Fisiologia Umana
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Fisiologia Umana
Piso
Appunti di fisiologia
Piso
Sistema cardiocircolatorio
Piso
La compliance si modifica molto durante l’età: dopo i 40 anni i vasi diventano meno
distensibili a parità di volume interno si ha un minor grado di compliance gli anziani
hanno pressione più alta.
Di un vaso, oltre alla distensibilità, va definita la capacità che è il volume massimo del vaso a
pressione zero (volumi maggiori di fluido distenderebbero la parete aumento pressione).
Lo scopo del sistema circolatorio è far scorrere nell’unità di tempo il sangue necessario a
garantire il metabolismo delle diverse strutture: il flusso (F) cambia in relazione al fabbisogno
dell’organismo.
Il flusso trova delle resistenze (R), dovute agli attriti che il sangue riscontra passando nei vasi,
a causa delle quali il sangue tende ad accumularsi un po’ (nelle arterie bassa compliance)
generando una pressione (P) R determina il P necessario per garantire un determinato
flusso.
Nei vasi del circolo polmonare la pressione è bassa, mentre nel circolo sistemico è elevata
nonostante contengano lo stesso volume di sangue e ciò è possibile perché sono diverse le
resistenze. La relazione tra queste variabili è espressa dall’equazione del flusso: F = P/R.
Nel circolo sistemico il salto pressorio è ≈ 100 mmHg ( 100 al ventricolo e 0 all’atrio), il
flusso è, in condizioni di riposo, 5 l/min e la resistenza è 20 mmHg/l/min.
Parliamo del flusso in termini di gittata cardiaca (sangue che esce dal cuore in un minuto: 5
l/min) e ritorno venoso (sangue che torna al cuore in un minuto): i due valori devono essere
uguali nei diversi distretti il sangue sarà sempre la stessa quantità: il sangue che entra in
aorta a un certo punto si troverà tutto nelle arteriole, poi tutto nei capillari etc. Se così non
fosse l’alterazione della relazione tra distretto e distretto farebbe aumentare la pressione a
monte: es: se il ventricolo sx pompa 4 l e il dx 5 l aumenta la pressione nel piccolo circolo
fino all’edema polmonare scompenso respiratorio; se il dx 4 l e il sx 5 l ascite.
Il flusso di sangue in uscita dal cuore si distribuisce ai vari organi in percentuale diversa, a
seconda delle singole esigenze metaboliche, ma in ogni sezione
del sistema circolatorio il flusso totale è 5 l/min: 5% coronarie;
15% cervello, 20% muscoli, 7% fegato, 23% digerente, 20%
reni (R molto bassa), 10% cute: è la resistenza dei vasi che
distribuiscono il sangue ad un organo (arteriole) che determina la
quantità di flusso che irrora l’organo stesso (a parità di P se
aumenta R diminuisce F). Potendo le arteriole cambiare il loro
calibro possono far modificare l’apporto di sangue al tessuto che irrorano (es: cute: diminuisce
flusso se freddo (vasocostrizione), aumenta se caldo (vasodilatazione), cambiando R).
Generazione del P
Modello semplificato di sistema circolatorio: la pompa (cuore) e i vasi sono collegati a
formare un circuito chiuso, in cui ogni distretto è rappresentato da un singolo condotto: il
sistema è pieno di sangue, i vasi sono elastici, esiste una resistenza periferica e il volume di
sangue che viene spinto dalla pompa in circolo deve essere uguale al volume di sangue che
torna dal circolo alla pompa.
Se R = 0 e F = 5 l P=0 il cuore dovrebbe solo fornire
energia cinetica (½ mv2); se R = 20 e F = 5 l P = 100 il
2
sangue deve fornire energia per muovere il sangue (½ mv ) e
per generare una pressione.
Il sistema arterioso ha una pressione che dipende dalla
capacità che ha il sangue di fluire attraverso le arteriole: il
sangue arriva dal ventricolo sx nell’aorta, ma solo una piccola
parte riesce ad andare nelle arteriole in sistole (perché i vasi
sono piccoli resistenza) e tenderà quindi ad accumularsi nel
Piso
vaso arterioso che ha bassa compliance la pressione ora il sangue riesce a superare la
resistenza (diastole) la pressione arteriosa dipende dalle resistenze periferiche totali (RPT),
ma anche dalla gittata cardiaca, dal volume circolante (liquidi introdotti) e dalla compliance
vasale.
Se il cuore non pompasse, il sangue non si muoverebbe la pressione causata dal liquido
sarebbe uguale dovunque (anche se più sangue dove più distensibile) e pari a 7 mmHg
(pressione di riempimento medio).
Se il cuore pompa sangue la pressione sale nel sistema arterioso finché non è in grado di
superare le resistenze periferiche e andare nel sistema venoso.
Emodinamica
Differenze con l’idraulica: tubi rigidi/elastici, tubi a tenuta/possono perdere liquido, energia
data continuamente/pompa intermittente, indifferenza/importanza della pressione esterna,
fluido newtoniano/liquido viscoso.
Il flusso (o portata) è la quantità di sangue che nell’unità di tempo passa in una sezione
trasversa di albero circolatorio. La velocità del fluido è direttamente proporzionale al flusso e
inversamente alla sezione trasversa del vaso (F = Sv v = F/S). A parità di flusso se si riduce
S (es. stenosi) la v aumenta, se aumenta S la v
diminuisce (legge di Leonardo); ciò è importante
perché la sezione trasversa dell’aorta è minore della
sezione totale delle arteriole che è minore della
sezione totale dei capillari (perché sono molto più
numerosi), ma il flusso è sempre 5 l all’aumentare
del letto circolatorio la velocità del sangue
diminuisce progressivamente, favorendo i processi di
scambio.
Resistenza
La legge di Hagen-Poiseuille, valida per il flusso laminare di un liquido omogeneo in un tubo
rigido, ci dice che la resistenza che subisce il sangue è direttamente proporzionale alla
viscosità e alla lunghezza del vaso e inversamente proporzionale al raggio del vaso: R =
8 l/ r4 F= Pr4/8 l. Poiché il raggio ( il calibro) è elevato alla quarta potenza ha
un’importanza più grande.
• Dipendenza della R dal calibro: sperimentalmente vediamo che a parità di pressione la
velocità del liquido è maggiore in un tubo a diametro maggiore poiché v ~ r2 F = Sv = ( r²)
· r² = r4 diminuire il raggio del vaso significa avvicinare tra loro le pareti e quindi gli
attriti le lamine più interne progressivamente avranno velocità minore se si riduce il
calibro diminuisce flusso e velocità. Ciò sembra andare contro il principio di Bernoulli, ma in
realtà quest’ultimo vale per brevi restringimenti (l’energia totale non diminuisce), mentre per
lunghi restringimenti gli attriti sono tali da far diminuire l’energia totale: riduzione sia della
velocità (energia cinetica) che della pressione (energia potenziale)). Quindi il sangue che
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arriva alle arteriole, che rappresentano un lungo percorso, diminuirà in pressione e velocità; i
capillari non comportano una resistenza importante come le arteriole per il loro essere molto
più in parallelo (vd. dopo).
• Dipendenza della R dalla viscosità ( ): la (si misura in poise) è la forza tangenziale di
attrito che si oppone allo scorrimento di 2 lamine di liquido adiacente ed è espressa dalla
relazione = (Ftaglio/S)/( v/ x) ( v: differenza di velocità tra le lamine; x: distanza tra le
lamine; v/ x: gradiente di velocità tra 2 lamine).
• dipende dall’ematocrito (Ht): con un viscosimetro
vediamo che la viscosità del plasma è 2 centipoise per
la presenza di proteine (acqua = 1 centipoise), mentre la
viscosità del sangue sale esponenzialemente da 2 a 10
in funzione del salire dell’ematocrito, ossia della quota
dei corpuscoli presenti nel sangue; ad un Ht normale
(45%) corrisponde una viscosità di 3,5 centipoise
(diminuisce nelle anemie e aumenta nelle policitemie).
Se sale anche lievemente l’ematocrito incrementa
molto la viscosità notevole aumento della R (il cuore
deve generare più energia e ipertrofizza).
• è influenzata dalla velocità: all’aumentare della velocità diminuisce (se il cuore aumenta
gittata è utile che si abbassi la viscosità e quindi la resistenza), al diminuire della velocità
aumenta ed è problematico perché aumenta la R e ci
sono rischi di aggregazione a rouleaux (pila di monete)
dei globuli rossi che poi tendono a coagulare (possibili
fenomeni trombotici).
In un vaso in cui il sangue scorre con moto laminare i
globuli rossi vengono spinti con più violenza nella loro
parte più centrale (poiché le velocità sono maggiori al
centro) rispetto a quella più vicina alla parete del vaso e
ciò ne determina una rotazione che li porta ad
accumularsi al centro del vaso (accumulo assiale)
mentre il plasma rimane prospiciente alle pareti la
viscosità relativa del sangue è maggiore al centro del
vaso (elevato ematocrito) e minore alla periferia
(dove il sangue è a contatto con le pareti attrito) e
la viscosità media risulta in questo modo inferiore a
quella attesa dal valore dell’ematocrito. La velocità di
migrazione del globulo rosso è proporzionale al
gradiente di velocità ( v/ x).
