Fisica Sperimentale Dic2016
Fisica Sperimentale Dic2016
Fisica Sperimentale Dic2016
FISICA SPERIMENTALE
i
fisica sperimentale – Vers. 23 dicembre dicare la volontà di esercitare questo diritto in sede
2016 di versamento della donazione o inviando una mail
© 2013–2015 Giovanni Organtini, Sapienza– all’autore del volume.
Università di Roma & INFN–Sez. di Roma Per contributori s’intendono sia coloro che ab-
biano versato un contributo in denaro, sia coloro
che avranno segnalato eventuali errori o avanzato
proposte di riformulazione di parti del libro accolte
Questo è un libro di testo elettroni- dall’autore.
co gratuito e aperto. Questo testo è
stato realizzato usando per quanto possibile stru-
menti Open Source ed è disponibile gratuitamente
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Attribution–NoDerivs 3.0. Puoi copiarlo, stampar-
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opere derivate senza il consenso dell’autore.
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Sono numerose le risorse a cui puoi attingere per
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quest’opera. In particolare ti consigliamo di visita-
re periodicamente il sito di fisicast all’indirizzo
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sul quale pubblichiamo, con cadenza mensile, brevi
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semplice e accessibile a tutti, o quasi. Trovi i po-
dcast di fisicast anche su iTunes e su molti altri
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suggerimenti o a esaudire richieste di integrazioni,
nonché a tenere corsi o seminari per studenti, inse-
gnanti o per un pubblico piú generico. Se trovi errori
(il che è sempre possibile) ti preghiamo di segnalarli.
Ci aiuteranno a offrire un servizio migliore.
Indice
Tra le parti di un libro la prefazione è sempre la il prezzo) godono di un diritto economico non pro-
meno letta. In questo caso è molto utile leggerla, sia porzionato al lavoro svolto. Questo è tanto piú vero
per capire lo spirito con il quale è stato organizzato per i libri scolastici, per i quali il rischio d’impresa
il materiale all’interno del volume, sia per compren- è assai basso, giacché l’editore conosce in anticipo
dere le motivazioni alla base della scelta di redigere l’ordine di grandezza del volume di vendite. In so-
un testo cosí. stanza, pagando un libro di testo non si remunera
Il testo nasce dall’esperienza delle lezioni per gli il lavoro dell’autore, ma la posizione di vantaggio
studenti dei licei sulla fisica delle particelle, da me economico dell’editore e del distributore.
tenute nell’ambito dei programmi per l’orientamen- Questo stesso modello è adottato in moltissime
to e del Piano Lauree Scientifiche. Molti insegnanti, attività economiche, dove ciò che determina il costo
al termine delle mie lezioni, mi hanno chiesto mate- di una prestazione spesso non sono la quantità e la
riale da utilizzare per riproporre in classe alcuni de- qualità del lavoro svolto, ma il possesso o meno di
gli argomenti trattati, lamentando l’indisponibilità un presunto diritto a limitare la libertà dei clienti.
di testi adeguati. Per questo ho pensato di comincia- Noi crediamo, al contrario, che un altro model-
re a scrivere queste note, con l’intento di ampliarle lo economico sia possibile nel quale quel che deve
il piú possibile nel corso del tempo, includendovi essere remunerato è il lavoro i cui frutti, una volta
anche materiale piú tradizionale. remunerati, possano andare a beneficio dell’intera
comunità. Che un tale modello sia concretamente
Un’altra economia è possibile attuabile è ampiamente dimostrato dal successo del
software Open Source, che si può copiare, modifi-
Questo lavoro è una sfida al sistema economico cor- care, distribuire gratuitamente senza dover pagare
rente. La sfida si basa sul paradigma Open Source, royalties a nessuno. Le aziende che producono que-
da cui derivano le licenze Creative Commons. sto tipo di software, che dunque pagano gli stipendi
Nell’attuale sistema economico il lavoro per la la dei programmatori e dei progettisti, funzionano e
redazione di un libro, di gran lunga quello piú fatico- sono spesso piú floride di quelle che vendono soft-
so e ricco di contenuto, è remunerato molto meno del ware tradizionale. Il business si basa sull’offerta del
lavoro necessario per la sua composizione, stampa, servizio, non sul possesso di un diritto a limitare la
distribuzione e vendita. L’autore di un libro percepi- libertà altrui.
sce, mediamente, non piú del 10–15 % del prezzo di Siamo ormai cosí assuefatti al sistema che non ci
copertina (a meno che non si tratti di un best–seller, rendiamo conto delle sue assurdità e siamo pronti a
naturalmente). Altrettanto percepisce il libraio, che giustificarle con argomenti solo apparentemente ra-
fornisce il servizio di vendita. La maggior parte del gionevoli. È il caso dei brevetti, ad esempio. Non è
prezzo di copertina va in compensi per l’editore e il vero, come vuol farsi credere, che i brevetti aiutino
distributore. lo sviluppo economico. È vero il contrario. Quando
Grazie soltanto alla posizione di vantaggio, de- ci viene detto che l’industria farmaceutica, ad esem-
terminata dal posizionamento sul mercato e dalla pio, ha bisogno dei brevetti per coprire gl’ingenti co-
rete di vendita, gli editori (che sono quelli che fanno sti della ricerca, si tratta palesemente di una bufala.
I costi della ricerca, infatti, sono coperti dagli Stati editrici, che possono (devono) basare il loro business
e dai cittadini attraverso l’acquisto dei medicinali. sull’efficacia della distribuzione, sul valore aggiunto,
Il costo della ricerca è alto perché ciascuna industria sulla capacità di offrire servizi diversi. La nascita di
deve svolgere, segretamente, le stesse attività delle Wikipedia non impedisce agli editori di vendere
altre, con una moltiplicazione degli sforzi enorme e enciclopedie e dizionari. Ne modifica, evidentemen-
un costo esorbitante. Mettendo in comune i risul- te, il profilo. Chi usa le informazioni reperite online
tati, ogni azienda potrebbe risparmiare miliardi di per acquisire un’informazione non produce un dan-
euro e i farmaci potrebbero costare molto meno. Se no all’editore piú di quanto non faccia una signora
fossero gli Stati a coprire questi costi, e i risultati che acquisti da una bancarella una borsa firmata
fossero pubblici, il prezzo dei farmaci scenderebbe da un grande stilista nei confronti di quest’ultimo.
in maniera consistente e alla fine ci sarebbe un ri- La signora non avrebbe comunque mai acquistato
sparmio per tutti. Lo stesso vale per altri settori. È quella borsa al prezzo proposto dallo stilista.
del tutto evidente, ad esempio, che i brevetti non
servono alle industrie per acquisire una posizione di
vantaggio rispetto ai potenziali concorrenti. Se cosí Si potrebbero inventare decine di modelli eco-
fosse i prodotti innovativi dovrebbero essere appan- nomici alternativi basati su un paradigma aperto,
naggio di una sola azienda, ma non è cosí (pensate ma questo dovrebbe essere lavoro per economisti.
solo all’industria dei tablet: un’azienda ne ha lancia- Noi qui lanciamo la sfida. Rendiamo pubblico que-
to uno, coperto da brevetto, e tutte le altre l’hanno sto testo iniziale, chiedendo un supporto economi-
seguita a ruota, aggirando il brevetto o acquistan- co volontario a coloro che decideranno di adottar-
dolo). I brevetti hanno il solo scopo di creare un lo. Se riusciremo ad accumulare una cifra ritenuta
mercato delle idee innovative che, se ci si pensa be- ragionevole, quale compenso per questo lavoro, ne
ne, è un mercato del tutto irragionevole e contrario realizzeremo un altro (per altri gradi dell’istruzione
a ogni principio etico. scolastica o introducendo nuovi argomenti e nuove
Noi pensiamo che l’autore di un libro di testo va- tecnologie). Se avremo successo e i proventi saranno
da remunerato per il suo lavoro e non per l’aver sufficienti, potremo remunerare il lavoro di altri pro-
acquisito una certa posizione di mercato. Una vol- fessionisti per la realizzazione di filmati, animazioni
ta redatto il libro e una volta che il compenso per e altri supporti multimediali, che in questo caso sono
l’autore sia stato equo, il libro deve poter essere di- stati tutti realizzati dall’autore, in prima persona,
stribuito quasi gratuitamente: si dovrebbero pagare con evidente dispendio di energie.
solo i costi effettivi della sua distribuzione e il giusto
compenso per coloro che la rendono possibile. Non
c’è ragione per cui un libro stampato da anni, che Se condividi questa visione del mondo e ti sem-
abbia già venduto migliaia di copie, non possa esse- bra che il contenuto del libro sia adatto alle tue
re fotocopiato o reso pubblico. Sia ben chiaro che il esigenze (e quest’ultimo è il requisito piú importan-
modello che proponiamo non chiede di rinunciare al- te), diffondilo e invita a supportarlo. Ti invitiamo
la proprietà intellettuale: il diritto d’autore resta anche a inviarci commenti, segnalazioni su possibili
di esclusiva proprietà dello stesso ed è inalienabile. errori, suggerimenti, sia sul contenuto, sia sul modo
È il diritto esclusivo di sfruttamento econo- di presentarli, sia sul modello distributivo. Natural-
mico delle opere che, nella legislazione corrente, è mente non garantiamo l’accoglimento di tutti i sug-
cedibile ad altri e che noi riteniamo sia quanto meno gerimenti che potranno pervenire, perché di nuovo
da modificare. Per questo la licenza d’uso di questo questo fa parte della libertà di ciascuno di realiz-
libro impone che si citi sempre l’autore ogni volta zare le proprie opere come crede. Il che, però, non
che se ne fa un uso pubblico. impedisce agli altri, una volta venuti in possesso di
Questo modello non impedisce l’esistenza di case tali opere, di fare altrettanto.
Il titolo lizzazione del testo. Il supporto elettronico consente
di fruire di contenuti multimediali e delle potenzia-
Il titolo di questo volume non è stato scelto a ca- lità dell’ipertesto. Si potrebbe fare molto di piú, in
so. L’Italiano è una lingua che si presta a diver- effetti. La tecnologia è matura. Ma, spesso a cau-
se, interessanti, e talvolta divertenti, interpretazioni sa di scelte determinate dal modello economico di
del significato delle parole. In particolare l’aggetti- cui parliamo sopra, molti produttori di software non
vo sperimentale utilizzato nel titolo ha in questo consentono di usare in maniera semplice le innova-
testo significati diversi, tutti contemporaneamente zioni disponibili. Naturalmente il problema si po-
validi. trebbe superare realizzando ad hoc anche i lettori
È sperimentale, come abbiamo detto sopra, il mo- per il supporto, ma questo avrebbe un costo ecces-
do in cui il testo è realizzato e distribuito. Si tratta, sivo per noi (almeno in questa fase) e in ogni caso li-
cioè, della sperimentazione, della ricerca di un nuovo miterebbe la platea di potenziali fruitori dell’opera.
modello economico. Possiamo solo sperare che il sistema avrà successo e
L’aggettivo sperimentale si riferisce anche al ta- ci consentirà, in futuro, di aumentare sempre di piú
glio dato all’introduzione dei concetti della fisica. l’offerta.
Molti testi di fisica appaiono piú come libri di ma-
tematica, nei quali si danno certe definizioni allo
studente e se ne traggono le conseguenze. Le defini- Tecnologia
zioni, in molti casi, piovono dall’alto, senza una spie-
Per realizzare questo prodotto sono stati usati per
gazione plausibile sul perché sia il caso di introdurle
lo piú strumenti Open Source o con licenza Creative
o su quale sia la loro ragion d’essere. In questo te-
Commons.
sto la fisica viene introdotta attraverso l’esperimen-
Il testo è stato redatto con LATEX1 : un programma
to. Ogni argomento viene analizzato a partire dalle
per la composizione di testi estremamente potente
osservazioni sperimentali, che determinano le gran-
e liberamente scaricabile dalla rete, basato sul suo
dezze fisiche d’interesse, portando naturalmente alla
predecessore TEX sviluppato da Donald Knuth, Pro-
formulazione delle leggi fisiche.
fessore di Computer Science a Stanford e autore di
È sperimentale, nel senso di innovativo, il mo-
una monumentale opera sulla programmazione dei
do in cui le leggi fisiche sono illustrate, attraverso
computer [?].
la scelta di proporre gli argomenti in una sequen-
I filmati sono stati editati con MPEG Streamclip
za diversa da quella classica. Crediamo che la se-
e iMovie. Per creare o manipolare alcune figure è
quenza qui proposta sia piú naturale e rispondente
stato usato Gimp.
all’esigenza di comprensione profonda della fisica.
Le musiche sono state scaricate da jamendo:
Non importa che storicamente il percorso per arri-
un sito che raccoglie musica con licenza Creative
vare a certe convinzioni sia stato diverso. Del re-
Commons.
sto non c’è alcuna ragione per cui un libro di fisica
Le animazioni sono state realizzate con Anima-
debba somigliare a un libro di storia. La sequenza
tion Desk per iPad. Su alcuni sistemi animazio-
degli argomenti qui proposta, inoltre, è stata scel-
ni e filmati non partono facendo click sul pulsante
ta in modo da non richiedere, all’inizio del corso,
Start, ma facendo click sull’immagine di preview.
competenze matematiche avanzate. La matematica
L’immagine di copertina è di Alegri
necessaria è sviluppata nei diversi capitoli quando
(alegriphotos.com).
necessario (o utile). Resta il fatto che l’insegnante
Alcuni link come questo potrebbero non portare
è libero di proporre una sequenza diversa. I capi-
a nulla (né a una pagina web, né a un altro punto
toli sono scritti, per quanto possibile, in modo da
del testo). Questo perché il link è previsto portare il
consentire un’ampia libertà di scelta in questo senso.
Infine, è sperimentale il mezzo scelto per la rea- LT
1 A
EX si pronuncia latek
lettore a una sezione del testo in cui si parla dell’ar- Formare, non informare
gomento relativo che non è ancora stato prodotto.
Molti link porteranno a pagine di Wikipedia (in Il semplice trasferimento di conoscenza non ha mol-
inglese). Abbiamo scelto di usare questo strumento to senso. Conoscere le leggi della fisica è utile, ma
quale riferimento a informazioni non strettamente non indispensabile nella vita di una persona, tan-
pertinenti l’argomento del testo, nonostante le criti- to meno se questa conoscenza si limita alla mera
che che vengono da piú parti sull’attendibilità delle capacità di scrivere le formule corrispondenti senza
informazioni che vi si trovano. L’opinione dell’auto- capirle.
re è che questo strumento, come tutti, evolverà col Capire le leggi della fisica e il processo che ha
tempo diventando sempre piú attendibile. Riguardo condotto alla loro formulazione, al contrario, è di
le critiche relative al fatto che le informazioni pre- fondamentale importanza per la formazione com-
senti sul sito sono copiate da altre fonti senza verifi- plessiva degli studenti. Ecco perché questo testo po-
ca, va detto che lo stesso è accaduto e accade tuttora ne l’accento piú sul come si arrivi a formulare le
con i libri e che solo in rari casi gli autori dei libri leggi fisiche piuttosto che su queste ultime. In parti-
verificano le informazioni sulle fonti originali (noi, colare, le leggi fisiche davvero fondamentali sono po-
naturalmente, l’abbiamo fatto ove possibile). che ed è su queste che si concentra tutta la struttura
del volume. Le leggi derivate da quelle fondamentali
La non apertura dei sistemi operativi e delle ap-
sono trattate come esercizi e non come parte inte-
plicazioni continua purtroppo a provocare inconve-
grante del testo. Questo non vuol dire che si possano
nienti piuttosto deplorevoli. Uno di questi consiste
ignorare, ma che non si devono necessariamente ri-
nel fatto che la versione elettronica di questo testo
cordare. Laddove esistano relazioni particolari che
si può usare senza alcun problema su un compu-
vale la pena siano ricordate a memoria per la fre-
ter, mentre sui tablet esistono limitazioni (incom-
quenza con la quale si usano o per l’importanza che
prensibili). Ad esempio, lo stesso Acrobat Reader
rivestono nel loro ambito, queste sono evidenziate
su iPad non supporta la visione dei filmati embed-
in rosso, anche negli esercizi.
ded. Lo stesso accade con iBooks. Secondo la nostra
La matematica presente in ogni parte del volu-
esperienza i filmati sono invece perfettamente visi-
me (a parte gli esercizi) è ridotta al minimo indi-
bili se si carica il PDF su Dropbox e si visualizza
spensabile e non si assume la conoscenza di concetti
usando il browser interno dell’applicazione per ta-
avanzati, in modo tale che il testo possa essere usa-
blet (tuttavia in questo caso non si può avere il testo
to da scuole diverse (Licei scientifici, classici, scuole
in modalità full screen), oppure usando ezPDF Rea-
professionali).
der2 . Confidiamo che il mercato spinga nella direzio-
ne giusta e che sia possibile usare un’applicazione in
modo uniforme su ogni piattaforma.
Come usare questo testo
Esperimenti e misure sono stati condotti grazie
all’aiuto di Lorenzo e Giulia Organtini, che non so- Il formato migliore per questo testo è quello elet-
lo hanno fornito supporto tecnico, ma hanno spesso tronico (è per questo che è nato). La versione por-
messo a disposizione i loro giocattoli, per dimostra- trait può essere piú comoda per i laptop e per alcuni
re che si possono fare misure di fisica interessan- tablet. Puoi comunque stampare il testo (anche se
ti anche senza avere a disposizione un laboratorio in questo caso perderai la funzionalità dei filmati,
professionalmente attrezzato. che tuttavia trovi sempre sul canale YouTube del-
l’autore). La versione portrait è piú adatta per la
stampa. Puoi fare la stampa da te o rivolgerti a un
servizio specializzato (una copisteria, una tipografia
2
A pagamento, ma dal prezzo accessibile. o su Internet).
Se pensi di usare questo testo a scuola in formato debba insegnare sopra tutto il metodo e non tanto
cartaceo, puoi scaricarne una copia che puoi fornire i contenuti, pure indispensabili. È importante ca-
a un tipografo di zona perché ne stampi un numero pire il significato delle equazioni e il modo in cui
sufficiente di copie. Gli alunni possono quindi ac- si ricavano. Non è quindi il numero di pagine che
quistare le copie versando solamente il corrispettivo suggerisce di limitare gli argomenti, ma il fatto che
relativo al costo vivo della stampa, che in questo oggettivamente alcuni sono molto (troppo) difficili
caso probabilmente è inferiore alla spesa necessaria per molti studenti. Lasciarli però consente agli in-
per stampare il testo in proprio. La licenza con cui è segnanti di preparare gli argomenti da trattare in
distribuito questo testo consente a chiunque (anche maniera piú consapevole e completa, e agli studen-
a un istituto scolastico) di stampare le copie neces- ti piú bravi di approfondire da soli argomenti che
sarie e di fornirle agli studenti a un prezzo superiore altrimenti sarebbero rimasti troppo vaghi.
a quello corrispondente al costo dell’operazione. In
questo modo la Scuola può percepire un contribu-
In alcuni capitoli la matematica può essere pe-
to extra utile in questo periodo di tagli. Va da sé
sante o inadeguata rispetto alla preparazione dello
che se il ricavo è eccessivo, gli studenti preferiranno
studente al momento in cui l’argomento è propo-
procurarsi il materiale da soli: il modello di distri-
sto: questo non è un problema. In tutti i casi l’ar-
buzione che abbiamo scelto consente a piú persone
gomento si può discutere senza entrare troppo nei
di creare valore, ma senza eccessi. Qualunque abu-
dettagli formali e se ne può proporre una lettura
so sarebbe automaticamente eliminato dal mercato
piú qualitativa, aiutandosi con figure, esperimenti e
dalla disponibilità gratuita del bene.
simulazioni (ad esempio, nei capitoli riguardanti le
Ovviamente sei sempre invitato a versare un con-
onde è richiesta la conoscenza della trigonometria,
tributo per l’autore. In questo modo avrai la garan-
ma gli stessi argomenti si possono affrontare impie-
zia che il prodotto sarà sempre mantenuto al meglio
gando unicamente le simulazioni proposte e facendo
e continuamente migliorato. Potrai anche sostenere
qualche esperimento).
il modello di sviluppo scelto, dimostrando che un
mercato equo e sostenibile è possibile, nel quale è
il lavoro o un servizio a essere retribuito e non una I capitoli possono contenere indicazioni sui prere-
rendita di posizione o da capitale. Nel caso in cui quisiti. In generale tenderemo a ridurre al minimo
il testo sia adottato a scuola, il metodo migliore i prerequisiti in modo che l’insegnante possa segui-
per versare il contributo consiste nel raccogliere il re un suo proprio percorso, senza essere costretto a
denaro che avete deciso di versare e fare un unico seguire un ordine preciso. In questo testo per prere-
versamento. Non è necessario che il contributo sia quisiti si intende la conoscenza di argomenti neces-
lo stesso per tutti gli studenti. Poiché il versamento saria per comprendere il formalismo impiegato. La
è libero (si tratta di una donazione) puoi prevedere descrizione qualitativa di certi fenomeni non richie-
la possibilità che alcuni studenti (quelli le cui fa- de conoscenze pregresse, perché si può sempre dare
miglie hanno problemi di carattere economico) non per nota. Ad esempio, nel caso del paragrafo sul cor-
paghino per l’uso di questa risorsa. po nero, il fatto che le particelle cariche accelerate
irraggiano onde elettromagnetiche non è considera-
to un prerequisito, anche se il fenomeno viene cita-
Per l’insegnante
to. Se il fenomeno non è stato trattato, si può for-
Il testo contiene molto piú materiale rispetto a quel- nire questa informazione agli studenti che possono
lo che si può normalmente pensare d’insegnare alla acquisirla come vera anche se non la comprendono
maggior parte degli studenti. La lunghezza del te- a fondo. In questo caso basta fidarsi dell’insegnan-
sto non deve spaventare: abbiamo scelto di spende- te, rimandando la comprensione del fenomeno a un
re molte parole perché crediamo che della fisica si secondo momento.
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Piano dell’opera
L’autore s’impegna, a fronte di un numero sufficien-
te di donazioni, ad ampliare i contenuti al maggior
numero possibile di campi della fisica (inclusa la fi-
sica classica che sarà trattata sempre con un ap-
proccio di tipo sperimentale). La sequenza con la
quale nuovi moduli saranno resi disponibili non sa-
rà necessariamente coerente con quella nella qua-
le gli argomenti vengono usualmente presentati, né
con quella che l’autore ritiene la migliore sequen-
za possibile. La sequenza sarà dettata per lo piú
dalle richieste di studenti e insegnanti che avranno
apprezzato i moduli precedenti.
Capire come funziona l’Universo è il compito pri- do, è lo stesso per cui si studiano Dante e Petrarca,
mario di un fisico. Chi non intraprende questa car- Verdi e Beethoven, Raffaello e Picasso.
riera può senz’altro nutrire legittima curiosità circa Anche nel caso della scienza accade che, sebbene
questo argomento, ed è per questa ragione che stu- l’obiettivo primario sia quello di capire il funziona-
dierà un po’ di fisica. La curiosità, in fondo, è sempre mento dell’Universo, talvolta l’acquisizione di que-
stata il propulsore della scienza, in ogni suo aspetto. ste conoscenze porti alla realizzazione di qualcosa di
La ricerca scientifica, in effetti, si fa solo per que- utile. Abbiamo il frigorifero nelle nostre case perché
sta ragione, non certo perché gli scienziati pensano qualcuno ha studiato, in passato, la natura del calo-
di poter offrire ai loro concittadini qualche nuovo re; i telefoni cellulari grazie all’elettromagnetismo e
prodotto tecnologico inteso a migliorare la loro vita i navigatori GPS devono la loro capacità di guidarci
o semplicemente a renderla piú divertente! Non si nel punto in cui siamo diretti alla relatività di Ein-
chiede mai a un musicista o a uno scrittore qual è stein; tutti i dispositivi elettronici funzionano gra-
l’utilità pratica della sua opera, ma chissà per quale zie alla meccanica quantistica e potremmo andare
motivo a chi fa ricerca scientifica si rivolge spesso avanti per molte pagine.
questa domanda. Chi fa questo mestiere lo fa con lo Anche chi non ha particolari curiosità dunque
stesso spirito con il quale un musicista compone o vorrà studiare un po’ di fisica, se non altro per capi-
uno scrittore scrive. La spinta a farlo non ha alcuna re un minimo il mondo che lo circonda e, in qualche
finalità pratica e nasce dall’esigenza di comunicare caso, fare qualche scelta in modo piú consapevole.
qualcosa agli altri. Quel che è piú importante per chi studia fisica
Non accade spesso, ma le opere di alcuni musici- (senza avere l’obiettivo di diventare un fisico) non
sti e scrittori possono produrre effetti molto concre- è, naturalmente, apprendere i contenuti di questa
ti: pensate soltanto al giro d’affari conseguente alla disciplina, allo stesso modo di come lo studio del-
vendita dei dischi e all’organizzazione di concerti, la Divina Commedia non comporta per ciascuno la
che non apporta benefici economici solo al compo- conoscenza dettagliata (magari a memoria) del con-
sitore, ma anche al produttore, agli operatori del- tenuto di tutti i Canti dell’opera. Prima di conosce-
l’industria discografica, venditori, informatici, tra- re nel dettaglio tutta l’Opera bisogna conoscerne
sportatori, operai e decine di altre categorie (e poi sommariamente i contenuti e la genesi, non trascu-
c’era qualcuno che diceva che con la cultura non rando qualche particolare sull’Autore. Conoscere le
si mangia!). Una volta giunti nelle case dei fruito- Leggi della gravitazione universale, i princípi dell’e-
ri i prodotti possono dar loro piacere, si possono lettromagnetismo, la termodinamica, la meccanica
impiegare per animare feste o riunioni, per sottoli- quantistica e la relatività ristretta e generale non è
neare momenti speciali, etc.. Se non ci fossero stati altrettanto importante quanto conoscere il meto-
i musicisti, gli scrittori, i pittori, gli scultori e tutti do. Il metodo della fisica è il metodo sperimen-
gli altri produttori di nulla, l’umanità non sarebbe tale, che consiste nel fare osservazioni e misure e,
certo al livello cui si trova oggi! da queste, ricavare modelli matematici che descriva-
Lo stesso vale per la fisica e tutte le altre scienze. no i fenomeni osservati, ma che siano anche capaci
Il motivo per il quale si deve studiare la fisica, in fon- di permettere al fisico di fare predizioni su quanto
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potrà osservare. È importante osservare che in que- una velocità di precessione identica a quella misu-
sto contesto una predizione non è necessariamente rata sperimentalmente ben prima che la teoria fosse
qualcosa che si deve poter fare in anticipo rispet- formulata.
to a un’osservazione. Una predizione è, in fisica, il
risultato di un esperimento che si può ottenere at-
traverso la teoria. L’esperimento può anche essere Teorie e fatti sperimentali
stato fatto in precedenza. Una teoria è un insieme
Nessuna tra le teorie della fisica può fare a meno
logicamente coerente di osservazioni sperimentali da
di fatti sperimentali. Questi sono indispensabili per
cui si può derivare un modello con caratteristiche
poterle formulare. Una teoria che ipotizzi l’esistenza
predittive: un modello che non prenda le mosse da
di qualche relazione tra grandezze fisiche in virtù di
un fatto sperimentale non si può definire una teoria.
pretese evidenze di tipo logico, non è una teoria che
Allo stesso modo un modello che non faccia previ-
un fisico può prendere in considerazione. Per esem-
sioni non si può definire una teoria. Infine, un mo-
pio, non si può sostenere che l’Universo deve essere
dello che non porti a predizioni differenti rispetto
il risultato della volontà di un Creatore, perché non
ad altri non è una teoria diversa dalla precedente:
esistono fatti sperimentali che supportino una tale
è solo un modo alternativo di formulare una stes-
affermazione. Né quest’affermazione si può configu-
sa teoria. Qualche esempio chiarirà il significato di
rare come una conseguenza di un fatto sperimenta-
quanto esposto.
le. Naturalmente, questo non vuol dire che sicura-
mente l’Universo non è stato fatto da un Creatore:
Predizioni vuole soltanto dire che non è la fisica a occuparsi
di questo problema. Un fisico può credere o meno
La capacità di una teoria di fare una predizione non all’esistenza di un Creatore, senza che questo turbi
si misura dalla sua capacità di prevedere cosa suc- qualcuno.
cederà in un futuro piú o meno lontano a un certo Sebbene la questione sia molto controversa, se-
sistema. È ben noto, ad esempio, che non si possono condo il parere dell’autore, l’omeopatia non si può
prevedere i terremoti, ma la teoria della tettonica a considerare una disciplina scientifica perché prende
zolle permette di predire i luoghi in cui questi av- le mosse da un assunto, un principio, formulato da
verranno con maggiore frequenza, avendo elabora- un medico del XVIII secolo3 senza alcuna base speri-
to un modello nel quale le placche della superficie mentale, ma solo come un’ipotesi possibile. L’ipotesi
terrestre sono in continuo movimento e per questa che per curare le malattie si possano usare sostan-
ragione possono andare incontro a fenomeni parti- ze che nelle persone sane inducono sintomi simili a
colarmente violenti dovuti alle tensioni accumulate quelli osservati nelle persone malate forse può essere
nelle fasi di scontro. considerata da qualcuno plausibile, ma di certo non
Quando Einstein formulò la sua teoria della Re- è qualcosa che si può osservare come un fatto spe-
latività Generale trovò che un pianeta come Mer- rimentale a partire dal quale si può enunciare una
curio avrebbe dovuto percorrere un’orbita il cui pe- teoria!
rielio ruotava attorno al Sole piú rapidamente di Viceversa, la teoria della relatività speciale, i cui
quanto non dovesse fare per effetto delle forze gra- risultati appaiono ai piú privi di senso (ma a pensar-
vitazionali. In effetti all’epoca si sapeva già da tem- ci bene vale esattamente il contrario: sono i risulta-
po che il perielio di Mercurio precedeva attorno al ti della meccanica classica a essere privi di senso in
Sole piú rapidamente di quanto predetto dalla teo- certe condizioni), è una teoria perché prende le mos-
ria della gravitazione di Newton, ma non era stata se da un fatto sperimentale tanto semplice quanto
trovata, fino ad allora, alcuna spiegazione convin- 3
Samuel Hahnemann, vissuto tra il 1755 e il 1843.
cente. La teoria di Einstein, al contrario, prevedeva
apparentemente privo di logica: la velocità della lu- che accade nell’Universo. A ben vedere non è que-
ce è la stessa qualunque sia lo stato di moto relativo sto quel che fa la maggior parte dei libri di testo
dell’osservatore! per le scuole superiori e nemmeno per l’Università.
L’approccio seguito in questo testo è completamen-
te differente da quello della maggior parte dei libri
Teorie e previsioni in circolazione (senza che questo implichi un giudi-
zio di merito: non è detto che l’approccio di questa
Una teoria che non faccia previsioni non è una teo-
pubblicazione sia il piú efficace; è solo un approccio
ria: è solo un’ipotesi sulla quale si può lavorare cer-
alternativo). Non pretende d’insegnare la Fisica per
cando di trovare il modo di estrarne delle previsioni,
temi, ma cerca di portare il lettore a capire come
ma fino a quando questo non è possibile non si può
siamo giunti alle nostre attuali conoscenze illustran-
parlare di teoria.
do un metodo sperimentale. Non lo fa attraver-
Uno dei risultati sperimentali della fisica moder-
so una narrazione storicamente attendibile dei fatti
na è che la materia è composta di un numero relati-
che hanno portato all’attuale formulazione della Fi-
vamente grande di particelle elementari: sei leptoni
sica, ma in un certo senso raccontando un percorso
(tra cui l’elettrone), diciotto quark e tutte le cor-
immaginario che avrebbe potuto portare agli stes-
rispondenti antiparticelle. Una struttura cosí com-
si risultati, come fosse un romanzo che attraverso
plessa fa indubbiamente pensare alla possibilità che
la finzione pretende d’illustrare la realtà. Anche per
queste 48 particelle non siano affatto elementari, ma
questo il volume reca il titolo Fisica Sperimenta-
che siano a loro volta composte di altre particelle.
le: perché la sequenza scelta per introdurre i diversi
In assenza di previsioni su cosa si dovrebbe osserva-
temi è inusuale e funzionale a questa narrazione.
re in un esperimento che tenti di confermare o me-
Non si tratta di una semplificazione: tutt’altro!
no quest’ipotesi, l’ipotesi stessa non si può definire
L’operazione è complessa e richiede un certo sfor-
teoria.
zo per poter essere compresa. È piú facile affidarsi
all’autorità di qualcuno e credere che quel che dice
Teorie alternative è vero. Con questo libro vogliamo convincervi che
l’attuale visione del mondo che hanno i fisici non
Due teorie che facciano entrambe le stesse previsioni è il risultato dell’adesione a un modello confeziona-
non sono due teorie: sono la stessa teoria formulata to da un’Autorità cui tutti dobbiamo obbedienza,
in modo diverso. I risultati della meccanica quan- ma una logica conseguenza dei fatti sperimentali. Il
tistica, per esempio, si possono ottenere sia con la bello della scienza è che non esiste alcuna Autorità:
meccanica ondulatoria che con quella delle matrici: Albert Einstein non credeva alla Meccanica Quan-
due formalismi matematici molto diversi, che han- tistica, né al fatto che l’Universo sia in espansione,
no in comune gli stessi dati sperimentali e fanno le ma per quanto ne sappiamo oggi aveva torto. Sarà
stesse previsioni. Non si può dire quale sia la teoria anche stato uno degli scienziati piú influenti e pro-
corretta: lo sono entrambe nel limite in cui riescono fondi del secolo scorso, ma questo non gli dava e
a fare predizioni verificabili sperimentalmente. non gli dà il diritto di decidere cosa sia giusto e co-
sa no: questa decisione dipende esclusivamente dai
fatti sperimentali. Il percorso dunque non è faci-
Capire la Fisica le e, per dar modo a tutti di poter apprezzare fino
in fondo tutte le conseguenze di ciascuna scoperta,
Capire la Fisica significa capire quali osservazioni e il volume è corredato di dettagliate analisi dei fe-
quali ragionamenti hanno portato alla formulazione nomeni, anche di tipo formale e matematico. Per
dei modelli che usiamo oggi per comprendere quel capire la fisica non è però necessario affrontare tutti
gli aspetti di ogni tema, né tantomeno approfondirli
rimento esiste e consiste nell’ostacolare il moto con forza è l’attrito, cosí come nel caso della punta del
uno schermo sul quale siano state praticate una o trapano che penetra nel muro. Si può anche scal-
piú fenditure: nel caso in cui ciò che si propaga al dare dell’acqua facendo muovere delle pale immerse
di qua dello schermo sia un flusso di corpuscoli, al in essa, azionate da qualche tipo di forza (la gravi-
di là di esso ci si aspetta di vedere gli stessi corpu- tà, che fa cadere gli oggetti o quella di un motore a
scoli attraversare le fenditure; nel caso delle onde, scoppio o elettrico). In ogni caso è evidente che la
invece, ci si aspetta di osservare il fenomeno della quantità di calore che si riesce a cedere agli ogget-
diffrazione, che consiste nella modifica della forma ti in questo modo dipende dall’intensità della forza
del fronte d’onda. applicata, ma anche dallo spostamento relativo tra i
Gli esperimenti suggeriscono inequivocabilmente due oggetti sfregati (se la carta vetrata non si muo-
che la luce sia fatta di onde, quindi il fatto che rie- ve rispetto al blocco non si produce alcun calore; il
scano a fornire calore ai corpi illuminati non è spie- calore prodotto è tanto maggiore quanto piú è lun-
gabile in termini di urti tra corpuscoli luminosi e go lo spostamento). Quest’osservazione c’indurrà a
corpi illuminati. definire una nuova grandezza fisica che rappresenti
D’altra parte che il calore sia legato al moto è evi- questa caratteristica: il lavoro.
dente: non solo un chiodo colpito da una martellata
si scalda; lo fa anche qualunque oggetto sottoposto
all’azione di qualche altro oggetto che si muove ri- 1.5 La termodinamica
spetto al primo. Per esempio, se si passa della carta
Si vedrà presto che lavoro e calore sono due aspetti
vetrata su un pezzo di metallo si scaldano entrambi,
diversi della stessa grandezza fisica: l’energia. Tra-
ma anche se ci si frega le mani l’una contro l’altra
sferire calore o fare del lavoro significa semplicemen-
o se si fa un buco sul muro usando un trapano.
te cambiare l’energia di un sistema, il che può av-
La scoperta che la luce è un’onda non altera so-
venire attraverso una modifica delle velocità delle
stanzialmente quest’ipotesi. Il propagarsi di un’on-
componenti del sistema (che determinano quella che
da implica il moto del mezzo nel quale l’onda si
si chiama energia cinetica) o per mezzo di una mo-
propaga: sul mare il propagarsi delle onde provoca
difica delle relazioni spaziali tra particelle tra loro
la variazione dell’altezza della superficie dell’acqua
interagenti o sottoposte all’azione di forze esterne
che va continuamente su e giù; nel caso della propa-
(energia potenziale). Il sistema piú semplice che
gazione di un’onda sonora quel che si muove è l’aria
possiamo pensare di analizzare è evidentemente un
presente tra la sorgente e chi ode il suono (togliendo
sistema in cui queste forze siano nulle, per cui le
questa non si ode piú alcun suono). Di fatto, anche
particelle che lo compongono sono libere di muo-
nel caso in cui assumessimo che la luce sia un’onda
versi nel volume nel quale sono contenute e questo
possiamo sempre pensare che gli effetti termici sia-
porta a considerare lo studio dei gas come il sistema
no in qualche maniera il risultato del moto che le
migliore per capire la natura del calore.
onde inducono sui corpi colpiti.
Dall’analisi delle proprietà di un gas si compren-
derà come la temperatura sia semplicemente una
1.4 Il moto, il lavoro e l’energia misura della velocità media delle particelle che com-
pongono i corpi (se un gas è fatto di particelle, de-
A questo punto non resta che studiare il moto e le vono esserlo anche i solidi e i liquidi, l’unica diffe-
sue cause, per capire cosa generi il calore. Lo studio renza essendo dovuta alle diverse forze con le quali
del moto ci condurrà alla scoperta del concetto di i componenti interagiscono tra loro).
forza. Per scaldare due oggetti in moto relativo è
necessario che si manifesti una forza tra essi. Nel ca-
so della carta vetrata sul blocco di metallo, questa
1.6 Campi di forze forza nuova che si manifesta tra fili percorsi da cor-
rente. Interpretando questo fenomeno alla luce della
Facendo gli esperimenti per il trasferimento di calo- nostra ipotesi sulla costituzione della materia po-
re attraverso lo strfinío potremmo aver notato che, tremo verificare che in effetti le particelle elettrica-
in certi casi, i corpi sottoposti a questo trattamento mente cariche in moto sono soggette a questa forza
manifestano la capacità di attrarre altri oggetti o che definiamo magnetica alla quale si può associa-
di attrarre o respingere oggetti della stessa natura re un campo. Sarà quindi opportuno studiare anche
anch’essi sfregati opportunamente contro un altro questo campo.
corpo. Le forze che si manifestano in questi casi non
prevedono alcun tipo di contatto tra gli oggetti, un
po’ come avviene per quelle responsabili della ca- 1.9 Corpi rigidi
duta dei corpi. Giungiamo cosí all’idea di campo e
dell’azione a distanza. I fili conduttori percorsi da corrente sono soggetti a
Dopo una panoramica sulle proprietà generali dei forze dovute alla presenza di campi magnetici e si
campi potremo cosí affrontare lo studio delle forze muovono in seguito al manifestarsi di queste forze.
che agiscono a distanza, come le forze gravitazio- Ma i fili non sono oggetti puntiformi: sono oggetti
nali e quelle elettriche. Lo studio delle forze che estesi peri i quali ogni loro parte è legata alle altre da
sperimentiamo quotidianamente responsabili della forze che fanno in modo che il filo mantenga la sua
caduta degli oggetti ci permetterà di capire la gra- forma. Il problema di comprendere il moto di que-
vità e il moto dei corpi celesti. Lo studio delle forze sti oggetti complicati appare altrettanto complicato,
di natura elettrica ci condurrà a ipotizzare che, se ma in realtà vedremo come sia possibile darne una
i corpi sono costituiti, come sembra, di corpusco- descrizione generale tutto sommato molto semplice.
li molto minuti, almeno una parte di essi deve es-
sere elettricamente carica. Attraverso lo studio dei
fenomeni elettrici capiremo che tutti i fenomeni os-
1.10 Onde elettromagnetiche
servati si possono giustificare con quest’ipotesi e ne Le particelle elettricamente cariche hanno la pro-
concluderemo che la materia dev’essere formata da prietà di essere soggette a forze di natura elettrica
particelle di carica elettrica positiva e negativa, oltre e magnetica e, a loro volta, di essere sorgenti di tali
che di particelle prive di carica. forze. Lo studio del moto di queste particelle, in-
dotto dalla presenza di campi elettromagnetici
permetterà di stabilire che esse stesse devono essere
1.7 Correnti elettriche sorgenti di campi elettromagnetici variabili nel tem-
Per capire come funzionano i campi elettrici utilizze- po che, oltre ad avere carattere ondulatorio, possie-
remo strumenti (i condensatori e le pile) che ci per- dono tutte le altre caratteristiche della luce. È im-
metteranno di osservare un nuovo fenomeno: quello mediato, a questo punto, identificare la luce con il
del passaggio della corrente elettrica, che si può campo elettromagnetico.
sempre spiegare in termini di moto dei corpuscoli
che costituiscono la materia dei conduttori.
1.11 Ancora sulla natura della
luce
1.8 Campi magnetici
Il successo di questa teoria sembra vacillare nel mo-
Lo studio del comportamento delle correnti ci fa- mento in cui scopriamo l’effetto fotoelettrico e le sue
rà fare ancora un’altra scoperta: l’esistenza di una conseguenze, che portano a concludere che la luce,
contrariamente a quanto ci è sembrato finora, sia co- esce sempre con violenza quando la si apre e non
stituita di corpuscoli e non abbia affatto un carat- accade mai che vi rientri o che dell’aria entri nella
tere ondulatorio. L’apparente paradosso (abbiamo lattina? In fondo, secondo tutte le Leggi fisiche sco-
esperimenti che dimostrano che la luce è un’onda perte finora, questo dovrebbe essere possibile: non ci
ed esperimenti che dimostrano il contrario) si su- sono Leggi che lo vietano! La risposta a questa do-
pera grazie alla Meccanica Quantistica che, in- manda verrà dal secondo principio della termo-
sieme alla teoria della relatività rappresenta un dinamica, che ci porterà a considerare l’entropia
pilastro fondamentale della fisica. Non solo per le come un’altra grandezza fisica di cui tenere conto.
innumerevoli (ancorché ignorate) applicazioni, ma
anche perché con esse si chiarisce definitivamente il
significato del metodo sperimentale: quel che si 1.13 Le particelle elementari
misura è, ed esiste, e non ha alcun senso chiedersi
A questo punto sembra che il modello che ci sia-
qual è il reale aspetto dell’Universo, se per questo
mo fatti della materia e delle forze cui è soggetta
s’intende qualcosa di non misurabile sperimental-
sia completo. Ma in realtà, dallo studio dettagliato
mente. Quando misuriamo il tempo con un orologio
delle forze di natura elettrica si capirà che il mon-
a bordo di un satellite GPS, che marcia in modo di-
do dev’essere piú complicato di cosí: le particelle
verso da uno a Terra, non ha senso chiedersi se sia
che compongono la materia dell’Universo sono mol-
l’orologio a marciare diversamente, il tempo a scor-
te di piú rispetto a quelle che possiamo ipotizzare
rere in maniera diversa o se semplicemente il tempo
studiando le interazioni che abbiamo studiato fino-
scorra nello stesso modo ovunque, ma noi non sia-
ra. Scopriremo che esistono intere famiglie di nuove
mo in grado di leggere correttamente quell’orologio:
particelle che interagiscono attraverso forze che si
se non esiste una maniera oggettiva di misurare il
possono pensare, a loro volta, come l’effetto dello
tempo indipendentemente dalla presenza di un oro-
scambio di altre particelle.
logio dobbiamo accettare il risultato sperimentale
secondo il quale il tempo è relativo all’osservatore.
È quanto si dice nell’introduzione a questo capitolo
(e non è sempre stato cosí: per buona parte della
storia umana, da Parmenide ad Einstein, ciò che
è, è sempre stato indipendente da ciò che si può
misurare).
È l’Universo a scegliere come deve funzionare
e non saremo certo noi a imporre all’Universo la
maniera in cui è tenuto a funzionare, solo perché
non siamo capaci di comprenderne il funzionamento
effettivo secondo le nostre convinzioni.
giudizio). Idem dicasi per la bontà del cibo o del- 2.1 Misure e teorie
l’intensità d’un sentimento come l’amore, la rabbia,
l’invidia, etc.. Se ne conclude che queste qualità non Una volta eseguite le misure e determinate le rela-
possono essere oggetto di studio in fisica: sempli- zioni esistenti tra le grandezze fisiche oggetto di stu-
cemente per la fisica non esistono. Naturalmen- dio, si possono formulare teorie a partire da queste.
te questo non vuol dire necessariamente che quelle Una teoria è un insieme organico di equazioni che
qualità non esistano (sono certo di provare certi sen- discendono matematicamente da una o piú leggi fi-
timenti o di apprezzare un buon piatto di bucatini siche determinate sperimentalmente, eventualmente
all’amatriciana), ma che un fisico non può prendere attraverso l’assunzione (talvolta implicita) di ipotesi
in considerazione queste qualità come oggetto dei relative alla maniera di interpretare i risultati delle
suoi studi. Per lo stesso motivo nessun fisico onesto misure. Non esistono teorie fisiche che possano fare a
potrebbe includere tra l’oggetto delle sue ricerche meno di fatti sperimentali. In fisica, dunque, non esi-
l’esistenza di Dio, la cui presenza non è rivelabile stono teorie false, come talvolta si legge su qualche
in maniera oggettiva e certa. Naturalmente questo libro o articolo, proprio perché le teorie non possono
non esclude che lo stesso fisico possa credere in Dio. che essere il risultato dell’analisi di fatti sperimen-
Semplicemente non deve farsi guidare, nel suo la- tali che non possono essere che veri (a meno che,
voro, da convinzioni di carattere personale che non evidentemente, non siano inventati, ma in questo ca-
siano scientificamente dimostrabili. so si tratta di una frode). Perlomeno se all’aggettivo
In definitiva, in fisica, possiamo prendere in con- falso si dà il significato che comunemente spetta a
siderazione solo grandezze fisiche definite opera- questa parola.
tivamente, il cui valore sia determinabile in ma- Per chiarire il senso di quest’affermazione vale la
niera chiara e precisa attraverso una ben determi- pena fare un esempio, anche se non conoscete anco-
nata sequenza di operazioni di misura. Quello che ra le teorie di cui parliamo. Avrete però sicuramente
si fa in fisica è misurare grandezze fisiche e stabili- sentito parlare della teoria geocentrica di Tolo-
re relazioni tra di esse sotto forma di equazioni che meo secondo la quale la Terra si troverebbe al centro
chiamiamo leggi fisiche. Una legge fisica non è in dell’Universo e il Sole e gli altri pianeti ruoterebbero
alcun modo simile a una legge ordinaria varata da attorno ad essa. La teoria fu superata da quella elio-
un Parlamento: la prima rappresenta soltanto una centrica di Copernico che dimostrò come la teoria
relazione tra grandezze fisiche che è stata stabilita di Tolomeo fosse falsa, ponendo al centro dell’Uni-
sperimentalmente, cioè attraverso la misurazione verso il Sole. Quando una teoria fisica è dichiarata
ripetuta e sistematica di almeno due grandezze fi- falsa s’intende dire in realtà che ne esiste un’altra
siche; la seconda è il risultato di una decisione piú che spiega gli stessi fenomeni in modo piú semplice
o meno arbitraria. Quando si dice che il moto dei rispetto alla prima, dove piú semplice significa con
pianeti obbedisce alle Leggi di Keplero s’in- un minor numero di ipotesi non verificabili (o non
tende dire che l’osservazione del moto dei pianeti verificate). Dal punto di vista di chi osserva il moto
ha condotto i fisici (Keplero, nella fattispecie) a ri- del Sole e degli altri corpi celesti stando sulla Terra,
tenere che certe caratteristiche misurabili di questo la teoria di Tolomeo è del tutto plausibile e quindi
moto rivelino una qualche relazione tra loro, che si vera nel senso che, osservando il cielo, se ne ricava
può esprimere attraverso un’equazione. I pianeti, in- l’impressione che tutto ruoti attorno a noi. Se pe-
fatti, se ne infischiano delle leggi che noi formuliamo rò si eseguono osservazioni piú raffinate, si vede che
e non si sognano neppure di obbedire a qualche tipo certi pianeti sembrano muoversi sí su orbite circola-
di regola imposta da noi umani! Sarebbe, in un certo ri attorno alla Terra, ma in certi momenti sembra-
senso, piú corretto affermare che non sono i pianeti no tornare indietro rispetto alla posizione occupata
a obbedire alle Leggi di Keplero, ma che sono queste nei giorni precedenti. Inizialmente quest’osservazio-
ultime a obbedire al moto dei pianeti. ne portò gli studiosi dell’epoca a formulare l’ipotesi
(aggiuntiva) che i pianeti si muovessero sempre su come la Luna, calcolabili grazie alla stessa teoria, si
orbite circolari dette epicicli, il cui centro ruota- dimostrò che le misure si potevano spiegare perfet-
va attorno alla Terra su un’orbita detta deferente. tamente assumendo questa teoria come vera. Addi-
Quest’ipotesi permetteva di spiegare il cosiddetto rittura, quando si scoprí che il moto di Saturno non
moto retrogrado dei pianeti come osservato da era esattamente identico a quello predetto usando la
Terra. La teoria originale di Tolomeo non poteva teoria, s’ipotizzò che esistesse almeno un altro corpo
piú essere vera, senza l’aggiunta di epicicli e defe- celeste che ne perturbava il moto sempre per mezzo
renti, ma dev’essere considerata tale nel limite in della stessa forza: questo corpo celeste (poi battez-
cui le misure si eseguono con precisione modesta zato con il nome di Urano) fu cercato e trovato
(fino a quando non ci si accorge, cioè, della presen- esattamente dove doveva essere secondo la teoria di
za del moto retrogrado). Ben presto, anche la teoria Newton.
di Tolomeo emendata attraverso l’inclusione di epi- Solo il moto di Mercurio rimase senza spiegazione
cicli e deferenti, si dimostrò falsa nel senso che non fino all’inizio del secolo scorso: l’asse maggiore della
riusciva piú a spiegare il moto osservato dei corpi ce- sua orbita infatti, che ha la forma di un’ellisse, sem-
lesti che si discostava da quanto predetto da questa bra ruotare attorno al Sole e questo fenomeno, noto
teoria. Ma fino a quando ci si limita a osservazioni col nome di precessione del perielio non si può
(misure) grossolane la teoria è vera. spiegare con la teoria di Newton. Nei primi anni del
Copernico dimostrò che assumendo che il Sole si secolo XX Albert Einstein formulò una teoria per
trovasse al centro dell’Universo, e non la Terra, si spiegare un fatto sperimentale piuttosto curioso: la
potevano spiegare le osservazioni senza ricorrere a velocità della luce sembrava essere sempre la stes-
ipotesi aggiuntive come quella dell’esistenza di epi- sa, indipendentemente dallo stato di moto relativo
cicli e deferenti. Da questo punto di vista la teoria rispetto a un osservatore. In altre parole, anche se
di Copernico rappresenta una semplificazione della si corre dietro a un raggio di luce alla sua stessa
teoria di Tolomeo. velocità, non lo si vede fermo, ma lo si vede sem-
Solo molto piú tardi Newton dimostrò che i moti pre allontanarsi a 300 000 km/s. La formulazione di
dei pianeti attorno al Sole si potevano spiegare ipo- questa teoria portò a ritenere che la gravità fosse
tizzando che la forza che li muoveva era la stessa che il risultato di una deformazione dello spazio la cui
provocava la caduta degli oggetti qui sulla Terra. Da entità poteva essere predetta conoscendo semplice-
questo punto di vista, la teoria di Newton, rappre- mente la massa degli oggetti. Quest’ipotesi consen-
senta un’ulteriore semplificazione rispetto a quella tiva di spiegare (in un modo che non è affatto facile
precedente perché diminuisce il numero di forze di da illustrare a questo livello) il moto di Mercurio!
cui bisogna ipotizzare l’esistenza per spiegare le os- La teoria di Einstein, in sostanza, possiede anch’es-
servazioni sperimentali. Questa teoria dimostrò pre- sa un’euristica positiva rispetto a quella di Newton e
sto di possedere quella che il filosofo Imre Lakatos di conseguenza quest’ultima dev’essere considerata
chiama euristica positiva: la capacità cioè di spie- falsa. Questo tuttavia non implica che si debba ab-
gare fenomeni estranei a quelli considerati per giun- bandonare totalmente e in effetti la teoria di Newton
gere alla formulazione della teoria. La teoria di New- si usa correntemente in astrofisica e in astronauti-
ton, infatti, spiegava contemporaneamente il moto ca, semplicemente perché entro certi limiti funzio-
di tutti i corpi celesti e dei corpi soggetti alla forza di na perfettamente (e non potrebbe essere altrimenti,
gravità sulla Terra, anche quando le misure si fecero derivando da fatti sperimentali).
piú precise e si scoprirono alcune deviazioni rispet- L’aggettivo falso, in definitiva, in fisica non ha lo
to alle previsioni della teoria. Per esempio, il moto stesso significato che nel linguaggio comune.
della Terra attorno al Sole, predetto con la Teoria
Newtoniana, non era esattamente quello osservato,
ma includendo gli effetti dei corpi celesti piú vicini
2.2 Le misure di base Innanzi tutto le dita non sono tutte uguali; anche
se se ne sceglie uno, il diametro del dito scelto non
Il piú semplice processo per la misurazione di una è uniforme (e la sua sezione non ha nemmeno la
grandezza fisica consiste nel confronto della gran- forma di un cerchio per cui bisognerebbe specifica-
dezza fisica da misurare con una ad essa omoge- re lungo quale asse lo prendiamo); anche in questo
nea (cioè della stessa natura). Una lunghezza, per caso, il mio dito non ha lo stesso spessore di quel-
esempio, è una grandezza fisica perché esiste una lo di un bambino o di quello di un altro qualunque
procedura molto semplice per misurarla. Scegliamo essere umano! Non si tratta dunque di una scelta
qualcosa che a nostro giudizio possieda questa carat- molto sensata. Detto questo, si tratta comunque di
teristica (un righello, una matita, un dito, . . .) e lo un problema pratico che si può risolvere in molti mo-
assumiamo come unità di misura: un oggetto che di e che non presenta particolari problemi di natura
possieda questa stessa caratteristica avrà una lun- fondamentale, perciò non vale la pena soffermarsi
ghezza pari al numero di volte (eventualmente anche troppo su questo aspetto. La moderna definizione
non intero) che l’unità di misura entra nel campione delle unità di misura impiegate in fisica (e non solo)
da misurare. Naturalmente, data l’arbitrarietà con è responsabilità del Bureau International de Poids
la quale si può scegliere l’unità di misura, lo stesso et Measures (BIPM) che ha sede a Parigi, sulla cui
oggetto potrebbe assumere lunghezze diverse secon- pagina web si trovano le necessarie informazioni. In
do l’unità adottata. Per questo, oltre al valore della quello che si chiama il Sistema Internazionale o
misura, occorre riportare anche l’unità adoperata SI la lunghezza, la massa e il tempo sono grandezze
nel comunicare il risultato dell’operazione ad altri. fisiche definite come fondamentali, che si misurano
Anche la misura di peso si esegue per confronto cioè per confronto diretto. Le corrispondenti unità
con un’unità di misura1 . di misura sono il metro (m), il chilogrammo (kg) e
Il tempo è la grandezza fisica che si misura con il secondo (s, non sec come talvolta si legge).
l’orologio. Non è necessario disporre di un vero e Per ogni unità di misura si possono definire multi-
proprio orologio per misurarlo: prima della sua in- pli e sottomultipli, che di solito sono espressi in base
venzione si poteva comunque definire una procedura dieci. Del metro, ad esempio, si definiscono i sotto-
per misurarlo basata sul confronto con la durata del multipli millimetro (mm, corrispondente a 1/1000
giorno (che presenta alcuni problemi pratici che qui di metro o 0.001 m), centimetro (cm, corrispon-
non discutiamo). dente a 1/100 di metro o 0.01 m) e decimetro
È chiaro che, per quanto arbitraria, la scelta del- (dm, 1/10 di metro o 0.1 m). Altri sottomultipli
l’unità di misura dovrebbe seguire certi criteri che molto usati sono il micrometro o micron, pari a
consentano di ottenere risultati stabili quando si mi- 10−6 m, che si indica con il simbolo µm e il na-
sura la stessa grandezza: per esempio, le lunghezze nometro (nm, corrispondente a 10−9 m), oltre al-
si possono misurare in dita, scegliendo il diametro l’Ångström, pari a 10−10 m, indicato con il simbolo
delle dita come unità di misura, ma se si chiede a Å. Per le lunghezze si adopera spesso il multiplo
qualcuno di versarci due dita di vino nel bicchiere, chiamato chilometro (km, pari a 1000 m). Per in-
il risultato può essere molto diverso, secondo i casi. dicare il multiplo o il sottomultiplo si adopera un
1
I fisici usano spesso pignoleggiare sul significato della pa-
prefisso: uno o piú caratteri che precedono il sim-
rola peso, che usano per indicare una forza, in relazione alla bolo dell’unità di misura, che indicano la potenza
parola massa che usano per indicare quel che i comuni mor- di dieci per cui moltiplicare il numero indicato per
tali chiamano peso. In questo frangente specifico la cosa non esprimerlo nell’unità fondamentale.
fa molta differenza perciò useremo la parola peso che comun- I prefissi piú usati sono riportati nella Tabella 2.1,
que è proporzionale alla massa e in ogni caso si determina
per confronto. Al momento comunque non abbiamo alcuna dalla quale si evince che 1 cm corrisponde a 10−2 m,
ragione per dover distinguere tra massa e peso. cioè a 1/100 di metro, e che si pronuncia centi–
metro. Analogamente il milligrammo corrisponde a
Google: nel campo destinato alle parole da cercare con quella della luce. Un corpo che nel SI si muove
digitate la misura completa del simbolo dell’unità, alla velocità di 200 000 km/s, in questo sistema si
seguita dalla parola to seguita, a sua volta, dall’u- muove alla velocità di 2/3. La velocità quindi si può
nità nella quale si vuole convertire (tutto in inglese: considerare adimensionale, cioè priva di dimen-
nel nostro caso avremmo dovuto scrivere 56 cm to sioni fisiche, nel senso che la sua misura è sempre
inches). esprimibile come un rapporto con una grandezza fi-
In certi casi la misura di una grandezza fisica si sica omogenea il cui valore è fissato dalla Natura.
ottiene combinando piú misure di altre grandezze fi- Anche nel SI, la lunghezza si esprime come un rap-
siche. In questo caso la grandezza fisica in questione porto tra quella dell’oggetto da misurare e quella del
si dice derivata. Quando si combinano piú misure metro campione, ma la lunghezza di quest’ultimo è
per costruire una grandezza fisica derivata, l’unità il risultato di una nostra scelta e perciò si dice che
di misura della grandezza fisica in esame si ottiene la lunghezza ha dimensioni fisiche (quelle di una
moltiplicando o dividendo tra loro le unità di misu- lunghezza, appunto). Se le velocità si misurano in
ra delle grandezze fisiche che sono state usate per frazioni di velocità della luce e i tempi si misurano
determinarla. Per conoscere l’area di un rettangolo in secondi, le lunghezze non hanno piú un carattere
si devono misurare le lunghezze dei suoi lati: se il fondamentale, ma sono grandezze fisiche derivate:
lato del rettangolo si misura in metri (m), l’area si si ricavano cioè dalla combinazione di misure di na-
misura in metri quadri (m2 ) e si dice che ha le di- tura diversa. Per sapere quanto è lungo un oggetto
mensioni fisiche di una lunghezza al quadrato. La si deve misurare il tempo che impiega la luce per
natura della grandezza fisica si esprime scrivendo giungere da un estremo all’altro: il valore della mi-
il simbolo corrispondente (L per le lunghezze) tra sura dunque si esprime in unità di velocità della
parentesi quadre, come in luce (che è adimensionale), moltiplicate per le unità
di misura del tempo (s). In questo sistema dunque
[lato del rettangolo] = [L] (2.4) le lunghezze hanno le stesse dimensioni fisiche dei
tempi e si misurano in secondi2 .
e in
Dal momento che una legge fisica è una relazione
tra grandezze fisiche che si esprime come un’equa-
[area del rettangolo] = L2 . (2.5)
zione o una disequazione, è evidente che una gran-
La velocità di un corpo che si muove rappresenta dezza fisica può solo essere uguale (o comparata) a
la distanza percorsa per unità di tempo e quindi si un’altra grandezza fisica ad essa omogenea, perciò
misura determinando quanto spazio è stato percorso è impossibile che in una legge fisica compaiano a
in un’unità di tempo e si esprime come il rapporto primo membro grandezze fisiche con dimensioni di-
tra una distanza e un tempo. Di conseguenza ha le verse da quelle che compaiono a secondo membro. I
dimensioni di una lunghezza divisa per un tempo, due membri della relazione devono necessariamente
cioè avere le stesse dimensioni fisiche realizzando quella
che si chiama un’equazione dimensionale. La leg-
[velocità] = LT −1 . (2.6)
ge fisica che esprime lo spazio percorso in un tempo
e si misura in m/s o in multipli di queste unità (per t da un corpo che si muove a velocità costante pari
esempio in km/h). avè
È utile osservare che la natura fondamentale di
una grandezza fisica è anch’essa il risultato di una x = x0 + vt (2.7)
scelta arbitraria. Ad esempio, un’altra possibile scel- 2
L’anno luce, in effetti, è una misura di lunghezza corri-
ta consiste nel definire le velocità come grandezze spondente alla distanza che la luce percorre in un anno. In
fisiche fondamentali che si misurano confrontandole questo caso un’unità di misura di tempo (l’anno) s’impiega
per indicare una distanza.
(2.8)
−1
[T ] = LT −1 T = [L] ,
LT
come ci si aspetta se l’equazione è corretta. Le equa- misurare volumi pari a un numero intero di pinte.
zioni dimensionali sono un formidabile strumento di Non potete misurare frazioni di questo volume, per-
controllo della correttezza di un risultato e bisogna ché la forma del bicchiere non è regolare e l’assenza
imparare a servirsene. Sebbene nessuno possa ga- di tacche che riportino i valori intermedi impedisce
rantire che un’equazione dimensionalmente corretta di fare una misura (si può fare una stima, non una
sia giusta, è invece certo che un’equazione dimensio- misura).
nalmente incoerente è senza alcun dubbio sbagliata! Se invece di un boccale da birra si usa una caraffa
Se scrivessimo, per errore, che graduata, si possono misurare anche volumi diversi
da quello della caraffa intera. Lo strumento si dice
x = x0 + vt2 (2.9) graduato.
Se dovete preparare le tagliatelle fatte in casa do-
vedremmo subito che il secondo addendo a secon-
vete usare una certa quantità di farina, tipicamente
do membro ha le dimensioni di una velocità per un
espressa in grammi. Se non avete una bilancia po-
tempo al quadrato, cioè di [LT −1 T 2 ] = [LT ], che
tete misurare il volume della farina e, conoscendone
non sono quelle giuste, perché a primo membro c’è
la densità, ricavare il valore che vi serve attraverso
una lunghezza!
un’operazione di misura indiretta: in pratica non
si misura direttamente la grandezza fisica cui si è
2.3 Gli strumenti interessati, ma una o piú grandezze che si sa posse-
dere una relazione con quella principale. Sapendo,
Il modo piú semplice di eseguire una misura consi- ad esempio, che un volume di farina pari a un litro
ste nel confrontare direttamente l’oggetto da misu- pesa circa 800 g, avendo bisogno di 500 g di farina
rare con uno strumento: una copia del campione servono
dell’unità di misura che dunque possiede le stesse
caratteristiche dell’oggetto da misurare. 1`
V = 500 g × = 0.625 ` (2.10)
Per esempio, per misurare un volume, potete usa- 800 g
re un bicchiere da birra da una pinta, che corrispon- di farina. Invece di dover fare ogni volta questi conti,
de a quasi mezzo litro. Con questo strumento potete potete comprare in un negozio di casalinghi una ca-
Esercizio 2.1 Caratteristiche degli strumenti quindi le proprietà delle potenze abbiamo scritto
102 × 109 = 1011 .
Cerca almeno cinque strumenti di misura in ca- La notazione non è solo piú compatta. Permet-
sa (righello, bilancia, orologio, termometro, gonio- te anche di eseguire i calcoli rapidamente in ma-
metro, cilindro graduato, etc.). Identifica il tipo di niera semplificata o approssimata. Se, ad esem-
strumento e stima, se possibile, le caratteristiche di pio, volessimo calcolare la distanza tra il Sole e la
portata, precisione, accuratezza e sensibilità. Ese- Luna sapendo che quest’ultima dista dalla Terra
gui alcune misure con ciascuno di essi. Se possiedi LT L = 300 000 km, dovremmo sommare tra loro
uno strumento con una doppia scala (per esem- due numeri molto grandi e poco maneggevoli. Se
pio un righello con indicate le lunghezze in cm e però esprimiamo LT L in notazione scientifica come
in pollici, una bilancia con indicazione in kg e lib- LT L = 3 × 108 m vediamo subito che l’esponente di
bre) esegui alcune misure e fai un grafico del valore 10 nei due casi è molto diverso. Quello di LT L , 8, è
in un’unità in funzione del valore nell’altra unità.
parecchio piú piccolo di 11, che è quello di LST (ri-
Prova a ricavare, da questo grafico, la relazione che
cordate che ogni unità corrisponde a una differenza
esiste tra le diverse unità di misura.
di un fattore 10). LT L è del tutto trascurabile rispet-
to a LST e possiamo dire che LST + LT L ' LST . Se
invece dobbiamo sommare a LST una distanza pari
2.4 Notazione scientifica a d = 324.26 milioni di km, possiamo scrivere d in
notazione scientifica come d = 3.2426 × 1011 m ed
Risulta molto comodo esprimere i multipli di dieci eseguire la somma usando la proprietà associativa:
come potenze nella cosí detta notazione scientifi-
ca che consiste nell’esprimere il valore di una misura LST + d = (1.49 + 3.2426) × 1011 m
come un numero compreso tra 1 e 10, moltiplicato (2.13)
= 4.7326 × 1011 m .
per un’opportuna potenza di dieci. La distanza tra
il Sole e la Terra LST , ad esempio, è di 149 milioni L’uso della notazione scientifica rende anche eviden-
di km, circa. Se dovessimo esprimere questo numero te l’ordine di grandezza di una misura, che ne
in unità del SI, dovremmo scrivere definisce la scala alla quale avviene un determina-
to fenomeno. L’ordine di grandezza è rappresentato
LST = 149 000 000 000 m , (2.11) dall’esponente del valore della misura espressa in
ricordando che 1 km=1000 m. La stessa distanza si notazione scientifica. Per esempio, l’ordine di gran-
può esprimere come dezza della distanza Sole–Terra è 10 m, mentre
11
con una espressa in km. Prima dobbiamo avere le n TA (s) TB (s) n TA (s) TB (s)
due grandezze espresse nella stessa unità di misura. 1 1.13 1.30 14 1.06 1.35
Il risultato sarà la grandezza espressa nelle unità 2 1.10 1.25 15 1.05 1.35
impiegate. 3 1.02 1.49 16 1.02 1.34
4 1.09 1.40 17 1.14 1.45
5 1.10 1.43 18 1.14 1.31
2.5 Un esperimento istruttivo 6 1.10 1.36 19 1.14 1.27
7 1.09 1.39 20 1.14 1.35
Fate il seguente esperimento: appendete un peso a 8 1.06 1.40 21 1.13 1.35
un filo e fatelo oscillare, misurando con un crono- 9 1.06 1.34 22 1.21 1.28
metro il periodo di oscillazione (cioè il tempo che 10 1.10 1.25 23 1.17 1.28
intercorre tra quando il peso si trova in una cer- 11 1.14 1.04 24 1.25 1.41
ta condizione, per esempio quella di partenza, e l’i- 12 1.14 1.41 25 1.14 1.35
stante in cui torna a occupare la stessa condizione). 13 1.18 1.32 26 1.13 1.40
Non serve disporre di strumentazione molto sofisti-
cata: basta prendere un mazzo di chiavi appeso a un Tavola 2.2 Misure eseguite da due studen-
laccetto e usare uno smartphone come cronometro ti del periodo di oscillazione di
un pendolo.
(ci sono centinaia di app gratuite che consentono
di misurare tempi con precisioni del centesimo di
secondo).
Eseguite la misura insieme a un compagno o una perato da Bruno ha una sensibilità dell’ordine del
compagna (se le prime volte ci sono problemi nel- centesimo di secondo. La misura eseguita da Bruno
lo stabilire l’istante di partenza o nel manovrare i quindi è 1.30 s perché Bruno ha potuto leggere sul
cronometri ripetete la misura fino a quando non vi display del suo smartphone il numero 1.30 e non 1.3.
sentite sicuri). Molto probabilmente troverete valori Anna e Bruno hanno eseguito 26 misurazioni e il
diversi: poniamo che siano 1.13 s e 1.3 s. Che succe- fatto che le misure non siano sempre uguali l’una al-
de? Il tempo di oscillazione delle chiavi dev’essere lo l’altra indica che nel processo di misura sono presen-
stesso, indipendentemente da chi lo misura. Uno di ti elementi che fanno fluttuare i valori in un modo
due deve aver sbagliato. Ripetiamo l’operazione. Al che sembra casuale. In effetti è facile interpretare
secondo tentativo nessuna delle due nuove misure è il risultato ottenuto assumendo che effettivamente
uguale a quella di prima (1.1 s e 1.25 s nell’esercizio il mazzo di chiavi oscilli sempre con lo stesso pe-
che hanno svolto i nostri studenti). Vuol dire che riodo, ma che ogni volta che si esegue la misura i
si sono sbagliati tutti? Come si fa a decidere qual riflessi degli studenti non sono costanti e talvolta
è la misura giusta e qual è quella sbagliata? Conti- gli studenti fanno partire il cronometro un po’ in
nuiamo a misurare, ottenendo valori sempre diversi, anticipo, talvolta un po’ in ritardo (e lo stesso acca-
solo talvolta uguali a quelli già ottenuti. Nella Ta- de quando lo fermano). Se sostituissimo gli studenti
vola 2.2 sono riportate le misure eseguite da due con fotocellule o con altri sistemi (in questi casi è
studenti (Anna e Bruno). utile un’app chiamata Physics Gizmo, disponibile
Prima di analizzare il contenuto della tabella os- per smartphone Android, che permette di usare il
serviamo il modo in cui è stata redatta: avrete nota- sensore di prossimità dei telefoni per far partire e
to che il primo tempo misurato da Bruno di 1.3 s in fermare un timer) otterremmo probabilmente una
tabella è stato rappresentato come 1.30 s, aggiun- minore variabilità, che tuttavia non sarebbe annul-
gendo uno zero non significativo. Quello zero, in ef- lata completamente. Il fatto è che a ogni tentativo
fetti, non è matematicamente significativo, ma lo anche le condizioni del mazzo di chiavi non sono le
è invece per la fisica. Indica che lo strumento ado- stesse: non è detto che parta sempre rigorosamente
da fermo: talvolta lo sperimentatore applica invo- La somma di tutti gli n(k), per ognuno dei valori
lontariamente una piccola spinta. Anche la resisten- possibili k, dev’essere evidentemente uguale a N :
za opposta dall’aria al moto delle chiavi influisce su X
questo tempo. Questa resistenza a sua volta dipende n(k) = N (2.14)
dalle condizioni locali dell’aria come velocità, umi- {k}
dità, temperatura, pressione, etc.. Insomma ci sono e quella delle f (x) dev’essere naturalmente uguale
decine di effetti che possono contribuire ad aggiun- a 1:
gere o a sottrarre al tempo vero T una quantità di
tempo variabile di volta in volta. Insomma, il ri-
sultato di una misura non è un valore certo, unico, X X n(k) 1 X N
f (k) = = n(k) = = 1.
perfettamente determinato: è sempre il risultato del N N N
{k} {k} {k}
sommarsi di tanti effetti casuali e pertanto è esso (2.15)
stesso un numero casuale. Questo non vuol dire Di conseguenza, tenendo conto del fatto che n(k) >
affatto che è del tutto privo di significato! 0, dev’essere sempre 0 6 f (k) 6 1. Le condi-
zioni (2.14) e (2.15) si chiamano condizioni di
2.6 Proprietà statistiche delle normalizzazione. Fate l’esercizio di lanciare 100 volte un dado e
variabili casuali scrivete su un foglio elettronico i punteggi ottenu-
ti3 . Nell’esercizio che abbiamo fatto noi i primi dieci
Per capire come gli effetti casuali influenzino le mi- numeri estratti sono
sure dobbiamo studiare il comportamento delle va-
riabili casuali. Dal momento che questo è un manua-
le di fisica sperimentale e non di matematica, per {x} = 5, 1, 5, 5, 1, 6, 2, 2, 5, 2 . (2.16)
capire le proprietà delle variabili casuali, possiamo
fare qualche esperimento con qualcosa che abbia na- Costruiamo l’istogramma contando il numero di
tura aleatoria, come il lancio di un dado, lasciando volte in cui compare ciascuno dei possibili valori
una trattazione formale e rigorosa dell’argomento k = 1, . . . , 6: n(1) = 2, n(2) = 3, n(3) = n(4) = 0,
all’insegnante di matematica. n(5) = 4 e n(6) = 1. Corrispondentemente le fre-
Lanciando N volte un dado si possono ottenere quenze sono f (1) = 0.2, f (2) = 0.3, f (3) = f (4) =
tutti i possibili punteggi da 1 a 6. Se si conta il nu- 0, f (5) = 0.4 e f (6) = 0.1. La variabilità è piuttosto
mero n(x) di volte che esce il punteggio x e si riporta ampia e non sembrano esserci regole precise seguite
su un grafico n(x) in funzione del punteggio stesso si da questi numeri. Provando con 30 lanci i valori che
costruisce quel che si chiama un istogramma. In- abbiamo trovato sono riportati in Tabella 2.3 (non
dicando con {k} l’insieme di tutti i possibili valori vi fidate e fate da soli l’esperimento).
della variabile casuale x e con k uno dei suoi ele- Si può notare come, all’aumentare di N , le n(x)
menti, costruendo un istogramma, per ciascuno dei assumono valori sempre piú simili tra loro e, di con-
possibili valori della variabile casuale x ∈ {k}, si ri- 3
Invece di lanciare un vero dado, per far prima potete
porta il numero di volte n(x) che x = k per ciascuno contare sulla capacità dei computer di estrarre numeri ca-
dei possibili valori che k può assumere. Si può an- suali con le stesse proprietà statistiche dei punteggi di un
che fare un istogramma riportando in funzione dei dado. Basta scrivere l’opportuna funzione in ciascuna cel-
valori possibili della variabile casuale, questo stes- la del foglio per ottenere un numero casuale. Secondo i casi
(Excel, Numbers, OpenOffice, Google Spreadsheet, etc.) le
so numero normalizzato, cioè diviso per il numero funzioni hanno nomi diversi, ma il loro nome comincia qua-
totale di estrazioni N , f (x) = n(x)/N che prende il si sempre pre RAND. Per esempio, usando i fogli elettronici
nome di frequenza. di Google potete usare la funzione RANDBETWEEN(1,6) per
estrarre numeri casuali compresi tra 1 e 6.
N = 10 N = 30 N = 100 N = 1000
k n(k) f (k) n(k) f (k) n(k) f (k) n(k) f (k)
1 2 0.2 3 0.10 15 0.15 162 0.162
2 3 0.3 8 0.27 17 0.17 178 0.178
3 0 0.0 2 0.07 16 0.16 165 0.165
4 0 0.0 3 0.10 17 0.17 173 0.173
5 4 0.4 8 0.27 20 0.20 170 0.170
6 1 0.1 6 0.20 15 0.15 152 0.152
Tavola 2.3 Istogramma dei valori e delle
frequenze per i lanci di un da-
do eseguito N = 10, N = 30 e
N = 100 volte.
200
tutto lo spazio dei possibili valori di k. Quello che si
vede sperimentalmente è che i valori della frequen-
150 za f (k), all’aumentare di N diventano via via piú
uniformi e sempre piú simili proprio a 1/6 ' 0.167.
100 Possiamo quindi dire, solo sulla base dell’esperienza,
che
50
lori sempre piú vicini a 0.17. In particolare, se per Questo è uno dei modi in cui si esprime quella che
n = 10 la differenza tra il valore massimo e minimo si chiama Legge dei grandi numeri.
di f (x) è 0.4, per N = 30 diventa 0.20 fino ad arri- Se invece di lanciare un solo dado ne lanciamo
vare, per N = 100 a 0.05. Addirittura per N = 1000 due, i possibili punteggi che possiamo ottenere van-
(la cui distribuzione di può vedere in Fig. 2.5) questa no da 2 a 12, ma, se ci pensate un attimo, la di-
differenza si riduce a 0.026. stribuzione di questi punteggi non è piú uniforme
Se definiamo la probabilità di ottenere il pun- (potete vederla nella Fig. 2.6). Il valore 2 si può ot-
teggio k, p(k), come il rapporto tra il numero dei tenere, cosí come il valore 12, solo se tutti e due i
casi in cui si può ottenere k (1) e quello di tutti i dadi presentano lo stesso punteggio: 1 + 1 oppure
casi possibili (6), abbiamo che p(k) = 1/6 ' 0.167 6 + 6. Il punteggio 7, invece, si può ottenere in una
per ogni valore di k. Diciamo quindi che i risultati moltitudine di modi: 1 + 6, 2 + 5, 3 + 4. Questo
del lancio di un dado sono distribuiti uniforme- implica che il punteggio 7 ha una probabilità che è
mente nel senso che la probabilità di ottenere uno un fattore 6 piú alta rispetto a quella di ottenere i
qualunque dei punteggi è uniforme, cioè la stessa, in
200
La statistica di Bayes
La statistica moderna considera inadeguata la
definizione di probabilità data nel testo. In effet- 150
non è cosí. Una misura è sempre affetta da erro- una certa variabilità del tutto casuale su numerosi
re perché è impossibile dire con precisione assoluta fattori: la somma di questi effetti casuali porta sem-
quanto valga una grandezza fisica. Le misure infatti pre a una distribuzione gaussiana, qualunque sia la
si possono eseguire solo attraverso l’uso di qualche distribuzione delle variabili che provocano le flut-
strumento che necessariamente deve esprimere il ri- tuazioni. Si può dimostrare che, per un numero di
sultato della misura come un numero con un numero misure molto alto, al limite infinito, il valor medio
finito di cifre. Non esiste alcuno strumento in grado hmi o semplicemente media delle misure, definito
di fornire l’esatta misura dell’area di un cerchio di come
raggio unitario, che vale π, perché π è un numero
che si può scrivere solo con un numero infinito di N
cifre. Le cifre con le quali possiamo esprimere qua- hmi =
1 X
mi =
1
(m1 , m2 , . . . , mN ) (2.22)
lunque misura sono necessariamente finite, perciò N i=1 N
non potremo mai sapere, avendo indicato la misura
con x, se il suo vero valore non sia x ± dx qualora coincide con la posizione del picco della gaussiana.
dx sia piú piccolo della sensibilità dello strumento! Si dice che la media è un buon estimatore del pic-
Per esempio, se misuriamo il peso4 di un pacco di co della gaussiana. Nell’espressione della media mi
pasta usando una comune bilancia da cucina, pos- sono le N misure ottenute.
siamo leggere sul display il numero 1.002, se la bilan- Seguendo l’esempio sopra potremmo dire che non
cia può mostrare fino a quattro cifre. Non possiamo conosciamo di fatto il peso dei pacchi di pasta, ma
sapere se il peso del pacco di pasta è effettivamente sappiamo che ogni pacco di pasta ha un peso che
1.0023 o 1.0019, perché la bilancia non può mostrare varia in un intervallo mmin − mmax . Perciò potrem-
la cifra in piú necessaria per esprimere correttamen- mo affermare, sapendo che il valor medio dei pesi
te il peso. Abbiamo quindi un’indeterminazione che misurati sta grosso modo al centro dell’intervallo,
potremmo stimare in ±0.001 unità di misura della che il peso dei pacchi di pasta è
bilancia (presumibilmente kg). Il modo corretto di
mmax − mmin
esprimere la misura è dunque M = hmi ± (2.23)
2
M = (1.002 ± 0.001) kg . (2.21) prendendo la semiampiezza dell’intervallo dei va-
lori trovati come errore sulla misura del peso m.
Con questa notazione, di fatto, ammettiamo di non
Quest’ampiezza prende il nome di semidisper-
conoscere il peso esatto del pacco, ma di essere cer-
sione massima. Nel caso della misura del peso
ti che il peso sia compreso in un intervallo di am-
di un singolo pacco di pasta l’espressione M =
piezza pari a 1 g in piú o in meno rispetto al valo-
(1.002 ± 0.001) kg indicava il fatto che avevamo
re centrale di 1.002 kg; in definitiva stiamo dicen-
un’incertezza di 0.001 kg sul valore vero della mi-
do che sappiamo soltanto che il pacco di pasta ha
sura, ma che in fondo eravamo certi del fatto che,
un peso compreso tra 1.002 − 0.001 = 1.001 kg e
misurando un’altra volta proprio quel peso, avrem-
1.002 + 0.001 = 1.003 kg.
mo ottenuto lo stesso valore. Questo non è piú vero
Se misuriamo il peso di piú pacchi di pasta, po-
nel caso della misura di un pacco di pasta qualun-
tremmo trovare valori diversi attorno a quello no-
que: non possiamo escludere che, misurando un altro
minale di un chilo. Se osserviamo la forma della
pacco di pasta il suo peso si trovi all’esterno dell’in-
distribuzione dei pesi una volta fatto l’istogramma
tervallo di semidispersione trovato. Naturalmente la
vediamo che i dati si distribuiscono in modo piú o
probabilità che questo accada sarà piccola, ma non
meno gaussiano. Il motivo è semplice: nel processo
nulla! In teoria un qualunque pacco di pasta (che
di produzione e confezionamento della pasta è insita
potrebbe appartenere a un lotto diverso da quelli
4
Vale sempre la nota di pagina 18. usati per ottenere la distribuzione) potrebbe avere
Non ci pare il caso in questa sede di dover entrare trovi all’esterno di un intervallo ampio 3σ è inferiore
nel merito del perché le due definizioni sono diverse all’1 %.
per quel −1, ma possiamo dare una non dimostra- Se questo è il significato che diamo all’errore di
zione della maggior correttezza della forma (2.30) una misura, allora non possiamo piú esprimere il ri-
osservando che per poter stimare una varianza è ne- sultato della misura del peso di un pacco di pasta co-
cessario fare piú di una misura! Se N = 1 la varianza me M = (1.002 ± 0.001) kg perché questo avrebbe
è di fatto infinita perché non possiamo sapere, ripe- un significato diverso (se ripesiamo lo stesso pacco
tendo la misura, quale sarà la probabilità di trova- di pasta troviamo sempre lo stesso numero e cioè
re un valore piú o meno vicino a quello ottenuto. un valore compreso tra 1.001 e 1.003). Perché l’in-
L’N − 1 a denominatore fa proprio diventare infini- formazione sia la stessa dobbiamo fare in modo che
ta la varianza in questo caso e di fatto impone di l’errore fornito sulla misura corrisponda a un inter-
fare almeno due misure. vallo che contiene circa 2/3 dei potenziali valori, il
Se contiamo quanti eventi càpitano all’interno che significa che l’errore corretto da assegnare a que-
dell’intervallo ±σ attorno a hT i, che va da 1.12 − sta misura è 0.001/3 ' 0.0003 e pertanto la misura
0.05 = 1.07 (stiamo prendendo σ = 0.053 ' 0.05) a si esprime come
1.12+0.05 = 1.17, troviamo che ce ne sono 175 : poco
piú del 65 % del totale (che è 26). L’area compresa M = (1.0020 ± 0.0003) kg . (2.32)
tra la curva di Gauss e l’asse delle ascisse vale 1, e
Avrete notato che abbiamo aggiunto uno zero
se si calcola quella compresa tra la curva di Gauss
non significativo dopo 1.002 facendolo diventa-
e la porzione di asse della ascisse che va da µ − σ a
re 1.0020. Questo perché l’errore con il quale cono-
µ + σ si trova che vale circa 0.68. Dal momento che
sciamo quel numero si trova sulla quarta cifra deci-
stiamo facendo l’ipotesi che le frequenze approssi-
male, quindi dobbiamo rappresentare il numero in
mino le probabilità, il fatto d’aver trovato 17 eventi
quel modo. In effetti si può dimostrare che la de-
su 26 che risiedono all’interno di un intervallo am-
viazione standard di una variabile
√ casuale con di-
pio ±σ attorno al valor medio significa che abbiamo
stribuzione uniforme vale 1/ 12 ' 1/3 l’ampiezza
una probabilità di circa il 65 % (cioè di circa 2/3)
dell’intervallo dei valori permessi.
di trovare un valore compreso in questo intervallo
rifacendo una misura di tempo.
Se quindi si esprime la misura di tempo come 2.9 Errori sistematici
T = (1.12 ± 0.05) s (2.31) Gli errori di cui si tratta nel paragrafo precedente
sono di natura statistica, ma nell’eseguire una mi-
s’intende che ci sono 2 probabilità su 3 che, ripe-
sura si può incappare in un’altra fonte di errore:
tendo una misura di T , si trovi un valore compreso
gli errori sistematici. Gli errori statistici provoca-
tra 1.07 e 1.17. Prendiamo convenzionalmente que-
no fluttuazioni attorno al valore vero di una misura
sta misura come quella che fornisce a chi legge l’in-
che possono essere sia positive che negative, quindi
formazione corretta circa la precisione delle misure.
in media sono da considerarsi nulli ed è per questo
Questo significa che dobbiamo aspettarci, in una se-
che assumiamo il valor medio delle misure come il
rie di M misure, che circa 1/3 di queste si trovi fuori
valore vero (che scriviamo sempre in corsivo perché
dell’intervallo. Si vede facilmente che la probabilità
il concetto di valore vero non esiste in fisica, dal
di trovare una misura all’esterno di un intervallo di
momento che non possiamo misurarlo).
±2σ è del 5 % circa, mentre quella che la misura si
Gli errori sistematici, invece, sono dovuti a fe-
5
Dobbiamo sempre scegliere se includere o meno gli eventi nomeni che tendono a spostare il valor medio dei
ai bordi dell’intervallo, ma per quanto stiamo discutendo la risultati rispetto al valore che si avrebbe se tali fon-
differenza è irrilevante.
ti di errore fossero assenti. Per fare un esempio, se
si usa un righello le cui tacche siano state incise a Il fatto è che uno dei due deve aver commesso
una distanza leggermente piú piccola o leggermente qualche errore sistematico che sposta tutta la di-
piú grande di 1 mm, le misure di lunghezza eseguite stribuzione sulla destra (se la colpa è di Bruno) o
con quel righello risulterebbero sempre piú grandi o sulla sinistra (se è di Anna). Ci possono essere molte
sempre piú piccole di quelle eseguite con un righello ragioni per cui si verifica un’eventualità del genere e
a norma. questo esempio chiarisce perché un fisico non si ac-
Gli errori sistematici possono provenire dalle fon- contenta mai dei risultati ottenuti da un solo gruppo
ti piú disparate: inaccuratezza degli strumenti (co- di ricercatori, ma pretende che la stessa misura sia
me nel caso del righello), non trascurabilità di effet- ripetuta da piú persone prima di poterla considerare
ti spuri (misurando una temperatura si deve tener affidabile.
conto del calore disperso nell’ambiente), influenza Il controllo incrociato è indispensabile proprio per
dello strumento sulla misura (se lo strumento è fred- valutare l’eventuale presenza di errori sistematici
do, quando si misura la temperatura di un oggetto (la presenza di una discrepanza implica l’esistenza
parte del calore serve a scaldare lo strumento), etc.. di qualche sistematica, ma non è vero il vicecersa:
Se consideriamo, per esempio, i dati raccolti da se due misure sono compatibili non è affatto det-
Bruno, che ha misurato gli stessi tempi con un cro- to che non siano affette da qualche tipo di errore
nometro diverso, vediamo che il valor medio del- sistematico).
le sue misure è diverso da quello di Anna, essendo Non esistono tecniche standard per la valutazione
hT i = 1.34, con una deviazione standard di 0.085 dell’errore sistematico, proprio perché può derivare
(rifate i calcoli). In sostanza le due misure, quella di dalle cause piú disparate. L’unica cosa che si può
Anna che indichiamo con TA e quella di Bruno per fare è cercare di stimarlo e di ridurlo al minimo.
la quale usiamo il simbolo TB sono Una prima stima molto semplice consiste proprio
nel confrontare le misure fatte da sperimentatori e
TA = (1.12 ± 0.05) s , con strumenti diversi.
(2.33)
TB = (1.34 ± 0.09) s . Non possiamo stabilire chi tra Anna e Bruno ab-
Prima di sostenere che i due numeri sono diversi è bia introdotto una qualche sorgente di errore siste-
necessario stabilire che lo siano davvero. In effetti, matico nella misura (forse tutti e due). È chiaro che
il fatto che i valori medi siano diversi non ha alcu- c’è di mezzo un qualche errore sistematico che, a dif-
na importanza: per dire che due numeri sono ugua- ferenza di quello statistico che può essere solamente
li, in fisica, non si confrontano i valori medi, ma ridotto entro certi limiti, si può eliminare attraverso
gli intervalli d’incertezza. Infatti, a quanto ne sap- un’accurata progettazione dell’esperimento. In que-
piamo, la misura di Anna è un qualunque numero sti casi è necessario eseguire altre misure, control-
compreso tra 1.07 s e 1.17 s, mentre quella di Bru- lando tutti i parametri che possono dar luogo all’in-
no è un numero compreso tra 1.34 − 0.09 = 1.25 s e sorgere di qualche effetto che spinge il valore della
1.34+ 0.09 = 1.43 s. Se gli intervalli si sovrappongo- misura in una direzione piuttosto che nell’altra. Ad
no anche parzialmente le due misure sono compa- esempio, si deve provare a eliminare l’effetto sogget-
tibili: rappresentano cioè lo stesso valore. Nel caso tivo di chi acquisisce le misure impiegando un siste-
in esame il valore piú alto compatibile con le misure ma automatico di acquisizione dati (che grazie alle
di Anna è 1.17 s, mentre quello piú basso trovato da moderne tecnologie è ormai facilissimo realizzare a
Bruno vale 1.25 s. Le due misure di tempo sono ef- costo praticamente zero).
fettivamente tra loro incompatibili. Questo natu- L’aver fatto almeno due misure ci permette di va-
ralmente non è possibile: entrambi hanno misurato lutare l’ordine di grandezza dell’errore sistematico
gli stessi tempi, quindi le misure possono fluttuare, che si può stimare (la stima è necessariamente molto
ma devono essere compatibili! rozza) come grosso modo
Naturalmente potrebbe anche essere T1 = 1.07, per avendo moltiplicato T e σ per 1/2 e avendo appros-
cui simato il valore di 0.025 a 0.03. Potevamo aspettar-
celo, in effetti: se abbiamo una misura con un errore,
T4 = 4T1 = 4 × 1.12 = 4.28 s . (2.37) stirando o contraendo la misura l’errore si espande
o si contrae dello stesso fattore.
In altre parole T4 sarà un numero compreso tra Ma tutti sappiamo che moltiplicare un numero x
4.28 s e 4.68 s. L’intervallo entro il quale può va- per un numero y equivale a sommare y volte il nume-
riare il suo valore è ampio 4.68 − 4.28 = 0.40 s: ro x: cosí 4T = T + T + T + T , quindi ci si potrebbe
esattamente quattro volte l’ampiezza dell’interval- aspettare che l’errore sulla somma di quattro misu-
lo d’incertezza di T1 . In generale possiamo dire che re di tempo sia il quadruplo dell’errore sulla singola
l’errore da attribuire a una grandezza che si calcola misura. Proviamo. Dividiamo le 26 misure di Anna
come y = Cx dove C è una costante e x il risultato in 6 gruppi di quattro misure (lasciando fuori due
di una misura è misure). Facendo riferimento alla Tabella 2.2, som-
miamo tra loro le due misure di Anna su due righe
σy = Cσx (2.38) consecutive (quindi, per esempio, il primo numero
con ovvio significato dei simboli, cosí T4 va espresso si ottiene sommando 1.13 + 1.06 + 1.10 + 1.05). I va-
come lori che otteniamo sono: 4.34, 4.27, 4.48, 4.42, 4.54
e 4.67, la cui media vale T40 = 4.45. La deviazio-
T4 = (4.5 ± 0.2) s , (2.39) ne standard di ciascuna singola misura, per quanto
sopra vale 0.05 quindi ci si potrebbe attendere una
essendo 4 × 0.05 = 0.2. Notate che abbiamo appros-
deviazione standard attorno a 0.2 per questi valori.
simato il valor medio a un numero che si scrive con
Se la calcoliamo otteniamo
una cifra dopo la virgola perché l’errore è su quella
cifra decimale.
Quest’osservazione ci porta subito a escogitare
v
u
u 1 X N
una maniera per misurare questo tempo con pre- σT40 = t 0
(T4i − hT40 i)2 ' 0.14 (2.41)
cisione migliore: se invece di misurare il periodo di N − 1 i=1
un pendolo Anna avesse misurato il tempo necessa-
rio a compiere n oscillazioni (per esempio n = 5), che è circa la metà! In effetti, secondo la statistica,
avrebbe trovato il valore di Tn con un errore σn e ci si aspetta che l’errore sulla somma di questi quat-
avrebbe potuto trovare il valore di T1 dividendo il tro numeri sia proprio due volte l’errore sul singolo
valore misurato e il suo errore per n. Attenzione numero e non quattro. Proviamo a capire perché
a non farvi ingannare: questo non riduce arbitra- con un esempio nel quale si sommano due numeri
riamente l’errore perché la misura, per esempio, di x e y. Se x e y sono affetti da errore e con essi si
cinque oscillazioni, fluttua piú della misura di una costruisce la grandezza fisica z = x + y potrà acca-
sola oscillazione perché il tempo durante il quale dere che x fluttui fino a x + σx e che y fluttui fino a
gli effetti casuali intervengono è quintuplicato; però y + σy per cui z sarà z = x + y + σx + σy e, in effetti,
fluttua rispetto al valore centrale z di una quantità che le grandezze di cui abbiamo parlato finora x e y
pari alla somma degli errori su x e y. Ma questo non possono essere definite negative, quindi anche l’er-
accade sempre! Molte volte succederà, ad esempio, rore su x − y, con x > 0 e y > 0, ha come errore la
che x fluttui fino a diventare x + σx , ma y potreb- radice di σx2 + σy2 .
be fluttuare fino a diventare y − σy portando z ad A questo punto abbiamo tutti gli ingredienti per
assumere il valore z = x + y + σx − σy e quindi a valutare l’errore sul valor medio del periodo del pen-
fluttuare meno. A differenza del caso in cui la stessa dolo misurato da Anna. Il valor medio di una gran-
misura è moltiplicata per un numero, in cui l’errore dezza fisica si trova sommando N misure e dividen-
si moltiplica per la stessa quantità, nel caso in cui si do il risultato per
√ N . L’errore sulla somma delle N
sommano due misure gli errori si possono compen- misure è pari a N σ, assumendo che tutte le misure
sare e portare a una riduzione dell’errore statistico abbiano lo stesso errore σ. Dividendo
√ questo nume-
complessivo. Per capire come si sommano statisti- ro per N l’errore diventa σ/ N . Di conseguenza,
camente gli errori ricorriamo a una dimostrazione di quando si calcola un valor medio,√ l’errore con il qua-
tipo grafico. Se z1 = x1 + y1 è il risultato della som- le lo si conosce è un fattore N volte piú piccolo
ma di due misure, z1 si può rappresentare come un dell’errore con cui si conosce la singola misura.
punto di coordinate (x1 , y1 ) su un piano cartesiano. Perciò Anna conosce√ il periodo
√ del pendolo con
Una nuova misura di x e di y condurrà a due valo- un errore di 0.05/ N = 0.05 26 ' 0.01. Se Anna
ri (x2 , y2 ) che individuano un altro punto. Facendo quindi rimisurasse una volta il periodo del pendo-
molte misure, ognuna rappresenterà un punto e tut- lo lo troverebbe per il 70 % delle volte all’interno
ti i punti si distribuiranno attorno al punto medio di un intervallo di ampiezza ±0.05 attorno al valor
in modo tale che la maggior parte di queste misure medio, ma se misurasse un altro valor medio (cioè
sia compresa all’interno di una regione di piano che se misurasse altre 26 volte il periodo del pendolo
dista dal punto medio una stessa quantità: questa e ne traesse il valor medio) questo si discosterebbe
regione quindi ha la forma di un cerchio. Il raggio dal valore di 1.12 per non piú di 0.01 per la maggior
di questo cerchio determina l’errore sulla grandezza parte delle volte. Sarebbe cioè compreso tra 1.11 e
fisica z. Avremo dunque che 1.13.
Si potrebbe pensare che, in questa maniera, si po-
σz2 = σx2 + σy2 (2.42) trebbe ridurre arbitrariamente l’errore sulla misura
quindi gli errori statistici si sommano al quadrato di una grandezza fisica! Basterebbe infatti fare in
o in quadratura6 . Ecco perché sommando quattro modo che il numero di misure tenda a infinito per
numeri con lo stesso errore si ottiene un numero che portare l’errore a zero: se è vero che non si possono
ha un errore pari a due volte l’errore sulla singola fare infinite misure è vero che se ne possono fare un
quantità. L’errore è infatti tale per cui la varianza milione! In realtà, per valutare correttamente l’erro-
σT2 0 vale re sulla grandezza fisica T del nostro esempio dob-
4
biamo considerare che questo errore ha due sorgenti:
σT240 = 4σT2 (2.43) una deriva dalle inevitabili fluttuazioni della misura
dovute a effetti casuali e l’altra alla sensibilità finita
per cui dello strumento con il quale si eseguono le misure,
che nell’esempio è di un centesimo di secondo. Quel-
σT40 = 2σT . (2.44) lo che possiamo pensare di ridurre mediando i valori
Lo stesso evidentemente vale nel caso della sottra- è solo il primo: se misurassimo il periodo del pendo-
zione tra due grandezze fisiche: basta considerare lo usando un orologio da polso con una sensibilità di
6
Questo comportamento vale solo se la misura di y non è
1 minuto troveremmo che il periodo è sempre pari a
correlata con quella di x, cioè se la misura di y non dipende 1 minuto e ripetere 1 000 volte questo esperimento
da quella di x. non aiuta per niente! L’errore che compete alla mi-
sura infatti si valuta sommando (in quadratura) le (in assenza di errori sistematici), quando il suo er-
varie sorgenti di errore e perciò è, piú precisamente rore statistico è minore. Perciò un modo per pesare
r l’importanza di ciascuna misura consiste nel fare in
σ2 modo che quelle che hanno errore maggiore entrino
σT OT = + δT2 , (2.45)
N nella somma moltiplicate per un fattore che ne ridu-
avendo indicato con σ la deviazione standard delle ca l’importanza. Se si pesa ciascuna misura per un
misure e con δT la sensibilità dello strumento. Visto fattore wi , che dipende dall’errore su xi , la somma
√
che nel nostro caso δT = 0.01 σ/ N , possia- delle misure si scrive come
mo trascurare questo termine, ma se N diventasse N
molto grande non potremmo piú farlo. X
w i xi . (2.47)
i=1
Esercizio 2.2 La distribuzione della media
Se i pesi fossero tutti uguali (in particolare se wi = 1
per ogni i) il risultato finale dovrebbe coincidere
Il fatto che la distribuzione dei valori medi di una
con quello della media aritmetica e quindi dobbiamo
variabile casuale abbia una deviazione standard piú
piccola di quella della singola variabile è un risulta-
imporre che
to generale, che vale per ogni variabile casuale, co- N N
munque distribuita. Fate la prova misurando gran- 1 X 1 X
w i xi = xi . (2.48)
dezze qualunque, come la lunghezza delle dita delle C i=1 N i=1
mani dei vostri compagni: misurate la lunghezza di
ogni dito di entrambe le mani e fate un istogramma
Se i pesi sono tutti uguali wi = w per ogni i e si può
delle misure ottenute ricavando, per ogni compa- portare il simbolo fuori del segno di sommatoria per
gno, la lunghezza media delle dita. Quindi fate un ottenere
istogramma dei valori medi ottenuti per ciascuno
N N
studente e misurate valor medio e deviazione stan- w X 1 X
xi = x . (2.49)
dard di questi. Vedrete che la deviazione √ standard C i=1
N i=1 i
delle medie è piú piccola di un fattore N rispet-
Quindi C = N w = i w. Di conseguenza possiamo
P
to alla deviazione standard di una singola misu-
ra (cioè della deviazione standard delle lunghezze scrivere che la media pesata delle misure xi è data
delle singole dita). da
PN
w i xi
hxi = Pi=1N
. (2.50)
2.10.1 La media pesata i=1 w i
w1 + w2 + · · · (2.55)
La
√ deviazione standard del numeratore quindi vale
w1 + w2 + · · ·. Per ottenere la deviazione standard
della media pesata dobbiamo dividere questa per la
somma dei pesi, che vale w1 +w2 +· · · e in definitiva
s
1
σhxi = PN . (2.56)
i=1 wi
TA = (1.12 ± 0.05) s ,
(2.57)
TB = (1.34 ± 0.09) s .
dobbiamo eseguire le seguenti operazioni: per la
media
1.12 1.34
+
hT i = 0.052
1
0.092
1 ' 1.17 s , (2.58)
0.052
+ 0.092
mentre per la deviazione standard della media
avremmo
s
1
σhT i = 1 1 ' 0.04 s . (2.59)
0.052
+ 0.092
Una corretta definizione delle grandezze fisiche è in occasione di una conferenza internazionale pro-
importante per riuscire a trarre informazioni dalle mossa dai responsabili delle ferrovie di vari Paesi.
misure. Come le leggi fisiche, anche la definizione Molti divertenti aneddoti in proposito si trovano su
delle grandezze e delle rispettive unità di misura una pubblicazione dell’osservatorio di Arcetri [?]. Di
può cambiare col tempo e con il progredire della co- particolare interesse il fatto che il primo a proporre
noscenza o delle esigenze. Il tempo, per esempio, è l’adozione dei fusi fu l’italiano Quirico Filopanti.
una grandezza fisica che conosciamo tutti senza bi- Da allora la definizione di tempo è cambiata mol-
sogno di darne una definizione1 , ma gli uomini han- te volte, per adattarsi alle esigenze di natura tec-
no trovato utile misurarlo per scandire i ritmi della nologica. Oggi una misura di tempo accurata è fon-
giornata. Inizialmente la misura era estremamente damentale per molte applicazioni: per il funziona-
rozza: bastava distinguere il giorno dalla notte. Poi mento dei navigatori satellitari, ad esempio, è ri-
si è presentata l’esigenza di una scansione piú pre- chiesta una precisione dell’ordine dei miliardesimi
cisa delle ore della giornata, per cui il tempo era di secondo!
definito, sostanzialmente in maniera arbitraria, dal In questo capitolo cominciamo ad analizzare la
sagrestano che suonava la campana della chiesa in definizione di alcune grandezze fisiche tra quel-
occasione delle funzioni religiose che si svolgevano le meno ovvie. L’analisi approfondita della loro
in vari momenti della giornata, definiti da strumen- definizione ci porterà a fare le prime scoperte.
ti come le meridiane che si basavano sull’ombra di
un’asta (gnomone) proiettata dal Sole su una pa-
rete. La necessità di una misura piú accurata portò 3.1 Massa e Peso
a riconoscere che il giorno non aveva sempre la stes-
Quando diciamo che qualcosa è piú pesante di
sa durata e a definire un giorno medio diviso in
un’altra intendiamo dire che, per sollevare la pri-
24 ore tutte uguali che si potevano misurare grazie
ma si fa piú fatica rispetto a quanta se ne fa per
a strumenti semplici come le clessidre o gli orolo-
sollevare la seconda. Potremmo quindi dire che la
gi ad acqua. L’intensificarsi dei viaggi (sopra tutto
misura di peso è una misura della fatica che faccia-
quelli per mare) portò allo sviluppo dei primi oro-
mo per sollevare qualcosa. Sfortunatamente questa
logi meccanici, perfezionati con l’avvento del treno,
definizione è troppo vaga e soggettiva: di sicuro l’au-
che imponeva una sincronizzazione tra le ore di due
tore di questa pubblicazione fa piú fatica a sollevare
stazioni (quella di arrivo e quella di partenza). Solo
un bilanciere da 50 kg di quanta non ne faccia Ar-
recentemente si riconobbe la necessità dell’adozione
nold Schwarzenegger2 , ma non per questo possiamo
prima di un’orario comune per tutti i paesi e le città
aspettarci che il bilanciere abbia un peso diverso
di una stessa nazione e poi di una stessa regione del
per il sottoscritto e per un aitante e giovane cultu-
globo terrestre. I fusi orari furono adottati nel 1879
rista! Dovremmo farci un’idea piú precisa di cosa
1
A questo proposito è interessante leggere il Cap. 13 del
Libro XI delle ”Confessioni” di Agostino [?].
2
o forse quanta ne avrebbe fatta qualche anno fa.
3.1. MASSA E PESO 40
intendiamo per peso se vogliamo che diventi una nore. Se poi uno lo immergiamo in acqua e l’altro
grandezza fisica. no, quello che si vede è che anche la bilancia non si
Se prendessimo un recipiente e lo riempissimo di trova piú in equilibrio! Allora? La quantità di ma-
una certa sostanza, mantenendo fisso il volume del teria presente nel mattone non può cambiare solo
recipiente, potremmo quanto meno confrontare due per averlo immerso nell’acqua. Dev’esserci qualche
pesi: se è vero che la fatica che si fa a sollevare lo altra ragione per cui il suo peso cambia.
stesso peso è soggettiva, tutti sono d’accordo nel- Dopo questo semplice esperimento siamo portati
l’ammettere che una bottiglia da 1 ` piena d’acqua a pensare che quel che chiamiamo peso non è affatto
pesa meno della stessa bottiglia piena di sabbia o di quel che pensavamo inizialmente e cioè una misura
mercurio. della quantità di materia contenuta in un volume:
Una misura è sempre un’operazione di confronto il peso dev’essere qualcosa che dipende certamente
quindi si potrebbe definire il peso di un litro d’ac- da questa, ma non solo; deve dipendere anche dalle
qua come l’unità di misura e poi si potrebbe stabi- condizioni esterne in cui si fa la misura. In altre pa-
lire quanto volume di un’altra sostanza è necessario role, il peso è la misura di quanto un oggetto sia at-
per produrre lo stesso effetto di un litro d’acqua. tratto verso il basso: in certi casi il peso può persino
In questo caso la misura di fatica è soggettiva, ma diventare nullo, anche se la quantità di materia non
il confronto no. Se la misura di fatica soggettiva cambia. Basta guardare un filmato della NASA nel
ci sembra troppo poco precisa possiamo eseguire il quale si vedono gli astronauti fluttuare senza alcun
confronto ponendo le due quantità di sostanza sui peso quando sono in orbita per rendersene conto.
piatti di una bilancia (non quella da cucina o pesa- Il peso dunque non è una proprietà dei corpi,
persone, ma un’asta incernierata al centro che deve anche se dipende chiaramente da quanta (e quale)
rimanere in equilibrio se alle sue estremità si pongo- materia è presente in essi. Se vogliamo definire que-
no due pesi uguali: solo cosí possiamo fare un vero st’ultima quantità è necessaria una procedura che
confronto). permetta di prescindere dagli effetti esterni come la
Quest’osservazione potrebbe portarci già a una presenza di acqua o di altri fluidi o di condizioni
prima definizione coerente del peso come la quan- particolari come il trovarsi a bordo della Stazione
tità di sostanza contenuta in un volume. Un Spaziale o sulla Luna. E dal momento che stiamo
mattone pieno pesa piú di un forato perché, a pa- parlando di una grandezza fisica diversa da quella
rità di volume, nel primo c’è piú materia e il peso che sarebbe conveniente chiamare peso, dobbiamo
dovrebbe essere una misura di questa quantità. Del darle un altro nome. La chiameremo massa. Per
resto un mattone pieno pesa anche piú di un pa- misurare una massa si procede in questo modo: si
netto di spugna per fioristi, e questo significa che sceglie una massa campione come unità di misura
la materia di cui è fatto il panetto deve avere un e si confronta il peso di questo con quello dell’og-
peso intrinsecamente minore di quello della ma- getto di cui si deve determinare la massa, facendo
teria di cui è fatto il mattone. Il peso di qualcosa attenzione al fatto che entrambi gli oggetti si tro-
deve quindi dipendere dal tipo di materiale di cui è vino immersi nello stesso fluido e che l’esperimento
fatto. sia fatto stando fermi3 . Nella Stazione Spaziale,
Ma se diamo questa definizione di peso abbiamo che si muove rapidamente di moto circolare attorno
un problema non appena cambiamo le condizioni in alla Terra, la misura di massa non si può eseguire
cui eseguiamo la misura. Se prendiamo due mattoni (o almeno non si può eseguire come descritto).
uguali sicuramente facciamo la stessa fatica a solle- 3
Non è strettamente necessario: basterebbe limitarsi a ri-
varli e, ponendoli su una bilancia, la portano a stare chiedere che la bilancia si muova di moto rettilineo uniforme,
in equilibrio. Se però eseguiamo lo stesso esperimen- ma per iniziare a definire una procedura operativa va bene
to in acqua, la bilancia fornisce lo stesso risultato, cosí.
ma la fatica che si fa a sollevarli è decisamente mi-
Dobbiamo dunque distinguere tra massa e peso: e invece se ne trovano 100.0869 (lo 0.006 % in meno).
la prima rappresenta la quantità di materia presen- E naturalmente nel recipiente in cui è avvenuta la
te in un volume, la seconda l’intensità con la quale reazione non c’è alcuna traccia né dei componenti né
i corpi sono attratti verso il basso. E naturalmente di altri composti. Una parte della massa è sparita.
dovremo studiare le proprietà dell’una e dell’altra Le violazioni della legge di conservazione della mas-
grandezza fisica perché ogni volta che individuia- sa sono sempre molto piccole ed è perciò possibile
mo una grandezza dobbiamo capirne le proprietà: è assumerne la validità, a meno di non fare esperi-
questo il modo in cui si derivano le Leggi fisiche. menti molto particolari e precisi. Resta però il fatto
Quello che possiamo dire della massa è che appa- che non si tratta di una legge assoluta.
rentemente si conserva: dividendo in due un mat- C’è un altro caso in cui si può verificare una sia
tone (e raccogliendone tutte le briciole se il taglio pur piccolissima violazione della legge di conserva-
non è netto), la massa del mattone e della somma zione della massa: il decadimento radioattivo. Il
delle sue parti è la stessa. Se mescolando due o piú fenomeno consiste in questo: certe sostanze hanno la
sostanze se ne ottiene un’altra, come accade nelle capacità di trasmutare spontaneamente in sostan-
reazioni chimiche, la somma delle masse dei reagen- ze diverse. Il cobalto è una di queste: una parte di
ti è uguale alla massa del prodotto della reazione4 . minerale di cobalto tende a trasformarsi in maniera
Apparentemente non c’è modo di distruggere o di del tutto spontanea in nichel, il che comporta anche
produrre massa dal nulla. Sembra che la massa sia una leggerissima variazione della massa del minera-
qualcosa che rimanga costante in tutto l’Universo. le. Anche il potassio, di cui sono ricche le banane,
tende a trasformarsi spontaneamente in calcio o in
argon: in linea di principio la massa di una banana
3.2 La radioattività quindi diminuisce col tempo (ma questa diminuzio-
ne è impercettibile con gli usuali strumenti, quindi
Se tuttavia si fanno esperimenti piú precisi si scopre
se tornate a casa con 990 g di banane avendone pa-
che in effetti non è esattamente cosí: ci sono casi nei
gato 1 kg significa che il vostro fruttivendolo vi ha
quali la massa effettivamente non si conserva, anche
truffato).
se non sono facili da osservare. Come già accennato
Per capire cosa succede in questi casi è neces-
sopra, in Chimica, ad esempio, facendo reagire alcu-
sario eseguire una o piú misure che permettano
ne sostanze in determinate proporzioni, si ottengono
di stabilire con quali caratteristiche avviene il de-
altre sostanze la cui massa è uguale alla somma delle
cadimento: solo cosí sarà possibile interpretare il
masse dei reagenti. Il carbonato di calcio (CaCO3 ),
fenomeno.
il comune calcare che si trova nell’acqua, si forma
Una delle misure che possiamo pensare di fare
mescolando calcio (Ca), carbonio (C) e ossigeno (O)
in questi casi consiste nel determinare quanto mi-
in proporzioni per cui, al fine di avere solo carbo-
nerale di cobalto si è trasformato in nichel in un
nato di calcio al termine della reazione, occorrono
determinato tempo (in questo caso descriviamo un
40.078 g di calcio, 12.0107 g di carbonio e 47.9982 g
esperimento virtuale: le misure reali si fanno diver-
di ossigeno. Se la legge di conservazione della massa
samente, ma non è qui il caso di entrare in questo
fosse esatta, ci aspetteremmo di trovare
tipo di dettagli). Supponiamo di avere, a un tempo
t = 0, una quantità M (0) = M0 di cobalto, in parti-
40.078 + 12.0107 + 47.9982 = 100.0932 g (3.1) colare di quello usato in radioterapia negli ospedali
(non tutto il cobalto è radioattivo: solo certe specie).
4
Questa Legge prende il nome di Legge di Lavoisier, A un tempo t successivo se ne misura una quantità
dallo scienziato francese Antoine Lavoisier che la formulò M (t). Si ripete la misura a tempi diversi, per esem-
basandosi sui dati sperimentali.
pio in giorni diversi, e si osserva che al crescere del
tempo la massa di cobalto presente nel minerale si
t (s) M (t) g
0 10.000 M (t) = At + B (3.2)
110 500 9.995
dove A < 0 rappresenta la pendenza della retta pas-
190 629 9.993
sante per i punti e B l’intercetta. Se si prova a verifi-
260 990 9.988
care matematicamente che tutti i punti appartenga-
342 350 9.983
no a una retta si fallisce miseramente. In effetti non
427 652 9.980
possiamo farlo, perché ogni misura è affetta da un
507 777 9.979
errore di cui si deve tenere conto. Sono questi errori
587 669 9.976
che causano le fluttuazioni dei punti sopra e sotto la
Tavola 3.1 Dati relativi alla misura di retta che li descriverebbe in assenza di questi. Come
massa di cobalto in funzione si fa?
del tempo, per un campione
iniziale di 10 g di cobalto per
radioterapia. 3.2.1 La regressione lineare
Non è difficile: basta cercare la retta che si avvicina
di piú ai dati sperimentali. Dobbiamo però inten-
derci su che vuol dire si avvicina. Una maniera è
la seguente: scegliamo un valore di ti (per esempio
t4 = 260 990 s) e supponiamo che la retta che descri-
ve i dati si possa esprimere come M (t) = At + B.
Il dato sperimentale corrispondente al valore di ti
scelto, M4 = 9.988 g, può stare un po’ sopra o un
po’ sotto la retta in questione. Quindi dista dalla
retta una quantità pari a
Nella Tabella 3.1 sono riportare alcune misure Come nel caso dell’equazione (2.26), aver a che fa-
di questo tipo. Non indichiamo gli errori nella ta- re con l’operazione di modulo è fastidioso. D’altra
bella, che assumiamo tutti uguali: questo semplifi- parte se d è la minima possibile anche d2 lo sarà,
ca la trattazione del problema. Gli stessi dati sono quindi basterà trovare i valori di A e B che rendono
riportati nella Figura 3.1. minimo il quadrato di quella distanza. Convenzio-
Dalla figura si nota una certa tendenza al decre- nalmente questa distanza si indica con la lettera gre-
mento, sebbene non particolarmente regolare: pos- ca χ (pronuncia chi), per cui definiamo il χ quadro
siamo ipotizzare che tra la massa del cobalto M (t) come
e il tempo t sussista una relazione semplice, come
N
quella rettilinea, vale a dire che possiamo pensare X
di scrivere un’equazione del tipo
2
χ = (Mi − Ati − B)2 . (3.5)
i=1
Allo scopo di semplificare i conti definiamo alcune che l’espressione di A è corretta dal punto di vista
grandezze: dimensionale.
Dall’ultima equazione scritta ricaviamo A in
X t2 X ti X Mi ti funzione di B come
i
Stt = St = SM t =
σi2 σi2 σi2 SM − BS
X ti X 1 X Mi A= (3.13)
St
SM M = S = SM =
σi2 σi2 σi2 che, sostituito nell’equazione che fornisce il valore
(3.8) di A dà
In questo modo l’equazione (3.7) si riscrive
SM − BS SM t − BSt
= . (3.14)
2 2 2
St Stt
χ = Stt A +(2BSt − 2SM t ) A+SM M +SB −2SM B .
Risolviamo per B moltiplicando entrambi i membri
(3.9)
per St Stt per trovare che
che è un polinomio di secondo grado in A, e che
quindi rappresenta una parabola il cui vertice ha
come ascissa il valore SM Stt − BSStt = SM t St − BSt St . (3.15)
SM t − BSt
A= . (3.10) e raccogliendo i termini con B a primo membro
Stt 5
I pedici usati nella definizione delle varie somme si
D’altra parte, anche come funzione di B il χ2 è una possono usare per determinare le dimensioni fisiche delle
parabola: somme.
Infine
SM t St − SM Stt
B= (3.17)
St St − SStt
Un rapido controllo dimensionale ci permette di af-
fermare che le dimensioni di B sono quelle attese.
Noto il valore di B quello di A si ottiene dall’equa-
zione (3.13). A questo punto non resta che mettere
i valori al loro posto. Usando un foglio elettronico,
per esempio, è facile costruire la Tabella 3.2. I valori Figura 3.2 I dati relativi al decadimento
delle celle nelle colonne D ed E e dalla riga 1 alla 8 del cobalto con il risultato del
sono calcolati automaticamente, con una formula. fit sovrapposto.
La riga 10 contiene la somma, calcolata automati-
camente, dei valori nella colonna corrispondente. A
questo punto basta mettere in una cella l’espressione 3.2.2 La costruzione di un modello
E10 ∗ B10 − C10 ∗ D10 Nel modello adoperato per ricavare i parametri del
= (3.18)
B10 ∗ B10 − 8 ∗ D10 decadimento del cobalto c’è sicuramente qualco-
dove 8 è il numero di dati che abbiamo a disposi- sa che non va: se davvero M (t) = At + B, a
zione (poiché tutte le σi = σ nel nostro caso sono un certo punto succederà che At = −B e quin-
uguali, S = σ82 e i valori di σ 2 si semplificano tra di M (t) = 0 e fin qui tutto bene, ma al crescere
numeratore e denominatore). Si ottiene cosí il valore di t la massa potrebbe diventare negativa e que-
sto non è ammissibile! È chiaro che la legge del
B = 10.000 , (3.19) decadimento che abbiamo ipotizzata, seppur veri-
ficata con i dati sperimentali, deve essere conside-
come del resto ci aspettiamo, visto che B deve coin-
rata solo un’approssimazione della vera legge del
cidere (entro gli errori) con M (0). Il valore di A
decadimento.
quindi vale
Proviamo a costruire un modello del decadimen-
to radioattivo. Quello che osserviamo sperimental-
A ' −42 × 10−9 gs−1 . (3.20)
mente è che certa materia si trasforma spontanea-
In sostanza abbiamo stabilito che il nostro minera- mente in altra materia a un ritmo apparentemen-
le di cobalto perde 42 ng ogni secondo (badate: la te costante, ma che potrebbe non esserlo. Il fat-
diminuzione della massa riguarda il cobalto, che si to che la trasmutazione non avvenga istantanea-
trasforma in nichel, quindi la perdita di massa com- mente per tutto il materiale radioattivo a un certo
plessiva del campione è molto piú piccola). In un istante fa pensare che il materiale non si trasfor-
anno ci sono 31 536 000 secondi, quindi la perdita di ma allo scadere di qualche intervallo di tempo, ma
massa del cobalto è di 1.32 g l’anno. Dal momento che la trasmutazione procede in maniera progressiva
che inizialmente avevano 10 g di cobalto, possiamo all’infinito.
dire che ogni anno il 13.2 % del cobalto si trasforma Facendo misure con diversi campioni si nota an-
in nichel. che che la perdita assoluta di massa di materia di
La Figura 3.2 mostra i dati con il risultato del fit un certo tipo aumenta all’aumentare della massa
sovrapposto.
