatto infinita (come si vede nella Figura 46.2 al di-
stesse modalità. Un corpo nero è un corpo che as- minuire della lunghezza d’onda la quantità di radia-
sorbe integralmente tutta l’energia che riceve, senza zione emessa tende rapidamente a infinito). Questo
riemetterla. è impossibile!
Le particelle che formano un corpo si possono Nel 1901 Max Planck pubblica un articolo [?] nel
mettere in moto anche senza l’ausilio di un’onda quale esegue i conti facendo l’ipotesi semplificativa
elettromagnetica. Se riscaldiamo qualcosa come un secondo la quale la radiazione può essere emessa solo
pezzo di carbone, le sue particelle si mettono a oscil- in quantità discrete chiamate quanti. L’idea è la se-
lare sempre piú rapidamente, perché la loro energia guente: per semplificare i conti assumo che le parti-
cinetica media aumenta. Anche le particelle del car- celle cariche nel carbone possano oscillare a una sola
bone in fin dei conti sono cariche elettricamente e frequenza. Oscillando producono radiazione elettro-
quindi oscillando attorno a una posizione d’equili- magnetica a quell’unica frequenza. Questa radiazio-
brio irraggiano radiazione elettromagnetica. All’ini- ne potrebbe essere assorbita da una delle particelle
zio la frequenza di oscillazione è bassa, e quindi il del pezzo di carbone oppure no, quindi, se sono stati
corpo, anche se illuminato, appare nero, perché la prodotti N quanti dal carbone, da questo possono
uscirne 0, 1, 2, . . . , n con n 6 N , mentre i restanti

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46.2. L’EFFETTO FOTOELETTRICO 473

trone di un atomo in un determinato istante allon-


tanandolo dal nucleo. Una volta allontanato, prima
di essere nuovamente colpito da un quanto, l’elettro-
ne è richiamato dalla forza elastica che lo trattiene
al nucleo e dunque si muove eseguendo oscillazioni
a frequenza piú bassa rispetto a quelle tipiche della
radiazione incidente.
La teoria di Planck non ebbe molto successo: ri-
solveva sí alcuni problemi, ma usando un trucco.
Non si poteva considerare una soluzione.

46.2 L’effetto fotoelettrico


Nel 1887, prima dell’ipotesi di Planck, un fisico di
Figura 46.2 Lo spettro di corpo nero per nome Heinrich Hertz stava conducendo alcuni espe-
diverse temperature del cor- rimenti per studiare la propagazione delle onde elet-
po. Nella figura si vede anche
tromagnetiche. Per farlo usava uno strumento che
la previsione della teoria clas-
sica della luce. In ascissa c’è produceva scintille quando arrivavano onde elettro-
la lunghezza d’onda della lu- magnetiche. Per vederle meglio, Hertz cercò di fa-
ce emessa, mentre in ordina- re il maggior buio possibile nel suo laboratorio e si
ta la potenza emessa per uni- accorse che la qualità delle scintille peggiorava: si
tà di angolo solido per metro
vedevano meglio, ma erano piú deboli. Le scintille
quadro.
sono provocate dal rapido movimento delle cariche
elettriche (come sopra, le cariche elettriche accele-
N − n sono assorbiti e contribuiscono al moto delle rate emettono radiazione elettromagnetica, quindi
particelle di cui è composto il carbone. In questo luce se l’emissione avviene a frequenze opportune),
modo la somma delle energie trasportate dai singoli quindi Hertz ne concluse giustamente che nei suoi
quanti è certamente finita (non può essere maggiore strumenti le cariche si muovevano piú facilmente se
di N E dove E è l’energia di un singolo quanto). E illuminati. In particolare notò che le scintille erano
dal momento che l’energia irraggiata dipende dal- molto intense in presenza di radiazione ultraviolet-
la frequenza della radiazione emessa E deve essere ta, un po’ meno intense se s’illuminava tutto con
proporzionale alla frequenza ν: E = hν dove h è una luce blu e praticamente assenti se gli strumenti veni-
costante (che poi prenderà il nome di costante di vano illuminati da luce di colore giallo o rosso. Solo
Planck) che vale 6.63×10−34 J s o 4.14×10−15 eV s. i corpi carichi negativamente subivano quest’effetto,
Questo modello spiega bene anche un’altra que- poi chiamato effetto fotoelettrico. Inoltre, quan-
stione: se illumino un corpo (nero, ma non solo) con do l’illuminazione provocava la scarica, questa era
la luce, il corpo si scalda. Se si scalda vuol dire che tanto piú intensa quanto maggiore era l’intensità
assorbe energia e che le sue particelle si mettono della luce.
in moto. Dovrebbe quindi irraggiare e in effetti è L’effetto fotoelettrico, in sostanza, ha le seguenti
cosí, ma dovrebbe farlo a una frequenza del tutto caratteristiche:
identica a quella della luce che lo illumina. Di solito
irraggia a una frequenza piú bassa (tipicamente nel- • consiste nella perdita di carica elettrica da
l’infrarosso). Se assumiamo che la luce sia fatta di parte di un corpo carico, quando questo è
corpuscoli detti quanti, questi possono colpire l’elet- illuminato;

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46.2. L’EFFETTO FOTOELETTRICO 474

filmato non riproducibile su questo


Esercizio 46.1 Effetto fotoelettrico
supporto: digita l’URL nella caption o
scarica l’e-book
La maggior parte della luce che proviene dal Sole
Figura 46.3 L’effetto fotoelettrico si spie- ha una lunghezza d’onda compresa tra i 400 nm e
ga facilmente se si ammette
i 750 nm. Calcola quanta energia possono al mas-
che la luce sia composta di
corpuscoli invece che di on-
simo guadagnare gli elettroni del materiale illumi-
de. https://www.youtube. nato per effetto fotoelettrico.
com/watch?v=ZvyFusOnC6s soluzione →

L’unica soluzione possibile è quella di ammettere


• avviene solo se il corpo è carico negativamente; che la luce non sia un’onda, ma un flusso di cor-

• avviene solo se la frequenza della radiazione che puscoli di energia E proporzionale alla frequenza
lo provoca è superiore a una determinata soglia associata all’onda elettromagnetica corrispondente:
ν0 che dipende dal materiale di cui è fatto il E = hν. Fu Albert Einstein a proporre questa solu-
corpo; zione [?], in uno dei suoi tre articoli piú importan-
ti (tutti e tre pubblicati nell’annus mirabilis 1905).
• se avviene, l’intensità della scarica è proporzio- Per questa scoperta, tra l’altro, ad Einstein fu con-
nale all’intensità della radiazione. ferito il Premio Nobel (con sua grande disapprova-
zione, dal momento che riteneva di meritarlo per la
Un modo per spiegarlo è il seguente: un corpo elet- teoria della relatività e non per quel che conside-
tricamente carico di carica negativa possiede un ec- rava tutto sommato un errore: la sua Nobel Lectu-
cesso di elettroni, debolmente legati al corpo. Quan- re, tradizionalmente riservata all’argomento oggetto
do una radiazione elettromagnetica raggiunge gli del premio, fu infatti sulla relatività e non sull’ef-
elettroni, trasferisce a essi una certa quantità d’e- fetto fotoelettrico). A questi corpuscoli o quanti di
nergia. Quest’energia potrebbe essere sufficiente a luce si dà il nome di fotoni.
liberare gli elettroni dai deboli legami che li tratten- Si viene cosí a determinare un apparente parados-
gono sul corpo e, naturalmente, quanto maggiore è so: gli esperimenti mostrano in maniera inequivoca-
l’intensità della radiazione incidente, tanto piú alto bile che la luce è un’onda (attraversando una fen-
sarà il numero di elettroni che riescono a guadagnare ditura produce il fenomeno della diffrazione, tipico
l’energia necessaria e ad abbandonare il corpo, scari- delle onde). Ma lo spettro di corpo nero e l’effet-
candolo. Il ragionamento sembra non fare una piega: to fotoelettrico si spiegano solo ammettendo che sia
in fondo le onde trasportano energia! Ma l’energia composta di corpuscoli di energia E = hν. Come si
trasportata da un’onda dipende dalla sua ampiez- risolve il controsenso? È semplice: ammettendo che
za, non dalla sua frequenza! Non si spiega, dunque, la luce sia al contempo un’onda e una particella. La
come mai l’effetto fotoelettrico si manifesti solo per soluzione può apparire artificiosa e quasi un trucco,
onde di frequenza maggiore di una frequenza carat- essendo completamente priva di logica. Ma chi dice
teristica del materiale e non per onde di frequenza che l’Universo segua la nostra logica? Come nel ca-
piú bassa, ma di ampiezza grande a piacere. In al- so della relatività, l’Universo funziona secondo sue
tre parole una luce gialla molto intensa dovrebbe proprie Leggi per le quali non esiste nessun motivo
trasportare molta piú energia di una luce blu poco di principio secondo il quale queste Leggi debbano
intensa e invece l’effetto fotoelettrico si manifesta uniformarsi al nostro modo (alla nostra capacità)
con la seconda, ma non con la prima. di pensare le cose. Il fatto che a noi sembri assur-
do che qualcosa possa essere al contempo un’onda
e una particella non è un buon motivo per rifiutare

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46.3. L’EFFETTO COMPTON 475

questa spiegazione. l’ipotesi quantistica. La luce infatti si può conside-


Si potrebbe anche pensare che l’apparente para- rare come un flusso di fotoni che piove addosso agli
dosso derivi da una nostra scarsa conoscenza dei elettroni degli atomi di cui è costituito il materiale.
fenomeni per cui, in effetti, la luce dev’essere una I fotoni che urtano questi elettroni possono essere
delle due cose, ma per motivi a noi ignoti si com- diffusi ad angoli diversi senza perdere la loro ener-
porta come se fosse l’altra in certe occasioni. Per gia, ma potrebbe anche accadere che parte dell’ener-
la Fisica, però, comportarsi come o essere sono si- gia dei fotoni è ceduta agli elettroni del materiale.
nonimi. Inoltre, numerosi altri fenomeni, riportati Se l’energia dei fotoni è abbastanza alta, gli elet-
piú sotto, evidenziano che in effetti la spiegazione troni si possono considerare come liberi (non legati
che ci siamo dati dev’essere quella giusta: la luce ai nuclei): questa approssimazione si traduce nella
non è un’onda o una particella: è tutt’e due le cose condizione
allo stesso tempo! Per quanto strano possa sembra-
re non possiamo che ammettere che dev’essere cosí: hν  V (46.1)
sono i risultati degli esperimenti che stabiliscono la dove V rappresenta l’energia di legame degli elettro-
natura delle cose e per la luce questo è il risultato. ni negli atomi. In questo caso possiamo trattare gli
Citando ancora Luigi Malerba ”Succede purtroppo elettroni come particelle libere e i fotoni come par-
che spesso i fatti smentiscono le ingegnose e confor- ticelle che possono urtarli e cedere loro parte dell’e-
tevoli teorie mentre non si sono mai viste teorie che nergia iniziale. Usando la cinematica relativistica il
smentiscono i fatti” 1 . conto è semplicissimo: in unità naturali il quadrim-
Accettato questo punto di vista, la luce di fre- pulso dei fotoni incidenti è Pγ = (E, p), con E = p
quenza ν si deve considerare come un flusso di fo-
(indicando con p il modulo del vettore p), e quallo
toni di energia E = hν. Sapendo che ω = 2πν pos-
degli elettroni nello stato iniziale è Pe = (m, 0) dal
siamo anche scrivere E = h 2π ω
= ~ω avendo defini-
momento che si possono considerare fermi (se non lo
to ~ = h/2π. La lunghezza d’onda λ è legata alla
sono basta mettersi nel sistema di riferimento in cui
frequenza dalla relazione λ = c/ν, perciò possiamo
lo sono). Dopo l’urto il quadrimpulso dei fotoni cam-
anche scrivere che E = hc/λ. La quantità di moto
bia e diventa Pγ0 = (E 0 , p0 ), cosí come quello degli
trasportata da un fotone, inoltre, è in unità naturali
uguale alla sua energia E = hν, ma in unità SI, es- elettroni che possiamo indicare con Pe 0 = (Ee , pe ).
sendo E 2 = p2 c2 + m2 c4 e m = 0, è p = E/c = h/λ. Il quadrimpulso totale si conserva perciò
Ricordando, infine, che k = 2π/λ, p = ~k.
P γ + Pe = Pγ 0 + Pe 0 . (46.2)
Dal momento che siamo interessati a conoscere la
46.3 L’effetto Compton cinematica del fotone nello stato finale, mentre di
quella dell’elettrone non c’interessa nulla possiamo
L’effetto Compton consiste nella diffusione anelasti-
isolare il quadrimpulso dell’elettrone
ca della luce da parte dei materiali. Se si invia un fa-
scio luminoso su un materiale, la luce diffusa da que-
P γ + Pe − Pγ 0 = P e 0 . (46.3)
sto ha la stessa lunghezza d’onda di quella inciden-
te, per gli stessi motivi addotti sopra per spiegare il e fare il modulo quadro di entrambi i membri per
meccanismo di emissione di un corpo nero. ottenere
In alcuni casi però la luce diffusa si presenta con
una lunghezza d’onda maggiore e la differenza ri- P 2 + P 2 + P 02 + 2P · P − 2P · P 0 − 2P · P 0 = P 02 .
γ e γ γ e γ γ e γ e
spetto a quella incidente dipende dall’angolo di dif-
(46.4)
fusione. Questo fenomeno si spiega molto bene con
Ricordando che il modulo quadro del quadrimpulso
1
Luigi Malerba, La superficie di Eliane, ed. Mondadori è un invariante relativistico pari alla massa a riposo

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46.4. LA MISURA E IL PRINCIPIO D’INDETERMINAZIONE 476

della particella al quadrato abbiamo che Pγ2 = Pγ02 = che è comoda perché permette di riscriverla in
0 e Pe2 = Pe02 = m2 , perciò sostituendo termini di frequenza e lunghezza d’onda. Infatti,
ricordando che E = hν e che E = hν 0 abbiamo

2Pγ · Pe − 2Pγ · Pγ 0 − 2Pe · Pγ 0 = 0 . (46.5) 1 1 1 − cos θ


0
− =h (46.11)
ν ν m
Il prodotto scalare dei quadrivettori si esegue mol- e scrivendo ν = c/λ, ν 0 = c/λ0
tiplicando le coordinate omologhe con il segno − se
sono spaziali e + se sono temporali; dividendo tutto
per 2 e svolgendo i prodotti si trova che 1 − cos θ
λ0 − λ = h = λC (1 − cos θ) (46.12)
mc
dove λC = h/mc è chiamata lunghezza d’on-
Em − (EE 0 − pp0 cos θ + mE 0 ) = 0 (46.6)
da Compton dell’elettrone e ha, come deve, le
dove θ è l’angolo compreso tra p e p , cioè l’angolo dimensioni fisiche di una lunghezza.
0

di diffusione. Ricordando che E = p nonché E 0 = p0


si trova che 46.4 La misura e il Principio
d’indeterminazione
m(E − E 0 ) − EE 0 (1 − cos θ) = 0 (46.7)
Con la meccanica relativistica si era già capito che la
cioè che, raccogliendo E e portando E all’altro
0
fisica non poteva aver a che fare con quantità assolu-
membro, te, ma con i risultati di una misura, che sono relativi
all’osservatore. L’avvento della meccanica quantisti-
mE m ca rafforza questa convinzione: non possiamo consi-
E0 = = m . derare qualcosa come avente una natura di un tipo
E (1 − cos θ) + m (1 − cos θ) + E o dell’altro in maniera assoluta. Dipende da come si
(46.8)
esegue la misura.
È interessante studiare i limiti di quest’espressione.
L’esecuzione di una misura consiste sempre nel far
Per θ = 0, E 0 = E come ci si aspetta non essendoci
interagire l’oggetto da osservare con uno strumento.
alcuna diffusione. Quando invece cos θ = −1, cioè
Il fatto che ci sia un’interazione implica l’esistenza
per fotoni diffusi all’indietro, si trova che
di forze che si producono tra strumento e oggetto
m mE osservato, per cui lo stato dell’oggetto osservato può
E0 = m = (46.9) risultare alterato dall’applicazione di queste forze.
2+ E 2E + m
La conseguenza è che quello che si osserva non è
dalla quale si evince che E 0 non può mai essere nulla mai lo stato in quanto tale, ma lo stato che l’oggetto
(a meno che E = 0, che è l’energia di un fotone possiede avendo interagito con lo strumento.
di lunghezza d’onda infinita che non interagisce), In meccanica classica lo stato di un punto mate-
cioè che il fotone non può mai perdere tutta la sua riale è perfettamente definito quando se ne conosca-
energia per effetto Compton. no contemporaneamente e con precisione arbitraria
Se dividiamo l’equazione (46.7) per EE 0 possiamo la posizione e la velocità. La fisica relativistica in-
riscrivere la relazione che lega E 0 a E e all’angolo segna che la velocità v di una particella di massa m
come non è una buona misura dello stato in quanto in se-
1 1 1 − cos θ guito all’applicazione di una forza quel che cambia
− = (46.10) non è la velocità della particella, ma la sua quantità
E0 E m
di moto p = mv (per velocità v  c, p è la stessa

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46.4. LA MISURA E IL PRINCIPIO D’INDETERMINAZIONE 477

cosa di v a parte un fattore costante, ma in mecca- pre maggiore di un numero che, per quanto picco-
nica relativistica la massa classica di una particel- lo, non è mai zero. Se, ad esempio, illuminiamo un
la si può considerare dipendente dalla sua velocità elettrone con una luce di frequenza ν e con nume-
m = m(v)). La natura del principio classico però ro d’onda k, trasferiamo all’elettrone una quantità
non cambia: per conoscere lo stato di una particella di moto (vedi a pag. 475) ∆p = ~k = 2π λ
. La lun-
basta conoscerne con precisione infinita la posizio- ghezza d’onda λ dev’essere λ . ∆x per localizzare
ne x e la quantità di moto p. Che tecnicamente non l’elettrone dunque
sia fattibile (non esistono strumenti che possano mi-
surare una grandezza fisica con precisione arbitra- h
λ= . ∆x (46.13)
ria) non importa: quel che importa è che in linea di ∆p
principio si possa fare: se conoscessi esattamente cioè che
la posizione e la quantità di moto di un punto ma- ∆x∆p & h . (46.14)
teriale al tempo t potrei conoscerne lo stato a un
Il principio2 si può riscrivere in un altro modo,
tempo t0 successivo (o precedente) a t.
dividendo tutto per ∆t:
Proviamo ad applicare questo principio all’osser-
vazione di una particella molto piccola come un ∆x h
elettrone legato in un atomo. Per poterne misurare ∆p = v∆p = 2∆E > (46.15)
∆t ∆t
la posizione si potrebbe illuminare l’elettrone con e quindi
una luce opportuna: osservando la luce diffusa da
questo se ne ricaverebbe la posizione (che poi è il h
∆E∆t >
. (46.16)
metodo con il quale osserviamo qualunque cosa con 2
i nostri occhi: al buio non si vede nulla; è la luce dif- Questa relazione indica che misurando l’energia di
fusa dagli oggetti che ci dice dove sono). Se però la un particolare stato, questa può avere un’indeter-
lunghezza d’onda della luce non è abbastanza pic- minazione ∆E che dipende dal tempo trascorso
cola, il moto dell’onda elettromagnetica non viene per eseguirla. Consideriamo un caso particolare, che
perturbato affatto dalla presenza dell’elettrone che consiste nella determinazione della massa di una
è come se non ci fosse. Per osservarlo è necessario particella che, come sappiamo, è una misura del-
usare una lunghezza d’onda sufficientemente picco- l’energia a riposo dello stato. Se la misura si può
la: usare quindi una radiazione elettromagnetica co- protrarre per molto tempo ∆t tende a infinito, quin-
me i raggi X o i raggi γ. Ma in questi casi la luce di ∆E tende a zero e la misura si può eseguire con
diventa un flusso di particelle di energia E = hν precisione arbitraria. È il caso, ad esempio, della
che interagiscono con l’elettrone urtandolo e cam- misura della massa di un elettrone o di un protone,
biandone quindi la velocità (o meglio la quantità di che assume un valore perfettamente determinato an-
moto) in seguito all’urto. La misura della posizione che se, a causa delle limitazioni tecnologiche, avrà
dell’elettrone implica l’alterazione del suo stato di comunque un’indeterminazione di natura statistica.
moto, dunque è impossibile conoscerne posizione e Se invece misuriamo la massa di una particella
quantità di moto contemporaneamente. Una delle instabile come un muone, la misura non si può ese-
due grandezze fisiche non è determinabile al di là guire a un tempo arbitrario: deve essere eseguita en-
di una data precisione e non in virtú di un limite tro il tempo di vita della particella. Trascorso tale
tecnologico, ma per ragioni intrinseche al processo tempo la particella non esiste piú e non se ne può di
di misura.
Il Principio d’indeterminazione afferma proprio In letteratura si trovano espressioni che possono differire
2

di piccoli fattori da questa, che è stata ricavata attraver-


questo: il prodotto tra l’indeterminazione sulla po- so un’approssimazione un po’ grossolana; di solito si trova
sizione e quella sulla quantità di moto di qualunque ∆x∆p > ~ o ∆x∆p > ~/2. Quel che conta è però l’ordine di
oggetto non può mai essere nullo! Deve essere sem- grandezza, insieme alle conseguenze dell’indeterminazione.

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46.6. GLI ATOMI 478

certo misurare la massa. In questo caso la sua ener- Se fosse vero si potrebbero realizzare esperimenti
gia a riposo possiede un’indeterminazione intrinse- nei quali un fascio di particelle (per esempio di elet-
ca che ne fa fluttuare la misura di massa entro un troni), attraversando un reticolo dovrebbe produrre
limite dell’ordine di h/2τ , dove τ è il tempo di de- al di là di esso una figura d’interferenza! Questo ef-
cadimento. Non si tratta di un effetto statistico, ma fettivamente è ciò che accade. Se si invia un fascio
di un fenomeno quantistico intrinseco nella defini- di elettroni prodotti da un tubo catodico su un re-
zione di massa della particella. Se disponessimo di ticolo molto fine, sullo schermo del tubo catodico
uno strumento preciso al di là del limite quantistico non si vede l’immagine delle fenditure come ci si
troveremmo che non tutti i muoni hanno la stessa aspetterebbe se gli elettroni fossero particelle, ma
massa, ma che ognuno ne avrebbe una diversa con una figura di diffrazione con massimi e minimi: se-
una certa distribuzione (simile, anche se non proprio gno che gli elettroni si comportano come onde di
identica, a una gaussiana), la cui larghezza non è de- una certa lunghezza d’onda che interferiscono tra
terminata da effetti di natura stocastica, ma dalle loro attraversando le fenditure del reticolo. Si trat-
fluttuazioni quantistiche che determinano l’istante ta di una tecnica ormai consolidata che permette,
nel quale la particella decade. L’indeterminazione per esempio, di studiare la forma dei reticoli cri-
intrinseca della massa di una particella si chiama stallini dei materiali facendo attraversare un cam-
talvolta larghezza della particella: una particella pione di quel materiale da un fascio di particelle di
stretta è una particella con una vita media lun- energia opportuna, tale da produrre onde di ma-
ga (∆E piccolo, ∆t grande), mentre una particella teria di lunghezza comparabile con quella del passo
larga ha una vita media molto breve. reticolare.

Esercizio 46.2 Microscopi elettronici


46.5 Onde di materia
In un microscopio elettronico gli elettroni sono ac-
La luce è chiaramente un’onda in certi contesti, celerati da una differenza di potenziale di 80 kV.
ma diventa una particella in altre condizioni. Per- Quanto è migliore il potere risolutivo del microsco-
ché dunque non potrebbe avvenire il contrario? pio elettronico rispetto a quello ottico?
Che quelle che consideriamo naturalmente particel- soluzione →
le possano comportarsi come onde in certi contesti?
In effetti questo è quel che accade. La frequenza ν
di un fotone è legata alla sua quantità di moto p se- Grazie a questo dualismo onda–particella si posso-
condo la legge p = hν. Una particella di quantità di no realizzare strumenti come i microscopi elettro-
moto p dunque potrebbe comportarsi come un’onda nici in cui fasci di elettroni attraversano i campioni
di frequenza da analizzare. La lunghezza d’onda di questi fasci è
molto minore di quella della luce e questo permette
p
ν= . (46.17) di ottenere risoluzioni molto piú spinte rispetto ai
h microscopi ottici.
Essendo ν = c/λ dove c è la velocità dell’onda (che
in questo caso coincide con la velocità della luce) e
λ la sua lunghezza d’onda, possiamo anche scrivere 46.6 Gli atomi
che
Secondo la fisica classica un atomo potrebbe funzio-
λ h
= (46.18) nare come un sistema solare in miniatura. Tuttavia,
c p per la meccanica quantistica non è cosí: gli atomi
che in unità naturali diventa λ = h/p (e ponendo infatti non si possono osservare con luce visibile per-
anche h = 1, λ = 1/p). ché hanno dimensioni troppo piccole. Per osservar-

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46.6. GLI ATOMI 479

li occorre farli interagire con una radiazione di fre- essere continua. Non può essere che in un punto la
quenza piú alta che però avrà energia piú alta e pro- superficie di quest’oceano si trova a una certa quo-
durrà una perturbazione rilevante sul sistema. Non ta e nel punto adiacente sia molto piú alta o molto
si può osservare un atomo, ma se ne può misurare piú bassa. L’onda dunque deve avere una lunghezza
lo stato quanto interagisce con la radiazione. Misu- d’onda λ discreta:
rando la radiazione prodotta dall’interazione se ne
può determinare l’energia, ad esempio. Conoscendo h
nλ = n = 2πr (46.19)
l’energia della radiazione incidente possiamo quindi p
determinare l’energia assorbita dall’atomo (o meglio da cui si ricava che
da uno o piú dei suoi elettroni).
Non ha alcun senso chiedersi dove sia un elettrone h
n
= pr = mvr . (46.20)
rispetto al nucleo in un dato sistema di riferimento 2π
perché non si può misurare questa quantità. Si può Chiamando ~ = h/2π si ha che mvr = n~. Il prodot-
misurare l’energia e quindi ci si può chiedere quale to mvr non è altro che il momento angolare classico
sia l’energia dell’elettrone. Lo stato di un elettro- dell’elettrone, che dunque risulta quantizzato: può
ne dunque non è caratterizzato dalla sua posizio- solo essere un multiplo di ~. Se il momento angola-
ne e dalla sua velocità, ma dall’energia (e forse da re è quantizzato lo è anche l’energia. Prendendo un
qualcos’altro). atomo d’idrogeno (il piú semplice di tutti) l’energia
Se un atomo fosse fatto come un sistema solare potenziale di un elettrone nel campo del nucleo è
nulla vieterebbe a due o piú elettroni di stare sulla
stessa orbita, e niente impedirebbe a quest’orbita e2
U = −k (46.21)
di avere un raggio qualunque. Al contrario sareb- r
be vietato a due elettroni risiedere esattamente nel- e quella cinetica vale K = 12 mv 2 . Se il moto è
lo stesso punto nello stesso istante (se c’è uno non circolare uniforme abbiamo che
c’è posto per l’altro): due elettroni non possono
stare contemporaneamente nello stesso stato. v2 e2
m =k 2 (46.22)
r r
per cui
46.6.1 Gli spettri atomici
Seguendo le prescrizioni di De Broglie possiamo am- e2
mv 2 = k (46.23)
mettere che un elettrone non sia assimilabile a un r
punto materiale, ma a un’onda. L’elettrone, in so- e di conseguenza K = 21 mv 2 = −U/2. In definitiva
stanza, non può trovarsi in un determinato punto E = K + U = −U/2 + U = U/2 e quindi
dello spazio, ma deve in qualche modo circondare il
nucleo completamente. Non dovremmo immaginare e2
E = −k . (46.24)
un elettrone come un punto che si muove attorno al 2r
nucleo, ma piuttosto come una specie di oceano che Ora abbiamo che r = n~/mv e che v =
p
−2E/m
ricopra completamente la superficie del nucleo, con e sostituendo:
le sue onde in superficie. In un atomo ci possono
essere piú d’uno di questi oceani elettronici che
r
e2 −2E
si possono anche compenetrare l’uno con l’altro. È E = −k m . (46.25)
2n~ m
come se ci fosse un oceano sopra un altro oceano, la Eleviamo al quadrato e otteniamo
cui superficie attraversa quella dell’altro.
L’onda costituita dalla superficie di questo ocea- e4
no deve essere stazionaria, perché la superficie deve E 2 = −k 2 mE (46.26)
2n2 ~2

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46.7. QUANTIZZAZIONE DEL MOMENTO ANGOLARE 480

ferenza di energia tra due possibili stati dell’elet-


trone dell’atomo il quanto può essere assorbito: in
conseguenza di ciò l’energia del fotone è ceduta in-
teramente all’elettrone che passa cosí da uno stato
energetico a uno stato energetico diverso, piú eleva-
Figura 46.4 Spettro della luce bianca che to. I fotoni di energia pari alla differenza di energia
ha attraversato una sostanza, tra due livelli atomici dunque non emergono dal re-
la quale ne ha assorbito certe
cipiente e in corrispondenza di quelle frequenze os-
frequenze che appaiono come
bande scure nello spettro. serviamo delle righe scure (assenza di luce di quel
colore). Se l’energia è piú bassa o piú alta rispetto
alle differenze di cui sopra, il fotone non può es-
che divisa per E dà sere assorbito perché l’elettrone non può assumere
un’energia pari a quella che aveva inizialmente piú
e4
E = −k 2 m. (46.27) quella del fotone. È perciò costretto a restare nel suo
2n2 ~2
stato. Di conseguenza il fotone attraversa indenne il
Le energie di un elettrone in un atomo non possono recipiente e noi lo osserviamo provocare sullo spet-
essere qualunque. Sono permesse solo le energie pari tro una riga di colore pari a quello che compete alla
a una costante divisa per n2 . Si dice che l’energia di frequenza corrispondente.
un elettrone in un atomo è quantizzata.
Questa circostanza spiega in modo naturale l’os-
servazione sperimentale secondo la quale gli spettri 46.7 Quantizzazione del mo-
di assorbimento e di emissione della luce si presenta-
no con delle righe. Se si invia luce bianca su un reci- mento angolare
piente trasparente che contiene un gas di una parti-
Il momento angolare L di un elettrone in un ato-
colare specie e, dopo che la luce abbia attraversato
mo è qualcosa che, almeno in linea di principio, si
il materiale si scompone nei suoi colori attraverso
può misurare facendo interagire l’elettrone con la
un prisma di vetro o un reticolo, si osserva la man-
luce. I risultati che possiamo avere da questa mi-
canza di certi colori (Figura 46.4). Lo spettro di
sura sono sempre del tipo L = n~. In altre parole i
assorbimento presenta righe scure in corrisponden-
possibili valori di L sono sempre multipli interi di ~.
za di certi valori della lunghezza d’onda della luce
Il momento angolare è un vettore e come tale può
caratteristici della specie atomica contenuta nel re-
avere un’orientazione qualsiasi nello spazio. Scelta
cipiente. È cosí, tra l’altro, che possiamo sapere di
una direzione potremmo misurare la proiezione del
cosa siano composti oggetti lontani come le stelle:
momento angolare su quella direzione. Ma qualun-
osservandone lo spettro della luce si vedono righe
que misura facciamo non possiamo che ottenere un
scure in corrispondenza di certe frequenze che so-
multiplo di ~! Altri valori non sono ammessi per il
no di fatto la firma degli atomi di cui le stelle sono
momento angolare. In ogni caso il valore massimo
composte.
che potremo misurare è L, quindi nel caso L = 1 la
Le righe spettrali si presentano sempre in mo-
proiezione di questo vettore su una qualunque dire-
do tale da essere distanziate l’una dall’altra di una
zione può assumere soltanto i valori m = +1, m = 0
quantità che diminuisce come 1/n2 . Alla luce di
oppure m = −1. Questo accade qualunque sia la
quanto sopra è facile spiegare perché: la luce giunge
scelta della direzione rispetto alla quale decidiamo
sugli atomi in quanti di energia E = hν. Il singolo
di misurare il momento angolare.
quanto può essere assorbito o meno: è impossibile
Quando L = 2 i possibili valori che si possono
sottrargli energia parzialmente perché il quanto è
misurare per quella che si chiama la terza com-
indivisibile. Se questa energia coincide con la dif-

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46.8. LO SPIN DEGLI ELETTRONI 481

ponente del momento angolare3 sono m = +2,


m = +1, m = 0, m = −1, m = −2. In generale se il  
∆Bz
momento angolare di un elettrone in un atomo è L F = (0, 0, Fz ) = 0, 0, µz . (46.29)
si possono misurare valori di proiezione del momen- ∆z
to angolare lungo una qualunque direzione compresi Se quindi B non è costante lungo la direzione z,
tra −L e L e separati di ±1. ma varia, sull’atomo si produce una forza lungo la
Complessivamente, per un elettrone nello stato di stessa direzione. Dal momento che la direzione z
momento angolare L esistono 2L + 1 possibili stati è arbitraria lo stesso vale per le altre componenti,
diversi della terza componente. quindi, in generale

46.8 Lo spin degli elettroni 


∆Bx ∆By ∆Bz

F = (Fx , Fy , Fz ) = µx , µy , µz .
∆x ∆y ∆z
Per quanto un elettrone non sia affatto assimilabi- (46.30)
le a una carica puntiforme che ruota attorno a un Si potrebbe provare quindi a realizzare un campo
nucleo positivo, possiede pur sempre una carica elet- magnetico per cui Bx e By risultano costanti, men-
trica e di certo non è qualcosa di statico, di fermo tre Bz risulta variabile con z, pertanto un atomo
(se fosse assolutamente fermo avrebbe p = ∆p = 0 (classico) con momento magnetico qualunque subi-
e la sua posizione sarebbe completamente indeter- rà forze dirette lungo z che potranno avere intensità
minata per il Principio d’indeterminazione). Ci si variabile da 0 a µ∆Bz /∆z, visto che la componente
aspetta dunque che possa risentire dell’effetto dei µz può assumere valori compresi tra 0 e µ e un verso
campi magnetici. Un elettrone classico è assimilabile positivo o negativo. Questo, purtroppo non è pos-
a una corrente che circola lungo una spira che ha un sibile a causa delle equazioni di Maxwell. Secondo
momento magnetico proporzionale al suo momento una di queste equazioni la divergenza di B è nulla (il
angolare, quindi anche per gli elettroni quantistici che equivale a dire che il flusso attraverso una qua-
dovremmo aspettarci qualcosa del genere. La diffe- lunque superficie chiusa di questo campo è nullo).
renza dovrebbe consistere in una quantizzazione del Questo implica che
momento magnetico.
Cerchiamo di capire come si muove un atomo con ∆Bx ∆By ∆Bz
+ + =0 (46.31)
momento magnetico µ = (0, 0, µz ) in un campo ma- ∆x ∆y ∆z
gnetico non uniforme. La sua variazione di energia quindi almeno un’altra componente di B deve va-
∆U è ∆U = µ · ∆B = µz ∆Bz . Quest’energia è ac- riare in modo che questa somma sia nulla. Se
quistata a spese del lavoro fatto dalle forze cui l’a- ammettiamo che B non vari lungo x dev’essere
tomo è soggetto nel campo magnetico L = F · ∆s.
Abbiamo dunque che ∆By ∆Bz
=− . (46.32)
∆y ∆z
La traiettoria di questi atomi con velocità inizia-
µz ∆Bz = F · ∆s = Fx ∆x + Fy ∆y + Fz ∆z . (46.28)
le lungo l’asse x in questa regione è curva e dopo
Il contributo di Fx ∆x + Fy ∆y deve essere media- aver percorso una data lunghezza nella direzione
mente nullo, perché non c’è variazione di energia se x raggiungono una coordinata z che è un numero
z = cost, quindi possiamo scrivere che qualunque compreso tra −z0 e +z0 . Se si esegue l’e-
sperimento con atomi di varia specie, dal momento
3
In effetti le stesse considerazioni si applicano a una che questi non si comportano come atomi classici,
qualsiasi delle tre componenti del momento angolare.
ma quantistici, si vede che la coordinata raggiunta

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46.8. LO SPIN DEGLI ELETTRONI 482

Moto di momenti magnetici classici


in campi non uniformi
Se un momento magnetico µ = (0, 0, µz ) orien-
tato lungo l’asse z si muove in campo magnetico
non uniforme subisce una forza F ' (0, 0, Fz ) =
µz 0, 0, ∆B
∆z
z
. Per la Legge di Newton F = ma
e il moto è dunque accelerato con accelerazio-
ne lungo l’asse z. Se ∆Bz /∆z = cost, il moto
è uniformemente accelerato. Supponiamo che la
particella con momento magnetico µ si muo- Figura 46.5 Immagini realizzate da Stern
va inizialmente con velocità v0 = (v0 , 0, 0) par- e Gerlach inviando fasci di
tendo dal punto di coordinate x0 = (0, 0, 0). atomi d’argento su una la-
stra fotografica. A sinistra si
L’equazione del moto della particella è dunque
vede l’immagine prodotta in
 assenza di campo magnetico.

 x = v0 t L’asse z è verticale e quello
y orizzontale; l’asse x entra

y=0 (46.33) nel piano dell’immagine. In
 1 ∆B z
 z = µz t2 questo caso gli atomi si muo-

2 ∆z vono di moto rettilineo uni-
e dopo aver percorso una distanza L lungo l’asse forme lungo x e hanno coor-
x si ha t = L/v0 e dunque dinata z pari a zero e coor-
dinata y variabile (il fascio
era allargato in questa dire-
1 ∆Bz L2
z = µz (46.34) zione). Accendendo il campo
2 ∆z v02 magnetico (a destra) la riga
si separa in due archi ben di-
stinti (l’intensità del campo e
dopo aver percorso una distanza x non è un valo- della sua variazione lungo z
diminuisce progressivamente
re qualunque compreso tra due estremi, ma un in-
allontanandosi dal centro).
sieme di valori discreti: il momento magnetico dun-
que è quantizzato come ci si aspetta per il momento
angolare cui dovrebbe essere proporzionale. correva la traiettoria attesa: quella rettilinea. Se ne
Naturalmente, se il momento magnetico dell’ato- deve concludere che gli elettroni di questi atomi (e
mo fosse nullo la traiettoria sarebbe comunque ret- quindi tutti gli elettroni) devono possedere un mo-
tilinea perché l’accelerazione sarebbe nulla e tutti mento magnetico intrinseco e dunque un momen-
gli atomi andrebbero a urtare nello stesso punto un to angolare intrinseco, che non dipende dal fatto
eventuale bersaglio posto lungo l’asse x. di avere una velocità relativa rispetto a qualcos’al-
Questo esperimento fu eseguito da Otto Stern e tro. Questo momento angolare intrinseco è chiamato
Walther Gerlach nel 1922 [?]. Non senza sorpresa, spin.
eseguendo l’esperimento con atomi di argento, per i In alcuni testi la presenza dello spin è associata a
quali L = 0, si vide che questi atomi vengono in ef- una sorta di rotazione dell’elettrone su sé stesso, in
fetti deviati: alcuni verso l’alto, altri verso il basso, analogia a quel che succede per un pianeta che ruota
e colpiscono il bersaglio in due punti distinti. Non attorno al Sole e attorno al proprio asse: quel pia-
esistono atomi che attraversano la regione di campo neta ha un momento angolare L = mvr rispetto al
magnetico e sono deviati di una quantità interme- Sole, da cui dista r, e un momento angolare intrinse-
dia tra queste due. In particolare nessun atomo per- co che dipende dal fatto di ruotare su sé stesso. Ma

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46.9. IL PRINCIPIO DI PAULI 483

filmato non riproducibile su questo |L − S| e L + S, a passi di 1.


supporto: digita l’URL nella caption o Se quindi abbiamo L = 0 esiste un solo valore
scarica l’e-book possibile per J = 1/2, con due possibili orientazioni:
Figura 46.6 Animazione dell’esperimento −1/2 e +1/2. Per L = 1 i possibili valori di J vanno
di Stern–Gerlach. Estratto da J = |L − S| = 1/2 a J = L + S = 3/2. I possibili
da www.vulgarisation.fr
valori della terza componente sono, in un caso −1/2
e +1/2, nell’altro −3/2, −1/2, +1/2, +3/2. Per L =
2 i possibili valori di J sono compresi tra J = |L −
questa immagine è completamente sbagliata! Non S| = 3/2 e J = L + S = 5/2, e sono quindi tre:
si può parlare di rotazione dell’elettrone su sé stes- 3/2, 4/2 = 2 e 5/2. I rispettivi valori delle terze
so, per molte ragioni. Quanto meno, un’eventuale componenti sono, nel caso di J = 3/2, −3/2, −1/2,
rotazione sarebbe inosservabile per i principi della +1/2, +3/2; nel caso J = 2, −2, −1, 0, 1 e 2; nel
meccanica quantistica e nella fisica non possiamo caso J = 5/2, −5/2, −3/2, −1/2, 1/2, 3/2, 5/2.
utilizzare un concetto privo di senso. Cercare di far-
si un’immagine classica di un fenomeno puramente
quantistico di solito è il modo peggiore di procede- 46.9 Il Principio di Pauli
re. Il modo giusto di afferrare il concetto è quello
di pensare allo spin come a una grandezza fisica che Sebbene nessuno lo faccia mai notare, in meccani-
si può misurare, indipendentemente da come pos- ca classica esiste un Principio di esclusione mol-
siamo immaginarci l’elettrone, che ha le dimensioni to evidente: due punti materiali non possono avere
e il comportamento di una grandezza classica come contemporaneamente lo stesso stato. Lo stato di un
il momento angolare dovuto alla rotazione, ma che punto materiale infatti è completamente determi-
non ha niente a che vedere con questa! nato quando se ne conoscano contemporaneamente
Lo spin è un momento angolare quantistico e posizione e velocità. È del tutto evidente che due
quindi i suoi valori differiscono di ±1 l’uno dall’al- oggetti non possono stare esattamente nello stesso
tro. Avendo osservato solo due valori e l’assenza del punto dello spazio mantenendo la stessa velocità: se
valore nullo ne concludiamo che lo spin di un elet- vengono a trovarsi nello stesso punto dello spazio si
trone può assumere solo due valori diversi da zero urtano e devono quindi avere velocità diverse e se
che non possono che essere, in unità di ~, + 21 e − 21 . hanno velocità diverse, all’istante immediatamente
Un elettrone in un atomo dunque possiede un mo- successivo avranno di certo coordinate diverse.
mento angolare totale J che è la somma del momen- La teoria della relatività impone di cambiare la
to angolare orbitale L e del suo spin S: J = L + S. definizione di stato perché la velocità non è una
Anche J è un momento angolare e deve essere anche buona misura dello stato di una particella. Lo stato
lui quantizzato, dunque la somma non si può esegui- dev’essere determinato dalla posizione e dalla quan-
re banalmente come una comune somma. Il massimo tità di moto della particella. La natura del principio
valore del momento angolare totale lo si ha quando però resta.
L e S sono tra loro paralleli e hanno lo stesso verso. Con l’avvento della meccanica quantistica anche
In questo caso le loro terze componenti si sommano la definizione relativistica di stato vacilla: posizio-
e e il momento angolare totale effettivamente vale ne e quantità di moto non si possono mai cono-
J = L + S. Ma L e S potrebbero essere discordi e in scere contemporaneamente e dunque non sono una
questo caso le loro terze componenti si sottrarreb- buona definizione di stato. Lo stato di un oggetto
bero dando luogo a un momento angolare totale di è costituito dall’insieme delle variabili che permet-
modulo pari a J = |L − S|. Essendo quantizzato, il tono di determinarne l’evoluzione futura. Nel caso
momento angolare totale di un elettrone in un ato- quantistico, due grandezze che si possono misurare
mo può quindi assumere tutti i valori compresi tra contemporaneamente e che permettono di predire

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46.9. IL PRINCIPIO DI PAULI 484

lo stato a un tempo successivo sono, per esempio, direzione opposta. Per questa ragione l’idrogeno è
l’energia e il momento angolare totale (insieme alla monovalente. Non c’è piú posto per altri elettroni
sua terza componente). Se si accetta questo punto in questo stesso stato. In effetti se un elettrone aves-
di vista (e non si può non accettare dal momento se un momento angolare maggiore, avrebbe anche
che tutte le evidenze sperimentali vanno in questa un’energia piú alta.
direzione), quello che è spesso considerato un Princi- L’elio ha due elettroni che possono stare nello sta-
pio astruso e incomprensibile come il Principio di to con L = 0, che a questo punto è saturo. L’elio è
esclusione di Pauli4 diventa del tutto naturale, infatti un gas nobile che non reagisce chimicamen-
trattandosi né piú né meno che dello stesso princi- te con altri elementi. Aggiungendo un elettrone si
pio di esclusione vigente nella meccanica classica e ha il litio. Poiché nello stato di minima energia non
del tutto comprensibile. c’è posto per tre elettroni, ma per due, il terzo de-
ve trovarsi in uno stato di energia piú elevata con
46.9.1 La chimica L però che può ancora essere pari a 0. In questo
stato c’è di nuovo posto per un altro elettrone e il
Se l’energia di un elettrone in un atomo è limitata litio è monovalente come l’idrogeno. Il berillio ha
a un certo valore (che dipende dal livello occupa- quattro elettroni che saturano lo stato di energia
to n), lo è anche la sua distanza media da questo piú alto con L = 0, ma questo stato può avere an-
(la distanza non si può definire, ma il suo valor me- che elettroni con L = 1. Quindi il berillio non è
dio sí). Di conseguenza è limitato anche il momento un gas nobile, ma ha valenza 2 e si lega a elementi
angolare L = mvr. Questo significa che il massimo con valenza 6 (o due con valenza 3). Sono infatti 8
momento angolare che un elettrone può avere in un i possibili stati di momento angolare per elettroni
atomo, in unità di ~ è limitato a ` 6 `0 , dove `0 di energia pari a quella dell’elettrone piú energetico
deve dipendere da n perché il limite esiste in quan- del berillio: due per L = 0 e sei per L = 1. In questo
to conseguenza del fatto che l’energia è limitata. Si stato c’è posto fino a 8 elettroni e fino a quando lo
può dimostrare che ` 6 n−1. Gli elettroni con ener- stato non è saturo è sempre possibile che un altro
gia minima (quelli con n = 1) possono quindi avere elettrone possa piazzarcisi. Dopo il berillio vengono
soltanto L = 0, mentre quelli di energia superiore infatti il boro, il carbonio, l’azoto l’ossigeno, il fluoro
(con n = 2) possono avere sia L = 0 che L = 1, e e il neon, per un totale di otto possibili elementi in
cosí via. questa riga. Tutti questi elementi hanno in comune
La tavola periodica di Mendelev (Fig. 46.7) si l’energia massima dei propri elettroni e un numero
spiega molto bene alla luce di questa teoria. La po- di elettroni in questo stato energetico variabile tra 1
sizione nella tavola di ogni elemento ne fornisce la e 8. Il neon, che ne ha otto, è un gas nobile. Il fluo-
valenza, che è sempre un numero intero. Alcuni ele- ro ne ha sette, dunque può accettare un elettrone
menti si combinano in modo tale che la somma delle da parte di un altro atomo e per questo è monova-
rispettive valenze faccia 2, altri in modo che faccia lente. La riga successiva comincia col sodio, che è
8, altri ancora 10 e cosí via. Da dove vengono questi monovalente perché ha un solo elettrone nello stato
numeri magici? piú esterno. Il penultimo elemento di questa riga è
È molto semplice: un atomo d’idrogeno ha un solo il cloro, che ne ha sette. Avvicinando un atomo di
elettrone che, trovandosi nello stato di energia piú cloro a uno di sodio, l’elettrone del sodio non può
bassa possibile potrà avere solo L = 0. Per il Prin- piú dire di appartenere al sodio: in effetti si troverà
cipio di esclusione di Pauli solo un altro elettrone a essere distribuito attorno al nucleo di cloro e di
può trovare posto in questo stesso stato di energia sodio al tempo stesso. Lo stesso vale per gli elet-
e momento angolare: quello con lo spin rivolto nella troni del cloro e cosí si forma il legame chimico. La
riga successiva contiene molti piú elementi: per la
4
Dal nome del fisico Wolfgang Pauli.
precisione ce ne sono dieci in piú. In effetti gli elet-

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46.9. IL PRINCIPIO DI PAULI 485

troni piú energetici degli atomi della riga del sodio,


avendo n = 3, dovrebbero avere L = 0, 1 o 2. Ci
aspetteremmo quindi non otto, ma 8 + 15 = 23 ele-
menti diversi. Il fatto è che la configurazione nella
quale l’energia è piú alta, ma il momento angola-
re è piú basso risulta favorita rispetto a quella con
energia piú bassa e momento angolare alto, perciò
gli elementi della terza riga hanno gli elettroni negli
stati L = 0, 1, ma non L = 2. Questa configurazione
è sfavorita rispetto a quella in cui un elemento ha
ancora L = 0, ma energia piú alta, corrispondente
al caso del potassio. Gli elementi con Z = 21 fino a
Z = 30, che sono 10, sono proprio quelli che hanno
energia piú bassa, ma momento angolare piú alto,
pari a L = 2. Combinandosi con lo spin, questo fa
J = 3/2, J = 2 o J = 5/2. Ancora una volta gli
stati con J = 3/2 e J = 5/2 sono favoriti rispetto
a quelli con J = 2. Questi stati sono proprio 10 e
per questo dopo lo zinco (Z = 30) viene il gallio, a
Z = 31 con L = 1 ed energia maggiore.
Al crescere dell’energia e di L le configurazioni
possibili si complicano, ma resta una certa regola-
rità per la quale comunque sono favorite sempre le
configurazioni con L = 0 e L = 1, che danno sempre
otto possibili combinazioni. Talvolta le combinazio-
ni possono essere di piú, ma non sono cosí frequenti:
per questo la maggior parte degli elementi reagisce
con altri in modo tale che la somma delle valenze
faccia per lo piú otto: la somma delle valenze non
è altro che il numero massimo di elettroni che tro-
vano posto nello stato di massima energia possibile
per quegli elementi.