• dipende anche dal calibro del vaso: la viscosità del sangue diminuisce al diminuire del
calibro (effetto Fahraeus-Lindqvist) nonostante diminuisca anche la velocità del sangue
(vd. sopra) può comunque continuare il flusso: nei vasi più piccoli x è più piccolo il
gradiente di velocità è maggiore maggior accumulo assiale dei globuli rossi
diminuzione Ht diminuzione . Questo fenomeno si osserva nel passaggio da vasi con
calibri inferiori a 300 m (arteriole) a vasi con calibro di 20 m mentre nel capillare la
viscosità diventa infinita poiché il globulo rosso tocca le pareti
(rapporto solido-solido anziché liquido-solido). Inoltre la
diminuzione dell’Ht ( ) al diminuire del calibro del vaso è dovuto
anche al fatto che a livello delle biforcazioni delle arteriole le linee
di scivolamento degli eritrociti fanno sì che la maggior parte di essi
rimanga al centro del vaso di diametro maggiore (la biforcazione
parte dalla periferia del vaso dove sta prevalentemente plasma)
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solo una minoranza di eritrociti imbocca le diramazioni più piccole, determinando così una
riduzione dell’ematocrito.
Il globulo rosso riesce a passare in un capillare grazie alla sua deformabilità che può però
essere alterata da patologie (vd. anemia falciforme minor accumulo assiale maggior
maggior R) o da variazioni del pH ematico (aumenta in alcalosi e diminuisce in acidosi).
• Dipendenza della R dal moto del sangue: solitamente il fluire del sangue è rappresentato da
un moto laminare: le particelle di liquido si muovono secondo lamine cilindriche coassiali, di
spessore infinitesimo, che scivolano l’una sull’altra, con velocità crescente dalla periferia
verso il centro (la lamina a contatto con la parete è praticamente ferma). La velocità della
lamina più centrale è massima e il profilo delle velocità definisce
una curva parabolica.
In seguito ad un aumento di velocità il fluido può assumere moto
turbolento in cui le particelle del liquido si muovono con moto
vorticoso aumentando la resistenza poiché aumentano gli attriti
energia mentre per il moto laminare F ~ P, per il moto
turbolento F ~ √ P dovendo aumentare di più la pressione la
spesa energetica è maggiore.
Il valore empirico (numero di Reynolds) oltrepassato il quale il
moto passa da laminare a turbolento (ciascun distretto ne ha uno caratteristico, ma è ≈ 2000) è
descritto dalla relazione: NR = rv / (esiste una v critica). Normalmente quando NR < 1000 si
ha moto laminare, quando NR 2000 moto turbolento (per valori intermedi moto
intermedio).
Normalmente il moto del sangue è laminare, tranne in prossimità delle valvole e ciò si può
sentire perché il moto turbolento fa rumore.
Se un vaso ha una stenosi (es. placca ateromasica possiamo usare bernoulli) il moto del
sangue rimane laminare nel tratto stenotico, poiché sebbene aumenti v diminuisce r, mentre
subito dopo r torna normale, ma il sangue esce dal restringimento con v maggiore moto
turbolento.
Il moto turbolento è dannoso perché richiede più energia, perché facilità la formazione di
trombi e provoca spinte laterali nel vaso che causano una dilatazione poststenotica (possibile
rottura).
Anche l’anemia causa turbolenza perché: diminuisce la viscosità (perché basso Ht) e impone
una maggiore gittata cardiaca.
Per misurare la pressione provochiamo un restringimento dell’arteria moto turbolento
appena dopo il restringimento rumore.
• Dipendenza della R dalla disposizione
dei vasi: i vasi si possono disporre tra di
loro in serie o in parallelo; se
consideriamo 3 vasi in serie la Rtot offerta
al moto del sangue sarà data dalla
sommatoria delle R dei 3 vasi (Rtot = R1 +
R2 + R3), ma la maggior parte del circolo è
in parallelo (diramazioni da un vaso) e in
questo caso è la conduttanzatot (capacità di
passare delle molecole) che è data dalla
sommatoria delle conduttanze dei vari vasi
in parallelo (Ctot = C1+C2+C3) e poiché C
= 1/R 1/Rtot = 1/R1 + 1/R2 + 1/R3 e si
ottiene un valore di Rtot minore delle
singole R (maggiore è il numero di canali in parallelo, minore è R).
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Se ci troviamo in ortostatismo dobbiamo considerare l’effetto sui vasi, che sono distendibili,
della pressione idrostatica che dipende dalla densità del liquido, dalla gravità e dall’altezza
della colonna di liquido: Pi = gh.
Per ragionare in mmHg la Pi esercitata da una colonna d’acqua (= sangue) va moltiplicata per
0,74 ( H2O/ Hg = 1/13,6).
Il livello del cuore è detto livello di riferimento (P0): al di sopra la pressione, sia nel lato
arterioso che venoso, tende a diminuire poiché h < 0 (P = P0 - gh), al di sotto tende ad
aumentare perché h > 0 (P = P0 + gh) sopra al livello del cuore (100 mmHg) la pressione
sarà minore (fino a 40 mmHg) e sotto maggiore (fino a 170 mmHg).
Negli astronauti il viso si gonfia perché non siamo strutturati per difenderci da elevate
pressioni verso l’alto, mentre possiamo attenuare gli effetti del gravare del sangue verso il
basso.
La Pi non influenza il movimento del sangue poiché i valori pressori importanti per il flusso
sono quelli generati dal cuore e ridotti dalle resistenze i globuli rossi possono andare verso
una pressione più alta (da 100 a 170) poiché i 90 mmHg in più dovuti all’altezza (pressione
idrostatica) scaturiscono da una forza che spinge il liquido verso il basso.
Ma Pi è invece importante in 2 situazioni critiche: • verso l’alto può far scendere la pressione
sotto i 40 mmHg le arterie tenderebbero a chiudersi (vd. pressione critica di chiusura)
svenimento (non arriva sangue al cervello) posizione clinostatica scompare Pi la
pressione torna normale i vasi si riaprono; • verso il basso, nelle vene, a una pressione di 10
mmHg si aggiungono i 90 mmHg dovuti alla Pi dilatazione e il sangue tende a stagnare; per
prevenire questo effetto le colonne di liquido (vasi venosi) sono interrotte da valvole le
colonnine reali che agiscono sono di pochi cm al fine di avere una pressione non superiore ai
20-25 mmHg.
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Pressione arteriosa
La pressione arteriosa dipende direttamente dalla gittata cardiaca, dal calibro delle arteriole
( P = F · R = GS · RPT), dalla volemia e inversamente dalla compliance vasale.
Il cuore ha un’attività pulsatoria: durante la contrazione ventricolare (sistole) il cuore immette
in circolo 60-70 ml di sangue nel territorio arterioso abbiamo per un attimo un aumento di
volume poiché non tutto il sangue riesce a prendere la via delle arteriole incremento
pressorio si produce una distensione delle pareti elastiche delle arterie si accumula
energia elastica; durante la diastole la tensione elastica accumulata spinge ulteriormente il
sangue in periferia (ma anche indietro) da un moto intermittente del sangue nelle arterie (in
cui il sangue va avanti e indietro) si passa ad un moto continuo nelle arteriole e nei capillari.
Possiamo parlare di una pressione sistolica (massima), una pressione diastolica (minima), una
pressione differenziale (Ps - Pd) e una pressione media (Pa: quella effettivamente importante
per il movimento del sangue).
In un soggetto giovane Ps = 120 mmHg, Pd = 80 mmHg ( Pdiff = 40mmHg) e Pa = (Ps +
2Pd)/3 ≈ 95 mmHg (che tiene conto del fatto che nel tempo è più presene il valore diastolico).
Il polso arterioso è espressione della gittata sistolica e della compliance vasale. Maggiore è la
distensione del vaso maggiore è la tensione elastica della parete che è frutto della presenza
nella parete di fibre elastiche e collagene: se con acido formico abolissimo le fibre collagene
avremmo solo fibre elastiche grande compliance il calibro può aumentare molto senza
generare grande tensione (stessa curva tra 0-10 anni in cui dominano le fibre elastiche); se con
la tripsina eliminassimo le fibre elastiche rimarrebbero le fibre collagene piccola
compliance ad un piccolo aumentare del calibro corrisponde un grande aumento di tensione
(stessa curva tra 80-100 anni in cui dominano le fibre collagene).
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L’area normale di pressione sta tra 75 e 130, ma in tale variazione pressoria alle diverse età le
arterie si dilatano in maniera diversa: dal 50 al 200% nei giovani e 20% negli anziani (perché
più rigido).