A B C D E
i ti (s) Mi (g) t (s )
2 2
Mi ti (gs)
1 0 10.000 0 0.0
2 110 500 9.995 12 210 250 000 1 104 447.5
3 190 629 9.993 36 339 415 641 1 904 955.6
4 260 990 9.988 68 115 780 100 2 606 768.1
5 342 350 9.983 117 203 522 500 3 417 680.1
6 427 652 9.980 182 886 233 104 4 267 967.0
7 507 777 9.979 257 837 481 729 5 067 106.7
8 587 669 9.976 345 354 853 561 5 862 585.9
9
10 2 427 567 79.894 1 019 947 536 635 24 231 510.9
Tavola 3.2 Una tabella con i dati raccolti,
i quadrati dei tempi e i pro-
dotti Mi ti . Alla riga 10 si tro-
vano le somme dei dati nelle
rispettive colonne.
iniziale, il che significa che la percentuale di mate- All’appendice matematica si dimostra come questo
ria che subisce la trasformazione per unità di tempo significhi che M è funzione del tempo e si possa
dev’essere una frazione della massa iniziale, cioè scrivere come
Ora facciamo un altro esperimento: cerchiamo dell’asta `0 . In altre parole piú è lunga l’asta immer-
una superficie in legno (la cattedra) e una in me- sa in acqua fredda, piú si allunga quando si mette
tallo (le gambe dei banchi) e tocchiamole. Quale nell’acqua calda:
delle due è piú calda? La risposta è quasi sempre
scontata: quella di legno. Basta pensarci un po’ ∆` ∝ `0 . (3.33)
per rendersi conto che non è possibile! O meglio, che
Dalle misure di lunghezza si vede anche che usando
non è possibile definire la temperatura nella maniera
aste di metalli diversi l’ampiezza dell’allungamento
in cui stiamo procedendo. Se infatti è vero il princi-
è diversa, quindi la proprietà di allungarsi col caldo
pio zero della termodinamica (e appare essere vero
dipende dal tipo di materiale. Per questa ragione
dal momento che tutti gli esperimenti di questo tipo
possiamo ritenere che quando non osserviamo alcun
danno il risultato atteso), le gambe e la superficie
allungamento, come nel caso di aste di materiali co-
dei banchi o della cattedra devono trovarsi alla stes-
me plastica o legno, è perché evidentemente l’entità
sa temperatura perché sicuramente sono in contatto
di quest’ultimo dev’essere molto piccola.
tra loro da molto tempo! E allora? Evidentemente
Per quanto i nostri sensi non ci permettano di
il senso del tatto non fornisce una misura della tem-
avere una misura assoluta di temperatura, abbiamo
peratura degli oggetti che tocchiamo: probabilmente
già osservato che sono capaci di trasmettere sensa-
misura qualcos’altro.
zioni che ci permettono di stabilire in maniera uni-
Facendo esperimenti con corpi caldi e freddi ci si
voca quale, tra due oggetti, sia piú o meno freddo
può imbattere in un fenomeno abbastanza curioso:
dell’altro. In questo modo possiamo disporre di una
in quasi tutti i casi, un corpo riscaldato aumento
serie di campioni di acqua a temperature diverse e
di volume. Poco, ma lo fa. Se non vediamo alcun
crescenti e osservare che l’allungamento delle aste
aumento in certi casi è perché evidentemente non
di lunghezza iniziale `0 quando immerse nell’acqua
abbiamo la sensibilità necessaria. Se vogliamo ca-
piú fredda, si allungano sempre di piú man mano
pirci qualcosa dobbiamo fare qualche misura e per
che l’acqua diventa piú calda. In particolare si ve-
farle in maniera ordinata dobbiamo usare sistemi
de che l’allungamento percentuale ∆`/`0 è lo stes-
che siano semplici, il cui comportamento cioè possa
so a parità di differenza di temperatura e a parità
dipendere solo da pochi parametri.
di materiale. Possiamo allora definire la differen-
Visto che quel che succede ai corpi riscaldati è che
za di temperatura ∆T come qualcosa che provoca
si espandono e che quindi cambiano forma, prende-
l’allungamento delle aste e scrivere che
re un oggetto dalla forma complicata non è il caso,
evidentemente: conviene lavorare con oggetti la cui ∆`
forma sia la piú semplice possibile! La cosa migliore ∆T = µ (3.34)
`0
è partire con qualcosa di molto lungo e stretto, in
dove µ è un parametro che dipende dal materiale
modo tale che si possa assimilare a una linea priva di
di cui è fatta l’asta. In questo modo due aste ugua-
spessore. Se quest’oggetto si dilata lo farà prevalen-
li di dilatano nello stesso modo se fatte passare da
temente lungo la sua lunghezza; le dimensioni tra-
una temperatura all’altra. Se la stessa asta si allun-
sversali cambieranno in modo impercettibile. Pren-
ga di piú significa che la differenza di temperatura
diamo quindi un’asta di qualche materiale e immer-
è maggiore. Visto che le aste si allungano passando
giamola in acqua fredda. Ne misuriamo la lunghez-
dal freddo al caldo, ∆` = ` − `0 > 0 di conseguen-
za, poi la immergiamo in acqua calda e misuriamo
za anche ∆T dev’essere positiva se attribuiamo a µ
nuovamente la sua lunghezza. Se l’asta è di metal-
questo stesso segno e quindi un oggetto freddo de-
lo (ferro, rame, alluminio, etc.), quello che si vede
ve avere una temperatura piú bassa di uno caldo.
dagli esperimenti è che l’allungamento ∆` = ` − `0 ,
L’allungamento subíto da un’asta passando da una
dove ` è la lunghezza dell’asta calda e `0 quella del-
temperatura a un’altra maggiore è
l’asta fredda, è proporzionale alla lunghezza iniziale
mensioni relativamente grandi, collegato a un sot- Noto il coefficiente di espansione lineare, quello di
tile capillare. Espandendosi, il liquido comincia a volume si ricava moltiplicandolo per tre. Possiamo
risalire lungo il capillare. Ma di quanto? A questo verificare sperimentalmente questa legge che vale
punto bisogna capire quanto aumenta il volume di per tutti i materiali isotropi (che si espandono nel-
una sostanza quando è riscaldata. Per capirlo im- lo stesso modo in tutte le direzioni). A questo punto
maginiamo di disporre di dodici sottilissime aste di abbiamo tutti gli ingredienti per predire cosa suc-
materiale che si espande con la temperatura, con le cede all’etanolo contenuto in una sfera di raggio R.
quali costruiamo un cubo di cui ogni asta costituisce Il suo volume a una data temperatura alla quale è
uno spigolo. interamente contenuto nella sfera è
Aumentando la temperatura ogni asta aumenta la
propria lunghezza di ∆` = `0 α∆T . Di conseguenza 4
V = πR3 . (3.45)
aumenta il volume del cubo. Cerchiamo di calcolare 3
la differenza di volume tra un cubo a temperatura T Se la temperatura aumenta il suo volume aumenta
e uno a temperatura T 0 = T + ∆T . A temperatura di
T il volume del cubo è
∆V = 3V α∆T = 4πR3 α∆T, . (3.46)
V = `30 . (3.39) Se l’espansione può avvenire in un cilindro di raggio
Alla temperatura T 0 il volume del cubo è r e altezza h dev’essere
V −V0 ∆V 3`2 ∆` ∆`
= = 03 = 3 = 3α∆T . (3.44)
V V `0 `0
Con un termometro possiamo misurare le tempe- è sempre la temperatura media delle temperature
rature in modo oggettivo. Resta da capire perché iniziali: Teq = (T1 + T2 ) /2.
percepiamo una sensazione diversa quando tocchia- Proviamo a cambiare la quantità di acqua che me-
mo il metallo o il legno e cosa provoca le variazioni scoliamo con l’altra: per esempio, mescoliamo un
di temperatura. bicchiere d’acqua a temperatura T1 , che contiene
Il progresso della Fisica (e delle altre scienze) di una massa d’acqua pari a m1 , con mezzo bicchiere
solito si snoda attraverso strade piuttosto tortuose di acqua a temperatura T2 di massa pari a m2 . Se si
che includono errori e interpretazioni sbagliate dei lascia invariata m1 e si cambia m2 tra una misura
dati sperimentali, che costringono a ripensare i mo- e l’altra si trova che all’aumentare di m2 la tem-
delli e talvolta a tornare indietro per intraprendere peratura di equilibrio è sempre piú vicina a T2 . Se
strade che erano state abbandonate. A volte è utile m2 = 0 evidentemente Teq = T1 quindi la legge che
ripercorrere, almeno parzialmente, tali strade, per- determina Teq dev’essere del tipo
ché sbagliando s’impara ed è anche attraverso la
conoscenza degli errori fatti dai nostri predecessori m1 T1 + m2 T2
Teq = . (4.1)
che s’impara qualcosa di piú non tanto della Fisi- m1 + m2
ca, quanto del Metodo. È quello che facciamo in Se m2 = 0, infatti, Teq = T1 e quando m2 m1
questo capitolo. possiamo scrivere che
m2 T2
Teq ' ' T2 . (4.2)
4.1 La teoria del calorico m2
Basta fare una serie di esperimenti con diversi va-
Quando mettiamo in contatto due oggetti a tempe- lori di m2 per verificare che in effetti è cosí. Se ora
ratura diversa, entrambi raggiungono una tempe- al posto dell’acqua, nel secondo bicchiere mettia-
ratura che definiamo di equilibrio intermedia tra mo altre sostanze, vediamo che vale la stessa legge,
quelle iniziali dei due corpi. Per capire cosa avviene ma con una differenza: è come se la massa m2 fos-
in questi casi si deve fare un esperimento nel quale se diversa da quella effettivamente usata. Possiamo
si mettono in contatto due sostanze a temperatura interpretare questo fatto assumendo che in effetti la
diversa. Inizialmente conviene mettersi in una con- temperatura di equilibrio che si ottiene dipende non
dizione semplice che consiste nel misurare la tem- solo dalla massa della sostanza, ma anche dal tipo
peratura di equilibrio raggiunta da due corpi iden- di sostanza.
tici, tranne che per la temperatura. Se, ad esempio, Se mescoliamo a m1 = 0.1 kg di acqua a T =
prendiamo un bicchiere d’acqua a T1 = 20◦ C e uno 20◦ C con m2 = 0.2 kg d’acqua a T = 30◦ C, la
a T2 = 40◦ C, mescolando insieme i due campioni temperatura d’equilibrio è
otteniamo acqua a temperatura Teq = 30◦ C.
Se cambiamo la temperatura di uno dei due bic-
chieri la temperatura di equilibro che si raggiunge
4.1. LA TEORIA DEL CALORICO 52
mi non cambiano nel corso del processo di mescola- capacità termica in analogia alla capacità di un
mento, ma ∆Ti sí e può essere positiva o negativa, recipiente: tanto maggiore è questo prodotto, infat-
secondo che la temperatura finale sia piú alta o piú ti, tanto maggiore è la quantità di calore che un
bassa di quella di partenza. La variazione comples- corpo può immagazzinare.
siva di questa quantità è nulla il che si traduce nel
fatto che questa quantità è conservata, cioè re-
sta costante. La teoria del fluido calorico sembra 4.2 Trasporto del calore
confermata: se pensiamo che la sostanza i possieda
Quando il calore passa da un corpo piú caldo a uno
una certa quantità iniziale di fluido Qi = ci mi Ti ,
piú freddo non lo fa istantaneamente. Prima che si
mescolandola con un’altra, quella che ne ha di piú
raggiunga l’equilibrio termico occorre un certo tem-
la cede all’altra fino a quando le quantià di fluido
po. Tra la fase iniziale in cui i due corpi hanno tem-
possedute da ciascuna sono uguali. Quindi il fluido
peratura diversa e quella finale in cui i corpi so-
ceduto dall’una ∆Q1 = c1 m1 ∆T1 dev’essere acqui-
no tutti alla stessa temperatura ce n’è una di non
stato dall’altra la cui quantità di fluido aumenta di
equilibrio durante la quale avviene il passaggio di
∆Q2 = c2 m2 ∆T2 . La quantità di fluido che passa
calore.
dall’una all’altra sostanza ∆Qi la possiamo chia-
La quantità di calore che passa dal corpo caldo a
mare calore che è una grandezza fisica perché
quello freddo è evidentemente proporzionale al tem-
misurabile: basta misurare la quantità di sostanza
po durante il quale avviene il contatto: piú è lungo
mi , conoscere il tipo di sostanza per cui ci è noto e
questo tempo piú calore passa. Se s’interrompe il
misurare la variazione di temperatura ∆Ti .
passaggio prima che si raggiunga l’equilibrio una
Se il calore è una grandezza fisica gli si deve attri-
certa quantità di calore è comunque passata e le
buire un’unità di misura: possiamo farlo scegliendo
temperature dei corpi a contatto si modificano co-
un processo da prendere come riferimento cui at-
munque, anche se non raggiungono una condizione
tribuire un valore convenzionale e arbitrario. Come
di equilibrio. In prima approssimazione possiamo di-
riferimento possiamo prendere l’acqua: diremo che
re che il calore ∆Q che passa in un tempo ∆t quando
il calore si misura in calorie (cal) e che una caloria
due corpi sono posti a contatto l’uno con l’altro è
(1 cal) è la quantità di calore necessaria a innalzare
proporzionale a questo tempo:
la temperatura di 1 g d’acqua di 1 ◦ C1 . In questo
modo, dall’equazione
∆Q ∝ ∆t . (4.12)
∆Q = cm∆T (4.10) Facendo qualche misura, anche grossolana, si capi-
sce facilmente che la quantità di calore che transita
ricaviamo che il coefficiente c non può essere adi-
da un corpo all’altro dipende dalla differenza di tem-
mensionale, come sembrava inizialmente, ma deve
peratura ∆T tra i due corpi: se si mette ghiaccio in
avere le dimensioni di
acqua calda, questo si scioglie molto prima che se lo
[∆Q] s’immerge in acqua appena uscita da un frigorifero.
[c] = (4.11) Possiamo quindi scrivere che
[m∆T ]
cioè di una quantità di calore per unità di massa ∆Q
e di variazione di temperatura. Di conseguenza c, ∝ ∆T . (4.13)
∆t
che chiameremo calore specifico di una data so- che significa che la rapidità con la quale il calo-
stanza, si misura in calorie per grado per grammo re si trasferisce da un corpo all’altro dipende dalla
(cal/g·◦ C). Al prodotto C = cm si dà il nome di differenza di temperatura tra i corpi. In questo ca-
1
A dir la verità dovremmo essere piú precisi nel descrivere so ∆Q è la quantità di calore sottratta all’acqua e
questo processo, ma il principio resta valido. ∆T = Tacqua − Tghiaccio la differenza di temperatura,
che è positiva. Se ∆Q è il calore sottratto dev’es- le molto a fare un esperimento di questo tipo per
sere negativo perciò scriveremo piú propriamente verificarlo, per cui dovrà anche essere che
che
∆Q
∝ −kA∆T . (4.16)
∆Q ∆t
∝ −∆T . (4.14)
∆t Del resto, è anche chiaro che nella fase di riscalda-
Notate che se ∆Q rappresenta il calore acquistato mento, la temperatura del corpo freddo comincia a
dal ghiaccio (positivo), ∆T = Tghiaccio −T acqua < 0 cambiare vicino alla superficie di contatto col corpo
e il segno − fa tornare i conti. È anche evidente che caldo e solo col passare del tempo questo calore si
il calore che si può sottrarre a un corpo caldo di- diffonde a tutto il corpo. La rapidità con cui questo
pende dal tipo di materiale di cui sono fatti i corpi. avviene dipende da quanto è esteso il corpo nella
Se acquistate gelato in vaschetta, ve lo mettono in direzione perpendicolare alla superficie di contatto.
un recipiente di polistirolo e non in uno di metallo. Per tornare all’esempio del gelato, se vi consegnas-
Infatti il calore si trasmette con difficoltà dal poli- sero un chilo di gelato in una vaschetta di polistirolo
stirolo al gelato, mentre passa con relativa facilità dello spessore paragonabile a quello di un bicchieri-
dal metallo al gelato. Anche se ponete un cubetto no per caffè usa e getta, probabilmente arriverebbe
di ghiaccio su una tavola di legno osserverete che si a casa sciolto. La vaschetta, per essere efficace, deve
scioglie piú lentamente di quanto faccia se poggiato possedere uno spessore ∆x ragionevolmente grande.
su una lastra di metallo. Evidentemente è piú facile Piú è grande ∆x e minore è la quantità di calore
per il calore passare dal metallo al ghiaccio piutto- trasferita, perciò scriveremo che
sto che dal legno al ghiaccio. Quest’osservazione po-
trebbe anche spiegare il fallimento del nostro primo ∆Q ∆T
∝ −kA . (4.17)
esperimento che consisteva nel toccare la superficie ∆t ∆x
di legno e i piedi in metallo di un banco: la sensazio- Il coefficiente di proporzionalità possiamo sceglierlo
ne che si provava era di freddo toccando il metallo e in maniera arbitraria se provvediamo a definire k
di caldo toccando il legno. Ora si comprende come con le opportune unità e naturalmente la scelta piú
questa sensazione non sia legata alla temperatura conveniente è 1, quindi
(che per quanto sopra dev’essere la stessa per legno
∆Q ∆T
e metallo), ma alla rapidità con la quale fluisce il = kA . (4.18)
calore dal nostro corpo alla superficie toccata, che ∆t ∆x
è a temperatura piú bassa. Con questa scelta le dimensioni si k sono
Possiamo caratterizzare questo comportamen-
to introducendo un coefficiente k che chiamere-
∆Q ∆x 1
QL
Q
mo conducibilità termica caratteristico di ogni [k] = = = (4.19)
∆t ∆T A tT L2 tT L
materiale, e scriveremo che
avendo indicato con [t] le dimensioni fisiche del tem-
∆Q
∝ −k∆T . (4.15) po e con T quelle della temperatura, per distinguer-
∆t le. Le unità con le quali si misura la conducibilità
Una volta che il calore ha abbandonato la superficie termica sono dunque quelle di calorie al secondo per
del corpo caldo, penetra in quello freddo attraver- grado per metro (cal/s·◦ C·m). La modalità di tra-
so la superficie di contatto ed è quindi ragionevole sferimento di calore che abbiamo analizzata è quella
aspettarsi che la quantità di calore che passa per che si definisce conduzione che ha senso se si parla
unità di tempo sia tanto piú grande quando piú è di passaggio di calore tra due solidi. Nel caso dei
grande l’area A di questa superficie. Non ci vuo- fluidi le caratteristiche che determinano il passag-
gio di calore da una sostanza all’altra sono diverse.
Studiamo un caso intermedio: quello di un solido in di caldo o di freddo non dipende dalla temperatura,
contatto termico con un fluido. L’esempio è quello ma dalla rapidità con la quale il calore fluisce via
del banco, la cui superficie e le cui gambe sono in dal nostro corpo, perciò ∆Q∆t
deve dipendere dalla
contatto termico con l’aria circostante. velocità v del fluido, ma non possiamo scrivere
In questo caso, la prima parte delle osservazio-
ni fatte nel caso della conduzione funziona ancora: ∆Q
∝ −Avh∆T , (4.22)
la rapidità con la quale il calore passa da un cor- ∆t
po caldo a uno freddo dipende dalla differenza di perché il fluido che passa nelle vicinanze del solido
temperatura e dalla superficie di contatto: non ha una velocità uniforme. Se dirigete il getto del
vostro asciugacapelli parallelamente a un tavolo ve-
∆Q drete, disponendo sul tavolo coriandoli di carta, che
∝ −A∆T . (4.20)
∆t lo strato di aria vicino al tavolo è molto veloce, ma
In questo caso per differenza di temperatura s’inten- la velocità diminuisce man mano che ci si allontana
de quella che esiste tra la superficie del solido e quel- da questa.
la che il fluido possiede lontano da questa. Vicino L’unica cosa che possiamo dire, a questo livello, è
alla superficie del solido, infatti, il fluido assumerà che h deve dipendere dalle caratteristiche del moto
una temperatura simile. Il principio è usato nei ra- del fluido (non solo dalla sua velocità, ma anche da
diatori (delle automobili, delle CPU dei computer, quanto il moto è turbolento, da quanto il liquido è
dei termosifoni) che sono costruiti in modo tale da viscoso, etc.). Diremo allora che il passaggio di ca-
avere la forma di molte ali in modo da massimizzare lore per convezione, come viene chiamato questo
la superficie esposta all’aria. Anche in questo caso la meccanismo, si può descrivere con l’equazione
quantità di calore che fluisce dipende da qualche ca-
ratteristica tipica del materiale che indichiamo con ∆Q
= −Ah∆T , (4.23)
un coefficiente h ∆t
avendo fatto le stesse considerazioni sulla scelta del
∆Q coefficiente di proporzionalità che abbiamo fatto per
∝ −Ah∆T , (4.21)
∆t la conduzione. Il valore di h lo si determina speri-
Ora non ha molto senso parlare di spessore di aria mentalmente ogni volta e al contrario di k non di-
che il calore deve attraversare, almeno nei casi in cui pende solo dal tipo di materiale, ma anche dalle sue
l’aria non è contenuta essa stessa in un recipiente. In condizioni complessive.
fondo il banco è in contatto con l’aria che si esten- Lo stesso meccanismo s’impiega per descrivere
de, al limite, a tutta quella contenuta nell’atmosfera quel che avviene nello scambio di calore tra due flui-
terrestre. È come se fosse ∆x ' ∞ e quindi non può di. Per esempio, quando si prepara la colazione e il
essere lo spessore di aria a determinare la rapidità latte è troppo caldo, lo si agita col cucchiaino in mo-
con la quale il calore si disperde. Dev’essere, anzi, do che la superficie di contatto con l’aria s’incurvi,
qualche altra proprietà che prima non aveva senso aumentando e favorendo la convezione del calore dal
considerare come la sua velocità: quando c’è vento latte all’aria. Contemporaneamente, il moto turbo-
abbiamo una percezione di freddo maggiore; l’aria lento del latte ne fa aumentare il valore di h il che
calda proveniente da un asciugacapelli produce una favorisce la perdita di calore. Anche l’aria circostan-
maggiore sensazione di caldo se esce dall’elettrodo- te si mette in moto, trascinata dalla superficie del
mestico con velocità maggiore; lo sventolare di un latte che forma un vortice.
ventaglio o la rotazione delle pale di un ventilatore In definitiva la convezione consiste nel fatto che
producono sensazioni di fresco e sulle CPU dei com- il trasporto del calore è affidato in gran parte al
puter si montano spesso ventole che smuovano l’aria trasporto di materia: nel caso del contatto tra aria
circostante. Abbiamo già osservato che la sensazione e solido, l’aria si sposta dai punti vicini al solido
a quelli lontano trasferendo lontano anche il calore 4.3 Falsificare una teoria
perso dal solido; nel caso dei fluidi miscelati, come
nel caso dei due liquidi, il moto dei fluido in una Non ci vuole molto a capire che la teoria sviluppa-
certa misura aiuta il trasporto del calore. La pa- ta due paragrafi sopra è falsa, nell’accezione che dà
rola convezione infatti è stata coniata dal latino Karl Popper a questo termine (si veda, ad esem-
convehere che vuol dire, appunto, trasportare. pio, [?]). Con questo termine non s’intende una teo-
Esiste un ulteriore meccanismo attraverso il quale ria sviluppata attraverso la truffa o avendo delibera-
il calore si propaga, che è chiamato irraggiamento. tamente trascurato d’includere alcune osservazioni
Accendendo un forno a legna e portandolo ad alta per corroborare il proprio punto di vista: significa
temperatura, avvicinandosi con le mani si percepi- che, sebbene la teoria spieghi le osservazioni dalle
sce il calore fluire fuori dal forno. Se però la bocca quali è stata dedotta, non riesce a spiegare osser-
del forno è chiusa da un portello metallico, il ca- vazioni ulteriori che dovrebbero rientrare nell’ambi-
lore che si percepisce è inferiore. La cosa potrebbe to di questa. In sostanza le predizioni di questa
apparire normale, ma non è cosí: nel nostro model- teoria relativamente ai fenomeni che hanno portato
lo quello che dovrebbe succedere è che inizialmente, alla sua formulazione sono vere, ma se s’includono
appena chiuso il portello, il calore del forno è tra- altri fenomeni non siamo piú in grado di spiegarli.
sferito a quest’ultimo per convezione dal forno al Un altro filosofo della scienza, Imre Lakatos (vedi lo
metallo e quindi il metallo raggiunge relativamen- stesso libro di Giorello in [?]), direbbe che la teoria
te presto la temperatura di equilibrio del forno. A del calorico non possiede euristica positiva.
questo punto dovrebbe cominciare a perdere calore Vediamo quali sono i fenomeni che la teoria del
esattamente come farebbe il forno se non ci fosse il calorico non riesce a spiegare. Basta fare due sem-
portello. Ma non è cosí. Evidentemente una parte plici esperimenti: il primo consiste nell’esporre un
del calore riesce a sfuggire dal forno con la luce pro-bicchier d’acqua al Sole. Come tutti sanno l’acqua si
dotta dalle fiamme. Coprendo quella luce si riduce scalda. Il secondo esperimento consiste nel prendere
l’effetto. un pezzo di carta vetrata e strofinare, con questa,
Tra l’altro il calore deve poter fluire anche in as-un pezzo di metallo o di qualunque altro materiale2 :
senza di un mezzo che lo trasmetta, anche se con in questo caso sia il metallo che la carta vetrata si
un’efficienza minore rispetto al caso della convezio- scaldano3 .
ne o della conduzione. In effetti sulla Terra arriva il Se il primo esperimento si può spiegare ammet-
calore del Sole e non c’è praticamente alcun mezzo tendo che la luce trasporti calore (ma della luce non
attraverso cui possa avvenire la conduzione o la con- sapremmo misurare la temperatura), il secondo è
vezione. Sole e Terra sono sostanzialmente separati del tutto inspiegabile. Se davvero il calore fosse un
dal vuoto. Misurando la quantità di calore che flui- fluido contenuto nei corpi, questo potrebbe passare
sce per unità di tempo per irraggiamento da corpi da un corpo all’altro, ma come fa a passare in en-
a diversa temperatura si trova che trambi quando due corpi sono sfregati l’uno contro
l’altro? Bisognerebbe ammettere che questo fluido si
∆Q
= σεT 4 (4.24) genera in qualche maniera quando i due corpi ven-
∆t gono a contatto, ma bisognerebbe capire come mai
dove T è la temperatura del corpo radiante. σ è una non basta il semplice contatto per produrre questo
costante detta costante di Stefan–Boltzmann 2
Si possono pensare molte varianti di questo esperimento,
che vale σ = 1.35 × 10−8 cal/(s·◦ C4 m2 ). ε è un nu- come quella che consiste nel fare un buco con un trapano, o
mero (adimensionale) 0 6 ε 6 1 che dipende dalle anche fare esperimenti piú semplici come quello di sfregarsi
caratteristiche della superficie del corpo radiante: 1 le mani.
se è nera, 0 se bianca o a specchio.
3
Nel caso in cui si fa un buco col trapano si scaldano sia
la punta del trapano che l’oggetto forato.
fluido, ma occorre uno sfregamento. In effetti basta brio di un sistema in cui si mescolino le fasi cambia
si verifichi una qualche forma di urto per generare al cambiare della quantità di sostanza che cambia
calore perché, ad esempio, se si picchia forte con un stato. Per esempio, mescolando mg g di ghiaccio con
martello la testa d’un chiodo questa si scalda! E lo ma g di acqua, la temperatura T dell’acqua che si
sfregamento si può interpretare come una successio- raggiunge se il ghiaccio si scioglie completamente
ne di piccolissimi urti tra le microscopiche sporgenze è proporzionale alla quantità di ghiaccio sciolta e
presenti sulla superficie dei corpi. In definitiva è ne- inversamente proporzionale alla massa d’acqua. In
cessario, per produrre calore, che due corpi siano in formule possiamo scrivere
moto relativo tra loro e che qualcosa si opponga a
questo moto. λmg
T = Ti − (4.25)
Sebbene si possa pensare alla luce come formata cma
da un flusso di corpuscoli che colpendo gli oggetti dove Ti è la temperatura iniziale dell’acqua. Questo
illuminati li riscaldino allo stesso modo di come fa significa che per sciogliere mg g di ghiaccio serve
un martello che colpisce un chiodo, altri esperimenti una quantità di calore ∆Q pari a
dimostrano che l’interpretazione di questo fenome-
no non è cosí semplice. Se per esempio si collegano ∆Q = λmg (4.26)
i due poli di una pila elettrica con un filo metallico,
e la costante λ prende il nome di calore latente
quest’ultimo si scalda, senza che apparentemente ci
di fusione del ghiaccio e vale λ ' 80 cal/g4 . In
sia alcunché che si muova. Anche se si versano certi
maniera del tutto analoga, per far evaporare una
sali in acqua, quando questi si sciolgono provocano
quantità d’acqua mv occorre una quantità di calore
l’innalzamento o l’abbassamento della temperatura
del liquido (questo sistema si usa per produrre le bu-
∆Q = Lmv (4.27)
stine di ghiaccio istantaneo usate per lenire i dolori
da contusioni o le bibite calde espresse, nelle quali dove L, detto calore latente di vaporizzazione
basta pigiare sul fondo del recipiente per rompere dell’acqua, vale L ' 540 cal/g.
un contenitore stagno che libera dei sali che fanno Gli esperimenti descritti, quanto meno, ci dico-
salire la temperatura del liquido contenuto sul fondo no che se il fluido calorico esiste, non può essere
del recipiente). Ulteriori fenomeni legati ai passaggi qualcosa di contenuto nei corpi, ma si deve poter
di calore, apparentemente inspiegabili alla luce della generare. Cosa lo generi e di cosa effettivamente
teoria del calorico, sono i cambiamenti di stato: sot- sia fatto non è immediato da spiegare. Di sicuro pe-
to una certa temperatura l’acqua diventa ghiaccio rò abbiamo diverse osservazioni importanti di cui
(solidifica) e sopra i 100 ◦ C bolle diventando vapore. tenere conto:
Durante il processo di solidificazione (o fusione) e
quello di ebollizione la temperatura dell’acqua non • la luce trasporta calore;
cambia come si può verificare con un termometro, la
• il moto deve aver a che fare col calore;
cui lunghezza non cambia fino a quando sono pre-
senti contemporaneamente la fase liquida e quella • il calore si può generare nelle reazioni chimiche;
solida nel caso della solidificazione (fusione) o quel-
la liquida e quella gassosa. Solo quando l’acqua è • il calore può provocare il cambiamento di stato
diventata tutta ghiaccio, la temperatura di quest’ul- delle sostanze;
timo continua a scendere e solo quando tutta l’ac-
• il passaggio di corrente elettrica scalda i fili
qua s’è trasformata in vapore la sua temperatura
metallici.
ricomincia a salire.
Che in questi casi ci sia un passaggio di calore è L’acqua ha perso una quantità di calore ∆Q = cma ∆T =
4
dimostrato dal fatto che la temperatura di equili- λmg che non può che essere servita per sciogliere il ghiaccio.
La luce è qualcosa che si propaga nei mezzi tra- all’interno della fibra per uscirne solo alle estremità.
sparenti come l’aria, il vetro, certe materie plasti- Possiamo schematizzare la propagazione della lu-
che, etc.. Il fatto che la luce non sia qualcosa di ce immaginando che sia composta di raggi rappre-
presente in un determinato luogo, ma che passa da sentabili come segmenti che hanno una direzione
quel luogo, è confermato dal fatto che, abbassando (che definisce la retta su cui giacciono) e un verso
le serrande delle finestre, all’interno di una stanza (che rappresenta in quale dei due possibili sensi la
si fa il buio. Questo vuol dire che la luce che pri- retta è percorsa dal raggio).
ma era presente nella stanza proveniva dall’esterno Una buona approssimazione di raggio si può ot-
e che, a causa dell’ostacolo rappresentato dalle ser- tenere preparando uno schermo opaco (che quindi
rande, non può piú entrare. La luce che era entrata non lascia passare la luce) con un foro al centro, che
dalla finestra viene in qualche modo assorbita dai lascia passare solo uno stretto pennello di luce. Non
corpi. Se cosí non fosse, poiché una certa quantità ci vuole molto a rendersi conto che quest’appros-
di luce era entrata nella stanza prima di chiudere simazione è valida solo per distanze relativamente
le serrande, dovrebbe continuare a rimanere in es- piccole: il fascio in uscita dal foro infatti s’allar-
sa anche con la chiusura delle serrande; al massimo ga sempre di piú ed è piú simile a un cono che a
ci possiamo aspettare una lieve diminuzione dovu- un fascio cilindrico di raggi che corrono nella stessa
ta alla possibilità che una parte di essa esca dalle direzione.
finestre prima che siano completamente chiuse. È La luce di un laser però si presenta abbastanza
presumibile che questo assorbimento dia luogo al ri- simile a quello che possiamo pensare sia un raggio:
scaldamento che osserviamo quando esponiamo un la luce che esce dal laser si propaga parallelamente
corpo alla luce. a sé stessa e anche dopo aver percorso una distanza
Prima di cercare di capire cosa sia la luce è ne- consistente il fascio di luce appare comunque stret-
cessario studiarne il comportamento, perché possia- to. Il laser, insomma, è un utile strumento per fare
mo dedurre la natura delle cose soltanto dai fatti esperimenti di ottica geometrica.
sperimentali. La prima cosa da studiare è, eviden-
temente, il modo in cui la luce si propaga. Lo stu-
dio della propagazione della luce si chiama ottica 5.1 Riflessione della luce
geometrica.
Inviando luce su una superficie lucida, come quella
Sempre osservando la luce che passa attraverso
di uno specchio, quello che si osserva è che alme-
una finestra possiamo renderci conto che la luce si
no una frazione di essa cambia direzione, in modo
propaga in linea retta. Anche se ci sono dei casi in
tale da formare un raggio che si muove sul piano
cui questo sembra non avvenire, come nelle fibre
formato dal raggio incidente e dalla perpendicolare
ottiche nelle quali la luce sembra propagarsi se-
allo specchio nel punto in cui incide e in modo da
guendo le curve prodotte dalle fibre, ma in questo
formare lo stesso angolo con la perpendicolare alla
caso la luce è in qualche maniera costretta a restare
superficie dello specchio. In formule
5.1. RIFLESSIONE DELLA LUCE 60
Il Mirascopio
Un mirascopio è uno strumento ottico che
produce un effetto stupefacente. È costituito di
due specchi di forma parabolica posti l’uno so-
pra l’altro. Gli specchi parabolici si comportano
come quelli sferici, ma al contrario di questi ul-
timi, hanno la proprietà di avere il fuoco in un
punto preciso (ricordate che per gli specchi sferi-
ci i raggi paralleli all’asse ottico non convergono
tutti in un solo punto, ma in una regione che,
solamente se sufficientemente piccola, si può as-
similare a un punto). Sullo specchio superiore è
praticato un foro. Ponendo un oggetto all’inter-
Figura 5.7 Un mirascopio è un dispositi-
vo che produce immagini che no del mirascopio, per esempio appoggiandolo
sembrano reali, ma non lo so- sulla superficie dello specchio in basso, i raggi
no affatto. La piccola rana che di luce provenienti da uno dei suoi punti sono
si vede in questa figura si tro- riflessi da uno degli specchi, che li invia sull’al-
va all’interno dello strumento,
tro. Quest’ultimo produce un’ulteriore riflessio-
ma si ha l’illusione che sia al
di sopra di esso. ne che porta il raggio a uscire dalla parte supe-
riore dello strumento dove si trova un foro. La
geometria degli specchi è tale da far convergere
tutti i raggi provenienti da un punto qualun-
5.2 Una prima interpretazione que dell’oggetto posto all’interno in uno stesso
punto al di fuori del microscopio. Il risultato
Quel che si evince analizzando il funzionamento de-
è che i raggi di luce provenienti da un punto
gli specchi è che la luce, quando colpisce uno spec-
dell’oggetto appaiono provenire dall’esterno del
chio, si comporta come farebbe un pallone che rim-
microscopio creando l’illusione che l’oggetto sia
balza colpendo un muro o la biglia di un biliardo
realmente all’esterno.
che urta la sponda. Affinché la biglia rimbalzi è ne-
All’indirizzo https://www.geogebratube.
cessario che la sponda abbia certe caratteristiche
org/student/m682973 si trova una simulazio-
di rigidità e di elasticità: una biglia non rimbalza
ne di un mirascopio fatta con GeoGebra.
su un birillo o su un’altra biglia. Allo stesso modo
Piccoli mirascopi sono in vendita nei negozi di
non tutte le superfici sono in grado di produrre una
giocattoli o su Internet.
riflessione.
Sembrerebbe dunque ragionevole considerare la
luce composta di un flusso di corpuscoli che de- viene dagli oggetti che vediamo i quali non devono
vono essere molto piccoli visto che non riusciamo a poterla emettere autonomamente, perché altrimen-
risolverli, cioè a vederli distintamente. I corpuscoli ti non sarebbe necessario accendere una lampada
devono di norma propagarsi su linee rette (sicura- per vederli al chiuso. Quello che potrebbe succedere
mente a velocità molto alte, al limite infinite). I fe- è che dalla lampada sono emessi questi corpusco-
nomeni che abbiamo osservato finora sono spiegabili li che urtano la superficie degli oggetti. Una parte
in termini di corpuscoli che rimbalzano quando ur- di questi corpuscoli è assorbita dagli oggetti (que-
tano certi materiali o che sono assorbiti colpendone sto, tra l’altro, potrebbe provocarne il riscaldamen-
altri. Visto che al buio non vediamo nulla, evidente- to), un’altra parte dev’essere diffusa, cioè deviata
mente i nostri occhi sono sensibili alla luce che pro-
in tutte le possibili direzioni. In effetti riusciamo a te. Il fenomeno è chiamato dispersione dai fisici.
vedere gli oggetti illuminati da qualunque direzio- Se dalla luce bianca si ottiene luce colorata è chiaro
ne si guardi, mentre le immagini riflesse si vedono che la luce bianca dev’essere il risultato del som-
solo se l’angolo formato tra lo specchio, il raggio marsi degli effetti prodotti sul nostri occhio dai cor-
incidente e quello riflesso assume un particolare va- puscoli dei vari colori. A ulteriore conferma si può
lore. È possibile che la superficie degli oggetti non realizzare quello che si chiama un disco di New-
sia liscia, anche qualora appaia come tale, ma piú o ton: disegnate su un disco tanti spicchi e colorate
meno scabra, perciò quando i corpuscoli luminosi la ciascuno di essi con tutti i colori dell’arcobaleno; poi
colpiscono possono rimbalzare in direzioni diverse, fatelo ruotare rapidamente attorno al proprio asse
secondo l’angolo con il quale urtano la superficie. (montandolo su un motorino elettrico, per esempio,
Una parte di questi entra nei nostri occhi e pro- o su un trapano). Il disco appare bianco! Sappiamo
duce la sensazione visiva. Gli specchi devono essere bene che sulla retina dei nostro occhi le immagini
superfici molto lisce (e in effetti lo sono): talmente permangono per qualche frazione di secondo prima
lisce da far rimbalzare i raggi luminosi sempre nella di svanire e che l’effetto si usa nel cinema in cui
stessa direzione. proiettando su uno schermo immagini leggermente
I corpuscoli che formano la luce non devono esse- diverse l’una dall’altra si ha l’impressione di vede-
re tutti uguali tra loro. Devono esistere corpuscoli re un movimento fluido. Il fatto che il disco appare
diversi che trasmettono sensazioni di colore diver- bianco si può spiegare nello stesso modo: i corpuscoli
se. È chiaramente la luce che l’illumina a fornire il colorati provenienti dai vari settori del disco giungo-
colore agli oggetti: se ci chiudiamo in una stanza il- no rapidamente uno dopo l’altro ai nostri occhi. Se
luminata da una lampada rossa tutto il contenuto il tempo necessario a far giungere tutti i corpuscoli
della stanza appare rosso. Il colore dunque non è è inferiore a quello di permanenza della sensazio-
una proprietà degli oggetti: semmai è una proprie- ne prodotta nel nostro cervello è come se all’occhio
tà della luce diffusa dagli oggetti. Ma pecrché un giungessero contemporaneamente corpuscoli di tutti
oggetto illuminato con luce bianca appare colora- i colori.
to? Molto probabilmente i corpuscoli che formano La nostra teoria sta funzionando egregiamen-
la luce bianca sono una miscela di corpuscoli di va- te! Ma non bisogna mai accontentarsi dei primi
ri colori: se s’illumina la copertina blu d’un libro, successi.
evidentemente i corpuscoli di colori diversi sono as-
sorbiti dal libro, mentre quelli blu sono diffusi e li
vediamo. 5.3 La rifrazione
Per verificare quest’ipotesi è necessario fare un
Quando la luce attraversa la superficie di separazio-
esperimento che la confermi. Un primo esperimen-
ne tra due mezzi trasparenti, come ad esempio l’aria
to consiste nel far passare un raggio di luce bianca
e l’acqua, il suo cammino subisce una deviazione e
(per esempio quello prodotto dalla luce di un video-
si dice che il raggio è rifratto4 . Basta immergere
proiettore fatto passare attraverso una fenditura)
una cannuccia in un bicchier d’acqua per rendersi
attraverso un prisma di vetro. Curiosamente dalla
conto che la luce proveniente dalla parte immersa
parte opposta si forma un’immagine cha ha la forma
deve giungere ai nostri occhi con un angolo diver-
di un rettangolo colorato.
so da quella proveniente dalla parte emersa, perché
I colori sono gli stessi (e nella stessa sequenza)
la cannuccia appare spezzata o piegata. Per capire
che si osservano nel caso del verificarsi si un arco-
meglio il fenomeno conviene come al solito eseguire
baleno. È molto probabile che il meccanismo che
esperimenti in condizioni controllate. Per esempio,
produce questi due fenomeni sia quindi lo stesso. È
come se il prisma avesse la proprietà di separare le Dal latino refringere: rompere, spezzare (è la stessa
4
si può illuminare il fondo di un acquario con un si ricava semplicemente invertendo la relazione che
raggio laser e marcare il punto raggiunto dalla luce definisce ε:
con un pennarello. Se, senza spostare nulla, si ver-
sa acqua nell’acquario, il punto luminoso sul fondo σd = dεd . (5.5)
si sposta e osservando il raggio diffuso dall’acqua si
Analogamente la misura di h avrà una precisione
nota che, quando ne attraversa la superficie, cambia
di σh /h. L’errore relativo totale sarà la somma (in
direzione.
quadratura) degli errori sulle singole misure, quindi
Non resta che fare qualche misura per capire co-
è
me cambia la direzione del raggio luminoso. Nel ca-
so della riflessione avevamo scoperto che la direzio-
r
σd 2 σh 2
ne della luce riflessa era caratterizzata dall’angolo εθ = + . (5.6)
d h
θinc formato tra il raggio incidente e la normale alla
superficie dello specchio. Di certo anche in questo Se h ' 10 cm e σh = σd ' 1 mm, per un angolo
caso è cosí: cambiando l’inclinazione della luce inci- dell’ordine dei 5◦ , d ' 7 mm e abbiamo quindi che
dente cambia l’angolo di rifrazione θrif r che quindi
dev’essere funzione di θinc : θrif r = f (θinc ). s 2 2
Eseguire le misure non è difficile: è sufficiente di- 0.1 0.1
εθ = + ' 0.14 . (5.7)
sporre di un supporto per il laser che permetta di 0.7 10
orientarlo con diverse inclinazioni rispetto alla verti-
Conosceremo perciò l’angolo con una precisione del
cale e di un acquario riempito d’acqua fino a un’al-
14 %. Dato che il rapporto d/h = 0.07, la misura di
tezza h. Mettendo il laser in posizione verticale si
questo rapporto si scrive
osserva che la luce del laser non è deviata quando
penetra nell’acqua. Man mano che l’angolo d’incli- d
nazione aumenta, lo spot luminoso si allontana dalla = 0.07 ± 0.01 ,
θrif r ' (5.8)
h
verticale. Se sul fondo della vasca abbiamo incollato
visto che 0.14 × 0.7 ' 0.01. Naturalmente questa
un righello possiamo misurare di quanto si sposta 10
misura è in radianti. Se volessimo esprimerla in gra-
in funzione dell’angolo d’incidenza e cosí ricavare
di bisognerebbe convertirla applicando l’opportuno
l’angolo di rifrazione come
fattore di conversione:
d
θrif r = arctan (5.3) 180
h θrif r [◦ ] = θrif r [rad] (5.9)
π
dove d è la distanza raggiunta dal punto luminoso
da cui si ricava che
sul fondo rispetto al punto illuminato quando il laser
è in posizione verticale. Misuriamo dunque il valore
θrif r ' (4.0 ± 0.6)◦ . (5.10)
di θrif r in funzione di θinc . Osserviamo che se l’ango-
lo è piccolo arctan θrif r ' θrif r , quindi θrif r ' d/h Nella Figura 5.8 riportiamo i valori degli angoli
e l’errore che si commette nel determinare l’angolo misurati con un dispositivo come quello descritto.
è l’errore sulla misura del rapporto. Per valutarlo Dal grafico è chiarissimo che c’è una dipenden-
facciamo cosí: l’errore che si commette nel misurare za di θrif r da θinc , ma che questa dipendenza non
d è σd e quindi d è nota con una precisione di è lineare, se non approssimativamente nella prima
parte del grafico. Questo significa che solo per an-
σd
εd = (5.4) goli piccoli θrif r ' αθinc . Se la dipendenza non è
d lineare allora la funzione che lega θrif r a θinc non
che si chiama errore relativo della misura. Noto può che essere una funzione trigonometrica. Ma in
l’errore relativo di una grandezza fisica la sua entità questo caso è improbabile che la relazione sia del
Figura 5.8 Grafico dell’angolo di rifra- Figura 5.9 Grafico del seno dell’ango-
zione in acqua in funzione lo di rifrazione in acqua in
dell’angolo d’incidenza. funzione del seno dell’angolo
d’incidenza.
filmato non riproducibile su questo tra aria e vetro, i raggi di luce giungono alla faccia
supporto: digita l’URL nella caption o opposta con angoli diversi. Se le facce di entrata e
scarica l’e-book di uscita sono parallele, la rifrazione tra vetro e aria
Figura 5.10 Un flusso di corpuscoli che si rimescola i raggi colorati in maniera da riprodurre
muove a velocità diversa in la condizione iniziale di entrata e la luce trasmessa
due mezzi diversi è rifrat-
to passando da un mezzo al-
è bianca. Se invece le facce non sono parallele, come
l’altro (cambia cioè direzio- nel caso di un prisma, la rifrazione tra vetro e aria
ne): i corpuscoli che entrano mantiene separati i diversi colori e si osserva quello
nel mezzo azzurro rallenta- che si chiama lo spettro della luce bianca.
no, pur continuando a muo- Quando la luce giunge in prossimità della super-
versi in linea retta. Si con-
seguenza il fronte dei corpu- ficie di separazione tra due mezzi, una parte di essa
scoli cambia direzione [http: è riflessa, mentre una parte viene rifratta, con per-
//youtu.be/8anT0Fs39Jo]. centuali diverse dipendenti dall’angolo d’incidenza.
Potete facilmente rendervene conto provando a os-
servare la vostra immagine riflessa dal vetro di una
per cui nplexiglass /nacqua = 1.12. Se conveniamo di finestra, la cui intensità dipende dall’angolo d’in-
attribuire all’aria il valore naria = 1, allora nacqua = cidenza della luce. In ogni caso è sempre possibile
1.33 e nplexiglass = 1.49. vedere la vostra immagine al di là della finestra per-
ché una parte della luce è rifratta. Si potrebbe inter-
pretare il fatto assumendo che una parte del flusso
5.4 Conferma della teoria cor- di corpuscoli che giungono sulla superficie rimbalza,
mentre una parte è trasmessa secondo la Legge di
puscolare Snell, se il mezzo è trasparente. Piú l’angolo d’inci-
denza è radente, piú la probabilità di rimbalzare è
È compatibile questo comportamento con la teoria
alta, come quando si tira un sasso sulla superficie
corpuscolare della luce? La risposta è sí e il motivo
del mare.
è piuttosto semplice: se la luce fosse costituita di un
Se s’interpreta nel modo detto la luce, l’indice di
flusso di corpuscoli che si muovono tutti nella stessa
rifrazione deve in qualche modo rappresentare una
direzione alla stessa velocità, alcuni di questi giun-
misura della velocità della luce che dev’essere di-
geranno in prossimità della superficie di separazione
versa da mezzo a mezzo. Questo vuol dire che la
tra i due mezzi prima degli altri, se l’angolo d’inci-
velocità della luce non è infinita e che quindi si deve
denza è diverso da zero. Se la velocità dei corpuscoli
poter misurare (certo, è alta, e non sarà facile far-
dipende dal mezzo, i primi a penetrare si muovono a
lo). Il rapporto tra due indici di rifrazione dev’essere
velocità diversa e la direzione complessiva del flusso
uguale al rapporto tra le velocità. Se quindi indi-
cambia, come si può ben vedere dal Filmato 5.10
chiamo con la lettera c la velocità della luce in aria
Facendo esperimenti piú raffinati si vede che l’in-
abbiamo che
dice di rifrazione dipende dal colore della luce. Il che
non contraddice il modello, perché si può continuare c
n= (5.16)
a spiegare il comportamento della luce assumendo v
che l’indice di rifrazione dipenda dal colore del cor- dove v è la velocità con la quale si propaga la luce
puscolo luminoso. In questo modo si spiega anche il nel mezzo di indice di rifrazione n. Sperimentalmen-
fenomeno della dispersione illustrato al paragrafo te non si riesce a trovare alcun mezzo il cui indice
precedente: se la luce bianca, che abbiamo suppo- di rifrazione sia minore di quello dell’aria, il che si-
sto essere formata da un miscuglio di corpuscoli di gnifica che la velocità della luce in aria è la piú alta
colori diversi, incide sulla superficie di separazione tra quelle conosciute e vale c.
Analizziamo meglio la Legge di Snell, scrivendo mo se incidono sulla superficie convessa, mentre si
l’angolo di rifrazione di un raggio luminoso come allontanano dall’asse ottico se la luce incide sulla
superficie dal lato concavo. Sfruttando questo feno-
ninc
sin θrif r = sin θinc . (5.17) meno si realizzano le lenti. Le lenti sono dispositivi
nrif
ottici formati da un materiale trasparente con due
Se ninc > nrif r il coefficiente davanti a sin θinc è superfici sferiche opposte. Il raggio di curvatura di
maggiore di 1 e, se l’angolo d’incidenza è abbastan- ciascuna superficie ne determina le caratteristiche
za grande, può accadere che sin θrif r > 1, il che è complessive.
impossibile. In questo caso quel che deve accadere è Il comportamento di una lente si può studiare
che il raggio non può essere rifratto e può solo essere esattamente ricorrendo alle leggi dell’ottica geome-
riflesso. Devono quindi esistere dei casi in cui, no- trica sopra illustrate, ma nella maggior parte dei
nostante il materiale verso cui è puntato un raggio casi pratici si possono fare utili approssimazioni che
luminoso sia trasparente, il raggio non è trasmesso, semplificano molto la previsione del comportamento
ma riflesso. In effetti in certi casi è proprio quel che di una lente. Le approssimazioni in questione sono
succede. Il fenomeno, detto riflessione totale, si valide per le cosí dette lenti sottili, cioè per quel-
può verificare solo quando la luce passa da un mez- le lenti per le quali la distanza tra le due superfici
zo con indice di rifrazione alto a un altro con indice opposte è molto minore del modulo di ciascuno dei
di rifrazione piú basso. Infatti, se un raggio incide due raggi di curvatura. Secondo la curvatura del-
su una superficie passando da un mezzo a indice le superfici le lenti possono essere biconvesse (cioè
di rifrazione piú alto a uno con indice di rifrazione convesse su entrambi i lati), biconcave (concave su
minore, l’angolo di rifrazione è piú ampio di quello tutti e due i lati), piano–convesse, piano–concave o
d’incidenza (il raggio si allontana dalla superficie), concavo–convesse.
al contrario di quanto avviene nel caso opposto. Esi- Le lenti piú comuni, per le quali è facile ricavare il
ste quindi un angolo d’incidenza per il quale l’angolo comportamento, sono quelle biconvesse e biconcave.
di rifrazione è tale da far viaggiare l’angolo rifratto Il primo tipo devia i raggi paralleli all’asse ottico in
parallelamente alla superficie. Per angoli maggiori modo da farli convergere in un punto di quest’ulti-
il raggio che sarebbe rifratto dovrebbe trovarsi nel- mo detto fuoco, a distanza f dal centro della lente.
lo stesso mezzo di partenza, ma in questo caso non Le lenti d’ingrandimento sono lenti di questo ti-
potrà che formare un angolo con la normale alla po. Disponendone l’asse ottico parallelamente alla
superficie uguale a quello d’incidenza e quindi sarà direzione da cui provengono i raggi del Sole, que-
semplicemente riflesso. sti deviano verso l’asse ottico della lente e finiscono
L’angolo θinc per cui si raggiunge il valore per concentrarsi su un punto distante f dal centro
massimo di sin θrif r = 1 si chiama angolo critico. della lente. Per questo motivo le lenti biconvesse so-
no anche dette convergenti. La proprietà secondo
la quale i raggi paralleli all’asse ottico finiscono per
5.5 Applicazioni convergere in un punto è quella che permette di usa-
re una lente d’ingrandimento per bruciare un
Quando la superficie di separazione tra due mezzi
pezzo di carta usando i raggi del Sole. Poiché il Sole
non è piana i raggi che incidono lungo una determi-
è molto lontano i suoi raggi arrivano sulla lente tutti
nata direzione sono deviati in modo diverso, secon-
parallelamente l’uno all’altro. Orientando opportu-
do l’angolo formato con la normale alla superficie.
namente la lente si vede che i raggi convergono tutti
In particolare, se la superficie in questione è sferica,
in un punto, che quindi diventa luminosissimo, a di-
i raggi di luce paralleli all’asse ottico (che analo-
stanza f dalla lente. La luce trasporta anche calore,
gamente al caso degli specchi è un asse perpendi-
quindi il punto in cui si concentrano i raggi, oltre a
colare alla superficie) sono deviati verso quest’ulti-
essere luminosissimo, si scalda parecchio fino a far
della lente, vediamo che la distanza q va considerata rifratti in modo tale che i loro prolungamenti s’in-
negativa, quindi, usando per p e q i segni opportuni, contrino in un punto, che sarà quello da cui sem-
l’equazione della lente si può riscrivere come brano partire i raggi luminosi e quindi quello in cui
si formerà l’immagine del punto in questione. Per
1 1 1
= + . (5.22) rendere valida l’equazione delle lenti, nel caso delle
f p q lenti divergenti basterà fare la convenzione secondo
Se l’oggetto si trova a una distanza p > f dalla lente la quale il fuoco di una lente convergente f è positi-
si vede subito che dev’essere vo, mentre nel caso delle lenti divergenti la distanza
focale si deve considerare negativa.
1 1 1
= − (5.23) Agli indirizzi http://tube.geogebra.org/
q f p student/m774117 e http://tube.geogebra.
e quindi q è positiva e l’immagine si forma dalla org/student/m774113 si trovano due applica-
parte opposta rispetto alla lente (questo accade nel zioni GeoGebra che permettono di simulare il
caso degli obiettivi fotografici, per esempio, oppure comportamento dei due tipi di lente.
per gli obiettivi dei proiettori). L’ingrandimento Combinando gli effetti di due o piú lenti si posso-
M si definisce come il rapporto tra le dimensioni no realizzare strumenti come i telescopi o i micro-
dell’immagine e quella dell’oggetto e vale quindi: scopi. Nei modelli piú semplici, in questi strumenti
ci sono solo due lenti: una che funge da obiettivo,
hi q da cui entra la luce che forma un’immagine a una
M= = . (5.24)
ho p certa distanza che dipende dalla distanza focale di
Se M > 1 l’immagine è piú grande dell’oggetto altri- questo, e una che serve da oculare che funziona co-
menti è piú piccola. Se M > 0 l’immagine è dritta, me una comune lente d’ingrandimento e che serve
altrimenti è capovolta. per consentire all’occhio di vedere l’immagine pro-
dotta dall’obiettivo ingrandita. Poiché le immagi-
Esercizio 5.2 L’equazione degli specchi ni formate dalle lenti convergenti impiegate sono di
norma rovesciate rispetto agli oggetti, quello che si
Provate a ricavare l’equazione che lega la distan- vede attraverso questi strumenti appare al rovescio
za p dell’oggetto dal vertice di uno specchio sferico rispetto alla realtà. Questo è il motivo per il quale
alla distanza q alla quale si forma l’immagine del- spostando il vetrino di un microscopio verso sinistra
l’oggetto e alla sua distanza focale f . Per farlo è l’immagine si muove verso destra o alzando l’ango-
sufficiente individuare almeno due coppie di trian- lo di puntamento di un telescopio, quel che si vede
goli simili disegnando i raggi che partono da uno nell’oculare sembra muoversi verso l’alto denuncian-
stesso punto dell’oggetto e che viaggiano parallela- do un movimento verso il basso del telescopio. Nei
mente all’asse ottico, in direzione del centro dello
binocoli questo non accade perché le immagini so-
specchio o in direzione del suo fuoco. Scrivendo il
no ulteriormente rovesciate da una coppia di pri-
rapporto tra hi e ho per due coppie di triangoli
smi montati tra la lente che costituisce l’obiettivo
simili si ricava l’equazione degli specchi.
e quella che funge da oculare, grazie al fenomeno
della riflessione totale.
L’equazione della lente vale sia per le lenti con- Il fenomeno della riflessione totale si sfrutta non
vergenti che per quelle divergenti, che sono quelle solo per la produzione dei prismi impiegati nei bi-
biconcave. Per costruire l’immagine di una lente di- nocoli, ma anche nelle macchine fotografiche reflex.
vergente basta seguire le stesse regole definite per le Nella macchine fotografiche reflex la luce provenien-
lenti convergenti, avendo cura di prolungare i raggi te dall’obiettivo è riflessa da uno specchio posto a
45◦ rispetto all’asse dell’obiettivo. In questo modo
l’immagine è deviata verso l’alto, dove entra in un
gente dell’onda. Se la sorgente è piccola rispetto al- cune grandezze fisiche che si possono misurare nel
le dimensioni dell’onda possiamo considerarla pun- caso delle onde. Il compito, a prima vista, non sem-
tiforme. Quando la sorgente è puntiforme e le onde bra facile: di onde ne esistono un’infinità e sembrano
si propagano su una superficie, come nel caso in cui tutte diverse tra loro. Ma per fortuna la matematica
intingiamo un dito in una bacinella d’acqua, le onde ci viene in aiuto fornendoci uno strumento potentis-
che da questa si propagano sono di forma circolare. simo: il teorema di Fourier2 . Semplificando mol-
Quando invece le onde si propagano in un mezzo to, il teorema di Fourier stabilisce che ogni funzione
tridimensionale, nel caso di sorgenti puntiformi, le periodica (con certe caratteristiche come il fatto
onde sono di forma sferica: quando parliamo, le onde di essere continua, che però è una caratteristica di
sonore s’irradiano in tutte le direzioni rispetto alla cui godono praticamente tutte le funzioni che inte-
nostra bocca e ci possono sentire anche persone che ressano a un fisico), si può sempre scrivere come una
si trovano dietro, sopra o sotto di noi. Proprio que- somma, al limite infinita, di funzioni sinusoidali. In
sto fatto dimostra che il suono dev’essere prodotto formule:
da un’onda: se fosse prodotto da particelle che si
muovono dalla sorgente all’ascoltatore dovrebbero ∞
raggiungere quest’ultimo solo nella direzione nella
X x x
f (x) = An cos + Bn sin , (6.1)
quale si orienta la bocca, come quando si soffia sul- i=0
Ln Ln
le candeline di una torta, che non si spengono se si
trovano ai lati o dietro la bocca. Il filmato 9.1 di- dove An , Bn e Ln sono opportuni coefficienti nume-
mostra che il suono è prodotto da un’onda longitu- rici che il teorema consente di calcolare. Natural-
dinale, nella quale cioè la sollecitazione si produce mente la stessa formula si può scrivere in molti mo-
nella stessa direzione della propagazione dell’onda: di diversi e nei libri di matematica appare spesso in
una particella di aria spinta dalla vibrazione di un un’altra forma, ma voi avrete notato che l’argomen-
altoparlante comincia a muoversi e cosí facendo ur- to delle funzioni seno e coseno è stato scritto come
ta un’altra particella. La prima rimbalza all’indie- x/Ln per evidenziarne la natura adimensionale: le
tro, mentre la seconda si sposta in avanti. In questo dimensioni fisiche di x devono evidentemente esse-
modo la seconda può trasmettere la sollecitazione a re le stesse di Ln . Le funzioni periodiche sono quelle
una particella vicina e cosí via: possiamo immagi- che si ripetono uguali a sé stesse a intervalli regolari.
nare l’aria come un fluido che viene compresso e che Per rendervi conto meglio di come funzioni il teore-
torna a rarefarsi in continuazione in un determinato ma di Fourier potete guardare i grafici animati che
punto dello spazio, mentre l’onda di compressione si si trovano alla pagina di Wikipedia che corrisponde
propaga mettendo in moto (comprimendole) le par- alla voce Fourier Series, che è fatta piuttosto bene.
ticelle di aria circostanti. Quando l’onda di compres- In particolare a quella pagina si trova la Fig. 6.2.
sione giunge nelle vicinanze delle nostre orecchie le Potete anche accedere a http://tube.
molecole di aria compresse, riespandendosi, urtano geogebra.org/student/m811701 per sperimentare
il timpano e lo fanno vibrare. È questo movimen- da soli la decomposizione di una funzione periodica
to del timpano che produce nel nostro cervello la in armoniche, come sono dette le componenti
sensazione sonora. della somma di Fourier.
Le onde cui siamo interessati noi sono sempre rap-
presentabili come funzioni periodiche. Anche qualo-
6.1 Caratterizzazione delle on- ra l’onda sia costituita di un singolo impulso (vedi
Filmato 6.1), come quando si scuote l’estremità di
de
2
Dal nome di Jean Baptiste Fourier che lo formulò.
Se vogliamo capire di piú circa il comportamento
delle onde dobbiamo per prima cosa individuare al-
y = A sin θ , (6.2)
dove y rappresenta una grandezza fisica il cui valo-
re cambia al variare di qualcosa che si può rappre-
sentare come un angolo. Per esempio, nel caso delle
Figura 6.2 Un’onda quadra, che si presen- onde sull’acqua, y rappresenta l’altezza del pelo del-
ta come una successione rego- l’acqua rispetto alla condizione di equilibrio e può
lare di impulsi di forma ret- essere sia positiva (sulle creste dell’onda) che ne-
tangolare si può sempre scri-
vere come una somma di tan-
gativa (nei ventri). Se l’onda descrive un suono, y
te funzioni sinusoidali. In alto rappresenta la variazione di pressione del fluido nel
si vede l’onda quadra, in blu, quale il suono si propaga. La pressione in un deter-
sovrapposta a una singola si- minato punto può essere maggiore di quella media
nusoide: le due onde si somi- (e in questo caso y > 0) o minore (y < 0).
gliano, ma non troppo. Se pe-
rò alla sinusoide se ne somma
Come argomento del seno non possiamo che usare
un’altra con un diverso perio- un angolo θ che di fatto sarà un numero adimensio-
do si trova la figura immedia- nale compreso tra −∞ e +∞ che rappresenta una
tamente sotto, che decisamen- grandezza fisica da cui l’onda dipende: una distan-
te somiglia di piú all’onda in za o un intervallo di tempo. L’ampiezza dell’onda y
blu. Continuando a sommare
sinusoidi si ottiene una funzio- a un certo istante di tempo t, infatti, dipende dal-
ne che somiglia sempre di piú la posizione x in cui si osserva il mezzo sollecitato.
a quella originale (La figura è Prendiamo per esempio il caso di un’onda che si pro-
stata prodotta da Jim Belk). paga lungo una corda. Se copriamo tutta la corda
con uno schermo con una finestra sufficientemente
sottile e osserviamo i punti della corda attraverso
una corda3 , si può pensare come rappresentata da la finestra, li vedremo andare su e giú al variare del
una funzione periodica il cui periodo, cioè l’interval- tempo. In questo caso y è una funzione del tempo
lo di tempo dopo il quale un secondo impulso com- y = y(t) e x è fissata alla posizione della finestra.
pare laddove è transitato il primo, è molto lungo Se invece fissiamo il tempo, facendo una foto della
(al limite infinito). Questo ci permette di studiare, corda dopo aver rimosso lo schermo, vedremo che
dal punto di vista formale, solo le onde sinusoidali: l’altezza dei punti della corda y è funzione della di-
stanza da uno dei capi della corda y = y(x), mentre
3
L’impulso si muove lungo la corda, ma i punti della corda
il tempo t è fissato all’istante in cui la foto è stata
non si spostano da dove sono: vanno semplicemente su, poi
giú. fatta.
si sta propagando l’onda, lo vedremo oscillare: nel filmato non riproducibile su questo
caso delle onde sull’acqua, per esempio, lo vedremo supporto: digita l’URL nella caption o
andare su e giú. Se scegliamo l’istante t = 0 quando scarica l’e-book
la grandezza fisica che descrive le caratteristiche del Figura 6.3 Nel filmato si vede un’onda
punto del mezzo assume il valore y = A, che è il che si propaga da destra a
sinistra e che, giunta alla fine
massimo possibile (per esempio l’altezza rispetto al del mezzo nel quale si sta pro-
fondo di una vasca nel caso delle onde sull’acqua), il pagando, è riflessa all’indietro
punto tornerà ad assumere quelle stesse condizioni [http://youtu.be/NcNR7XsqqPc].
dopo un tempo t = T il che corrisponde a un angolo
θ = 2π. Pertanto possiamo scrivere che
2π
θ=t (6.6)
T
2π 2π 2π
in modo tale che per t = 0, θ = 0 e per t = T , y = A sin x± t = A sin (x ± vt) .
λ T λ
θ = 2π. In questo caso l’onda si scrive come (6.12)
Il fronte d’onda è il luogo dei punti del mezzo in
2π
y = A sin t . (6.7) cui il valore di y (che, ricordiamo, è la grandezza
T fisica che caratterizza l’onda) è lo stesso. Il fronte
Sapendo che T = 1/ν possiamo riscrivere d’onda avanza nel tempo spostandosi a x maggio-
l’equazione dell’onda nella forma ri o minori, secondo il segno davanti a v, quindi
la direzione dello spostamento del fronte è sempre
y = A sin (2πνt) (6.8) perpendicolare al fronte stesso.
e definendo la pulsazione ω = 2πν, come
y = A sin ωt . (6.9)
6.2 Riflessione e rifrazione
Quando x 6= 0 evidentemente sarà delle onde
2π 2π
Anche le onde, come i corpuscoli, sono soggette ai fe-
y = A sin x± t (6.10) nomeni della riflessione e della rifrazione. Quan-
λ T
do un’onda incontra un ostacolo sufficientemente
dove il segno + o − dipende dal verso nel quale grande e con le opportune proprietà può essere ri-
si sta propagando l’onda. Se l’onda si propaga nel flessa. La perturbazione che si propaga, giunta in
verso delle x positive, allora dopo un tempo t = T /2 prossimità dell’ostacolo, cambia direzione o verso.
il massimo deve essersi spostato in x = λ/2, quindi Se l’onda arriva perpendicolarmente sull’ostacolo
l’argomento del seno deve valere zero quando t = viene riflessa all’indietro. Se invece arriva sull’osta-
T /2 e x = λ/2. Deve quindi valere la relazione colo formando un angolo θi con la direzione normale
4π 4π
alla superficie d’incidenza, l’onda è riflessa in modo
λ± T =0 (6.11) tale che l’angolo di riflessione θr sia uguale all’angolo
λ T
d’incidenza θi : θi = θr .
e questo si può verificare solo se il segno è quello Se invece l’onda incide sulla superficie di separa-
negativo. Viceversa, se il segno è positivo l’onda si zione tra due mezzi nei quali la velocità di propaga-
sta propagando verso i punti con x piú piccole. Ri- zione delle onde non è la stessa, subisce il fenomeno
cordando che v = λ/T (quindi T = λ/v) possiamo della rifrazione che consiste nel cambio di direzione
riscrivere l’onda sostituendo a T il valore T = λ/v: dell’onda. La direzione dell’onda dopo aver attraver-
sato la superficie tende ad avvicinarsi alla normale
C
per prima nel secondo mezzo e rallenta, restando
indietro rispetto alla porzione di fronte d’onda che
ancora non è arrivata alla superficie. Man mano che
il fronte d’onda prosegue, il rallentamento interessa
v1 ∆t una porzione sempre piú grande del fronte. Facendo
riferimento alla Fig. 6.4 si vede che al tempo t = 0
il fronte d’onda, rappresentato dal segmento AC,
A θi B
giunge alla superficie di separazione; dopo un tem-
θr
po ∆t la parte che ha già attraversato la superficie è
v2 ∆t avanzata di ∆x2 = v2 ∆t, mentre quella che a t = 0
era ancora nel mezzo 1 ha percorso un tratto lungo
∆x1 = v1 ∆t piú lungo6 . I triangoli ACB e ADB
D
sono rettangoli, quindi possiamo scrivere che
Accordare un pianoforte
Il fenomeno dei battimenti è sfruttato dagli ac- y = 2A sin
2π
x−
δ
cos
2π δ
. (7.24)
cordatori di strumenti musicali per regolare la λ 2 λ 2
tensione delle corde degli strumenti che corri- Ora, se l’argomento del coseno vale 2π o un suo mul-
spondono all’emissione della nota LA. Questa tiplo, il coseno vale 1. Questa circostanza si verifica
è la nota prodotta dai diapason quando sono quando
percossi. Se insieme al diapason si fa vibrare
la corda corrispondente, in caso di perfetta ac- 2π δ
= 2mπ (7.25)
cordatura il suono che si percepisce è piatto e λ 2
d’intensità costante (con una leggera diminu- dove m è un qualunque numero intero m =
zione col tempo dovuta alle forze dissipative). 0, 1, 2 . . .. Questo significa che quando
Quando invece la nota prodotta dalla corda è
vicina, ma non identica, a quella prodotta dal δ = 2mλ , (7.26)
diapason si ode la tipica modulazione del volu- e cioè quando le due onde sono sfasate di un nu-
me dei battimenti. La percezione di questa mo- mero pari di lunghezze d’onda, si ha la massi-
dulazione induce l’accordatore ad aumentare o ma interferenza costruttiva. Del resto, anche quan-
a diminuire la tensione della corda. do l’argomento del coseno vale π (e quindi il coseno
vale −1) si ha interferenza costruttiva, perché quel
mentre quello dei battimenti è di che succede è che l’onda risultante assume l’ampiez-
za massima con il segno cambiato. Questo avviene
(7.21) quando
1 1
Tb = = = 50 ms ,
220 − 200 20
perciò se volete vedere diversi battimenti dovete sce- 2π δ
= mπ (7.27)
gliere una scala dell’ordine di qualche multiplo di λ 2
50 ms. Con una scala di 200 ms ne vedreste quattro, e quindi per
per esempio.
Con onde di frequenza maggiore (per esempio 440 δ = mλ . (7.28)
e 441 Hz) potete apprezzare l’effetto con le vostre L’interferenza costruttiva quindi si ha quando le due
orecchie: sentirete l’intensità del suono modulata onde sono sfasate di un qualunque numero inte-
con un periodo pari all’inverso della differenza di ro di lunghezze d’onda. Al contrario, l’interfe-
frequenza (per l’esempio il periodo di modulazione renza è totalmente distruttiva quando l’argomento
del segnale è di 1 s). del coseno vale π2 , 3 π2 , 5 π2 e cosí via, cioè quando
Un altro caso interessante d’interferenza si ha l’argomento del coseno è un multiplo dispari di π2 .
quando un’onda di equazione Questo si verifica quando
2π 2π δ π
y = A sin x (7.22) = (2m + 1) (7.29)
λ λ 2 2
interferisce con un’altra onda con la stessa lunghez- con m intero, cioè quando
za d’onda partita da un punto diverso x0 = x + δ,
che ha dunque equazione λ
δ = (2m + 1) . (7.30)
2
2π Possiamo dunque dire che l’interferenza sarà com-
y = A sin (x − δ) . (7.23)
λ pletamente distruttiva quando le due onde sono sfa-
Quando le due onde si sommano si ottiene un’onda sate di un numero dispari di mezze lunghezze
di equazione d’onda.
attraverso il quale si propagano le onde è uno solo. e anche in questo caso λ non può avere un valore
Provate a soffiare nel cappuccio di una penna bi- qualunque, ma deve per forza assumere un valore
ro: si sente un caratteristico fischio, sempre uguale. dato dalla relazione
Indipendentemente dal modo in cui si soffia, la fre-
quenza del suono percepito è sempre la stessa: varia 4L
λ= . (7.41)
l’intensità del suono, ma non la frequenza. Il suono 2m + 1
prodotto può variare solo se varia (apprezzabilmen- La massima lunghezza d’onda permessa si ha per
te) la forma del cappuccio (ad esempio, se si usa il m = 0 e vale λ = 4L. Questa lunghezza d’onda
cappuccio di un pennarellone). Il motivo sta nel fat- corrisponde alla frequenza dell’armonica fondamen-
to che il suono è prodotto da un’onda longitudinale tale. Le armoniche di ordine superiore hanno una
che si propaga nell’aria: quando si soffia nel cap- lunghezza d’onda piú breve.
puccio l’aria sposta quella presente comprimendola
in direzione del fondo del cappuccio. Quando l’onda
di compressione giunge sul fondo non può piú com-
primere altra aria, che non c’è, dunque è costretta
a tornare indietro per riflessione. Il risultato è che
si produce un’onda di compressione verso il fondo
del cappuccio che interferisce con l’onda riflessa da
questo che si dirige verso la bocca. Fin quando si
continua a soffiare, mentre sul fondo del cappuccio
l’ampiezza dell’onda risultante dalla somma di que-
ste due deve rimanere nulla (perché non c’è alcuna
compressione), in prossimità della bocca l’onda de-
ve assumere la massima ampiezza, visto che è quello
il punto in cui la compressione, prodotta dal soffio,
è massima.
Di nuovo, la somma delle due onde (quella che
parte dalla bocca e quella che parte dal fondo) si
scrive come
che lo separa dal precedente, che vale T , l’osser- L’effetto Doppler per la salute
vatore si è avvicinato al secondo riducendo il tem- L’effetto Doppler si usa in numerose applica-
po necessario per esserne raggiunto). La frequenza zioni tecnologiche. Una di queste è l’ecografia
percepita dall’osservatore è dunque Doppler o ecodoppler . Si tratta di un esame
diagnostico che il medico esegue per misurare la
v0 v+u v u u velocità con la quale il sangue scorre nei vasi. Il
ν0 = = = + =ν 1+ . (8.5) medico ecografista applica al paziente un alto-
λ λ λ λ v
parlante (la sonda ecografica) che produce suoni
È evidente che quando l’osservatore si allontana non udibili dall’orecchio umano. Sulla sonda è
dalla sorgente la relazione che lega ν 0 a ν diventa montato anche un microfono che rileva le on-
u de riflesse dai tessuti (si ha una riflessione ogni
ν0 = 1 − ν. (8.6) volta che l’onda incontra la superficie di separa-
v
zione tra due tessuti di diversa densità). Anche
Questo fenomeno è piú difficile da sperimentare per-
il sangue riflette le onde, ma a differenza dei
ché si verifica quando voi siete in moto e la sorgente
tessuti non è fermo: se il sangue si sta allonta-
è ferma: dovreste trovarvi a passare con la vostra
nando dalla sonda vede una frequenza minore
auto a gran velocità nei pressi di un luogo in cui c’è
rispetto a quella prodotta dall’altoparlante. Le
un concerto o una sirena che suona.
onde riflesse poi sono prodotte da una sorgente
In altre parole le onde misurate da un osservatore
in allontanamento e quindi per la sonda hanno
in moto rispetto a una sorgente cambiano frequen-
una frequenza ancora minore. Misurando la dif-
za in modo caratteristico, secondo lo stato di moto
ferenza di frequenza rispetto alle onde inviate si
di sorgente e osservatore. È utile considerare alcuni
può conoscere la velocità (e il verso) del sangue.
casi limite. Quando u = 0 la frequenza non deve
Anche le onde radio sono soggette a effetto Dop-
cambiare e in effetti è cosí. Se u = v, nel caso in cui
pler (relativistico però) e la polizia le usa per
sia l’osservatore a muoversi abbiamo
misurare la velocità dei veicoli con i cosiddetti
u autovelox. Onde radio di frequenza ν prodot-
ν0 = 1 ± ν (8.7)
v te da una sorgente ferma sono inviate sulle au-
che può valere ν 0 = 0 o ν 0 = 2ν. Il primo caso cor- to in moto lungo una strada: quando giungono
risponde a quello in cui l’osservatore si allontana sull’auto questa vede le onde con una frequenza
dalla sorgente alla stessa velocità con cui viaggiano diversa ν 0 e le riflette diventando cosí una sor-
le onde. È evidente che in questo caso le onde in- gente in moto di onde di frequenza ν 0 . Al radar
seguono l’osservatore senza mai raggiungerlo e dun- giungono cosí onde radio emesse alla frequenza
que la frequenza misurata è nulla. Nel caso opposto, ν 0 ulteriormente alterate dal fatto che la sorgen-
trascorso un tempo t tale da far avvicinare l’osser- te (l’auto) è in moto. Misurando la frequenza
vatore di metà lunghezza d’onda verso la sorgente, ν 00 dell’onda cosí rilevata dai sensori del radar
nello stesso tempo il fronte d’onda si è mosso di al- si risale alla velocità dell’auto.
trettanto verso l’osservatore e il risultato è che il
periodo dell’onda si dimezza (e quindi la frequenza allunga (raddoppia), quindi la frequenza si riduce.
raddoppia). Quando la sorgente si muove verso l’osservatore al-
Quando invece è la sorgente a muoversi, in un ca- la velocità dell’onda ogni volta che emette un fronte
so otteniamo ν 0 = ν/2, mentre nell’altro si ottiene d’onda lo fa avendo raggiunto quelli emessi in prece-
ν 0 → ∞. Il primo caso corrisponde al caso in cui la denza, perciò la frequenza è infinita nel senso che la
sorgente si allontana dall’osservatore: in questo caso distanza tra un fronte d’onda e il successivo diventa
i fronti d’onda risultano piú lontani e il periodo si nulla.
Quando sia la sorgente che l’osservatore sono in filmato non riproducibile su questo
moto rispetto al mezzo, l’effetto Doppler comples- supporto: digita l’URL nella caption o
sivo è quello che si ottiene combinando i due effetti scarica l’e-book
perciò Figura 8.1 Nel film di Sergio Corbucci
”Lo smemorato di Collegno”
(1962), Totò è un disgraziato
v v
u±vv che ha perso la memoria ed è
0
ν = 1± ν= ν. (8.8) stato rinchiuso in manicomio.
u v±u v±uu
In questa scena Erminio
È utile a questo punto porsi la seguente domanda: se Macario prova a convincere
l’osservatore si muove con velocità u verso la sorgen- Totò che agitare la testa
davanti a un ventaglio fermo
te, gli effetti che ci si aspetta di vedere dovrebbero è la stessa cosa che agitare
essere gli stessi di quando è la sorgente a muoversi il ventaglio davanti alla
con velocità u verso l’osservatore! In fondo, il moto testa ferma, perché il moto
è sempre relativo! Eppure, nel caso dell’effetto Dop- relativo è lo stesso. Purtroppo
pler sembra che non sia cosí: le relazioni che danno quello che conta non è il
moto relativo tra testa e
la frequenza percepita dell’onda nei due casi sono ventaglio, ma quello tra aria
diverse! Come mai? La risposta a questa domanda (mossa dal ventaglio) e testa,
è semplice: l’osservazione è semplicemente sbaglia- proprio come nell’effetto
ta. Quel che è in moto relativo nell’effetto Doppler Doppler nel quale ciò che
conta non è il moto relativo
non è la coppia sorgente–osservatore, ma la coppia
tra sorgente e osservatore,
onda–osservatore. L’onda si muove, rispetto al mez- ma quello tra osservatore
zo che è fermo, a velocità v sia che la sorgente sia e fronti d’onda [https:
ferma che nel caso in cui la sorgente sia in moto. //www.youtube.com/watch?
Quando l’osservatore corre verso la sorgente, la ve- v=f-j5zPPl58o&feature=
youtu.be].
locità apparente delle onde è diversa, ma non è cosí
quando è la sorgente a muoversi (vedi il Video (8.1)).
λ0 = λ − uT (8.10)
per cui
c c
ν0 =0
= . (8.11)
λ λ − uT
Essendo λ = νc e T = 1/ν, sostituendo e
manipolando un po’ l’equazione si ottiene
c c
ν0 = c u = ν. (8.12)
ν
− ν
c−u
Figura 8.2 Una sorgente di onde sferiche
È evidente che, nel caso in cui l’osservatore si al- si muove a velocità costante u
lontana, si avrà il segno meno a denominatore e in verso destra emettendo onde
definitiva che si muovono con velocità v.
Il fronte d’onda che ne risulta è
c quello rappresentato in verde.
ν0 = ν. (8.13)
c±u
secondo il verso del moto relativo. La relazione che
c’è tra le frequenze emesse e quelle misurate è la è propagata per una distanza inferiore a quella per-
stessa nei due casi perché nel caso della luce il moto corsa dalla sorgente. Il secondo fronte d’onda quin-
è effettivamente relativo: non è possibile stabilire chi di è emesso quando la sorgente è al di là del primo
si muove e chi sta fermo! fronte d’onda. Quando la sorgente emette il terzo
L’effetto Doppler relativistico altera la frequenza fronte d’onda, il primo si è propagato per una di-
della luce emessa da oggetti in rapido movimento ri- stanza pari a d1 = 2vT , il secondo per una distanza
spetto a noi. Dal momento che noi percepiamo le on- d2 = vT , mentre la sorgente si trova a una distanza
de luminose di lunghezza d’onda attorno ai 700 nm dS = 2uT > 2vT . Nel caso di onde bidimensionali
come luce rossa e quelle con λ ' 400 nm come blu, (come quelle sull’acqua) Possiamo dunque rappre-
una sorgente di luce di un determinato colore che si sentare il primo fronte d’onda come una circonferen-
allontana da noi sarebbe percepita come una sorgen- za di raggio 2v centrata nell’origine, perché emessa
te di colore diverso, con lunghezza d’onda maggiore. da tale punto, e il secondo come una circonferenza
Da qui il nome di spostamento verso il rosso o di raggio v centrata in un punto che dista uT dal-
red shift che si dà al fenomeno che si verifica os- l’origine. Dopo un ulteriore tempo T il primo fronte
servando galassie molto lontane dalla nostra (vedi d’onda si è propagato per una distanza di 3vt, il se-
Par. 8.4). condo di 2vT a partire da un punto che dista uT dal
centro del primo fronte d’onda e il terzo per una di-
stanza vT a partire da un punto che dista uT dalla
8.3 L’effetto Čerenkov sorgente del secondo fronte, come nella Fig. 8.2.
Se la velocità con la quale si muove la sorgente è L’inviluppo di tutti i fronti d’onda che si muo-
maggiore di quella con la quale l’onda si propaga, vono tutti insieme in una direzione non è altro che
allora il fronte d’onda successivo al primo è emesso un’altra onda costituita della somma delle singole
in un punto tale per cui nel tempo t = T l’onda si onde. Nella Figura 8.2 è rappresentato con una riga
verde e ha la forma di un cono (o di una sua sezio-
da cui
c−u
λ0 = λ. (8.21)
c
λ0
Poiché nel nostro caso z = λ
' 1.1, dev’essere
c−u u
= 1− = z. (8.22)
c c
Visto che z > 1, u dev’essere negativa e questo si-
gnifica semplicemente che la sorgente (la galassia) si
sta allontanando da noi (o che noi ci stiamo allonta-
nando dalla sorgente, ma questo non fa differenza)
e che la velocità di allontanamento è, in modulo,
u ' 0.11c = 0.33 × 108 m/s.
paga nella direzione dei raggi luminosi. Resterebbe filmato non riproducibile su questo
da stabilire la natura dell’onda (cos’è che oscilla nel supporto: digita l’URL nella caption o
caso della luce?), ma questo è un problema diverso. scarica l’e-book
Ma a pensarci bene, rifrazione e riflessione sono Figura 9.1 Il suono è provocato da
fenomeni che si potrebbero verificare anche se la luce un’onda di compressione
delle molecole d’aria che si
fosse composta di particelle! È esperienza piuttosto propaga. In questo video
comune, ad esempio, che se si scaglia una palla su l’animazione delle particelle
un muro, questa rimbalza, e che l’angolo formato tra d’aria che si muovono in
la velocità della palla dopo l’urto e la normale alla seguito alla sollecitazione
superficie del muro è uguale a quello formato tra prodotta da un altoparlante
è seguito da un filmato fatto
questa direzione e la velocità della palla prima del- con una tecnica chiamata
l’urto: è una banale conseguenza della conservazio- Schlieren flow. Per compren-
ne della quantità di moto. La riflessione della luce, dere bene la propagazione del
dunque, si potrebbe spiegare in questo modo. suono scegliete una particella
qualunque e seguitene il moto
In modo del tutto analogo, se si assume che la
con l’occhio: vedrete che
luce sia composta di corpuscoli che si muovono pa- ciascuna particella si muove
rallelamente l’uno all’altro, quando il fronte avanza solo attorno a una posizione
formando un certo angolo con la normale alla su- di equilibrio e che quel che
perficie di separazione tra due mezzi nei quali la si propaga è la sollecitazione
prodotta dalla collisione di
velocità di propagazione è diversa, i corpuscoli che
ciascuna particella con una
giungono prima cambiano velocità prima degli altri sua vicina. [Il video integrale,
(Vedi il Filmato 5.10). Questo provoca il piegamento che illustra anche la tecnica
del fronte e l’alterazione della direzione di propaga- di ripresa, è all’indirizzo
zione. Questo principio è utilizzato, ad esempio, dai https://www.youtube.com/
watch?v=px3oVGXr4mo]. Per
mezzi cingolati per sterzare: non potendo ruotare gentile concessione del Prof.
l’asse delle ruote, questi mezzi fanno muovere i cin- Michael Hargather, con la
goli a velocità diverse. Cosí facendo, uno dei lati del collaborazione del Dr. Gary
mezzo resta indietro rispetto all’altro e di fatto il Settles della Penn State
mezzo sterza. La rifrazione della luce dunque si può University.
spiegare assumendo che i corpuscoli che la formano,
giunti sulla superficie di separazione tra due mezzi,
cambiano direzione per il semplice fatto che quel- 9.1 Sperimentiamo la diffrazio-
li che arrivano in anticipo rallentano (o accelerano)
prima degli altri. ne
C’è però un fenomeno che si verifica solo con le
Alcuni fenomeni di diffrazione si possono sperimen-
onde: la diffrazione, che consiste nella possibilità
tare facilmente: ad esempio, se ci si pone dietro un’o-
che hanno le onde di aggirare gli ostacoli grazie alla
stacolo di dimensioni relativamente piccole frappo-
capacità di modificare la forma del fronte d’onda e
sto tra noi e una sorgente sonora (ad esempio, una
la sua direzione di propagazione.
colonna), il suono si percepisce lo stesso perché le
onde sonore riescono ad aggirare l’ostacolo. È fa-
cile capire come avviene, a livello microscopico, il
fenomeno: le onde di pressione che costituiscono il
suono sono costituite di fluttuazioni di densità di
particelle che si muovono in tutte le direzioni (vedi
filmato 9.1). In presenza di un ostacolo, le parti- Le particelle di aria presenti lungo lo stretto varco si
celle che lo urtano, oltre alla forza di compressione comportano ciascuna come sorgenti di onde sferiche
del suono, subiscono la forza di reazione dell’ostaco- che quindi si propagano in tutta la stanza. Per iso-
lo che ne modifica la direzione del moto, alterando lare acusticamente una stanza dunque è necessario
localmente la forza di compressione che produce il sigillarla ermeticamente.
suono. Il risultato di molte interazioni di questo ti- Un altro esempio piuttosto evidente di come agi-
po è che il suono (l’onda, non le particelle) aggira sca la diffrazione è quello mostrato in Figura 9.2,
l’ostacolo e noi possiamo ascoltarlo anche stando in cui si vede una foto satellitare (presa da Google
dietro di questo. È del tutto evidente che se il suo- Maps nel mese di luglio 2014) della costa vicino a
no fosse formato di particelle che si muovono nella Fiumicino, in provincia di Roma. Davanti alla spiag-
direzione di propagazione, come nel caso del vento, gia sono state sistemate alcune dighe per arginare
frapponendo un ostacolo tra la sorgente e l’ascolta- il moto ondoso e limitare l’erosione della spiaggia
tore, questo moto sarebbe impedito e dunque non da parte delle onde del mare. Tra una diga e l’al-
si potrebbe ascoltare nulla al di là dell’ostacolo. tra c’è un piccolo varco. Infrangendosi sulle dighe,
Allo stesso modo, se l’onda passa attraverso un’a- le onde marine sono riflesse, ma attraverso i varchi
pertura praticata su un ostacolo di grandi dimensio- possono continuare a propagarsi. Nel farlo, però, la
ni, al di là di questo l’onda si propaga in maniera forma del fronte d’onda, inizialmente piana, si mo-
diversa rispetto a quanto faceva prima d’incontrare difica e diventa approssimativamente circolare. Di
l’ostacolo. Se, ad esempio, vi chiudete in una stan- fatto il varco agisce come una sorgente di onde cir-
za, non riuscite a percepire i rumori esterni (a me- colari (avendo dimensioni relativamente piccole) che
no che non siano particolarmente intensi, perché i si propagano da entrambi i lati. Dal lato del mare
suoni, pur fortemente attenuati, si trasmettono an- l’onda si somma con quella incidente del mare e l’ef-
che attraverso i muri, le cui particelle vibrano co- fetto è trascurabile; dall’altro lato invece l’onda si
me quelle d’aria, ma con minore ampiezza). Ma se propaga quasi liberamente ed erode la spiaggia dan-
si apre una porta o una finestra, anche se non ci dole la caratteristica forma che coincide con quella
si mette esattamente in corrispondenza dell’apertu- del fronte che si allarga.
ra, si percepisce un suono intenso, anche se ci si Anche in questo caso, se le onde del mare fos-
mette dietro un angolo. Il motivo è che l’onda so- sero rappresentabili come particelle in moto verso
nora, giungendo in prossimità della porta o della la costa, in corrispondenza dei varchi vedremmo la
finestra, comincia a comprimere le molecole di aria costa erosa perpendicolarmente alla diga e non a
presenti in corrispondenza del varco che a loro vol- semicerchio.
ta cominciano a comprimere le molecole adiacenti,
generando un moto complessivo al di là dell’ostaco-
lo. Ciascuna molecola di aria si comporta come una 9.2 Definiamo la natura della
sorgente di onde (è quello che si chiama principio luce
di Huygens, dal nome di Christiaan Huygens che
lo formulò per primo). Per capire la natura della luce, dunque, è necessario
Il fronte d’onda sonoro che giunge in corrispon- eseguire un esperimento col quale si possa stabili-
denza di una porta provoca l’emissione di un fronte re se la luce dà origine a fenomeni di diffrazione o
al di là di questa, che si propaga con onde semisferi- meno. Un modo per verificare se la luce è un’onda
che all’interno del locale e giunge al nostro orecchio potrebbe consistere nel produrre una figura di dif-
anche se non ci troviamo in corrispondenza della frazione simile alla Figura 9.2: basterebbe inviare
porta da cui entra il suono. Il suono si può propa- un fascio di luce sul muro interponendo uno schermo
gare in tutta la stanza anche se l’apertura praticata
sul muro è sottilissima, grazie allo stesso fenomeno.
rappresenti A non importa gran che, a questo livello. onde si sommano, interferendo, per cui nel punto P
Basta sapere che se al di qua dello schermo si propa- si osserva un’onda di ampiezza
ga quella che possiamo chiamare un’onda luminosa
di ampiezza A, nel punto in cui giunge sullo scher-
`
`0
mo si vedrà un punto luminoso d’intensità I ∝ A2 . x = A sin 2π + A sin 2π (9.2)
λ λ
Poiché l’ampiezza dell’onda in corrispondenza del-
lo schermo, nel caso di fenditura stretta, è la stes- dal momento che la prima viaggia per una di-
sa in tutti i punti, lo schermo sarà uniformemente stanza `, mentre la seconda per una distanza `0 .
illuminato. Possiamo sempre scrivere
È facile fare un esperimento per verificare l’ipo-
tesi che la luce sia un’onda: basta chiudersi in una `0 `+δ `
2π = 2π = 2π + φ (9.3)
stanza non illuminata abbassando tutte le tapparel- λ λ λ
le tranne una; si scherma quest’unica finestra con un dove φ = 2πδ/λ rappresenta un angolo che chia-
cartoncino nero sul quale si pratica un piccolo foro miamo sfasamento. La somma delle due onde dà,
e si osserva la parete opposta. La si vedrà illumina- come risultato,
φ
θ
P
AR = 2A cos (9.7)
A
ℓ
y
2
ℓ′ e la cui fase è ψ = φ/2. L’ampiezza è interessante:
z
θ′ l’espressione ci dice che adesso l’ampiezza dell’onda
B
risultante dipende dallo sfasamento φ tra le due on-
de. Per capire bene cosa succede conviene fare qual-
che approssimazione: supponiamo che z d, aven-
Figura 9.4 Da due sorgenti puntiformi A do indicato con d la distanza tra le due fenditure. In
e B provengono due onde che questo caso le onde che emergono dai punti A e B
interferiscono nel punto P di raggiungono il punto P alla coordinata verticale y
uno schermo avendo viaggia-
to l’una per una distanza ` e
viaggiando praticamente parallele l’una all’altra. Il
l’altra per una distanza `0 . fatto che z d significa sostanzialmente che θ ' θ0 .
La piccola differenza di cammino tra le due onde è
δ = `0 − ` che, come si vede dalla Figura 9.5, si può
stimare in
` ` (9.8)
x = A sin 2π + A sin 2π + φ . (9.4) δ = d sin θ .
λ λ
Ora ricordiamo che
L’onda risultante è un’onda con le stessa frequenza
di quelle che interferiscono, ma con ampiezza diver- δ d sin θ
= 2π
φ = 2π . (9.9)
sa. Se la frequenza è la stessa lo è anche la lunghezza λ λ
d’onda, quindi dev’essere L’ampiezza dell’onda risultante dipende quindi dal-
l’angolo θ in direzione del quale si dirige l’on-
`
x = AR sin 2π + ψ . (9.5) da. Scritta in questi termini l’ampiezza dell’onda
λ diventa
In definitiva la somma delle onde provenienti dai
punti A e B produce nel punto P un’onda di ampiez-
d sin θ dθ
za AR da determinare, della stessa frequenza (e lun- AR = 2A cos π ' 2A cos π (9.10)
ghezza d’onda) di quelle originali e con una fase ψ λ λ
rispetto a una delle due. L’ampiezza AR dell’onda dove l’ultima approssimazione vale se l’angolo θ è
risultante può andare da un minimo di AR = 0 a un piccolo. Se l’argomento del coseno è uguale a un
massimo di AR = 2A e di conseguenza l’intensità multiplo intero di π, l’ampiezza assume il suo valore
andrà da 0 a 4A2 . massimo (in modulo), mentre diventa nulla quando
Anche al fine di fare un utile esercizio di trigono- l’argomento del coseno è pari a un multiplo dispari
metria riscriviamo l’equazione (9.4) usando le for- di π/2. Le due onde provenienti da A e B interferi-
mule di prostaferesi per le quali la somma di due scono costruttivamente nel punto P se viaggiano a
seni è uguale al prodotto del seno della semisomma un angolo tale per cui
per il coseno della semidifferenza degli angoli:
d sin θ = kλ . (9.11)
` φ φ
x = 2A sin 2π + cos (9.6)
λ 2 2 Nel punto P invece arriverà un’onda di ampiezza
in cui abbiamo usato il fatto che cos φ = cos (−φ). nulla se le onde viaggiano con un angolo tale che
Quella che abbiamo ottenuto si può pensare come λ
un’onda di lunghezza d’onda λ la cui ampiezza vale d sin θ = (2k + 1) . (9.12)
2
© (2013–2015) Giovanni Organtini – Fisica Sperimentale
9.3. LA MATEMATICA DELLA DIFFRAZIONE 100
per poi diminuire ancora e tornare ad assumere il di frequenza o lunghezza d’onda data o di scaricare
valore zero per un’applicazione che permetta di fare ciò. Non pos-
siamo percepire bene la modulazione attesa con le
3λ
sin θ = (9.17) nostre orecchie perché la distanza tra le due è trop-
2d po grande e quindi se anche a una delle due orecchie
e cosí via. Se usiamo due altoparlanti distanti una arrivasse l’onda di ampiezza nulla, l’altra continue-
decina di cm l’uno dall’altro, il rapporto λ/d va- rebbe a percepire un suono. Inoltre noi percepiamo
le circa 7.7, quindi sarà impossibile raggiungere il i suoni anche grazie al fatto che si propagano attra-
minimo perché dev’essere verso le ossa del cranio: in definitiva non abbiamo
molte speranze di fare questo esperimento fidandoci
λ
sin θ = 61 (9.18) solo delle nostro orecchie4 .
2d Basta però uno smartphone per eseguire la misu-
perciò, per poter osservare un minimo d’intensità, ra. Possiamo usare una di quelle App che misurano
dobbiamo avere l’intensità sonora sfruttando il microfono presente a
bordo dello strumento. Per fare bene l’esperimento
λ 6 2d ' 20 cm (9.19) occorre trovarsi in un luogo poco rumoroso e nel piú
oppure rigoroso silenzio (il vostro insegnante sarà felice). Di
norma queste App misurano l’intensità dei suoni in
λ
d > ' 38.5 cm . (9.20) decibel (dB). Ai suoni che l’orecchio umano è me-
2 diamente appena in grado di percepire si attribuisce
Se vogliamo essere in grado di percepire anche al- un’intensità di 0 dB5 . Un suono 10 volte piú intenso
meno il secondo minimo la condizione che dobbiamo assume un valore di 10 dB, mentre uno 100 volte piú
realizzare è intenso (10 volte piú intenso di quello da 10 dB) ha
un’intensità di 20 dB. La scala dei dB è una scala
3λ
d> ' 1.2 m (9.21) logaritmica. L’intensità in questa scala si esprime
2 come dieci volte il logaritmo in base 10 dell’intensità
oppure di riferimento per la quale I = 0 dB:
2
(9.22)
λ 6 d ' 7 cm . I
3 I(dB) = 10 log . (9.25)
I0
Entrambe le condizioni sono realizzabili, secondo le
attrezzature di cui disponiamo. Prendiamo il caso, Una normale conversazione tra persone ha un’in-
ad esempio, di disporre di una coppia di altoparlanti tensità sonora che è circa un milione di volte piú
stereo integrati in un sistema nel quale gli altopar- intensa del rumore piú tenue percepibile (in media)
lanti distano 12 cm l’uno dall’altro. Poiché d è fissa- da un orecchio umano, quindi
to, dobbiamo produrre un suono con una lunghezza I(conversazione)
d’onda inferiore a circa ' 106 . (9.26)
I0
(9.23) Di conseguenza il livello espresso in dB vale
2
λ 6 12 = 8 cm
3
che ha una frequenza I(dB) = 10 log 106 = 60 . (9.27)
c 340 4
anche se effettivamente si può riuscire a percepire
ν= = = 4 250 Hz . (9.24) una certa modulazione dell’intensità del suono spostandosi
λ 0.08 rispetto alla linea mediana tra gli altoparlanti.
Questo è facile da realizzare: basta cercare su In- 5
quest’intensità corrisponde a una potenza per unità di
ternet un sito che ci permetta di generare un tono superficie pari a 10−12 W/m2 .
∞
X
f (t) = An cos (ωn t) + Bn sin (ωn t) . (9.29)
n=0
tati [?] da Augustine Fresnel per determinare la lun- Questo compito appare abbastanza piú difficile
ghezza d’onda della luce (conoscendo la distanza tra da svolgere rispetto al precedente. Per svolgerlo
i fori e quella tra i fori e lo schermo è facile deter- dovremmo inventare qualche trucco...
minare λ dalla misura della distanza tra i massimi
d’interferenza) che si scoprí essere compresa tra cir- 9.3.3 I fasori
ca 500 e 700 nm, secondo il colore della luce. La luce
di colore rosso ha una lunghezza d’onda piú vicina Un modo alternativo di rappresentare un’onda di
ai 700 nm, mentre quella blu ha lunghezze d’onda frequenza fissata consiste nello specificarne sempli-
piú corte: circa 400 nm. cemente l’ampiezza A e la fase φ. La coppia di nu-
Come abbiamo già avuto modo di osservare que- meri (A, φ), che chiameremo fasore rappresenta in
sto fenomeno sembra non verificarsi quando le fen- maniera univoca ogni onda di lunghezza d’onda λ
diture sono grandi, cioè molto piú ampie della lun- perché possiamo scrivere
ghezza d’onda della luce. Il motivo risiede eviden-
temente nel fatto che le fenditure, in questo caso, `
x = A sin 2π + φ (9.35)
non si possono piú considerare come sorgenti pun- λ
tiformi di onde e quindi la trattazione che abbiamo usando il primo a il secondo numero della coppia per
fatto non funziona. Se le dighe al largo di Fiumi- stabilire l’entità di A e di φ. Una coppia di numeri
cino della Figura 9.2 presentassero aperture mol- siffatta si può rappresentare graficamente su un pia-
to larghe la costa non assumerebbe la caratteristica no come un segmento lungo A che forma un angolo
forma a semicerchio, però vicino ai bordi della di- φ con un asse scelto arbitrariamente. Un’onda il cui
ga si dovrebbe pur osservare qualcosa. Se anche al sfasamento è nullo si rappresenta quindi come un
centro della diga l’onda continua a propagarsi come segmento lungo A che giace sull’asse in questione.
un’onda piana, nei pressi del bordo l’onda dovrebbe Dal momento che possiamo sceglierlo in maniera ar-
aprirsi a imbuto. bitraria scegliamolo orizzontale, quindi un’onda con
Per capire cosa succede in questo caso possiamo φ = 0 e A = 1, lunghezza d’onda λ, a distanza `,
fare cosí: studiamo il caso di uno schermo con mol- si rappresenta come (1, 0) oppure, geometricamen-
te piccole fenditure poste a distanze regolari l’una te, come un segmento orizzontale lungo 1 (in unità
dall’altra. Questa cosa dovrebbe portare a risultati arbitrarie).
abbastanza simili a quelli già trovati. Poi stringiamo Una seconda onda di ampiezza uguale e fase φ 6=
sempre di piú le fenditure le une alle altre, facen- 0 si rappresenta come (1, φ) o come un segmento
do diminuire la loro distanza fino a ridurla a zero. lungo 1 inclinato di φ rispetto all’orizzontale.
Una fenditura larga si potrà sempre considerare co- Abbiamo già calcolato la somma di due onde della
me una sequenza di sorgenti puntiformi adiacenti a stessa ampiezza e sfasate l’una rispetto all’altra di
distanza praticamente nulla l’una dall’altra. φ trovando che
Dobbiamo quindi sommare non due, ma N on-
de, ciascuna proveniente da una fenditura. Se la φ ` φ
x = 2A cos sin 2π + . (9.36)
spaziatura tra le fenditure è regolare lo sfasamento 2 λ 2
di un’onda rispetto a quella proveniente dal punto
La somma di due fasori F1 = (A, 0) e F2 = (A, φ)
adiacente è costante e possiamo affermare che l’onda
dunque produce un fasore
risultante si scrive come
φ φ
FR = 2A cos , . (9.37)
2 2
` ` `
x = A sin 2π + ···
+A sin 2π + φ +A sin 2π + 2φ Guardiamo la Figura 9.10. La linea grigia rappre-
λ λ λ
(9.34) senta l’asse rispetto al quale misuriamo gli angoli.
F
AR
ϕ
A
C
Figura 9.10 Due fasori adiacenti, uno blu
e l’altro rosso, formano un
triangolo isoscele il cui an-
golo al vertice vale π −
φ.
A B
Il segmento blu lungo A è il fasore (A, 0). Il faso-
re (A, φ) invece è il segmento rosso, che abbiamo
disegnato adiacente al primo fasore. L’angolo tra i
fasori blu e rosso vale π−φ e il triangolo formato dai Figura 9.11 La somma di 5 fasori di ugua-
due fasori e dalla linea tratteggiata verde è isoscele. le ampiezza e fase crescente.
La base del triangolo è lunga
verde rappresenta proprio un fasore che a sua volta
π−φ
b = 2A sin = 2A sin
π φ
− (9.38) rappresenta la somma di due onde i cui fasori so-
2 2 2 no quello blu e quello rosso. Interessante! Abbiamo
piegato la matematica alle nostre esigenze e siamo
e ricordando che
riusciti a trovare la definizione di un’operazione di
somma tra oggetti che abbiamo chiamato fasori che
π
sin − α = cos α (9.39)
2 si può eseguire in maniera relativamente semplice e
possiamo scrivere che che rappresenta la somma di onde. La somma tra
fasori si esegue disegnando i fasori uno dopo l’altro
φ e trovando il segmento che unisce il primo all’ultimo
b = 2A cos, (9.40)
2 punto.
che è proprio l’ampiezza dell’onda risultante o la Ora eseguire la somma di N onde sfasate in mo-
prima coordinata del fasore somma. L’angolo α for- do regolare è facile: dobbiamo trovare il risultato
mato tra il segmento verde e quello grigio è quel- dell’operazione
lo alla base del triangolo isoscele. La somma degli
angoli interni di un triangolo vale sempre π perciò
N
X `
x= A sin 2π + (n − 1)φ . (9.43)
2α + π − φ = π (9.41) λ
n=1
e quindi
Niente di piú facile! Disegniamo gli N fasori e tro-
φ viamo le coordinate del fasore risultante. Nella Figu-
α= (9.42) ra 9.11 vediamo quel che succede quando si somma-
2
è proprio la fase della somma delle due onde o la no N = 5 fasori con sfasamenti progressivi. I fasori
seconda coordinata del fasore. Dunque il segmento sono tutti uguali in lunghezza quindi, per come sono
AR = 2r cos α (9.44)
dove r è la lunghezza del lato obliquo (rosso in figu-
ra) e α è l’angolo alla base, che si ricava osservando Figura 9.12 Un reticolo di diffrazione con
che la somma degli angoli interni dev’essere uguale 5 fenditure a distanza z da
uno schermo.
a π:
Resta da determinare r. Considerando il triangolo che è proprio quanto abbiamo ottenuto con l’e-
ACB che è isoscele anche lui possiamo scrivere che quazione (9.7). Abbiamo adesso un potentissimo
strumento matematico per capire cosa succede in
φ presenza di piú fenditure.
A = 2r sin (9.49)
2
perché A è la base del triangolo il cui angolo al ver- 9.3.4 Diffrazione da reticolo
tice vale proprio φ. Dividendo membro a membro le
due relazioni trovate abbiamo che Una sequenza di fenditure equamente spaziate si
chiama reticolo di diffrazione. La Figura 9.12 ne
φ illustra il funzionamento. Da ciascuna delle N = 5
AR sin N 2
= . (9.50) fenditure, che si comportano come sorgenti pun-
A sin φ2
tiformi di onde sferiche, partono onde in tutte le
L’intensità dell’onda risultante è quindi direzioni. Quelle che si dirigono verso il punto P
interferiscono tra loro producendo una figura di
2
N φ2
2 sin
I∝A 2 φ
(9.51) diffrazione caratteristica.
sin 2 L’ampiezza dell’onda risultante nel punto P
l’abbiamo calcolata usando i fasori e vale
Al Paragrafo 4.3 vediamo come il riscal- sperimentalmente per trovare le leggi che lo rego-
damento dei corpi si può ottenere attraverso lano. Solo cosí possiamo sperare di giungere a una
l’illuminazione, lo sfregamento o l’urto con un qualche teoria che spieghi le osservazioni. Questa
altro corpo. Dai Capitoli 5 e 6 si capisce che, in effet- parte della fisica prende il nome di cinematica, dal
ti, il riscaldamento attraverso l’illuminazione si può greco kιν έω (pronuncia kinéo), che significa proprio
reinterpretare assumendo che la luce sia composta movimento.
di corpuscoli che urtano i corpi illuminati, riscal- In questo capitolo, dunque, ci accingiamo a stu-
dandoli attraverso questo processo, o descrivendo la diare il moto dei corpi dal punto di vista di un
luce come un’onda che trasmette una qualche forma fisico: per farlo sarà necessario caratterizzare il mo-
di moto ai corpi illuminati. to in qualche modo; dovremo cioè definire in modo
Come le onde del mare smuovono la sabbia sulla preciso le grandezze fisiche necessarie a descriverlo.
riva, le onde luminose potrebbero spostare i costi- Il moto dei corpi consiste nella variazione della loro
tuenti elementari dei corpi (che devono essere for- posizione. Il nostro primo problema, dunque, sarà
mati dall’unione di parti piú piccole come suggerito quello di definire questa grandezza fisica.
da vari esperimenti) e questo spostamento potrebbe
produrre, in qualche maniera, l’innalzamento della
loro temperatura, attraverso un processo in qual- 10.1 Voi siete qui
che modo simile allo sfregamento. Quest’ultimo si
Come si fa a stabilire la posizione di un oggetto?
potrebbe interpretare, infatti, come un processo se-
Ciascuno di noi ha un’idea di cosa significhi fornire
condo il quale un pezzo di carta vetrata, passando
la posizione di qualcosa, ma definire la posizione
su un pezzo di metallo, ne sposta i costituenti sulla
dal punto di vista di un fisico non è poi cosí sconta-
superficie come farebbe un’onda sulla sabbia.
to. Cerchiamo di stabilire un criterio oggettivo per
Se invece s’interpreta la luce come formata di cor-
misurare la posizione di un corpo: tanto per fissare
puscoli, l’urto tra un presunto costituente della luce
le idee, pensiamo a una pallina, che ha una forma
e i costituenti della materia, naturalmente, potreb-
semplice. Già cosí vediamo che esiste un problema:
be portare a qualcosa di simile: in fondo, attraverso
cosa intendiamo per posizione della pallina? La pal-
l’urto tra un oggetto in moto e uno fermo si può
lina è un corpo esteso: il suo centro occupa una posi-
provocare il movimento del secondo.
zione diversa da quella occupata dai punti della sua
Per qualche motivo per ora ignoto questi proces-
superficie. Se però possiamo assumere come costan-
si, che in fin dei conti provocano il moto dei presun-
te il suo raggio, basta individuare la posizione del
ti costituenti della materia, producono calore, ma
centro della pallina per individuare univocamente la
come?
posizione della stessa. D’ora in poi, quindi, quando
Per rispondere a questa domanda è necessario cer-
parliamo di posizione della pallina ci riferiamo, per
care di capire qualcosa di piú del moto e delle sue
convenzione, alla posizione del suo centro.
cause. Dobbiamo quindi studiare il moto dei corpi
10.1. VOI SIETE QUI 114
Posiamo la pallina su un banco. Come facciamo a ci sono due distanze uguali: una sopra e una sotto
dire dove si trova? Non c’è alcun modo di dire dove il banco. Per distinguerle siamo costretti a scegliere
si trovi la pallina, se non riferendosi a una qual- un verso: i punti che si trovano sopra il banco li con-
che altra posizione! Potremmo dire che «la pallina è sidereremo come punti con una distanza positiva da
sul banco», ma questa non sarebbe un’informazione questo, mentre quelli sotto come punti con distanza
soddisfacente perché la pallina potrebbe stare in un negativa (o viceversa). È chiaro che lo stesso si può
punto qualsiasi della superficie del banco e noi non fare per le distanze x e y. Un punto che dista x dal
sapremmo esattamente dove. Una maniera per su- lato corto del banco si può trovare sul banco o fuo-
perare quest’ambiguità consiste nello specificare che ri di esso, dall’altro lato: bisognerà decidere come
la pallina si trova a 20 cm dal lato corto sinistro del considerare le distanze. Possiamo scegliere di consi-
banco. La misura di posizione si traduce cosí in una derare positive le distanze x dei punti a destra del
misura di distanza da qualcosa. lato corto del banco e quelle y dei punti che stanno
Non ci vuole molto per rendersi conto che anche nel semipiano occupato dal banco. Le altre saranno
questa definizione di posizione non è soddisfacente! considerate negative.
Se scegliessimo di misurare la posizione della pallina In questo modo la posizione della pallina è per-
come la distanza x dal lato corto di un banco scelto fettamente determinata senza ambiguità: non è pos-
come riferimento, tutte le palline disposte su un seg- sibile che due palline occupino la stessa posizione.
mento tracciato sul banco parallelamente al suo lato Tuttavia resta il fatto che se non si sa dove si trova
corto e a distanza x da questo avrebbero la stessa il banco, non si sa nemmeno dov’è la pallina. In al-
posizione e sappiamo bene che non è cosí: perlomeno tre parole, è impossibile stabilire in modo assoluto
non è quello che intendiamo per posizione. la posizione della pallina: l’unica cosa che possiamo
Se vogliamo specificare meglio dove si trova la fare è indicare a qualcuno la sua posizione attra-
pallina dobbiamo necessariamente indicare non solo verso la relazione con qualche altro oggetto che si
la distanza x dal lato corto, ma anche la distanza deve dare per localizzato. Dove sia il lato corto del
y da uno dei lati lunghi del banco! Servono cioè al- banco, infatti, è impossibile da stabilire, a meno che
meno due numeri x e y per stabilire dove si trova non si riferisca la sua posizione rispetto a un altro ri-
la pallina. In altre parole la posizione della pallina ferimento, come una delle pareti dell’aula. La quale,
è relativa a un sistema di riferimento costituito a sua volta, per poter essere localizzata ha bisogno
di due assi che s’intersecano e che corrono parallela- di un altro riferimento: bisognerà dire quale stan-
mente a due dei lati del banco. Il punto in cui s’in- za di quale fabbricato in quale via di quale città,
tersecano questi assi (lo spigolo del banco) è detto etc.. Si capisce subito che la posizione di un corpo
origine del sistema di riferimento. è relativa alla scelta, arbitraria, che si fa circa il
Anche questa definizione presenta un’ambiguità. sistema di riferimento. Il sistema di riferimento
In questo modo, una pallina che si trova in una po- è costituito di tre assi: due scelti in modo tale che
sizione fissata sul banco e una che si trovi sul pavi- s’incrocino in qualche punto e il terzo che converrà
mento, esattamente sotto quella poggiata sul banco, scegliere in maniera che passi dal punto in comune
avrebbero la stessa posizione, perché i due numeri dei primi due (evidentemente tutti gli assi paralle-
che la definiscono sarebbero uguali (immaginate un li a questo sono equivalenti). La scelta del sistema
piano trasparente e di misurare la posizione degli di riferimento naturalmente non può che essere ar-
oggetti che vedete proiettati sul piano del banco). bitraria anche se è esperienza comune che il moto
Se vogliamo distinguere le due posizioni non possia- dei corpi non appare essere dipendente dalle scelte
mo evitare di indicare una terza distanza z rispetto che fa chi li osserva: le leggi del moto che trovere-
al riferimento scelto che è la distanza tra il piano mo dall’analisi sperimentale, dunque, non potranno
individuato dai due lati del banco scelti come riferi- dipendere (o quanto meno non potranno dipendere
mento e la pallina. Se il riferimento scelto è il banco, troppo) da questa scelta.
y
3
2
a1 A
1
a2
0
O
0 1 2 3 4 5 6 x
Facendo riferimento alla Figura 10.5 vediamo che Evidentemente l’operazione che consiste nel mol-
la distanza2 tra il punto iniziale A e quello finale B tiplicare un vettore per uno scalare restituisce un
è semplicemente data dal Teorema di Pitagora: vettore.
Dal punto di vista geometrico osserviamo che il
2 2
dAB = (b1 − a1 ) + (b2 − a2 ) 2
(10.10) modulo del vettore a è semplicemente la lunghezza
del segmento OA e che la lunghezza del vettore ∆r
che altro non è se non la somma dei quadrati del-
non è altro che la lunghezza del segmento AB. Per
le coordinate del vettore spostamento. La radice di
come è definito, il vettore che si ottiene dalla sottra-
questo numero prende il nome di modulo del vetto-
zione di b da a, a−b, avrebbe la stessa lunghezza di
re e si indica con l’espressione dAB = |∆r|. I moduli
∆r, ma le sue componenti avrebbero segno opposto.
dei vettori a e b, a questo punto, sono anche in-
Infatti:
terpretabili come la distanza tra il punto e l’origine
degli assi essendo
q a−b = (a1 , a2 )−(b1 , b2 ) = (a1 − b1 , a2 − b2 ) = −∆r .
|a| = a21 + a22 (10.11) (10.14)
e analogamente per b. Il modulo di −∆r è evidentemente uguale a quello
Una volta definita l’operazione di somma tra vet- di ∆r ma geometricamente non può essere la stessa
tori b = a + ∆r, si può facilmente definire l’o- cosa. Ogni segmento sul piano può essere la lunghez-
perazione di sottrazione e quindi è facile vedere za di due vettori: uno positivo e l’altro negativo. Dal
che punto di vista geometrico possiamo pensare ai vet-
tori come a segmenti orientati, per i quali cioè
∆r = b − a , (10.12) non siano specificati solo gli estremi, ma anche qua-
le sia il primo e quale il secondo. Al primo estremo
da cui si vede che i vettori si comportano, dal pun- si può dare il nome di punto di applicazione di
to di vista algebrico, come gli scalari. L’operazione un vettore, e al secondo quello di punta del vettore
infatti consiste nel sottrarre tra loro le coordinate cosicché il vettore si può rappresentare graficamente
omologhe. come una freccia che parte da un estremo a giunge
Ora supponiamo di misurare le distanze che de- all’altro. In definitiva, dal punto di vista geometrico,
finiscono la posizione con un righello: le coordinate un vettore è un oggetto che possiede una lunghezza
saranno espresse in cm. Se volessimo esprimere la (pari al suo modulo), una direzione (che coincide
posizione usando coordinate date in mm dovrem- con la retta lungo la quale giace) e un verso (che
mo moltiplicare tutte le componenti del vettore per definisce uno dei due possibili modi nei quali si può
dieci. Possiamo allora definire un’operazione di pro- percorrere la retta).
dotto tra uno scalare e un vettore c = α a come l’o- Sempre dal punto di vista geometrico, dal mo-
perazione che restituisce un vettore le cui coordinate mento che il modulo (che è la radice della somma dei
sono tutte moltiplicate per α: quadrati delle coordinate del vettore) coincide con
la lunghezza del vettore, le sue coordinate non so-
c = (α · a1 , α · a2 ) (10.13) no altro che le lunghezze delle proiezioni del vettore
e reinterpretare l’operazione di sottrazione come l’o- lungo gli assi coordinati. In particolare, nel caso dei
perazione di somma tra i due vettori b e −a = −1·a. vettori a due dimensioni che stiamo considerando, le
due coordinate si possono considerare come la lun-
2
in questo e in altri paragrafi, quando parliamo di distan- ghezza dei due cateti di un triangolo rettangolo di
za intendiamo sia la distanza propriamente detta sia il suo
quadrato, che è solitamente piú comodo da manipolare non cui il vettore rappresenta l’ipotenusa (Figura 10.6).
contenendo radici. Il vettore posizione a quindi è rappresentabile co-
me una freccia che parte da O e giunge in A, mentre
y y
3 b1 B 3 b1 B
2 2
a1 b2 a1
A A b2
1 1
a2
a2
0
O 0
0 1 2 3 4 5 6 7 x O
0 1 2 3 4 5 6 x7
di modulo unitario facilmente: basta dividere tutte il banco si trova in un’aula, la posizione del vertice
le sue coordinate per il modulo del vettore originale. considerato rispetto a uno dei vertici della pianta
Per esempio, se si moltiplica il vettore a per |a|
1
, si dell’aula è a sua volta un vettore. Se indichiamo
ottiene il vettore con C = (c1 , c2 ) le distanze del vertice del banco da
quello dell’aula, il vettore C si rappresenta geome-
1 a1 a2 tricamente come una freccia che parte dall’angolo
â = (a1 , a2 ) = , (10.15)
|a| |a| |a| dell’aula e giunge sul vertice del banco che consi-
il cui modulo vale evidentemente deriamo come origine delle coordinate nel sistema
originale.
|a| La coordinata a1 di a, nel sistema di riferimento
|â| = = 1. (10.16)
|a| originale, rappresenta la distanza, in un’unità scelta
Al vettore â, indicato con la lettera a sotto un cap- arbitrariamente, del punto A dall’asse delle y, che
puccio si dà il nome di versore del vettore a perché coincide con uno dei lati del banco. In alternativa
di fatto questo vettore ne caratterizza la direzio- si può dire che a1 rappresenta la distanza dall’o-
ne e il verso. Infiniti vettori possono avere lo stesso rigine del punto A misurata lungo la direzione x
versore. oppure che è la distanza alla quale si trova la proie-
Poiché possiamo anche scrivere che a1 = |a| cos θ, zione del punto A sull’asse x dall’origine. Sono tutte
dove θ è l’angolo che il vettore forma con l’asse delle definizioni equivalenti.
ascisse, si vede subito che la prima coordinata del In maniera del tutto analoga, la coordinata c1 del
versore non è altro che il coseno dell’angolo forma- vertice del banco considerato origine del sistema di
to tra il versore (e quindi il corrispondente vetto- riferimento originale, rispetto al sistema costituito
re) e l’asse 1. Analogamente possiamo scrivere che dalle pareti dell’aula, rappresenta la distanza del
a2 = |a| cos ψ, avendo indicato con ψ l’angolo com- vertice O dal lato dell’aula parallelo al lato y del
preso tra l’asse n. 2 e il versore. Di conseguenza la banco. Di conseguenza, nel sistema di riferimento
coordinata n. 2 del versore non è altro che il coseno dell’aula, il punto A dista da questa parete c1 + a1 .
di quest’angolo. In generale quindi le coordinate di Evidentemente lo stesso accade all’altra coordinata.
un versore sono date dai coseni degli angoli forma- Per cui, se abbiamo un vettore a in un sistema di
ti tra il vettore e l’asse rispetto al quale è data la riferimento Oxy, la cui origine assume la posizione
coordinata (e per questa ragione si chiamano anche C in un altro sistema di riferimento O0 x0 y 0 , le coor-
coseni direttori). dinate del vettore nel secondo sistema si ottengono
Evidentemente le coordinate di un punto cam- come a0 = a + C.
biano se si cambia il sistema di riferimento, quindi È chiaro che la lunghezza del vettore a cambia se-
cambiano anche le coordinate dei vettori. Abbiamo condo che sia espressa nel sistema Oxy o nel sistema
già osservato che la posizione è un concetto relativo O0 x0 y 0 . Se la posizione di un corpo cambia, lo spo-
e non assoluto. Un sistema di riferimento può es- stamento no: infatti il vettore b diventerà, nel nuovo
sere traslato o ruotato (o tutt’e due le cose insieme) sistema di riferimento, b0 = b + C e la differenza di
rispetto a un altro. Vediamo quindi di capire cosa posizione sarà
succede a un vettore quando si cambia il sistema di
riferimento scelto per rappresentarlo, iniziando dal
caso semplice di pura traslazione. ∆r0 = b0 − a0 = (b + C) − (a + C) = b − a = ∆r .