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46.9. IL PRINCIPIO DI PAULI 486

Figura 46.7 La tavola periodica degli


elementi chimici.

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46.9. IL PRINCIPIO DI PAULI 487

46.9.2 Semiconduttori dotto dall’altro elettrone (che ha segno opposto).


L’energia dell’elettrone diventa quindi
Se pensate che la meccanica quantistica non abbia
alcun interesse pratico vi sbagliate di grosso! Infatti e2 e2 e2
questo tipo di fisica è alla base del funzionamento U = −kZ − kZ + k (46.36)
r1 r2 r3
dei semiconduttori con i quali sono realizzati tutti
dove ri sono le distanze, rispettivamente, dal nu-
gli apparati elettronici: dal telecomando dell’auto al
cleo, dall’altro nucleo e dall’altro elettrone. È evi-
tablet.
dente che l’energia di ogni elettrone cambia rispet-
Un atomo di silicio è un atomo che nello stato
to alla configurazione precedente e dal momento
energetico piú elevato ospita quattro elettroni. C’è
che anche in questo caso l’energia dell’elettrone sarà
posto dunque per altri quattro. I quattro elettroni
quantizzata avremo degli stati di energia discreti
presenti hanno tutti la stessa energia, ma momen-
to angolare diverso. La forza con la quale il nucleo A
trattiene gli elettroni attorno a sé è abbastanza forte En = −
, (46.37)
n2
e un cristallo di silicio si comporta in genere come con A costante. Non essendo possibile per due elet-
un isolante: applicando una differenza di potenziale troni stare nello stesso stato, ognuno dovrà piazzarsi
gli elettroni non si muovono, perché trattenuti dalle in uno stato diverso: un elettrone assume l’energia
forze Coulombiane che esercitano i nuclei del mate- piú bassa possibile (per n = 1), mentre l’altro quel-
riale, e la corrente non passa. Se si scaldasse il sili- la immediatamente superiore (per n = 2). Nessuno
cio a una temperatura sufficientemente alta oppure dei due elettroni potrà piú dire a quale nucleo ap-
fosse illuminato da una radiazione ultravioletta, gli partiene: di fatto ogni elettrone circonda tutti e due
elettroni acquisterebbero energia sufficiente a por- i nuclei.
tarsi nello stato di energia piú elevato. Sarebbero Se avviciniamo un terzo atomo accadrà qualcosa
cosí meno legati al nucleo e piú liberi di muover- di simile: i tre elettroni si troveranno ciascuno in
si. Applicando una differenza di potenziale quindi un livello energetico diverso, separato dagli altri da
si osserverebbe il passaggio di corrente. Da isolante, un intervallo di energie proibite. È facile capire che
il silicio diventa conduttore. all’aumentare degli elettroni la perturbazione che si
In un cristallo di silicio gli elettroni però non so- provoca sull’energia di ciascuno diventa via via piú
no distribuiti nello stesso modo che in un atomo. piccola e quindi la distanza tra i livelli energetici
Per capire come mai, supponiamo che il silicio ab- diminuisce sempre di piú. In altre parole, con due
bia un solo elettrone e che se ne possa trovare uno nuclei i primi due livelli sono separati di
solo in un determinato stato di energia: è un’ipotesi
semplificativa che tuttavia non cambia la sostanza
 
1
∆E2 = −A2 −1 , (46.38)
del meccanismo. Un atomo sarebbe dunque formato 4
da un nucleo circondato dal suo elettrone. Due ato- mentre con N nuclei la separazione tra i livelli
mi diversi di silicio avrebbero i due elettroni nello diventa
stesso stato, di energia
 
1
e 2 ∆EN = −AN −1 , (46.39)
U = −kZ (46.35) 4
r
dove AN  A2 e AN tende a zero man mano che
dove r è la distanza media tra nucleo ed elettrone.
aumenta N . In un cristallo ci sono dell’ordine di
Quando i due atomi si avvicinano, però, l’elettro-
NA ' 6 × 1023 (un numero di Avogadro) atomi, per-
ne dell’uno sente, oltre al campo Coulombiano del
ciò i livelli energetici occupati dagli elettroni, pur
proprio nucleo, anche quello dell’altro e quello pro-
discreti, sono talmente fitti da costituire una ve-
ra e propria banda continua. In certe condizioni

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46.9. IL PRINCIPIO DI PAULI 488

filmato non riproducibile su questo gia En+1 è vuoto, e se avviene quello di energia En
supporto: digita l’URL nella caption o si svuota. Il processo si può reiterare a piacere e la
scarica l’e-book conseguenza netta è che la mancanza di un elet-
Figura 46.8 Cristalli di tipo p e n trone (quella che si chiama una lacuna) passa da
conducono l’elettricità in un livello a un altro in modo esattamente opposto
modi diversi: nei primi
sono le lacune (positive)
a quel che farebbe un elettrone. È come se nel cri-
a condurre l’elettricità; stallo fosse presente una carica positiva che, sotto
nei secondi sono gli elet- l’azione della differenza di potenziale applicata, si
troni (negativi) [https: sposta nel cristallo in modo opposto a come fa un
//www.youtube.com/ elettrone. Per questo il cristallo si dice di tipo p: le
watch?v=reaiZv3jjCY].
cariche che conducono la corrente sono positive5 .

è possibile che esista una banda di energie permesse


46.9.3 Il diodo
separata da un’altra banda di energia permesse da Se si fa crescere un cristallo drogato di tipo p sopra
un intervallo di energie proibite. Se gli elettroni si un cristallo drogato di tipo n, all’interfaccia tra i
trovano tutti nella prima banda (detta banda di due alcune cariche negative sono libere di muoversi
valenza) il materiale si comporta come un isolan- da un lato, mentre dall’altro esistono alcuni stati di
te, mentre se alcuni elettroni si trovano nella banda bassa energia liberi da elettroni. Per un elettrone
superiore (detta banda di conduzione) il mate- libero di muoversi nel cristallo n è quindi molto fa-
riale diventa conduttore. Il silicio naturale avrebbe cile occupare il livello vuoto presente nel cristallo di
tutti gli elettroni nella banda di valenza e dunque tipo p, ma una volta caduto in quel livello diventa
sarebbe un isolante. sostanzialmente immobile non essendo piú possibi-
Se però inserisco nel reticolo cristallino, di tanto le, per lui, cambiare energia dal momento che tutti
in tanto, alcuni atomi di Arsenico (che di elettroni gli stati di energia vicini sono occupati. Viceversa,
ne ha cinque), quattro di questi trovano posto nel- nel cristallo di tipo n si produce una lacuna nel-
la banda di valenza e uno in quella di conduzione la banda di conduzione, perché quello stato è stato
(o nelle immediate vicinanze). Il cristallo cosí for- abbandonato da un elettrone.
mato (che si dice drogato di tipo n) è quindi un Di fatto si produce una condizione per cui all’in-
conduttore a temperatura ambiente. terfaccia tra un cristallo e l’altro, si trova uno strato
Se, al contrario, s’inseriscono nel reticolo atomi di di cariche negative in eccesso nel cristallo p e un ec-
Boro (trivalente), i tre elettroni che possiede nello cesso di cariche positive (lacune) nel cristallo n (il
stato di energia piú alta finiscono tutti nella ban- cristallo di tipo n è elettricamente neutro perché do-
da di valenza (in realtà appena un po’ piú su, ma ve si trovano gli atomi di arsenico ci sono 5 protoni
la sostanza non cambia) dove ci sarebbe posto per e altrettanti elettroni: se un elettrone abbandona il
un elettrone che non c’è. Esiste dunque un livello cristallo per passare nell’altro si crea uno squilibrio
energetico tra i tanti libero da elettroni. Il cristal- di cariche).
lo si dice drogato di tipo p. Il motivo è presto Il dispositivo cosí formato è un diodo. I diodi
spiegato: se si applica una differenza di potenziale funzionano come valvole idrauliche: fanno passare
ai capi di questo cristallo gli elettroni nella banda la corrente in un verso, ma non nell’altro. Se infatti
di valenza acquistano un po’ di energia, che non è si collega il polo positivo di una pila al cristallo di
sufficiente a farli passare nella banda di conduzio- tipo n e quello negativo al cristallo di tipo p gli elet-
ne, ma è abbastanza per far passare un elettrone
Notate che in questo caso la corrente è sempre dovuta al
5
dal livello, diciamo En al livello En+1 , infinitamente moto degli elettroni, che però sono nella banda di valenza.
vicino. Questo può avvenire solo se il livello di ener-

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46.9. IL PRINCIPIO DI PAULI 489

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Figura 46.9 Un diodo funziona come Figura 46.10 Il funzionamento di un
una valvola idraulica: lascia transistor è analogo a quello
passare la corrente che scorre di uno sciacquone [https:
in un verso, ma non quella //www.youtube.com/
che scorre nell’altro [https: watch?v=IQJnGhsWfWc].
//www.youtube.com/
watch?v=y2htodNi8xI].

46.9.4 Il transistor
troni nel cristallo tenderanno a muoversi nel verso Con tre cristalli di tipo alternato (npn o pnp) si fan-
che va dal cristallo p al cristallo n. Nel far questo no, invece, i transistor, che funzionano come am-
troveranno all’interfaccia uno strato di elettroni che plificatori di corrente. I tre semiconduttori sono
li respingerà impedendo loro di passare, da un la- collegati ad altrettanti conduttori detti, rispettiva-
to; dall’altro lo strato di cariche positive tenderà a mente emettitore, base e collettore. I transistor
trattenere gli elettroni. Se invece il diodo si pola- amplificano la corrente che s’inietta nella loro ba-
rizza al contrario gli elettroni possono muoversi dal se. Dal momento che la carica elettrica si conserva
cristallo n al cristallo p: questo moto è addirittu- non è evidentemente possibile moltiplicare davvero
ra favorito dallo strato di cariche positive presenti il numero di cariche che circolano nel transistor, ma
all’interfaccia e quindi il cristallo conduce. si può creare l’illusione che questo sia possibile.
Con uno strumento cosí si possono fare molte co- Possiamo immaginare il funzionamento di un
se: ad esempio i sensori delle fotocamere digitali. Se transistor come quello di una coppia di valvole
si espone un diodo alla luce, per effetto fotoelettrico idrauliche montate al contrario6 (vedi il Filma-
alcuni elettroni si liberano e passano nella banda di to 46.10) e il suo funzionamento come quello di uno
conduzione. Ma questi ricadono presto nella banda sciacquone. L’emettitore di un transistor si colle-
di valenza e comunque si muovono in tutte le dire- ga a una pila che non è altro se non una riserva
zioni possibili rendendo nulla la corrente fotoelet- di cariche, analogamente alla cassetta di scarico di
trica media. Se però il diodo è polarizzato in modo un bagno che serve per immagazzinare acqua. Col-
da non condurre corrente, gli elettroni del cristallo legando il dispositivo di scarico a un secchiello (che
non si spostano, ma quelli che sono stati portati nel- funge da base del transistor) possiamo provocarne
la banda di conduzione dall’energia della radiazione l’attivazione introducendo acqua nel secchiello (do-
luminosa, si muovono tutti coerentemente dal polo vete pensare a uno di quei sciacquoni con la catena
negativo a quello positivo della pila. In questo modo che ormai non s’usano piú). Il peso dell’acqua pro-
si produce una sia pur debole corrente proporziona- voca l’apertura della valvola che fa cadere l’acqua
le all’intensità della luce che ha colpito il pixel di dalla cassetta/emettitore al water/collettore.
silicio. Le fotocamere digitali dunque possono fun- A fronte di un modesto quantitativo d’acqua nel
zionare solo grazie alla meccanica quantistica che secchiello/base, vediamo scorrere tanta acqua nel
permette l’effetto fotoelettrico e la formazione delle water/collettore. È come se avessimo moltiplicato
bande: se l’energia degli elettroni in un atomo po- la quantità d’acqua versata per un fattore, ma na-
tesse assumere ogni valore possibile i diodi non si turalmente l’acqua che scorre nel water è quella pre-
potrebbero costruire. In un certo senso si potrebbe immaginare come una cop-
6

pia di diodi montati al contrario l’uno rispetto all’altro, ma


in questo caso la presenza del conduttore tra l’uno e l’altro
impedirebbe al sistema il funzionamento come transistor.

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46.10. L’EQUAZIONE DI SCHRÖDINGER 490

levata dalla cassetta che non ha niente a che vedere dove k è il numero d’onda e φ una fase arbitraria. Il
con quella introdotta nel dispositivo. Come la cas- numero d’onda è legato alla lunghezza d’onda dalla
setta, anche la pila di un transistor infatti si scarica relazione
con l’uso.
I transistor sono l’elemento principale con il qua- 2π
k= (46.42)
le si costruiscono i circuiti integrati che si trovano, λ
a milioni, in ogni dispositivo elettronico. Anche il che in meccanica quantistica e in unità naturali al-
transistor è un dispositivo quantistico perché an- tro non è che la quantità di moto della particella
che il suo funzionamento dipende dalla struttura a p (vedi equazione (46.18)). Possiamo quindi scrive-
bande caratteristica di questo tipo di fisica. La mec- re che, in assenza d’interazioni e per velocità non
canica quantistica, insomma, è molto meno esotica relativistiche,
di quanto si creda!
p2
H A sin (kx + φ) = E A sin (kx + φ) = A sin (kx + φ) .
46.10 L’equazione di Schrödin- 2m
(46.43)
ger Applicare l’operatore H a ψ dunque deve risultare
nella moltiplicazione di questo per p2 /2m = k 2 /2m,
Tutte le evidenze sperimentali suggeriscono che gli cioè H = p2 /2m. Le dimensioni fisiche sono quelle
oggetti di cui è costituito l’Universo sono descrivibili che ci si aspettano (quelle di un’energia) ed è ab-
matematicamente in termini di onde e di particel- bastanza naturale estendere la definizione di H nel
le al tempo stesso. Inoltre la fisica può solo aver a caso in cui sia presente un campo di forze il cui
che fare con grandezze misurabili. Il processo di potenziale sia V come
misura dunque è parte essenziale dell’evoluzione di
un sistema fisico che deve essere descritto in termini p2
+V ,
H= (46.44)
dei risultati di una misura. 2m
Una delle grandezze fisiche che si possono misu- per la quale avremo che
rare su uno stato ψ che descrive un sistema fisico  2 
è l’energia. La misura consiste nell’interazione con p
+ V ψ = Eψ (46.45)
uno strumento che dà come risultato il valore del- 2m
l’energia dello stato E. Possiamo rappresentare l’in- nota come equazione di Schrödinger7 Os-
terazione con un operatore matematico H mol- serviamo che la derivata di ψ rispetto a x
tiplicato per lo stato stesso: Hψ. Il risultato del- vale
l’applicazione di quest’operatore non può che essere
il risultato della misura E che, per ragioni dimen- dψ
= kA cos (kx + φ) (46.46)
sionali, deve includere lo stato ψ. Possiamo dunque dx
scrivere che e quindi la derivata seconda

Hψ = Eψ (46.40) d2 ψ
= −k 2 A sin (kx + φ) , (46.47)
dx2
dove E è un numero reale, mentre H è qualcosa che
si applica a ψ e dà come risultato E moltiplicata pertanto possiamo dire che la quantità di moto in fi-
per ψ. Se rappresentiamo lo stato di una particella sica quantistica altro non è se non i volte la derivata
come un’onda possiamo scrivere che rispetto a x dello stato dal momento che dividendo
tutto per −2m abbiamo
ψ = ψ(x) = A sin (kx + φ) (46.41) 7
Dal nome del fisico Erwin Schrödinger che la propose.

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46.10. L’EQUAZIONE DI SCHRÖDINGER 491

fascio di elettroni su uno schermo con due sottili fen-


1 d2 ψ k2 diture. Prima di arrivare allo schermo gli elettroni
− = ψ (46.48)
2m dx2 2m non sono localizzati (se la sorgente è molto lontana)
che riproduce l’equazione (46.43) se ammettiamo e quindi la loro funzione d’onda si estende in tutto
che lo spazio: ogni singolo elettrone è ovunque dietro
lo schermo. Giungendo sullo schermo, quest’ultimo
d
p=i . (46.49) di fatto esegue una misura della posizione degli elet-
dx troni. Al di là dello schermo la funzione d’onda di un
Il suo quadrato infatti è elettrone è di fatto nulla dappertutto tranne che in
2 corrispondenza delle fenditure dove la probabilità di
d2

d
2
p = i =− 2 (46.50) trovare l’elettrone è diversa da zero. Ma attenzione!
dx dx Non si tratta semplicemente del fatto che noi non
e si può pensare ad H non come a un semplice nu- conosciamo la sua posizione: il fatto è che la sua
mero che moltiplica lo stato, ma come un’opera- posizione non è determinata e si trova con proba-
zione che consiste nel calcolare la derivata seconda bilità 1/2 e contemporaneamente in corrispondenza
dello stato rispetto alle coordinate, moltiplicata per dell’una e dell’altra fenditura. Solo cosí è possibile
1/2m. che, propagandosi al di là di queste, le due funzioni
Nell’equazione di Schrödinger lo stato ψ, che è d’onda, che a questo punto hanno fronti semicirco-
una funzione di x è rappresentato come una funzio- lari, interferiscono tra loro e, giungendo su un altro
ne d’onda. Se si integra su tutto l’asse x il secondo schermo, producono una figura d’interferenza. Rive-
membro dell’equazione di Schrödinger si ha lare gli elettroni sullo schermo equivale a misurare la
Z ∞ loro posizione: ogni elettrone risulterà essere a una
Eψ(x)dx . (46.51) certa posizione con una probabilità che dipende da
−∞ come hanno interferito le onde prodotte dalle due
Integrare su tutto l’asse x significa misurare tutte fenditure, quindi di fatto la figura d’interferenza è
le possibili energie che la particella rappresentata una rappresentazione del modulo quadro di ψ.
da ψ(x) può avere nei diversi punti dello spazio e È utile rappresentare la funzione d’onda sfruttan-
sommarle tra loro, pesandole con ψ. Se si impone do la proprietà dell’equazione di Schrödinger di es-
che sere lineare. Se infatti A sin (kx + φ) è una soluzione
Z ∞ lo è anche B cos (kx + φ) e dunque lo è anche una
ψ(x)dx = 1 (46.52) combinazione lineare delle due:
−∞
l’integrale sopra non è altro che il valor medio del-
l’energia quando la funzione di distribuzione di pro- ψ = A sin (kx + φ) + B cos (kx + φ) . (46.53)
babilità dei suoi valori è ψ(x). Di conseguenza il
Il modulo quadro di ψ deve valere 1 quindi A e B
modulo quadro di ψ(x), |ψ(x)|2 si può interpreta-
si devono scegliere in modo tale da soddisfare que-
re come la probabilità di trovare la particella nel
sta condizione. Un modo semplice d’imporre que-
punto x. Quando dunque scriviamo lo stato di una
sta condizione consiste nello scrivere la soluzione
particella come una funzione d’onda diciamo che la
generale come
particella, fino a che non si esegue una misura, si
trova ovunque nello spazio con probabilità diverse
(che possono anche essere nulle). Questa interpre- ψ = sin (kx + φ) + i cos (kx + φ) . (46.54)
tazione della funzione d’onda è coerente con quan-
to visto sopra. Consideriamo, per esempio, l’espe- Il modulo quadro di ψ è ψψ ∗ , dove ψ ∗ rappresenta
rimento della doppia fenditura nel quale s’invia un il complesso coniugato di ψ:

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46.10. L’EQUAZIONE DI SCHRÖDINGER 492

nullo per lo spin in direzione perpendicolare a quella


misurata in precedenza, ma questo non è possibile
ψ ∗ = sin (kx + φ) − i cos (kx + φ) . (46.55) perché il valore zero non è ammesso tra i possibi-
In questo modo la condizione di normalizzazio- li risultati di una misura. Misureremo quindi, con
ne (46.52) è automaticamente soddisfatta. Usan- uguale probabilità, uno spin orientato a destra o
do infine le formule di Eulero possiamo scrivere la a sinistra, benché immediatamente prima abbiamo
funzione d’onda come accertato che quest’ultimo era orientato in su o in
giú.
ψ = ei(kx+φ) (46.56) Un’onda che si propaga, oltre a essere funzio-
ne dello spazio, è anche funzione del tempo perciò
Allo stesso modo si spiega un altro fenomeno cu- possiamo scrivere ψ = ψ(t) e rappresentare ψ come
rioso: un elettrone libero ha spin che può esistere
in due stati: + 12 e − 12 . Se misuriamo lo spin di un ψ = ψ(t) = e−i(ωt+φ) (46.60)
elettrone usando un apparato tipo quello di Stern
e Gerlach orientato per esempio in modo l’asse z Facendo la derivata della funzione d’onda rispetto
sia verticale, possiamo dire se ha spin + 21 o spin al tempo si trova
− 12 , mentre prima della misura dobbiamo ammette-
re che si trovi in uno stato che si può rappresentare dψ
come = −iωe−i(ωt+φ) = −2iπνe−i(ωt+φ) . (46.61)
dt
 
1 1
ψ = √ +
1 1
+ √ − (46.57) Dividendo per 2π e moltiplicando per ih, ricordando
2 2 2 2 che ~ = h/2π e che E = hν, si ottiene

dove i fattori 1/ 2 servono a garantire che la proba- dψ
bilità di trovare l’elettrone in uno stato o nell’altro i~ = Ee−i(ωt+φ) = Hψ . (46.62)
dt
sia 1. Supponendo d’aver misurato lo stato + 21 lo
avendo sfruttato l’equazione di Schrödinger che ci
stato diventa
dice che Eψ = Hψ. Quest’ultima equazione prende

1 il nome di equazione di Schrödinger dipenden-
ψ = + . (46.58) te dal tempo e rappresenta l’analogo di F = ma
2
della meccanica classica. Con quest’equazione, in-
Se ora l’elettrone continua a propagarsi ed eseguia- fatti, si può calcolare l’evoluzione temporale di uno
mo nuovamente una misura non possiamo che ri- stato, conoscendo lo stato iniziale.
trovare lo stesso stato. Ma se l’apparato di Stern e
Gerlach è ruotato di 90◦ rispetto al primo (lo dispo-
niamo quindi in modo da avere l’asse z orizzontale)
misuriamo una grandezza fisica diversa: la compo-
nente dello spin in una direzione diversa. Dal mo-
mento che questa prima non era mai stata misurata
l’elettrone si trova in uno stato composto dalla so-
vrapposizione dei due stati e quindi nuovamente la
sua funzione d’onda diventa
 
1 1 1 1
ψ = √ + + √ − (46.59)
2 2 2 2
dove ora gli spin sono misurati in una direzione di-
versa. Classicamente dovremmo aspettarci un valore

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46.10. L’EQUAZIONE DI SCHRÖDINGER 493

Fisicast
La meccanica quantistica è argomento dei seguenti
podcast di Fisicast:

Il transistor http://www.radioscienza.it/
2013/05/09/il-transistor/

L’effetto fotoelettrico http://www.


radioscienza.it/2012/11/22/
leffetto-fotoelettrico/

La Meccanica Quantistica nel mio cellulare


http://www.radioscienza.it/2013/03/22/
la-meccanica-quantistica/

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Unità Didattica 47
Una storia esemplare

La storia della fisica delle particelle è esemplare spiegabile in termini fisici e la scarica di un elettro-
da molti punti di vista: le tappe che hanno porta- scopio è uno di questi. Se un elettroscopio si scarica
to i fisici a formulare l’attuale modello della fisica vuol dire che perde progressivamente le cariche elet-
delle particelle illustrano in maniera emblematica triche che si trovano distribuite sulla superficie delle
il progresso scientifico e le modalità con le quali si sue parti conduttrici.
attua. Per rimuovere tali cariche è necessaria la presenza
La nascita della fisica delle particelle si può far di una qualche forza, di natura elettrica, che modifi-
risalire ad anni diversi, che vanno dai primi del 1900 chi lo stato di carica del sistema in esame. Occorreva
agli anni ’30 del XX secolo, secondo le preferenze dunque individuare la sorgente di tale forza. È ab-
dei diversi autori. Noi stabiliremo la data di nascita bastanza naturale aspettarsi che la sorgente debba
della fisica delle particelle all’anno 1912, nel corso essere una carica elettrica che attrae le cariche pre-
del quale il fisico austriaco Viktor Hess dimostrò senti sull’elettroscopio, strappandole da questo. Una
l’esistenza dei raggi cosmici. tale carica si potrebbe naturalmente trovare all’in-
I raggi cosmici furono scoperti cercando di rispon- terno dei laboratori dove si fanno gli esperimenti,
dere a una domanda all’apparenza del tutto irrile- per molti motivi. Vennero cosí avviate campagne
vante: perché gli oggetti elettricamente carichi, pri- di misura per determinare quali potessero essere le
ma o poi si scaricano? Siamo certi che la maggior possibili sorgenti.
parte dei lettori penseranno che sia del tutto nor- Gli elettroscopi venivano schermati con materia-
male che ciò avvenga e che pochissimi avrebbero li diversi, portati in luoghi diversi, il piú possibi-
considerato l’opportunità di dare risposta a una do- le lontano da cariche elettriche libere. In tutti i
manda cosí apparentemente insignificante. E invece, casi l’osservazione sperimentale era la stessa: tutti
come già accaduto in altre occasioni, il tentativo di gli elettroscopi, indipendentemente dalle condizioni
rispondere a questa domanda diede vita a una se- nelle quali si trovavano, andavano progressivamente
rie di scoperte sorprendenti e alla nascita di una scaricandosi.
disciplina completamente nuova! La recente scoperta della radioattività naturale
portò alcuni scienziati a ipotizzare che la scarica
degli elettroscopi fosse da imputare alla presenza
47.1 La scarica degli elettro- di materiali radioattivi, sempre presenti sulla cro-
scopi sta terrestre, che emettevano raggi β o raggi α che,
essendo elettricamente carichi, avrebbero potuto in-
All’inizio del XX secolo gli elettroscopi erano stru- teragire con gli elettroscopi provocandone la scarica.
menti piuttosto diffusi nei laboratori di fisica. Già Si cercò allora di verificare quest’ipotesi, misurando
da tempo si era notato che, una volta caricati, dopo il tasso di ionizzazione in luoghi nei quali l’abbon-
alcune ore perdevano la loro carica. Come sempre, danza di elementi radioattivi era nota. Ci si aspet-
quando si osserva un fenomeno, questo deve essere tava, naturalmente, che la ionizzazione (e quindi la
47.1. LA SCARICA DEGLI ELETTROSCOPI 496

Figura 47.1 Domenico Pacini al lavoro


(1910).

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Figura 47.2 Caricando elettrostatica-
mente un elettroscopio
si osserva che, dopo un
tempo piú o meno lungo,
perde tutta la sua carica
[http://www.youtube.com/
watch?v=eIl89swyr7Q].
Anche se completamente
isolato.
Figura 47.3 Viktor Hess a bordo del pal-
lone aerostatico poco prima
di partire per una delle sue
campagne di misura.
rapidità di scarica degli elettroscopi) fosse piú in-
tensa laddove gli elementi radioattivi erano abbon-
danti, come certe miniere. E invece il risultato fu diminuiva con la profondità. In un articolo [?] ap-
inconcludente, perché non si riuscí a correlare la io- parso sul Nuovo Cimento nel 1912, Pacini conclu-
nizzazione con l’abbondanza degli elementi ritenuti deva che “esista nell’atmosfera una sensibile causa
responsabili. ionizzante, con radiazioni penetranti, indipendente
Da queste misure si poteva dedurre che la causa dall’azione diretta delle sostanze radioattive del ter-
della ionizzazione non fosse da ricercarsi in elementi reno.”. I raggi ionizzanti, infatti, dovevano essere as-
presenti nella crosta terrestre. Fu cosí che l’italiano sorbiti dall’acqua e quindi, se fossero stati presen-
Domenico Pacini decise di eseguire misure di ioniz- ti al di sopra della superficie di questa, man mano
zazione sott’acqua, a diverse profondità. Pacini ese- che si scendeva in profondità si doveva misurarne
guì svariate misure sia in acqua salata, al largo di sempre meno.
Livorno, che in acqua dolce, nel Lago di Bracciano,
per escludere eventuali effetti dovuti alla presenza
di sali disciolti nell’acqua. In entrambi i casi, Pacini
ottenne il risultato secondo il quale la ionizzazione

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47.3. CARATTERISTICHE DEI RAGGI COSMICI 497

limite esterno dell’atmosfera (dunque avvicinandosi


al livello del mare) l’intensità di questa radiazione
diminuiva. Doveva trattarsi di un tipo di radiazio-
ne molto piú penetrante di quelle allora conosciute,
che avrebbero dovuto essere completamente assenti
al livello del mare. Non si trattava, dunque né di
radiazione α, né di radiazione β.
Per questa radiazione di origine extra–terrestre fu
coniato piú tardi, da Robert Millikan il termine di
raggi cosmici. Secondo il Merriam–Webster Dic-
tionary la prima volta che tale termine comparve
risale al 1925, quindi diversi anni piú tardi rispetto
alla loro scoperta. L’articolo in questione [?] è dispo-
nibile online sul sito dell’Accademia delle Scienze
Figura 47.4 Misure di ionizzazione ese-
guite da Hess nel 1912, in
Statunitense.
funzione della quota raggiun-
ta dal pallone con a bordo gli
strumenti. A destra sono mo- 47.3 Caratteristiche dei raggi
strate le misure, piú precise,
eseguite negli anni successivi cosmici
da W. Kolhörster.
Dal momento che questi raggi provocavano effetti
ionizzanti, dovevano essere costituiti di particelle
47.2 La scoperta dei raggi co- elettricamente cariche. Ben presto si scoprí che le
smici particelle in questione dovevano per lo piú essere
di carica positiva. Le misure, infatti, rivelarono che
Purtroppo per Pacini, la conclusione, pur corretta, esisteva un’asimmetria nella direzione dalla quale i
non era completa. Egli, infatti, attribuí all’atmo- raggi cosmici apparivano provenire: in particolare
sfera il ruolo di contenitore degli agenti ionizzanti. sembrava che i raggi cosmici provenissero preferi-
L’austriaco Viktor Hess, invece, si spinse leggermen- bilmente da ovest (effetto est–ovest). Fu il fisico
te piú in là, anche perché disponeva di una tecno- Bruno Rossi a predire, nel 1930, questo fenomeno.
logia piú avanzata: i palloni aerostatici. Hess eseguí Com’è noto la Terra è circondata da un campo
misure di ionizzazione a bordo di un pallone, a quo- magnetico le cui linee di forza sono grosso modo
te diverse, anche molto alte (fino ad alcuni km). La parallele ai meridiani e sono dirette da sud a nord. I
ionizzazione aumentava con la quota in modo evi- raggi cosmici arrivano da tutte le direzioni, per cui
dente, come si vede bene dalla Figura 47.4, ottenu- possiamo immaginare un flusso di particelle dirette
ta riportando i dati dall’articolo originale [?] con il in media verso la Terra. Usando la regola della mano
quale, sempre nel 1912, lo stesso Hess annunciò la destra, possiamo facilmente determinare la direzio-
scoperta. ne e il verso della Forza di Lorentz agente su una
Da queste misure Hess ricavò l’idea che la sor- particella di carica positiva. Disponendo le dita del
gente della radiazione ionizzante fosse esterna alla palmo della mano in direzione del campo magnetico
Terra. Secondo l’ipotesi di Hess la radiazione ioniz- terrestre (quindi lungo un meridiano nella direzione
zante aveva natura extra–terrestre: penetrava nel- sud–nord) e il pollice in direzione della velocità delle
l’atmosfera terrestre ed era parzialmente assorbita particelle, cioè verso la superficie terrestre, la forza
da questa. Per questa ragione, allontanandosi dal di Lorentz è diretta perpendicolarmente al palmo
della mano, perciò verso ovest. Se dunque i raggi

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47.3. CARATTERISTICHE DEI RAGGI COSMICI 498

filmato non riproducibile su questo


supporto: digita l’URL nella caption o
scarica l’e-book
Figura 47.5 Raggi cosmici attraversano
una camera a scintilla, che
ne rende visibili le tracce
[http://www.youtube.com/
watch?v=HvEZbZc4XnA]. In
una camera a scintilla una
miscela di gas nobili (He e
Ne) è ionizzata dal passaggio
delle particelle cariche. Nel
gas ci sono piani metallici
tra i quali si applica una
forte differenza di potenziale
provocando una scintilla
nel punto in cui il gas è
stato ionizzato. Le scintille
quindi si allineano lungo la
traiettoria percorsa dalla
particella che ha attraversato
lo strumento.

filmato non riproducibile su questo


supporto: digita l’URL nella caption o Figura 47.7 Spettro energetico dei raggi
scarica l’e-book cosmici [?] come misurato da
diversi esperimenti. Intorno
Figura 47.6 Spiegazione dell’effetto ai 106 –107 GeV si osserva un
est-ovest nei raggi cosmici leggero cambiamento nella
[http://www.youtube.com/ pendenza della curva (che è
watch?v=OZG6Bk45ZKs]. in scala logaritmica). Questa
Questi appaiono provenire regione è convenzionalmente
per lo piú da ovest, diretti chiamata la regione del gi-
verso est. Il motivo è che i nocchio: la forma dello spet-
raggi cosmici primari sono tro in questa scala, infatti,
protoni, quindi particelle ricorda quella di una gamba
positive, il cui moto è in- leggermente flessa all’altezza
fluenzato dalla presenza del del ginocchio.
campo magnetico terrestre.

completamente costituito di particelle α (nuclei di


elio). Meno dell’1 % di essi è costituito di nuclei piú
cosmici sono prevalentemente carichi positivamen-
pesanti e altrettanti sono gli elettroni.
te sembreranno provenire maggiormente da ovest.
Lo spettro energetico dei raggi cosmici (cioè il
In effetti si osserva un flusso maggiore in direzione
flusso per unità d’energia) è mostrato in Fig. 47.7.
ovest–est.
Si nota l’amplissimo intervallo di energie che arriva
Oggi sappiamo che la stragrande maggioranza dei
fino a 1012 GeV (corrispondenti a quasi 200 J!) per
cosiddetti raggi cosmici primari, quelli cioè che
singola particella.
arrivano in prossimità della Terra dallo spazio, so-
Si osserva anche un abbondante flusso di raggi γ
no protoni. Questi costituiscono circa il 90–95 %
e X. I raggi cosmici primari collidono con i nuclei
del flusso totale di raggi cosmici. Il resto è quasi

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47.3. CARATTERISTICHE DEI RAGGI COSMICI 499

degli elementi che costituiscono l’atmosfera terre- spazio in cui può essere accelerata e la possiamo
stre. Nell’urto si producono numerose nuove par- considerare persa (non giungerà mai nei dintorni
ticelle chiamate raggi cosmici secondari che si della Terra).
dirigono verso la superficie (essenzialmente per la Dimostra che lo spettro di energia atteso per le
conservazione della quantità di moto). Parte di es- particelle sopravvissute è una legge di potenza. Per
si giunge al livello del mare dove il flusso di raggi farlo scrivi l’energia guadagnata da una particella
cosmici secondari è pari a circa 100 m−2 s−1 . di energia E dopo aver attraversato una regione di
spazio nella quale guadagna energia per un tempo
I raggi cosmici provengono parzialmente dal Sole
lungo t. Quindi valuta la sua probabilità di soprav-
(si osserva un flusso maggiore in direzione di que-
vivenza assumendo che, se la particella non guada-
sto), ma la maggior parte di essi deve essere di ori- gna energia avendo percorso un breve tratto, venga
gine extra–galattica, perché il flusso appare privo di espulsa dalla regione accelerante. Il numero di par-
direzionalità (in pratica non si osservano raggi co- ticelle che giungono sulla Terra è proporzionale a
smici provenire direttamente da una sorgente speci- questa probabilità (sarà il numero di particelle ini-
fica, se non in misura relativamente modesta: i raggi ziali moltiplicato per la probabilità di sopravvivere
cosmici appaiono provenire da tutte le direzioni) e le nel viaggio dal punto in cui sono state prodotte,
uniche potenziali sorgenti distribuite uniformemen- fino a noi).
te attorno alla Terra sono le galassie. Le possibili Le particelle cariche possono essere accelerate se
sorgenti di raggi cosmici sono tutte quelle nelle quali attraversano regioni in cui sono presenti campi ma-
si possono accelerare protoni e produrre fotoni. Le gnetici variabili.
stelle sono una possibile sorgente, ma le energie in soluzione →
gioco nei processi termonucleari che avvengono al
loro interno sono troppo basse per spiegare lo spet-
tro osservato. Una volta prodotti nelle stelle, dun-
que, i raggi cosmici devono poter essere accelerati da
qualche processo in grado di fornire loro le energie
osservate. Le esplosioni delle supernovae potrebbero
essere uno di questi processi.
La forma dello spettro suggerisce che i raggi co-
smici siano accelerati, in media, in modo uniforme.
Il primo modello di accelerazione fu pubblicato da
Enrico Fermi nel 1949 [?].

Esercizio 47.1 Il Modello di Fermi

Una particella E viaggia per un tempo ∆t in una


regione di spazio dove può essere accelerata. Nel
corso di questo viaggio ha una certa probabilità P
di guadagnare energia ∆E. Il guadagno di ener-
gia è tanto piú alto quanto piú è lungo il tempo
∆t di permanenza nella regione e tanto piú alto
quanto maggiore è la sua energia iniziale E, perciò
∆E = αE∆t dove α è una costante di proporzio-
nalità. Naturalmente, nello stesso tempo, la proba-
bilità di perdere energia è 1 − P . In questo caso,
supponiamo che la particella esca dalla regione di

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Unità Didattica 48
Chi l’ha ordinato?