Se troviamo aumentata la pressione sistolica dobbiamo pensare a un aumento della gittata
sistolica o ad una diminuzione della compliance vasale; se troviamo un incremento della
pressione diastolica dobbiamo pensare ad un aumento del ritorno elastico ( C) e delle
resistenze periferiche (es. vasocostrizione) sia Ps che Pd dipendono dalla compliance, ma la
prima anche dalla gittata cardiaca e la seconda dalle resistenze (se GS o C Ps; se
RPT o C Pd); la pressione differenziale aumenta all’aumentare della GS (a parità di C)
o al diminuire della C (a parità di gittata sistolica).
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(alternanza simpatico e parasimpatico) nel ciclo circadiano e in misura minore ogni minuto
(un aumento del tono del simpatico fa crescere la P arteriosa perché vasocostringe e aumenta
la gittata cardiaca; III ordine) i valori ottenuti vanno confrontati con valori misurati in
condizioni simili.
Le misurazioni vanno fatte su pazienti stesi o seduti in maniera tale che il braccio sia allo
stesso livello del cuore così da non far variare la P arteriosa a causa della P idrostatica.
Esiste anche un polso venoso o polso giugulare (vd. Cuore – Polso giugulare) poiché i vasi
venosi in prossimità del cuore risentono dell’attività intermittente del cuore che in fase
diastolica atriale aspira sangue dalle vene mentre in sistole chiude le valvole causando un
aumento di P (nell’ordine di 4-5 cmH2O, no mmHg, poiché grande compliance scarso
aumento P).
Perché il muscolo cardiaco si contragga è necessario che i filamenti di actina e miosina siano
attivati attraverso il legame col Ca2+ per generare forza o accorciamento.
Il 10-50% della contrazione è dovuto all’entrata di Ca2+ attraverso canali per il Ca2+ voltaggio-
dipendenti aperti dal pda che spazzola
sulla superficie delle fibre cardiache; il
50-90% è dovuto all’uscita di Ca2+ dal
reticolo sarcoplasmatico in seguito al
legame del Ca2+ extracellulare ai
recettori della rianodina (RyR); il Ca2+
viene quindi ripompato nel reticolo o
portato fuori dalla cellula da uno
scambiatore Na+(3 dentro)/Ca2+(fuori)
(NCX); il Na+ esce quindi grazie alla
pompa Na+/K+. I gangliosidi cardioattivi
vanno a bloccare la pompa Na+/K+
Na+ intracellulare non può uscire
2+ 2+
Ca Ca intracellulare si rafforza la contrazione del muscolo (farmaco utile se
muscolo ipofunzionante). Il fosfolambano riduce l’attività della SERCA (ATP-asi adibita alla
ricaptazione del calcio nel reticolo sarcoplasmatico).
Il pda della fibrocellula muscolare cardiaca (linea blu) è
particolare poiché mantiene la cellula a lungo
deporalizzata (200-300 ms) entra Ca2+ (linea rossa)
contrazione (linea verde). Il perdurare
dell’eccitazione elettrica durante tutta la contrazione
muscolare impedisce che le scosse muscolari si possano
sommare.
Effetto inotropo: la variazione di Ca2+ intracellulare
modula la forza di contrazione del miocardio e la
contrattilità, cioè la capacità della fibra di generare
forza (indipendentemente da fattori esterni: regolazione
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Relazione tensione-lunghezza
A parità di contrattilità la forza di contrazione cambia in funzione della lunghezza del
muscolo; per il muscolo cardiaco è più corretto usare pressione e volume (regolazione
eterometrica: modificazione della macchina contrattile).
Una fibra muscolare cardiaca è composta da elementi elastici e da elementi contrattili: ciò
comporta che nel muscolo cardiaco non attivato un aumento di volume (allungamento fibre)
genera un aumento di pressione dovuto alla tensione elastica delle fibre (tensione elastica
passiva: precarico); quando il muscolo si contrae genera tensione anche la componente
contrattile (tensione totale). Sottraendo le due curve si ottiene la curva che descrive la
pressione dovuta alla sola attività contrattile cardiaca che aumenta all’aumentare del volume
fino ad un valore massimo per poi ridursi (tensione contrattile attiva) poiché dipende dal grado
di sovrapposizione tra i filamenti di actina e miosina che determina il numero di ponti traversi
che si possono effettivamente formare (Lmax = L alla quale è max il numero dei cross bridges =
lunghezza del sarcomero tra 1,35 e 2,25 m).
Mentre per un muscolo scheletrico si ha un massimo di forza (totale) sviluppata ad una
determinata lunghezza (Lmax) superata la quale la forza si riduce (poi riaumenta), nel muscolo
cardiaco all’aumentare del volume la tensione totale tende sempre a salire. Ciò avviene perché
le curve di tensione attiva e passiva si sommano in maniera diversa: la curva di tensione
passiva nel muscolo cardiaco è spostata più a
sinistra; inoltre a parità di sovrapposizione tra i
miofilamenti, la relazione T-L è più ripida nel
muscolo cardiaco, rispetto allo scheletrico.
Nel muscolo cardiaco la maggiore attivazione
dell’apparato contrattile dipende, non solo dalla
sovrapposizione dei miofilamenti, ma anche
dall’aumento, con l’allungamento, della
sensibilità della troponina al Ca2+ (man mano
scopre più siti per il Ca2+). Così, a parità di Ca2+,
aumenta il numero dei ponti actina-miosina.
Diversità del muscolo cardiaco: curva
passiva spostata a sinistra ( muscolo più rigido) e curva tensione attiva più ripida.
Una contrazione muscolare ha un’iniziale fase isometrica in cui la forza generata non è
sufficiente a spostare il carico: i ponti actina-miosina si avvicinano e viene stirata la
componente elastica; appena la forza sviluppata è superiore al carico applicato non si modifica
più e le fibre iniziano ad accorciarsi (fase isotonica); l’accorciamento termina quando si
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raggiunge la lunghezza alla quale la tensione massima generata è pari al carico ( maggiore
per carichi maggiori).
Le sostanze in grado di modificare la contrattilità causano un cambiamento della risposta: la
noradrenalina causa un incremento della capacità di generare forza a pari lunghezza del
muscolo (fase isometrica: curva più in alto) e un maggior accorciamento della fibra a pari
tensione (fase isotonica: curva più a sinistra).
È la legge di Frank-Starling (o legge del cuore) che relaziona la lunghezza alla forza
muscolare che nel cuore diventa una relazione pressione-volume: la forza di contrazione
sviluppata dalle fibre cardiache durante la sistole, e quindi la quantità di sangue espulsa dal
ventricolo, dipendono dalla lunghezza iniziale delle fibre, cioè dal volume telediastolico
(VTD). Il volume telediastolico, che dipende dal ritorno venoso, determina così la gittata
sistolica (permette un bilancio tra i due ventricoli).
A sinistra vediamo la curva, non fisiologica, che
rappresenta il comportamento di pressione e volume
(T-L) nel cuore. Si sta sempre all’interno di questi
valori, ma non li si superano mai perché il pericardio
limita il riempimento del cuore: un cuore isolato può
raggiungere una pressione diastolica massimale (
riempimento) di ≈ 30 mmHg, un cuore in situ ≈ 12
mmHg (limita danneggiamento a fibre e un lavoro
cardiaco (vd. dopo) troppo intenso).
P e V cambiano durante il ciclo, ma saranno sempre
comprese tra curva passiva e attiva.
All’inizio della diastole isovolumetrica la P scende
fino a che la P negli atri è maggiore che nei ventricoli le valvole atrio-ventricolari si
aprono; durante la diastole isotonica si ha un graduale incremento del sangue nel ventricolo
aumento V e un po’ P in funzione della quantità di sangue che entra e della rigidità della
parete (ecco perché il ventricolo di sinistra fa salire la P un po’ di più); durante la sistole
isovolumetrica si ha la chiusura delle valvole atrio-ventricolari e inizia la contrazione P
senza variazione di V fino al superamento del valore della pressione aortica/polmonare che
causa l’apertura della valvola aortica/polmonare; durante la sistole isotonica il sangue viene
pompato nel vaso V e varia un po’ P in funzione della legge di Laplace fino alla chiusura
della valvola aortica/polmonare.
Normalmente il nostro ventricolo viene riempito con ≈ 120-140 ml di sangue (volume
telediastolico) cui corrisponde una gittata sistolica di ≈ 70 ml in funzione della forza ( 70 ml
rimangono dentro). Maggiore è il ritorno venoso maggiore è il riempimento (es. sotto
sforzo) maggiore la forza maggiore la GS.
Il volume telediastolico (ritorno venoso + riserva interna) è
detto precarico (carico prima della sistole: 120-140 ml).