Consideriamo in particolare i due vettori a = (10.17)
(5, 1.5) e b = (7, 3) nel sistema di riferimento di una E se invece di essere traslato il sistema di riferimen-
delle figure sopra. Supponiamo che l’origine di que- to è ruotato? Supponiamo di ruotare il banco di
sto sistema si possa identificare come uno dei vertici un angolo θ in senso antiorario tenendo ferma l’ori-
del rettangolo costituito dal piano di un banco. Se gine degli assi. Nella Figura 10.8 si vede il sistema
x′ x′
y y
3 b1 B 3
y′ y′
a′2 a′2
π−θ
2 2
π−θ
a1 A b2 a1 A
1 1
a2
θ θ
0 a′1 0 a′1
O x O x
0 1 2 3 4 5 6 7 0 1 2 3 4 5 6 7
Figura 10.8 Il vettore a si può scrivere nel Figura 10.9 La coordinata 1 del vettore a
sistema Oxy con le coordina- nel sistema nero, conoscendo
te (a1 , a2 ), mentre nel siste- quella del sistema rosso, si ot-
ma Ox0 y 0 le sue coordinate tiene sommando le lunghezze
sono (a01 , a02 ). dei segmenti in verde e in blu
della figura.
riga 1 della matrice e sommando i prodotti dei suoi • Esiste un vettore nullo 0 per cui a + 0 = a e
elementi con quelli della colonna 1 di a0 (che poi è a − a = 0.
l’unica): • È possibile definire un’operazione che chiamia-
mo modulo del vettore che si ottiene estraen-
do la radice della somma dei quadrati delle
a1 = (cos θ × a01 ) + (− sin θ × a02 ) . (10.21) componenti di un vettore.
• Se si ruota il sistema di riferimento rispetto al
In simboli possiamo dire che, detto Rij l’elemento
quale è definito, il modulo del vettore non cam-
di una matrice R di n × n elementi alla riga i e alla
bia. Cambiano le componenti, ma non il mo-
colonna j, l’elemento i del vettore a si ricava come
dulo. Si dice che i vettori sono invarianti per
rotazioni.
ai = Ri1 a01 + Ri2 a02 + · · · + Rin a0n . (10.22) • Dal punto di vista fisico, le componenti di un
vettore sono grandezze fisiche che quindi si pos-
Quello che abbiamo trovato è un risultato gene- sono misurare in qualche maniera. Poiché deve
rale: la rotazione di un vettore ne mescola le com- sempre essere possibile calcolare il modulo di
ponenti, ma lo fa in modo tale che la lunghezza del un vettore è necessario che tutte le componen-
vettore resti la stessa (lo si vede dalla figura, e per ti cartesiane di un vettore, in fisica, siano tra
dimostrarlo matematicamente basta ricordare che loro omogenee: devono cioè avere le stesse di-
cos2 θ + sin2 θ = 1)3 . mensioni fisiche ed essere misurate nelle stesse
È chiaro che se il vettore vive nello spazio tridi- unità. Si dice quindi che al vettore spettano le
mensionale anziché sul piano, le considerazioni fatte stesse dimensioni fisiche delle sue componenti.
sopra sono comunque valide: in questo caso i trian- Quel che abbiamo fatto finora può sembrare piú ma-
goli sono triangoli nello spazio e le coordinate rap- tematica che fisica. Però questo è il modo giusto di
presentano i cateti dei triangoli che si ottengono procedere per capire i fenomeni: si cerca di misura-
proiettando il vettore e i segmenti che ne rappre- re una grandezza fisica e per farlo si scopre che è
sentano le coordinate su ciascuno dei piani coor- necessario definire un tipo di oggetto piú complesso
dinati. Le operazioni algebriche invece si eseguono rispetto a quelli cui siamo abituati; se ci mettiamo a
esattamente nello stesso modo. studiare le proprietà matematiche di questi oggetti
Riassumendo: dall’esperienza e dal tipo di ope- finisce che alla fine si riesce a comprendere qualcosa
razioni necessarie a misurare la posizione di un di piú del fenomeno fisico che si descrive con quegli
corpo siamo giunti alla conclusione che occorre defi- oggetti, come vediamo nei paragrafi che seguono.
nire un nuovo tipo di grandezza fisica costituito di
un aggregato di grandezze fisiche scalari, i vettori,
con le proprietà che seguono. 10.3 Descrivere il moto
• Un vettore è una sequenza ordinata di numeri.
• Due vettori a e b si possono sommare tra loro Prima di descrivere qualcosa che si muove si deve
per dare origine a un terzo vettore c = a + b capire quand’è che un oggetto si può considerare
le cui coordinate sono uguali alla somma delle fermo. Sembra facile, ma è istruttivo provare a dare
coordinate omologhe dei vettori addendi. questa definizione. La definizione piú ovvia per un
• Un vettore si può moltiplicare per uno sca- oggetto fermo è che si tratta di un oggetto che non si
lare: l’operazione restituisce un vettore le muove, la cui posizione resta costante. Prendiamo
cui coordinate sono tutte moltiplicate per lo ora un oggetto e disponiamolo in un’aula: per esem-
scalare. pio una sedia. Se nessuno la tocca, tutti concorde-
ranno sul fatto che la posizione della sedia misurata
3
per questo il determinante della matrice di rotazione,
rispetto a un angolo dell’aula scelto come origine
definito come R11 R22 − R12 R21 , vale sempre det R = 1.
del sistema di riferimento resta costante, dunque la si muove. Se si muove cambia la sua posizione nel
sedia è ferma. Anche se ciascuno studente, seduto al corso del tempo. Questo significa che la posizione
suo posto in aula, scegliesse un sistema di riferimen- x del corpo è una funzione del tempo e si scri-
to diverso (per esempio uno la cui origine coincide ve che x = x(t), indicando tra parentesi il simbolo
con la posizione dello studente che esegue le misure), scelto per indicare la grandezza fisica da cui dipen-
la sedia risulterebbe ferma, perché le sue coordinate, de x. Il fatto che la posizione sia funzione del tem-
benché diverse per ciascuno studente, sono costanti po significa che le sue coordinate sono funzioni del
nel tempo. tempo. Scrivere x = x(t) equivale a scrivere che
Se però uno degli studenti si alza e comincia a x = (x1 (t), x2 (t), x3 (t)) e cioè che ciascuna delle tre
muoversi in direzione della sedia, la posizione di que- coordinate, in linea di principio, dipende dal tempo
st’ultima, misurata dallo studente che si avvicina, t5 .
nel corso del tempo varia perché cambia la distan- Abbiamo già definito lo spostamento ∆x come
za della sedia dallo studente e la posizione è una la differenza tra le posizioni assunte da un corpo
misura di questa distanza! in due istanti diversi,
Se ne deve concludere che la sedia si muove. Co-
me sarebbe? Se la sedia è ferma per tutti gli altri ∆x = x(t + ∆t) − x(t) , (10.23)
studenti dev’esserlo per tutti: un oggetto non può
avendo indicato con ∆t un intervallo di tempo, e ab-
essere fermo e muoversi allo stesso tempo. Per giun-
biamo già osservato che lo spostamento non ci dice
ta, se lo studente che si muove usa un sistema di
nulla su quale sia la strada effettivamente percorsa
riferimento solidale con lui le distanze tra lui e la
dal corpo per spostarsi da x(t) a x(t + ∆t), a me-
sedia cambiano, quindi la sedia si muove, ma se usa
no che lo spostamento non sia molto piccolo: tanto
il sistema di riferimento dell’aula le coordinate della
piccolo da non poter distinguere, con gli strumen-
sedia non cambiano e quindi dovrebbe essere ferma.
ti adoperati per eseguire le misure, tra le possibili
Se ci pensate un attimo capite che non è cosí stra-
diverse traiettorie che portano dal punto iniziale al
no: un oggetto è fermo o in moto secondo chi e co-
punto finale. Se ∆t = 0 evidentemente ∆x = 0,
me lo osserva. In effetti noi sappiamo chi è che si
quindi, affinché lo spostamento sia piccolo, è neces-
sta muovendo solo relativamente a un qualche siste-
sario che ∆t sia piccolo. In simboli scriveremo che
ma che sappiamo essere fisso, che è la Terra. Ma lo
∆t → 0 e diremo che ∆t tende a zero.
sappiamo davvero? La Terra, in effetti, non è fer-
Per come è definita l’operazione di somma
ma: oltre a ruotare attorno al proprio asse, orbita
(algebrica) tra vettori abbiamo che
intorno al Sole in un anno4 e tutto il Sistema Solare
ruota attorno al centro della Galassia. Quindi noi
crediamo di essere fermi quando aspettiamo l’auto- ∆x = (x1 (t + ∆t) − x1 (t),
bus alla fermata! In realtà, se cambiassimo punto di x2 (t + ∆t) − x2 (t),
vista, non lo saremmo affatto. E in fondo, a questo
x3 (t + ∆t) − x3 (t)) = (∆x1 , ∆x2 , ∆x3 ) .
livello, non c’interessa sapere davvero chi si muove e
(10.24)
chi no: c’interessa solo saper misurare lo stato di
Naturalmente lo spostamento di un corpo da una
moto di qualcosa. Evidentemente lo stato di moto
posizione iniziale a una posizione finale può avve-
è anch’esso un concetto relativo: dipende, cioè, dal
nire in un tempo piú o meno lungo ed è chiaro che
sistema di riferimento scelto.
la rapidità con la quale avviene lo spostamento ca-
Detto ciò, supponiamo d’aver scelto un sistema
ratterizza in qualche modo il tipo di moto: non è la
di riferimento in cui un oggetto non è fermo, ma
Naturalmente è sempre possibile che una o piú delle coor-
5
4
La velocità con la quale si muove la Terra rispetto al Sole dinate resti costante nel corso del tempo, ma questo significa
è di quasi 1800 km/h! soltanto che la funzione è costante.
stessa cosa percorrere 100 m passeggiando o parte- Per chiarire ulteriormente il significato di quanto
cipando a una gara di atletica leggera. Un campione sopra, il valore che si legge sul tachimetro6 delle
di atletica percorre una distanza di 100 m in meno automobili è un numero che rappresenta il modulo
di 10 s, mentre durante una passeggiata non ci vo- del vettore velocità. Quella misurata è una velocità
gliono meno di un paio di minuti per spostarsi della che si può considerare quella istantanea, perché lo
stessa quantità. Come possiamo definire una gran- strumento la misura in un tempo brevissimo: tal-
dezza fisica che esprima questo concetto? Nel lin- mente breve che la velocità non può essere cambia-
guaggio comune si dice che la velocità di un atleta è ta apprezzabilmente. La velocità rilevata dai sistemi
maggiore della velocità di una persona che cammi- tutor delle autostrade, invece, è il modulo della ve-
na sul marciapiede. Nello stesso intervallo di tempo locità media: i portali tutor sono disposti lungo la
(10 s) l’atleta percorre una distanza maggiore ri- rete a distanza di alcune decine di chilometri l’u-
spetto a quella percorsa da chi passeggia. D’altra no dall’altro e individuano le targhe dei veicoli che
parte lo stesso spazio (100 m) è percorso dai due passano; calcolano, poi, il rapporto tra la distanza
in tempi diversi: l’atleta impiega molto meno. Una tra due portali successivi e il tempo che ogni vei-
maniera di definire una grandezza fisica che esprima colo ha impiegato per attraversarli. Naturalmente
questo tipo di relazione consiste nel misurare la di- tra un portale e l’altro il veicolo può aver cambiato
stanza percorsa e dividerla per il tempo impiegato la sua velocità e può anche aver superato i limiti
a percorrerla. La distanza percorsa non è altro che imposti. La funzione deterrente di questo sistema
il modulo del vettore spostamento |∆x|, perciò consiste nel fatto che se si viola il limite di velocità
in parte del percorso, poi si deve rallentare per far sí
|∆x| che la velocità media sia inferiore a quella massima
v= (10.25)
∆t consentita. Evidentemente non c’è quindi alcuna ra-
è la grandezza fisica che potremmo chiamare velo- gione per correre: in ogni caso non si arriverà prima
cità. Osserviamo però che, con questa definizione, alla meta7 .
la velocità di due persone che camminano in direzio- È chiaro che se ∆x è grande la velocità non sa-
ni diverse percorrendo spazi uguali in tempi uguali, rà rappresentativa dell’effettivo moto avuto dal cor-
sarebbe la stessa e non ci sarebbe alcuna grandezza po che si è spostato: si può andare dal punto A al
fisica che indica verso quale punto si sta dirigendo punto B di Figura 10.7 in infiniti modi! Cosí come
ciascuno. Se nella definizione data sopra eliminia- l’abbiamo definita la velocità del corpo che si è spo-
mo l’operazione di modulo il rapporto diventa il stato tra questi due punti sarebbe un vettore come
rapporto tra un vettore ∆x e uno scalare ∆t (che è quello rosso nella figura, diviso per il tempo impie-
come dire il prodotto di ∆x per 1/∆t), che è un vet- gato a effettuare lo spostamento (le sue coordinate
tore. Quindi potremmo definire il vettore velocità sarebbero tutte divise per questo tempo, quindi il
come vettore avrebbe la stessa direzione, lo stesso ver-
so, ma lunghezza diversa). Se il corpo si è spostato
∆x
v= (10.26) prima parallelamente all’asse x e poi parallelamen-
∆t te all’asse y, invece, ha variato la sua velocità nel
il cui modulo |v| coincide con la definizione data corso del tempo, ma questa informazione è assente
sopra, ma che adesso esprime in maniera completa nella nostra definizione. Il motivo è sempre il so-
l’informazione: non ci dice solo in quanto tempo il
corpo si muove lungo la traiettoria, ma anche in qua-
6
lo strumento che comunemente è indicato col nome di
contachilometri (la parola viene dal greco τ ακ úς, che si
le direzione e in quale verso si muove! La velocità di legge tachys: veloce).
un corpo dunque è una grandezza fisica vettoria- 7
e comunque è sempre meglio arrivare tardi, ma arrivare
le. Quella che nel linguaggio comune si indica con interi, piuttosto che non arrivare per niente a causa di un
il termine velocità ne è soltanto il modulo. incidente.
plicato per un fattore costante. Le sue coordinate che coincide con l’espressione trovata per ∆x. c Di
quindi non sono altro che le coordinate del vettore conseguenza gli angoli formati dai due vettori con
spostamento stirate o contratte di un fattore uguale ciascuno degli assi sono tra loro coincidenti e quindi
in tutte le direzioni. Di conseguenza la sua rappre- i due vettori sono paralleli.
sentazione grafica coinciderà con quella dello spo- Il vettore velocità dunque ha la stessa direzione e
stamento tranne che per la lunghezza. Si può dire lo stesso verso del vettore spostamento. E poiché la
che velocità e spostamento hanno lo stesso verso- traiettoria seguita da un corpo nel corso del suo mo-
re. Dal punto di vista algebrico possiamo mostrarlo to non è altro che una sequenza di spostamenti mi-
facilmente calcolando gli angoli formati dai due vet- croscopici, la velocità dev’essere sempre tangente
tori con gli assi coordinati. Come detto sopra, il co- alla traiettoria.
seno dell’angolo formato con l’asse i coincide con la
coordinata i-esima del versore. Il versore del vettore Esercizio 10.1 Da Roma a Frascati
spostamento è
Nella Fig. 10.10 si vede una pagina web aperta su
c = 1 (∆x1 , ∆x2 , ∆x3 )
∆x (10.28) Google Maps nella quale abbiamo cercato la stra-
|∆x| da per recarci dall’Università di Roma ai Labora-
e quello della velocità tori Nazionali di Frascati dell’Istituto Nazionale di
Fisica Nucleare (INFN).
Il sistema fornisce diversi percorsi alternativi
1 1 ∆x1 ∆x2 ∆x3 (tre in particolare, di cui uno con i mezzi pubblici).
v̂ = (v1 , v2 , v3 ) = , , . Individua il vettore spostamento e dai una stima
|v| |v| ∆t ∆t ∆t
(10.29) delle sue coordinate e della sua lunghezza. Calcola
Il modulo |v| della velocità è la velocità media. Calcola la velocità media nei tre
percorsi evidenziati sulla mappa e confrontala con
s quella trovata.
2 2 2 Costruisci quindi il vettore spostamento come
∆x1 ∆x2 ∆x3
|v| = + + . somma di vettori (al massimo tre) cercando di far
∆t ∆t ∆t coincidere il piú possibile la successione degli spo-
(10.30) stamenti con la traiettoria effettivamente seguita
Raccogliendo 1/∆t a fattor comune e portandolo
2
nei percorsi scelti. Se cerchi il percorso su Google
fuori della radice si trova che Maps e per ciascun percorso fai click su Dettagli,
vedrai la lista di tutti gli spostamenti necessari per
raggiungere Frascati da Roma, con una risoluzione
1 |∆x|
q
|v| = ∆x21 + ∆x22 + ∆x23 = . (10.31) che dipende dalle svolte che si rendono necessarie
∆t ∆t di volta in volta. Per ciascuno di questi spostamenti
Sostituendo nell’espressione di v̂ trovata sopra calcola il modulo della velocità media, quindi cal-
otteniamo cola la media di queste velocità e confrontala con
quella ottenuta prima.
∆t ∆x1 ∆x2 ∆x3
v̂ = , , (10.32)
|∆x| ∆t ∆t ∆t
A questo punto possiamo cominciare a studiare
e ricordando che moltiplicare per ∆t il vettore si- come rappresentare il moto di un oggetto di cui si
gnifica moltiplicare per questa quantità tutte le sue conosca la posizione a un certo istante e la veloci-
componenti si arriva a tà. Naturalmente cominciamo dal moto piú sempli-
1 ce possibile che è quello per il quale la velocità è
v̂ = (∆x1 , ∆x2 , ∆x3 ) (10.33) costante. Dire che la velocità è costante significa
|∆x|
dire che è costante in modulo, direzione e verso e, del primo membro devono coincidere con quelle del
dal momento che la velocità è sempre parallela alla secondo.
traiettoria, questa non potrà che essere una retta. Avrete notato che abbiamo indicato le differenze
tra due grandezze fisiche con un simbolo preceduto
dalla lettera greca ∆ (∆x è lo spostamento che rap-
10.4 Il moto rettilineo uniforme presenta la differenza tra due vettori, ∆t è un inter-
vallo di tempo che si ottiene sottraendo due misure
Se un oggetto si muove con velocità costante si dice
di tempo ∆t = tf − ti ). Questa convenzione aiuta
che ha un moto rettilineo uniforme. L’aggetti-
nel verificare la correttezza delle leggi fisiche perché
vo rettilineo si riferisce all’aspetto della traiettoria
se al primo membro compare una quantità che ri-
del corpo, che è quello di una retta (o meglio di un
sulta essere un intervallo, dev’esserlo anche quello
segmento, se le osservazioni si protraggono per un
di destra. Quando l’intervallo diventa molto piccolo
tempo finito). Uniforme invece si riferisce al fatto
(tende a zero), si usa sostituire alla lettera greca ∆
che il modulo della velocità, in questo tipo di moto,
la lettera d, che rappresenta una variazione infi-
non cambia. In realtà è sufficiente dire che la ve-
nitesima della grandezza fisica alla sua destra, cosí
locità è costante per caratterizzare completamente
che l’equazione del moto sopra scritta diventa
questo tipo di moto, perché dire che la velocità, che
è un vettore, è costante, significa dire che è costante
dx = vdt . (10.35)
il suo modulo, la sua direzione e il suo verso!
Il moto rettilineo uniforme si può attribuire, per Questo modo di scrivere gli intervalli è molto uti-
esempio, con buona approssimazione, a un’auto che le quando si conosce l’analisi matematica, perché il
viaggia su un’autostrada dritta, a velocità costante rapporto tra due quantità infinitesime (il cosiddetto
(per esempio grazie al cruise control: il dispositivo rapporto incrementale), nel limite in cui il deno-
che regola automaticamente l’erogazione di carbu- minatore tende a zero è uguale a una ben definita
rante al motore per far viaggiare l’auto alla velocità operazione sulla variabile che prende il nome di de-
impostata dal conducente). rivata. Si dice allora che la velocità v è uguale alla
Nel caso in esame, la velocità media e quella istan- derivata dello spostamento dt .
dx
tanea coincidono, perché quest’ultima non cambia. La legge fisica ∆x = v∆t si può riscrivere come
Dalla definizione di velocità si ricava che
x (t + ∆t) − x(t) = v∆t . (10.36)
∆x = v∆t (10.34) Se scegliamo come istante iniziale (quello in cui ini-
che è un’equazione in cui compaiono tre grandez- zia lo spostamento) ti = 0, abbiamo che ∆t =
ze fisiche misurabili: la posizione, la velocità e il tf − ti = t e possiamo scrivere, con una notazione
tempo: possiamo dunque intenderla come un leg- piú leggera, che
ge fisica10 . Come tutte le leggi fisiche, l’equazione
dev’essere dimensionalmente coerente: poiché a pri- x (t) − x(0) = vt . (10.37)
mo membro c’è un vettore, ci dev’essere un vettore e chiamando x0 = x(0) abbiamo che
anche a secondo membro (un vettore non può che
essere uguale a un altro vettore) e le unità di misura x (t) = x0 + vt (10.38)
10
A rigore non lo sarebbe, essendo semplicemente un modo che prende il nome di legge oraria del moto ret-
diverso di scrivere una definizione. Una legge fisica è piú
tilineo uniforme. Con una tale legge possiamo pre-
propriamente la conseguenza di osservazioni sperimentali, ma
se per essa intendiamo una qualunque relazione tra grandezze vedere in quale posizione si sposterà un corpo, che
fisiche lo è. si muove a velocità v e che all’istante t = 0 si trova
nella posizione x0 , dopo un tempo t. Manipolando
la legge con le regole dell’algebra possiamo, natu- fisiche del membro di sinistra saranno quelle di x al
ralmente, ottenere una qualunque delle grandezze quadrato, quindi anche le dimensioni fisiche di x2
fisiche che compaiono in funzione delle altre. dovranno essere tali e quindi potremmo scrivere che
Cosí, se vogliamo sapere quanto tempo impiega x2 = x21 + x22 + x23 , che a sua volta si può scrivere
un corpo che si muove a velocità v per andare dalla come x1 · x1 + x2 · x2 + x3 · x3 o, con una notazione
posizione x0 alla posizione x(t), basta scrivere che piú compatta,
x(t) − x0 3
t= (10.39)
X
v x·x= xi · xi . (10.42)
i=1
in cui compare il rapporto tra due vettori che non
abbiamo definito. Proviamo dunque a farlo. Osser- Se prendiamo questa come definizione di prodotto
viamo, prima di tutto, che il rapporto tra due vet- tra vettori allora possiamo scrivere che
tori dovrebbe essere uno scalare. Se moltiplicassi-
mo il primo membro per l’inverso di t troveremmo, (x(t) − x0 ) · v =v · (x(t) − x0 ) =
evidentemente, il valore t/t = 1. Questo significa
che
X3
(10.43)
vi · (xi (t) − xi (0)) .
i=1
x(t) − x0 v
= 1. (10.40) In definitiva, dall’osservazione che il rapporto tra
v x(t) − x0
due vettori deve dare uno scalare, possiamo giungere
Il che, a sua volta, significa che si deve poter de-
alla definizione di un’operazione tra vettori che chia-
finire il prodotto tra vettori (x(t) − x0 ) · v che de-
miamo prodotto scalare che si realizza sommando
ve godere della proprietà commutativa perché de-
i prodotti delle componenti omologhe dei due vettori
v’essere uguale a v · (x(t) − x0 ) affinché il rapporto
fattori:
sopra scritto valga 1. Dare un significato all’equa-
zione che fornisce t in funzione dello spostamento 3
e della velocità significa dunque dare un significato
X
a·b= ai · bi . (10.44)
all’operazione di prodotto tra vettori; prodotto che i=1
chiameremo scalare per ricordare che il risultato Il modulo quadro di un vettore dunque non è al-
di quest’operazione è uno scalare e non un vetto- tro che il prodotto scalare del vettore per sé stesso.
re (numeratore e denominatore devono rispettiva- Osserviamo anche che questa definizione è coerente
mente essere uguali a t). Se definiamo quest’ope- con quella che abbiamo dato per spostamento, per
razione possiamo fare a meno di un’operazione che la quale
rappresenta la divisione tra vettori.
Consideriamo prima un caso semplice: quello in ∆r = b − a . (10.45)
cui i due vettori da moltiplicare scalarmente sono
Dev’essere, quindi,
uguali. Per esempio, proviamo a definire cosa inten-
diamo per x · x. Per analogia con l’operazione di
prodotto tra scalari dovremmo poter scrivere che (∆r)2 = (b − a)2 = b2 + a2 − 2b · a . (10.46)
Nel caso particolare del moto rettilineo uniforme considerazione, oppure di oggetti per i quali, nota la
possiamo sempre ridurre l’equazione vettoriale a posizione di uno dei loro punti, tutte le altre dipen-
una sola equazione scalare. Infatti, con un’oppor- dano da questa in maniera stabile. Quindi, usando
tuna traslazione e rotazione degli assi coordinati, strumenti con una risoluzione dell’ordine del centi-
si può sempre trovare un sistema di riferimento metro, dobbiamo fare in modo che gli oggetti di cui
che ha l’origine nel punto occupato dal corpo al- vogliamo misurare la posizione siano di dimensio-
l’istante t = 0 e con un asse (per esempio l’asse ni confrontabili con questa risoluzione. Se l’oggetto
1 o asse x) parallelo alla velocità (che resta co- avesse la forma di una sfera (un pallone) potremmo,
stante). In questo sistema la velocità del corpo ha in questo caso, condurre lo stesso i nostri esperimen-
coordinate v = (v, 0, 0) e quindi le due equazioni ti perché se misuriamo la posizione del centro della
per x2 (t) e x3 (t) si riducono a identità per le quali sfera, la posizione di ogni suo punto è abbastanza
x2 (t) = x3 (t) = cost. In definitiva abbiamo che ben determinata: la sfera potrebbe anch’essa ruota-
re in un modo piú o meno complicato, ma essendo
x(t) = x0 + vt . (10.57) tutti i punti della sfera equivalenti l’uno all’altro
questo moto non dovrebbe dare tanto fastidio. Non
Graficamente, quella sopra scritta è l’equazione di
è cosí per un cubo: se il cubo ruota attorno a qual-
una retta sul piano (t, x) con pendenza v e intercetta
che asse, la posizione degli spigoli cambia in modo
x0 .
complicato con il tempo ed è difficile descriverla in
A questo punto quello che dobbiamo fare è vedere
modo semplice.
se possiamo applicare questi risultati a qualche tipo
D’ora in poi dunque ci riferiremo sempre a og-
di moto che possiamo realizzare facilmente.
getti la cui posizione si può assimilare a quella di
un punto e li chiameremo punti materiali. In so-
10.5 Esperimenti con il moto stanza un punto materiale rappresenta un qualun-
que oggetto visto da abbastanza lontano da poterne
dei corpi trascurare le dimensioni e la forma. Il fatto che un
oggetto sia rappresentabile come punto materiale
Osservando il moto di oggetti dalla forma comples-
dunque dipende dalla precisione delle osservazioni
sa ci si rende conto subito che la loro descrizione
e dalla scala di queste: una penna si può pensare
appare piuttosto complicata. Per esempio, se si lan-
come un punto materiale su una scala di qualche
cia in aria una penna tenendola per un’estremità si
metro; per un aereo la rappresentazione in termini
vede che la penna segue una traiettoria curvilinea
di punto materiale è valida se se ne misura la posi-
prima di giungere a terra, ma nel corso di questo
zione sulla scala dell’ordine del chilometro; su scale
movimento complessivo ruota su sé stessa in modo
grandi come quelle del Sistema Solare, i pianeti e
piú o meno complicato.
lo stesso Sole, che è enorme, si possono considerare
Non è mai consigliabile cominciare lo studio di
come punti materiali con ottima approssimazione.
qualcosa la cui descrizione appare complicata. Sarà
Se facciamo un po’ di esperimenti mettendo in
bene limitarci a qualcosa di semplice, almeno al-
moto oggetti (con la caratteristica di potersi rap-
l’inizio. Non serve grande esperienza per rendersi
presentare come punti materiali) su un tavolo o sul
conto che oggetti dalla forma simmetrica (come le
pavimento ci rendiamo conto abbastanza presto che
sfere) o comunque di piccole dimensioni si muovo-
nessuno dei moti osservati si può ragionevolmente
no in maniera piú semplice di quelli dalle forme piú
descrivere con l’equazione del moto rettilineo uni-
complicate e grandi. Abbiamo bisogno, in sostanza,
forme. Di solito questi oggetti si muovono per un
di oggetti le cui dimensioni siano ragionevolmente
po’ e poi si fermano, piú o meno rapidamente. La
ridotte in modo tale che la loro posizione sia ben
loro velocità non è affatto costante.
definita qualunque sia il punto dell’oggetto preso in
Una buona approssimazione di moto rettilineo
uniforme si ottiene se invece di far scivolare un tempo. In questo caso la durata del moto dev’esse-
oggetto su una superficie, lo si fa rotolare. L’og- re necessariamente finita. In assenza di un motore,
getto, evidentemente, deve quindi avere una forma dal fatto che riducendo sempre di piú il contatto tra
adatta: un cilindro, un anello o, ancora meglio, una l’oggetto in moto e la superficie con la quale è in con-
sfera come una palla su un tavolo da biliardo, fun- tatto, qualunque oggetto si muove di un moto sem-
zionano abbastanza bene. Il moto non è mai esat- pre piú simile a quello rettilineo uniforme possiamo
tamente uniforme: prima o poi anche una sfera che concludere che questo sarebbe il moto cui tendereb-
rotola si ferma il che significa che la sua velocità bero tutti gli oggetti se non interagissero con ciò
diminuisce, ma se si osserva il moto per un tempo che li circonda.
sufficientemente breve, in quell’intervallo il moto si Ci sono anche casi nei quali la velocità aumen-
può considerare abbastanza uniforme. ta col tempo, invece di diminuire. Facciamo questo
Quello che si capisce è che per realizzare un moto esperimento: prendiamo una pallina e la lasciamo
il piú possibile uniforme si deve rendere minima la cadere da diverse altezze, quindi misuriamo il tem-
superficie di contatto tra il corpo di cui si sta misu- po impiegato a cadere. Ci sono molti modi per farlo:
rando il moto e la superficie sulla quale scivola (o il piú immediato consiste nell’usare un cronometro
rotola). A parità di superficie di contatto le proprie- per misurare l’intervallo di tempo tra l’istante in
tà del moto possono dipendere dai materiali di cui cui la pallina è rilasciata e quello in cui tocca il suo-
sono fatti il corpo e la superficie sulla quale è ap- lo. Questo sistema si rivela rapidamente molto poco
poggiato. Sul ghiaccio le cose scivolano meglio che preciso: la caduta è cosí rapida da rendere quasi im-
sul legno o su altri materiali. possibile una misura accurata, a meno che non si
Una maniera per eliminare del tutto il contatto lavori con altezze molto grandi. Un metodo piú pre-
tra corpo e superficie consiste nel far galleggiare il ciso consiste nell’usare la capacità di un computer
corpo su un cuscino d’aria. Se per esempio si prende di acquisire suoni. Si avvia una registrazione, si pro-
un CD sul quale s’incolla, al centro, il tappo d’una nuncia la parola «via!» nel momento in cui si lascia
bottiglia in plastica forato e si inserisce su quest’ul- andare la palla e si arresta la registrazione dopo l’ur-
timo un palloncino gonfiabile, l’aria espulsa dal pal- to della palla col pavimento. Usando un programma
loncino che si sgonfia tiene leggermente sollevato il di editing audio come Audacity si visualizza la trac-
CD dalla superficie d’appoggio realizzando la situa- cia audio e s’individuano gli istanti corrispondenti al
zione ideale. In realtà anche in questo caso si nota pronunciamento del «via!» e all’emissione del suono
una progressiva, sebbene lenta, diminuzione della emesso dal rimbalzo della palla. In questo modo si
velocità, il che significa che anche l’aria che si trova misura il tempo trascorso con una precisione miglio-
sotto il CD in qualche modo ne modifica il moto. In re, ma bisogna fare molta attenzione a sincronizzare
altre parole il CD non è in contatto con il tavolo, ma il movimento delle dita che lasciano cadere la palla
è pur sempre in contatto con l’aria che passa sotto e il pronunciamento del «via», il che non è sem-
e questo evidentemente deve provocare la riduzione pre facile. Se si vuole essere piú precisi si può usare
della velocità. un sensore ultrasonico, da leggere con una scheda
Un giocattolo dotato di motore potrebbe muover- Arduino. In alternativa, filmate la caduta con uno
si di moto rettilineo uniforme, almeno per un inter- smartphone e poi guardate il filmato con un pro-
vallo di tempo relativamente lungo (prima o poi si gramma di editing video come MPEG Streamclip.
ferma, oppure urta contro qualcosa, se non curva). Se nella scena è presente un qualche riferimento dal
Insomma, il moto rettilineo uniforme è solo un’ap- quale potete desumere la scala alla quale osservate
prossimazione: non si riesce a realizzarne uno in ma- ogni singolo fotogramma sullo schermo, potete mi-
niera rigorosa, a meno che non si adoperi un qual- surare con un righello l’altezza della palla; il tem-
che tipo di motore che agendo in maniera costante po, invece, lo si ottiene dal software che lo deduce
garantisca uno spostamento uniforme nel corso del dal numero del fotogramma che state osservando (il
come
Figura 10.16 Con questa scelta del siste- 2x(t)
ma di riferimento basta la a= . (10.73)
sola coordinata x per de- t2
scrivere la posizione del tap- La lunghezza della copertina del quaderno sul quale
po che scivola lungo il piano scivola il tappo era, in questo caso, di 302±1 mm =
inclinato. 0.302 ± 0.001 m. Dal filmato si misura il tempo ne-
cessario per cadere, che è di 0.30 ± 0.10 s. Si ot-
tiene per a il valore di 6.71 ms−2 . Per determinare
in questo caso, come nei precedenti, il moto si svol- l’errore sulla misura di a dobbiamo propagare sulla
ge lungo una sola direzione ed è rettilineo, perciò misura di a l’errore sulla posizione e sul tempo. Ve-
possiamo sempre scegliere un sistema di riferimento diamo che a è il rapporto di due quantità: 2x(t) e
in modo tale che uno degli assi sia orientato secon- t2 . L’errore su 2x(t) vale σ2x = 2σx e quindi il dop-
do il piano inclinato. In altre parole il sistema di pio della distanza percorsa è noto con un errore
riferimento si può scegliere come nella Figura 10.16. relativo
Possiamo però anche scegliere un sistema di assi
σ2x σx 1
diverso: per esempio un sistema nel quale un asse = = ' 0.0033 . (10.74)
sia orizzontale e l’altro verticale, come nella Figu- 2x x 302
ra 10.17. In questo caso il moto si svolge su un pianoNotate che l’errore relativo è adimensionale, quin-
e per descriverlo è necessario usare vettori almeno di purché si usino le stesse unità per numeratore e
bidimensionali. denominatore, possiamo sceglierne una qualunque
Usando il sistema di riferimento di Figura 10.16 (in questo caso abbiamo scelto i mm). Per quan-
troviamo che l’equazione del moto si può scrivere to riguarda l’errore su t2 possiamo ragionare cosí:
come t2 = t × t. Se considerassimo il primo fattore come
costante l’errore sarebbe t × σt . Se invece conside-
1 2
x(t) = at . (10.72) rassimo il secondo fattore come costante avremmo
2 σt × t. Poiché possono fluttuare tutti e due i fatto-
Infatti la velocità e la posizione iniziali sono en- ri si avrà che l’errore complessivo sarà dovuto alla
trambe nulle. L’accelerazione si ricava facilmente somma di entrambe le fluttuazioni perciò
definitiva ipotizziamo che il moto si descrive con l’e- i termini, l’equazione che dà ∆x2 in funzione di ∆x1
quazione del moto uniformemente accelerato (10.82) diventa
in cui v = (v1 , v2 , 0) e a = (0, a2 , 0) (adesso possia-
mo evitare di scrivere esplicitamente che v2 dipende v2 1 a2
∆x2 = ∆x1 + ∆x21 . (10.89)
dal tempo perché la sua dipendenza dal tempo è v1 2 v12
implicita nel fatto che a2 6= 0). Ogni volta che troviamo un risultato sulla cui cor-
Possiamo anche dire che il moto si compone di due rettezza dobbiamo essere certi perché andrà impie-
moti: uno rettilineo uniforme lungo l’asse 1 e l’altro gato per eseguire previsioni o per prendere una de-
uniformemente accelerato lungo l’asse 2. In effetti cisione sull’interpretazione di un fenomeno, è buona
l’equazione (10.82) si può sempre scrivere come la norma procedere a un’analisi dimensionale della
somma di due moti stessa. In questo caso a primo membro abbiamo una
grandezza che ha le dimensioni di una lunghezza (è
uno spostamento). A secondo membro c’è la som-
∆x = ∆x1 + ∆x2 = (∆x1 , 0, 0) + (0, ∆x2 , 0) ma di due addendi, ciascuno dei quali deve avere le
(10.83) stesse dimensioni. Il primo addendo è una lunghez-
e i vettori spostamento ∆x1 e ∆x2 sono dati dalle za moltiplicata per il rapporto di due velocità, che
relazioni quindi è adimensionale (nel rapporto le dimensioni
si cancellano). Di conseguenza le dimensioni del pri-
mo addendo sono corrette. Il secondo addendo è un
∆x1 = (∆x1 , 0, 0) = v1 ∆t
(10.84) po’ piú complesso: c’è un’accelerazione divisa per il
∆x2 = (0, ∆x2 , 0) = v2 ∆t + 1 a∆t2 quadrato di una velocità, moltiplicata per uno spo-
2 stamento al quadrato. In questi casi conviene scri-
Vediamo a questo punto di capire come apparireb- vere le dimensioni con il loro esponente e calcolare
be la traiettoria di un moto del genere. Per farlo il risultato16 :
dobbiamo scrivere la coordinata 2 in funzione della
coordinata 1. Dalla prima equazione
a2
[LT −2 ] 2
∆x 2
1 = L = [L] . (10.90)
v12 [L2 T −2 ]
∆x1 = v1 ∆t (10.85)
da cui si ricava che Tutto a posto! L’equazione è (almeno dimensional-
mente) corretta. Se ne deduce che, dal momento che
(10.86) questa traiettoria è proprio della forma osservata,
∆x1
∆t = .
v1 il moto di caduta degli oggetti si deve interpreta-
Sostituendo nella seconda equazione, che è re come la composizione di due moti: uno rettili-
neo uniforme che dipende soltanto dalla componen-
1
∆x2 = v2 ∆t + a2 ∆t2 , (10.87) te orizzontale della velocità inizialmente impressa
2 all’oggetto, l’altro uniformemente accelerato verso
si ottiene l’equazione il basso.
La velocità che il corpo possiede in ogni istante del
2 moto si valuta usando la definizione di accelerazione
∆x1 1 ∆x1
∆x2 = v2 + a2 . (10.88) per cui
v1 2 v1
∆v = a∆t . (10.91)
È subito chiaro che ∆x2 è una parabola in funzione
di ∆x1 , perché si scrive come un polinomio di se- 16
il fattore 12 è adimensionale e lo ignoriamo
condo grado in questa variabile. Scritta riordinando
Ancora una volta si tratta di un’equazione vettoriale Si tratta della quota piú alta raggiunta perché da
che equivale alle due equazioni scalari questo momento in poi la velocità piega verso il bas-
( so e la quota comincia a diminuire. Lasciamo a voi
∆v1 = 0 il compito di semplificare un po’ le espressioni: fa-
(10.92)
∆v2 = a2 ∆t . re matematica non è il compito di questo testo. La
matematica che abbiamo fatto finora serve per ca-
La velocità lungo l’asse orizzontale non cambia (del
ratterizzare il moto e permetterci cosí di fare previ-
resto lungo quest’asse il moto è uniforme), mentre
sioni che si possono verificare oppure per misurare
lungo l’asse 2, poiché ∆v2 = v2 (∆t) − v2 (0),
qualcosa.
Se, per esempio, riprendete con la videocamera
v2 (∆t) = v2 (0) + a2 ∆t . (10.93)
del vostro smartphone la traiettoria compiuta da
Consideriamo ora un corpo lanciato con un ango- un corpo lanciato con un certo angolo verso l’al-
lo θ rivolto verso l’alto. Se il modulo della velocità to, potete misurare quest’angolo con un goniometro
impressa inizialmente al corpo è v, la sua velocità osservando sullo schermo il fotogramma corrispon-
iniziale lungo i due assi ha componenti v1 = v cos θ dente al momento del lancio17 e confrontare la mi-
e v2 = v sin θ. v1 resta costante, mentre v2 cambia. sura con quella che si ottiene dall’equazione (10.87).
Quello che osserviamo è che la velocità inizialmente Scegliendo tre punti della traiettoria su altrettanti
è diretta piú o meno nella direzione nella quale il fotogrammi e misurandone la posizione potete infat-
corpo è lanciato e comunque verso il semipiano su- ti trovare l’equazione della parabola cha la descrive
periore a quello di partenza, ma a un certo punto (dovete avere qualche riferimento, cioè qualche og-
il corpo comincia a puntare verso il basso, quindi getto che vi permetta di stabilire la scala con la
la velocità deve cambiare segno. Se il verso scelto quale osservate l’immagine); il termine lineare della
per l’asse 2 è quello diretto in alto, v sin θ è posi- parabola è il rapporto v2 /v1 , che per quanto detto
tiva e quindi a2 dev’essere negativa, in modo tale è uguale alla tangente dell’angolo θ.
che, per tempi sufficientemente piccoli la somma al- Provate a dare una stima dell’errore sulla deter-
gebrica tra v2 (0) = v sin θ e a2 ∆t è ancora positiva. minazione dell’angolo nei due casi. Se l’angolo misu-
A un certo istante, però, questa velocità si annulla. rato col goniometro, entro gli errori, è uguale a quel-
Questo accade quando lo derivante dall’analisi appena fatta è un grande
successo! Allo stesso modo, dalle equazioni ricavate
v2 (0) = −a2 ∆t (10.94) sopra potete ricavare il valore di v cos θ come il rap-
cioè trascorso un tempo porto ∆x1 /∆t: il denominatore è il tempo trascorso
tra due fotogrammi, e il numeratore la distanza per-
v2 (0) v sin θ corsa lungo l’asse orizzontale in questo tempo. Noto
∆t = − =− (10.95)
a2 a2 questo valore si ricava facilmente l’accelerazione dal
(il segno − non deve spaventare visto che a2 < 0). coefficiente di ∆x21 nell’equazione della traiettoria.
Trascorso questo tempo l’oggetto ha raggiunto una Stiamo facendo della vera fisica: dalle osservazioni
distanza abbiamo tratto alcune conseguenze che si manifesta-
no sotto forma di predizioni, che possiamo mettere
v sin θ alla prova con altre misure.
∆x1 = −v cos θ (10.96)
a2 È anche utile studiare alcuni casi limite particola-
(che non è negativa, sempre perché a2 < 0) e una ri: cominciamo con il considerare il caso v = 0 (cioè
quota v1 = v2 = 0). Questa condizione equivale a quella
2 su un computer potete usare, per esempio, MPEG
17
v sin θ 1 v sin θ Streamclip, che è gratuito e semplice da usare.
∆x2 = v sin θ + a2 . (10.97)
a2 2 a2
in cui si trova un corpo inizialmente fermo che, a foglio di carta si osserva un moto complicato, ma
un certo punto, è lasciato libero di muoversi (ma facendo cadere un bullone, una pallina, un mazzo
non dev’essere spinto o tirato: dev’essere sempli- di chiavi, un libro o qualcos’altro, sembra che tutto
cemente libero di cadere). L’equazione del moto cada con la stessa accelerazione.
diventa Un altro caso limite consiste nell’assumere che
θ = 0, per cui l’oggetto inizialmente possiede una
1 velocità non nulla solo lungo l’asse orizzontale (que-
∆x = a∆t2 (10.98)
2 sto caso corrisponde a lanciare una pallina facendola
il che si traduce nel fatto che, lungo l’asse rotolare sul banco prima di poter cadere). In questo
orizzontale caso v2 = 0 e il moto è ancora parabolico, ma ora
la parabola ha il vertice nel punto di partenza. Fin
∆x1 = 0 (10.99) quando rotola sul banco, evidentemente, la pallina
e cioè non si ha alcuno spostamento: il corpo resta non è libera di cadere, ma appena ne raggiunge
dov’è, mentre lungo l’asse verticale il bordo inizia a farlo e da questo momento in poi
la traiettoria assume la forma di una parabola col
1 vertice nel punto in cui finisce il banco.
∆x2 = a2 ∆t2 . (10.100)
2 Se invece θ = π2 , v1 = 0 e v2 = v (corpo lanciato
In altre parole il corpo cade in modo tale da seguire verso l’alto lungo la verticale). Il moto è allora simi-
una traiettoria verticale; lo spostamento, a parità di le a quello appena analizzato, ma in una prima fase
tempo, diventa via via piú grande e cresce col qua- il corpo si muove con una velocità rivolta verso l’al-
drato del tempo trascorso. L’accelerazione dev’esse- to che diminuisce sempre di piú fino ad annullarsi,
re rivolta verso il basso. La velocità del corpo dopo per poi ricadere giú con le stesse modalità che ab-
un tempo ∆t dall’inizio della caduta vale biamo visto prima. La traiettoria è costituita di due
segmenti coincidenti: il primo percorso in un verso
∆v = a∆t (10.101) e il secondo nel verso opposto. Si tratta di un caso
e quindi aumenta linearmente col tempo (natural- limite di parabola, la cui ampiezza è nulla.
mente solo la componente verticale). Se la velocità Naturalmente si può ottenere un moto non retti-
iniziale è nulla ∆v = v(∆t)−v(0) = v(∆t). Lo spo- lineo anche usando una guida curva, disposta su un
stamento verticale, invece, cresce come il quadrato piano verticale, lungo la quale far scivolare qualco-
del tempo trascorso. sa. Perché funzioni è necessario che il punto iniziale
Anche in questo caso si possono fare misure in- sia piú in alto di tutti i punti della guida. Se cosí
teressanti con la stessa tecnica (Filmato 10.12): si non fosse l’oggetto che scivola si fermerebbe prima
riprende un oggetto che cade (bisogna farlo cadere di arrivare in fondo, anche se lo scivolamento è faci-
in modo che parta da fermo: questo non è sempre litato da accorgimenti vari per ridurre il fenomeno
facile), si misurano le posizioni raggiunte ai diversi di frenamento che abbiamo già osservato con le
istanti sui singoli fotogrammi e i tempi si misura- guide diritte. Se la guida è disposta orizzontalmen-
no conoscendo il numero di fotogramma e il numero te e si lancia un oggetto in direzione della guida,
di fotogrammi al secondo che la vostra videocamera questo tende a seguire una traiettoria che riproduce
è in grado di riprendere (di solito i programmi di la forma della curva (a meno che non rimbalzi, ma
video editing mostrano all’utente questo valore). questo è un caso piú complicato di cui ci occuperemo
Un’osservazione interessante che si può fare è che un’altra volta).
apparentemente l’accelerazione con cui cadono i cor- Per descrivere questo fenomeno dobbiamo sup-
pi, almeno per corpi non troppo leggeri o dalla forma porre che anche in questo caso il moto sia in qualche
non troppo complicata, sembra la stessa, indipen- maniera accelerato, perché la velocità dell’oggetto
dentemente dal corpo in caduta. Facendo cadere un che si muove sulla guida non è costante (è evidente
dal fatto che la velocità, come sappiamo, è tangente forse piú promettente, consiste nel considerare a co-
alla traiettoria e se questa è curva la direzione del me la somma di un vettore diretto verticalmente e
vettore velocità cambia istante per istante). Il moto uno tangenzialmente alla guida. Cerchiamo di capi-
si descrive dunque con un’equazione del tipo re come dev’essere fatto quest’ultimo. Innanzi tutto
deve giacere sulla retta tangente √ alla√circonferenza
1 nel punto di coordinate A = 2/2, 2/2 che sta
∆x = v∆t + a∆t2 , (10.102)
2 sulla bisettrice del primo quadrante, se la guida si
solo che adesso l’accelerazione a non è affatto co- rappresenta in un sistema di riferimento con l’origi-
stante e in generale avrà due delle componenti di- ne al centro. Il coefficiente angolare della retta tan-
verse da zero (stiamo sempre supponendo che il cor- gente alla guida in questo punto è perpendicolare al-
po si muova lungo un piano, anche se in questo caso la bisettrice del quadrante, quindi ha pendenza pari
potremmo anche considerare una caduta lungo una a −1. La sua equazione è perciò y = −x+q. Il valore
guida non planare). di q lo si determina imponendo il passaggio per A da
√
Per esempio, consideriamo un moto che si svolge cui si ricava (fate l’esercizio) che q = 2. Scegliamo
uniformemente lungo una guida di forma circolare. ora due punti qualunque della retta, per esempio
Quando l’oggetto che si muove lungo la guida, per quello per cui x = 0 e quello per cui x = −1. La
esempio in senso antiorario, si trova a ore tre, la coordinata y della√ retta in questi√punti vale, rispet-
sua velocità è diretta verso l’alto (tangente alla cur- tivamente y = 2 e y = 1 + 2. Le coordinate
va). In un istante successivo si sposta a ore due. La di un vettore che giace su questa retta si possono
velocità qui non è piú diretta verso l’alto, ma si è trovare calcolando la differenza tra le coordinate di
piegata verso sinistra. Non è piú la stessa, anche se due punti scelti arbitrariamente sulla retta: quin-
il suo modulo non è cambiato. Questo piegamento di abbiamo
√ √ in un caso −1 − 0 = −1 e nell’altro
continua fino a quando, raggiunta la posizione ore 1 + 2 − 2 = 1. Il vettore u = (−1, 1, 0) dunque
dodici, la velocità del punto materiale è orizzontale è tangente alla guida nel punto A. Tutti i vettori
e rivolta verso sinistra. L’accelerazione media calco- che si ottengono da questo moltiplicandolo per una
lata tra gli istanti nei quali il corpo si trovava a ore costante hanno la stessa proprietà, quindi il vettore
tre e a ore dodici vale quindi accelerazione tangente alla curva si scrive
per cui β = 2v
− ∆t e i vettori si scrivono, Di sicuro, quello che si capisce facendo un po’ di
rispettivamente esperimenti, è che l’accelerazione dipende fortemen-
v v te dalla forma della guida, quindi difficilmente riu-
a0 = − , ,0 . (10.109) sciremo a imparare qualcosa di fondamentale dallo
∆t ∆t
studio di questi casi. Non può esserci una legge ge-
e
nerale del moto, se questo dipende dalla forma della
guida, a meno che la guida non assuma forme molto
2v
00
a = 0, − , 0 . (10.110) particolari (simmetriche) come quella che abbiamo
∆t
appena analizzato.
È anche possibile scrivere l’accelerazione come la Una maniera di realizzare moti non rettilinei con-
somma di un vettore perpendicolare e uno tangente siste nel prendere un motore e far girare un piatto
alla guida. Il vettore tangente si scrive sempre come (come quello di un giradischi), sul quale abbiamo
marcato un punto o fissato un oggetto. È anche pos-
a0 = α (−1, 1, 0) . (10.111) sibile realizzare un moto circolare legando un peso
e quello perpendicolare, che deve giacere sul- a una fune, facendola ruotare.
la bisettrice del primo quadrante, deve avere Nel caso di un giradischi, l’oggetto deposto sul
coordinate piatto segue una traiettoria circolare per la quale
possiamo sempre scrivere che la sua posizione x ha
a00 = β (1, 1, 0) (10.112) coordinate
da cui si ricava che la somma fa
x1 = r cos θ
x2 = r sin θ (10.116)
x = 0
a0 + a00 = (−α + β, α + β, 0) . (10.113) 3
−1.25 −1.00 −0.75 −0.50 −0.25 0.25 0.50 0.75 1.00 1.25
no rotante e l’asse di rotazione, possiamo scrivere la −0.25
variazione di velocità nell’unità di tempo, il modulo In questo sistema dunque l’accelerazione è nulla! In
dell’accelerazione dev’essere uguale al modulo del- effetti in coordinate polari la posizione, la veloci-
la variazione della velocità nell’unità di tempo (o di tà e l’accelerazione si potrebbero considerare come
angolo, visto che dt = dθ/ω). Ma il modulo della ve- scalari, nel caso del moto circolare uniforme, perché
locità, in questo tipo di moto, non cambia. Quindi il due delle coordinate della posizione (r e φ) sono co-
modulo dell’accelerazione dev’essere costante (o, se stanti. Anche questa è un’osservazione importante:
volete, il modulo dell’accelerazione media coincide sfruttando le simmetrie di un problema, lo si può
sempre con il modulo dell’accelerazione istantanea). semplificare molto.
Quando B si avvicina ad A il vettore accelerazione Una volta trovata la soluzione nel sistema di coor-
si avvicina sempre piú al raggio della circonferen- dinate in cui è piú semplice, si trova facilmente an-
za. Infatti i vettori velocità nei due punti formano che quella negli altri sistemi. Basta passare dall’u-
un triangolo isoscele la cui altezza è parallela allo no all’altro, cosí, sapendo che in coordinate polari
spostamento. Avvicinandosi i punti, i lati del trian- l’equazione del moto si può scrivere come
golo isoscele si confondono sempre piú con l’altezza
diventando, per ∆t che tende a zero, paralleli ad r = cost
essa. La differenza di velocità è parallela alla base θ = ωt (10.132)
di questo triangolo e quindi l’accelerazione è diretta
φ = 0
secondo il raggio della circonferenza descritta dal-
la traiettoria. Diremo che in questo tipo di moto nel sistema di coordinate cartesiane il moto si
l’accelerazione è centripeta, che vuol dire diret- descrive con le equazioni
ta verso il centro. Il modulo dell’accelerazione si
trova sfruttando la relazione (10.125): x1 = r cos θ = r cos ωt
x2 = r sin θ = r sin ωt . (10.133)
∆v ∆ (rω)
x = 0
a= = . (10.128) 3
∆t ∆t
Le coordinate 1 e 2 hanno perciò un andamento si-
Poiché in questo tipo di moto ω è costante, la varia- nusoidale. Questo tipo di moto si definisce anche
zione ∆v = ∆ (rω) del prodotto rω è determinata armonico. Per le coordinate che oscillano varian-
unicamente dalla variazione di r e possiamo scrivere do sinusoidalmente col tempo come x e x si può
1 2
∆v = ω∆r. Di conseguenza abbiamo che definire il periodo T come il tempo impiegato dal
∆r punto materiale per tornare alla coordinata di par-
a=ω . (10.129) tenza. I valori delle coordinate in questione, infatti,
∆t
variano nell’intervallo compreso tra −r e +r e si ri-
Osserviamo che di r cambia la direzione e non il
petono periodicamente a intervalli regolari di tempo
modulo. Possiamo tuttavia scrivere che il modulo
di ampiezza T . Se all’istante t = t0 il punto mate-
del rapporto tra ∆r e ∆t è uguale al modulo della
riale ha la coordinata x1 = r cos ωt0 = x̄1 , il punto
velocità v e quindi che
assumerà nuovamente questo valore quando
2
v
a = ωv = rω 2 = , (10.130) x̄1 = r cos ω (t0 + nT ) (10.134)
r
avendo usato la relazione v = rω. In coordinate per ogni n intero. Affinché sia r cos ωt0 =
polari avremmo che r cos ω (t0 + nT ) dev’essere
ma di riferimento ad essere accelerato, si dice che è ni istanti prima di avvicinare la calamita. Si dice che
non inerziale, altrimenti si dice inerziale. Appa- il sistema di riferimento non inerziale costituito dal
re subito chiaro che sistemi di riferimento inerziali supporto del pendolo è localmente equivalente al-
veri non possono esistere: tutti gli esperimenti fatti la presenza di qualcosa di esterno (che chiameremo
sul nostro pianeta sono riferiti a qualche sistema di campo di forze), perché è impossibile distinguere
riferimento solidale con esso che quindi è inerziale tra i due casi, almeno su scale di tempo e di spazio
solo approssimativamente, visto che la Terra ruo- limitate.
ta e si sposta nello spazio a velocità non costante. Cominciamo a capire cosí cosa s’intende quando
Dovremmo riferire le misure a un qualche sistema si dice che la fisica è la scienza di ciò che si misu-
esterno alla Terra, fermo nell’Universo. Ma come si ra: quello che normalmente pensiamo di poter clas-
fa a dire che qualcosa è fermo nell’Universo se fuori sificare come evidente e assoluto, a un’analisi piú
di esso non c’è nulla rispetto a cui riferirne lo stato approfondita non lo appare piú. Lo stato di moto
di moto? di un oggetto non solo non è facilmente definibi-
Se si può stabilire che qualcosa si muove è perché è le, come sembrerebbe a un’analisi superficiale, ma
presente un’accelerazione, ma stabilire se a muoversi è addirittura impossibile da definire in certi casi
è l’osservato o l’osservatore non è sempre facile: se ci particolari.
si trova su un’auto che affronta una curva a velocità
sostenuta, per chi sta all’interno è facile stabilire che
è il sistema di riferimento costituito dall’auto stessa 11.1 La relatività
a muoversi, perché confronta quello che vede acca-
La teoria della relatività di Einstein prende le mosse
dere nell’auto con quel che vede accadere fuori. Se
proprio da questo genere di osservazioni, assieme al
però fate un esperimento molto semplice vi accorge-
fatto sperimentale secondo il quale la velocità
te che non sempre è cosí facile. L’esperimento con-
della luce è la stessa qualunque sia lo stato di
siste in questo: con uno smartphone riprendete uno
moto relativo dell’osservatore.
sfondo uniforme e in tinta unita, davanti al quale si
La luce, infatti, si propaga a una velocità molto
vede un pendolo (un oggetto pesante sospeso a un
alta: circa 300 000 km/s. Una cosa per certi versi
filo) montato su qualcosa che si può muovere (non
sorprendente che accade con la luce è che la sua ve-
inquadrato). Dopo aver iniziato le riprese tirate im-
locità non cambia se osservata da un sistema di rife-
provvisamente da una parte il supporto del pendolo:
rimento in moto relativo rispetto a un altro fermo3 .
vedrete quest’ultimo muoversi in modo che, oltre a
Il modulo della velocità è definito come la distanza
spostarsi, assumerà una condizione nella quale il filo
percorsa nell’unità di tempo: se quindi un’automo-
non è piú verticale. Se invece spostate la videoca-
bile percorre 30 m di strada in un secondo si muove
mera in senso opposto, ma con le stesse modalità, il
a una velocità v di 30 m/s o di 108 km/h.
pendolo si muove rispetto all’inquadratura, ma re-
Ma se si osserva l’automobile da un altro mez-
sta in posizione verticale. Cosí è facile concludere
zo in moto, per esempio da una seconda auto che
che nel primo caso è il sistema di riferimento soli-
insegue la prima a una velocità V , questa appare
dale con il pendolo a muoversi, mentre nel secondo
muoversi a una velocità diversa. Ricordiamoci che
è quello solidale con la videocamera. Se però il peso
la velocità (per semplicità consideriamo solo moti
del pendolo è costituito di una pallina di ferro e nelle
rettilinei cosí possiamo usare equazioni scalari) è il
vicinanze mettete una calamita, il filo forma un an-
rapporto tra lo spostamento e il tempo impiegato
golo con il sistema di riferimento e se la videocamera
per spostarsi e osserviamo il sistema delle due au-
si sposta è impossibile dire se a produrre l’accelera-
to dalla strada. Supponiamo di far partire il nostro
zione osservata è qualcosa di esterno (la calamita)
o un effetto del moto del sistema di riferimento, a per convenzione, visto che non è sempre possibile
3
meno che non osserviate la pallina a partire da alcu- stabilire se un oggetto è fermo oppure no.
cronometro quando l’auto n. 1 passa in prossimità Osserviamo che le distanze sono qualcosa di as-
di un semaforo, preso come origine di un sistema di soluto, che non dipende dallo stato di moto del-
riferimento, e di fermarlo quando raggiunge una di- l’osservatore. La distanza tra le due auto misurata
stanza x1 = 30 m da esso. La posizione iniziale del- da un osservatore sulla strada e uno a bordo di una
l’auto 1 è quindi x1 (0) = 0, mentre all’istante t vale delle due auto è la stessa.
x1 (t) = 30. Quando l’auto raggiunge la posizione Questo per la luce non accade. Se s’insegue un
x1 (t) è trascorso 1 s e quindi la velocità dell’auto 1 raggio di luce e se ne misura la velocità, lo si vede
è allontanarsi sempre a una velocità di 300 000 km/s
e lo stesso succede se si corre incontro a un raggio
di luce. Questo può apparire del tutto insensato,
x1 (t) − x1 (0) 30 − 0
v= = = 30 ms−1 . (11.1) ma gli esperimenti dicono questo e gli esperimen-
∆t 1−0 ti hanno sempre ragione (se non sono sbagliati).
Se la velocità dell’auto che la insegue è V , anche se Del resto non possiamo pretendere che l’Universo
all’istante t = 0 fossero entrambe in prossimità del funzioni come a noi piacerebbe che funzionasse: la
semaforo per cui x2 (0) = 0, dopo un tempo t = 1 s nostra esperienza quotidiana suggerisce che le velo-
l’auto 2 si trova alla posizione x2 (t) = V t. cità sono relative e le distanze assolute, ma potrebbe
Se si misurano le distanze dall’abitacolo dell’au- trattarsi di un’illusione. D’altra parte sembra anche
to 2, nell’istante iniziale t = 0 la posizione dell’au- evidente che la Terra sia piatta, secondo la nostra
to 1 coincide con quella dell’auto 2 e x01 (0) = 0 (l’a- percezione quotidiana, ma sappiamo bene che cosí
pice indica le misure eseguite dal passeggero del- non è. Basta osservare meglio per capirlo. La sco-
l’auto 2). All’istante t = 1 s l’auto 1 si trova alla perta dell’indipendenza della velocità della luce dal-
posizione x1 (t) = vt per chi l’osserva dalla strada, lo stato di moto dell’osservatore è paragonabile alla
mentre l’auto 2 alla posizione x2 (t) = V t, quindi scoperta della forma della Terra: anche se ci sembra
l’auto 1 dista x01 (t) = x1 (t) − x2 (t) = (v − V )t dal- che le velocità siano relative all’osservatore, e di con-
l’auto 2 e dal momento che la posizione coincide con seguenza che le distanze siano assolute, questo non è
la distanza, la posizione dell’auto 1 rispetto all’au- del tutto vero. Se la velocità della luce è indipenden-
to 2 è proprio x01 (t). Per inciso, la posizione x02 (t) te dallo stato di moto dell’osservatore questo impli-
continua a valere zero perché il passeggero è sempre ca che il rapporto tra lo spazio percorso e il tempo
a distanza nulla da sé stesso. La velocità dell’auto 1 impiegato a percorrerlo deve restare costante. A sua
misurata dal passeggero dell’auto 2 vale quindi volta questo significa che sia lo spazio percorso sia
il tempo impiegato a farlo non possono essere in-
dipendenti dallo stato di moto dell’osservatore, ma
x01 (t) − x01 (0) (v − V )t − 0 devono essere relativi a questo.
v0 = = =v−V .
∆t t−0 In sostanza dobbiamo ammettere che la misura
(11.2)
di una distanza fatta stando fermi non dà lo stesso
Questa è quella che si chiama regola galileiana
risultato di una misura eseguita muovendosi. Ana-
di composizione delle velocità. Se V < v, cioè
logamente, un cronometro fermo sulla strada non
l’auto che insegue è piú lenta, v − V > 0 e v 0 > 0
indica lo stesso tempo di un cronometro in moto. Se
perciò il passeggero dell’auto 2 vede muoversi l’au-
ci sembra assurdo è perché non abbiamo mai espe-
to 1 a una velocità positiva. Se invece V > v l’auto 2
rienze del genere: se prendiamo un treno in partenza
supera l’auto 1 che continua ad allontanarsi dall’au-
da Roma alle 10:45 che arriva a Napoli alle 11:56,
to 2, ma nel verso opposto. Naturalmente se V = v
sia il nostro orologio che quello in stazione segna-
la velocità con cui l’auto 2 vede allontanarsi l’auto 1
no lo stesso orario all’arrivo. Ma questo vuol dire
è nulla e questo significa che la distanza tra le due
soltanto che l’eventuale differenza è troppo piccola
auto resta invariata.
per essere apprezzabile: la sensibilità del nostro oro-
logio non ci permette di eseguire la misura con la abbiamo chiamato un campo di forze con certe ca-
necessaria risoluzione. Se la misura si esegue usando ratteristiche. Da quest’ultima osservazione discen-
orologi di altissima precisione, come quelli atomici, derà quella che si chiama teoria della relatività
le differenze ci sono4 . Osservando meglio, quindi, si generale illustrata al Capitolo 44. Un campo di for-
capisce che le cose non stanno come sembra a una ze è qualcosa che provoca l’accelerazione dei corpi
prima occhiata superficiale: evidentemente la misu- soggetti ad esso, senza che sia necessario il contat-
ra delle distanze e la misura dei tempi è relativa to con altri corpi. Sulla Terra, per esempio, i corpi
allo stato di moto dell’osservatore. La distanza ∆x cadono: sono cioè accelerati verso il basso. Diciamo
e l’intervallo ∆t devono dipendere dalla velocità v che a provocare quest’accelerazione è un campo di
di chi esegue la misura in modo tale che forze che circonda tutta la Terra. Questo campo
dev’essere qualcosa che si deve poter rappresenta-
∆x(v)
c= = cost (11.3) re come un vettore perché la caduta dei corpi ha
∆t(v) precise caratteristiche di direzione e verso.
avendo indicato con c la velocità della luce. In condi-
zioni normali possiamo trascurare questa dipenden-
za dalla velocità e assumere la relatività galileia-
na come valida, per cui v 0 = v − V , ma se le veloci-
tà degli oggetti di nostro interesse dovesse diventare
molto alta, confrontabile con quella della luce, sa-
remo costretti a correggere la relazione in qualche
modo. In sostanza, la regola galileiana della com-
posizione delle velocità non è che un’approssimazio-
ne valida per velocità piccole (cioè molto piú basse
rispetto alla velocità della luce c ' 3 × 108 ms−1 ).
Al Capitolo 42 si affronta questo problema, che
per il momento tralasciamo, sapendo che in ogni
caso quello che conta per noi è poter confrontare i
risultati dei nostri esperimenti con le previsioni delle
nostre teorie. Fin quando gli esperimenti sono fatti
a bassa velocità possiamo rimandare il problema di
capire come si devono trasformare spazio e tempo
quando sono misurati da un sistema in moto.
Ci basterà sapere, in questo capitolo, che spazio
e tempo non sono concetti assoluti come appare a
una prima occhiata, e che questa è una conseguenza
dell’invarianza della velocità della luce per trasfor-
mazioni del sistema di riferimento. Questa scoperta
si deve ad Albert Einstein cosí come l’osservazione
fatta al paragrafo precedente secondo la quale è im-
possibile distinguere localmente tra un sistema di
riferimento accelerato (non inerziale) e uno non ac-
celerato (inerziale) nel quale sia presente quello che
4
non per viaggi in treno, ma per viaggi in aereo la
risoluzione di un apparato del genere è sufficiente [?].
pio, una biglia su un tavolo da biliardo, ferma3 . Se mo desumere dai nostri esperimenti, infatti, un Uni-
nessuno fa niente la biglia non si sposta da dov’è sta- verso nel quale ci sia un solo punto materiale sa-
ta appoggiata. Solo se s’interviene dall’esterno, per rebbe del tutto privo di qualsiasi dinamica, non
esempio con un colpo di stecca, la biglia si mette in fosse altro che perché sarebbe impossibile dire che
moto. tale punto si muove non essendoci altri oggetti ri-
Una volta messa in moto, la biglia continua a spetto ai quali misurare la sua posizione. Il termine
muoversi e presumibilmente continuerebbe a farlo forza però è ormai in uso dai tempi di Newton e
all’infinito se non fosse che il contatto con il panno non sembra destinato a tramontare, per cui conver-
del tavolo e gli urti con le sponde le imprimono una rà adottarlo (in fondo un nome vale l’altro: basta
serie di accelerazioni che portano a fermarla. intendersi sul significato). La dinamica prende il
In definitiva sembrerebbe che, in assenza di qual- suo nome proprio da questo: il termine infatti viene
che tipo di interazione con qualcosa (la stecca, la dal greco δúναµις (dynamis), che vuol dire appunto
superficie del tavolo, le sponde del biliardo), la palla forza.
se ne starebbe ferma dov’è e non penserebbe pro- Da queste osservazioni possiamo formulare una
prio a muoversi. In presenza invece dell’interazione prima legge fisica che si può enunciare come se-
con qualcosa la palla modifica il proprio stato gue: in assenza di forze un punto materiale
di moto: se era ferma si mette in moto e se era mantiene il suo stato di moto che evidentemen-
in moto comincia a rallentare fino a che si ferma. te può solo essere di quiete o di moto rettilineo
È abbastanza evidente che, al fine di mantenere lo uniforme.
stato di moto impresso inizialmente, non c’è alcun Perché un corpo si muova dunque non c’è alcun
bisogno di rifornire la palla di qualcosa e non è ne- bisogno di esercitare un qualche tipo di forza: ba-
cessario continuare a spingerla come quando si cerca sta che si muova di moto rettilineo uniforme. Al
di spostare una pesante cassa sul pavimento. In que- contrario, se un corpo è fermo (o si muove di mo-
st’ultimo caso occorre esercitare continuamente una to rettilineo uniforme) possiamo senza alcun dubbio
spinta sulla cassa per mantenerla in moto, ma è faci- affermare che su di esso non agisce alcuna forza o,
le pensare che se la cassa si trovasse sulla superficie se forze agiscono, devono essere tali da sommarsi in
di una pista di pattinaggio sul ghiaccio sarebbe mol- un vettore nullo.
to piú facile spostarla e, al limite, dopo aver ricevuto La prima Legge della dinamica o primo
un energico calcio, potrebbe continuare a muoversi principio della dinamica o di Newton è una leg-
per un po’. Dobbiamo dunque pensare che il fat- ge sperimentale nel senso che la si può formulare
to che la cassa debba essere spinta per permanere in base a una serie di osservazioni sperimentali che
nello stato di moto sia una conseguenza dell’intera- ci portano a credere che le cose stiano proprio co-
zione tra la cassa e il pavimento, che evidentemente sí. Per quanto detto sopra e nella discussione sul-
esercita una qualche azione sulla cassa abbastan- la cinematica è impossibile realizzare in pratica un
za intensa da provocare un’accelerazione sufficiente esperimento che verifichi rigorosamente questa leg-
a spegnere quasi istantaneamente il moto impresso- ge, perché è impossibile trovare rigorosamente un
le. All’azione esercitata dal pavimento sulla cassa sistema di riferimento in cui è valida (a prescindere
o dalla stecca sulla biglia o ancora dalle sponde del dai problemi dovuti alla necessità di eliminare ogni
biliardo, sempre sulla biglia, si dà il nome di forza. interazione con ogni altra cosa presente nell’Univer-
Sarebbe forse meglio chiamarla interazione dal so), ma non è necessario. È sufficiente osservare che
momento che perché si eserciti occorrono sempre la tendenza manifestata dai corpi è quella secondo
due soggetti: quello che la subisce e quello che la la quale al diminuire dell’intensità dell’interazione
esercita nei confronti dell’altro. Da quanto possia- con altri corpi diminuisce l’accelerazione cui sono
sottoposti.
3
Possiamo sempre trovare un sistema in cui lo sia.
Quest’idea, secondo la quale i corpi tendono a
mantenere il proprio stato di moto invariato in as- in presenza di forze, cambia. In altre parole le forze
senza di forze, è meno evidente di quanto possa sem- producono variazioni dello stato di moto dei punti
brare leggendo queste pagine: quasi tutti tendono a materiali (non producono il loro stato di moto, ma
pensare che per mantenere in moto qualcosa è ne- la sua variazione). Visto che di un punto materia-
cessario operare un qualche tipo di forza o azione le possiamo misurare soltanto la sua posizione e la
che dir si voglia. È esperienza comune, infatti, che sua velocità, il suo stato complessivo è completa-
per spingere qualcosa (un passeggino, il carrello del- mente determinato dallo stato di moto, nel senso
la spesa, una bicicletta, etc.) occorre esercitare una che posizione e velocità sono l’insieme completo del-
forza nei confronti di quella cosa e questa era la le grandezze fisiche indipendenti che si possono mi-
conclusione cui era arrivato anche il famoso filoso- surare su un corpo. Non possiamo misurare altro di
fo greco Aristotele, per cui questa concezione oggi un punto materiale che dipenda solo da esso. Con
si dice Aristotelica. Il primo a confutare aperta- il termine stato in italiano s’intende il modo di
mente questa concezione fu Galileo Galilei, con gli essere di qualcosa: ora la posizione e la velocità di
stessi argomenti portati da noi: in molti casi, una un punto materiale sono entrambe grandezze fisiche
volta esaurito l’effetto della forza, i corpi continua- che caratterizzano completamente il modo di esse-
no a muoversi e anche se il loro moto si esaurisce, re di un punto materiale. L’accelerazione no, perché
questo accade solo perché questi toccano altri corpi non è una caratteristica che il punto possiede, ma
e interagiscono con loro. Per questa ragione il primo è una variazione del suo stato indotta da qualcosa
principio è anche noto come Principio d’inerzia di esterno. Non ha senso parlare di forma o di co-
di Galileo Galilei e non a caso Galilei è conside- lore di un punto materiale perciò queste grandezze
rato il Padre della scienza moderna: prima di allora non sono variabili di stato. La massa lo sarebbe,
nessuno aveva avuto il coraggio necessario per cri- ma fintanto che è costante è inutile considerarla una
ticare le affermazioni di un grande filosofo qual era variabile di stato.
considerato Aristotele. Galilei fu il primo a compor- Se invece di un punto materiale considerassimo un
tarsi da scienziato, che pur nel rispetto del lavoro corpo esteso, allora nello stato potremmo includere
dei suoi predecessori, non li considerava infallibili. la sua forma, per esempio, oppure la sua tempera-
Tutti possono sbagliare (anche noi, naturalmente, e tura. Naturalmente potremmo sempre considerare
per questo non dovreste mai credere ciecamente a il corpo esteso come formato di tanti punti mate-
quel che sta scritto in queste pagine: al netto degli riali per ciascuno dei quali lo stato è definito solo
errori sempre possibili non è escluso che negli anni da posizione e velocità. Lo stato di qualcosa, in fin
si scoprano fenomeni nuovi che c’inducano a rive- dei conti, dipende dal tipo di misura che si esegue,
dere completamente le nostre convinzioni), anche i potremmo dire dal contesto sperimentale.
piú grandi. E non c’è nulla di male: la conoscenza Ora, se ci si pensa un attimo, si capisce che, ad
del mondo è qualcosa che si ottiene in seguito ad esempio, applicando una forza analoga a quella che
esperienze diverse basate sulle osservazioni e il la- si applica a un punto materiale a un oggetto esteso,
voro di molti. Se l’esperienza è limitata è facile che se ne potrebbe causare la modifica della forma, in-
si giunga a soluzioni inesatte. Per questo nessun fi- vece di provocarne lo spostamento. Se si considera il
sico mette in dubbio l’Autorità dei grandi scienziati corpo nel suo complesso, dunque, la forma fa parte
del passato, ma questo non significa che le loro affer- dello stato che è modificabile attraverso una forza.
mazioni siano il Verbo e non si possano confutare. Potremmo definire lo stato come l’insieme delle
Il progresso scientifico ha avuto inizio proprio con grandezze fisiche indipendenti misurabili simulta-
la confutazione, supportata da evidenze sperimenta- neamente di un sistema, che lo caratterizzano com-
li, di quanto sostenuto dagli scienziati che ci hanno pletamente, nel senso che, attraverso la sua cono-
preceduti. scenza, se ne può predire lo stato a un tempo diverso
Lo stato di moto di un punto materiale dunque, da quello nel quale si esegue la misura, note le con-
dizioni esterne. Si potrebbe obiettare che in questo fermare che l’accelerazione di un punto materiale
modo la posizione e la velocità di un punto materia- sia provocata dal manifestarsi di una forza e dun-
le non possono considerarsi come variabili di stato que dev’essere funzione di questa. In assenza di forze
perché se la velocità non è nulla lo stato del punto un punto materiale si muove sempre di moto retti-
cambia istante per istante. Ma il fatto è che si può lineo uniforme (di cui la quiete è una particolare
sempre trovare un sistema di riferimento nel quale manifestazione).
il punto è fermo. La determinazione del modo di Su un corpo possono evidentemente agire piú for-
essere di una particella non può dipendere da una ze: se spingiamo un tavolino facendolo scivolare sul
nostra scelta, quindi posizione e velocità, anche se pavimento ci dev’essere una forza prodotta dalla
cambiano, sono da considerarsi variabili si stato. spinta che accelera il tavolino nella direzione del mo-
Se estendiamo un po’ il concetto che abbiamo di to, ma se smettessimo di spingere il tavolino si fer-
forza dobbiamo concluderne che, per provocare il merebbe, segno che dev’esserci anche una forza che
decadimento radioattivo di una sostanza c’è biso- il pavimento in qualche modo esercita sulle gambe
gno di una forza, perché se la massa caratterizza lo del tavolo, opponendosi al suo moto. Se non ci fosse
stato della sostanza presa in esame, il cambiamento questa forza, dovuta all’interazione col pavimento,
di questo stato dev’essere il prodotto di un’intera- il tavolino, una volta spinto, continuerebbe a muo-
zione. E ci vuole una forza per cambiare lo stato versi di moto rettilineo uniforme, come del resto fa
termico di un corpo (la sua temperatura). In de- una palla da biliardo una volta colpita dalla stecca.
finitiva potremmo riformulare il primo principio Se a spingerlo sono in due, il tavolino si muove piú
della dinamica nel modo seguente: lo stato di facilmente, segno che l’effetto della forza esercitata
un sistema non si modifica se non in presen- da ciascuno si somma con quello dell’altro. Ma se la
za di interazioni (le quali possono essere prodot- spinta è esercitata dalle due persone in senso oppo-
te da qualcosa di esterno o interno al sistema). In sto l’una all’altra, a meno che una delle due non sia
alternativa possiamo dire che la presenza di in- molto piú intensa dell’altra, il tavolo non si muove
terazioni provoca la modifica dello stato dei affatto.
corpi, a meno che le interazioni non siano ta- Appare abbastanza evidente, da quanto detto,
li da annullare vicendevolmente gli effetti di che la forza deve avere carattere vettoriale, per-
ciascuna. ché è chiaro dagli esperimenti che la direzione e il
In questo senso la definizione di dinamica data a verso in cui si esercita un’azione è importante per
pagina 153 non è del tutto esatta (vedi la nota 1 a caratterizzare gli effetti di quell’azione. Dal momen-
pié di pagina): la dinamica, a rigore, non è lo studio to che le forze provocano l’accelerazione dei punti
delle cause del moto, ma lo studio delle interazio- materiali sembra ragionevole assumere che il vet-
ni che provocano il cambiamento dello stato di un tore forza sia parallelo al vettore accelerazione,
sistema. in questi casi. Una possibilità, quindi, è che si possa
scrivere che
non rende conto di altri fenomeni e in particolare Se k è grande, la forza prodotta dalla molla in
del comportamento delle molle. seguito a una compressione o a un allungamento è
Se si esercita una pressione lungo l’asse di una grande. Questo significa che una molla con k grande
molla, la sua lunghezza si riduce e si dice che si com- è una molla piú rigida di una con k piccolo. Infatti,
prime. Se invece di spingere, tiriamo la molla da per comprimere (o allungare) una molla di ∆x (in
un’estremità, la molla s’allunga. Piú forza mettiamo modulo) è necessario applicare una forza che annul-
nello spingere o tirare e piú la molla si allunga, alme- li l’effetto della forza elastica (il primo principio
no fino a che l’azione esercitata resta all’interno di della dinamica impone che l’accelerazione dell’e-
certi limiti (se l’intensità dell’azione non è abbastan- stremo della molla non sia nulla se non lo è la forza
za grande la lunghezza della molla non si modifica – complessiva applicatagli). Se F è il modulo della for-
provate a farlo con un ammortizzatore d’automobile za esterna applicata, la molla deve reagire con una
provando a comprimerlo con le mani – e se invece forza uguale, che si produce quando è allungata o
è troppo grande la molla si può deformare in modo compressa di
permanente, come si vede stirando eccessivamente
la molla di una penna a scatto). Quando una molla F
∆x = (12.4)
con un’estremità fissata è compressa (o allungata) e k
la sua lunghezza resta costante, evidentemente sul- (abbiamo eliminato il segno e il grassetto perché
l’altra estremità della molla, che si può considera- stiamo considerando solo i moduli). A parità di for-
re un punto materiale, agiscono due forze uguali e za, piú è grande k e piú è piccolo lo spostamento
contrarie: una esterna e l’altra interna alla molla, dell’estremo della molla.
generata dalla molla stessa grazie alle sue proprietà La definizione può sembrare piuttosto approssi-
elastiche. mativa, ma certamente dev’essere valida per allun-
Visto che la spinta che dobbiamo esercitare per gamenti relativamente piccoli. In effetti si potrebbe
comprimere o allungare una molla cresce al cresce- pensare che la forza non sia affatto proporzionale
re della deformazione, potremmo definire l’inten- all’allungamento, ma sicuramente dev’essere funzio-
sità della forza esercitata dalla molla per contra- ne di esso: F = f (∆x). La funzione f può essere
stare quella esterna come proporzionale all’allun- complicata a piacere, ma se ∆x è abbastanza pic-
gamento (o all’accorciamento, che possiamo consi- colo, la funzione (il suo modulo) si può sempre ap-
derare un allungamento negativo) e scrivere, di prossimare con un polinomio di grado opportuno:
conseguenza, che f (∆x) ' f0 + f1 ∆x + f2 ∆x2 + · · · . Di certo, se
l’allungamento è nullo, la forza dev’essere nulla, e
F = −k∆x (12.3) quindi, dovendo essere f (0) = f0 dev’essere f0 = 0.
Se ∆x è sufficientemente piccolo tutti i termini di
dove F rappresenta il vettore forza esercitata dalla
ordine superiore al primo si potranno trascurare per
molla, che chiamiamo quindi forza elastica, diretto
cui possiamo scrivere F ' f1 ∆x, e possiamo sempre
secondo l’asse della molla e in maniera da opporsi
riscrivere f1 come f1 = −k.
all’azione esterna; k dovrebbe essere una costante
In questo modo, misurando l’allungamento della
(che potremmo chiamare costante elastica della
molla (cioè la variazione della sua lunghezza) po-
molla) e ∆x l’allungamento della stessa (o, se vo-
tremmo misurare l’intensità della forza, se conosces-
lete, lo spostamento della sua estremità). Il segno
simo il valore di k, che evidentemente deve dipen-
− indica che il verso della forza è opposto all’allun-
dere dal tipo di molla, perché a parità d’intensità
gamento: se la molla è allungata, la forza esercitata
dell’azione esercitata nei suoi confronti, il risultato
dalla molla è diretta in modo da tentare di accor-
cambia secondo il tipo di molla.
ciarla; se invece la si comprime la forza è diretta in
Naturalmente potremmo scegliere una molla cam-
modo da ripristinare la condizione iniziale.
pione e definire quella una molla con k = 1 in oppor-
tune unità di misura, ma possiamo fare di meglio. massa di 1 kg la molla si allunga (o si comprime)
Per ora rimandiamo il problema di definire l’unità di ∆x; usando un peso di 2 kg, la molla si allun-
di misura della forza e il suo valore numerico, per ga del doppio. La forza che attrae i corpi verso il
occuparci di verificare che la definizione che abbia- basso, quindi, non può essere descritta dalla rela-
mo appena dato sia coerente con quanto trovato con zione F = α∆x, ma dev’essere proporzionale alla
gli esperimenti. massa del corpo m! Solo così le definizioni operative
Al momento abbiamo due definizioni operative di potranno essere coerenti. Dev’essere dunque
forza: una è quella elastica e l’altra, derivante dalle
osservazioni sulla caduta degli oggetti, che potrem- F = mg (12.5)
mo chiamare di gravità. È chiaro che queste due
dove g è l’accelerazione misurata sperimentalmente
definizioni devono essere coerenti.
con la quale cadono gli oggetti. Vediamo se adesso
Disponendo una molla in modo che il suo asse
le osservazioni sperimentali coincidono con le no-
sia verticale, quel che vediamo è che se si mette un
stre previsioni. Secondo questo modello, applicando
peso sulla sua estremità superiore la molla si accor-
una massa m all’estremità di una molla disposta
cia fino a quando il peso resta fermo. Se la molla è
in verticale l’allungamento, in modulo, è proporzio-
appesa per l’estremità superiore e a quella inferiore
nale a m (sia che si tratti di un oggetto di massa
si attacca lo stesso peso, la molla si allunga della
m, sia che si tratti di n oggetti ciascuno di mas-
stessa quantità. Questo significa che i pesi devono
sa m/n), perché, affinché la somma vettoriale del-
esercitare un qualche tipo di forza sulla molla, che
le forze applicate all’estremità della molla sia nulla
reagisce opponendone una uguale e contraria e, per
dev’essere
farlo, si allunga o si accorcia di una certa quantità.
La cosa appare del tutto ragionevole: nella nostra
mg − k∆x = 0 (12.6)
ipotesi la presenza di forze provoca un’accelerazio-
ne e sappiamo bene che un peso, lasciato libero di da cui segue che
muoversi, accelera verso il basso, il che significa che m
c’è una forza che l’attrae verso quella direzione. Evi- g.
∆x = (12.7)
k
dentemente il peso, appeso alla molla, tenderebbe a
Questa definizione dunque appare soddisfacente. La
cadere perché su di esso agisce la forza di gravità, ma
forza con la quale gli oggetti sono attratti verso il
oltre a questa è presente la forza elastica esercitata
pavimento la chiameremo forza peso4 . A questo
dalla molla. Quando queste due forze sono uguali in
punto, sapendo che l’accelerazione g vale, in modu-
modulo, essendo parallele e avendo versi opposti, a
lo, circa 9.8 ms−2 , la misura della forza si ottiene
un certo punto provocheranno l’arresto del moto del
da una misura di massa eseguita con una bilancia:
peso che a un certo punto non sarà piú accelerato.
basta moltiplicare questa massa per 9.8 per avere la
Visto che l’accelerazione con la quale cade il peso è
misura della forza nel Sistema Internazionale.
costante, dev’esserlo anche la forza che ne provoca
Le forze, dunque, sono grandezze fisiche con le
la caduta. La forza elastica invece diventa sempre
stesse dimensioni di una massa per un’accelerazio-
maggiore quanto piú la molla si allunga.
ne: [F ] = [M LT −2 ] e quindi l’unità di forza nel Si-
Se invece di un peso ne appendiamo due alla mol-
stema Internazionale dovrebbe essere quella cui è
la, quest’ultima si allunga del doppio, coerentemen-
soggetto un peso di 1/9.8 ' 0.1 kg, in modo tale
te con le definizioni date. Se però consideriamo va-
che mg ' 1 kg ms−2 . A questa unità si dà il nome
lida la definizione secondo la quale F = αg con
di Newton in onore del grande scienziato inglese e
α costante, la forza esercitata dal peso sulla molla
si indica con la lettera N maiuscola. Di conseguenza
dovrebbe essere indipendente dal tipo di peso che
usiamo per fare gli esperimenti. Quello che invece Conviene rileggersi, se non l’avete già fatto, il
4
possiamo osservare è che, usando un peso con la Paragrafo 3.1 e la nota a Pag. 18.
le costanti elastiche delle molle si devono misurare con un’accelerazione piú alta, se avesse la sensibi-
in N/m (Newton per metro). Questa non è una defi- lità adeguata. Sulla Luna, una vera bilancia (che
nizione operativa molto soddisfacente perché è facile confronta due masse) fornirebbe la misura corretta,
dimostrare che l’accelerazione con la quale cadono mentre una bilancia elettronica da cucina fornireb-
gli oggetti è solo approssimativamente costante e be una massa circa sei volte inferiore, perché sul no-
pari a 9.8 ms−2 . In alcuni posti sulla superficie ter- stro satellite l’accelerazione di gravità è piú piccola
restre è un po’ piú alta, in altri un po’ piú bassa, di un fattore sei. Le moderne bilance elettroniche
perciò, per poter dare una definizione corretta, do- di questo tipo non impiegano molle, ma elementi
vremmo anche specificare dove si deve eseguire la piezoelettrici: dispositivi che hanno la proprietà
misura. In ogni caso sarebbe meglio trovare un cri- di produrre una corrente elettrica proporzionale al-
terio diverso per misurare questa grandezza fisica, la compressione esercitata su di essi, che sono piú
perché con il criterio che stiamo adottando possia- precisi e sensibili delle molle.
mo misurare soltanto la forza applicata agli oggetti Con un dinamometro si può misurare qualunque
che cadono. forza: basta applicarla alla sua estremità libera per
Una possibilità consiste nello sfruttare la relazio- averne una misura.
ne secondo la quale Osserviamo che perché gli esperimenti funzionino
è necessario accompagnare in qualche misura l’al-
mg − k∆x = 0 (12.8) lungamento della molla perché altrimenti il punto
quando un peso è legato all’estremità di una molla materiale non si ferma affatto, in certi casi, ma co-
disposta in verticale. In questo caso l’allungamento mincia a oscillare attorno a una posizione di equili-
vale brio che raggiunge solo dopo un po’ di oscillazioni.
Anche questo comportamento è spiegabile alla lu-
∆x =
m
g. (12.9) ce della nostra teoria, con una molla appesa cui
k agganciamo un peso all’estremità inferiore: inizial-
Attraverso questa relazione possiamo costruire uno mente l’allungamento della molla è nullo e dunque
strumento tarato. Scegliamo una molla qualun- non c’è alcuna forza agente sul peso da parte di
que e appendiamo un peso di 1 kg alla sua estremi- questa. Il peso quindi inizia a cadere con l’usuale
tà libera: la molla si allunga (o si accorcia), di ∆x. accelerazione. Ma appena comincia a farlo, la molla
Evidentemente, con un peso di massa pari a 2m, si allunga un po’ e comincia ad agire con una forza
l’allungamento sarà di 2∆x e cosí via. Basta quindi che richiama il peso verso l’alto. Questa forza, fin-
misurare l’ampiezza dell’allungamento per misurare tanto che l’allungamento non è abbastanza grande,
la forza applicata alla molla: per un allungamento non riesce a opporsi al moto di caduta che continua
pari a ∆x, la forza applicata vale 9.8 N. Uno stru- fino a quando la forza peso e quella elastica si ugua-
mento cosí si chiama dinamometro. Un dinamo- gliano in modulo. A questo punto, però, è vero che
metro, quindi, misura le forze attraverso una misura la forza applicata al peso è complessivamente nul-
di lunghezza: l’allungamento (l’accorciamento) dello la, ma il peso possiede una velocità non nulla che,
strumento si traduce in una misura di forza attra- in assenza di forze, non cambia (primo principio
verso una scala di proporzionalità. In effetti quasi della dinamica)! Quindi il peso tende a continuare
tutte le bilance che abbiamo in casa non sono ve- a cadere muovendosi di moto rettilineo uniforme.
re bilance, ma sono dinamometri usati al contrario: Ma appena lo fa l’allungamento della molla aumen-
basta indicare sul display, invece del valore della for- ta e la forza di richiamo pure. Ora quest’ultima è
za, quello della massa che è soggetta alla forza peso maggiore della forza peso, quindi il verso della for-
corrispondente. Questo significa che una comune bi- za totale agente sul peso è rivolto verso l’alto, co-
lancia da cucina indicherebbe una massa un po’ piú me l’accelerazione. Poiché l’accelerazione è diretta
alta nei luoghi della Terra in cui gli oggetti cadono in verso opposto alla velocità questa tende a ridursi
fino a diventare zero, per poi cominciare ad aumen- 12.3 Il secondo principio della
tare nuovamente, ma verso l’alto. Cosí il peso, dopo
aver provocato un allungamento maggiore di quello
dinamica
che provocherebbe se venisse accompagnato, torna A questo punto, avendo la possibilità di produrre
su e supera il livello di equilibrio. Se non interve- forze d’intensità nota perché misurabile, possiamo
nissero altre forze il peso tornerebbe nella posizione cominciare a fare esperimenti con forze di diversa
originale per poi ricominciare a cadere: infatti, una intensità applicate a oggetti diversi per cercare di
volta superato il livello per il quale mg = k∆x, la capire cosa succede nei vari casi. Di sicuro, quel che
forza elastica avrebbe lo stesso verso della forza peso sappiamo è che le forze provocano l’accelerazione dei
e si opporrebbe al moto di salita che continua fino a punti materiali e che tutti i corpi sulla Terra sono
quando la velocità del corpo non diventa nulla per soggetti a una forza diretta verso il basso proporzio-
effetto della corrispondente accelerazione. Dopo un nale alla loro massa. Da quest’ultima osservazione
po’, osserviamo che l’ampiezza delle oscillazioni si ri- si ricava che l’accelerazione con la quale un corpo
duce fino a quando è talmente piccola da non essere cambia il suo stato di moto dipende dalla forza ad
piú apprezzabile e il corpo si ferma in un punto per esso applicata secondo la legge
il quale mg = ∆x. Evidentemente, durante il moto
dell’oggetto intervengono altre forze che si oppon- F
.a= (12.10)
gono sempre al moto: quando il corpo va giú queste m
forze sono dirette verso l’alto e quando va su so- Possiamo facilmente confermare questa predizione
no dirette verso il basso. Dovrebbe trattarsi di forze applicando forze d’intensità nota a oggetti di mas-
del tutto simili a quelle che si osservano quando si fa sa diversa e misurare l’accelerazione risultante. Pro-
strisciare un oggetto su una superficie o a quelle che viamo a congegnare un esperimento per realizzare
provocano gli strani moti degli oggetti molto legge- questo test.
ri che cadono. Se togliessimo l’aria ed eseguissimo Ogni corpo sulla Terra subisce un’attrazione verso
l’esperimento nel vuoto, la durata delle oscillazioni il basso d’intensità pari a mg. Se attacchiamo un
aumenterebbe un po’, segno che in parte queste for- peso di massa m a una molla appesa al soffitto di
ze a carattere dissipativo sono dovute all’interazione costante elastica k la molla si allunga e il sistema è
del dispositivo con l’aria circostante. Una parte delle in equilibrio quando la risultante, cioè la somma
forze dissipative però deve comunque essere genera- vettoriale, delle forze applicate all’estremità della
ta dentro la molla, perché eliminando l’interazione molla è nulla:
con l’aria le forze dissipative non scompaiono del
tutto. mg − k∆x = 0 . (12.11)
In ogni caso il comportamento del sistema si spie-
ga benissimo, quindi possiamo ritenerci abbastanza L’equazione è un’equazione scalare perché stiamo
soddisfatti. Anche se non molto precisa, la defini- considerando solo i moduli dei vettori, visto che tut-
zione operativa che abbiamo dato di forza appare te le forze agiscono lungo la stessa direzione. Se-
ragionevole. Avremo tempo e modo di raffinare un condo quanto scritto sopra l’accelerazione del siste-
po’ questa definizione, che per il momento appare ma dovrebbe essere uguale alla forza applicata di-
del tutto convincente e soddisfacente. viso la massa dello stesso. Ora il sistema è fermo e
quindi l’accelerazione è nulla: se la forza vale zero
altrettanto varrà l’accelerazione.
Se ora colleghiamo il peso di massa m a un car-
rello di massa M attraverso una cordicella (una fu-
ne) che facciamo passare attraverso una carrucola
in modo tale che il peso sia libero di cadere tra-
F
a= . (12.14)
m+M
Per verificarlo conviene fare un grafico dell’accele-
razione in funzione di 1/(m + M ): in questo modo,
se la relazione che lega a ad m + M è quella ipo-
tizzata i punti dovrebbero allinearsi su una retta
passante per l’origine. Eseguendo un fit lineare su
questo grafico troviamo che in effetti sembra essere
proprio cosí (o quasi). La pendenza della retta vale
F = 0.40 ± 0.06 N. L’intercetta non vale, come ci si
aspetterebbe, zero, ma −1.4±0.7 ms−2 . Questo può
essere dovuto al fatto che al tendere di 1/(m + M )
Figura 12.2 Grafico dell’accelerazione a a zero la massa M tende a infinito, per cui gli espe-
di un corpo di massa M ,
rimenti cominciano a deviare dalle predizioni per
in funzione dell’inverso del-
la massa complessiva 1/(m + masse abbastanza grandi perché è possibile che in-
M ). L’accelerazione è provo- tervengano fenomeni diversi di tipo dissipativo (in
cata dal peso di un mazzo di sostanza aumentano le forze che frenano il moto del-
chiavi di massa m = 55 g la macchinina). Gli errori sperimentali sono grandi
(comprensivo di laccetto).
in questo caso perché la strumentazione usata non è
certamente di tipo professionale: considerando che
abbiamo un’indeterminazione dell’ordine dei 6/100
moto si svolge, per ciascuno degli oggetti, in una di secondo sulla misura dei tempi e accelerazioni
sola direzione). Basta dunque misurare il tempo dell’ordine dei 4 ms−2 , ci aspettiamo che, dopo una
∆t impiegato dal peso o dal carrello per fare uno trentina di cm e 40/100 si secondo, la velocità del
spostamento ∆x per ricavare carrello raggiunga il valore v = at ' 4×0.4 ' 2 m/s,
per cui in 6/100 di secondo percorre una distanza
2∆x
a= . (12.13) x = vt ' 2 × 0.06 ' 12 cm, che corrispondono al
∆t2 40 % circa dello spazio percorso in totale.
Il carrello e il peso hanno la stessa accelerazione, Tutti gli esperimenti che si possono fare con og-
evidentemente. Quella che abbiamo misurato allora getti di massa m che si muovono con accelerazione
è l’accelerazione del sistema formato dal carrello e a in seguito all’applicazione di forze la cui risultante
dal peso. Se eseguiamo le misure in funzione della è F dimostrano che vale sempre
massa totale del sistema m + M , possiamo ricavare
la relazione che lega l’accelerazione dello stesso alla a=
F
. (12.15)
sua massa. Facendo questo grafico si trova qualcosa m
di simile alla Figura 12.25 . Il modo in cui si distri- Vogliamo qui fare alcune osservazioni. Su molti libri
buiscono i punti sperimentali sembra suggerire che di testo l’equazione sopra scritta, che prende il nome
l’andamento ipotizzato sia corretto e cioè che di secondo principio della dinamica o seconda
Legge della dinamica o ancora seconda Legge
5
L’esperimento che ha prodotto i dati in figura è stato
realizzato usando un laccetto per chiavi con attaccati, da una di Newton, è scritta come
parte, un mazzo di chiavi e, dall’altra, macchinine giocattolo
di massa diversa. Il tutto è stato ripreso con uno smartphone F = ma . (12.16)
e analizzato grazie a un programma di video editing.
Naturalmente, dal punto di vista matematico, le due
scritture sono del tutto equivalenti. Ma dal punto di
da parte di un peso lungo un piano inclinato non ci qualche variabile x che magari si può approssimare
sia nulla di fondamentale, anche se è un utile eserci- con un polinomio f (x) ' f0 + f1 x + f2 x2 + · · · di cui
zio; nel secondo abbiamo voluto fornire l’opportuni- noi riusciamo solo a misurare il termine costante
tà di comprendere piú a fondo la tecnica risolutiva f0 = mg per mancanza di sensibilità. Può essere.
e un’alternativa alla soluzione servita come tale. La Non lo escludiamo.
tecnica proposta permette inoltre di anticipare risul- Avrete sicuramente visto in TV o su Internet che
tati dell’analisi matematica per quegli studenti che gli astronauti a bordo della Stazione Spaziale Inter-
non l’avessero ancora affrontata, mentre per coloro nazionale sembrano fluttuare senza peso a bordo di
che già la conoscono rappresenta un’utile variante. quel mezzo. È come se lassú la forza che attrae le
cose verso il basso non ci fosse.
Però ricompare quando ci si allontana ancora di
13.1 La forza peso piú dalla superficie terrestre: per esempio sulla Luna
le cose cadono con un’accelerazione che è circa sei
Ogni corpo, qualunque sia la sua forma, il materiale
volte inferiore a quella con cui cadono sulla Terra,
di cui è fatto, la sua temperatura, le sue dimensioni,
ma cadono.
etc., è sempre soggetto, almeno qui sulla Terra, a
Questo comportamento pare un po’ bislacco. In-
una forza che lo attrae sempre verso il basso che si
tendiamoci: nulla vieta, come sempre, all’Universo
può scrivere nella forma
di comportarsi come crede. Potrebbe benissimo es-
sere che la forza peso agisca solo entro una distanza
F = mg . (13.1)
relativamente piccola dalla superficie di un piane-
Alla luce della seconda Legge della dinamica, la for- ta per poi sparire del tutto e improvvisamente, ma
ma di quest’espressione implica che l’accelerazione sembra piú plausibile che una cosa del genere esau-
con la quale cadono i corpi è costante e indipen- risca gradualmente il suo potere attrattivo. È possi-
dente dal corpo. Ci sono eccezioni a questa legge, o bile che tale potere, a partire da una certa quota in
almeno cosí sembra: se si lascia cadere un foglio di poi (che dev’essere molto alta), cominci a diminuire
carta questo non cade affatto come sopra descritto. rapidamente, ma non improvvisamente. E il fatto
Se però si esegue l’esperimento sotto una campa- che l’astronauta fluttua senza peso farebbe pensare
na nella quale è stato praticato il vuoto, cioè è stata che questa forza è sprigionata dai pianeti, non da
eliminata tutta l’aria con l’ausilio di una pompa, il oggetti come la Stazione Spaziale. Che tuttavia è
foglio sembra cadere come previsto1 . Questo fareb- fatta di materiali presenti sulla Terra, quindi se la
be pensare che il foglio di carta cadrebbe secondo la forza si sprigiona dalla Terra deve provenire da qual-
Legge di Newton, ma in condizioni ordinarie non che tipo di sostanza cui non abbiamo accesso (ma-
lo fa perché evidentemente l’aria che lo circonda gari è solo all’interno della Terra, sotto la crosta),
in qualche maniera glielo impedisce: costituisce in altrimenti ci aspetteremmo che la Stazione Spaziale
qualche modo un ostacolo al suo moto naturale. produca lo stesso tipo di attrazione. Anche se, a dire
Nello scrivere una legge del tipo F = mg può il vero, potrebbe dipendere dalle dimensioni: in fin
venire in mente che in effetti questa potrebbe essere dei conti la Luna è molto piú piccola della Terra e la
semplicemente una prima approssimazione di una forza peso sulla Luna è significativamente piú picco-
legge piú complicata. Potrebbe, in effetti, essere che la. La Stazione Spaziale è infinitamente piú piccola
l’espressione della vera forza che agisce sui corpi della Terra, quindi è possibile che la forza peso che
non sia mg, ma una funzione (vettoriale) f (x) di sprigiona sia altrettanto microscopica.
Per capire meglio questa cosa abbiamo bisogno
1
Naturalmente, per fare quest’esperimento occorre un la-
boratorio con un minimo di attrezzatura idonea e non è
di altri dati e altri esperimenti. Per il momento pos-
possibile farlo in maniera casalinga. Fidatevi. siamo considerare quella scritta come l’espressione
corretta.
come supposto, la corda è formata da tanti piccoli sioni sono uguali in modulo per farle sparire combi-
corpuscoli, questi devono restare gli uni vicini agli nando opportunamente, attraverso la matematica,
altri in ben determinate posizioni per dare la forma le equazioni del moto.
all’oggetto. Se se ne sposta uno si devono spostare
tutti gli altri e per questo è necessario che ciascun 13.2.1 L’esperimento del carrello
corpuscolo eserciti una forza almeno sui suoi vicini,
altrimenti, esercitando una forza su uno solo di es- Il Filmato 12.1 mostra una serie di esperimenti in
si, questo si muoverebbe staccandosi dal resto della cui una macchinina giocattolo è trascinata da un
corda che rimarrebbe immobile. laccetto cui sono appese alcune chiavi. Analizziamo
A sua volta la porzione di corda (evidenziata in il problema alla luce di quanto imparato. Sulle chia-
azzurro nella parte destra della figura) che eserci- vi agiscono due forze: la forza peso Pm = mg e la
ta la forza sull’estremo è tirata da quella attaccata tensione del laccetto T. Sulle macchinine, ciascu-
al peso e, dall’altro lato, dalla porzione di corda ad na di massa M , agisce invece solo la tensione del
essa adiacente. È chiaro che, poiché ciascuna porzio- laccetto, che dev’essere uguale, in modulo, a quella
ne di corda si muove con la stessa accelerazione, la che agisce sulle chiavi (la forza peso delle macchine
coppia di forze agenti su ciascuna porzione dev’es- è annullata dalla reazione vincolare esercitata dal
sere la stessa in modo tale che la somma vettoriale tavolo).
della forza rossa e di quella verde in figura deter- Entrambi i corpi si muovono con la stessa
mini un cambiamento di stato identico per ciascuna accelerazione a, che per le chiavi si scrive
porzione di corda.
F mg − T
Ora, dal momento che il moto della corda non a= = (13.25)
c’interessa piú di tanto (e che comunque è per certi m m
versi identico a quello degli oggetti ad essa collega- e per la macchina
ti), possiamo ignorare la presenza di tutte queste
T
forze (tanto piú che stiamo assumendo che la corda .
a= (13.26)
M
sia priva di massa) e considerare soltanto la forza
che la corda esercita sull’oggetto legato a uno dei Da quest’ultima relazione possiamo ricavare il va-
suoi capi (le banane) e quella esercitata sull’oggetto lore di T = M a che, sostituito nella relazione che
collegato al capo opposto. Per quanto detto queste fornisce a per le chiavi, dà
due forze devono essere uguali e contrarie, perché mg − M a
altrimenti la corda si muoverebbe con accelerazio- a= . (13.27)
m
ne infinita (o comunque diversa da quella degli altri
Basta qualche semplice passaggio matematico per
oggetti). A questo tipo di forze si dà il nome di
riscrivere quest’equazione come
tensione della fune.
In definitiva possiamo schematizzare il problema m
a=g
. (13.28)
ignorando del tutto quel che succede alla corda, ma m+M
trattando la fune come qualcosa che esercita due for- Nell’esperimento la massa delle chiavi era m =
ze uguali e contrarie ai suoi capi, quando è tesa, che 55±1 g, quindi ci aspettiamo che, connettendole at-
chiamiamo tensione. Tutte le volte che due oggetti traverso una fune a una macchina da una quarantina
sono vincolati a un qualche tipo di fune, dunque, di grammi, provochino un’accelerazione dell’ordine
ci si deve ricordare che questa esercita sugli oggetti di
connessi ai suoi capi una forza, la cui intensità ci è,
evidentemente, del tutto ignota. a ' 9.8
55
' 6 ms−2 , (13.29)
Questo però non limita le nostre possibilità di 55 + 40
previsione. In effetti basta sapere che le due ten-
non lontana da quelle misurate. Notate, in quest’ul- tornare alla forma e alle dimensioni originali se l’ef-
timo passaggio, che non ci siamo preoccupati di con- fetto di questa forza cessa. Ora, poiché quando si
vertire le unità di misura della massa in unità del smette di applicare la forza esterna, in assenza di
SI, perché comparendo le masse in un rapporto que- altre forze lo stato del sistema dovrebbe rimanere
sto è adimensionale. Naturalmente, però, facendolo lo stesso, se questo cambia (e cambia perché l’ela-
avremmo ottenuto lo stesso risultato col vantaggio stico e la molla tornano alla lunghezza originale)
di aver preso una buona abitudine, per quanto, in significa che esiste qualche forza che provoca que-
certi casi, inutile. sta variazione. Non essendoci piú, per definizione,
Il fit ai dati sperimentali restituisce il valore mg = forze esterne, le forze che producono il ritorno al-
0.40 ± 0.06 N, da confrontare con il valore previsto lo stato originale non possono che essere interne al
di mg = 0.55 ± 0.01 N che dista circa due deviazioni dispositivo elastico.
standard da quello trovato sperimentalmente. Con- D’altra parte l’esistenza di queste forze si desume
siderata l’inaccuratezza della strumentazione utiliz- anche dal fatto che, all’aumentare della deformazio-
zata è un buon risultato. Va anche considerato che ne subíta, la forza esterna necessaria per provocare
la massa di 55 g citata si riferisce alla somma del- una deformazione ulteriore aumenta: all’inizio è fa-
la massa del laccetto e delle chiavi. La massa delle cile allungare un elastico, ma piú si allunga e piú
sole chiavi è di 40 g, quindi quella del laccetto non diventa difficile continuare a farlo. Segno che una
è trascurabile, il che significa che la forza che agi- qualche forza si sta opponendo a quella che tende-
sce sul carrello è solo approssimativamente costante rebbe ad allungarlo ancor di piú. Le diverse forze
nel corso dell’esperimento e aumenta al passare del di questa natura prendono il nome di forze elasti-
tempo, perché una porzione sempre piú grande di che. In generale una forza di tipo elastico è una for-
laccetto è soggetta alla forza peso. Usando il valore za che si produce all’interno di qualche dispositivo
minimo per mg = 0.40 troviamo che il risultato spe- che si oppone alle variazioni di forma e dimensioni
rimentale e quello teorico coincidono perfettamente. di quel dispositivo e che tende a farlo tornare nello
Un valore piú onesto potrebbe essere dato dal peso stato iniziale, una volta cessato l’effetto delle forze
medio (0.40+0.55)/2 ' 0.48 N, per il quale abbiamo esterne.
una discrepanza tra misure e previsioni di Sono diversi i dispositivi che si possono classifica-
re come elastici: a parte elastici e molle, evidente-
0.48 − 0.40 mente qualunque oggetto di dimensioni sufficiente-
√ ' 0.9 . (13.30)
0.062 + 0.052 mente grandi e dalla forma opportuna presenta un
Il risultato sperimentale è cioè compatibile entro qualche grado di elasticità. Se prendete una comune
una deviazione standard da quello teorico4 . penna per le estremità e le tirate verso il basso la
penna s’incurva e, se non avete tirato troppo for-
te, dopo aver rilasciato la tensione, la penna torna
13.3 La forza elastica ad assumere la forma che aveva all’inizio. Lo stesso
vale per una riga o una trave di ferro. Anche un ma-
Al paragrafo precedente si parla della necessità di terasso, una poltrona, una pallina di gomma, etc.,
usare funi inestensibili per evitare i problemi de- sono tutti oggetti che possiedono proprietà elastiche
rivanti dall’uso di strumenti la cui forma non sia entro certi limiti.
costante, come gli elastici. Un elastico o una molla Quello che si capisce sperimentando queste pro-
hanno entrambi la proprietà di deformarsi (cambia prietà con diversi oggetti è che la deformazione pro-
il loro stato) in presenza di una forza esterna e di vocata dalla forza esterna è proporzionale, entro cer-
4
Abbiamo rozzamente stimato in 0.05 N l’errore da ti limiti, all’intensità della forza stessa. In una mol-
attribuire al peso teorico, come un terzo dell’ampiezza la, l’allungamento ∆x è funzione dell’intensità della
dell’intervallo tra il minimo e il massimo. forza F applicata agli estremi
poggiandola su una superficie rigida molto liscia. In la forza sono nulle, pertanto lo saranno anche
questo modo la superficie esercita una reazione vin- le corrispondenti componenti dell’accelerazione a
colare sulla molla che annulla gli effetti della forza e possiamo riscrivere l’equazione come se fosse
peso. È necessario che la superficie sia molto liscia scalare:
perché occorre minimizzare gli effetti delle forze dis-
sipative, che saranno comunque ineliminabili, ma si − k∆x = ma . (13.39)
potranno trascurare entro certi limiti (di tempo in
L’accelerazione subíta dalla massa m vale dunque
cui si esegue la misura e di ampiezza del moto).
Se si prendono gli accorgimenti sopra descritti il k
moto dell’estremo della molla avviene in un’unica a=−
∆x (13.40)
m
direzione e si può quindi considerare monodimen- e non è costante, essendo proporzionale a ∆x, cioè
sionale. Se consideriamo la molla priva di massa ci alla variazione di posizione rispetto alla posizione
scontriamo subito col solito problema per cui l’ac- iniziale x0 (∆x = x − x0 ). Non possiamo dunque
celerazione del suo estremo, in presenza di forze, adoperare la formula che ci fornisce la posizione x(t)
sarebbe infinita. È facile superare questo scoglio se al tempo t che abbiamo ricavato nell’ipotesi di moto
pensiamo di fissare a un estremo della molla una uniformemente accelerato.
massa m. Se l’oggetto fissato all’estremo della mol- L’accelerazione è la variazione di velocità
la è abbastanza piccolo possiamo considerarlo pun- nell’unità di tempo, quindi possiamo scrivere che
tiforme. A questo punto la massa della molla m0
si può trascurare purché m0 m, condizione che ∆v k
= − ∆x (13.41)
si può realizzare facilmente. In questo modo anche ∆t m
una molla disposta verticalmente soddisfa i requisiti ed essendo la velocità la variazione di posizione
di cui sopra. nell’unità di tempo potremmo dire che
Cominciamo con lo sperimentare quel che accade
in presenza di deformazioni, cosí sapremo già dove
∆x
∆v = ∆ (13.42)
andare a parare nella soluzione dell’equazione del ∆t
moto (non crederete mica che i fisici conoscano la e di conseguenza, interpretando il simbolo ∆ come
soluzione di tutte le equazioni! Le trovano sapendo una variabile qualsiasi,
già cosa si devono aspettare). Basta allungare un
po’ la molla per vedere che, una volta rilasciata, ∆ ∆x ∆2 x k
l’estremo libero comincia a oscillare attorno a una = 2 = − ∆x . (13.43)
∆t ∆t (∆t) m
posizione di equilibrio che grosso modo corrisponde
con la posizione che l’estremo aveva prima di essere Non è ovvio cosa si debba intendere per ∆2 perché
tirato. La soluzione dell’equazione del moto dovrà il simbolo ∆ non rappresenta il valore di una gran-
dunque essere qualcosa di oscillante. dezza fisica, ma un’operazione che s’intende ese-
La massa collegata all’estremo della molla, una guita sulla variabile che lo segue: per questo prende
volta liberata la molla, è soggetta alla sola forza ela- il nome generico di operatore. L’espressione appe-
stica (che talvolta, per il suo modo di agire si chiama na scritta assume un chiaro e ben definito significato
anche di richiamo), quindi la Legge di Newton si nell’analisi matematica per la quale il limite per
scrive ∆t che tende a zero
∆x dx
F = −k∆x = aa . (13.38) = =v lim (13.44)
∆t→0 ∆t dt
Poiché il moto avviene solo lungo la direzione del- da cui si può scrivere che
l’asse della molla due delle tre componenti del-
a1 = a cos ωt (13.69)
Figura 13.3 Grafico della posizione in
(è costante il modulo di a, non la sua direzione, funzione del tempo ottenu-
quindi le componenti di a dipendono dal tempo). to con una simulazione nu-
Cosí possiamo scrivere che merica in cui t0 = 0.01 s e
k/m = 3.
x1
a1 = a (13.70)
R
e cioè che l’accelerazione lungo l’asse 1, a1 , è propor-
la velocità al tempo k−esimo vk sia uguale alla ve-
zionale, attraverso il rapporto a/R che è costante,
locità all’istante precedente vk−1 piú l’accelerazione,
a x1 . Lo stesso evidentemente vale per le altre com-
considerata costante, moltiplicata per l’incremento
ponenti. Anche in questo caso abbiamo che l’accele-
temporale: vk = vk−1 +at0 . L’accelerazione all’istan-
razione è proporzionale allo spostamento e anche in
te k−esimo, in realtà, sarà data da − m k
xk e basterà
questo caso lo spostamento è una funzione oscillante
inserire questo valore nella cella corrispondente.
come un seno o un coseno.
Copiando le quattro celle della prima riga sulle
Una maniera piuttosto efficace di trovare grafica-
righe successive, a ogni istante di tempo il foglio
mente la soluzione è quella numerica: su un foglio
calcola la posizione, la velocità e l’accelerazione del
elettronico predisponete quattro colonne: t, x, v e
corpo, pur con qualche approssimazione. Basta fa-
a. Ponete nella prima riga il valore 0 ovunque. Nel-
re un grafico di xk in funzione di tk per osservare
la seconda riga, invece, nella colonna t calcolate la
che somiglia in tutto e per tutto a una sinusoide, a
somma tra il valore presente alla riga precedente
meno che l’intervallo di tempo scelto t0 non sia trop-
piú una costante: per esempio, se tk indica la cella
po grande. In questo caso le approssimazioni fatte
alla riga k e alla colonna t, in questa cella scrive-
non sono piú valide (non si può considerare costan-
te tk = tk−1 + t0 con t0 costante (e.g. t0 = 0.01).
te l’accelerazione o la velocità in quell’intervallo di
Allo stesso modo mettete nella colonna delle x il
tempo) e il grafico non somiglia piú a quel che ci
valore xk = xk−1 + vk t0 . In questo modo state sup-
s’aspetta.
ponendo che il corpo la cui posizione è x al tempo
La Figura 13.3 mostra come appare il grafico in
k−esimo, si muove con velocità costante vk nel tem-
questione. Pare proprio un ottimo esempio di euri-
po t0 . Nel caso di una massa appesa a una molla
stica positiva. Siamo partiti dall’assumere la vali-
non è cosí, ma se il tempo t0 è abbastanza piccolo
dità di una legge fisica analizzando il moto indotto
la differenza tra un moto uniforme e il moto vero è
dalla sola forza peso e abbiamo scoperto che la stes-
piccola, quindi possiamo assumere che, se t0 è ab-
sa legge descrive perfettamente anche il moto dovu-
bastanza piccolo, in quell’arco di tempo il moto si
to alle forze elastiche. L’equazione che se ne ottiene
può considerare uniforme. In maniera del tutto ana-
è quella delle onde, da cui si capisce che i fenomeni
loga possiamo assumere che, sebbene non sia cosí,
R P1 = P cos θ . (13.75)
È evidente quindi che
Figura 13.5 Schematizzazione delle for-
ze agenti su un pendolo in P2 = −P sin θ . (13.76)
coordinate polari.