La storia della fisica delle particelle, come spesso filmato non riproducibile su questo
avviene, ha seguito un cammino talvolta tortuoso e supporto: digita l’URL nella caption o
costellato da una serie di errori di valutazione dei scarica l’e-book
risultati sperimentali o da interpretazioni risultate Figura 48.1 Costruzione di una sem-
poi non del tutto corrette. Non è negli scopi di que- plice camera a nebbia
[http://www.youtube.com/
sta pubblicazione ricostruire tale storia, perciò in watch?v=qYhhmjYNwq4].
questo capitolo si ripercorre una storia leggermente Eseguite l’esperimento in
alterata rispetto a quanto realmente accaduto: una una giornata secca e al buio,
storia adattata al fine di meglio illustrare il processo illuminando la camera di lato
che porta alla scoperta di un nuovo fenomeno e di con una lampada da tavolo
e ponendo un fondo nero dal
far comprendere meglio la fisica che c’è dietro ogni lato opposto rispetto a quello
scoperta. da cui guardate. Dovrebbero
bastare 100–150 ml di alcool.
Se è troppo poco non vedrete
48.1 Particelle penetranti nulla. Se è troppo, vedrete
una sottile pioggia cadere in
Negli anni successivi alla scoperta dei raggi cosmi- continuazione dalla spugna.
ci si erano perfezionati alcuni strumenti per l’inda-
gine scientifica, in grado di visualizzare la traccia
prodotta da particelle cariche in moto. uniforme [?]. In queste fotografie si vedono le tracce
Uno di questi strumenti era la camera a nebbia di particelle cariche che percorrono traiettorie cir-
o camera di Wilson, inventata da Charles Wilson. colari per effetto della Forza di Lorentz. In 32 di
La camera a nebbia è di fatto un recipiente conte- queste, tuttavia, sono presenti tracce approssimati-
nente un gas soprassaturo, molto vicino al punto di vamente rettilinee, provenienti dall’esterno della ca-
condensazione. Quando una particella carica attra- mera. Le particelle che si osservano in queste foto
versa il vapore, questo tende a condensare proprio sono cariche, avendo lasciato la traccia nello stru-
laddove la particella ha lasciato una traccia ionizza- mento (le particelle neutre non ionizzano il vapore
ta, perché le particelle di gas ionizzate tendono ad e non provocano la condensazione). Dalla dimensio-
attrarre elettrostaticamente altre particelle. Si for- ne e densità delle goccioline se ne deduce che tali
ma quindi una serie di goccioline di liquido lungo la particelle devono avere una carica elettrica pari, in
traiettoria seguita dalle particelle cariche che hanno modulo, a quella dell’elettrone. Il fatto che vadano
attraversato lo strumento. Le goccioline, illuminate, praticamente dritte vuol dire che possiedono un’e-
hanno l’aspetto di una sottile nuvoletta bianca. norme quantità di moto, dal momento che il raggio
Nel 1929 il fisico russo Dmitri Skobeltsyn aveva di curvatura r di una particella di carica q e massa
ottenuto circa 600 fotografie di eventi in una came- m in un campo magnetico B è dato dalla formula
ra a nebbia tenuta immersa in un campo magnetico
48.2. L’IPOTESI DEL NEUTRINO 502

48.2 L’ipotesi del neutrino


Nel 1930 Wolfgang Pauli propose di spiegare lo
spettro energetico della radiazione β ipotizzando
l’esistenza di una nuova particella [?]: il neutrino1 .
Il decadimento β consiste in un processo nel qua-
le alcuni elementi, come il Cobalto 60 (60 Co), si
trasformano spontaneamente in un elemento con la
stessa massa, ma di specie atomica diversa: il Cobal-
to, ad esempio, si trasforma in Nichel 60 (60 Ni). Il
Bismuto 210 (210 Bi) decade β tramutandosi in Polo-
nio 210 (210 Po). In generale, partendo da un atomo
Z N , si produce un atomo con lo stesso peso atomico
A

A, ma con diverso numero atomico Z, che differisce


Figura 48.2 Una delle foto fatte da Sko-
da quello originale AZ N di un’unità:
beltsyn, in cui si vedono le
tracce di particelle cariche
che descrivono traiettorie cir-
A
ZN → A
Z±1 N +X (48.3)
colari. Tra tutte le tracce
se ne distingue una, accan- dove X rappresenta l’insieme degli altri prodotti
to alla freccia gialla, del tut- della reazione. Il Nichel 60 ha lo stesso peso atomico
to simile alle altre, ma pra- del Cobalto 60, ma ha numero atomico 28, mentre
ticamente dritta, proveniente il numero atomico del Cobalto è 27.
dall’esterno. È la prima foto-
Nella trasformazione è emesso un elettrone (in
grafia della traccia di un rag-
gio cosmico, probabilmente passato gli elettroni erano noti con il nome di raggi
un muone. β), in modo tale che la carica elettrica sia conser-
vata. Infatti, il nucleo del Cobalto possiede 27 pro-
toni, mentre quello del Nichel 28. Il Bismuto 210
γmv ha lo stesso numero di neutroni e protoni del Po-
r= (48.1)
qB lonio 210, ma il Polonio ha un protone al posto di
dove γ è il fattore relativistico di Lorentz un neutrone. La carica elettrica del nucleo, quin-
di, aumenta di un’unità. La carica elettrica è una
1 grandezza conservata, pertanto non può cambiare
γ=q . (48.2)
v 2
 nel corso del tempo. In effetti, quando il Cobalto si
1− c trasforma in Nichel, emette un elettrone, di carica
La traccia appare diritta perché il raggio di cur- elettrica opposta a quella del protone, in modo tale
vatura è talmente ampio da non essere misurabile, che, complessivamente, la carica elettrica dello stato
per cui Skobeltsyn potè solamente stimare l’energia iniziale e di quello finale sia la stessa.
minima di queste particelle che doveva essere mol- Prima dell’ipotesi di Pauli si riteneva che il
to maggiore di quella delle particelle che stava stu- processo fosse del tipo
diando. Le particelle in questione provenivano prin-
cipalmente da una direzione prossima allo zenit e
A A
Z N → Z+1 N + e

(48.4)
fu immediato identificare queste tracce con quelle 1
In realtà Pauli chiamava questa particella neutrone. Fu
lasciate da particelle dei raggi cosmici. Fermi a ribattezzarla neutrino successivamente alla scoperta
del neutrone.

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48.2. L’IPOTESI DEL NEUTRINO 503

Interazioni Deboli
Il decadimento β deve essere provocato da
un’interazione di qualche tipo. La Fisica Clas-
sica insegna che le forze producono il cambia-
mento dello stato di un corpo che, sempre in
Fisica Classica, è determinato quando se ne co-
noscano posizione e velocità. Per questa ragione
applicando una forza a un corpo se ne cambia la
velocità. Ma non sempre lo stato di un corpo è
determinato da queste due grandezza. Non è co-
sí, ad esempio, in Meccanica Quantistica, dove
lo stato dipende da energia e momento angola-
re (che sono dunque le grandezze che cambia-
no applicando una forza). Nel caso dei decadi-
menti cambia anche la natura della particella: Figura 48.3 Spettro degli elettroni nel
il cambiamento di stato consiste nel fatto che decadimento β del 210 Bi.
inizialmente abbiamo una particella di un ti-
po ferma, che si trasforma in altre particelle in Esercizio 48.1 Energia degli elettroni nel decadi-
moto. Il cambio di stato è mediato da una forza mento β.
che non può essere la forza di gravità né quella
elettromagnetica, che non possono modificare la Sapendo che l’energia E di una particella di massa
natura delle particelle cui sono applicate. m e quantità di moto p p, secondo la relatività spe-
All’interazione responsabile del decadimento si ciale, è pari a E = p2 c2 + m2 c4 , dimostra che la
dà il nome di interazione debole, perché la quantità di moto dell’elettrone proveniente da un
sua intensità è molto minore di quella dell’inte- decadimento β deve essere costante se il decadi-
razione elettromagnetica: confrontando la pro- mento consiste nella trasmutazione di un neutrone
babilità che una particella interagisca per inte- in un protone e un elettrone (n → p + e− ). Assumi
razione elettromagnetica con quella che la stes- che il neutrone sia inizialmente fermo, e imponi che
sa particella sia soggetta all’interazione debole l’energia e la quantità di moto siano conservate.
si trova un rapporto pari a circa 1011 in favore Stima anche l’ordine di grandezza dell’energia
delle forze elettromagnetiche. massima che l’elettrone può assumere.
soluzione →

e veniva interpretato come la trasformazione di un


neutrone in un protone, con conseguente emissione Sperimentalmente si osserva tutt’altro: l’energia
di un elettrone. Se cosí fosse, però, l’energia con la di un elettrone emesso in un decadimento β può as-
quale l’elettrone viene emesso dovrebbe essere sem- sumere tutti i valori compresi tra 0 e un valore mas-
pre la stessa. Infatti, supponendo che il neutrone sia simo che dipende dalle specie atomiche coinvolte,
fermo nel nucleo, nel momento in cui si trasforma con uno spettro caratteristico (nella Figura 48.3 è
in un protone e in un elettrone, questi si devono al- mostrato lo spettro di un elettrone del decadimento
lontanare l’uno dall’altro in modo da conservare la del Bismuto 210), tanto che si pensò alla possibilità
quantità di moto (che inizialmente è nulla). che l’energia non fosse conservata nelle interazioni
deboli o alla scala subatomica.
Questa forma dello spettro suggerisce che il deca-
dimento avvenga almeno a tre corpi. In altre parole,

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48.3. L’ANTIMATERIA 504

la reazione deve essere del tipo

A
ZN → A
Z+1 N + e− + ν (48.5)
dove ν è una particella neutra e molto penetrante,
di massa trascurabile. Se infatti l’energia disponibi-
le E0 è divisa tra tre particelle, ciascuna di esse può
assumere un valore compreso tra 0 ed E0 . La parti-
cella in questione deve essere di massa praticamente
nulla, perché solo cosí si può giustificare il fatto che
il valore massimo assunto dall’energia dell’elettrone
coincide di fatto con l’energia calcolata assumendo
che

E0 ' (mn − mp − me )c2 . (48.6)


Deve essere neutra perché non si riusciva a rivelare
questa particella con nessuno dei rivelatori a ioniz-
zazione disponibili, ma non poteva essere un fotone Figura 48.4 La prima fotografia di un
perché questi si potevano rivelare usando tecniche positrone: una particella di
alternative. Doveva quindi trattarsi di una nuova antimateria.
particella: il neutrino.
sta particella lo stesso Anderson diede il nome di
48.3 L’antimateria positrone. Il positrone si indica col simbolo e+ .
Si trattava della prima particella di antimateria
Nel 1933 Carl Anderson fece una scoperta [?] sor- scoperta. L’antimateria è costituita di particelle in
prendente! In una celebre fotografia in camera a tutto e per tutto uguali a quelle che compongono
nebbia (Fig. 48.4) si vede una particella (nell’im- la materia ordinaria, ma con la carica elettrica op-
magine provenire dal basso) che percorre una tra- posta a quella di queste ultime. Per essere precisi,
iettoria curva, perché la camera era tenuta in una tutte le cariche, di qualunque natura, hanno segno
regione nella quale era presente un campo magne- opposto per materia e antimateria. Cosí, ad esem-
tico (perpendicolare al piano della figura). La par- pio, l’antiparticella del neutrino ν è l’antineutrino ν̄.
ticella colpisce un assorbitore in piombo (la fascia Il neutrino non ha carica elettrica, ma possiede ca-
scura orizzontale) di 6 mm di spessore e ne emerge riche di natura diversa (come il numero leptonico),
avendo perso energia (si nota, infatti, che il raggio di il cui segno è opposto a quello della stessa carica del
curvatura è piú stretto rispetto a quello della parti- neutrino.
cella incidente). L’energia persa si può stimare dalla Le antiparticelle, in generale, si indicano con
variazione del raggio di curvatura e risulta compati- una barra sul simbolo della particella oppure in-
bile con quella persa da un elettrone. La curvatura dicando esplicitamente il segno della carica elet-
assunta nel campo magnetico, però, era opposta a trica: e+ nel caso del positrone oppure p̄ nel caso
quella che ci si aspettava per una particella di carica dell’antiprotone.
negativa. L’esistenza di queste particelle di antimateria era
Fu subito chiaro che doveva trattarsi di una par- stata predetta da Paul Dirac qualche anno prima,
ticella del tutto identica a un elettrone, con la stes- utilizzando semplici argomenti teorici. la scoperta
sa massa, ma con carica elettrica opposta. A que- del positrone risultò dunque essere una brillante

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48.5. LA SCOPERTA DEL PIONE 505

conferma della teoria. pari a circa 200 volte quella dell’elettrone. Analiz-
zando alcuni eventi registrati su emulsioni nucleari
Esercizio 48.2 Scoperta del positrone si era scoperto che i muoni erano particelle insta-
bili, con una vita media di circa 2 µs, che decade-
Calcola il modulo e il verso del campo magneti- vano lasciando una traccia carica attribuibile a un
co presente nell’esperimento di Anderson, sapendo elettrone. Questa traccia aveva lunghezza variabi-
che il positrone aveva un’energia di 63 MeV prima le, il che indicava che l’elettrone emesso nel decadi-
di attraversare il piombo e di 23 MeV dopo. mento aveva quantità di moto variabile da evento a
Usa la Figura 48.4 per ricavare la curvatura che evento. Per le stesse ragioni per cui si fece l’ipotesi
le particelle assumono in campo magnetico, sapen-
del neutrino, si poté stabilire che il muone decadeva
do che lo spessore dell’assorbitore (la banda scura
secondo la reazione
al centro) era di 6 mm.
soluzione →
µ→e+ν+ν (48.7)
cioè in un elettrone e due neutrini, che in seguito
si scoprirono appartenere a due specie diverse: νe e
48.4 La scoperta del muone νµ . Naturalmente, per la conservazione della carica
elettrica, il µ+ decade in positroni e+ e il µ− in
Negli anni successivi numerosi esperimenti avevano
elettroni e− .
osservato tracce di particelle cariche che non era-
no ascrivibili né a elettroni, né a protoni. Le trac-
ce sembravano essere prodotte da una particella che 48.5 La scoperta del pione
aveva una massa compresa tra quella dell’elettrone e
quella del protone (si poteva desumere dall’intensità Pochi anni dopo la scoperta del muone, sempre nei
della ionizzazione) e carica uguale a ±e (indicando raggi cosmici, venne scoperta (per primi da Lattes,
con e la carica del protone). Occhialini e Powell) una nuova particella, anch’essa
Una di queste osservazioni si deve a Paul Kun- in due stati diversi di carica. La nuova particella
ze [?] che nel 1932 aveva osservato alcune tracce non poteva essere né un muone né un elettrone né
sospette in camera a nebbia che aveva attribuito al- un protone (né una delle rispettive antiparticelle)
le particelle che si osservavano nei raggi cosmici, già perché presentava caratteristiche diverse.
osservate da Blackett e Occhialini [?] poco tempo La ionizzazione prodotta dalle tracce di questa
prima. particella, ribattezzata pione o π, era molto simi-
Anche Carl Anderson e Seth Neddermeyer aveva- le a quella prodotta da un muone, quindi doveva
no osservato eventi di questo tipo [?] e J. Street e E. avere grosso modo la stessa massa. In realtà era
Stevenson [?] ipotizzarono esplicitamente l’esistenza un pochino piú pesante, perché negli esperimenti
di una nuova particella: il muone (µ). si osservavano i decadimenti dei pioni in muoni.
Pare che quando venne ufficialmente riconosciuta Le fotografie (Fig. 48.5) in emulsioni nucleari o
l’esistenza di questa nuova particella, nel corso di un in camera a nebbia mostravano tracce di pioni che
congresso, il fisico Rabi esclamò “chi l’ha ordinato, si arrestavano in certi punti e da lí emettevano un
questo?”, come si fa al tavolo di un ristorante quan- muone (riconoscibile dal successivo decadimento e
do il cameriere, per errore, porta un piatto che nes- dalla ionizzazione). La lunghezza della traccia del
suno ha chiesto. Nessuno, infatti, sentiva il bisogno muone era sempre la stessa, il che indicava che i
di questa nuova particella per spiegare alcunché. muoni provenienti dal decadimento di un pione do-
Il muone µ è una particella che si trova in due vevano avere sempre la stessa energia. Per le ragio-
possibili stati di carica (µ+ e µ− ) e ha una massa ni esposte nel Paragrafo 48.2 questo significa che il

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48.6. LA LAMBDA E I MESONI K 506

Piú tardi si scoprí che il pione esisteva anche in


uno stato di carica neutro (π 0 ). Il π 0 decade in una
coppia di fotoni:

π 0 → γγ (48.9)
Il quadro delle particelle elementari si era complica-
to non poco. Con la scoperta di protoni, elettroni e
neutroni si era creduto d’aver compreso la struttura
della materia. La scoperta dei muoni e dei pioni, per
non parlare di quella dei positroni, aveva reso tutto
molto piú difficile. Ma non era tutto...

48.6 La lambda e i mesoni K


Nel 1947 George Rochester e Clifford Butler in-
trapresero una lunga campagna di misurazioni ese-
guendo quasi 5 000 fotografie di eventi in came-
ra a nebbia per un totale di 1 500 ore di os-
servazione. Analizzando quest’imponente quanti-
tà di dati trovarono un evento particolarmente
Figura 48.5 Il decadimento di un pione. interessante [?].
Il π è quello in basso, che en- L’evento presentava due tracce, prodotte eviden-
tra da destra, si ferma in un temente da due particelle cariche, che formavano
punto e da lí emette un muo-
una V rovesciata, come quelle visibili nella Fig. 48.6.
ne (la traccia piú lunga) che,
a sua volta, decade nel punto Le tracce provenivano chiaramente dallo stesso
in alto. Dai punti in cui av- punto e il vertice si trovava nel gas e non all’in-
viene il decadimento del pio- terno di un assorbitore di 3 cm di piombo piazza-
ne e del muone appare pro- to nella camera. Questo fatto indicava che le due
venire una sola traccia, per-
particelle non erano il prodotto di una collisione,
ché le altre particelle prodot-
te nella reazione sono neu- ma di un decadimento, cioè della trasformazione di
trini che non lasciano tracce un’altra particella, presumibilmente prodotta dalla
nello strumento. collisione di una particella nel piombo.
La presenza di un campo magnetico permetteva
decadimento del pione è un decadimento a due cor- di misurare la quantità di moto e la carica elettrica
pi (vedi anche l’Esercizio 1). Dalla parte opposta a delle tracce, che si dimostrarono avere carica oppo-
quella in cui andava il muone non si rivelava mai sta. La particella madre perciò doveva essere neutra.
nulla. Questo portò a concludere che la particella Dalla misura di quantità di moto si poté stabilire che
emessa insieme al muone doveva essere un neutrino, la massa della particella madre doveva essere com-
per cui il decadimento del pione è presa tra 770 e 1600 volte la massa dell’elettrone.
Nessuna delle particelle note fino ad allora aveva
π ± → µ± + νµ (48.8) queste caratteristiche e si ritenne d’aver scoperto
una nuova particella.
e νµ può essere sia un neutrino che un antineutrino Anche Hopper e Biswas scoprirono una particella
(secondo lo stato di carica del π). dalle caratteristiche simili, nel 1950 [?]. Anche in

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48.6. LA LAMBDA E I MESONI K 507

questo caso si osservava (Fig. 48.7) una coppia di


tracce che si aprivano a formare una V , ma la massa
della particella neutra che si supponeva essere quella
che dava origine all’evento era molto maggiore di
quella della particella scoperta qualche anno prima
da Rochester e Butler.
La particella scoperta da Hopper e Biswas fu chia-
mata Λ, proprio per la forma che assumevano le
tracce negli eventi. Quella di Rochester e Butler fu
battezzata K.

Figura 48.6 Uno degli eventi trovati da


Rochester e Butler nei rag-
gi cosmici. Sono evidenzia-
te le tracce che si aprono a
formare una V rovesciata.

Figura 48.7 L’evento scoperto da Hopper


e Biswas. Le tracce eviden-
ziate dalle lettere a e b so-
no quelle prodotte dal de-
cadimento di una particella
Λ.

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Unità Didattica 49
I nuovi numeri quantici

Con il proliferare delle particelle note, bisognava che è il suo antineutrino ν¯e . Questo spiega perché si
quanto meno capire perché i loro decadimenti erano osservano le reazioni
quelli osservati. Quello che si poteva stabilire em-
piricamente era che in Natura esistevano regole di µ− → e− + ν¯e + νµ (49.1)
conservazione che impedivano il verificarsi di certi e
eventi che apparivano essere possibili sulla carta.
µ+ → e+ + νe + ν¯µ (49.2)
49.1 I leptoni mentre non si osserva il decadimento

Non sembrerebbe esserci alcuna ragione per la quale µ− → e− + ν¯e . (49.3)


il decadimento del muone dovrebbe procedere come
I muoni, gli elettroni e i rispettivi neutrini si dico-
un decadimento a tre corpi. Un decadimento del tipo
no perciò appartenere alla classe dei leptoni (dal
µ → e + ν sembrerebbe del tutto plausibile. Eviden-
greco, che vuol dire leggero1 ).
temente un tale decadimento deve essere vietato da
qualche legge di conservazione. Si può supporre, in
analogia a quanto accade con la conservazione della 49.2 I barioni
carica elettrica per cui il numero di cariche in unità
della carica dell’elettrone resta costante, che esista In maniera del tutto analoga si può ritenere che
una grandezza fisica conservata detta numero lep- esista un altro numero conservato detto numero
tonico. Il muone e il suo neutrino devono avere lo barionico. Il neutrone e il protone hanno nume-
stesso numero leptonico Lµ , mentre l’elettrone e ro barionico pari a B = 1, per cui il neutrone può
il suo neutrino devono avere un numero leptonico decadere solo se nello stato finale è presente un pro-
diverso Le . tone, per conservare questo numero. Poiché non può
Se il numero leptonico è conservato, in presenza decadere in una sola particella (non si conservereb-
di un µ− nello stato iniziale il numero leptonico vale bero l’energia e la quantità di moto) nello stato fi-
Lµ = +1. Nello stato finale si deve avere lo stesso nale deve essere presente almeno un’altra particel-
numero leptonico, per cui ci deve essere una parti- la. Dal momento che la massa del neutrone è solo
cella che porta questo numero. Il neutrino muonico di poco piú grande rispetto a quella del protone, il
νµ evidentemente ha Lµ = +1 e cosí un tale numero protone dello stato finale può essere accompagnato
si conserva. Ma il neutrino non può essere l’unico solo da particelle leggere come l’elettrone. Ma un
prodotto della reazione: ce ne vuole almeno un al- elettrone ha un numero leptonico Le = +1 e se ci
tro. L’elettrone potrebbe essere uno di questi, ma e− fosse solo lui il numero leptonico non sarebbe con-
ha numero leptonico Le = +1, dunque deve essere servato. Deve dunque esserci anche un antineutrino
accompagnato da una particella che abbia Le = −1 1
Oggi questa parola ha perso il suo significato etimologico,
esistendo anche leptoni pesanti come il τ .
49.3. I MESONI 510

Interazioni forti non simili ai protoni) piú pesanti.


Per spiegare perché i nuclei atomici sono stabili
e non tendono a rompersi in mille pezzi è ne-
cessario ipotizzare l’esistenza di una forza mol-
49.3 I mesoni
to piú intensa di quella elettromagnetica. Due I pioni possono decadere in due corpi perché non
protoni nello stesso nucleo si respingerebbero hanno numero leptonico. Evidentemente non hanno
infatti con una forza pari a circa neanche un numero barionico, perché nello stato fi-
nale non ci sono barioni. I pioni appartengono alla
2 classe dei mesoni (come è facile immaginare, an-
q2 1.6 × 10−19
 
Fem = k 2 ' 9.0×10 9
' 230 N che il termine mesone deriva dal greco e vuol dire
r 1 × 10−15
“di medio peso”). Chiaramente non esiste un nume-
(49.4)
ro mesonico, perché nel decadimento del π non ci
avendo usato per r ' 10−15 m, il raggio tipi-
sono regole particolari che impediscono qualche de-
co di un nucleo atomico. Perché i due protoni
cadimento altrimenti possibile per la conservazione
restino nel nucleo deve esistere una forza che
dell’energia. Anche se appare strano che i pioni de-
li trattenga al suo interno piú intensa di quel-
cadano in muoni invece che in elettroni (il decadi-
la elettromagnetica, cui siano soggetti anche i
mento π → e + νe si osserva, ma con bassissima
neutroni (che non sono elettricamente carichi):
probabilità). In linea di principio il decadimento in
la forza o interazione forte, appunto.
elettroni dovrebbe essere favorito perché l’elettro-
ne è piú leggero ed è in un certo senso piú facile
che ha Le = −1 per far sí che il numero leptonico produrlo .
2

complessivo sia nullo.


Ecco perché il decadimento è n → p + e− + ν¯e . Il
protone non decade perché è la particella piú leggera
49.4 Gli adroni
a possedere un numero barionico. Anche i neutroni Barioni e mesoni, che risentono entrambi
presenti nei nuclei atomici, solitamente, non deca- dell’interazione forte, appartengono a una classe
dono (altrimenti gli atomi, come li conosciamo, non piú vasta detta degli adroni (forte, in greco). I
si formerebbero). Il motivo è che i neutroni presenti barioni sono sempre particelle di spin semintero
nel nucleo convertono parte della loro massa in ener- (J = 1 o J = 3 ), mentre i mesoni hanno sempre
gia di legame con gli altri componenti del nucleo e spin intero2 2
(J = 0 o J = 1).
non hanno piú la massa sufficiente per produrre un In definitiva possiamo dividere le particelle in due
protone e un elettrone. Il decadimento è proibito, classi, quella degli adroni e quella dei leptoni, sulla
dunque, dalla conservazione dell’energia. base del tipo d’interazione cui sono sensibili (i primi
Le particelle che hanno un numero barionico sono sia all’interazione forte che a quella debole, i secondi
particelle che risentono dell’interazione forte, che è solo a quella debole). Gli adroni sono a loro volta
quella responsabile del fatto che protoni e neutroni divisi nella classe dei barioni (a spin semintero) e in
stanno insieme nel nucleo atomico (che altrimenti si quella dei mesoni (a spin intero).
disgregherebbe per effetto della repulsione elettro-
statica). Per questa ragione neutroni e protoni sono
barioni. Il termine barione deriva dal greco e vuol
2
Questo comportamento anomalo si spiega con una ca-
ratteristica particolare dei neutrini: quella di esistere in un
dire pesante (protoni e neutroni sono abbastanza solo stato di spin. Non discutiamo questo fenomeno in questa
piú pesanti delle altre particelle di cui parliamo so- sede.
pra), anche se oggi ha perso questo significato, es-
sendo state scoperte particelle non barioniche (cioè

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49.5. CLASSIFICAZIONE IN BASE ALLO SPIN 511

Esercizio 49.1 Caccia all’intruso

Trova, tra le seguenti, le reazioni vietate dai prin-


cipi di conservazione dei numeri quantici illustrati
in questo capitolo, motivando la scelta.

p + p → p + p̄ p + p → p + p + p + p̄
p + π 0 → n + e+ p + n → n + p + π0
π + → π 0 + νe π− + p → n + π0
µ+ + n → n + p + ν¯µ µ− + e− → p̄ + e−
π + + π − → p + p̄ π+ + π− → p + n + π−
Controlla tutti i numeri quantici: carica elettri-
ca, numero leptonico e numero barionico.
soluzione →

49.5 Classificazione in base


allo spin
Le particelle, indipendentemente dalla loro natura,
si possono anche classificare in base al loro spin, che
è una grandezza fisica quantizzata il cui valore è
sempre un multiplo intero di ~/2, dove ~ = h/2π è la
costante di Plack f divisa per 2π. In molti casi, in
Fisica delle Particelle, si usano le unità naturali,
nelle quali ~ = 1 ed è adimensionale. Pertanto i
valori ammessi per lo spin, in queste unità, sono 0,
1
2
, 1, 32 , 2, e cosí via.
Le particelle a spin intero si chiamano bosoni. I
pioni, ad esempio, sono bosoni. Tutti i mesoni so-
no bosoni. Ma non tutti i bosoni sono mesoni (ad
esempio, il fotone, la particella che costituisce la lu-
ce) è un bosone, ma non è un mesone. I mesoni sono
bosoni che subiscono l’interazione forte.
Le particelle a spin semintero, invece, si chiama-
no fermioni. L’elettrone, il muone, il protone e gli
altri barioni sono fermioni. Da questo elenco si ca-
pisce che tutti i barioni sono fermioni, ma non tutti
i fermioni sono barioni (ad esempio, il muone è un
fermione, ma non è un barione).

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Unità Didattica 50
Imitare la Natura

Lo studio dei raggi cosmici era diventato lo stu- bersaglio basterà piazzare dei rivelatori per osser-
dio della materia che compone l’Universo. Per com- varle. I vantaggi di questo approccio sono evidenti:
prendere le proprietà delle nuove particelle occor- si sa quando e dove le particelle sono prodotte, a
reva eseguire numerose misure per ciascuna delle quale angolo (o almeno in quale intervallo di an-
quali era richiesto un gran numero di eventi. Per goli saranno abbondanti) e si può scegliere, in una
raccogliere la statistica sufficiente a studiare un de- qualche misura, la particella da produrre.
terminato tipo di particelle non si poteva far altro In effetti la produzione di nuove particelle dal-
che attendere che la Natura le producesse e sperare l’urto di una di queste con un nucleo può avvenire
nella fortuna. È l’approccio del pescatore che getta grazie alla teoria della relatività, per la quale massa
l’amo in mare e si mette in attesa che il pesce ab- ed energia sono semplicemente due aspetti diversi
bocchi. Se è fortunato prende almeno un pesce tra della stessa grandezza fisica essendo che
quelli desiderati, ma può darsi che non lo sia e al-
l’amo potrebbe non abboccare nulla oppure qualche E 2 = p 2 c2 + m 2 c4 (50.1)
pesciottino di poco conto.
dove E è l’energia di una particella di massa m e
Una maniera piú furba di procedere, perlomeno
quantità di moto p. Per particelle ferme p = 0 e si
se si vuole essere certi di non saltare la cena, è quel-
ritrova la celebre equazione
la di allevare il pesce, invece che di catturarlo. In
altre parole, sarebbe molto piú efficiente poter pro-
E = mc2 . (50.2)
durre le particelle desiderate in un laboratorio, sce-
gliendo il tempo e la durata dell’esperimento e aven- Disponendo di un’energia E si potrebbero materia-
do la certezza di rivelare la maggior parte di quelle lizzare particelle in numero tale che la somma delle
prodotte. loro masse non superi il valore m 6 E/c2 . In ogni
caso, da un urto tra particelle di energia comples-
siva E possono venir fuori particelle la cui somma
50.1 Gli acceleratori di parti- delle masse m e delle quantità di moto p sia tale da
celle rispettare l’equazione (50.1).

Un modo per produrre le particelle consiste nell’i- Esercizio 50.1 Energia di soglia
mitare i processi che la Natura mette in atto per
rifornirci di raggi cosmici: occorre una qualche par- Calcola l’energia minima necessaria affinché dal-
ticella (i protoni dei raggi cosmici primari) da acce- l’urto di due protoni si possa produrre un pione
lerare opportunamente, in modo tale da fargli rag- neutro. La reazione da considerare è
giungere l’energia sufficiente affinché, collidendo con
gli atomi di un bersaglio (nel caso dei raggi cosmici p + p → p + p + π0 . (50.3)
questi sono quelli dei gas che compongono l’atmosfe- Per farlo imponi la conservazione dell’energia e del-
ra), producano le particelle desiderate. A valle del l’impulso e osserva che la quantità E 2 − p2 c2 è una
50.1. GLI ACCELERATORI DI PARTICELLE 514

costante indipendente dal sistema di riferimento E 2 − p2 c2 nello stato iniziale e in quello finale.
usato per scrivere E e p. Puoi quindi imporre che soluzione →
questa differenza sia la stessa nel sistema del labo-
ratorio in cui inizialmente uno dei protoni si muove
e l’altro è fermo, e nel sistema di riferimento del È cosí che si dà inizio a una nuova campagna d’e-
centro di massa, in cui la somma delle quantità di sperimenti, eseguiti stavolta in laboratori attrezzati
moto è nulla. con acceleratori di protoni, usati per sparare parti-
soluzione → celle su bersagli e produrre cosí le particelle d’in-
teresse. La fisica si sposta cosí all’interno dei labo-
ratori dove si costruiscono acceleratori sempre piú
I raggi cosmici primari sono costituiti per lo piú sofisticati e potenti.
di protoni. Possiamo procurarci protoni ionizzando In certi casi è possibile produrre particelle come
idrogeno, il cui nucleo contiene un solo protone. Pos- i π + e i π − per urto tra protoni, da accelerare suc-
siamo poi accelerarli usando un acceleratore facen- cessivamente per usarle come proiettili per studiare
dogli acquisire energia sufficiente affinché, scontran- reazioni del tipo
dosi con i protoni fermi all’interno di un bersaglio1 ,
come fanno i raggi cosmici con i nuclei dei gas che π± + p → X (50.5)
compongono l’atmosfera, producano, per esempio,
un π 0 attraverso la reazione e

p + p → p + p + π0 . (50.4) π± + n → X (50.6)
Il π 0 , una volta prodotto, decade in due fotoni. dove X rappresenta uno dei possibili stati finali (che
Ponendo dunque dei rivelatori di fotoni dopo il ber- dipende dall’energia dei pioni, e deve avere nume-
saglio dovremmo osservare l’arrivo in coincidenza di ro leptonico complessivo nullo e numero barionico
due fotoni ogni volta che si accende l’acceleratore. uguale a 1).
Misurando le proprietà di questi fotoni, quindi, pos- L’adozione di queste tecniche permetterà lo stu-
siamo risalire alle proprietà del π 0 che li ha generati dio intensivo della fisica delle particelle e consentirà
e che c’interessano. nuove scoperte, come illustrato nei capitoli seguenti.

Esercizio 50.2 La massa invariante

Supponi di conoscere la quantità di moto p~i e l’e-


nergia Ei di due fotoni (i = 1, 2). Il fotone è una
particella a massa nulla mγ = 0. Supponendo che i
due fotoni siano il risultato del decadimento di una
particella, calcola la massa che deve avere questa
particella per produrre i due fotoni nello stato dato.
Per farlo osserva che la differenza E 2 − p2 c2 è
pari a m2 c4 , dove m è la massa di una particella,
se E e p sono energia e quantità di moto di que-
sta particella. Imponi la conservazione dell’energia
e della quantità di moto, poi calcola la differenza
1
un materiale molto usato è il berillio per le sue proprietà
termiche e meccaniche

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Unità Didattica 51
Studiare le particelle

Avendo a disposizione un fascio di particelle pos- ∆N ∝ −N (il segno meno indica che si ha una
siamo studiare sostanzialmente due aspetti: quanto diminuzione nel numero di particelle nel fascio).
intensamente le particelle interagiscono con la ma- Questo numero sarà, in modulo, tanto maggiore,
teria che le circonda (quindi con quale probabilità quanto piú spesso è il bersaglio, perché piú il ber-
le particelle presenti nel fascio cambiano direzione, saglio è spesso, piú le particelle incidenti possono
energia o natura attraversando un blocco di mate- interagire con esso. Quindi possiamo scrivere
riale), oppure quanto rapidamente le particelle pro-
dotte si trasformano spontaneamente (decadono) ∆N ∝ −N ∆x (51.1)
in altre particelle.
dove ∆x rappresenta lo spessore del bersaglio. È
Ogni volta che si definisce una grandezza, in fisi-
anche chiaro che maggiore è la densità del bersaglio
ca, se ne deve dare la definizione operativa: si de-
ρ, maggiore sarà la probabilità d’interagire con i suoi
ve cioè dire come in pratica si esegue la loro misu-
nuclei, pertanto abbiamo che
ra. In questo capitolo spieghiamo come si definisco-
no le grandezze fisiche caratteristiche per descrivere
∆N = −σN ρ∆x (51.2)
quanto sopra e come si procede operativamente per
assegnare loro un valore. dove σ è una costante di proporzionalità che chia-
miamo sezione d’urto. Osserviamo che le dimen-
sioni fisiche di ρ sono quelle di un volume alla meno
51.1 Sezione d’urto uno (ρ rappresenta il numero di particelle nel ber-
saglio per unità di volume), mentre ∆x ha le di-
Nell’urto tra una particella e un bersaglio si posso- mensioni fisiche di una lunghezza. N e ∆N sono
no misurare diverse grandezze fisiche. Una di queste, adimensionali e perciò σ deve avere le dimensioni di
molto semplice da misurare, almeno in linea di prin- una superficie: [σ] = [L2 ]. Si misura, quindi, in m2
cipio, è il numero di particelle che hanno interagito nel SI. Per comodità si definisce l’unità di misura
col bersaglio. della sezione d’urto come il barn, che corrisponde
Il processo d’urto ha carattere probabilistico, per a 10−24 cm2 e si indica col simbolo b.
cui alcune delle particelle del fascio attraverseranno La sezione d’urto dipende dal tipo di processo e
il bersaglio senza subire alcun effetto, mentre altre dalla specie della particella interagente e può dipen-
saranno deviate oppure spariranno per lasciare il dere dall’energia E della particella. Per misurare σ
posto a nuove particelle. si prende un fascio di N particelle e lo si invia su
Sia N il numero di particelle inviate sul bersa- un bersaglio di spessore noto ∆x, di cui sia nota la
glio. La variazione nel numero di particelle ∆N = composizione e quindi la densità ρ. Misurando il nu-
N 0 − N , dove N 0 è il numero di particelle che hanno mero N 0 di particelle diffuse dal bersaglio, si misura
attraversato il bersaglio senza subire assorbimen- la differenza ∆N = N 0 − N e si calcola
to, deviazioni o perdita di energia, è chiaramen-
te proporzionale al numero di particelle incidenti:
51.2. VITA MEDIA 516

loro effetti. Affinché una particella subisca gli ef-


∆N fetti della forza forte deve possedere una carica
σ=− (51.3)
N ρ∆x forte e quindi non deve essere un leptone. I pro-
(che è un numero positivo perché ∆N è negativo). toni o i pioni subiscono la forza forte, pertanto le
Oltre che una sezione d’urto per l’assorbimento di loro interazioni saranno dominate da questa (pos-
particelle, come in questo caso, possiamo definire siamo perciò trascurare gli effetti dell’interazione
una sezione d’urto di produzione. Se nell’urto tra elettromagnetica).
una particella del fascio e quella del bersaglio si pro- Per protoni e pioni si misurano sezioni d’urto
duce una nuova particella, contando il numero Np di dell’ordine di 10−26 cm2 = 0.01 b.
queste particelle possiamo definire la sezione d’urto Nel caso in cui si facciano interagire elettroni con
di produzione come la materia, le forze forti sono assenti, quindi possia-
mo assumere che questi interagiscono solo per inte-
Np
σ= . (51.4) razione elettromagnetica. Le sezioni d’urto tipiche
N ρ∆x sono dell’ordine di 10−31 cm2 = 10−7 b= 0.1 µb.
La produzione di nuove particelle, in effetti, sarà Come ci aspettavamo, la sezione d’urto per in-
tanto piú probabile quanto maggiore è lo spesso- terazione forte è molto maggiore di quella per
re ∆x del bersaglio e la sua densità ρ. Inoltre, piú interazione elettromagnetica.
particelle invio sul bersaglio e piú ne produco di Dall’equazione 51.2 si ricava che l’intensità del
nuove. fascio di particelle diminuisce esponenzialmente con
La sezione d’urto misurata si può quindi confron- lo spessore attraversato
tare con i modelli teorici delle interazioni. Usando
un modello estremamente semplice possiamo pensa- N (x) = N (0)e−σρx (51.6)
re al processo di diffusione delle particelle di un fa-
scio, da parte degli atomi del bersaglio, come all’ur- dove N (x) rappresenta il numero di particelle del fa-
to di palline rigide. In questo caso la sezione d’urto scio che non hanno ancora interagito alla profondità
ha un’interpretazione molto semplice: x e N (0) quelle iniziali. Osservando che le dimen-
sioni fisiche [σρ] del prodotto di σ per ρ sono quelle
(51.5) di [L L ] = [L ] possiamo definire
2 −3 −1
σ ' πR2
dove R2 rappresenta il raggio della sfera che rap- 1
σρ = (51.7)
presenta la particella bersaglio. Si tratta, natural- λ
mente, di un raggio efficace, cioè di qualcosa che ha dove λ è qualcosa che ha le dimensioni fisiche di
le dimensioni fisiche di una lunghezza, ma che non una lunghezza [λ] = [L] che si chiama lunghezza
possiamo interpretare direttamente come il raggio d’interazione e scrivere che
della particella, ma piuttosto come il raggio entro il
quale le interazioni che dànno luogo al processo si x
N (x) = N (0)e− λ . (51.8)
fanno sentire.
Quando una particella proiettile attraversa un
bersaglio si possono manifestare diverse intera- 51.2 Vita media
zioni: quelle di natura elettromagnetica, che ben
conosciamo, e quelle dovute alle forze forti e Quando si ha a che fare con particelle instabili, una
deboli. grandezza interessante da misurare è la vita media,
Le forze deboli, come dice il nome, sono molto che caratterizza il decadimento. Il decadimento di
poco intense e possiamo trascurarle per i nostri sco- una particella consiste nella sua trasformazione in
pi. Le forze forti, al contrario, sono parecchio inten- due o piú particelle. Dal momento che in ogni pro-
se e quindi sono quelle che fanno sentire di piú i cesso fisico si conservano energia e quantità di moto,

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51.2. VITA MEDIA 517

il decadimento in una particella non può avvenire in soltanto i possibili canali di decadimento, le per-
un canale in cui sia presente una sola particella. In centuali relative (branching ratio o rapporto di
altre parole non esiste il decadimento a → b in cui la diramazione) e il tempo medio nel corso del quale
particella a si trasforma spontaneamente nella par- è possibile osservare un decadimento.
ticella b. Se infatti la particella a è ferma, l’energia Di sicuro devono essere rispettate tutte le leggi di
dello stato iniziale è E = ma c2 , dove ma è la mas- conservazione. Cosí abbiamo visto che i protoni non
sa di a e la quantità di moto è nulla. Se mb 6= ma possono decadere in neutroni perché non hanno la
l’energia non è piú conservata, a meno che la dif- massa sufficiente, e i muoni non possono decadere in
ferenza di energia (ma − mb )c2 non vada in energia due corpi (µ → e + νe ) perché questo decadimento
cinetica per b, ma in questo caso la quantità di moto non conserva il numero leptonico.
p 6= 0. D’altra parte, se mb = ma , a = b e non c’è L’equazione (51.9) che definisce la vita media ha
stato alcun decadimento. la stessa forma dell’equazione (51.2) e quindi, anche
Una particella dunque può decadere solo se esisto- l’equazione che ci dice come varia N in funzione del
no almeno due particelle la cui somma delle masse tempo t deve avere la stessa forma di quella che dice
sia inferiore alla massa della particella madre. Un come N varia in funzione di x:
caso interessante si ha nel decadimento a → b + b,
t
quando le due particelle figlie hanno la stessa massa N (t) = N (0)e− τ . (51.11)
mb . In questo caso la somma delle energie cinetiche
Quest’equazione ci dice che particelle prodotte si-
di queste ultime deve essere pari a (ma − 2mb )c2 .
multaneamente non decadono tutte nello stesso mo-
Poiché però anche la quantità di moto si conserva,
mento. Circa 1/3 di esse (1/e) decade in un tempo
p~a + p~b = 0 e quindi le due particelle dello stato
pari a τ , mentre in in tempo pari a 2τ ne saran-
finale hanno la stessa velocità in modulo, ma sono
no decadute 1 − exp (−2) e cioè l’86 %. Piú tempo
emesse in direzioni opposte.
si attende meno particelle sopravvissute si trovano.
Dato un fascio con N particelle iniziali, trascorso
Per misurare τ quindi si prendono N (0) particelle e
un tempo ∆t, le particelle ∆N decadute (che han-
si attende un tempo t abbastanza lungo. Si contano
no cioè cambiato natura) sono proporzionali a quel-
i decadimenti Nd (t) avvenuti in questo tempo e si
le inizialmente presenti e al tempo trascorso, per
ricava N (t) = N (0) − Nd (t). È facile vedere che
l’appunto, quindi
N (t) t
∆N = −αN ∆t . (51.9) log =− (51.12)
N (0) τ
Il coefficiente di proporzionalità α deve avere le di- e dunque
mensioni fisiche di un tempo alla meno uno [α] =
[T −1 ] perché sia N che ∆N sono adimensionali. Per 1
τ = −t . (51.13)
rendere evidente questo fatto conviene definire N (t)
log N (0)

1 Naturalmente, trattandosi di un processo statistico,


α= (51.10) si misura questa grandezza per diversi tempi t piú
τ
dove τ è una grandezza fisica che ha le dimensioni volte e se ne calcola la media.
di un tempo e che è proprio quella che si chiama
vita media.
Il processo di decadimento è un processo stoca-
stico, che avviene in modo casuale secondo le leg-
gi della statistica. Non possiamo predire quando e
in quali particelle decadrà una data particella, ma

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51.2. VITA MEDIA 518

Esercizio 51.1 Il decadimento del muone ti decadimenti siano dovuti all’interazione debole,
mentre altri a quella elettromagnetica.
Per misurare il tempo di decadimento del muone Sicuramente il decadimento del neutrone è media-
Marcello Conversi e Oreste Piccioni [?] nel 1944 to dall’interazione debole ed è ragionevole aspettar-
usarono tre rivelatori posti uno sull’altro. Tra quel- si che tutti i decadimenti che coinvolgano neutrini
lo piú in alto e quello di mezzo si poneva un as- siano mediati dalla stessa forza (i neutrini non so-
sorbitore in piombo. Quando i segnali emessi da no carichi e sono leptoni quindi sentono solo l’effetto
questi rivelatori scattavano in coincidenza, si pote- della forza debole). Quindi anche il decadimento dei
va essere certi che un muone aveva attraversato lo muoni e dei pioni deve essere attribuibile a questa
strumento (gli elettroni o i pioni1 non riuscirebbero interazione. L’enorme differenza tra le vite medie
ad attraversare il piombo). Lo strato di rivelatori è presumibilmente dovuta a fattori che dipendono
piú basso era separato da quello di mezzo da un dall’ampiezza dello spazio delle fasi. In effetti, il neu-
assorbitore in ferro. Si misuravano le coincidenze
trone e il protone hanno masse molto simili, quindi
ritardate tra i rivelatori piú in alto e questo. Se un
esistono solo pochissime configurazioni energetiche
muone si fermava nel ferro e successivamente de-
cadeva, il numero di coincidenze ritardate doveva
permesse (l’energia a disposizione di elettrone e neu-
seguire la legge del decadimento esponenziale. trino è pari alla differenza di massa tra le particelle
Le coincidenze misurate nel corso di questo espe- in questione moltiplicata per la velocità della luce).
rimento erano le seguenti (abbiamo riportato solo Invece la differenza di massa tra i muoni e gli elet-
parte dei dati sperimentali): troni è molto maggiore, quindi è relativamente facile
produrre configurazioni permesse dalla conservazio-
Ritardo (µs) Frequenza (Hz) ne dell’energia (l’intervallo di energie che possono
0.00 3.47 ± 0.4 assumere i due neutrini è ampio). La differenza tra
1.00 2.42 ± 0.3 il tempo di vita medio del muone e di quello del pio-
1.97 1.26 ± 0.2 ne non è cosí grande e si può facilmente attribuire
3.80 0.86 ± 0.17 al fatto che il decadimento del pione avviene in due
corpi, per cui è piú facile realizzare la configurazione
giusta.
Calcola la vita media del muone. Il decadimento del π 0 , invece, non coinvolge neu-
soluzione → trini e quindi è attribuibile all’interazione elettroma-
gnetica, dal momento che nello stato finale ci sono
solo fotoni, che rappresentano proprio la radiazione
Questa grandezza fisica si può misurare per tut- elettromagnetica (la luce, che è un’onda elettroma-
te le particelle instabili, come i muoni, i pioni, e i gnetica, si può anche interpretare come un flusso di
neutroni. I π 0 decadono in due fotoni con una vita fotoni). In questo caso l’interazione è piú intensa e
media dell’ordine dei 10−16 s. I pioni carichi, inve- il tempo di vita medio piú corto.
ce, decadono in tempi molto piú lunghi, in muoni e
neutrini: 10−8 s. I muoni, a loro volta, decadono in
elettroni e neutrini con una vita media dell’ordine
di un paio di µs e il neutrone ha una vita media
di quasi 900 s. Si vede subito che l’intervallo di va-
lori è molto ampio, tuttavia possiamo fare alcune
considerazioni che ci portano a concludere che cer-
1
All’epoca dell’esperimento, in ogni caso, il pione non era
stato ancora scoperto.