La contrazione cardiaca si sviluppa in condizioni
isovolmetriche finché non viene raggiunta la T (pressione)
sufficiente a vincere il carico applicato al cuore (postcarico),
rappresentato dalla pressione arteriosa diastolica (80 mmHg;
dipende da R periferiche). Una volta raggiunta questa T, la
contrazione diventa isotonica ed è associata all’espulsione del
sangue dal ventricolo.
Ciclo cardiaco
È il susseguirsi dei fenomeni di sistole e diastole (contrazione e rilasciamento del muscolo per
attivazione elettrica). Le valvole, che agiscono solo in funzione del delta pressorio,
garantiscono che il sangue non torni indietro.
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corta); quindi inizia la sistole isotonica che dura di meno nel ventricolo sinistro (perché deve
espellere sangue con maggior energia ( più veloce) e perché la pressione in aorta è
maggiore che in polmonare ( chiude prima la valvola aortica)); quando prima A e poi P si
chiudono inizia la diastole isovoulmetrica (80 ms) che dura di più nel ventricolo sinistro
poiché deve estendersi una parete molto più spessa e termina quando si aprono T e poi M.
La diastole isotonica (450 ms) inizia quando la pressione atriale supera quella ventricolare
facendo aprire M e T (protodiastole: 120 ms; scarso aumento di P perché il sangue entra
occupando gli spazi presenti) e il sangue entra nel ventricolo (diastasi: 220 ms) anche per la
contrazione dell’atrio (presistole: 110 ms).
La sistole isovolumetrica dura 50-60 ms e fa aumentare P fino a 80 (per l’aorta)/8 (per la
polmonare) mmHg; dopo l’apertura di P e A inizia un’eiezione rapida (aumenta la P nell’aorta
fino a 120-140 mmHg e 25 mmHg nel circolo polmonare) seguita da un’eiezione lenta fino
alla chiusura di A e P (II tono). A sx gli eventi isometrici iniziano prima e durano di più e
quelli isotonici iniziano dopo e durano meno.
La percentuale del VTD espulsa con la GS prende il nome di frazione di eiezione = (GS/V) ·
100 ≈ 50-70%; utile per informarci sulla buona funzionalità contrattile perché rende la GS
indipendente da V (importante perchè aumenti di V modificherebbero la P).
Possiamo valutare l’efficacia contrattile del ventricolo anche
attraverso la sua velocità di contrazione in sistole isometrica (
nessun effetto del postcarico): normalmente 1500 mmHg/s
(rilevabile con un catetere che valuta quanto rapido sia l’incremento
pressorio); valore non rilevabile facilmente quanto la frazione di
eiezione. La pendenza della tangente della curva A rappresenta il
valore normale, quella di B rappresenta il valore dell’efficacia di un
cuore attivato dal simpatico, quella di C di un cuore ipodinamico.
L’efficacia contrattile del cuore può anche essere aumentata
mediante l’aumento della frequenza cardiaca: l’attivazione ripetuta
provoca un maggior accumulo di Ca2+ (fenomeno della scala).
Polso giugulare
Il cuore con le sue oscillazioni genera un polso giugulare, delle onde venose positive (a, c, v)
e negative (x, y). Poiché l’atrio non è separato dalle vene da valvole una sua contrazione
genera un di P nel percorso venoso (onda a: atriale); durante la sistole isometrica l’aumeto di
P spinge i lembi valvolari atrio-ventricolari verso gli atri causando un’onda pressoria (onda c:
si pensava dovuta alla pulsazione della carotide); in sistole isotonica il ventricolo si contrae
avvicinando la base del cuore all’apice e ciò provoca un’amplificazione degli atri (onda x):
questa è la principale forza che permette un buon ritorno venoso al cuore; l’accumulo di
sangue venoso nell’atrio genera l’onda v e la sua fuoriuscita per andare verso la bassa
pressione ventricolare causa un calo pressorio
responsabile dell’onda y (flebogramma).
L’intervallo a-c indica quando si contrae l’atrio e quando
si contrae il ventricolo: esprime il tempo di conduzione
degli impulsi.
Toni cardiaci
Attraverso l’auscultazione si può registrare l’attività acustica del cuore
poiché la chiusura delle valvole genera turbolenza del sangue: il primo
tono è causato dalla chiusura delle valvole atrio-ventricolari e, dopo la
sistole ventricolare, il secondo dalla chiusura delle valvole arteriose.
Le valvole arteriose proiettano sulla parete toracica anteriore a livello della
seconda costa e un po’ a sinistra della linea mediosternale, le valvole atrio-
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ventricolari più centralmente a livello della 4ª -5ª costa. I toni sono però
auscultabili in punti diversi (focolai d’auscultazione): la valvola aortica
nel 2° spazio intercostale dx, la valvola polmonare nel 2° spazio
intercostale di sx, la valvola tricuspide nel 4°-5° spazio intercostale dx a
livello parasternale, la valvola mitrale nel 5° spazio intercostale sx
all’altezza della linea emiclaveare.
Il primo tono coincide con l’inizio della sistole ventricolare, è basso e
prolungato (“lubb”) e presenta 3 componenti: 1) una vibrazione a bassa
frequenza causata dalla contrazione stessa del muscolo; 2 e 3) due vibrazioni di maggior
ampiezza dovute alla chiusura della valvola mitrale che precede quella della tricuspide (+
rigurgiti atriali). La durata media di questi suoni è di 0,15 s e l’analisi con la tecnica di Fourier
ci dice che hanno una frequenza media di 25-45 Hz.
Il secondo tono coincide con la fine della sistole ventricolare, è breve ed acuto (“dup”) ed è
dovuto alle vibrazioni ad alta frequenza causate dalla chiusura delle valvole semilunari aortica
e, poco dopo, polmonare. La durata media di questi suoni è 0,12 s e hanno una frequenza
media di 50 Hz (perché valvole più rigide sottoposte a gradienti pressori elevati e mancano le
basse frequenze causate dal muscolo).
Esistono anche un terzo e quarto tono che non riusciamo bene a sentire: il terzo è dovuto alla
distensione delle valvole (tensione corde tendinee) causata dalla distensione della parete che si
ha nella fase rapida di riempimento del ventricolo (in diastole isotonica), il quarto è dovuto
alla turbolenza generata dalla sistole atriale (prima del primo tono).
Modifiche fisologiche e non fisiologiche: in inspirazione si verifica uno sdoppiamento
fisiologico del secondo tono poiché la riduzione della pressione nello spazio pleurico fa
dilatare i vasi R polmonari P in arteria polmonare la forza che va a chiudere la
valvola polmonare si chiude più tardi; quando c’è un’ipertensione arteriosa il cuore deve
fare uno sforzo più prolungato per produrre energia sufficiente ad aprire le valvole per far
uscire il sangue la prima componente del secondo tono (valvola aortica) tende ad essere
ritardata va a coincidere col rumore della valvola polmonare; il terzo tono è potenziato nei
bambini (parete toracica più sottile) sotto sforzo ( gittata riempimento più rapido del
ventricolo: galoppo ventricolare); il quarto tono aumenta quando il cuore diventa più rigido
(es. miocardio sclerosi: compliance ventricolare) il ventricolo si distende meno e il
sangue per entrarvi deve essere forzato di più l’atrio deve aumentare la forza di contrazione
(galoppo atriale) rumore più intenso; il quarto tono scompare in fibrillazione atriale.
Ecocardiografia
Utilizza ultrasuoni che percorrono i tessuti e vengono riflessi con frequenze diverse da tessuti
con densità differenti.
Dà informazioni sullo spessore delle pareti, sul movimento delle valvole cardiache e sul
diametro delle cavità ( permette di valutare la frazione di eiezione perché permette di
misurare l’ampiezza del ventricolo in fase diastolica (VTD) e in fase sistolica (VTS)).
Con l’ecografia Doppler si può misurare la velocità del flusso (la frequenza dell’onda riflessa
dal sangue in movimento varia con la sua velocità).
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Piso
Lavoro cardiaco
Il cuore compie due lavori: uno statico per portare un certo volume a una certa pressione
(sistole isometrica: Lstatico = PV) e uno dinamico per muovere il sangue (sistole isotonica:
Ldinamico = ½ mv2).
Calcolo del lavoro cardiaco: considerando che 1 mmHg = 133 N/m2 (Pascal) il Ls del
ventricolo sinistro è dato dal prodotto della P media cui è sottoposto il sangue durante la
spinta cardiaca (Pm = 110 mmHg = 14630 N/m2) per V (GS = 70 ml = 70 á 10-6 m3) Ls (sx) =
2
1,024 Nm (Joule); per il ventricolo destro la Pm = 15 mmHg = 1995 N/m , mentre il V rimane
lo stesso Ls (dx) = 0,140 J; il Ld è uguale tra i due ventricoli poiché immettono la stessa
quantità di sangue ed essendo m = 70 g = 70 á 10-3 kg e v = 0,5 m/s Ld = 0,009 J.
Ltot = Ls (sx) + Ls (dx) + 2Ld = 1,182 J a riposo Ld ≈ 1% (sotto sforzo 15%) il cuore spende
energia soprattutto per generare pressione e soprattutto col ventricolo sinistro.