Il segno − indica che la forza peso è diretta in modo
da opporsi al moto prodotto dalle forze esterne che
sollevano la massa dalla posizione di equilibrio. Ora
l’equazione del moto per la prima componente si
T1 = ma1 , (13.73) scrive
e la seconda
− T + P cos θ = maR , (13.77)
− mg + T2 = ma2 . (13.74) dove aR è l’accelerazione lungo la direzione del rag-
Purtroppo le componenti di T non sono note, né gio che è nulla perché la prima coordinata del pen-
si possono ricavare da altri dati (per esempio, al- dolo non cambia mai. Quindi quest’equazione ci
l’altro capo della corda la tensione è la stessa in dice solo che T = P cos θ (informazione, peral-
modulo, ma questa può solo essere uguale alla rea- tro, sostanzialmente inutile). Lungo l’altra direzione
zione vincolare che è altrettanto ignota). In questo invece
modo, dunque, non possiamo sperare di arrivare a
una soluzione8 . Abbiamo però imparato che, talvol- − P sin θ = −mg sin θ = mat (13.78)
ta, una scelta opportuna del sistema di coordinate dove at = a è la componente tangente dell’accelera-
permette di semplificare notevolmente la soluzione zione. Per definizione
di un problema. In questo caso abbiamo una massa
che, essendo legata a un filo inestensibile, può solo dv ∆v
a= ' (13.79)
muoversi lungo un arco di circonferenza. In tutti i dt ∆t
casi in cui il moto si svolge lungo una circonferenza e la velocità v è legata alla velocità angolare ω dalla
o un suo arco il sistema di coordinate piú indicato è relazione (10.125) v = `ω, quindi abbiamo che
quello polare. Scegliendo, come in Figura 13.5, qua-
le origine degli assi il punto in cui la fune è fissata d(`ω)
a= (13.80)
al supporto, la posizione della massa ad essa appesa dt
ed essendo ` costante
O almeno a una soluzione semplice.
8
dω g F ' a1 θ . (13.89)
=− ω (13.84)
dt ` Ecco spiegato il comportamento oscillatorio di que-
ha proprio l’aspetto dell’equazione delle onde! Os- sto sistema. Un aspetto interessante del comporta-
serviamo che il rapporto g` ha le dimensioni di un mento di un pendolo è quello che si definisce il suo
tempo alla meno due, come il primo membro, che è isocronismo. Come nel caso delle oscillazioni del-
il rapporto tra l’incremento al quadrato di un angolo l’estremo di una molla, il periodo di oscillazione
(adimensionale) e il quadrato dell’incremento di un del pendolo si ricava conoscendo ω come
tempo. La velocità angolare massima vale proprio s
2π `
(13.90)
r
g T = = 2π
ωmax = (13.85) ω g
`
quindi la velocità del pendolo oscilla tra che è indipendente dalla massa del pendolo m e dal-
l’angolo di partenza θ. In definitiva la durata del-
l’oscillazione di un pendolo dipende soltanto dalla
r
g
(13.86)
p
±` = ± g` . lunghezza del filo. Naturalmente questo è vero solo
`
se le ipotesi che abbiamo fatto per scrivere le nostre
Il pendolo assume la sua massima velocità quando
equazioni del moto sono vere. Queste ipotesi sono:
passa per l’origine: quando cade da destra a sinistra
• il filo è inestensibile e privo di massa;
la velocità è negativa, mentre quando ricade da sini-
• al filo è appeso un punto materiale;
stra a destra è positiva, in un sistema in cui l’asse 1
• l’angolo inizialmente formato dal pendolo con
è orientato verso destra. Nei punti d’inversione del
la verticale è piccolo.
moto evidentemente la velocità è nulla.
Se il filo possiede una certa elasticità o non si può
Non c’è che dire: un altro grande successo! La
considerare del tutto privo di massa (pensate a un’a-
stessa teoria fornisce la spiegazione di moti tra loro
sta di metallo o di legno incernierata che oscilla) non
molto diversi. Tanto diversi che a prima vista si di-
è piú vero che il pendolo si comporta come descrit-
rebbe non abbiano nulla a che fare l’uno con l’altro.
to9 . Lo stesso vale se l’oggetto appeso al filo non si
Eppure tutti si possono descrivere con una semplice
equazione: Ma il suo moto è praticamente identico a quello di un
9
La misura del tempo e dello spazio l’intensità di questa forza è al di sotto di una cer-
Il periodo di un pendolo lungo ta soglia. Quando, per esempio, si prova a spingere
p 1 m è, secondo un pesante tavolo, se la forza esercitata non è suffi-
l’equazione (13.90), T = 2π 1/9.8 ' 2.0 s. Me-
tà dell’oscillazione di un pendolo lungo quanto cientemente intensa, il tavolo non si muove affatto.
l’unità di misura della lunghezza dura quanto Ponendo un oggetto su un piano orizzontale e solle-
l’unità di misura del tempo. Questa coincidenza vando il piano, si osserva che, pur essendo soggetto
potrebbe far ritenere che ci sia un collegamento alla forza peso (almeno alla sua componente tangen-
profondo tra queste due grandezze fisiche, ma te al piano), il corpo non cade se non quando l’ango-
come spiega il fisico Giulio D’Agostini in una lo supera un certo valore. Secondo la nostra teoria,
ricerca condotta con Paolo Agnoli [?], si tratta affinché il corpo non si muova è necessario che la
effettivamente di una coincidenza che, tuttavia, risultante delle forze applicate sia nulla. Dobbiamo
potrebbe essere stata sfruttata dagli Accademi- porciò ipotizzare che l’interazione con la superficie
ci di Francia in occasione delle riunioni condotte sulla quale il corpo appoggia sia tale da generare
per la definizione delle unità di misura alla fine una forza esattamente pari a quella applicata dal-
del 1 700. La scelta allora fu per definire il me- l’esterno, ma di verso contrario. Questo genere d’in-
tro come la decimilionesima parte di un quarto terazione deve sussistere solo fino a quando il mo-
di meridiano terrestre, ed è presumibile che in dulo della forza esterna è inferiore a una soglia che
questa scelta abbia giocato un ruolo il fatto che dipende dalle caratteristiche del corpo e della super-
tale lunghezza equivaleva, grosso modo, a quella ficie sulla quale è appoggiato. L’interazione produce
di un pendolo che batte il secondo. quindi una forza, che chiameremo di attrito stati-
co che si manifesta solo fin quando il modulo della
forza impressa all’oggetto è inferiore a una soglia Fs .
può assimilare a un punto materiale: se appendia- Quando i corpi sono messi in moto, superando
mo a un filo un oggetto di grandi dimensioni o dalla quindi le forze di attrito statico, sono soggetti a
forma irregolare il pendolo non ha piú le caratteri- forze che ne rallentano il moto. In generale queste
stiche per essere chiamato pendolo semplice e non forze possono essere complicate da descrivere, ma
si comporta da tale. Se infine l’angolo di partenza è possiamo analizzare alcuni casi semplici.
grande per cui non si può piú scrivere che sin θ ' θ, Il caso piú semplice possibile è quello di forza co-
il periodo del pendolo dipende eccome dall’angolo. stante: la forza di attrito applicata a un corpo che
si muove è costante nel tempo e indipendente dal-
la posizione. Poiché questa forza si manifesta solo
13.5 Le forze di attrito quando l’oggetto è in moto prende il nome di attri-
to dinamico. La forza d’attrito dinamico è costan-
Negli esperimenti con i carrelli e in numerose altre te, ma dipende dalle caratteristiche del corpo che la
occasioni si vede come il moto degli oggetti risulti subisce e della superficie sulla quale è appoggiato o
sempre, in una qualche misura, frenato dal contatto del mezzo nel quale si muove. In effetti questo è un
con qualcos’altro. Questo frenamento risulta in una caso abbastanza generale purché la forza sia picco-
accelerazione (o, se preferite, in una decelerazio- la. Se infatti la forza di attrito dinamico vera è una
ne) che, nel nostro modello, dev’essere il prodotto funzione f complicata a piacere di diverse variabili
di una forza e, in ultima analisi, dell’interazione x, y etc., in prima approssimazione si potrà sempre
dell’oggetto che si muove con qualcosa che lo cir- scrivere che f (x, y, . . .) ' f0 + f1 δ + f2 δ 2 + · · · ' f0 ,
conda. Possiamo avere diversi tipi d’interazione, che con f0 costante e δ che rappresenta una variazione
possiamo rozzamente schematizzare come segue. del valore delle variabili da cui dipende la forza.
Un corpo inizialmente fermo rimane fermo anche Tutti sanno che è molto piú facile spostare qualco-
se gli si applica una forza, almeno fino a quando sa che appoggia su ruote. In prima approssimazione
potremmo immaginare che l’estensione della super- quali si muovono i corpi non producono intenzional-
ficie d’appoggio in qualche maniera conti qualcosa mente le forze di cui stiamo parlando. Nel caso di
nel determinare la forza d’attrito. In effetti maggio- un attrito statico, per esempio, si potrebbe pensare
re è questa superficie e piú grande è l’effetto dell’at- che la superficie d’appoggio sappia quando cessare
trito sul moto del corpo. Quindi potremmo conclu- di applicare la forza e sia in grado di calcolare esat-
derne che il motivo per cui i corpi su ruote presen- tamente la forza da applicare per impedire al corpo
tano un attrito dinamico minore consiste nel fatto di muoversi. Naturalmente non è cosí: si tratta solo
che la superficie d’appoggio è praticamente nulla. di una nostra schematizzazione dei fenomeni che de-
Ma non può essere solo questo: in effetti si potreb- riva dalla nostra ignoranza sul processo che conduce
be minimizzare la superficie d’appoggio di qualcosa al manifestarsi di queste forze. Ma quel che conta
usando dei piedini di superficie molto piccola. Non in fisica è sapere prevedere i risultati sperimentali:
serve nemmeno fare un esperimento per capire che non importa se nell’Universo le forze esistono o me-
non è la stessa cosa che adoperare ruote: anche se no (certamente non ci sono frecce applicate ai corpi
un po’ sgonfie, per cui la superficie d’appoggio po- accelerati). Le forze sono state inventate da noi
trebbe essere addirittura maggiore rispetto a quella per spiegare le accelerazioni dei corpi osservate spe-
dei piedini, le ruote facilitano molto il moto degli rimentalmente. Sono reali nel senso che si possono
oggetti. Una ruota dunque deve produrre una forza misurare, tuttavia ci sono molti modi d’intendere
d’attrito speciale rispetto a qualcosa che non roto- questa parola nel linguaggio comune e potreste fa-
la. Chiamiamo questa forza, una forza di attrito re un’interessante discussione sul concetto di realtà
volvente. con il vostro professore di filosofia.
Un’altra possibilità è che la forza di attrito di-
penda dalla velocità del corpo. In effetti le forze di 13.5.1 Attrito statico
attrito dinamico rappresentano abbastanza bene la
situazione in cui un oggetto si muove scivolando su Per trovare una maniera formale di descrivere l’at-
un piano, ma se i corpi si muovono in un fluido (co- trito statico possiamo compiere un semplicissimo
me l’aria o l’acqua), questo oppone una resistenza esperimento: prendete un libro e premetelo con la
tanto piú intensa quanto maggiore è la velocità del mano contro una parete. Nonostante sul libro agisca
corpo, come tutti abbiamo sperimentato facilmen- la forza peso, il libro non cadrà. Se non cade vuol di-
te immergendo un braccio in acqua e spostandolo re che un’altra forza impedisce al libro di accelerare
a diverse velocità o portandolo fuori dal finestrino verso il basso. Evidentemente questa forza dev’esse-
di un’auto in corsa (ma è meglio non farlo perché è re diretta come la forza peso, avere il verso rivolto
pericolosissimo!). In questi casi parliamo di attrito verso l’alto e modulo esattamente pari a quello della
viscoso. forza peso. Questa forza ha proprio le caratteristiche
In questo paragrafo cerchiamo di studiare le pro- descritte per quella che abbiamo chiamato attrito
prietà di questi tipi di attrito che, bisogna ricordar- statico e dev’essere prodotta dalla parete o dalla
lo, sono sempre approssimazioni grossolane di ciò mano (o da tutt’e due insieme).
che accade veramente. È probabile che le forze di Si capisce facilmente che la forza assume il valo-
attrito siano il risultato di forze microscopiche mol- re della forza peso solo fino a quando la pressione
to complesse che agiscono sui singoli costituenti ele- esercitata dalla mano sulla copertina del libro, che
mentari di un corpo. Quando facciamo le misure, si può pensare come una forza avente direzione per-
però, la risoluzione degli strumenti è limitata e può pendicolare al muro e rivolta verso di esso, è suffi-
accadere che non siamo in grado di misurare flut- cientemente grande. Se si allenta un po’ la spinta il
tuazioni microscopiche del comportamento dei corpi libro comincia a scivolare.
per cui anche una descrizione rozza può andar bene. È chiaro dunque che il modulo della forza d’at-
È importante capire che le superfici o i mezzi nei trito statico Fs dev’essere proporzionale, almeno in
questo caso, alla forza diretta ortogonalmente alla la lettera N perché questa forza è detta forza
superficie lungo la quale scivola il corpo che la subi- normale11 ). Osserviamo che non possiamo scrivere
sce. Per verificare se questa è una proprietà generale
si possono fare altri esperimenti. Per esempio si può Fmin = µs N (13.94)
collegare, attraverso una fune, un peso di massa m
perché la direzione di Fmin è diversa da quella di N.
lasciato libero di cadere a un oggetto di massa M
Possiamo invece scrivere che
che si può muovere su un piano orizzontale, in mo-
do che questo sia trascinato da una forza costante.
Fmin = µs N x̂ (13.95)
Se la massa m non è abbastanza grande, il corpo
di massa M non si muove. Come si vede al Para- se x̂ è il versore perpendicolare a Fmin , cioè se Fmin ·
grafo 13.2.1, sulla massa m agisce la forza mg − T , x̂ = 0. Per confermare questa teoria possiamo usare
dove T è la tensione della fune, mentre sul corpo di un piano inclinato.
massa M la forza, in questo caso, vale T − Fs . Se Se si appoggia un corpo su un piano inclinato si
il tutto non si muove dev’essere T = Fs e quindi osserva che il corpo inizia a cadere lungo il piano
mg = T = Fs . solo quando l’angolo θ formato con l’orizzontale su-
Solo quando T supera Fs (quindi quando mg > pera un angolo θ0 caratteristico dei materiali di cui
Fs ) il corpo comincia a muoversi. Se il corpo di mas- sono fatti il corpo e il piano. La componente della
sa M ha la forma di una vaschetta si può riempire di forza peso perpendicolare al piano i cui effetti so-
oggetti o di liquido alterandone la massa M senza no annullati dalla reazione vincolare vale M g cos θ,
cambiare le caratteristiche del contatto tra il fon- mentre quella tangente, che causa lo scivolamento,
do della vaschetta e la superficie sulla quale scivola. ha modulo M g sin θ. Questa componente cresce al
Quello che si vede sperimentalmente è che la for- crescere di θ, almeno per angoli non troppo grandi,
za minima Fmin che è necessario applicare al corpo quindi possiamo scrivere che il moto avviene quando
affinché cominci a muoversi è proporzionale10 alla
massa M : Ft = M g sin θ > Fmin . (13.96)
Se la nostra teoria è vera, quindi, potremmo scrivere
Fmin ∝ M . (13.91) che il moto inizia quando
Dal momento che la forza che agisce perpendico-
larmente al piano sul quale avviene lo scivolamen- M g sin θ > µs M g cos θ (13.97)
to è M g possiamo interpretare questo fatto come cioè per
coerente con l’osservazione sopra fatta e scrivere che
tan θ > µs (13.98)
Fmin = µs M g , (13.92)
che risulta indipendente dalla massa del corpo M
dove µs è un coefficiente adimensionale detto e dalla sua geometria. Secondo questo modello il
coefficiente d’attrito statico. Piú in generale coefficiente d’attrito statico dipende unicamente dai
potremmo scrivere che materiali di cui sono costituiti i corpi a contatto
che scivolano l’uno contro l’altro e da come sono la-
Fmin = µs N (13.93) vorate le rispettive superfici. Non dipende neanche
con N pari al modulo della forza che agisce per- dall’estensione della superficie di contatto. Quest’ul-
pendicolarmente al piano di scivolamento (si usa timo esperimento consente, tra l’altro, di misurare
facilmente µs per diverse coppie di materiali: basta
10
Come al solito, per certificarlo basta fare un grafico di
Fmin in funzione di M e verificare con un fit che i punti 11
In latino lo strumento per disegnare rette perpendicolari
sperimentali si distribuiscano lungo una retta. che chiamiamo squadra si chiamava norma
misurare l’angolo per il quale il corpo inizia a sci- Vale la pena osservare che in quasi tutti i libri
volare sul piano (anche se non è cosí facile come di fisica (a dire il vero in tutti quelli che abbiamo
sembra). consultato) è scritto che il coefficiente di attrito sta-
Questo risultato appare documentato per la pri- tico non dipende né dalla massa né dalla superficie
ma volta nel 1 500 da Leonardo da Vinci nel Co- del corpo che scivola. Lo studente, che ha spesso
dice Arundel [?], oggi conservato presso la Biblio- un’esperienza diversa, tende quindi a vedere la fisi-
teca Nazionale del Regno Unito e riscoperto molti ca come qualcosa di lontano dalla realtà: come una
anni dopo da Guillaume Amontons che lo riportò specie di insieme di regole utili per risolvere gli eser-
in un articolo scritto per l’Accademia di Francia nel cizi e niente piú. In realtà, se si trova un risultato
1 69912 [?]. in contrasto con l’esperienza, bisogna sempre chie-
Una delle cose che dovreste imparare studiando la dersi se quel risultato sia corretto o meno perché
fisica è che anche i risultati ottenuti dai piú grandi la fisica non può (non deve) fornire previsioni non
scienziati vanno verificati, perché non bisogna mai verificabili sperimentalmente. Purtroppo anche gli
credere ciecamente a quello che si legge e non è af- autori dei libri di fisica non sfuggono alla tentazio-
fatto irrispettoso nei confronti di chiunque metter- ne di copiare quanto scritto in testi precedenti, piú
ne in dubbio i risultati (se se ne ha motivo, natu- o meno autorevoli. È un processo del tutto norma-
ralmente). Provate dunque a eseguire l’esperimento le: è chiaro che non è possibile rifare sempre tut-
del piano inclinato usando quel che trovate in ca- ti gli esperimenti che hanno condotto alla visione
sa. Noi, per esempio, l’abbiamo realizzato usando del mondo che abbiamo oggi. Praticamente nessu-
un tagliere come piano e una vaschetta di plastica no si cura di verificare sperimentalmente leggi che
per il corpo di massa M . Nella vaschetta si possono appaiono immutate da secoli e tramandate di ge-
mettere varie quantità di sale grosso per cambiarne nerazione in generazione con piccole sfumature piú
la massa senza alterarne la forma o le caratteristiche di forma che di sostanza. Vedete bene che anche i
di contatto tra le superfici. testi piú autorevoli non sfuggono alla critica spes-
L’esperimento da noi fatto ha miseramente falli- so mossa a strumenti come Wikipedia che, secondo
to! Il coefficiente d’attrito statico dipendeva eccome molti, sarebbe inattendibile perché frutto di copia-
dalla massa M ! Voi potreste trovare risultati coe- ture senza controllo. Non è sempre vero che gli edi-
renti con quanto esposto sopra o meno. Lo studente tori controllano la qualità dei contenuti, né la loro
che trova un risultato diverso da quello che si aspet- attendibilità.
ta, mediamente, tende a inchinarsi all’Autorità del- Detto questo, esistono molte spiegazioni alla pos-
l’autore del libro giudicando sé stesso incapace di sibilità che gli esperimenti falliscano: le equazioni
eseguire un esperimento. Tuttavia la finalità di un del moto che abbiamo scritto si riferiscono a pun-
esperimento non è quella di dimostrare che l’autore ti materiali, privi di estensione spaziale. È quindi
aveva ragione! Durante un esperimento si conduco- ovvio che non possano dipendere dalla superficie di
no misure i cui risultati non possono che essere cor- contatto che, per ipotesi, è nulla. Se si rimuove que-
retti (naturalmente se non ci sono stati sbagli nella st’approssimazione si trova [?] che, specialmente per
loro esecuzione). In questo caso l’esperimento falli- materiali con una certa elasticità (non conosciuti né
sce perché le condizioni in cui è condotto non sono da Leonardo, né da Amontons), il coefficiente di at-
quelle supposte valide nello sviluppo della teoria e trito dipende effettivamente dall’area della superfi-
i materiali adoperati non sono quelli impiegati per cie di contatto e dalla massa dell’oggetto (la maggio-
ricavare i risultati sopra esposti. re massa può modificare la superficie efficace per
via dell’elasticità del fondo della vaschetta).
12
Per questa ragione la legge secondo la quale l’attrito sta-
tico è proporzionale alla forza normale alla superficie è anche In definitiva, la Legge di Amontons è una rap-
nota come Legge di Amontons. presentazione formale molto grossolana dei fenome-
ni che portano alla comparsa delle forze d’attrito.
provate a tirare un calcio a un pallone sul ghiaccio peso è decisamente inferiore rispetto a quello delle
vedrete che questo non rotolerà affatto (o almeno chiavi. Se si elimina l’aria attraverso una pompa da
non soltanto), ma scivolerà sulla superficie, perché vuoto, però, si osserva che fogli e chiavi cadono con
il coefficiente di attrito statico non è sufficiente a la stessa accelerazione. Questo significa che il moto
trattenere fermo il punto di contatto. del foglio è rallentato da una qualche forma di at-
L’attrito volvente evidentemente si deve verificare trito viscoso prodotta dall’aria nella quale si muove,
per altri motivi. Si vede facilmente che un oggetto la cui intensità deve dipendere dal peso della foglio.
che rotola lo fa piú facilmente su una superficie du- Le automobili (e i mezzi di trasporto in genera-
ra che su una morbida: provate a far rotolare una le) si muovono con maggiore difficoltà all’aumenta-
boccia su un materasso o su un tavolo. Evidente- re della velocità: aumentando la forza impressa dal
mente quindi le forze di attrito volvente dipendono motore sul mezzo, questo non avanza con un’acce-
dal grado di schiacciamento che il corpo produce lerazione proporzionale a questa forza. Solo in par-
sulla superficie con cui è in contatto e devono es- te la mancata accelerazione si spiega con l’attrito
sere legate all’area della superficie con la quale il delle ruote sul terreno. In buona parte la responsa-
corpo, in effetti, entra in contatto. Se la superficie bilità del mancato avanzamento è del fatto che ad
fosse perfettamente rigida le forze di attrito volven- alta velocità la resistenza opposta dall’aria diven-
te sarebbero probabilmente assenti perchè solo un ta importante, come si sperimenta nelle cosiddette
punto del corpo sarebbe sempre in contatto con es- gallerie del vento. È per questo motivo che la for-
sa. È abbastanza evidente che tutte le superfici che ma delle carrozzerie è tanto importante ai fini del
possiamo pensare di usare hanno un certo grado di consumo e della velocità che possono raggiungere le
elasticità e di deformabilità, per cui l’area di con- automobili.
tatto non è nulla e questo è quel che deve causare Infine, la velocità di un paracadutista è molto in-
l’attrito volvente. feriore a quella che avrebbe se si lanciasse senza pa-
racadute, sebbene anche in questo caso la velocità
13.5.4 Attrito viscoso con la quale toccherebbe terra non sarebbe quella
prevista assumendo soltanto l’effetto della forza di
Un’altra forma di attrito dinamico si presenta quan- gravità.
do non ci sia alcuno scivolamento di corpi su pia- In tutti i casi visti, quello che succede è che la for-
ni, ma quando un corpo attraversa un fluido come za di attrito viscoso è piú intensa se la superficie S
l’aria o l’acqua. del corpo è maggiore, se la sua massa m è piccola e
Tutti sappiamo che muoversi in una piscina è mol- se la sua velocità v è grande. Ognuno di questi para-
to piú complicato che farlo in aria e questo significa metri influenza in qualche maniera la forza d’attrito,
che ci devono essere forze che si oppongono al mo- possiamo perciò scrivere che
to quando il nostro corpo è immerso in acqua. Se è
cosí probabilmente lo stesso accade quando il cor- Fa = f (S, m, v) , (13.102)
po si trova in aria, ma in questo caso le forze di
dove f è una funzione complicata di S, m e v, ma
attrito devono essere decisamente piú modeste. Se
se ci limitiamo a studiare i punti materiali, per cui
però l’oggetto che si muove in aria è molto legge-
S = 0 e trascuriamo gli effetti della massa, che sono
ro, oppure ha una velocità notevole o ancora una
importanti quasi sempre solo per masse molto pic-
superficie molto ampia, le forze d’attrito prodotte
cole, la forza d’attrito deve dipendere soltanto dalla
dal fluido possono essere significative. Queste forze
velocità e in prima approssimazione dev’essere
si chiamano di attrito viscoso.
Un foglio di carta lasciato cadere, per esempio,
Fa = kv (13.103)
segue una traiettoria ben diversa da quella seguita
da un mazzo di chiavi, evidentemente perché il suo
x = x(t) = x(0) exp (αt) . (13.108) Moltiplicando k per un tempo e dividendolo per una
massa abbiamo una quantità adimensionale. Il rap-
Scriviamo x = mg −kv. Allora, ∆x è una variazione porto mg/k deve dunque avere le dimensioni di una
di x conseguente a una variazione delle grandezze da velocità. Ora, le dimensioni di k sono quelle di una
cui dipende. Ma tra m, g, k e v solo quest’ultima forza divisa una velocità, quelle di mg sono quel-
può cambiare quindi le di una forza, quindi il rapporto ha le dimensioni
attese.
Per t = 0 l’esponenziale vale 1 e v(t = 0) = 0 co-
∆x = x0 −x = mg−kv 0 −(mg − kv) = −k (v 0 − v) = −k∆v . per ipotesi. Quando t → ∞, invece, l’espo-
me deve
(13.109) nenziale si avvicina sempre piú a zero, e la velocità
Di conseguenza possiamo scrivere che tende a
∆x ∆t mg
− = (13.110) . v(∞) = (13.116)
kx m k
e dunque che Questo significa che la velocità di un corpo che cade
in un mezzo viscoso non aumenta indefinitamente,
∆x k
= − ∆t . (13.111) ma raggiunge una velocità limite pari a mg/k.
x m Questo potrebbe spiegare perché un palloncino ca-
La soluzione di quest’equazione è de piú lentamente di una chiave: la sua massa è piú
piccola e la velocità massima raggiunta è inferiore a
k = ηS (13.117)
dove η è un coefficiente che dipende dalla forma, dal
materiale di cui è fatto il corpo e dalla lavorazione Figura 13.7 Se si mantiene l’obiettivo
di una fotocamera aperto
della sua superficie. In questo modo per un tempo sufficientemen-
mg te lungo si può registrare
v(∞) = (13.118) la traccia lasciata dalle stel-
ηS le nel loro moto apparente
e l’attrito è tanto piú grande quanto maggiore è la sulla volta celeste. In questa
superficie esposta al fluido, mentre la velocità limite foto di Gianluca Li Causi si
vede che tutte le stelle ruo-
diminuisce con l’inverso della superficie. Una perso- tano attorno a quella polare,
na alta un metro e ottanta, con le spalle ampie una sulla sinistra.
cinquantina di centimetri, presenta una superficie
resistente pari a circa S ' 1.80 × 0.50 ' 1 m2 . Un
paracadutista con un paracadute di una ventina di
Luna sembrano percorrere la volta celeste in mo-
metri quadri arriva a terra con una velocità ridotta
do analogo. Questo movimento si può interpretare
di un fattore 201
, pari al 5 %, rispetto a una persona
come il risultato della rotazione della Terra attor-
priva di questo strumento.
no al proprio asse. Le stelle, molto probabilmente,
essendo lontanissime ci apparirebbero ferme (l’even-
13.6 Altre forze tuale loro movimento non sarebbe apprezzabile con
i nostri strumenti piú semplici), ma poiché il nostro
Oltre a quelle viste ci sono numerosi tipi di forza che sistema di riferimento ruota attorno a un asse, tut-
si possono osservare in azione nell’Universo, anche to ciò che sta al di fuori appare ruotare nel senso
se non sempre facilmente. Non è questa la sede in contrario.
cui ci occupiamo dei dettagli di queste forze, che Alcune stelle, tuttavia, non sembrano seguire que-
dovremo studiare opportunamente, ma vale la pena ste traiettorie: sono quelle che gli antichi chiamaro-
fare qualche osservazione, almeno qualitativa. no pianeti14 per questa ragione. I pianeti seguono
Una prima osservazione che possiamo fare è che traiettorie loro, almeno parzialmente indipendenti
in cielo si osservano diversi corpi celesti muoversi in dal moto apparente delle altre stelle. Anche Sole e
maniera diversa. La maggior parte delle stelle ruota Luna, pur mostrando un moto giornaliero del tutto
attorno a un punto che coincide abbastanza con la simile a quello delle stelle, cambiano posizione nel
posizione della stella polare, che indica il Nord, cielo nei diversi periodi dell’anno o del mese.
come evidenziato in Figura 13.7. Anche il Sole e la Tutti questi fenomeni si possono interpretare as-
13
In effetti la responsabilità del fenomeno è da attribuirsi Dal greco πλάνητ ες (pronuncia plànētes) che sta per
14
sumendo che la Terra ruoti attorno al Sole su un’or- atomici. In questo capitolo non abbiamo abbastan-
bita di forma approssimativamente circolare con un za informazioni per supporne l’esistenza, ma quel
raggio di circa 149 000 000 di km. La Luna orbita at- che si sa oggi, dopo secoli di ricerche, è che la mate-
torno alla Terra a circa 300 000 km da essa e gli altri ria è composta di atomi con un nucleo formato da
pianeti orbitano anch’essi attorno al Sole. Venere protoni: particelle elettricamente cariche che do-
e Mercurio sono piú vicini, rispetto alla Terra (ri- vrebbero respingersi l’uno con l’altro con una forza
spettivamente a 108 000 km e 58 000 km), mentre molto intensa, per via delle interazioni di tipo elet-
gli altri sono tutti piú lontani (Marte, che è il piú trico di cui sopra. Se queste particelle stanno insie-
vicino, dista 230 000 000 di km). me nel nucleo vuol dire che ci dev’essere una forza
Se le stelle si possono considerare ferme e dun- che li trattiene, che si oppone all’effetto della repul-
que non soggette a forze, i pianeti no. Devono essere sione elettrostatica, come si chiama il fenomeno
soggetti a qualche tipo di forza centripeta che pro- che tenderebbe a disgregare i nuclei. È quella che si
voca un moto non esattamente circolare uniforme, chiama forza o interazione forte.
ma quasi. Questa forza è detta gravitazionale e le
sue caratteristiche sono studiate al Capitolo ??.
In casa o fuori, poi, abbiamo molti oggetti che
si muovono (o comunque cambiano il loro stato) in
seguito al collegamento di una spina a una presa
elettrica. Il motore di un asciugacapelli, per esem-
pio, o le pale di un ventilatore, una scala mobile, un
ascensore. Alcuni dispositivi non si muovono, ma
cambiano stato: un forno diventa caldo, una lam-
pada s’illumina. È evidente che in questo caso agi-
sce una forza diversa da quelle viste finora, nessu-
na delle quali è capace, per esempio, di provocare
l’accensione di un LED.
I magneti sulla porta del frigo o quelli che per-
mettono la chiusura delle ante degli sportelli o delle
custodie di tablet e smartphone provocano evidente-
mente l’accelerazione dei corpi posti nelle loro vici-
nanze, purché siano fatti di materiali ferrosi. Anche
qui, per spiegare queste accelerazioni dobbiamo ri-
correre a ipotizzare l’esistenza di un particolare ti-
po di forze che si manifesta solo con certi tipi di
materiali.
Al Paragrafo 3.2 è illustrato un processo, il de-
cadimento radioattivo, che porta certe sostanze
a trasformarsi in altre sostanze. Si tratta, anche in
questo caso, di un evidente cambio di stato, per
il quale il nostro modello richiede l’esistenza di una
forza che lo provochi, che prende il nome di forza
debole.
È anche necessario ipotizzare l’esistenza di
un’interazione forte, molto piú intensa delle pre-
cedenti, responsabile della formazione dei nuclei
Al Paragrafo 13.6 è descritto il moto delle stelle e apparente Fa in modo tale che l’accelerazione mi-
degli altri corpi sulla volta celeste. Le stelle, in parti- surata sia uguale a quella calcolata. Per esempio,
colare, sembrano seguire un moto circolare uniforme nel caso del palo della luce, evidentemente su di es-
attorno a un asse passante grosso modo per la stella so la forza risultante è nulla per cui la sua accele-
polare. L’interpretazione che si dà di questo moto razione a è nulla se misurata rispetto a un sistema
è che non sia reale, ma apparente, nel senso che è il di riferimento fermo. Lo stesso vale nel caso in cui
frutto del fatto che siamo noi, fermi sulla Terra, a l’accelerazione del palo sia misurata da un sistema
ruotare attorno a un asse passante per il Polo Nord, di riferimento in moto rettilineo uniforme: il palo
per cui, dal nostro sistema di riferimento, vediamo si muoverà all’indietro rispetto alla direzione presa
le stelle, fisse, ruotare in senso contrario. dal sistema di riferimento, ma con velocità costante,
Indipendentemente da chi si stia realmente muo- quindi anche in questo caso a = 0 come prevede la
vendo, le misure ci dicono che le stelle ruotano attor- Legge di Newton.
no a un punto: che questa rotazione sia apparente o Se però si osserva il palo da un sistema con ac-
meno è irrilevante ai fini della descrizione del moto. celerazione aS , il palo sembra avere accelerazione
In fondo il moto è sempre relativo all’osservatore. In pari a −aS , quindi è come se ci fosse una forza
certi casi è addirittura impossibile stabilire chi tra Fa = −maS applicata al palo. Si tratta, natural-
osservatore e osservato sia effettivamente in moto: mente, di una forza fittizia: non esiste alcuna forza
è possibile, infatti, solo in presenza di accelerazioni. applicata al palo! È una sorta di trucco che usia-
Ma anche in presenza di accelerazioni, è localmen- mo per mantenere la validità della nostra teoria nei
te impossibile stabilire se un sistema di riferimento sistemi di riferimento non inerziali. Il trucco è giu-
sia in moto o meno. stificato dal fatto che in effetti, dal punto di vista
Se descriviamo il moto osservato delle stelle stan- delle misure eseguite, tutto va esattamente come
do sulla Terra dobbiamo ammettere che le stelle se questa forza ci fosse.
sono soggette a un’accelerazione centripeta che le
costringe a ruotare attorno a un asse. In genera-
le, osservando il moto di qualcosa da un sistema 14.1 Sistemi accelerati
di riferimento accelerato, rispetto a chi le esegue
In un sistema di riferimento accelerato quale può
il soggetto delle misure presenta un’accelerazione.
essere quello di un’automobile o di un aereo in par-
Per esempio, se si osserva dall’interno dell’abitacolo
tenza, i corpi presenti all’interno dell’abitacolo sono
di un’automobile in fase di accelerazione il moto di
trascinati dal veicolo. Per questa ragione, un’inten-
un palo della luce, questo appare muoversi all’indie-
sa accelerazione comporta l’essere schiacciati sullo
tro con un’accelerazione uguale in modulo a quella
schienale e, al contrario, una brusca frenata provo-
dell’auto.
ca un movimento in avanti dei passeggeri (che tra
Se vogliamo continuare a sostenere che a = F/m
l’altro è pericolosissimo per la loro incolumità e per
siamo costretti a introdurre una forza fittizia o
14.1. SISTEMI ACCELERATI 192
limitare il quale si devono sempre usare le cinture Qualunque oggetto di massa m si trovi all’inter-
di sicurezza). no dell’automobile quindi sperimenta una forza
È evidente che nell’auto non c’è alcuna forza che d’intensità
spinge un passeggero a portare il suo corpo in avanti
quando l’auto frena, eppure noi avvertiamo chiara- Fa = −m (aS , 0, 0) (14.5)
mente questa forza. Quello che succede, in realtà, è
e quindi si muove con accelerazione
che il corpo del passeggero, una volta accelerato e
lanciato a velocità costante insieme all’automobile, Fa
tenderebbe a mantenere la propria velocità se non a= = (−aS , 0, 0) . (14.6)
m
intervenissero forze a modificarne lo stato. Quan- Si sente dunque spinto all’indietro. In caso di frenata
do il guidatore frena bruscamente l’auto rallenta di i segni sono opposti, ma l’effetto è del tutto analogo.
colpo: la sua velocità diminuisce improvvisamente. Un esperimento molto semplice che dimostra la
Il sedile dell’auto, dunque, resta indietro rispetto al validità di quanto affermato in questo paragrafo è il
corpo dei passeggeri che, non essendo stati frena- seguente. Chiudetevi in un ascensore con una comu-
ti, continuerebbero a muoversi in avanti sempre alla ne bilancia elettronica da cucina poggiata sul pavi-
stessa velocità. Ma l’attrito statico tra il sedere dei mento. Quindi premete il tasto per salire. Special-
passeggeri e i sedili trascina la parte bassa del corpo mente se partenza e arrivo sono bruschi noterete
all’indietro e il passeggero sente quindi il suo torso che sul display della bilancia compaiono, per brevi
spinto in avanti (e trattenuto dalle cinture). istanti, numeri positivi quando l’ascensore inizia a
Dal punto di vista formale l’equazione del moto salire e negativi pochi istanti prima di fermarsi.
in un’auto ferma o in moto rettilineo uniforme si Le bilance da cucina, infatti, non misurano la
scrive massa, ma il peso degli oggetti. Misurano infat-
ti la forza esercitata sul piatto dagli oggetti posti
a=0 (14.1) sulla bilancia, che poi dividono per l’accelerazione
essendo nulla la risultante delle forze applicate a di gravità mostrando sul display un valore in uni-
ogni passeggero. Le uniche forze agenti, infatti, sono tà di massa (g o kg). Funzionano, di fatto, come
la forza peso del passeggero e la reazione vincolare se fossero costituite di una molla (o, meglio, di un
del sedile. dinamometro).
Non appena il guidatore provoca un’accelerazione Quando l’ascensore parte per salire passa da ve-
aS , i passeggeri misurano un’accelerazione locità nulla a velocità rivolta verso l’alto, quindi il
sistema nel quale si trova lo strumento è accelerato
a = −aS (14.2) con accelerazione rivolta verso l’alto. Di conseguen-
e ne devono quindi concludere che nel loro sistema za su ogni cosa presente nell’ascensore agisce una
di riferimento c’è una forza fittizia che vale forza (fittizia) diretta verso il basso e per questo la
bilancia misura un peso non nullo. L’accelerazione
Fa = −maS . (14.3) cessa quasi subito, perché poi l’ascensore comincia a
muoversi di moto rettilineo uniforme. Diventa quin-
Se usiamo un sistema di riferimento solidale con di un sistema inerziale e la forza fittizia sparisce.
l’auto, l’asse 1 orientato in avanti, l’asse 2 in al- Nel momento in cui si arresta al piano, però, inter-
to e l’asse 3 alla destra del conducente possiamo viene una nuova accelerazione che porta la veloci-
scrivere che, in seguito a un aumento della pressio- tà da rivolta verso l’alto a zero. La forza fittizia è
ne sul pedale dell’acceleratore l’auto si muove con ora rivolta verso l’alto quindi è come se qualcuno
accelerazione prendesse il piatto della bilancia e lo tirasse su. La
bilancia, negli istanti in cui l’ascensore sta frenan-
aS = (aS , 0, 0) . (14.4)
do, mostra numeri negativi. Usando uno smartpho- 14.2 La forza centrifuga
ne potete verificare che l’aumento e la diminuzio-
ne di peso coincidono con le fasi di accelerazione Quando il moto dei sistemi di riferimento non è ret-
e decelerazione dell’ascensore. Tutti gli smartpho- tilineo la velocità cambia direzione, perciò, anche in
ne, infatti, hanno a bordo un accelerometro: un assenza di variazioni del modulo della velocità, come
dispositivo che misura le accelerazioni necessario a nel caso del moto circolare uniforme, l’accelerazione
capire se il dispositivo è tenuto dall’utente in verti- non è nulla e quindi, se si misurano le posizioni e
cale o in orizzontale (l’immagine sul display si adat- le velocità da un sistema di riferimento rotante, si
ta all’orientazione del telefono). Sulla rete trovate deve tener conto della presenza di forze fittizie.
tantissime App che permettono di visualizzare l’an- Facciamo sempre l’esempio dell’automobile e sup-
damento delle tre componenti dell’accelerazione in poniamo che questa affronti una curva a velocità so-
funzione del tempo. stenuta (l’effetto è indipendente dalla velocità, ma
Se l’ascensore di un altissimo grattacielo precipi- lo si apprezza meglio se questa è alta), immaginan-
tasse dall’ultimo piano sotto l’azione della forza pe- do che la curva sia rappresentabile come un arco
so1 , durante la caduta tutti gli oggetti al suo interno di circonferenza percorso in senso orario (curva a
fluttuerebbero senza peso perché cadrebbero esat- destra).
tamente come l’ascensore e si muoverebbero esatta- Tutto ciò che è all’interno dell’abitacolo e che pri-
mente come lui, che non potrebbe cosí piú esercitare ma della curva si muoveva a velocità costante in
la reazione vincolare che normalmente esercita. modulo, direzione e verso, continuerebbe, in assen-
Se avete abbastanza soldi potete anche acquista- za di forze, a muoversi in avanti. Se però si applica
re un biglietto per un volo in assenza di gravità. all’automobile, attraverso lo sterzo, una forza cen-
Esistono infatti società che offrono a passeggeri pa- tripeta che la fa sterzare verso destra, il sistema di
ganti un’esperienza che consiste nel salire su un ae- riferimento cambia direzione e i passeggeri (e tutto
reo che raggiunge una quota molto alta dopo di che ciò che vi si trova all’interno) sembrano spinti verso
comincia a precipitare in caduta libera con un’acce- l’esterno della curva, cioè verso sinistra. In realtà,
lerazione uguale a quella di gravità2 . I passeggeri al- come sopra, non sono i passeggeri a essere spinti
l’interno della cabina, cosí, si trovano in un sistema verso l’esterno, ma l’auto che si sposta verso l’inter-
di riferimento accelerato verso il basso con accelera- no, e nel farlo trascina con se le parti dei passeggeri
zione aS = 9.8 ms−2 e sperimentano, oltre alla forza in contatto con i sedili. Il resto del corpo prosegue
di gravità mg, una forza fittizia rivolta verso l’al- dritto, ma il finestrino a sinistra si avvicina a que-
to pari a −maS = −mg. La somma di queste due sto e chi si trova all’interno percepisce una forza
forze è nulla e ai passeggeri sembra di essere sen- fittizia che lo spinge ad avvicinarsi al finestrino.
za peso: cominciano cosí a fluttuare all’interno del- Questa forza è detta centrifuga perché tende ad
la cabina. Naturalmente, per chi dovesse osservarli allontanare gli oggetti dal centro di curvatura del-
dall’esterno, starebbero semplicemente cadendo! la traiettoria. Naturalmente questa forza non esiste,
ma è presente solo nei sistemi di riferimento acce-
1
Si tratta di un esempio classico e molto diffuso, da cui
lerati come risultato della Legge di Newton. Visto
si capisce che i fisici amano il thriller oppure che non sono
troppo sani di mente ,. da un sistema di riferimento inerziale il moto è per-
2
A dire il vero l’aereo non precipita davvero, ma accelera fettamente coerente con le Leggi di Newton, come
verso il basso: se si limitasse a spegnere i motori, la forza di si vede nel Filmato 14.1, in cui un punto materia-
attrito viscoso infatti lo farebbe cadere con un’accelerazione le è soggetto a una forza centripeta e si muove di
inferiore.
moto circolare uniforme fino a quando l’asse 1
del sistema di riferimento rotante forma un angolo
inferiore a 45◦ con la direzione iniziale. In quel mo-
mento la forza centripeta viene a mancare e il punto
Se provate a strofinare con un pezzo di carta ve- un pezzo di ferro. Perché succeda sono necessarie tre
trata la superficie di un metallo vi accorgerete che,condizioni:
dopo poco tempo, sia il metallo che la carta si scal- 1. la carta vetrata dev’essere spinta per far sí che
dano. Anche se vi fregate le mani queste si scalda- aderisca bene alla superficie del metallo;
no (lo fate, tipicamente, in inverno, quando è molto 2. dev’esserci attrito tra le superfici in contatto;
freddo). E lo stesso accade ai dischi dei freni del mo-3. la carta vetrata si deve spostare rispetto al
torino o dell’automobile quando frenate: si scaldano metallo.
perché una pinza stringe con forza il disco provocan-Se non si preme sulla carta vetrata e la si fa soltan-
do un fenomeno del tutto simile a quelli sopra de- to andare avanti e indietro il calore che si produce
è piccolissimo: per produrre una quantità di calore
scritti. Prima dell’invenzione dei metodi attuali, per
accendere un fuoco si doveva strofinare un baston- relativamente grande dobbiamo spingere con forza
cino di legno contro qualcosa di ruvido e persino neisulla carta in direzione del metallo (perpendicolar-
moderni accendini la scintilla che accende il gas chemente ad esso). Maggiore è la pressione esercitata
fuoriesce dall’ugello si produce strofinando un cilin-
maggiore è il calore generato. Possiamo perciò ra-
dro rugoso contro una piccola pietra nera (e anche gionevolmente avanzare l’ipotesi che il debole calo-
fiammiferi e cerini si accendono sfregandoli contro re prodotto quando non si applichi alcuna forza alla
una striscia di carta vetrata). carta, se non quella che la fa strisciare sul metallo,
Insomma, è piú che evidente che strofinare due sia dovuto al suo peso che comunque la fa aderi-
corpi l’uno contro l’altro produce calore. Per capi- re alla superficie. Se non ci fosse il peso della carta,
re cosa succede in questi casi dobbiamo studiare il questa, muovendosi avanti e indietro, non sortirebbe
fenomeno con gli occhi di un fisico, il che significaalcun effetto.
definire grandezze fisiche che lo rappresentano. In Se nonostante la pressione non ci fosse abbastanza
altre parole dobbiamo trovare qualcosa da misurare attrito tra le superfici a contatto non riusciremmo
che possiamo mettere in relazione con la quantità a produrre abbastanza calore. L’effetto della com-
di calore generata nel corso di questo movimento. ponente della forza che preme sulla carta vetrata
Per quanto i fenomeni descritti in questo capitolo dev’essere quello di aumentare l’attrito che, ricor-
siano evidenti, vi suggeriamo comunque di esegui- diamo, è proporzionale alla forza normale alla su-
re gli esperimenti e di osservare cosa accade, con laperficie. Le prime due condizioni quindi servono a
consapevolezza che le osservazioni ci serviranno per generare una forza d’attrito sufficientemente alta nei
sviluppare una teoria sulla generazione di calore. confronti delle parti oggetto del movimento.
Se, d’altra parte, si preme con forza sulla carta
vetrata senza farla andare avanti e indietro, sen-
15.1 Il lavoro za spostarla rispetto alla posizione iniziale, non si
produce alcun calore.
Il calore non si produce stando seduti in poltrona a
Per caratterizzare il fenomeno, quindi, dobbiamo
guardare un pezzo di carta vetrata appoggiato sopra
misurare sia la forza che agisce sulla carta vetrata,
15.1. IL LAVORO 202
F cos θ F cos θ
A B A B
3 3
2 2
1 1
0 0
O O
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 x 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 x
Figura 15.2 Il lavoro di una forza costan- Figura 15.3 Il lavoro di una forza co-
te si può pensare come l’a- stante si può pensare come
rea del rettangolo delimita- la somma delle aree dei ret-
to dal grafico di F cos θ in tangoli delimitati dal grafi-
funzione di ∆x. Nell’esempio co di F cos θ in funzione di
F cos θ = 3 N e il corpo si ∆x. Nell’esempio F cos θ =
sposta da x = 2 m a x = 8 m. 3 N e il corpo si sposta da
Il lavoro quindi vale ∆L = x = 2 m a x = 8 m. L’inte-
3 × (8 − 2) = 18 J. ro intervallo è stato diviso in
spostamenti di 1 m. Il lavo-
ro totale è la somma dei la-
vori, ciascuno dei quali vale
il calore prodotto. La cosa si fa interessante. Vale ∆Li = 3 × 1 = 3 J. Essendo
la pena analizzare piú in dettaglio le proprietà di lo spostamento diviso in sei
parti uguali in totale avremo
questa grandezza fisica che, una volta definita, si
∆L = 6∆Li = 6 × 3 = 18 J.
può calcolare per ogni tipo di forza, non solo quella
d’attrito.
Sebbene finora non l’abbiamo sottolineato, l’e-
spressione ∆L = F ∆x cos θ si può adoperare solo spostamento (Figura 15.3):
quando F non dipende da ∆x e dall’angolo θ. Se
l’intensità della forza variasse con lo spostamento X X
e/o con l’angolo non sapremmo quale valore uti- ∆L = ∆Li = Fi ∆xi cos θi . (15.2)
i i
lizzare per F nell’espressione del lavoro. Possiamo
però fare una semplice osservazione: nel caso di una Se quindi la forza non fosse costante si può procede-
forza costante e parallela allo spostamento il grafico re in due modi per calcolare il lavoro (Figura 15.4):
dell’intensità della forza in funzione della posizio- o si divide lo spostamento in intervalli molto picco-
ne occupata dal corpo soggetto a questa forza ha li, in ciascuno dei quali la forza si può considerare
l’aspetto di una retta parallela all’asse delle ascisse costante, si calcolano i lavori elementari e si som-
(Figura 15.2). mano, oppure si cerca di ricavare l’area della figura
Lo spostamento subíto dal corpo è, in questo gra- delimitata dall’asse delle ascisse e dalla curva che
fico, la lunghezza del segmento dell’asse delle ascisse rappresenta la forza in funzione dello spostamento
che va dalla posizione iniziale a quella finale. Il lavo- e dalle rette parallele all’asse delle ordinate traccia-
ro, quindi, è geometricamente l’area del rettangolo te in corrispondenza delle posizioni iniziali e fina-
racchiuso tra l’asse delle ascisse e la retta ad esso li del corpo. Facendo riferimento alla figura, nella
parallela che rappresenta la forza, di base pari allo quale la forza dipende linearmente dalla posizione,
spostamento. È anche evidente che il lavoro tota- si possono quindi sommare le aree dei rettangoli co-
le non è altro che la somma dei lavori elementari lorati (che rappresentano il valor medio della forza
che si trovano dividendo in intervalli piú piccoli lo in quell’intervallo) oppure si può calcolare l’area del
Se su un oggetto, rappresentabile come un pun- e sfruttando la formula del quadrato del binomio il
to materiale, non agisce alcuna forza, quest’oggetto membro di sinistra di quest’equazione si scrive
permane nel suo stato di moto rettilineo uniforme
(del quale la quiete è un caso particolare). Se il corpo v 2 (t) − v 2 (0)
t (16.6)
di massa m, che si può considerare un punto mate- 2
riale, si muove a velocità v al tempo t = 0 continua mentre quello di destra (che naturalmente è una
a muoversi a questa velocità a tempi successivi. grandezza scalare come quello di sinistra)
Se però interviene una forza costante F, il punto
materiale è accelerato e la sua accelerazione è a = ∆L
t (16.7)
F/m. Se l’accelerazione è costante la sua velocità m
cambia col tempo secondo la per cui, in definitiva,
F 1 2 1 ∆L
v(t) = v(0) + at = v(0) + t. (16.1) v (t) − v 2 (0) = (16.8)
m 2 2 m
Moltiplicando scalarmente primo e secondo membro e quindi
di quest’equazione per ∆x si ottiene
1 2 1
mv (t) − mv 2 (0) = ∆L . (16.9)
2 2
F · ∆x
v(t) · ∆x = v(0) · ∆x + t. (16.2) Se definiamo una grandezza fisica
m
1
Possiamo perciò scrivere K = mv 2 (16.10)
2
F · ∆x che si ottiene moltiplicando la massa di un ogget-
(v(t) − v(0)) · ∆x = t. (16.3)
m to per la sua velocità al quadrato e dividendo per
ed essendo lo spostamento pari alla velocità media due, possiamo scrivere che la variazione di questa
per il tempo grandezza fisica è pari al lavoro fatto dalle forze che
hanno accelerato l’oggetto:
v(t) + v(0)
∆x = vm t = t (16.4)
2 ∆K = K(t) − K(0) = ∆L . (16.11)
perciò, sostituendo a ∆x l’espressione trovata si ha
La grandezza fisica K dipende dal tempo e la chia-
che
miamo energia cinetica. L’equazione 16.9 ci dice
che la somministrazione di lavoro a un punto ma-
v(t) + v(0) F · ∆x teriale ne provoca la variazione della sua energia
(v(t) − v(0)) · t= t . (16.5)
2 m cinetica. L’energia cinetica è una grandezza fisica
Ora, quando si moltiplica scalarmente un vettore che misura quanto rapidamente si sposta un punto
per sé stesso se ne ottiene il modulo al quadrato,
16.1. LA NATURA DELL’ENERGIA CINETICA 210
di massa m. Piú è alta la velocità del punto ma- 16.1 La natura dell’energia ci-
teriale, piú è alta la sua energia cinetica. A parità
di velocità, l’energia cinetica di un punto di massa
netica
M > m è maggiore rispetto a quella di un pun- Ma che cos’è quest’energia cinetica? In effetti non
to di massa m. In un certo senso l’energia cinetica è null’altro che una grandezza fisica che caratterizza
è una misura di quanto un oggetto possa muover- lo stato del corpo, esattamente come le altre: la
si rapidamente, tenendo conto della sua massa: è massa, la posizione, la velocità, la temperatura, il
chiaro che per portare un’automobile alla velocità colore, la forma, etc.. È qualcosa che il corpo, in
di 80 km/h occorre una quantità di risorse minore qualche maniera, possiede e che si può misurare.
di quanto non occorra a portare alla stessa velocità Rispetto alle altre grandezze fisiche è piú sfuggen-
un camion. L’energia cinetica è una misura di quan- te perché non possediamo un senso per percepirla:
to moto ha acquistato un corpo in relazione alla sua riusciamo a concepire il significato della massa o
massa. Dall’ultima equazione scritta si evince anche della temperatura grazie al senso del tatto; la vista
che, se ∆L = 0, cioè se non si fa lavoro su un corpo, ci permette di apprezzare la velocità o il colore di
questo permane nel suo stato di moto perché la sua qualcosa; la natura della sostanza di cui è fatto un
energia cinetica non cambia e quindi non cambia la corpo si percepisce attraverso i sensi del tatto, del
sua velocità se non cambia la sua massa. gusto e dell’olfatto, e cosí via. Non possediamo la
In altre parole possiamo dire che un punto mate- facoltà di percepire l’energia cinetica di un corpo se
riale non soggetto a forze (sul quale, quindi, non si fa non indirettamente (possiamo valutarne separata-
lavoro) mantiene costante la sua energia cinetica e mente la massa e la velocità, ma non la combinazio-
quindi, come conseguenza di ciò, la sua velocità non ne K = 12 mv 2 ). Ciò nonostante, questa grandezza
cambia. Possiamo cioè riformulare il primo princi- fisica non è diversa dalle altre. Si può misurare e
pio della dinamica nel modo seguente: un corpo questo basta.
sul quale le forze non fanno lavoro mantiene In base ai risultati ottenuti sopra possiamo af-
costante la sua energia cinetica. fermare che nell’Universo un qualunque corpo non
Il fatto che una variazione dell’energia cineti- soggetto ad alcuna forza manterrebbe costante la
ca sia uguale al lavoro compiuto sul corpo che la propria energia cinetica: diremo che questa si con-
subisce implica che le dimensioni fisiche del lavo- serva. Se interviene qualcosa come un’azione ester-
ro e dell’energia cinetica siano le stesse. Il lavoro na sul corpo, allora l’energia cinetica del corpo cam-
è una forza per uno spostamento, cioè una mas- bia e la conseguenza di questo cambiamento è una
sa per un’accelerazione per uno spostamento e, in variazione della velocità del corpo.
definitiva, Se somministriamo lavoro a un corpo la sua ener-
gia cinetica aumenta. Se lo estraiamo diminuisce. In
[∆L] = M L2 T −2 . (16.12)
effetti l’equazione 16.9, che è un’equazione scalare,
L’energia cinetica è una grandezza fisica che si ot- riassume il primo e il secondo principio della dina-
tiene moltiplicando una massa per una velocità, che mica. Per il primo l’abbiamo già visto, quanto al
ha le dimensioni di una lunghezza diviso un tempo, secondo basta osservare che l’equazione impone che
al quadrato. È quindi evidente che le due grandezze una variazione di energia cinetica sia conseguenza
fisiche hanno le stesse dimensioni ed è quindi proba- del lavoro fatto su un corpo
bile che abbiano la stessa natura. L’energia cinetica
1 2 1
dunque si deve misurare, come il lavoro, in Joule. mv (t) − mv 2 (0) = ∆L . (16.13)
2 2
Usando un sistema di riferimento con l’asse 1 orien-
tato come lo spostamento possiamo scrivere ∆L =
F1 ∆x1 dove F1 è la componente lungo la direzione
dello spostamento ∆x = (∆x1 , 0, 0) di una forza F. dell’asse 1 è arbitraria questa relazione deve valere
L’equazione dunque dice che per qualunque asse e in definitiva l’equazione
1 1 2 1
F1 ∆x1 = m∆ v 2 . (16.14) mv (t) − mv 2 (0) = ∆L (16.21)
2 2 2
Qui, con ∆ (v 2 ) intendiamo la variazione di v 2 = equivale a
v · v. Proviamo a valutare questa variazione: ∆ (v 2 )
F
ci dice quanto varia la grandezza v 2 se varia quella a=. (16.22)
da cui dipende. Poiché v 2 dipende da v può acca- m
dere che v cambi di ∆v (notate che stiamo sempre Possiamo cioè dire che il fatto che le accelerazioni
parlando dei moduli delle velocità e non delle lo- siano proporzionali alle forze e il fatto che corpi non
ro direzioni o dei loro versi). In seguito a questa soggetti a forze permangano nel loro stato di moto
variazione v 2 diventerà altro non sono se non conseguenze dell’equazio-
ne sopra scritta, la quale dice che una variazione
di energia cinetica si può ottenere solo attraverso la
v 02 = (v + ∆v)2 = v 2 + (∆v)2 + 2v∆v (16.15) somministrazione o l’estrazione di lavoro. Si sommi-
nistra lavoro quando si applica una forza che provo-
e quindi ca lo spostamento: in questo caso ∆L > 0 e l’energia
cinetica aumenta. Se invece si applica una forza con-
traria allo spostamento si ha ∆L < 0 e di fatto è
∆ v 2 = v 02 − v 2 = (∆v)2 + 2v∆v . (16.16)
come se il corpo compisse un lavoro nei confronti di
chi applica la forza: in questo caso l’energia cinetica
Se ∆v è piccola, (∆v)2 lo è ancor di piú e si può del corpo si riduce.
trascurare rispetto all’altro addendo perciò In sostanza, il moto degli oggetti nell’Universo è
regolato, tutto sommato, da un’unica legge: quella
∆ v 2 = v 02 − v 2 ' 2v∆v . (16.17)
che dice che un corpo cambia il suo stato di moto
Sostituendo nell’espressione (16.14) si trova quindi in seguito all’acquisto o alla cessione di lavoro. Da
che questo punto di vista possiamo pensare al lavoro co-
me a una sorta di moneta che i corpi si scambiano
per cambiare il proprio stato di moto. Ma quello di
1 ∆x1
F1 ∆x1 = m × 2v∆v = m ∆v . (16.18) moto non è l’unico stato in cui un corpo può sta-
2 ∆t re. In seguito all’applicazione di una forza un corpo
Dividendo primo e secondo membro per ∆x1 si trova può rimanere fermo e tuttavia cambiare stato. Per
che esempio, cambiare temperatura, o forma, o qualun-
que altra grandezza fisica si possa misurare su quel
F1 = m
∆v
(16.19) corpo che ne caratterizza lo stato. E del resto, se
∆t si compie lavoro su un oggetto senza farlo muovere
e ricordando che l’accelerazione a1 lungo la direzio- (per esempio se si strofina carta vetrata su un bloc-
ne 1 di un corpo è a = ∆v/∆t, possiamo scrivere chetto di ferro) lo stato di quel corpo cambia pur
che senza che ne cambi la velocità: cambia, in effetti, la
sua temperatura.
F1 = ma1 (16.20) Viene il dubbio che il cambiamento di stato sia
comunque determinato dal lavoro compiuto, sebbe-
che altro non è se non la seconda Legge della dina-
ne questo non incida sull’energia cinetica del corpo,
mica per una delle componenti. Ma poiché la scelta
ma su qualche altra grandezza fisica che dev’esse-
Ormai sappiamo che nella discesa lungo il piano in- che f è una funzione di stato. Se il lavoro di-
clinato il lavoro fatto dalla forza peso è ∆L = mgh: pende unicamente da queste coordinate la funzione
benché lo spostamento sia s > h, la forza effettiva- f (A, B) si deve poter scrivere come
mente agente lungo questa direzione è mg sin θ <
mg. Durante lo spostamento orizzontale che ripor-
∆L = f (A, B) = f (B) − f (A) (17.21)
ta il punto materiale dalla coordinata x1 = ` alla
coordinata x1 = 0 la forza peso non compie lavoro in modo tale che, se B = A accade automaticamen-
perché è perpendicolare allo spostamento. Quando te che f (A) = f (B) e quindi che ∆L = 0. Nel caso
poi il corpo risale dalla posizione xb alla posizione specifico della forza peso è facile scrivere la funzio-
xc la forza peso compie un lavoro negativo, essen- ne f : poiché il lavoro fatto per spostare un punto
do diretta verso il basso mentre lo spostamento è materiale di massa m dalla quota y = h alla quota
diretto verso l’alto, pari a y = 0 è ∆L = mgh potremmo scrivere che
∆L = f (A, B) (17.20)
17.2 La conservazione dell’e-
dove A e B designano le due posizioni iniziale e fi-
nale e f (A, B) denota una funzione di queste coor- nergia
dinate. Poiché la funzione f dipende solo dalla po-
Supponiamo ora che il corpo sia soggetto alla sola
sizione (che determina lo stato del sistema) si dice
forza peso: in questo caso avremmo che
(17.42) 1 2 1 2
∆L = ∆LC + ∆LN C = ∆K , kx = kx̄ (17.48)
2 2
ancora una volta si ha che
cioè fino a quando |x| = |x̄|: l’estremo della molla
quindi raggiunge una posizione simmetrica, rispet-
∆LN C = ∆K − ∆LC = ∆K + ∆U (17.43) to alla posizione di equilibrio, a quella che aveva
raggiunto una volta compressa. Qui la velocità del-
e in assenza di forze non conservative l’energia totale
l’estremo è nulla e su questo agisce la sola forza
E = K + U si conserva. Supponiamo quindi di
elastica che tende a riportarlo verso la posizione di
avere una molla compressa in modo tale che il suo
riposo. Il moto quindi riparte nell’altra direzione e
estremo sia alla coordinata −x̄: se è ferma l’energia
x comincia a diminuire fino a valere zero. Qui la
totale della molla vale
velocità dell’estremo della molla è di nuovo quel-
la massima e la molla si comprima fino a quando
1 1
E = K + U = 0 + kx̄2 = kx̄2 . (17.44) la velocità del suo estremo di riduce a zero e que-
2 2 sto si può ottenere solo quando l’energia totale è
Se si lascia libera la molla, non essendoci alcun mo- uguale a quella iniziale, cioè quando x = −x̄. In
tivo per restare nella condizione in cui si trova, l’e- sostanza l’estremo della molla comincia a oscillare
stremo si sposta, ma lo fa in modo tale che l’energia avanti e indietro attorno alla posizione d’equilibrio
totale E = K + U resti uguale a quella iniziale che (naturalmente in assenza di forze di attrito).
valeva 21 kx̄2 . Se la sua energia cinetica aumenta non
può che diminuire la sua energia potenziale, perciò
man mano che la velocità dell’estremo della molla 17.5 Forze conservative
aumenta, la sua coordinata si sposta verso i valori di
x̄ che ne riducono il valore del quadrato: per questo Da quanto sopra possiamo affermare che, per certi
l’estremo della molla si muove verso la posizione di tipi di forze, che definiamo conservative, è possi-
equilibrio x = 0. bile definire una funzione di stato U che dipen-
In questa posizione l’energia potenziale elastica de unicamente dallo stato del sistema di cui ci si
vale U = 0, quindi quella cinetica deve valere sta occupando. Chiamiamo questa funzione ener-
gia potenziale del sistema per un determinato ti-
(17.45) po di forze. Il lavoro fatto dalle forze in questione
1 1
K = mv 2 = kx̄2
2 2 quando il punto materiale si sposta dalla posizione
e quindi A alla posizione B si può valutare semplicemente
r come
k
v= x̄ . (17.46)
m
Poiché ora l’estremo della molla ha velocità non nul- ∆L = −∆U = − (U (B) − U (A)) . (17.49)
la, comincia a spostarsi in modo da allungare la mol-
la: di conseguenza la molla raggiunge una posizione È facile vedere che siamo liberi di aggiungere o to-
x > 0 per la quale gliere a U una costante qualsiasi C: il lavoro fatto
dalle forze conservative per portare un punto ma-
(17.47) teriale dalla posizione A alla posizione B non cam-
1 2
U = kx .
2 bia. Se infatti definiamo un’altra energia potenziale
Ma l’energia totale si deve mantenere costante U 0 = U + C, abbiamo
quindi all’aumentare dell’energia potenziale elasti-
ca deve diminuire quella cinetica e il punto deve
rallentare fino a fermarsi quando
∆L = − ∆U = − (U 0 (B) − U 0 (A)) =
− (U (B) + C − (U (A) + C)) = (17.50)
(U (B) − U (A)) .
∆LN C = ∆K + ∆U (17.52)
qualunque sia ∆U . Questa relazione esprime il
principio di conservazione dell’energia: l’ener-
gia totale E = K + U di un punto materiale si
conserva a meno che non intervengano forze non
conservative, il cui lavoro è pari alla variazione di
energia totale.
boccetta non è la stessa cosa che farlo con una palla può esistere a prescindere: si può manifestare solo
dello stesso tipo o con una da bowling. in presenza di almeno due corpi che devono recipro-
È anche chiaro che se la massa della biglia B in- camente influenzarsi. Poiché non c’è alcuna ragione
fluenza lo stato di A dopo l’urto. Quando mB per la quale l’uno influenzi di piú l’altro le forze che
mA , in seguito all’urto B si muove poco o nulla, ciascuno imprime sull’altro devono essere uguali.
mentre A cambia parecchio la sua velocità, al limite
tornando indietro. Al contrario, se B è molto piú
leggera di A, lo stato cinematica di A non cambierà 18.2 Oltre le biglie
molto, mentre la biglia B parte con velocità sicura-
Estendendo ancora il ragionamento potremmo pen-
mente maggiore di quella di A. Se poi B si muove,
sare che lo stesso principio valga per tutte le forze.
per esempio, verso A, in seguito all’urto la velocità
Se non ci fosse la Terra i corpi non potrebbero ca-
di A sarà diversa da quella che avrebbe avuto se B
dere, perciò sembra plausibile che esista una forma
fosse stata ferma.
d’interazione tra i corpi presenti sulla Terra e que-
Sicché, alla fin fine, la forza con la quale la palla
st’ultima. Se esiste quest’interazione, la forza con la
A urta B è una funzione sia dello stato di A che di
quale la Terra attrae i corpi, di modulo pari a mg,
quello di B, ma anche la forza con la quale la palla B
dev’essere uguale e contraria a quella con cui i corpi
urta quella A dipende dalle stesse quantità. Non c’è
attraggono la Terra. In altre parole, se facciamo un
alcuna ragione per la quale la Natura debba distin-
salto ci aspettiamo che la Terra sia attratta verso di
guere tra una palla e l’altra facendo in modo che la
noi, come risucchiata, da una forza pari a mg dove
forza impressa dalla prima alla seconda sia diversa
m è la nostra massa. A prima vista sembrerebbe as-
da quella impressa dalla seconda sulla prima.
surdo: di sicuro la Terra non si muove verso di noi
Ne dobbiamo concludere che la forza FAB che A
quando saltiamo, altrimenti sarebbe un terremoto
imprime su B in seguito all’urto dev’essere uguale
continuo! Ma a pensarci bene non è cosí assurdo: se
a quella che FBA che B esercita su A: l’unica diffe-
la Terra esercita su di noi, fluttuanti nell’aria, una
renza consisterà nel fatto che le due forze avranno
forza pari a mg, noi cadiamo con accelerazione
verso diverso:
F mg
FAB = −FBA . (18.1) a= = = g = 9.8 ms−2 . (18.2)
m m
D’altra parte non c’è alcuna ragione per ritenere che Noi, allo stesso tempo, esercitiamo sulla Terra una
un principio di simmetria simile debba valere solo forza del tutto identica, che tenderebbe a farla sa-
nel caso di urto tra biglie. L’urto della biglia sulla lire verso di noi. L’accelerazione subita dalla Terra
sponda dovrebbe seguire le stesse regole e, in fondo, sarebbe quindi
perché mai il comportamento delle altre forze come
la forza peso, la forza elastica, quella d’attrito, etc.,
F mg 80 × 9.8
dovrebbe essere diverso? a= = ' ' 1.31 × 10−26 ms−2 :
M M 6 × 1024
È abbastanza ragionevole aspettarsi che questo (18.3)
accada per ogni corpo interagente con un altro. un numero del tutto trascurabile!
L’interazione presuppone che esista una qualche for- Il fatto che due corpi interagenti esercitino l’uno
ma di azione reciproca che deve per forza possede- sull’altro la stessa identica forza (a parte il segno)
re quelle caratteristiche di simmetria che abbiamo prende il nome di terzo principio della dinamica
enunciato. Se non ci fosse la seconda biglia, la prima o principio di azione e reazione. Fu Isaac New-
non potrebbe urtarla e quindi non ci sarebbe alcuna ton a formularlo per primo [?] e per questa ragione
forza. È questa la sostanza del principio di simme- è anche nota come terza Legge di Newton..
tria testé enunciato. La forza non è qualcosa che
Un’altro fenomeno spiegabile alla luce del terzo la cassa M agisce la forza F = F x̂1 esterna, la for-
principio è l’esistenza di quella che abbiamo chia- za peso −M gx̂2 , la reazione vincolare M gx̂2 , quella
mato reazione vincolare. Se poggiamo un libro sul d’attrito −µM gx̂1 e quella di reazione della cassa
banco, pur soggetto alla forza peso, il libro non ca- m, che indichiamo come −Rx̂1 . Sull’asse verticale
de. Per spiegarlo dobbiamo ammettere che il banco non c’è accelerazione, mentre su quello orizzontale
eserciti sul libro una forza uguale e contraria alla abbiamo
forza peso che è la reazione vincolare del banco. Da
dove nasce questa forza? Non è altro che la forza M a = F − µM g − R . (18.4)
d’interazione conseguenza del terzo principio. Il li-
Sulla cassa m agiscono la forza peso e la reazione
bro esercita sul banco, attraverso il suo peso, una
del pavimento, che si annullano a vicenda. Restano
forza pari a mg. È chiaro che tale forza può esistere
soltanto la forza che M esercita su m in virtú della
soltanto in virtú del fatto che il banco è lí: se non
spinta subíta, che per il terzo principio dev’essere
ci fosse tale forza non esisterebbe. Il banco quindi
uguale a R e quella d’attrito, perciò
interagisce con il libro e reagisce con una forza
uguale e contraria a quella che il libro provoca su
ma = R − ηmg . (18.5)
esso.
In definitiva sul libro agisce la forza peso e la forza Evidentemente l’accelerazione delle due casse è la
esercitata dal banco, che l’annulla e quindi sta fer- stessa e sostituendo il valore di R che si ricava da
mo. Sul banco agiscono la forza peso del libro e le questa nella prima equazione troviamo
forze interne che lo rendono rigido (sono le forze che
trattengono ciascun pezzettino di banco attaccato a
quello adiacente). La somma di tutte queste forze è (M + m) a = F − µM g − ηmg . (18.6)
evidentemente zero e anche il banco sta fermo.
da cui
Un errore molto comune consiste nel pensare che
se il corpo A esercita una forza su B e questi, a sua F − µM g − ηmg
volta, esercita su A una forza uguale e contraria, la a= . (18.7)
M +m
risultante delle forze applicate ai corpi sarà nulla e
Osserviamo che, in assenza di attrito, l’accelerazione
non succederà alcunché. Questo è sbagliato, perché
sarebbe stata data da F/(M +m) come ci si aspetta
la forza esercitata da A si applica al corpo B e vi-
dalla seconda Legge di Newton, visto che la forza è
ceversa: pertanto le forze di azione e reazione non
applicata a un oggetto la cui massa complessiva è
si sommano tra loro, ma solo alle forze che agiscono
M + m.
sullo stesso corpo.
Vedete bene che, benché la cassa M eserciti su m
Quando si analizzano le forze agenti su un sistema
una forza uguale e contraria a quella che quest’ulti-
composto di piú corpi si adotta quindi uno schema
ma esercita sulla prima, tali forze non si annullano
detto del corpo libero. Un esempio varrà piú di
a vicenda, perché agiscono su corpi diversi.
mille parole. Supponiamo di spingere con una forza
F costante una cassa di massa M sul pavimento, col
quale c’è un coefficiente d’attrito µ. Supponiamo che 18.3 Muoversi col terzo princi-
la cassa M sia a sua volta in contatto con un’altra
cassa m che col pavimento presenta un coefficiente pio
d’attrito η. Come si muove il sistema?
Sono molte le azioni che compiamo ogni giorno che,
Analizziamo i singoli oggetti come se fossero isola-
senza il terzo principio, non si potrebbero eseguire.
ti, scegliendo un sistema di riferimento in cui l’asse 1
Pensate, ad esempio, all’azione consistente nel cam-
è orizzontale con verso uguale a quello della forza
minare. Cosa fate per spostarvi in avanti? Mettete
esterna e quello 2 verticale e rivolto verso l’alto. Sul-
Chi interagisce con chi? Anche saltare o fare le flessioni (e molte altre) so-
Il terzo principio della dinamica afferma che due no azioni che si possono svolgere grazie al terzo prin-
corpi interagenti esercitano l’uno sull’altro for- cipio della dinamica. O, per meglio dire, grazie al
ze uguali e contrarie. Il principio, enunciato per modo in cui i corpi interagiscono e che è sintetizzato
la prima volta da Newton, sembra essere valido da questo importante principio.
per tutte le forze che si studiano in un norma-
le corso di fisica, tranne che per la Forza di
Lorentz.
La Forza di Lorentz è una forza percepita dal-
le cariche elettriche in moto in un campo ma-
gnetico. Al Capitolo XX si analizza il problema
del rapporto tra la Forza di Lorentz e il terzo
principio della dinamica, problema quasi sem-
pre trascurato nei corsi di fisica. In effetti il ter-
zo principio sembra clamorosamente violato in
questo caso. Perché il principio valga, tuttavia,
devono valerne le premesse e cioè che i corpi
oggetto di studio siano tra loro interagenti. Se
non c’è interazione il terzo principio non vale.
La Forza di Lorentz ha natura elettromagneti-
ca e lo studio dell’elettromagnetismo porterà a
cambiare il punto di vista sulle forze e le inte-
razioni: le particelle non interagiscono tra loro
per mezzo di forze, ma producono campi ed è
con tali campi che interagiscono.
Eseguite in classe o a casa un esperimento molto Questo significa che, se F = 0, il prodotto mv re-
semplice: prendete una macchinina giocattolo o co- sta costante. Questo prodotto però può non esse-
struitene una usando i mattoncini delle costruzioni. re costante sia perché cambia la velocità del cor-
Applicate un palloncino di gomma alla macchinina. po sia perché, come nel nostro caso, ne cambia la
Orientate il palloncino in modo tale che l’apertu- massa. Scriviamo la variazione di questo prodot-
ra di questo sia rivolta verso la parte posteriore del to, che indichiamo come p = mv (evidentemente,
giocattolo. Gonfiate il palloncino e poi lasciate li- se v è un vettore lo è anche il prodotto mv). Per
bera la macchina di muoversi. Quando il palloncino capire quanto vale la variazione di p al variare di
comincia a sgonfiarsi potrete facilmente osservare m e di v possiamo calcolare la differenza tra p e
che la macchinina comincerà a muoversi in direzio- p + ∆p = (m + ∆m) (v + ∆v):
ne opposta a quella dell’aria che esce dalla bocca
del palloncino.
∆p = (m + ∆m) (v + ∆v) − mv . (19.3)
L’esperimento che abbiamo appena condotto sem- ∆p = m∆v + ∆mv + ∆m∆v . (19.4)
bra contraddire almeno la seconda Legge della
Osserviamo ora che per variazioni piccole il prodotto
dinamica nella forma
∆m∆v è molto piú piccolo degli altri addendi e si
F può trascurare, scrivendo
a= (19.1)
m
perché non sembra esserci alcuna forza agente dal- ∆p ' m∆v + ∆mv . (19.5)
l’esterno sul sistema costituito dalla macchinina e In assenza di forze, ora abbiamo che non è il pro-
dal palloncino che provveda a far sí che l’accelera- dotto mv a restare costante, ma p, perciò la sua
zione del sistema sia non nulla. Se F = 0, anche variazione sarà nulla, in questi casi e
a = 0. Quello che però possiamo osservare è che
nel caso in esame succede qualcosa di non previsto 0 = m∆v + ∆mv (19.6)
nella legge formulata sopra: la massa del sistema
cosí che si può avere una variazione della velocità
m cambia. Se il palloncino si sgonfia, diminuisce la
v diversa da zero anche in assenza di forze, purché
quantità di aria presente nel sistema e quindi dimi-
∆m sia diversa da zero:
nuisce la massa complessiva. Cerchiamo di capire le
conseguenze di questa cosa. Le seconda legge si può ∆m
formulare anche come ∆v = − v. (19.7)
m
∆v Possiamo anche riscrivere la seconda legge della
F=m . (19.2) dinamica come
∆t
19.2. LA CONSERVAZIONE DELLA QUANTITÀ DI MOTO 226
mu = (m + M )v . (20.17)
In quest’equazione m e M rappresentano, rispetti-
vamente la massa della pallina e dell’oggetto urtato
cui si lega (nell’esempio la Terra). La quantità di
moto iniziale è solo quella
√ della pallina che si muo-
ve con velocità u = 2gh prima di toccare il pavi-
mento. Dopo l’urto, se il proiettile resta attaccato al
bersaglio, entrambi si muovono alla stessa velocità
v che nel caso in esame vale quindi
m
v= u. (20.18)
m+M
Qualunque sia u, se M m v tende a zero e in-
fatti la pallina di plastilina resta ferma. Se M non
è troppo grande si può avere un urto anelastico nel
quale v 6= 0.
(sia l’accelerazione che la velocità sono vettori, ma ∆U nell’equazione di conservazione trovata sopra
possiamo continuare a lavorare con scalari perché si ottiene
possiamo sempre trovare un sistema di assi coordi-
nati tali per cui due delle tre componenti di ciascun 0 = ma − F (21.11)
vettore si annullano). Nell’espressione di E compare che non è altro che la seconda Legge di Newton la
v 2 . Se la velocità cambia, lo fa anche v 2 . Dobbiamo quale diventa semplicemente una conseguenza del-
cercare di capire come. l’invarianza dell’energia per traslazioni temporali.
Al tempo t0 , l’energia cinetica del corpo vale La prima Legge di Newton è, a sua volta, una con-
1 seguenza della seconda: se F = 0 anche a è nulla e il
K0 = mv02 . (21.4) corpo non cambia la sua velocità. Se era fermo resta
2
fermo e se si muoveva a velocità v permane nel suo
A un istante successivo avremo
stato di moto rettilineo uniforme.
Possiamo cosí formulare un principio teorico dal
1 2 1 1 1 quale discende, come conseguenza, gran parte della
K = mv = m (v0 + ∆v)2 = mv02 + m∆v 2 +mv∆v .
2 2 2 2 fisica che abbiamo fatto finora: per ogni corpo di
(21.5) massa m in un campo di forze conservative si può
In quest’ultima espressione, quando ∆t è piccolo lo misurare una grandezza fisica E definita sopra
è anche ∆v e quindi, a maggior ragione, ∆v 2 . Se che è costante nel tempo. Possiamo fare un ulterio-
scegliamo un intervallo di tempo abbastanza piccolo re passo in avanti per giustificare un tale principio
possiamo trascurare l’addendo con ∆v 2 e scrivere di conservazione: lo stato di un punto materiale è
1 caratterizzato dalla sua massa, dalla sua velocità e
K ' mv02 + mv∆v . (21.6) dalla sua posizione. Le ultime due grandezze hanno
2
carattere vettoriale, mentre la massa è uno scala-
cosí che
re. Se esiste una grandezza fisica scalare che si può
associare allo stato del punto materiale questa non
∆K = K − K0 ' mv∆v . (21.7)
può dipendere da velocità e posizione, perché sono
Dividendo entrambi i membri per ∆t si ottiene vettoriali. Ma può dipendere dal loro quadrato, che
è uno scalare.
∆K ∆v Poiché tutte le posizioni sono equivalenti, in as-
= mv = mva . (21.8)
∆t ∆t senza di forze, questa grandezza deve dipendere
Quando cambia t cambia la posizione del corpo per- soltanto dalla massa e dalla velocità al quadrato,
ciò U 6= U0 , avendo indicato con U l’energia poten- quindi dev’essere del tipo
ziale all’istante t e con U0 quella all’istante t0 . La
variazione di U col tempo vale E = Cmv 2 (21.12)
∆U ∆U ∆x ∆U e si scopre che C = 12 . In presenza di forze si de-
= =v . (21.9) ve poter aggiungere una quantità che dipende dalla
∆t ∆x ∆t ∆x
Sommando i due pezzi abbiamo: posizione, o meglio da una distanza, che è l’unica
cosa che si può misurare. Data la posizione x di
∆U un punto, la sua distanza dall’origine si può sempre
0 = m va + v . (21.10)
∆x scrivere come
Ricordiamo ora che ∆U = −∆L = −F ∆x (il mo- √ √
to è unidimensionale e la forza agisce parallelamen- x = x2 = x · x (21.13)
te allo spostamento). Sostituendo l’espressione di perciò il termine che si deve aggiungere a E per
descrivere lo stato di un punto materiale dev’esse-
re una funzione scalare che deve dipendere soltanto e l’energia totale del sistema composto dai due punti
dalla distanza x del punto da qualcosa U (x). La va- vale
riazione di questa funzione per unità di distanza dà
origine alle forze secondo la relazione
1 1
E = EA +EB = mA vA2 + mB vB2 +U (xA )+U (xB ) .
∆U 2 2
= −F . (21.14) (21.18)
∆x
Formuliamo adesso un principio di simmetria: lo
La seconda Legge di Newton, quindi, si può pensare spazio è omogeneo, vale a dire che ogni punto è
come a una conseguenza del fatto che noi crediamo uguale all’altro e che il diverso valore dell’energia
che lo stato di un punto materiale ne determini il potenziale di ciascuno dei due punti materiali non
valore di una grandezza fisica scalare che non può può dipendere dalle coordinate del punto, ma sol-
che dipendere dallo stato stesso e che, se tale funzio- tanto dalla differenza di coordinate tra A e B. Se
ne è scalare, deve dipendere soltanto dal quadrato quindi si trasla tutto il sistema di riferimento in mo-
delle grandezze vettoriali coinvolte. do tale che le posizioni di A e B non siano piú xA
In questo modello le forze traggono la loro origine e x , ma diventino y = x + δ e y = x + δ, la
B A A B B
dal fatto che lo spazio circostante un punto materia- differenza tra le posizioni di A e B non cambia e
le è in qualche maniera caratterizzato dal fatto che l’energia deve rimanere la stessa.
a ciascun punto di esso possiamo associare il valore La velocità del punto A è
di una funzione scalare U delle coordinate: se tale
funzione non è costante il punto materiale che si tro- ∆x x(t) − x(t0 )
va in quella regione di spazio percepisce una forza vA = = , (21.19)
∆t t − t0
la cui intensità dipende da quanto varia la funzione
quindi se si cambia il sistema di riferimento in ma-
U spostandosi da x a x + ∆x.
niera che x(t) diventa x(t) + δ e x(t0 ) = x(t0 ) + δ la
Quello che abbiamo detto per una dimensione si
velocità non cambia essendo
può ripetere per le altre e quindi l’argomento vale in
generale. Il rapporto ∆U/∆x si può calcolare nelle
tre direzioni spaziali e ciascun rapporto fornirà la x(t) + δ − x(t0 ) − δ
vA 0 = = vA . (21.20)
componente relativa della forza: t − t0
∆U Lo stesso accade per vB , quindi l’energia nel nuovo
= −Fi . (21.15)
∆xi sistema si scrive
U (x + δ) − U (x) ∆U (x)
m' = , (21.24)
δ ∆x
chiamando ∆U la differenza tra due valori di U
calcolati in due punti che distano ∆x l’uno dall’al-
tro. Riscriviamo l’equazione (21.22) usando questo
risultato:
∆U (xA ) ∆U (xB )
U (xA )+ δ+U (xB )+ δ = U (xA )+U (xB )
∆x ∆x
(21.25)
che è verificata solo quando
∆U (xA ) ∆U (xB )
=− . (21.26)
∆x ∆x
Ora osserviamo che la variazione di energia poten-
ziale per unità di percorso rappresenta la compo-
nente della forza subíta da A lungo lo spostamento
∆x:
∆(xA )
= FA (21.27)
∆x
e analogamente
∆(xB )
= FB . (21.28)
∆x
Si deve perciò avere che FA = −FB , cioè che la forza
che A subisce per il fatto d’interagire con B e ugua-
le e contraria alla forza che B subisce per il fatto
d’interagire con A. Abbiamo cosí ricavato il ter-
zo principio della dinamica come conseguenza
dell’omogeneità dello spazio.
In definitiva affermiamo che il solo fatto che lo
spazio sia omogeneo (cioè che noi crediamo che ogni
punto dello spazio sia del tutto equivalente a qua-
lunque altro punto) porta a una conseguenza impor-
tante consistente nel fatto che due punti materiali
interagenti devono agire l’uno sull’altro esattamen-
te nello stesso modo. Non è possibile che uno agisca
sull’altro con una forza maggiore di quanto l’altro
faccia sull’uno.
Se si fa un lavoro nei confronti di un gas perfetto calcio, uno pneumatico, etc.) le forze elastiche sono
l’unica grandezza che può cambiare è la sua ener- cosí forti che, se si applica una forza in un punto
gia cinetica e quindi conviene studiare il comporta- qualunque del palloncino, questo non cede e la sua
mento dei gas per capire come funziona il trasferi- forma non si modifica apprezzabilmente.
mento di lavoro a un sistema fisico: il gas perfetto,
infatti, è il sistema fisico piú semplice che possiamo 22.1.1 La pressione
immaginare.
Se tappate la cannula di una pompa da bicicletta
con il pollice e spingete sulla pompa, sul polpastrel-
22.1 Lo stato dei gas lo avvertite qualcosa che spinge. Vuol dire che sul
polpastrello si sta esercitando una forza che non può
Quando si ha a che fare con i punti materiali, lo sta- essere dovuta allo stantuffo della pompa, che non
to di questi è perfettamente definito quando se ne è in contatto con il dito, ma dev’essere provoca-
misurino posizione e velocità (assumiamo, per sem- ta dall’aria contenuta nella pompa, compressa dallo
plicità, che la massa dei punti materiali sia sempre stantuffo spinto.
la stessa). Date massa, posizione e velocità è possi- Un altro esperimento che si può fare consiste nel
bile infatti prevedere lo stato del sistema meccanico prendere un palloncino gonfiato con aria poggiato su
composto di punti materiali a qualunque istante di un tavolo. In assenza di correnti d’aria tutte le forze
tempo, se conosciamo le stesse grandezze al tempo esterne al palloncino si possono considerare nulle. In
t = 0. Avendo a che fare con un gas non ha alcun queste condizioni, infatti, le uniche forze agenti sul
senso misurarne la posizione o la velocità. Che in- palloncino sono la forza peso e la reazione vincolare
tendiamo per queste grandezze? Non hanno alcun del tavolo, che si annullano a vicenda.
senso per un oggetto esteso come un gas. Sulla superficie del palloncino agiscono evidente-
Di un gas si possono misurare varie grandezze co- mente forze dall’interno, che ne provocano la dilata-
me, ad esempio, il suo volume, che coincide con il zione, del tutto simili a quelle che provocano la sen-
volume del suo recipiente. Di un gas si può anche sazione di compressione sulle dita nell’esperimento
misurare la temperatura. Naturalmente la quan- della pompa. Queste forze devono agire in tutte le
tità di gas in un recipiente è anch’essa una grandez- direzioni e devono essere uguali in tutte le direzio-
za che si può misurare (per esempio misurandone la ni, altrimenti il palloncino si muoverebbe nella di-
massa m). rezione della risultante di queste forze. Le forze in
Se si mette una certa quantità di gas in un reci- questione, inoltre, devono per forza essere perpendi-
piente (per esempio un palloncino), questo provoca colari alla superficie del palloncino: se non lo fossero
sul recipiente stesso fenomeni che si possono ascri- le porzioni di palloncino soggette a queste forze, in-
vere alla presenza di forze sprigionate dal gas stesso. vece che espandersi verso l’esterno si muoverebbero
Per esempio, se si gonfia un palloncino si trova che tangenzialmente alla sua superficie e questo non si
le sue pareti diventano via via piú turgide. Possiamo osserva mai.
interpretare questo fenomeno dicendo che le pareti Gli effetti delle forze sulle pareti del palloncino
del palloncino sono, evidentemente, elastiche e che non dipendono solo dall’intensità della forza che agi-
il gas al suo interno esercita una forza nei loro con- sce, ma anche da quanto è estesa l’area della super-
fronti che ne provoca la dilatazione. All’aumenta- ficie che subisce la forza. Gonfiate un palloncino e
re della dilatazione del palloncino le forze elastiche poggiate su di esso un libro: l’effetto che si produce
che ne governano la relazione tra le sue componenti quando il libro è poggiato sulla copertina è diver-
diventano sempre piú forti (ricordiamo che la for- so da quello che si osserva quando è poggiato sulla
za elastica è tanto piú intensa quanto piú è grande costa (dovete fare in modo che il libro non si apra:
lo spostamento). In certe condizioni (un pallone da basta circondarlo con un elastico). È utile quindi
caratterizzare lo stato del palloncino (o meglio del solido originale. Tagliare un solido significa quindi
gas in esso contenuto) con una grandezza fisica che allontanare abbastanza le parti che lo compongono
chiameremo pressione definita come in modo da spezzare i legami che le tengono insie-
me. Per questo occorre esercitare sulle parti forze
F
p= (22.1) sufficientemente intense.
S Ora, immaginate di avere davanti a voi un bel
dove F è il modulo della forza agente perpendicolar- budino e di spingere con una forza F il bordo di
mente alla superficie di area S di palloncino. Poiché un cucchiaino sulla sua superficie. Se il bordo del
la forza che consideriamo è sempre perpendicolare cucchiaino è largo L, lungo ` e le particelle di cui è
alla superficie non c’è bisogno di indicarne direzione formato il budino distano in media d l’una dall’altra,
e verso (che peraltro cambierebbe da punto a punto la forza F si distribuisce su N = L × `/d2 particelle,
del palloncino), ma basta fornirne il modulo F . La quindi su ciascuna coppia di particelle agisce una
pressione dunque è una grandezza scalare. forza
Le dimensioni fisiche della pressione sono quel-
le di una forza divisa una superficie e quindi F d2 F d2
F i = = = pd2 . (22.2)
le pressioni si misurano in N/m2 e si dice che L×` S
1 N/m2 =1 Pa, dove Pa si legge Pascal in onore La forza che agisce su ciascuna componente del bu-
di Blaise Pascal2 . dino dunque è proporzionale alla pressione esercita-
La pressione è una grandezza fisica che ha sen- ta sullo stesso. Il budino si taglia se Fi è abbastan-
so misurare per ogni tipo di sostanza solida, liquida za grande, cioè se p è abbastanza grande. Nel caso
o gassosa che sia. Cerchiamo di capire che succede di una bistecca, le forze Fi necessaria a spezzare le
quando si esercita una pressione sulla superficie di molle che ne trattengono le parti le une vicine alle
qualcosa, cominciando da un solido. Per dividere il altre sono molto piú intense e per questo occorre
solido in due lo si deve tagliare. Ma che vuol dire una pressione maggiore che, a parità di forza con la
tagliarlo? Cosa succede al solido quando è taglia- quale si agisce sulla posata, aumenta col diminuire
to? Un solido non è altro che qualcosa composto di della superficie d’appoggio: la superficie di una la-
molte piccole parti (particelle) che sono in qualche ma affilata è certamente molto minore di quella del
maniera costrette a rimanere le une vicine alla al- bordo di un cucchiaino.
tre. Se cosí non fosse porzioni di solido potrebbero Per ragioni del tutto simili, se si deve bucare
staccarsi dalla massa complessiva e andare in giro qualcosa è necessario che l’oggetto con il quale si
liberamente. È evidente che questa costrizione deve spinge sulla superficie abbia una punta piccolissima.
essere provocata dall’esistenza di forze che si eserci- La pressione p necessaria per bucare un palloncino,
tano tra le parti. Questo forze saranno in generale per quanto sopra, dipende solo dalle caratteristiche
molto complicate da descrivere, ma qualunque sia la del materiale di cui è fatto. La forza che si deve
loro origine, per spostamenti piccoli delle parti de- applicare per bucarlo dunque dev’essere
vono essere descrivibili come forze di tipo elastico.
In sostanza possiamo immaginare un solido come F > pmin S (22.3)
fatto di palline legate tra loro da molle. Le palline
si possono muovere attorno alla posizione di equili- ed è quindi tanto maggiore quanto maggiore è la
brio, ma solo limitatamente. Se una pallina si allon- superficie di contatto S. Per questa ragione, spin-
tana parecchio dalle altre la molla si tira sempre piú gendo col dito, il palloncino non si rompe, mentre
e per distanze abbastanza grandi si può rompere. A se si applica la stessa forza attraverso un ago sí.
questo punto la pallina è libera: non fa piú parte del
2
scienziato francese del XVII secolo.
d’idrogeno ha un peso molecolare pari a 2, una d’os- mico coincidono e di conseguenza una mole di elio
sigeno ha un peso molecolare pari a 32, una d’acqua corrisponde a 4 g, una di xenon a 131 g e cosí via.
36. Se si misura la quantità di gas in numero di moli
Con il tempo si scoprirà che l’idrogeno è un gas le n possiamo scrivere che N = nNA e quindi che
cui particelle (molecole) sono a loro volta costituite
di altre due particelle uguali apparentemente non pV = nNA kB T , (22.13)
ulteriormente divisibili e perciò chiamate atomi
e definendo NA kB = R
dal greco che vuole dire non divisibile. Diremo per-
ciò che l’idrogeno gassoso è formato di molecole cia-
pV = nRT . (22.14)
scuna composta di due atomi d’idrogeno: indicando
l’atomo d’idrogeno col simbolo H, la corrispondente Questa legge, in questa o nella forma pV = N kB T ,
molecola si indica con H2 . Analogamente si scopri- prende il nome di equazione di stato dei gas per-
rà che l’ossigeno gassoso è fatto di molecole di O2 , fetti perché rappresenta la relazione esistente tra le
cioè di molecole costituite di due atomi d’ossigeno variabili che determinano lo stato di un gas. La co-
O legati tra loro. La reazione chimica che porta alla stante R = NA kB si chiama costante universale
formazione dell’acqua si indica quindi come dei gas e vale
accade aprendo una bottiglia di spumante o di birra. superficie del tappo. Possiamo allora scrivere che
dalla quale si ricava che e che il gas costituisce una sorgente di tempe-
ratura. L’atmosfera terrestre, per esempio, si può
∆Q considerare una buona sorgente di temperatura. La
∆T = . (22.32)
ncτ quantità di gas presente in atmosfera è cosí grande
Cerchiamo di capire il significato di quest’espressio- che anche se accendiamo un fuoco l’aria si scalda un
ne: l’equazione ci dice che, a parità di calore ceduto poco localmente, ma già a distanza di alcune decine
al gas, la sua temperatura aumenta di piú se il calore di cm la temperatura dell’aria non cambia apprezza-
specifico è piú piccolo. Dice anche che per ottenere bilmente. La temperatura media dell’atmosfera ter-
lo stesso ∆T occorre una quantità di calore mag- restre, in pratica, è relativamente costante, almeno
giore se il calore specifico è piú alto. Come abbiamo su tempi abbastanza brevi.
visto cV < cp , quindi, a parità di calore ceduto, la Le misure di questa grandezza fatte nel corso del
temperatura del gas aumenta di piú se il gas subisce tempo dimostrano che effettivamente la capacità
una trasformazione nella quale il volume resta co- termica dell’atmosfera non è affatto infinita e che
stante rispetto al caso in cui è la pressione a restare col tempo questa temperatura sta progressivamen-
costante. te aumentando, in particolare dai tempi della ri-
In effetti chi si diletta in cucina sa bene che per voluzione industriale a oggi. Molti ritengono che
cuocere i cibi con una pentola a pressione occorre questo aumento di temperatura sia opera dell’uomo
meno tempo rispetto a quello necessario per la cot- che contribuisce, con le sue attività, in parte a in-
tura tradizionale. Il motivo è presto detto: in una nalzare direttamente la temperatura di questo gas
pentola a pressione il gas (l’aria) contenuto è co- e in parte ad alternarne la composizione favorendo-
stretto a restare nel volume della pentola. Il calore ne indirettamente l’aumento di temperatura attra-
fornito dal fornello fa fare al gas una trasformazione verso l’immissione in atmosfera di quelli che sono
a volume costante, durante la quale la temperatura chiamati gas serra. Non importa come la pensiate
del gas aumenta. su questo punto: l’innalzamento della temperatura
Anche in una pentola normale il gas contenuto media del pianeta è innegabile, come si evince dalla
nella pentola aumenta, ma in questo caso il volu- Figura 22.1. Si può dibattere sulle cause, che non
me del gas non resta costante perché il gas può sono cosí semplici da individuare a causa della com-
espandersi nell’ambiente. Quel che resta costante è plessità del sistema, ma non sull’evidenza del fatto
la pressione (che poi è uguale alla pressione atmo- sperimentale.
sferica). Di conseguenza, poiché il calore specifico Tuttavia, per quanto riguarda gli esperimenti che
in questo caso è maggiore, l’incremento di tempe- possiamo fare nei nostri laboratori scolastici, in ge-
ratura è minore e occorre piú tempo per cuocere il nere si può senz’altro assumere che l’atmosfera ter-
contenuto6 . restre rappresenti un’ottima sorgente di temperatu-
Vale la pena di notare che, contrariamente a quel ra perciò possiamo immaginare esperimenti nei qua-
che si pensa di solito, non è affatto vero che in li un gas assorbe calore da qualche parte (per esem-
una trasformazione nella quale la temperatu- pio perché scaldato da una fiamma), ma essendo in
ra resti costante, il calore scambiato sia nullo. contatto con una sorgente non varia la sua tempera-
Un modo per mantenere costante la temperatura di tura. Se vale la relazione stabilita dall’equazione di
un gas cedendogli o sottraendogli calore consiste nel stato dei gas, il prodotto pV deve restare costante
far tendere all’infinito n: in questo caso, se c e ∆Q in queste circostanze, quindi se il gas, assorbendo
sono finiti e diversi da zero, ∆T tende a zero e si dice calore, aumenta di volume, la sua pressione deve
che la capacità termica C = nc del gas è infinita diminuire in modo caratteristico. Abbiamo cosí rea-
lizzato una trasformazione nella quale ∆T = 0, ma
Il che non è sempre uno svantaggio, perché certe pietanze
6
p (kPa) p (kPa)
500 500
400 400
300 300
200 200
100 100
0 0
0 1 2 3 4 5 V (m3 ) 0 1 2 3 4 5 V (m3 )
Figura 22.2 Una trasformazione isoba- Figura 22.3 Una trasformazione isoco-
ra (a pressione costante) ra (a volume costante) che
che porta il gas dallo stato porta il gas dallo stato
A = (1 m3 , 300 kPa) allo sta- A = (1 m3 , 100 kPa) allo sta-
to B = (4 m3 , 300 kPa). In to B = (1 m3 , 300 kPa) non
questa trasformazione il gas fa lavoro.
si espande quadruplicando il
suo volume mantenendo co-
stante la pressione. Il lavoro
fatto dal gas è rappresentato espandere il gas all’interno che occupando un volu-
dall’area tratteggiata. me maggiore abbassa la sua pressione in modo da
farla immediatamente coincidere con quella esterna.
soltanto dopo aver stabilito una delle leggi fonda- gio del cilindro e h l’altezza del tappo. Se il tappo
mentali della fisica: quella che va sotto il nome di non cade sul fondo del cilindro significa che il gas
primo principio della termodinamica. sta esercitando nei suoi confronti una forza uguale
e contraria a quella dovuta al suo peso mg (trascu-
rando l’effetto della pressione esterna). La pressione
22.7 Il lavoro termodinamico del gas pA deve quindi essere uguale a
Sono molti gli esperimenti che fanno ritenere che biato numero. Quel che dev’essere cambiato è che
la materia sia costituita di particelle di qualche tipo. in un primo tempo le particelle dovevano trovarsi in
Questi costituenti, che potremmo definire elementa- posizioni abbastanza ben definite, mentre, quando
ri, devono sicuramente essere molto piccoli e in gran il ghiaccio si è trasformato in acqua, le posizioni oc-
numero. Neanche con il piú potente microscopio si cupate dai costituenti non sono cosí fisse. In qualche
riesce a verificare quest’ipotesi, il che implica che le modo le particelle si ammucchiano le une sulle altre
dimensioni dei costituenti elementari della materia per effetto della forza peso ed evidentemente non c’è
devono essere inferiori alla lunghezza d’onda della attrito sufficiente a fare in modo che si dispongano a
luce usata per illuminarli. Se infatti le dimensioni formare una sorta di cono come succederebbe con la
di questi oggetti fossero maggiori se ne produrreb- sabbia: non serve nemmeno scuotere il contenitore
be l’ombra, mentre se fossero comparabili si osser- per fare in modo che i costituenti si dispongano in
verebbe qualche fenomeno di diffrazione. Se sono modo da formare un piano orizzontale, senza però
piccolissimi devono anche essere moltissimi. Devo- avere una forma definita.
no essere in un numero straordinariamente grande. Questo significa che i costituenti del ghiaccio sono
Possiamo anche stimare un limite inferiore. Consi- legati gli uni agli altri e non si possono allontana-
deriamo un centimetro cubo di materia qualsiasi (un re dai loro vicini. Quelli dell’acqua invece no. Sono
piccolo cubetto di ghiaccio). I suoi costituenti devo- piuttosto slegati, anche se la forza peso fa in modo di
no essere molto piú piccoli della lunghezza d’onda farli precipitare verso il basso e di tenerli comunque
della luce visibile che è compresa tra circa 500 e gli uni vicini agli altri.
700 nm. Questo significa che le dimensioni trasver- Se si scalda l’acqua si osserva che questa evapo-
sali di questi oggetti devono essere molto minori di ra: si trasforma cioè in gas. Quando è un gas l’acqua
500 × 10−9 = 5 × 10−7 m. In un centimetro, pari a sembra quasi non risentire della forza peso: si capi-
10−2 m, ce ne stanno sce che questa continua ad agire perché il vapore
acqueo tende comunque a cadere verso il basso, ma
10−2 una gran parte di esso resta sospeso, quasi senza pe-
N` 20 000 , (23.1)
5 × 10−7 so. Quasi certamente quel che sta accadendo è che
il che significa che ce ne devono stare almeno le forze che tengono legate le particelle le une al-
200 000. In un centimetro cubo ce ne saranno perciò le altre sono diventate ancor piú deboli, tanto da
almeno 8 × 1015 . rendere praticamente libere di muoversi in ogni di-
Se lo scaldiamo il ghiaccio fonde e diventa acqua. rezione ciascuna singola particella. È probabile che
Se crediamo che sia composto di particelle dobbia- allo stato liquido le particelle non siano legate come
mo pensare che le particelle che prima costituivano quando si trovano allo stato solido, ma un minimo
il ghiaccio ora fanno parte dell’acqua: probabilmen- di forza residua tra le particelle deve continuare a
te non hanno cambiato genere, anche perché è possi- esercitarsi, in modo tale che molte particelle si man-
bile far tornare l’acqua allo stato solido raffreddan- tengano comunque legate tra loro a formare gocce di
dola. E probabilmente non hanno nemmeno cam-
23.1. UN GAS IDEALE 256
la parete del recipiente è la somma di queste forze. complessivamente su una delle pareti del recipiente
vale
Se la distanza d alla quale la forza si manifesta è le particelle d’acqua che si muovono troppo rapida-
molto piccola possiamo trascurare tutti i termini di mente. Non tutte le molle si rompono: alcune con-
ordine superiore e scrivere che tinuano a funzionare perciò il ghiaccio di fatto si
rompe in minuscoli pezzettini, ciascuno dei quali è
F (d) ' F0 + F1 d . (23.24) libero di muoversi rispetto agli altri. Inoltre, l’assen-
za dei vincoli imposti dalla presenza delle particelle
Quello che deve capitare è che, se la distanza tra
vicine permette alle molle di allungarsi molto di piú
due particelle d’acqua è d < d0 la forza è repulsiva,
e di permettere alle particelle d’acqua di oscillare
perché le particelle d’acqua non si devono tocca-
piú lentamente, ma con ampiezza maggiore.
re: se infatti si cambia la temperatura del ghiaccio
Quando si continua ad aumentare la temperatura
questo cambia il proprio volume, segno che le parti-
anche queste molle residue si rompono e le particel-
celle di cui è costituito stanno a una certa distanza
le d’acqua sono libere di muoversi dove vogliono. In
tra loro il che permette a queste di allontanarsi e
assenza di altre forze dunque continuano a muover-
di avvicinarsi secondo la temperatura1 . Se invece
si di moto rettilineo uniforme fino a che le forze di
d > d0 la forza diventa attrattiva, ma diminuisce
reazione delle pareti del recipiente che contiene il
con la distanza. Possiamo perciò scrivere che
vapore non producano accelerazioni di queste parti-
celle che ne cambiano la velocità (la direzione, non
F (d) ' F0 − F1 (d − d0 ) (23.25)
il modulo).
dove il segno − è stato introdotto per far sí che f1
si possa considerare positivo. È evidente che, per
d = d0 la forza deve annullarsi perciò F0 = 0 e
quindi
Quello che in fisica si chiama un sistema, cioè un to. Se invece il sistema compie lavoro nei confronti
insieme di corpi relativamente complesso sui quali si dell’ambiente, in genere si raffredda.
possono eseguire misure di vario tipo, si può riscal- Al Capitolo 23 vediamo come un gas, che è il siste-
dare (o raffreddare) attraverso due modalità: o si ma piú semplice che possiamo considerare, si possa
mette in contatto con quella che chiameremo sor- considerare come composto di particelle la cui ener-
gente di temperatura o si esegue lavoro su di esso gia cinetica media definisce in qualche maniera la
(se ne estrae lavoro). temperatura del gas. Cambiare la temperatura del
Una sorgente di temperatura è qualcosa che si gas, dunque, significa cambiarne l’energia cinetica
può mettere in contatto termico con il sistema in dei suoi costituenti. In generale, qualunque siste-
esame, con il quale può scambiare calore. Nel ca- ma, sia esso gassoso, liquido o solido, si può pensare
so piú semplice la temperatura della sorgente resta costituito di particelle la cui energia cinetica me-
costante: in linea di principio questo non sarebbe dia ne definisce la temperatura. Una variazione di
possibile perché se si estrae una quantità di calore temperatura del sistema corrisponde a una varia-
∆Q da una sorgente di massa m la sua temperatura zione dell’energia cinetica dei suoi costituenti. Una
cambia di qualunque cessione di energia a un sistema ne può
provocare una variazione di energia cinetica e/o di
∆Q ∆Q energia potenziale (che nei gas è nulla). La frazione
∆T = = (24.1)
C cm di energia assorbita come energia cinetica determi-
dove C si chiama capacità termica della sorgen- na l’aumento di temperatura del sistema, mentre la
te e c è il suo calore specifico. Ma se C è molto frazione di energia assorbita come energia potenzia-
grande (il che significa che c o m o entrambi sono le provoca una modifica delle relazioni spaziali tra
molto grandi), ∆T ' 0 e quindi la sua temperatura i costituenti, visto che l’energia potenziale dipende
si può considerare costante. Un esempio di questo dalle forze che si stabiliscono tra questi e dalle ri-
tipo di sorgente è l’ambiente: esponendo all’aria spettive distanze. In questo modo si può interpreta-
un qualunque corpo a qualunque temperatura, que- re, ad esempio, il fenomeno della dilatazione termi-
sto prima o poi raggiunge la temperatura ambiente ca: l’aumento di temperatura di una sbarra di ferro
perché la capacità termica di quest’ultimo è quasi è la conseguenza della cessione di energia al sistema.
sempre molto maggiore di quella del corpo. Una parte di quest’energia è assorbita dalla sbarra
In alternativa si può avere una sorgente a tem- sotto forma di energia cinetica dei costituenti che
peratura costante quando la sottrazione o la cessio- si muovono piú rapidamente provocando l’innalza-
ne di calore provoca il cambiamento di stato fisico mento della sua temperatura. Una parte dell’energia
della sorgente: durante lo scioglimento del ghiac- assorbita, invece, serve a modificare l’energia poten-
cio o l’ebollizione dell’acqua la temperatura resta ziale dei costituenti. Se immaginiamo il ferro come
costante. composto di tanti corpuscoli collegati l’uno all’altro
Eseguendo lavoro nei confronti di un sistema lo si con molle, un aumento dell’energia potenziale di cia-
può scaldare, per esempio grazie alla forza di attri-
24.1. L’ENERGIA INTERNA 262
sa nel caso in cui i pesi cadano liberamente, senza un sistema implica uno scambio di calore o di lavoro
dover mettere in moto le pale, e l’energia finale vale con quel sistema.
L’energia interna di un sistema è qualcosa di com-
1 plicato da stimare o misurare, in generale, perché è
Ef in = mw 2
(24.7)
2 una somma di tantissimi piccoli contributi. Ciascu-
con w v. La differenza di energia ∆U = mgh − no di essi però rappresenta l’energia di una parti-
1
2
mw2 evidentemente è stata spesa per scaldare l’ac- cella la quale, se partendo da uno stato iniziale A
qua facendone incrementare la temperatura di ∆T . arriva in uno stato B per poi ritornare nello stato
Lo stesso incremento di temperatura si sarebbe ot- A, deve tornare ad avere la stessa energia che aveva
tenuto cedendo all’acqua, di calore specifico ca e all’inizio. Di conseguenza l’energia interna di un si-
massa M , una quantità di calore stema qualunque dev’essere una funzione di stato:
la sua variazione deve dipendere soltanto dallo sta-
∆Q = ca M ∆T (24.8) to iniziale e da quello finale della trasformazione,
che dev’essere quindi uguale a ∆U . Joule trovò che non dalla particolare trasformazione fatta. Nel caso
per innalzare la temperatura di 3 557 g d’acqua di di una singola particella lo stato è determinato da
0.56◦ C occorreva far cadere i pesi in modo da dis- posizione e velocità di quella particella ed è chiaro
sipare un’energia totale di 8 226 J1 . La quantità di che, se la particella si muove lungo una traiettoria
calore necessaria per far cambiare la temperatura chiusa per tornare, alla fine, nello stato iniziale, la
dell’acqua come misurato è sua energia non può essere cambiata. Nel caso di un
gas le particelle sono molte e noi non ne misurere-
mo mai la posizione e la velocità di ciascuna: del gas
∆Q = ca M ∆T = 1 × 3 557 × 0.56 ' 1 992 cal . misuriamo la pressione, il volume e la temperatura.
(24.9) Se il gas parte da uno stato A = (pA , VA ) e giunge
Questo significa che 8 226 J equivalgono a 1 992 cal in un altro stato B = (pB , VB ) per poi tornare nello
e quindi che il fattore di proporzionalità c vale stato A nessuno ci garantisce che ciascuna singola
particella sia tornata al proprio posto ed esattamen-
8 226
c= ' 4.132 J cal .−1
(24.10) te con la velocità che aveva all’inizio. Però sappiamo
1 992 che in media la velocità delle particelle sarà quella
Attraverso misure piú raffinate si trova oggi che di prima, perché la temperatura, nel corso della tra-
sformazione è passata da TA a TB e poi è tornata
c = 4.185 J cal−1 . (24.11) ad essere T . Le posizioni delle singole particelle non
A
saranno magari esattamente le stesse di prima, ma
Misurando le quantità di calore in unità di ener-
mediamente N particelle si distribuiscono in modo
gia si può allora legittimamente scrivere quello
ciascuna da occupare un volumetto V /N del totale.
che prende il nome di primo principio della
Se N è abbastanza grande non ci saranno differenze
termodinamica come
apprezzabili tra la situazione iniziale e quella finale
e l’energia interna sarà la stessa nei due casi.
∆U = ∆Q − ∆L . (24.12)
Ora supponiamo che la variazione di energia per
Quest’equazione esprime il principio di conservazio- andare dallo stato A a quello B passando attraverso
ne dell’energia in una forma piú generale: non è l’e- una certa sequenza di stati sia ∆UAB . Qualunque sia
nergia meccanica che si conserva, ma quella totale la sequenza di stati per andare da B ad A dev’esse-
(interna) dei sistemi. Ogni variazione di energia in re ∆UBA = −∆UAB cosí che ∆U nel ciclo sia nulla.
1
I pesi erano riportati su piú volte nel corso dell’espe-
Se la trasformazione da A a B passando per una
rimento. Nell’articolo originale i dati sono forniti in unità sequenza di stati diversi producesse una variazione
anglosassoni. di energia interna ∆WAB 6= ∆UAB si arriverebbe a
una contraddizione perché potremmo tornare dallo Se ora si apre il rubinetto il gas occupa anche l’altra
stato B allo stato A attraverso la stessa sequenza metà del volume a sua disposizione raddoppiando il
di stati di prima per cui la variazione di energia proprio volume che passa da V a 2V . Contempo-
sarebbe ∆UBA e la variazione di energia totale sa- raneamente la sua pressione si riduce della metà e
rebbe ∆WAB +∆UBA che non è nulla se non quando la misura della temperatura conferma che T non è
∆WAB = ∆UAB . cambiata.
Se la variazione di energia interna dipende so- Passando dallo stato iniziale A = (p, V ) allo sta-
lo dallo stato iniziale e da quello finale, l’energia to finale B = (p/2, 2V ), l’energia interna del gas
interna stessa dipende soltanto dallo stato del si- dovrebbe cambiare di ∆U = U (B) − U (A). Duran-
stema. L’energia nello stato A può soltanto dipen- te questa trasformazione non c’è scambio di calore,
dere dallo stato A, cioè U = U (A), mentre nello perché il recipiente è isolante: ∆Q = 0. D’altra par-
stato B U = U (B). La variazione di energia in- te il gas, espandendosi, in questo caso non fa alcun
terna passando dallo stato A allo stato B quindi è lavoro perché nella metà libera del recipiente c’è il
∆U = U (B) − U (A). vuoto: per poter occupare quella zona il gas non de-
È interessante osservare che ∆U è una funzione ve esercitare alcuna forza nei confronti di alcunché.
di stato, essendo definita come la somma di ener- Quindi anche ∆L = 0. Di conseguenza ∆U = 0
gia cinetica e potenziale di tutte le particelle di cui e quindi l’energia interna del gas non è cambiata.
è composto il gas, ma né ∆Q, né ∆L lo sono. En- Delle tre variabili di stato p, V e T l’unica che è
trambe queste quantità dipendono (possono dipen- rimasta costante è T e quindi l’energia interna, che
dere, meglio) dalla trasformazione eseguita. Il calore è una funzione di stato, cioè delle variabili che de-
scambiato in una trasformazione dipende da que- terminano lo stato del gas, non può dipendere né da
st’ultima, mentre l’innalzamento di temperatura di p né da V , visto che non è cambiata. L’unica varia-
un gas per effetto del lavoro somministrato dipen- bile da cui può dipendere è T . L’energia interna di
de in modo manifesto da come si somministra tale un gas perfetto dunque dipende soltanto dalla sua
lavoro. Si scopre dunque che, presi singolarmente, temperatura.
calore e lavoro non sono funzioni di stato, ma la Alla luce della teoria cinetica dei gas questo ri-
loro somma algebrica lo è. sultato non sorprende: l’energia interna di un gas
perfetto è la somma delle energie cinetiche di tutte
le particelle di cui è composto, il cui valor medio
24.2 L’espansione libera di un ne determina la temperatura T . Se non cambia l’e-
gas perfetto nergia cinetica di queste particelle non cambia T e
viceversa. Quindi U = U (T ).
Un altro fondamentale esperimento attribuito a
Joule consiste nella misura della temperatura di un
gas tenuto in un recipiente diviso a metà da un set- 24.3 I calori specifici dei gas
to sul quale è montato un rubinetto. Il recipiente è
Un gas che subísce una trasformazione isocora non
teoricamente isolante: vale a dire che le sue pareti
compie né riceve lavoro, perciò in quel caso
sono realizzate in modo da ridurre praticamente a
zero gli scambi di calore con l’esterno. Inizialmen-
∆U = ∆Q (24.14)
te il gas occupa solo la metà del recipiente, mentre
nell’altra metà è fatto il vuoto. Si misura la tempe- per il primo principio della termodinamica. Ma du-
ratura del gas T in queste condizioni. Naturalmente rante questa trasformazione il calore scambiato vale
si troverà che ∆Q = ncV ∆T dove ∆T è la variazione di tempe-
ratura del gas e cV il suo calore specifico a vo-
pV = nRT . (24.13) lume costante: il calore specifico di un gas, cioè
la quantità di calore necessaria per farlo passare da quantità di calore nota a un gas contenuto in un
uno stato di temperatura a un altro, dipende dalla recipiente rigido: il gas, evidentemente, sarà sog-
trasformazione. Quindi possiamo scrivere, in questo getto a una trasformazione a volume costante che
caso, lo porterà dalla temperatura Tin alla temperatura
Tf in .
∆U = ncV ∆T (24.15) Per eseguire l’esperimento conviene usare un gas
inerte, che non reagisca chimicamente con altre so-
il che significa che
stanze che potrebbero comunque trovarsi, anche se
in tracce, nel recipiente o con il recipiente stesso.