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51.2. VITA MEDIA 519

Lo spazio delle fasi


Lo spazio delle fasi è uno spazio nel quale
si possono rappresentare tutte le possibili confi-
gurazioni di un sistema fisico e la sua ampiezza
è una misura del numero di possibili configura-
zioni dati certi vincoli. In fisica delle particelle
lo spazio delle fasi misura il numero di confi-
gurazioni che due o piú particelle possono as-
sumere a parità di condizioni. Nel decadimento
di una particella in due corpi, ad esempio, lo
spazio delle fasi è limitato dal fatto che le due
particelle figlie devono avere quantità di moto
uguale e opposta ed energia pari alla massa del-
la particella madre (in unità naturali). Cosí in
un decadimento di una particella di massa M in
due particelle di massa m1 e m2 , l’energia della
particella 1 è data da
2
M 2 − (m22 − m21 )
E1 = . (51.14)
2M
Nel caso particolare m2 = m1 , E1 è fissata e va-
le M/2: lo spazio delle fasi si riduce a un punto.
Nel caso in cui esistano piú canali di decadimen-
to ci possono essere piú valori per E1 , che dipen-
dono dalla differenza di massa tra le particelle
figlie e lo spazio delle fasi si allarga. Maggiore
è la differenza di massa, piú ampio è lo spazio
delle fasi.
Nel caso di un decadimento a tre corpi ciascu-
na particella può trasportare una frazione della
quantità di moto, purché la somma vettoriale
delle tre quantità di moto sia nulla. Quindi esi-
ste un intervallo di valori permessi per la parti-
cella 1 e per la particella 2, mentre la particel-
la 3 è obbligata ad assumere il valore determi-
nato dalla conservazione della quantità di mo-
to. Lo spazio delle fasi dunque è maggiore per-
ché esistono piú configurazioni rispetto al caso
precedente.

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Unità Didattica 52
Le risonanze

Usando acceleratori di particelle si possono co- per ogni θ 6= 0, dal momento che tutte le particelle
sí produrre altre particelle, come i pioni, inviando del fascio si muoverebbero in avanti senza essere de-
protoni accelerati su un bersaglio. I pioni carichi viate. In realtà i pioni interagiscono con i nuclei del
cosí prodotti possono essere a loro volta accelerati bersaglio, quindi la sezione d’urto che si misura è
(purché lo si faccia prima che decadano) e inviati su diversa da zero. In altre parole, mettendo un conta-
un altro bersaglio. Si può cosí studiare, ad esempio, tore a un angolo θ rispetto alla direzione del fascio si
la sezione d’urto del processo π + p o del processo misura un certo numero Np di nuove particelle. Poco
π + n (il bersaglio è certamente costituito di protoni importa se si tratta, in realtà, di particelle già pre-
e neutroni). senti nel fascio, che hanno semplicemente cambia-
to direzione in seguito all’urto con un nucleo. Non
possiamo seguire le particelle individualmente, per-
52.1 Urti tra particelle ciò non ha molto senso chiedersi se si tratti di una
particella del fascio deviata o se nell’urto la parti-
A valle del bersaglio si pongono dei rivelatori con
cella presente nel fascio sia andata distrutta e ne
i quali si può, ad esempio, misurare la sezione
sia stata prodotta un’altra, della stessa natura, con
d’urto di produzione di nuove particelle in funzio-
caratteristiche cinematiche diverse. Per noi, nuova
ne dell’energia del fascio incidente o dell’angolo di
significa una particella che prima dell’urto non c’era
diffusione.
nello stato cinematico nella quale la osserviamo.
Esercizio 52.1 Il decadimento del pione
È abbastanza intuitivo capire che il numero di
queste nuove particelle diminuisce all’aumentare
dell’angolo di diffusione. Le diffusioni a piccolo an-
Calcola quanto spazio hai a disposizione per co-
golo, in effetti, sono piú probabili rispetto a quelle a
struire un acceleratore in grado di raccogliere e ac-
celerare i pioni prodotti nell’urto di protoni su un grande angolo (non fosse altro che perché la quan-
bersaglio, prima che questi decadano. tità di moto è conservata e le velocità dei prodotti
soluzione → finali si devono sommare in maniera tale da con-
servare la quantità di moto in avanti). In ogni caso
uno si aspetta che l’andamento di σ(θ) in funzione
Se, ad esempio, si mandano dei π su un bersaglio, di θ sia caratteristico della specie di particella pro-
qualora i π non interagissero col bersaglio, questi iettile e di bersaglio. In linea di principio la sezione
seguirebbero una traiettoria rettilinea. Se quindi si d’urto σ potrebbe dipendere anche dall’energia E
misura la sezione d’urto di produzione di pioni a della particella incidente (σ = σ(θ, E)) ma non ci si
diversi angoli θ rispetto alla direzione di volo delle aspettano variazioni brusche della sezione d’urto al
particelle del fascio, si avrebbe variare dell’energia.
Quello che invece si osserva è un andamento della
σ(θ) = 0 (52.1) sezione d’urto in funzione dell’energia della parti-
cella incidente che varia lentamente con l’energia,
52.1. URTI TRA PARTICELLE 522

filmato non riproducibile su questo


supporto: digita l’URL nella caption o
scarica l’e-book
Figura 52.2 L’osservazione di una nuova
particella la cui vita media
non è sufficiente a rivelarla
direttamente si può fare
attraverso la ricostruzione
di quella che si chiama
la sua massa invariante.
Ricostruendo la massa
dell’ipotetica particella
che, decadendo, ha dato
origine a due (o piú) nuove
particelle osservate nel
rivelatore, si osserva un
picco nella distribuzione di
questa grandezza. [https:
//www.youtube.com/
watch?v=K2LfcwYzvBE].

Figura 52.1 Sezione d’urto π + p in fun- me la produzione di nuove particelle che successiva-
zione della quantità di moto mente decadono. Il motivo è semplice. Consideriamo
del pione. l’urto elastico

ma presenta, a certi valori caratteristici dell’ener- π+ + p → π+ + p (52.2)


gia, evidenti picchi nei quali la sezione d’urto può dove le due particelle nello stato finale si trovano in
aumentare, rispetto al valore di base, anche di un uno stato cinematico diverso da quello iniziale (nel
ordine di grandezza o piú. Nella Figura 52.1 si vede senso che hanno una quantità di moto diversa). Se il
l’andamento della sezione d’urto del processo π + p processo che dà origine a questa reazione è un banale
per diversi valori della quantità di moto plab del urto ci aspettiamo che la maggior parte delle parti-
pione nel sistema di riferimento del laboratorio. celle finisca in avanti, a un angolo piccolo rispetto
Sono riportate le sezioni d’urto elastica (quella del alla direzione di volo del π + iniziale. Comunque a
processo π + p → π + p) e totale (quella del processo un angolo θ = θ0 vedremo arrivare particelle con
π + p → X dove X rappresenta un qualunque stato una certa frequenza, che diminuisce all’aumentare
finale). di θ. Se però nell’urto si produce una particella che
Appaiono evidenti una serie di valori di plab in cor- successivamente decade in π + + p i prodotti del de-
rispondenza dei quali la sezione d’urto aumenta pa- cadimento non avranno piú memoria della direzione
recchio. In certi casi, ad esempio per plab ' 0.3 Ge- iniziale del π + . I prodotti di decadimento potranno
V/c, la sezione d’urto elastica π + + p passa da un essere emessi ad angoli qualunque, in particolare ad
valore dell’ordine di qualche mb a valori dell’ordi- angoli grandi. Quindi vedremmo un forte aumento
ne di 200 mb, mentre quella totale passa da 20 a del numero di particelle osservate in corrispondenza
200 mb. Anche nel caso della reazione π − + p si os- dell’angolo θ0 , quando l’energia Eπ del π + incidente
servano alcuni picchi, tutti in corrispondenza degli è tale da consentire la produzione di una particella
stessi valori di plab . con massa pari all’energia Ecm nel centro di massa
Questi picchi, detti risonanze, s’interpretano co-

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52.2. LA MASSA INVARIANTE 523

divisa per la velocità della luce al quadrato. 52.2 La massa invariante


Esercizio 52.2 Produzione di risonanze Secondo la teoria della relatività l’energia E di una
particella di massa m e quantità di moto p è data
Calcola l’energia che deve avere un fascio di π + per da
produrre una risonanza di massa M . In particolare
calcola la massa che potrebbe avere una risonanza E 2 = p2 c2 + m2 c4 . (52.3)
inviando pioni con quantità di moto p = 300 MeV Nel caso in cui abbiamo a che fare con N particelle
su protoni fermi.
di massa mi e quantità di moto pi , i = 1, . . . , N ,
In corrispondenza di questo valore si vede un
l’energia complessiva del sistema è la somma delle
picco nella sezione d’urto. La massa della risonanza
energie E = E1 +E2 +· · ·+EN e la quantità di moto
in questione è di 1232 MeV.
soluzione → totale dalla somma di queste p~ = p~1 + p~2 + · · · + p~N .
In questo caso possiamo scrivere che

Le particelle cosí prodotte devono essere altamen- E 2 = p 2 c2 + M 2 c4 (52.4)


te instabili. Infatti i prodotti di decadimento ap- dove p è il modulo della quantità di moto tota-
paiono provenire direttamente dal punto d’intera- le e M è qualcosa che ha le dimensioni fisiche di
zione. La risonanze hanno quindi una vita media una massa. Se consideriamo un insieme di particel-
brevissima che si può stimare essere dell’ordine di le ferme è evidente che la somma delle loro energie
10−24 s. E = (m1 +m2 +· · ·+mN )c2 = M c2 . Quindi, almeno
La loro produzione è chiaramente mediata dalle in questo caso, M = m1 + m2 + · · · mN .
interazioni forti. I pioni infatti devono interagire con L’energia E e la quantità di moto p di una par-
i protoni, che sono particelle che subiscono l’intera- ticella sono grandezze fisiche che dipendono dal si-
zione forte. D’altra parte anche i muoni interagisco- stema di riferimento nel quale sono calcolate. Ad
no con i protoni, ma in questo caso le probabilità esempio: nel sistema di riferimento solidale con una
d’interazione sono molto piú basse perché i muoni particella, la sua energia vale E = E0 = mc2 e la
sono leptoni che non risentono dell’interazione for- sua quantità di moto p = 0. Se però la particella è in
te. Anche il decadimento delle risonanze deve essere moto rispetto all’osservatore la sua energia E > E0
provocato dall’interazione forte, perché i tempi so- e p > 0. La sua massa, però, non può dipendere
no molto piú brevi rispetto a quelli dell’interazione dal sistema di riferimento scelto per misurarla. Si
elettromagnetica e dell’interazione debole. dice che la massa è un invariante relativistico.
La differenza
Esercizio 52.3 Produzione di ∆
E 2 − p2 c2 = m2 c4 (52.5)
Indica attraverso quali reazioni si possono produrre
le quattro particelle ∆ con fasci di pioni carichi. dunque, è un invariante: assume cioè sempre lo stes-
soluzione → so valore in ogni sistema di riferimento. Se dun-
que abbiamo una particella ferma di massa M che
decade in N particelle, ciascuna con energia Ei e
Tra le risonanze si possono annoverare la ∆ , la quantità di moto p~i , poiché M è invariante deve

∆ , la ∆+ e la ∆++ , con carica elettrica, rispettiva- essere


0

mente, pari a e, zero, −e e −2e, dove e è la carica


dell’elettrone. E 2 − p 2 c2 = M 2 c4 (52.6)

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52.2. LA MASSA INVARIANTE 524

La radice di questa differenza1 si chiama massa in- sovrapposte due reazioni, ciascuna delle quali pro-
variante ed è utile per determinare la massa di una duce la particella in questione). Nel caso in cui siano
particella che è decaduta in altre particelle di cui le figlie di una particella di massa M la loro massa
si conoscano energia e quantità di moto. Infatti, la invariante sarà pari a M c2 , altrimenti sarà un nu-
massa invariante del sistema di particelle figlie deve mero a caso compreso tra 0 e E dove E è l’energia
coincidere con la massa della particella madre. complessiva nello stato iniziale.
Quando dall’urto di un pione con un protone si Dal momento che c è una costante, le masse del-
produce una risonanza ∆, questa decade subito do- le particelle si possono indicare, invece che in unità
po sempre in una coppia pione–protone. Misurando di massa, in unità di energia. Un protone, ad esem-
la quantità di moto delle due particelle
p figlie pπ e pp pio, ha una massa di circa 1.67 × 10−27 kg, che,
può ricavare l’energia Eπ = p2π c2 + m2π c4 e
se ne p moltiplicata per c2 = (3 × 108 )2 = 9 × 1016 m2 s−2
Ep = p2p c2 + m2p c4 . Se si calcola la quantità dà

(Eπ + Ep )2 − (p~π + p~p )2 c2 (52.7)


mp c2 ' 1.67 × 10−27 × 9 × 1016 ' 15 × 10−11 J
si ottiene proprio m2∆ c4 : il quadrato della massa del- (52.10)
la particella madre (moltiplicata per c2 ). Per convin- che trasformato in elettronvolt (ricordiamo che
cersene basta calcolare esplicitamente le grandezze 1 eV = 1.6 × 10−19 J) vale
in gioco. Nel sistema di riferimento in cui la ∆ è
ferma p~π = −p~p e quindi (p~π + p~p ) = 0. La massa
invariante al quadrato quindi è data semplicemente mp c2 ' 15 × 10−11 J 1 eV
−19
' 9.4 × 108 eV .
da 1.6 × 10 J
(52.11)
In definitiva la massa del protone si può esprimere
M 2 c4 = Eπ2 + Ep2 + 2Eπ Ep (52.8)
come circa 109 eV (' 1 GeV). In fisica delle parti-
Per la conservazione dell’energia deve anche essere celle si usa esprimere le masse in unità di energia.
che Per ottenere le masse in kg basta dividere il valore
in unità di energia per c2 .
Eπ + Ep = m∆ c 2
(52.9) Se si hanno a disposizione numerosi eventi di que-
e facendo il quadrato di quest’ultima equazione si sto tipo si può perciò calcolare la massa invariante
vede subito che M = m∆ . per ogni coppia di particelle (nel caso di decadimen-
Dato un sistema di N particelle prodotte dal de- ti a due corpi; la massa invariante si può calcolare
cadimento di un’altra particella, conoscendone la ci- anche per tre, quattro o piú particelle nello stato fi-
nematica, possiamo sempre calcolarne la massa in- nale) e costruire un istogramma delle frequenze con
variante. Ora supponiamo di aver osservato in un cui si presentano certi valori di massa invariante. Si
esperimento diversi eventi in cui si trovano due par- ottiene un grafico in cui sull’asse delle ascisse so-
ticelle (che per semplicità supponiamo identiche). no riportati i possibili valori di massa invariante (in
Queste due particelle possono essere il risultato del unità di energia) e in ordinata il numero di volte
decadimento di una particella di massa M oppu- in cui si è trovato un determinato valore. Molti de-
re possono essere state prodotte in un altro modo gli eventi saranno casuali: le due particelle trovate
(per esempio nello stesso evento potrebbero essersi e considerate potenziali figlie di una particella piú
pesante non hanno in realtà alcuna relazione l’una
1
A rigore si dovrebbe chiamare “massa invariante” questa con l’altra, quindi daranno origine a masse invarian-
radice divisa per c2 , ma dal momento che le due quantità dif- ti casuali comprese tra 0 e l’energia massima dispo-
feriscono solo per una costante moltiplicativa possiamo usare
lo stesso nome per M e per M c2 . nibile, ma in altri casi la massa invariante assumerà
proprio il valore corrispondente alla particella che,

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52.2. LA MASSA INVARIANTE 525

delle coppie π + p che emergono dall’urto si trovano


dei picchi in corrispondenza delle loro masse. Per
questa ragione anche Λ e K si possono considerare
risonanze.

Figura 52.3 Distribuzione della massa in-


variante calcolata per una
coppia di muoni µ+ µ− osser-
vati all’esperimento CMS a
LHC. Sul fondo piatto si os-
servano diversi picchi corri-
spondenti alla massa di al-
trettante particelle che deca-
dono in una coppia di muo-
ni. Notate la scala orizzonta-
le, nella quale le masse sono
espresse in GeV/c2. Il fondo
in genere è decrescente con
l’energia perché la probabi-
lità di osservare coppie ca-
suali di alta massa invarian-
te è minore rispetto a quella
di osservare coppie casuali di
bassa massa invariante.

decadendo, ha dato origine a quelle dello stato fi-


nale. Il grafico (Fig. 52.3) perciò avrà l’aspetto di
un fondo continuo sul quale si stagliano alcuni pic-
chi nella posizione corrispondente alla massa delle
particelle madri.
Per estensione i picchi corrispondenti si chiamano
anch’essi risonanze. In generale la scoperta di un
nuovo picco su un fondo piatto di masse invarianti
corrisponde alla scoperta di una nuova particella la
cui massa coincide con la posizione del picco.
Nel grafico della sezione d’urto della reazione π+p
non si osservano picchi in corrispondenza della mas-
sa di particelle come la Λ o la K (il motivo è spiegato
nel Cap. 53), tuttavia calcolando la massa invariante

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Unità Didattica 53
Le particelle strane

Con gli acceleratori di particelle si possono stu- Questo è strano, perché le leggi della fisica sono
diare con un certo dettaglio le particelle scoperte invarianti per inversioni temporali.
nei raggi cosmici. In particolare le Λ e i K si pos-
sono produrre in numero praticamente arbitrario in Esercizio 53.1 La produzione dei K
laboratorio e questo permette di misurare la sezione
d’urto di produzione e i tempi di decadimento. Con un acceleratore di particelle possiamo sceglie-
re l’energia da dare a un fascio di pioni da in-
viare su un bersaglio, in modo tale da garanti-
53.1 I decadimenti della Λ re la produzione delle particelle che si desiderano
studiare.
Facendo queste misure si scopre che la sezione d’urto Calcola l’energia minima che dovrebbe avere un
per la produzione di Λ e di K è quella tipica delle pione per produrre, attraverso l’urto con un proto-
risonanze, perciò queste particelle sono prodotte per ne fermo, una particella K. Nei dati sperimentali
interazione forte attraverso le reazioni non si vedono risonanze a questa energia. Il motivo
è illustrato nel Paragrafo 53.2.
soluzione →
π− + p → Λ + X π− + p → K + X . (53.1)

dove X rappresenta altre possibili particelle nello Se si guarda un film alla TV, si capisce subito se
stato finale. I decadimenti di queste particelle, inve- il film è riprodotto normalmente o se le immagini
ce, hanno tempi tipici delle interazioni deboli. La Λ vanno all’indietro nel tempo. Ma questo avviene so-
decade principalmente nel canale lo perché le scene del film coinvolgono sistemi com-
plessi composti di un numero sterminato di particel-
Λ → π− + p (53.2) le elementari. Se riprendessimo con una telecamera
per interazione debole e questo risultò subito sospet- l’oscillazione di un pendolo non potremmo stabilire
to, strano. Naturalmente non c’è niente di strano se il filmato è riprodotto in avanti o all’indietro. In
nel fatto che una particella sia prodotta per intera- particolare, nel caso del pendolo, il tempo impiega-
zione forte e decada per interazione debole: i pioni, to dalla massa appesa al filo per tornare indietro
ad esempio, sono abbondantemente prodotti nelle rispetto al punto d’inversione del moto è lo stesso
interazioni forti e decadono per interazione debole. ai due estremi della traiettoria, perché l’interazione
Anche i neutroni sono palesemente particelle che si che provoca il moto (la gravità) agisce nello stesso
possono produrre per interazione forte, ma decado- modo nei due punti. Questo tempo sarebbe diver-
no per effetto dell’interazione debole. Ma nessuna so se a uno degli estremi intervenisse un’interazione
di queste particelle decade attraverso un’interazio- diversa (in particolare se in uno degli estremi fosse
ne diversa da quella che ne determina la produzio- impedito alla gravità di fare il suo dovere).
ne nello stesso canale in cui avviene quest’ultima. Allo stesso modo, se possiamo produrre una Λ per
53.2. PRODUZIONE ASSOCIATA 528

filmato non riproducibile su questo Deve dunque esistere una specie di carica conser-
supporto: digita l’URL nella caption o vata nelle interazioni forti, che le interazioni deboli
scarica l’e-book in un certo senso non vedono. Questa carica venne
Figura 53.1 Il moto di un pendolo è chiamata stranezza. Si dice che la Λ possiede una
identico in avanti e all’in- carica di stranezza (convenzionalmente pari a −1),
dietro, perché la caduta del
grave dipende dalla stessa
che deve essere conservata nelle interazioni forti, ma
interazione: la gravità. Se può non esserlo nelle interazioni deboli. Perciò la Λ
interviene un’interazione non può decadere secondo la reazione
diversa a uno dei due
estremi della traiettoria, il Λ → π− + p (53.3)
moto non è piú simmetrico
[http://www.youtube.com/ attraverso l’interazione forte perché né il pione né
watch?v=IF2f4KYgfUc]. il protone possiedono una carica di stranezza, che
dunque non sarebbe conservata. Poiché però que-
sta carica è irrilevante per le interazioni deboli, la Λ
interazione forte (quindi con alta probabilità) nel- può decadere in questo modo attraverso la media-
l’urto tra un pione e un protone, il suo decadimento zione di quest’ultima interazione. Affinché si possa
in un pione e un protone dovrebbe avvenire in tem- produrre una Λ per interazione forte, tuttavia, è ne-
pi brevi con una probabilità analoga, dal momento cessario che si conservi la stranezza. Perciò sarebbe
che, invertendo la direzione del tempo, non dovrem- altrettanto impossibile osservare la reazione
mo poter distinguere tra produzione e decadimento.
Invece cosí non è. Per questo la Λ venne definita una π− + p → Λ (53.4)
particella strana. perché neanche in questo caso si conserverebbe la
L’unico modo di spiegare questo comportamento stranezza (che nello stato iniziale è nulla, mentre
strano è di ammettere, come nel caso del pendolo, nello stato finale vale S = −1).
che nel decadimento l’interazione forte, responsabi-
le della produzione, non possa fare il suo lavoro,
lasciando il compito di far decadere la particella a 53.2 Produzione associata
un’altra interazione: quella debole.
Ma come mai l’interazione forte non può far deca- La produzione potrebbe avvenire solo se nello sta-
dere la Λ? Evidentemente deve esistere una qualche to finale fossero presenti almeno due particelle con
grandezza fisica che è conservata nelle interazioni stranezza opposta. In effetti, studiando meglio la
forti e non lo è nelle interazioni deboli. Potremmo produzione di particelle strane, si trova che le Λ sono
pensare a una qualche caratteristica della particella sempre prodotte in associazione ai K. La reazione
che le interazioni forti vedono, e che, al contrario, che si osserva è sempre del tipo
per le interazioni deboli è irrilevante. Un po’ co-
me la carica elettrica, che è una caratteristica che π− + p → Λ + K (53.5)
determina il comportamento delle interazioni elet-
seguita dal successivo decadimento delle Λ e dei K
tromagnetiche, ma che è del tutto irrilevante per le
per interazione debole. I K, quindi, devono possede-
interazioni gravitazionali. Per la gravità un elettro-
re una stranezza pari a S = +1. In questo modo, lo
ne e un positrone sono identici, mentre per le inte-
stato finale ha stranezza complessiva S = 0 e la rea-
razioni elettromagnetiche no. Il fatto è che la gra-
zione è possibile conservando la stranezza. Il deca-
vità non provoca il cambiamento della natura delle
dimento di entrambe le particelle non può avvenire
particelle. Se lo provocasse, un elettrone potrebbe
per interazione forte, che conserva la stranezza, ma
tranquillamente trasformarsi in un positrone.
può avvenire per interazione debole. I K, in effetti,

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53.2. PRODUZIONE ASSOCIATA 529

decadono con tempi tipici delle interazioni deboli,


in due o tre pioni:

K → π+ + π− K → π+ + π− + π0 . (53.6)

Studiando le reazioni agli acceleratori si scoprirono


molte altre particelle strane, alcune delle quali con
stranezza pari a multipli interi di quella della Λ. Ad
esempio, la particella Ω− ha addirittura stranezza
S = −3. Questa particella si può produrre per inte-
razione forte, ad esempio, solo in associazione a tre
particelle con stranezza +1 (o a una con stranez-
za +2 e una con stranezza +1). La Ω− decade per
interazione debole attraverso una complessa catena
che conduce alla produzione, nello stato finale, di tre
pioni e un protone. Inizialmente si ha il decadimento

Ω− → Ξ0 + π − . (53.7)
La Ξ0 , un’atra particella strana, neutra con stranez-
za S = −2, decade poi in una Λ accompagnata da Figura 53.2 Produzione e decadimento di
un pione neutro un Ω− . Un K − con stranez-
za S = −1 (in basso) urta
un protone, producendo una
Ξ0 → Λ + π 0 (53.8)
Ω− , un K + e un K 0 , conser-
e infine la Λ decade secondo la solita reazione Λ → vando la stranezza. Il barione
Ω decade quindi in Ξ0 + π − .
π − + p.
Il barione Ξ0 decade quindi
La produzione associata spiega perché non si os- in una Λ e un π 0 che subito
servano risonanze nelle reazioni π + n e π + p quan- si trasforma in due fotoni γ,
do l’energia del pione è sufficiente a produrre una che convertono in una coppia
Λ o un K. Le reazioni citate, infatti, non possono e+ e− . L’ultimo decadimento
nella catena è quello della Λ
produrre una Λ o un K singoli, ma devono per for-
che decade in un protone e
za produrre queste due particelle in associazione, un pione. Nota la curvatura
insieme. che le tracce delle particelle
cariche assumono nel campo
magnetico dell’esperimento.

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Unità Didattica 54
Il Modello a Quark

Attraverso lo studio intensivo delle possibili rea- Tre quark per Muster Mark!
zioni tra particelle e i loro decadimenti, furono sco- Il nome quark dato ai componenti elementari
perte moltissime nuove particelle. Il quadro si era di alcune particelle è stato coniato da Murray
ulteriormente complicato rispetto a quello, sempli- Gell–Mann, il padre del Modello a quark.
cissimo, in cui protoni, neutroni ed elettroni erano le Il termine è stato preso in prestito da Gell–
uniche particelle elementari necessarie per spiegare Mann dal testo di Finneganns Wake di James
la composizione della materia nell’Universo. Joyce, nel quale figura il brano
Oltre a queste tre particelle e ai pioni, si erano
scoperte le quattro ∆ prive di stranezza, tre par- Three quarks for Muster Mark!
ticelle con stranezza S = −1 (Σ− , Σ0 e Σ+ ), la Sure he hasn't got much of a bark
Ξ nei due stati di carica Ξ− e Ξ0 , con stranezza And sure any he has it's all beside the mark.
S = −2, la Ω− , con S = −3, la Λ e i K con stranezza
rispettivamente S = −1 e S = +1. Sembra che a Gell–Mann piacque il suono di
Si scoprirono, inoltre, tre particelle simili alle Σ, questa parola (quark) nel poema di Joyce, e
ma piú pesanti, che vennero chiamate Σ∗ : Σ∗− , Σ∗0 il fatto che si facesse riferimento a tre quark,
e Σ∗+ . E due particelle simili alle Ξ, chiamate Ξ∗ , sembrò a Gell–Mann un buon motivo per sce-
negli stati di carica Ξ∗− e Ξ∗0 . gliere questo nome, giacché servivano proprio
Oltre a queste particelle si erano trovati due K tre quark per spiegare lo spettro delle particelle
carichi (K + e K − ), e una particella neutra chiamata osservate.
η simile al π 0 . La maggior parte dei fisici pronuncia la pa-
Si era anche scoperto che esistevano K neutri con rola quark come quork, come faceva Gell–
stranezza S = +1 e con stranezza opposta S = −1 Mann (anche se probabilmente Joyce l’avreb-
per cui uno dei due doveva essere l’antiparticella be pronunciata quark, per far rima con Mark e
dell’altro: K 0 e K̄ 0 . bark).
Per la conservazione del numero barionico le Λ
dovevano essere barioni, mentre i K dovevano essere
mesoni, come i pioni e la η. Le Σ e le Ξ sono barioni, 54.1 Tre nuove Tavole Periodi-
cosí come le loro copie piú pesanti Σ∗ e Ξ∗ , la Ω− e
le ∆.
che
Un quadro cosí complesso sembrava inspiegabile, Che gli elementi chimici non fossero particelle ele-
fino a quando Murray Gell–Mann e Susumo Okubo mentari, ma composti di nuclei positivi ed elettroni,
proposero di considerare queste particelle come a lo- era stato suggerito dal fatto che le proprietà chi-
ro volta composte di particelle piú piccole, chiamate miche degli elementi consentivano di disporli nella
quark. Tavola Periodica di Mendelev.
Allo stesso modo si potevano disporre tutte
54.1. TRE NUOVE TAVOLE PERIODICHE 532

Figura 54.2 L’ottetto di barioni.


Figura 54.1 L’ottetto di mesoni.

le nuove particelle scoperte su opportune Tavole,


scegliendo due numeri quantici quali indici della
Tavola: la carica elettrica e la stranezza.
I mesoni, ad esempio, si potevano disporre come
nella Figura 54.1, a formare il cosiddetto ottetto
di mesoni. L’ottetto è una Tavola nella quale tro-
vavano posto gli otto mesoni fino ad allora scoperti:
i quattro K, i tre pioni e l’η. Nella prima riga com-
parivano quelli con stranezza S = +1, nella seconda
quelli con stranezza S = 0 e nella terza quelli con
stranezza S = −1. Le particelle poi di dispongono
nello schema ai vertici di un esagono in modo tale
da avere la stessa carica elettrica lungo linee oblique Figura 54.3 Il decupletto di barioni.
parallele a una delle diagonali. Cosí il K − e il π −
sono allineati lungo uno dei lati dell’esagono, K 0 , η,
no disporre su una Tavola, usando gli stessi nume-
π 0 e K̄ 0 lungo la diagonale parallela a questo lato e
ri quantici. L’aspetto della Tavola che se ne rica-
K + e π + lungo il lato opposto.
va è leggermente diverso ed è quello di Fig. 54.3,
In maniera del tutto analoga, otto tra i barioni
chiamato il decupletto di barioni.
conosciuti, si potevano disporre in un altro ottetto
A ben vedere il decupletto di barioni non è molto
usando gli stessi numeri quantici, come mostrato in
diverso dall’ottetto. Di fatto, se si eliminano i ver-
Fig. 54.2.
tici del triangolo formato dalle particelle che vi si
Come nel caso dei mesoni, in cui π 0 e η occupano
dispongono, la Tavola assume lo stesso aspetto de-
la stessa posizione nella Tavola, nel caso dei barioni
gli ottetti, anche se nella riga superiore compaiono
Λ e Σ0 possiedono gli stessi numeri quantici secon-
particelle a stranezza nulla e nel mezzo c’è una sola
do i quali la Tavola è organizzata. Le particelle in
particella, invece che due.
questione differiscono solo per la massa.
I barioni appartenenti all’ottetto erano tutti quel-
li il cui spin è pari a J = 21 . Tutti gli altri, infatti,
avevano spin J = 23 . Anche questi ultimi si posso-

© (2013–2015) Giovanni Organtini – Fisica Sperimentale


54.2. L’IPOTESI DEI QUARK 533

54.2 L’ipotesi dei quark Calcolo Combinatorio


La statistica ci dice che se disponiamo di n
Ipotizzando che le particelle scoperte non siano ele-
elementi che possiamo combinare formando se-
mentari, ma a loro volta composte di altre parti-
quenze di k di questi elementi, nel caso in cui
celle, possiamo pensare che siano il risultato della
l’ordine non abbia importanza e tra i k elemen-
combinazione di due, tre o piú particelle. Con due
ti ce ne possono essere di ripetuti, il numero di
particelle u e d si possono costruire tre combinazioni
quelle che si chiamano le combinazioni con
diverse: uu, ud e dd (du è evidentemente equivalente
ripetizioni di n oggetti di classe k è
a ud). Con tre particelle u, d e s, si possono invece
fare 10 combinazioni: uuu, uud, uus, udd, uds, uss,
!
n+k − 1
ddd, dds, ssd, sss. Esattamente in numero tale da Cnk = (54.1)
riprodurre il decupletto di barioni. Ipotizziamo dun- k
que che le particelle del decupletto di barioni siano Sostituendo n = 3 (il numero di possibili diversi
formate dalla combinazione di tre nuove particel- quark che possiamo usare) e k = 3 (il numero
le dette quark denominati up, down e strange. di quark da usare per ogni sequenza) si ottiene
Questi barioni hanno spin J = 32 , quindi potremmo
pensare che ciascuno dei tre quark abbia spin J = 12 !
che, sommandosi, dia luogo a una particella di spin 5 5! 5×4×3×2
Cnk = = = = 10 .
3
2
. Poiché i barioni hanno stranezza variabile tra 0 3 3!(5 − 3)! 3 × 2 × (2)
e −3, possiamo attribuire a uno dei tre quark (lo (54.2)
strange) stranezza S = −1. In questo modo, com-
binando tre quark s si può ottenere una particella filmato non riproducibile su questo
con stranezza S = −3. Questa particella (la Ω) de- supporto: digita l’URL nella caption o
ve avere carica elettrica pari a −1 in unità di carica scarica l’e-book
del protone. Perciò i tre quark s devono avere cia- Figura 54.4 La costruzione del de-
scuno carica elettrica pari a − 31 nelle stesse unità. cupletto di barioni
Se è cosí le due Ξ con stranezza S = −2 si devo- con il modello a quark
no ottenere dalle combinazioni (che effettivamente [http://www.youtube.com/
sono due) con due quark s: ssu e ssd. Le due Ξ∗ watch?v=bGb0lUXSXVU].
hanno carica elettrica −1 e 0, rispettivamente. Uno
dei quark u o d, quindi, deve avere la stessa carica
elettrica di s, in modo da produrre insieme a que- Q = − 13 − 13 − 13 = −1, esattamente come le Σ∗ .
sti una particella con carica elettrica pari a −1. Il Usando solo i quark u ed s si ottengono combina-
quark d potrebbe dunque essere una particella di zioni prive di stranezza. Ce ne sono quattro: uuu,
spin 21 e carica elettrica Q = − 13 (sempre in unità uud, udd e ddd, che hanno, rispettivamente, carica
di carica del protone). La combinazione ssu deve elettrica Q = 2, Q = 1, Q = 0 e Q = −1, proprio
quindi avere carica nulla e questo si può ottenere se come le ∆.
si attribuisce al quark u la carica Q = + 23 . Naturalmente questo non è sufficiente per conclu-
Con un quark strange si possono fare tre combina- dere che effettivamente le cose stiano cosí, ma è per
zioni che danno luogo a tre particelle con stranezza lo meno un forte indizio. Gell–Mann [?] e Okubo [?]
S = −1. Le possibili combinazioni sono uus, uds proposero indipendentemente una formula, ricava-
e dds. Se il quark up ha carica elettrica Q = + 23 ta da complessi argomenti teorici, che prediceva la
e il down Q = − 13 si vede subito che le com- massa delle particelle composte di quark. La Ω− ,
binazioni hanno carica elettrica, rispettivamente, in effetti, fu scoperta dopo (nel 1964) l’ipotesi dei
Q = + 23 + 32 − 13 = 1, Q = + 32 − 31 − 13 = 0 e quark e rappresentò un primo grande successo di

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54.4. L’OTTETTO DI BARIONI 534

questa teoria. potrebbero dare entrambe luogo a un π 0 se sono


Successivamente si moltiplicarono le prove in fa- indistinguibili. D’altra parte la η, oltre a decadere
vore dell’esistenza dei quark, attraverso svariate e in due fotoni, come il π 0 , decade anche in tre pio-
complesse misure di sezione d’urto. ni neutri, quasi il 40 % delle volte. La η, quindi,
deve avere un contenuto di quark diverso da quello
del π 0 . In generale la massa delle particelle aumen-
54.3 L’ottetto di mesoni ta con l’aumentare della stranezza, quindi il quark s
deve essere significativamente piú pesante degli altri
L’ottetto di mesoni, formato di particelle prive di
due. Per questo si può assumere che la η sia il risul-
spin, si può realizzare assumendo che i mesoni siano
tato della combinazione ss̄, mentre il π 0 possa essere
formati da un quark e un antiquark, di spin oppo-
composto da uū oppure da dd¯1 . In questo modo si
sto. Con un quark e un antiquark si possono fare le
producono otto diverse combinazioni, esattamente
seguenti combinazioni:
quante se ne osservano sperimentalmente.
1. uū, che è una particella di carica elettrica nulla
(l’antiquark ha carica elettrica opposta a quel-
la del quark corrispondente) e senza stranezza, 54.4 L’ottetto di barioni
identificabile col π 0 o con la η;
Resta da spiegare l’ottetto di barioni. Trattandosi di
¯
2. anche la combinazione dd consente di costruire barioni a spin J = 21 , non potendo essere costituiti di
una particella del tutto simile; un solo quark (che ha carica frazionaria), dobbiamo
3. ud,¯ che ha carica elettrica Q = 1 e non possiede ritenere che si tratti di combinazioni di tre quark,
come nel caso del decupletto. Con due quark, infatti,
stranezza, che potrebbe essere il π + ;
si possono realizzare combinazioni di spin J = 0
4. il π si potrebbe realizzare con la combinazione (quando gli spin dei due quark sono antiparalleli:

dū, che ha carica Q = −1; ↑↓) o spin J = 1 (quando sono paralleli: ↑↑). Con tre
quark, invece, se due di essi si dispongono in modo
5. la prima combinazione con stranezza potreb- da produrre una combinazione con spin J = 0, il
be essere sū, che dà luogo a una particella con terzo determina lo spin della particella (↑↓↑).
carica elettrica Q = −1 (il K − ); In sostanza l’ottetto di barioni dovrebbe essere
6. sd¯ produce una particella con carica elettrica formato dalle stesse combinazioni del decupletto,
nulla e stranezza −1 (l’K̄ 0 ); solo che in questo caso gli spin dei tre quark so-
no, rispettivamente J = + 21 , J = − 12 e J = + 21 . Ma
7. s̄u permette di costruire una particella di carica allora perché sono otto e non dieci? In effetti abbia-
elettrica Q = +1 che è identificabile col K + ; mo già osservato che all’ottetto, di fatto, mancano le
particelle disposte ai vertici del triangolo del decu-
8. s̄d, invece, realizza una combinazione con carica
pletto, che sono costituite dalle combinazioni uuu,
Q = 0 e stranezza S = +1: il K 0 ;
ddd e sss. Per qualche ragione queste combinazioni
9. la combinazione ss̄ dà origine a un’altra par- devono essere vietate nel caso dell’ottetto.
ticella di carica elettrica nulla e priva di A pensarci bene la cosa strana non è che manchi-
stranezza come nei primi due casi. no queste combinazioni nell’ottetto, ma che siano
presenti nel decupletto. Infatti, in Meccanica Quan-
Come si vede esistono nove combinazioni di coppie
quark–antiquark e non otto, come si osserva speri- 1
La meccanica quantistica prevede la possibilità che una
mentalmente. Nulla però impedisce che una parti- particella sia una sovrapposizione di stati diversi, pertanto il
cella possa essere composta da piú di una combi- fatto che i pioni siano composti di combinazioni diverse di
quark è perfettamente giustificata da questo fatto.
nazione: per esempio le due combinazioni uū e dd¯