Fonti di energia: l’ATP consumato per fornire energia al miocardio, viene ricostituito
mediante fosforilazione ossidativa a partire da diversi substrati energetici: 31% glucosio, 28%
lattato, 34% acidi grassi liberi, 7% piruvato e corpi chetonici; durante l’esercizio fisico è usato
per il 61% lattato. Il miocardio non è in grado di utilizzare, se non per tempi brevi, la glicolisi
anaerobica. Il metabolismo miocardico dipende quindi da un’adeguata e continua fornitura di
O2 da parte del circolo coronarico, la cui efficienza rappresenta un fattore critico. Una
maggiore richiesta di O2 può essere soddisfatta solo da un maggiore flusso coronarico.
L’energia spesa per compiere il lavoro cardiaco si valuta misurando il consumo di O2 in
media 0,08-0,10 ml/g/min un cuore di 300 g consuma 24-30 ml O2/min.
Il rendimento cardiaco = lavoro esterno/consumo di O2 = 15-40%; se lavoro esterno
(dinamico o volumetrico) modesta variazione del consumo di O2 rendimento elevato; se
lavoro interno (statico o pressorio) consumo di O2 in proporzione al lavoro compiuto
rendimento uguale o minore. Quindi la macchina cardiaca è più efficace nel muovere il sangue
che nel creare pressione.
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Piso
Esempi di patologie dilatative sono: tutte le patologie delle valvole, ipertensione, cuore
dell’atleta, insufficienza aortica.
Le variazioni pressorie del cuore sono dovute alla sua contrazione meccanica che è preceduta
dalla sua attivazione elettrica.
La contrazione delle cellule degli atri e dei ventricoli deve essere coordinata e simultanea ed è
innescata dal potenziale d’azione (pda) che insorge spontaneamente in porzioni di tessuto
cardiaco modificato (varie regioni, ma domina quella a frequenza maggiore).
Il cuore è innervato dal sistema nervoso autonomo (simpatico e parasimpatico) che però ha
solo la funzione di modulare, ma non generare, l’attività cardiaca.
Nel cuore si distinguono tre tipi di fibre muscolari: fibre del sistema specifico di eccitamento
(tessuto nodale): dotate di autoeccitabilità, generano spontaneamente il pda; fibre del sistema
specifico di conduzione: dotate di elevata velocità di conduzione, permettono la propagazione
rapida del pda per garantire l’attivazione sequenziale delle varie parti del cuore (
permettono attività coordinata); fibre del miocardio da lavoro (miocardio contrattile: atri e
ventricoli): vengono attivate dal pda trasmesso dalle fibre muscolari vicine e si contraggono
permettendo il lavoro meccanico di pompa.
Per assicurare il corretto funzionamento della pompa cardiaca, l’attivazione degli atri deve
precedere quella dei ventricoli: il generatore del pda (pacemaker) è localizzato a livello atriale.
Sia gli atri che i ventricoli, per essere efficaci, devono essere contratti in maniera sincrona: la
propagazione rapida del pda da una cellula cardiaca all’altra è assicurata dalle gap junction
(sinapsi elettriche: no membrana no R), che permettono al miocardio di comportarsi come
un sincizio funzionale. L’asincronia delle contrazioni è detta fibrillazione se nel ventricolo:
perdita della capacità di pompa.
Le gap junction permetterebbero all’impulso di propagarsi caoticamente, senza nessuna
organizzazione spaziale nel tempo, se non ci fossero i sistemi di conduzione che danno la
tempatura.
La velocità di conduzione del pda nelle varie parti del cuore, dipende dal diametro delle fibre
e dall’intensità delle correnti depolarizzanti, a loro volta dipendenti dalle caratteristiche del
pda (ampiezza e velocità di salita).
Il nodo seno-atriale (NSA) è il luogo in cui insorgono gli
impulsi che rapidamente, attraverso fasci di conduzione detti
vie internodali, attivano l’atrio e vanno ad attivare il nodo
atrio-ventricolare (NAV); quindi gli impulsi viaggiano e sono
orientati nello spazio dal fascio di conduzione detto fascio di
His e dalle sue branche che permettono la contrazione sincrona
dei ventricoli.
Il generatore (pacemaker) primario del cuore è il NSA, perché
possiede la frequenza di insorgenza del pda più elevata
(70-80/min: ritmo sinusale; frequenza cardiaca normale); in
condizioni normali, il nodo atrio-ventricolare (NAV), che ha
una frequenza intrinseca minore (40-60/min), non manifesta la sua eccitabilità, ma è attivato
dal pda che si genera nel NSA. La sua funzione è quella di permettere il passaggio del pda
dagli atri ai ventricoli, rallentandone la propagazione. Questo rallentamento è fondamentale
per consentire alla contrazione atriale di completarsi, prima che inizi quella dei ventricoli.
Il NAV può assumere il ruolo di pacemaker solo se: aumenta la sua frequenza intrinseca,
viene depressa la ritmicità del NSA o viene interrotta la conduzione NSA NAV; la
frequenza cardiaca in questi casi diventa la frequenza del NAV (ritmo nodale).
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Piso
Anche le cellule del fascio di His sono dotate di autoritmicità (frequenza 15-20/min). In
condizioni in cui il ritmo cardiaco sia determinato dal fascio di His, si parla di ritmo
idioventricolare.
Altre cellule (ad es. intorno allo sbocco delle vene polmonari) sono in grado di generare un
ritmo, ma nella vita adulta perdono la loro capacità; se la riacquistano fibrillazioni atriali.
Il tessuto nodale e quello di conduzione e contrattile hanno delle caratteristiche elettriche
particolari: la generazione del pda nel primo è caratterizzata dal lento ingresso di Ca2+, negli
altri due c’è anche un rapido ingresso di Na+.
I pda del tessuto di conduzione e contrattile sono caratterizzati da varie fasi: partendo da una
fase di riposo stabile (-90 mV) si ha una rapida fase di depolarizzazione (0) dipendente
fondamentalmente dall’entrata di Na+ (arriva a +20 mV); una fase di ripolarizzazione rapida e
breve (1: Kto); una fase di plateau (2: Ca2+ e Kv) causata dall’entrata di Ca2+ nella cellula che
prolunga la depolarizzazione e controbilanciata dall’uscita di K+; una
fase di ripolarizzazione (4: Kir) che dipende fondamentalmente dalla
fuoriuscita di K+.
La durata del plateau dipende quindi dall’intensità delle correnti al
Ca2+ e al K+ e varia tra le cellule atriali (più breve) e ventricolari, ma
anche tra diverse cellule ventricolari (più lungo al setto e nei muscoli
papillari e più breve alla base); inoltre il plateau dell’epicardio è più
breve di quello dell’endocardio diversi tempi di ripolarizzazione.
Un plateau più lungo significa avere un pda più lungo ingresso di
Ca2+ maggiore contrazione più lunga.
Nell’atrio, vicino allo sbocco della vena cava superiore c’è un
raggruppamento di cellule P (pacemaker) che hanno la capacità di
autoeccitarsi e vicino a queste ci sono cellule T (trasmissione) che le
connettono con la restante muscolatura atriale. Le cellule T sono
meno eccitabili rallentano gli impulsi (solo gli impulsi
sufficientemente intensi passano): la velocità di propagazione degli
impulsi diventa ≈ 0,02-0,1 m/s.
Le cellule autoeccitabili hanno un pda diverso da quello delle altre
cellule cardiache: il potenziale di riposo (-65 mV) è instabile poichè tende gradualmente a
salire (4: potenziale pacemaker, depolarizzazione diastolica; è una fase lunga caratterizzata
dalla If (Na+) e dall’inattivazione della Kir); quando If ha determinato una depolarizzazione
critica (-40 mV) il Ca2+ di tipo L (slow inward) entra il pda sale gradualmente (0:
depolarizzazione lenta), poiché non dipende dal Na+, ma dall’ingresso di Ca2+; quindi inizia ad
uscire Kv scende gradualmente il pda (3: ripolarizazione K+-dipendente).
Correnti
• Corrente al Na+: determinata da canali voltaggio-dipendenti che si aprono rapidamente
grazie a feedback positivo rapida depolarizzazione (importanti per refrattarietà). Questo
potenziale non è influenzato da neurotrasmettitori né da ormoni, ma dipende dal potenziale di
membrana: se si solleva, cioè va verso l’equilibrio (es. lesione cellulare o farmaco
antiaritmico), il salto di potenziale è minore il Na+ entra meno rapidamente la
pendenza (velocità di depolarizzazione) velocità di conduzione.