U = ncV T . (24.16)
Una mole di elio pesa circa 4 g. Se forniamo una
Ma l’energia interna è una funzione di stato che caloria, pari a 4.185 J, a una mole di elio la sua
non dipende dalla trasformazione perciò l’espres- temperatura è prevista aumentare di
sione trovata sopra per una particolare trasforma-
zione deve valere per ogni trasformazione. In effet-
ti, nel caso dell’espansione libera del gas che abbia- ∆Q 1
∆T = = ' 0.34 K . (24.21)
mo illustrato sopra, che di certo non è isocora, T ncV 1 × 2.98
resta costante e in questo caso lo resterebbe anche Sperimentalmente si trova proprio questo valore. Lo
U : ∆U = 0. Vale la pena osservare che, usando la stesso accade per il neon e per gli altri gas nobili. Se
temperatura assoluta, U = 0 per T = 0 come ci si esegue l’esperimento con idrogeno, con ossigeno o
si aspetta dal fatto che la temperatura assoluta è con azoto si trova che ∆T ' 0.21, che implica un
una misura dell’energia cinetica delle particelle che diverso valore per cV . Il rapporto dei calori specifici
costituiscono il gas. dev’essere
Secondo la teoria cinetica, l’energia cinetica
media di ciascuna particella del gas vale cV (elio) 0.21
= ' 0.62 . (24.22)
cV (idrogeno) 0.34
3
hEi = kB T (24.17) Una possibile interpretazione di questo fenomeno
2
per cui l’energia interna totale di un gas perfetto potrebbe risiedere nel fatto che, evidentemente, elio
fatto di N particelle è e neon si comportano come gas perfetti, mentre
idrogeno, ossigeno e azoto no, anche quando si trovi-
3 no in condizioni di pressione, volume e temperatura
U = N hEi = N kB T (24.18)
2 del tutto simili.
e, ricordando che N kB = nR, La teoria cinetica dei gas prevede che l’energia
cinetica media delle particelle sia
3
U = N hEi = nRT . (24.19) 3
2 hEi = kB T (24.23)
Confrontando quest’ultima equazione con l’equazio- 2
ne (24.15) possiamo predire il valore del calore perché ciascuna delle tre direzioni spaziali in cui
specifico a volume costante dei gas, che vale si possono muovere le particelle contribuisce per
1
k T . In quella teoria ogni particella costituente
2 B
3
cV = R . (24.20) si comporta come un punto materiale che ha, come
2 si dice, tre gradi di libertà: si può muovere, in
Sostituendo il valore di R si trova cV = effetti, lungo tre direzioni indipendenti. Se le parti-
12.471 J K−1 ' 2.98 cal K−1 . Possiamo verificare celle di gas avessero una struttura interna i gradi di
sperimentalmente la teoria misurando l’innalzamen- libertà sarebbero diversi: una molecola di gas fatta
to di temperatura conseguente alla fornitura di una
di due atomi si potrebbe pensare come a un ogget- unità, il rapporto tra questi due numeri fa
to costituito di due particelle legate da una molla
relativamente rigida. In altre parole, una molecola cV (elio) 12.471
= = 0.6 . (24.25)
cosí fatta non si può considerare un punto materiale cV (idrogeno) 20.785
e se si cede energia a un oggetto come questo solo Proprio quel che troviamo sperimentalmente! Se la
una parte può andare in energia cinetica. Una par- nostra teoria è corretta l’idrogeno gassoso dev’essere
te dell’energia ceduta è assorbita dalla molecola per composto di molecole fatte di due atomi d’idrogeno,
ruotare attorno a un asse. Possiamo identificare la che è quel che c’insegnano i chimici. L’idrogeno, il
direzione dell’asse con un versore orientato secon- cui simbolo chimico è H, non esiste in natura in
do la regola della mano destra: se si dispone il quanto tale, ma solo in molecole costituite di due
pollice della mano destra parallelamente al versore, atomi H2 .
con la punta del versore rivolta verso la punta del Il calore specifico di un gas quando la quanti-
pollice, piegando le altre dita della mano si ottiene tà di gas si esprime in numero di moli invece che
il senso nel quale ruota la molecola. in grammi dipende dal tipo di trasformazione. In
Ogni versore in uno spazio tridimensionale si può una trasformazione a pressione costante, il calo-
sempre scrivere come somma di tre vettori: uno lun- re specifico cp è quella quantità per la quale il calore
go l’asse 1, uno lungo l’asse 2 e l’altro lungo l’asse 3, scambiato in una trasformazione isobara vale
le cui direzioni sono scelte arbitrariamente, ma in
modo da risultare perpendicolari. Prendiamo l’as- ∆Q = ncp ∆T . (24.26)
se 3 parallelo all’asse della molecola (cioè all’asse Dal primo principio della termodinamica però
che ne collega i due atomi, parallelo alla molla che sappiamo che
li tiene insieme): è chiaro che, se anche ci fosse una
rotazione attorno a quest’asse, questa sarebbe del ∆U = ∆Q − ∆L (24.27)
tutto inosservabile e quindi irrilevante ai fini della
misura dell’energia della molecola. I due atomi che e dal fatto che U è una funzione di stato sappiamo
la costituiscono, infatti, si possono (quelli sí) consi- che per i gas perfetti dipende solo dalla temperatura
derare come punti materiali, mentre la molla che li e la sua variazione si scrive
unisce è un segmento e nessuna di queste componen-
ti può ruotare attorno a quell’asse (né il segmento ∆U = ncV ∆T . (24.28)
né i punti cambierebbero posizione - o stato - nel Non fatevi ingannare dal fatto che stiamo parlan-
corso del tempo). Quindi l’asse di rotazione si deve do di una trasformazione isobara! L’energia inter-
costruire combinando due rotazioni attorno ai due na è una funzione di stato quindi il suo valore
assi ad esso perpendicolari. non dipende dalla particolare trasformazione ese-
In definitiva ci sono altri due modi in cui le parti-
guita. Purché gli stati iniziali e finali siano gli stes-
celle che costituiscono il gas possono muoversi: ruo- si il valore della variazione di energia è lo stes-
tando attorno a due assi perpendicolari tra loro e so. Se troviamo che per una trasformazione isocora
all’asse definito dalla molecola. I gradi di libertà ∆U = ncV ∆T quando il gas passa dallo stato T1
della molecola dunque non sono 3, ma 3 + 2 = 5. Ci allo stato T2 , per una trasformazione qualsiasi che
possiamo allora aspettare che porti il gas dalla temperatura T1 a quella T2 varrà
che ∆U = ncV ∆T , indipendentemente dalla natura
5 5 della trasformazione.
cV = R ' 8.314 ' 20.785 J K −1
(24.24) Sostituendo a ∆U e a ∆Q la loro espressione, e a
2 2
∆L = p∆V , abbiamo che
per una molecola biatomica. Sapendo che il calo-
re specifico dell’elio è invece di 12.471 nelle stesse ncV ∆T = ncp ∆T − p∆V . (24.29)
Poiché vale sempre che pV = nRT , se cambia il cp > cV dev’essere vero in generale perché l’uni-
volume di ∆V significa che cambia la temperatura ca differenza tra un gas perfetto e uno reale consi-
di ∆T in modo tale che ste nel fatto che la componente dell’energia interna
costituita di energia potenziale è diversa.
p∆V = nR∆T (24.30)
perciò possiamo riscrivere il primo principio come 24.4 L’equazione dell’adiabati-
ncV ∆T = ncp ∆T − nR∆T . (24.31) ca
Dividendo tutto per n∆T si ottiene che Riprendiamo l’equazione della trasformazione adia-
batica ricavata al Paragrafo 22.6.4 a pag. 251, che
cV = cp − R . (24.32) è
Questo risultato è coerente con l’osservazione fatta ∆T ∆p ∆V
a pag. 22.6.2: il calore specifico del vapore sopra una = + . (24.37)
T p V
pentola tradizionale si può considerare come il ca-
lore specifico a pressione costante, trovandosi il gas Conoscendo l’espressione dell’energia interna pos-
sempre alla pressione atmosferica; in una pentola a siamo eliminare ∆T da quest’equazione facendovi
pressione invece il volume del gas è costante e il suo comparire soltanto p e V . Possiamo cosí pensare di
calore specifico è quello a volume costante. Poiché scrivere p = p(V ), cioè la pressione come funzio-
dalla nostra analisi risulta che ne del volume e rappresentare in questo modo una
trasformazione adiabatica sul piano di Clapeyron.
cp = cV + R (24.33) Dal momento che l’energia interna è una funzione
di stato la sua variazione ∆U non dipende dalla par-
si vede che cp > cV . Questo significa che, per provo- ticolare trasformazione eseguita dal gas, e possiamo
care la stessa variazione di temperatura ∆T serve, sempre scrivere che, anche per una trasformazione
in un caso, una quantità di calore adiabatica
pf Vfγ
log =0 (24.48)
pi Viγ
il che significa che l’argomento del logaritmo vale 1
e cioè che
dov’è l’auto non si muoverebbe. Lo stesso vale per tro e ∆L il lavoro svolto dalla macchina o fatto dal-
una pompa: una volta introdotta l’aria nella ruota l’esterno nei confronti della macchina. Se ∆Q > 0
di una bicicletta, se non si riporta lo stantuffo nella la macchina assorbe calore da qualcosa che si tro-
posizione originale non si riesce a continuare a fare va all’esterno della macchina (che deve quindi avere
del lavoro. una temperatura Tc maggiore di quella della mac-
Le macchine che c’interessa studiare dunque so- china). Se ∆Q < 0 la macchina cede calore all’am-
no le macchine cicliche. Una macchina ciclica è biente che la circonda: pertanto la temperatura Tf
qualcosa che si trova in un particolare stato all’i- di questo dev’essere minore di quella della macchi-
nizio, svolge un qualche tipo di lavoro cambiando il na. È evidente che dev’essere Tc > Tf altrimenti la
proprio stato e ritorna nello stato iniziale. Una mac- macchina non potrebbe prendere calore dalla sor-
china reale non torna mai esattamente nello stesso gente a temperatura Tc e cederla alla sorgente1 a
stato di partenza (quanto meno si usura un po’, si temperatura Tf . Prendendo calore dalla sorgente a
scalda, etc.). Ma noi possiamo sempre immagina- temperatura Tc deve portare la sua temperatura T
re di poter costruire macchine capaci di farlo, an- a un valore T + ∆T , con ∆T < Tc . Per poter cede-
che se non saremo mai capaci di realizzarle davve- re calore alla sorgente a temperatura Tf dev’essere
ro. Eventuali limitazioni di tipo tecnologico hanno T + ∆T > Tf , cioè dev’essere Tc > ∆T > Tf − T e
poca importanza: prima o poi riusciremo a superar- quindi che Tc > Tf − T . In particolare, visto che T
le. Quello che c’interessa fare adesso è capire quali può solo essere positiva, Tc > Tf .
condizioni siamo obbligati a rispettare per realizza- Immaginiamo dunque di avere una macchina che
re una macchina ideale. Una macchina ideale, non compie un lavoro ∆L e che assorbe calore da una
reale, è un’approssimazione di una macchina reale sorgente a temperatura Tc , cedendone a una sor-
che da un lato ci semplifica la vita (possiamo trascu- gente a temperatura Tf . Chiamiamo ∆Qc il calo-
rare tutta una serie di effetti che si verificano sulle re scambiato con la sorgente a temperatura Tc e
macchine reali che sarebbero difficili da riprodurre ∆Qf quello scambiato con la sorgente a temperatu-
in un modello matematico), dall’altro ci dà indica- ra Tf . Una grandezza fisica di particolare interesse
zioni su quali sono i limiti di questi dispositivi: è è il rendimento η della macchina, definito come
chiaro che una macchina reale potrà solo avvicinar-
si a una ideale e se qualcosa è impossibile per una ∆L
η= (25.1)
macchina ideale a maggior ragione lo sarà per una ∆Qc
macchina reale. Da questo punto di vista una mac- che ci dice quanto lavoro ∆L riesce a svolgere la
china ciclica ideale è un qualunque sistema fisico che macchina a parità di calore assorbito ∆Qc . Ci pia-
può compiere un lavoro partendo da uno stato e tor- cerebbe, infatti, disporre di una macchina che possa
nando, passando per una sequenza di stati diversi, svolgere lavoro senza prendere calore dall’esterno!
a questo. In particolare un gas in un recipiente sot- Se una macchina del genere esistesse potremmo far
toposto a trasformazioni cicliche si può considerare andare un’automobile senza bruciare carburante, o
una macchina tra le piú semplici, dal momento che sollevare pesi con una gru senza un motore o pom-
il suo stato dipende esclusivamente dalla tempera- pare aria in una ruota senza sudare. D’altra parte,
tura e non dalla posizione dei suoi costituenti. Una a parità di carburante bruciato o di fatica fatta, la
tale macchina si chiama macchina termica e rap- macchina ha un’efficienza piú alta se il lavoro svolto
presenta un utile strumento per capire le proprie- è maggiore. Alla luce del primo principio abbiamo
tà delle macchine, perché particolarmente semplice, che
senza complicazioni di alcun genere. Chiamiamo sorgente un qualunque sistema la cui
1
Il primo principio della termodinamica afferma temperatura sia fissata, sia che assorba che ceda calore.
che ∆U = ∆Q − ∆L dove ∆Q è il calore che la
macchina assorbe da qualcosa o cede a qualcos’al-
sfruttare per sollevare, appunto, dei pesi. Per uti- Questo ciclo si chiama Ciclo di Carnot2 ed è
lizzare nuovamente, con un altro peso, questa mac- particolarmente importante perché rappresenta il
china dobbiamo riportarla nella condizione iniziale. ciclo piú semplice possibile con il quale si può pro-
Peccato che per farlo dobbiamo compiere nei con- durre lavoro. Tutti gli altri cicli reversibili si possono
fronti del gas un lavoro pari a pAh (dobbiamo cioè sempre pensare come somma di cicli di Carnot. Im-
esercitare una forza uguale e contraria a quella pro- maginiamo infatti un ciclo qualsiasi, che sul piano di
dotta dal gas pA per un tratto lungo h). Ma dal Clapeyron assume una forma qualunque: ogni trat-
momento che pA = −mg i due lavori (quello fatto to del ciclo si può sempre pensare decomposto in
dal gas e quello fatto da noi per riportare il gas nello un tratto di isoterma seguito da un tratto di adia-
stato iniziale) sono identici, ma con segno diverso, batica, purché questi tratti siano sufficientemente
per cui il lavoro netto compiuto dal sistema in un brevi. Il perimetro del ciclo dunque è formato da
ciclo è nullo. In definitiva la macchina è stata inuti- una serie di isoterme e adiabatiche. L’intera super-
le: potevamo fare il lavoro di sollevare il peso invece ficie del ciclo, a questo punto, si può ricoprire con
di fare quello di abbassare il pistone. Il risultato cicli di Carnot opportuni. Il lavoro compiuto dalla
sarebbe stato lo stesso. macchina che compie quel ciclo è quindi equivalen-
Perché la macchina sia utile dobbiamo per for- te al lavoro compiuto da piú macchine di Carnot i
za operare tra almeno due temperature Tc e Tf . In cui cicli ricoprano completamente quello della no-
questo caso la macchina piú semplice che possiamo stra macchina. Analizzando dunque le proprietà di
costruire deve passare da uno stato A a uno stato B un ciclo di Carnot troveremo le proprietà generali
percorrendo un’isoterma a temperatura Tc (la mac- di ogni ciclo.
china in questione potrebbe essere la stessa impie- Nel caso di un ciclo reversibile come quello di Car-
gata nell’esempio precedente allo scopo di sollevare not, il calore è scambiato solo durante le trasforma-
un peso). Per tornare da B ad A siamo però co- zioni isoterme (nelle adiabatiche non c’è scambio di
stretti a passare da uno stato a temperatura diversa calore). Evidentemente il calore è assorbito duran-
(quindi, prima di comprimere il gas, dovremmo ab- te l’espansione isoterma che avviene a temperatura
bassarne la temperatura in qualche modo). Un’altra Tc e ceduto nel corso della compressione isoterma a
isoterma a temperatura Tf < Tc sarebbe rappresen- temperatura Tf . Nelle isoterme la temperatura non
tata sul piano di Clapeyron da un ramo d’iperbole varia perciò ∆U = 0, quindi ∆Q = ∆L. Il lavoro
piú vicino all’asse delle ascisse e non incontrerebbe fatto durante l’espansione a temperatura Tc vale
mai il ramo d’iperbole della prima isoterma. L’unico
modo di connettere questi stati tra loro consiste nel VB
∆Lc = nRTc log = ∆Qc (25.5)
fare una prima trasformazione che porta il gas dallo VA
stato B a uno stato C in cui la temperatura passi mentre quello fatto nel corso della compressione a
da Tc a Tf , fargli percorrere un’isoterma fino a uno temperatura Tf (che è negativo), vale
stato D da cui si raggiunge nuovamente lo stato A
(dopo aver compresso il gas dovremmo quindi riscal-
VC
darlo). Nei tratti BC e DA non si deve scambiare ∆Lf = −nRTf log = −∆Qf (25.6)
VD
calore con nessun’altra sorgente se vogliamo averne
solo due, perciò queste trasformazioni devono essere Pertanto possiamo scrivere il rendimento come
adiabatiche. Il lavoro fatto da questa macchina è
rappresentato dall’area racchiusa nella porzione di V
Tf log VDC
piano di Clapeyron delimitata dalle trasformazioni η =1− . (25.7)
Tc log VVB
passanti per ABCD. A
I rapporti tra i volumi sono determinati dal fatto T = 0 K. Quando la mettiamo in contatto con la no-
che VB e VC , cosí come VD e VA sono punti rag- stra macchina, questa deve cedergli calore e questo
giunti nel corso di un’espansione e una compressione non può che innalzare la sua temperatura, anche se
adiabatica, per cui per essi vale l’equazione di pochissimo. Se però Tf 6= 0 il rendimento è η < 1
e da questo momento in poi la macchina funzionerà
T V γ−1 = const (25.8) in questo regime. Nel caso in cui Tf = Tc , inoltre,
si vede subito che η = 0, ma questo lo sappiamo
quindi possiamo scrivere che
già perché in questo caso la macchina non fa lavoro
(utile).
TA VAγ−1 = TD VDγ−1 (25.9)
Una macchina di Carnot efficiente deve lavora-
e che re tra due temperature molto diverse tra loro, in
modo tale che il rapporto Tf /Tc sia il piú picco-
TB VBγ−1 = TC VCγ−1 . (25.10) lo possibile, ma in ogni caso questo rapporto sarà
Dividendo membro a membro queste equazioni si strettamente maggiore di zero e cosí il rendimento
trova che sarà strettamente minore di uno.
Tutte le macchine reversibili, per quanto detto so-
pra, si possono sempre rappresentare come macchi-
γ−1 γ−1
TB VB TC VC
= (25.11) ne che compiono una serie di cicli di Carnot, perciò
TA VA TD VD
il loro rendimento si scrive sempre come
ed essendo TA = TB e TC = TD si ottiene che
Tf
VB VC η =1− . (25.14)
= . (25.12) Tc
VA VD
Le macchine irreversibili, invece, non possono
Scopriamo cosí che gli argomenti dei logaritmi a nu- che fare meno lavoro di quelle reversibili: per loro
meratore e denominatore nella formula che dà il ren- dunque vale la relazione
dimento di questa macchina sono uguali. Quindi lo
sono anche i loro logaritmi e il loro rapporto fa sem- Tf
η 61− (25.15)
plicemente 1. Di conseguenza il rendimento si scrive Tc
come
È utile osservare che questa relazione vale per ogni
Tf macchina. Ogni macchina, anche se non è una mac-
η ≡1− . (25.13) china termica, deve rispettare il primo principio del-
Tc
la termodinamica per cui nel caso in cui ∆Q = 0,
Si vede subito che, dovendo essere Tc > Tf , η è sem-
può compiere lavoro solo se cambia la sua energia
pre minore di 1 e maggiore di zero. Questo significa
interna. Ma se la macchina fosse perfetta e la sua
che non si può fare una macchina che trasformi in
temperatura non cambiasse nel corso del ciclo che
lavoro tutto il calore assorbito, per la quale η = 1.
produce lavoro, la variazione di energia interna non
Questo sarebbe possibile solo se Tc tendesse all’infi-
potrebbe che derivare da una variazione dell’energia
nito: in quest’ultimo caso il rapporto Tf /Tc tende-
potenziale dei suoi costituenti: questo significa che
rebbe a zero e η a uno. Il prezzo da pagare è che
l’organizzazione interna della macchina cambiereb-
occorre mettere in contatto la macchina con una
be nel tempo. Prima o poi, dunque, i costituenti di
sorgente a temperatura infinita, il che evidentemen-
questa macchina occuperanno posizioni relative di-
te non è possibile. A ben guardare anche nel caso
verse da quelle iniziali e di conseguenza la macchina
in cui Tf = 0 il rendimento sarebbe uguale a uno.
non potrà mai tornare nelle condizioni di partenza
Ma anche questo è impossibile. Infatti, supponiamo
(a meno che non si fornisca calore o si faccia nei
di riuscire a realizzare una sorgente a temperatura
confronti della macchina un lavoro per riportare i che si può tradurre dicendo che il rapporto tra il
suoi costituenti nelle posizioni iniziali). calore scambiato in una trasformazione, diviso per
Questa scoperta, avvenuta alla fine del XVIII se- la temperatura alla quale avviene la trasformazio-
colo, decretò la fine delle ricerche che avevano lo ne è costante (evidentemente, qualunque sia la tra-
scopo di realizzare il moto perpetuo, cioè di un sformazione, si può sempre dividere in un numero
motore che potesse funzionare per sempre senza es- arbitrario di passi abbastanza piccoli da poter consi-
sere ricaricato in qualche modo e senza l’apporto di derare costante la temperatura in ciascuno di essi).
carburanti o di altre fonti esterne. Al rapporto ∆S = ∆Q/T si dà il nome di entropia
o, meglio, variazione di entropia, intendendo che
il rapporto in questione si può definire per una tra-
25.3 Entropia sformazione che porta una macchina da uno stato A
a uno stato B durante la quale la macchina assorbe
Il rendimento di una qualunque macchina è, per de-
o cede una quantità di calore ∆Q. Se la macchina
finizione, il rapporto tra il lavoro ∆L che riesce a
non cambia stato la sua variazione di entropia è evi-
fare e la quantità di calore ∆Qc che si deve fornire
dentemente nulla, cosí come è nulla la variazione di
dall’esterno per farla funzionare:
entropia nel corso di una trasformazione adiabatica
(essendo ∆Q = 0). Per un ciclo reversibile la som-
∆L ∆Qc − ∆Qf ∆Qf ma delle variazioni di entropia è nulla. Infatti, se il
η= = =1− . (25.16)
∆Qc ∆Qc ∆Qc rapporto ∆Q/T è costante allora
Per ogni macchina vale anche che ∆Qc ∆Qf
− = 0. (25.22)
Tf Tc Tf
η 61− (25.17)
Tc Questo risultato si può scrivere nella forma
e quindi si deve avere che X ∆Qi
= 0, (25.23)
∆Qf Tf Ti
1− 61− , (25.18) i
∆Qc Tc
dove i segni di ∆Qi si prendono secondo le usuali
da cui segue che convenzioni (positivo se il calore entra nella mac-
∆Qf Tf china, negativo se esce). Se la variazione di entropia
> . (25.19) in una trasformazione ciclica è nulla, come sempre
∆Qc Tc
questo significa che l’entropia è una funzione di
Possiamo anche scrivere questa relazione nella
stato: dipende cioè solo dallo stato della macchina
forma
e non dal particolare modo in cui tale stato è stato
∆Qf ∆Qc raggiunto. Di conseguenza la variazione di entropia
> . (25.20) dipende solo dagli stati iniziale e finale e non dalla
Tf Tc
particolare trasformazione subíta dalla macchina.
Per le macchine cicliche irreversibili, dal momento
25.4 Il secondo principio della che
termodinamica ∆Qf Tf
> , (25.24)
Per le macchine reversibili evidentemente vale la ∆Qc Tc
relazione di uguaglianza vale che, in un ciclo,
Possiamo riscrivere la relazione come cazioni sulle possibilità di realizzare macchine effi-
cienti. In primo luogo quella appena enunciata è una
∆Qc ∆Qf legge fisica fondamentale che deriva da una teoria:
− 6 0, (25.26)
Tc Tf la stessa seconda legge di Newton per cui a = m F
non
cioè che è altrettanto fondamentale, perché in fondo non fa
altro che tradurre in termini formali un’osservazione
X ∆Qi
6 0. (25.27) sperimentale. Il secondo principio della termodina-
i
Ti mica invece, pur prendendo le mosse da osservazio-
ni sperimentali (e non potrebbe essere altrimenti),
In questo caso, evidentemente, il rapporto ∆Q/T
deriva dall’analisi delle proprietà matematiche del
non è una funzione di stato (in una trasformazio-
rapporto ∆L/∆Qc . Il risultato, cioè, non è diret-
ne ciclica la somma di questi rapporti non è nulla, il
tamente deducibile dall’esperienza. L’altro motivo
che significa che la somma dipende dalla particolare
per cui questo risultato assume un’importanza par-
trasformazione fatta).
ticolare è che stabilisce la direzione nella quale flui-
Dal momento che per una trasformazione cicli-
sce il tempo: quella in cui l’entropia dell’Universo
ca reversibile ∆S = 0 possiamo sostituire a zero il
aumenta! Vale la pena fare due precisazioni.
simbolo ∆S e scrivere che
X ∆Qi 1. La variazione di entropia per portare un qua-
6 ∆S , (25.28) lunque sistema da uno stato A a uno stato
Ti
i B 6= A si può calcolare scegliendo una o piú
cioè che trasformazioni reversibili qualunque che porti-
X ∆Qi
∆S > . (25.29) no il sistema dallo stato A allo stato B, indi-
i
Ti pendentemente dalla trasformazione che il si-
Se però ∆S è una funzione di stato, la stessa relazio- stema ha effettivamente subíto e indipenden-
ne vale qualunque sia la trasformazione. Se quindi temente dal fatto che la trasformazione sia o
si prende una qualunque trasformazione che porta meno reversibile.
la macchina da uno stato A a uno stato B 6= A, 2. La variazione di entropia di un sistema può es-
possiamo scrivere che sere sia positiva che negativa (in un sistema
l’entropia può quindi aumentare o diminuire),
X ∆Qi
∆SA→B > , (25.30) ma non può essere negativa (l’entropia non può
Ti diminuire) se il sistema è isolato.
i A→B
intendendo che la somma va estesa a tutte le por- Il sistema isolato per eccellenza è l’Universo,
zioni di trasformazione che portano il sistema da il quale non può scambiare calore o fare lavo-
A a B. La somma sulla destra prende il nome di ro con nient’altro, perciò possiamo affermare che
integrale di Clausius, dal nome di Rudolf Clau- l’entropia dell’Universo può solo aumenta-
sius che coniò il termine di entropia per il rapporto re. Nei paragrafi che seguono calcoliamo la varia-
∆Q/T . zione di entropia di alcuni sistemi notevoli, per
La conseguenza è che in un sistema isolato, che prendere confidenza con questa grandezza fisica, le
non scambia calore con l’esterno, ∆Qi = 0 e quindi cui dimensioni sono quelle di un’energia diviso una
∆S > 0, cioè la variazione di entropia non è mai temperatura e che perciò si misura in J/K.
negativa o, il che è lo stesso, l’entropia non può che Prima però osserviamo che lo studio del rendi-
aumentare. Questo risultato prende il nome di se- mento dei motori ci ha portato a una conclusio-
condo principio della termodinamica ed è par- ne estremamente importante: l’entropia dell’intero
ticolarmente importante, non soltanto per le impli- Universo non può mai diminuire. Questo fissa, in un
certo senso, la direzione nella quale scorre il tempo: entropia diminuisce. Questo non è in contraddizio-
i processi si possono svolgere soltanto se portano a ne con il fatto che l’entropia complessiva dell’Uni-
un aumento dell’entropia dell’Universo. Se la varia- verso deve aumentare: se l’entropia di una parte
zione di entropia di un determinato processo porta dell’Universo (quella costituita dal sistema in esa-
l’entropia dell’Universo a diminuire, quel processo è me) diminuisce, l’entropia del resto dell’Universo
vietato. deve aumentare in modo tale che complessivamen-
Trattandosi della conseguenza di una teoria, il se- te l’entropia dell’Universo aumenti (o al piú resti
condo principio va messo alla prova eseguendo una costante).
serie di esperimenti i cui risultati si devono poter Un caso particolarmente semplice si ha quando si
predire in base a questa teoria. Vediamo quindi una provoca la solidificazione di una quantità m di acqua
serie di esperimenti che si possono condurre per che si trasforma in ghiaccio. Perché possa avveni-
verificare quanto sopra. re questo fenomeno è necessario sottrarre all’acqua
una quantità di calore ∆Q = λm, dove λ è il calo-
25.4.1 Passaggi di calore a volume re latente di solidificazione. Durante il processo la
temperatura T resta costante e pari a T = 273 K
costante circa. La variazione di entropia dell’acqua dunque
Quando un sistema è scaldato, la sua temperatura vale
passa dal valore iniziale Ti a un valore finale Tf > Ti
λm
in seguito all’assorbimento di una certa quantità di ∆S = − (25.33)
calore ∆Q che si può scrivere come ∆Q = C∆T T
dove C è la capacità termica del sistema. Se il siste- dove il segno − indica che all’acqua si sta sottraendo
ma è un solido o un liquido C = mc con c pari al calore. Quando il ghiaccio si scioglie, invece, acqui-
calore specifico della sostanza di cui è formato. Nel sta calore perciò la sua variazione di entropia sarà
caso dei gas perfetti C = ncV = 32 nR. La variazio- la stessa, ma positiva:
ne di entropia subita dal sistema la possiamo percò λm
scrivere come ∆S = . (25.34)
T
X ∆Q X C∆T Nei processi che abbiamo descritto la variazione di
∆S = = . (25.31) entropia del sistema che consideriamo può essere sia
T T
i i
positiva che negativa, perché il sistema non è mai
Dal momento che durante la trasformazione la tem- isolato (altrimenti non potrebbe scambiare calore
peratura cambia, non possiamo calcolare banalmen- con l’esterno). D’altra parte il ghiaccio si scioglie
te la somma a destra dell’equazione. L’analisi ma- solo se è in contatto termico con qualcosa a tem-
tematica permette di eseguire il calcolo che, come peratura maggiore, come l’aria, ad esempio. La va-
risultato, dà riazione di entropia dell’aria sarà ∆Q/Taria , ma dal
momento che Taria > T e che resta praticamente
Tf
∆S = C log . (25.32) costante, mentre ∆Q = λm dev’essere pari a quella
Ti
necessaria per sciogliere il ghiaccio, si vede subito
Poiché Tf > Ti il logaritmo è positivo, cosí come la che
variazione di entropia (sia che si tratti di un solido,
di un liquido o di un gas).
Se invece di riscaldare il sistema lo raffreddia- ∆SU = ∆Sghiaccio + ∆Saria
mo quello che succede è che non cambia l’espres- (25.35)
1 1
sione della variazione di entropia, ma il suo segno = λm − > 0 .
T T aria
sí. Quando si raffredda un sistema, dunque, la sua
Consideriamo ora un sistema completamente isola- e si vede subito che il numeratore è maggiore del
to, che non scambia calore con altri sistemi né com- denominatore, perciò l’argomento del logaritmo è
pie lavoro, come una coppia di oggetti a temperatu- maggiore di uno e la variazione di entropia com-
ra diversa Tc e Tf con Tc > Tf . Se posti a contatto, plessiva è positiva: ∆SU > 0, come ci aspettavamo3 .
i due oggetti raggiungono la stessa temperatura di L’entropia diminuirebbe solo se Tc aumentasse e Tf
equilibrio T . Se, per semplicità, i due oggetti sono diminuisse e cioè se il corpo freddo diventasse piú
uguali e fatti dello stesso materiale la loro capacità freddo e quello caldo piú caldo. Vale la pena notare
termica è la stessa e che un caso come questo non sarebbe vietato dal-
le altre leggi fisiche, incluso il primo principio del-
Tc + Tf la termodinamica. Nulla vieta, infatti, che il calore
T = . (25.36)
2 si propaghi dai corpi freddi a quelli caldi rendendo
La variazione di entropia dell’oggetto inizialmente quelli freddi ancor piú freddi! In effetti la propaga-
piú freddo è positiva e vale zione del calore da un corpo all’altro avviene perché
le parti di cui è composto un corpo caldo si muovono
T
∆Sf = C log (25.37) piú rapidamente di quelle di cui è composto un cor-
Tf po freddo. Se le parti del corpo caldo urtano quelle
(T > Tf , quindi il logaritmo è positivo) mentre del corpo freddo possono trasferire energia cinetica
quella dell’oggetto inizialmente piú caldo è negativa, a queste ultime, riscaldandolo. Ma potrebbe anche
perché T < Tc e vale succedere che nell’urto sia la particella del corpo
caldo a sottrarre energia da quella del corpo freddo,
T provocandone un abbassamento della temperatura.
∆Sc = C log . (25.38)
Tc Questo processo non è vietato da alcuna legge fisica,
La variazione di entropia totale ∆SU (dell’Univer- purché l’energia totale si conservi! L’unica legge che
so, diremmo) è la somma delle due variazioni di impone che i corpi freddi si scaldino a contatto con
entropia: quelli caldi è quella che abbiamo trovato in questo
capitolo e cioè che in ogni trasformazione l’entropia
dell’Universo deve necessariamente aumentare o, al
T T
∆SU = ∆Sc + ∆Sf = C log + log piú, restare costante.
Tc Tf
T2
= C log 25.5 L’espansione irreversibile
Tc Tf
(25.39) di un gas
dove abbiamo sfruttato la proprietà dei logaritmi
per cui la somma dei logaritmi è il logaritmo del Abbiamo già osservato che, aprendo la lattina di
prodotto. Sostituendo nell’espressione sopra trovata una bibita gassata, il gas contenuto nella lattina si
quella di T abbiamo che espande rapidamente uscendo dalla lattina e non
succede mai che dell’aria penetri nella lattina au-
(Tc + Tf )2
∆SU = C log . (25.40) mentando la quantità di gas presente all’interno. In
4Tc Tf effetti, quando si apre una lattina, il gas passa da
Se poniamo Tc = Tf + δ, l’argomento del logaritmo uno stato di equilibrio in cui pressione e volume sono
si scrive come tali per cui vale
Vale la pena osservare che per δ = 0 l’argomento del
3
2
4Tf2 + 4Tf δ + δ 2 logaritmo vale 1 e quindi la variazione di entropia è nulla.
(2Tf + δ)
= (25.41)
4 Tf2 + δTf 4Tf2 + 4Tf δ
V = const
mente. Nel volgere di alcuni secondi il gas, fuoriu- T
=
scendo dalla lattina, raggiunge l’equilibrio termico 200 co
ns
con l’aria circostante. Supponiamo di realizzare l’e- t
sperimento con una lattina tirata fuori da un frigo- 100 ∆Q
rifero a T = 4◦ C, pari a T ' 277 K. In una tipica =
0
lattina da 33 cl ci sono circa4 n = 0.05 moli di CO2 , 0
perciò la pressione del gas è pari a 0 1 V × 103 (m3 )
che, grazie alle proprietà dei logaritmi, diventa e quindi, scrivendo che log ab = b log a, come
3
Vf 3 pf 3 pf 5 Vf
∆S = nR 1 + log + nR log , (25.61) ∆S = nR log + nR log (25.67)
2 Vi 2 pi 2 pi 2 Vi
che è esattamente quanto abbiamo ottenuto all’e- che è ancora uguale all’equazione (25.51).
quazione (25.51), come del resto dovevamo aspet- In generale, quando si deve valutare una varia-
tarci sapendo che l’entropia è una funzione di sta- zione di entropia, proprio allo scopo di semplificare
to la cui variazione dipende solo dagli stati ini- i calcoli, si sceglie una trasformazione che porti il
ziale e finale e non dalla particolare trasformazio- sistema dallo stato iniziale a uno stato con il volu-
ne fatta. È evidente, a questo punto, che lo stes- me finale attraverso un’adiabatica (in modo tale che
so risultato dobbiamo ottenerlo nel caso della ter- in questo tratto la variazione di entropia sia nulla).
za serie di trasformazioni: un’adiabatica seguita da Quindi si valuta la pressione raggiunta imponendo
un’isocora. In questo caso, poiché durante l’adiaba- che pV γ resti costante e, a questo punto, basta scri-
tica non si scambia calore, la variazione di entro- vere la variazione di entropia provocata dalla tra-
pia ∆SA = 0 e basta calcolare solo quella derivante sformazione isocora che porta il sistema nello stato
dalla trasformazione isocora, che è sempre finale dato.
3 pf
∆SV = nR log . (25.62) 25.6 Interpretazione microsco-
2 pi
Qui la pressione iniziale p è quella che il gas avrebbe pica dell’entropia
raggiunto se avesse subíto la trasformazione adiaba-
tica partendo dallo stato (pi , Vi ). Dal momento che Come già abbiamo accennato all’inizio di questo
durante un’espansione adiabatica il prodotto pV γ , capitolo, se riprendiamo con una telecamera certi
con γ = cp /cv = 5/3 resta costante, abbiamo che processi elementari come l’urto tra due bocce o l’o-
scillazione di un pendolo, questi processi appaiono
γ
pVf = pi Viγ
(25.63) del tutto plausibili sia se osservati in avanti che al-
l’indietro: questo riflette la perfetta simmetria del-
da cui si ottiene le leggi fisiche che li governano che sono identiche
γ se si cambia il segno della variabile tempo. Si dice
Vi
p = pi (25.64) che le leggi fisiche sono invarianti per inversioni
Vf temporali.
che, sostituita al posto di pi dell’equazione che ci dà Altri processi, però, non hanno la stessa caratte-
∆SV conduce al risultato ristica: se osservassimo all’indietro il filmato dello
scioglimento di un cubetto di ghiaccio, del raffred-
5 damento di un corpo caldo posto a contatto con un
3 pf V f 3
∆S = ∆SV = nR log . (25.65) corpo freddo o della fuoriuscita di anidride carboni-
2 pi V i ca da una lattina appena stappata, ci accorgerem-
mo immediatamente del fatto che quei processi non
Grazie alle proprietà dei logaritmi possiamo
appaiono affatto plausibili!
riscrivere quest’equazione come
La differenza rispetto ai processi elementari sopra
illustrati sta nel fatto che nel primo caso i protagoni-
3 pf 3
35
Vf sti dei filmati si possono considerare come particelle
∆S = nR log + nR log (25.66) puntiformi, almeno entro certi limiti, mentre nel ca-
2 pi 2 Vi
so dei secondi non è cosí: il processo di scioglimento
(3e) (3f )
entrambe a destra, ma si possono anche disporre in
modo che la prima (quella blu in Fig. 25.3) sia a
sinistra e l’altra (rossa) a destra o viceversa.
S poi N = 3 ci sono ben otto modi in cui possia-
mo disporre le particelle nelle due porzioni in cui è
diviso il volume, come si vede dalla Fig. 25.4. (3g) (3h)
Molte di queste configurazioni (che chiameremo
microstati), però, sono del tutto equivalenti l’una Figura 25.4 Se le particelle sono tre esi-
all’altra perché le particelle che compongono il gas stono otto diverse disposizio-
ni.
sono tutte indistinguibili, quindi esistono configu-
razioni diverse che però producono gli stessi effetti
macroscopici. Ad esempio, quando si verifica il mi-
crostato (2a) di Fig. 25.3 possiamo pensare, se la In questo caso sono tre le configurazioni che pro-
pressione esercitata sulle pareti della scatola è pro- ducono effetti macroscopici diversi, ma una si può
porzionale al numero di particelle in vicinanza di verificare in due modi diversi, quindi ha il doppio di
ciascuna parete, che la pressione sul lato sinistro probabilità di verificarsi rispetto alle altre due. Una
della scatola, esercitata dalle particelle presenti, sia cosa simile accade quando le particelle sono tre: il
maggiore rispetto a quella esercita sul lato destro; microstato (3a) e quello (3b) dànno origine a due
nel caso (2b) sarà maggiore la pressione sul lato de- macrostati diversi (pressione maggiore a sinistra e a
stro rispetto al lato sinistro, mentre nei casi (2c) e destra, rispettivamente); i macrostati da (3c) a (3e)
(2d) la pressione sarà la stessa in entrambi i casi. sono tutti equivalenti (la pressione a sinistra è 2/3
Se coloriamo le palline che rappresentano le singole di quella a destra) cosí come quelli da (3f ) a (3h).
particelle nello stesso modo si vede subito quali so- Ci sono quindi quattro macrostati diversi.
no i microstati tra loro equivalenti, che producono, Proseguendo nell’esercizio si vede che il numero
cioè, gli stessi macrostati. La Figura 25.5 mostra di modi in cui possiamo disporre quattro particelle
le stesse configurazioni di Fig. 25.3, ma impedendo è 16, con N = 5 avremmo 32 possibili combinazioni
di distinguere le singole particelle l’una dall’altra. e così via. In effetti il numero di microstati possibili
A questo punto è evidente che, a meno di una co- stati che dànno luogo a un aumento è sempre molto
stante pari alla costante di Boltzmann ∆s è pro- maggiore rispetto a quello degli stati che portano
prio la variazione di entropia del sistema: kB ∆s = a una diminuzione dell’entropia. Il motivo per cui
∆S e quindi possiamo affermare che la variazione di i processi procedono in un solo verso nel tempo è
entropia di un sistema è una misura (un po’ stra- dunque puramente statistico: l’aria in una stanza
na, ma pur sempre una misura) di quanto varia il ne occupa tutto il volume semplicemente perché è
numero di possibili modi in cui si possono disporre improbabile che ne occupi solo la metà.
le particelle di cui è composto. Se l’entropia aumen- Lo si può vedere subito considerando i macro-
ta significa che il numero di modi in cui si possono stati del nostro gas di 2 o 3 particelle, illustrati
disporre le particelle di cui è composto il sistema nelle Figure 25.5 e 25.6. Nel primo caso gli stati
che stiamo esaminando aumenta. In un gas con un in cui il gas occupa il volume uniformemente erano
certo volume V ciascuna delle N particelle di cui due su quattro, ma già nel secondo gli stati in cui
è composto può occupare uno qualunque dei volu- la distribuzione delle particelle è piú uniforme sono
metti v = V /N in cui possiamo dividere il volu- sei su otto. Non è difficile immaginare che all’au-
me totale (se il gas fosse ideale tutte le particelle mentare delle particelle la probabilità di raggiun-
potrebbero anche stare nello stesso volumetto). Al- gere uno stato macroscopico piú uniforme aumenta
l’aumentare del volume aumenta anche il numero di vertiginosamente.
volumetti a disposizione e quindi aumentano le pos-
sibili scelte che le particelle possono fare per andare
a disporsi dentro il volume V . Quando invece un 25.7 La media e la varianza di
corpo si scalda, le particelle di cui è composto co- una distribuzione
minciano a muoversi piú rapidamente. Questo moto
non è un moto ordinato: alcune particelle avranno Uno degli errori piú frequenti in statistica consiste
un’energia cinetica maggiore rispetto a quella me- nel ritenere che se una variabile casuale ha una cer-
dia, altre l’avranno minore. Piú è grande l’energia ta distribuzione, la somma di queste variabili avrà
cinetica media (e quindi la temperatura), maggiore la stessa distribuzione. Per esempio, se lanciamo un
è l’ampiezza della distribuzione di energie cinetiche, dado abbiamo la stessa probabilità di ottenere un
quindi all’aumentare della temperatura aumentano punteggio compreso tra 1 e 6 e possiamo afferma-
le possibilità di ciascuna particelle di occupare uno re che la probabilità di ottenere il punteggio i, con
stato con una determinata velocità e di conseguen- i = 1, . . . , 6 è pi = 61 . Se chiamiamo xi il risultato
za aumenta l’entropia. In sostanza l’entropia misura ottenuto con il lancio i-esimo, contiamo il numero
il grado di disordine di un sistema: piú il sistema di volte N (i) che si ottiene il punteggio i e ne fac-
è disordinato piú è alta l’entropia di quel sistema, ciamo un grafico in funzione dei possibili valori di
indipendentemente dalla natura del disordine. Per xi (che poi vanno da 1 a 6) otteniamo quella che si
questa ragione l’entropia è una funzione di stato: chiama una distribuzione uniforme: una distri-
che il sistema subisca un aumento di volume o un buzione per cui la probabilità che esca il valore i è
aumento di temperatura, il risultato è lo stesso e costante e pari a 1/n, quando n è il numero di pos-
cioè che il numero di stati (posizione e velocità) che sibili valori che può assumere i (nel caso del dado
le particelle possono occupare aumenta. n = 6). La Figura 25.7 è stata prodotta lanciando
La natura statistica dell’entropia spiega anche N = 1 000 volte un dado (non serve farlo realmente,
perché questa aumenta sempre nelle trasformazio- basta usare la capacità di un computer di genera-
ni spontanee: il fatto è che, in linea di principio, re numeri a caso). Come si vede la frequenza con
le trasformazioni spontanee possono avvenire sia un la quale si presenta ciascun risultato è abbastan-
senso (quello dell’aumento dell’entropia) che nell’al- za costante (le fluttuazioni che si osservano sono di
tro (quello della sua diminuzione), ma il numero di
200 200
150 150
100 100
50 50
0 0
0 1 2 3 4 5 6 7 0 2 4 6 8 10 12 14
Figura 25.7 I lanci di un dado seguono Figura 25.8 I lanci di due dadi seguono
una distribuzione uniforme. una distribuzione triangola-
re.
crescere di N ).
Se ora, invece di lanciarne uno, di dadi ne lancia- 80
20 N σ σ/(b − a)
1 1.7 0.28
15 2 2.4 0.20
10 5.2 0.09
10 1 000 17 0.03
Tavola 25.1 I valori della deviazione stan-
5
dard delle distribuzioni di
1 000 lanci di N dadi. Nel-
0
l’ultima colonna sono ripor-
1000 2000 3000 4000 5000 6000 tati i valori di σ divisi per
l’ampiezza dei possibili valori
Figura 25.10 I lanci di mille dadi seguo- (b − a).
no una distribuzione prati-
camente gaussiana.
può elettrizzare, ad esempio, con lana o altri tipi uno stato di carica il cui segno dipende da quello
di tessuto e può attrarre altre sostanze come l’ac- dell’oggetto che provoca la forza.
qua, i capelli, etc.. Usiamo carta solo perché è facile
procurarsela.
Per definire completamente lo stato di un pallon- 26.2 La misura della forza elet-
cino, quindi, oltre a posizione, velocità, temperatu- trica
ra, etc., se ne dovrebbe misurare lo stato elettri-
co: piú propriamente si dice lo stato di carica o Per misurare la forza elettrica o meglio elettrosta-
di carica elettrica. Un palloncino, in effetti, può tica possiamo procedere appendendo a sottili fili
trovarsi in uno stato nel quale il suo grado di elet- (che possiamo considerare privi di massa) due pal-
trizzazione è grande o piccolo: corrispondentemente loncini elettricamente carichi, disposti a distanza r
la sua capacità di attrarre altri oggetti è grande o l’uno dall’altro. Quello che si vede è che i fili, tra-
piccola. Diremo che è piú carico quando attrae fa- scinati dal moto dei palloncini che si respingono,
cilmente altri oggetti rispetto al caso in cui è meno formano ciascuno un angolo θ con la verticale.
carico che si verifica quando l’attrazione è meno Questo implica evidentemente che la forza con la
intensa. quale i palloncini si respingono debba agire lungo
Naturalmente dovremmo definire una procedura la congiungente i due palloncini e debba avere un
per la misura dello stato di carica di un pallonci- modulo F pari a
no, ma al momento rimandiamo quest’operazione a
quando saremo in grado di capirne di piú. Per il mo- Fe = P tan θ (26.1)
mento è sufficiente poter disporre in ordine crescente
dove P è il modulo della forza peso. Cambiando la
palloncini in diversi stati di carica.
distanza alla quale si trovano i palloncini possiamo
Se avviciniamo due palloncini elettricamente ca-
scoprire come cambia l’intensità della forza al varia-
richi possiamo osservare che i due palloncini tendo-
re di r. Naturalmente ci sarà una distanza oltre la
no a respingersi. Evidentemente due oggetti che
quale la forza sarà troppo piccola per poter essere
possiedono la stessa carica elettrica esercitano l’uno
misurata, ma possiamo assumere che l’andamento
sull’altro una forza di tipo repulsivo.
sia lo stesso per ogni distanza. Quel che si scopre
Esperimenti del tutto simili si possono fare, invece
è che se a una certa distanza la forza vale Fe (r), a
che con i palloncini in gomma, con una bacchetta di
distanza doppia vale Fe (2r) = Fe (r)/4 e triplicando
vetro. Anche in questo caso, le bacchette avvicinate
la distanza Fe (3r) = Fe (r)/9. In sostanza vediamo
a pezzetti di carta li attirano e avvicinate tra loro
che
si respingono.
Se però si avvicinano un palloncino carico e una C
bacchetta carica si scopre che la forza che si ma- .
Fe = Fe (r) = (26.2)
r2
nifesta tra i due oggetti non è piú repulsiva, ma è La quantità a numeratore deve dipendere dallo sta-
attrattiva. to di carica che può essere positivo o negativo. Nel
Da questi esperimenti se ne conclude che esistono caso in cui sia positivo la forza deve risultare repul-
due distinti stati di carica: uno stato, che potrem- siva, altrimenti dev’essere attrattiva. Se r è un vet-
mo definire positivo e attribuire al vetro e uno, tore che ha come origine il corpo A e rappresenta
che definiremo negativo, raggiunto dalla gomma la distanza dal corpo B, la forza Fe che il corpo A
in seguito allo strofinamento. esercita sul corpo B quando A e B hanno lo stesso
Due oggetti con carica dello stesso segno si re- segno è
spingono, mentre se hanno carica opposta si at-
traggono. Evidentemente, quindi, gli oggetti attira- C
ti da entrambi devono in qualche maniera esibire Fe (r) = r̂ . (26.3)
r2
elettrica li chiameremo perciò isolanti. Tutti i ma- d’aria e altri possibili disturbi alterino il moto delle
teriali plastici sono isolanti. Lo è in una certa mi- lamine. Quel che abbiamo realizzato è un elettro-
sura anche la carta. Anche il legno, il sughero e la scopio o elettrometro (se graduato). Misurando
ceramica sono ottimi isolanti. infatti l’angolo formato dalle lamine (dette anche
I metalli, per contro, li chiameremo condutto- foglie da cui il nome elettroscopio a foglie dello
ri. Tutti i metalli risultano essere buoni conduttori. strumento) si può risalire alla forza che si esercita
Abbiamo già visto che se un isolante carico tocca tra le lamine e quindi alla quantità di carica presente
un conduttore quest’ultimo si carica. Se un condut- su di esse.
tore viene a contatto con un altro conduttore carico Osserviamo subito che la carica presente sulle fo-
si carica anch’esso. Anche se due isolanti vengono a glie dell’elettroscopio non è necessariamente uguale
contatto si caricano, ma la cosa avviene con maggio- a quella del corpo con il quale l’elettroscopio è stato
re difficoltà e in ogni caso la carica resta localizzata toccato. Questo, infatti, dopo l’operazione appare
nel punto di contatto (avvicinando un’altra carica spesso ancora carico. Possiamo però vedere che pas-
elettrica a un isolante si vede che in certi punti l’i- sando piú volte sull’elettroscopio con il corpo carico
solante risulta piú carico che ini altri). Nel caso dei e facendo in modo di esporne la maggior parte della
conduttori si osserva che questi ultimi si caricano superficie allo strumento, la carica trasferita aumen-
su tutta la loro superficie, anche se non necessaria- ta. Questo ci fa pensare che evidentemente le cariche
mente in modo uniforme. L’intensità della forza sull’isolante si spostano da questo al conduttore
elettrica che si misura in prossimità del conduttore nel quale sono libere di muoversi perché altrimenti
carico dipende dalla geometria del conduttore. non riuscirebbero a raggiungere le foglie dell’elet-
Questo suggerisce una maniera di misurare in mo- troscopio una volta trasferite dal corpo carico all’a-
do oggettivo le cariche elettriche, almeno quelle sui sta. Al contrario, nell’isolante le cariche non devono
conduttori. Facciamo passare attraverso un tappo di essere troppo libere di muoversi perché altrimenti
sughero (o di altro materiale isolante) un’asta me- non si spiega come mai, per caricare l’elettrosco-
tallica alla quale appendiamo due sottilissime lami- pio, bisogna strusciare il corpo carico sull’asta del-
ne metalliche. Toccando con un corpo elettricamen- l’elettroscopio anche piú volte e lungo tutta la sua
te carico la parte superiore dell’asta le lamine sem- superficie.
brano volersi allontanare l’una dall’altra. Evidente- Se si collega con un filo metallico l’asta di un elet-
mente la carica elettrica si trasferisce, parzialmente, troscopio scarico a uno carico si osserva che parte
sul conduttore che la distribuisce a tutte le sue parti della carica si trasferisce dallo strumento carico a
e raggiunge quindi le lamine. Queste si caricano en- quello scarico. In pratica i due strumenti e il filo
trambe dello stesso segno e quindi si manifesta tra insieme costituiscono un unico conduttore, anche
loro una forza repulsiva che tende ad allontanarle. perché continuando a toccare uno dei due con un
Al fine di favorire il processo le lamine devono esse- corpo elettricamente carico, entrambi gli elettrosco-
re leggerissime, in modo che la forza peso non possa pi mostrano un aumento della propria carica elet-
opporsi troppo al moto indotto dalle forze elettriche. trica. Una conferma che nei conduttori le cariche
Inoltre il contatto tra queste e l’asta dev’essere am- elettriche sono libere di muoversi e in genere lo fan-
pio e ben saldo. La superficie di contatto tra l’asta no, almeno fino a quando qualche forza non glielo
e l’oggetto carico che trasferisce parte della propria impedisce.
carica a questo strumento dev’essere la piú ampia Se cosí è possiamo interpretare il fatto che i metal-
possibile perciò conviene corredare questo strumen- li si scaricano se toccati col fatto che anche il nostro
to da un’ampia piastra metallica in contatto con corpo è conduttore e lo dev’essere anche la Terra
l’asta. La porzione di asta che sta sotto il tappo intera. Quando tocchiamo l’asta di un elettroscopio
isolante, che serve da supporto, è meglio che stia in carico questo si scarica immediatamente, perdendo
un barattolo chiuso, in modo da evitare che correnti tutta la sua carica. Evidentemente quel che succede
è che la carica elettrica dell’elettroscopio si ridistri- particelle, alcune delle quali elettricamente cariche.
buisce sull’unico conduttore formato dall’elettrosco- Se la carica elettrica complessiva delle particelle po-
pio, il nostro corpo e la Terra stessa. Usando due sitive è uguale e contraria a quella complessiva delle
elettroscopi si vede facilmente che quello piú gran- particelle negative il corpo appare neutro. Attraver-
de in genere presenta una carica maggiore (le foglie so il contatto una parte delle cariche negative di uno
si dispongono a formare un angolo piú ampio). La dei due corpi potrebbe passare nell’altro lasciando
Terra è infinitamente piú grande del resto e quin- un eccesso di carica positiva nel primo. I due corpi
di praticamente tutta la carica finisce nel pianeta e quindi potrebbero caricarsi l’uno di carica negati-
abbandona l’elettroscopio. A conferma di ciò si può va e l’altro di carica positiva semplicemente perché
ripetere l’esperimento indossando scarpe isolanti o le cariche elettriche totali non sono piú bilanciate.
salendo su uno sgabello di plastica: l’elettroscopio, Questo è confermato dal fatto che in genere, attra-
toccato con un dito, non si scarica (o meglio, perde verso il contatto, entrambi gli isolanti si caricano
solo parte della propria carica elettrica). elettricamente e si caricano di carica opposta. Da-
Quando un oggetto è collegato elettricamente ta la diversa efficienza con la quale queste cariche si
alla Terra (cioè connesso a questa attraverso un con- possono misurare con un elettroscopio non è sempre
duttore) si dice che è messo a terra. Un corpo facilissimo verificarlo, ma se si fanno le misure con
metallico messo a terra evidentemente non si carica attenzione si vede che le cose stanno effettivamente
mai. cosí.
Ora supponiamo di avvicinare un corpo elettrica-
mente carico a un conduttore: in questo le cariche,
26.4 L’induzione che sono già presenti, ma distribuite in modo da
mantenere il conduttore complessivamente neutro,
Nel fare gli esperimenti sopra descritti avrete notato
sono libere di muoversi. Se quindi si avvicina una
che, avvicinandosi all’elettroscopio con un corpo per
carica negativa al conduttore, le particelle negati-
caricarlo, càpita qualcosa di strano: man mano che
ve presenti in esso tenderanno a essere respinte e si
ci si avvicina allo strumento le foglie si allargano
allontaneranno dalla carica negativa, lasciando cosí
anche se il corpo carico non tocca l’asta metallica.
un eccesso di carica positiva vicino a quest’ultima.
Nel momento in cui lo si tocca l’elettroscopio sembra
Il conduttore, in altre parole, risulta sempre com-
quasi scaricarsi per poi rimanere carico quando si
plessivamente neutro, ma le cariche non sono piú
allontana il corpo isolante col quale è stato posto in
distribuite in modo simmetrico. Se avviciniamo una
contatto.
carica negativa all’asta di un elettroscopio quindi
Proviamo a fare queste operazioni lentamente e
le cariche negative di cui è composto vengono spin-
a osservare meglio il fenomeno. Effettivamente, per
te verso il punto piú lontano, cioè verso le foglie,
far comparire una carica sull’elettroscopio, non è ne-
che acquistano una carica negativa e si respingono.
cessario il contatto con un altro corpo carico. È suf-
L’estremità dell’asta piú vicina al corpo carico si
ficiente avvicinare quest’ultimo allo strumento. So-
carica invece di carica positiva. Diciamo che la pre-
lo che, se il corpo carico isolante viene in contatto
senza della carica negativa induce una carica sul-
con lo strumento questo resta carico, altrimenti si
l’elettroscopio e chiamiamo il fenomeno induzione
scarica dopo aver allontanato l’isolante.
elettrostatica. Nel momento in cui la carica indu-
Proviamo a dare un’interpretazione di questo fe-
cente si allontana viene meno la forza che spinge le
nomeno: se due corpi isolanti si caricano per con-
cariche dello stesso segno ad allontanarsi che, attrat-
tatto si potrebbe pensare che questo provochi in
te nuovamente da quelle di segno opposto presenti
qualche maniera la comparsa della carica elettrica
all’altra estremità vi si trasferiscono riportando lo
laddove prima non c’era. Un’altra possibile inter-
strumento allo stato neutro.
pretazione è che in realtà ogni corpo sia formato di
Potete fare molti altri esperimenti di questo tipo
combinando gli effetti di cariche elettriche diverse e trica non nulla e opposta a quella del palloncino,
verificare che il modello funziona. ma in questo caso avvicinando un oggetto di carica
L’induzione elettrostatica permette anche di ca- dello stesso segno la carta dovrebbe esserne respinta
ricare efficacemente un elettroscopio lasciandolo in e questo non avviene mai.
uno stato di carica non nulla. Se infatti si avvicina Si potrebbe dunque pensare che quel che accade
all’elettroscopio scarico una carica negativa toccan- è un fenomeno di tipo induttivo: la carta, come del
do l’asta con un dito le cariche negative presenti resto tutti gli altri materiali, dev’essere costituita
nell’elettroscopio tendono ad allontanarsene. In as- di particelle piccolissime di cui almeno una parte è
senza di un contatto col nostro corpo le cariche ne- elettricamente carica. Il numero di particelle cari-
gative dell’elettroscopio potrebbero al massimo ar- che positivamente è uguale a quello delle particelle
rivare fino alle foglie provocandone l’apertura, ma di carica opposta e il corpo appare neutro perché
se lo tocchiamo queste cariche possono passare nel evidentemente queste sono distribuite in modo uni-
nostro corpo e da lí a terra se indossiamo scarpe forme al suo interno. Quando avviciniamo una ca-
che conducono. Allontanando la carica inducente, rica negativa alla carta, le particelle negative di cui
le cariche che si erano allontanate sono nuovamente è formata tendono ad allontanarsi da quella indu-
attratte da quelle positive lasciate nell’elettroscopio, cente lasciando la parte piú vicina a questa con una
che tornerebbe scarico, a meno che non s’interrompa leggera carica positiva.
il collegamento elettrico. Se infatti, quando la cari- La forza con cui il pezzetto di carta è attratta
ca inducente è vicina, rimuoviamo il contatto tra il dal palloncino è la somma delle forze con cui sono
nostro corpo e l’elettroscopio, allontanando la ca- attratte le singole particelle di cui è formata. Poi-
rica inducente quelle cariche che erano passate dal ché la parte di carta piú vicina al palloncino pre-
nostro corpo non possono piú tornare indietro e lo senta una carica netta positiva, mentre quella piú
strumento resta carico. lontana negativa, la forza con la quale le particelle
Si può verificare che lo strumento è carico positi- positive sono attratte, che dipende dalla distanza,
vamente avvicinando a questo una carica negativa: è seppur di poco, maggiore della forza con la quale
questa sposta altre cariche negative verso le foglie sono respinte quelle piú lontane dello stesso segno.
che annullano la carica positiva presente. Se invece Il risultato è che la forza, in questi casi, risulta sem-
si avvicina una carica positiva accade il contrario: pre essere di tipo attrattivo perché le particelle dello
l’angolo formato dalle foglie aumenta per via del stesso segno della carica che si avvicina a un corpo
fatto che le cariche negative pur presenti sulle foglie neutro sono sempre piú lontane da questa rispetto
sono richiamate verso la sommità dell’asta aumen- a quelle di segno opposto.
tando il grado di carica positiva complessivo della L’unico problema in questo modello consiste nel
foglie. fatto che la carta è un isolante perciò in essa il mo-
to delle cariche se non impossibile dovrebbe comun-
que essere difficile. Esiste comunque una possibilità
26.5 Polarizzazione di spiegare il fenomeno in questo modo ammetten-
do che le particelle di cui è formata la carta siano
Le osservazioni sull’induzione elettrostatica ci per-
polari: in un modello estremamente semplificato si
mettono d’interpretare il fenomeno che porta og-
potrebbe pensare che, al fine di mantenere neutri i
getti neutri a essere attratti dalle cariche elettriche.
corpi le particelle di cui sono composti siano lega-
Quando infatti avviciniamo il palloncino caricato at-
te tra loro in modo tale da formare composti elet-
traverso lo strofinío a dei pezzettini di carta questi
tricamente neutri. Nel caso piú semplice possiamo
ne vengono attratti pur senza essere stati preventi-
pensare alla singola particella di carta come a un
vamente caricati. Naturalmente potrebbe anche es-
oggetto composto, a sua volta, di una particella po-
sere che la carta possieda di per sé una carica elet-
sitiva e una negativa che si trovano stabilmente a
una certa distanza l’una dall’altra a formare quello Il lavoro fatto dalle forze di attrito potrebbe esse-
che si chiama un dipòlo. re responsabile del fatto che una parte dell’energia
Quando si avvicina una carica negativa a un dipo- cosí ceduta al corpo è usata da questo per compie-
lo, sull’estremità positiva si ha una forza attrattiva re il lavoro necessario a liberare alcune cariche che
e su quella negativa una forza repulsiva. Dovendo passano dall’uno all’altro corpo lasciando entrambi
mantenere fissa la distanza tra le cariche, il dipolo carichi di carica opposta.
tenderà quindi a ruotare in modo tale da esporre Questa spiegazione permette d’interpretare il pro-
verso la carica inducente l’estremità positiva, men- cesso di carica per strofinío, ma non i fenomeni che
tre quella negativa si disporrà in modo da allineare abbiamo visto nell’introduzione a questo capitolo:
l’asse del dipolo con la retta che lo congiunge al- alcuni materiali, infatti, sembrano possedere una ca-
la carica inducente. In questo modo la carica po- rica elettrica propria in ogni caso e sembrano non
sitiva è comunque piú vicina (anche se di pochis- scaricarsi mai. La carica elettrostatica presente su
simo) a quella inducente, che è sempre di segno certi tipi di materiali permette a questi materiali
opposto, e questo può provocare il moto degli og- di aderire praticamente a ogni superficie, indipen-
getti se i dipoli di cui è costituito sono in numero dentemente dalla natura isolante o conduttrice del
sufficiente a produrre una forza macroscopicamente materiale o dallo stato di carica di questa.
apprezzabile. Sebbene su praticamente tutti i libri di fisica si
continui a scrivere che il processo di carica di un
materiale sia dovuto allo sfregamento, gli esperti so-
26.6 Il processo di elettrizza- no concordi nel ritenere che il processo rilevante non
zione sia l’attrito, ma il semplice contatto. Chimici, fisici
e ingegneri che lavorano nell’industria degli adesivi
A questo punto possiamo interpretare in maniera sanno che le colle funzionano grazie al fatto che tra
relativamente semplice quel che accade nel processo la colla e il substrato sul quale è depositata si pro-
di elettrizzazione: sfregando la superficie di un ma- ducono forze elettriche molto intense grazie al sem-
teriale si cede energia alle particelle di cui è com- plice contatto tra materiali diversi. È il contatto
posto. Una parte di quest’energia è spesa dalle par- che provoca il passaggio di carica da un corpo al-
ticelle per aumentare la propria energia cinetica e l’altro e non l’attrito. Lo strofinío serve soltanto ad
quindi aumentare la temperatura del corpo. Un’al- amplificare l’effetto: l’amplificazione è parzialmen-
tra parte dell’energia può essere spesa per compiere te dovuta al fatto che entrambi i corpi guadagnano
il lavoro necessario a liberare le cariche elettriche energia dal processo, aumentando la probabilità del
che devono essere organizzate in dipoli, quadrupoli, passaggio di carica da un corpo all’altro; in buona
etc.. Le componenti di un corpo esteso devono es- parte lo strofinío ha il solo scopo di aumentare la
sere neutre fino a dimensioni molto piccole perché superficie effettiva di contatto tra i corpi. Se potes-
altrimenti dividendo un corpo in pezzettini piccoli simo vedere la superficie di due corpi che scivolano
a un certo punto si dovrebbero osservare pezzetti- l’uno sull’altro molto da vicino ci accorgeremmo che
ni elettricamente carichi e questo non accade mai. tali superfici non sono affatto lisce come sembrano:
Queste componenti possono essere neutre se sono presentano numerosi avvallamenti e molte punte. La
composte di particelle neutre a loro volta oppure di superficie effettiva di contatto tra due corpi dunque
coppie di particelle cariche legate tra loro. Il legame è piccolissima, ma facendoli scivolare uno sull’altro
tra queste particelle dev’essere dovuto a una forza si aumenta questa superficie, sia perché si sposta-
di tipo elettrico e per allontanare l’una dall’altra fi- no le valli e le punte in posti diversi sia perché
no a spezzare questo legame è necessario compiere la profondità di queste valli si riduce e la superfi-
un lavoro. cie di contatto aumenta grazie allo schiacciamento
conseguente.
Il nastro adesivo tende ad accartocciarsi su sé dalle altre. Il modo piú efficace di tenersi il piú lon-
stesso perché quando lo si strappa dal rotolo una tano possibile da tutte le altre cariche consiste nel
parte delle cariche elettriche presenti è rimasta at- raggiungere la superficie del conduttore e disporsi
taccata al rotolo e questo rende la striscia elettrica- in modo tale da produrre una distribuzione di ca-
mente carica. Lo stesso fatto che sia adesivo è dovu- rica tale da annullare le forze che ciascuna esercita
to al fatto che le cariche elettriche presenti su una sull’altra.
delle superfici passano facilmente nel corpo sul quale Nei conduttori dunque le cariche elettriche (quel-
è apposto producendo uno sbilanciamento di cariche le in eccesso, naturalmente) si dispongono sempre
che provoca intense forze elettriche tra il nastro e la in maniera da raggiungerne la superficie: all’interno
superficie sulla quale è applicato. del conduttore non possono esserci cariche elettriche
Il passaggio di cariche può essere piú o meno ef- libere. Se il conduttore è cavo, le cariche si dispon-
ficace, secondo il tipo di materiali che vengono a gono sempre lungo la superficie esterna del condut-
contatto, ma è pur sempre dovuto a questo. Non do- tore perché questa è quella che rende massima la
vremmo quindi pensare al processo di elettrizzazio- distanza tra tutte le cariche. Un conduttore carico
ne come a un processo in cui l’attrito gioca un ruolo dunque rappresenta uno schermo elettrostatico:
fondamentale. È il semplice contatto a generare l’e- al suo interno è impossibile trovare cariche elettri-
lettrizzazione e gli esperti rifiutano il concetto di tri- che libere. Se ve ne fossero queste raggiungerebbero
boelettricità in favore di quello di elettrizzazione ben presto la superficie esterna lasciando l’interno
per contatto. neutro. Un involucro di metallo quindi costituisce
Spiegare perché il contatto provochi il caricamen- un dispositivo in grado di impedire a qualsiasi og-
to non è difficile alla luce del modello che abbia- getto si trovi al suo interno di sentire gli effetti delle
mo fatto della struttura della materia. Le particelle forze elettriche.
di cui sono composti i corpi sono, almeno parzial- Questo dispositivo funziona anche se sulla sua su-
mente, elettricamente cariche. Avvicinando particel- perficie sono presenti aperture: in ogni caso le cari-
le cariche di un corpo a quelle cariche di un altro si che si distribuiscono lungo la porzione di superficie
producono forze elettriche che possono essere suffi- piú esterna. Una gabbia metallica, per esempio,
cientemente intense da strappare le cariche da un funziona altrettanto bene e non a caso gli scher-
corpo all’altro provocando lo sbilanciamento. Affin- mi elettrostatici si chiamano anche gabbie di Fa-
ché un corpo di un materiale A si carichi è quindi raday, dal nome di Michael Faraday che dimostrò
necessario che venga in contatto con un materiale sperimentalmente questo principio [?].
B e che sia facile strappare cariche dal materiale A
mentre risulti difficile per B o viceversa.
26.8 Altri fenomeni rilevanti
26.7 Schermo elettrostatico In qualche caso vi sarà capitato di generare scintil-
le togliendo un indumento oppure avvicinandovi a
Nei materiali conduttori, almeno una parte delle ca- qualche altra persona o a un oggetto di metallo. Se
riche elettriche sono libere di muoversi. Supponiamo ci fate caso vedrete che le scintille solitamente scoc-
quindi di prendere un conduttore e di dotarlo, per cano in prossimità di qualche punta come quella di
induzione o per contatto, di una carica elettrica in una chiave (Filmato 26.1). Le scintille sono sicura-
eccesso, per esempio negativa. mente un fenomeno legato alla presenza di cariche
Se inizialmente le cariche possono essere dispo- elettriche. Si possono, infatti, generare quando due
ste in qualunque maniera, tra queste si esercitano oggetti elettricamente carichi si avvicinano l’uno al-
forze di tipo elettrico repulsive che tenderanno a fa- l’altro. Un dispositivo didattico molto scenografico
re in modo che queste si allontanino tutte le une è il cosí detto elettroforo di Volta. L’elettrofo-
i prismi sono affacciati in modo da avere le basi mar- dalla distanza r, F = F (r), ma l’andamento della
cate rivolte l’una verso l’altra o viceversa, i magneti forza con la distanza appare molto complicato da
tendono ad attrarsi. Se invece si espongono una ba- descrivere con un’espressione matematica relativa-
se marcata e una non marcata i magneti tendono a mente semplice e difficilmente riusciremmo a scri-
respingersi. vere un’espressione valida per ogni tipo di magnete:
In sostanza i magneti sembrano interagire tra loro sicuramente dipende anche dalla forma di questo.
in due modi diversi: con una forza attrattiva o re- Una cosa abbastanza curiosa che accade è questa:
pulsiva, secondo il modo in cui sono affacciati l’uno se si uniscono due magneti mettendo in contatto due
all’altro. Inoltre, se avvicinati a oggetti che non sono poli opposti i due magneti si comportano come se
magneti, ma sono di ferro, li attraggono in ogni caso. fossero un unico magnete con due poli alle estremi-
Questo comportamento è indipendente dalla forma tà: non si sperimenta piú alcuna forza in vicinanza
assunta dal magnete che determina soltanto la po- dei due poli che inizialmente erano separati. Se in-
sizione delle facce che si respingono o si attraggono: vece si divide in due un magnete ciascuna sezione
nel caso dei prismi e dei cilindri queste coincidono diventa a sua volta un magnete con due poli: nel
con le basi del solido, anche quando questo è molto punto di divisione compaiono due poli opposti tra
basso come nel caso dei magneti di forma discoidale; loro e a quelli originariamente presenti sul magnete.
nel caso dei magneti a forma di ferro di cavallo i due Questo fenomeno si verifica a ogni ulteriore divi-
poli si trovano in corrispondenza delle estremità. sione per cui immaginando di continuare a dividere
I due poli di un magnete non sono uguali perché all’infinito un magnete si otterrebbero sempre ma-
affacciando a uno dei due un polo o l’altro di un gneti di lunghezza sempre minore, al limite tendente
secondo magnete questo si comporta diversamente. a zero, con due poli opposti.
Occorre dunque distinguerli e per farlo li indichere- Per quanto riguarda le altre specie di magneti vi-
mo con i nomi di polo Nord e polo Sud. Il nome ste nell’introduzione, il ferro fluido non è altro che
ha una derivazione chiaramente geografica perché polvere di ferro dispersa in un liquido oleoso, che
quel che si scopre facilmente è che l’ago di una bus- non si mescola con l’acqua. Il moto e la forma as-
sola, che punta sempre nella direzione Nord–Sud, ha sunta dal fluido dipende quindi dalle forze magne-
tutte le caratteristiche di un magnete: è, infatti, un tiche con le quali le minutissime particelle disperse
magnete. Quelli che abbiamo usato nei nostri espe- nel liquido sono attratte. Le paste magnetiche fun-
rimenti non si orientano nella direzione Nord–Sud zionano allo stesso modo: si tratta di un materiale
soltanto perché sono abbastanza pesanti da provo- cremoso all’interno del quale sono disperse innume-
care un attrito sufficiente a impedire loro di ruotare revoli piccolissime particelle di ferro o altro mate-
e disporsi come vorrebbero. riale sensibile alle forze di tipo magnetico. Gli effetti
Usando due bussole si può vedere (non è facile, collettivi delle forze magnetiche applicate a queste
data la forza piuttosto debole che si esercita tra loro) producono gli effetti che potete vedere nel Filma-
che avvicinando le tra loro le estremità delle bussola to ??. Non c’è quindi molto da imparare da que-
che puntano a Nord gli aghi si respingono, cosí come sti strumenti: sono spettacolari, ma non aggiungono
quando si avvicinano le estremità opposte. I due nulla o quasi alla nostra conoscenza del fenomeno.
aghi invece tendono ad avvicinarsi se si dispongono
in modo che il polo Nord dell’uno sia vicino al polo
Sud dell’altro. 27.2 I magneti da frigo
Diremo quindi che in presenza di due magneti si
Una particolare classe di magneti da frigorifero ha
osserva una forza repulsiva quando si espongono due
la proprietà di aderire alla superficie dei materiali
poli dello stesso tipo, mentre tra due poli opposti si
ferrosi, ma l’adesione può avvenire soltanto su una
manifesta una forza attrattiva.
delle due facce; due magneti di questo tipo, inoltre,
L’intensità F di questa forza dipende chiaramente
Figura 28.5 Il campo elettrico prodot- Figura 28.6 Il campo magnetico della
to da un dipòlo nella rap- Terra dev’essere prodotto da
presentazione delle linee di qualche magnete che si tro-
forza (da Wikimedia Com- va al suo interno, il cui po-
mons. Copyright © 2010 lo Sud deve trovarsi al Polo
Geek3 distribuito con licenza Nord geografico (da Wikime-
GNU-FDL). dia Commons. Copyright ©
2010 Geek3 distribuito con
licenza GNU-FDL).
In alcuni casi le App in questione dànno la possi- te fatte misure definitive sull’argomento. Se volete
bilità di registrare in qualche maniera i valori del sapere perché mai la rotazione del nucleo dovreb-
campo a un dato istante. Basta prenderne un po’ e be produrre un campo magnetico dovete studiare il
fare le medie per ottenere valori abbastanza buoni. Capitolo ??.
Noi abbiamo misurato per dieci volte il campo e Ogni magnete, qualunque ne sia la forma, si può
abbiamo calcolato la media delle tre componenti ot- sempre pensare come costituito da piccoli microsco-
tenendo 23.8±2.0, 28.8±0.8 e −44.6±1.4 µT, rispet- pici magneti a bastoncino, i quali hanno sempre due
tivamente. L’intensità del campo si trova sommando poli simmetrici. Dal momento che i due poli sono del
i quadrati di queste componenti ed estraendo la ra- tutto identici l’uno all’altro, salvo che per il verso
dice quadrata. Si ottiene cosí B = 54.6±1.4 µT, che del campo magnetico che entra o esce, le linee di
torna con il valore noto del campo magnetico terre- forza di un magnete di questo tipo devono necessa-
stre che è dell’ordine di 50 µT, alle nostre latitudini. riamente essere simmetriche. Difficile pensare a un
La variabilità del campo terrestre è piuttosto ampia magnete perfettamente simmetrico che presenti un
e va dai circa 25 ai circa 65 µT2 . campo piú intenso al polo Nord che al polo Sud o
È utile osservare che nel caso dei campi magne- viceversa. In effetti tutti gli esperimenti che si pos-
tici è molto difficile darne una definizione operativa sono fare mostrano che il campo vicino al polo Nord
simile a quella che abbiamo dato per altri campi. è assolutamente identico a quello vicino al polo Sud,
Negli altri casi abbiamo definito il campo come il tranne che per il verso. Di conseguenza ogni linea di
rapporto tra la forza subíta da un corpo che inte- forza che esce dal polo Nord, per quanto tortuoso
ragisce con un altro e la grandezza fisica che carat- possa essere il suo cammino, prima o poi deve rien-
terizza il corpo in questione omogenea alla sorgente trare nel polo Sud, in maniera tale che il numero
del campo. Per esempio, la carica elettrica è la sor- di quelle che escono dal primo sia uguale a quello
gente del campo elettrico che si trova dividendo la di quelle che entrano nel secondo. Se cosí non fosse
forza subíta da una carica divisa per il valore di alcune linee di forza potrebbero uscire da un polo e
questa; la massa è la sorgente del campo della forza finire per entrare chissà dove in un punto S 0 . Affin-
peso e quindi il campo si trova dividendo la forza ché il polo opposto presenti lo stesso numero di linee
peso per la massa. Nel caso dei campi magnetici, di forza è allora necessario che altre linee di forza
mentre è facile determinare la direzione e il verso escano da un punto N 0 e raggiungano il magnete
delle linee di forza usando un ago magnetico, non che stiamo considerando entrando nel polo giusto.
è per niente facile stabilire quanto sia intensa la Nessuno è mai riuscito a osservare quello che si chia-
sorgente. Non è per nulla facile, infatti, identificare merebbe un monopólo magnetico, quindi punti
la sorgente del campo magnetico. dello spazio nei quali entrano o dai quali escono li-
Un modo alternativo di rappresentare un campo nee di forza in assenza di un magnete non esistono,
consiste nell’usare un codice di colori che ne rappre- per quanto ne sappiamo. Anche se esistessero, i due
senti l’intensità. In questo modo si perde l’informa- punti S 0 e N 0 si comporterebbero esattamente come
zione relativa alla direzione e al verso del campo, i poli Sud e Nord di un altro magnete e quindi in
ma si possono sovrapporre piú mappe (per esempio ogni caso il numero di linee di forza uscenti da un
una in codice di colori e una con le linee di forza) magnete sarebbe uguale a quello delle linee entran-
per avere una rappresentazione efficace e completa. ti. Poiché finora nessuno è stato capace di osservare
L’origine del campo magnetico terrestre è tuttora un monopòlo ne concludiamo che la regola vale per
poco nota. Si suppone che sia dovuto alla rotazione ogni campo magnetico prodotto da ogni dispositi-
di un nucleo di metallo fuso che dovrebbe trovarsi al vo in grado di generarlo, che necessariamente deve
centro del nostro pianeta, ma non sono ancora sta- avere due poli.
2
Dati dell’osservatorio geologico britannico.
Campi esotici
I campi descritti in questo capitolo sono solo
quelli che si possono sperimentare abbastanza
facilmente nella vita quotidiana. Oggi sappia-
mo che esistono almeno altri due campi: quello
forte e quello debole. Il primo è prodotto dal-
le particelle che costituiscono il nucleo atomico:
i quark, che a loro volto sono i costituenti dei
protoni e dei neutroni. La sorgente del campo
forte è la carica di colore. A questo campo, ge-
nerato dai quark, sono sensibili gli stessi quark
che subiscono una forza molto intensa (per que-
sto si chiama forte) che è quella che consente
al nucleo atomico di esistere: se non ci fosse la
forza forte i protoni che lo costituiscono si re-
spingerebbero l’un l’altro per effetto del campo
elettrico e il nucleo esploderebbe.
La forza debole è responsabile delle interazioni
che hanno i neutrini con la materia e dei de-
cadimenti radioattivi degli atomi e delle parti-
celle subatomiche instabili. Se non esistesse il
campo debole, che produce la forza omonima, i
neutrini non interagirebbero minimamente con
la materia perché non hanno massa (e quindi
non risentono del campo gravitazionale) e non
hanno carica elettrica (quindi non subiscono la
forza elettrica): non possedendo carica elettrica
non possono nemmeno risentire della forza ma-
gnetica che, anche se in questo capitolo non è
evidente, richiede una carica elettrica non nulla
per agire.
sa consiste nello scegliere una superficie qualunque Se però disponiamo la superficie in verticale nean-
e misurare il numero di linee di forza che l’attra- che una delle linee di forza l’attraverserà e dovrem-
versano: maggiore è questo numero, piú intenso è il mo concluderne che Φg (S) = 0! È evidente quindi
campo. Questa misura del campo si potrebbe quindi che indicare solo l’estensione della superficie non è
definire come sufficiente per dare una misura di questa grandezza.
Dobbiamo scegliere una definizione che tenga con-
Φ(S) = N · S (29.2) to dell’angolo formato tra la direzione del campo
dove N rappresenta il numero di linee di forza che (che nel caso di g è sempre verticale) e la superfi-
attraversano la superficie S. Notiamo però che in cie. Ma la superficie non ha una direzione. O, forse,
questa misura il numero di linee di forza da cui Φ(S) ne ha infinite: tutte le rette che giacciono sulla su-
dipende è del tutto arbitrario. Di conseguenza lo perficie, comunque orientate nello spazio, sarebbero
sarebbe anche il valore di questa grandezza fisica equivalenti. Quale scegliere? Ogni scelta condurreb-
che, inoltre, sarebbe indipendente dalla natura del be a una definizione diversa di Φ. C’è però una di-
campo: il valore di Φ(S) di un campo magnetico rezione comune a tutti i punti della superficie, che è
avrebbe le stesse dimensioni fisiche (quelle di una la direzione perpendicolare a essa. Possiamo perciò
superficie) del valore di Φ(S) di un altro campo, definire la direzione della superficie come quella
come quello elettrico. della retta perpendicolare a questa.
Una misura piú fisica di questa quantità la si po- Ora dobbiamo trovare la maniera di calcolare il
trebbe ottenere misurando, piú che il numero di prodotto tra il campo e la superficie che dipende dal-
linee di forza, l’intensità del campo che passa at- l’angolo tra il campo e la direzione della superficie. Il
traverso la superficie. In questo modo potremmo risultato dev’essere nullo se la superficie è parallela
definire al campo, cioè se la sua direzione è perpendico-
lare al campo. E dev’essere massimo e pari a gS nel
ΦF (S) = F · S (29.3) caso in cui la direzione della superficie sia paralle-
la al campo. Il prodotto scalare tra due vettori ha
dove F rappresenta il campo cui siamo interessati. proprio questa proprietà: è nullo quando due vettori
Per il campo della forza peso g avremmo sono perpendicolari e massimo quando sono paralle-
li. Potremmo allora definire un vettore superficie
Φg (S) = gS , (29.4) orientato in maniera da risultare perpendicolare alla
per quello elettrico E stessa e avente come modulo la superficie stessa:
Il prodotto scalare si può calcolare facendo la som- Ogni superficie ∆Si si può scegliere sufficientemen-
ma dei prodotti delle coordinate omologhe oppure te piccola da essere praticamente piana per cui la
moltiplicando il modulo del primo vettore per il mo- sua direzione è ben definita. Il flusso totale attra-
dulo del secondo per il coseno dell’angolo compreso. verso una superficie curva si definisce quindi come
Quando il campo interseca la superficie perpendi- la somma dei flussi elementari calcolati attraverso
colarmente, il vettore superficie è parallelo al cam- ciascuna superficie:
po e l’angolo compreso tra i due vettori è nullo. Di
conseguenza il coseno di quest’angolo vale uno e X X
ΦF (S) = F · ∆Si = F · ∆Si (29.13)
ΦF (S) = F S . (29.9) i i
Fare un conto esatto non è difficile: il contributo al Riuscire a stabilire una o piú regole che permet-
flusso di ciascuna auto che attraversa il cartello con tono di stimare il flusso di un qualsiasi campo vet-
velocità vi che forma un angolo θi con la direzione toriale in maniera generale è quindi una maniera di
della strada è valutare le caratteristiche del campo vettoriale. Se
consideriamo superfici chiuse quello che possiamo
Φv,i (S) = v`z cos θi . (29.16) vedere è che in tutti i casi nei quali all’interno di
Se passano N auto il flusso totale vale queste superfici non ci sono sorgenti di campo, il
flusso totale è nullo. Un esempio di superficie chiusa
è quella che circonda completamente un’autostrada.
N N
X X Le auto possono entrarvi da un casello contribuen-
Φv (S) = Φv,i (S) = v`z cos θi (29.17)
do al flusso in ingresso, ma prima o poi ne devono
i=1 i=1
uscire, non necessariamente dalla stessa parte da cui
e quindi sono entrate. Quando ne escono, se si ha l’accortez-
za di scegliere il vettore superficie in modo coerente,
Φv (S) = v`zN hcos θi (29.18) che si trova cioè sempre dallo stesso lato di questa
dove hcos θi rappresenta il valor medio del coseno (per esempio sempre uscente), il flusso è lo stesso
dell’angolo calcolato sulle N auto. Se le auto si muo- che in entrata, ma ha segno opposto e quindi il flus-
vono tutte perpendicolarmente al cartello avremo so totale è nullo. All’interno dell’autostrada infatti
hcos θi = 1 e il rapporto tra il flusso delle N auto non ci sono sorgenti di auto. Il flusso di auto in
che viaggiano in direzioni casuali e quello delle vet- ingresso e in uscita da una città, invece, non è ne-
ture che viaggiano perpendicolarmente al cartello cessariamente nullo. Alcune auto escono e altre en-
vale trano. Il saldo complessivo dipende dalla differenza
tra quelle in ingresso e quelle in uscita. Se da una
v`zN hcos θi città potessero solo uscire auto, poiché all’interno ve
R= = hcos θi . (29.19)
v`zN ne sono già all’inizio, il flusso è necessariamente di-
Osserviamo che si ottiene lo stesso risultato anche verso da zero (e positivo se si sceglie il verso uscente
se la superficie è curva oppure se la proiezione non per la superficie che racchiude la città).
è ortogonale. Pensate, ad esempio, al caso di una Questa è l’essenza del Teorema di Gauss secon-
barriera autostradale (o al delta di un fiume, che è do il quale il flusso attraverso una superficie chiusa
lo stesso). Dopo l’ultimo cartello che indica il casel- di un qualunque campo vettoriale non dipende dal-
lo l’autostrada si amplia in modo da consentire alle la forma o dall’estensione della superficie, né dalla
auto di disporsi su diverse file parallele. Le auto posizione di eventuali sorgenti del campo, ma di-
che attraversano l’ultimo cartello con un qualunque pende solamente dalla quantità di sorgenti presenti
angolo minore dell’angolo formato tra la direzione all’interno.
iniziale dell’autostrada e quella dei suoi bordi do-
po il cartello prima o poi riescono a raggiungere il
casello e il flusso si conserva. Se le auto potessero 29.2 Il flusso di un campo
uscire dall’autostrada prima di attraversare il ca- generico
sello il numero di quelle che attraversano l’ultimo
cartello non sarebbe uguale a quello di quelle che In questo paragrafo facciamo un’operazione di
pagano il pedaggio. Il rapporto tra quelle effettiva- astrazione forse un po’ ardita, ma altamente istrut-
mente paganti e quelle transitate sarebbe proprio tiva. Da una parte le considerazioni che facciamo si
uguale a hcos θi, che rappresenta la media dei cose- possono usare per ricordare le caratteristiche sa-
ni degli angoli formati tra la velocità e la superficie lienti dei campi vettoriali, dall’altra ci forniscono un
attraversata, qualunque sia la sua forma. esempio molto chiaro di quel che può fare la fisica
teorica. Vediamo, infatti, che considerazioni astrat- sulla sfera V è costante. Quindi possiamo scrivere
te, ma basate su argomenti ragionevoli e derivanti che
dall’esperienza ci portano quasi sempre a risultati
sperimentalmente verificabili. X X
Immaginiamo un generico campo vettoriale V, Φ= Φi (S) = V ∆Si = V S (29.22)
che in linea di principio, oltre che dipendere dal- i i
in maniera tale da dare lo stesso flusso che attra- una forma qualunque con un buco sferico al centro.
versa la superficie sferica che abbiamo considerato Mettendo una sorgente nel centro di questo buco
inizialmente. In altre parole il flusso attraverso una il flusso del campo prodotto da questa sorgente e
superficie di forma qualunque con un buco sferico entrante nella superficie è uguale a quello calcolato
al centro del quale si trovi una sorgente di campo prima. Ma questo flusso deve anche essere uguale a
deve necessariamente essere nullo. Ma se è nullo il quello che esce dalla superficie piú esterna, perché
flusso attraverso la superficie piú esterna, di forma non c’è, tra la sfera e la superficie esterna, alcu-
qualsiasi, dev’essere uguale e contrario a quello della na sorgente. Pertanto il flusso attraverso una qua-
superficie sferica interna. Scegliendo come verso po- lunque superficie disegnata attorno alla sorgente è
sitivo del vettore superficie quello uscente da essa, uguale a quello che si calcola per la sfera. È qui la
in corrispondenza del buco sferico centrale il flusso parte importante della dimostrazione del teorema.
ΦI di un campo uscente dalla sorgente è negativo e Vale anche la pena precisare che per sorgente in-
quindi quello uscente dalla superficie esterna ΦE è tendiamo sia qualcosa che emette un campo sia qual-
positivo e vale cosa che lo assorba per cui assenza di sorgenti signi-
fica che non c’è nulla dentro la superficie che sia
ΦE = −ΦI . (29.26) capace né di aumentare né di diminuire l’intensità
Visto che ΦI è indipendente da r lo dev’essere anche del campo rispetto a quella che si misura nella sfera
ΦE e anzi abbiamo che piú interna.
Potete capire bene il significato del Teorema di
ΦE = 4πkQ (29.27) Gauss anche ripensando all’esempio dell’autostrada
o al caso di un annaffiatoio con cipolla. Il flusso di
indipendentemente dalla forma scelta per la super- acqua che esce dall’annaffiatoio dipende soltanto da
ficie esterna. Evidentemente quindi il flusso non di- quanta acqua avete messo dentro e non dalla sua
pende neanche dalla posizione della sorgente all’in- forma. Se togliete la cipolla il flusso di acqua che
terno di questa superficie. Per sapere quanto vale esce dal beccuccio è identico a quello che uscireb-
un flusso di questo tipo basta conoscere il valore da be dai fori della cipolla e qualunque sia la forma
attribuire alla sorgente Q: qualunque sia la superfi- di quest’ultima. In definitiva il flusso è una misura
cie scelta per calcolarlo e qualunque sia la posizione di quanto qualcosa esce da una superficie. Se la su-
della sorgente rispetto a questa il flusso si calcola perficie è chiusa, questo può dipendere soltanto da
sempre come quel che abbiamo messo dentro a quella superficie e
non dalla forma data a quest’ultima.
Φ = 4πkQ (29.28)
che è poi una delle forme nelle quali si può scrivere il
Teorema di Gauss. Ricapitoliamo i passaggi seguiti
fin qui: per dimostrare il Teorema di Gauss consi-
deriamo un generico campo radiale che dipende da
r come
Q
V=k r̂ (29.29)
r2
e calcoliamo il flusso di questo campo attraverso una
superficie di forma sferica centrata nella sorgente del
campo. Attenzione! Fin qui stiamo banalmente ese-
guendo un conto e non stiamo dimostrando alcun
teorema. Ora consideriamo una superficie che abbia
In questo Capitolo affrontiamo il calcolo del flus- distanza, ma nessun libro spiega bene come si arrivi
so di alcuni dei campi che si studiano in fisica, nelle a questo risultato. Perché non è affatto facile. Anche
diverse circostanze. Attraverso questi calcoli possia- convincersi della validità della forma della forza di
mo scoprire importanti proprietà dei campi stessi e Newton, dunque, è di fatto un atto di fede.
persino scoprire che certi campi, come quello della Noi pensiamo che non sia per nulla necessario se-
forza peso, sono una manifestazione di campi so- guire un criterio cronologico per imparare la fisi-
lo apparentemente molto diversi, come quello delle ca. Per noi oggi è decisamente piú facile misurare
forze che permettono al Sistema Solare di esistere. gli effetti delle forze elettriche e ricavarne la forma
In questo caso vale la pena fare qualche riflessione che misurare la posizione dei pianeti rispetto al So-
di carattere metodologico. In tutti i corsi di Fisica le. Non c’è quindi alcuna vera ragione per spiegare
che si trovano in commercio la fisica dei corpi cele- prima il moto dei pianeti e poi quello delle cariche
sti è illustrata con un certo grado di dettaglio ben elettriche. È piuttosto vero il contrario: è meglio il-
prima dell’introduzione della fisica dei campi elet- lustrare e capire prima la fisica delle forze elettriche,
trici e magnetici. Il motivo è che effettivamente la piú facili da osservare.
fisica del campo gravitazionale è stata studiata Dopo che avremo capito le forze elettriche sarà
e compresa prima di quella del campo elettroma- facile comprendere la natura delle forze gravitazio-
gnetico, grazie a misure di elevata precisione che nali e non ci sarà alcun bisogno di atti di fede. Per di
erano state fatte dagli astronomi nel corso di lunghi piú, grazie a questo processo di apprendimento, si
anni di osservazione. Si tratta di misure nient’affat- dovrebbero superare un paio di problemi che spesso
to semplici da fare, che richiedono modelli complessi affliggono gli studenti. Quasi tutti quelli che han-
e calcoli complicati, oltre che strumenti di alta qua- no studiato un po’ di fisica a scuola sono convinti
lità. Nessuno di voi potrebbe eseguire queste misure che i campi gravitazionali siano sempre radiali, ma
in tempi ragionevoli con la precisione necessaria. In questo non è affatto vero. Sono tali soltanto a gran-
effetti i risultati sperimentali che hanno condotto di distanze da un corpo celeste, ma vicino a esso
alla formulazione della teoria Newtoniana della gra- possono essere molto diversi, specialmente se tali
vità si devono prendere per buoni un po’ come un corpi non hanno la forma tipica di un pianeta o di
atto di fede e sono quasi sempre enunciati come ta- una stella. L’atterraggio della sonda Philae della
li nei libri. Chi di voi potrebbe convincersi da solo missione Rosetta su una cometa, la cui forma non
della validità delle Leggi di Keplero? Chi potreb- somiglia affatto a quella di una sfera, è stato mol-
be facilmente affermare che il quadrato dei tempi di to piú complicato di quello del LEM sulla Luna.
rivoluzione dei pianeti è proporzionale al cubo della Mentre in quest’ultimo caso si poteva approssimare
loro distanza media dal Sole? il campo gravitazionale della Luna come radiale da
Le osservazioni di Keplero condussero Newton a lontano e uniforme da vicino, quello della cometa,
formulare la legge secondo la quale la forza che tiene per via della sua forma irregolare (Fig. 30.1) ha una
insieme il Sistema Solare decresce col quadrato della struttura molto piú complicata che si stima con le
30.1. IL FLUSSO DI UNA CARICA ELETTRICA PUNTIFORME 320
Φ = 4πkQ (30.2)
che si può riscrivere definendo una nuova costante
Figura 30.1 La cometa 67P/Churyumov–
Gerasimenko su cui è atterra- 1
ta la sonda Philae ha una for-
ε= (30.3)
4πk
ma molto irregolare e il suo
campo gravitazionale, a di-
in modo tale che
stanze comparabili con le di-
1
mensioni tipiche della come- k= (30.4)
ta (circa 4 km), non somiglia 4πε
affatto a quello di una stel- che, sostituita nell’equazione per il flusso dà come
la o di un pianeta, che so- risultato
no approssimativamente sfe-
rici. Foto del 7 luglio 2015, Q
eseguita da 145 km di di- Φ=. (30.5)
stanza, dell’Agenzia Spaziale ε
Europea (ESA) La costante ε non è concettualmente diversa dalla
costante di Coulomb k, ma risulta comodo usarla
perché permette di far sparire il fattore π dall’e-
stesse tecniche usate per valutare il campo elettrico spressione del flusso. Sperimentalmente si trova che
prodotto da un oggetto di plastica di forma irrego- il valore della costante di Coulomb dipende in realtà
lare. Il secondo problema che affligge molti studenti dal mezzo nel quale si produce il campo elettrico. In
è quello per il quale i piú sono convinti che il Teore- aria e nel vuoto k ' 8.99 × 109 Nm2 /C2 e quindi
ma di Gauss riguardi soltanto i campi elettrici e ma-
gnetici, quando invece vale chiaramente anche per i 1 1
campi gravitazionali. ε = ' ' 8.85 × 10−12
4πk 4 × 3.1416 × 8.99 × 109
(30.6)
in unità SI. In materiali diversi k è diversa e quindi
anche ε cambia. Si usa perciò scrivere che
ε = ε0 εr (30.7)
dove ε0 = 8.85 × 10−12 C2 N−1 m−2 prende il nome di Questo è vero in generale, qualunque sia la natura
costante dielettrica del vuoto, mentre εr è adi- della sorgente e del campo. Se abbiamo una qualun-
mensionale e si chiama costante dielettrica rela- que sorgente puntiforme di campo sappiamo che il
tiva perché rappresenta il rapporto tra quella del flusso di questo attraverso qualunque superficie si
materiale considerato e quella del vuoto. La gran- scrive come
dezza εr si chiama anche permittività elettrica,
anche se questo nome è poco usato. Per il vuoto evi- Φ = 4πkQ . (30.9)
dentemente εr = 1. Per la carta, per esempio, vale
Se invece di averne una ne abbiamo N il flusso è
εr = 3.9, nel cemento εr = 4.5; nell’acqua εr dipen-
de dalla temperatura (attorno ai 20 gradi vale circa N
X
80). Il fatto che la costante dielettrica dell’acqua sia Φ = 4πk Qi (30.10)
alta è quel che permette all’acqua di sciogliere molte i=1
sostanza come il sale. indipendentemente dalla forma della superficie e da
Il sale infatti è composto di cristalli fatti di par- dove si trovano le sorgenti rispetto alla superficie
ticelle elettricamente cariche che si attraggono l’un (purché siano al suo interno).
l’altra grazie a forze di natura elettrostatica. Queste
forze si riducono di un fattore circa 80 in acqua e le
particelle di cui è composto il sale non si attraggo- 30.3 Il flusso di una distribu-
no piú abbastanza fortemente da restare attaccate zione sferica
le une vicine alle altre. Per questo il cristallo di sale
si scioglie. Oggetti puntiformi non esistono davvero nei nostri
Esistono sostanze per le quali la costante die- laboratori. Sono solo un’astrazione. Quello che piú si
lettrica relativa può essere molto alta: fino a oltre avvicina a un oggetto puntiforme è un oggetto sfe-
200 000 − 250 000. Non si conoscono, al contrario, rico sufficientemente piccolo. Converrà perciò stu-
sostanze per le quali εr < 1. La massima intensità diare il flusso del campo prodotto da un oggetto del
di un campo elettrico dunque si ha nel vuoto. genere.
Il campo prodotto da un oggetto di questo tipo
deve avere simmetria sferica. Non c’è alcuna ragio-
30.2 Il flusso di una distribu- ne per la quale un oggetto sferico debba produrre
zione di cariche un campo diretto secondo una direzione particolare.
Le linee di forza di questo campo si dipartono dal
Supponiamo d’avere N cariche elettriche puntiformi centro dell’oggetto in modo radiale, esattamente co-
distribuite a caso nello spazio vuoto. Circondando me fanno quelle della sorgente puntiforme. È anche
tutto lo spazio entro il quale si trovano le cariche con ovvio che a grandissime distanze questo campo de-
una superficie di forma qualunque si troverebbe, per v’essere identico a quello della sorgente puntiforme,
il Teorema di Gauss, che perciò
X Qi Q Q
Φ= = (30.8) V'k
r̂ (30.11)
i
ε0 ε0 r2
Si vede subito però che questo risultato è esatto. In-
dove Q = i Qi è la carica totale presente all’in-
P
fatti, se il campo ha simmetria radiale le sue linee di
terno della superficie. Osserviamo che Qi può essere
forza attraverseranno perpendicolarmente una sfera
sia positiva che negativa, quindi Q potrebbe anche
di raggio r che circonda completamente la distri-
essere nulla e in questo caso il flusso sarebbe nullo.
buzione di sorgenti. Inoltre il campo avrà lo stesso
modulo V su tutti i punti di questa superficie se
tende una distribuzione di sorgenti uniformemente o il campo entra nel piano o ne esce. Questo può
distribuite su una superficie. Una distribuzione con- dipendere dalle caratteristiche della sorgente.
tinua di sorgenti si può sempre immaginare come la Ora siamo in grado di calcolare il flusso di questo
somma di un numero infinito di sorgenti microsco- campo attraverso una superficie scelta opportuna-
piche ciascuna delle quali si può considerare punti- mente. Ci si potrebbe chiedere che interesse possa
forme e per il Teorema di Gauss il flusso del campo avere calcolare il flusso del campo prodotto da una
prodotto da questa distribuzione di sorgenti attra- distribuzione del genere che chiaramente non può
verso una qualunque superficie chiusa deve valere esistere. Ma dobbiamo ricordarci che quel che stia-
4πkQ, qualunque sia la forma della superficie (at- mo facendo è fisica e non matematica. La parola
traverso la quale si misura il flusso) e la distribuzio- infinito in matematica significa un numero n che
ne delle sorgenti. In quest’espressione Q = i Qi è è sempre maggiore di ogni altro numero m che si
P
la somma dei valori della sorgente in unità oppor- può immaginare. In fisica, invece, infinito signifi-
tune (per esempio, nel caso delle cariche elettriche ca molto piú grande di qualunque altro numero che
sono i valori delle cariche espresse in C) e k la co- si può misurare. Se quindi prendiamo una lastra
stante che determina l’intensità del campo (nel caso piana di forma quadrata di lato L, la superficie di
del campo elettrico è la costante di Coulomb). area L2 è praticamente infinita rispetta a qualcosa
Immaginiamo allora una superficie piana unifor- le cui dimensioni siano h L. Se quindi prendiamo
memente coperta di sorgenti e infinita. Scegliamo un foglio di materiale isolante elettricamente cari-
un punto alle coordinate r = (x1 , x2 , x3 ) qualunque co in modo uniforme, nelle immediate vicinanze del
dello spazio e valutiamo il campo prodotto comples- foglio, non vicino ai bordi, il campo elettrico dev’es-
sivamente da queste sorgenti. Una maniera di farlo sere proprio come descritto piú sopra, almeno fino
consiste nel prendere una sorgente elementare, cal- a quando la distanza dal foglio h si mantiene molto
colarne il campo nel punto r e sommarlo a quello piú piccola del suo lato L. Allontanandosi dal foglio
di tutte le altre sorgenti, ciascuna delle quali potrà il campo comincia a non essere piú uniforme, ma se
trovarsi a distanze diverse dal punto e quindi potrà ci si allontana abbastanza il foglio appare sempre di
contribuire piú o meno al campo totale. Un mo- piú come un puntino lontano e il campo deve asso-
do piú semplice però è il seguente. Qualunque puto migliare a quello di una carica puntiforme. Vedete
r0 6= r è del tutto equivalente all’altro: dal momento come le caratteristiche di un campo possano variare
che la superficie piana ha estensione infinita ci sono secondo il modo in cui lo si guarda (misura).
tante sorgenti a distanza r0 da r0 quante ce ne sono a Proviamo a calcolare il flusso di un campo vet-
distanza r da r per ogni distanza che potete imma- toriale uniforme e perpendicolare a una superficie
ginare. Di conseguenza il campo prodotto da tutte piana sulla quale sono distribuite uniformemente le
le sorgenti nel punto r non può essere diverso da sorgenti di questo campo. Per calcolare il flusso sce-
quello prodotto dalle stesse sorgenti in qualunque gliamo una superficie a forma di cilindro, che attra-
altro punto r0 . Perciò il campo V di queste sorgen- versi quella su cui sono adagiate le sorgenti, di area
ti non può dipendere dalle coordinate e dev’essere di base πR2 e di altezza 2h.
quindi uniforme: deve cioè avere lo stesso modu- Supponiamo che il campo sia uscente dal piano
lo, la stessa direzione e lo stesso verso ovunque: (se è entrante cambia solo il segno del flusso). Im-
V = V n̂. Ma quale direzione e quale verso deve maginando la distribuzione di sorgenti vista di ta-
avere il campo? glio e disposta verticalmente il campo sarà diretto
Esiste una sola direzione che non dipende da una orizzontalmente e, a destra della distribuzione, sarà
scelta arbitraria rispetto a un piano di estensione rivolto verso destra, mentre a sinistra sarà rivolto
infinita, che è la direzione perpendicolare al pia- verso sinistra.
no stesso. Quindi questa è l’unica direzione che il La superficie laterale del cilindro è parallela al
campo può assumere. Ci sono due possibili versi: vettore campo, quindi la normale a questa superfi-
cie è perpendicolare al campo, pertanto il prodot- 2kσπ ovunque. Se il campo è un campo elettrico
to scalare tra quest’ultimo e la superficie è sempre possiamo scrivere k = 4πε
1
0
e
nullo. Il flusso del campo attraverso la superficie la-
terale è quindi nullo. Il campo, cioè, non attraversa 1 σ
E=2 σπ = . (30.25)
mai questa superficie. Le superfici di base, invece, 4πε0 2ε0
hanno un vettore normale che è parallelo al cam- A distanza relativamente piccole da un foglio elettri-
po e quindi il prodotto scalare si riduce al prodotto camente carico in modo uniforme, quindi, il campo
ordinario tra i moduli dei vettori. Su ciascuna base elettrico è perpendicolare al foglio e costante:
il prodotto del modulo del campo per quello della σ
base vale E= n̂ . (30.26)
2ε0
Φb = πR2 V (30.20)
e quello totale è semplicemente la somma di quel-
30.5 Il campo nei conduttori
lo delle due basi: Φ = 2πR2 V . Secondo il Teorema Dal Teorema di Gauss possiamo derivare un’impor-
di Gauss questo flusso dev’essere però anche ugua- tante proprietà dei conduttori: all’interno di ogni
le a Φ = 4πkQ dove Q è la quantità di sorgente conduttore il campo è nullo, mentre sulla sua su-
presente all’interno della superficie e k la costante perficie il campo è sempre perpendicolare alla su-
che determina l’intensità del campo di una sorgente perficie stessa. La prima proprietà discende dal fatto
puntiforme. che all’interno di un conduttore non possono esserci
I flussi calcolati usando la definizione di questa cariche elettriche: se ce ne fossero queste si muo-
grandezza e col Teorema di Gauss devono essere verebbero e in un tempo relativamente breve fini-
uguali, perciò rebbero per distribuirsi sulla sua superficie, come si
vede al Paragrafo 26.7. Se non ci sono cariche non
2πR2 V = 4πkQ (30.21) può esserci campo elettrico. Si potrebbe pensare che
da cui si ricava che ciascuna delle cariche distribuite sulla superficie del
conduttore produca un campo che in linea di prin-
Q cipio si può estendere anche al volume interno del
V = 2k . (30.22)
R2 conduttore, ma quando le cariche presenti hanno
Quanto vale Q? Il valore di questa grandezza si de- raggiunto la condizione di equilibrio i loro campi si
termina valutando la quantità di sorgente presen- devono sommare tra loro sin modo tale da annullare
te all’interno del cilindro che è soltanto quella di- completamente qualsiasi campo presente all’interno
stribuita sul piano in un’area uguale a quella de- del conduttore.
terminata dall’intersezione col cilindro stesso. Se la Il Teorema di Gauss infatti garantisce che il flusso
densità superficiale σ di sorgenti è uniforme (se totale del campo attraverso qualunque superficie
cioè la quantità di sorgente per unità di superficie è chiusa è proporzionale alla carica presente al suo in-
costante) possiamo scrivere che terno. Poiché all’interno dei conduttori non possono
esserci cariche elettriche, il flusso del campo attra-
Q = πR2 σ (30.23) verso qualunque superficie interna al volume del
e sostituendo nell’espressione di V si trova conduttore dev’essere nullo e poiché questo flusso è
nullo per qualunque superficie non può che esserlo
R2 σ
π a causa del campo che quindi dev’essere nullo lui
V = 2k = 2kσπ . (30.24) stesso.
R2
È relativamente facile eseguire un esperimento
Come ci aspettavamo il campo non dipende affatto
dalle coordinate: il suo modulo è costante e vale per dimostrare sperimentalmente quanto sopra: si
prende un elettroscopio e si verifica che funzioni poi, non sono perfetti: presentano tutti un certo gra-
avvicinandogli un corpo elettricamente carico (una do di resistenza al moto delle cariche e quindi non
bacchetta di plexiglass o un palloncino strofinati con è detto che proprio tutte le cariche si spostino sulla
la carta da cucina o un fazzoletto. A causa del feno- loro superficie. Il risultato è che all’interno del con-
meno dell’induzione le foglie dell’elettroscopio do- duttore possono rimanere cariche elettriche residue
vrebbero allontanarsi l’una dall’altra. Ma se l’elet- che producono un campo piú o meno intenso. L’effi-
troscopio è rinchiuso all’interno di una gabbia fat- cacia di uno schermo elettrostatico dipende dal ma-
ta di materiale conduttore (una gabbia di Fara- teriale di cui è fatto e anche dalla sua geometria. Se
day) l’elettroscopio non risente affatto del campo il conduttore è un buon conduttore (cioè se nel ma-
pur prodotto dalla carica che gli viene avvicinata. teriale di cui è composto le cariche si muovono con
Come è possibile? È semplice: il campo prodotto estrema facilità) allora sono valide le considerazioni
dalla carica avvicinata all’elettroscopio produce una fatte, altrimenti lo sono solo parzialmente.
forza sulle cariche elettriche delle particelle di cui è La seconda proprietà dei conduttori (quella se-
composto il conduttore che lo contiene. Poiché nel condo la quale il campo sulla superficie dev’essere
conduttore queste cariche sono libere di muoversi lo diretto perpendicolarmente a essa) deriva anch’es-
faranno in seguito all’applicazione di questa forza in sa dal fatto che le cariche nei conduttori sono li-
modo tale da distribuirsi sulla sua superficie. Il mo- bere di muoversi: se esistesse una componente E||
to termina quando tutte le cariche si sono portate del campo elettrico sulla superficie del conduttore
in una condizione tale per cui all’interno del con- diretta parallelamente a essa, le cariche elettriche
duttore il campo sia nullo. Sugli strumenti presenti sulla sua superficie si muoverebbero fino a quan-
all’interno della gabbia dunque non agisce soltan- do il campo non si raggiungesse una condizione di
to il campo elettrico prodotto dalla carica avvici- equilibrio che evidentemente non può che ottener-
nata, ma anche quello delle cariche sulla superficie si per E|| = 0. Non potendoci essere componenti
esterna del conduttore che li contiene. Se cambia il del campo dirette parallelamente alla superficie il
campo esterno cambia anche quello prodotto dalle campo deve necessariamente essere perpendicolare
cariche sulla superficie della gabbia, in modo tale a questa.
che all’interno di questa il campo sia sempre nullo.
Questo principio si usa per schermare i disposi-
tivi elettronici dai campi esterni: avrete notato che 30.6 Intrappolare il campo
qualsiasi dispositivo elettronico è sempre rivestito
Il risultato del Paragrafo 30.4 permette di realizzare
da una superficie metallica (in qualche caso questa
un dispositivo capace di contenere il campo elettrico
si trova sotto la superficie visibile del dispositivo e
all’interno di un volume finito: una specie di conte-
quindi non si vede, ma se lo aprite si nota). I campi
nitore di campo, insomma. Infatti, secondo il risul-
elettrici esterni possono infatti modificare il com-
tato ottenuto in quel paragrafo, il campo prodotto
portamento di un circuito il cui funzionamento di-
da una distribuzione piana e uniforme di carica è
pende evidentemente da fenomeni di tipo elettrico.
indipendente dalla distanza da questa distribuzione
Se però si mettono i circuiti all’interno di una scato-
e vale
la metallica conduttrice i campi elettrici esterni non
possono piú influenzarli. L’efficacia della scherma- σ
n̂ .
E= (30.27)
tura dipende da vari fattori. Innanzi tutto bisogna 2ε0
considerare che quanto abbiamo detto vale rigoro- Il campo è sempre perpendicolare alla superficie pia-
samente per i campi elettrostatici che non variano na elettricamente carica e poiché σ = Q/S assume
nel tempo. Se i campi sono variabili nel tempo insor- il segno della carica Q deposta sul piano, è uscente
gono altri fenomeni di cui occorre tenere conto, che dal piano se Q > 0 e entrante altrimenti. Possia-
possono invalidare quanto detto finora. I conduttori,
mo quindi pensare di prendere una lastra metallica che di segno diverse, ma non con i campi che hanno
piana, di forma qualsiasi, per esempio rettangolare, sempre lo stesso segno.
e di caricarla positivamente. Vista di taglio la la-
stra appare come un segmento, a destra del quale
c’è un campo elettrico diretto verso destra, mentre 30.7 Il campo della forza peso
a sinistra il campo è diretto verso sinistra.
Basta pensarci un attimo per capire che quella de-
Ora prendiamo un’altra lastra uguale, ma cari-
scritta al Paragrafo 30.4 è la stessa situazione che
chiamola negativamente. Questa volta, vista di ta-
si verifica nel caso della forza peso. Il campo della
glio, la lastra presenta un campo elettrico rivolto a
forza peso è uniforme e il suo modulo vale g. È di-
sinistra alla sua destra e a destra alla sua sinistra.
retto vero il suolo ovunque. Questa coincidenza ci
La situazione è rappresentata nel Filmato 30.2.
fa sospettare che il campo che produce la forza peso
La lastra di colore blu, carica positivamente, produ-
possa essere un campo del tutto analogo a quello
ce il campo uniforme rappresentato dai vettori blu.
che produce la forza elettrica. In fondo, noi sappia-
Se avviciniamo una lastra carica negativamente (in
mo che la Terra ha la forma grosso modo di una
rosso) che produce un campo diretto al contrario
sfera, ma se guardiamo in basso ci appare assoluta-
vediamo che tra le due lastre i campi sono diret-
mente piatta. Il motivo è che il raggio di curvatura
ti nello stesso verso, mentre all’esterno del doppio
della Terra è talmente grande per cui al confronto
strato di cariche hanno versi opposti. Se la densità
con le distanze che possiamo raggiungere in condi-
di carica è in modulo la stessa, i due campi sono
zioni ordinarie, appare essere infinito. In definitiva,
uguali, perciò all’interno del doppio strato il campo
nei pressi della superficie terrestre, questa sembra
ha un’intensità doppia rispetto a quella del campo
piana, ma soltanto perché siamo molto vicini a essa
del singolo strato e
e soltanto perché R h dove R è il raggio della
Q Terra e h l’altezza dalla quale facciamo le misure ri-
E= (30.28) spetto al suolo. Nell’animazione del Filmato 30.3 di
ε0
ed è diretto in modo tale da puntare dalla lastra può vedere come un campo radiale appaia uniforme,
positiva a quella negativa. All’esterno del doppio se visto da molto vicino alla superficie sferica che lo
strato invece i campi si cancellano a vicenda e genera, che a sua volta appare piatta.
Possiamo quindi pensare che la situazione fisica
E = 0. (30.29) che ci troviamo a sperimentare quando siamo sulla
Terra sia quella di un campo uniforme generato da
Questo stratagemma per intrappolare il campo si una superficie piana e infinita di tante sorgenti mi-
può usare con i campi elettrici, generati da cari- croscopiche di un campo diverso da quello elettrico,
ma fatto nello stesso modo. Se infatti il campo della
forza peso G fosse generato da una qualche sorgente Uguagliando i due flussi si ottiene
puntiforme Q potremmo scrivere che
M
πr2 g = 4πG πr2 (30.35)
Q 4πR2
G = G 2 r̂ . (30.30)
r e quindi
Poiché la forza subíta dai corpi nel campo della forza
peso è proporzionale alla loro massa, la sorgente del M
g=G 2. (30.36)
campo della forza peso dev’essere proprio la massa e R
possiamo quindi scrivere che un corpo puntiforme D’altra parte quest’interpretazione è anche coeren-
di massa m produce un campo, che cominciamo a te con il fatto che il campo prodotto da una di-
chiamare col suo nome gravitazionale stribuzione sferica di sorgenti è identico, all’ester-
no della distribuzione, a quello prodotto da una
M
G = G 2 r̂ . (30.31) sorgente puntiforme concentrata nel centro della
r distribuzione.
Ora consideriamo una superficie sferica di raggio R È pur vero che è difficile immaginare che la Ter-
sulla quale sia distribuita la massa della Terra. La ra sia una sfera completamente cava: quasi certa-
densità di sorgenti sarebbe mente la sua massa non è distribuita soltanto sulla
superficie, ma lo sarà anche all’interno e probabil-
M
s= . (30.32) mente nemmeno in modo uniforme. Questa però è
4πR2 solo un’ipotesi semplificativa per fare i conti.
Supponiamo che la massa della Terra sia tutta di- Possiamo fare un’ipotesi piú realistica scegliendo
stribuita sulla sua superficie e cioè che il nostro pia- come superficie di Gauss un cilindro di raggio r che
neta sia vuoto al suo interno. In questo caso il campo si estende per una lunghezza h all’esterno della Ter-
gravitazionale all’interno della Terra sarebbe nullo, ra e per uno spessore s all’interno. Scegliamo s h
mentre all’esterno sarebbe identico a quello di una e r s. Al solito, il flusso del campo gravitazio-
massa puntiforme (Paragrafo 30.3). nale attraverso le pareti laterali del cilindro è nullo.
Se scegliamo una superficie attraverso la quale Quello sulla base del cilindro esterna alla Terra vale
calcolare il flusso del campo a forma di cilindro di πr2 g. Invece sulla base interna si hanno due contri-
area di base πr2 e altezza 2h che attraversa la su- buti: il campo prodotto dalla superficie terrestre di
perficie terrestre, tale che h R, possiamo consi- spessore s molto piccolo e interna al cilindro pro-
derare il campo localmente uniforme all’interno del duce un campo diretto verso l’interno della Terra,
cilindro. In questo caso il campo è parallelo alla su- mentre il resto della Terra produce un campo identi-
perficie laterale del cilindro, quindi quest’ultima non co a quello di una carica puntiforme, che quando at-
contribuisce al flusso. Attraverso la superficie di ba- traversa la base inferiore del cilindro è praticamente
se esterna alla Terra, poiché il campo vale g, il flusso perpendicolare a questa e quindi ha verso opposto
vale a quello prodotto dalla sola superficie. Dal Paragra-
fo 30.3 sappiamo che il campo prodotto dall’interno
Φs (G) = πr2 g (30.33) di una sfera piena coincide in modulo con quello
mentre attraverso la superficie di base interna è nul- prodotto da una sfera cava alla sua superficie, quin-
lo perché lí il campo è nullo. Per il Teorema di Gauss di i due campi (uno entrante nella base inferiore e
questo flusso dev’essere uguale a Φs (Q) = 4πGM uno uscente da questa) non solo hanno versi opposti,
dove M è la massa contenuta nel cilindro e quindi ma hanno anche lo stesso modulo: di conseguenza
si cancellano l’un l’altro e il flusso attraverso questa
M base è nullo.
M= 2
πr2 . (30.34)
4πR
Cosí otteniamo lo stesso risultato anche per una e quindi, per la Legge di Newton,
Terra piena, che sembra piú ragionevole.