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54.5. QUARK COLORATI 535

Il Principio di Pauli ne e dunque le particelle corrispondenti del decu-


Ai piú il Principio di esclusione di Pauli appare pletto non dovrebbero potersi formare. Per il resto
come uno strano fenomeno, quasi paranormale, è facile spiegare tutte le altre combinazioni: quelle
che vieta chissà in quale modo il verificarsi di dell’ottetto di barioni sono le stesse del decupletto,
certe configurazioni. Dopo tutto, cosa impedisce con l’unica differenza di avere i quark in stati di spin
a due elettroni di disporsi nello stato? E come tali per cui due di essi hanno spin opposto.
fa un elettrone a sapere che si trova nello stato
di un altro elettrone?
Il Principio è una diretta conseguenza del fat-
54.5 Quark colorati
to che le particelle, in Meccanica Quantistica, L’unica spiegazione che permetteva di giustificare
si possono descrivere attraverso funzioni d’on- l’esistenza delle combinazioni uuu, ddd e sss consi-
da: equazioni che hanno la stessa forma mate- steva nell’assumere che ogni quark avesse un ulte-
matica di un’onda meccanica. Come è noto due riore numero quantico, una carica, che permetteva
onde possono interferire tra loro in modo da ri- di distinguerlo dall’altro.
sultare in un’onda che può avere un’ampiezza A questa carica venne attribuito il nome di colo-
variabile tra un minimo di zero a un massimo re. Si può pensare che ogni quark possa esistere in
pari alla somma delle ampiezze, secondo la fase tre diversi stati di carica di colore: rosso R, verde
relativa. L’equazione che descrive due particelle G e blu B. Se la combinazione uuu è formata da
identiche di spin semintero è tale da produrre tre quark di colore diverso, il Principio di esclusio-
un fenomeno d’interferenza per cui le due on- ne di Pauli non è piú violato e lo stato può esistere.
de si annullano a vicenda. È questo fenomeno il Nel caso dell’ottetto di barioni possiamo pensare al-
responsabile del Principio di esclusione. la combinazione uuu come formata da tre quark di
In effetti, non ci si dovrebbe stupire tanto del colore diverso RGB, tali per cui il quark rosso ha
fatto che viga un tale Principio in fisica. In fon- spin J = + 21 , quello verde spin J = − 12 e quel-
do, nessuno si stupisce del fatto che due ogget- lo blu spin J = + 21 . Una tale combinazione si può
ti non possono stare esattamente nello stesso rappresentare come
punto ~x dello spazio, avendo la stessa velocità
~v . Il fatto è che in meccanica classica lo stato |uuu ↑i = |R, ↑i |G, ↓i |B, ↑i . (54.3)
è definito da posizione e velocità di una par-
ticella, mentre in meccanica quantistica queste Combinazioni altrettanto valide sono
due variabili non hanno molto senso e lo stato è
descritto da energia e momento angolare di una |uuu ↑i = |R, ↑i |B, ↓i |G, ↑i (54.4)
particella. Cosí il Principio di esclusione di Pauli e
altro non è se non la traduzione del principio di
impenetrabilità dei corpi che vige in meccanica |uuu ↑i = |G, ↑i |R, ↓i |B, ↑i . (54.5)
classica.
Poiché tutte e tre queste combinazioni sono possibi-
li dobbiamo considerare la uuu di spin J = 21 come
tistica vige il Principio di esclusione di Pauli, secon- una particella formata da tutte e tre queste combi-
do il quale due o piú particelle di spin semintero non nazioni, ciascuna presente nel 33 % circa dei casi. In
possono mai trovarsi nello stesso stato. altre parole dobbiamo pensare che questa particel-
Nelle combinazioni uuu, ddd e sss abbiamo tre la abbia un contenuto di quark che si può scrivere,
particelle dello stesso tipo, nella stessa posizione, usando una notazione un po’ piú compatta, come
con la stessa energia e lo stesso stato di spin. Queste
combinazioni sono vietate dal Principio di esclusio-

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54.5. QUARK COLORATI 536

filmato non riproducibile su questo e il quark s di colore diverso. Oltre alla combina-
supporto: digita l’URL nella caption o zione di colori RGB, dunque, potrebbe esserci una
scarica l’e-book combinazione con gli stessi numeri quantici della Σ0 ,
Figura 54.5 Una particella di spin 2 1
ma fatta con i colori RRG o GGR o BBG, etc.. Di
formata da tre quark è combinazioni cosí ce ne sono diverse e dovrebbero
una sovrapposizione dei tre
possibili stati si spin in cui
ciascuna dar luogo a particelle che dovrebbero co-
i quark si possono trovare munque manifestare in qualche modo la carica di
[http://www.youtube.com/ colore in eccesso.
watch?v=PfNP_22tx6A]. In effetti possiamo pensare che la combinazione
dei tre colori generi una carica di colore neutra (si
dice che la particella è bianca o incolore), ma nel
caso della combinazione RRG si dovrebbe poter os-
 servare questa carica di colore come non neutra e
1
= |R ↑ G ↓ B ↑i+|R ↑ B ↓ G ↑i+|G ↑ R ↓questo B ↑i .dovrebbe produrre effetti sulle interazioni os-

uuu, +
2 servate. Se infatti la carica di colore esiste, deve es-

(54.6) sere associata a una qualche interazione per la quale
In altri termini lo stato uuu, + 21 si deve conside- l’intensità dipende da questa carica (come la carica

rare come una sovrapposizione di stati e non come elettrica, associata alle interazioni elettromagneti-
uno stato formato talvolta da una, talvolta dall’al- che, ne determina l’intensità), perciò una particella
tra combinazione, come prescritto dalla Meccanica formata da due quark rossi e uno verde dovrebbe
Quantistica. presentare un eccesso di carica rossa che dovrebbe
Uno dei modi in cui si può esprimere il Princi- potersi manifestare attraverso interazioni piú o me-
pio di Pauli consiste nel dire che, qualora scambian- no intense rispetto a quelle subite da una particella
do due particelle si ottenga uno stato equivalente bianca.
a quello iniziale, la combinazione è vietata. Nel no- Non avendo mai osservato alcuna differenza nel-
stro caso, se scambiamo di posto la seconda e la le interazioni delle Σ0 (né delle altre particelle) si
terza combinazione otteniamo comunque uno stato pensò che dovessero essere possibili solo combina-
identico al precedente e cosí nel caso di tutti i pos- zioni di colori tali da formare una particella priva
sibili scambi che possiamo pensare di fare. Queste di colore o bianca. In questo modo le uniche com-
combinazioni sono dunque vietate dal Principio di binazioni possibili sono quelle osservate. Anche nel
Pauli. caso dei mesoni, la combinazione di un quark con un
La combinazione con spin J = 23 antiquark è bianca, perché se un quark porta una
carica rossa, l’antiquark ne porta una antirossa.
(54.7)
++
∆ = |R ↑ G ↑ B ↑i La regola secondo la quale tutte le particelle devo-
è una sola e non è vietata perché i tre quark hanno no essere bianche permette anche di spiegare come
colore diverso e sono perciò distinguibili (la combi- mai, nonostante una lunga serie di tentativi, non fu-
nazione |R ↑ B ↑ G ↑i è la stessa perché i quark B rono mai osservati quark liberi. Si potrebbe infatti
e G si devono intendere nella stessa posizione, in un pensare che, colpendo un protone (formato da due
modo che non possiamo rappresentare sulla carta). quark up e da un quark down) con una particella con
L’introduzione della carica di colore permette co- energia sufficiente, se ne dovrebbero poter estrarre i
sí di spiegare le diverse configurazioni osservate, ma quark costituenti perché nell’urto i legami che ten-
introduce un elemento che farebbe pensare alla pos- gono insieme i quark potrebbero spezzarsi. In effetti
sibilità di costruire molte altre combinazioni, come, si potrebbe pensare che i quark sono tenuti insieme
ad esempio, uds con i quark u e d dello stesso colore nel protone (e nelle altre particelle) dalle interazio-
ni forti e che quelle che si osservano nei nuclei, che

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54.5. QUARK COLORATI 537

tengono insieme neutroni e protoni, siano il residuo


di queste forze visto attraverso la schermatura dei
costituenti: una specie di forza di Van der Waals
forte. Disponendo di sufficiente energia si dovrebbe
poter vincere l’attrazione prodotta da queste forze Non si vedono, ma si contano!
e liberare cosí i quark che si dovrebbero poter os- La Fisica è una scienza sperimentale che richie-
servare in esperimenti di questo genere come tracce de di poter osservare i fenomeni di cui trat-
elettricamente cariche, ma di carica frazionaria. ta. Sembrerebbe dunque di poter affermare che,
Il fatto che le particelle fisiche (quelle osservabili giacché i quark sono intrinsecamente inosserva-
sperimentalmente) debbano essere bianche permet- bili dal momento che non si possono produrre
te di spiegare l’assenza di questi eventi. È impossi- liberi, non dovrebbero poter essere soggetti d’in-
bile per i quark essere prodotti liberi. È quello che dagine per un fisico. In realtà, quando un fisico
si chiama il fenomeno del confinamento. pronuncia la parola osservare intende misura-
Naturalmente esistono numerose prove dell’esi- re (non è infrequente che per i fisici il significato
stenza dei quark, sebbene non siano mai stati os- delle parole sia diverso da quello loro comune-
servati liberi. L’esistenza di queste tre particelle e mente attribuito: è un fenomeno che si deve alla
della carica di colore si prova attraverso misure che possibilità per la lingua comunemente parlata
non è il caso di illustrare in questa sede, ma che di essere interpretata in maniera ben piú ambi-
dimostrano inequivocabilmente che le particelle fi- gua di quanto non sia necessario in fisica o in
siche sono formate da combinazioni di quark tenuti matematica).
insieme dalla forza forte, che impedisce loro di uscire All’inizio del secolo scorso non erano pochi i fi-
dalle particelle costituenti. sici che ancora non credevano all’esistenza degli
atomi. L’argomento per confutarne l’esistenza
era molto efficace, in effetti: gli atomi non si pos-
sono vedere, quindi non esistono! Fu Jean Bap-
tiste Perrin a confutare questa tesi, eseguendo
molte misure del Numero di Avogadro che dava-
no tutte lo stesso risultato, basandosi sui lavori
del solito Einstein sul moto browniano. Perrin,
che per quei lavori vinse il Premio Nobel, osser-
vò che è vero che gli atomi non si possono vedere
perché sono piú piccoli della lunghezza d’onda
della luce, ma si possono contare, quindi se ne
può misurare il loro numero, pertanto esistono.
Allo stesso modo, è vero che i quark non si
possono osservare, ma se ne possono misura-
re gli effetti della loro esistenza in molti mo-
di (non solo quelli illustrati qui). Dunque, ben-
ché sia intrinsecamente impossibile produrli sin-
golarmente e osservarli in qualche maniera,
possiamo sicuramente dire che esistono.

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Unità Didattica 55
Il Modello Standard

Tipo Carica elettrica Famiglia fetta simmetria tra leptoni e quark, che possiamo
Q I II III dividere in famiglie. La prima famiglia, che contie-
+ 23 u c t ne le particelle piú leggere, è formata dai quark up e
Quark
− 13 d s b down, dall’elettrone e dal suo neutrino (con lo stes-
−1 e µ τ so numero leptonico). La seconda famiglia, oltre al
Leptoni
0 νe νµ ντ charm e allo strange, include il muone e il neutrino
muonico, mentre della terza fanno parte il top e il
Tavola 55.1 Il Modello Standard delle
particelle elementari preve-
bottom, il τ e il neutrino ντ .
de l’esistenza di sei quark e La materia ordinaria è formata solo di particelle
sei leptoni, oltre alle rispetti- della prima famiglia. Le altre famiglie sono di fat-
ve antiparticelle, come facen- to copie piú pesanti della prima. A oggi non sap-
ti parte dei costituenti della piamo ancora perché esistano tre famiglie di parti-
materia dell’Universo.
celle. In effetti basterebbe la prima per spiegare la
composizione dell’intero Universo.
Tutti i fenomeni osservati si spiegano alla luce
Il Modello a Quark aveva ricondotto la teoria del- di questo Modello. Il decadimento del neutrone,
la fisica delle particelle a una condizione di sempli- ad esempio, s’interpreta come il decadimento di un
cità. Ora bastavano solo tre quark per spiegare la quark d che decade secondo la reazione
materia, insieme agli elettroni. Restava da capire il
ruolo del muone e dei due neutrini, ma era stato d → u + e− + ν¯e (55.1)
fatto un grosso passo in avanti.
cosí che da una particella formata da due quark do-
wn e un quark up si formi una particella compo-
55.1 I costituenti della materia sta di due quark up e un quark down (il protone)
con l’emissione di una coppia di leptoni con numero
Col passare del tempo si scoprirono nuove particelle leptonico opposto.
e il quadro si complicò di nuovo anche se, diventando La conservazione del numero barionico si spiega
piú simmetrico acquistò maggiore solidità. Interpre- dunque con l’impossibilità di sopprimere un quark.
tando tutti i dati sperimentali fino ad ora conosciuti, Un quark può trasformarsi in un altro oppure ge-
sappiamo che esistono sei quark: oltre a u, d e s esi- nerare una coppia quark–antiquark. Non esistono
stono il charm c, di carica +2/3, il top t, anch’esso regole di conservazione per i mesoni perché sono
di carica +2/3 e il bottom o beauty b con carica composti di quark e antiquark: se uno di questi si
uguale a quella del down e dello strange. trasforma il numero di quark non cambia. La con-
Esistono anche sei leptoni: oltre all’elettrone, al servazione del numero leptonico, invece, indica che
muone e ai rispettivi neutrini, esiste infatti il tau le trasformazioni dei leptoni possono avvenire solo
con il rispettivo neutrino ντ . Esiste dunque una per- all’interno dello stesso doppietto, che non si posso-
55.1. I COSTITUENTI DELLA MATERIA 540

no né sopprimere né creare leptoni, se non in coppie


leptone–antileptone.
Quark e leptoni possono avere una carica elettrica
e, se ce l’hanno, sono soggetti a interazione elettro-
magnetica. Sia quark che leptoni sono anche sog-
getti all’interazione debole. Al contrario dei quark,
i leptoni non subiscono l’interazione forte. Per i
leptoni è come se quest’interazione non esistesse.
In definitiva nell’Universo possono esistere sei tipi
di quark e altrettanti leptoni. Oltre, naturalmente,
alle rispettive antiparticelle. È con questi ingredienti
che si costruiscono tutte le particelle osservate speri-
mentalmente. In passato le particelle piú pesanti di
quelle della prima famiglia dovevano essere piú ab-
bondanti di quelle presenti oggi, perché l’Universo,
piú compatto, era molto piú caldo e le particelle in
esso contenute avevano energie molto piú elevate di
quelle odierne. Le collisioni tra le particelle presen-
ti potevano dunque generare Λ, Σ, Ξ, K, etc. Col
tempo l’Universo si è raffreddato e l’energia delle
particelle non è piú stata sufficiente a produrne di
nuove. Quelle esistenti hanno cominciato a decade-
re e oggi sono rimasti praticamente solo protoni e
neutroni. Le altre particelle possiamo osservarle solo
nelle rare collisioni ad alta energia dei raggi cosmici
oppure in laboratorio. In un certo senso, dunque, lo
studio della fisica delle particelle con gli acceleratori
è anche lo studio dell’evoluzione dell’Universo e gli
stessi acceleratori sono come macchine del tempo
per tornare a epoche remotissime, quando l’Univer-
so era molto giovane e aveva un’età compresa tra
qualche frazione di secondo fino a qualche minuto.

Fisicast
In Fisicast abbiamo parlato di particelle elementari
nei podcast:
Il microscopico zoo delle particelle elementari
http://www.radioscienza.it/2013/09/22/
il-microscopico-zoo-delle-particelle-elementari/
Vedere le particelle elementari http://
www.radioscienza.it/2014/01/20/
vedere-le-particelle-elementari/

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Unità Didattica 56
Campi e Particelle

pesantemente per produrre l’elettricità che ci serve


Prerequisiti: dinamica elementare, eenergia ad alimentare tutti i nostri apparati elettronici.
meccanica, concetto di potenziale di un campo Ci sono altre due forze meno note: la
hyperref[interazioni-deboli]forza debole e quella
La Fisica delle Particelle non consiste soltanto forte. Quest’ultima è responsabile del fatto che i
nell’individuare i costituenti elementari della mate- nuclei atomici stanno insieme nonostante le forze
ria: è soprattutto lo studio delle interazioni cui tali di natura elettromagnetica producano una forte
costituenti sono soggetti. Di fatto, dunque, la Fisi- repulsione tra i protoni. In assenza di questa
ca delle Particelle è la disciplina che studia le forze forza due protoni in un nucleo (a distanze quindi
fondamentali che si manifestano nell’Universo e dell’ordine di 1 − 2 fm, cioè di 1 − 2 × 10−15 m) si
che determinano, in fin dei conti, il comportamento respingerebbero con una forza immensa pari a
degli oggetti macroscopici (dagli atomi, ai batteri,
agli esseri viventi evoluti come noi, ai pianeti e alle −38
galassie). 1 q2 9 4 × 10
F = ' 9 × 10 = 360 N (56.1)
Le forze fondamentali sono quelle che non si pos- 4πε0 r2 10−30
sono ricondurre all’azione combinata di altre forze. che è la forza peso di un ragazzino. Affinché i pro-
Le forze elastiche, ad esempio, sono il risultato del- toni non si allontanino l’uno dall’altro deve esistere
le interazioni tra i costituenti dei materiali di cui una forza molto piú intensa che deve trattenerli al-
sono composte le molle, che sono di natura elettro- l’interno del nucleo: la forza forte, appunto. Questa
magnetica. Al contrario, esistono alcune forze che forza deve avere un raggio d’azione piuttosto pic-
sembrano appartenere a classi diverse, non ricondu- colo. In effetti i protoni liberi non sembrano essere
cibili l’una all’altra e che per questo dobbiamo con- soggetti a forze attrattive cosí forti da parte di altre
siderare come fondamentali (almeno fino a quando cariche positive, quindi la forza forte deve spegnersi
non scopriremo il contrario). abbastanza rapidamente.
La forza debole invece è quella che permette le
interazioni tra i neutrini e le altre particelle e che
56.1 Le forze fondamentali provoca i decadimenti radioattivi dei nuclei atomici.
È importante comprendere che le forze non causa-
A oggi conosciamo quattro forze che possiamo con-
no solo il movimento (come si tende a credere per
siderare fondamentali: la gravità è forse la piú co-
via della nota equazione di Newton secondo la quale
nosciuta. È quella responsabile della caduta degli
a = F/m), ma in generale provocano il cambiamen-
oggetti sulla Terra e del fatto che i pianeti orbitano
to dello stato di un oggetto. In meccanica lo sta-
attorno al Sole (e le stelle orbitano attorno al centro
to dei punti materiali è perfettamente determinato
della Galassia). Anche le forze elettromagnetiche
quando se ne conoscono posizione e velocità. Poiché
sono abbastanza note: sono quelle che dànno origine
la misura di queste grandezze dipende dalla scel-
ai fenomeni di tipo elettrico o magnetico. Le usiamo
ta del sistema di riferimento dobbiamo accordarci
56.2. UNA RIVISITAZIONE DEL CONCETTO DI ENERGIA 542

su quale sia quello in cui definiamo lo stato. Con- 56.2 Una rivisitazione del con-
viene scegliere un sistema di riferimento nel quale,
all’istante iniziale, il punto materiale risulti fermo
cetto di energia
nell’origine. Possiamo sempre farlo e in questo mo- In Fisica Classica trattiamo spesso particelle come
do la definizione dello stato non è piú ambigua e punti materiali soggette a forze di varia natura. Lo
non dipende piú da una scelta arbitraria. In que- stato delle particelle è determinato quando se ne co-
sto sistema di riferimento il punto resta fermo fino noscano posizione e velocità. Se i corpi considerati
a quando non interviene una forza. Se a un certo non hanno massa costante (è il caso di un’automobi-
punto una forza inizia ad agire il punto materiale le che man mano che procede consuma carburante),
accelera e lo stato cambia. anche la massa determina in qualche modo lo stato
In un sistema complesso, con moltissimi punti del sistema. In certi casi può essere importante la
materiali dei quali non si può misurare contempo- temperatura, etc..
raneamente posizione e velocità, lo stato è deter- Se un sistema composto da una o piú particelle
minato dalla sua temperatura, dal volume e dalla è isolato (non può cioè interagire con nulla) pos-
pressione. Se non intervengono forze lo stato di quel siamo sempre definire una grandezza fisica E, fun-
sistema non cambia. Un gas contenuto in un reci- zione dello stato delle particelle che compongono il
piente, per esempio, cambia pressione e/o tempe- sistema, che ha la proprietà secondo cui
ratura se si applica, alle pareti del recipiente, una
forza in grado di modificarne forma e/o volume. ∆E = 0 , (56.2)
Un atomo non soggetto a forze è qualcosa di piú
complesso di un punto materiale, ma non al punto cioè che la sua variazione è nulla. È del tutto evi-
da poter essere descritto dalla termodinamica. Lo dente che, data una qualunque legge fisica, come
stato di un atomo fermo è caratterizzato, per esem- F = ma, si possa definire E = F − ma e quindi
pio, dalla sua massa e dal suo stato di ionizzazione. E = 0, pertanto anche ∆E = E(t + δ) − E(t) = 0,
Un atomo d’idrogeno è diverso da uno di potassio avendo indicato con E(t) la grandezza fisica E mi-
perché è diversa la massa dei rispettivi nuclei (che surata al tempo t. In questo non c’è nulla d’interes-
a sua volta dipende dal numero di protoni e neu- sante. Se però riusciamo a individuare combinazioni
troni che li compongono). E un atomo di potassio utili di grandezze fisiche per cui vale quanto sopra
differisce da uno ione K+ perchè quest’ultimo ha un possiamo imparare qualcosa di nuovo. Consideria-
elettrone in meno rispetto a quello di potassio. Un mo, ad esempio, l’energia meccanica di una parti-
atomo, come ogni altro sistema, non può cambiare il cella di massa m posta a una quota h dal suolo, che
suo stato se non per mezzo dell’applicazione di una si muove con velocità v:
forza. Una forza di tipo elettromagnetico può ioniz-
1
zare un atomo di potassio, facendolo diventare uno E = mv 2 + mgh . (56.3)
2
ione K+ . In seguito all’intervento della forza debole
il nucleo di quell’atomo può trasformarsi in un nu- Questa quantità dipende solamente dallo stato che
cleo di specie diversa. Cioè cambia la sua massa (o, la particella assume in ogni istante di tempo ed è
il che è lo stesso, il numero di protoni e di neutroni costante: E(t) = E0 = const. Se è costante, la sua
di cui è composto). variazione nel tempo è nulla. Indicando col pedice
f le grandezze nello stato finale e col pedice i quelle
nello stato iniziale possiamo scrivere che
∆E 1 hf 1 hi
=0= mvf2 + mg − mvi2 − mg .
∆t 2∆t ∆t 2∆t ∆t
(56.4)
Raccogliendo i termini simili si ottiene

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56.2. UNA RIVISITAZIONE DEL CONCETTO DI ENERGIA 543

dunque dire che la dinamica dei sistemi è determi-


 nata unicamente da una funzione scalare U , che è
1 vf2 − vi2 (hf − hi ) funzione solo delle coordinate, definita in tutto lo
0= m + mg (56.5)
2 ∆t ∆t spazio. La variazione del valore di questa funzione
e osservando che vf2 −vi2 = (vf −vi )(vh +vi ) possiamo in un punto dello spazio determina la comparsa di
scrivere una forza e quindi la variazione della velocità della
particella che si trova in quel punto.
Quando scriviamo U = mgh per indicare l’energia
1 (vf − vi ) (hf − hi ) potenziale gravitazionale sappiamo bene che questa
m(vf + vi ) = −mg . (56.6)
2 ∆t ∆t è definita a meno di una costante. Potremmo benis-
simo definire U = mgh + C con C costante e non
Ora, (hh − hi )/∆t non è altro che lo spostamento
cambierebbe nulla: quello che conta per determinare
subíto dalla particella nell’intervallo ∆t diviso per
la dinamica del sistema infatti non è l’energia, ma
questo stesso intervallo, quindi non è altro che la
la sua derivata (la sua variazione). Un altro modo
velocità media della particella v. Ma anche (vf +
di vedere la stessa cosa è dire che possiamo scegliere
vi )/2 = v; inoltre (vf − vi )/∆t = a non è altro che
come vogliamo il livello al quale U = 0. Ancora una
la variazione della velocità nell’unità di tempo, cioè
volta questo dipende dal fatto che non è possibile
l’accelerazione della particella, perciò, sostituendo
misurare l’energia, ma solo differenze di energia.
si trova che
L’energia potenziale gravitazionale si definisce co-
me il lavoro fatto dalle forze gravitazionali cambiato
mva = −mgv (56.7)
di segno:
da cui, dividendo tutto per v si ottiene che la mas-
sa della particella per la sua accelerazione a è pari Z 0
al suo peso mg, come previsto dalla legge di New- ∆U = U (h) − U (0) = − mg dh = mgh . (56.8)
ton. In generale non è difficile rendersi conto che h
tutta la dinamica dei corpi è contenuta in un princi- Benché di norma non si faccia, si potrebbe defini-
pio fondamentale che è quello della conservazione re il potenziale gravitazionale V come l’energia
dell’energia. potenziale per unità di massa:
È il fatto che l’energia si conserva a far sí che
F = ma. Quest’ultima, in altri termini, è una con- U
seguenza del principio di conservazione dell’energia. V = V (h) = = gh (56.9)
m
Il che non significa che nell’Universo tutto deve re- e l’energia potenziale gravitazionale per un corpo di
stare immobile. Una pallina sollevata a un’altezza h massa m alla quota h si potrebbe esprimere come
possiede una certa quantità d’energia. Posso aumen- mV (h). Quando si studiano le interazioni gravita-
tare l’energia cinetica 21 mv 2 della pallina, ma poiché zionali s’impara però che il potenziale gravitaziona-
l’energia totale si deve conservare, questo può solo le è un’altra cosa: è il lavoro per portare una mas-
avvenire in seguito a una diminuzione dell’energia sa unitaria dall’infinito alla posizione nella quale si
potenziale mgh. Il che implica che sia cambiato lo deve valutare il potenziale, che dista r dalla sor-
stato della particella: l’altezza h non è piú la stes- gente del campo gravitazionale. Attorno alla Terra,
sa. Noi imputiamo questo cambiamento di stato alla dunque, il potenziale gravitazionale sarebbe
presenza di una forza che altro non è se non una
misura dell’entità del cambiamento. r
Z r
Osserviamo che la derivata dell’energia potenzia- V = V (r) =
M 0
G 02 dr = −G
M M
= −G .
le U rispetto alla posizione h è dU/dh = mg, che è ∞ r r ∞ r
proprio la forza con la quale il corpo cade. Possiamo (56.10)

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56.3. L’ENERGIA DELLE INTERAZIONI TRA PARTICELLE 544

Le due espressioni del potenziale hanno in comune il nelle vicinanze di un punto x0 , con un polinomio.
fatto di essere entrambe definite come il lavoro fat- Maggiore è il grado del polinomio, migliore è l’ap-
to dalle forze gravitazionali per portare una massa prossimazione con la quale si approssima il valore
unitaria da un punto all’altro, cambiato di segno, e della funzione. In generale quindi
di crescere al crescere della distanza dalla sorgente
del campo, ma appaiono decisamente diverse l’una
h2

M M M h
dall’altra. Se la forza che tiene insieme il sistema so- V (r) = −G = −G ' −G 1− + 2 +·
lare è la stessa che fa cadere i corpi sulla Terra, come r R0 + h r0 r0 2r0
si spiega che il potenziale dell’una è diverso dal po- (56.15)
tenziale dell’altra? In realtà non c’è alcuna differen- Non è difficile convincersi che lo stesso accade per
za: quando scriviamo che il potenziale gravitaziona- tutte le altre forze fondamentali. Se calcoliamo il
le è V = gh stiamo semplicemente assumendo che g lavoro fatto dalle forze elettriche cambiato di se-
sia costante, ma questa è solo un’approssimazione. gno otteniamo l’espressione dell’energia potenziale
In effetti sappiamo che il potenziale della Terra, in elettrostatica, che è pari al potenziale elettrostatico
prossimità della sua superficie, varia sí, ma di po- moltiplicato per la carica elettrica.
chissimo, perché h  r0 , dove r0 è il raggio della Ne concludiamo che, in effetti, potremmo riassu-
Terra. Sostituendo a g la sua espressione mere tutta la fisica in un’unica legge: l’energia to-
tale dell’Universo è e deve rimanere costante.
M Se cambia l’energia in una regione dell’Universo, de-
g=G , (56.11) ve avvenire qualche cambiamento in un’altra regio-
r02
ne tale per cui la somma algebrica delle variazioni
scrivere V = gh equivale a scrivere
di energia sia nulla. Se non ci fossero interazioni l’e-
M nergia dell’Universo sarebbe data dalla somma delle
V =G h. (56.12) energie cinetiche di tutte le particelle in esso conte-
r02
nute, che non cambierebbe mai perché in assenza di
Scriviamo ora l’espressione esatta di V , come da-
interazioni non ci sarebbero accelerazioni e dunque
ta nell’equazione (56.10), approssimandola con una
le velocità delle particelle non potrebbero cambia-
retta (lo possiamo fare se r0 + h ' r0 , cioè quando
re. In presenza di interazioni possiamo associare a
h  r0 ):
ogni punto dell’Universo una funzione scalare delle
coordinate che chiamiamo energia potenziale la cui
variazione deve essere compensata da una variazio-
 
M M M h
V (r) = −G = −G ' −G 1− . ne opposta dell’energia cinetica. Il gradiente, cioè la
r R0 + h r0 r0
(56.13) rapidità con la quale cambia, dell’energia potenziale
Il primo addendo di questa somma è una costante rappresenta la forza che si osserva sperimentalmente
irrilevante (contano solo le differenze di potenziale). in virtú di questo principio.
Il secondo vale

G
M
h = gh . (56.14)
56.3 L’energia delle interazioni
r02
tra particelle
Come si vede, scrivere U = mgh equivale a consi-
derare le distanze h come molto piccole rispetto al L’energia potenziale dunque è l’energia determina-
raggio terrestre. La vera espressione di U dovrebbe ta dalla presenza di interazioni: in presenza di due o
essere, in effetti U = mV dove V è dato dall’equa- piú corpi interagenti si può definire questa quanti-
zione (56.10). Si tratta di un risultato completa- tà. I corpi devono evidentemente essere almeno due
mente generale. Ogni funzione si può approssimare, altrimenti non avremmo nessun tipo d’interazione.

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56.3. L’ENERGIA DELLE INTERAZIONI TRA PARTICELLE 545

Mettiamoci nel caso piú semplice possibile di due particella corrispondente è assente, U = 0. Lo stesso
sole particelle elementari che interagiscono. Una del- accade se A = 0: il campo è assente e non ci sarà
le due particelle la possiamo considerare sorgente di interazione.
un campo di forze, subíto dall’altra che indichiamo In generale, dunque, U sarà una funzione qualun-
come particella di prova o viceversa (ricordate sem- que f (y) di questo prodotto, ma sarà sempre espri-
pre il terzo principio della dinamica). La posizio- mibile, almeno in un intorno del punto d’interesse,
ne dell’una rispetto all’altra è dunque perfettamen- come un polinomio: al limite come una retta. Un
te determinata dalla distanza r tra le due particel- esempio chiarirà meglio la questione: consideriamo
le. L’energia potenziale che possiamo associare alla sempre le interazioni gravitazionali che sono quelle
particella di prova deve dunque essere una funzione che conosciamo meglio. L’energia di una particella
scalare di r: U = U (r). Evidentemente deve dipen- di massa m nel campo di una particella di massa M
dere dal tipo di particelle interagenti: una cosa è se si scrive come
le particelle hanno carica elettrica, una cosa è se non
ce l’hanno. Se indichiamo con la lettera greca φ l’in- Mm
U =G . (56.18)
sieme delle caratteristiche delle particelle che deter- r
minano l’apparire dell’interazione possiamo scrivere U è funzione delle caratteristiche che determina-
che U deve essere funzione anche di questo insieme no, per ciascuna delle due particelle, l’interazione
per ciascuna delle due particelle: u = U (r, φ1 , φ2 ). (φ1 = M e φ2 = m) e dalla forma del potenziale del
Ovviamente, questa energia dipenderà dal tipo di campo che possiamo indicare genericamente come
campo di forze che la particella sorgente genera, che A = G/r (il potenziale prodotto da una particel-
indichiamo con la lettera A: una cosa, ad esempio, la φ si ottiene moltiplicando φ per A). Se invece di
è se le particelle cariche sono in quiete e una cosa è scrivere l’energia per esteso, ne scriviamo un’espres-
se sono in moto. Nel primo caso interagiscono elet- sione approssimata, trascurando la presenza della
trostaticamente, attraverso un campo elettrico; nel costante irrilevante, scriveremmo
secondo caso sarà presente anche un campo magne-
G
tico. In definitiva U = U (r, φ1 , φ2 , A). La distanza r U ' φ1 Aφ2 = M m (56.19)
dipende unicamente dalle coordinate di φ1 e φ2 , che r
rappresentano le due particelle interagenti, perciò che è proprio l’espressione esatta dell’energia poten-
l’energia dipende dalle coordinate e dunque ziale (questo significa che, nel caso in esame, U1 = 1
e Ui6=1 = 0). Dunque non importa quanto sia com-
U = U (φ1 , φ2 , A(x1 , x2 )) . (56.16) plicata la funzione che definisce la vera energia po-
tenziale di tutte le particelle dell’Universo: possiamo
L’espressione di U può essere complicata a piacere, sempre restringerci a considerare due particelle suf-
ma purché le dimensioni fisiche delle cose da cui di- ficientemente vicine da interagire in modo da pro-
pende siano quelle opportune, possiamo sempre ap- durre un’energia potenziale pari a questo prodotto
prossimarla con un polinomio U = U0 +U1 y+U2 y 2 + di caratteristiche φ1 Aφ2 .
· · · . La costante U0 è irrilevante, perché quello che Graficamente possiamo rappresentare l’equazione
conta è solo la differenza di energia, quindi possiamo che definisce il primo termine dello sviluppo po-
sempre porre U0 = 0. La variabile y del polinomio linomiale dell’energia in questo modo: disegniamo
sarà una combinazione delle caratteristiche di φ1 , φ2 una freccia ogni volta che compare un fattore φi ; le
e A. Nel caso piú semplice avremo due frecce che inevitabilmente dovranno comparire
le disegniamo contigue, per indicare che l’interazio-
y = φ1 A(x1 , x1 )φ2 (56.17) ne tra queste due particelle avviene in un preciso
cioè un semplice prodotto delle caratteristiche. In punto dello spazio che è quello in cui la prima frec-
questo modo se uno dei φi (xi ) = 0, vale a dire la cia converge e da cui la seconda emerge. Da que-

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56.3. L’ENERGIA DELLE INTERAZIONI TRA PARTICELLE 546

Figura 56.1 Il diagramma di Feynman


piú semplice, che rappresen-
ta l’interazione tra un campo
e due particelle.
Figura 56.2 L’interazione tra due parti-
celle come descritta da un
diagramma di Feynman.
sto stesso punto disegniamo poi una linea ondulata
che rappresenta il campo che produce l’interazione
tra le due particelle, come nella Figura 56.1. Il dia- il moto di nessun’altra particella nelle vicinanze. In
gramma di questa figura si chiama diagramma di seguito a questa emissione la particella cambia di-
Feynman1 . rezione mentre il campo continua a viaggiare fino
I diagrammi di Feynman sono un vero e proprio a distanze infinite. Anche questo non appare molto
strumento di calcolo usato dai Fisici Teorici per cal- ragionevole: una sola particella magari emette un
colare le probabilità che avvengano certi fenomeni campo, ma se non ci sono particelle nelle vicinan-
e sono troppo complessi per poter essere insegnati ze non potremo mai saperlo, dal momento che non
a questo livello. Possiamo però provare a darne una c’è modo d’interagire con essa e carpirne qualche
libera interpretazione che ne chiarisce il senso vero. informazione.
In questo diagramma abbiamo due particelle e In effetti, nella teoria di Feynman, usando gli op-
un campo nello stesso preciso punto dello spazio: il portuni valori per φ1 , φ2 e A si trova che il pro-
vertice dell’interazione, costituito dal punto in cui dotto U = φ1 Aφ2 è nullo. Questo indica che la
convergono le tre linee. Questo non è ragionevole: probabilità che accada questo fenomeno è nulla e
due particelle non possono stare nello stesso identi- quindi questo diagramma non può contribuire al-
co punto! Si potrebbe viceversa interpretare questo l’energia dell’Universo. Di conseguenza il termine
diagramma come segue: una particella di materia U1 φ1 Aφ2 = 0. Non è quello che succede all’energia
proviene da sinistra; a un certo punto, quando si tro- potenziale gravitazionale, ma solo perché in quel ca-
va nel vertice, produce un campo, che è rappresen- so stiamo considerando corpi costituiti di moltissime
tato dalla linea ondulata. In questa visione il campo particelle!
non è qualcosa di permanente nello spazio, ma qual- Il primo termine dello sviluppo che potrebbe
cosa che viene emesso dalla particella in continua- essere non nullo è dunque il termine di grado due:
zione. In seguito all’emissione del campo, che è un
processo simile a quello in cui si lancia qualcosa da U ' U2 (φ1 Aφ2 )2 . (56.20)
un oggetto in corsa, per effetto della conservazione
Dal punto di vista grafico possiamo pensare a que-
della quantità di moto, la particella cambia legger-
sto termine come composto dal prodotto di due dia-
mente direzione. In altre parole, quello che abbiamo
grammi come quelli di Figura 56.1, opportunamente
appena descritto è un processo nel quale una sin-
uniti. Un modo per farlo è quello di unire il diagram-
gola particella emette un campo che non influenza
ma della Figura 56.1 con un altro identico attraverso
1
Dal nome del fisico Richard Feynman che li inventò. la linea ondulata: il campo. Come nella Figura 56.2.

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56.3. L’ENERGIA DELLE INTERAZIONI TRA PARTICELLE 547

In questo diagramma due particelle si muovono siamo autorizzati a pensare che le cose vadano effet-
da sinistra verso destra avvicinandosi. A un certo tivamente cosí: non importa se non vanno davvero
istante una delle due (quella di sopra, per esem- cosí: la Fisica è una scienza sperimentale e come tale
pio) emette un campo e cambia direzione. L’altra descrive le osservazioni. Le descrive in termini mate-
(quella in basso) raccoglie, per cosí dire, il campo e, matici. L’interpretazione che diamo delle equazioni
come nel caso in cui qualcuno raccolga un oggetto in termini di oggetti è del tutto arbitraria, anche se
pesante lanciato da qualcun altro, cambia direzio- funzionale. Del resto sappiamo bene che i pianeti
ne anche lei. Naturalmente potremmo invertire il non sono dei punti, ciò non di meno si possono rap-
ruolo del lanciatore e del raccoglitore: non cambie- presentare cosí nella nostra testa quando ne consi-
rebbe nulla. Abbiamo appena descritto un processo deriamo il moto descritto dalle equazioni di Newton,
nel quale due particelle si avvicinano e si respingono che sono l’unica cosa reale.
l’una con l’altra: non si può dire chi respinge quale: In questa modo il campo elettromagnetico diven-
si respingono a vicenda. L’una si può considerare ta una particella (che chiameremo fotone) che è
produttrice del campo e l’altra quella che lo subisce scambiata tra due elettroni e ne provoca la repulsio-
o viceversa. L’effetto è lo stesso. ne. Ma come si spiega invece l’attrazione tra un elet-
Calcolando questo diagramma con le regole di trone e un protone? Proviamo a insistere con questa
Feynman si trova in effetti un valore di probabilità interpretazione prendendo un protone inizialmente
diverso da zero. Se poi si confronta questa probabi- fermo. Questo, a un certo punto dovrebbe emette-
lità d’interazione con quella misurata sperimental- re un fotone e quindi dovrebbe muoversi nel verso
mente, usando le corrette espressioni per φ1 , φ2 ed opposto a quello nel quale si muove il fotone. Se
A, si trova che queste praticamente coincidono! In giunge nelle vicinanze un elettrone che si muove pa-
pratica con le regole di Feynman si può calcolare la rallelamente al fotone in direzione di quest’ultimo,
probabilità che, ad esempio, un elettrone sia diffu- si scontra con questo e riceve una spinta all’indietro.
so da un altro elettrone a un certo angolo, avendo Apparentemente, dunque, il processo non funziona:
l’uno una certa quantità di moto e l’altro, per esem- il protone e l’elettrone si respingerebbero invece di
pio, sia fermo. Si può quindi misurare questa proba- attrarsi. Ma non dobbiamo dimenticare quanto ab-
bilità misurando la frequenza con la quale elettroni biamo detto sopra! La nostra descrizione qualitativa
con la quantità di moto scelta sono diffusi da elet- del processo è una libera interpretazione delle equa-
troni fermi all’angolo desiderato. Il risultato è un zioni che sono l’unica descrizione valida della realtà.
sorprendente accordo tra teoria ed esperimento. Basta cambiare il segno dell’energia per provocare
Diremo, allora, che l’interazione tra due particelle un’interazione attrattiva, quindi evidentemente lo
funziona cosí: evidentemente le particelle di mate- stesso processo deve poter descrivere anche questo
ria possono emettere dei campi. Se nelle vicinanze si tipo d’interazioni. Possiamo continuare a immagi-
trova una particella in grado di assorbire tale cam- nare il processo come lo scambio di qualcosa: basta
po, lo fa e in questo modo si manifesta l’interazione. cambiare prospettiva! Pensiamo a due giocolieri che
In pratica le due particelle interagiscono perché si si scambiano delle clavette: le clavette viaggiano in
scambiano qualcosa che chiamiamo campo, ma che continuazione dall’uno all’altro e viceversa. Fino a
potremmo pensare come a una particella prodotta quando i due giocolieri si scambiano questi oggetti
dalla prima e raccolta dalla seconda. Questo campo sono costretti in qualche modo a restare vicini. So-
è dunque rappresentabile come una particella me- no dunque attratti l’uno dall’altro. Se smettono di
diatrice di forza che è scambiata tra le particelle di scambiarsi mediatori, invece, possono andare ognu-
materia che interagiscono. Noi non possiamo osser- no per la sua strada: uno va al bar, l’altro al bagno
vare direttamente questo processo: si tratta soltanto e l’interazione è spenta.
di un’astrazione matematica. Ma questa astrazione
rappresenta bene la realtà sperimentale e pertanto

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56.4. ALTRI PROCESSI 548

Figura 56.3 L’interazione tra una parti- Figura 56.4 L’interazione tra una parti-
cella e un campo. cella e il suo proprio campo.