• Correnti al K+: sono 3 correnti uscenti dalla cellula provocate dall’apertura di canali al K+
che si aprono a voltaggi diversi e provocano ripolarizzazione: al raggiungimento di +20 mV
(causato dal Na+) si ha l’apertura temporanea di canali Kto (transient
outward: a +20 mV K+ tendono ad uscire per riportare al potenziale di
riposo); durante l’entrata di Ca2+ (slow) si oppone una corrente Kv
(deleyed rectifier: “ritardata” perché provocata dallo stesso impulso di
Kto, ma agisce dopo): per un po’ stanno all’equilibrio ( si mantiene
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Piso
Modulazione
Il simpatico determina un della frequenza cardiaca (effetto cronotropo positivo),
eccitabilità (effetto batmotropo positivo),
contrattilità (effetto inotropo positivo) e la velocità
di conduzione (effetto dromotropo positivo): la
noradrenalina e l’arenalina legano i recettori 1
proteina Gs attiva adenilato ciclasi cAMP
1
correnti al Na+ (If) perché attivabili a
potenziale di membrana più basso e ne aumentano
la pendenza; 2 attiva PKA fosforila i canali al
Ca2+ la corrente al Ca2+ (poiché abbassa soglia:
si attiva prima); 1 e 2 eccitabilità e velocità di conduzione frequenza.
Il parasimpatico (vago) determina un effetto cronotropo
negativo, batmotropo negativo, dromotropo negativo e
inotropo negativo (nell’atrio, poiché il vago non innerva
il ventricolo): l’acetilcolina lega i recettori muscarinici
M2 proteina Gi 1 cAMP corrente al Na+ (If) e
2+ 2
corrente al Ca ; attiva specifici canali al K+
diminuisce potenziale; 1 e 2 eccitabilità e velocità di
conduzione frequenza.
In caso di eccessiva stimolazione parasimpatica arresto cardiaco; in questi casi il cuore ha
un meccanismo di difesa detto “fuga dal vago” che gli permette, tramite una progressiva
desensibilizzazione dei recettori muscarinici per la prolungata stimolazione vagale, di
recuperare il battito, ma poiché c’è stato un arresto cardiaco gli atri e i ventricoli sono più
pieni precarico la frequenza rimane comunque più bassa ma la GS è elevata.
Il NSA è sotto il controllo costante del sistema nervoso simpatico (tono simpatico) e
parasimpatico (tono vagale), ma in condizioni fisiologiche il tono vagale prevale.
A motivo della riduzione del diametro delle fibre di conduzione, al tipo di pda lento (Ca2+-
dipendente) e al ridotto numero di gap junction, in alcuni punti del tessuto eccitabile
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Piso
Il fascio di His
È attivato dal NAV e dopo un decorso subendocardico (a dx del setto interventricolare) si
divide in una branca destra e una sinistra (a sua volta anteriore e posteriore) che vanno ad
attivare le cellule del Purkinje (70-80 m) che si estendono sulla superficie sottoendocardica.
Periodo refrattario
Periodo di tempo, nelle fibre di lavoro, in cui la permeabilità dei canali al Na+ è bloccata
impedendo l’insorgenza di altri eventi elettrici. Il periodo refrattario impedisce al segnale di
tornare indietro e si sovrappone temporalmente alla maggior parte dell’evento meccanico
impedisce che gli eventi meccanici possano sommarsi tra loro impedisce contrazione
tetanica.
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Piso
ECG
L’attività elettrica del cuore nel tempo è rilevabile tramite
una registrazione incruenta della superficie del cuore
detta elettrocardiogramma.
I cambiamenti di polarità delle cellule cardiache generano
un campo elettrico all’esterno registrabile a distanza. Le
variazioni istantanee della grandezza, direzione e verso di
questo campo elettrico si riflettono in variazioni di
potenziale registrabili in superficie.
Sebbene le differenze di potenziale siano dell’ordine del
mV è possibile registrarle perché molte cellule si attivano
in modo sincrono ( somma elettrica) e perché si ha
un’omogeneità di attivazione (propagazione ordinata i
campi elettrici non si disturbano); ciò è possibile grazie ai
fasci di conduzione.
L’ampiezza del campo elettrico dipende dal numero delle
cellule attivate e dal loro sincronismo; la direzione
dipende dall’orientamento spaziale delle variazioni
elettriche; il verso dipende dal segno dell’evento elettrico
(depolarizzazione: + /ripolarizzazione: -). Con queste
variabili possiamo costruire dei vettori.
Gli impulsi partono dal NSA e in una prima fase
(depolarizzazione atri) si spostano verso sx; in una
seconda fase si ha la depolarizzazione del setto con
spostamento verso dx; infine si ha la depolarizzazione del
ventricolo con gli impulsi registrabili che vanno prima in
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Piso
basso a sx verso l’apice, quindi risalgono verso sx e in prossimità della base del cuore tornano
verso dx. Questi cambiamenti di direzione orientano le diverse onde elettrocardiografiche.
L’ECG normale presenta una serie di onde positive e
negative dette P, Q, R, S e T che si ripetono nel
tempo.
La distanza tra due onde è detta tratto o segmento.
Rappresenta un periodo in cui non si registrano
differenze di potenziale: PQ e ST.
I periodi che comprendono tratti e onde sono definiti
intervalli: intervallo PQ o PR (poiché Q spesso è
poco visibile) e QT.
L’onda P (0,07-0,12 s) corrisponde alla
depolarizzazione degli atri (prima parte corrisponde
all’atrio dx e seconda sx: se si ha ipertrofia dell’atrio
dx prima parte più lunga le onde si sommano: onda più ampia; se ipertrofia atrio sx:
onda più lunga), il complesso QRS (0,06-0,10 s) corrisponde alla depolarizzazione dei
ventricoli (setto, apice e base), l’onda T (0,18-0,20 s) corrisponde alla ripolarizzazione del
ventricolo. La ripolarizzazione dell’atrio non è visibile perché è un evento piccolo e gli si
sovrappone temporalmente il complesso QRS che lo maschera. L’altezza delle onde (mV)
quantifica la quantità elettrica registrata.
Il segmento PQ (fine dell’onda P - inizio del complesso QRS) è il periodo in cui gli atri sono
totalmente depolarizzati; il segmento ST (fine onda S - inizio onda T: 0,30-0,34 s) è il periodo
in cui i ventricoli sono totalmente depolarizzati.
L’intervallo PQ (inizio P - inizio Q: 0,12-0,20 s) è il tempo di conduzione atrio-ventricolare
(passaggio attraverso NAV: attivazione di poche cellule e in maniera non sincrona nessuna
registrazione); intervallo QT (inizio Q - fine T: 0,40-0,42 s) è il tempo di depolarizzazione e
ripolarizzazione ventricolare. L’intervallo RR (0,8-0,9 s) corrisponde ad un ciclo cardiaco.
La ripolarizzazione non rispetta i tempi della depolarizzazione: nell’atrio le prime cellule a
ripolarizzarsi sono quelle del NSA, nel ventricolo le prime cellule che si depolarizzano sono
invece le ultime a ripolarizzarsi (grazie alla diversa distribuzione dei canali Kv modifica
plateau) e, inoltre, tendono a ripolarizzarsi prima le cellule dell’epicardio rispetto a quelle
dell’endocardio.
I potenziali generati dal cuore producono campi elettrici che, data l’alta conducibilità dei
liquidi fisiologici che circondano il cuore, possiamo registrare in superficie, sebbene la cute
sia poco conducibile (si usano sostanze che fanno diminuire questa resistenza).
La perdita di potenziale dipende dal quadrato della distanza nel torace (conduttore sferico)
rarefazione campo elettrico, mentre è irrilevante tra spalla e polso (poiché il braccio viene
considerato come armature di un condensatore).
Durante la depolarizzazione fuori dalla cellula si ha una perdita di cariche positive (poiché vi
entrano) oscillazione negativa; durante il plateau non varia il potenziale non si vede
niente; durante la ripolarizzazione le cariche positive escono oscillazione positiva (
l’elettrodo legge il cambiamento dell’attività).
La propagazione dell’eccitazione è vedibile come un dipolo mobile il cui
polo positivo sono le cellule a riposo e il polo negativo quelle depolarizzate.
Il campo elettrico di un dipolo si organizza con una direzione, un verso e
un’intensità si può rappresentare con un vettore che ci dà un’idea di come
si muove il fronte d’onda.
Quando due elettrodi di segno opposto registrano l’attività di una fibra a riposo non si registra
differenza di potenziale; quando l’elettrodo negativo sente la depolarizzazione si ha
un’oscillazione che per convenzione è positiva; quando la depolarizzazione invade anche
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Piso
L’ECG ha diverse tecniche di registrazione: registrazioni bipolari (si usano due elettrodi) e
registrazioni unipolari (uno solo elettrodo che si confronta con l’elettrodo neutro) che danno
una visione d’insieme e registrazioni precordiali i cui elettrodi osservano aree discrete del
cuore.