In sostanza abbiamo imparato che le masse sono v2 M
m
= mG 2 . (30.39)
sorgenti di campo gravitazionale il quale, a grandi r r
distanze dalle sorgenti, si comporta come il campo La velocità media della Luna è
di una sorgente puntiforme. Se ci si avvicina alla sor-
2πr
gente questa appare sempre piú come una sfera, ma v= (30.40)
il campo non cambia apprezzabilmente perché quel- T
lo prodotto da questa distribuzione di masse è iden- con T che indica il periodo di rivoluzione di circa
tico, almeno all’esterno della distribuzione, a quello 27 giorni. Abbiamo dunque che
che sarebbe prodotto da una massa puntiforme po-
M 4π 2 r2
sta al centro della sfera. Se ci si avvicina molto alla G = (30.41)
superficie il campo risulta praticamente uniforme. r T2
e
Quindi sulla Terra la forza peso è il risultato del-
l’interazione tra le masse e il campo gravitazionale 4π 2 3
prodotto dalla Terra che, vista da lontano, appare T2 =
r . (30.42)
GM
come una sfera e deve quindi produrre un campo
Il risultato appena ottenuto è noto come terza Leg-
pari a
ge di Keplero il quale la determinò sperimental-
M mente misurando le distanze e i tempi di rivoluzione
G=G r̂ (30.37) non solo della Luna, ma di tutti i pianeti del Sistema
r2
Solare. Nella formulazione di Keplero la Legge dice
dove r R, indicando con R il raggio della Terra.
che il quadrato del tempo di rivoluzione di un pia-
Questo significa che i corpi celesti vicini alla Terra
neta è proporzionale al cubo della sua distanza dal
(la Luna, per esempio, ma anche tutti i satelliti arti-
Sole. Il fattore di proporzionalità si ricava proprio
ficiali del nostro pianeta), essendo dotati di massa,
da questo rapporto, che è uguale per tutti i pianeti:
devono sentire gli effetti di questo campo e non è
difficile immaginare che il motivo per cui la Luna T2 4π 2
(e gli altri satelliti) girano intorno alla Terra invece = . (30.43)
r3 GM
che andarsene in giro liberi, deve risiedere proprio
dove M , parlando di pianeti, è la massa del corpo ce-
in questa interazione. Se sulla Luna non agisse al-
leste piú massivo del Sistema che è il Sole. Rispetto a
cuna forza, il nostro satellite si muoverebbe di moto
quella del Sole, le masse degli altri pianeti sono ridi-
rettilineo uniforme e si allontanerebbe sempre piú
colmente piccole quindi è come se fossero nulle ai fini
dalla Terra. Invece percorre praticamente un’orbi-
della produzione di campo gravitazionale ed è come
ta quasi circolare attorno alla Terra, il che significa
se nello spazio interplanetario ci fosse, almeno in pri-
che dev’esserci una forza centripeta che la trattiene
ma approssimazione, soltanto il campo prodotto dal
nelle vicinanze del pianeta.
Sole. È chiaro che avvicinandosi a uno qualunque
Questa forza dev’essere proprio quella prodotta
dei pianeti le cose cambiano radicalmente perché la
dal campo gravitazionale che è anche responsabile
distanza dal pianeta si riduce mentre quella dal So-
della caduta degli oggetti. In altre parole potrem-
le aumenta o resta approssimativamente costante e
mo dire che la stessa forza che fa cadere gli og-
il campo gravitazionale del pianeta comincia a di-
getti è quella che permette alla Luna di orbitare.
ventare abbastanza intenso da farsi sentire se non
L’accelerazione centripeta si scrive sempre come
molto piú intenso di quello del Sole. Sulla Terra,
v2 per esempio, noi percepiamo chiaramente il campo
a= (30.38) gravitazionale terrestre, ma non quello prodotto dal
r
Sole che è molto piú debole perché noi distiamo dal In effetti storicamente non è andata cosí: si è ca-
centro della Terra r ' 6 000 km, mentre il Sole sta pito prima che la forza peso e quella gravitazionale
a 149 milioni di km. erano della stessa natura e Isaac Newton determinò
C’è da essere piuttosto soddisfatti! Grazie a osser- la forma che doveva avere questa forza,
vazioni sulle proprietà elettriche della materia siamo
riusciti a determinare un risultato che vale per la Mm
F=G
r̂ , (30.49)
forza che fa cadere gli oggetti sulla Terra che si sco- r2
pre essere la stessa che impone ai pianeti di orbitare trovando che G ' 6.67 × 10−11 in unità SI. Se New-
attorno al Sole. Chi l’avrebbe detto? ton avesse saputo di piú sulle forze elettriche, il cui
Inoltre, grazie alle nostre osservazioni, adesso sia- studio sistematico iniziò oltre un secolo dopo, non
mo in grado di pesare oggetti come il Sole. Come avrebbe dovuto faticare tanto per trovare questo ri-
possiamo farlo? È semplice: è sufficiente conoscere sultato, che in effetti non è affatto facile da trovare
il valore della costante G, che fu misurata da Henry basandosi sui soli dati sperimentali derivanti dalle
Cavendish grazie a una bilancia di torsione. Il valore osservazioni del cielo.
di G è Adesso sappiamo che la forza F si scrive come
F = mG dove G è il campo gravitazionale. La
forza con la quale la Terra è attratta dal Sole dunque
G = 6.674 08±0.000 31×10−11 m3 kg−1 s−2 . (30.44) è il risultato dell’interazione tra la massa del nostro
pianeta m e il campo gravitazionale prodotto dal
La massa della Terra si ottiene facilmente dalla Sole G = GM r̂. Di fatto, dunque, la Terra (e tutti
r2
relazione gli altri pianeti) non fanno altro che cadere sul Sole,
M senza mai raggiungerlo.
g=G 2 (30.45) Potete vedere la cosa in questo modo: immaginate
R
di lanciare un sasso molto lontano e tanto per fissare
dove R ' 6 371 km è il raggio del nostro pianeta
le idee immaginiamo di fare l’esperimento al polo e
che si può misurare in molti modi (provate a farlo).
di lanciare il sasso lungo un meridiano. Il sasso per-
Invertendo questa relazione si trova
corre una traiettoria parabolica, almeno finché vale
l’approssimazione per cui il campo gravitazionale è
R 2 3 2
(6 371 × 10 ) uniforme, che a un certo punto interseca la super-
24
M =g ' 9.8 ' 5.96 × 10 kg . ficie terrestre, come si vede (avendo esagerato no-
G 6.674 × 10−11
(30.46) tevolmente le proporzioni) dalla Fig. 30.4. Aumen-
Una volta nota la massa della Terra quella del Sole è tando la velocità iniziale del sasso, questo giungerà
facile da calcolare sapendo che il periodo della Terra piú lontano. Nella Fig. 30.5 si vedono le traiettorie,
è di 365 giorni (che corrispondono a 31 536 000 s) e in diversi colori, fatte da un sasso lanciato a veloci-
che la distanza tra i due corpi è di 149 milioni di tà diverse. Prima o poi il sasso ricade sulla Terra e
km. Per la terza Legge di Keplero si ha che se lo lanciaste abbastanza forte potrebbe atterrare
proprio alle vostre spalle.
T2 4π 2 Continuando a lanciare sempre piú forte il vostro
= . (30.47)
r3 GM sasso, a un certo punto succederà che la velocità del
e quindi sasso è tale da fargli fare un giro completo della Ter-
ra e tornare in uno dei punti in cui era già passato:
3
quando giunge nel punto A della Fig. 30.6 da cui
4π 2 r3 4 × 3.142 × (149 × 109 ) era passato subito dopo il lancio, il sasso ha lo stes-
30
M= ' 2 ' 1.9×10 kg .
GT 2 6.674 × 10 −11 × (32 × 10 )
6 so stato che aveva allora e non essendo cambiate nel
(30.48) frattempo le forze esterne il suo moto sarà del tutto
devono agire forze su di lui o su di lei). massa che questo sta dentro il Sole. La distanza
La forma della traiettoria dipende dalle condizio- Terra-Sole è di 150 milioni di km, perciò il centro di
ni iniziali e, come abbiamo detto, può essere un’el- massa dista dal Sole
lisse (di cui la circonferenza è un caso particolare),
una parabola o un’iperbole. I pianeti del Sistema 149 × 106
r1 = ' 500 km . (30.52)
Solare, che sono corpi celesti che orbitano attorno 300 000
al Sole, hanno orbite ellittiche (le uniche coniche Il raggio del Sole è di quasi 700 000 km, quindi il
a essere chiuse) di cui il Sole occupa uno dei due punto attorno al quale orbita si trova molto vicino
fuochi. Questo è l’enunciato di un’altra Legge di al suo centro.
Keplero: la prima. Anche questa legge fu determi-
nata in modo empirico da Keplero e fu a posteriori
spiegata da Newton che derivò, dalle osservazioni 30.8 La materia oscura
sperimentali, la forma matematica che doveva avere
Le galassie sono costituite di numerosissime stelle
il campo gravitazionale. Nel caso del Sistema Sola-
che orbitano attorno a un punto. Usando tecniche
re il Sole occupa uno dei fuochi dell’ellisse perché è
spettroscopiche si può misurare la velocità di rota-
molto piú pesante dei pianeti e la sua accelerazione
zione delle stelle presenti nelle galassie a varie di-
è trascurabile.
stanze dal centro. La tecnica consiste nell’isolare la
Nell’Universo esistono sistemi binari di stelle
luce proveniente da una piccola porzione di galassia
nei quali due stelle orbitano attorno a un punto co-
e osservarne le righe di assorbimento dello spettro,
mune, ciascuna seguendo una traiettoria ellittica. Il
disperdendone la luce con un prisma o un reticolo.
punto attorno al quale ruotano le stelle di questi si-
Quello che si osserva è che alcuni colori dello spettro
stemi è il loro centro di massa che occupa sempre
mancano (e in corrispondenza di questi colori com-
uno dei fuochi di entrambe le orbite. La posizione
paiono righe scure). La posizione di queste righe è
del centro di massa si ricava imponendo che
caratteristica degli elementi di cui sono composte le
stelle e le distanze relative tra le righe sono sempre
r1 M1 = r2 M2 (30.50)
le stesse, ma non la loro posizione. In alcuni casi
dove r = r1 + r2 è la distanza tra le due stelle e le righe sono spostate verso il rosso, in altri ca-
ri la distanza della stella i dal centro di massa; Mi si verso il blu. Questo fenomeno, noto anche come
è la massa della stella i–esima. Se due stelle han- red shift o blue shift s’interpreta come il risultato
no la stessa massa il loro centro di massa si trova dell’effetto Doppler applicato alla luce. La luce, che
nel punto a metà della congiungente le due stelle. è un’onda, proveniendo dalle stelle in avvicinamento
Se, per esempio, M2 = αM1 , le rispettive distanze verso di noi assume, per l’effetto Doppler, una lun-
delle stelle dal comune centro di massa si ricavano ghezza d’onda minore e appare piú azzurra, mentre
dall’equazione quella delle stelle in allontanamento appare piú ros-
sa perché noi la vediamo con un lunghezza d’onda
r1 = αr2 (30.51) piú ampia rispetto a quella con la quale è emessa.
per cui il corpo celeste piú pesante è anche quello In una galassia in rotazione alcune stelle si avvi-
piú vicino al centro di massa. In effetti questo accade cinano a noi e altre si allontanano e questo si vede
per qualunque coppia di corpi celesti. Nel caso della dallo spostamento delle righe spettrali delle stelle
Terra e del Sole, per esempio, entrambi orbitano che si osservano. Lo spostamento dipende dalla ve-
attorno al comune centro di massa. Il fatto è che locità con cui le stelle si avvicinano o si allontana-
il Sole è enormemente piú pensate della Terra (la no che dunque si può misurare dalla differenza di
massa del Sole è piú di 300 000 volte quella della lunghezza d’onda tra le righe.
Terra) perciò il Sole è talmente vicino al centro di
4
M (r) = ρV = ρ πr3 . (30.54)
3
La forza che subisce una stella di massa m a distanza
r dal centro della galassia ha quindi modulo
4πr3 ρm 4πρm
Fg = G 2
=G r (30.55)
3r 3
e cresce quindi come r fino a quando r = R, dopo di
che la galassia si comporta come un corpo puntifor-
me per cui ci si aspetta che questa forza, per r > R
vada come
Mm
Fg = G (30.56)
Figura 30.7 Nel grafico si vede la velo- r2
cità con la quale si muo-
essendo M = M (R) la massa complessiva della ga-
vono le stelle della galassia
NGC3198 in funzione della lassia. Se la stella di massa m orbita attorno alla
distanza dal centro. La curva galassia, la forza che abbiamo appena scritto dev’es-
indicata con disk rappresen- sere uguale alla sua massa per l’accelerazione, che
ta quella che dovrebbe essere è un’accelerazione centripeta e perciò, per r < R
la curva di rotazione secon-
dev’essere
do le Leggi della Gravitazio-
ne; quella marcata halo è la
differenza tra quella attesa e
4πρm v2
r=m . G (30.57)
quella sperimentale. 3 r
Dividendo per m entrambi i membri si trova
r
πρm
Facendo un grafico della velocità di rotazione del- v=2 G r. (30.58)
le stelle in funzione della distanza dal centro delle 3
galassie si trovano distribuzioni come quelle della La velocità dunque cresce linearmente con la distan-
Fig. 30.7. Questa distribuzione appare subito stra- za dal centro e questo è proprio quel che si vede nella
na. Per capire perché è necessario calcolare la di- prima parte della curva di rotazione della figura. A
stribuzione attesa. Per semplicità immaginiamo che distanze maggiori però ci si aspetterebbe che
una galassia sia costituita da un ammasso sferico
Mm v2
di stelle di densità costante, che si estende fino a G 2 =m (30.59)
un raggio R ' 10 kpc (kiloparsec: il parsec è una r r
misura di distanza corrispondente a 3.26 anni lu- da cui si ricava
ce). Il campo gravitazionale prodotto da una simile r
distribuzione di massa è M
v= G (30.60)
r
M (r)
G = G 2 r̂ , (30.53) per cui la
√ velocità delle stelle dovrebbe diminuire
r come 1/ r. Se non lo fa ci dev’essere un motivo.
dove M (r) rappresenta la massa della galassia con- Una possibile spiegazione è che attorno alla galassia
tenuta in un raggio r dal centro. Se la densità ρ è sia presenta un alone di materia non luminosa det-
costante questa massa si scrive ta materia oscura che dev’essere di natura diver-
sa rispetto alla materia ordinaria che conosciamo.
Quest’ultima, infatti, produrrebbe comunque una dentro a fuori, mentre quelle che rientrano nel po-
sia pur debole radiazione luminosa che sarebbe pos- lo Sud l’attraversano in verso contrario. Cosicché
sibile rivelare, ma che invece non si riesce a vedere il flusso totale del campo attraverso la superficie è
in alcun modo. nullo: qualunque sia il numero di linee di forza che
Nei moderni acceleratori di particelle si cerca, tra attraversano la superficie in un senso, questo nume-
l’altro, di produrre questo tipo di materia attra- ro dev’essere uguale a quello che l’attraversano nel
verso la collisione tra particelle di materia ordina- senso contrario.
ria. Se davvero è questa la spiegazione, allora de- Naturalmente potremmo tagliare il magnete a ba-
v’essere possibile osservare eventi nei quali l’energia stoncino per farlo diventare sempre piú piccolo, ma
sembra non conservarsi: l’energia della materia or- questo non cambia le cose perché comunque il ma-
dinaria, infatti, sarebbe ceduta alla materia oscura gnete superstite avrà sempre, per quanto corto, un
ch non interagisce con i rivelatori e dunque non è polo Nord e un polo Sud e le linee di forza devono
osservabile. uscire dall’uno ed entrare nell’altro.
Naturalmente questa non è l’unica spiegazione Se invece di circondare completamente il magne-
possibile, ma è una spiegazione che appare possibile te con una superficie, scegliamo una superficie che
sulla base delle nostre attuali conoscenze. Si posso- lo interseca da qualche parte le cose non cambia-
no fare altre ipotesi come quella secondo la quale la no: se le linee di forza che entrano in un magnete
forma del campo gravitazionale non è esattamente sono uguali a quelle che ne escono, possiamo im-
quella prevista da Newton (e che noi abbiamo sco- maginarle sempre come linee chiuse che passano
perto in questo capitolo) oppure che esistano altri attraverso il materiale di cui è fatto il magnete. Il
fenomeni sconosciuti o ancora che il nostro modo numero di quelle che attraversano la superficie in un
d’interpretare le misure spettroscopiche sia sbaglia- verso dunque è sempre uguale al numero di quelle
to. Come sempre ciascuna ipotesi dev’essere verifi- che l’attraversano nel senso contrario e il flusso del
cata sperimentalmente, quindi c’è ampio spazio per campo continua a essere nullo.
nuove scoperte, sopra tutto considerando che, am- In definitiva il risultato delle nostre osservazioni è
mettendo che l’ipotesi della materia oscura sia cor- semplice: il flusso di un campo magnetico attraverso
retta, la stima che si ricava dalle osservazioni spe- una superficie chiusa è sempre nullo:
rimentali è che solo il 5 % della materia di cui è
costituito l’Universo sembrerebbe essere luminosa e ΦB (S) = 0 . (30.61)
quindi a noi nota. Tutto il resto, al momento, ci è
Un risultato del genere implica che non esistono sor-
completamente sconosciuto.
genti puntiformi del campo in questione: non esi-
stono cioè punti dello spazio da cui le linee di for-
30.9 Il flusso del campo ma- za promanano né punti in cui convergono piú linee
di forza, a meno che questi punti non coincidano.
gnetico Il campo magnetico dunque deve essere necessa-
riamente di natura diversa rispetto ai campi elet-
Il campo megnetico è prodotto dai magneti, i quali
trici e gravitazionali che sono generati da sorgenti
hanno sempre tutti un polo Nord e un polo Sud. Se
puntiformi.
quindi prendiamo un magnete a forma di baston-
cino e lo circondiamo con una superficie di forma
qualunque, le linee di forza uscente dal polo Nord
del magnete possono rientrare nel polo Sud restan-
do sempre all’interno della superficie oppure posso-
no attraversarla. Ma cosí facendo, le linee di forza
uscenti dal polo Nord attraversano la superficie da
X
∆L = ∆Li , (31.3)
i
dove r2 è la distanza tra q e Q, uguale a quella che Se la carica è giunta nel punto finale percorrendo
aveva prima di cominciare lo spostamento lungo b una traiettoria rettilinea che l’ha portata diretta-
e r3 è la distanza del punto raggiunto al termine mente dal punto iniziale a quello finale o se ci è ar-
del tratto lungo c. Muovendosi lungo d la particella rivata attraverso il percorso indicato nella Fig. 31.1
di prova non cambia la propria distanza da Q e il o in qualsiasi altra maniera non importa: il lavoro
lavoro fatto dalla forza elettrica, per lo stesso moti- è sempre lo stesso. Il valore della funzione U per la
vo che abbiamo discusso nel caso dello spostamento carica di prova è una grandezza fisica perché si
lungo b, è nullo: ∆Ld = 0. Lungo e abbiamo invece può misurare per il corpo in questione conoscendo-
che ne la carica elettrica q e la distanza r dalla carica
Q. Questa grandezza fisica, per la carica elettrica
1 1 q, non dipende dalla storia di quella carica, ma sol-
∆Le = kqQ − . (31.10)
r3 r4 tanto dallo stato della particella definito, in questo
Sommando tutti i lavori si vede subito che caso, dalla posizione r e dalla carica q. In altre pa-
role, il valore della funzione U non dipende affatto
∆L = kqQ
1
−
1
. (31.11) da ciò che è accaduto alla carica un istante prima
r1 r4 di raggiungere un determinato stato: noto questo
In sostanza il lavoro svolto dalle forze elettriche di- è noto il valore di U che per questo prende il no-
pende soltanto dalla distanza dalla quale è partita la me generico di funzione di stato. Una funzione di
carica e da quella a cui è arrivata. I passi intermedi stato non è altro che una funzione che restituisce il
sono del tutto ininfluenti. valore di una grandezza fisica misurabile per un da-
Ora, qualunque traiettoria segua la particella, to corpo che non dipende da quanto è accaduto al
una tale traiettoria si può pensare composta di una corpo fino a un istante prima di misurarla: il valore
serie di traiettorie radiali seguite da archi di cir- di una funzione di stato dipende unicamente dallo
conferenza: basta solo rendere abbastanza piccole le stato che ha la particella nel momento in cui se ne
singole componenti della traiettoria. Di conseguen- valuta il valore. È evidente che, dipendendo soltanto
za il risultato è valido per qualunque traiettoria: il dallo stato, se una particella parte da uno stato A
lavoro fatto dalle forze elettriche (centrali) per spo- (per esempio, se q parte da una distanza rA da Q),
stare una particella da una distanza r1 a una di- esegue una serie di movimenti qualunque e poi, dopo
stanza r2 , qualunque sia la forma della traiettoria, un tempo T , torna nello stato A, la grandezza fisica
dipende soltanto dal punto iniziale e da quello finale che stiamo esaminando, che è funzione di stato, non
(in particolare dipende soltanto dalla distanza tra la cambia, perciò la sua variazione è nulla: ∆U = 0.
particella di prova e quella che genera il campo). Il Questa è chiaramente una proprietà generale delle
lavoro di una forza centrale dunque è una funzione funzioni di stato: ogni volta che un corpo parte da
di stato e si può sempre scrivere il lavoro ∆L come uno stato A e vi ritorna dopo essere passata per una
la differenza ∆L = U (rf ) − U (ri ) dove U (r) dipen- serie di stati qualunque, ogni funzione di stato torna
de soltanto da r. Nel caso in esame, qualunque sia il al valore che aveva inizialmente e ∆U = 0.
modo in cui la carica di prova è giunta dal punto a La funzione di stato che stiamo trattando è
distanza r1 al punto a distanza r4 , il lavoro si scrive definita come
per una carica puntiforme. A essere pignoli si 31.1.1 L’energia potenziale gravita-
potrebbe sempre scrivere zionale
qQ La forza elettrica e la forza gravitazionale hanno di
U (r) = −k +C. (31.16)
r fatto la stessa forma matematica. La prima si scrive,
dove C è una costante, perché quando andiamo a in modulo,
calcolare il lavoro ∆L svolto dalla forza per portare
qQ
la carica q da ri a rf otteniamo F =k 2 (31.18)
r
e laseconda
qQ qQ
∆L = −∆U = U (rf )−U (ri ) = −k +C− −k +C mM
rf ri F =G 2 . (31.19)
(31.17) r
che è sempre lo stesso indipendentemente da C. In Se l’energia potenziale della prima vale
altre parole l’energia potenziale U è definita a meno
di una costante. Il lavoro svolto dalle forze centra- qQ
U = −k (31.20)
li per spostare un corpo da un punto a un altro r
si calcola come la differenza dell’energia potenziale quella della seconda non può che scriversi come
valutata nei due punti cambiata di segno. Se al va-
mM
lore scelto di U sommiamo una quantità arbitraria U = −G . (31.21)
la differenza non cambia, quindi non possiamo di- r
re realmente quanto vale l’energia potenziale di una Su tutta la superficie terrestre r = r0 ' 6000 km
particella che si trova in un punto, ma soltanto di l’energia potenziale di un corpo di massa m al suolo
quanto varia. I possibili valori, tutti ugualmente le- è una costante che vale
gittimi, dell’energia potenziale di una particella in mM
un punto sono infiniti. Possiamo, naturalmente, sce- U = −G (31.22)
r0
glierne uno per convenzione e poi calcolare gli altri
sulla base di questo. I punti piú ovvi da usare sono con M pari alla massa della Terra. Spostando un
due: quello a distanza nulla dalla carica che genera corpo a una quota h lo si porta dalla distanza r = r0
il campo e quello a distanza infinita. Nel primo ca- alla distanza r = r0 + h e la sua energia diventa
so, qualunque sia C, U = ∞, quindi non possiamo
che scegliere il valore da dare a C quando r = ∞. In mM mM mM
h
questo caso U = C e se scegliamo C = 0, U = 0. Il U = −G r + h = −G h
' −G
r0
1−
r0
.
punto a energia nulla è quindi quello a distanza infi-
0 r0 1 + r0
nita dalla sorgente. Ma non dobbiamo mai dimenti- (31.23)
care che possiamo sempre aggiungere o togliere una Poiché l’energia potenziale è sempre definita a me-
costante a nostro piacere a qualunque valutazione no di una costante possiamo sottrarre o aggiungere
dell’energia potenziale, purché usiamo tale valore in qualunque costante a U senza che la fisica cambi:
maniera coerente: se stiamo valutando il lavoro fat- quello che conta (che si può misurare) non è l’e-
to da una forza centrale possiamo farlo sottraendo i nergia, ma la variazione di energia. Se sommiamo
due valori dell’energia potenziale calcolati nei punti all’espressione di U gravitazionale la costante
iniziale e finale usando la stessa costante C.
mM
C=G (31.24)
r0
otteniamo
mantenere uno stato di moto che dipende dall’ener- le dell’energia: è definita a meno di una costante. Se
gia cinetica che possiede. Se il nostro amico va al si pensa all’energia come a una moneta, è chiaro che
ristorante, la sua disponibilità finanziaria di riduce non è la stessa cosa ricevere 10 euro per un lavoro
di −∆S pari all’importo del conto. Se invece svolge rispetto al caso in cui se ne percepiscono 1010. La
un lavoro per qualcuno, quest’ultimo sarà compen- capacità di spesa è maggiore in quest’ultimo caso, a
sato (almeno si spera) con una quantità ∆S di de- meno di non pensare che per ogni transazione eco-
naro che incrementerà la sua capacità di spendere. nomica sia necessario pagare 1000 euro, per cui se
Per le particelle accade qualcosa di analogo: se sulla ricevo 1010 euro di compenso e poi compro un og-
particella agisce una forza di attrito, la particella, getto che vale 10 euro devo pagarne comunque 1010.
muovendosi, esegue un lavoro nei confronti della su- Nell’interpretazione secondo la quale l’energia è una
perficie con la quale è in contatto perdendo, di fatto, misura del livello d’interazione di una particella con
una quantità di energia cinetica ∆K uguale al lavo- un campo, l’eventuale costante arbitraria rappresen-
ro fatto. In questo caso ∆K < 0 e il risultato è che ta una traslazione della scala usata per misurare
la capacità di muoversi della particella si riduce. Se quest’interazione. Ogni scala è arbitraria in quanto
invece si esegue lavoro sulla particella (per esempio definita da noi e non in maniera assoluta.
grazie all’applicazione di un campo esterno), la sua Non c’è, di fatto, grande differenza tra il concetto
energia cinetica aumenta. di energia e quello di temperatura: per quanto
Se il lavoro che si fa in questi casi è una funzione il secondo ci sembri piú familiare, a pensarci bene
di stato si può definire una energia potenziale si tratta di qualcosa che non è affatto banale come
come l’opposto di questo lavoro e il campo che dà sembra. La temperatura di un oggetto non è, nei fat-
origine alla forza da cui dipende l’energia potenziale ti, quella cosa che si sente col tatto (possiamo fare
si dice conservativo. esperimenti che dimostrano che il tatto non permet-
Un altro modo di comprendere il significato del- te di stimare una temperatura, ma la rapidità con
l’energia consiste nel considerarla una misura del- la quale il calore fluisce da o verso il nostro corpo),
l’intensità dell’interazione con un campo esterno (o ma una misura del livello di agitazione delle compo-
con un’altra particella che è la sorgente di questo nenti elementari di un corpo. L’energia potenziale è
campo). In assenza di qualunque interazione con un una misura di quanto intensamente le componenti
campo l’energia cinetica di una particella non cam- di un corpo si accoppiano a un campo.
bia perché se non c’è campo non c’è forza e quindi Come nel caso dell’energia, possiamo sempre sce-
non c’è accelerazione. Se invece la particella è in un gliere arbitrariamente la posizione dello zero della
campo conservativo, spostandosi da un punto A scala con la quale si misura la temperatura: nel-
a un punto B subísce una forza il che implica che la scala centigrada o Celsius, lo zero della tem-
perde o acquista lavoro e di conseguenza cambia la peratura corrisponde alla temperatura del ghiaccio
sua energia cinetica. Poiché però l’energia cinetica fondente, ma nella scala Fahrenheit lo zero corri-
cambia di una quantità pari a quella di cui varia sponde alla temperatura di circa 33 ◦ C. Allo stesso
quella potenziale, la somma dell’energia cinetica e modo, possiamo sempre scegliere di assegnare all’e-
dell’energia potenziale resta costante. Piú intenso è nergia potenziale di un pacco di pasta da 1 kg il
il campo con cui la particella interagisce piú è gran- valore zero quando si trova sul pavimento di una
de il lavoro fatto per spostarsi a parità di sposta- stanza, ma se questa stanza si trova al primo pia-
mento e piú è grande questo lavoro, piú è grande la no di un palazzo, lo stessa pacco di pasta avrebbe
variazione di energia potenziale. un’energia potenziale rispetto al piano terra pari a
Questo modo di concepire l’energia potenziale è mgh = 1 × 9.8 × 3.4 ' 33 J.
leggermente migliore rispetto al primo, non solo per- Nel caso delle temperature possiamo definire una
ché piú fisico (questo non ha grande importanza), scala assoluta usando i Kelvin perché questa
ma perché mantiene una caratteristica fondamenta- quantità rappresenta una misura dello stato di moto
Al Capitolo ?? definiamo un campo per descrive- e definiamo quindi il campo prodotto dalla passa
re gli effetti provocati dalla presenza di una sorgente M come
indipendentemente dalla presenza di una particella
di prova. In modo del tutto analogo possiamo defi- F M
G=− = −G 2 r̂ . (32.2)
nire altre grandezze utili a descrivere gli effetti di un m r
campo indipendentemente dalla presenza della par- Due cariche elettriche q e Q esercitano l’una nei
ticella di prova. È chiaro, infatti, che un campo ma- confronti dell’altra una forza
nifesta i propri effetti soltanto se c’è una particella
qQ
con la quale interagisce. In assenza di tale parti- F=k r̂ (32.3)
cella è impossibile rivelare la presenza del campo. r2
Però supponiamo che il campo ci sia, indipendente- e il campo prodotto da Q si scrive come
mente dalla presenza o meno di qualcosa che ce ne F Q
fa apprezzare l’esistenza. E=− = −k 2 r̂ . (32.4)
q r
Gli effetti che il campo provoca su un’eventuale
particella di prova dipendono, evidentemente, dal- Il lavoro ∆L fatto dalle forze in questione per spo-
la natura e dalle caratteristiche di questa particella: stare una particella di un tratto ∆s è indipenden-
nel caso del campo elettrico, gli effetti provocati dal- te dalla traiettoria seguita dalla particella e di-
l’interazione con la carica di prova dipendono dalla pende soltanto dagli stati iniziale e finale. Pertan-
carica elettrica; nel caso del campo gravitazionale to quindi sempre esprimere ∆L come la differen-
dipendono dalla sua massa. za di due valori di una funzione di stato U :
Possiamo però studiare le proprietà generali dei ∆L = −∆U . Alla funzione U abbiamo dato il nome
campi eliminando la dipendenza da queste caratte- di energia potenziale. L’energia potenziale dipen-
ristiche nella descrizione degli effetti provocati. Una de dalle caratteristiche di entrambe le particelle che
delle grandezze fisiche che in qualche misura descri- interagiscono. Nel caso di particelle con massa
vono gli effetti del campo su una particella di prova mM
è l’energia potenziale. U = −G +C (32.5)
r
Per definire un campo abbiamo semplicemente di-
e nel caso delle particelle elettricamente cariche
viso l’espressione della forza agente su una particel-
la che si accoppia a quel campo per la caratteristica qQ
che ne definisce l’intensità dell’accoppiamento. Due U = −k +C (32.6)
r
corpi di massa m e M si attraggono a vicenda con dove C è una costante arbitraria.
una forza pari a In maniera del tutto analoga a quanto abbia-
mM mo fatto per definire i campi a partire dalle for-
F = −G r̂ (32.1) ze, possiamo immaginare di definire una grandez-
r2
za fisica che dipende soltanto dalla sorgente del
32.1. RAPPRESENTAZIONI DEL CAMPO: LE SUPERFICI EQUIPOTENZIALI 344
Il campo lungo questa direzione è dunque cui è composto un integrale, la differenza diventa
infinitesima e si scrive dV che è uguale a
3 g
E= √ g=√ . (32.17)
3 2 2 dV = E · ds . (32.21)
Geometricamente la direzione scelta è una retta che
Questo ci permette di rifare gli stessi ragionamenti
forma un angolo di 45◦ con la verticale. La proiezio-
che abbiamo fatto nel caso degli spostamenti fini-
ne del campo gravitazionale terrestre di modulo g
ti: se si considera uno spostamento infinitesimo ds
lungo questa direzione è proprio g moltiplicata per
√ come somma di due spostamenti infinitesimi, uno
il coseno di 45◦ , che vale proprio 1/ 2.
parallelo e uno perpendicolare al campo, possiamo
Se il campo non è costante non possiamo piú
scrivere
scrivere che
(32.22)
dV = E · ds|| + ds⊥ .
∆V = E · ∆s , (32.18)
Anche in questo caso il secondo addendo della som-
perché E può dipendere dalle coordinate e quindi
ma è nullo perché E è perpendicolare a ds⊥ e quindi
il prodotto scalare cambierebbe secondo il punto
resta
scelto per calcolarlo. Possiamo però sempre scrivere
che
dV = E · ds|| = Eds|| (32.23)
(32.19) dove il prodotto scalare è stato riscritto semplice-
X X
∆V = ∆Vi = Ei · ∆si
i i mente come il prodotto ordinario dei moduli grazie
dividendo lo spostamento ∆s in tanti piccoli spo- al fatto che i due vettori fattori sono ora tra lo-
stamenti ∆si : abbastanza piccoli perché in ciascuno ro paralleli e il coseno dell’angolo compreso vale 1.
il campo Ei si possa considerare costante. La diffe- Possiamo dunque scrivere che la componente E di
renza di potenziale totale è ovviamente la somma un campo parallela a uno spostamento ds si può
delle differenze di potenziale in ciascun tratto. La trovare come
somma può non essere facile da farsi. In certi casi si dV
può usare il calcolo integrale per farla. Lasciamo ,
E= (32.24)
ds
naturalmente all’insegnante di matematica il com-
pito di spiegare come si calcola un integrale. Per i cioè come la derivata del potenziale del campo
nostri scopi è sufficiente sapere che l’integrale rap- stesso. Nel caso, per esempio, di un campo radiale
presenta la somma di tanti piccoli contributi, per sappiamo che
cui passando la limite in cui lo spostamento ∆si è Q
infinitesimo (piccolissimo) possiamo sostituire ∆si V =k (32.25)
r
con il differenziale o incremento ds e la somma
dove k è una costante, Q la sorgente del campo (la
con un integrale scrivendo
massa per il campo gravitazionale e la carica elet-
Z b trica per quello elettrico) e r rappresenta la distan-
∆V = E · ds . (32.20) za dalla sorgente. Lungo la direzione di un raggio
a
avremo che
Gli estremi d’integrazione a e b rappresentano
i punti tra i quali s’intende calcolare la differenza
dV d Q Q
E= = k = −k 2 (32.26)
di potenziale. Se invece di sommare tanti contributi dr dr r r
per ottenere una differenza di potenziale finita ∆V
che è proprio l’espressione del modulo del campo
si calcola una variazione infinitesima del potenzia-
lungo la direzione radiale.
le, cioè se si tiene solo uno degli infiniti addendi di
In definitiva, per rappresentare un campo si pos- che evidente dal fatto che l’energia cinetica, definita
sono usare diverse rappresentazioni. Tra queste rap- come 12 mv 2 , è omogenea a quella potenziale). Il po-
presentazioni quella del potenziale è particolarmen- tenziale gravitazionale dunque ha evidentemente le
te comoda perché questa grandezza fisica è scala- dimensioni fisiche di una velocità al quadrato. Per
re e, si sa, fare i conti con gli scalari è piú facile il potenziale elettrico non si può ottenere una de-
che farli con i vettori. La rappresentazione peral- finizione piú semplice, ma si può definire un’unità
tro permette di conoscere facilmente le componenti di misura apposita: il Volt, indicato col simbolo V.
del campo in qualunque direzione: basta calcolare L’energia che una particella di carica pari a 1 C
la derivata del potenziale lungo la direzione nella guadagna (o perde) passando da un punto A a un
quale si vuole conoscere il valore della componente. punto B tra cui esista una differenza di potenziale
Cosí in un singolo numero V (x) è inclusa sia l’infor- di 1 V è pari a 1 J.
mazione su quanto intenso sia il campo nel punto x Avendo quest’unità a disposizione possiamo espri-
sia quanto rapidamente vari. E per di piú possiamo mere altre grandezze fisiche connesse in questi ter-
valutare l’energia U che possiederebbe una particel- mini. Per esempio, poiché il campo si ottiene di-
la se immersa nel campo nel punto x: U = qV (x) videndo una differenza di potenziale per uno spo-
(qui q è una carica elettrica se parliamo di poten- stamento, possiamo misurare il campo elettrico
ziale elettrico e una massa se parliamo di potenziale in V/m e quello gravitazionale in m/s2 (vi torna?
gravitazionale). è un’accelerazione).
Va detto che non tutti i campi si prestano a que- In effetti il V/m è l’unità piú comune per i cam-
sto tipo di rappresentazioni. Per esempio, nel ca- pi elettrici, perché è relativamente facile stabilire i
so dei campi magnetici, la rappresentazione con le valori dei potenziali e le misure di distanza sono
linee di forza funziona piuttosto bene, ma quella semplici da fare. È molto piú complicato fare una
col potenziale no. Non si riesce a definire, in effetti, misura di forza e una di carica.
un potenziale magnetico e il motivo consiste nel
fatto che il lavoro fatto dalle forze magnetiche non
è indipendente dallo spostamento del magnete di
prova.
vole del condensatore quadrato. Osserviamo che la elettricamente neutro. Le cariche si spostano soltan-
quantità to da un’armatura all’altra, ma complessivamente il
condensatore non cambia il suo stato di carica. Se
∆V d
= (33.7) queste cariche fossero libere di muoversi potrebbero
Q ε0 εr S tornare nello stato originario dando luogo a un mo-
dipende soltanto da come è costruito il dispositivo: to di cariche che potremmo cercare di sfruttare in
da quanto sono grandi le sue armature, da quanto qualche maniera.
distano e da cosa c’è in mezzo. Si tratta dunque Prima di capire come si può sfruttare il moto delle
di una quantità che caratterizza completamente il cariche facciamo due conti per capire quanta ener-
condensatore, indipendentemente dal suo stato di gia possiamo immagazzinare in questo dispositivo.
carica. Il lavoro necessario per spostare una carica elemen-
Un condensatore è uno strumento interessante tare dQ da un’armatura all’altra tra cui ci sia una
perché per caricarlo è necessario spendere una cer- differenza di potenziale ∆V vale
ta quantità di energia per compiere il lavoro neces-
sario a spostare una carica da un’armatura all’al- Q
dL = dQ∆V = dQ d, (33.9)
tra. È importante osservare che non importa come ε 0 εr S
venga spostata la carica, dal momento che il cam- che cresce al crescere di ∆V la quale, a sua volta,
po elettrostatico è conservativo. Il lavoro necessario cresce all’aumentare della carica deposta su un’ar-
per spostare una carica elettrica da un’armatura al- matura. Il lavoro totale necessario per portare la
l’altra muovendosi lungo un segmento perpendico- carica di un’armatura da Q = 0 a Q 6= 0 (e l’arma-
lare alle armature è identico a quello necessario per tura opposta alla carica opposta) è la somma dei
compiere lo stesso spostamento con un qualunque lavori elementari, che possiamo riscrivere come
altro percorso tortuoso a piacere! Cosa c’è d’inte-
ressante nel fatto che per la carica di un condensa- Z Q Z Q
d d Q2
tore è richiesta una certa quantità d’energia? Che ∆L = dL = QdQ = .
l’energia si conserva e quindi l’energia cosí spesa re- 0 ε0 εr S 0 ε0 εr S 2
(33.10)
sta in qualche modo immagazzinata nel conden-
In quest’espressione compare la quantità
satore che potrebbe restituircela in qualche forma
in un tempo successivo. Il condensatore dunque si d
comporta come un contenitore di energia. =C (33.11)
ε0 εr S
Quando si solleva un oggetto di massa m a una
che abbiamo visto piú sopra. Possiamo allora
quota h l’oggetto immagazzina una quantità d’e-
riscrivere
nergia potenziale gravitazionale mgh, dove g rap-
presenta l’accelerazione di gravità. Nel momento in Q2
cui l’oggetto si lascia libero, l’energia ci viene in ∆L = C . (33.12)
2
qualche modo restituita nel senso che l’oggetto co-
Poiché
mincia a cadere raggiungendo una velocità v al suolo
tale che ∆V
C= (33.13)
1 2 Q
mv = mgh . (33.8) possiamo anche riscrivere
2
Allo stesso modo noi potremmo caricare un con- ∆V Q2 1
densatore spostando cariche da un’armatura all’al- ∆L = = Q∆V (33.14)
Q 2 2
tra. Attenzione: in questo caso caricare significa
di energia, perché il condensatore resta comunque o ancora, dal momento che
durante la carica. Questo lavoro ci viene restituito ha tutte le caratteristiche di un campo, quindi siamo
facendo in modo che le cariche tornino nell’armatu- in qualche misura autorizzati a usare questa parola
ra da cui sono state spostate durante la carica. le per identificarlo. Se E è un campo omogeneo al cam-
cariche dunque si devono spostare e possono farlo po elettrostatico (con le stesse dimensioni fisiche),
solo passando attraverso il filo. Se lo fanno signifi- l’integrale
ca che su di esse agisce una forza d’intensità F che Z
compie un lavoro Ed` = ∆V (33.24)
Z
∆L = F d` (33.21) ha le dimensioni fisiche di una differenza di poten-
ziale che possiamo chiamare tensione oppure for-
dove l’integrale va fatto lungo il percorso definito za elettromotrice, che solitamente si abbrevia in
dal filo elettrico. Questo significa che la forza agisce fem. Il nome diverso serve a rendere esplicito il fat-
solo dentro il filo e che è responsabile dello sposta- to che pur avendo la stessa natura, si tratta di una
mento delle cariche. La forza F quindi dev’essere grandezza fisica diversa, che è numericamente ugua-
proporzionale alla carica q di queste, F = qE, e le alla differenza di potenziale presente ai capi del
possiamo quindi scrivere che condensatore quando è carico, all’inizio del proces-
Z so di scarica. In effetti il prodotto di q per ∆V è
∆L = qEd` . (33.22) proprio l’energia di una carica q quando si trova a
un potenziale ∆V . Quando il condensatore inizia a
q evidentemente non può dipendere dalla posizio- scaricarsi questa differenza di potenziale diminuisce
ne nel filo e quindi è costante rispetto a `. Possia- e questo si può osservare nel processo di riscalda-
mo quindi portarla fuori dal segno di integrale per mento del filo che inizialmente è molto intenso e
ottenere poi, man mano che passa il tempo, diventa sempre
Z meno violento.
∆L = q Ed` . (33.23) Il termine forza elettromotrice spesso trae in
inganno: è opportuno osservare che, a dispetto del
Non abbiamo usato il simbolo E a caso per scri- nome, la forza elettromotrice non è una forza! Le
vere F = qE. È chiaro che E deve avere le stesse sue dimensioni fisiche sono quelle di una differenza
dimensioni fisiche di un campo elettrostatico e quin- di potenziale e quindi si misura in V, mentre le forze
di dev’essere a questo omogeneo. Non è un campo si misurano in N. È lecito, naturalmente, domandar-
elettrostatico perché non è conservativo. Usando un si per quale diavolo di motivo i fisici, di solito molto
filo piú lungo o piú corto evidentemente si portano attenti a scegliere i nomi, abbiano scelto proprio un
sempre le cariche elettriche dal potenziale ∆V al po- nome cosí ingannevole per questa grandezza. Il fat-
tenziale nullo, ma se il filo è lungo il riscaldamento to è che quando un nome si è diffuso è difficile cam-
che si ottiene è diverso da quello che si misura quan- biarlo. Gli autori dei libri tendono a non discostarsi
do il filo è corto. Quel che si vede sperimentalmente troppo dalla tradizione e poiché quando è iniziato lo
è che quando un filo è corto il riscaldamento è piú studio dell’elettricità si supponeva che ci fosse una
intenso. Tuttavia E ha le stesse dimensioni fisiche di forza che si manifestava ai capi di un condensatore,
un campo elettrostatico e possiamo chiamarlo cam- gli autori dei primi libri sull’elettricità hanno usato
po elettromotore: non è un vero e proprio campo questo nome che, sfortunatamente, si è conservato
perché si manifesta soltanto in presenza di un con- fino a oggi. In quest’opera ci ripromettiamo il ten-
duttore. Un campo esisterebbe a prescindere dalla tativo di non seguire le tradizioni (in fondo è per
presenza del conduttore (e anzi sarebbe nullo al suo questo che si chiama Fisica Sperimentale), ma il
interno) e sarebbe prodotto da una sorgente che in termine forza elettromotrice è talmente diffuso che
questo caso si fatica a individuare. Ma formalmente è ormai praticamente impossibile evitare di usarlo.
La rapidità con la quale il filo si scalda si può La corrente dunque deve risultare da un moto dei
caratterizzare valutando la potenza impegnata dal portatori di carica non simmetrico, perché le cari-
dispositivo che, per definizione, è che positive, in seguito all’applicazione di un qual-
Z che campo di natura elettrica, si muovono all’op-
dL dq posto di come fanno quelle negative. Il numero di
P = = Ed` . (33.25)
dt dt cariche positive che attraversa la sezione di un con-
Il rapporto duttore nell’unità di tempo dev’essere quindi diver-
so da quello delle cariche negative. Da quest’espres-
dq sione si capisce che la corrente deve avere un segno
I= (33.26)
dt che è positivo se a prevalere sono le cariche positive.
lo chiamiamo corrente elettrica. Questa grandez- Possiamo dunque dire che il verso nel quale scorre
za fisica ci dice quanto rapidamente si scalda un la corrente è quello nel quale si muovono i portatori
filo metallico quando le sue estremità sono colle- positivi di carica.
gate alle armature di un condensatore. Sostituendo È importante osservare che la corrente, per com’è
∆V all’integrale e I alla variazione di q nell’unità definita, non è un vettore, ma uno scalare con segno.
di tempo, possiamo quindi scrivere che Quello che definiamo il verso della corrente non ha
niente a che vedere con il verso di un vettore. Il ver-
P = I∆V . (33.27) so di una corrente ci dice in quale verso si muovono
La corrente elettrica rappresenta fisicamente la i portatori di carica positivi che la determinano. È
quantità di carica che nell’unità di tempo attraver- anche importante osservare che la corrente potrebbe
sa una sezione del conduttore. È dunque una misura anche essere determinata dalle sole cariche positive
del moto di cariche elettriche all’interno di un con- in moto nello stesso verso della corrente, oppure dal-
duttore. Le dimensioni fisiche della corrente sono le sole cariche negative in moto nel verso opposto.
quelle di una carica elettrica, misurata in C, divisa Se però la corrente dipendesse da una sola delle ca-
per un tempo. La corrente dunque si misura in C/s. riche possedute dalle particelle che compongono il
All’unità di corrente pari a 1 C/s si dà il nome di filo, tirando un filo nel verso della sua lunghezza
Ampère1 , che si indica con il simbolo A. si dovrebbe osservare una corrente scorrere in es-
Da questa analisi non possiamo dire se a muoversi so. Dal momento che questa cosa non succede, se
siano le cariche elettriche positivo o quelle negati- ne conclude che la corrente che si manifesta quan-
ve. Potrebbero anche essere entrambe. Immaginia- do il filo è collegato a un condensatore è il risultato
mo un filo conduttore con all’interno un certo nume- di un moto non identico di cariche positive e nega-
ro di cariche positive Q+ e negative Q− . Dal momen- tive. Per qualche ragione, quando le estremità del
to che il filo è complessivamente neutro Q+ = Q− in filo sono a potenziali diversi sia le cariche positive
valore assoluto. Il numero N+ delle cariche positive che quelle negative si muovono al suo interno, ma
che si spostano invece può essere diverso da quel- o quelle positive si muovono piú facilmente in di-
lo delle cariche negative N− . La corrente elettrica rezione della corrente oppure sono quelle negative
totale sarà a farlo, ma nella direzione opposta. Dal punto di
vista macroscopico si può quindi sempre pensare al-
la corrente che scorre in un certo verso come a un
∆Q ∆N+ Q+ − ∆N− |Q− | moto complessivo di cariche elettriche positive nello
I= = . (33.28)
∆t ∆t stesso verso.
1
per ricordare il contributo di André–Marie Ampère
allo studio dell’elettrodinamica.
N
X
Ceq = Ci . (33.38)
i=1
questo le pile prendono anche il nome di batterie: guito, parleremo piú frequentemente di generato-
una batteria è un insieme di pile. re per indicare un qualche dispositivo che riesce a
Come funziona una pila? Capirlo dai dati speri- mantenere una differenza di potenziale che si può
mentali non è facile perciò in questo caso ci limite- considerare costante ai suoi capi. Naturalmente le
remo a darne una descrizione sommaria che pren- pile sono generatori, ma non tutti i generatori so-
derete per buona, anche se non ci sarà possibile di- no pile. Gli alimentatori per cellulari, per esempio,
mostrare, dati alla mano, che questo è il meccani- sono generatori che mantengono una differenza di
smo corretto. La stessa interpretazione di Volta del potenziale di 5 V ai capi, ma non sono pile.
fenomeno era sbagliata, anche se ciò non toglie nul- Anche i pannelli fotovoltaici sono generatori.
la al suo genio che gli permise di costruire questo Anche in questo caso possiamo immaginare il pan-
dispositivo avendo capito che, in ogni caso, acco- nello come una specie di condensatore. Anche se la
stare due metalli diversi era la chiave per produrre spiegazione del funzionamento del pannello fotovol-
differenze di potenziale e quindi correnti elettriche. taico richiede la meccanica quantistica, si può im-
Possiamo immaginare il processo pensando a una maginare il processo come segue: l’energia traspor-
vaschetta con acido solforico in soluzione acquosa. tata dalla luce del Sole è impiegata dal pannello per
L’acido solforico è formato da due atomi d’idrogeno, produrre il lavoro necessario a separare le cariche
uno di zolfo e quattro di ossigeno (H2 SO4 ). In acqua positive da quelle negative che si accumulano su due
l’acido si dissocia: l’idrogeno, cioè, si separa dal re- lati opposti del pannello. Quando il campo elettrico
sto dando luogo a due ioni H+ formati ciascuno da prodotto da questa distribuzione di cariche è suffi-
un protone senza elettroni, e a uno ione SO−− 4 , cioè cientemente grande (cioè quando la differenza di po-
a un atomo di zolfo legato con quattro atomi di ossi- tenziale ai capi del pannello è sufficientemente alta)
geno con due elettroni di troppo. Allo stesso tempo l’energia della luce solare non basta piú a spostarle:
lo zinco presente nell’elettrodo si scioglie in acqua questa tenderebbe a portare altre cariche negative
diventando Zn++ , cioè zinco cui mancano due elet- verso quelle già spostate su una delle due facce, ma
troni, che restano intrappolati nell’elettrodo stesso. queste ultime producono una forza repulsiva mag-
Gli ioni H+ che vengono in contatto col rame, in- giore e impediscono ad altre cariche di avvicinarsi.
vece, gli strappano ciascuno un elettrone diventano Se però si collegano le due facce del pannello con un
H neutro per legarsi subito a formare una molecola filo conduttore la corrente inizia a scorrere e il nu-
H2 che emerge dalla soluzione sotto forma di idroge- mero delle cariche accumulate sulle facce si riduce
no gassoso. Poiché al rame mancano due elettroni, favorendo nuovamente il processo di accumulo che
rubati dall’idrogeno, se si mette il rame in contatto va cosí avanti fino a quando d’è abbastanza luce.
con l’elettrodo di zinco attraverso un filo metallico, Le pale eoliche, invece, sfruttano l’energia cine-
gli elettroni di troppo che si trovano in quest’ulti- tica del vento per trasformarla in lavoro necessario
mo tendono a migrare verso quello di rame e questo a separare le cariche in un qualche tipo di dispositi-
provoca il passaggio di una corrente elettrica. vo che, comunque sia fatto, alla fine si può sempre
Gli elettrodi di una pila si chiamano poli. Il po- pensare come del tutto simile a una pila. Il funzio-
lo a potenziale piú alto si chiama polo positivo e namento di una pala eolica si spiega al Paragrafo ??,
quello a potenziale piú basso polo negativo. Poiché ma dal nostro punto di vista possiamo interpretarne
i potenziali sono sempre definiti a meno di una co- il comportamento alla luce di quanto appreso fino-
stante possiamo sempre attribuire al polo negativo ra. L’energia cinetica del vento mette in moto l’eli-
il potenziale nullo e quindi al polo positivo spetterà ca che sottrae energia al vento e la usa per ruotare
un potenziale pari alla differenza di potenziale che (muoversi). La rotazione, per i fenomeni illustrati
si produce dalla reazione chimica sopra illustrata. al Paragrafo ?? producono una differenza di poten-
Oggi disponiamo di diversi sistemi per generare ziale che si può sempre immaginare come prodotta
differenze di potenziale costante. Per questo, nel se- dalla separazione di cariche elettriche opposte che si
accumulano sulle due facce di un dispositivo. In que- dove L rappresenta la lunghezza complessiva del cir-
sto caso sembra abbastanza naturale aspettarsi che cuito, troveremmo che la differenza di potenziale ai
la differenza di potenziale (che è il lavoro fatto dalle capi di ciascun pezzettino sarebbe
forze per unità di carica elettrica) dipenda dal lavoro
fatto dal vento per mettere le pale in rotazione e in ∆V
.
∆Vi = (33.40)
effetti è cosí. Le pale eoliche vanno quindi correda- ∆`i
te di un qualche dispositivo in grado di stabilizzare Cambiando la natura del conduttore si noterebbe
la tensione prodotta: una maniera di farlo consiste che il calore prodotto dal filo percorso da corrente,
nell’usare la corrente prodotta dalle pale per intro- che per unità di tempo è proprio I∆V , cambierebbe.
durre cariche elettriche in un dispositivo costruito In particolare quel che si osserva è che usando fili
come una pila, cioè in una batteria ricaricabile. di rame, alluminio o ferro, di sezione e lunghezza
Quando la tensione ai capi di questa batteria dimi- fissati, cambia la quantità di calore prodotta per
nuisce perché usata per alimentare la corrente che unità di tempo. Essendo ∆V fissato dal generatore
scorre in un filo, sono le cariche elettriche spinte dal l’unica cosa che può cambiare è I. Questo significa
vento che rimpiazzano quelle rimosse per effetto del che la corrente che scorre nel conduttore I dipende
collegamento col filo utilizzatore. In questo modo le dal tipo di materiale impiegato. Possiamo sempre
cariche disponibili nella soluzione acida non si con- scrivere che
sumano e la batteria potrebbe, in linea di principio,
durare all’infinito (in realtà si verificano processi che I ∝ σ∆V (33.41)
causano un danneggiamento degli elettrodi, quindi
dove σ, che chiamiamo conducibilità elettrica
anche le batterie ricaricabili hanno una vita finita,
dipende dal materiale di cui è fatto il filo.
ma molto piú lunga di quelle normali).
Misurando il calore prodotto usando conduttori
fatti dello stesso materiale, ma di lunghezza diversa,
33.6 La Legge di Ohm si nota che l’intensità di corrente I diminuisce al
crescere della lunghezza ` del conduttore. Questo
Disponendo di un generatore (sia esso una pila o significa che
meno), che riesce a mantenere una differenza di po-
∆V
tenziale costante (almeno entro la sensibilità degli I∝ . (33.42)
strumenti adoperati per misurarla) possiamo rea- `
lizzare dispositivi nei quali scorre una corrente co- Possiamo anche fare misure di intensità di corrente
stante per un tempo ragionevolmente lungo. Questi (che equivalgono a misure di potenza dissipata sotto
dispositivi li chiamiamo circuiti perché affinché ciò forma di calore) in funzione della sezione del filo S.
succeda è necessario che i conduttori impiegati per In questo caso troveremmo che la corrente aumenta
collegare il polo positivo col polo negativo di una quando la sezione aumenta, cioè che
pila formino almeno una linea chiusa.
La differenza di potenziale ai capi del generato- I ∝ S∆V . (33.43)
re è costante. Questo significa che lungo il circuito Cambiando altri fattori non si osservano cambia-
questa non può esserlo: se dividessimo il circuito in menti sensibili di I. Ad esempio, cambiando la tem-
tanti pezzettini uguali ∆`i tali che peratura alla quale si trova il conduttore si nota
X un leggerissimo aumento della corrente quando la
L= ∆`i (33.39) temperatura scende, ma si tratta di una diminuzio-
i ne molto piccola. Siamo dunque autorizzati a con-
siderare costante la conduttanza del circuito con
la temperatura, almeno un prima approssimazione.
potrebbe produrre una situazione di pericolo per le metria del conduttore (equazione 33.46), prende il
persone perché quel che si sa è che il passaggio di nome di seconda Legge di Ohm. La resistenza
corrente attraverso il corpo umano può essere peri- elettrica si misura in
coloso: una corrente relativamente alta può produr-
re ustioni e persino portare alla morte (il motivo è ∆V V
[R] = = = Ω. (33.48)
chiaro: il passaggio di corrente provoca la genera- I A
zione di calore che produce le ustioni; la morte può Se in un conduttore il rapporto tra ∆V e I vale 1,
essere causata da un malfunzionamento del cuore V
A
= 1, si dice che presenta una resistenza di 1 Ω
che batte grazie a impulsi elettrici che il cervello (che si legge Ohm).
invia a quest’organo). La Legge di Ohm permette di riscrivere la re-
Il sistema di aggancio del filo al traliccio quindi lazione P = I∆V , che esiste tra potenza dissi-
dev’essere fatto di materiale la cui resistività è mol- pata, differenza di potenziale applicata e corrente
to alta, come il vetro o la ceramica. In questo modo (eq. (33.27)), come
la resistenza R del dispositivo di aggancio è alta e la
corrente che passa dal filo al traliccio è molto picco- ∆V 2
P = RI 2 =
. (33.49)
la: al limite nulla. Ma la corrente potrebbe passare, R
oltre che all’interno del volume del dispositivo, an- Con un conduttore che presenta una resistenza al
che sulla sua superficie. Nei normali conduttori la passaggio di corrente si può dunque costruire una
corrente che scorre in superficie è trascurabile ri- stufa che produce una quantità di calore per unità
spetto a quella che scorre nel volume, ma se le cari- di tempo che, misurata in unità di energia è pari a
che elettriche non riescono ad attraversare il volume RI 2 . Possiamo interpretare la cosa in questo modo:
perché isolante, potrebbero muoversi sulla superficie la corrente rappresenta in qualche maniera il moto
non essendo ostacolate dal meccanismo, ancora non delle cariche elettriche nel conduttore. Le cariche in
ben delineato, che dà luogo alla resistenza elettrica. moto evidentemente possiedono una certa quanti-
È ragionevole aspettarsi che se il viaggio che devono tà di energia cinetica. Rimuovendo il generatore la
compiere le cariche per giungere da un punto all’al- corrente si arresta immediatamente, segno che le ca-
tro è piú lungo, la probabilità che queste arrivino è riche perdono l’energia che possiedono in un tempo
piú bassa. Se le cariche si muovessero in superficie, brevissimo. Questo significa che è proprio il genera-
rendendo grande quest’ultima si renderebbe piú dif- tore a fornire in continuazione l’energia necessaria
ficile il passaggio di corrente. Questo è il motivo per alle cariche per muoversi le quali, non appena acqui-
cui la forma di questo oggetti presenta tutti quei stano energia dal generatore, la perdono da qualche
rigonfiamenti: in questo modo si rende massima la parte per poi riacquistarla. È evidente che le cariche
superficie mantenendo l’ingombro piuttosto conte- possono perdere la loro energia soltanto nel condut-
nuto. La forma specifica dei rigonfiamenti aiuta an- tore che deve quindi aumentare la propria energia
che a far scorrere l’acqua piovana sulla superficie: interna. Ciò si manifesta con un aumento di tempe-
quando piove l’isolatore si bagna e questo fa dimi- ratura del conduttore. In definitiva la potenza ero-
nuire la sua capacità di isolare. È bene quindi che gata dal generatore alla fine è ceduta al conduttore
l’acqua sgoccioli facilmente dal dispositivo, in modo che la dissipa sotto forma di calore. Il fenomeno è
che si asciughi presto. conosciuto con il nome di effetto Joule.
La relazione 33.47 prende il nome di Legge di Facendo esperimenti con diversi materiali si può
Ohm2 , mentre quella che lega la resistenza alla geo- vedere che esistono materiali con resistività mol-
to diversa: si va dal rame che presenta una resi-
2
Il nome deriva da quello di Georg Ohm, che pubblicò
un trattato sull’elettricità nel quale la legge compare per stività dell’ordine di 10 Ωm a ottimi isolanti co-
−8
la prima volta, sebbene fosse di fatto nota già da studi me il Teflon che presentano una resistività che può
precedenti. raggiungere i 1025 Ωm.
finito, quindi la corrente non potrebbe essere infini- ferenza di potenziale tra uno dei poli del generatore
ta. E ci sarà comunque un limite alla corrente che e la resistenza interna. Quindi misuriamo
un generatore può erogare, altrimenti la potenza che
potrebbe impegnare potrebbe essere enorme. Que- V R
sto rappresenta un problema perché significherebbe Vef f = V − rI = V − r =V . (34.11)
r+R r+R
che il generatore potrebbe diventare una sorgente di
energia praticamente infinita, anche se soltanto per Potete vedere la cosa anche cosí: se c’è una resisten-
tempi brevi za interna al generatore di fem V , la tensione che
Ci dev’essere qualcosa che non quadra. E in fondo si misura ai suoi capi è Vef f = V − Vi . Vi si deve
non è cosí difficile capire cosa. Il modello semplifica- poter scrivere sempre come una resistenza r per una
to che abbiamo fatto del circuito è troppo semplice. corrente I e usando per I la corrente che scorre nel
Dobbiamo tener conto del fatto che se cominciamo circuito otteniamo Vef f = (r + R) I. Dividendo nu-
a estrarre troppa corrente dal generatore (e questo meratore e denominatore per r e chiamando x = Rr
avviene per resistenze piccole), il numero di cari- abbiamo
che libere che il generatore è capace di impegnare è
Vef f x
limitato e questo farà diminuire la corrente effettiva- = (34.12)
mente erogata. Pensate alle cariche come a un flusso V 1+x
d’acqua da un rubinetto con una sezione maggiore che ha proprio l’andamento mostrato nella Fig. 34.4.
di quella del tubo in cui scorre l’acqua dal serbato- La potenza erogata dal generatore, a questo pun-
io. La portata del tubo è limitata per cui se aprite to, non è costante e presenta un massimo. La
troppo il rubinetto non esce piú acqua di quanta il potenza è
tubo non sia capace di portarne. È come se il rubi-
netto avesse una sezione piú piccola di quella che ha R V R
P = Vef f I = V =V2 .
effettivamente. Analogamente possiamo pensare che r+Rr+R (r + R)2
all’interno del generatore avvengono processi per i (34.13)
quali il risultato è che la corrente è limitata in ogniNella Fig. 34.5 riportiamo l’andamento di P in
caso, come se nel circuito fosse presente un’ulterio- funzione del valore di R espresso in Ohm, per un
re resistenza r che possiamo chiamare resistenza circuito in cui V = 12 V e r = 1 Ω.
interna del generatore. Qualunque sia la causa che Si vede che la massima potenza è dissipata quan-
limita la corrente erogabile da un generatore, que- do R = 1 Ω: con l’analisi matematica potete facil-
sta si può sempre esprimere matematicamente come mente trovare il massimo di questa funzione che si
una resistenza in serie al generatore. trova proprio a R = r. Quando la resistenza di R è
Se è cosí il circuito si deve rappresentare come un nulla, cioè quando il generatore è cortocircuitato,
circuito nel quale sono presenti due resistori, di re- come si dice in gergo, la potenza erogata è nulla. Il
sistenza r e R, in serie. La resistenza equivalente motivo risiede nel fatto che il collegamento del polo
del circuito è dunque Req = r + R e la corrente che positivo del generatore con il negativo attraverso un
vi scorre è pertanto conduttore di resistenza nulla porta i due poli allo
stesso potenziale, per cui V = 0. La potenza massi-
V
I= (34.10) ma PM del circuito in esame si ottiene per R = r,
r+R cioè per
dove V è ora la fem nominale del generatore: quel-
la che si misura a circuito aperto. Abbiamo infatti V2
PM = (34.14)
trasferito gli effetti spuri nella resistenza interna. 4
Quando però misuriamo la differenza di potenziale che vale proprio PM = 36 W. Per R < r la po-
ai capi del generatore quella che misuriamo è la dif- tenza cresce e decresce per R > r. Per R → ∞ la
nel filo. Riportiamo, per diversi valori d’intensità di misura in Tm/A. In queste unità si vede che C =
corrente, i corrispondenti valori di campo trovando 2 × 10−7 Tm/A.
una relazione approssimativamente lineare, i cui pa- La relazione che abbiamo appena determinato
rametri (pendenza e intercetta) si possono ricavare prende il nome di Legge di Biot–Savart3 e di
con un fit ai dati sperimentali. solito è scritta nella forma
La Tavola ?? riporta alcune misure eseguite usan-
do un filo percorso da corrente e uno smartphone µ0 I
B= (35.3)
posto a XX cm da esso. Il campo è stato misura- 2π r
to usando un’App di nome Sensors Multitools (è con µ0 che prende il nome di permeabilità ma-
una delle tante App che forniscono i valori registrati gnetica che in aria e nel vuoto vale 4π×10−7 Tm/A.
dai vari sensori presenti in uno smartphone). Il cam- Il fattore 2π che si introduce ridefinendo
po è una grandezza vettoriale di cui la App ci for- µ0
nisce le componenti. Basta sommarle in quadratura C= (35.4)
2π
ed estrarre la radice quadrata per averne l’intensità.
torna utile perché le linee di forza di questo tipo di
Affinché le misure non dipendano dalla geometria
campi sono circolari e in molti casi compaiono nelle
del filo usiamo un filo molto lungo e ci mettiamo a
relazioni fattori 2π che si semplificano.
poca distanza da esso per eseguire le misure. Se la
Se l’esperimento si esegue in un materiale diver-
lunghezza ` del filo è molto maggiore della distanza
so dal vuoto (per esempio immergendo il filo in un
r alla quale si esegue la misura il filo si può conside-
liquido o tenendolo in un recipiente con gas diversi)
rare in pratica infinitamente lungo. Per esempio, se
si scopre che l’intensità del campo cambia. Eviden-
r, come nel nostro caso, è dell’ordine di alcuni cm,
temente questa dipende dal materiale nel quale si
la lunghezza del filo dev’essere almeno dell’ordine
produce il campo. Della dipendenza dal materiale
del metro.
si tiene conto scrivendo
Riportando in un grafico il campo B in funzione
della corrente I si vede (Figura ??) che il campo µ I
ha un andamento lineare con la corrente, per cui B= (35.5)
2π r
possiamo scrivere che con µ = µr µ0 e µr , chiamata permeabilità ma-
gnetica relativa che è una costante adimensiona-
B ∝I. (35.1) le che dipende, appunto, dal materiale nel quale si
Spostando lo smartphone noteremmo che l’intensità misura il campo. È evidente che deve esistere un fe-
del campo diminuisce con la distanza r dal filo. Se nomeno analogo nei solidi, anche se in questi casi
la distanza raddoppia il campo si dimezza e se la eseguire la misura è piú difficile. Ciò nonostante si
distanza triplica il campo si riduce di un fattore tre. può determinare il valore di µr per i diversi mate-
Di conseguenza riali e riportarli in una tabella (sulla rete ne trovate
moltissimi tabulati). In certi materiali la permea-
I bilità relativa può essere molto alta: nel ferro, ad
B=C . (35.2)
r esempio, può raggiungere il valore µr ' 200 000.
La costante C permette di aggiustare le dimensioni Se accade che una corrente sia in grado di pro-
fisiche dell’espressione e ha un valore che dipende durre un campo magnetico, allora è possibile che le
dal sistema di unità di misura impiegato. Nel SI correnti siano soggette a una forza quando si trovi-
le correnti si misurano in A e le distanze in m. I no in un campo magnetico. In tutti i casi che co-
campi magnetici, invece, si misurano in T, perciò C nosciamo la sorgente di un campo ne subisce anche
ha le dimensioni di un campo magnetico diviso una gli effetti: si tratta di una chiara conseguenza di un
corrente e moltiplicato una distanza e pertanto si 3
Dai nomi di Jean Baptiste Biot e di Félix Savart. che
principio di simmetria. Le masse, ad esempio, so- massimo quando sarà esso stesso perpendicolare alla
no sorgenti di campi gravitazionali e, in quanto tali, corrente che lo subisce. Possiamo determinare facil-
li subiscono. In effetti, se la massa ma produce un mente la direzione e il verso della forza sperimentata
campo gravitazionale, lo stesso deve fare la massa dai fili con una semplice regola mnemonica: una re-
mb che, se messa nel campo prodotto dalla prima gola della mano destra diversa da quella definita
ne subisce gli effetti. Le cariche elettriche genera- poco sopra. In questa versione della regola si dispo-
no un campo elettrico e ne sperimentano gli effetti. ne sempre il pollice destro in direzione della corren-
Allo stesso modo, se una corrente è sorgente di un te, mentre le altre dita della mano si dispongono in
campo magnetico, deve anche esserne influenzata. modo da essere dirette come il campo magnetico.
In effetti questo è proprio quel che si vede: met- La forza che agisce sulla corrente orientata come il
tendo un filo vicino a un potente magnete e facendo pollice è diretta in maniera da uscire dal palmo della
passare una corrente nel filo, questo si muove. Per- mano.
ché si possa osservare il fenomeno è necessario che Un’altra osservazione che si può fare è la seguente:
la corrente che circola nel filo sia molto alta e anche se la lunghezza del filo raddoppia, raddoppia anche
che il magnete sia piuttosto potente. la sua massa e tuttavia il filo si muove nella stessa
A questo punto è abbastanza facile prevedere co- maniera. Ciò significa che l’intensità della forza che
sa succede quando due fili percorsi da corrente si lo fa muovere dev’essere proporzionale alla lunghez-
mettono l’uno vicino all’altro. Il primo produce, co- za ` del filo (o meglio alla lunghezza della porzione
me sappiamo dall’esperimento di Ørsted, un campo di filo immersa nel campo):
magnetico che, agendo sul secondo filo, produce su
di esso una forza. Naturalmente la forza prodotta su F ∝ BI2 ` . (35.8)
uno dei fili dipende dal campo magnetico ed è pro-
Non essendoci altre grandezze da cui dipende questa
porzionale a questo: detta B l’intensità del campo
forza possiamo scrivere che
magnetico prodotta dal primo filo e I2 la corrente
che scorre sul secondo avremo che
F = ABI2 ` , (35.9)
F ∝ BI2 . (35.6) con A costante che si può scegliere essere pari a 1
se si definisce l’unità di campo magnetico a partire
Dal momento che B dipende a sua volta dalla
da questa misura. In pratica un campo magnetico
corrente che scorre nel primo filo, abbiamo che
di 1 T è quello che provoca una forza di 1 N su un
µ0 I1 I2 filo di 1 m nel quale scorre una corrente di 1 A.
F ∝ (35.7) Prendendo questa decisione (arbitraria), abbiamo
2π r
dove r rappresenta la distanza tra i fili. Questa pre- che
visione si può verificare sperimentalmente usando
due fili sospesi molto leggeri nei quali si fanno pas- F = BI` : (35.10)
sare correnti diverse (ma molto intense). Quel che la forza subíta da un filo lungo ` nel quale scorre
si vede è che la forza si comporta come previsto se i una corrente I e che si trova in un campo magne-
fili sono paralleli ed è attrattiva se la corrente scor- tico d’intensità B uniforme a esso perpendicolare è
re nello stesso senso in entrambi i fili, altrimenti è uguale al prodotto di B per I per `.
repulsiva.
Anche questo appare del tutto coerente con quan-
to sappiamo. Un filo percorso da corrente, in effetti,
produce un campo perpendicolare alla direzione del-
la corrente, il quale produrrà sull’altro filo l’effetto
gate a formare un anello. Basta disporre il pollice filmato non riproducibile su questo
lungo la spira per capire che che il verso è quello supporto: digita l’URL nella caption o
mostrato nella figura. Infatti, nella parte superiore scarica l’e-book
della figura, il pollice dovrebbe uscire dal piano del Figura 35.2 Il campo magnetico di tan-
foglio e le altre dita si dispongono in modo che fuori te spire sovrapposte si ottie-
ne sommando i campi di cia-
della spira le linee siano dirette a sinistra e dentro scuna spira. All’interno della
a destra. Allo stesso modo, nella parte bassa del- spira i campi si sommano set-
la figura, dove la corrente è entrante nel piano del torialmente e l’intensità au-
foglio, lo è anche il pollice e le dita si dispongono menta. Fuori della spira in-
come le linee di forza riportate. vece i campi tendono a can-
cellarsi [https://youtu.be/
AGnNTvgxT_U].
35.3 Il campo magnetico di
filmato non riproducibile su questo
molte spire supporto: digita l’URL nella caption o
Avvicinando una spira percorsa da corrente a un’al- scarica l’e-book
tra spira mantenendo allineati i rispettivi assi, il Figura 35.3 Il campo magnetico di cui
campo prodotto da ciascuna si somma a quello pro- si vede l’intensità nel Filma-
to 35.2 è riprodotto in que-
dotto dall’altra. Osservando la Figura 35.1 si vede
sto filmato usando i vettori,
che il campo, in prossimità del centro della spira, in modo che se ne apprez-
è diretto verso destra sia dietro (a sinistra) che da- zi direzione e verso [https:
vanti (a destra) della spira. Se da destra si avvicina //youtu.be/1GHucb4cQBs].
un’altra spira con la corrente che scorre nello stes-
so verso il campo di questa si somma a quello della
prima perché è diretto nello stesso modo. Le linee magine è bianca il campo è piú intenso (vicino ai
di forza del campo a destra della prima spira pun- fili) mentre è debole dove è piú scura.
tano leggermente verso l’alto; quelle della seconda Il Filmato 35.3 illustra lo stesso campo mostran-
punteranno leggermente verso il basso e il risultato done il modulo, la direzione e il verso dei vettori che
sarà che le linee di forza del campo tra le due spire lo rappresentano. Dal filmato si vede come all’inter-
tenderanno a diventare parallele all’asse del siste- no delle spire il campo tenda ad allinearsi secondo
ma. La stessa cosa succede all’esterno, ma lí le linee la direzione dell’asse del sistema, mentre in vicinan-
di forza sono molto piú incurvate. La linea di forza za delle spire questo somigli molto al campo pro-
aperta piú in alto a destra che si vede nella figura dotto da un filo rettilineo le cui linee di forza sono
è diretta decisamente verso l’alto; quella della se- circonferenze tangenti al campo.
conda spira sarà rivolta esattamente al contrario e Un sistema del genere si può realizzare facilmente
quando i corrispondenti campi si sommano tende- avvolgendo un filo elettrico a formare un’elica, come
ranno a cancellarsi: sopravviverà solo una piccola nella Fig. 35.4. Da quanto abbiamo visto si capisce
parte di campo. che il campo all’interno di quest’oggetto, detto so-
Avvicinando molte spire una all’altra si capisce lenoide è tanto piú intenso quante piú sono le spire
quindi che all’interno il campo sarà uniforme e pa- e tanto maggiore quanto piú le spire sono strette.
rallelo all’asse del sistema, mentre all’esterno sarà Se poi si avvolgono le spire attorno a un cilindro di
piuttosto debole. Il Filmato 35.2 fa vedere l’intensi- materiale con alta permeabilità magnetica relativa,
tà del campo in presenza di spire circolari perpendi- il campo magnetico in vicinanza della superficie di
colari al piano del foglio (si vede l’intersezione delle base di questo cilindro (che è praticamente uguale
spire con il piano mediano della stessa). Dove l’im-
⊗ ⊗ ⊗ ⊗ ⊗
⊙ ⊙ ⊙ ⊙ ⊙
Figura 35.4 Un solenoide è un filo av-
volto a formare una spirale.
In genere è avvolto in mo-
do da formare spire circola- Figura 35.5 La spira al centro di que-
ri, ma le proprietà del campo sto gruppo di bobine produce
al suo interno sono abbastan- un campo magnetico quando
za indipendenti dalla sua for- percorsa da corrente. Le linee
ma, se si sta abbastanza lon- di forza del campo prodotto
tano dal filo. L’immagine è di da ciascuna delle due porzio-
Zureks. ni di filo al centro dell’imma-
gine sono riprodotte in rosso
e in blu e il verso è dato dal-
la regola della mano destra.
a quello all’interno del solenoide) diventa molto piú Il campo al centro del sole-
intenso. Con qualche misura si vede che il campo noide è la somma di questi
due campi, evidenziati con
si moltiplica per un fattore µr che può anche essere frecce dello stesso colore, piú
molto alto. tutti quelli prodotti dalle al-
Il calcolo (approssimato) del campo effettivamen- tre spire, che hanno le stesse
te prodotto da un lungo solenoide è al Paragrafo ??. caratteristiche.
Anche senza il calcolo, però, si capisce una cosa: piú
aumenta il numero di spire di cui è composto il so-
lenoide e piú si fa intenso il campo all’interno; corri- no e su ogni punto agiscono tanti campi in una di-
spondentemente il campo all’esterno diventa sempre rezione quanti nell’altra, perciò alla fine il campo
piú debole. Infatti, facendo riferimento alla Fig. 35.5 totale dev’essere nullo. Allo stesso modo ogni punto
si vede che i campi prodotti da due punti oppo- interno del solenoide è equivalente a tutti gli altri e
sti della spira all’interno del solenoide si sommano se sull’asse si ha un campo parallelo a questo cosí
allineandosi verso sinistra sull’asse del dispositivo. dev’essere in ogni punto interno al dispositivo.
Nei punti interni del solenoide che non coincidono Naturalmente è impossibile costruire un solenoi-
con l’asse i campi si sommano comunque, anche se de di lunghezza infinita, ma se il raggio della spira
avranno una componente verticale non nulla che pe- è molto minore della lunghezza dell’insieme allora
rò tende a diminuire all’aumentare del numero e in punti non troppo vicini ai bordi il solenoide si
della densità delle spire. All’esterno del solenoide, comporta come uno di lunghezza infinita. In gene-
invece (Fig. 35.6), i campi tendono a cancellarsi. Il rale si può assumere che il campo compreso tra due
campo rappresentato in blu nella figura è meno in- o piú spire uguali disposte parallelamente l’una al-
tenso di quello in rosso perché la porzione di filo che l’altra con gli assi coincidenti sia ragionevolmente
lo genera è piú lontana, ma sul punto in esame ci uniforme con il campo diretto parallelamente all’as-
saranno i campi prodotti da tutte le spire di cui è se delle spire. Questa è proprio la tecnica che si usa
composto il solenoide: sia quelle alla sua sinistra sia per fabbricare magneti artificiali.
quelle a destra.
Se il solenoide diventa di lunghezza infinita ogni
punto esterno è equivalente a ogni altro punto ester-
ΦS (B) = 0 (35.11)
e quindi il numero di linee di forza che entrano in
una qualunque superficie chiusa dev’essere uguale a
elettrico funziona grazie a questo principio. certo punto la forza esercitata dalla molla uguaglia,
in modulo, quella prodotta dalla corrente e la spira,
invece di girare, assume una posizione che forma
36.2 La misura delle correnti un angolo α rispetto a quella di equilibrio. Questo
succede quando
Grazie al fatto che un filo percorso da corrente su-
bisce una forza quando è immerso in un campo ma-
kα = BI` . (36.6)
gnetico, possiamo costruire un dispositivo di misura
della corrente. Il dispositivo piú semplice di tutti, Misurando l’angolo α si ottiene una misura di I
almeno dal punto di vista del principio di funziona- essendo
mento, è costituito di un singolo filo immerso in un
k
campo uniforme B e disposto perpendicolarmente I= α (36.7)
a questo per una lunghezza `. Se si fa passare una B`
corrente I nel filo, su quest’ultimo agisce una forza (B, k e ` sono tutte caratteristiche costruttive del-
di modulo lo strumento e quindi sono note). Il campo B può
essere prodotto da un magnete permanente (una ca-
F = BI` (36.3) lamita) e cosí possiamo ottenere uno strumento di
misura per l’intensità di corrente che, oltre a fornire
che si può misurare, in linea di principio, con un l’intensità fornisce anche il verso della corrente: in-
dinamometro. Conoscendo la forza ricaviamo la fatti l’angolo di cui ruota la spira sarà positivo quan-
corrente I come do la corrente scorre in un verso e negativo quando
F scorre nell’altro. Basta montare un ago sull’asse del-
I= . (36.4) la spira e una scala graduata in corrispondenza della
B`
punta di quest’ultimo per realizzare uno strumento
La misura di forza in questo caso però è resa dif-
tarato che prende il nome di galvanometro.
ficoltosa da l fatto che F è molto piccola e poi si
Uno di questi strumenti è mostrato nella Figu-
dovrebbe consentire al filo di spostarsi nel campo
ra 36.5. Al giorno d’oggi si usano strumenti digitali
pur in presenza di un contatto elettrico stabile.
molto piú maneggevoli e compatti detti ampero-
Un dispositivo un po’ piú furbo consiste nell’usa-
metri, molti dei quali funzionano comunque grazie
re una spira come quella impiegata per costruire il
all’interazione tra correnti e campi magnetici.
motore del paragrafo precedente. Facendo passare
L’effetto Hall1 , illustrato al Capitolo 37, è uno
corrente nel filo la spira (o il gruppo di spire) ten-
dei fenomeni che si sfruttano in questi strumenti.
derebbe a ruotare. Se sull’asse della spira si monta
una molla a spirale, questa può esercitare una forza
uguale e contraria a quella prodotta dal passaggio
di corrente. La forza elastica prodotta dalla molla
a spirale su un tratto di spira è del tutto analoga a
quella di una comune molla: la sua intensità dipen-
de da quanto si deforma. Misurando la deformazione
in unità di angolo possiamo scrivere la forza F che
agisce su una porzione di spira come
F = −kα (36.5)
dove k è una costante che dipende dalla molla e α
l’angolo di cui è ruotato il suo estremo libero. A un
1
dal nome del suo scopritore Edwin Hall.
Gli esperimenti esposti al Capitolo 35 consentono tato, è perpendicolare alla direzione della corrente,
di dare un’interpretazione relativamente semplice quindi alla direzione della velocità delle cariche. È
dei fenomeni magnetici illustrati al Paragrafo 27.1: anche perpendicolare al campo magnetico nel quale
evidentemente il campo magnetico di un magnete i fili sono immersi.
permanente è prodotto da correnti dovute al mo- Dato che I = ∆q
∆t
per un filo lungo ∆` immerso in
to di particelle elettricamente cariche all’interno del un campo magnetico B possiamo scrivere che
materiale. Immaginando, per semplicità, che alcune
cariche elettriche si muovano nel materiale di moto ∆q
∆F = B ∆` (37.1)
circolare, si deve pensare che queste siano assimi- ∆t
labili a una spira percorsa da corrente che produce e poiché la velocità della carica v si può scrivere co-
un campo magnetico perpendicolare al piano della me v = ∆`/∆t possiamo sostituire questo rapporto
spira. Se si spezza il magnete in due, in ciascuna nell’espressione sopra riportata con v e ottenere
delle due parti le cariche elettriche presenti conti-
nueranno a muoversi in questo modo producendo in ∆F = B∆qv . (37.2)
ciascuna porzione un campo magnetico perpendico- Se ne deduce che su una singola carica q in moto
lare alla spira. Per questa ragione non è possibile in campo magnetico con velocità v agisce una forza
osservare quello che potremmo chiamare un mono- d’intensità
pòlo magnetico. Il campo magnetico non è prodotto
da sorgenti puntiformi, ma da correnti che si svilup- F = qvB (37.3)
pano su un piano: il campo magnetico è sempre per-
quando il moto è perpendicolare al campo magneti-
pendicolare a questo piano e quindi è sempre carat-
co. Questa forza dev’essere nulla quando la velocità
terizzato da due possibili versi o poli: uno da un lato
delle cariche è parallela al campo perché quando un
e l’altro dall’altro del piano sul quale si muovono le
filo in un campo magnetico è disposto parallelamen-
cariche.
te a quest’ultimo non subisce alcuna forza e assume
Quest’osservazione rafforza la nostra convinzione
un valore intermedio in tutti gli altri casi. Possiamo
che i corpi siano costituiti di particelle, alcune delle
dunque ammettere che
quali (almeno) devono avere carica elettrica.
Nel momento in cui osserviamo che un filo percor-
F = qv × B (37.4)
so da corrente subisce una forza quando è immerso
in un campo magnetico dobbiamo ritenere che le dove l’operatore × rappresenta il prodotto vettoria-
cariche elettriche in movimento subiscano una ta- le tra due vettori. Quest’operazione restituisce un
le forza: gli effetti osservati sui fili non dovrebbero vettore di modulo
essere altro se non la somma di tutti gli effetti pro-
dotti su ciascuna carica elettrica elementare che si F = qvB sin θ (37.5)
muove in un filo. dove θ è l’angolo compreso tra la direzione di v e
Questa forza, secondo quanto abbiamo sperimen- quella di B e assume quindi il massimo nel caso in
37.1. L’EFFETTO HALL 390
Immaginiamo un conduttore che per semplicità Misurando questa differenza di potenziale possiamo
possiamo prendere avente la forma di un rettango- cosí risalire all’intensità di B collegando un condut-
lo molto lungo (un nastro) di base w e altezza L. tore a una pila e tenendolo nel campo che vogliamo
Lungo l’altezza L facciamo scorrere una corrente I misurare:
grazie a un generatore applicato tra le basi. Immer- VH
giamo quindi tutto in un campo magnetico unifor- .B= (37.15)
vw
me perpendicolare al piano del conduttore. Poiché
Per fare una misura dovremmo conoscere v, che si
la corrente è parallela a L e il campo magnetico è
può sempre scrivere come
perpendicolare sia a L che a w, le cariche respon-
Consideriamo un filo elettrico percorso da corren- magnetico lungo quel tratto si può considerare co-
te: un dispositivo di questo tipo produce un cam- stante e quindi possiamo scrivere Ci = Bi · ∆si =
po magnetico le cui linee di forza sono circonferen- B∆s cos θi dove θi è l’angolo formato tra il cam-
ze centrate sul filo e la cui intenistà è data dalla po e lo spostamento nel tratto i–esimo. Lungo un
formula di Biot–Savart percorso qualsiasi evidentemente
µ0 I
B= . (38.1) X X X
2π r C= Ci = B · ∆si = Bi ∆si cos θi .
Allontanandosi dal filo r aumenta e, corrisponden- i i i
temente B diminuisce. Il prodotto dell’intensità del (38.5)
campo magnetico B moltiplicata per la distanza dal Nella Fig. 38.1 si vede un esempio di come si può
filo r è quindi una costante che vale calcolare la quantità C lungo la curva continua di
colore blu che va da A a B nel caso di un filo per-
µ0
Br = I (38.2) corso da corrente.Possiamo approssimare il percorso
2π continuo con una curva costituita di archi di circon-
e che dipende dalla grandezza che caratterizza la ferenza e segmenti a questi perpendicolari (in trat-
sorgente del campo, che è la corrente. Una gran- to a puntini nella figura) e calcolare C come somma
dezza di questo tipo, ottenuta moltiplicando il cam- dei diversi Ci che si possono calcolare in ciascuno
po per una distanza, è per certi versi analoga a quel- dei tratti ∆si in cui è diviso il percorso. Lungo gli
la che abbiamo definito potenziale nel caso delle archi il campo magnetico Bi è costante e parallelo a
forze elettriche e nel caso delle forze gravitazionali. ∆si . Lungo i tratti rettilinei Ci = 0 perché il campo
In quei casi il potenziale del campo era definito come è perpendicolare allo spostamento.
il prodotto scalare del campo per uno spostamento. Lungo gli archi di circonferenza
Per il campo elettrico E, per esempio,
∆s = r∆θi (38.6)
V = E · ∆s . (38.3)
e di conseguenza
Proviamo a definire questa grandezza nel caso dei
campi magnetici e calcoliamo
µ0 I µ0 I
Ci = rBi ∆θi = r ∆θi = ∆θi . (38.7)
C = B · ∆s . (38.4) 2πr 2π
Se vogliamo calcolare questa quantità lungo una Nella figura la curva e la sua approssimazione non
curva qualsiasi dobbiamo dividere questa curva in sono molto simili, ma basta aumentare a piacere
tanti tratti molto piccoli, in ciascuno dei quali lo il numero di tratti in cui dividere il percorso per
spostamento è ∆si e il campo magnetico è Bi . Se i migliorare l’approssimazione all’infinito. Cosí ogni
tratti sono abbastanza piccoli l’intensità del campo curva si può sempre pensare come costituita da una
394
B B
I I A
A
rendo l’angolo piú piccolo α in giallo in Fig. 38.1, filmato non riproducibile su questo
per il quale supporto: digita l’URL nella caption o
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α
C = µ0 I (38.11) Figura 38.3 Per il teorema di Ampère la
2π circuitazione del campo ma-
oppure quello piú lungo β, evidenziato in verde nella gnetico lungo la linea rossa è
Fig. 38.2 per il quale data dalla costante µ0 molti-
plicata per la somma algebri-
β ca delle correnti che attraver-
C = µ0 I . (38.12) sano la superficie che ha per
2π bordo la linea rossa, qualun-
Se però il punto iniziale e finale coincidono, cioè se il que sia la forma e l’estensione
percorso che abbiamo scelto lungo il quale calcolare di questa [todo].
C è chiuso, il valore di C è indipendente dalla forma
e dalla lunghezza del percorso e vale
percorso lungo il quale si calcola la circuitazione si
µ0 I µ0 I
C= ∆θ = 2π = µ0 I . (38.13) dicono concatenate con quel percorso. Se abbia-
2π 2π mo due correnti uguali concatenate con un percorso
Dipende cioè solo dalla corrente che attraversa la su- che scorrono in verso opposto su due fili paralleli la
perficie delimitata dal percorso scelto per calcolarla. circuitazione su quel percorso vale C = 0.
La quantità C calcolata su un percorso chiuso qual- Va detto che di superfici che, quando si parla di
siasi si chiama circuitazione del campo magneti- superficie il cui bordo è rappresentato dalla curva
co. Ogni volta che ci imbattiamo in una quantità lungo la quale si calcola la circuitazione, in molti
di questo tipo, definita a partire da una scelta arbi- pensano soltanto alla superficie minima possibile:
traria, ma che alla fine non dipende da questa scel- nel caso di una curva che giace su un piano, per
ta, dobbiamo sempre considerarla seriamente per- esempio, come quella usata negli esempi sopra ri-
ché quasi sempre si tratta di una grandezza fisica portati, si pensa sempre alla superficie piana interna
particolarmente importante. alla curva che giace sullo stesso piano della curva.
È naturale che, poiché il campo magnetico pro- Ma non è cosí: non ci vuole molto a convincersi del
dotto da due correnti non è altro che la somma del fatto che qualunque superficie avente per bordo la
campo prodotto da ciascuna delle due correnti co- curva lungo la quale si calcola la circuitazione è al-
me se l’altra fosse assente, essendo il risultato otte- trettanto buona. Il Filmato 38.3 illustra un caso di
nuto sopra valido per entrambe le correnti avremo un filo rettilineo accanto a un filo piegato a forma
che la circuitazione del campo magnetico lungo un di U. La curva lungo la quale abbiamo scelto di cal-
percorso che abbraccia N correnti Ii sarà colare la circuitazione è evidenziata in rosso e la
X superficie minima che ha per bordo questa curva è
C = µ0 Ii , (38.14) quella che si vede all’inizio del filmato. Se la corrente
i
che scorre in ciascun filo vale I, la circuitazione vale
qualunque sia la forma e la lunghezza del percor- µ0 I: infatti, la corrente passante nel filo ripiegato
so scelto per calcolarla. Le correnti Ii vanno con- attraversa la superficie due volte in versi opposti e
siderate con un segno che dipende dal verso rela- il suo contributo è nullo. E resta nullo qualunque
tivo nel quale scorre la corrente in corrispondenza sia la forma della superficie. Possiamo, per esempio,
della superficie di cui il percorso scelto per il cal- stirare la superficie in modo che abbia la forma di
colo della circuitazione rappresenta il bordo. Tutte un bicchiere senza modificarne il bordo. Dal filma-
le correnti che hanno la proprietà di passare attra- to si vede che, qualunque sia l’altezza del bicchiere,
verso una qualunque superficie che ha per bordo il la circuitazione non cambia. Anche quando il fondo
X X X
⊗ ⊗ ⊗ ⊗ ⊗ C= Bi · ∆si = Bi · ∆si + Bi · ∆si +
i i∈OE i∈V D
X X
Bi · ∆si + Bi · ∆si ,
i∈OI i∈V S
(38.15)
dove abbiamo scritto la circuitazione come somma
di quattro contributi: quello lungo la linea orizzon-
⊙ ⊙ ⊙ ⊙ ⊙ tale esterna al solenoide (OE), quello lungo la linea
verticale a destra (V D), quello orizzontale dentro il
Figura 38.4 Il campo di un solenoide infi-
nito è uniforme al suo inter- solenoide (OI) e quello verticale a sinistra (V S).
no. La circuitazione lungo la Il primo addendo di questa somma è nullo per-
linea blu è data dal Teorema ché in quella regione B = 0,P di conseguenza ogni
di Ampère. prodotto scalare nella somma i∈OE Bi · ∆si è nul-
lo. Anche il secondo e il quarto addendo sono nulli,
perché nei tratti verticali del percorso scelto per cal-
del bicchiere finisce in un punto in cui la corren- colare la circuitazione B è perpendicolare a ∆si , di
te che passa nel filo a forma di U non l’attraversa conseguenza il prodotto scalare è nullo. Resta solo
piú, la corrente concatenata totale vale sempre I e il terzo addendo
il teorema di Ampère resta valido.
Il fatto che la circuitazione del campo magnetico X X
è sempre uguale alla somma algebrica delle correnti C = B i · ∆s i = Bi ∆si cos θi (38.16)
concatenate moltiplicata per la costante µ0 prende i∈OI i∈OI
La circuitazione quindi deve dipendere da questo. la stessa, indipendentemente dalla scelta che si fa
Dobbiamo cioè avere che della superficie, si deve avere che
∆E α
C=α , (38.24) = µ0 , (38.32)
∆t ε0 S
dove α è una costante e il prodotto di questa co- cioè che
stante per la variazione di E nell’unità di tempo
deve dare qualcosa che ha le dimensioni di una cir- α = ε0 µ 0 S (38.33)
cuitazione e anzi dev’essere uguale a quella che si
per cui
calcola quando come superficie se ne sceglie una che
interseca il filo µ0 I. ∆E
Il campo elettrico all’interno del condensatore lo C = ε0 µ 0 S . (38.34)
∆t
possiamo sempre scrivere come Il prodotto SE = ΦS (E) non è altro che il flusso del
∆V campo elettrico interno al condensatore attraverso
E= (38.25) la superficie scelta (laddove la superficie esca dal
d
mentre la differenza di potenziale ∆V si può riscri- condensatore il campo elettrico è nullo e quindi l’u-
vere in termini della capacità del condensatore e nica porzione di superficie che contribuisce al flusso
della carica Q presente sulle sue armature è quella che si proietta sulle armature) e possiamo
riscrivere la relazione come
Q
∆V = . (38.26) ∆ΦS (E)
C C = ε0 µ 0 . (38.35)
Abbiamo allora che ∆t
È evidente da com’è scritta che la quantità
Q
∆ Cd
C=α (38.27) ∆ΦS (E)
∆t Is = ε0 (38.36)
∆t
Il rapporto CdQ
può variare solo se cambia Q (C e d
sono costanti) e quindi deve avere le dimensioni fisiche di una corrente (ve-
rificatelo) e per questo Is si chiama corrente di
spostamento (il nome è forse un po’ infelice perché
Q ∆Q
∆ = , (38.28)
Cd Cd in realtà all’interno del condensatore non si sposta
da cui segue che nulla: il nome deriva dal fatto che anticamente si
credeva che lo spazio attraverso il quale si manife-
α ∆Q stava un campo elettrico dovesse essere composto di
C= . (38.29)
Cd ∆t una sostanza materiale che si spostava).
La capacità del condensatore, d’altra parte, si scrive Con l’introduzione della corrente di spostamento,
in termini delle sue proprietà geometriche: il teorema di Ampère dunque si deve scrivere come
S
C = ε0 (38.30) X
∆ΦE (S)
d Bi · ∆si = µ0 I + ε0 . (38.37)
e, sostituendo, i
∆t
I
dΦE (S)
B · ds = µ0 I + ε0 . (38.38)
dt
Nelle nostre case e nei posti di lavoro abbondano gata anche a terra attraverso il conduttore centrale,
le prese elettriche: elementi solitamente fissati al poiché la Terra è un miglior conduttore rispetto al
muro con due o tre buchi nei quali s’infilano le spine corpo umano, la maggior parte della corrente flui-
presenti sugli apparecchi che, per funzionare, richie- rà in direzione della terra e solo una piccola parte
dono energia elettrica. Lo scopo di questo capito- attraverserà il corpo del malcapitato, salvandogli la
lo è di farvi comprendere da dove arriva la corrente vita (purché l’impianto sia stato ben realizzato).
che alimenta i nostri elettrodomestici e come questi Un elettrodomestico quassia si può rozzamente
ultimi siano in grado di usarla per compiere il lavoro schematizzare come una semplice resistenza elettri-
per il quale sono stati costruiti. ca. Inserendo l’elettrodomestico nella presa equivale
Prima di tutto qualche numero e qualche precisa- a mettere una resistenza in serie a un circuito chiuso
zione, però, perché nonostante si sappia che la cor- su un generatore a monte della presa. Gli altri due
rente si misura in Ampère, si sente spesso parlare di buchi della presa quindi servono a far circolare la
corrente a 220 Volt! Vediamo dunque di fare chia- corrente che entra da una parte ed esce dall’altra.
rezza. Dei tre buchi presenti sulle prese uno (soli- A differenza della corrente generata da una pila,
tamente quello centrale) è collegato a terra: sí, è che è continua (costante in intensità e verso), quel-
proprio collegato alla terra nel senso che il filo me- la erogata dalle prese domestiche è alternata: non
tallico collegato a quel buco sul retro della presa è è costante, né in intensità né in verso. L’intensità
poi collegato a un palo di metallo infisso nella ter- della corrente ha un andamento sinusoidale con una
ra nei pressi dell’abitazione. In questo modo quel frequenza di ν = 50 Hz. Se all’istante t = 0 è nulla,
buco è in contatto elettrico con la Terra (con l’in- lo è di nuovo per ogni istante t = mT con m intero
tero pianeta). Il corrispondente spinotto sulle spi- e T = 1/ν = 0.02 s. Anche all’istante T /2 = 0.01 s
ne degli elettrodomestici è invece connesso alla su- è nulla, cosí come in tutti i multipli interi di questo
perficie metallica esterna del dispositivo. Se, per un numero. Tra t = 0 e t = T /2 la corrente scorre in
malaugurato incidente, la scocca dell’elettrodome- un verso e la sua intensità raggiunge un massimo
stico dovesse venire in contatto con la corrente che quanto t = T /4. Nel successivo semiperiodo inve-
fluisce dalla presa quando è collegato, l’utente po- ce la corrente scorre in senso opposto e raggiunge
trebbe ferirsi o addirittura perdere la vita. Il corpo il massimo per t = 3T /4. Se potessimo osservare le
umano infatti è un buon conduttore di elettricità e cariche elettriche presenti nel filo le vedremmo oscil-
molti dei nostri organi funzionano grazie a questa. lare attorno a un punto con una frequenza di 50 Hz.
In particolare i nervi e il cuore. Un forte passaggio Dal punto di vista dei fenomeni elettrici non cambia
di corrente attraverso il cuore lo farebbe funzionare molto: pur sempre di moto di cariche si tratta.
male e potrebbe portare alla morte. Se siete fortuna- La quantità di carica che nell’unità di tempo
ti ve la cavereste con qualche ustione, che tuttavia attraversa una qualunque superficie di conduttore
non è piacevole (le ustioni sono dovute all’effetto dipende dall’elettrodomestico. Gli elettrodomestici
Joule e al primo principio della termodinamica). Se piú potenti richiedono una corrente massima di qua-
però la parte esterna dell’elettrodomestico è colle- si 15 A (ricordate che la corrente varia sinusoidal-
39.1. PRODURRE ELETTRICITÀ 402
è diversa. Nei metalli con resistività piú alta la cor- ti perciò la variazione di flusso può soltanto essere
rente è piú bassa e viceversa. Poiché sappiamo che causata da una variazione di B:
I = V /R possiamo assumere che il magnete in moto
relativo rispetto alla spira non generi propriamente ∆ (BS cos θ) = ∆B (S cos θ) . (39.12)
la corrente, ma un campo elettromotore la cui fem Sembra tuttavia del tutto ragionevole affermare
vale che V sia determinata da una variazione di flusso
∆B magnetico indipendentemente dalla maniera in cui
V = c0 S, (39.10) questa è avvenuta e cioè
∆t
dove c0 = Rc. Quest’espressione ci dice che ciò che
provoca la comparsa di una fem in un circuito è la ∆ΦS (B) ∆
V =− =− (B · S) . (39.13)
variazione di flusso del campo magnetico attra- ∆t ∆t
verso la superficie che ha per contorno il circuito Questa legge prende il nome di Legge di Faraday–
stesso. Avremo dunque che Neumann–Lenz o dell’induzione magnetica1 .
Secondo questa Legge è possibile generare (indur-
0 ∆B
V =c · S. (39.11) re) una fem in un circuito variando il flusso del cam-
∆t po magnetico attraverso una superficie che ha per
Il vettore S è quello perpendicolare alla superficie bordo il circuito stesso.
stessa. Osserviamo che possiamo scegliere, per S, Osserviamo che il flusso del campo è una grandez-
una qualunque superficie che abbia per contorno il za fisica il cui segno dipende da una nostra scelta
circuito: S può essere la porzione di piano racchiusa arbitraria: in effetti siamo noi, in modo del tutto
dentro il circuito, ma anche una superficie a forma arbitrario, a scegliere il verso del vettore normale
di cupola o di bicchiere con il bordo coincidente alla superficie con il quale si calcola il flusso e, di
con il circuito (e anche forma ancora piú bizzarra). conseguenza, la sua variazione. È possibile che il ri-
Il flusso, infatti, non cambia al cambiare della forma sultato di un esperimento dipenda da una nostra
della superficie. scelta? Evidentemente no.
Misurando l’intensità del campo in Tesla, il tem- Per calcolare un flusso abbiamo bisogno di fissa-
po in secondi e le superfici in metri quadri, si vede re un verso per il vettore superficie. Consideriamo
che la fem generata è quella che ha modulo pari a V il caso di spira orizzontale con magnete che cade
quando c0 = 1. Resta soltanto da stabilire il segno di dall’alto con il polo Nord rivolto verso la spira e
V , che può essere positivo o negativo a indicare che scegliamo come verso della superficie quello rivol-
la corrente può scorrere in un verso o nell’altro nella to verso l’alto. Durante la fase di avvicinamento il
spira. Per il momento scegliamo convenzionalmente campo magnetico è rivolto verso il basso, in senso
c0 = −1. Piú avanti discutiamo il merito di questa contrario al vettore superficie. Il flusso del campo
scelta. In fondo il verso della corrente dipende da magnetico all’istante t = 0 si scrive
dove la si guarda, quindi in una qualche misura il
segno di c0 è arbitrario.
Riflettiamo prima su quanto abbiamo potuto af- ΦS (B(0)) = B(0) · ∆S ' −B(0)S < 0 (39.14)
fermare: stiamo dicendo che la fem in un circuito si
(il segno − deriva dal fatto che il campo magneti-
genera quando c’è una variazione di flusso, che ab-
co e il vettore superficie sono antiparalleli, mentre il
biamo attribuito a una variazione dell’intensità del
campo, ma che in realtà potrebbe verificarsi a causa 1
Faraday fu il primo a osservare l’induzione; a Neu-
di una variazione dell’area efficace oppure dell’an- mann [?] si deve la formalizzazione teorica, mentre Lenz attri-
golo θ compreso tra la direzione di B e quella di S! buí correttamente il segno a V (contributo non da poco, per-
ché determina l’effettiva conservazione dell’energia nel corso
Nel caso dei nostri esperimenti S e θ restano costan- del fenomeno).
segno ' l’abbiamo messo perché il campo non è uni- pollice è orientato come il vettore superficie. La cor-
forme e non ha nemmeno la stessa direzione del vet- rente, essendo determinata dalla Legge di Ohm, ha
tore superficie dappertutto). In un tempo successivo lo stesso segno di V .
∆t il flusso vale Vediamo come quanto sopra si applica ai nostri
esperimenti: nel primo caso il vettore superficie era
orientato verso l’alto e abbiamo trovato V > 0 usan-
ΦS (B(∆t)) = B(∆t) · ∆S ' −B(∆t)S < 0 , do la Legge di Faraday–Neumann–Lenz. Questo si-
(39.15) gnifica che la corrente deve scorrere nel verso posi-
ed è sempre negativo, ma in valore assoluto B(∆t) > tivo individuato dalla regola della mano destra. Se
B(0) perché il magnete si sta avvicinando e il campo disponiamo il pollice della mano destra verso l’alto
si fa piú intenso. La variazione di flusso è vediamo che le dita della mano si piegano in mo-
do da indicare il verso antiorario se visto dall’alto.
Dunque la corrente deve scorrere in questo verso,
ΦS (B(∆t) − ΦS (B(0)) ' (−B(∆t) + B(0)) S che è proprio quel che osserviamo.
(39.16) Se invece scegliamo il verso opposto per il vettore
che è negativa essendo B(∆t) > B(0). La forza elet- superficie (verso il basso) il flusso al tempo t = 0 è
tromotrice indotta è uguale al rapporto tra questa circa B(0)S > 0 perché ora B e S puntano pratica-
variazione di flusso e ∆t cambiato di segno ed è mente nello stesso verso (verso il basso). Allo stesso
dunque positiva: modo B(∆t)S > 0 e la variazione di flusso nell’unità
∆ΦS (B) di tempo è
V =− > 0. (39.17)
∆t
In questo caso si osserva che la corrente scorre in B(∆t) − B(0)
∆ΦS (B) ' S > 0. (39.19)
senso antiorario se la si guarda dall’alto. ∆t
Se come verso del vettore superficie scegliamo
Di conseguenza V < 0. In questo caso la corrente
quello opposto, cioè quello per cui questo vettore
deve scorrere al contrario rispetto al verso indica-
punta verso il basso, avremo che il flusso del campo
to dalle dita della mano destra quando il pollice
magnetico per t = 0 e per t = ∆t è lo stesso di
è disposto come il vettore superficie. Se facciamo
prima, in modulo, ma ha segno opposto. Pertanto,
puntare il pollice verso il basso le dita della mano
in questo caso,
destra indicano il senso orario se viste dall’alto. La
∆ΦS (B) corrente deve scorrere al contrario, quindi in senso
V =− < 0. (39.18) antiorario, come in effetti si vede.
∆t
Potete fare da soli l’esercizio di calcolare il verso
La scelta del verso del vettore superficie, come ab-
della corrente quando il magnete si avvicina con il
biamo osservato sopra, essendo arbitraria non può
polo Sud rivolto verso la spira, oppure quando se ne
determinare il segno della forza elettromotrice in-
allontana. La regola di Lenz, che è quella esposta
dotta e, di conseguenza, quello in cui circola la cor-
sopra, fornisce sempre il verso giusto della corrente
rente. La corrente deve dunque circolare sempre nel-
(che è poi quello che si misura sperimentalmente).
lo stesso verso, che è quello antiorario se si guarda
Cosí come formulata, la regola è un po’ difficile
la spira da sopra.
da applicare, indubbiamente. La si può però rifor-
Possiamo interpretare questo risultato come se-
mulare in un altro modo: la corrente indotta circola
gue: guardando la spira dal lato in cui punta il vet-
nella spira come se volesse opporsi alla variazione
tore superficie, la corrente è positiva quando scor-
di flusso. Sia chiaro che questa forma della regola
re nel verso delle dita della mano destra quando il
serve unicamente ad applicarla nel modo corretto
in maniera semplice: la corrente non possiede alcu-
In questa maniera l’equazione del circuito si scrive campo magnetico che si oppone alla variazione, ma
in un istante successivo s’indebolisce e il campo ma-
L ∆J gnetico varia ancora un po’ provocando un’ulteriore
− =J (39.36)
R ∆t diminuzione della corrente (che cerca di mantenere
oppure, dividendo entrambi i membri per J e poi il flusso costante). Il tutto procede fino a quando il
moltiplicando per il rapporto R/L e per ∆t, come campo magnetico, e di conseguenza la corrente au-
toindotta, sono troppo deboli. L’andamento esatto
∆J R
= − ∆t (39.37) si ricava dalla stessa equazione che abbiamo appena
J L
trovato quando V0 = 0. L’equazione generale era
Quest’equazione ha una soluzione nota, che si può
scoprire all’appendice matematica. È l’equazione
R
che descrive come evolve col tempo una quantità J(t) = J(0) exp − t . (39.42)
L
che cambia, nel tempo, in modo tale che la sua va-
Il valore di J(0) adesso è quello determinato nell’i-
riazione sia proporzionale alla quantità stessa e al
stante in cui nel circuito scorre la corrente massima
tempo. La soluzione di quest’equazione è
I(0) = 60 mA nell’esempio. Poiché V0 = 0, J = RI
J(t) R e quindi
log =− t (39.38)
J(0) L
R
che si può anche scrivere, prendendo l’esponenziale I(t) = I(0) exp − t . (39.43)
L
di entrambi i membri, come La corrente I che scorre nel circuito non scompare
R
subito, nel momento in cui V0 diventa nulla, ma si
J(t) = J(0) exp − t . (39.39) spegne esponenzialmente. Una situazione di questo
L
tipo la si può realizzare con un circuito nel quale al
Tornando a sostituire a J la sua espressione J = posto di una pila si usi un generatore d’impulsi
RI − V0 abbiamo quindi che rettangolari. Un dispositivo, cioè, che funzioni co-
me un corto circuito salvo in certi periodi di tempo
R
RI − V0 = −V0 exp − t (39.40) nei quali funziona come un generatore di tensione
L costante V0 .
(ricordate che al tempo t = 0 la corrente è nulla La Figura 39.5 mostra l’andamento della corren-
perciò quando si calcola J(0) si deve porre I = 0) e te quando al circuito è applicata una tensione co-
quindi me quella sopra descritta. Inizialmente nel circuito
non c’è alcuna corrente perché non ci sono tensio-
V0 R ni (t < 0). All’istante t = 0 la tensione passa da 0
I= 1 − exp − t , (39.41)
R L a 12 V (in verde, scala a destra). Corrispondente-
che come funzione del tempo ha proprio la forma mente, nel circuito comincia a scorrere corrente (in
della Fig. 39.4. viola, scala a sinistra) che, per effetto dell’induzione,
Se a un certo punto il generatore fosse improvvisa- non ha lo stesso andamento della tensione come fa-
mente sostituito da un corto circuito, la tensione rebbe presupporre la Legge di Ohm, ma cresce espo-
V0 sparirebbe e la corrente non sarebbe piú soste- nenzialmente fino al valore previsto da quest’ultima
nuta da questo. Ma in conseguenza dell’improvvisa (60 mA nell’esempio). All’istante t = 61 µs la ten-
sparizione della corrente I = V0 /R il flusso del cam- sione è nuovamente riportata a zero. La corrente nel
po magnetico prodotto da quest’ultima attraverso circuito si spegne con una certa inerzia.
la superficie del circuito cambierebbe e nel circui- Prima di fare altre considerazioni, analizziamo il
to scorrerebbe una nuova corrente autoindotta. risultato dal punto di vista dimensionale. La fem
Questa corrente riesce a produrre inizialmente un indotta è
La Figura 39.6 mostra alcuni esempi di induttori È come se una parte di questa energia, precisamente
usati in vari circuiti. Una delle applicazioni degli in- P 0 = Vi I, si perdesse. Il primo principio della termo-
duttori consiste nell’opporsi a variazioni di corren- dinamica però ci assicura che l’energia si deve con-
te. Se avete un dispositivo alimentato da corrente servare. Questo significa che la porzione di energia
che richiede un flusso stabile di cariche, montan- mancante dev’essere stata spesa per qualcos’altro.
do in serie al dispositivo un induttore, qualora per In effetti, per produrre il campo magnetico la cui
qualsiasi ragione si verificasse un abbassamento o variazione in definitiva provoca la corrente indotta,
un aumento di corrente, questo sarebbe ostacolato dev’essere necessaria una certa quantità di energia
dalla presenza dell’induttore che in qualche misura che poi è quella che dev’essere ceduta alle cariche
quindi protegge il circuito a valle da sbalzi trop- elettriche nel circuito per farle muovere al contrario
po rapidi di corrente. Sul cavo di molti alimentatori di come si muovono quelle spinte dal generatore.
per apparati elettronici è spesso presente una specie Non è difficile scrivere questa potenza che è, visto
di rigonfiamento (Fig. 39.7) che contiene in effetti che Vi = −L ∆I ∆t
,
un’induttore simile a quello che si vede in alto al
centro della Fig. 39.6. L’anello scuro attorno al qua- ∆I
P 0 = LI (39.46)
le è avvolto il filo è fatto di materiale di permeabilità ∆t
magnetica relativa µr alta in modo tale da aumen- (il segno − non c’interessa visto che stiamo valutan-
tare l’induttanza (con µr alto il campo magnetico do il modulo della potenza: la potenza è negativa se
all’interno della spira aumenta di un fattore µr e di è persa dal generatore e positiva se impegnata dal
conseguenza aumenta la variazione del suo flusso). circuito). L’energia persa dal generatore nelle prime
Esistono altre applicazioni degli induttori che agi- fasi di funzionamento del circuito dev’essere stata
scono principalmente da filtro sui segnali elettrici immagazzinata da qualche parte perché nel momen-
variabili. I segnali rapidamente variabili tendono a to in cui si cortocircuita il generatore la potenza ci
essere cancellati da un induttore che reagisce alla viene in qualche maniera restituita dal circuito nel
rapida variazione di corrente con una forte corrente quale continua a scorrere una corrente per qualche
indotta; i segnali lenti, invece, non provocano grosse istante, come si vede dalla Figura 39.5. È chiaro che
variazioni di flusso e di conseguenza passano quanti quest’energia non può che essere stata imprigiona-
indisturbati oltre l’induttore. ta nel campo magnetico prodotto dal circuito e, in
A questo punto dobbiamo riflettere su una co- ultima analisi, dalla sua induttanza.
sa: quando in un circuito come quello dell’esempio Quest’energia dev’essere pari a
passa corrente l’alimentatore impegna una potenza X
P = V I, cioè eroga nell’unità di tempo una certa P 0 ∆t = LI ∆I . (39.47)
quantità di energia, perdendola. L’energia persa dal i
∆I ∆ΦS (B)
L = (39.56)
∆t ∆t
perciò
LI = ΦS (B) = N BS , (39.57)
dove S è l’area di ciascuna delle spire del solenoide.
Da questa relazione possiamo ricavare
N BS
L= (39.58)
I
che sostituita nell’espressione dell’energia fornisce
1 N BS 2
EB = I . (39.59)
2 I
In quest’espressione I è la corrente che serve a
produrre il campo B, data dall’equazione (39.55).
Sostituiamo e otteniamo
1 1 Bd
EB = N BSI = N
BS . (39.60)
2 2 N µ0
filmato non riproducibile su questo (possiamo far cadere il pedice 1 non essendoci nel-
supporto: digita l’URL nella caption o l’espressione altre distanze). Il vettore B nel punto
scarica l’e-book di coordinate (x, 0, z) è orizzontale e orientato lungo
Figura 40.1 Una corrente variabile (in l’asse 2. È lo stesso per ogni z se il filo si può consi-
nero sull’asse verticale) pro- derare infinito (il che è vero se non ci si mette troppo
duce un campo magnetico
variabile la cui direzione è
distanti dal filo). Evidentemente nel punto di coor-
perpendicolare a quella nel- dinate (−x, 0, z) il campo ha la stessa direzione e lo
la quale si muove la corrente stesso modulo, ma verso opposto (Filmato 40.1).
(in rosso si vedono le linee di La presenza di un campo magnetico variabile in
forza e il campo in due pun- una regione di spazio produce un campo elettrico
ti di coordinate, rispettiva-
mente, (−x, 0, h) e (x, 0, h)) in quella stessa regione per effetto della Legge di
[todo]. Faraday–Neumann-Lenz. Il fatto che in una spira
non alimentata si osservi, in queste condizioni, il
passaggio di una corrente significa che nella spira si
produce un campo elettrico E che dev’essere respon-
che possiamo sperare di produrre è un campo ma-
sabile del moto delle particelle cariche. Non c’è alcu-
gnetico costante che non produce alcun effetto utile
na ragione di credere che un tale campo si produca
ai nostri fini. L’idea è dunque di usare una corrente
soltanto in presenza di un conduttore. Possiamo be-
alternata, la cui forma sia, per esempio
nissimo assumere che in realtà il campo elettrico si
produca ovunque nelle vicinanze di un campo ma-
I(t) = I0 sin ωt (40.7)
gnetico variabile, ma che dia luogo a effetti visibili
con ω costante. Le considerazioni che faremo var- solo quando ci siano cariche elettriche nella regione,
ranno naturalmente per ogni tipo di corrente va- il che è possibile all’interno dei conduttori (sono an-
riabile perché il Teorema di Fourier ci assicura che che negli isolanti, ma lí non possono muoversi per-
ogni funzione periodica del tempo f (t) si può sem- ciò il campo elettrico indotto non produce alcuna
pre scrivere come somma di funzioni sinusoidali del corrente).
tempo stesso. Nel caso piú semplice la corrente scor- Il campo elettrico di cui parliamo è tale per cui la
re lungo un filo rettilineo la cui direzione possiamo sua circuitazione lungo una qualunque linea chiusa
scegliere essere quella dell’asse 3 di un sistema di è uguale alla variazione del flusso del campo magne-
assi cartesiani (al fine di semplificare la discussio- tico attraverso la superficie che ha per contorno la
ne del sistema immaginiamo di aver teso questo filo linea chiusa. Consideriamo allora una linea chiusa
nella direzione verticale cosií che l’asse 3 sia diretto a forma di rettangolo come quella della Fig. 40.2,
in quella direzione). di base ∆x e altezza z con ∆x z (la figura
Il filo produce attorno a sé un campo magnetico non è in scala). Se ∆x è sufficientemente piccolo,
B le cui linee di forza sono circonferenze centrate il campo magnetico che attraversa la superficie si
attorno al filo che giacciono sul piano perpendicolare può considerare costante e di modulo pari a
a questo (e quindi su quello orizzontale nel nostro
µ0
esempio). L’intensità B del campo decresce con la I0 sin ωtB(x) = (40.9)
Legge di Biot–Savart 2πx
dove x è la coordinata lungo l’asse 1 (quello ros-
µ0 µ0
B= I= I0 sin ωt , (40.8) so della figura) del vertice in basso a sinistra del
2πr 2πr rettangolo. Il flusso di questo campo attraverso la
dove r = x1 + x2 rappresenta la distanza dal filo superficie di area S = z∆x è
p
2 2
quando l’intensità del campo è abbastanza alta). La L’energia trasportata dall’onda naturalmente è
comparsa di questo campo magnetico fa nascere un costante ed è pari a quella impiegata dal trasmetti-
campo elettrico nelle sue vicinanze che a sua volta tore per produrla. Se l’onda si propaga in tutte le
produce un altro campo magnetico e cosí via. direzioni, la stessa energia si distribuisce su una su-
perficie sferica il cui raggio aumenta con il tempo e
quindi con la distanza dalla sorgente. Poiché la su-
40.2 Antenne perficie di una sfera di raggio r è S = 4πr2 , l’energia
che si può estrarre a distanza d da una sorgente di-
Si può, a questo punto, pensare di mettere in un
minuisce come 1/d2 . Per questa ragione, se l’energia
punto dello spazio distante dall’asse lungo il quale
iniziale è piccola, la possibilità di vedere un segnale
scorre la corrente che produce l’onda, un secondo filo
a distanza sufficientemente grande dalla sorgente è
conduttore, sempre allineato lungo la direzione ver-
piccola.
ticale. Quando l’onda elettromagnetica giunge nel
Le diverse che assumono le antenne si scelgono
punto in cui si trova il filo, il campo elettrico oscil-
allo scopo di ottenere una piú o meno grande di-
lante di quest’onda provoca il moto delle particelle
rezionalità di trasmissione. Un’antenna parabolica,
cariche di cui il filo è composto e nel filo comincia a
per esempio, riesce a trasmettere il segnale prati-
scorrere una corrente con la stessa frequenza con la
camente soltanto lungo l’asse della parabola, men-
quale scorre nel filo sorgente.
tre un’antenna costituita da un conduttore rettili-
I due fili, in altre parole, funzionano come
neo permette d’irradiare onde elettromagnetiche su
un’antenna trasmittente il primo e un’antenna ri-
superfici cilindriche in ogni direzione.
cevente il secondo. Sul secondo filo è possibile misu-
Per ricevere i segnali elettromagnetici le antenne
rare una corrente uguale a quella che si fa scorrere
devono esser fatte in modo tale che il campo elettri-
nel primo e cosí possiamo trasmettere informazione
co oscillante che le investe sia quanto piú possibile
opportunamente codificata nella corrente a distanza
orientato in direzione del conduttore, in modo da far
in modalità wireless: senza bisogno di un supporto
scorrere le cariche in esso nella direzione della sua
fisico.
lunghezza. Le cariche q, sollecitate dal campo elet-
È cosí che funzionano i telefoni cellulari, il segnale
trico oscillante E(t) subiscono una forza variabile
Wi–Fi, la radio, la televisione, etc.. Anche le carte
nel tempo
di credito contactless e i sistemi RFID funziona
grazie agli stessi principi. Nel caso delle carte con-
F (t) = qE(t) = qE0 sin ωt . (40.30)
tactless non c’è neanche bisogno di un alimentatore
per produrre il segnale da trasmettere. Il sistema, in- Questa forza produce la variazione dello stato di mo-
fatti, funziona cosí: il lettore, che è alimentato dalla to delle cariche che subiscono un’accelerazione a =
rete elettrica domestica, emette un’onda elettroma- F (t)/m, che porta le cariche a muoversi oscillando:
gnetica a una certa frequenza che raggiunge un filo
avvolto a spirale incluso nello spessore della carta. x(t) = x0 sin ωt . (40.31)
In questo filo, grazie all’energia trasportata dall’on- Usando l’analisi matematica (con un po’ di sfor-
da elettromagnetica, comincia a scorrere corrente, zo si fa anche senza) si può facilmente dimostrare
sufficiente per alimentare un microscopico trasmet- che l’accelerazione di una particella che si muove in
titore che produce un’altra onda elettromagnetica questo modo è
che si propaga per brevi distanze e che contiene
le informazioni da trasmettere al lettore sotto for- a(t) = −x0 ω 2 sin ωt (40.32)
ma di modulazioni dell’ampiezza o della frequenza
di quest’onda. Il lettore intercetta quest’onda e la e quindi si deve avere
decodifica.
d2 E d2 E
= ε 0 µ 0 (40.36)
Figura 40.5 Un’antenna televisiva deve
dx2 dt2
ricevere segnali di diversa fre- (un’equazione del tutto simile vale per il campo B).
quenza: per questa ragione è L’equazione ci dice che E (o B) deve dipendere sia
fatta di tanti conduttori di da x che da t e che a una variazione di E nel corso del
lunghezza diversa, ciascuno
dei quali capta segnali la cui
tempo corrisponde una variazione di E nello spazio.
frequenza è compresa in una Ma che significa in pratica? Supponiamo d’aver mi-
certa banda. La figura è trat- surate E con un qualche strumento piazzato in un
ta da WikiPedia ed è di K. determinato punto dello spazio a distanza x dalla
Krallis. sorgente. Quello che vedremmo al passare del tem-
po è che E varia, oscillando tra un valore minimo e
un valore massimo. Nel caso piú semplice vedrem-
mo che E = E0 sin ωt. Se ora disponiamo in diversi
q E0 punti dello spazio, a varie distanze, vari strumenti
x0 = . (40.33)
m ω2 di misura del campo che eseguono la stessa misu-
La velocità della carica, invece, si scrive ra contemporaneamente, cioè allo stesso istante
di tempo t, vedremmo che lo strumento nel punto
v(t) = x0 ω sin ωt (40.34) x = x1 produce un valore diverso da quello prodot-
e l’energia necessaria per farla muovere to dallo strumento posto in x = x2 , che è ancora
diverso da quello che si vede in x = x3 . Ma se si fa
1 1 il grafico di Ei in funzione di xi quel che si osserva è
K = mv 2 = mx20 ω 2 sin2 ωt . (40.35)
2 2 che il modo di variare di E con x è identico a quel-
Quando su un filo arriva un’onda di una certa ener- lo con il quale E varia col tempo. L’equazione dice
gia, le cariche elettriche gliene sottraggono una por- infatti che la variazione di E col tempo è uguale (a
zione pari a K se possono percorrere uno spazio pari parte un fattore moltiplicativo) a quella di E con lo
a x0 , spostandosi da un estremo all’altro del filo. Se spazio.
il filo è piú corto gliene sottraggono un po’ meno; 1
Il processo è naturalmente un po’ piú complesso e
se è piú lungo un po’ di piú. Un’antenna capace di coinvolge il concetto di risonanza, ma l’idea è questa.