56.4 Altri processi


Attaccare le linee di campo dei due diagrammi piú
semplici per mezzo della linea ondulata non è l’u-
nica possibilità. Un altro modo di fare il prodotto
(φ1 Aφ2 )2 consiste nell’unire due linee di particelle
di materia, come in Figura 56.3.
Possiamo interpretare questo diagramma come
quello che descrive un campo libero (quello a sini-
stra che proviene dal basso) che interagisce con una Figura 56.5 Il diagramma di annichilazio-
particella di materia (a sinistra). In seguito all’as- ne.
sorbimento del campo la particella si propaga per
un po’ e poi riemette il campo, che si muove ver-
dalla particella.
so il basso a destra. Un elettrone che entra in una
Ma il diagramma piú interessante si ottiene ruo-
regione nella quale è presente un campo elettrico
tando di 90 gradi quello di Fig. 56.2, mostrato in
non consuma il campo presente. Per interagire con
Fig. 56.5. Anche questo dovrebbe essere un diagram-
esso lo deve assorbire e riemettere. In questo proces-
ma legittimo, ma che cosa rappresenta? A prima vi-
so cambia la sua direzione perché la cinematica del
sta sembra un processo impossibile: una particella
processo di riemissione può essere diversa da quella
(un elettrone) proviene da sinistra in basso e rag-
dell’assorbimento.
giunge un vertice nel quale emette un campo. Da
Questo processo è consentito perché possiede al-
questo punto parte anche un’altra particella che pe-
meno due vertici. Si può vedere che il numero di ver-
rò deve muoversi all’indietro nel tempo (finora ab-
tici di un diagramma di Feynman coincide con l’or-
biamo sempre considerato il tempo come se scor-
dine dello sviluppo polinomiale della funzione ener-
resse da sinistra a destra). Trascorso qualche istan-
gia d’interazione. Un altro processo con due vertici
te, poi, il campo svanisce e dal punto in cui svani-
è quello che consiste nell’unire due linee di materia
sce il campo fuoriesce una particella che si muove
e due linee di campo, per ottenere il diagramma di
verso l’alto a destra, ma un’altra particella che si
Fig. 56.4.
muove all’indietro sembra finire in questo punto e
Questo diagramma rende ragione di quanto acca-
scomparire anche lei! Naturalmente è possibile che
de nel caso in cui la particella in moto emetta un
abbiamo trascurato qualche particolare secondo il
campo e non vi siano particelle nelle vicinanze per
quale questo diagramma dovrebbe restituire il va-
raccoglierlo. Il campo è semplicemente riassorbito
lore zero, una volta calcolato, ma la spiegazione,

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56.6. LA PRODUZIONE DELLE PARTICELLE STRANE 549

sorprendente, è nel prossimo paragrafo. lizza in qualche modo. In effetti si può dimostrare
sperimentalmente che il fenomeno esiste e funzio-
na proprio come previsto dalla teoria. Ancora una
56.5 L’antimateria volta, dunque, abbiamo una conferma della bontà
della nostra visione del modo in cui procedono le
Al Paragrafo 48.3 abbiamo detto che nel 1933 fu sco-
interazioni tra particelle elementari.
perta una particella identica all’elettrone, ma con
carica elettrica positiva: il positrone. Un elettrone
in un campo elettrico si muove in modo tale da spo- 56.6 La produzione delle parti-
starsi da punti a potenziale minore a punti a poten-
ziale maggiore. Se avesse carica elettrica positiva, il celle strane
suo moto sarebbe diverso: si muoverebbe spostan-
Vediamo come si può interpretare la produzione di
dosi dai punti a potenziale maggiore a quelli a po-
particelle strane alla luce di questa teoria. Come il-
tenziale minore. Se noi filmassimo un elettrone in
lustrato nel Paragrafo 54 i protoni sono particelle
un campo elettrico e poi guardassimo il filmato al
costituite di tre quark: p = (uud), mentre i pio-
contrario confonderemmo il moto con quello di un
ni sono composti di una coppia quark–antiquark e
positrone. In altre parole i positroni si comportano
quindi π − = (dū).
come elettroni che si muovono all’indietro nel tempo
Quando queste due particelle si urtano si possono
e viceversa.
produrre una Λ e uno dei K, che sono composte a
La linea di materia presente in Fig. 56.5 a sini-
loro volta di quark: Λ = (uds) e k = (ds̄). Nello sta-
stra, dunque, potrebbe benissimo rappresentare un
to iniziale abbiamo due quark u, due quark d e un
positrone che si muove al contrario rispetto alla di-
quark ū, mentre in quello finale ci sono due quark d,
rezione della freccia. Quello che ci dice questo dia-
un solo quark u e due quark strani: s e s̄. In effetti
gramma è che quando un elettrone e un positrone
sembra che ai quark d non accada nulla. Quello che
si incontrano annichilano: vengono distrutti, spa-
probabilmente succede è che nell’urto si scontrano
riscono nel nulla; la loro materia è completamente
un quark u del protone con il quark ū del pione.
annullata, ma la loro energia no. L’energia possedu-
Trattandosi di una coppia particella–antiparticella
ta si trasferisce al campo che evidentemente è pro-
possono annichilare emettendo una particella me-
dotto nell’annichilazione, che si propaga per un po’
diatrice di forza. In questo caso molto probabilmen-
di tempo, ma successivamente materializza in una
te non si produce campo elettromagnetico, ma forte,
coppia particella–antiparticella (la linea di materia
visto che la sua intensità è molto maggiore. Il media-
che si muove al contrario a destra). La cosa interes-
tore della forza forte è chiamato gluone. Il gluone
sante è che nei due vertici si devono conservare tutta
si propaga per un po’ e poi materializza in una cop-
una serie di grandezze fisiche, ma tra queste non c’è
pia quark–antiquark diversa: ss̄. Questi si legano a
il tipo di particella. Nel vertice di destra dunque si
quelli che sono stati solo spettarori del processo
può produrre una coppia elettrone–positrone identi-
(non hanno interagito) formando le particelle Λ e
ca a quella iniziale (e in questo caso il risultato net-
K.
to sarebbe un’interazione tra queste due particelle),
ma anche una coppia di muoni µ+ µ− !
Partendo da una coppia elettrone–positrone si fi- 56.7 L’interazione debole
nisce con l’avere una coppia di muoni (o di altre
particelle). Evidentemente questo (o uno analogo) è Il decadimento dei neutroni procede secondo la rea-
il meccanismo con il quale i raggi cosmici primari zione n → p + e− + ν mediato dall’interazione de-
dànno origine a particelle di natura diversa: nell’ur- bole. Quello che deve accadere è che un quark d del
to deve essere emesso un campo che poi materia- neutrone si trasforma in un quark u formando il pro-

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56.7. L’INTERAZIONE DEBOLE 550

tone, con la conseguente emissione di un elettrone e


un neutrino. L’interazione debole non vede i diversi
tipi di quark: il quark d e il quark u sono diversi solo
per l’interazione forte e per quella elettromagnetica
(avendo carica diversa). L’interazione debole prati-
camente non distingue tra questi due quark, quindi
il quark d può diventare un quark u emettendo un
campo debole. Ma dal momento che in questo pro-
cesso cambia la carica elettrica del quark, il campo
debole deve trasportare esso stesso una carica elet-
trica negativa. Questo campo, mediato dai bosoni
W , elettricamente carichi, produce una coppia di
particelle che nuovamente sono identiche dal pun-
to di vista dell’interazione debole (o meglio sono
l’una l’antiparticella dell’altra), ma non per quella
elettromagnetica: un elettrone e un neutrino.
Le interazioni deboli possono essere mediate an-
che da un’altra particella: la Z, che è neutra. La Z
è responsabile degli eventi nei quali i neutrini ur-
tano un protone e gli trasferiscono una quantità si-
gnificativa di energia nel processo ν + p → ν + p.
Sperimentalmente questo processo fu osservato per
la prima volta al CERN nel 1973. Nell’esperimen-
to si inviava un fascio di neutrini su un bersaglio
(costituito di protoni e neutroni). Quando un neu-
trino urta un protone lo fa muovere nel rivelatore
provocando una traccia ionizzata, mentre il neutri-
no prosegue la sua corsa, dopo essere stato deviato,
senza lasciare tracce nel rivelatore.

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Unità Didattica 57
Il bosone di Higgs

filmato non riproducibile su questo viva di fatto a spiegare la differenza di massa tra i
supporto: digita l’URL nella caption o fotoni, responsabili dell’interazione elettromagneti-
scarica l’e-book ca, e i bosoni vettori intermedi Z e W , responsabi-
Figura 57.1 La massa di una particella li dell’interazione debole, attraverso l’introduzione
è una misura di quanto sia di una nuova particella, successivamente battezzata
difficile cambiarne lo stato
di moto. Da questo punto di
bosone di Higgs. È quindi possibile estendere in
vista il meccanismo di Higgs modo abbastanza naturale le interazioni di questa
è analogo all’effetto prodotto particella per fare in modo che questa possa dare
da un campo magnetico su la massa anche alle particelle di materia (quark e
una biglia d’acciaio [https: leptoni).
//www.youtube.com/
watch?v=Dkd0--yxI0w]. La spiegazione di Higgs richiede l’introduzione
della teoria quantistica dei campi, che va molto al
di là degli scopi di questa pubblicazione, ma si può
riformulare [?] in termini di fisica classica rovescian-
La scoperta del bosone di Higgs avvenuta nel 2012 do il problema: spiegando cioè prima l’acquisizione
a opera degli esperimenti ATLAS e CMS all’acce- della massa da parte delle particelle di materia e poi
leratore LHC del CERN rappresenta una delle im- la differenza di massa tra i fotoni e i bosoni vettori
prese scientifiche piú ardite che l’uomo abbia mai intermedi (Z e W ).
realizzato. Per renderla possibile sono infatti state
impiegate tecniche al limite della tecnologia.
Dopo la scoperta, che ha avuto grande enfasi su 57.1 Richiami sul concetto di
tutti i media, è risultato abbastanza noto a tutti
che il bosone di Higgs è la particella responsabi- energia
le del fatto che tutte le altre particelle possiedono
Il concetto di energia è uno dei piú ostici per gli
una massa. Tuttavia, essendo abituati a pensare alla
studenti, nonostante il fatto che, tutto sommato, il
massa come a una proprietà intrinseca della mate-
calcolo dell’energia di un corpo in una determina-
ria, risulta difficile immaginare perché ci sia biso-
ta condizione sia relativamente semplice. In questo
gno di un meccanismo per dare massa alle particel-
contesto c’interessa osservare come, a dispetto del-
le e come sia possibile che questa proprietà emerga
le apparenze, il calcolo dell’energia di un corpo in
dall’interazione con un’altra particella.
condizioni molto diverse, sia sempre esprimibile nel-
In questo capitolo descriviamo quello che si chia-
la stessa maniera. Nel seguito consideriamo sempre
ma il meccanismo di Higgs, che Peter Higgs teoriz-
corpi che, nel sistema di riferimento scelto, sono in
zò nel 1964 per spiegare un complesso problema di
quiete, per cui la loro energia cinetica è nulla.
fisica fondamentale che ha a che fare con l’osserva-
Consideriamo inizialmente un corpo di massa m
zione sperimentale della rottura di alcune simmetrie
in un campo gravitazionale G. L’energia assunta
dell’Universo. La spiegazione originale di Higgs ser-
57.1. RICHIAMI SUL CONCETTO DI ENERGIA 552

dal corpo in virtú dell’interazione con il campo è Nel caso di una spira di area S, percorsa da
esprimibile come corrente I e immersa in un campo magnetico B,
l’energia assunta dalla spira vale
UG = mG , (57.1)
UB = −ISẑ · B (57.5)
dove G è il cosiddetto potenziale gravitazionale. Va-
le la pena ricordare che il potenziale di un campo è dove ẑ è un versore orientato in modo da essere per-
una funzione scalare del campo stesso e delle coordi- pendicolare al piano su cui si giace la spira. Solita-
nate. Nello specifico, scegliendo un punto a distanza mente la quantità m = ISẑ è chiamata momen-
infinita come riferimento, abbiamo che to magnetico della spira µ, per cui si scrive che
Z r UB = −µ · B. È ben noto che, nel caso del cam-
G= G · dr . (57.2) po magnetico, non è possibile scrivere un poten-
∞ ziale scalare, ma abusando leggermente del voca-
Nell’equazione (57.2), r rappresenta il vettore che bolario possiamo ridefinire il termine potenziale co-
individua la posizione del corpo nel sistema di ri- me un’opportuna funziona scalare dei campi e delle
ferimento scelto. Nel caso semplice in cui il campo coordinate, tale per cui possiamo scrivere che
gravitazionale sia prodotto da un corpo di massa M
possiamo dunque scrivere che UB = IB . (57.6)
Z r
r · dr Dal confronto delle ultime due equazioni si deduce
UG = GM , (57.3) immediatamente che il potenziale (cosí come da noi
∞ r3
ridefinito) B del campo magnetico vale
dove G è la costante di Newton. Data l’arbitrarie-
tà con la quale si può scegliere il punto nel quale B = −Sẑ · B . (57.7)
UG = 0, l’energia del corpo è definita a meno di una
costante che, proprio per quanto sopra, possiamo Sarebbe forse piú opportuno definire un termine ad
sempre scegliere essere uguale a zero (questa scelta hoc per questa funzione, invece di usare il termine
è d’ora in poi considerata implicita). potenziale, ma per semplicità continuiamo a impie-
Consideriamo ora un corpo con carica elettrica q gare questo nome, scritto in caratteri diversi. In de-
immerso in un campo elettrostatico E. Anche per finitiva si può osservare come l’energia di un corpo
il campo elettrostatico possiamo definire un poten- immerso in un campo si possa scrivere sempre nella
ziale E 1 in maniera del tutto analoga a quanto fatto stessa forma, per tutti i campi noti a uno studente
per il campo gravitazionale e in definitiva scrivere di liceo:
che
U = UG + UE + UB = mG + qE + IB . (57.8)
UE = qE . (57.4)
Il potenziale E è ancora una volta una funzione sca- Vale la pena osservare che la sorgente del campo gra-
lare del campo e delle coordinate, la cui forma è vitazionale è la massa, quella del campo elettrosta-
identica a quella dell’equazione (57.2), avendo cura tico la carica elettrica e quella del campo magnetico
di sostituire E a G. la corrente. Tutti i termini di questa somma hanno
1
Di solito il potenziale elettrostatico si indica col simbolo
la stessa forma: una costante di accoppiamento che
V o ∆V , ma in questo caso preferiamo adoperare il simbolo dipende dalla natura del campo con il quale la par-
E per rendere evidente il tipo di campo a cui si riferisce e ticella in esame interagisce (m, q o I) e il potenziale
per evitare di confondere il potenziale con il volume, che del campo di cui la particella stessa è sorgente (G,
indichiamo, invece, con V . E o B).

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57.3. SUL SIGNIFICATO DELL’ENERGIA 553

57.2 Campi autointeragenti particella di massa m e carica elettrica q, che dun-


que generi una corrente I = dq/dt se in moto, in pre-
Quanto sopra tiene conto dell’energia posseduta dai senza di campi elettrici e magnetici, si può scrivere
corpi immersi nei campi. È però noto anche a stu- come
denti di liceo che i campi elettrici e magnetici tra-
sportano energia. Basta considerare un condensa-  
1
tore carico per rendersi conto che l’energia in esso U = mv·v+mG+qE+IB+V ε 0 1
E·E+ B·B .
contenuta non può che essere trasportata dal cam- 2 2 2µ0
po elettrico tra le armature; analizzando un circuito (57.12)
RLC, invece, si vede subito che il campo magneti- A parte il termine cinetico (che peraltro ha una for-
co nell’induttanza deve poter trasportare una certa ma analoga a quelli dovuti all’autointerazione dei
quantità di energia. campi suggerendo che questi ultimi dovrebbero ave-
Nel caso classico l’energia del campo è distribuita re un’analoga natura, come si scopre con la meccani-
all’interno di un volume (quello tra le armature del ca quantistica dei campi), tutti gli altri termini sono
condensatore o all’interno della bobina negli esem- il risultato di un’interazione. Questo suggerisce che,
pi sopra riportati) e si parla dunque di densità di se potessimo spegnere tutte le interazioni dell’Uni-
energia dei campi. Per i campi elettrici e magnetici verso, l’energia contenuta in quest’ultimo sarebbe
nel vuoto le densità di energia uaE e uaB si calcolano nulla (almeno quella potenziale; su questo argomen-
rispettivamente come to si potrebbero fare alcune considerazioni che tut-
tavia esulano dallo scopo di questo articolo e per
ε0
a
uE = E · E (57.9) semplicità, per il momento, ci occuperemo soltanto
2 dei termini non cinetici). Di fatto possiamo interpre-
e tare l’energia come una grandezza fisica che caratte-
1 rizza l’intero Universo il cui valore deve rimanere co-
uaB = B · B. (57.10) stante nel tempo. Una variazione dell’energia in una
2µ0
regione dell’Universo comporta una variazione con-
Nelle equazioni sopra riportate l’indice a sta a indi-
traria in una regione diversa e questo equivale al ma-
care il fatto che questi contributi all’energia deriva-
nifestarsi di un’interazione. Infatti, secondo l’equa-
no dall’autointerazione dei campi in questione con sé
zione (57.12) si può avere una variazione dell’ener-
stessi. Questo spiega perché un tale termine non sia
gia in una regione solo a seguito dall’accensione di
presente per il campo gravitazionale, che non intera-
un’interazione oppure della modifica della velocità
gisce con sé stesso (possiamo comunque pensare che
della particella (il che però implica un’accelerazione,
la sua densità di energia sia uaG = γ2 G·G con γ = 0).
dunque una forza, dunque un’interazione).
In un volume V in cui siano presenti sia campi elet-
In definitiva potremmo dire che in un Universo
trici che magnetici, l’energia contenuta dovuta alla
privo d’interazioni l’energia sarebbe nulla o meglio
presenza di questi campi è quindi
che l’energia contenuta in una regione qualsiasi di
  Universo dipende esclusivamente dalla presenza dei
ε0 1
a a
UE + UB = V E·E+ B · B . (57.11) campi e piú precisamente dal fatto che le particelle
2 2µ0 interagiscono con questi oppure dal fatto che i campi
possono, in certi casi, interagire con sé stessi.
57.3 Sul significato dell’ener- Tenendo conto di ciò possiamo esprimere l’energia
contenuta in una regione di volume V nella quale
gia siano presenti campi e particelle in quiete come
Considerato quanto sopra, l’energia contenuta in un
volume V di Universo, nel quale sia presente una

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57.5. IL MECCANISMO DI HIGGS 554

È abbastanza naturale chiedersi (sebbene nessu-


X X no se lo sia chiesto per molti decenni) perché mai
U= αi Fi + V βi Fi · Fi , (57.13) un tale termine debba entrare nella determinazione
i i dell’energia di una particella quando tutti gli altri
dove i coefficienti αi rappresentano le costanti di dipendono dal fatto che la particella in questione in-
accoppiamento tra particelle e campi (che dipendo- teragisce con un campo. E ammettendo che questo
no dalle caratteristiche delle particelle che sono a sia del tutto ragionevole, perché non esiste un ter-
loro volta sorgenti dello stesso campo) e Fi oppor- mine del tipo qk 2 dove k 2 sia una combinazione di
tune funzioni dei campi Fi che abbiamo chiamato costanti aventi le dimensioni di un’energia per unità
potenziali. I coefficienti βi invece rappresentano le di carica elettrica?
costanti di accoppiamento dei campi con sé stessi.
Ad esempio, consideriamo un condensatore con 57.5 Il Meccanismo di Higgs
armature di superficie S distanti d con il vuoto co-
me dielettrico, con all’interno una particella di ca- A queste domande risponde il Meccanismo di Higgs.
rica elettrica q vincolata in un punto a distanza δ Supponiamo di tornare nella condizione prevista
dall’armatura a potenziale piú basso. L’energia in dalla fisica classica, secondo la quale vale l’equazio-
esso contenuta vale ne (57.13). Supponiamo, inoltre, che oltre ai campi
ε0 2 già noti ne esista un altro che indichiamo con W ,
U = qE(δ) + Sd E (57.14) il cui potenziale indicheremo con W. Si noti che il
2
campo W è un campo scalare e non un campo vet-
con E(δ) = Eδ ed E = |E|, trascurando la gra-
toriale. Per quanto stiamo considerando, tuttavia,
vità. Confrontando quest’espressione con la (57.13)
questo non fa differenza.
vediamo che c’è un solo termine (i = 1) per cia-
In presenza di questo nuovo campo l’equazio-
scuno dei due addendi per cui α1 = q, F1 = E(δ),
ne (57.13) diventa
β1 = ε0 /2 e F1 = E. Se E fosse nullo U = 0.
!
X X
57.4 L’introduzione della relati- U= αi Fi +aW +V βi Fi · Fi + bW · W ,
i i
vità (57.15)
dove nelle somme abbiamo inclusi i soli campi già
Quanto detto finora sul significato fisico dell’ener- noti per rendere esplicito il fatto che il campo W
gia comincia a vacillare non appena si tenga conto non è tra questi. Il campo è peculiare per un al-
della relatività speciale. In questo caso è noto che tra ragione: a differenza di tutti gli altri campi, il
all’energia cinetica e a quella dovuta alle interazio- cui potenziale Fi assume il valore minimo quando il
ni deve essere aggiunto un termine mc2 detto, per campo è nullo, il campo W possiede un potenziale
l’appunto, energia a riposo della particella. il cui minimo si ottiene per W = W0 6= 0. Vedremo
Con la relatività viene a cadere il principio (del piú avanti il significato di questa scelta. Per il mo-
tutto arbitrario, se vogliamo, ma ragionevole) secon- mento prendiamola per buona e scriviamo il campo
do il quale l’energia contenuta in una regione di spa- W = W0 + H. Corrispondentemente W = W0 + H.
zio dipenda esclusivamente dall’interazione di qual- L’energia si scrive dunque come
cosa con qualcos’altro. Il termine mc2 non ha affatto
la forma degli altri termini. Dipende esclusivamente
dalla natura della particella considerata e sarebbe U =
X X
αi Fi +a (W0 + H)+V βi Fi · Fi + b (W0 + H
non nullo anche in assenza di ogni interazione. i i
(57.16)

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57.6. SULLA FORMA DEL POTENZIALE DI HIGGS 555

ed espandendo il quadrato otteniamo ne qE e pertanto dipende dalla particella (attraverso


a) e dal campo (attraverso H).
X bW02 è un termine del tutto irrilevante ai fini del-
U= αi Fi + aW0 + aH+ la dinamica. Infatti questo è davvero un termine
i
! costante, che dipende solamente dal campo nella
X sua configurazione di minima energia e dalla sua
V βi Fi · Fi + bW02 + bH 2 + 2bW0 H .
interazione con sé stesso. Questo addendo è uguale
i
(57.17) in tutti i punti dell’Universo e può essere elimina-
Ora consideriamo uno per uno i termini in piú to ridefinendo la costante additiva arbitraria come
comparsi nell’espressione rispetto a quella originale. −bW02 .
Il termine aW0 è una costante che dipende unica- Il termine bH 2 , analogo a ε0 E 2 /2, rappresenta
mente dalle caratteristiche della particella presente l’interazione del campo di Higgs in eccesso con sé
nella regione di spazio considerata. a, infatti, è la co- stesso, mentre quello che si scrive come 2bW0 H rap-
stante di accoppiamento di questa particella al cam- presenta l’interazione del campo H con il campo W0 .
po minimo il cui potenziale è W0 . In altre parole, Da una parte questo è analogo a ε0 E 2 /2 rappresen-
questo termine è del tutto analogo a mG o a qE. L’u- tando l’interazione di un campo con un altro della
nica differenza è che il valore del campo con il quale sua stessa natura; dall’altra il termine in questione
la particelle interagisce è costante in tutto l’Univer- è simile, per certi versi, a aW0 , perché uno dei cam-
so e vale W0 . Di fatto aW0 rappresenta l’energia pi coinvolti è proprio quello che determina il valore
d’interazione di una particella con un campo la cui minimo del potenziale. In sostanza questo adden-
intensità è costante. Questo termine perciò dev’es- do nell’energia dipende solo dal campo di Higgs in
sere uguale dappertutto e può solo dipendere dalla eccesso (perché tutto il resto è costante) e cresce
natura della particella attraverso la costante d’ac- proporzionalmente alla quantità di campo presente.
coppiamento a. Se per accidente aW0 = mc2 que- Rappresenta dunque quello che potremmo chiamare
sto termine rappresenta proprio l’energia a riposo di la massa del campo. Il campo di Higgs, dunque, è
una particella. un campo massivo.
È cosí che una particella priva di massa con carica
di Higgs a acquista una massa m interagendo con il
campo nella sua configurazione di minima energia
57.6 Sulla forma del potenziale
W0 . Ma cosa vogliono dire gli altri termini? di Higgs
Il prodotto aH rappresenta l’interazione delle
particelle con il campo di Higgs in eccedenza rispet- Nella sezione precedente abbiamo visto che il campo
to al valore che rende minimo il suo potenziale. In di Higgs possiede due caratteristiche che, in qual-
altre parole è possibile che in una regione di spazio che modo, lo rendono diverso dai campi elettrico e
sia presente un campo di Higgs piú intenso rispetto magnetico:
a quello nel quale il potenziale di Higgs è minimo.
Questo non conduce a una maggiore o minore massa • il valore minimo del potenziale di autointe-
per la particella, ma a un’interazione tra la particel- razione non si ottiene per W = 0, ma per
la e il campo residuo per certi versi paragonabile a W 6= 0.
quella di una carica con un campo elettrico. Pos-
• è scalare.
siamo pensare a questo tipo d’interazione come a
un’attrazione o a una repulsione della particella da Un modo per far sí che l’energia sia minima quando
parte del campo. Il termine aH infatti non dipende il campo è diverso da zero è il seguente. Supponia-
solo dalla particella, ma è del tutto analogo al termi- mo di avere un campo autointeragente W . Seguendo

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57.6. SULLA FORMA DEL POTENZIALE DI HIGGS 556

l’analogia finora esposta con i campi elettrici e ma-


50

40

gnetici scriveremmo il contributo all’energia dovuto 30

all’autointerazione come 20

U(W)=aW^2+bW^4
10

U = αW 2
(57.18) 0

-10

ma cosí facendo per W = 0 si avrebbe U = 0 -20

che corrisponde al valore minimo dell’energia. Si ve- -30

de subito, infatti, che U è una parabola nel piano -40

(W, U ). Senza rinunciare all’ipotesi secondo la qua- -50


0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4

le i contributi all’energia sono imputabili alle inte-


W [u.a.]

razioni tra particella e campo e tra campo e cam- Figura 57.2 Il potenziale del campo di
po, possiamo tranquillamente assumere che l’inte- Higgs in funzione dell’inten-
sità del campo in unità ar-
razione tra campi di Higgs proceda in modo tale da bitrarie. Abbiamo scelto a =
contribuire all’energia secondo l’equazione −13 e b = 1.

U = αW 2 + βW 4 . (57.19)
In fondo, il termine W rappresenta il solito contri-
2
si ha naturalmente per W 6= 0. Se si fa un grafico
buto all’energia dovuto all’autointerazione dei cam- dell’andamento di U in funzione di W si ottiene la
pi, ma dal momento che W è un campo scalare, il figura mostrata in Fig. 57.2.
termine W 2 si può pensare anch’esso come un cam- Dalla figura si vedepche il minimo dell’energia si
po scalare che autointeragendo dà luogo al termine ottiene quando W = −a/2β ' 2.5, avendo scelto
βW 4 . Nel caso dei campi vettoriali questo non avvie- a = −13 e b = 1. L’energia che si ottiene in que-
ne perché il campo ha carattere vettoriale, mentre sto modo è negativa, ma è sufficiente scegliere una
l’energia è uno scalare. Ma nel caso di campi scalari costante arbitraria opportuna da sommare a que-
è possibile. Seguendo questa linea di pensiero po- sto valore per renderla positiva o nulla. Lo stato di
tremmo anche ammettere l’esistenza di termini con vuoto classico (quello in cui particelle e campi so-
potenze superiori di W . Questo non è escluso, ma no assenti) possiede dunque un’energia maggiore di
è ragionevole pensare che la probabilità d’interazio- uno stato in cui è presente una certa quantità di
ne diminuisca fortemente all’aumentare del numero campo. Questo implica che un tale stato di vuoto è
di campi per cui possiamo trascurare i termini di instabile e tende spontaneamente a evolvere in uno
ordine superiore. D’altra parte questo potrebbe an- stato di energia piú bassa, nel quale è presente un
che voler dire che l’espressione sopra ricavar non è campo di Higgs non nullo. Dobbiamo quindi pen-
altro che l’espansione in serie di Taylor di qualche sare che il vero stato di vuoto sia quello nel quale
funzione piú complessa del campo W . abbiamo rimosso tutti i campi e le particelle, tranne
Troviamo il minimo di (57.19): questo si ha il campo di Higgs che si riformerà spontaneamente
quando anche se riuscissimo a rimuoverlo. Per questo lo sta-
dU to nel quale W = W0 si può considerare l’effettivo
= 2αW + 4βW 3 = 0 , (57.20) stato di vuoto che non è quello in cui non c’è nulla,
dW
ma quello di minima energia.
e cioè per
Questo spiega anche perché abbiamo scelto un
α campo scalare. Un primo argomento è, come ab-
W2 = − . (57.21)
2β biamo visto, che il campo scalare può interagire con
Se β e α sono discordi (prendiamo, tanto per fissare sé stesso dando luogo a contributi all’energia con
le idee α < 0 e β > 0) il minimo del potenziale potenze maggiori. Inoltre il campo di Higgs quando

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57.7. CAMPI MASSIVI 557

si trova nello stato di minima energia deve essere quella che esiste tra una pallina in volo (visibile) che
rappresentativo dello stato di vuoto (che è quello rimbalza sulle palline sotto il bordo della piscina piú
stato nel quale non si misura nulla). Il vuoto non in superficie.
può avere una direzione privilegiata come avrebbe
se il campo di Higgs fosse vettoriale.
Possiamo farci un’idea abbastanza precisa di quel 57.7 Campi massivi
che accade con un’altra analogia. Consideriamo una
L’idea di un campo con massa è forse la piú diffici-
piscina di palline, come quelle che si trovano nei par-
le da assimilare per uno studente. Per comprendere
chi giochi o in alcuni centri commerciali per intrat-
cosa sia un campo con massa possiamo fare cosí:
tenere i bambini mentre i genitori fanno shopping.
supponiamo di avere una particella di massa M che
Ammettiamo che la nostra piscina di palline rappre-
produce un campo di qualche tipo (per esempio gra-
senti un volume di Universo che possiamo osservare.
vitazionale). Il campo prodotto è privo di massa e
Se la osserviamo da fuori, seduti su una panchina,
per questo la particella conserva la sua massa M . Se
le palline piú in superficie sono sotto il bordo e non
il campo prodotto avesse massa m, per la conserva-
sono visibili. La piscina, per noi, è vuota. Non nel
zione di quest’ultima, la massa della particella che
senso usuale del termine (la piscina è piena di palli-
lo produce dovrebbe diminuire e diventare M − m.
ne), ma nel senso che è impossibile osservare piú di
Ma cosí facendo, prima o poi la particella perdereb-
quanto riusciamo a vedere in queste condizioni. Un
be tutta la sua massa. Se infatti in un punto P c’è
bambino fuori dalla piscina si muove liberamente,
un campo G, trascorso un certo tempo ∆t, questo
come una particella a massa nulla. Ma se lo faccia-
campo si è propagato in un punto che dista c∆t da
mo entrare nella regione di spazio in cui è presen-
P , dove c è la velocità di propagazione del campo
te il campo di Higgs rappresentato dalle palline, si
(nel caso del campo elettrico sarebbe la velocità del-
muoverà con difficoltà. Se si muove lentamente non
la luce). Per fare in modo che in P continui a esserci
smuoverà le palline abbastanza da renderle visibili
un campo G la sorgente deve rimpiazzarlo perdendo
e noi potremo concludere che la massa del bambi-
un’ulteriore frazione della sua massa e cosí via.
no nella piscina è maggiore perché occorre una forza
Se ammettiamo che la particella possa perdere
maggiore per accelerarlo. Se si muovesse piú rapida-
una frazione della sua massa per un tempo limita-
mente la sua interazione con il campo aumenterebbe
to ∆tmax possiamo però ammettere che produca un
e potrebbe causare la comparsa di un campo mi-
campo massivo di massa m (diventando una par-
surabile (vedremmo saltellare di quando in quando
ticella di massa M − m) il quale, trascorso questo
delle palline oltre il bordo). Per noi è come osservare
tempo, non può piú esistere e deve essere per cosí
un aumento del campo. Questo fenomeno è quello
dire riassorbito dalla particella che lo ha prodotto.
descritto dal termine aH dell’energia. Se il campo
La particella sorgente infatti deve tornare ad avere
in eccesso è abbastanza intenso, poi, potremmo os-
la massa originale M trascorso il tempo ∆tmax . Que-
servare anche l’interazione del campo residuo con sé
sto implica che il campo può al massimo raggiungere
stesso bH 2 come palline che si toccano. Il termine
una distanza dalla particella pari a circa
bW02 invece rappresenta l’energia delle palline sotto
il bordo: perché sia possibile che le palline arrivino
Lmax ' c∆tmax . (57.22)
abbastanza vicine al bordo da poter essere osserva-
te in presenza di altre particelle è necessario che le In altre parole un campo massivo non è altro che un
palline interagiscano tra loro: e in effetti lo fanno campo a raggio limitato. Oltre una certa distanza
perché quando una sta sopra l’altra quella in alto dalla sorgente, non si osserva piú alcun campo.
non può stare piú in basso di quanto sia. Infine il
termine 2bW0 H rappresenta l’interazione tra campo
residuo e campo minimo che si può raffigurare come

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57.8. LA MASSA DEI BOSONI VETTORI 558

57.8 La massa dei bosoni vet- !


q
tori c=
w
. (57.28)

Riscriviamo l’equazione che ci fornisce l’energia con- Questi vettori, naturalmente, non sono vettori nello
tenuta in un volume V di Universo in un caso parti- spazio ordinario: vivono in uno spazio astratto bi-
colare: prendiamo come volume V quello all’interno dimensionale i cui assi sono allineati lungo direzio-
di un condensatore carico all’interno del quale sia ni che dipendono dalle interazioni. In altre parole,
presente una particella elettricamente carica, con la direzione di questi vettori nello spazio astratto
carica q. Trascurando la gravità, l’energia contenuta definisce in qualche maniera l’intensità relativa tra
in questo condensatore è la somma dell’energia elet- le diverse interazioni. In un Universo in cui ci sia-
trostatica della carica q e di quella immagazzinata no solo interazioni elettromagnetiche, il vettore D
sotto forma di campo elettrico. Se non avessimo il assumerebbe una data direzione in questo spazio
campo di Higgs quest’energia ammonterebbe a astratto, mentre in un Universo in cui siano pre-
ε0 senti sia interazioni elettromagnetiche che deboli, il
U = Uem = qE + V E · E. (57.23) vettore formerebbe un angolo non nullo con quello
2
In presenza anche di interazioni deboli, all’energia precedente. Infine, in un Universo in cui le intera-
dovremmo sommare un termine del tipo zioni elettromagnetiche scomparissero, il vettore D
avrebbe una direzione perpendicolare al primo.
ζ0 Ripetendo il ragionamento fatto sopra circa la ne-
Uweak = wZ + V Z·Z (57.24) cessità d’introdurre un nuovo campo per giustificare
2
dove Z rappresenta il campo debole, Z il suo po- la presenza di un termine di massa nell’espressio-
tenziale e ζ0 è una costante che si deve determi- ne dell’energia, dovremmo aggiungere all’equazio-
nare sperimentalmente e che indica l’intensità del- ne (57.25) un campo φ che, per potersi sommare a
l’autointerazione del campo debole. La simmetria quelli già presenti, deve essere rappresentato da un
tra le due espressioni è evidente, perciò possiamo vettore di campi:
riscrivere tutto come !
φ1
φ= . (57.29)
φ2
1
U = Eem + Uweak = c · D + V D · D , (57.25) Il campo φ deve essere autointeragente e presentare
2
un termine di autointerazione del tipo φ4 . In questo
dove D, D e c sono vettori di due componenti. caso l’energia si scriverebbe come
Le componenti del vettore D sono i moduli di due
vettori spaziali:
1
√ ! U = c·D+V D·D+a·Φ+V bφ·φ+V cφ4 +gV·φ ,
ε0 E 2
D= p . (57.26) (57.30)
ζ0 Z dove Φ rappresenta il potenziale di φ. In questo spa-
Le componenti di D sono zio il potenziale del campo ha la forma che si ottiene
! facendo ruotare la curva della Figura 57.2 attorno
E all’asse delle ordinate: sarebbe quindi una superfi-
D= , (57.27)
Z cie con la forma di un sombrero. È evidente che in
questo caso non c’è un solo minimo del potenziale,
mentre quelle del vettore c sono le costanti di ma ce ne sono infiniti. Ogni stato di minimo è equi-
accoppiamento ai rispettivi campi: valente all’altro e rappresenta uno stato di minima

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57.8. LA MASSA DEI BOSONI VETTORI 559

energia del tutto simmetrico a ogni altro che pos- nascita al valore minimo possibile. Di stati nei qua-
siamo scegliere. Se scegliamo uno dei possibili stati li avviene questo ce ne sono infiniti e naturalmente
di minima energia, fissiamo le coordinate (φ01 , φ02 ) in l’Universo cadrà in uno solo di questi infiniti sta-
questo spazio e possiamo scrivere il vettore φ come ti. Questo definisce una direzione privilegiata nello
! spazio astratto delle interazioni per cui lungo que-
φ01 + η1 sta direzione si sviluppa un tipo d’interazione a rag-
φ= . (57.31)
φ02 + η2 gio infinito e a massa nulla, mentre nelle direzioni
perpendicolari se ne sviluppano altre a corto raggio.
In questo modo l’interazione del campo V col campo
φ, gV · φ, fa apparire due addendi nell’energia:


(57.32)
p
gE ε0 φ10 + η1 + gZ ζ0 φ02 + η2 .
 

√ √
A questo punto osserviamo che gE ε0 φ01 e gZ ζ0 φ02
sono costanti che possono essere pensate come a
quei termini che danno origine ai contributi delle
masse dei campi E e Z. La massa del campo E, come
sappiamo, è nulla, mentre quella del campo Z non
lo è. Essendo però tutti gli stati di minima energia
del potenziale di Higgs equivalenti tra loro, potrem-
mo certamente scegliere uno stato per cui φ01 = 0
e si avrebbe che φ = (0, φ2 ). Non abbiamo nessuna
ragione per preferire uno stato di minimo piuttosto
che un altro e l’equazione che ci dà l’energia è per-
fettamente simmetrica, ma una volta scelto lo stato
di minimo la simmetria viene rotta. Del resto, an-
che la direzione degli assi che definiscono le diverse
interazioni sono in un certo senso arbitrarie. Quello
che possiamo pensare, perciò, è che la direzione del-
l’asse delle interazioni elettromagnetiche sia proprio
quella definita dal punto di minima energia del cam-
po di Higgs, mentre quella dell’asse delle interazioni
deboli sia quello perpendicolare. In questo modo i
mediatori delle interazioni elettromagnetiche vengo-
no ad assumere automaticamente una massa nulla,
mentre quelli delle interazioni deboli acquistano una
massa.
In definitiva possiamo ritenere che prima del-
l’apparizione dell’Universo non fosse presente alcun
campo né materia. Alla nascita dell’Universo com-
pare una certa quantità di campo di Higgs, la cui Fisicast
energia non è necessariamente la minima possibile.
Il bosone di Higgs è stato oggetto di una punta-
Di conseguenza i campi di Higgs cominciano a in-
ta speciale di Fisicast: http://www.radioscienza.
teragire portando l’energia dal valore assunto alla
it/2012/07/24/il-bosone-di-higgs/.

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Appendice

In questa sezione sono illustrate alcune tecniche


generali, per lo piú di carattere matematico, utili
per la soluzione di piú problemi ed esercizi. Logaritmo ed esponenziale
Scriviamo il logaritmo di 1 + x approssimandolo con
Approssimazione di funzioni una retta:
In certi casi alcune funzioni complicate si possono log (1 + x) ' a0 + a1 x . (57.38)
approssimare con polinomi di grado e coefficienti
opportuni. In altre parole Per x = 0 abbiamo che a0 = log 1 = 0. Perciò
possiamo scrivere che
Xn
f (x) ' ai x i . (57.33) log (1 + x) ' a1 x , (57.39)
i=0
In molti casi è sufficiente fermarsi a n = 1, cioè che implica che
approssimare una funzione con una retta. In questo
paragrafo vediamo alcuni esempi. 1 + x = ea1 x . (57.40)
Ora, anche nel caso dell’esponenziale si può scrivere
La funzione radice quadrata
√ e x ' b0 + b1 x (57.41)
Se x è piccolo la funzione f (x) = 1 + αx si può
e per x = 0 si trova che exp 0 = 1 = b0 e perciò
approssimare con la retta p(x) = a0 +a1 x. Troviamo
i valori di a0 e di a1 .
e x ' 1 + b1 x . (57.42)
Per x = 0, f (x) = 1, mentre p(0) = a0 . Impo-
nendo che f (0) = p(0) si trova che a0 = 1. Quando Dividiamo questa equazione per l’equazione (57.40)
invece x 6= 0 abbiamo per ottenere
√ 1 + b1 x ex
1 + αx ' 1 + a1 x (57.34) = a1 x = e(1−a1 )x . (57.43)
1+x e
per cui, elevando al quadrato
Per a1 = 1 si ha b1 = 1. Questo è l’unico caso in
cui la relazione sopra scritta vale per ogni x e de-
1 + αx ' 1 + a21 x2 + 2a1 x . (57.35)
ve dunque essere generale. Possiamo quindi scrivere
Se x è piccolo, il termine a1 x è trascurabile e
2
che

1 + αx ' 1 + 2a1 x (57.36) log (1 + αx) ' αx (57.44)


e quindi a1 = α2 . In definitiva e
√ α
1 + αx ' 1 + x . (57.37) eαx ' 1 + αx . (57.45)
2
57.8. LA MASSA DEI BOSONI VETTORI 562

che, grazie all’equazione (57.44), possiamo scrivere


come
La somma di piccoli incrementi relativi
∆m
In fisica è utile saper calcolare la somma di picco- log (mi + ∆m) ' log mi + . (57.50)
li incrementi relativi di una grandezza fisica x. Se mi
indichiamo che ∆x l’incremento di una grandezza Quindi il rapporto ∆mi /m si può riscrivere come
fisica x, il suo incremento relativo vale ∆x/x. Ad
esempio, se consideriamo un’auto che nel percorrere
una strada a velocità costante consuma carburante, ∆m
' log (mi + ∆m) − log mi . (57.51)
è abbastanza ragionevole pensare che la quantità di mi
carburante bruciata per unità di tempo sia propor-
Ora sommiamo il primo e il secondo membro su piú
zionale alla massa della macchina M : piú pesa la
intervalli di tempo ∆t, cioè calcoliamo
macchina piú carburante si consuma. Ma la massa
M dell’auto non resta costante, proprio perché una
parte del carburante viene bruciata e dispersa. Se N
X ∆m
N
X
scriviamo M = M0 + mi dove M0 è la massa a vuo- ' log (mi + ∆m) − log mi . (57.52)
mi
to dell’auto e mi quella del carburante al tempo ti i=1 i=1

possiamo dire che la massa di carburante ∆µ con- La somma S a destra si scrive come segue:
sumato per unità di tempo ∆t, ∆µ/∆t, al tempo ti
sarà proporzionale a mi :
S = log (m0 + ∆m)−log m0 +log (m1 + ∆m)−log m1 +· · ·
∆µ
∝ mi , (57.46) (57.53)
∆t
ma mi+1 = mi + ∆m e quindi, in particolare, m1 =
cioè ∆µ = αmi ∆t, con α costante. Ma ∆µ è proprio m + ∆m; sostituendo
0
di quanto diminuisce mi , quindi possiamo scriverlo
come ∆µ = −∆m, cioè come la variazione (che è
negativa perché si tratta di una diminuzione) della S = log (m0 + ∆m)−log m0 +log (m0 + 2∆m)−log m0 + ∆
massa del carburante presente. Sarà quindi (57.54)
e in particolare i due logarimti di m0 + ∆m si
∆m
= −α∆t . (57.47) cancellano e si ottiene
mi
Il rapporto ∆m/mi rappresenta la variazione rela-
tiva di carburante consumato per unità di tempo. S = − log m0 + log (m0 + 2∆m) + · · · . (57.55)
Quanto vale la somma sulla sinistra? Per trovarlo
osserviamo che si può scrivere sempre che Lo stesso accade a tutte le coppie di logaritmi
intermedie dopo aver sommato N addendi resta
  
∆m
log (mi + ∆m) = log mi 1 + (57.48) mN
mi S = log m0 + N ∆m−log m0 = log mN −log m0 = log
m0
e dunque, sfruttando le proprietà dei logaritmi, che (57.56)
avendo indicato con mN la massa m raggiunta dopo
N passi. Tutte le vuole che troviamo una somma
di termini del tipo ∆x/x possiamo porla uguale al
 
∆m
log (mi + ∆m) = log mi + log 1 + (57.49)
mi logaritmo del rapporto tra il valore che la grandezza

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57.8. LA MASSA DEI BOSONI VETTORI 563

fisica assume al termine della somma xf e quello xi


che aveva prima di iniziare la somma: sin x ' x ;
cos x ' 1 ; (57.64)
X ∆x xf
= log . (57.57) sin x
xi xi tan x = ' sin x ' x ;
i cos x
In analisi matematica la somma S diventa un
integrale e si ha che
Z b Altre funzioni
dx b
= log . (57.58) Consideriamo la funzione f (x) = (r + x)−1 , con r
x a
x costante. Approssimando la funzione con una retta
in prossimità di x = 0 si ottiene
Funzioni trigonometriche
1
Scriviamo le funzioni seno e coseno approssimando ' a0 + a1 x . (57.65)
r+x
ciascuna con un polinomio di primo grado:
Per x = 0 abbiamo che a0 = 1/r, quindi
sin x ' a0 + a1 x ;
(57.59) 1 1
cos x ' b0 + b1 x . ' + a1 ε , (57.66)
r+ε r
Imponendo che, per x = 0, sin x = 0 e cos x = 1 si dalla quale ricaviamo
trova che a0 = 0 e b0 = 1, dunque