Einthoven ci ha consegnato dei postulati tenendo conto dei quali si può analizzare l’attività
cardiaca in modo corretto: il torace è un conduttore sferico omogeneo con al centro il cuore da
cui si generano le forze elettriche; questo campo elettrico è rappresentabile da un vettore; i
punti di osservazione per lo studio dell’attività cardiaca (determinazione vettore) devono
essere equidistanti e giacenti sullo stesso piano: 3 punti (spalla dx, spalla sx, inguine) che sono
i vertici di un triangolo equilatero (triangolo di Einthoven: anche se non è effettivamente
equilatero, in termini quantitativi è irrilevante).
Le congiungenti dei punti di Einthoven sono dette derivazioni bipolari degli arti: nella prima
derivazione bipolare (DI) il braccio/spalla sx ha l’elettrodo positivo e il dx negativo ( l’onda
va verso l’alto se le cariche positive vanno verso il braccio sx); nella
seconda derivazione (DII) l’elettrodo positivo sta all’inguine/gamba, il
negativo al braccio/spalla dx; nella terza derivazione (DIII) l’elettrodo
positivo sta all’inguine/gamba e il negativo alla spalla sx ( l’onda va
verso l’alto se le cariche positive vanno verso l’inguine).
Lo strumento e il corpo devono essere messi a terra (devono essere allo
stesso potenziale) e si fa correre la carta a 25 mm/s.
Legge di Einthoven: stabilisce che ad ogni istante la somma algebrica
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Piso
dei potenziali registrati nelle 3 derivazioni è pari a 0 se le registrazioni di due delle tre
derivazioni bipolari sono noti il terzo può essere matematicamente determinato: DI-DII+DIII
= 0 (la seconda derivazione viene sottratta perché gli elettrodi sono rovesciati rispetto agli
altri; es. VL = 0,3 mV; VR = -0,2 mV; VF = 1 mV DI = VL – VR = 0,5 mV; DII = VF – VR =
1,2 mV; DIII = VF – VL = 0,7 mV DII = DI + DIII = 0,5 mV + 0,7 mV = 1,2 mV).
Le registrazioni unipolari si effettuano mettendo un elettrodo nel punto di cui mi interessa il
potenziale che ottengo confrontando la registrazione con il potenziale neutro (terra: somma
dei tre elettrodi): osserva il fenomeno da un punto solo, non da una linea di derivazione (dove
uno stesso fenomeno può essere dovuto al fatto che è diventato più positivo il positivo o più
negativo il negativo), e i voltaggi sono più bassi (poichè con le bipolari sono dati da una
differenza). Per aumentare il voltaggio si usano le derivazioni
unipolari aumentate degli arti di Goldberger in cui
l’elettrodo non è confrontato con la neutralità, ma con due
elettrodi: un arto è connesso all’elettrodo positivo e gli altri due
al negativo (aVR, aVL e aVF; es. aVR = VR – ((VL + VF)/2).
Le derivazioni precordiali di Wilson (V1-6) permettono
un’analisi dettagliata dell’attivazione delle varie parti del
cuore.
Rilevazioni
Nella diagnostica cardiaca l’ECG permette di rilevare alterazioni nell’eccitamento che a loro
volta possono essere causa o conseguenza di disturbi della funzionalità cardiaca. Le
informazioni che si ricavano sono relative a: frequenza, origine dell’attività elettrica, aritmie
(aritmie sinusali, extrasistolie, flutter, fibrillazioni), alterazioni della conduzione, alterazioni
della propagazione, indicazioni di insufficiente circolazione coronarica, indicazioni circa la
localizzazione e il decorso di un infarto al miocardio.
Un aumento dell’onda Q indica un infarto del ventricolo di sx poiché si registra la
depolarizzazione del ventricolo dx (correnti verso dx onda negativa); il segmento ST può
essere sopra/sottoslivellato poiché alcune cellule, in caso di ischemia (ipossia: mancanza di
O2), rimangono più depolarizzate mentre altre sono al plateau si crea un dipolo; il QRS può
diventare più largo e seghettato (cambio di direzione) qualora il passaggio dell’eccitazione
attraverso le vie di conduzione del fascio di His è interrotto l’attivazione scivola nelle
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Piso
cellule di lavoro vicine per rientrare dopo il blocco nel fascio di His; una seghettatura dopo la
R rappresenta un blocco della branca sx, una prima un blocco della branca dx.
Aritmie: l’aumento dell’intervallo PR indica un aumento del tempo di conduzione atrio-
ventricolare e, se troppo lungo, l’onda P può non riuscire ad evocare l’onda R prima
dell’arrivo della successiva onda P ( sarà visibile l’onda negativa di ripolarizzazione
atriale). Nella fibrillazione atriale non è più individuabile l’onda P il ventricolo di sx coglie
l’eccitazione casualmente alterazione ritmo. Nella fibrillazione ventricolare l’ECG è
completamente alterato e le contrazioni sono inefficienti.
Circolo capillare
Il circolo capillare è il luogo dove avvengono gli scambi; ha una sezione trasversa molto
ampia riduzione notevole della velocità con cui il sangue passa.
Nel nostro corpo ci sono 40 miliardi di capillari per una
superficie di scambio di 1000 m2; i capillari sono però
normalmente abbastanza chiusi a riposo ci sono 10 miliardi
di capillari funzionanti la superficie di scambio si riduce a
300 m2.
La densità capillare e la superficie di scambio variano da
organo ad organo: cervello (500 cm2/g), muscolo scheletrico
(100 cm2/g), tessuto adiposo (10 cm2/g).
Normalmente dalle arteriole, provviste di parete muscolare, si
diramano in parallelo i capillari, vasi di 7 m di diametro che le
uniscono alle venule; spesso arteriola e venula sono collegate
da un canale preferenziale (metarteriola), che normalmente rimane aperto, mentre gli altri in
parallelo si possono chiudere; infatti all’ingresso dei capillari esistono degli sfinteri
precapillari che possono modificare l’ampiezza dei circoli collaterali.
Permeabilità
I capillari sono caratterizzati da una membrana basale su cui poggiano cellule endoteliali che
possono presentare un diverso grado di fenestrature: capillari continui (cardiaco, scheletrico,
cutaneo, connettivo, adiposo, polmonare): fessure intercellulari di 4-5 nm elevata
permeabilità acqua e soluti, scarsa alle proteine; capillari fenestrati (glomeruli renali,
ghiandole esocrine ed endocrine, mucosa intestinale, corpi ciliati e coroidei): presentano pori
intracellulari (50-60 nm) elevata permeabilità ad acqua e soluti, relativamente bassa alle
proteine; capillari discontinui (fegato, milza e midollo osseo) con fessure intra ed
intercellulari fino a 1 m permeabilità elevata a proteine e grosse molecole; capillari
cerebrali: endotelio continuo con giunzioni strette (barriera ematoencefalica)
impermeabile a tutte le sostanze idrosolubili.
Gli scambi di sostanze tra capillare ed interstizio possono avvenire attraverso due meccanismi:
diffusione secondo gradiente (ruolo fondamentale; dovuto alla sottile parete dei capillari) e
filtrazione (ruolo secondario; dovuto alla pressione presente nei vasi).
Diffusione
La legge di Fick ci dice che la velocità di diffusione è direttamente proporzionale al
coefficiente di diffusione (D = 1/√PM), alla superficie di scambio e al gradiente di
concentrazione sulla distanza: V = D · A · C/ x.
È importante che gli scambi avvengano entro il tempo necessario per il tragitto tra capillare
arteriolare a capillare venoso: le sostanze liposolubili (come O2 e CO2) vanno all’equilibrio
quasi subito (entro 1/3 del tragitto) potendo attraversare le membrane scambio limitato
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dalla perfusione: se arriva poco sangue nell’unità di tempo poche sostanze passeranno; le
sostanze idrosolubili, potendo passare solo attraverso pori e fessure ( dipende dal tipo di
capillare), hanno difficoltà ad andare all’equilibrio scambio limitato dalla diffusione.
Filtrazione e riassorbimento
Dal punto di vista funzionale poco rilevante, ma sue alterazioni portano a edema.
Normalmente il liquido esce dal lato arteriolare del capillare e rientra dal lato venoso; ciò è
imposto dai gradienti pressori.
A livello capillare esistono forze (pressioni) che favoriscono il movimento di liquido dal vaso
all’interstizio (filtrazione) e forze che facilitano il movimento in senso opposto
(riassorbimento). L’equazione di Starling mette a confronto queste forze. Dal prevalere delle
une o delle altre dipende se il liquido viene filtrato o riassorbito.
Le forze che favoriscono la filtrazione sono la pressione capillare (Pc: è la pressione
idrostatica diminuita in funzione delle resistenze arteriolari) che spinge fuori il liquido e la
pressione oncotica (o colloido-osmotica) interstiziale che chiama fuori il liquido ( i, dovuta a
concentrazione interstiziale delle proteine); le forze che favoriscono il riassorbimento sono la
P idrostatica dell’interstizio (Pi) e la pressione oncotica capillare ( c, dovuta a concentrazione
plasmatica delle proteine: di 7 g/100 ml 4 g sono albumine, 2 g globuline e 0,5 g fibrinogeno):
Pf = (Pc + i) – (Pi + c).