Le soluzioni delle equazioni delle onde sono sem- Gli esperimenti sulla diffrazione permettono di
pre funzioni di una combinazione di spazio e tempo misurare la frequenza ν delle onde luminose, che è
del tipo f (x ± vt), dove v ha le dimensioni fisiche di compresa tra i 430 e i 750 THz (1 THz= 1012 Hz).
una velocità e rappresenta la velocità di propagazio- Ricordando (è facile, basta ricordare le unità di mi-
ne dell’onda stessa. Nel caso delle equazioni sopra sura) che la lunghezza d’onda λ = c/ν, le lunghezze
ricavate quando la corrente oscilla sinusoidalmente d’onda della luce vanno da
è facile vedere, sostituendovi le variazioni (derivate)
dei campi, che la soluzione è, nel caso per esempio
c 3 × 108
del campo elettrico, λ= ' ' 7 × 10−9 m (40.40)
ν 430 × 1012
una spiaggia a prendere il Sole, rischiamo di provo- una giornata poco soleggiata o spalmandoci una so-
care lesioni sulla nostra pelle come eritemi e scotta- stanza capace di assorbire la radiazione ultraviolet-
ture: le onde elettromagnetiche, infatti, trasportano ta questo non accade. Se il nostro corpo è capace di
energia e, una volta assorbite dai corpi, quest’ener- assorbire onde elettromagnetiche, tutta la luce visi-
gia è in un certo senso trasformata sin calore. Stare bile e non dovrebbe essere, alla fin fine, trasformata
troppo al Sole, quindi, provoca effetti simili a quelli in calore. Se uno si espone a una certa quantità di
di una bruciatura. ultravioletti dovrebbe assorbire una corrispondente
Ci sono solo due cose che non tornano molto quantità di energia. Se, per esempio, il campo elet-
in quest’interpretazione dei fenomeni che, in ve- trico di un’onda ultravioletta si può rappresentare
rità, appare molto astuta e, allo stesso tempo, come
di grande soddisfazione (ricordate che siamo par-
titi dal chiederci cosa voleva dire misurare una EU V sin ωt , (40.43)
temperatura).
sollecitate da questo campo le nostre particelle do-
La prima cosa strana consiste nel fatto che nel-
vrebbero oscillare alla stessa frequenza e l’equazione
l’equazione delle onde elettromagnetiche compare la
del moto ci permette di predire la loro posizione x(t)
velocità
come
1
c= √ ' 108 ms−1 , (40.42) x(t) = x0 sin ωt . (40.44)
ε0 µ 0
che cosí com’è è una velocità assoluta. Ci si aspet- La velocità di una particella che si muove in questo
terebbe che la velocità alla quale si muovono le onde modo è
elettromagnetiche dipende dal sistema di riferimen-
to dal quale si osservano. È strano che in un’equa- v(t) = x0 ω cos ωt (40.45)
zione compaia una velocità assoluta, co un valore e di conseguenza l’energia cinetica (che dev’essere
preciso dato dal prodotto di costanti universali: do- sottratta all’onda) vale
vrebbe comparire una velocità generica v il cui va-
lore dovrebbe dipendere dallo stato di moto dell’os-
servatore. Se per esempio corressimo incontro a un 1 1
K = mv 2 = mx20 ω 2 cos2 ωt , (40.46)
raggio di luce, che si muove a 3 × 108 m/s alla sua 2 2
stessa velocità, ci aspetteremmo di vedere l’onda ar- il cui valor medio dipende dall’ampiezza x20 dell’o-
rivare verso di noi a una velocità di 6 × 108 m/s. scillazione e dal quadrato della frequenza ω 2 . Al
Se invece corressimo dietro a un raggio di luce alla paragrafo precedente mostriamo che
sua stessa velocità dovremmo vederlo fermo: come
quando con un’automobile se ne insegue un’altra. q EU V
x0 = (40.47)
La macchina che sta davanti appare ferma se se ne m ω2
misura la velocità come la distanza percorsa rispetto e sostituendo si trova
a chi segue la vettura nell’unità di tempo. È natu-
rale che, dal momento che la velocità della luce è 1 q 2 EU2 V
K= cos2 ωt . (40.48)
cosí alta è difficile fare un esperimento del genere, 2 mω 2
ma ci si può provare, per cercare di capire se e co- Per quanto la trattazione che stiamo facendo sia
me si devono modificare le equazioni di Maxwell per molto grossolana (per esempio, stiamo trattando
includere quest’effetto. le particelle del nostro corpo come fossero libere
Il secondo problema è il seguente: se ci stendia- di muoversi il che è evidentemente falso), si capi-
mo su un asciugamano al Sole su una spiaggia per sce che l’energia sottratta all’onda elettromagnetica
troppo tempo ci bruciamo, mentre se lo facciamo in dovrebbe essere proporzionale al quadrato della sua
Al capitolo sulle caratteristiche della forza pe- Non possiamo piú dire che l’anta cade con acce-
so si dimostra sperimentalmente come l’accelera- lerazione g perché ciascun punto dell’anta cade con
zione con cui cade ogni oggetto sulla Terra sia co- velocità diversa e quindi deve avere un’accelerazione
stante e pari a g ' 9.8 ms−2 . Possiamo però fare diversa.
un esperimento che mette apparentemente in crisi
quest’affermazione.
Costruite, usando due tavole o due lastre di mate- 41.1 Un esercizio
riale plastico sufficientemente rigido, un dispositivo
Per capire cosa accade (e come trattare il proble-
come quello mostrato nella Figura ??, fatto di due
ma) consideriamo un singolo punto dell’asta, che in
ante unite da una cerniera. Se disponete il dispositi-
un sistema di riferimento con l’origine sula cerniera,
vo in orizzontale, con l’asse della cerniera orientato
l’asse 1 orizzontale e l’asse 2 verticale ha coordina-
nello stesso modo, vedete che, lasciando andare una
te r(t) = (x1 (t), x2 (t), 0) in un istante qualunque
delle due ante, questa cade ruotando attorno all’as-
t (all’istante t = 0 le coordinate di questo punto
se della cerniera. Nessuno si sorprenderà di questo
sono evidentemente r(0) = (r, 0, 0). Corrisponden-
risultato, che appare del tutto ovvio.
temente la velocità di questo punto sarà un vettore
Ma ora riflettete su quanto avete osservato: i pun-
v(t) = (v1 (t), v2 (t), 0) = ω(x1 , x2 , 0), che all’istante
ti piú lontani dalla cerniera dell’anta in movimen-
t = 0 ha coordinate v(0) = (0, 0, 0). Tralasciando
to si muovono piú rapidamente di quelli vicini alla
la terza coordinata, lungo la quale l’equazione del
cerniera: quei punti, infatti, devono percorrere piú
moto è un’identità 0 = 0, scriviamo le equazioni del
spazio nello stesso tempo. La velocità angolare ω di
moto del punto come
tutti i punti dell’anta che cade è la stessa e vale
∆v1 F1
∆θ =
(41.1)
ω=
∆t m . (41.3)
∆t ∆v F
2 2
dove ∆θ è la variazione dell’angolo formato con l’o- =
∆t m
rizzontale tra due istanti t0 e t1 e ∆t = t1 − t0 è
v1 e v2 , a loro volta, sono le variazioni delle rispettive
la durata di questa variazione. Ma la velocità di un
coordinate nell’unità di tempo, perciò abbiamo che
punto dell’anta è
∆x1 ∆(r cos θ)
∆x r∆θ v1 = = (41.4)
v= = = rω , (41.2) ∆t ∆t
∆t ∆t e
dove r rappresenta la distanza del punto dall’asse di
rotazione, misurata lungo l’anta. In sostanza, la ve- ∆x2 ∆(r sin θ)
v2 = = . (41.5)
locità dei punti dell’anta durante la caduta aumenta ∆t ∆t
in proporzione alla distanza dall’asse di rotazione. Il prodotto (r cos θ) può variare se varia r, se varia
θ o entrambi. Ma per un dato punto r resta costan-
41.1. UN ESERCIZIO 428
te, quindi la variazione ∆(r cos θ) si può imputare Osserviamo che se le variazioni sono piccole, il lo-
soltanto alla variazione dell’angolo θ: ro prodotto è piccolissimo e sarà trascurabile. Per
esempio, per x2 ' ω ' 1 in qualche unità, con
∆x2 ' ∆ω ' 0.1, il prodotto ∆x2 ∆ω ' 0.01, die-
∆(r cos θ) = r cos (θ + ∆θ) − r cos θ . (41.6) ci volte piú piccolo degli altri addendi. Scriviamo
allora
Usando le formule della trigonometria troviamo
∆(x2 ω) ' x2 ∆ω + ∆x2 ω (41.15)
∆(r cos θ) = r (cos θ cos ∆θ − sin θ sin ∆θ) − r cos θ . da cui si evince anche che
(41.7)
Se la variazione ∆θ è piccola cos ∆θ ' 1 e sin ∆θ ' ∆(x1 ω) ' x1 ∆ω + ∆x1 ω . (41.16)
∆θ. Con quest’approssimazione
Sostituiamo nelle equazioni del moto:
∆(r cos θ) = −r∆θ sin θ . (41.8)
∆x ∆ω F1
− 2 ω − x2
=
Analogamente si trova che ∆t ∆t m . (41.17)
∆x 1 ∆ω F 2
ω + x1 =
∆(r sin θ) = r∆θ cos θ . (41.9) ∆t ∆t m
Pertanto possiamo riscrivere le velocità come Ora ricordiamo che ∆t = vi e quindi
∆xi
∆ω F1
∆θ −v2 ω − x2 =
(41.10)
v1 = −r sin θ = −x2 ω ∆t m .
∆t (41.18)
∆ω F
e
v1 ω + x1 =
2
∆t m
(41.11) Se moltiplichiamo la prima equazione per −x2 e la
∆θ
v2 = r cos θ = xω .
∆t seconda per x1 , sommando le equazioni del sistema
Le equazioni del moto diventano membro a membro otteniamo l’equazione
∆(x2 ω) F1
− = 2 ∆ω 2 ∆ω F1 F2
∆t m . (41.12) x2 v2 ω + x2 ∆t + x1 v1 ω + x1 ∆t = −x2 m + x1 m
∆(x1 ω) = F2
(41.19)
∆t m che possiamo semplificare osservando che v1 = −yω
Ancora una volta dobbiamo calcolare la variazio- e v = xω per cui gli addendi proporzionali a ω a
2
ne ∆(x2 ω) del prodotto x2 ω (e qualcosa di simile primo membro sono uguali e opposti e
per l’altra equazione). Il prodotto cambia se cambia
x2 , se cambia ω o se cambiano entrambi. Possiamo ∆ω F2 F1
r2 = x1 − x2 . (41.20)
scrivere quindi che ∆t m m
È stato un po’ faticoso, ma alla fine abbiamo otte-
nuto un’equazione che ben descrive quel che accade
∆(x2 ω) = (x2 + ∆x2 ) (ω + ∆ω) − x2 ω . (41.13)
nel caso dell’asta incernierata. Il punto a distanza
Svolgiamo le parentesi ottenendo r = 0 è fermo perché su di esso la risultante di tut-
te le forze è nulla. Di conseguenza non si muove. Il
punto estremo dal lato libero dell’asta inizialmente
∆(x2 ω) = ω + x2 ∆ω + ∆x2 ω + ∆x2 ∆ω −
x2
ω . ha coordinate r = (L, 0, 0) ed è soggetto a due for-
x2
(41.14) ze: una è quella di gravità −mgx̂2 e l’altra quella
che lo tiene incollato al resto dell’asta, che è diret- 41.2 Il prodotto vettoriale
ta come l’asse 1, ma ha verso opposto: −F x̂1 . Qui
m è una piccola frazione della massa dell’asta, che La matematica è un linguaggio, con il quale pos-
corrisponde a un pezzettino microscopico di essa nel siamo esprimere ogni sorta di concetto. Basta che
punto corrispondente all’estremo libero. All’istante abbiamo l’alfabeto e il dizionario giusto. Da quanto
iniziale emerge dal paragrafo precedente si capisce che dati
due vettori sul piano a = (a1 , a2 , 0) e b = (b1 , b2 , 0),
2 ∆ω una combinazione rilevante delle loro coordinate è
L = −Lg (41.21)
∆t quella che si ottiene attraverso un’operazione che
e quindi cambia la velocità angolare ω del sistema. mescola le componenti dei due vettori
Non appena l’asta comincia a cadere le forze inter-
ne al sistema che tengono unito l’estremo dell’asta M3 = a1 b2 − a2 b1 . (41.25)
al resto acquistano una componente verticale diretta Il motivo per cui abbiamo messo il pedice 3 a M
verso l’alto e allora abbiamo sarà chiaro tra poco, ma per il momento possia-
mo pensare che si tratti di un sistema per ricordare
che stiamo moltiplicando componenti di vettori che
2 ∆ω F F
L = L cos θ −g + sin θ − L sin θ cos θ . hanno la terza componente nulla.
∆t m m
(41.22) Il sistema di riferimento usato in questo caso ha
La cosa si fa interessante: quello che succede in que- l’asse 1 orizzontale e diretto, per esempio, verso de-
sto caso è che, qualunque sia l’angolo θ formato dal- stra; l’asse 2 è verticale che punta verso l’alto e l’as-
l’asta con l’orizzontale, i termini che contengono la se 3 che entra nella pagina. Se ruotassimo il nostro
forza F si cancellano a vicenda e resta soltanto il sistema di riferimento di 90◦ attorno all’asse 2, in
contributo della forza esterna. Questo è interessante senso antiorario guardandolo da sopra, quello che
perché noi non sappiamo dire nulla sulle forze inter- prima era l’asse 3 avrebbe la stessa direzione e ver-
ne a un sistema rigido e F ci è completamente sco- so opposto di quello che era l’asse 1; quest’ultimo
nosciuta. Ma se la sua conoscenza non contribuisce invece avrebbe la stessa direzione di quello che era
a quella del moto non è un problema. l’asse 3 e potremmo scrivere −a3 al posto di a1 e −b3
Questo comportamento è del tutto generale. al posto di b1 . A questo punto sembra ragionevole
Sembra, cioè, che la combinazione sostituire il pedice 3 col pedice 1
F2 F1
M = x1 − x2 (41.23) M1 = −a3 b2 + a2 b3 = a2 b3 − a3 b2 . (41.26)
m m
conduca sempre a una quantità al cui valore contri- Osservando bene le due definizioni di M e M viene
1 3
buiscono soltanto le forze esterne. Qualunque sia il naturale costruire una terza combinazione
valore delle componenti delle forze interne, questo è
irrilevante. M2 = a3 b1 − a1 b3 . (41.27)
Evidentemente, poiché F = ∆p ∆t
la combinazione
sopra scritta sarà uguale a Le tre combinazioni M1 , M2 , M3 sono costruite
usando componenti dei vettori a e b i cui indi-
∆p2 ∆p1 ci sono diversi da quelli della Mi corrispondente
L = x1 − x2 . (41.24)
∆t ∆t (i = 1, 2, 3). Per costruire la combinazione Mj si
prende la componente i del primo vettore e la si
moltiplica per la componente k del secondo, in modo
tale che la sequenza jik degli indici usati sia ugua-
le a 123 oppure a una sua combinazione ciclica:
M = a1 b 2 . (41.29)
Osservando la Figura 41.1 si vede che M rappre-
senta, geometricamente, l’area del parallelogramma
che equivale a
41.4 La fisica dei momenti
È evidente che la dinamica del punto materiale de-
Nel mezzo del cammin di nostra vita
v’essere contenuta nella legge testé formulata. Ve-
mi ritrovai per una selva oscura
diamo se effettivamente le cose stanno cosí. Conside-
ma non c’è dubbio che la seconda formulazione sia riamo un punto materiale di massa m che si muove
piú efficace della prima. La seconda formulazione con velocità v = (v, 0, 0): scegliamo cioè un siste-
esprime molto di piú della prima: vi si legge l’ango- ma di riferimento con l’asse 1 parallelo alla velocità
scia e lo smarrimento dell’autore, per esempio, che di questo. Supponiamo che inizialmente il punto si
nella prima è molto piú sfumata. Allo stesso mo- trovi alle coordinate x = (0, `, 0), che corrispondono
do, usando l’alfabeto matematico, possiamo costrui- a un punto dell’asse 2 che dista ` dall’origine.
re nuove parole del nostro dizionario che consentano Per calcolare i momenti possiamo sempre sceglie-
di riformulare le leggi fisiche in modo equivalente, re un vettore r che ha le coordinate del punto ma-
ma per certi versi piú utile. teriale, dunque r = x. In altre parole, geometrica-
Usano i risultati trovati al Paragrafo 41.1 mente il vettore che serve per calcolare i momenti si
possiamo vedere facilmente che dev’essere rappresenta come una freccia che parte dall’origine
degli assi e finisce nel punto.
∆p Il momento della quantità di moto L del punto
r× = r × F. (41.31)
∆t è L = r × p che inizialmente ha modulo L = `mv
In pratica non facciamo altro che moltiplicare primo e, secondo la regola della mano destra, è rivolto in
e secondo membro dell’equazione maniera da entrare nel foglio se l’asse 1 è orientato
verso destra e quello 2 verso l’alto. In assenza di
∆p forze il punto dovrebbe continuare a muoversi di
=F (41.32)
∆t moto rettilineo uniforme, perciò dopo un tempo t
per il vettore r a sinistra (il prodotto vettoriale non si troverà alle coordinate x = (vt, `, 0). Poiché la
è commutativo). r evidentemente è un vettore ar- sua quantità di moto è sempre p = (mv, 0, 0) il
bitrario, le cui componenti hanno le dimensioni di momento della quantità di moto ha componenti
una lunghezza, e quindi rappresenta una posizione
che possiamo scegliere come meglio crediamo. L1 = r2 p3 − r3 p2 = 0
Alla quantità L = r × p diamo il nome di mo- L2 = r3 p1 − r1 p3 = 0 (41.34)
mento della quantità di moto1 o momento an- L3 = r1 p2 − r2 p1 = −`mv
1
il nome momento deriva dal latino movimentum.
che perciò ha lo stesso modulo di prima (e lo stesso Fate da soli l’esercizio di vedere com’è orientato
verso, sempre per la regola della mano destra). Un il vettore momento angolare di Anna in ogni istante
modo equivalente di calcolare il modulo del momen- del moto: vedrete che è sempre diretto verticalmente
to angolare del punto materiale consiste nel prende- rispetto al pavimento (e punta in su o in giú secondo
re il modulo di r e moltiplicarlo per quello di mv il verso in cui si muove Anna).
e per il seno dell’angolo compreso. Basta fare un Questo risultato è interessante perché da una par-
disegno per capire che il risultato è proprio quello te ci descrive perfettamente il moto in maniera mol-
che abbiamo ottenuto. In alternativa si può definire to concisa, cosa che la seconda Legge formulata nel
il modulo del prodotto vettoriale come la quantità modo classico non sarebbe riuscita a fare altrettan-
di moto per il suo braccio che è la distanza tra il to bene (naturalmente quella legge è sempre valida
punto scelto per calcolare i momenti (l’origine) e la perché Anna subisce un’accelerazione in seguito al-
retta sulla quale giace la quantità di moto (che è l’applicazione della forza da parte di Bruno). Dal-
parallela all’asse 1 perciò il braccio vale sempre `). l’altra ci fornisce un esempio di come il momento
Si vede subito che il momento della quantità di angolare sia una grandezza che ha senso calcolare
moto non cambia. In effetti in assenza di forze il per ogni tipo di moto. Molti studenti hanno l’abitu-
momento di quest’ultime dev’essere nullo e di con- dine di considerare il momento angolare di un corpo
seguenza è nulla la variazione di momento angolare: come qualcosa che ha senso calcolare solo quando
quest’ultimo, quindi, resta costante. qualcosa ruota (come fa Anna dopo l’applicazione
Ora immaginate la situazione seguente: Anna della forza), a causa della parole angolare e per il
cammina a velocità costante parallelamente a uno fatto che solitamente il concetto s’introduce nel caso
dei muri della classe e su di lei non agisce alcuna dei moti circolari, come abbiam fatto anche noi. In
forza (la forza peso è bilanciata dalla reazione del realtà il momento angolare ha senso per ogni tipo di
pavimento). La sua quantità di moto è rmv e tale moto e non è affatto vero che un corpo che si muove
resta, dove r è la distanza tra la sua traiettoria e di moto rettilineo non abbia momento angolare, co-
un punto qualunque della stanza. Nel punto scelto me dimostra il caso di Anna che cammina in linea
supponiamo ci sia Bruno che riesce, quando Anna retta.
passa nelle vicinanze, a prenderla sottobraccio re- Un altro caso interessante è quello del ballerino:
stando per‘øfermo sul posto. Quello che succede è quando un ballerino intende eseguire una piroetta,
che Anna è costretta a ruotare attorno a un asse di solito allarga le braccia piú che può, si dà una
coincidente con Bruno. spinta che lo pone in rotazione e poi ritira le braccia
Questa situazione è perfettamente descritta dal- verso il corpo. Immediatamente comincia a ruotare
la legge della dinamica che abbiamo appena scritto. molto piú vorticosamente di quanto non avesse fatto
Il momento angolare di Anna quando cammina in all’inizio del moto. Perché avviene questo?
linea retta è rmv. Nell’istante in cui Bruno la pren- Consideriamo il ballerino con le braccia stese. Su
de sottobraccio il momento angolare di Anna vale un qualunque punto del suo corpo, che è abbastanza
ancora rmv. In un istante successivo Bruno esercita simmetrico rispetto a un asse verticale passante per
su Anna una forza diretta verso di sé, ma si tratta i l suo centro, agisce la forza peso diretta verso il bas-
di una forza diretta parallelamente al vettore r che so. Per esempio, sulla sua mano destra la forza peso
congiunge Bruno con Anna, quindi l’angolo compre- vale mg (con m pari al peso della mano) e punta ver-
so tra r e questa forza è nullo e il momento di que- so il basso. Lo stesso accade alla sua mano sinistra.
sta forza è nullo. Di conseguenza il momento della Calcoliamo i momenti delle forze esterne rispetto a
quantità di moto di Anna non cambia: infatti Anna un punto situato al centro del ballerino, tra le due
continua a muoversi in modo tale che il suo momen- mani. Il momento della forza che agisce sulla ma-
to angolare valga ancora, in modulo rmv, anche se no destra vale M = `mg dove ` è la distanza l’asse
cambia la direzione di v. centrale del ballerino e la mano. Per la regola della
mano destra tale momento punta in avanti (stendete nuare ad avere lo stesso modulo perché il momento
il braccio tenendo la mano in modo che il pollice sia delle forze esterne è nullo. Di conseguenza, non po-
orizzontale e le altre dita puntino verso il basso: il tendo aumentare la massa del ballerino, aumenta v
momento esce dal palmo della mano). Naturalmen- in maniera tale che
te sulla mano destra c’è anche una forza interna che
la tiene attaccata al polso (altrimenti gli cadrebbe, 2`mv = 2`0 mv 0 (41.36)
poverino). Ma il suo momento è nullo, come si ve-
dove le grandezze con l’apice sono quelle relative
de facilmente. Sulla mano sinistra il momento delle
alla situazione in cui le braccia del ballerino sono
forze esterne ha lo stesso modulo di quello della ma-
vicine al corpo. In questo caso `0 < ` e
no destra, ma è rivolto all’indietro. Di conseguenza
il momento totale, che è la somma dei momenti, è `
nullo. Questa cosa succede per ogni coppia di punti v0 = v (41.37)
`0
del corpo del ballerino, quindi il momento di tutte è maggiore di v. Per questo la velocità di rotazione
le forze che agiscono sul ballerino è zero (del resto del ballerino aumenta in modo considerevole.
è zero la forza complessiva che agisce sul ballerino,
perché tutto il suo peso è bilanciato dalla reazione
del pavimento della pista da ballo). Il momento del- 41.5 Pianeti e stelle
la quantità di moto del ballerino dunque si deve
conservare, cioè deve rimanere costante. La conoscenza della fisica dei momenti angolari ci
Il momento della quantità di moto è la somma permette di studiare il comportamento di oggetti al-
dei momenti delle quantità di moto di tutte le sue trimenti difficilmente accessibili. Consideriamo, ad
parti. La sua mano destra ha una quantità di moto esempio, un pianeta che ruota attorno alla sua stel-
mv diretta orizzontalmente in un verso o nell’al- la. Poiché il pianeta compie un’orbita curva è evi-
dente che su di esso deve agire una forza, altrimenti
tro, secondo il senso di rotazione. Per fissare le idee
si muoverebbe di moto rettilineo uniforme. La for-
supponiamo che il ballerino, visto dall’alto, ruoti in
senso antiorario. Il momento della quantità di moto za che impone al pianeta di orbitare attorno a una
stella è quella di gravità, che è diretta secondo la
della mano, per la regola della mano destra, è rivolto
retta congiungente la stella col pianeta.
verso l’alto (stendete il braccio rivolgendo il pollice
verso l’esterno e le dita in avanti: il palmo è rivoltoIl momento M della forza di gravità F calcolato
rispetto alla stella è evidentemente nullo, perché la
verso l’alto). Se fate lo stesso lavoro sulla mano si-
nistra (usando però sempre la destra per calcolare direzione del vettore r che rappresenta la distanza
il verso del momento) vedete che anche quello è di- tra il pianeta e la stella coincide con la direzione
retto verso l’alto. I due momenti quindi si sommano della forza. Il momento M = r × F è nullo infatti
quando r e F sono paralleli. Per questo motivo il
e si sommano con tutti quelli di tutti i punti di cui
è formato il corpo del ballerino. Possiamo semplifi-momento angolare L = mr × v del corpo celeste de-
care la situazione immaginando che tutta la massa ve rimanere costante lungo l’orbita, qualunque sia
del ballerino sia concentrata nelle sue mani (tanto la sua forma (che può essere circolare, ellittica, pa-
quel che cambia è solo il modulo di L e non la sua rabolica o iperbolica). Se nel percorrere l’orbita il
direzione o il suo verso). Il momento della quantitàpianeta si allontana dalla stella r aumenta, quindi
di moto totale vale, in modulo, deve diminuire v (m non può cambiare) e viceversa.
Se dunque un pianeta percorre un’orbita ellittica, la
L = 2`mv (41.35) sua velocità all’afelio, che è il punto in cui il pianeta
è alla maggiore distanza dalla sua stella, è la mini-
e si deve conservare. Quando il ballerino ritrae le
ma possibile, mentre al perielio, che è la minima
braccia la distanza ` diminuisce, la L deve conti-
distanza raggiunta dal pianeta rispetto alla stella, è zioni sul comportamento di certe stelle. Quando il
massima. carburante che permette alle stelle di brillare (i pro-
Le comete, che hanno orbite molto eccentriche toni al suo interno) finisce, la pressione esercitata
e talvolta aperte (paraboliche o iperboliche) sono dalla parte interna della stella per effetto dell’alta
molto piú veloci quando sono vicino al Sole rispetto temperatura viene a mancare e la gravità fa collas-
a quanto non lo siano quando ne sono distanti. sare la stella che si contrae e diventa sempre piú
Un risultato del genere fu trovato sperimental- piccola (di fatto il materiale di cui è fatta cade ver-
mente da Johannes Kepler che lo formulò nel modo so il suo centro). La stella, quindi, la cui superficie,
seguente: il segmento che unisce il Sole con un pia- a distanza R dal centro, inizialmente ruotava a ve-
neta descrive aree uguali in tempi uguali. Il motivo locità v, contraendosi comincia a ruotare a velocità
per il quale avviene questo è che la forza che tiene V per cui
il pianeta legato al Sole è radiale e il momento di
tutte le forze radiali è nullo rispetto alla sorgente mvR = mV r (41.40)
della forza. Quindi il momento angolare del pianeta quando raggiunge il raggio r < R2 . Se la sua velocità
si conserva. Ma cosa c’entra il momento angolare iniziale era v quella finale è
con l’area spazzato dal segmento in questione? È fa-
cile capirlo considerando due posizioni molto vicine R
.
V =v (41.41)
del pianeta. La figura descritta dal segmento di cui r
si parla nella seconda Legge di Keplero che stia- Una stella come il Sole ha un raggio di quasi
mo analizzando descrive una specie di triangolo con 700 000 km e se collaudasse potrebbe raggiungere
uno dei lati curvi. Se il tempo trascorso tra l’istan- dimensioni non piú grandi di qualche decina di km.
te t1 in cui si trova nel punto iniziale e quello t2 in La sua velocità di rotazione oggi si ricava sapendo
cui si trova nel punto finale è piccolo il lato curvo è che il periodo di rotazione T è di poco superiore ai
praticamente rettilineo e il triangolo è quasi isosce- 25 giorni, perciò
le. L’altezza di questo triangolo coincide, in pratica,
con la distanza dal Sole del pianeta (che è in pra-
2πR 2 × 3.14 × 7 × 105 km m
tica la stessa per entrambe le posizioni), mentre la v= = ' 180 000 ' 2 000 .
base è lunga r∆θ = rω∆t dove ∆θ è l’angolo (pic- T 25 d s
(41.42)
colo) formato dai due segmenti nei due istanti t1 e t2 Contraendosi fino a 10 km la sua velocità
per cui t2 − t1 = ∆t e ω = vr è la velocità angolare aumenterebbe fino a raggiungere il valore di
del pianeta che si muove a velocità v a distanza r
dal Sole. Abbiamo allora che l’area di questo quasi
triangolo vale 7 × 105 m
V = 2 × 103 = 1.4 × 108 (41.43)
10 s
1 v 1
∆A = r ∆t × r = vr∆t . (41.38) che è circa la metà della velocità della luce!
2 r 2
Ruoterebbe quindi con un periodo di
Il rapporto
2
Per eseguire un calcolo numericamente attendibile del
∆A 1 momento angolare di un corpo sferico come una stella oc-
= vr (41.39) correrebbe considerare quel che si chiama il suo momento
∆t 2
d’inerzia che tiene conto del fatto che non tutti i punti ruo-
è quindi costante perché L = mvr è costante e tano con la stessa velocità, che aumenta all’aumentare del
quindi l’area ∆A spazzata nell’unità di tempo ∆t raggio. Nel modello semplificato che stiamo adottando è co-
è costante. me se tutta la massa della stessa fosse concentrata sulla sua
Dal fatto che il momento angolare si conserva in superficie: in pratica è come se la stella fosse vuota. Tuttavia,
le considerazioni che facciamo sono ugualmente valide anche
certe condizioni si possono ricavare anche informa- per una stella piena.
(x − vt)2 + y 2 + z 2 = c2 t2 (42.5)
x2 + v 2 t2 − 2vxt +y 2 +z 2 = c2 t2 + α2 x2 − 2αxt
x2 + v 2 t2 − 2xvt + y 2 + z 2 = c2 t2 (42.6)
x2 1 − c2 α2 +y 2 +z 2 = t2 c2 − v 2 −2xt c2 α − v .
in aperto contrasto con quanto scritto nell’equazio- (42.11)
ne (42.2). È ovvio perché: nella relatività galileiana Se vogliamo che quest’equazione sia uguale a (42.2),
è impossibile che la velocità di qualcosa sia la stessa sicuramente non deve esserci il termine propor-
se misurata in due sistemi di riferimento in moto zionale a xt e dobbiamo evidentemente imporre
l’uno rispetto all’altro. Se vogliamo che gli osserva- che
tori in un sistema di riferimento e nell’altro siano
in accordo circa le misure che conducono è necessa- c2 α = v (42.12)
rio che x, y, z e t si trasformino in maniera diversa
passando dall’uno all’altro sistema. Osservando le e quindi che α = v/c2 . Cosí facendo l’equazione
due equazioni è chiaro che, nel caso in esame, né y diventa
né z subiscono alcuna trasformazione e quindi l’u-
nica maniera di far tornare le equazioni consiste nel v2 v2
trasformare t e x in modo tale da cancellare i ter- x 1 − 2 + y + z = c t 1 − 2 . (42.13)
2 2 2 2 2
c c
mini indesiderati nell’equazione. La trasformazione
deve essere tale per cui, per velocità non confronta- A questo punto, perchè il gioco sia fatto, è sufficien-
bili con quella della luce (v c), la trasformazione te che sia x che t si trasformino, passando da un
di x deve tornare a essere quella galileiana perciò sistema all’altro, in modo tale che i termini all’in-
possiamo provare2 a mantenerla ponendo terno delle parentesi spariscano dall’ultima equazio-
ne scritta. Per questo dobbiamo fare in modo che le
x0 = x − vt (42.7) trasformazioni siano tali da contenere un fattore che
cancella la parentesi (1 − v 2 /c2 ), cioè dev’essere
2
Se fossimo abili matematici scriveremmo subito che la
trasformazione giusta deve essere lineare perciò avremmo che 1
x0 = α(x − βt) e t0 = γ(t − δx), determinando α, β, γ e δ x0 = q (x − vt) . (42.14)
v2
imponendo l’invarianza della velocità della luce. 1− c2
In questo modo, elevando al quadrato la coordinata ratore e a denominatore, che rendono complicate le
x0 compare un fattore a denominatore uguale a quel- formule. Una volta trovato il risultato, per ottenere
lo che compare nell’equazione (42.11), quindi questi i valori delle misure in unità SI basterà moltiplicarlo
due termini si semplificano e l’equazione assume la per un’opportuna potenza di c, tale da renderlo di-
forma voluta. Una cosa analoga accade per t0 . In mensionalmente corretto. Ad esempio, nel caso delle
definitiva le trasformazioni giuste sono trasformazioni (42.17), per tornare a quelle espres-
se nel SI, basta osservare che l’equazione che dà x0
0
x → x = γ (x − βct)
deve avere le dimensioni di una lunghezza. Essen-
(42.15) do γ adimensionale, l’espressione tra parentesi deve
0 β
t → t = γ t − x
c essere una lunghezza. x lo è, mentre βt ha le di-
dove γ e β sono, rispettivamente mensioni di un tempo. L’unico modo di far avere
a questo addendo le dimensioni giuste consiste nel
moltiplicarlo per una velocità che è chiaramente c,
1 v per ottenere x0 = γ (x − βct). Allo stesso modo, l’e-
γ=p e β= . (42.16)
1 − β2 c spressione che ci dà t0 deve avere le dimensioni di un
Osserviamo che per v c, β ' 0 e γ ' 1 e le tempo. Tra parentesi c’è la differenza tra t, che ha le
trasformazioni (42.15) si riducono a quelle di Gali- giuste dimensioni, e βx, che ha le dimensioni di una
leo, perché v 2 /c2 risulta trascurabile rispetto a 1 e lunghezza. Per far avere a questo addendo le dimen-
quindi γ ' 1. Inoltre v/c2 ' 0 e quindi t0 ' t. sioni di un tempo occorre dividerlo per una velocità
e quindi l’espressione diventa t0 = γ t − βc x . Nel
Le trasformazioni (42.15) si chiamano trasfor-
mazioni di Lorentz, dal nome del fisico Hendrik resto di questo capitolo, ove non diversamente in-
Lorentz che aveva scoperto che queste stesse trasfor- dicato, si usano le unità naturali per la derivazione
mazioni lasciavano invariate le equazioni di Maxwell delle relazioni tra le grandezza fisiche.
passando da un sistema di riferimento inerziale as- A differenza di Lorentz, Einstein aveva capito che
soluto (al tempo chiamato etere) a un qualunque non era necessario supporre l’esistenza di un etere
sistema di riferimento in moto rettilineo uniforme con strane proprietà di trasformazione per spiegare
rispetto a questo. il fatto sperimentale secondo il quale la luce si muo-
Le trasformazioni di Lorentz assumono una for- ve sempre alla stessa velocità, in qualunque sistema
ma particolarmente simmetrica se si usano le uni- di riferimento. Secondo la visione di Einstein lo spa-
tà naturali, cioè un sistema di unità di misura nel zio e il tempo non sono concetti assoluti, come fino
quale c = 1 ed è adimensionale. In questo sistema ad allora si era ritenuto, ma essendo essi stessi gran-
le velocità sono grandezze fisiche adimensionali e si dezze fisiche misurabili, erano concetti relativi: per
misurano in frazioni della velocità della luce, men- eseguire una misura bisogna sempre confrontare una
tre le lunghezze si misurano in velocità per tempo grandezza fisica con una ad essa omogenea. Spazio
(ed essendo c adimensionale si misurano perciò in e tempo non fanno eccezione: se gli strumenti at-
secondi)3 . In questo sistema, infatti β = v e traverso i quali li misuro cambiano passando da un
sistema all’altro, la misura dello spazio e del tempo
non è assoluta.
(
x → x0 = γ (x − βt)
. (42.17)
t → t0 = γ (t − βx)
Usare le unità naturali semplifica enormemente i 42.2 La dilatazione del tempo
conti, perché si eliminano tutti i fattori c a nume-
Ma che vuol dire che il tempo non è assoluto? Il
3
L’anno luce, comunemente usato in astrofisica, è una mi- tempo, come abbiamo detto, è una grandezza fisica
sura di lunghezza in queste unità: rappresenta la lunghezza
e pertanto occorre misurarla con un qualche stru-
del percorso fatto dalla luce in un anno.
In realtà si osservano numerosissimi muoni a livello mo lungo l’asse x, la coordinata dell’estremo sinistro
del mare (un centinaio per metro quadro al secon- diventa
do), quindi questi devono poter aver viaggiato per
oltre 10 km. La teoria della relatività spiega questa x0L = −γβt (42.19)
apparente stranezza: nel sistema di riferimento del mentre la coordinata dell’estremo destro diventa
muone, nel quale è fermo, il tempo scorre in manie-
ra tale che mediamente, trascorsi 2 µs, buona parte x0R = γ (` − βt) . (42.20)
dei muoni decadono. Ma quando noi osserviamo i
muoni provenire dallo spazio, li vediamo muoversi a La lunghezza della riga per l’osservatore in moto è
velocità molto vicine a quella della luce, per cui, per dunque xR − xL che vale
0 0
riferimento questa particella non percorre molto piú Il paradosso dei gemelli
dei 600 m previsti. Uno dei piú noti apparenti paradossi della fisi-
Dalle trasformazioni di Lorentz è anche evidente ca relativistica è quello detto dei gemelli. Am-
che le dimensioni trasversali degli oggetti (le lun- mettiamo che in un lontano futuro sia possibile
ghezze, cioè, misurate lungo direzioni ortogonali a costruire un’astronave superveloce a disposizio-
quella nella quale si stanno muovendo l’uno rispet- ne di due gemelli: Ulisse e Telemaco. Ulisse sale
to all’altro i sistemi di riferimento) non cambiano a bordo dell’astronave e intraprende un viaggio
quando si passa da un sistema all’altro. che, per lui, dura circa dieci anni. Al ritorno
sulla Terra i due gemelli non sarebbero piú tali
Esercizio 42.2 Il viaggio d’un muone perché, secondo la teoria della relatività, Tele-
maco da Terra vede scorrere il tempo del fratello
In seguito alle interazioni dei raggi cosmici primari molto piú lentamente del suo. Quindi Ulisse in-
con i nuclei dei gas dell’atmosfera, a circa 10 km di vecchia piú lentamente di Telemaco e torna a
quota, si produce un muone che viaggia verso terra casa piú giovane.
a una velocità pari al 99.5 % di quella della luce.
Il paradosso sta nel fatto che lo stesso discorso
Quanto dovrà percorrere il muone prima di urtare
si potrebbe applicare a Ulisse, il quale nel suo
la Terra, secondo il suo metro?
soluzione → sistema di riferimento vede il tempo scorrere co-
me se fosse a Terra e quindi invecchia normal-
mente, ma dovrebbe vedere Telemaco sfrecciare
a velocità elevatissime e quindi dovrebbe vede-
re il suo tempo rallentare. È quindi Telemaco a
42.4 Composizione delle velo- risultare piú giovane, per Ulisse.
In realtà il paradosso cosí com’è non si può for-
cità mulare perché la teoria della relatività ristretta
Dal momento che secondo la teoria della relativi- si applica solo ai sistemi di riferimento inerziali,
tà ristretta le trasformazioni di Galileo non sono che si devono muovere di moto rettilineo unifor-
piú valide, occorre trovare nuove trasformazioni per me l’uno rispetto all’altro. Se Ulisse a un certo
calcolare la velocità di un oggetto come vista da un punto torna indietro, il suo moto non può es-
sistema di riferimento in moto rispetto a un altro. sere rettilineo uniforme (per non parlare delle
Farlo non è difficile: basta osservare che la velo- fasi di arrivo e partenza), quindi in questo ca-
cità è data dal rapporto u = ∆x/∆t tra lo spazio so la relatività ristretta non vale. Vale però la
percorso ∆x e il tempo impiegato a percorrerlo ∆t. relatività generale secondo la quale comunque
Trasformando con Lorentz queste due quantità otte- avviene che Ulisse invecchia meno rapidamente
niamo, assumendo sempre che l’asse x sia orientato di Telemaco.
nella direzione del moto relativo tra i due sistemi,
che
u−β
∆x0 ∆x − β∆t u0 = . (42.25)
u =0
0
= . (42.23) 1 − βu
∆t ∆t − β∆x
Osserviamo anzitutto che l’espressione risulta esse-
Dividendo l’ultimo membro per ∆t si ottiene re adimensionale, come deve, dal momento che in
∆x unità naturali le velocità non hanno dimensioni e si
∆x0 −β
0
u = = ∆t
. (42.24) misurano in frazioni di velocità della luce. Dove si
∆t0 1 − β ∆x
∆t legge u, dunque, si deve sempre intendere misurato
e quindi in unità di c e quindi numericamente pari a u/c. In
questo caso è utile riscrivere l’espressione in unità in fondo, non è che un pregiudizio: nessuno ci è mai
SI. Il passaggio a unità SI è quanto mai semplice: riuscito.
basta moltiplicare il tutto per una velocità, che non Un’altra osservazione utile è la seguente: suppo-
può che essere c. L’espressione in unità SI è dunque, niamo di non conoscere affatto le trasformazioni di
ricordando che per u dobbiamo intendere u/c, Lorentz, ma di sapere che le velocità si trasformano
u
in modo tale che, per v piccole, valgono le leggi di
−β u−v
0
u = c
c= , (42.26) trasformazione di Galileo, mentre per v grandi le ve-
1 − β uc 1 − uv
c2 locità devono tendere a quella della luce. Possiamo
che è l’espressione che si trova comunemente scritta sempre scrivere che
sui libri (ricordiamo che β = v/c). Quest’espressio-
ne, sebbene un po’ piú complessa, è sempre facile da u0 = A (u − v) (42.27)
ricordare, perché a numeratore c’è la differenza tra dove A è un numero che dipende da u e da v e che
le velocità del punto materiale e del sistema di rife- deve tendere a 1 quando v è piccolo. Possiamo dun-
rimento dal quale lo si guarda, come nella relatività que scrivere A = 1 + B con B = f (u, v), tale che
galileiana, che deve essere corretta relativisticamen- per v che tende a zero, f (u, v) ' 0. A questo pun-
te applicando un fattore che nel limite v c diventa to possiamo ripetere il ragionamento fatto sopra: u
pari a 1, che è quello a denominatore. Questo fatto- e v sono per natura dei vettori, mentre B è uno
re deve essere adimensionale e deve dipendere da u scalare. Un modo di costruire uno scalare con due
e da v che, per natura, sono vettori. Un modo per vettori è farne il prodotto scalare: u · v = uv nel
costruire una grandezza scalare usando due vettori caso specifico. Il prodotto uv non è adimensionale
è farne il prodotto scalare u · v = uv nel caso in come deve essere B, quindi dobbiamo dividerlo per
esame perché u e v sono tra loro paralleli. Questo una velocità assoluta al quadrato: c2 . Otteniamo
prodotto ha le dimensioni di una velocità al quadra-
to e per renderlo adimensionale si può dividerlo per
uv
u0 = 1 + 2 (u − v) (42.28)
c2 . c
Per v c il rapporto uv/c2 è piccolo e trascu- che è solo apparentemente diversa dalla relazione
rabile rispetto a 1 e riotteniamo la trasformazione esatta ricavata sopra. Infatti, come si vede nell’Ap-
di Galileo. Per v ' c, u0 ' −c. La velocità di qua- pendice al paragrafo sull’approssimazione di funzio-
lunque cosa vista da un sistema di riferimento che ni, l’espressione 1/(1 − x) si può approssimare, per
si muove alla velocità della luce è sempre pari al- x piccolo, a 1 + x (vedi eq. (57.68)). Si vede subito
la velocità della luce. Inoltre, se u = c, la velocità che
u0 = c per ogni valore di v (come ci aspettiamo dal
momento che tutto deriva dalla solita osservazio- u−v uv
ne sperimentale secondo la quale la velocità della u0 = ' 1 + (u − v) . (42.29)
1 − uv c2
luce è indipendente dal sistema di riferimento nel c2
quale la si misura). Esiste dunque un limite alla Come si vede si può ricavare un risultato abbastan-
velocità con la quale si possono muovere gli oggetti: za vicino a quello corretto semplicemente usando
nessuno potrà mai misurare una velocità superiore argomenti dimensionali e un po’ di matematica.
a quella della luce. Il risultato può apparire quan-
to meno sorprendente, ma per quanto strano possa
sembrarci è un fatto sperimentale che, fin quando 42.5 I quadrivettori
non verrà smentito con altre osservazioni, resta va-
lido e dobbiamo metterci l’anima in pace. Del resto, La maniera in cui si descrivono lo spazio e il tem-
che qualcosa si possa muovere a qualunque velocità, po suggerisce che la descrizione classica secondo la
quale lo stato di un punto materiale è determinato
da posizione e velocità non è corretta, ma è un’ap- a quattro dimensioni con le posizioni e gli istanti di
prossimazione della descrizione corretta nel limite tempo in questo modo:
di basse velocità.
Lo stato di un oggetto non si può rappresentare s = (t, ix, iy, iz) (42.33)
con posizione e velocità, che sono due vettori nello √
dove i = −1 è l’unità immaginaria. In questo mo-
spazio a tre dimensioni, perché le posizioni e le velo-
do, prendendo il prodotto scalare s · s, che si ottie-
cità non sono assolute, ma dipendono dall’osserva-
ne sommando i prodotti delle coordinate omologhe,
tore. La grandezza fisica s2 = t2 −(x2 + y 2 + z 2 )5 , al
otteniamo proprio il valore di s2 .
contrario, è assoluta: assume lo stesso valore in tutti
Possiamo dunque pensare a s come a dei vettori
i sistemi di riferimento. Questa grandezza quindi di
in uno spazio quadridimensionale in cui le trasfor-
chiama invariante di Lorentz.
mazioni di Lorentz eseguono delle rotazioni6 di que-
Un punto materiale che si trova al tempo t alle
sti quadrivettori. La prima componente di que-
coordinate (x, y, z) in un sistema di riferimento, in
sto quadrivettore è il tempo (moltiplicato per c se
un altro sistema di riferimento che si muove rispet-
si scrive in unità SI), mentre le restanti coordina-
to al primo di moto rettilineo uniforme parallela-
te sono quelle spaziali moltiplicate per l’unità im-
mente all’asse x, avrebbe coordinate (x0 , y 0 , z 0 ) =
maginaria. Possiamo anche eliminare quest’ulterio-
(γ (x − βt) , y, z) all’istante t0 = γ (t − βx). La
re complicazione ridefinendo l’operazione di prodot-
quantità s2 , espressa nel sistema di riferimento in
to scalare in questo spazio particolare (detto spa-
moto, è
zio di Minkowski)7 : basta ricordare che le com-
ponenti spaziali e quelle temporali vanno sommate
02 02 02 02 02 col segno opposto (quale segno di fatto è irrilevante,
s =t − x + y + z =
tanto cambierebbe solo il segno dell’invariante, che
γ 2 (t − βx)2 − γ 2 (x − βt)2 + y 2 + z 2 .
tuttavia continuerebbe a restare costante).
(42.30)
In fisica relativistica, dunque, i concetti di po-
Svolgendo i quadrati l’espressione sopra scritta
sizione e di velocità di un punto perdono parte
diventa
del loro significato, giacché la posizione e la veloci-
tà di un punto materiale sono qualcosa di relativo:
02
dipendono dall’osservatore e dal tempo. Queste due
s = γ t + β x − 2βxt −γ x + β t − 2βxt −y 2 −z 2
2 2 2 2
2 2 2 2
vettore dà uno scalare (che è quindi un invarian- ottenuto prendendo come β = u/c la velocità della
te per trasformazioni di Lorentz), mentre un qua- particella in unità di c, perché stiamo scrivendo le
drivettore moltiplicato per uno scalare è ancora un grandezze trasformando il tempo misurato nel siste-
quadrivettore. ma di riferimento del laboratorio al sistema di rife-
In fisica classica si definisce la quantità di moto rimento in cui la particella di cui si sta misurando
come il prodotto p = m0 u della massa m0 di un la velocità è ferma.
punto materiale per la sua velocità u. Per misurare La quadrivelocità è un quadrivettore (essendo un
una velocità dobbiamo prendere uno spostamento e quadrivettore diviso uno scalare) e dunque per es-
dividerlo per un tempo. Consideriamo un punto ma- sa valgono le trasformazioni di Lorentz. Il quadri-
teriale che al tempo t1 del nostro orologio si trova in vettore velocità v, misurato in un sistema di rife-
r1 = (x1 , x2 , x3 ). Per questo punto materiale possia- rimento fermo, visto da un sistema di riferimento
mo definire il quadrivettore r1 = (ct1 , x1 , y1 , z1 ) (in in moto con velocità V rispetto al primo, si ottiene
questo caso stiamo usando le unità SI, perché que- trasformando con Lorentz le componenti temporali
sto ci aiuterà nel dare la corretta interpretazione ai e spaziali. Per semplicità supponiamo che, in unità
risultati). Se il punto si trova in r2 = (x2 , y2 , z2 ) naturali,
al tempo t2 possiamo definire un secondo quadri-
vettore r2 = (ct2 , x2 , y2 , z2 ). La differenza tra due
quadrivettori è ancora un quadrivettore: v = γ (vt , vx , vy , vz ) = γ (1, u, 0, 0) (42.36)
0 0
quantità di moto8 della particella. Vediamo invece
∆x ∆x ∆τ vx0 che risulta essere pari a γm0 u. C’è un fattore γ di
= = . (42.41)
∆t0 ∆τ ∆t0 vt0 troppo. Questo non è strano: in effetti la quantità
Ritroviamo cosí la formula per la composizione delle di moto dovrebbe essere una grandezza conservata
velocità in assenza di forze esterne, ma se si applicano le
trasformazioni di Lorentz potrebbe accadere che la
∆x0 Wγ (u − β) quantità di moto totale di un certo numero di parti-
= u0
=
. (42.42)
∆t0 W
γ (1 − βu)
celle sia conservata in certi sistemi di riferimento e
Questo vi fa capire che l’uso della quadrivelocità non in altri. La teoria della relatività suggerisce che
può essere comodo quando si debbano ricavare le non sia m0 u a restare costante nel tempo in assenza
leggi di composizione della velocità perché è suffi- di forze, ma p. Per velocità basse γ ' 1 e si ottie-
ciente ricordare che si tratta di un quadrivettore e ne per la componente spaziale l’usuale definizione
le trasformazioni di Lorentz di questi, ma che biso- di quantità di moto. Ma quando γ diventa gran-
gna stare attenti a interpretarne le componenti. La de la quantità di moto si deve sostituire con γm0 u
velocità di un corpo non è la componente spaziale che può anche diventare infinita. È come se (e sot-
di un quadrivettore velocità, ma il rapporto tra la tolineiamo come se) la massa della particella m0
sua componente spaziale e quella temporale! aumentasse di un fattore γ diventando m = γm0 .
Vale la pena osservare che la somma di due qua- Va detto che la massa di una particella è costante
drivelocità, pur essendo un quadrivettore, non ha anche in relatività. L’affermazione secondo la quale
alcun significato fisico particolare e non è una qua- la massa aumenterebbe all’aumentare della velocità
drivelocità. Infatti, una proprietà della quadrive- è di per sé falsa, anche se in certi casi pensare in que-
locità abbastanza evidente è che il suo modulo vale sti termini funziona! In effetti funziona nei casi in
c (oppure 1 in unità naturali). Infatti, facendo il cui ci si ostina a interpretare i fenomeni alla luce dei
quadrato del quadrivettore 42.35 si ottiene risultati della fisica classica. Per accelerare una par-
ticella e farne variare la quantità di moto, secondo
la meccanica classica occorre una forza (per la Leg-
1 ge di Newton F = ∆p/∆t, quindi ∆p = F∆t). Man
v 2 = γ 2 c2 − u2 = c2 − u 2 = c2 .
u2
1 − c2 mano che la particella accelera e cambia la sua velo-
(42.43) cità, se al crescere della velocità la massa crescesse,
Una quadrivelocità quindi è un quadrivettore il cui la forza necessaria per far aumentare anche solo di
modulo vale sempre c e di conseguenza la somma pochissimo la sua velocità diventerebbe sempre piú
di due quadrivelocità non può essere una quadrive- alta (in questo schema possiamo riscrivere la Legge
locità. In altre parole la quadrivelocità non è una di Newton come a = F/m, con m variabile) e cosí
grandezza fisica interessante: si tratta solo di un ar- alla fine non si riesce mai a raggiungere la velocità
tificio per costruire altri quadrivettori d’interesse. limite della luce. Infatti, secondo questa interpreta-
In effetti, moltiplicando tutto per la massa m0 del zione, la grandezza m (che è il rapporto tra la forza
punto materiale che si è spostato nel tempo ∆t da e l’accelerazione di un punto materiale, quindi una
r1 a r2 costruiamo il quadrivettore grandezza fisica diversa da quella che si misura con
una bilancia) può diventare infinita e, sempre secon-
p = m0 v = γ (m0 c, m0 ux , m0 uy , m0 uz ) = γm0 (c, u) . 8
La quantità di moto di una particella si può chiamare an-
(42.44) che impulso, anche se questo termine non è del tutto esatto;
si riferisce infatti non alla quantità di moto della particella,
Per come è stata costruita, la componente spaziale ma all’integrale nel tempo delle forze agenti sulla particel-
di questo quadrivettore dovrebbe rappresentare la la che numericamente è uguale alla quantità di moto, ma
concettualmente è qualcosa di diverso.
do la fisica classica, nessuna forza potrà mai modi- Come si vede piú sotto, l’energia di una particelle
ficarne la velocità. Il fatto è che quando si applica dipende dalla sua quantità di moto e dalla sua mas-
una forza a una particella, accelerandola, non se ne sa. La massa di una particella è un invariante relati-
modifica la velocità, come in meccanica classica, ma vistico dato, a meno di una costante c2 , dalla radice
l’energia! Consigliamo dunque di non assumere mai del modulo quadro del quadrimpulso (eq. (42.50)).
questa interpretazione e ne parliamo perché si trova La massa effettiva misurata classicamente no: que-
su molti libri e su molte pubblicazioni. sta cresce con la velocità della particella di un fatto-
re γ per dare una massa classica m = γm0 dove m0 ,
Esercizio 42.3 Elettroni accelerati detta massa a riposo della particella, è la massa
della particella misurata in un sistema di riferimento
Un fascio di N elettroni è accelerato da una diffe- in cui è ferma.
renza di potenziale di 100 000 V per poi, dopo aver Come dobbiamo interpretare, invece, la parte
percorso 150 m, andare a collidere con un calori- temporale di questo quadrivettore, che vale γm0 c?
metro con 2 ` d’acqua la cui temperatura s’innalza Per capire di che si tratta è utile riscriverlo nell’ap-
di 10−4 ◦ C. Calcola quanti elettroni sono presenti prossimazione classica, cioè per v c. In questo
nel fascio e trova il tempo impiegato a percorrere caso
la distanza che li separa dal calorimetro, una volta
usciti dall’acceleratore. 1 1
γ=p ' 1 + β2 (42.45)
soluzione → 1 − β2 2
come si evince dal Paragrafo approssimazione
Uno dei casi in cui l’interpretazione sembra fun- di funzioni dell’Appendice, equazione (57.37). La
zionare è quello del calcolo del raggio di curvatura quantità γm0 c in approssimazione non relativistica
di una particella carica in campo magnetico. Il rag- diventa quindi
gio di curvatura aumenta di un fattore γ rispetto a
quanto previsto dalla Forza di Lorentz e questo po- u2
1 2
trebbe far pensare al fatto che in effetti la massa au- γm 0 c ' 1 + β m 0 c = m 0 c + m0 (42.46)
2 2c
menta. Va detto che il calcolo della forza di Lorentz
in questi casi non è cosí banale come può sembra- che moltiplicata per c dà
re perché la particella carica non si muove affatto
u2
di moto rettilineo uniforme rispetto a noi fermi nel E = γm0 c2 ' m0 c2 + m0 . (42.47)
laboratorio. Tuttavia se si esegue il calcolo corretto 2
si trova il risultato dell’equazione (48.1). In realtà Il secondo addendo è l’energia cinetica della par-
la questione si può reinterpretare in altri termini: il ticella. Evidentemente anche il primo addendo ha
raggio di curvatura R determina la lunghezza della le dimensioni di un’energia. Dobbiamo quindi inter-
traiettoria L = 2πR. Se R è abbastanza grande il pretare la componente temporale di questo quadri-
moto si può considerare approssimativamente ret- vettore, come l’energia della particella divisa per la
tilineo e la lunghezza vista dalla particella carica è costante c. Ma una particella ferma in assenza di
contratta di un fattore γ rispetto a quella misurata forze non possiede energia, mentre in questo caso
da chi si trova fermo nel laboratorio. Poiché la par- avremmo che l’energia di una particella in quiete
ticella carica, nel suo sistema di riferimento, vede non è nulla, ma vale m0 c2 . Questa grandezza, det-
una lunghezza pari a quella prevista dalla formula ta energia a riposo della particella, rappresenta
classica di Lorentz, noi, nel laboratorio, la vediamo dunque l’energia posseduta da una particella ferma
piú lunga di un fattore γ. Di conseguenza il raggio per il solo fatto di avere una massa m0 .
di curvatura aumenta dello stesso fattore. In altre parole potremmo concluderne che la mas-
sa di una particella non è altro che un’altra forma di
energia, dal momento che contribuisce a quest’ulti- Osserviamo infine che il rapporto p/E tra il mo-
ma per una quantità proporzionale a essa. Possiamo dulo della quantità di moto e l’energia totale della
quindi definire particella vale
E
P = ,p (42.48) p γm0 βc β
c = 2
= (42.51)
E γm0 c c
come il quadrivettore energia–impulso o qua-
drimpulso che ha la componente temporale pari che in unità naturali si riscrive come p/E = β. È an-
all’energia della particella misurata in unità di c e che utile osservare che, in unità naturali, l’energia ha
quella spaziale pari alla sua quantità di moto (ri- le stesse dimensioni fisiche della quantità di moto (le
cordando di usare, per questa, la massa relativistica componenti di un quadrivettore devono sempre ave-
m = γm0 ). re le stesse dimensioni fisiche) e che anche la massa
Ricaviamo alcune relazioni utili da questo qua- ha le stesse dimensioni fisiche dell’energia. Le masse
drivettore: innanzi tutto conoscendo l’energia totale perciò si possono misurare in unità di energia e per
E = γm0 c2 di una particella e la sua massa, se ne trovare il loro valore in unità SI basta dividerne il
può ricavare il fattore di Lorentz γ = E/m0 c2 (che valore espresso in unità di energia per c . Ad esem-
2
in unità naturali diventa γ = E/m0 ). Calcoliamo pio la massa di un protone in unità naturali vale
quindi il modulo quadro del quadrimpulso: circa 1 GeV. Ricordiamo che 1 eV = 1.6 × 10−19 J,
quindi nel SI la massa del protone vale
E 2 2 γ 2 m20 c4 2 2 2 2
P2 = 2 2 2 2
−p = −γ m β c = γ m c 1 − β .
c2 c2 0 0
mp ' 1 × 109 × 1.6 × 10−19 ' 1.6 × 10−10 J . (42.52)
(42.49)
2 −1
Osservando che γ = (1 − β ) si ottiene che
2
Dividendo per c2 = 9×1016 m2 s−2 si ottiene il valore
della massa in kg: mp ' 1.6 × 10−10 /(9 × 1016 ) '
2 2 2
P = m0 c (42.50) 1.8 × 10−27 kg.
cioè che il modulo quadro del quadrimpulso è una La relazione relativistica secondo cui E 2 − p2 =
costante pari alla massa a riposo della particella m in unità naturali (in unità SI la stessa relazione
2
x = γx0
(43.14)
t = vγx0 .
Dividendo ancora membro a membro si trova x = vt ,
che nel piano di Minkoski è una retta passante per
l’origine, di pendenza 1/v e simmetrica, rispetto alla b
C1
b
B1
(1,0)b F1
fetto di schiacciare gli assi verso la bisettrice del pri- b
b
D1
x
x′ 3 = 0.75 × 4 + q (43.16)
da cui si ricava che q = 0. Questo risultato è in ac-
t′
cordo con quello che abbiamo trovato prima, perché
implica che l’evento si trovi sull’asse delle t0 , doven-
C1
do avere x0 = 0. Anche graficamente si vede che il
punto B1 sta sull’asse t0 . La retta parallela all’altro
b b
B1
(0,1)
b asse invece ha equazione
b
(1,0)
t t
(43.17)
E1 D1
+q x=
b b
v
e di nuovo q si determina imponendo il passaggio
Figura 43.2 L’equazione del moto dell’a- per B1 :
stronave, x = vt, si rappre-
senta come una retta coin- 4
cidente con l’asse t0 . Il se- 3=
+q (43.18)
gnale radio partito dalla Ter- 0.75
ra dopo un anno è rappre- per cui q ' −2.33. Cerchiamo l’intersezione tra que-
sentato dalla linea arancio- sta retta (rappresentata in verde nella figura) e l’as-
ne. Il punto d’intersezione è
se delle t0 : dobbiamo mettere a sistema l’equazione
B1 che rappresenta l’even-
to consistente nel raggiungi- di questa retta con quella dell’asse per cui avremo
mento dell’astronave da par- che
te del segnale. Osservate che
la coordinata spaziale dell’e- t
+ q = vt (43.19)
vento coincidente con la par- v
tenza del segnale radio per gli
il che si verifica quando
astronauti è negativa.
1
t v− =q (43.20)
nuovo sistema. v
Un esempio chiarirà il meccanismo: secondo i tec- cioè per
nici rimasti a Terra dell’esempio riportato al para-
grafo precedente, le coordinate spazio–temporali del qv
t= = −qvγ ' 2.62 . (43.21)
punto in cui il segnale radio inviato da Terra dopo −1 v2
un anno dalla partenza raggiunge l’astronave, so- Potete verificare che il risultato è corretto osservan-
no B1 = (4, 3) (Figura 43.2), dove il primo numero do che il punto B1 nella Figura 43.2 si trova circa
rappresenta il tempo t misurato in anni dai tecnici a metà tra il punto di coordinate (2, 0) e quello di
a Terra e il secondo la distanza x alla quale si trova coordinate (3, 0) nel sistema (t0 , x0 ). Algebricamen-
l’astronave secondo costoro. te avevamo trovato lo stesso risultato (a meno di un
Le rette che rappresentano gli assi coordinati nel decimale, a causa degli arrotondamenti fatti).
sistema in moto hanno equazione x = vt e x = vt , ri- Le stesse coordinate di B1 si possono facilmen-
spettivamente. La retta parallela all’asse t0 passante te trovare con questo metodo grafico: l’equazione
per B1 ha equazione del moto dell’astronave, per chi sta a Terra, è in-
fatti x = vt e quindi la sua rappresentazione grafica
x = vt + q (43.15) coincide con l’asse delle t0 . Quella del segnale radio è
x = c (t − t0 ) con t0 = 1, che nella rappresentazione (ad esempio, un fascio di protoni contro un bersa-
grafica è una retta passante di pendenza c = 1 che glio di carbonio, a sua volta costituito di protoni).
passa per il punto (t0 , 0), che è poi quella riprodotta Il quadrimpulso totale di questo sistema è
in arancio nella figura. Il punto in cui il segnale rag-
giunge l’astronave è quello in cui la retta arancione
e quella di equazione x = vt (in rosso, coincidente (E, p) + (m, 0) = (E + m, p) . (43.22)
con l’asse t0 ) s’incrociano: si vede subito che questo
Il modulo quadro di questo quadrivettore è
punto è B1 .
Il metodo grafico può essere un po’ piú laborioso
s2 = E 2 + m2 + 2Em − p2 (43.23)
di quello algebrico, ma è un sistema rapido per veri-
ficare, almeno a occhio, di non aver commesso errori ma E 2 − p2 = m2 e quindi
con l’algebra. Basta un righello e un foglio di carta:
si tracciano gli assi coordinati del sistema in moto e s2 = 2m (E + m) . (43.24)
si rappresentano le equazioni del moto degli ogget- Se nell’urto si potesse produrre una particella √ di
ti nel piano (t, x). I segnali luminosi (e tutti quelli massa M questa avrebbe una massa pari a s2 ,
che in generale si muovono a velocità c) si rappre- perché il suo quadrimpulso sarebbe, per la conserva-
sentano come rette parallele alla bisettrice, mentre zione di quest’ultimo, pari alla somma dei quadrim-
per trovare le coordinate dei punti nel sistema in pulsi delle particelle iniziali. Dunque per produrre
moto basta condurre le rette parallele ai nuovi assi particelle di massa M occorrono fasci di protoni di
passanti per gli eventi d’interesse. energia pari a
M2
43.2 Acceleratori e collider − m.
E= (43.25)
2m
Un altro effetto della trasformazione di una gran- Possiamo anche dire che l’energia disponibile per
dezza fisica da un sistema di riferimento a un altro la produzione di massa cresce come la radice del-
in moto relativo si ha negli esperimenti di fisica del- l’energia del fascio. Se volessimo produrre un bo-
le particelle, nei quali si produce lo scontro tra una sone di Higgs usando fasci di protoni, sapendo che
particella proiettile e una bersaglio. m ' 1 GeV e M ' 125 GeV abbiamo
Dal momento che l’energia e la massa sono di fat- 1252
to la stessa cosa possiamo pensare di produrre ener- E' − 1 ' 7 800 GeV . (43.26)
2
gia consumando massa o viceversa. La produzione
di energia a spese della massa è il meccanismo che È una quantità d’energia enorme (trasformatela in
tiene accese le stelle (vedi box) e le centrali nucleari Joule per rendervene conto). Se invece volessimo
nelle quali i nuclei di uranio sono spezzati in parti produrre questa stessa particella usando fasci di
piú piccole la cui somma delle masse è inferiore a uguale energia che collidono l’uno contro l’altro il
quella del nucleo originario. quadrimpulso totale sarebbe
Per creare massa dall’energia si può far urtare una
particella di energia abbastanza elevata su un ber- (E, p) + (E, −p) = (2E, 0) . (43.27)
saglio: l’energia della collisione è disponibile per la In questo caso l’energia disponibile per produrre una
produzione di particelle. Per capire quanta energia particella è
serve usiamo le proprietà dei quadrivettori, conside- √ √
rando dapprima il caso di una particella con massa s= s2 = 4E 2 = 2E , (43.28)
m, di energia E e quantità di moto p che urta contro
cioè la semplice somma delle energie delle particelle
un bersaglio costituito di particelle dello stesso tipo
collidenti. Per produrre un bosone di Higgs dunque
2
In realtà occorre molto di piú perché i protoni non sono
particelle puntiformi, ma composte di quark. A scontrarsi
dunque sono questi ultimi, piú leggeri e con energia minore.
perché non esistono in quanto tali: non sono forze ha le dimensioni di una forza e che deve essere tale
nel senso che non sono il prodotto di un’interazione. da annullare l’accelerazione. Se Fapp = ma vedia-
Sono solo matematicamente equivalenti a forze. mo subito che il risultato è che la risultante delle
Un esempio ben noto è la forza centrifuga. Se forze applicate è nulla. Nel caso del moto circola-
mettiamo in rotazione con le mani un sasso legato re uniforme l’accelerazione è diretta verso il centro
a uno spago, sulle dita percepiamo una forza che ti- della traiettoria e vale v 2 /r dove v è il modulo del-
ra verso il sasso. Molti ritengono erroneamente che la velocità del sasso e r la sua distanza dall’asse di
questa forza sia la forza centrifuga. In realtà non rotazione. La forza centrifuga quindi vale
è altro che la tensione dello spago che si manifesta
per effetto della terza Legge di Newton dal momento v2
Fapp = m
r̂ . (44.9)
che all’altro capo è presente una forza centripeta, r
diretta cioè verso la mano. In assenza dello spago il La forza centripeta (che invece è una forza vera,
sasso si muoverebbe di moto rettilineo allontanan- effettivamente dovuta a una qualche interazione),
dosi dalla mano. Trascinando con sé lo spago, anche vale
i punti di questo si dovrebbero muovere di moto ret-
tilineo. Ma quando lo spago si tende, le dita della v2
F = −m
r̂ , (44.10)
mano lo trattengono applicando una forza diretta r
verso la mano stessa. Il punto di contatto tra la ma- e l’accelerazione del sasso (misurata nel sistema di
no e lo spago non si muove perché si desta una forza riferimento in cui è fermo) è nulla. Da quanto sopra
di reazione diretta verso l’esterno che annulla l’ef- se ne deduce che scrivere le trasformazioni che per-
fetto della forza applicata dalla mano. La forza di mettono di passare da un sistema di riferimento a un
reazione è il risultato della somma delle forze (di altro in moto accelerato rispetto al primo equivale
tipo elettromagnetico) che si esercitano tra le parti- a trattare un problema in cui sia localmente pre-
celle di cui è composto lo spago e che impediscono sente una forza. E non una forza qualsiasi, ma una
a questo di dissolversi. Di conseguenza ogni punto forza di tipo gravitazionale. Perché sappiamo che la
dello spago è soggetto a questa forza e a una forza seconda Legge di Newton dice che l’accelerazione a
uguale e contraria per effetto della terza Legge di subita da un corpo di massa mi è proporzionale alla
Newton. All’altro capo dello spago (quello cui è le- forza applicata
gato il sasso) dunque c’è una forza diretta verso la
mano prodotta dalle forze interne dello spago, non F
, a= (44.11)
annullata da altre forze. È questa forza, centripeta mi
appunto, che produce l’accelerazione che fa cambia- ma al contempo sappiamo che la forza di gravità si
re la direzione della velocità e fa muovere il sasso di scrive F = mG g dove mG = mi . Quest’ultimo fatto
moto circolare. è un fatto sperimentale. Non c’è alcuna ragione per
Se però osserviamo lo stesso fenomeno stando se- la quale il coefficiente che sta a denominatore nella
duti sul sasso, vedremmo il sasso fermo accanto a Legge di Newton debba essere uguale alla costante
noi! Se il sasso è fermo e resta tale vuol dire che non di accoppiamento delle interazioni gravitazionali. La
ci sono forze in questo sistema e per far valere la fisica relativistica dunque dovrà essere equivalente
seconda Legge di Newton siamo costretti a scrivere (almeno localmente) alla fisica della gravitazione.
che, in questo particolare sistema di riferimento, Se non possiamo eseguire misure di oggetti molto
distanti da noi (se ad esempio siamo chiusi in una
ma = F + Fapp (44.8) stanza senza finestre) e vediamo degli oggetti cadere
non possiamo sapere se questi cadono perché c’è un
dove F è la risultante delle vere forze agenti sul sas-
campo di forze gravitazionali oppure perché l’intera
so (la tensione dello spago), e Fapp è qualcosa che
stanza è accelerata verso l’alto. Potremmo saperlo
sioni, almeno in prima approssimazione). Se descri- sue variazioni) rispetto alle coordinate dello spazio–
viamo il nostro moto in uno spazio tri–dimensionale tempo. Con questo tensore e con il tensore metrico si
la geometria è euclidea, naturalmente. Non lo è solo può costruire un oggetto che è anch’esso un tensore,
quando scriviamo le relazioni tra gli oggetti usando perché è la somma di due tensori:
solo due numeri invece che tre.
Se lo spazio tri–dimensionale cui siamo abituati 1
Gµν = Rµν + gµν R (44.13)
fosse curvo potremmo fare il seguente esperimen- 2
to: con il nostro amico ci piazziamo in un punto dove R è una combinazione delle componenti di Rµν .
dell’Universo e guardiamo entrambi nella stessa di- Questo tensore non può che essere uguale a un altro
rezione. Uno dei due resta fermo e l’altro comincia tensore, le cui componenti devono dipendere dal-
a camminare sempre dritto davanti a sé. Cammina, la distribuzione di materia ed energia: il tensore
cammina, prima o poi succederà che il nostro amico energia–impulso2 Tµν . L’unica relazione possibi-
ce lo vedremmo arrivare alle nostre spalle! le è una relazione di proporzionalità la cui costante
In uno spazio come questo le relazioni geometri- si determina essere 8πG/c4 dove G è la costante di
che tra gli oggetti cambiano, anche se in maniera gravitazione universale e quindi
per noi impercettibile. Resta però valido il princi-
8πG
pio generale secondo il quale le distanze quadre tra Gµν = Tµν . (44.14)
c4
i punti dello spazio e l’origine delle coordinate si
possono scrivere come In assenza di materia ed energia Tµν = 0 per ogni
coppia µ, ν. In questo caso Gµν = 0 il che implica
s2 = gµν xµ xν . (44.12) che le variazioni delle gµν siano nulle per cui gµν
risulta essere costante ed evidentemente deve es-
L’unica differenza consiste nel fatto che ora le com- sere proprio il tensore determinato dalla relatività
ponenti di gµν non sono piú quelle di prima, e in ristretta.
generale non sono costanti. Capire come si scrivono In presenza di materia, invece, lo spazio–tempo
le gµν in funzione della distribuzione delle masse è si deforma e la forza di gravità che si esercita tra
un compito troppo arduo per un non esperto, che ri- i corpi non è altro che il risultato di questa defor-
chiede una matematica troppo avanzata. Ma alcune mazione. Come una persona che cammini in linea
considerazioni di carattere generale possiamo farle. retta su una superficie curva come la Terra percorre
Dal momento che per la relatività ristretta massa di fatto una traiettoria curva, un corpo che si muo-
ed energia sono la stessa cosa (nel senso che l’u- ve in linea retta in uno spazio curvo come quello
na si può trasformare nell’altra), la geometria del- prodotto dalla presenza di un’altra massa nell’Uni-
l’Universo non dipenderà solo dalla distribuzione di verso percorrerebbe una traiettoria che, vista da un
materia, ma anche dalla distribuzione di energia. ipotetico sistema inerziale, apparirebbe curva.
Inoltre, per ogni componente di gµν si potrebbe
scrivere, in linea di principio, un’equazione che di-
ce come varia la componente in esame in funzione 44.4 Effetti gravitazionali sul
della distribuzione di materia ed energia. Si pos-
sono cioè scrivere 16 equazioni che ci dicono come
tempo
variano le diverse componenti di gµν nei diversi pun- La teoria della relatività ristretta afferma che il tem-
ti dello spazio–tempo in relazione alla presenza, in po non è assoluto, ma scorre in modo diverso nei di-
certi punti, di materia o energia. A partire da que- versi sistemi di riferimento. La teoria della relatività
ste 16 equazioni si può costruire un oggetto che è generale ci dice invece che trovarsi nelle vicinanze di
anch’esso un tensore, detto Tensore di Riemann
Rµν . In effetti Rµν contiene le derivate di gµν (le L’impulso o quantità di moto dipende dalla massa,
2
α'1+δ (44.16)
perché in assenza di campo gravitazionale dev’es-
sere t = τ e quindi δ = 0. Evidentemente δ deve
dipendere dal potenziale del campo gravitazionale3
che sappiamo scrivere come
3
Deve dipendere dal potenziale e non dal campo perché
deve essere uno scalare, come il potenziale, mentre il campo
è un vettore.
Fisicast
I seguenti podcast di Fisicast hanno a che fare con
l’argomento trattato negli ultimi due capitoli:
ηµν per dxµ restituisce allora un vettore: I vettori con l’indice in alto si chiamano contro-
varianti, mentre quelli con l’indice in basso di di-
dt −dt
cono covarianti. Il motivo di questa terminologia
−1 0 0 0
µ
0 1 0 0 dx dx
è il seguente. Supponiamo di avere un vettore (che
ηµν dx = = . per semplicità immaginiamo in uno spazio bidimen-
0 0 1 0 dy dy
0 0 0 1 sionale) x = (a, b) che si può sempre scrivere come
dz dz
(45.5) x = cx̂, cioè come un multiplo del vettore unita-
Da quanto sopra è evidente che il prodotto di un rio. Per esempio, supponiamo che il vettore abbia le
tensore per un vettore è un vettore. D’altra parte il coordinate
prodotto ηµν dxµ dxν = ds2 dev’essere uno scalare (e
2 1
come tale non dipende dalla scelta delle coordinate). x= √ ,√ (45.8)
5 5
Poiché il fattore ηµν dxµ è un vettore, il prodotto di
quest’ultimo per dxν dev’essere un prodotto scalare se misurate in centimetri. Questo vettore ha una
che algebricamente si ottiene sommando i prodotti lunghezza pari a
delle componenti omologhe. Un modo per riscrivere r
il prodotto scalare consiste nello scrivere il vettore 4 1
x= + = 1 cm . (45.9)
ηµν dxµ come un vettore riga, da moltiplicare per il 5 5
vettore colonna dxµ . In questo modo si otterrebbe e si può scrivere come x = 1 × x̂ dove x̂ si può rap-
presentare come una freccia inclinata di arccos √25 '
27◦ rispetto all’asse orizzontale e lunga 1 cm. Se
dt scegliamo un sistema di coordinate diverso le coor-
dinate cambiano (non il vettore: le sue coordina-
dx
(−dt dx dy dz) = −dt2 + dx2 + dy 2 + dz 2 .
dy te). In un sistema in cui le lunghezze si misurano in
dz pollici il vettore unitario x̂0 sarebbe lungo 1 pollice
(45.6) cioè 2.54 cm. Lo stesso vettore, in questo sistema,
A questo punto possiamo pensare di riscrivere que- si scrive
sto prodotto semplicemente come dx0ν dxν dove dx0ν 1 0
differisce da dxν per il fatto che la sua coordinata x = 1 × x̂ = x̂ . (45.10)
2.54
temporale ha segno opposto e per il fatto di essere
Allo stesso modo, se in un sistema il vettore ha
un vettore riga. Grazie alla convenzione di Einstein,
coordinate
infatti, il prodotto di due oggetti con gli indici in al-
to e in basso ripetuti si ottiene facendo una somma
2 1
su tutti i possibili valori degli indici. Questo signifi- √ ,√ ' (0.894, 0.447) (45.11)
5 5
ca che possiamo rappresentare i vettori riga con un
indice in basso invece che in alto e che il tensore ηµν nell’altro avrà coordinate
provoca l’abbassamento dell’indice non ripetuto,
cioè
0.894 0.447
, ' (0.352, 0.176) . (45.12)
2.54 2.54
µ
ηµν dx = dxν . (45.7)
In sostanza è come se l’indice µ in alto e in basso Se l’unità aumenta, le coordinate diminuiscono e vi-
rispettivamente del vettore e del tensore si elides- ceversa. Per questa ragione si dice che le coordinate
sero, lasciando sopravvivere solo l’indice ν in bas- di un vettore controvariano al variare della ba-
so del tensore che si trasferisce al vettore. Si può se scelta per rappresentarli. Se però il vettore resta
dimostrare che questa è una proprietà generale. lo stesso il suo modulo non può cambiare. Il vettore
con l’indice in basso dunque si dice covariante per- Osserviamo che sulla sfera la distanza tra due punti
ché moltiplicando quest’ultimo per un vettore con- vicini è la lunghezza dell’arco di circonferenza che
trovariante si ottiene uno scalare che è invariante unisce i due punti sulla sua superficie, per i quali
(o covariante) rispetto alle coordinate. R è lo stesso e dR = 0. La lunghezza di quest’arco
Nello spazio piatto, in cui la geometria è descritta è pari al raggio della sfera per l’angolo formato dai
dal tensore metrico ηµν , due eventi simultanei due raggi vettori che partono dal centro della sfera e
(per i quai cioè dt = 0) hanno una distanza che è giungono nei due punti. Per semplicità consideriamo
proprio quella data dalla geometria euclidea: due punti su un meridiano, per i quali φ è lo stesso
e dφ = 0. In questo caso la distanza vale
ds2 = dx2 + dy 2 + dz 2 . (45.13)
ds = Rdθ (45.18)
Vediamo che succederebbe nel caso in cui il tenso-
re metrico non sia quello di spazio piatto conside- che elevata al quadrato fornisce esattamente lo stes-
rando uno spazio sferico. Un punto sulla sfera ha so risultato trovato sopra. Potete verificare facil-
coordinate (t, x1 , x2 , x3 ) che, in coordinate polari, mente che lo stesso accade per due punti all’equa-
possiamo rappresentare come (t, R, θ, φ) dove R è tore (θ = 0 per entrambi), al polo (dθ = dφ = 0),
il raggio della sfera (che possiamo sempre sceglie- uno all’equatore e l’altro al polo e a una latitudine
re essere pari a 1 in opportune unità), θ è l’angolo intermedia. In sostanza il tensore metrico definisce
polare (la latitudine) e φ quello azimutale (la longi- il tipo di geometria (piatta o curva) dello spazio–
tudine). In questo caso il tensore metrico assume la tempo. Dire che la distanza quadridimensionale tra
forma due eventi non è quella euclidea equivale a dire che
lo spazio–tempo nel quale si trovano i due eventi
non è piatto.
−1 0 0 0
0 Quel che avviene vicino a un corpo massivo è che
1 0 0
(45.14) la distanza tra due eventi cambia a causa delle acce-
gµν =
0 2
0 R 0
lerazioni prodotte dalle forze gravitazionali. Se cam-
2 2
0 0 0 R sin θ
bia la distanza è come se cambiasse la geometria e
e la distanza tra due eventi simultanei molti vicini viceversa. Perciò possiamo dire che la presenza di un
è corpo massivo M nello spazio ne determina la cur-
vatura: immaginiamo un corpo m che misura la sua
ds2 = gµν dxµ dxν (45.15) distanza da M all’istante t = 0. In assenza di forze
gravitazionali la distanza tra m e M resta costan-
che si calcola come il prodotto tra il vettore te (se i corpi sono inizialmente fermi). Al momento
controvariante dxν e quello covariante in cui si accende la gravità la distanza comincia a
dt diminuire, come se il tensore metrico usato da m
−1 0 0 0 cambiasse. Il tensore metrico a un tempo t positivo,
0 1 0 0 dR ma piccolo, è poco diverso da ηµν , ma è abbastanza
dxν = 0 0 R2
(45.16)
0 dθ grande da far cambiare (di poco) la distanza tra M
0 0 0 R2 sin2 θ dφ ed m. Quando però m si avvicina la forza si fa piú
grande, come se il tensore metrico cambiasse di piú
che si deve intendere però come un vettore rispetto a quello dello spazio piatto. In definitiva, in
riga −dt, dR, R dθ, R sin θdφ . Eseguendo il
2
2 2
presenza di una massa, il tensore metrico ha com-
prodotto per dxν quando dt = 0 si trova ponenti che variano con le coordinate: vicino alla
massa lo spazio–tempo è piú curvo, mentre lontano
da questa somiglia a quello dello spazio piatto.
ds2 = dR2 + R2 dθ2 + R2 sin2 θdφ2 . (45.17)
L’equazione del moto di una massa in presenza di siderazioni (molto piú complicate di cosí) si giunge
una forza è all’equazione di Einstein
F 8πG
a= . (45.19) Gµν =Tµν . (45.20)
m c2
L’accelerazione a rappresenta la derivata seconda Il tensore Tµν contiene informazioni circa la distri-
delle coordinate rispetto al tempo. In altre parole è buzione di materia ed energia, mentre la costan-
la variazione della variazione delle coordinate x del te 8πG/c2 si trova imponendo che per uno spazio
punto soggetto alla forza F. L’accelerazione è infatti piatto l’equazione tensoriale sopra scritta ritorni a
la variazione della velocità nell’unità di tempo e, a potersi scrivere come
sua volta, la velocità è la variazione delle coordinate
F M
nell’unità di tempo. Per misurare un’accelerazione si = G 2 r̂ .
a= (45.21)
devono misurare in due istanti diversi due velocità, m r
le quali si misurano dividendo una distanza per il Consideriamo adesso una situazione nella quale lo
tempo necessario a percorrerla. spazio–tempo sia leggermente deformato rispetto a
Se vogliamo trovare un’espressione relativistica- quello piatto (cioè quella in cui è presente un cor-
mente valida dobbiamo trovare l’analogo dell’acce- po di massa M che lo incurva). Potremmo sempre
lerazione nello spazio quadridimensionale valida per scrivere che
qualunque sistema di riferimento. Per misurare que-
sta quantità dobbiamo misurarne prima due che so- gµν = ηµν + hµν . (45.22)
no l’analogo della velocità. Dobbiamo quindi farne Quando si calcolano le variazioni di gµν evidente-
la differenza e dividere per il tempo intercorso tra mente il primo addendo, essendo costante, non con-
le due misure. L’analogo della velocità dev’essere tribuisce e al primo membro devono trovarsi soltan-
qualcosa che si misura misurando una distanza e to le variazioni di hµν . Nello spazio vuoto (in assenza
dividendo per il tempo impiegato a percorrerla. Le di materia) avremo quindi un’equazione nella quale
distanze però dipendono dal tensore metrico, quindi compaiono le derivate seconde di hµν al primo mem-
le velocità devono essere qualcosa che si calcola fa- bro e zero a secondo membro. L’equazione del moto
cendo la differenza tra due tensori metrici misurati dunque diventa
in due punti dello spazio–tempo e dividendo questa
differenza per il tempo necessario a passare dall’uno 2
d hµν d2 hµν d2 hµν d2 hµν
all’altro. Misurando due di queste velocità e dividen- − 2 + + + =0
dt dx2 dy 2 dz 2
do per un tempo si ottengono le quantità analoghe (45.23)
a a in relatività generale che quindi non sono altro che è proprio l’equazione di un’onda. Se, per esem-
che le derivate seconde del tensore metrico. pio, hµν non varia nella direzione y e nella direzione
A primo membro dell’equazione si trovano dun- z, l’equazione si riduce a
que le derivate seconde del tensore metrico: essendo
questo un tensore lo saranno anche le sue derivate.
2
d hµν d2 hµν
Quindi a sinistra c’è un tensore Gµν che contiene − 2 + =0 (45.24)
dt dx2
le derivate seconde rispetto al tempo di gµν . Queste
la cui soluzione è
devono essere uguali a qualcosa, che dev’essere un
tensore, perché un tensore può soltanto essere ugua-
hµν = h0µν sin (kx − ωt) . (45.25)
le a un altro tensore, che rappresenta la materia (o
l’energia visto che in relatività energia e materia Infatti la derivata prima rispetto al tempo è
sono praticamente la stessa cosa). Da queste con-
dhµν
= −ωh0µν cos (kx − ωt) , (45.26)
dt
© (2013–2015) Giovanni Organtini – Fisica Sperimentale
45.2. LA MISURA DI UN’ONDA GRAVITAZIONALE 469
filmato non riproducibile su questo radiazione incidente non è sufficiente a farlo irrag-
supporto: digita l’URL nella caption o giare. Ma all’aumentare della temperatura aumenta
scarica l’e-book la frequenza di oscillazione e le particelle comincia-
Figura 46.1 I visori notturni funzionano no a irradiare una radiazione a frequenze sempre piú
amplificando e trasformando alte a al limite visibili dall’occhio umano: il carbone
in luce visibile la radiazione
infrarossa emessa con mag-
diventa rosso.
giore intensità dai corpi piú Quello che può succedere è che la radiazione pro-
caldi, che si comportano, dotta dal carbone fa muovere altre particelle dello
in buona approssimazione, stesso carbone che potrebbero già essere in oscilla-
come corpi neri. Il filmato zione. Se le oscillazioni non sono in fase il risultato
è una gentile concessio-
ne di FLIR® [https: è un movimento caotico delle particelle con varie
//www.youtube.com/ frequenze. La somma delle diverse frequenze dà ori-
watch?v=rAvnMYqj2c0]. gine al colore che osserviamo. Il colore è determi-
nato da una condizione di equilibrio tra la radia-
zione emessa e quella assorbita dalle particelle in
nerale le particelle sono legate le une alle altre da moto. Tutte le frequenze sono permesse e l’ampiez-
forze che possiamo comunque pensare, in prima ap- za dell’oscillazione può variare da zero a un valore
prossimazione, funzionare come molle che collegano massimo.
le varie particelle. Nel caso del gas piú semplice, l’i- In linea di principio si possono eseguire dei calcoli
drogeno, le particelle coinvolte sono due: un protone per predire la forma di questo spettro: per un corpo
positivo e un elettrone negativo, legate tra loro da non nero il calcolo è complicato dal fatto che non
forze elettrostatiche. Se una radiazione elettroma- tutta la radiazione emessa è dovuta a questo mecca-
gnetica investe un atomo d’idrogeno fa muovere gli nismo. Un corpo che a temperatura ambiente appa-
elettroni e i protoni, che tuttavia non possono al- re verde possiede la proprietà di diffondere la luce
lontanarsi piú di tanto l’uno dall’altro. L’ampiezza verde che v’incide a causa delle proprietà ottiche
dell’oscillazione può essere piú o meno grande, se- della sua superficie. Per un corpo nero invece questi
condo le caratteristiche della forza che lega le par- effetti si possono trascurare. I calcoli esatti porta-
ticelle. Per questo i corpi talvolta non riescono ad no a un risultato incomprensibile: si ottiene sempre
assorbire l’energia della radiazione incidente e altre che l’energia irraggiata da un corpo nero caldo è di
volte, pur assorbendola, non la riemettono con le fatto infinita (come si vede nella Figura 46.2 al di-
stesse modalità. Un corpo nero è un corpo che as- minuire della lunghezza d’onda la quantità di radia-
sorbe integralmente tutta l’energia che riceve, senza zione emessa tende rapidamente a infinito). Questo
riemetterla. è impossibile!
Le particelle che formano un corpo si possono Nel 1901 Max Planck pubblica un articolo [?] nel
mettere in moto anche senza l’ausilio di un’onda quale esegue i conti facendo l’ipotesi semplificativa
elettromagnetica. Se riscaldiamo qualcosa come un secondo la quale la radiazione può essere emessa solo
pezzo di carbone, le sue particelle si mettono a oscil- in quantità discrete chiamate quanti. L’idea è la se-
lare sempre piú rapidamente, perché la loro energia guente: per semplificare i conti assumo che le parti-
cinetica media aumenta. Anche le particelle del car- celle cariche nel carbone possano oscillare a una sola
bone in fin dei conti sono cariche elettricamente e frequenza. Oscillando producono radiazione elettro-
quindi oscillando attorno a una posizione d’equili- magnetica a quell’unica frequenza. Questa radiazio-
brio irraggiano radiazione elettromagnetica. All’ini- ne potrebbe essere assorbita da una delle particelle
zio la frequenza di oscillazione è bassa, e quindi il del pezzo di carbone oppure no, quindi, se sono stati
corpo, anche se illuminato, appare nero, perché la prodotti N quanti dal carbone, da questo possono
uscirne 0, 1, 2, . . . , n con n 6 N , mentre i restanti
• avviene solo se la frequenza della radiazione che puscoli di energia E proporzionale alla frequenza
lo provoca è superiore a una determinata soglia associata all’onda elettromagnetica corrispondente:
ν0 che dipende dal materiale di cui è fatto il E = hν. Fu Albert Einstein a proporre questa solu-
corpo; zione [?], in uno dei suoi tre articoli piú importan-
ti (tutti e tre pubblicati nell’annus mirabilis 1905).
• se avviene, l’intensità della scarica è proporzio- Per questa scoperta, tra l’altro, ad Einstein fu con-
nale all’intensità della radiazione. ferito il Premio Nobel (con sua grande disapprova-
zione, dal momento che riteneva di meritarlo per la
Un modo per spiegarlo è il seguente: un corpo elet- teoria della relatività e non per quel che conside-
tricamente carico di carica negativa possiede un ec- rava tutto sommato un errore: la sua Nobel Lectu-
cesso di elettroni, debolmente legati al corpo. Quan- re, tradizionalmente riservata all’argomento oggetto
do una radiazione elettromagnetica raggiunge gli del premio, fu infatti sulla relatività e non sull’ef-
elettroni, trasferisce a essi una certa quantità d’e- fetto fotoelettrico). A questi corpuscoli o quanti di
nergia. Quest’energia potrebbe essere sufficiente a luce si dà il nome di fotoni.
liberare gli elettroni dai deboli legami che li tratten- Si viene cosí a determinare un apparente parados-
gono sul corpo e, naturalmente, quanto maggiore è so: gli esperimenti mostrano in maniera inequivoca-
l’intensità della radiazione incidente, tanto piú alto bile che la luce è un’onda (attraversando una fen-
sarà il numero di elettroni che riescono a guadagnare ditura produce il fenomeno della diffrazione, tipico
l’energia necessaria e ad abbandonare il corpo, scari- delle onde). Ma lo spettro di corpo nero e l’effet-
candolo. Il ragionamento sembra non fare una piega: to fotoelettrico si spiegano solo ammettendo che sia
in fondo le onde trasportano energia! Ma l’energia composta di corpuscoli di energia E = hν. Come si
trasportata da un’onda dipende dalla sua ampiez- risolve il controsenso? È semplice: ammettendo che
za, non dalla sua frequenza! Non si spiega, dunque, la luce sia al contempo un’onda e una particella. La
come mai l’effetto fotoelettrico si manifesti solo per soluzione può apparire artificiosa e quasi un trucco,
onde di frequenza maggiore di una frequenza carat- essendo completamente priva di logica. Ma chi dice
teristica del materiale e non per onde di frequenza che l’Universo segua la nostra logica? Come nel ca-
piú bassa, ma di ampiezza grande a piacere. In al- so della relatività, l’Universo funziona secondo sue
tre parole una luce gialla molto intensa dovrebbe proprie Leggi per le quali non esiste nessun motivo
trasportare molta piú energia di una luce blu poco di principio secondo il quale queste Leggi debbano
intensa e invece l’effetto fotoelettrico si manifesta uniformarsi al nostro modo (alla nostra capacità)
con la seconda, ma non con la prima. di pensare le cose. Il fatto che a noi sembri assur-
do che qualcosa possa essere al contempo un’onda
e una particella non è un buon motivo per rifiutare
della particella al quadrato abbiamo che Pγ2 = Pγ02 = che è comoda perché permette di riscriverla in
0 e Pe2 = Pe02 = m2 , perciò sostituendo termini di frequenza e lunghezza d’onda. Infatti,
ricordando che E = hν e che E = hν 0 abbiamo
cosa di v a parte un fattore costante, ma in mecca- pre maggiore di un numero che, per quanto picco-
nica relativistica la massa classica di una particel- lo, non è mai zero. Se, ad esempio, illuminiamo un
la si può considerare dipendente dalla sua velocità elettrone con una luce di frequenza ν e con nume-
m = m(v)). La natura del principio classico però ro d’onda k, trasferiamo all’elettrone una quantità
non cambia: per conoscere lo stato di una particella di moto (vedi a pag. 475) ∆p = ~k = 2π λ
. La lun-
basta conoscerne con precisione infinita la posizio- ghezza d’onda λ dev’essere λ . ∆x per localizzare
ne x e la quantità di moto p. Che tecnicamente non l’elettrone dunque
sia fattibile (non esistono strumenti che possano mi-
surare una grandezza fisica con precisione arbitra- h
λ= . ∆x (46.13)
ria) non importa: quel che importa è che in linea di ∆p
principio si possa fare: se conoscessi esattamente cioè che
la posizione e la quantità di moto di un punto ma- ∆x∆p & h . (46.14)
teriale al tempo t potrei conoscerne lo stato a un
Il principio2 si può riscrivere in un altro modo,
tempo t0 successivo (o precedente) a t.
dividendo tutto per ∆t:
Proviamo ad applicare questo principio all’osser-
vazione di una particella molto piccola come un ∆x h
elettrone legato in un atomo. Per poterne misurare ∆p = v∆p = 2∆E > (46.15)
∆t ∆t
la posizione si potrebbe illuminare l’elettrone con e quindi
una luce opportuna: osservando la luce diffusa da
questo se ne ricaverebbe la posizione (che poi è il h
∆E∆t >
. (46.16)
metodo con il quale osserviamo qualunque cosa con 2
i nostri occhi: al buio non si vede nulla; è la luce dif- Questa relazione indica che misurando l’energia di
fusa dagli oggetti che ci dice dove sono). Se però la un particolare stato, questa può avere un’indeter-
lunghezza d’onda della luce non è abbastanza pic- minazione ∆E che dipende dal tempo trascorso
cola, il moto dell’onda elettromagnetica non viene per eseguirla. Consideriamo un caso particolare, che
perturbato affatto dalla presenza dell’elettrone che consiste nella determinazione della massa di una
è come se non ci fosse. Per osservarlo è necessario particella che, come sappiamo, è una misura del-
usare una lunghezza d’onda sufficientemente picco- l’energia a riposo dello stato. Se la misura si può
la: usare quindi una radiazione elettromagnetica co- protrarre per molto tempo ∆t tende a infinito, quin-
me i raggi X o i raggi γ. Ma in questi casi la luce di ∆E tende a zero e la misura si può eseguire con
diventa un flusso di particelle di energia E = hν precisione arbitraria. È il caso, ad esempio, della
che interagiscono con l’elettrone urtandolo e cam- misura della massa di un elettrone o di un protone,
biandone quindi la velocità (o meglio la quantità di che assume un valore perfettamente determinato an-
moto) in seguito all’urto. La misura della posizione che se, a causa delle limitazioni tecnologiche, avrà
dell’elettrone implica l’alterazione del suo stato di comunque un’indeterminazione di natura statistica.
moto, dunque è impossibile conoscerne posizione e Se invece misuriamo la massa di una particella
quantità di moto contemporaneamente. Una delle instabile come un muone, la misura non si può ese-
due grandezze fisiche non è determinabile al di là guire a un tempo arbitrario: deve essere eseguita en-
di una data precisione e non in virtú di un limite tro il tempo di vita della particella. Trascorso tale
tecnologico, ma per ragioni intrinseche al processo tempo la particella non esiste piú e non se ne può di
di misura.
Il Principio d’indeterminazione afferma proprio In letteratura si trovano espressioni che possono differire
2
certo misurare la massa. In questo caso la sua ener- Se fosse vero si potrebbero realizzare esperimenti
gia a riposo possiede un’indeterminazione intrinse- nei quali un fascio di particelle (per esempio di elet-
ca che ne fa fluttuare la misura di massa entro un troni), attraversando un reticolo dovrebbe produrre
limite dell’ordine di h/2τ , dove τ è il tempo di de- al di là di esso una figura d’interferenza! Questo ef-
cadimento. Non si tratta di un effetto statistico, ma fettivamente è ciò che accade. Se si invia un fascio
di un fenomeno quantistico intrinseco nella defini- di elettroni prodotti da un tubo catodico su un re-
zione di massa della particella. Se disponessimo di ticolo molto fine, sullo schermo del tubo catodico
uno strumento preciso al di là del limite quantistico non si vede l’immagine delle fenditure come ci si
troveremmo che non tutti i muoni hanno la stessa aspetterebbe se gli elettroni fossero particelle, ma
massa, ma che ognuno ne avrebbe una diversa con una figura di diffrazione con massimi e minimi: se-
una certa distribuzione (simile, anche se non proprio gno che gli elettroni si comportano come onde di
identica, a una gaussiana), la cui larghezza non è de- una certa lunghezza d’onda che interferiscono tra
terminata da effetti di natura stocastica, ma dalle loro attraversando le fenditure del reticolo. Si trat-
fluttuazioni quantistiche che determinano l’istante ta di una tecnica ormai consolidata che permette,
nel quale la particella decade. L’indeterminazione per esempio, di studiare la forma dei reticoli cri-
intrinseca della massa di una particella si chiama stallini dei materiali facendo attraversare un cam-
talvolta larghezza della particella: una particella pione di quel materiale da un fascio di particelle di
stretta è una particella con una vita media lun- energia opportuna, tale da produrre onde di ma-
ga (∆E piccolo, ∆t grande), mentre una particella teria di lunghezza comparabile con quella del passo
larga ha una vita media molto breve. reticolare.
li occorre farli interagire con una radiazione di fre- essere continua. Non può essere che in un punto la
quenza piú alta che però avrà energia piú alta e pro- superficie di quest’oceano si trova a una certa quo-
durrà una perturbazione rilevante sul sistema. Non ta e nel punto adiacente sia molto piú alta o molto
si può osservare un atomo, ma se ne può misurare piú bassa. L’onda dunque deve avere una lunghezza
lo stato quanto interagisce con la radiazione. Misu- d’onda λ discreta:
rando la radiazione prodotta dall’interazione se ne
può determinare l’energia, ad esempio. Conoscendo h
nλ = n = 2πr (46.19)
l’energia della radiazione incidente possiamo quindi p
determinare l’energia assorbita dall’atomo (o meglio da cui si ricava che
da uno o piú dei suoi elettroni).
Non ha alcun senso chiedersi dove sia un elettrone h
n
= pr = mvr . (46.20)
rispetto al nucleo in un dato sistema di riferimento 2π
perché non si può misurare questa quantità. Si può Chiamando ~ = h/2π si ha che mvr = n~. Il prodot-
misurare l’energia e quindi ci si può chiedere quale to mvr non è altro che il momento angolare classico
sia l’energia dell’elettrone. Lo stato di un elettro- dell’elettrone, che dunque risulta quantizzato: può
ne dunque non è caratterizzato dalla sua posizio- solo essere un multiplo di ~. Se il momento angola-
ne e dalla sua velocità, ma dall’energia (e forse da re è quantizzato lo è anche l’energia. Prendendo un
qualcos’altro). atomo d’idrogeno (il piú semplice di tutti) l’energia
Se un atomo fosse fatto come un sistema solare potenziale di un elettrone nel campo del nucleo è
nulla vieterebbe a due o piú elettroni di stare sulla
stessa orbita, e niente impedirebbe a quest’orbita e2
U = −k (46.21)
di avere un raggio qualunque. Al contrario sareb- r
be vietato a due elettroni risiedere esattamente nel- e quella cinetica vale K = 12 mv 2 . Se il moto è
lo stesso punto nello stesso istante (se c’è uno non circolare uniforme abbiamo che
c’è posto per l’altro): due elettroni non possono
stare contemporaneamente nello stesso stato. v2 e2
m =k 2 (46.22)
r r
per cui
46.6.1 Gli spettri atomici
Seguendo le prescrizioni di De Broglie possiamo am- e2
mv 2 = k (46.23)
mettere che un elettrone non sia assimilabile a un r
punto materiale, ma a un’onda. L’elettrone, in so- e di conseguenza K = 21 mv 2 = −U/2. In definitiva
stanza, non può trovarsi in un determinato punto E = K + U = −U/2 + U = U/2 e quindi
dello spazio, ma deve in qualche modo circondare il
nucleo completamente. Non dovremmo immaginare e2
E = −k . (46.24)
un elettrone come un punto che si muove attorno al 2r
nucleo, ma piuttosto come una specie di oceano che Ora abbiamo che r = n~/mv e che v =
p
−2E/m
ricopra completamente la superficie del nucleo, con e sostituendo:
le sue onde in superficie. In un atomo ci possono
essere piú d’uno di questi oceani elettronici che
r
e2 −2E
si possono anche compenetrare l’uno con l’altro. È E = −k m . (46.25)
2n~ m
come se ci fosse un oceano sopra un altro oceano, la Eleviamo al quadrato e otteniamo
cui superficie attraversa quella dell’altro.
L’onda costituita dalla superficie di questo ocea- e4
no deve essere stazionaria, perché la superficie deve E 2 = −k 2 mE (46.26)
2n2 ~2
lo stato a un tempo successivo sono, per esempio, direzione opposta. Per questa ragione l’idrogeno è
l’energia e il momento angolare totale (insieme alla monovalente. Non c’è piú posto per altri elettroni
sua terza componente). Se si accetta questo punto in questo stesso stato. In effetti se un elettrone aves-
di vista (e non si può non accettare dal momento se un momento angolare maggiore, avrebbe anche
che tutte le evidenze sperimentali vanno in questa un’energia piú alta.
direzione), quello che è spesso considerato un Princi- L’elio ha due elettroni che possono stare nello sta-
pio astruso e incomprensibile come il Principio di to con L = 0, che a questo punto è saturo. L’elio è
esclusione di Pauli4 diventa del tutto naturale, infatti un gas nobile che non reagisce chimicamen-
trattandosi né piú né meno che dello stesso princi- te con altri elementi. Aggiungendo un elettrone si
pio di esclusione vigente nella meccanica classica e ha il litio. Poiché nello stato di minima energia non
del tutto comprensibile. c’è posto per tre elettroni, ma per due, il terzo de-
ve trovarsi in uno stato di energia piú elevata con
46.9.1 La chimica L però che può ancora essere pari a 0. In questo
stato c’è di nuovo posto per un altro elettrone e il
Se l’energia di un elettrone in un atomo è limitata litio è monovalente come l’idrogeno. Il berillio ha
a un certo valore (che dipende dal livello occupa- quattro elettroni che saturano lo stato di energia
to n), lo è anche la sua distanza media da questo piú alto con L = 0, ma questo stato può avere an-
(la distanza non si può definire, ma il suo valor me- che elettroni con L = 1. Quindi il berillio non è
dio sí). Di conseguenza è limitato anche il momento un gas nobile, ma ha valenza 2 e si lega a elementi
angolare L = mvr. Questo significa che il massimo con valenza 6 (o due con valenza 3). Sono infatti 8
momento angolare che un elettrone può avere in un i possibili stati di momento angolare per elettroni
atomo, in unità di ~ è limitato a ` 6 `0 , dove `0 di energia pari a quella dell’elettrone piú energetico
deve dipendere da n perché il limite esiste in quan- del berillio: due per L = 0 e sei per L = 1. In questo
to conseguenza del fatto che l’energia è limitata. Si stato c’è posto fino a 8 elettroni e fino a quando lo
può dimostrare che ` 6 n−1. Gli elettroni con ener- stato non è saturo è sempre possibile che un altro
gia minima (quelli con n = 1) possono quindi avere elettrone possa piazzarcisi. Dopo il berillio vengono
soltanto L = 0, mentre quelli di energia superiore infatti il boro, il carbonio, l’azoto l’ossigeno, il fluoro
(con n = 2) possono avere sia L = 0 che L = 1, e e il neon, per un totale di otto possibili elementi in
cosí via. questa riga. Tutti questi elementi hanno in comune
La tavola periodica di Mendelev (Fig. 46.7) si l’energia massima dei propri elettroni e un numero
spiega molto bene alla luce di questa teoria. La po- di elettroni in questo stato energetico variabile tra 1
sizione nella tavola di ogni elemento ne fornisce la e 8. Il neon, che ne ha otto, è un gas nobile. Il fluo-
valenza, che è sempre un numero intero. Alcuni ele- ro ne ha sette, dunque può accettare un elettrone
menti si combinano in modo tale che la somma delle da parte di un altro atomo e per questo è monova-
rispettive valenze faccia 2, altri in modo che faccia lente. La riga successiva comincia col sodio, che è
8, altri ancora 10 e cosí via. Da dove vengono questi monovalente perché ha un solo elettrone nello stato
numeri magici? piú esterno. Il penultimo elemento di questa riga è
È molto semplice: un atomo d’idrogeno ha un solo il cloro, che ne ha sette. Avvicinando un atomo di
elettrone che, trovandosi nello stato di energia piú cloro a uno di sodio, l’elettrone del sodio non può
bassa possibile potrà avere solo L = 0. Per il Prin- piú dire di appartenere al sodio: in effetti si troverà
cipio di esclusione di Pauli solo un altro elettrone a essere distribuito attorno al nucleo di cloro e di
può trovare posto in questo stesso stato di energia sodio al tempo stesso. Lo stesso vale per gli elet-
e momento angolare: quello con lo spin rivolto nella troni del cloro e cosí si forma il legame chimico. La
riga successiva contiene molti piú elementi: per la
4
Dal nome del fisico Wolfgang Pauli.
precisione ce ne sono dieci in piú. In effetti gli elet-
filmato non riproducibile su questo gia En+1 è vuoto, e se avviene quello di energia En
supporto: digita l’URL nella caption o si svuota. Il processo si può reiterare a piacere e la
scarica l’e-book conseguenza netta è che la mancanza di un elet-
Figura 46.8 Cristalli di tipo p e n trone (quella che si chiama una lacuna) passa da
conducono l’elettricità in un livello a un altro in modo esattamente opposto
modi diversi: nei primi
sono le lacune (positive)
a quel che farebbe un elettrone. È come se nel cri-
a condurre l’elettricità; stallo fosse presente una carica positiva che, sotto
nei secondi sono gli elet- l’azione della differenza di potenziale applicata, si
troni (negativi) [https: sposta nel cristallo in modo opposto a come fa un
//www.youtube.com/ elettrone. Per questo il cristallo si dice di tipo p: le
watch?v=reaiZv3jjCY].
cariche che conducono la corrente sono positive5 .
46.9.4 Il transistor
troni nel cristallo tenderanno a muoversi nel verso Con tre cristalli di tipo alternato (npn o pnp) si fan-
che va dal cristallo p al cristallo n. Nel far questo no, invece, i transistor, che funzionano come am-
troveranno all’interfaccia uno strato di elettroni che plificatori di corrente. I tre semiconduttori sono
li respingerà impedendo loro di passare, da un la- collegati ad altrettanti conduttori detti, rispettiva-
to; dall’altro lo strato di cariche positive tenderà a mente emettitore, base e collettore. I transistor
trattenere gli elettroni. Se invece il diodo si pola- amplificano la corrente che s’inietta nella loro ba-
rizza al contrario gli elettroni possono muoversi dal se. Dal momento che la carica elettrica si conserva
cristallo n al cristallo p: questo moto è addirittu- non è evidentemente possibile moltiplicare davvero
ra favorito dallo strato di cariche positive presenti il numero di cariche che circolano nel transistor, ma
all’interfaccia e quindi il cristallo conduce. si può creare l’illusione che questo sia possibile.
Con uno strumento cosí si possono fare molte co- Possiamo immaginare il funzionamento di un
se: ad esempio i sensori delle fotocamere digitali. Se transistor come quello di una coppia di valvole
si espone un diodo alla luce, per effetto fotoelettrico idrauliche montate al contrario6 (vedi il Filma-
alcuni elettroni si liberano e passano nella banda di to 46.10) e il suo funzionamento come quello di uno
conduzione. Ma questi ricadono presto nella banda sciacquone. L’emettitore di un transistor si colle-
di valenza e comunque si muovono in tutte le dire- ga a una pila che non è altro se non una riserva
zioni possibili rendendo nulla la corrente fotoelet- di cariche, analogamente alla cassetta di scarico di
trica media. Se però il diodo è polarizzato in modo un bagno che serve per immagazzinare acqua. Col-
da non condurre corrente, gli elettroni del cristallo legando il dispositivo di scarico a un secchiello (che
non si spostano, ma quelli che sono stati portati nel- funge da base del transistor) possiamo provocarne
la banda di conduzione dall’energia della radiazione l’attivazione introducendo acqua nel secchiello (do-
luminosa, si muovono tutti coerentemente dal polo vete pensare a uno di quei sciacquoni con la catena
negativo a quello positivo della pila. In questo modo che ormai non s’usano piú). Il peso dell’acqua pro-
si produce una sia pur debole corrente proporziona- voca l’apertura della valvola che fa cadere l’acqua
le all’intensità della luce che ha colpito il pixel di dalla cassetta/emettitore al water/collettore.
silicio. Le fotocamere digitali dunque possono fun- A fronte di un modesto quantitativo d’acqua nel
zionare solo grazie alla meccanica quantistica che secchiello/base, vediamo scorrere tanta acqua nel
permette l’effetto fotoelettrico e la formazione delle water/collettore. È come se avessimo moltiplicato
bande: se l’energia degli elettroni in un atomo po- la quantità d’acqua versata per un fattore, ma na-
tesse assumere ogni valore possibile i diodi non si turalmente l’acqua che scorre nel water è quella pre-
potrebbero costruire. In un certo senso si potrebbe immaginare come una cop-
6
levata dalla cassetta che non ha niente a che vedere dove k è il numero d’onda e φ una fase arbitraria. Il
con quella introdotta nel dispositivo. Come la cas- numero d’onda è legato alla lunghezza d’onda dalla
setta, anche la pila di un transistor infatti si scarica relazione
con l’uso.
I transistor sono l’elemento principale con il qua- 2π
k= (46.42)
le si costruiscono i circuiti integrati che si trovano, λ
a milioni, in ogni dispositivo elettronico. Anche il che in meccanica quantistica e in unità naturali al-
transistor è un dispositivo quantistico perché an- tro non è che la quantità di moto della particella
che il suo funzionamento dipende dalla struttura a p (vedi equazione (46.18)). Possiamo quindi scrive-
bande caratteristica di questo tipo di fisica. La mec- re che, in assenza d’interazioni e per velocità non
canica quantistica, insomma, è molto meno esotica relativistiche,
di quanto si creda!
p2
H A sin (kx + φ) = E A sin (kx + φ) = A sin (kx + φ) .
46.10 L’equazione di Schrödin- 2m
(46.43)
ger Applicare l’operatore H a ψ dunque deve risultare
nella moltiplicazione di questo per p2 /2m = k 2 /2m,
Tutte le evidenze sperimentali suggeriscono che gli cioè H = p2 /2m. Le dimensioni fisiche sono quelle
oggetti di cui è costituito l’Universo sono descrivibili che ci si aspettano (quelle di un’energia) ed è ab-
matematicamente in termini di onde e di particel- bastanza naturale estendere la definizione di H nel
le al tempo stesso. Inoltre la fisica può solo aver a caso in cui sia presente un campo di forze il cui
che fare con grandezze misurabili. Il processo di potenziale sia V come
misura dunque è parte essenziale dell’evoluzione di
un sistema fisico che deve essere descritto in termini p2
+V ,
H= (46.44)
dei risultati di una misura. 2m
Una delle grandezze fisiche che si possono misu- per la quale avremo che
rare su uno stato ψ che descrive un sistema fisico 2
è l’energia. La misura consiste nell’interazione con p
+ V ψ = Eψ (46.45)
uno strumento che dà come risultato il valore del- 2m
l’energia dello stato E. Possiamo rappresentare l’in- nota come equazione di Schrödinger7 Os-
terazione con un operatore matematico H mol- serviamo che la derivata di ψ rispetto a x
tiplicato per lo stato stesso: Hψ. Il risultato del- vale
l’applicazione di quest’operatore non può che essere
il risultato della misura E che, per ragioni dimen- dψ
= kA cos (kx + φ) (46.46)
sionali, deve includere lo stato ψ. Possiamo dunque dx
scrivere che e quindi la derivata seconda
Hψ = Eψ (46.40) d2 ψ
= −k 2 A sin (kx + φ) , (46.47)
dx2
dove E è un numero reale, mentre H è qualcosa che
si applica a ψ e dà come risultato E moltiplicata pertanto possiamo dire che la quantità di moto in fi-
per ψ. Se rappresentiamo lo stato di una particella sica quantistica altro non è se non i volte la derivata
come un’onda possiamo scrivere che rispetto a x dello stato dal momento che dividendo
tutto per −2m abbiamo
ψ = ψ(x) = A sin (kx + φ) (46.41) 7
Dal nome del fisico Erwin Schrödinger che la propose.