−ε
   
sin x ' a1 x ; 1 1 1 1 1
(57.60) a1 = − = '− 2.
cos x ' 1 + b1 x . ε r+ε r ε r(r + ε) r
(57.67)
Ora imponiamo che sin2 x + cos2 x = 1: Quindi possiamo scrivere che, nell’intorno di x = 0,
1 1 x
2
1 = (a1 x) + (1 + b1 x) = 2
(a21 + b21 )x2
+ 1 + 2b1 x ' − 2 (57.68)
r+x r r
(57.61)
e trascurando il termine proporzionale a x2 ot-
teniamo che dev’essere b1 = 0. Ora scriviamo il
rapporto Equazioni differenziali a variabi-
sin (x + δ) − sin x li separabili
R= . (57.62)
δ Un’equazione differenziale è un’equazione nella qua-
Quanto piú δ diventa piccolo, tanto piú il rapporto le compare una variabile e una sua variazione. Se,
(detto rapporto incrementale) si avvicina al valore ad esempio, la grandezza fisica x varia da x(0) a
R = 1. Ora scriviamo le funzioni trigonometriche x(T ) in un tempo che va da t = 0 a t = T , la
approssimandole con polinomi di primo grado: variazione ∆x = x(T ) − x(0) che avviene nel tem-
a1 (x + δ) − a1 x po ∆t = T − 0 = T , è legata al valore di x da
R' = a1 . (57.63) un’equazione differenziale per cui
δ
Ma poiché tale rapporto deve valere 1, almeno per ∆x = f (x(t), ∆t) (57.69)
δ molto piccoli, a1 = 1. In definitiva

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57.8. LA MASSA DEI BOSONI VETTORI 564

dove f è una funzione sia di ∆t che di x, che a è uno strumento per esprimere concetti e non qual-
sua volta dipende da t. Un’equazione differenziale a cosa di astratto. Per un matematico è fondamentale
variabili separabili è un’equazione del tipo lo studio dei concetti in sé, come per un linguista è
fondamentale lo studio della struttura della lingua.
∆x = αx∆t . (57.70) Per un fisico la matematica è un linguaggio, come
per lo scrittore la lingua: allo scrittore non interes-
Quest’equazione si dice a variabili separabili per-
sa (al di là di un legittimo interesse scorrelato dalla
ché possiamo dividere entrambi i membri per x e
produzione letteraria) lo studio astratti della lingua.
ottenere
Un problema comune in diversi campi della fisica
∆x consiste nel calcolare la somma di tanti contributi
= α∆t (57.71)
x X
in cui a primo membro compaiono solo x e la sua S = Si (57.76)
variazione, mentre a secondo membro compare solo i

t. La soluzione di questa equazione è i quali possono essere funzione di una certa


grandezza fisica h:
αt
x(t) = X0 e . (57.72) X
S= Si (hi ) (57.77)
dove X0 è una costante. Infatti x(0) = X0 e x(T ) = i
X0 eαT , per cui
dove hi è il valore che la grandezza fisica h assume
quando si considera l’addendo Si . Per esempio, sup-
∆x = X0 eαT − 1 . (57.73)

poniamo di voler calcolare la massa di un oggetto
e quindi di forma cilindrica di area di base A e altezza H la
cui densità non sia costante, ma vari con l’altezza
X0 eαT − 1
 h del cilindro come ρ(h) = ρ0 − αh. Alla base del
∆x
= αT
= e − 1. (57.74) cilindro, in cui h = 0 la densità vale ρ0 . Man mano
x X0
che si sale la densità diminuisce fino a raggiungere
Se T è abbastanza piccolo, possiamo scrivere e ' il valore minimo ρ − αH (la massa di un cilindro del
αT

1+αT , infatti, per T = 0, l’esponenziale vale 1 e per genere potrebbe in prima approssimazione rappre-
T > 0, ma piccolo, è poco piú grande. Sostituendo sentare quella di una colonna d’aria sopra la nostra
abbiamo testa, la cui densità diminuisce con la quota, anche
se non proprio in maniera lineare). In questo caso si
può pensare di calcolare la massa del cilindro come
∆x
' 1 + αT − 1 = αT = α∆t (57.75) la somma
x
X
che è proprio l’equazione che volevamo risolvere. M = Mi (57.78)
i

delle masse Mi di tanti cilindri nei quali possiamo


L’integrale pensare di dividere il cilindro di altezza H. Dividen-
do il cilindro in N parti, ciascuna avrebbe la forma
Prima di addentrarci in questo argomento è utile di un cilindro di altezza ∆h = H/N . Se ∆h è ab-
fare una precisazione: nella moderna pedagogia ma- bastanza corta (o N abbastanza grande, il che è lo
tematica l’introduzione del concetto di integrale stesso), anche se la densità all’interno del cilindret-
attraverso la misura di un’area è ritenuta inefficace to varia, lo farà di poco e possiamo approssimare la
e a volte fuorviante. Tuttavia questo non è un corso massa del cilindretto come
di matematica, ma di fisica. Per noi la matematica

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57.8. LA MASSA DEI BOSONI VETTORI 565

filmato non riproducibile su questo


Mi ' ρi A∆h (57.79) supporto: digita l’URL nella caption o
scarica l’e-book
dove ρi = ρ0 − αhi dove hi rappresenta la posizione
Figura 57.3 La somma delle aree di mol-
del cilindretto nella colonna. Abbiamo dunque ti rettangoli di base dh =
N e altezza h, al crescere di
H
X
M' (ρ0 − αhi ) A∆h . (57.80) N è sempre piú vicina all’a-
i rea di un triangolo isoscele
di lato H. Quando N tende
In questo caso i = 0, . . . , N . Quando i = 0, h0 ' 0 a infinito le due aree devono
e quando i = N , hN ' H. Possiamo allora riscrivere coincidere [todo].
l’espressione cambiando semplicemente la notazione
in questo modo
Z H
M= (ρ0 − αh) A dh . (57.81) Z H Z H
0
M= ρ0 A dh − αhA dh (57.83)
La lettera Σ, che rappresenta una somma diventa 0 0
una esse allungata: . Gli estremi della somma non
R
per la quale otteniamo una regola che ci permette
si rappresentano piú indicando l’indice i dell’adden- di affermare che l’integrale di una somma è uguale
do, ma direttamente il valore della grandezza h da alla somma degli integrali (naturalmente somma e
cui dipende il valore dell’addendo. ∆h si sostitui- differenza sono la stessa cosa: una differenza è una
sce con dh a indicare che si tratta di una variazione somma di due numeri di segno opposto).
del valore di h che possiamo considerare piccolissi- Un’altra regola ci permette di portare fuori dal
ma: talmente piccola da essere praticamente uguale segno d’integrale le costanti che non dipendono dal-
a zero. L’idea è che, dal punto di vista matematico, la variabile d’integrazione cioè dalla grandez-
il cilindro si può pensare diviso in infiniti cilindretti za fisica che variando fa variare l’integrando, cioè
che, evidentemente, avrebbero ciascuno altezza nul- l’addendo. Infatti
la. Ciò non di meno l’altezza del cilindro è finita, il
che significa che la somma di infiniti addendi prati-
X X
αhi A∆h = αA hi ∆h (57.84)
camente nulli o infinitesimi può dare un risultato i i
non nullo. Questo, naturalmente, fisicamente è im- e di conseguenza
possibile, ma non importa. Non dobbiamo necessa-
riamente affettare davvero il cilindro per sapere che
H H
la somma delle sue masse è uguale alla sua massa
Z Z
M = ρ0 A dh − αA h dh . (57.85)
totale. Basta poterlo immaginare. 0 0
L’espressione a destra dell’equazione prende il no-
Il primo dei due contributi è facile da valutare: l’in-
me di integrale (piú precisamente si tratta di un
tegrale di dh è la somma di piccolissimi contributi
integrale definito) e si legge: integrale tra 0 e H
dh che messi tutti insieme rappresentano l’altezza
di (ρ0 − αh) A in dh. Poiché
totale del cilindro, perciò dev’essere
X X X Z H
M' (ρ0 − αhi ) A∆h = ρ0 A∆h− αhi A∆h . dh = H (57.86)
i i i 0
(57.82) e quindi
possiamo sempre scrivere che Z H
ρ0 A dh = ρ0 AH (57.87)
0

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57.8. LA MASSA DEI BOSONI VETTORI 566

che è poi la massa che avrebbe il cilindro se la sua avendo messo in parentesi la lunghezza della base
densità fosse costante, cioè se α = 0. Il secondo ad- del triangolo di cui stiamo valutando l’area. Vedia-
dendo è piú delicato: si tratta di sommare tra loro mo se riusciamo a costruire una regola generale: l’in-
contributi che valgono ciascuno h dh, che non sono tegrale tra 0 e H di x in dx si può pensare come a
tutti uguali e non è cosí facile trovare la soluzione. una funzione di H:
Non è nemmeno cosí difficile, perché è come se stes- Z H
simo sommando le aree di rettangoli di base dh e F (H) =
1
x dx = H 2 (57.94)
altezza h che va da zero a H. La figura geometrica 0 2
che si ottiene mettendo fianco a fianco tutti questi Quando H = 0, F (H) = 0. Al crescere di H cresce
rettangoli è una figura a scaletta che somiglia sem- H . Vediamo quanto varia F (H) quando H passa
1 2
2
pre piú a un triangolo, man mano che la base di da H a H + ∆H:
ciascun rettangolo rimpicciolisce, come si vede dal-
l’animazione del Filmato 57.3. Al limite, se la base
dh è abbastanza piccola da non permetterci di po- 1 1
∆F (H) = F (H + ∆H)−F (H) = (H + ∆H)2 − H 2 .
terla apprezzare, la figura complessiva ha proprio la 2 2
(57.95)
forma di un triangolo di base H e altezza H la cui
Espandendo il quadrato la differenza fa
area vale 21 H 2 pertanto
Z H
1 1 1 1
αA h dh = αAH 2 . (57.88) F (H + ∆H)−F (H) = H 2 + ∆H 2 +H∆H− H 2 .
0 2 2 2 2
Cosí abbiamo almeno due regole di calcolo integrale: (57.96)
Se ∆H è piccolo ∆H 2 è piccolissimo e si può tra-
scurare (se ∆H ' 0.1, ∆H 2 ' 0.01) e possiamo
Z a
dx = a (57.89)
0
scrivere che
e
a
(57.97)
Z
1 F (H + ∆H) − F (H) ' H∆H .
x dx = a2 . (57.90)
0 2
Quando calcoliamo e

H ∆F (H)
(57.98)
Z
'H.
x dx (57.91) ∆H
0
Nel caso in cui si debba valutare
valutiamo l’area compresa tra l’asse delle ascisse e
la retta di equazione y = x limitandoci alle ascisse Z H
comprese tra 0 e H. È chiaro che se spostiamo tutta dh = H (57.99)
0
la figura di una quantità b verso destra l’area non
può cambiare perciò potremmo ugualmente scrivere abbiamo che l’integrale, come funzione di H, ha la
che seguente proprietà
Z H+b
1
x dx = H 2 (57.92) ∆F (H) = F (H + ∆H)−F (H) = (H + ∆H)−H = ∆H ,
2
b
(57.100)
interpretando il risultato come il che significa che
Z H+b
1 ∆F (H)
x dx = H × (H + b − b) (57.93) ' 1. (57.101)
2 ∆H
b

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57.8. LA MASSA DEI BOSONI VETTORI 567

Unità naturali È evidente da com’è scritta che quest’equazione, non


solo la massa ha le stesse dimensioni fisiche dell’e-
La scelta delle grandezze fisiche fondamentali è del nergia, ma anche le quantità di moto si misurano in
tutto arbitraria. Nel Sistema Internazionale (SI) le queste unità.
grandezze fondamentali sono quelle di lunghezza, Aggiungendo alle unità fondamentali quella defi-
massa e tempo. In questo sistema la velocità è nita da un’altra costante: la costante di Planck
una grandezza fisica derivata. ~ = h/2π ' 6.6 × 10−16 eV s si ottiene il risulta-
Non sempre questa è la scelta piú opportuna. In to secondo il quale le grandezze fisiche corrispon-
effetti possiamo scegliere di considerare fondamen- denti a lunghezza e tempo sono derivate e si misu-
tale la velocità e definire l’unità di misura come la rano entrambe in unità di energia alla meno uno:
velocità della luce c che, in questo sistema, eviden- [L] = [E −1 ], [T ] = [E −1 ]. Cosí un secondo diventa
temente vale c = 1, che possiamo considerare adi- un tempo pari a
mensionale (le velocità infatti si misureranno in fra-
zioni della velocità della luce). Se oltre alla velocità
1s
scegliamo l’energia E come altra grandezza fisica 1 s = ' 0.1 × 1016 eV−1 = 0.1 × 1010 MeV−1
fondamentale, che possiamo misurare in un’unità a ~ eV s
(57.106)
piacere, come il MeV o il GeV, tutte le altre si posso- e la lunghezza corrispondente a 1 m diventa
no esprimere come grandezze fisiche derivate. Que-
sto sistema di unità di misura si chiama delle unità
naturali. In effetti, l’energia di una particella ferma 1 m = 1m
' 0.05×108 eV−1 .
è, secondo la teoria della relatività 3 × 10 ms × 6.6 × 10−16 eVs
8 −1
(57.107)
E = mc 2
(57.102) Le unità naturali dunque si definiscono imponendo
che ~ = c = 1 come grandezze fisiche fondamentali
ed essendo c = 1 e adimensionale, possiamo scrivere e adimensionali. Sono molto comode per risolvere
esercizi di cinematica relativistica, in cui tutte le
E=m (57.103) potenze di c svaniscono, valendo 1 e non avendo
dal che si vede che le masse si misurano in uni- dimensioni.
tà di energia. In effetti si dice che la massa del Prova a risolvere gli esercizi usando queste unità
protone è di circa 1 GeV, intendendo dire che e vedrai che i conti si semplificheranno notevolmen-
la massa in kg di questa particella vale circa te. Puoi sempre tornare nelle unità canoniche mol-
1 GeV/ (3 × 108 ) m2 s−2 = 1.6 × 10−19 × 109 J × tiplicando per opportune potenze di c e ~ tali da
2

(3 × 108 ) m−2 s2 ' 0.18 × 10−26 Jm−2 s2 . Conside- riportare le unità di misura a quelle del SI.
−2

rando che 1 J corrisponde a 1 kg m2 s−2 abbiamo che


mp ' 1.8×10−27 kg. Un elettrone, invece, pesa circa
0.5 MeV.
Se una particella è in moto la sua energia è tale
che

E 2 = p2 c2 + m2 c4 (57.104)
che, in unità naturali, si scrive

E 2 = p2 + m 2 . (57.105)

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Soluzione degli esercizi

Esercizio 57.8 r
2E
Se un razzo di massa m si trova nel campo vmin = . (S.113)
m
gravitazionale terrestre la sua energia potenziale L’energia che un razzo fermo possiede a terra è
vale
mM
mM E = −G (S.114)
U = −G 2 (S.108) r0
r
a distanza r dal centro della Terra. La sua energia
totale E è la somma di quella cinetica K = 21 mv 2 e
Esercizio 1
di quella potenziale U . Il valore di E deve rimanere Osservati da Terra, gli orologi a bordo di un satellite
costante in assenza di qualsiasi dispositivo in grado GPS si muovono piú lentamente perché la velocità
di fornire o sottrarre lavoro al razzo. Se E resta della luce c è la stessa a bordo del satellite che si
costante significa che r può essere costante solo se muove e per noi che siamo fermi. Espressa nel SI la
lo è anche v, ma lo stesso risultato si può ottenere velocità dei satelliti GPS è di 4 000 m/s. In unità di
se r diminuisce all’aumentare di v: c è quindi
1 mM
E = mv 2 − G 2 (S.109) 4 × 103
2 r β= ' 1.3 × 10−5 (S.115)
3 × 10 8
da cui si ricava che
e di conseguenza il fattore di Lorentz γ vale
 
1 1 1 2
= mv − E . (S.110)
r2 GmM 2 1
γ=p ' 1.0000000001 , (S.116)
Piú r è piccolo piú v è grande e vale la seconda 1 − β2
Legge di Keplero per cui all’afelio, un pianeta si
muove piú lentamente che al perielio. differisce cioè da 1 per una parte su 1010 (possiamo
Il massimo valore di r, rM si ottiene quando K scrivere γ = 1 + 10 ). Di conseguenza, indicando
−10

assume il suo valore minimo, il che si verifica quando con τ il tempo trascorso a bordo del satellite e con
t quello misurato a Terra, essendo t = γτ , si ha che
mM 1 2
G 2 = mvmin − E . (S.111) un secondo a bordo del satellite−10 dura un po’ piú di
rM 2 quello a Terra: precisamente 10 secondi in piú.
Affinché rM = ∞ si deve avere La durata di un giorno è maggiore di 86400 ×
10 −10 5
' 10 × 10 −10
= 10 secondi. In un mese gli
−5

1 2
E − mvmin = 0 (S.112) orologi accumulano un ritardi pari a 30 volte questo,
2 pari a 3 × 10 s e in un anno il ritardo ammonta a
−4

cioè 12 × 3 × 10−4 = 0.0036 s o 3.6 millesimi di secondo.


Sembra poco, ma in questo tempo la luce percorre
57.8. LA MASSA DEI BOSONI VETTORI 570

ben 3 × 108 × 3.6 × 10−3 = 1 080 000 m, cioè piú di cinetica del fascio è trasferita all’acqua. Il trasfe-
1 000 km! rimento di energia provoca un innalzamento della
Dal momento che i satelliti GPS orbitano a una temperatura ∆T di m kg di questa per il quale
quota di 20 000 km, sbagliare la loro distanza di
1 000 km significa commettere un errore del 5 %, ∆U = mca ∆T (S.118)
che naturalmente si riflette in un errore analogo sul-
essendo ca = 4.186 J/(kg K) il calore specifico del-
la posizione rilevata a terra. Il che può significare
l’acqua. Imponendo che ∆U = K si trova il numero
un errore nella determinazione del punto d’inter-
di elettroni nel fascio:
sezione delle sfere dell’ordine di alcuni km. Senza
le correzioni relativistiche apportate agli orologi di mca ∆T
bordo (che a Terra sono starati in modo da mar- N= . (S.119)
e∆V
ciare piú rapidamente di quanto dovrebbero cosic- La massa dell’acqua si trova sapendo che la sua den-
ché in volo sono sincronizzati con quelli a Terra), la sità è ρ = 1 kg/`3 pertanto m = 2 kg. Abbiamo
costellazione GPS sarebbe del tutto inutile. dunque

Esercizio 2 2 × 4.186 × 10−4


N= −19
' 5 × 1010 . (S.120)
1.6 × 10 10 5
Il muone che viaggia verso la Terra vede quest’ulti-
ma venirgli incontro a una velocità v = 0.995 c. Se L’energia totale di ogni elettrone è la somma del-
fosse fermo la distanza tra lui e la Terra sarebbe di la sua energia cinetica e della sua massa a riposo
10 km, ma dal momento che si vengono incontro, (che in unità naturali vale 511 keV = 5.11×105 eV).
un raggio di luce che partisse dal muone e venis- In queste unità, l’energia cinetica degli elettroni si
se riflesso dalla Terra impiegherebbe meno tempo scrive semplicemente come K = 105 eV e quindi
a tornare al muone rispetto a quando il muone è
fermo. Dal momento che le distanze si possono mi- E = K + m ' 6 × 105 eV . (S.121)
surare valutando il tempo di andata e ritorno della Il fattore di Lorentz dell’elettrone è dunque
luce, la costanza della sua velocità altera la misura
delle distanze. E 6
La distanza vista dal muone è `0 = `/γ dove γ è ' ' 1.2
γ= (S.122)
m 5
il fattore di Lorentz della Terra vista dal muone che e di conseguenza la sua velocità β si ricava da
vale
1
β2 = 1 − ' 0.31 (S.123)
1 1 γ2
γ=p =q ' 10 . (S.117) √
1 − β2 1 − (0.995)2 da cui si ricava che v = cβ ' 3 × 108 0.31 '
1.7 × 108 m/s. Per percorrere i 150 m che separano
La distanza da percorrere, secondo il muone, è
il calorimetro dall’acceleratore dunque gli elettroni
dunque di appena 1 km.
impiegano un tempo pari a

Esercizio 3 L 150
t= = ' 9 × 10−7 s = 0.9 µs . (S.124)
v 1.7 × 108
Il fascio di N elettroni che attraversa la differenza
di potenziale ∆V acquista un’energia cinetica com- Se non avessimo usato la cinematica relativistica, la
plessiva K = N e∆V , dove e è la carica dell’elettro- velocità degli elettroni sarebbe risultata essere pari
ne in modulo. Quando colpisce il bersaglio l’energia a

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57.8. LA MASSA DEI BOSONI VETTORI 571

r r
2K 2
' ' 0.6 , (S.125)
r
v= 1
m 5 β= 1− ' 0.9999999898 . (S.131)
γ2
che in unità SI vale v = 0.6×3×10 = 1.8×10 m/s.
8 8

Gli elettroni dovrebbero quindi impiegare Se non tenessimo conto della relatività otterremmo
per r il valore di
L 150
tc = ' = 0.8 µs . (S.126)
v 1.8 × 108
1.7 × 10−27 × 3 × 108
Eseguendo l’esperimento si trova, in effetti, che r= −19 × 8.4
' 0.38 m (S.132)
quando l’acqua aumenta la propria temperatura di 1.6 × 10
10−4 ◦ C, il tempo impiegato dagli elettroni a rag- (la massa del protone in unità SI si trova dividendo
giungere il calorimetro è compatibile con l’essere la massa in GeV per c2 ). In effetti la massa del pro-
0.9 µs e non compatibile con 0.8 µs. tone aumenta di un fattore γ e dunque il raggio di
curvatura dell’orbita è di
Esercizio 4 γr = 7 000 × 0.38 = 2660 m . (S.133)
I protoni circolano lungo un anello grazie alla Forza La lunghezza della traiettoria è quindi di ben L =
di Lorentz che si scrive 2πr ' 17 km! In effetti LHC è ancora piú lungo:
27 km. Il motivo è che la macchina non ha la for-
F = ev ∧ B . (S.127) ma di una circonferenza, ma di un ottagono con gli
spigoli curvi, per semplificarne la costruzione. Il rag-
Dal momento che il campo magnetico è perpendi-
gio di curvatura che abbiamo calcolato, dunque, è
colare a v il modulo della forza vale semplicemente
quello che si trova in corrispondenza degli spigoli
F = evB. Nel sistema di riferimento del protone
dell’ottagono.
questa forza dev’essere assente e quindi dev’essere
uguale e contraria alla forza centrifuga il cui modulo
è F = mv 2 /r. Uguagliando queste due quantità si Esercizio 1
ricava
Il tempo in prossimità di un corpo massivo scorre in
v2
evB = m (S.128) maniera diversa rispetto a quanto fa in assenza di
r gravità. I satelliti della costellazione GPS orbitano
da cui possiamo ricavare il raggio dell’orbita a una quota di 20 000 km da Terra (la cui massa
mv è di circa 6 × 1024 kg) e sono quindi soggetti a un
r= . (S.129) potenziale gravitazionale
eB
L’energia cinetica dei protoni è molto piú alta della
loro massa a riposo perciò possiamo porre v ' c. In M 6 × 1024
G=G = 6.6×10−11 ' 2.0×1010 m2 s−2 .
effetti il fattore di Lorentz dei protoni, sapendo che r 2 × 104
m ' 1 GeV, vale (S.134)
Un orologio sulla Terra invece è soggetto a un
E 7 × 1012 potenziale di
γ= ' = 7 000 , (S.130)
m 109
e quindi M 6 × 1024
G 0 = G 0 = 6.6×10−11 ' 6.6×1010 m2 s−2 .
r 6 × 10 3
(S.135)

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57.8. LA MASSA DEI BOSONI VETTORI 572

Rispetto a un orologio molto lontano da ogni sor-


gente di campo gravitazionale il tempo a Terra scor-
re piú lentamente: un secondo trascorso secondo il E2 = hν2 = 4.14 × 10−15 × 0.75 × 1015 = 3.11 eV .
primo, per l’orologio a Terra dura (S.140)
L’energia media trasportata dai fotoni è dunque at-
G0 torno ai 2 eV. L’energia che hanno gli elettroni che
' 73 µs (S.136)
c2 hanno subito effetto fotoelettrico è pari a quella dei
in piú. A bordo dei satelliti invece il ritardo è di fotoni sottratta dell’energia di legame dell’elettrone.
Nel caso del silicio, l’energia necessaria a un elettro-
G ne per diventare conduttore è di 1.1 − 1.2 eV. Il
' 22 µs (S.137)
c2 silicio è il materiale usato per costruire le celle fo-
quindi gli orologi di bordo anticipano mediamen- tovoltaiche. La radiazione solare che incide su una
te di 73 − 22 = 51 µs al secondo rispetto a quelli cella libera gli elettroni del silicio e li fa passare in
a Terra. Questa correzione non è costante (perché uno stato in cui sono praticamente liberi. Il moto di
l’orbita non è circolare) e il suo valore è calcola- questi elettroni genera la corrente fotovoltaica.
to a Terra e inviato a bordo del satellite durante
le comunicazioni con le stazioni di controllo. Notate
che questa correzione compensa parzialmente quella Esercizio 2
dovuta alla relatività ristretta.
Un elettrone accelerato da una differenza di poten-
ziale di 80 kV ha un’energia cinetica pari a 80 keV:
Esercizio 1 il 16 % della sua energia a riposo di 511 keV. La
sua energia totale è dunque 80 + 511 = 591 keV (è
Data la lunghezza d’onda della luce, possiamo la somma dell’energia cinetica e di quella a riposo).
ricavarne la frequenza secondo la formula Possiamo quindi ricavarne la velocità sfruttando la
definizione del fattore di Lorentz
c
ν= (S.138)
λ 1
γ2 = (S.141)
facile da ricordare perché ν ha le dimensioni di 1 − β2
un tempo alla meno uno e λ quelle di una lun- da cui, sapendo che γ = E/m ' 1.16 si ricava che
ghezza. Per ottenere una grandezza fisica con le
dimensioni di [T −1 ] è dunque necessario dividere
1 1
una velocità per una lunghezza. Ricaviamo perciò β2 = 1 − 2 ' 1 − ' 0.26 (S.142)
che la frequenza della luce del Sole è compresa tra γ 0.16
ν2 = 3 × 108 /400 × 10−9 = 0.75 × 1015 Hz e e quindi β ' 0.51 (in altre parole gli elettroni del mi-
ν1 = 3 × 108 /750 × 10−9 = 0.4 × 10−15 . Sapendo croscopio viaggiano a circa metà della velocità della
che h = 6.63 × 10−34 J s o 4.14 × 10−15 eV s, l’e- luce. La quantità di moto degli elettroni è dunque
nergia dei fotoni corrispondenti è quindi compresa pari a p = γmβ = 1.16 × 511 × 0.51 ' 300 keV e di
tra conseguenza sono assimilabili a onde di lunghezza
d’onda pari a

E1 = hν1 = 4.14 × 10−15 × 0.4 × 1015 = 1.66 eV


h 2π
(S.139) λ= = ' 2.1 × 10−5 eV−1 (S.143)
e p 3 × 105
(ricordiamo che in unità naturali ~ = h/2π = 1 e le
distanze si misurano in unità di energia alla meno

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57.8. LA MASSA DEI BOSONI VETTORI 573

uno). Per avere la lunghezza in metri basta moltipli- supponiamo che una particella di energia E0 viag-
care per opportune potenze di c e di ~ in unità SI. gi per un tempo t0 sufficientemente piccolo duran-
Moltiplicando per ~ che ha le dimensioni di un’ener- te il quale la probabilità di guadagnare energia si
gia per un tempo otteniamo una grandezza che le può considerare costante: P ' p. Se dopo essere so-
dimensioni di un tempo, che possiamo trasformare pravvissuta all’attraversamento di questa regione,
in una lunghezza moltiplicando per una velocità: avendo guadagnato energia, si muove ancora per
un tempo t, la probabilità di guadagnare energia
λ[m] = λ[eV−1 ]~[eV s]c[ms−1 ] dall’istante t = 0 è ora
= 2.1 × 10−5 × 6.58 × 10−16 × 3 × 108 ' 4.3 × 10−12 m P = p2 (S.149)
(S.144)
Per confronto le onde luminose hanno una lunghez- e cosí via: dopo aver attraversato n strati, ciascuno
za d’onda dell’ordine dei 500 nm, cioè di 5×10−7 m, per una durata molto breve, la probabilità di so-
vale a dire 5 ordini di grandezza maggiore! Un mi- pravvivenza è P = p . Scriviamo n come n = t/t0
n

croscopio elettronico perciò permette di apprezzare e osserviamo che P deve essere un numero compre-
dettagli 100 000 volte piú piccoli rispetto a quello so tra 0 e 1, cosí come p. Ridefinendo p = 1/k,
ottico. possiamo scrivere
− tt
P =k 0 (S.150)
Esercizio 1 Cosí facendo è evidente che, per t = 0, P = 1 (cioè
Se il guadagno di energia ∆E da parte di una par- la probabilità di sopravvivenza dopo un tempo t = 0
ticella di energia E che attraversa in un tempo ∆t è 1, che è ovvio perché non essendo trascorso alcun
una regione di spazio in cui viene accelerata è tempo lo stato della particella non può essere cam-
biato), mentre per t → ∞, P → 0 (cioè per tempi
∆E = αE∆t (S.145) molto molto lunghi è improbabile che la particella
sopravviva). Questo sembra del tutto ragionevole.
dividendo per E abbiamo che Possiamo naturalmente scrivere che
∆E
= α∆t . (S.146)  t − tτ  t − tτ τ − τ
E − tt τ

Quando si trova un’equazione del genere, la P =k 0 τ = kτ 0


= kτ 0
E0t0 E0 t0
soluzione è sempre del tipo (S.151)
τ

Portando dentro la parentesi E0 t0 e sostituendo la
αt
E = E0 e . (S.147) stessa con l’equazione (S.148) si ottiene
dove E0 è l’energia della particella al tempo t = 0 ed
E quella al tempo t. Poiché α deve avere le dimen-  t
− tτ τ
−τ
τ

sioni fisiche di un tempo alla meno uno, dovendo P = E0 e τ


0
E0t0 = E t0 E0t0 . (S.152)
essere l’argomento dell’esponenziale adimensionale,
τ
possiamo definire α = 1/τ e scrivere Il fattore E t0 è una costante
0
t
(S.148)
τ
E = E0 e τ , E0t0 = A (S.153)
dove τ è una grandezza che ha la dimensioni fisiche
cosí come l’esponente di E
di un tempo [τ ] = [T ].
Per calcolare la probabilità di aver viaggiato per τ
=γ (S.154)
un tempo t senza perdere energia, facciamo cosí: t0

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57.8. LA MASSA DEI BOSONI VETTORI 574

perciò
q p
2 2 2
 2 2
P = AE . −γ
(S.155) m n − m p − me c −2p = 2 p 2 + m2 c2
p p2 + m2e c2
Quindi il numero di particelle di energia E che giun- (S.162)
geranno a noi dopo aver viaggiato per un tempo t ed eleviamo al quadrato entrambi i membri:
è proporzionale a questa probabilità e va dunque
come una legge di potenza. 2
M 2 c2 − 2p2 = 4 p2 + m2p c2 p2 + m2e c2 ,
 

(S.163)
dove M = mn − mp − me . Notate che l’espres-
2 2 2 2

Esercizio 1
sione a secondo membro ha le dimensioni di una
L’energia di una particella di massa m e quantità di massa al quadrato e cosí, sebbene si potesse defi-
moto p è nire quest’espressione con una generica variabile x,
abbiamo preferito usare il simbolo M 2 per rendere
(S.156) palese il fatto che si tratta di una grandezza fisica
p
E = p2 c2 + m2 c4
che ha queste dimensioni. Questo aiuta sempre nella
dove c è la velocità della luce. soluzione di un problema di fisica.
Considerando che nello stato iniziale abbiamo un Sviluppiamo i quadrati e semplifichiamo. Prima
neutrone fermo, indicando con mn la sua massa, abbiamo
l’energia vale

Ein = mn c2 . (S.157) M 4 c4 + 4p4 − 4p2 M 2 c2 =4p4 + 4p2 m2e c2 + m2p c2 +




Nello stato finale, per la conservazione della 4 (mp me )2 c4


quantità di moto, deve essere (S.164)
e quindi, semplificando il termine 4p4 presente a de-
p~p = −p~e (S.158) stra e a sinistra, portando i termini proporzionali a
p2 a primo membro e gli altri a secondo membro e,
dove p~p indica la quantità di moto del protone e p~e
infine, dividendo tutto per c2 otteniamo
quella dell’elettrone. Abbiamo che

|p~p | = |p~p | = p (S.159)


4p2 m2e + m2p + M 2 = M 4 c2 − 4 (mp me )2 c2 .


e quindi possiamo scrivere che (S.165)


Si vede subito che, avendo usato il simbolo M 2 per
q rappresentare la combinazione presente nell’equa-
Ef in = p c + mp c + p c + me c . (S.160) zione (S.162), l’espressione trovata è dimensional-
p
2 2 2 4 2 2 2 4

mente corretta. Infatti, a primo membro abbiamo


Imponendo che l’energia iniziale sia uguale a quella una quantità di moto al quadrato, che ha le dimen-
finale possiamo scrivere che sioni di una massa al quadrato per una velocità al
quadrato, moltiplicata per una cosa che ha le dimen-
q p sioni di una massa al quadrato a sua volta. Pertanto
m2n c2 = 2p2 +m2p c2 +m2e c2 +2 p2 + m2p c2 p2 + m2e c2 . il primo membro ha le dimensioni di una massa alla
(S.161) quarta per una velocità al quadrato. Che sono le di-
Lasciamo a secondo membro solo il prodotto delle mensioni fisiche del secondo membro, come appare
radici: in maniera evidente dalla forma dell’equazione.
A questo punto è facile ricavare p2 come

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57.8. LA MASSA DEI BOSONI VETTORI 575

1.6 × 10−19 J e quindi, trattando le unità di misura


4 2
M − 4 (mp me ) 2 come se fossero quantità algebriche, abbiamo che
p2 = c =
4 M 2 + m2e + m2p
(S.166) 1 eV
M 4 − 4 (mp me )2 2 1= (S.170)
c . 1.6 × 10−19 J
4m2n
cosí che, moltiplicando per 1 l’espressione in (S.169)
Facciamo un ultimo controllo dimensionale: il nume- otteniamo
ratore della frazione ha le dimensioni di una massa
alla quarta e il denominatore di una massa al qua-
drato. Quindi la frazione ha le dimensioni di una Emax ' 2×10−13 J× 1 eV
−19 J
' 106 eV = 1 MeV .
massa al quadrato che, moltiplicata per una veloci- 1.6 × 10
(S.171)
tà al quadrato (c2 ) dà proprio le dimensioni di una
Sperimentalmente è proprio quello che si osserva, il
quantità di moto al quadrato.
che significa che la massa del neutrino è trascurabile.
Si vede subito che la quantità di moto p è una
Il valore massimo dell’energia dell’elettrone varia,
costante che dipende solo dalle masse delle parti-
anche se di poco, da specie atomica a specie atomica
celle partecipanti alla reazione: mn , mp e me . Tra-
a causa della diversa energia di legame con la quale
scurando me rispetto alle altre due masse (questa
i neutroni sono legati nel nucleo.
è un’approssimazione ragionevole dal momento che
me ' mp /2000) e sapendo che mn ' mp possiamo
riscrivere questa quantità di moto come Esercizio 2
2 Una particella di massa m e carica q che si muove
2
m2n − m2p 2 (mn − mp )2 (mn + mp )2 2 con velocità v perpendicolarmente alle linee di forza
p ' c = c '
4m2n 4m2n di un campo magnetico d’intensità B percorre una
(mn − mp )2 (2mn )2 2 traiettoria circolare di raggio
c = (mn − mp )2 c2 .
4m2n mv
(S.167) r=γ , (S.172)
qB
La massima quantità di moto permessa per un elet-
trone da decadimento β è dunque dell’ordine di dove
pmax ' (mn − mp )c . L’energia di un elettrone con 1
questa quantità di moto è γ=q . (S.173)
v 2

1− c

Possiamo ricavare B invertendo la formula del


q q
Emax = (mn − mp ) c + me c = c (mn − mp )2 +raggio:
2 4 2 4 2
m2e .
(S.168)
Sostituendo i valori mn ' 1.675 × 10−27 kg, mp ' mv
B = γ . (S.174)
1.673 × 10−27 kg, me ' 9 × 10−31 e c = 3 × 108 m/s qr
abbiamo che Per ricavarne il valore dobbiamo conoscere, oltre a
m ' 9 × 10−31 kg (la massa del positrone, identica a
Emax ' 2 × 10 J −13
(S.169) quella dell’elettrone) e q = 1.6 × 10−19 C (l’opposto
(l’unità di misura è quella del SI, avendo usato tutte della carica elettrica dell’elettrone), il valore di v.
unità di questo sistema). Possiamo riscrivere questo Questo possiamo ottenerlo sapendo che
valore in un’unità piú adeguata per la fisica delle
particelle: in eV. Per farlo basta ricordare che 1 eV=
E 2 = p2 c2 + m2 c4 = (γmv)2 c2 + m2 c4 (S.175)

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57.8. LA MASSA DEI BOSONI VETTORI 576

per cui (δs/s = 1/5 = 0.2). Il valore di r non può essere


r noto con una precisione migliore di questa quindi
E2 δr ' 19 mm e r = (97 ± 19) mm. Da questa misura
γmv = − m2 c2 . (S.176)
c2 ricaviamo il valore del campo che è
Sappiamo che, in un caso E = 63 MeV pertanto
avremo, in unità del SI, 2.4 × 10−21
B' ' 0.15 T . (S.181)
1.6 × 10−19 · 97 × 10−3
2
63 × 106 × 1.6 × 10−19

(γmv) '2
− L’unità di misura di B è ovviamente quella del siste-
3 × 108 (S.177) ma internazionale, avendo usato tutte unità in que-
sto sistema. Anche in questo caso, l’errore relativo
2
9 × 10−31 · 3 × 108 .
δB/B deve essere al meglio del 20 %, quindi deve
Si vede subito che il secondo addendo sotto la radice valere δB ' 0.03 T: B = (0.15±0.03) T. Questo va-
è trascurabile rispetto al primo essendo l’ordine di lore coincide, entro gli errori, con quello pubblicato
grandezza del primo addendo pari a (6−19−8)×2 = nell’articolo di Anderson [?] di 15 000 Gauss.
−42, mentre per il secondo abbiamo (−31+8)×2 = Poiché l’energia iniziale del positrone è un fattore
−46. Il risultato è che possiamo estrarre la radice circa 3 rispetto a quella finale, il raggio di curvatura
solo del primo addendo per cui prima di attraversare l’assorbitore deve essere dello
stesso fattore piú ampio. Ricaviamo la sagitta in
γmv ' 33.6 × 10−21 (S.178) funzione del raggio e della corda:
in unità del SI (kg m s−1 ). Quando E = 23 MeV, p
evidentemente la quantità di moto vale, nelle stesse r ± (r − L)(r + L)
s= (S.182)
unità, 12.4 × 10−21 . 2
Per valutare B dobbiamo conoscere i rispettivi (ci sono due possibili valori della sagitta; quello che
raggi di curvatura, che possiamo misurare sull’im- interessa a noi è il piú piccolo). Nel caso in cui L  r
magine con un righello, con una risoluzione di 1 mm, possiamo scrivere
sapendo che lo spessore dell’assorbitore è di 6 mm.  2 !
Possiamo misurare la corda piú lunga possibile r2 − L2 = r2 1 −
L
(S.183)
della traccia meno energetica (quella piú curva), che r
è L = 43 ± 1 mm. La sagitta, cioè la distanza tra √
la corda e il punto medio dell’arco di circonferen- e quindi, essendo 1 − x ' 1 − x2 ,
za corrispondente, è s = 5 ± 1 mm. Utilizzando il
teorema di Talete possiamo scrivere che
s  2  2 !
p L 1 L
(r − L)(r + L) ' r 1 − 'r 1−
r−s L r 2 r
2 = (S.179)
L 2s (S.184)
da cui possiamo ricavare r come e, in definitiva

L2 L2
r= + s ' 97 mm . (S.180) s'
. (S.185)
4s 2r
L’errore da attribuire a questa quantità si dovrebbe Quando r diventa un fattore tre piú ampio, s di-
ricavare usando le regole della propagazione degli venta un fattore 3 piú piccola, quindi ci aspettiamo
errori. In questo caso possiamo limitarci a stimarlo una sagitta di circa 1.7 mm, che è proprio quel che
osservando che l’errore relativo sulla misura della si vede eseguendo la misura (con la risoluzione che
sagitta (il peggiore tra i due) è dell’ordine del 20 % abbiamo assunto possiamo vedere che la sagitta è

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57.8. LA MASSA DEI BOSONI VETTORI 577

di circa 2 mm). Evidentemente il positrone provie- rionico è complessivamente nullo nello stato finale,
ne dal lato in cui la sua energia è maggiore, quin- cosí come nello stato iniziale.
di, guardando la foto si comprende che percorre gli Non può invece dare origine alla produzione di
archi di circonferenza in senso antiorario. p + n + π − perché il numero barionico dello stato
La Forza di Lorentz F~ = q~v ∧ B ~ è diretta in mo- finale vale B = 2, mentre è sempre nullo nello stato
do tale da essere perpendicolare alla velocità e al iniziale.
campo e il suo verso deve essere quello uscente dal
palmo della mano destra con il pollice messo in di-
rezione della velocità e le altre dita in direzione del Esercizio 1
campo. Il campo quindi deve essere perpendicolare
Consideriamo l’urto di un protone di massa m e con
al piano della foto ed entrante in esso.
velocità v con un altro protone fermo nel sistema di
riferimento del laboratorio e che nell’urto si produca
Esercizio 1 un π 0 . La reazione che stiamo studiando è

La prima reazione p + p → p + p̄ non è permessa p + p → p + p + π0 . (S.186)


perché non conserva il numero barionico (che vale 2 Notate che tutti i numeri quantici sono conser-
nello stato iniziale e 0 in quello finale). La reazione vati (carica elettrica, numero barionico, numero
p+p → p+p+p+ p̄ invece è consentita per il motivo leptonico). La quantità di moto iniziale è
opposto.
La produzione di un neutrone e un positrone dallo Pin = γmv . (S.187)
scontro tra un protone e un pione neutro è vietata
perché non è conservato il numero leptonico (che dove γ è il fattore di Lorentz che fa aumentare la
nello stato iniziale è nullo e nello stato finale vale massa efficace della particella, man mano che la sua
−1). velocità si avvicina a quella della luce. Nello stato
La reazione p+n → n+p+π 0 può avvenire perché finale la quantità di moto è
non viola alcuna legge di conservazione.
Il decadimento del pione carico in π 0 +νe non può
Pout = γ1 mv1 + γ2 mv2 + γπ mπ vπ (S.188)
avvenire perché non conserva il numero leptonico.
La reazione π − + p → n + π 0 è consentita perché dove le grandezze con il pedice 1 si riferiscono a
tutti i numeri quantici sono conservati. un protone e quelle col pedice 2 all’altro. Oltre alla
Lo scontro tra un muone e un neutrone non può quantità di moto deve essere conservata l’energia,
dare origine a un neutrone un protone e un anti- perciò abbiamo che
neutrino perché se il numero leptonico è conservato
(Lµ (µ+ ) = Lµ (ν¯µ )), non lo è quello barionico (c’è q
un solo barione, il neutrone, con B = 1 a sinistra, e
p
2
γ m v c + m c + mc = γ12 m2 v12 c2 + m2 c4 +
2 2 2 2 2 4

due barioni con B = 1, a destra). q


Per motivi analoghi è vietata la reazione µ− + γ22 m2 v22 c2 + m2 c4 +
e → p̄ + e− . A destra abbiamo un barione, che non
− p
γπ2 m2π vπ2 c2 + m2π c4 .
c’è a sinistra. Inoltre abbiamo, nello stato iniziale,
(S.189)
Le = 1 e Lµ = 1, mentre nello stato finale Le = 1,
Usando questo approccio vediamo subito che i con-
ma Lµ = 0.
ti si complicano non poco. In questi casi conviene
Lo scontro tra due pioni può dare origine a una
usare un trucco. Innanzi tutto osserviamo che
coppia protone–antiprotone, perché il numero ba-
E 2 − p2 c2 = m2 c4 . (S.190)

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57.8. LA MASSA DEI BOSONI VETTORI 578

Questa relazione vale per qualsiasi particella di mas-


sa m, quantità di moto p ed energia E. La massa a 4m2 c4 + m2π c4 + 4mmπ c4 . (S.196)
riposo di una particella è una costante, che non di-
Imponendo che questa sia uguale a quella calcola-
pende dal sistema di riferimento nel quale si misura.
ta nello stato iniziale (anche se in un sistema di
Questo significa che la combinazione E 2 − p2 c2 è a
riferimento diverso) otteniamo l’equazione
sua volta una costante indipendente dal sistema di
riferimento.
Possiamo allora calcolare questa quantità nel si-
p
2m2 c4 + m2π c4 + 4mmπ c4 = 2mc2 p2 c2 + m2 c4
stema di riferimento che ci fa piú comodo. Nel caso (S.197)
della reazione in esame l’energia iniziale, misurata da cui si ricava
nel sistema del laboratorio in cui uno dei protoni è
fermo e l’altro ha quantità di moto p, vale
p m2
p p2 c2 + m2 c4 = E = mc2 + π c2 + 2mπ c2 .
Ein = p2 c2 + m2 c4 + mc2 (S.191) 2m
(S.198)
mentre la quantità di moto totale vale semplicemen- Quella che abbiamo appena trovato è la minima
te energia (energia di soglia) che deve avere un pro-
tone affinché, scontrandosi con un protone fermo,
Pin = p . (S.192) possa dare luogo alla produzione di un π 0 .
La differenza tra l’energia al quadrato e la quantità
di moto al quadrato moltiplicata per c2 è dunque
Esercizio 2
p2 c2 + m2 c4 . (S.193) Abbiamo due fotoni la cui quantità di moto è p~1 e
p
2 2 2
Ein −Pin c = 2m2 c4 +2mc2
p~2 , con, rispettivamente, energie E1 ed E2 . Poiché i
Per calcolare la stessa quantità nello stato finale, fotoni hanno massa nulla deve essere
poiché possiamo scegliere il sistema di riferimento
che ci fa piú comodo, possiamo metterci nel sistema E12 − p21 c2 = 0 (S.199)
di riferimento del centro di massa, cioè in quello in
e
cui le tre particelle risultano avere quantità di moto
tali da annullarsi a vicenda, per cui
E22 − p22 c2 = 0 . (S.200)
Pf in = 0 . (S.194) Supponiamo che i fotoni siano il prodotto del deca-
dimento di una particella di massa M . Nel sistema
Nel caso piú semplice le tre particelle sono prodotte
di riferimento in cui questa particella è ferma l’ener-
ferme nel centro di massa e l’energia è semplicemen-
gia è M c2 e la quantità di moto è nulla. La differen-
te la somma delle masse moltiplicate per la velocità
za tra l’energia al quadrato e la quantità di moto
della luce al quadrato:
al quadrato moltiplicata per c2 , che è un invariate
relativistico, vale dunque M c2 . Questa grandezza è
Ef in = 2mc2 + mπ c2 . (S.195)
appunto un invariate, perciò non cambia passando
Attenzione! Il fatto che Pin 6= Pf in non significa da un sistema di riferimento a un altro. Calcoliamo-
che stiamo violando la conservazione della quantità la nel sistema di riferimento del laboratorio, in cui
di moto! Le due quantità infatti sono calcolate in la particella di massa M si sta muovendo e decade
sistemi di riferimento diversi. Quello che importa nei due fotoni. Per la conservazione della quantità
è che la differenza Ef2in − Pf2in c2 rimanga costante. di moto abbiamo che
Questa differenza vale

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57.8. LA MASSA DEI BOSONI VETTORI 579

Nella formula (51.13) compaiono solo i rapporti tra


P~M = p~1 + p~2 (S.201) i numeri di particelle N (t) e N (0) che dunque sono
uguali ai rapporti f (t)/f (0).
e per la conservazione dell’energia si deve avere
Possiamo dunque assumere N (0) = 3.47 e la vita
che
media si può stimare dalla misura a t = 1.00 µs:
EM = E1 + E2 . (S.202)
1 1
L’energia totale al quadrato nello stato finale è τ1 = −t = −1.00 ' 2.77 µs .
log N (t1 )
N (0)
log 2.42
3.47
(S.209)
2
EM = (E1 + E2 )2 = E12 + E22 + 2E1 E2 (S.203) Usando la misura a t = 1.97 µs si trova τ2 ' 1.94 µs,
mentre dalla misura a t = 3.80 µs si ottiene τ3 '
mentre il prodotto PM c vale
2 2
2.72 µs.
Il valore della vita media del muone si può quindi
stimare come la media di questi, che vale hτ i '
P 2 c2 = (p~1 + p~2 )2 c2 = p21 c2 + p22 c2 + 2p1 p2 c2 cos θ
2.48 µs. L’errore da associare a questo numero si
(S.204)
ricava valutando la varianza che vale στ = 0.22 µs
dove θ è l’angolo formato dai vettori p~1 e p~2 . La
e dividendola
√ per la radice del numero di misure:
differenza EM 2
− P 2 c2 è un invariante perciò deve
δτ = στ / 3 ' 0.16 µs.
valere M c2 :
Il risultato si esprime come

E12 +E22 +2E1 E2 − p21 c2 + p22 c2 + 2p1 p2 c2 cos θ = M c2 .