Fisicast
La meccanica quantistica è argomento dei seguenti
podcast di Fisicast:
Il transistor http://www.radioscienza.it/
2013/05/09/il-transistor/
La storia della fisica delle particelle è esemplare spiegabile in termini fisici e la scarica di un elettro-
da molti punti di vista: le tappe che hanno porta- scopio è uno di questi. Se un elettroscopio si scarica
to i fisici a formulare l’attuale modello della fisica vuol dire che perde progressivamente le cariche elet-
delle particelle illustrano in maniera emblematica triche che si trovano distribuite sulla superficie delle
il progresso scientifico e le modalità con le quali si sue parti conduttrici.
attua. Per rimuovere tali cariche è necessaria la presenza
La nascita della fisica delle particelle si può far di una qualche forza, di natura elettrica, che modifi-
risalire ad anni diversi, che vanno dai primi del 1900 chi lo stato di carica del sistema in esame. Occorreva
agli anni ’30 del XX secolo, secondo le preferenze dunque individuare la sorgente di tale forza. È ab-
dei diversi autori. Noi stabiliremo la data di nascita bastanza naturale aspettarsi che la sorgente debba
della fisica delle particelle all’anno 1912, nel corso essere una carica elettrica che attrae le cariche pre-
del quale il fisico austriaco Viktor Hess dimostrò senti sull’elettroscopio, strappandole da questo. Una
l’esistenza dei raggi cosmici. tale carica si potrebbe naturalmente trovare all’in-
I raggi cosmici furono scoperti cercando di rispon- terno dei laboratori dove si fanno gli esperimenti,
dere a una domanda all’apparenza del tutto irrile- per molti motivi. Vennero cosí avviate campagne
vante: perché gli oggetti elettricamente carichi, pri- di misura per determinare quali potessero essere le
ma o poi si scaricano? Siamo certi che la maggior possibili sorgenti.
parte dei lettori penseranno che sia del tutto nor- Gli elettroscopi venivano schermati con materia-
male che ciò avvenga e che pochissimi avrebbero li diversi, portati in luoghi diversi, il piú possibi-
considerato l’opportunità di dare risposta a una do- le lontano da cariche elettriche libere. In tutti i
manda cosí apparentemente insignificante. E invece, casi l’osservazione sperimentale era la stessa: tutti
come già accaduto in altre occasioni, il tentativo di gli elettroscopi, indipendentemente dalle condizioni
rispondere a questa domanda diede vita a una se- nelle quali si trovavano, andavano progressivamente
rie di scoperte sorprendenti e alla nascita di una scaricandosi.
disciplina completamente nuova! La recente scoperta della radioattività naturale
portò alcuni scienziati a ipotizzare che la scarica
degli elettroscopi fosse da imputare alla presenza
47.1 La scarica degli elettro- di materiali radioattivi, sempre presenti sulla cro-
scopi sta terrestre, che emettevano raggi β o raggi α che,
essendo elettricamente carichi, avrebbero potuto in-
All’inizio del XX secolo gli elettroscopi erano stru- teragire con gli elettroscopi provocandone la scarica.
menti piuttosto diffusi nei laboratori di fisica. Già Si cercò allora di verificare quest’ipotesi, misurando
da tempo si era notato che, una volta caricati, dopo il tasso di ionizzazione in luoghi nei quali l’abbon-
alcune ore perdevano la loro carica. Come sempre, danza di elementi radioattivi era nota. Ci si aspet-
quando si osserva un fenomeno, questo deve essere tava, naturalmente, che la ionizzazione (e quindi la
47.1. LA SCARICA DEGLI ELETTROSCOPI 496
degli elementi che costituiscono l’atmosfera terre- spazio in cui può essere accelerata e la possiamo
stre. Nell’urto si producono numerose nuove par- considerare persa (non giungerà mai nei dintorni
ticelle chiamate raggi cosmici secondari che si della Terra).
dirigono verso la superficie (essenzialmente per la Dimostra che lo spettro di energia atteso per le
conservazione della quantità di moto). Parte di es- particelle sopravvissute è una legge di potenza. Per
si giunge al livello del mare dove il flusso di raggi farlo scrivi l’energia guadagnata da una particella
cosmici secondari è pari a circa 100 m−2 s−1 . di energia E dopo aver attraversato una regione di
spazio nella quale guadagna energia per un tempo
I raggi cosmici provengono parzialmente dal Sole
lungo t. Quindi valuta la sua probabilità di soprav-
(si osserva un flusso maggiore in direzione di que-
vivenza assumendo che, se la particella non guada-
sto), ma la maggior parte di essi deve essere di ori- gna energia avendo percorso un breve tratto, venga
gine extra–galattica, perché il flusso appare privo di espulsa dalla regione accelerante. Il numero di par-
direzionalità (in pratica non si osservano raggi co- ticelle che giungono sulla Terra è proporzionale a
smici provenire direttamente da una sorgente speci- questa probabilità (sarà il numero di particelle ini-
fica, se non in misura relativamente modesta: i raggi ziali moltiplicato per la probabilità di sopravvivere
cosmici appaiono provenire da tutte le direzioni) e le nel viaggio dal punto in cui sono state prodotte,
uniche potenziali sorgenti distribuite uniformemen- fino a noi).
te attorno alla Terra sono le galassie. Le possibili Le particelle cariche possono essere accelerate se
sorgenti di raggi cosmici sono tutte quelle nelle quali attraversano regioni in cui sono presenti campi ma-
si possono accelerare protoni e produrre fotoni. Le gnetici variabili.
stelle sono una possibile sorgente, ma le energie in soluzione →
gioco nei processi termonucleari che avvengono al
loro interno sono troppo basse per spiegare lo spet-
tro osservato. Una volta prodotti nelle stelle, dun-
que, i raggi cosmici devono poter essere accelerati da
qualche processo in grado di fornire loro le energie
osservate. Le esplosioni delle supernovae potrebbero
essere uno di questi processi.
La forma dello spettro suggerisce che i raggi co-
smici siano accelerati, in media, in modo uniforme.
Il primo modello di accelerazione fu pubblicato da
Enrico Fermi nel 1949 [?].
La storia della fisica delle particelle, come spesso filmato non riproducibile su questo
avviene, ha seguito un cammino talvolta tortuoso e supporto: digita l’URL nella caption o
costellato da una serie di errori di valutazione dei scarica l’e-book
risultati sperimentali o da interpretazioni risultate Figura 48.1 Costruzione di una sem-
poi non del tutto corrette. Non è negli scopi di que- plice camera a nebbia
[http://www.youtube.com/
sta pubblicazione ricostruire tale storia, perciò in watch?v=qYhhmjYNwq4].
questo capitolo si ripercorre una storia leggermente Eseguite l’esperimento in
alterata rispetto a quanto realmente accaduto: una una giornata secca e al buio,
storia adattata al fine di meglio illustrare il processo illuminando la camera di lato
che porta alla scoperta di un nuovo fenomeno e di con una lampada da tavolo
e ponendo un fondo nero dal
far comprendere meglio la fisica che c’è dietro ogni lato opposto rispetto a quello
scoperta. da cui guardate. Dovrebbero
bastare 100–150 ml di alcool.
Se è troppo poco non vedrete
48.1 Particelle penetranti nulla. Se è troppo, vedrete
una sottile pioggia cadere in
Negli anni successivi alla scoperta dei raggi cosmi- continuazione dalla spugna.
ci si erano perfezionati alcuni strumenti per l’inda-
gine scientifica, in grado di visualizzare la traccia
prodotta da particelle cariche in moto. uniforme [?]. In queste fotografie si vedono le tracce
Uno di questi strumenti era la camera a nebbia di particelle cariche che percorrono traiettorie cir-
o camera di Wilson, inventata da Charles Wilson. colari per effetto della Forza di Lorentz. In 32 di
La camera a nebbia è di fatto un recipiente conte- queste, tuttavia, sono presenti tracce approssimati-
nente un gas soprassaturo, molto vicino al punto di vamente rettilinee, provenienti dall’esterno della ca-
condensazione. Quando una particella carica attra- mera. Le particelle che si osservano in queste foto
versa il vapore, questo tende a condensare proprio sono cariche, avendo lasciato la traccia nello stru-
laddove la particella ha lasciato una traccia ionizza- mento (le particelle neutre non ionizzano il vapore
ta, perché le particelle di gas ionizzate tendono ad e non provocano la condensazione). Dalla dimensio-
attrarre elettrostaticamente altre particelle. Si for- ne e densità delle goccioline se ne deduce che tali
ma quindi una serie di goccioline di liquido lungo la particelle devono avere una carica elettrica pari, in
traiettoria seguita dalle particelle cariche che hanno modulo, a quella dell’elettrone. Il fatto che vadano
attraversato lo strumento. Le goccioline, illuminate, praticamente dritte vuol dire che possiedono un’e-
hanno l’aspetto di una sottile nuvoletta bianca. norme quantità di moto, dal momento che il raggio
Nel 1929 il fisico russo Dmitri Skobeltsyn aveva di curvatura r di una particella di carica q e massa
ottenuto circa 600 fotografie di eventi in una came- m in un campo magnetico B è dato dalla formula
ra a nebbia tenuta immersa in un campo magnetico
48.2. L’IPOTESI DEL NEUTRINO 502
Interazioni Deboli
Il decadimento β deve essere provocato da
un’interazione di qualche tipo. La Fisica Clas-
sica insegna che le forze producono il cambia-
mento dello stato di un corpo che, sempre in
Fisica Classica, è determinato quando se ne co-
noscano posizione e velocità. Per questa ragione
applicando una forza a un corpo se ne cambia la
velocità. Ma non sempre lo stato di un corpo è
determinato da queste due grandezza. Non è co-
sí, ad esempio, in Meccanica Quantistica, dove
lo stato dipende da energia e momento angola-
re (che sono dunque le grandezze che cambia-
no applicando una forza). Nel caso dei decadi-
menti cambia anche la natura della particella: Figura 48.3 Spettro degli elettroni nel
il cambiamento di stato consiste nel fatto che decadimento β del 210 Bi.
inizialmente abbiamo una particella di un ti-
po ferma, che si trasforma in altre particelle in Esercizio 48.1 Energia degli elettroni nel decadi-
moto. Il cambio di stato è mediato da una forza mento β.
che non può essere la forza di gravità né quella
elettromagnetica, che non possono modificare la Sapendo che l’energia E di una particella di massa
natura delle particelle cui sono applicate. m e quantità di moto p p, secondo la relatività spe-
All’interazione responsabile del decadimento si ciale, è pari a E = p2 c2 + m2 c4 , dimostra che la
dà il nome di interazione debole, perché la quantità di moto dell’elettrone proveniente da un
sua intensità è molto minore di quella dell’inte- decadimento β deve essere costante se il decadi-
razione elettromagnetica: confrontando la pro- mento consiste nella trasmutazione di un neutrone
babilità che una particella interagisca per inte- in un protone e un elettrone (n → p + e− ). Assumi
razione elettromagnetica con quella che la stes- che il neutrone sia inizialmente fermo, e imponi che
sa particella sia soggetta all’interazione debole l’energia e la quantità di moto siano conservate.
si trova un rapporto pari a circa 1011 in favore Stima anche l’ordine di grandezza dell’energia
delle forze elettromagnetiche. massima che l’elettrone può assumere.
soluzione →
A
ZN → A
Z+1 N + e− + ν (48.5)
dove ν è una particella neutra e molto penetrante,
di massa trascurabile. Se infatti l’energia disponibi-
le E0 è divisa tra tre particelle, ciascuna di esse può
assumere un valore compreso tra 0 ed E0 . La parti-
cella in questione deve essere di massa praticamente
nulla, perché solo cosí si può giustificare il fatto che
il valore massimo assunto dall’energia dell’elettrone
coincide di fatto con l’energia calcolata assumendo
che
conferma della teoria. pari a circa 200 volte quella dell’elettrone. Analiz-
zando alcuni eventi registrati su emulsioni nucleari
Esercizio 48.2 Scoperta del positrone si era scoperto che i muoni erano particelle insta-
bili, con una vita media di circa 2 µs, che decade-
Calcola il modulo e il verso del campo magneti- vano lasciando una traccia carica attribuibile a un
co presente nell’esperimento di Anderson, sapendo elettrone. Questa traccia aveva lunghezza variabi-
che il positrone aveva un’energia di 63 MeV prima le, il che indicava che l’elettrone emesso nel decadi-
di attraversare il piombo e di 23 MeV dopo. mento aveva quantità di moto variabile da evento a
Usa la Figura 48.4 per ricavare la curvatura che evento. Per le stesse ragioni per cui si fece l’ipotesi
le particelle assumono in campo magnetico, sapen-
del neutrino, si poté stabilire che il muone decadeva
do che lo spessore dell’assorbitore (la banda scura
secondo la reazione
al centro) era di 6 mm.
soluzione →
µ→e+ν+ν (48.7)
cioè in un elettrone e due neutrini, che in seguito
si scoprirono appartenere a due specie diverse: νe e
48.4 La scoperta del muone νµ . Naturalmente, per la conservazione della carica
elettrica, il µ+ decade in positroni e+ e il µ− in
Negli anni successivi numerosi esperimenti avevano
elettroni e− .
osservato tracce di particelle cariche che non era-
no ascrivibili né a elettroni, né a protoni. Le trac-
ce sembravano essere prodotte da una particella che 48.5 La scoperta del pione
aveva una massa compresa tra quella dell’elettrone e
quella del protone (si poteva desumere dall’intensità Pochi anni dopo la scoperta del muone, sempre nei
della ionizzazione) e carica uguale a ±e (indicando raggi cosmici, venne scoperta (per primi da Lattes,
con e la carica del protone). Occhialini e Powell) una nuova particella, anch’essa
Una di queste osservazioni si deve a Paul Kun- in due stati diversi di carica. La nuova particella
ze [?] che nel 1932 aveva osservato alcune tracce non poteva essere né un muone né un elettrone né
sospette in camera a nebbia che aveva attribuito al- un protone (né una delle rispettive antiparticelle)
le particelle che si osservavano nei raggi cosmici, già perché presentava caratteristiche diverse.
osservate da Blackett e Occhialini [?] poco tempo La ionizzazione prodotta dalle tracce di questa
prima. particella, ribattezzata pione o π, era molto simi-
Anche Carl Anderson e Seth Neddermeyer aveva- le a quella prodotta da un muone, quindi doveva
no osservato eventi di questo tipo [?] e J. Street e E. avere grosso modo la stessa massa. In realtà era
Stevenson [?] ipotizzarono esplicitamente l’esistenza un pochino piú pesante, perché negli esperimenti
di una nuova particella: il muone (µ). si osservavano i decadimenti dei pioni in muoni.
Pare che quando venne ufficialmente riconosciuta Le fotografie (Fig. 48.5) in emulsioni nucleari o
l’esistenza di questa nuova particella, nel corso di un in camera a nebbia mostravano tracce di pioni che
congresso, il fisico Rabi esclamò “chi l’ha ordinato, si arrestavano in certi punti e da lí emettevano un
questo?”, come si fa al tavolo di un ristorante quan- muone (riconoscibile dal successivo decadimento e
do il cameriere, per errore, porta un piatto che nes- dalla ionizzazione). La lunghezza della traccia del
suno ha chiesto. Nessuno, infatti, sentiva il bisogno muone era sempre la stessa, il che indicava che i
di questa nuova particella per spiegare alcunché. muoni provenienti dal decadimento di un pione do-
Il muone µ è una particella che si trova in due vevano avere sempre la stessa energia. Per le ragio-
possibili stati di carica (µ+ e µ− ) e ha una massa ni esposte nel Paragrafo 48.2 questo significa che il
π 0 → γγ (48.9)
Il quadro delle particelle elementari si era complica-
to non poco. Con la scoperta di protoni, elettroni e
neutroni si era creduto d’aver compreso la struttura
della materia. La scoperta dei muoni e dei pioni, per
non parlare di quella dei positroni, aveva reso tutto
molto piú difficile. Ma non era tutto...
Con il proliferare delle particelle note, bisognava che è il suo antineutrino ν¯e . Questo spiega perché si
quanto meno capire perché i loro decadimenti erano osservano le reazioni
quelli osservati. Quello che si poteva stabilire em-
piricamente era che in Natura esistevano regole di µ− → e− + ν¯e + νµ (49.1)
conservazione che impedivano il verificarsi di certi e
eventi che apparivano essere possibili sulla carta.
µ+ → e+ + νe + ν¯µ (49.2)
49.1 I leptoni mentre non si osserva il decadimento
p + p → p + p̄ p + p → p + p + p + p̄
p + π 0 → n + e+ p + n → n + p + π0
π + → π 0 + νe π− + p → n + π0
µ+ + n → n + p + ν¯µ µ− + e− → p̄ + e−
π + + π − → p + p̄ π+ + π− → p + n + π−
Controlla tutti i numeri quantici: carica elettri-
ca, numero leptonico e numero barionico.
soluzione →
Lo studio dei raggi cosmici era diventato lo stu- bersaglio basterà piazzare dei rivelatori per osser-
dio della materia che compone l’Universo. Per com- varle. I vantaggi di questo approccio sono evidenti:
prendere le proprietà delle nuove particelle occor- si sa quando e dove le particelle sono prodotte, a
reva eseguire numerose misure per ciascuna delle quale angolo (o almeno in quale intervallo di an-
quali era richiesto un gran numero di eventi. Per goli saranno abbondanti) e si può scegliere, in una
raccogliere la statistica sufficiente a studiare un de- qualche misura, la particella da produrre.
terminato tipo di particelle non si poteva far altro In effetti la produzione di nuove particelle dal-
che attendere che la Natura le producesse e sperare l’urto di una di queste con un nucleo può avvenire
nella fortuna. È l’approccio del pescatore che getta grazie alla teoria della relatività, per la quale massa
l’amo in mare e si mette in attesa che il pesce ab- ed energia sono semplicemente due aspetti diversi
bocchi. Se è fortunato prende almeno un pesce tra della stessa grandezza fisica essendo che
quelli desiderati, ma può darsi che non lo sia e al-
l’amo potrebbe non abboccare nulla oppure qualche E 2 = p 2 c2 + m 2 c4 (50.1)
pesciottino di poco conto.
dove E è l’energia di una particella di massa m e
Una maniera piú furba di procedere, perlomeno
quantità di moto p. Per particelle ferme p = 0 e si
se si vuole essere certi di non saltare la cena, è quel-
ritrova la celebre equazione
la di allevare il pesce, invece che di catturarlo. In
altre parole, sarebbe molto piú efficiente poter pro-
E = mc2 . (50.2)
durre le particelle desiderate in un laboratorio, sce-
gliendo il tempo e la durata dell’esperimento e aven- Disponendo di un’energia E si potrebbero materia-
do la certezza di rivelare la maggior parte di quelle lizzare particelle in numero tale che la somma delle
prodotte. loro masse non superi il valore m 6 E/c2 . In ogni
caso, da un urto tra particelle di energia comples-
siva E possono venir fuori particelle la cui somma
50.1 Gli acceleratori di parti- delle masse m e delle quantità di moto p sia tale da
celle rispettare l’equazione (50.1).
Un modo per produrre le particelle consiste nell’i- Esercizio 50.1 Energia di soglia
mitare i processi che la Natura mette in atto per
rifornirci di raggi cosmici: occorre una qualche par- Calcola l’energia minima necessaria affinché dal-
ticella (i protoni dei raggi cosmici primari) da acce- l’urto di due protoni si possa produrre un pione
lerare opportunamente, in modo tale da fargli rag- neutro. La reazione da considerare è
giungere l’energia sufficiente affinché, collidendo con
gli atomi di un bersaglio (nel caso dei raggi cosmici p + p → p + p + π0 . (50.3)
questi sono quelli dei gas che compongono l’atmosfe- Per farlo imponi la conservazione dell’energia e del-
ra), producano le particelle desiderate. A valle del l’impulso e osserva che la quantità E 2 − p2 c2 è una
50.1. GLI ACCELERATORI DI PARTICELLE 514
costante indipendente dal sistema di riferimento E 2 − p2 c2 nello stato iniziale e in quello finale.
usato per scrivere E e p. Puoi quindi imporre che soluzione →
questa differenza sia la stessa nel sistema del labo-
ratorio in cui inizialmente uno dei protoni si muove
e l’altro è fermo, e nel sistema di riferimento del È cosí che si dà inizio a una nuova campagna d’e-
centro di massa, in cui la somma delle quantità di sperimenti, eseguiti stavolta in laboratori attrezzati
moto è nulla. con acceleratori di protoni, usati per sparare parti-
soluzione → celle su bersagli e produrre cosí le particelle d’in-
teresse. La fisica si sposta cosí all’interno dei labo-
ratori dove si costruiscono acceleratori sempre piú
I raggi cosmici primari sono costituiti per lo piú sofisticati e potenti.
di protoni. Possiamo procurarci protoni ionizzando In certi casi è possibile produrre particelle come
idrogeno, il cui nucleo contiene un solo protone. Pos- i π + e i π − per urto tra protoni, da accelerare suc-
siamo poi accelerarli usando un acceleratore facen- cessivamente per usarle come proiettili per studiare
dogli acquisire energia sufficiente affinché, scontran- reazioni del tipo
dosi con i protoni fermi all’interno di un bersaglio1 ,
come fanno i raggi cosmici con i nuclei dei gas che π± + p → X (50.5)
compongono l’atmosfera, producano, per esempio,
un π 0 attraverso la reazione e
p + p → p + p + π0 . (50.4) π± + n → X (50.6)
Il π 0 , una volta prodotto, decade in due fotoni. dove X rappresenta uno dei possibili stati finali (che
Ponendo dunque dei rivelatori di fotoni dopo il ber- dipende dall’energia dei pioni, e deve avere nume-
saglio dovremmo osservare l’arrivo in coincidenza di ro leptonico complessivo nullo e numero barionico
due fotoni ogni volta che si accende l’acceleratore. uguale a 1).
Misurando le proprietà di questi fotoni, quindi, pos- L’adozione di queste tecniche permetterà lo stu-
siamo risalire alle proprietà del π 0 che li ha generati dio intensivo della fisica delle particelle e consentirà
e che c’interessano. nuove scoperte, come illustrato nei capitoli seguenti.
Avendo a disposizione un fascio di particelle pos- ∆N ∝ −N (il segno meno indica che si ha una
siamo studiare sostanzialmente due aspetti: quanto diminuzione nel numero di particelle nel fascio).
intensamente le particelle interagiscono con la ma- Questo numero sarà, in modulo, tanto maggiore,
teria che le circonda (quindi con quale probabilità quanto piú spesso è il bersaglio, perché piú il ber-
le particelle presenti nel fascio cambiano direzione, saglio è spesso, piú le particelle incidenti possono
energia o natura attraversando un blocco di mate- interagire con esso. Quindi possiamo scrivere
riale), oppure quanto rapidamente le particelle pro-
dotte si trasformano spontaneamente (decadono) ∆N ∝ −N ∆x (51.1)
in altre particelle.
dove ∆x rappresenta lo spessore del bersaglio. È
Ogni volta che si definisce una grandezza, in fisi-
anche chiaro che maggiore è la densità del bersaglio
ca, se ne deve dare la definizione operativa: si de-
ρ, maggiore sarà la probabilità d’interagire con i suoi
ve cioè dire come in pratica si esegue la loro misu-
nuclei, pertanto abbiamo che
ra. In questo capitolo spieghiamo come si definisco-
no le grandezze fisiche caratteristiche per descrivere
∆N = −σN ρ∆x (51.2)
quanto sopra e come si procede operativamente per
assegnare loro un valore. dove σ è una costante di proporzionalità che chia-
miamo sezione d’urto. Osserviamo che le dimen-
sioni fisiche di ρ sono quelle di un volume alla meno
51.1 Sezione d’urto uno (ρ rappresenta il numero di particelle nel ber-
saglio per unità di volume), mentre ∆x ha le di-
Nell’urto tra una particella e un bersaglio si posso- mensioni fisiche di una lunghezza. N e ∆N sono
no misurare diverse grandezze fisiche. Una di queste, adimensionali e perciò σ deve avere le dimensioni di
molto semplice da misurare, almeno in linea di prin- una superficie: [σ] = [L2 ]. Si misura, quindi, in m2
cipio, è il numero di particelle che hanno interagito nel SI. Per comodità si definisce l’unità di misura
col bersaglio. della sezione d’urto come il barn, che corrisponde
Il processo d’urto ha carattere probabilistico, per a 10−24 cm2 e si indica col simbolo b.
cui alcune delle particelle del fascio attraverseranno La sezione d’urto dipende dal tipo di processo e
il bersaglio senza subire alcun effetto, mentre altre dalla specie della particella interagente e può dipen-
saranno deviate oppure spariranno per lasciare il dere dall’energia E della particella. Per misurare σ
posto a nuove particelle. si prende un fascio di N particelle e lo si invia su
Sia N il numero di particelle inviate sul bersa- un bersaglio di spessore noto ∆x, di cui sia nota la
glio. La variazione nel numero di particelle ∆N = composizione e quindi la densità ρ. Misurando il nu-
N 0 − N , dove N 0 è il numero di particelle che hanno mero N 0 di particelle diffuse dal bersaglio, si misura
attraversato il bersaglio senza subire assorbimen- la differenza ∆N = N 0 − N e si calcola
to, deviazioni o perdita di energia, è chiaramen-
te proporzionale al numero di particelle incidenti:
51.2. VITA MEDIA 516
il decadimento in una particella non può avvenire in soltanto i possibili canali di decadimento, le per-
un canale in cui sia presente una sola particella. In centuali relative (branching ratio o rapporto di
altre parole non esiste il decadimento a → b in cui la diramazione) e il tempo medio nel corso del quale
particella a si trasforma spontaneamente nella par- è possibile osservare un decadimento.
ticella b. Se infatti la particella a è ferma, l’energia Di sicuro devono essere rispettate tutte le leggi di
dello stato iniziale è E = ma c2 , dove ma è la mas- conservazione. Cosí abbiamo visto che i protoni non
sa di a e la quantità di moto è nulla. Se mb 6= ma possono decadere in neutroni perché non hanno la
l’energia non è piú conservata, a meno che la dif- massa sufficiente, e i muoni non possono decadere in
ferenza di energia (ma − mb )c2 non vada in energia due corpi (µ → e + νe ) perché questo decadimento
cinetica per b, ma in questo caso la quantità di moto non conserva il numero leptonico.
p 6= 0. D’altra parte, se mb = ma , a = b e non c’è L’equazione (51.9) che definisce la vita media ha
stato alcun decadimento. la stessa forma dell’equazione (51.2) e quindi, anche
Una particella dunque può decadere solo se esisto- l’equazione che ci dice come varia N in funzione del
no almeno due particelle la cui somma delle masse tempo t deve avere la stessa forma di quella che dice
sia inferiore alla massa della particella madre. Un come N varia in funzione di x:
caso interessante si ha nel decadimento a → b + b,
t
quando le due particelle figlie hanno la stessa massa N (t) = N (0)e− τ . (51.11)
mb . In questo caso la somma delle energie cinetiche
Quest’equazione ci dice che particelle prodotte si-
di queste ultime deve essere pari a (ma − 2mb )c2 .
multaneamente non decadono tutte nello stesso mo-
Poiché però anche la quantità di moto si conserva,
mento. Circa 1/3 di esse (1/e) decade in un tempo
p~a + p~b = 0 e quindi le due particelle dello stato
pari a τ , mentre in in tempo pari a 2τ ne saran-
finale hanno la stessa velocità in modulo, ma sono
no decadute 1 − exp (−2) e cioè l’86 %. Piú tempo
emesse in direzioni opposte.
si attende meno particelle sopravvissute si trovano.
Dato un fascio con N particelle iniziali, trascorso
Per misurare τ quindi si prendono N (0) particelle e
un tempo ∆t, le particelle ∆N decadute (che han-
si attende un tempo t abbastanza lungo. Si contano
no cioè cambiato natura) sono proporzionali a quel-
i decadimenti Nd (t) avvenuti in questo tempo e si
le inizialmente presenti e al tempo trascorso, per
ricava N (t) = N (0) − Nd (t). È facile vedere che
l’appunto, quindi
N (t) t
∆N = −αN ∆t . (51.9) log =− (51.12)
N (0) τ
Il coefficiente di proporzionalità α deve avere le di- e dunque
mensioni fisiche di un tempo alla meno uno [α] =
[T −1 ] perché sia N che ∆N sono adimensionali. Per 1
τ = −t . (51.13)
rendere evidente questo fatto conviene definire N (t)
log N (0)
Esercizio 51.1 Il decadimento del muone ti decadimenti siano dovuti all’interazione debole,
mentre altri a quella elettromagnetica.
Per misurare il tempo di decadimento del muone Sicuramente il decadimento del neutrone è media-
Marcello Conversi e Oreste Piccioni [?] nel 1944 to dall’interazione debole ed è ragionevole aspettar-
usarono tre rivelatori posti uno sull’altro. Tra quel- si che tutti i decadimenti che coinvolgano neutrini
lo piú in alto e quello di mezzo si poneva un as- siano mediati dalla stessa forza (i neutrini non so-
sorbitore in piombo. Quando i segnali emessi da no carichi e sono leptoni quindi sentono solo l’effetto
questi rivelatori scattavano in coincidenza, si pote- della forza debole). Quindi anche il decadimento dei
va essere certi che un muone aveva attraversato lo muoni e dei pioni deve essere attribuibile a questa
strumento (gli elettroni o i pioni1 non riuscirebbero interazione. L’enorme differenza tra le vite medie
ad attraversare il piombo). Lo strato di rivelatori è presumibilmente dovuta a fattori che dipendono
piú basso era separato da quello di mezzo da un dall’ampiezza dello spazio delle fasi. In effetti, il neu-
assorbitore in ferro. Si misuravano le coincidenze
trone e il protone hanno masse molto simili, quindi
ritardate tra i rivelatori piú in alto e questo. Se un
esistono solo pochissime configurazioni energetiche
muone si fermava nel ferro e successivamente de-
cadeva, il numero di coincidenze ritardate doveva
permesse (l’energia a disposizione di elettrone e neu-
seguire la legge del decadimento esponenziale. trino è pari alla differenza di massa tra le particelle
Le coincidenze misurate nel corso di questo espe- in questione moltiplicata per la velocità della luce).
rimento erano le seguenti (abbiamo riportato solo Invece la differenza di massa tra i muoni e gli elet-
parte dei dati sperimentali): troni è molto maggiore, quindi è relativamente facile
produrre configurazioni permesse dalla conservazio-
Ritardo (µs) Frequenza (Hz) ne dell’energia (l’intervallo di energie che possono
0.00 3.47 ± 0.4 assumere i due neutrini è ampio). La differenza tra
1.00 2.42 ± 0.3 il tempo di vita medio del muone e di quello del pio-
1.97 1.26 ± 0.2 ne non è cosí grande e si può facilmente attribuire
3.80 0.86 ± 0.17 al fatto che il decadimento del pione avviene in due
corpi, per cui è piú facile realizzare la configurazione
giusta.
Calcola la vita media del muone. Il decadimento del π 0 , invece, non coinvolge neu-
soluzione → trini e quindi è attribuibile all’interazione elettroma-
gnetica, dal momento che nello stato finale ci sono
solo fotoni, che rappresentano proprio la radiazione
Questa grandezza fisica si può misurare per tut- elettromagnetica (la luce, che è un’onda elettroma-
te le particelle instabili, come i muoni, i pioni, e i gnetica, si può anche interpretare come un flusso di
neutroni. I π 0 decadono in due fotoni con una vita fotoni). In questo caso l’interazione è piú intensa e
media dell’ordine dei 10−16 s. I pioni carichi, inve- il tempo di vita medio piú corto.
ce, decadono in tempi molto piú lunghi, in muoni e
neutrini: 10−8 s. I muoni, a loro volta, decadono in
elettroni e neutrini con una vita media dell’ordine
di un paio di µs e il neutrone ha una vita media
di quasi 900 s. Si vede subito che l’intervallo di va-
lori è molto ampio, tuttavia possiamo fare alcune
considerazioni che ci portano a concludere che cer-
1
All’epoca dell’esperimento, in ogni caso, il pione non era
stato ancora scoperto.
Usando acceleratori di particelle si possono co- per ogni θ 6= 0, dal momento che tutte le particelle
sí produrre altre particelle, come i pioni, inviando del fascio si muoverebbero in avanti senza essere de-
protoni accelerati su un bersaglio. I pioni carichi viate. In realtà i pioni interagiscono con i nuclei del
cosí prodotti possono essere a loro volta accelerati bersaglio, quindi la sezione d’urto che si misura è
(purché lo si faccia prima che decadano) e inviati su diversa da zero. In altre parole, mettendo un conta-
un altro bersaglio. Si può cosí studiare, ad esempio, tore a un angolo θ rispetto alla direzione del fascio si
la sezione d’urto del processo π + p o del processo misura un certo numero Np di nuove particelle. Poco
π + n (il bersaglio è certamente costituito di protoni importa se si tratta, in realtà, di particelle già pre-
e neutroni). senti nel fascio, che hanno semplicemente cambia-
to direzione in seguito all’urto con un nucleo. Non
possiamo seguire le particelle individualmente, per-
52.1 Urti tra particelle ciò non ha molto senso chiedersi se si tratti di una
particella del fascio deviata o se nell’urto la parti-
A valle del bersaglio si pongono dei rivelatori con
cella presente nel fascio sia andata distrutta e ne
i quali si può, ad esempio, misurare la sezione
sia stata prodotta un’altra, della stessa natura, con
d’urto di produzione di nuove particelle in funzio-
caratteristiche cinematiche diverse. Per noi, nuova
ne dell’energia del fascio incidente o dell’angolo di
significa una particella che prima dell’urto non c’era
diffusione.
nello stato cinematico nella quale la osserviamo.
Esercizio 52.1 Il decadimento del pione
È abbastanza intuitivo capire che il numero di
queste nuove particelle diminuisce all’aumentare
dell’angolo di diffusione. Le diffusioni a piccolo an-
Calcola quanto spazio hai a disposizione per co-
golo, in effetti, sono piú probabili rispetto a quelle a
struire un acceleratore in grado di raccogliere e ac-
celerare i pioni prodotti nell’urto di protoni su un grande angolo (non fosse altro che perché la quan-
bersaglio, prima che questi decadano. tità di moto è conservata e le velocità dei prodotti
soluzione → finali si devono sommare in maniera tale da con-
servare la quantità di moto in avanti). In ogni caso
uno si aspetta che l’andamento di σ(θ) in funzione
Se, ad esempio, si mandano dei π su un bersaglio, di θ sia caratteristico della specie di particella pro-
qualora i π non interagissero col bersaglio, questi iettile e di bersaglio. In linea di principio la sezione
seguirebbero una traiettoria rettilinea. Se quindi si d’urto σ potrebbe dipendere anche dall’energia E
misura la sezione d’urto di produzione di pioni a della particella incidente (σ = σ(θ, E)) ma non ci si
diversi angoli θ rispetto alla direzione di volo delle aspettano variazioni brusche della sezione d’urto al
particelle del fascio, si avrebbe variare dell’energia.
Quello che invece si osserva è un andamento della
σ(θ) = 0 (52.1) sezione d’urto in funzione dell’energia della parti-
cella incidente che varia lentamente con l’energia,
52.1. URTI TRA PARTICELLE 522
Figura 52.1 Sezione d’urto π + p in fun- me la produzione di nuove particelle che successiva-
zione della quantità di moto mente decadono. Il motivo è semplice. Consideriamo
del pione. l’urto elastico
La radice di questa differenza1 si chiama massa in- sovrapposte due reazioni, ciascuna delle quali pro-
variante ed è utile per determinare la massa di una duce la particella in questione). Nel caso in cui siano
particella che è decaduta in altre particelle di cui le figlie di una particella di massa M la loro massa
si conoscano energia e quantità di moto. Infatti, la invariante sarà pari a M c2 , altrimenti sarà un nu-
massa invariante del sistema di particelle figlie deve mero a caso compreso tra 0 e E dove E è l’energia
coincidere con la massa della particella madre. complessiva nello stato iniziale.
Quando dall’urto di un pione con un protone si Dal momento che c è una costante, le masse del-
produce una risonanza ∆, questa decade subito do- le particelle si possono indicare, invece che in unità
po sempre in una coppia pione–protone. Misurando di massa, in unità di energia. Un protone, ad esem-
la quantità di moto delle due particelle
p figlie pπ e pp pio, ha una massa di circa 1.67 × 10−27 kg, che,
può ricavare l’energia Eπ = p2π c2 + m2π c4 e
se ne p moltiplicata per c2 = (3 × 108 )2 = 9 × 1016 m2 s−2
Ep = p2p c2 + m2p c4 . Se si calcola la quantità dà
Con gli acceleratori di particelle si possono stu- Questo è strano, perché le leggi della fisica sono
diare con un certo dettaglio le particelle scoperte invarianti per inversioni temporali.
nei raggi cosmici. In particolare le Λ e i K si pos-
sono produrre in numero praticamente arbitrario in Esercizio 53.1 La produzione dei K
laboratorio e questo permette di misurare la sezione
d’urto di produzione e i tempi di decadimento. Con un acceleratore di particelle possiamo sceglie-
re l’energia da dare a un fascio di pioni da in-
viare su un bersaglio, in modo tale da garanti-
53.1 I decadimenti della Λ re la produzione delle particelle che si desiderano
studiare.
Facendo queste misure si scopre che la sezione d’urto Calcola l’energia minima che dovrebbe avere un
per la produzione di Λ e di K è quella tipica delle pione per produrre, attraverso l’urto con un proto-
risonanze, perciò queste particelle sono prodotte per ne fermo, una particella K. Nei dati sperimentali
interazione forte attraverso le reazioni non si vedono risonanze a questa energia. Il motivo
è illustrato nel Paragrafo 53.2.
soluzione →
π− + p → Λ + X π− + p → K + X . (53.1)
dove X rappresenta altre possibili particelle nello Se si guarda un film alla TV, si capisce subito se
stato finale. I decadimenti di queste particelle, inve- il film è riprodotto normalmente o se le immagini
ce, hanno tempi tipici delle interazioni deboli. La Λ vanno all’indietro nel tempo. Ma questo avviene so-
decade principalmente nel canale lo perché le scene del film coinvolgono sistemi com-
plessi composti di un numero sterminato di particel-
Λ → π− + p (53.2) le elementari. Se riprendessimo con una telecamera
per interazione debole e questo risultò subito sospet- l’oscillazione di un pendolo non potremmo stabilire
to, strano. Naturalmente non c’è niente di strano se il filmato è riprodotto in avanti o all’indietro. In
nel fatto che una particella sia prodotta per intera- particolare, nel caso del pendolo, il tempo impiega-
zione forte e decada per interazione debole: i pioni, to dalla massa appesa al filo per tornare indietro
ad esempio, sono abbondantemente prodotti nelle rispetto al punto d’inversione del moto è lo stesso
interazioni forti e decadono per interazione debole. ai due estremi della traiettoria, perché l’interazione
Anche i neutroni sono palesemente particelle che si che provoca il moto (la gravità) agisce nello stesso
possono produrre per interazione forte, ma decado- modo nei due punti. Questo tempo sarebbe diver-
no per effetto dell’interazione debole. Ma nessuna so se a uno degli estremi intervenisse un’interazione
di queste particelle decade attraverso un’interazio- diversa (in particolare se in uno degli estremi fosse
ne diversa da quella che ne determina la produzio- impedito alla gravità di fare il suo dovere).
ne nello stesso canale in cui avviene quest’ultima. Allo stesso modo, se possiamo produrre una Λ per
53.2. PRODUZIONE ASSOCIATA 528
filmato non riproducibile su questo Deve dunque esistere una specie di carica conser-
supporto: digita l’URL nella caption o vata nelle interazioni forti, che le interazioni deboli
scarica l’e-book in un certo senso non vedono. Questa carica venne
Figura 53.1 Il moto di un pendolo è chiamata stranezza. Si dice che la Λ possiede una
identico in avanti e all’in- carica di stranezza (convenzionalmente pari a −1),
dietro, perché la caduta del
grave dipende dalla stessa
che deve essere conservata nelle interazioni forti, ma
interazione: la gravità. Se può non esserlo nelle interazioni deboli. Perciò la Λ
interviene un’interazione non può decadere secondo la reazione
diversa a uno dei due
estremi della traiettoria, il Λ → π− + p (53.3)
moto non è piú simmetrico
[http://www.youtube.com/ attraverso l’interazione forte perché né il pione né
watch?v=IF2f4KYgfUc]. il protone possiedono una carica di stranezza, che
dunque non sarebbe conservata. Poiché però que-
sta carica è irrilevante per le interazioni deboli, la Λ
interazione forte (quindi con alta probabilità) nel- può decadere in questo modo attraverso la media-
l’urto tra un pione e un protone, il suo decadimento zione di quest’ultima interazione. Affinché si possa
in un pione e un protone dovrebbe avvenire in tem- produrre una Λ per interazione forte, tuttavia, è ne-
pi brevi con una probabilità analoga, dal momento cessario che si conservi la stranezza. Perciò sarebbe
che, invertendo la direzione del tempo, non dovrem- altrettanto impossibile osservare la reazione
mo poter distinguere tra produzione e decadimento.
Invece cosí non è. Per questo la Λ venne definita una π− + p → Λ (53.4)
particella strana. perché neanche in questo caso si conserverebbe la
L’unico modo di spiegare questo comportamento stranezza (che nello stato iniziale è nulla, mentre
strano è di ammettere, come nel caso del pendolo, nello stato finale vale S = −1).
che nel decadimento l’interazione forte, responsabi-
le della produzione, non possa fare il suo lavoro,
lasciando il compito di far decadere la particella a 53.2 Produzione associata
un’altra interazione: quella debole.
Ma come mai l’interazione forte non può far deca- La produzione potrebbe avvenire solo se nello sta-
dere la Λ? Evidentemente deve esistere una qualche to finale fossero presenti almeno due particelle con
grandezza fisica che è conservata nelle interazioni stranezza opposta. In effetti, studiando meglio la
forti e non lo è nelle interazioni deboli. Potremmo produzione di particelle strane, si trova che le Λ sono
pensare a una qualche caratteristica della particella sempre prodotte in associazione ai K. La reazione
che le interazioni forti vedono, e che, al contrario, che si osserva è sempre del tipo
per le interazioni deboli è irrilevante. Un po’ co-
me la carica elettrica, che è una caratteristica che π− + p → Λ + K (53.5)
determina il comportamento delle interazioni elet-
seguita dal successivo decadimento delle Λ e dei K
tromagnetiche, ma che è del tutto irrilevante per le
per interazione debole. I K, quindi, devono possede-
interazioni gravitazionali. Per la gravità un elettro-
re una stranezza pari a S = +1. In questo modo, lo
ne e un positrone sono identici, mentre per le inte-
stato finale ha stranezza complessiva S = 0 e la rea-
razioni elettromagnetiche no. Il fatto è che la gra-
zione è possibile conservando la stranezza. Il deca-
vità non provoca il cambiamento della natura delle
dimento di entrambe le particelle non può avvenire
particelle. Se lo provocasse, un elettrone potrebbe
per interazione forte, che conserva la stranezza, ma
tranquillamente trasformarsi in un positrone.
può avvenire per interazione debole. I K, in effetti,
K → π+ + π− K → π+ + π− + π0 . (53.6)
Ω− → Ξ0 + π − . (53.7)
La Ξ0 , un’atra particella strana, neutra con stranez-
za S = −2, decade poi in una Λ accompagnata da Figura 53.2 Produzione e decadimento di
un pione neutro un Ω− . Un K − con stranez-
za S = −1 (in basso) urta
un protone, producendo una
Ξ0 → Λ + π 0 (53.8)
Ω− , un K + e un K 0 , conser-
e infine la Λ decade secondo la solita reazione Λ → vando la stranezza. Il barione
Ω decade quindi in Ξ0 + π − .
π − + p.
Il barione Ξ0 decade quindi
La produzione associata spiega perché non si os- in una Λ e un π 0 che subito
servano risonanze nelle reazioni π + n e π + p quan- si trasforma in due fotoni γ,
do l’energia del pione è sufficiente a produrre una che convertono in una coppia
Λ o un K. Le reazioni citate, infatti, non possono e+ e− . L’ultimo decadimento
nella catena è quello della Λ
produrre una Λ o un K singoli, ma devono per for-
che decade in un protone e
za produrre queste due particelle in associazione, un pione. Nota la curvatura
insieme. che le tracce delle particelle
cariche assumono nel campo
magnetico dell’esperimento.
Attraverso lo studio intensivo delle possibili rea- Tre quark per Muster Mark!
zioni tra particelle e i loro decadimenti, furono sco- Il nome quark dato ai componenti elementari
perte moltissime nuove particelle. Il quadro si era di alcune particelle è stato coniato da Murray
ulteriormente complicato rispetto a quello, sempli- Gell–Mann, il padre del Modello a quark.
cissimo, in cui protoni, neutroni ed elettroni erano le Il termine è stato preso in prestito da Gell–
uniche particelle elementari necessarie per spiegare Mann dal testo di Finneganns Wake di James
la composizione della materia nell’Universo. Joyce, nel quale figura il brano
Oltre a queste tre particelle e ai pioni, si erano
scoperte le quattro ∆ prive di stranezza, tre par- Three quarks for Muster Mark!
ticelle con stranezza S = −1 (Σ− , Σ0 e Σ+ ), la Sure he hasn't got much of a bark
Ξ nei due stati di carica Ξ− e Ξ0 , con stranezza And sure any he has it's all beside the mark.
S = −2, la Ω− , con S = −3, la Λ e i K con stranezza
rispettivamente S = −1 e S = +1. Sembra che a Gell–Mann piacque il suono di
Si scoprirono, inoltre, tre particelle simili alle Σ, questa parola (quark) nel poema di Joyce, e
ma piú pesanti, che vennero chiamate Σ∗ : Σ∗− , Σ∗0 il fatto che si facesse riferimento a tre quark,
e Σ∗+ . E due particelle simili alle Ξ, chiamate Ξ∗ , sembrò a Gell–Mann un buon motivo per sce-
negli stati di carica Ξ∗− e Ξ∗0 . gliere questo nome, giacché servivano proprio
Oltre a queste particelle si erano trovati due K tre quark per spiegare lo spettro delle particelle
carichi (K + e K − ), e una particella neutra chiamata osservate.
η simile al π 0 . La maggior parte dei fisici pronuncia la pa-
Si era anche scoperto che esistevano K neutri con rola quark come quork, come faceva Gell–
stranezza S = +1 e con stranezza opposta S = −1 Mann (anche se probabilmente Joyce l’avreb-
per cui uno dei due doveva essere l’antiparticella be pronunciata quark, per far rima con Mark e
dell’altro: K 0 e K̄ 0 . bark).
Per la conservazione del numero barionico le Λ
dovevano essere barioni, mentre i K dovevano essere
mesoni, come i pioni e la η. Le Σ e le Ξ sono barioni, 54.1 Tre nuove Tavole Periodi-
cosí come le loro copie piú pesanti Σ∗ e Ξ∗ , la Ω− e
le ∆.
che
Un quadro cosí complesso sembrava inspiegabile, Che gli elementi chimici non fossero particelle ele-
fino a quando Murray Gell–Mann e Susumo Okubo mentari, ma composti di nuclei positivi ed elettroni,
proposero di considerare queste particelle come a lo- era stato suggerito dal fatto che le proprietà chi-
ro volta composte di particelle piú piccole, chiamate miche degli elementi consentivano di disporli nella
quark. Tavola Periodica di Mendelev.
Allo stesso modo si potevano disporre tutte
54.1. TRE NUOVE TAVOLE PERIODICHE 532
dū, che ha carica Q = −1; ↑↓) o spin J = 1 (quando sono paralleli: ↑↑). Con tre
quark, invece, se due di essi si dispongono in modo
5. la prima combinazione con stranezza potreb- da produrre una combinazione con spin J = 0, il
be essere sū, che dà luogo a una particella con terzo determina lo spin della particella (↑↓↑).
carica elettrica Q = −1 (il K − ); In sostanza l’ottetto di barioni dovrebbe essere
6. sd¯ produce una particella con carica elettrica formato dalle stesse combinazioni del decupletto,
nulla e stranezza −1 (l’K̄ 0 ); solo che in questo caso gli spin dei tre quark so-
no, rispettivamente J = + 21 , J = − 12 e J = + 21 . Ma
7. s̄u permette di costruire una particella di carica allora perché sono otto e non dieci? In effetti abbia-
elettrica Q = +1 che è identificabile col K + ; mo già osservato che all’ottetto, di fatto, mancano le
particelle disposte ai vertici del triangolo del decu-
8. s̄d, invece, realizza una combinazione con carica
pletto, che sono costituite dalle combinazioni uuu,
Q = 0 e stranezza S = +1: il K 0 ;
ddd e sss. Per qualche ragione queste combinazioni
9. la combinazione ss̄ dà origine a un’altra par- devono essere vietate nel caso dell’ottetto.
ticella di carica elettrica nulla e priva di A pensarci bene la cosa strana non è che manchi-
stranezza come nei primi due casi. no queste combinazioni nell’ottetto, ma che siano
presenti nel decupletto. Infatti, in Meccanica Quan-
Come si vede esistono nove combinazioni di coppie
quark–antiquark e non otto, come si osserva speri- 1
La meccanica quantistica prevede la possibilità che una
mentalmente. Nulla però impedisce che una parti- particella sia una sovrapposizione di stati diversi, pertanto il
cella possa essere composta da piú di una combi- fatto che i pioni siano composti di combinazioni diverse di
quark è perfettamente giustificata da questo fatto.
nazione: per esempio le due combinazioni uū e dd¯
filmato non riproducibile su questo e il quark s di colore diverso. Oltre alla combina-
supporto: digita l’URL nella caption o zione di colori RGB, dunque, potrebbe esserci una
scarica l’e-book combinazione con gli stessi numeri quantici della Σ0 ,
Figura 54.5 Una particella di spin 2 1
ma fatta con i colori RRG o GGR o BBG, etc.. Di
formata da tre quark è combinazioni cosí ce ne sono diverse e dovrebbero
una sovrapposizione dei tre
possibili stati si spin in cui
ciascuna dar luogo a particelle che dovrebbero co-
i quark si possono trovare munque manifestare in qualche modo la carica di
[http://www.youtube.com/ colore in eccesso.
watch?v=PfNP_22tx6A]. In effetti possiamo pensare che la combinazione
dei tre colori generi una carica di colore neutra (si
dice che la particella è bianca o incolore), ma nel
caso della combinazione RRG si dovrebbe poter os-
servare questa carica di colore come non neutra e
1
= |R ↑ G ↓ B ↑i+|R ↑ B ↓ G ↑i+|G ↑ R ↓questo B ↑i .dovrebbe produrre effetti sulle interazioni os-
uuu, +
2 servate. Se infatti la carica di colore esiste, deve es-
(54.6) sere associata a una qualche interazione per la quale
In altri termini lo stato uuu, + 21 si deve conside- l’intensità dipende da questa carica (come la carica
rare come una sovrapposizione di stati e non come elettrica, associata alle interazioni elettromagneti-
uno stato formato talvolta da una, talvolta dall’al- che, ne determina l’intensità), perciò una particella
tra combinazione, come prescritto dalla Meccanica formata da due quark rossi e uno verde dovrebbe
Quantistica. presentare un eccesso di carica rossa che dovrebbe
Uno dei modi in cui si può esprimere il Princi- potersi manifestare attraverso interazioni piú o me-
pio di Pauli consiste nel dire che, qualora scambian- no intense rispetto a quelle subite da una particella
do due particelle si ottenga uno stato equivalente bianca.
a quello iniziale, la combinazione è vietata. Nel no- Non avendo mai osservato alcuna differenza nel-
stro caso, se scambiamo di posto la seconda e la le interazioni delle Σ0 (né delle altre particelle) si
terza combinazione otteniamo comunque uno stato pensò che dovessero essere possibili solo combina-
identico al precedente e cosí nel caso di tutti i pos- zioni di colori tali da formare una particella priva
sibili scambi che possiamo pensare di fare. Queste di colore o bianca. In questo modo le uniche com-
combinazioni sono dunque vietate dal Principio di binazioni possibili sono quelle osservate. Anche nel
Pauli. caso dei mesoni, la combinazione di un quark con un
La combinazione con spin J = 23 antiquark è bianca, perché se un quark porta una
carica rossa, l’antiquark ne porta una antirossa.
(54.7)
++
∆ = |R ↑ G ↑ B ↑i La regola secondo la quale tutte le particelle devo-
è una sola e non è vietata perché i tre quark hanno no essere bianche permette anche di spiegare come
colore diverso e sono perciò distinguibili (la combi- mai, nonostante una lunga serie di tentativi, non fu-
nazione |R ↑ B ↑ G ↑i è la stessa perché i quark B rono mai osservati quark liberi. Si potrebbe infatti
e G si devono intendere nella stessa posizione, in un pensare che, colpendo un protone (formato da due
modo che non possiamo rappresentare sulla carta). quark up e da un quark down) con una particella con
L’introduzione della carica di colore permette co- energia sufficiente, se ne dovrebbero poter estrarre i
sí di spiegare le diverse configurazioni osservate, ma quark costituenti perché nell’urto i legami che ten-
introduce un elemento che farebbe pensare alla pos- gono insieme i quark potrebbero spezzarsi. In effetti
sibilità di costruire molte altre combinazioni, come, si potrebbe pensare che i quark sono tenuti insieme
ad esempio, uds con i quark u e d dello stesso colore nel protone (e nelle altre particelle) dalle interazio-
ni forti e che quelle che si osservano nei nuclei, che
Tipo Carica elettrica Famiglia fetta simmetria tra leptoni e quark, che possiamo
Q I II III dividere in famiglie. La prima famiglia, che contie-
+ 23 u c t ne le particelle piú leggere, è formata dai quark up e
Quark
− 13 d s b down, dall’elettrone e dal suo neutrino (con lo stes-
−1 e µ τ so numero leptonico). La seconda famiglia, oltre al
Leptoni
0 νe νµ ντ charm e allo strange, include il muone e il neutrino
muonico, mentre della terza fanno parte il top e il
Tavola 55.1 Il Modello Standard delle
particelle elementari preve-
bottom, il τ e il neutrino ντ .
de l’esistenza di sei quark e La materia ordinaria è formata solo di particelle
sei leptoni, oltre alle rispetti- della prima famiglia. Le altre famiglie sono di fat-
ve antiparticelle, come facen- to copie piú pesanti della prima. A oggi non sap-
ti parte dei costituenti della piamo ancora perché esistano tre famiglie di parti-
materia dell’Universo.
celle. In effetti basterebbe la prima per spiegare la
composizione dell’intero Universo.
Tutti i fenomeni osservati si spiegano alla luce
Il Modello a Quark aveva ricondotto la teoria del- di questo Modello. Il decadimento del neutrone,
la fisica delle particelle a una condizione di sempli- ad esempio, s’interpreta come il decadimento di un
cità. Ora bastavano solo tre quark per spiegare la quark d che decade secondo la reazione
materia, insieme agli elettroni. Restava da capire il
ruolo del muone e dei due neutrini, ma era stato d → u + e− + ν¯e (55.1)
fatto un grosso passo in avanti.
cosí che da una particella formata da due quark do-
wn e un quark up si formi una particella compo-
55.1 I costituenti della materia sta di due quark up e un quark down (il protone)
con l’emissione di una coppia di leptoni con numero
Col passare del tempo si scoprirono nuove particelle leptonico opposto.
e il quadro si complicò di nuovo anche se, diventando La conservazione del numero barionico si spiega
piú simmetrico acquistò maggiore solidità. Interpre- dunque con l’impossibilità di sopprimere un quark.
tando tutti i dati sperimentali fino ad ora conosciuti, Un quark può trasformarsi in un altro oppure ge-
sappiamo che esistono sei quark: oltre a u, d e s esi- nerare una coppia quark–antiquark. Non esistono
stono il charm c, di carica +2/3, il top t, anch’esso regole di conservazione per i mesoni perché sono
di carica +2/3 e il bottom o beauty b con carica composti di quark e antiquark: se uno di questi si
uguale a quella del down e dello strange. trasforma il numero di quark non cambia. La con-
Esistono anche sei leptoni: oltre all’elettrone, al servazione del numero leptonico, invece, indica che
muone e ai rispettivi neutrini, esiste infatti il tau le trasformazioni dei leptoni possono avvenire solo
con il rispettivo neutrino ντ . Esiste dunque una per- all’interno dello stesso doppietto, che non si posso-
55.1. I COSTITUENTI DELLA MATERIA 540
Fisicast
In Fisicast abbiamo parlato di particelle elementari
nei podcast:
Il microscopico zoo delle particelle elementari
http://www.radioscienza.it/2013/09/22/
il-microscopico-zoo-delle-particelle-elementari/
Vedere le particelle elementari http://
www.radioscienza.it/2014/01/20/
vedere-le-particelle-elementari/
su quale sia quello in cui definiamo lo stato. Con- 56.2 Una rivisitazione del con-
viene scegliere un sistema di riferimento nel quale,
all’istante iniziale, il punto materiale risulti fermo
cetto di energia
nell’origine. Possiamo sempre farlo e in questo mo- In Fisica Classica trattiamo spesso particelle come
do la definizione dello stato non è piú ambigua e punti materiali soggette a forze di varia natura. Lo
non dipende piú da una scelta arbitraria. In que- stato delle particelle è determinato quando se ne co-
sto sistema di riferimento il punto resta fermo fino noscano posizione e velocità. Se i corpi considerati
a quando non interviene una forza. Se a un certo non hanno massa costante (è il caso di un’automobi-
punto una forza inizia ad agire il punto materiale le che man mano che procede consuma carburante),
accelera e lo stato cambia. anche la massa determina in qualche modo lo stato
In un sistema complesso, con moltissimi punti del sistema. In certi casi può essere importante la
materiali dei quali non si può misurare contempo- temperatura, etc..
raneamente posizione e velocità, lo stato è deter- Se un sistema composto da una o piú particelle
minato dalla sua temperatura, dal volume e dalla è isolato (non può cioè interagire con nulla) pos-
pressione. Se non intervengono forze lo stato di quel siamo sempre definire una grandezza fisica E, fun-
sistema non cambia. Un gas contenuto in un reci- zione dello stato delle particelle che compongono il
piente, per esempio, cambia pressione e/o tempe- sistema, che ha la proprietà secondo cui
ratura se si applica, alle pareti del recipiente, una
forza in grado di modificarne forma e/o volume. ∆E = 0 , (56.2)
Un atomo non soggetto a forze è qualcosa di piú
complesso di un punto materiale, ma non al punto cioè che la sua variazione è nulla. È del tutto evi-
da poter essere descritto dalla termodinamica. Lo dente che, data una qualunque legge fisica, come
stato di un atomo fermo è caratterizzato, per esem- F = ma, si possa definire E = F − ma e quindi
pio, dalla sua massa e dal suo stato di ionizzazione. E = 0, pertanto anche ∆E = E(t + δ) − E(t) = 0,
Un atomo d’idrogeno è diverso da uno di potassio avendo indicato con E(t) la grandezza fisica E mi-
perché è diversa la massa dei rispettivi nuclei (che surata al tempo t. In questo non c’è nulla d’interes-
a sua volta dipende dal numero di protoni e neu- sante. Se però riusciamo a individuare combinazioni
troni che li compongono). E un atomo di potassio utili di grandezze fisiche per cui vale quanto sopra
differisce da uno ione K+ perchè quest’ultimo ha un possiamo imparare qualcosa di nuovo. Consideria-
elettrone in meno rispetto a quello di potassio. Un mo, ad esempio, l’energia meccanica di una parti-
atomo, come ogni altro sistema, non può cambiare il cella di massa m posta a una quota h dal suolo, che
suo stato se non per mezzo dell’applicazione di una si muove con velocità v:
forza. Una forza di tipo elettromagnetico può ioniz-
1
zare un atomo di potassio, facendolo diventare uno E = mv 2 + mgh . (56.3)
2
ione K+ . In seguito all’intervento della forza debole
il nucleo di quell’atomo può trasformarsi in un nu- Questa quantità dipende solamente dallo stato che
cleo di specie diversa. Cioè cambia la sua massa (o, la particella assume in ogni istante di tempo ed è
il che è lo stesso, il numero di protoni e di neutroni costante: E(t) = E0 = const. Se è costante, la sua
di cui è composto). variazione nel tempo è nulla. Indicando col pedice
f le grandezze nello stato finale e col pedice i quelle
nello stato iniziale possiamo scrivere che
∆E 1 hf 1 hi
=0= mvf2 + mg − mvi2 − mg .
∆t 2∆t ∆t 2∆t ∆t
(56.4)
Raccogliendo i termini simili si ottiene
Le due espressioni del potenziale hanno in comune il nelle vicinanze di un punto x0 , con un polinomio.
fatto di essere entrambe definite come il lavoro fat- Maggiore è il grado del polinomio, migliore è l’ap-
to dalle forze gravitazionali per portare una massa prossimazione con la quale si approssima il valore
unitaria da un punto all’altro, cambiato di segno, e della funzione. In generale quindi
di crescere al crescere della distanza dalla sorgente
del campo, ma appaiono decisamente diverse l’una
h2
M M M h
dall’altra. Se la forza che tiene insieme il sistema so- V (r) = −G = −G ' −G 1− + 2 +·
lare è la stessa che fa cadere i corpi sulla Terra, come r R0 + h r0 r0 2r0
si spiega che il potenziale dell’una è diverso dal po- (56.15)
tenziale dell’altra? In realtà non c’è alcuna differen- Non è difficile convincersi che lo stesso accade per
za: quando scriviamo che il potenziale gravitaziona- tutte le altre forze fondamentali. Se calcoliamo il
le è V = gh stiamo semplicemente assumendo che g lavoro fatto dalle forze elettriche cambiato di se-
sia costante, ma questa è solo un’approssimazione. gno otteniamo l’espressione dell’energia potenziale
In effetti sappiamo che il potenziale della Terra, in elettrostatica, che è pari al potenziale elettrostatico
prossimità della sua superficie, varia sí, ma di po- moltiplicato per la carica elettrica.
chissimo, perché h r0 , dove r0 è il raggio della Ne concludiamo che, in effetti, potremmo riassu-
Terra. Sostituendo a g la sua espressione mere tutta la fisica in un’unica legge: l’energia to-
tale dell’Universo è e deve rimanere costante.
M Se cambia l’energia in una regione dell’Universo, de-
g=G , (56.11) ve avvenire qualche cambiamento in un’altra regio-
r02
ne tale per cui la somma algebrica delle variazioni
scrivere V = gh equivale a scrivere
di energia sia nulla. Se non ci fossero interazioni l’e-
M nergia dell’Universo sarebbe data dalla somma delle
V =G h. (56.12) energie cinetiche di tutte le particelle in esso conte-
r02
nute, che non cambierebbe mai perché in assenza di
Scriviamo ora l’espressione esatta di V , come da-
interazioni non ci sarebbero accelerazioni e dunque
ta nell’equazione (56.10), approssimandola con una
le velocità delle particelle non potrebbero cambia-
retta (lo possiamo fare se r0 + h ' r0 , cioè quando
re. In presenza di interazioni possiamo associare a
h r0 ):
ogni punto dell’Universo una funzione scalare delle
coordinate che chiamiamo energia potenziale la cui
variazione deve essere compensata da una variazio-
M M M h
V (r) = −G = −G ' −G 1− . ne opposta dell’energia cinetica. Il gradiente, cioè la
r R0 + h r0 r0
(56.13) rapidità con la quale cambia, dell’energia potenziale
Il primo addendo di questa somma è una costante rappresenta la forza che si osserva sperimentalmente
irrilevante (contano solo le differenze di potenziale). in virtú di questo principio.
Il secondo vale
G
M
h = gh . (56.14)
56.3 L’energia delle interazioni
r02
tra particelle
Come si vede, scrivere U = mgh equivale a consi-
derare le distanze h come molto piccole rispetto al L’energia potenziale dunque è l’energia determina-
raggio terrestre. La vera espressione di U dovrebbe ta dalla presenza di interazioni: in presenza di due o
essere, in effetti U = mV dove V è dato dall’equa- piú corpi interagenti si può definire questa quanti-
zione (56.10). Si tratta di un risultato completa- tà. I corpi devono evidentemente essere almeno due
mente generale. Ogni funzione si può approssimare, altrimenti non avremmo nessun tipo d’interazione.
Mettiamoci nel caso piú semplice possibile di due particella corrispondente è assente, U = 0. Lo stesso
sole particelle elementari che interagiscono. Una del- accade se A = 0: il campo è assente e non ci sarà
le due particelle la possiamo considerare sorgente di interazione.
un campo di forze, subíto dall’altra che indichiamo In generale, dunque, U sarà una funzione qualun-
come particella di prova o viceversa (ricordate sem- que f (y) di questo prodotto, ma sarà sempre espri-
pre il terzo principio della dinamica). La posizio- mibile, almeno in un intorno del punto d’interesse,
ne dell’una rispetto all’altra è dunque perfettamen- come un polinomio: al limite come una retta. Un
te determinata dalla distanza r tra le due particel- esempio chiarirà meglio la questione: consideriamo
le. L’energia potenziale che possiamo associare alla sempre le interazioni gravitazionali che sono quelle
particella di prova deve dunque essere una funzione che conosciamo meglio. L’energia di una particella
scalare di r: U = U (r). Evidentemente deve dipen- di massa m nel campo di una particella di massa M
dere dal tipo di particelle interagenti: una cosa è se si scrive come
le particelle hanno carica elettrica, una cosa è se non
ce l’hanno. Se indichiamo con la lettera greca φ l’in- Mm
U =G . (56.18)
sieme delle caratteristiche delle particelle che deter- r
minano l’apparire dell’interazione possiamo scrivere U è funzione delle caratteristiche che determina-
che U deve essere funzione anche di questo insieme no, per ciascuna delle due particelle, l’interazione
per ciascuna delle due particelle: u = U (r, φ1 , φ2 ). (φ1 = M e φ2 = m) e dalla forma del potenziale del
Ovviamente, questa energia dipenderà dal tipo di campo che possiamo indicare genericamente come
campo di forze che la particella sorgente genera, che A = G/r (il potenziale prodotto da una particel-
indichiamo con la lettera A: una cosa, ad esempio, la φ si ottiene moltiplicando φ per A). Se invece di
è se le particelle cariche sono in quiete e una cosa è scrivere l’energia per esteso, ne scriviamo un’espres-
se sono in moto. Nel primo caso interagiscono elet- sione approssimata, trascurando la presenza della
trostaticamente, attraverso un campo elettrico; nel costante irrilevante, scriveremmo
secondo caso sarà presente anche un campo magne-
G
tico. In definitiva U = U (r, φ1 , φ2 , A). La distanza r U ' φ1 Aφ2 = M m (56.19)
dipende unicamente dalle coordinate di φ1 e φ2 , che r
rappresentano le due particelle interagenti, perciò che è proprio l’espressione esatta dell’energia poten-
l’energia dipende dalle coordinate e dunque ziale (questo significa che, nel caso in esame, U1 = 1
e Ui6=1 = 0). Dunque non importa quanto sia com-
U = U (φ1 , φ2 , A(x1 , x2 )) . (56.16) plicata la funzione che definisce la vera energia po-
tenziale di tutte le particelle dell’Universo: possiamo
L’espressione di U può essere complicata a piacere, sempre restringerci a considerare due particelle suf-
ma purché le dimensioni fisiche delle cose da cui di- ficientemente vicine da interagire in modo da pro-
pende siano quelle opportune, possiamo sempre ap- durre un’energia potenziale pari a questo prodotto
prossimarla con un polinomio U = U0 +U1 y+U2 y 2 + di caratteristiche φ1 Aφ2 .
· · · . La costante U0 è irrilevante, perché quello che Graficamente possiamo rappresentare l’equazione
conta è solo la differenza di energia, quindi possiamo che definisce il primo termine dello sviluppo po-
sempre porre U0 = 0. La variabile y del polinomio linomiale dell’energia in questo modo: disegniamo
sarà una combinazione delle caratteristiche di φ1 , φ2 una freccia ogni volta che compare un fattore φi ; le
e A. Nel caso piú semplice avremo due frecce che inevitabilmente dovranno comparire
le disegniamo contigue, per indicare che l’interazio-
y = φ1 A(x1 , x1 )φ2 (56.17) ne tra queste due particelle avviene in un preciso
cioè un semplice prodotto delle caratteristiche. In punto dello spazio che è quello in cui la prima frec-
questo modo se uno dei φi (xi ) = 0, vale a dire la cia converge e da cui la seconda emerge. Da que-
In questo diagramma due particelle si muovono siamo autorizzati a pensare che le cose vadano effet-
da sinistra verso destra avvicinandosi. A un certo tivamente cosí: non importa se non vanno davvero
istante una delle due (quella di sopra, per esem- cosí: la Fisica è una scienza sperimentale e come tale
pio) emette un campo e cambia direzione. L’altra descrive le osservazioni. Le descrive in termini mate-
(quella in basso) raccoglie, per cosí dire, il campo e, matici. L’interpretazione che diamo delle equazioni
come nel caso in cui qualcuno raccolga un oggetto in termini di oggetti è del tutto arbitraria, anche se
pesante lanciato da qualcun altro, cambia direzio- funzionale. Del resto sappiamo bene che i pianeti
ne anche lei. Naturalmente potremmo invertire il non sono dei punti, ciò non di meno si possono rap-
ruolo del lanciatore e del raccoglitore: non cambie- presentare cosí nella nostra testa quando ne consi-
rebbe nulla. Abbiamo appena descritto un processo deriamo il moto descritto dalle equazioni di Newton,
nel quale due particelle si avvicinano e si respingono che sono l’unica cosa reale.
l’una con l’altra: non si può dire chi respinge quale: In questa modo il campo elettromagnetico diven-
si respingono a vicenda. L’una si può considerare ta una particella (che chiameremo fotone) che è
produttrice del campo e l’altra quella che lo subisce scambiata tra due elettroni e ne provoca la repulsio-
o viceversa. L’effetto è lo stesso. ne. Ma come si spiega invece l’attrazione tra un elet-
Calcolando questo diagramma con le regole di trone e un protone? Proviamo a insistere con questa
Feynman si trova in effetti un valore di probabilità interpretazione prendendo un protone inizialmente
diverso da zero. Se poi si confronta questa probabi- fermo. Questo, a un certo punto dovrebbe emette-
lità d’interazione con quella misurata sperimental- re un fotone e quindi dovrebbe muoversi nel verso
mente, usando le corrette espressioni per φ1 , φ2 ed opposto a quello nel quale si muove il fotone. Se
A, si trova che queste praticamente coincidono! In giunge nelle vicinanze un elettrone che si muove pa-
pratica con le regole di Feynman si può calcolare la rallelamente al fotone in direzione di quest’ultimo,
probabilità che, ad esempio, un elettrone sia diffu- si scontra con questo e riceve una spinta all’indietro.
so da un altro elettrone a un certo angolo, avendo Apparentemente, dunque, il processo non funziona:
l’uno una certa quantità di moto e l’altro, per esem- il protone e l’elettrone si respingerebbero invece di
pio, sia fermo. Si può quindi misurare questa proba- attrarsi. Ma non dobbiamo dimenticare quanto ab-
bilità misurando la frequenza con la quale elettroni biamo detto sopra! La nostra descrizione qualitativa
con la quantità di moto scelta sono diffusi da elet- del processo è una libera interpretazione delle equa-
troni fermi all’angolo desiderato. Il risultato è un zioni che sono l’unica descrizione valida della realtà.
sorprendente accordo tra teoria ed esperimento. Basta cambiare il segno dell’energia per provocare
Diremo, allora, che l’interazione tra due particelle un’interazione attrattiva, quindi evidentemente lo
funziona cosí: evidentemente le particelle di mate- stesso processo deve poter descrivere anche questo
ria possono emettere dei campi. Se nelle vicinanze si tipo d’interazioni. Possiamo continuare a immagi-
trova una particella in grado di assorbire tale cam- nare il processo come lo scambio di qualcosa: basta
po, lo fa e in questo modo si manifesta l’interazione. cambiare prospettiva! Pensiamo a due giocolieri che
In pratica le due particelle interagiscono perché si si scambiano delle clavette: le clavette viaggiano in
scambiano qualcosa che chiamiamo campo, ma che continuazione dall’uno all’altro e viceversa. Fino a
potremmo pensare come a una particella prodotta quando i due giocolieri si scambiano questi oggetti
dalla prima e raccolta dalla seconda. Questo campo sono costretti in qualche modo a restare vicini. So-
è dunque rappresentabile come una particella me- no dunque attratti l’uno dall’altro. Se smettono di
diatrice di forza che è scambiata tra le particelle di scambiarsi mediatori, invece, possono andare ognu-
materia che interagiscono. Noi non possiamo osser- no per la sua strada: uno va al bar, l’altro al bagno
vare direttamente questo processo: si tratta soltanto e l’interazione è spenta.
di un’astrazione matematica. Ma questa astrazione
rappresenta bene la realtà sperimentale e pertanto
Figura 56.3 L’interazione tra una parti- Figura 56.4 L’interazione tra una parti-
cella e un campo. cella e il suo proprio campo.
sorprendente, è nel prossimo paragrafo. lizza in qualche modo. In effetti si può dimostrare
sperimentalmente che il fenomeno esiste e funzio-
na proprio come previsto dalla teoria. Ancora una
56.5 L’antimateria volta, dunque, abbiamo una conferma della bontà
della nostra visione del modo in cui procedono le
Al Paragrafo 48.3 abbiamo detto che nel 1933 fu sco-
interazioni tra particelle elementari.
perta una particella identica all’elettrone, ma con
carica elettrica positiva: il positrone. Un elettrone
in un campo elettrico si muove in modo tale da spo- 56.6 La produzione delle parti-
starsi da punti a potenziale minore a punti a poten-
ziale maggiore. Se avesse carica elettrica positiva, il celle strane
suo moto sarebbe diverso: si muoverebbe spostan-
Vediamo come si può interpretare la produzione di
dosi dai punti a potenziale maggiore a quelli a po-
particelle strane alla luce di questa teoria. Come il-
tenziale minore. Se noi filmassimo un elettrone in
lustrato nel Paragrafo 54 i protoni sono particelle
un campo elettrico e poi guardassimo il filmato al
costituite di tre quark: p = (uud), mentre i pio-
contrario confonderemmo il moto con quello di un
ni sono composti di una coppia quark–antiquark e
positrone. In altre parole i positroni si comportano
quindi π − = (dū).
come elettroni che si muovono all’indietro nel tempo
Quando queste due particelle si urtano si possono
e viceversa.
produrre una Λ e uno dei K, che sono composte a
La linea di materia presente in Fig. 56.5 a sini-
loro volta di quark: Λ = (uds) e k = (ds̄). Nello sta-
stra, dunque, potrebbe benissimo rappresentare un
to iniziale abbiamo due quark u, due quark d e un
positrone che si muove al contrario rispetto alla di-
quark ū, mentre in quello finale ci sono due quark d,
rezione della freccia. Quello che ci dice questo dia-
un solo quark u e due quark strani: s e s̄. In effetti
gramma è che quando un elettrone e un positrone
sembra che ai quark d non accada nulla. Quello che
si incontrano annichilano: vengono distrutti, spa-
probabilmente succede è che nell’urto si scontrano
riscono nel nulla; la loro materia è completamente
un quark u del protone con il quark ū del pione.
annullata, ma la loro energia no. L’energia possedu-
Trattandosi di una coppia particella–antiparticella
ta si trasferisce al campo che evidentemente è pro-
possono annichilare emettendo una particella me-
dotto nell’annichilazione, che si propaga per un po’
diatrice di forza. In questo caso molto probabilmen-
di tempo, ma successivamente materializza in una
te non si produce campo elettromagnetico, ma forte,
coppia particella–antiparticella (la linea di materia
visto che la sua intensità è molto maggiore. Il media-
che si muove al contrario a destra). La cosa interes-
tore della forza forte è chiamato gluone. Il gluone
sante è che nei due vertici si devono conservare tutta
si propaga per un po’ e poi materializza in una cop-
una serie di grandezze fisiche, ma tra queste non c’è
pia quark–antiquark diversa: ss̄. Questi si legano a
il tipo di particella. Nel vertice di destra dunque si
quelli che sono stati solo spettarori del processo
può produrre una coppia elettrone–positrone identi-
(non hanno interagito) formando le particelle Λ e
ca a quella iniziale (e in questo caso il risultato net-
K.
to sarebbe un’interazione tra queste due particelle),
ma anche una coppia di muoni µ+ µ− !
Partendo da una coppia elettrone–positrone si fi- 56.7 L’interazione debole
nisce con l’avere una coppia di muoni (o di altre
particelle). Evidentemente questo (o uno analogo) è Il decadimento dei neutroni procede secondo la rea-
il meccanismo con il quale i raggi cosmici primari zione n → p + e− + ν mediato dall’interazione de-
dànno origine a particelle di natura diversa: nell’ur- bole. Quello che deve accadere è che un quark d del
to deve essere emesso un campo che poi materia- neutrone si trasforma in un quark u formando il pro-
filmato non riproducibile su questo viva di fatto a spiegare la differenza di massa tra i
supporto: digita l’URL nella caption o fotoni, responsabili dell’interazione elettromagneti-
scarica l’e-book ca, e i bosoni vettori intermedi Z e W , responsabi-
Figura 57.1 La massa di una particella li dell’interazione debole, attraverso l’introduzione
è una misura di quanto sia di una nuova particella, successivamente battezzata
difficile cambiarne lo stato
di moto. Da questo punto di
bosone di Higgs. È quindi possibile estendere in
vista il meccanismo di Higgs modo abbastanza naturale le interazioni di questa
è analogo all’effetto prodotto particella per fare in modo che questa possa dare
da un campo magnetico su la massa anche alle particelle di materia (quark e
una biglia d’acciaio [https: leptoni).
//www.youtube.com/
watch?v=Dkd0--yxI0w]. La spiegazione di Higgs richiede l’introduzione
della teoria quantistica dei campi, che va molto al
di là degli scopi di questa pubblicazione, ma si può
riformulare [?] in termini di fisica classica rovescian-
La scoperta del bosone di Higgs avvenuta nel 2012 do il problema: spiegando cioè prima l’acquisizione
a opera degli esperimenti ATLAS e CMS all’acce- della massa da parte delle particelle di materia e poi
leratore LHC del CERN rappresenta una delle im- la differenza di massa tra i fotoni e i bosoni vettori
prese scientifiche piú ardite che l’uomo abbia mai intermedi (Z e W ).
realizzato. Per renderla possibile sono infatti state
impiegate tecniche al limite della tecnologia.
Dopo la scoperta, che ha avuto grande enfasi su 57.1 Richiami sul concetto di
tutti i media, è risultato abbastanza noto a tutti
che il bosone di Higgs è la particella responsabi- energia
le del fatto che tutte le altre particelle possiedono
Il concetto di energia è uno dei piú ostici per gli
una massa. Tuttavia, essendo abituati a pensare alla
studenti, nonostante il fatto che, tutto sommato, il
massa come a una proprietà intrinseca della mate-
calcolo dell’energia di un corpo in una determina-
ria, risulta difficile immaginare perché ci sia biso-
ta condizione sia relativamente semplice. In questo
gno di un meccanismo per dare massa alle particel-
contesto c’interessa osservare come, a dispetto del-
le e come sia possibile che questa proprietà emerga
le apparenze, il calcolo dell’energia di un corpo in
dall’interazione con un’altra particella.
condizioni molto diverse, sia sempre esprimibile nel-
In questo capitolo descriviamo quello che si chia-
la stessa maniera. Nel seguito consideriamo sempre
ma il meccanismo di Higgs, che Peter Higgs teoriz-
corpi che, nel sistema di riferimento scelto, sono in
zò nel 1964 per spiegare un complesso problema di
quiete, per cui la loro energia cinetica è nulla.
fisica fondamentale che ha a che fare con l’osserva-
Consideriamo inizialmente un corpo di massa m
zione sperimentale della rottura di alcune simmetrie
in un campo gravitazionale G. L’energia assunta
dell’Universo. La spiegazione originale di Higgs ser-
57.1. RICHIAMI SUL CONCETTO DI ENERGIA 552
dal corpo in virtú dell’interazione con il campo è Nel caso di una spira di area S, percorsa da
esprimibile come corrente I e immersa in un campo magnetico B,
l’energia assunta dalla spira vale
UG = mG , (57.1)
UB = −ISẑ · B (57.5)
dove G è il cosiddetto potenziale gravitazionale. Va-
le la pena ricordare che il potenziale di un campo è dove ẑ è un versore orientato in modo da essere per-
una funzione scalare del campo stesso e delle coordi- pendicolare al piano su cui si giace la spira. Solita-
nate. Nello specifico, scegliendo un punto a distanza mente la quantità m = ISẑ è chiamata momen-
infinita come riferimento, abbiamo che to magnetico della spira µ, per cui si scrive che
Z r UB = −µ · B. È ben noto che, nel caso del cam-
G= G · dr . (57.2) po magnetico, non è possibile scrivere un poten-
∞ ziale scalare, ma abusando leggermente del voca-
Nell’equazione (57.2), r rappresenta il vettore che bolario possiamo ridefinire il termine potenziale co-
individua la posizione del corpo nel sistema di ri- me un’opportuna funziona scalare dei campi e delle
ferimento scelto. Nel caso semplice in cui il campo coordinate, tale per cui possiamo scrivere che
gravitazionale sia prodotto da un corpo di massa M
possiamo dunque scrivere che UB = IB . (57.6)
Z r
r · dr Dal confronto delle ultime due equazioni si deduce
UG = GM , (57.3) immediatamente che il potenziale (cosí come da noi
∞ r3
ridefinito) B del campo magnetico vale
dove G è la costante di Newton. Data l’arbitrarie-
tà con la quale si può scegliere il punto nel quale B = −Sẑ · B . (57.7)
UG = 0, l’energia del corpo è definita a meno di una
costante che, proprio per quanto sopra, possiamo Sarebbe forse piú opportuno definire un termine ad
sempre scegliere essere uguale a zero (questa scelta hoc per questa funzione, invece di usare il termine
è d’ora in poi considerata implicita). potenziale, ma per semplicità continuiamo a impie-
Consideriamo ora un corpo con carica elettrica q gare questo nome, scritto in caratteri diversi. In de-
immerso in un campo elettrostatico E. Anche per finitiva si può osservare come l’energia di un corpo
il campo elettrostatico possiamo definire un poten- immerso in un campo si possa scrivere sempre nella
ziale E 1 in maniera del tutto analoga a quanto fatto stessa forma, per tutti i campi noti a uno studente
per il campo gravitazionale e in definitiva scrivere di liceo:
che
U = UG + UE + UB = mG + qE + IB . (57.8)
UE = qE . (57.4)
Il potenziale E è ancora una volta una funzione sca- Vale la pena osservare che la sorgente del campo gra-
lare del campo e delle coordinate, la cui forma è vitazionale è la massa, quella del campo elettrosta-
identica a quella dell’equazione (57.2), avendo cura tico la carica elettrica e quella del campo magnetico
di sostituire E a G. la corrente. Tutti i termini di questa somma hanno
1
Di solito il potenziale elettrostatico si indica col simbolo
la stessa forma: una costante di accoppiamento che
V o ∆V , ma in questo caso preferiamo adoperare il simbolo dipende dalla natura del campo con il quale la par-
E per rendere evidente il tipo di campo a cui si riferisce e ticella in esame interagisce (m, q o I) e il potenziale
per evitare di confondere il potenziale con il volume, che del campo di cui la particella stessa è sorgente (G,
indichiamo, invece, con V . E o B).
40
all’autointerazione come 20
U(W)=aW^2+bW^4
10
U = αW 2
(57.18) 0
-10
razioni tra particella e campo e tra campo e cam- Figura 57.2 Il potenziale del campo di
po, possiamo tranquillamente assumere che l’inte- Higgs in funzione dell’inten-
sità del campo in unità ar-
razione tra campi di Higgs proceda in modo tale da bitrarie. Abbiamo scelto a =
contribuire all’energia secondo l’equazione −13 e b = 1.
U = αW 2 + βW 4 . (57.19)
In fondo, il termine W rappresenta il solito contri-
2
si ha naturalmente per W 6= 0. Se si fa un grafico
buto all’energia dovuto all’autointerazione dei cam- dell’andamento di U in funzione di W si ottiene la
pi, ma dal momento che W è un campo scalare, il figura mostrata in Fig. 57.2.
termine W 2 si può pensare anch’esso come un cam- Dalla figura si vedepche il minimo dell’energia si
po scalare che autointeragendo dà luogo al termine ottiene quando W = −a/2β ' 2.5, avendo scelto
βW 4 . Nel caso dei campi vettoriali questo non avvie- a = −13 e b = 1. L’energia che si ottiene in que-
ne perché il campo ha carattere vettoriale, mentre sto modo è negativa, ma è sufficiente scegliere una
l’energia è uno scalare. Ma nel caso di campi scalari costante arbitraria opportuna da sommare a que-
è possibile. Seguendo questa linea di pensiero po- sto valore per renderla positiva o nulla. Lo stato di
tremmo anche ammettere l’esistenza di termini con vuoto classico (quello in cui particelle e campi so-
potenze superiori di W . Questo non è escluso, ma no assenti) possiede dunque un’energia maggiore di
è ragionevole pensare che la probabilità d’interazio- uno stato in cui è presente una certa quantità di
ne diminuisca fortemente all’aumentare del numero campo. Questo implica che un tale stato di vuoto è
di campi per cui possiamo trascurare i termini di instabile e tende spontaneamente a evolvere in uno
ordine superiore. D’altra parte questo potrebbe an- stato di energia piú bassa, nel quale è presente un
che voler dire che l’espressione sopra ricavar non è campo di Higgs non nullo. Dobbiamo quindi pen-
altro che l’espansione in serie di Taylor di qualche sare che il vero stato di vuoto sia quello nel quale
funzione piú complessa del campo W . abbiamo rimosso tutti i campi e le particelle, tranne
Troviamo il minimo di (57.19): questo si ha il campo di Higgs che si riformerà spontaneamente
quando anche se riuscissimo a rimuoverlo. Per questo lo sta-
dU to nel quale W = W0 si può considerare l’effettivo
= 2αW + 4βW 3 = 0 , (57.20) stato di vuoto che non è quello in cui non c’è nulla,
dW
ma quello di minima energia.
e cioè per
Questo spiega anche perché abbiamo scelto un
α campo scalare. Un primo argomento è, come ab-
W2 = − . (57.21)
2β biamo visto, che il campo scalare può interagire con
Se β e α sono discordi (prendiamo, tanto per fissare sé stesso dando luogo a contributi all’energia con
le idee α < 0 e β > 0) il minimo del potenziale potenze maggiori. Inoltre il campo di Higgs quando
si trova nello stato di minima energia deve essere quella che esiste tra una pallina in volo (visibile) che
rappresentativo dello stato di vuoto (che è quello rimbalza sulle palline sotto il bordo della piscina piú
stato nel quale non si misura nulla). Il vuoto non in superficie.
può avere una direzione privilegiata come avrebbe
se il campo di Higgs fosse vettoriale.
Possiamo farci un’idea abbastanza precisa di quel 57.7 Campi massivi
che accade con un’altra analogia. Consideriamo una
L’idea di un campo con massa è forse la piú diffici-
piscina di palline, come quelle che si trovano nei par-
le da assimilare per uno studente. Per comprendere
chi giochi o in alcuni centri commerciali per intrat-
cosa sia un campo con massa possiamo fare cosí:
tenere i bambini mentre i genitori fanno shopping.
supponiamo di avere una particella di massa M che
Ammettiamo che la nostra piscina di palline rappre-
produce un campo di qualche tipo (per esempio gra-
senti un volume di Universo che possiamo osservare.
vitazionale). Il campo prodotto è privo di massa e
Se la osserviamo da fuori, seduti su una panchina,
per questo la particella conserva la sua massa M . Se
le palline piú in superficie sono sotto il bordo e non
il campo prodotto avesse massa m, per la conserva-
sono visibili. La piscina, per noi, è vuota. Non nel
zione di quest’ultima, la massa della particella che
senso usuale del termine (la piscina è piena di palli-
lo produce dovrebbe diminuire e diventare M − m.
ne), ma nel senso che è impossibile osservare piú di
Ma cosí facendo, prima o poi la particella perdereb-
quanto riusciamo a vedere in queste condizioni. Un
be tutta la sua massa. Se infatti in un punto P c’è
bambino fuori dalla piscina si muove liberamente,
un campo G, trascorso un certo tempo ∆t, questo
come una particella a massa nulla. Ma se lo faccia-
campo si è propagato in un punto che dista c∆t da
mo entrare nella regione di spazio in cui è presen-
P , dove c è la velocità di propagazione del campo
te il campo di Higgs rappresentato dalle palline, si
(nel caso del campo elettrico sarebbe la velocità del-
muoverà con difficoltà. Se si muove lentamente non
la luce). Per fare in modo che in P continui a esserci
smuoverà le palline abbastanza da renderle visibili
un campo G la sorgente deve rimpiazzarlo perdendo
e noi potremo concludere che la massa del bambi-
un’ulteriore frazione della sua massa e cosí via.
no nella piscina è maggiore perché occorre una forza
Se ammettiamo che la particella possa perdere
maggiore per accelerarlo. Se si muovesse piú rapida-
una frazione della sua massa per un tempo limita-
mente la sua interazione con il campo aumenterebbe
to ∆tmax possiamo però ammettere che produca un
e potrebbe causare la comparsa di un campo mi-
campo massivo di massa m (diventando una par-
surabile (vedremmo saltellare di quando in quando
ticella di massa M − m) il quale, trascorso questo
delle palline oltre il bordo). Per noi è come osservare
tempo, non può piú esistere e deve essere per cosí
un aumento del campo. Questo fenomeno è quello
dire riassorbito dalla particella che lo ha prodotto.
descritto dal termine aH dell’energia. Se il campo
La particella sorgente infatti deve tornare ad avere
in eccesso è abbastanza intenso, poi, potremmo os-
la massa originale M trascorso il tempo ∆tmax . Que-
servare anche l’interazione del campo residuo con sé
sto implica che il campo può al massimo raggiungere
stesso bH 2 come palline che si toccano. Il termine
una distanza dalla particella pari a circa
bW02 invece rappresenta l’energia delle palline sotto
il bordo: perché sia possibile che le palline arrivino
Lmax ' c∆tmax . (57.22)
abbastanza vicine al bordo da poter essere osserva-
te in presenza di altre particelle è necessario che le In altre parole un campo massivo non è altro che un
palline interagiscano tra loro: e in effetti lo fanno campo a raggio limitato. Oltre una certa distanza
perché quando una sta sopra l’altra quella in alto dalla sorgente, non si osserva piú alcun campo.
non può stare piú in basso di quanto sia. Infine il
termine 2bW0 H rappresenta l’interazione tra campo
residuo e campo minimo che si può raffigurare come
Riscriviamo l’equazione che ci fornisce l’energia con- Questi vettori, naturalmente, non sono vettori nello
tenuta in un volume V di Universo in un caso parti- spazio ordinario: vivono in uno spazio astratto bi-
colare: prendiamo come volume V quello all’interno dimensionale i cui assi sono allineati lungo direzio-
di un condensatore carico all’interno del quale sia ni che dipendono dalle interazioni. In altre parole,
presente una particella elettricamente carica, con la direzione di questi vettori nello spazio astratto
carica q. Trascurando la gravità, l’energia contenuta definisce in qualche maniera l’intensità relativa tra
in questo condensatore è la somma dell’energia elet- le diverse interazioni. In un Universo in cui ci sia-
trostatica della carica q e di quella immagazzinata no solo interazioni elettromagnetiche, il vettore D
sotto forma di campo elettrico. Se non avessimo il assumerebbe una data direzione in questo spazio
campo di Higgs quest’energia ammonterebbe a astratto, mentre in un Universo in cui siano pre-
ε0 senti sia interazioni elettromagnetiche che deboli, il
U = Uem = qE + V E · E. (57.23) vettore formerebbe un angolo non nullo con quello
2
In presenza anche di interazioni deboli, all’energia precedente. Infine, in un Universo in cui le intera-
dovremmo sommare un termine del tipo zioni elettromagnetiche scomparissero, il vettore D
avrebbe una direzione perpendicolare al primo.
ζ0 Ripetendo il ragionamento fatto sopra circa la ne-
Uweak = wZ + V Z·Z (57.24) cessità d’introdurre un nuovo campo per giustificare
2
dove Z rappresenta il campo debole, Z il suo po- la presenza di un termine di massa nell’espressio-
tenziale e ζ0 è una costante che si deve determi- ne dell’energia, dovremmo aggiungere all’equazio-
nare sperimentalmente e che indica l’intensità del- ne (57.25) un campo φ che, per potersi sommare a
l’autointerazione del campo debole. La simmetria quelli già presenti, deve essere rappresentato da un
tra le due espressioni è evidente, perciò possiamo vettore di campi:
riscrivere tutto come !
φ1
φ= . (57.29)
φ2
1
U = Eem + Uweak = c · D + V D · D , (57.25) Il campo φ deve essere autointeragente e presentare
2
un termine di autointerazione del tipo φ4 . In questo
dove D, D e c sono vettori di due componenti. caso l’energia si scriverebbe come
Le componenti del vettore D sono i moduli di due
vettori spaziali:
1
√ ! U = c·D+V D·D+a·Φ+V bφ·φ+V cφ4 +gV·φ ,
ε0 E 2
D= p . (57.26) (57.30)
ζ0 Z dove Φ rappresenta il potenziale di φ. In questo spa-
Le componenti di D sono zio il potenziale del campo ha la forma che si ottiene
! facendo ruotare la curva della Figura 57.2 attorno
E all’asse delle ordinate: sarebbe quindi una superfi-
D= , (57.27)
Z cie con la forma di un sombrero. È evidente che in
questo caso non c’è un solo minimo del potenziale,
mentre quelle del vettore c sono le costanti di ma ce ne sono infiniti. Ogni stato di minimo è equi-
accoppiamento ai rispettivi campi: valente all’altro e rappresenta uno stato di minima
energia del tutto simmetrico a ogni altro che pos- nascita al valore minimo possibile. Di stati nei qua-
siamo scegliere. Se scegliamo uno dei possibili stati li avviene questo ce ne sono infiniti e naturalmente
di minima energia, fissiamo le coordinate (φ01 , φ02 ) in l’Universo cadrà in uno solo di questi infiniti sta-
questo spazio e possiamo scrivere il vettore φ come ti. Questo definisce una direzione privilegiata nello
! spazio astratto delle interazioni per cui lungo que-
φ01 + η1 sta direzione si sviluppa un tipo d’interazione a rag-
φ= . (57.31)
φ02 + η2 gio infinito e a massa nulla, mentre nelle direzioni
perpendicolari se ne sviluppano altre a corto raggio.
In questo modo l’interazione del campo V col campo
φ, gV · φ, fa apparire due addendi nell’energia:
√
(57.32)
p
gE ε0 φ10 + η1 + gZ ζ0 φ02 + η2 .
√ √
A questo punto osserviamo che gE ε0 φ01 e gZ ζ0 φ02
sono costanti che possono essere pensate come a
quei termini che danno origine ai contributi delle
masse dei campi E e Z. La massa del campo E, come
sappiamo, è nulla, mentre quella del campo Z non
lo è. Essendo però tutti gli stati di minima energia
del potenziale di Higgs equivalenti tra loro, potrem-
mo certamente scegliere uno stato per cui φ01 = 0
e si avrebbe che φ = (0, φ2 ). Non abbiamo nessuna
ragione per preferire uno stato di minimo piuttosto
che un altro e l’equazione che ci dà l’energia è per-
fettamente simmetrica, ma una volta scelto lo stato
di minimo la simmetria viene rotta. Del resto, an-
che la direzione degli assi che definiscono le diverse
interazioni sono in un certo senso arbitrarie. Quello
che possiamo pensare, perciò, è che la direzione del-
l’asse delle interazioni elettromagnetiche sia proprio
quella definita dal punto di minima energia del cam-
po di Higgs, mentre quella dell’asse delle interazioni
deboli sia quello perpendicolare. In questo modo i
mediatori delle interazioni elettromagnetiche vengo-
no ad assumere automaticamente una massa nulla,
mentre quelli delle interazioni deboli acquistano una
massa.
In definitiva possiamo ritenere che prima del-
l’apparizione dell’Universo non fosse presente alcun
campo né materia. Alla nascita dell’Universo com-
pare una certa quantità di campo di Higgs, la cui Fisicast
energia non è necessariamente la minima possibile.
Il bosone di Higgs è stato oggetto di una punta-
Di conseguenza i campi di Higgs cominciano a in-
ta speciale di Fisicast: http://www.radioscienza.
teragire portando l’energia dal valore assunto alla
it/2012/07/24/il-bosone-di-higgs/.
possiamo dire che la massa di carburante ∆µ con- La somma S a destra si scrive come segue:
sumato per unità di tempo ∆t, ∆µ/∆t, al tempo ti
sarà proporzionale a mi :
S = log (m0 + ∆m)−log m0 +log (m1 + ∆m)−log m1 +· · ·
∆µ
∝ mi , (57.46) (57.53)
∆t
ma mi+1 = mi + ∆m e quindi, in particolare, m1 =
cioè ∆µ = αmi ∆t, con α costante. Ma ∆µ è proprio m + ∆m; sostituendo
0
di quanto diminuisce mi , quindi possiamo scriverlo
come ∆µ = −∆m, cioè come la variazione (che è
negativa perché si tratta di una diminuzione) della S = log (m0 + ∆m)−log m0 +log (m0 + 2∆m)−log m0 + ∆
massa del carburante presente. Sarà quindi (57.54)
e in particolare i due logarimti di m0 + ∆m si
∆m
= −α∆t . (57.47) cancellano e si ottiene
mi
Il rapporto ∆m/mi rappresenta la variazione rela-
tiva di carburante consumato per unità di tempo. S = − log m0 + log (m0 + 2∆m) + · · · . (57.55)
Quanto vale la somma sulla sinistra? Per trovarlo
osserviamo che si può scrivere sempre che Lo stesso accade a tutte le coppie di logaritmi
intermedie dopo aver sommato N addendi resta
∆m
log (mi + ∆m) = log mi 1 + (57.48) mN
mi S = log m0 + N ∆m−log m0 = log mN −log m0 = log
m0
e dunque, sfruttando le proprietà dei logaritmi, che (57.56)
avendo indicato con mN la massa m raggiunta dopo
N passi. Tutte le vuole che troviamo una somma
di termini del tipo ∆x/x possiamo porla uguale al
∆m
log (mi + ∆m) = log mi + log 1 + (57.49)
mi logaritmo del rapporto tra il valore che la grandezza
−ε
sin x ' a1 x ; 1 1 1 1 1
(57.60) a1 = − = '− 2.
cos x ' 1 + b1 x . ε r+ε r ε r(r + ε) r
(57.67)
Ora imponiamo che sin2 x + cos2 x = 1: Quindi possiamo scrivere che, nell’intorno di x = 0,
1 1 x
2
1 = (a1 x) + (1 + b1 x) = 2
(a21 + b21 )x2
+ 1 + 2b1 x ' − 2 (57.68)
r+x r r
(57.61)
e trascurando il termine proporzionale a x2 ot-
teniamo che dev’essere b1 = 0. Ora scriviamo il
rapporto Equazioni differenziali a variabi-
sin (x + δ) − sin x li separabili
R= . (57.62)
δ Un’equazione differenziale è un’equazione nella qua-
Quanto piú δ diventa piccolo, tanto piú il rapporto le compare una variabile e una sua variazione. Se,
(detto rapporto incrementale) si avvicina al valore ad esempio, la grandezza fisica x varia da x(0) a
R = 1. Ora scriviamo le funzioni trigonometriche x(T ) in un tempo che va da t = 0 a t = T , la
approssimandole con polinomi di primo grado: variazione ∆x = x(T ) − x(0) che avviene nel tem-
a1 (x + δ) − a1 x po ∆t = T − 0 = T , è legata al valore di x da
R' = a1 . (57.63) un’equazione differenziale per cui
δ
Ma poiché tale rapporto deve valere 1, almeno per ∆x = f (x(t), ∆t) (57.69)
δ molto piccoli, a1 = 1. In definitiva
dove f è una funzione sia di ∆t che di x, che a è uno strumento per esprimere concetti e non qual-
sua volta dipende da t. Un’equazione differenziale a cosa di astratto. Per un matematico è fondamentale
variabili separabili è un’equazione del tipo lo studio dei concetti in sé, come per un linguista è
fondamentale lo studio della struttura della lingua.
∆x = αx∆t . (57.70) Per un fisico la matematica è un linguaggio, come
per lo scrittore la lingua: allo scrittore non interes-
Quest’equazione si dice a variabili separabili per-
sa (al di là di un legittimo interesse scorrelato dalla
ché possiamo dividere entrambi i membri per x e
produzione letteraria) lo studio astratti della lingua.
ottenere
Un problema comune in diversi campi della fisica
∆x consiste nel calcolare la somma di tanti contributi
= α∆t (57.71)
x X
in cui a primo membro compaiono solo x e la sua S = Si (57.76)
variazione, mentre a secondo membro compare solo i
1+αT , infatti, per T = 0, l’esponenziale vale 1 e per genere potrebbe in prima approssimazione rappre-
T > 0, ma piccolo, è poco piú grande. Sostituendo sentare quella di una colonna d’aria sopra la nostra
abbiamo testa, la cui densità diminuisce con la quota, anche
se non proprio in maniera lineare). In questo caso si
può pensare di calcolare la massa del cilindro come
∆x
' 1 + αT − 1 = αT = α∆t (57.75) la somma
x
X
che è proprio l’equazione che volevamo risolvere. M = Mi (57.78)
i
che è poi la massa che avrebbe il cilindro se la sua avendo messo in parentesi la lunghezza della base
densità fosse costante, cioè se α = 0. Il secondo ad- del triangolo di cui stiamo valutando l’area. Vedia-
dendo è piú delicato: si tratta di sommare tra loro mo se riusciamo a costruire una regola generale: l’in-
contributi che valgono ciascuno h dh, che non sono tegrale tra 0 e H di x in dx si può pensare come a
tutti uguali e non è cosí facile trovare la soluzione. una funzione di H:
Non è nemmeno cosí difficile, perché è come se stes- Z H
simo sommando le aree di rettangoli di base dh e F (H) =
1
x dx = H 2 (57.94)
altezza h che va da zero a H. La figura geometrica 0 2
che si ottiene mettendo fianco a fianco tutti questi Quando H = 0, F (H) = 0. Al crescere di H cresce
rettangoli è una figura a scaletta che somiglia sem- H . Vediamo quanto varia F (H) quando H passa
1 2
2
pre piú a un triangolo, man mano che la base di da H a H + ∆H:
ciascun rettangolo rimpicciolisce, come si vede dal-
l’animazione del Filmato 57.3. Al limite, se la base
dh è abbastanza piccola da non permetterci di po- 1 1
∆F (H) = F (H + ∆H)−F (H) = (H + ∆H)2 − H 2 .
terla apprezzare, la figura complessiva ha proprio la 2 2
(57.95)
forma di un triangolo di base H e altezza H la cui
Espandendo il quadrato la differenza fa
area vale 21 H 2 pertanto
Z H
1 1 1 1
αA h dh = αAH 2 . (57.88) F (H + ∆H)−F (H) = H 2 + ∆H 2 +H∆H− H 2 .
0 2 2 2 2
Cosí abbiamo almeno due regole di calcolo integrale: (57.96)
Se ∆H è piccolo ∆H 2 è piccolissimo e si può tra-
scurare (se ∆H ' 0.1, ∆H 2 ' 0.01) e possiamo
Z a
dx = a (57.89)
0
scrivere che
e
a
(57.97)
Z
1 F (H + ∆H) − F (H) ' H∆H .
x dx = a2 . (57.90)
0 2
Quando calcoliamo e
H ∆F (H)
(57.98)
Z
'H.
x dx (57.91) ∆H
0
Nel caso in cui si debba valutare
valutiamo l’area compresa tra l’asse delle ascisse e
la retta di equazione y = x limitandoci alle ascisse Z H
comprese tra 0 e H. È chiaro che se spostiamo tutta dh = H (57.99)
0
la figura di una quantità b verso destra l’area non
può cambiare perciò potremmo ugualmente scrivere abbiamo che l’integrale, come funzione di H, ha la
che seguente proprietà
Z H+b
1
x dx = H 2 (57.92) ∆F (H) = F (H + ∆H)−F (H) = (H + ∆H)−H = ∆H ,
2
b
(57.100)
interpretando il risultato come il che significa che
Z H+b
1 ∆F (H)
x dx = H × (H + b − b) (57.93) ' 1. (57.101)
2 ∆H
b
(3 × 108 ) m−2 s2 ' 0.18 × 10−26 Jm−2 s2 . Conside- riportare le unità di misura a quelle del SI.
−2
E 2 = p2 c2 + m2 c4 (57.104)
che, in unità naturali, si scrive
E 2 = p2 + m 2 . (57.105)
Esercizio 57.8 r
2E
Se un razzo di massa m si trova nel campo vmin = . (S.113)
m
gravitazionale terrestre la sua energia potenziale L’energia che un razzo fermo possiede a terra è
vale
mM
mM E = −G (S.114)
U = −G 2 (S.108) r0
r
a distanza r dal centro della Terra. La sua energia
totale E è la somma di quella cinetica K = 21 mv 2 e
Esercizio 1
di quella potenziale U . Il valore di E deve rimanere Osservati da Terra, gli orologi a bordo di un satellite
costante in assenza di qualsiasi dispositivo in grado GPS si muovono piú lentamente perché la velocità
di fornire o sottrarre lavoro al razzo. Se E resta della luce c è la stessa a bordo del satellite che si
costante significa che r può essere costante solo se muove e per noi che siamo fermi. Espressa nel SI la
lo è anche v, ma lo stesso risultato si può ottenere velocità dei satelliti GPS è di 4 000 m/s. In unità di
se r diminuisce all’aumentare di v: c è quindi
1 mM
E = mv 2 − G 2 (S.109) 4 × 103
2 r β= ' 1.3 × 10−5 (S.115)
3 × 10 8
da cui si ricava che
e di conseguenza il fattore di Lorentz γ vale
1 1 1 2
= mv − E . (S.110)
r2 GmM 2 1
γ=p ' 1.0000000001 , (S.116)
Piú r è piccolo piú v è grande e vale la seconda 1 − β2
Legge di Keplero per cui all’afelio, un pianeta si
muove piú lentamente che al perielio. differisce cioè da 1 per una parte su 1010 (possiamo
Il massimo valore di r, rM si ottiene quando K scrivere γ = 1 + 10 ). Di conseguenza, indicando
−10
assume il suo valore minimo, il che si verifica quando con τ il tempo trascorso a bordo del satellite e con
t quello misurato a Terra, essendo t = γτ , si ha che
mM 1 2
G 2 = mvmin − E . (S.111) un secondo a bordo del satellite−10 dura un po’ piú di
rM 2 quello a Terra: precisamente 10 secondi in piú.
Affinché rM = ∞ si deve avere La durata di un giorno è maggiore di 86400 ×
10 −10 5
' 10 × 10 −10
= 10 secondi. In un mese gli
−5
1 2
E − mvmin = 0 (S.112) orologi accumulano un ritardi pari a 30 volte questo,
2 pari a 3 × 10 s e in un anno il ritardo ammonta a
−4
ben 3 × 108 × 3.6 × 10−3 = 1 080 000 m, cioè piú di cinetica del fascio è trasferita all’acqua. Il trasfe-
1 000 km! rimento di energia provoca un innalzamento della
Dal momento che i satelliti GPS orbitano a una temperatura ∆T di m kg di questa per il quale
quota di 20 000 km, sbagliare la loro distanza di
1 000 km significa commettere un errore del 5 %, ∆U = mca ∆T (S.118)
che naturalmente si riflette in un errore analogo sul-
essendo ca = 4.186 J/(kg K) il calore specifico del-
la posizione rilevata a terra. Il che può significare
l’acqua. Imponendo che ∆U = K si trova il numero
un errore nella determinazione del punto d’inter-
di elettroni nel fascio:
sezione delle sfere dell’ordine di alcuni km. Senza
le correzioni relativistiche apportate agli orologi di mca ∆T
bordo (che a Terra sono starati in modo da mar- N= . (S.119)
e∆V
ciare piú rapidamente di quanto dovrebbero cosic- La massa dell’acqua si trova sapendo che la sua den-
ché in volo sono sincronizzati con quelli a Terra), la sità è ρ = 1 kg/`3 pertanto m = 2 kg. Abbiamo
costellazione GPS sarebbe del tutto inutile. dunque
Esercizio 3 L 150
t= = ' 9 × 10−7 s = 0.9 µs . (S.124)
v 1.7 × 108
Il fascio di N elettroni che attraversa la differenza
di potenziale ∆V acquista un’energia cinetica com- Se non avessimo usato la cinematica relativistica, la
plessiva K = N e∆V , dove e è la carica dell’elettro- velocità degli elettroni sarebbe risultata essere pari
ne in modulo. Quando colpisce il bersaglio l’energia a
r r
2K 2
' ' 0.6 , (S.125)
r
v= 1
m 5 β= 1− ' 0.9999999898 . (S.131)
γ2
che in unità SI vale v = 0.6×3×10 = 1.8×10 m/s.
8 8
Gli elettroni dovrebbero quindi impiegare Se non tenessimo conto della relatività otterremmo
per r il valore di
L 150
tc = ' = 0.8 µs . (S.126)
v 1.8 × 108
1.7 × 10−27 × 3 × 108
Eseguendo l’esperimento si trova, in effetti, che r= −19 × 8.4
' 0.38 m (S.132)
quando l’acqua aumenta la propria temperatura di 1.6 × 10
10−4 ◦ C, il tempo impiegato dagli elettroni a rag- (la massa del protone in unità SI si trova dividendo
giungere il calorimetro è compatibile con l’essere la massa in GeV per c2 ). In effetti la massa del pro-
0.9 µs e non compatibile con 0.8 µs. tone aumenta di un fattore γ e dunque il raggio di
curvatura dell’orbita è di
Esercizio 4 γr = 7 000 × 0.38 = 2660 m . (S.133)
I protoni circolano lungo un anello grazie alla Forza La lunghezza della traiettoria è quindi di ben L =
di Lorentz che si scrive 2πr ' 17 km! In effetti LHC è ancora piú lungo:
27 km. Il motivo è che la macchina non ha la for-
F = ev ∧ B . (S.127) ma di una circonferenza, ma di un ottagono con gli
spigoli curvi, per semplificarne la costruzione. Il rag-
Dal momento che il campo magnetico è perpendi-
gio di curvatura che abbiamo calcolato, dunque, è
colare a v il modulo della forza vale semplicemente
quello che si trova in corrispondenza degli spigoli
F = evB. Nel sistema di riferimento del protone
dell’ottagono.
questa forza dev’essere assente e quindi dev’essere
uguale e contraria alla forza centrifuga il cui modulo
è F = mv 2 /r. Uguagliando queste due quantità si Esercizio 1
ricava
Il tempo in prossimità di un corpo massivo scorre in
v2
evB = m (S.128) maniera diversa rispetto a quanto fa in assenza di
r gravità. I satelliti della costellazione GPS orbitano
da cui possiamo ricavare il raggio dell’orbita a una quota di 20 000 km da Terra (la cui massa
mv è di circa 6 × 1024 kg) e sono quindi soggetti a un
r= . (S.129) potenziale gravitazionale
eB
L’energia cinetica dei protoni è molto piú alta della
loro massa a riposo perciò possiamo porre v ' c. In M 6 × 1024
G=G = 6.6×10−11 ' 2.0×1010 m2 s−2 .
effetti il fattore di Lorentz dei protoni, sapendo che r 2 × 104
m ' 1 GeV, vale (S.134)
Un orologio sulla Terra invece è soggetto a un
E 7 × 1012 potenziale di
γ= ' = 7 000 , (S.130)
m 109
e quindi M 6 × 1024
G 0 = G 0 = 6.6×10−11 ' 6.6×1010 m2 s−2 .
r 6 × 10 3
(S.135)
uno). Per avere la lunghezza in metri basta moltipli- supponiamo che una particella di energia E0 viag-
care per opportune potenze di c e di ~ in unità SI. gi per un tempo t0 sufficientemente piccolo duran-
Moltiplicando per ~ che ha le dimensioni di un’ener- te il quale la probabilità di guadagnare energia si
gia per un tempo otteniamo una grandezza che le può considerare costante: P ' p. Se dopo essere so-
dimensioni di un tempo, che possiamo trasformare pravvissuta all’attraversamento di questa regione,
in una lunghezza moltiplicando per una velocità: avendo guadagnato energia, si muove ancora per
un tempo t, la probabilità di guadagnare energia
λ[m] = λ[eV−1 ]~[eV s]c[ms−1 ] dall’istante t = 0 è ora
= 2.1 × 10−5 × 6.58 × 10−16 × 3 × 108 ' 4.3 × 10−12 m P = p2 (S.149)
(S.144)
Per confronto le onde luminose hanno una lunghez- e cosí via: dopo aver attraversato n strati, ciascuno
za d’onda dell’ordine dei 500 nm, cioè di 5×10−7 m, per una durata molto breve, la probabilità di so-
vale a dire 5 ordini di grandezza maggiore! Un mi- pravvivenza è P = p . Scriviamo n come n = t/t0
n
croscopio elettronico perciò permette di apprezzare e osserviamo che P deve essere un numero compre-
dettagli 100 000 volte piú piccoli rispetto a quello so tra 0 e 1, cosí come p. Ridefinendo p = 1/k,
ottico. possiamo scrivere
− tt
P =k 0 (S.150)
Esercizio 1 Cosí facendo è evidente che, per t = 0, P = 1 (cioè
Se il guadagno di energia ∆E da parte di una par- la probabilità di sopravvivenza dopo un tempo t = 0
ticella di energia E che attraversa in un tempo ∆t è 1, che è ovvio perché non essendo trascorso alcun
una regione di spazio in cui viene accelerata è tempo lo stato della particella non può essere cam-
biato), mentre per t → ∞, P → 0 (cioè per tempi
∆E = αE∆t (S.145) molto molto lunghi è improbabile che la particella
sopravviva). Questo sembra del tutto ragionevole.
dividendo per E abbiamo che Possiamo naturalmente scrivere che
∆E
= α∆t . (S.146) t − tτ t − tτ τ − τ
E − tt τ
perciò
q p
2 2 2
2 2
P = AE . −γ
(S.155) m n − m p − me c −2p = 2 p 2 + m2 c2
p p2 + m2e c2
Quindi il numero di particelle di energia E che giun- (S.162)
geranno a noi dopo aver viaggiato per un tempo t ed eleviamo al quadrato entrambi i membri:
è proporzionale a questa probabilità e va dunque
come una legge di potenza. 2
M 2 c2 − 2p2 = 4 p2 + m2p c2 p2 + m2e c2 ,
(S.163)
dove M = mn − mp − me . Notate che l’espres-
2 2 2 2
Esercizio 1
sione a secondo membro ha le dimensioni di una
L’energia di una particella di massa m e quantità di massa al quadrato e cosí, sebbene si potesse defi-
moto p è nire quest’espressione con una generica variabile x,
abbiamo preferito usare il simbolo M 2 per rendere
(S.156) palese il fatto che si tratta di una grandezza fisica
p
E = p2 c2 + m2 c4
che ha queste dimensioni. Questo aiuta sempre nella
dove c è la velocità della luce. soluzione di un problema di fisica.
Considerando che nello stato iniziale abbiamo un Sviluppiamo i quadrati e semplifichiamo. Prima
neutrone fermo, indicando con mn la sua massa, abbiamo
l’energia vale
L2 L2
r= + s ' 97 mm . (S.180) s'
. (S.185)
4s 2r
L’errore da attribuire a questa quantità si dovrebbe Quando r diventa un fattore tre piú ampio, s di-
ricavare usando le regole della propagazione degli venta un fattore 3 piú piccola, quindi ci aspettiamo
errori. In questo caso possiamo limitarci a stimarlo una sagitta di circa 1.7 mm, che è proprio quel che
osservando che l’errore relativo sulla misura della si vede eseguendo la misura (con la risoluzione che
sagitta (il peggiore tra i due) è dell’ordine del 20 % abbiamo assunto possiamo vedere che la sagitta è
di circa 2 mm). Evidentemente il positrone provie- rionico è complessivamente nullo nello stato finale,
ne dal lato in cui la sua energia è maggiore, quin- cosí come nello stato iniziale.
di, guardando la foto si comprende che percorre gli Non può invece dare origine alla produzione di
archi di circonferenza in senso antiorario. p + n + π − perché il numero barionico dello stato
La Forza di Lorentz F~ = q~v ∧ B ~ è diretta in mo- finale vale B = 2, mentre è sempre nullo nello stato
do tale da essere perpendicolare alla velocità e al iniziale.
campo e il suo verso deve essere quello uscente dal
palmo della mano destra con il pollice messo in di-
rezione della velocità e le altre dita in direzione del Esercizio 1
campo. Il campo quindi deve essere perpendicolare
Consideriamo l’urto di un protone di massa m e con
al piano della foto ed entrante in esso.
velocità v con un altro protone fermo nel sistema di
riferimento del laboratorio e che nell’urto si produca
Esercizio 1 un π 0 . La reazione che stiamo studiando è
piú rispetto alla massa a riposo della particella. Nel da cui si ottiene che
nostro caso abbiamo dunque
M 2 c4 − m2π c4 − mc2
E E π = . (S.226)
L = γcτ = τ. (S.219) 2mc2
mc Quando dunque il pione assume quest’energia si può
Un pione di 300 MeV/c di quantità di moto, avendo formare una particella di massa M . È in corrispon-
una massa pari a circa 140 MeV/c2 ha un’energia denza di questi casi che si osserva l’aumento della
pari a sezione d’urto. Usando l’equazione (S.226) si può
quindi conoscere la massa della particella che si è
q formata conoscendo l’energia del pione in corrispon-
2 2 2 4
E = (300 MeV/c) c + (140 MeV/c ) c ' 330 MeV
2
denza della quale la sezione d’urto presenta il valore
(S.220) massimo.
Esercizio 3
E 2 = Ein
2
− p2in c2 (S.232)
Per produrre le risonanze ∆ con fasci di pioni si
deve conservare, oltre alla carica elettrica, anche il dove Ein è l’energia complessiva dello stato inizia-
numero barionico. Le ∆ sono barioni perciò, se nello le composto del pione e del protone, mentre pin l̀a
stato finale c’è solamente una ∆, il numero bario- quantità di moto di questo stesso stato. Nello stato
nico dello stato iniziale deve essere B = +1, che si iniziale l’unica particella in moto è il pione perciò
può ottenere con un neutrone oppure un protone. Il
segno del pione dipende quindi dalla risonanza che pin = pπ (S.233)
si vuole produrre. Per la ∆− , ad esempio, la cari- mentre all’energia contribuiscono sia il pione che il
ca complessiva dello stato iniziale deve valere −1 in protone:
unità di carica del protone, perciò la reazione è
π − + p → ∆0 . (S.228)
Le altre due reazioni sono m2K c4 = Eπ2 + m2p c4 + 2Eπ mp c2 − p2π c2 (S.235)
e osservando che
π + + n → ∆+ (S.229)
e Eπ2 − p2π c2 = m2π c4 (S.236)
Per calcolare l’energia minima che dovrebbe avere dalla quale si ricava l’energia che deve avere il pione:
un fascio di pioni per produrre un mesone K pos- m2K − m2π − m2p 2
siamo procedere analogamente a quanto fatto nella Eπ = c (S.238)
soluzione dell’Esercizio 1. 2m p
E = m K c2 (S.231)
dove mK è la massa del K. Questa energia deve
essere disponibile nel centro di massa del sistema
pione–protone, in cui il protone è fermo e il pione si
muove. Ricordando che la massa di una particella è
un invariate relativistico possiamo affermare che
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589
INDICE ANALITICO 590
composizione delle velocità, 442 cosmici, raggi, 440, 495, 497, 498, 502, 505, 507,
galileiana, 151 513, 527, 540
Compton, effetto, 475 costante
Compton, lunghezza d’onda, 476 di Boltzmann, 281
concatenata, corrente, 395 di Planck, 511, 567
condensatore, 349 di Stefan–Boltzmann, 56
condensatori costante di Boltzmann, 242, 284
in parallelo, 356 costante dielettrica, 321
in serie, 356 costante elastica, 157
conducibilità elettrica, 359 costante universale dei gas, 242
conducibilità termica, 54 Coulomb, 291
conduzione, 54 Coulomb, Charles, 291
confinamento, 537 Coulomb, costante di, 291
conservativa, forza, 216 Creative Commons, 3
conservazione credito, carta di, 421
del numero barionico, 509, 531, 539, 577 cristallo drogato, 488
del numero leptonico, 509, 539, 577 cruise control, 128
dell’energia, 215, 503, 510, 518, 543, 577 Ξ, 529, 531, 533
della carica, 502, 505, 509, 577 Ξ∗ , 531
della massa, 41 curling, 229
della quantità di moto, 94, 226, 229, 499, 503,
578 da Vinci, Leonardo, 184
della stranezza, 528 Dalton, John, 253
contactless, 421 dB, 101
contrazione della lunghezza, 441 debole, forza, 516
convezione, 55 debole, interazione, 516
coordinate, 116 debole, interazione o forza, 503, 549
cartesiane, 116 decadimento, 515, 516
polari, 116 β, 502
Copernico, Niccolò, 16 del muone, 505
corda, 83 decadimento β, 503
core, 72 decadimento radioattivo, 41
Coriolis, forza di, 195 decibel, 101
Coriolis, Gaspard–Gustave, 195 decupletto di barioni, 532
corpo libero, 223 deferente, 17
corpo nero, 471 definizione operativa, 515
corrente, 487 ∆, 523, 531, 533, 536
concatenata, 395 Democrito, 253
di spostamento, 398 derivata, 128, 175, 399
corrente alternata, 401 derivata, grandezza fisica, 20
corrente continua, 363 destra, regola della mano, 375
corrente elettrica, 354 determinante, 369
coseno direttore, 121 deviazione standard, 31, 286
cosmici, provenienza dei raggi, 499 diagramma di Feynman, 546
diapason, 82