 τµ = 2.48 ± 0.16 µs . (S.210)
(S.205) La vita media del muone, come risulta da misure
Ora osserviamo che E12 − p21 c2 = E22 − p22 c2 = 0 e eseguite fino al 2012 è
quindi

2E1 E2 − 2p1 p2 c2 cos θ = M c2 (S.206) τµ = 2.1969811 ± 0.0000022 µs , (S.211)


e che, poiché il fotone ha massa nulla Ei = pi c e valore che differisce da quello da noi trovato di circa
l’equazione diventa 0.28 µs (meglio di due deviazioni standard).

2E1 E2 − 2E1 E2 cos θ = M c2 (S.207)


da cui si ricava che
Esercizio 1
2E1 E2 (1 − cos θ) Il pione carico ha una vita media pari a circa τ '
M= . (S.208) 10−8 s. Una volta prodotto si muove, nel sistema
c2
del laboratorio, con quantità di moto p che dipende
Basta dunque conoscere l’energia e la direzione
dall’energia dei protoni usati.
dei due fotoni per sapere quale particella ha dato
Il decadimento è un processo stocastico perciò il
origine al decadimento.
pione può decadere, in linea di principio, in un tem-
po che va da 0 a ∞. In media, circa 1/3 dei pioni
Esercizio 1 sarà decaduto nel tempo di una vita media, data la
forma della legge del decadimento e ricordando che
Il numero di particelle misurate con un ritardo t e ' 3.
è proporzionale alla frequenza f (t): N (t) = Af (t). Lo spazio percorso in media in questo tempo vale

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57.8. LA MASSA DEI BOSONI VETTORI 580

e quindi il suo γ vale


p
L ' vτ = τ . (S.212)
m E 330 MeV
γ= ' ' 2.4 . (S.221)
Se p  m, v ' c e quindi mc2 140 MeV2 c 2
c
Lo spazio a disposizione per accelerare i pioni è di
m
L ' cτ = 3 × 108 × 10−8 s = 3 m . (S.213) poco superiore ai 7 m (2.4 × 3 m).
s
In realtà, in questo caso, bisogna considerare che il
tempo τ , nel sistema di riferimento del laboratorio,
Esercizio 2
si dilata di un fattore Per permettere la produzione di una particella si
1 devono conservare energia e quantità di moto. Nello
γ=q (S.214) stato iniziale abbiamo che l’energia iniziale Ein è
2
1 − vc2 pari alla somma dell’energia del pione e di quella
associata alla massa a riposo m del protone, cioè
e quindi la distanza L può essere molto piú lunga.
Calcoliamo questo fattore sapendo che
Ein = Eπ + mc2 . (S.222)
Quest’energia deve essere uguale a quella dello stato
2 2 2 2 4 2 2 2 2 2
(S.215) finale E, nel quale si trova una particella di massa

E =p c +m c = γ v +c mc .
M , che si muove
√ con quantità di moto P , la cui ener-
Ma ora gia è E = P 2 c2 + M 2 c4 . Inoltre si deve conservare
1 c2
2
γ = 2 = (S.216) la quantità di moto e quindi
1 − vc2 c2 − v 2
e sostituendo pπ = P , (S.223)
perciò
2 2
 
c c
E2 = v 2 + c2 m 2 c2 = 2 m2 c4 = γ 2 m2 c4
−vc22 c − v2 E 2 = p2π c2 + M 2 c4 = Eπ2 + m2 c4 + 2mEπ c2 (S.224)
(S.217)
e pertanto e sostituendo l’energia del pione con la sua
espressione Eπ2 = p2π c2 + m2π c4
E
γ= , (S.218)
mc2
vale a dire γ rappresenta la frazione di energia in pπ c +M c = pπ c +mπ c +mc +2mEπ c (S.225)
2 2 2 4 2 2 2 4 2 2

piú rispetto alla massa a riposo della particella. Nel da cui si ottiene che
nostro caso abbiamo dunque
M 2 c4 − m2π c4 − mc2
E E π = . (S.226)
L = γcτ = τ. (S.219) 2mc2
mc Quando dunque il pione assume quest’energia si può
Un pione di 300 MeV/c di quantità di moto, avendo formare una particella di massa M . È in corrispon-
una massa pari a circa 140 MeV/c2 ha un’energia denza di questi casi che si osserva l’aumento della
pari a sezione d’urto. Usando l’equazione (S.226) si può
quindi conoscere la massa della particella che si è
q formata conoscendo l’energia del pione in corrispon-
2 2 2 4
E = (300 MeV/c) c + (140 MeV/c ) c ' 330 MeV
2
denza della quale la sezione d’urto presenta il valore
(S.220) massimo.

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57.8. LA MASSA DEI BOSONI VETTORI 581

Esercizio 3
E 2 = Ein
2
− p2in c2 (S.232)
Per produrre le risonanze ∆ con fasci di pioni si
deve conservare, oltre alla carica elettrica, anche il dove Ein è l’energia complessiva dello stato inizia-
numero barionico. Le ∆ sono barioni perciò, se nello le composto del pione e del protone, mentre pin l̀a
stato finale c’è solamente una ∆, il numero bario- quantità di moto di questo stesso stato. Nello stato
nico dello stato iniziale deve essere B = +1, che si iniziale l’unica particella in moto è il pione perciò
può ottenere con un neutrone oppure un protone. Il
segno del pione dipende quindi dalla risonanza che pin = pπ (S.233)
si vuole produrre. Per la ∆− , ad esempio, la cari- mentre all’energia contribuiscono sia il pione che il
ca complessiva dello stato iniziale deve valere −1 in protone:
unità di carica del protone, perciò la reazione è

p2π c2 + m2π c4 +mp c2 . (S.234)


p
π − + n → ∆− . (S.227) Ein = Eπ +mp c2 =
Analogamente, per produrre la ∆0 si devono usare Sostituendo l’espressione di E in termini della massa
pioni negativi su protoni: del K otteniamo che

π − + p → ∆0 . (S.228)
Le altre due reazioni sono m2K c4 = Eπ2 + m2p c4 + 2Eπ mp c2 − p2π c2 (S.235)

e osservando che
π + + n → ∆+ (S.229)
e Eπ2 − p2π c2 = m2π c4 (S.236)

π + + p → ∆++ . (S.230) si arriva all’espressione

Esercizio 1 m2K c4 = m2π c4 + m2p c4 + 2Eπ mp c2 (S.237)

Per calcolare l’energia minima che dovrebbe avere dalla quale si ricava l’energia che deve avere il pione:
un fascio di pioni per produrre un mesone K pos- m2K − m2π − m2p 2
siamo procedere analogamente a quanto fatto nella Eπ = c (S.238)
soluzione dell’Esercizio 1. 2m p

Consideriamo l’urto di un pione di massa m e


con velocità v con un protone fermo nel sistema di
riferimento del laboratorio. L’energia necessaria a
produrre una risonanza con la massa del mesone K
è almeno

E = m K c2 (S.231)
dove mK è la massa del K. Questa energia deve
essere disponibile nel centro di massa del sistema
pione–protone, in cui il protone è fermo e il pione si
muove. Ricordando che la massa di una particella è
un invariate relativistico possiamo affermare che

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Storia delle edizioni

Questa è la quarta edizione di questo volume. Cosa manca


In questa edizione sono stati aggiunti nuovi argo-
menti e sono state apportate alcune correzioni al In questa edizione devo sistemare l’impaginazione
testo. delle versioni portrait e di quelle leggere. In alcu-
Il contributo di coloro che hanno segnalato errori ne parti mancano dati sperimentali, figure, filmati
o imprecisioni, o che hanno suggerito modi alterna- e contenuti accessori. Manca ancora un capitolo di
tivi o piú comprensibili di spiegare alcuni concetti raccordo che introduce la misura della velocità del-
è utilissimo per la produzione di questo testo. Di la luce e l’esperimento di Michelson e Morley e un
seguito sono indicati i contributori e gli interventi paragrafo sugli oscillatori forzati che serve per intro-
segnalati, in ordine cronologico. durre il concetto di risonanza (che si dovrebbe usare
per parlare degli effetti delle onde elettromagneti-
1. Sara Sidoretti: ha scoperto un grossola- che sui corpi: antenne e scottature, per esempio).
no errore nella trasformazione di un nume- Al momento la questione è tratta in modo alquanto
ro nella notazione scientifica all’interno del grossolano e, potrei dire, fuorviante per certi versi.
Paragrafo 2.4. Naturalmente è sempre possibile che abbia scrit-
to corbellerie di vario genere. Quando faccio lezione
2. Giordano Calissi: ha scovato un errore al Para-
rileggo i capitoli che scrivo e ogni tanto trovo de-
grafo sul termometro a causa del quale la sensi-
gli errori, ma rileggendo molte volte le stesse cose
bilità di un termometro risultava esagerata. Ha
gli errori si tende a non vederli. Sarò grato ai letto-
anche individuato un errore nella definizione di
ri che vorranno segnalare i problemi che dovessero
stato data nel capitolo ”Campi e Particelle”, che
incontrare, siano essi errori tipografici o di fisica e
è stata resa piú precisa.
matematica.
3. Massimiliano Colarieti Tosti: ha individuato un
errore al paragrafo in cui si parla dei risultati
del lancio di due dadi: la probabilità di ottenere
7 è 6 volte quella di ottenere 2.
4. Carlo Sciò: che ha segnalato alcuni refusi.
5. Anonimo: al Paragrafo ”Semiconduttori”, nei
cristalli di tipo p gli elettroni si trovano nella
banda di valenza e non in quella di conduzione.
6. Ciro Chiaiese: segnalati errori nel Paragra-
fo 43.2; alcune equazioni erano sbagliate.
7. Claudia Pinzari: suggerita una riformulazione
del metodo per giungere alle trasformazioni di
Lorentz.
Indice analitico

Čerenkov, effetto, 88 arcobaleno, 65


Arduino, 132
Abbe, limite di, 112
Aristotele, 155
acceleratore, 455, 513, 514, 521, 527, 540, 551
armatura, 350
acceleratore di particelle, 391
armonica, 74, 83
accelerazione, 134
armonico, moto, 146
centripeta, 146
Arundel, Codice, 184
di gravità, 153
ascensore, 192
accelerometro, 193
asse ottico, 61
accuratezza, 22
assioma, 233
acutezza visiva, 111
assoluta, temperatura, 240, 340
adiabatica, trasformazione, 250, 267
astronauta, 194
adimensionale, 20
atomi, 112
adrone, 510
atomo, 242, 416, 537
afelio, 433, 569
attrito, 181, 223
algebra vettoriale, 116
dinamico, 185
α, raggi, 495, 498
statico, 182
alternata, corrente, 401
viscoso, 187
Amontons, Guillaume, 184
volvente, 186
Ampère, teorema di, 393, 398
Audacity, 132
amperometri, 386
audio, 132
ampiezza
Australe, emisfero, 199
di un’onda, 76
autovelox, 86
amplificatore, 489
Avogadro, Numero di, 242, 286
analisi dimensionale, 139
Avogadro, numero di, 487, 537
Anderson, Carl, 504, 505
azione e reazione, 222
angolo critico, 69
annichilazione, 549 banda, 487
anno luce, 439 di conduzione, 488
antenna, 471 di valenza, 488
anticiclone, 195 barione, 509, 510, 531, 532, 534
K̄, 531, 532, 534 barionico, numero, 509, 514, 531, 539
antimateria, 504, 549 barn, 515
ν̄, 504 base, 489
p̄, 504 battimenti, 81
antiprotone, 504 Bayes, Thomas, 27
App, 193, 376 beauty, quark, 539
apparente, forza, 191, 458 berillio, 514

589
INDICE ANALITICO 590

β, decadimento, 502, 503 campo magnetico, visualizzatore, 301


β, raggi, 495, 497, 502, 503 canale
210
Bi, 502 di decadimento, 517
bianca capacità, 352
particella, 536 capacità termica, 53, 246, 261
bilancia, 40, 159, 192 Carnot, ciclo di, 272
bin, 30 Carnot, macchina di, 271
binocolo, 71 Carnot, Sadi, 272
Biot–Savart, Legge di, 376 carta di credito, 421
bischero, 83 carta vetrata, 201
Bismuto 210, 502 cellulare, 421
Biswas, S, 506 Celsius, 340
Blackett, Patrick, 505 Celsius, grado, 48
blu ray, 109 centrifuga, forza, 459
blue shift, 331 centripeta, accelerazione, 146
Boltzmann, costante di, 242, 281, 284 centro di massa, 331
bosone, 511 Čerenkov, 90
di Higgs, 455, 551 cerniera, 427
vettore, 551, 558 charm, quark, 539
W, 550 Čerenkov, 90
Z, 550 chi quadro, 42
bottom, quark, 539 χ2 , 42
Bracciano, Lago di, 496 chitarra, 83
braccio, 432 ciclo di Carnot, 272
branching ratio, 517 ciclone, 195
bureau international de poids et measures, 18 cinematica, 113
Butler, Clifford, 506 cinetica, energia, 209
circuitazione, 395
calamita, 301 circuito, 359, 363
calibrazione, 22 RC, 370
calore, 201, 261, 340 cladding, 72
latente, 276 Clapeyron, Benoît, 243
calore latente, 57 Clapeyron, piano di, 243
calore specifico, 53, 245, 261 Clausius, integrale di, 275
a pressione costante, 266 Clausius, Rudolf, 275
calorico, 51 60
Co, 502
camera cobalto, 41
a nebbia, 501, 506 Cobalto 60, 502
a scintilla, 498 Codice Arundel, 184
di Wilson, 501 Collegno, Lo smemorato di, 87
campo, 150, 152, 224 collettore, 489
di forze, 303 collider, 455, 456
elettrico, 303 collisore, 391, 455, 456
magnetico, 391, 501, 504, 506, 551 colore, 65, 535, 536
terrestre, 497 cometa, 320

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INDICE ANALITICO 591

composizione delle velocità, 442 cosmici, raggi, 440, 495, 497, 498, 502, 505, 507,
galileiana, 151 513, 527, 540
Compton, effetto, 475 costante
Compton, lunghezza d’onda, 476 di Boltzmann, 281
concatenata, corrente, 395 di Planck, 511, 567
condensatore, 349 di Stefan–Boltzmann, 56
condensatori costante di Boltzmann, 242, 284
in parallelo, 356 costante dielettrica, 321
in serie, 356 costante elastica, 157
conducibilità elettrica, 359 costante universale dei gas, 242
conducibilità termica, 54 Coulomb, 291
conduzione, 54 Coulomb, Charles, 291
confinamento, 537 Coulomb, costante di, 291
conservativa, forza, 216 Creative Commons, 3
conservazione credito, carta di, 421
del numero barionico, 509, 531, 539, 577 cristallo drogato, 488
del numero leptonico, 509, 539, 577 cruise control, 128
dell’energia, 215, 503, 510, 518, 543, 577 Ξ, 529, 531, 533
della carica, 502, 505, 509, 577 Ξ∗ , 531
della massa, 41 curling, 229
della quantità di moto, 94, 226, 229, 499, 503,
578 da Vinci, Leonardo, 184
della stranezza, 528 Dalton, John, 253
contactless, 421 dB, 101
contrazione della lunghezza, 441 debole, forza, 516
convezione, 55 debole, interazione, 516
coordinate, 116 debole, interazione o forza, 503, 549
cartesiane, 116 decadimento, 515, 516
polari, 116 β, 502
Copernico, Niccolò, 16 del muone, 505
corda, 83 decadimento β, 503
core, 72 decadimento radioattivo, 41
Coriolis, forza di, 195 decibel, 101
Coriolis, Gaspard–Gustave, 195 decupletto di barioni, 532
corpo libero, 223 deferente, 17
corpo nero, 471 definizione operativa, 515
corrente, 487 ∆, 523, 531, 533, 536
concatenata, 395 Democrito, 253
di spostamento, 398 derivata, 128, 175, 399
corrente alternata, 401 derivata, grandezza fisica, 20
corrente continua, 363 destra, regola della mano, 375
corrente elettrica, 354 determinante, 369
coseno direttore, 121 deviazione standard, 31, 286
cosmici, provenienza dei raggi, 499 diagramma di Feynman, 546
diapason, 82

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INDICE ANALITICO 592

diboruro di magnesio, 362 elettroscopio, 292, 495


diffrazione, 93, 94 elettrostatica, forza, 290
diffrazione, reticolo, 106 eliocentrica, teoria, 16
dilatazione del tempo, 439 emettitore, 489
dilatazione termica, 48 emisfero Autrale, 199
dimensione fisica, 20 energia, 542
dimensioni fisiche, 20 cinetica, 209
dinamica, 153 di soglia, 513, 578
dinamica, secondo principio, 160 meccanica, 542
dinamometro, 159 energia a riposo, 447
diodo, 488 energia cinetica, 339
dipolo, 295, 306 energia interna, 262
Dirac, Paul, 504 energia potenziale
direzione elastica, 217
di un vettore, 119 gravitazionale, 215
disco di Newton, 65 energia–impulso, quadrivettore, 448
disordine, 284 energia–impulso, tensore, 462
dispersione, 65, 68 entropia, 274
distribuzione uniforme, 32, 284 dell’Universo, 275
doppia fenditura, 98 epiciclo, 17
Doppler, ecografia, 86 equazione
Doppler, effetto, 85, 331 differenziale, 563
dosso, 194 a variabili separabili, 564
down, quark, 533 equazione degli specchi, 71
drogato, cristallo, 488 equazione della lente, 71
Duchamp, Marcel, 15 equazione delle onde, 420
equazione di Schrödinger, 490, 492
eco, 93 equazione di stato dei gas, 242
ecodoppler, 86 equazione dimensionale, 20
ecografia Doppler, 86 equazioni di Maxwell, 439, 481
editing, 132 equipotenziale, superficie, 344
effetto Čerenkov, 88 equivalente meccanico del calore, 262
effetto Compton, 475 equivalenza locale, 150
effetto Doppler, 85, 331 equivalenza, principio di, 458
effetto est–ovest, 497 errore, 28
effetto fotoelettrico, 473 propagazione dell’, 576
effetto Hall, 386, 390 relativo, 576
effetto Joule, 361 errore relativo, 66, 136
Einstein, Albert, 14, 150, 253, 437, 474, 537 errore sistematico, 32
elastica, forza, 172 ESA, 320
elettrica, forza, 290 esclusione
elettroforo di Volta, 296 principio di, 484
elettromagnetismo, 375 esclusione, principio di, 483
elettrometro, 292 esperimento, 15
elettrone, 498, 501, 502 est–ovest, effetto, 497

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INDICE ANALITICO 593

estimatore, 29 di gravità, 433, 541


η, 531, 532, 534 di Lorentz, 224, 447, 497, 501, 577
etere, 439 di Van der Waals, 537
euristica positiva, 17 elastica, 157, 172
evento, 444, 451 elettrica, 290
elettromagnetica, 541
Fahrenheit, 340 elettrostatica, 290
Farad, 352 fittizia, 191
Faraday, gabbia di, 296, 325 forte, 510, 516, 541
Faraday, Michael, 352, 411 gravitazionale, 541
Faraday–Neumann–Lenz, Legge di, 405 peso, 158
fase, 80 forza apparente, 458
fasi, spazio delle, 519 forza debole, 503, 549
fasore, 104 Forza di Lorentz, 389
fattore relativistico di Lorentz, 502, 577 forza elettromotrice, 353
fem, 353 forza forte, 510
fenditura, 97 fotoelettrico, effetto, 473
Fermi, Enrico, 499, 502 fotone, 474, 475, 511, 547
Fermi, Modello di, 499 fotonica, 112
fermione, 511 fotovoltaico, pannello, 358
ferro fluido, 299 Foucault, Leon, 199
Feynman, diagramma di, 546 Foucault, pendolo di, 199
FFT, 102 Fourier, Teorema di, 175
fibra ottica, 59, 72 Fourier, teorema di, 74
Filopanti, Quirico, 39 Fourier, trasformata di, 102
Finnegans Wake, 531 frequenza, 25, 147, 176, 284
fisica teorica, 233 di un’onda, 76
fissione, 231 fronte d’onda, 77
fit lineare, 43 fucile, 169
fittizia, forza, 191 fune, 169
Fiumicino, 95 funzione
flusso di stato, 215, 271, 274
di un campo vettoriale, 312 funzione d’onda, 491
fondamentale, armonica, 83 funzione di stato, 263, 337
fondamentale, grandezza fisica, 18 fuoco, 61
fondo scala, 22 fuoco (di una lente), 69
forte, forza, 510, 516 fusi orari, 39
forte, interazione, 510, 516
forte, interazione o forza, 510 gabbia di Faraday, 296, 325
forza, 150, 154 Galilei, Galileo, 115, 155
apparente, 191 Galilei, principio di, 155
centrifuga, 193, 459 Galileo, trasformazioni di, 439, 442
conservativa, 216 galleria del vento, 187
debole, 516, 541 galvanometro, 386
di Coriolis, 195 γ di Lorentz, 502, 577

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INDICE ANALITICO 594

γ, raggi, 498 Higgs, Peter, 551


gas nobili, 242 Hooke, Legge di, 173
gas perfetto, 237 Hooke, Robert, 173
gas, teoria cinetica, 255 Hopper, V, 506
Gauss (u.m.), 576 Huygens, principio di, 95
Gauss, curva di, 28
Gauss, Teorema di, 315 Il Saggiatore, 115
gaussiana, 28 immagine reale, 63
gaussiana, funzione, 285 immagine virtuale, 63
Gell–Mann, Murray, 531 impulso, 226
gemelli, paradosso dei, 442, 464 impuslo, 446
generale, relatività, 442, 457 incertezza, 28
generatore, 358 indeterminazione, 28
geocentrica, teoria, 16 indeterminazione, principio di, 476
geometria euclidea, 115 indice di rifrazione, 67, 78
Gerlach, Walther, 482 induttanza, 409
ghiaccio secco, 247 induttore, 411
ginocchio, 498 induzione elettrostatica, 293
giogo, 381 induzione magnetica, 405
giradischi, 143 inelastic, urto, 231
gluone, 549 inerzia, principio di, 155
gnomone, 39 inerziale, sistema, 442, 457, 458
gnuplot, 133 INFN, 127
GPS, 440, 463, 569 infrarosso, 423
grandezza fisica, 15 integrale, 564
derivata, 20, 567 di Clausius, 275
fondamentale, 18, 567 intensità, 98
grandi numeri, legge dei, 26 interazione
gravità, 541 debole, 516, 518, 541
gravità, accelerazione di, 153 elettromagnetica, 541
gravità, forza di, 433 forte, 510, 516, 541
gravitazionale, onda, 465 gravitazionale, 541
interazione debole, 503, 549
Hahnemann, Samuel, 8 interazione forte, 510
Halbach, sequenza di, 301 interferenza, 97
Hall, Edwin, 386 interferenze, 79
Hall, effetto, 386, 390 interferometro di Michelson, 470
Henry, 411 invariante, 444
Henry, Joseph, 411 invariante di Lorentz, 444
Hertz, Heinrich, 473 invarianza
Hess, Viktor, 495, 497 per rotazioni, 123
Higgs ionizzazione, 495
bosone di, 551 irraggiamento, 56
meccanismo di, 551 irreversibile, trasformazione, 243
Higgs, bosone di, 455, 551 isobara, trasformazione, 247, 278

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INDICE ANALITICO 595

isocora, trasformazione, 248, 278, 279 Legge di Newton, 482


isocronismo, 180 legge di Snell, 67
isolante, 292, 487 legge fisica, 16, 115
isoterma, trasformazione, 249, 278, 279 legge oraria, 128
ISS, 194, 330 Leggi di Keplero, 331, 569
istogramma, 25, 30 Leggi di Kirchhoff, 367
LEM, 319
jamendo, 3 lente, 69
Joule, 202 convergente, 69
Joule, effetto, 361 d’ingrandimento, 69
Joule, James P., 202 lente d’ingrandimento, 69
Joyce, James, 531 lente sottile, 69
K, 528, 534 Leonardo da Vinci, 184
K, 531 leptone, 509, 516
K, 531 τ , 539
Kelvin, 89, 240, 340 leptonico, numero, 509, 539
Kelvin, John, 240 Li Causi, Gianluca, 189
Kepler, Johannes, 434 limite, 107
Keplero, Leggi di, 331, 434 limite centrale, teorema, 285
Keplero, seconda legge, 569 limite di Abbe, 112
Kirchhoff, Gustav, 367 linea di forza, 305
Kirchhoff, Leggi di, 367 liquido, 137
Knuth, Donald, 3 Livorno, 496
Kolhörster, Werner, 497 Lo smemorato di Collegno, 87
Kunze, Paul, 505 locale, equivalenza, 150
Lorentz, fattore relativistico, 502, 577
lacuna, 488 Lorentz, Forza di, 389, 577
Lago di Bracciano, 496 Lorentz, forza di, 224, 447, 497, 501
Lakatos, Imre, 17 Lorentz, invariante di, 444
Λ, 527, 528, 531, 532 Lorentz, trasformazioni di, 439, 451
larghezza luce, 518
di una particella, 478 luce, natura della, 93
laser, 59 luce, velocità della, 150, 448
LATEX, 3 lunghezza
Lavoisier, Antoine, 41 di un vettore, 119
Lavoisier, Legge di, 41 lunghezza d’interazione, 516
lavoro, 201 lunghezza d’onda, 76
Legge lunghezza d’onda Compton, 476
di Ohm, 361 lunghezza, contrazione della, 441
di Biot–Savart, 376
di Hooke, 173 macchina, 269
di Ohm, 359 di Carnot, 271
legge macrostato, 282
dei grandi numeri, 26 maglia, di un circuito, 367
Legge di Faraday–Neumann–Lenz, 405 Magnenus, Chrysostomus, 253

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INDICE ANALITICO 596

magnete, 299 modulo, 31, 119


magnetic viewer sheet, 301 mole, 241
magnetico molecola, 241
campo, 551 molla, 157
magnetico, campo, 391 momento
magnetico, visualizzatore di campo, 301 angolare, 431
Malerba, Luigi, 437, 475 della quantità di moto, 431
mano destra, regola della, 266, 377, 497 momento angolare, 479
mantissa, 23 monopòlo, 389
massa, 18, 39 monopolo magnetico, 309
invariante, 522 Morley, Edward, 437
massa a riposo, 447 moto
massa invariante, 514, 524 armonico, 146
massa nulla, 448 circolare uniforme, 143
matematica, 115 retrogrado, 17
materia oscura, 332 rettilineo uniforme, 128
materializzazione, 513, 549 uniformemente accelerato, 134
matrice, 196 moto browniano, 537
matrice di rotazione, 122 moto perpetuo, 274
Maxwell, equazioni di, 439, 481 motore, 383
meccanismo di Higgs, 551 MPEG Streamclip, 3, 132, 140
media, 29 µ, 506
media pesata, 37 µ, 505, 506, 509, 517, 518, 523, 539
Mendelev, Dmitrji, 242, 484, 531 muone, 440, 477, 505, 506, 509, 517, 518, 523, 539
Mercurio, 17 Muster Mark, 531
meridiana, 39
mesone, 510, 531, 532 nanometro, 18
messa a terra, 293 NASA, 194
meteo, 195 Neddermeyer, Seth, 505
metodo sperimentale, 7 neutrino, 449, 502, 504
Michelson, Albert, 470 Newton, disco di, 65
Michelson, Albert Abraham, 437 Newton, Isaac, 222
Michelson, interferometro di, 470 Newton, legge di, 482
micrometro, 18 Newton, Leggi di, 153
micron, 18 Newton, unità di misura, 158
microscopio, 71
60
Ni, 502
microscopio elettronico, 478 Nichel 60, 502
microstato, 282 nodo, 83
Millikan, Robert, 497 nodo di un circuito, 367
Minkoski, spazio di, 452 non inerziale, sistema di riferimento, 150
Minkowski, spazio di, 444 normalizzazione, 25
mirascopio, 64 notazione scientifica, 23
misura, 15 ν, 504
indiretta, 21 numero
Modello di Fermi, 499 barionico, 509, 514, 531, 539

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INDICE ANALITICO 597

leptonico, 509, 539 Pauli, Wolfgang, 484, 535, 536


numero d’onda, 80, 477 pendolo, 178
Numero di Avogadro, 242, 286 di Foucault, 199
numero di Avogadro, 487, 537 pentaprisma, 72
pentola a pressione, 246, 249
obiettivo, 71 Penzias, Arno Allan, 34
Occhialini, Giuseppe, 505 perielio, 569
oculare, 71 perielio, precessione del, 17
Ørsted, 375 periferica, velocità, 145
Ohm, Legge di, 359, 361 Periodica, Tavola, 531
Ohm, unità di misura, 361 periodica, tavola, 242, 484
Okubo, Susumo, 531 periodo, 146, 176
Ω, 529, 533 di un’onda, 76
Ω− , 531 permeabilità magnetica, 376
omeopatia, 8 Perrin, Jean Baptiste, 253, 537
onda, 73 peso, 18, 39
gravitazionale, 465 peso atomico, 231, 242
stazionaria, 83 peso molecolare, 241
trasversale, 73 peso, forza, 158
onda elettromagnetica, 518 Philae, 319
onde, equazioni delle, 420 Physics Gizmo, 24
Open Source, 3 π, 505, 506, 510, 514, 516, 518, 521–523, 527–529,
operatore, 174 531, 532, 534, 580
ordine di grandezza, 23 piano di Clapeyron, 243
ottetto piano inclinato, 135
di barioni, 532, 534 piezoelettrico, elemento, 159
di mesoni, 532, 534 pila, 357
ottica, 59 pinta, 21
ottometrica, tavola, 111 piolo, 83
Pacini, Domenico, 496, 497 pione, 505, 506, 510, 514, 516, 518, 521–523, 527–
pala eolica, 358 529, 531, 532, 534, 580
pallone aerostatico, 497 piroetta, 432
pannello fotovoltaico, 358 pirolo, 83
paradosso pixel, 489
dei gemelli, 442, 464 Planck, costante di, 473, 511, 567
parallelo, condensatori in, 356 Planck, Max, 472
parallelo, resistori in, 364
210
Po, 502
parallelogramma, regola del, 120 polare, stella, 179, 191
Parmenide, 14 polarizzazione, 294
parsec, 332 polo, di un magnete, 300
particella bianca, 536 polo, di una pila, 358
particelle strane, 527, 528 Polonio 210, 502
Pauli, Principio di, 535, 536 ponticello, 83
Pauli, principio di, 483, 484 portata, 22
positrone, 504, 549

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INDICE ANALITICO 598

posizione, 113 punto di applicazione, 119


postulato, 233 punto materiale, 131
potenza, 354
potenziale, 344, 393, 543 quadratura, 36
potere risolutivo, 111 quadrimpulso, 448
precessione quadrivelocità, 445
del perielio, 17 quadrivettore, 443, 444, 451
precisione, 22 quadrivettore energia–impulso, 448
pressione, 239 quantità di moto, 225, 226
primari, raggi cosmici, 498, 513 conservazione della, 94
primo principio della dinamica, 153, 210 quantizzazione dell’energia, 480
primo principio della termodinamica, 261, 263, quanto, 472
339 quark, 456, 531, 533
principio beauty, 539
di equivalenza, 458 bottom, 539
di esclusione, 484, 535, 536 charm, 539
di Pauli, 535, 536 down, 533
di sovrapposizione, 304 strange, 533
principio d’indeterminazione, 476 top, 539
principio d’inerzia, 155 up, 533
principio di esclusione, 483 Rabi, Isidor, 505
principio di Galilei, 155 radiazione
principio di Huygens, 95 α, 495
principio di Pauli, 483 β, 495, 497, 502, 503
principio zero della termodinamica, 46 radiazione cosmica di fondo, 34
principio, primo della termodinamica, 261, 263, radio, 421
339 radioattività, 41, 495
prisma, 90 raggi
probabilità, 26 §cosmici, 440
prodotto α, 495, 498
riga per colonna, 196 β, 495, 497, 502, 503
prodotto righe per colonne, 122 cosmici, 495, 497, 498, 502, 505, 507, 513, 527,
prodotto scalare, 129 540
prodotto vettoriale, 429 primari, 498, 513, 514
propagazione secondari, 499
degli errori, 576 solari, 499
propagazione degli errori, 34, 136 γ, 498
prossimità, sensore di, 24 X, 498
prostaferesi, 81, 83, 99 raggi cosmici, sorgenti, 499
protone, 449, 498, 502, 503, 505, 509, 510, 514, raggi cosmici: provenienza, 499
518, 527–529, 536, 539, 577, 578, 580 raggi X, 112
provenienza dei raggi cosmici, 499 rame, 361
pulsar, 435 rapporto di diramazione, 517
pulsazione, 77, 147 rapporto incrementale, 128, 563
punta, 296

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INDICE ANALITICO 599

RC, 370 ristretta, relatività, 437


reale, immagine, 63 risultante, 160
reazione vincolare, 161, 223 rivoluzione industriale, 246
reazione, azione e, 222 Rochester, George, 506
reazione, propulsione a, 226 Rosetta, 319
red shift, 88, 90, 331 Rossi, Bruno, 497
reflex, 71 rottura della simmetria, 559
regola
del parallelogramma, 120 sagitta, 576
della mano destra, 430, 497 scalare, 118
regola della mano destra, 266, 375, 377 scarica
regressione lineare, 42, 43 degli elettroscopi, 495
relatività, 114, 150 Schlieren flow, 94
generale, 457 Schrödinger, equazione di, 490, 492
ristretta, 437 Schrödinger, Erwin, 490
relatività generale, 442 sciacquone, 489
relatività speciale, 437 scintilla, 296
relatività, teoria della, 503, 513 scintilla, camera a, 498
rendimento, 270 sec:interpretazione-misure, 28
resistenza, 360 seconda Legge di Keplero, 569
resistenza interna, 366 secondari, raggi cosmici, 499
resistività, 360 secondo principio della dinamica, 160
resistore, 363 secondo principio della termodinamica, 274
resistori in parallelo, 364 semiconduttore, 362
resistori in serie, 364 semiconduttori, 487
reticolo di diffrazione, 106 semidispersione massima, 29
retrogrado, moto, 17 sensibilità, 22
rette parallele, 115 Sensors Multitools, 376
reversibile, trasformazione, 243, 271 sequenza di Halbach, 301
RFID, 421 serie, condensatori in, 356
Riemann, tensore di, 462 serie, resistori in, 364
riflessione, 59, 77, 93, 94 sezione d’urto, 515, 521
riflessione totale, 69 elettromagnetica, 516
riflettanza, 60 forte, 516
riflettività, 60 SI, 515, 567
rifrazione, 65, 77, 93, 94 Σ, 531, 532
rifrazione, indice di, 67, 78 Σ∗ , 531, 533
riga simmetria, 221
di assorbimento, 91 sistema binario, 331
riga per colonna, prodotto, 196 sistema di riferimento, 114
riga, in uno spettro, 480 non inerziale, 150
risolutivo, potere, 111 Sistema Internazionale, 515, 567
risoluzione, 111 sistema internazionale, 18
risonanza, 525 Sistema Solare, 331
risonanze, 521, 522 sistematico, errore, 32

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INDICE ANALITICO 600

Skobeltsyn, Dmitri, 501 strumento


smartphone, 101, 193, 375 graduato, 21
Snell, legge di, 67 tarato, 22
Snellius, Willebrord, 67 suono, 73
soglia, energia di, 513, 578 Super–Kamiokande, 90
solari, raggi cosmici, 499 superconduttore, 362
solenoide, 379 superficie equipotenziale, 344
solido, 137 supernovae, 499
somma vettoriale, 118
sorgente tachimetro, 125
di raggi cosmici, 499 taratura, 22
sorgente di temperatura, 246, 261 τ , leptone, 539
sovrapposizione, principio di, 304 tavola ottometrica, 111
spazio Tavola Periodica, 531
delle fasi, 518 tavola periodica, 242, 484
spazio curvo, 461 Teflon, 361
spazio delle fasi, 519 telefono cellulare, 421
spazio piatto, 461 telescopio, 71
specchio sferico, 60 televisione, 421
speciale, relatività, 437 temperatura, 46
sperimentale, metodo, 7 temperatura assoluta, 240, 340
spettro, 91, 480 temperatura critica, 362
dei raggi cosmici, 498 temperatura, sorgente di, 261
del decadimento β, 503 tempo, 18
spin, 482, 511 tempo di decadimento, 45
spira, 378 tempo di dimezzamento, 46
spostamento, 118 tempo proprio, 440
verso il rosso, 88 tempo, dilatazione del, 439
spostamento, corrente di, 398 tensione, 353
statico, attrito, 182 tensione, di una fune, 171
stato, 165, 238 tensore, 457
stato, equazione di (per i gas), 242 di Riemann, 462
stato, funzione di, 263 energia–impulso, 462
stazionaria, onda, 83 metrico, 458
Stazione Spaziale Internazionale, 194, 330 teorema
Stazione zero, 437 del limite centrale, 285
Stefan–Boltzmann, costante di, 56 di Fourier, 74
stella polare, 179, 191 teorema di Ampère, 393, 398
Stern, Otto, 482 teorema di Fourier, 175
Stern–Gerlach, esperimento di, 482 Teorema di Gauss, 315
stocastico, 517 teoria, 16
stone, 229 della relatività, 503, 513
strane, particelle, 527, 528 eliocentrica, 16
stranezza, 527–529, 532, 549 geocentrica, 16
strange, 533 teoria cinetica dei gas, 255

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INDICE ANALITICO 601

teorica, fisica, 233 del campione, 31


termocamera, 423 della popolazione, 31
termodinamica, primo principio, 261, 263, 339 velocità, 76, 125
termodinamica, principio zero, 46 alla volata, 169
termodinamica, secondo principio, 274 della luce, 150, 448
termometro, 48 periferica, 145
terzo principio della dinamica, 226 velocità angolare, 143
Tesla, 308, 383 velocità della luce, 567
Tesla, Nikola, 383 velocità limite, 188
timpano, 74 velocità, composizione delle, 442
Tolomeo, Claudio, 16 velocità di fuga, 569
top, quark, 539 vento, galleria del, 187
Totò, 87 verso
traiettoria, 118 di un vettore, 119
transistor, 489 versore, 121
trasformata di Fourier, 102 vettore, 116
trasformazione, 243 vincolare, reazione, 223
adiabatica, 250, 267 vincolo, 167
irreversibile, 243 vinile, 143
isobara, 247, 278 violino, 83
isocora, 248, 278, 279 virtuale, immagine, 63
isoterma, 249, 278, 279 viscoso, attrito, 187
reversibile, 243, 271 visualizzatore di campo magnetico, 301
trasformazioni di Galileo, 439, 442 visualizzatore, di campo magnetico, 301
trasformazioni di Lorentz, 439 vita media, 516
trasversale, onda, 73 volata, velocità alla, 169
triboelettricità, 289 Volt, 347
tutor, 125 Volta, Alessandro, 297, 357
Volta, elettroforo di, 296
ultravioletto, 423 volvente, attrito, 185, 186
uniforme, distribuzione, 284
uniforme, moto rettilineo, 128 W, 550
unità naturali, 442, 511, 567 Wi–Fi, 421
Universo, entropia dell’, 275 Wilson, camera di, 501
up, quark, 533 Wilson, Charles, 501
Urano, 17 Wilson, Robert Woodrow, 34
urto, 229
anelastico, 231 X, raggi, 112, 498
elastico, 230 Ξ, 529, 531, 533
Ξ∗ , 531
valenza, 484
valor medio, 29 Z, 550
Van der Waals, forza di, 537
Van der Waals, Johannes, 537
varianza, 31

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