All’estremità arteriolare Pc = 28-30 mmHg, c = 28 mmHg, i = 8 mmHg e Pi = -3 mmHg;
all’estremità venulare Pc = 10 mmHg, c = 28 mmHg, i = 8 mmHg e Pi = -3 mmHg.
Nel lato arterioso prevale la filtrazione e nel lato venoso il riassorbimento: all’estremo
arterioso P = (28-30 + 8) – (-3 + 28) = 11-13 mmHg (filtrazione); all’estremo venoso P = (10
+ 8) – (-3 + 28) = -7 mmHg (riassorbimento). Di fatto però i fenomeni avvengono durante
tutto il capillare serve un valore medio Pc media = 17,3 mmHg la pressione netta
risultante sarà: P = (17,3 + 8) – (-3 + 28) = 0,3 mmHg la filtrazione supera il
riassorbimento necessitiamo del sistema linfatico.
Nei distretti arteriosi dei capillari viene filtrato circa lo 0,5% del volume plasmatico in transito
(14 ml/min, 20 l/die) e di questo nel distretto venoso viene riassorbito soltanto il 90%, il
restante 10% (≈ 2 l/dì) viene drenato dallo spazio interstiziale attraverso i vasi linfatici
filtrazione netta di 2 ml/min.
Coefficiente di filtrazione: indica il prodotto tra la conduttanza idraulica della parete
capillare e la superficie di scambio (ci dà un’idea di quanto viene filtrata la sostanza). È basso
nel cervello e nel muscolo, alto nell’intestino e nel fegato con una percentuale di filtrazione
delle proteine che varia da 1,5 a 6% (fegato).
Sistema linfatico
Questo liquido in eccesso (120 ml/ora) viene recuperato dal sistema linfatico; il flusso viene
assicurato da meccanismi di pompa linfatica intrinseci e dalla presenza di valvole e può
aumentare (fino a 100 volte) con un incremento
modesto della pressione interstiziale (max 1-2
mmHg).
Inoltre il sistema linfatico provvede al recupero
delle proteine dall’interstizio mantenendo bassa la
pressione oncotica interstiziale.
Infine ha, nell’apparato digerente, il ruolo di
recuperare le macromolecole lipidiche.
Ruoli: recupero fluidi, recupero proteine e trasporto delle macromolecole lipidiche.
I terminali dei vasi linfatici sono composti da cellule imbricate tra loro tenute ferme nel
tessuto da filamenti di ancoraggio connettivali: questa formazione permette ai liquidi,
spostando le cellule, di entrare, ma non di uscire.
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Lungo il capillare linfatico alcune cellule endoteliali, tramite protrusioni, costituiscono delle
specie di valvole che non fanno tornare indietro il liquido.
Ai terminali linfatici sono presenti delle fibre muscolari lisce che con contrazioni oscillanti
permettono di incrementare la pressione nelle regioni intervalvolari spingendo in avanti il
liquido. Questo meccanismo di vasomozione è proprio anche dei capillari.
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Piso
diffusione arriva anche alle metarteriole) vasodilatazione; sulla superficie del terminale
nervoso è presente il recettore 2 che legando noradrenalina all’aumentare della sua secrezione
ne limita la produzione (una sorta di inibizione presinaptica).
Oltre al pda (di cui si è fin qui parlato) altri fattori sono in grado di modificare la risposta
adrenergica: l’angiotensina II causa vasocostrizione mentre H+, K+, adenosina, NO, istamina,
serotonina e acetilcolina causano vasodilatazione.
La vasodilatazione simpatica (acetilcolina) nel muscolo scheletrico serve per ragioni protettive
contro eccessivi rialzi pressori in situazioni di allarme.
La vasodilatazione parasimpatica opera con NO su: genitali, pia del cervello, coronarie; con
callicreina su: ghiandole salivari e intestino.
Il flusso può essere variato anche attraverso il riflesso asso-assonico: impulsi nervosi che
nascono dalla cute, nel risalire verso il centro, attivano anche le diramazioni laterali
vengono liberate sostanze chimiche come la callicreina.
• Sostanze vasoattive: la stessa sostanza, a seconda del luogo in cui viene liberata può avere
funzioni opposte: istamina vasodilata; serotonina vasodilata nell’intestino e vasocostringe nel
cervello (provoca emicrania); angiotensina II vasocostringe; bradichinina e callidina
vasodilatano; le PGE e PGD vasodilatano; trombossano A e PGF2 vasocostringono;
leucotrieni vasodilatano; PAF vasodilata in tutti i distretti tranne nel polmonare dove
vasocostringe; ADH vasocostringe, ma a livello cuore e cervello vasodilata tramite la
liberazione di NO.
• Metaboliti locali: ogni tessuto che viene attivato produce più CO2, tende a liberare più H+,
incrementano le sostanze (osmoli), riduce l’O2, si libera ADP e K+: queste sostanze fanno
aumentare il flusso (vasodilatazione: quello dei metaboliti locali è il meccanismo principale di
quelli elencati) affinché compensi il fabbisogno del tessuto.
• Fattori autacoidi endoteliali: NO tende a dilatare i vasi e supera gli effetti adrenergici e
miogeni; la sua produzione aumenta con la riduzione di O2 e con l’incremento della tensione
di taglio (spinta del sangue sulle pareti) che causa l’ingresso di Ca2+ nelle cellule endoteliali
attivazione NO sintasi; se per un danno viene meno la liberazione di NO (aterosclerosi)
spasmi vasali.
Altri fattori autacoidi vasodilatanti sono la prostaciclina e l’EDHF (fattore iperpolarizzante di
origine endoteliale dilata soprattutto i vasi coronarici), mentre in condizioni patologiche
agisce l’endotelina (vasocostrittrice).
I capillari possono andare incontro anche a grosse variazioni di flusso: si ha iperemia
funzionale quando dominano i fattori locali e metabolici sull’autoregolazione miogena e
nervosa (inibizione di liberazione di noradrenalina) arteriole dilatate dall’NO; si ha
iperemia reattiva (poiché risponde ad un momento ischemico) in risposta ad interruzione
temporanea della perfusione che causa accumulo di metaboliti e riduzione di O2 liberazione
di NO vasodilatazione.
• Autoregolazione: consiste nella rottura della relazione
pressione-flusso che c’è in vari distretti (cuore e rene
soprattutto) all’aumentare della pressione non
aumenta più il flusso poiché se P si innesca la reazione
di Bayliss che provoca vasocostrizione (nei vasi
polmonari invece se P i vasi continuano a dilatarsi).
Questa risposta è influenzata da diverse condizioni: in
caso di forte stimolazione simpatica la curva si sposta a
sx (diventa più efficiente) l’autoregolazione inizia
prima perché il simpatico tende ad aumentare la P e il
muscolo deve poter frenare subito questi incrementi
pressori; se viene a mancare NO l’autoregolazione
diventa eccessiva.
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Circolo coronarico
L’arteria coronaria di dx irrora la parte destra del cuore e la parte posteriore dei ventricoli,
quella di sx irrora attraverso l’arteria circonflessa il ventricolo sinistro e attraverso l’arteria
discendente anteriore la parte anteriore dei ventricoli e del setto interventricolare. Nel 30% dei
soggetti i due circoli sono bilanciati, nel 20% domina la coronaria di sx e nel 50% la coronaria
di dx.
Questo circolo nasce dall’aorta e termina nel seno coronario; sono presenti anastomosi solo
nei vasi terminali (capillari) i quali hanno un rapporto 1:1 con le fibre muscolari (distanza 10
micron) capillari numerosissimi (3000 capillari/mm2 10 volte più di un muscolo
normale) e flusso elevato (80 ml/min/100 g che in attività fisica aumenta fino a 300 ml/min).
La differenza artero-venosa (consumo di O2) è di 10 ml/100 ml/100g (non può aumentare di
molto l’estrazione di O2).
Il flusso di sangue avviene in periodo diastolico, poiché in sistole
(soprattutto isometrica) i vasi vengono compressi dalla muscolatura
cardiaca (nel ventricolo di dx c’è anche un po’ di flusso sistolico): • sistole
isometrica: flusso per compressione vasi (si può generare flusso
retrogrado verso l’aorta); • sistole isotonica: nonostante la compressione
flusso per P aortica (picco sistolico), ma nella parte finale dell’eiezione:
flusso per P aortica; • diastole isometrica: flusso (valore massimo)
per cessazione compressione; • diastole isotonica: il flusso rimane elevato,
ma si riduce per P aortica (fine diastole).
Il livello di compressione dei vasi coronarici aumenta dalla superficie
(epicardio) verso gli strati più profondi (subendocardio) in sistole si ha flusso solo nei vasi
più superficiali.
Il rapporto tra il valore di flusso medio tra vasi epicardici e sub-endocardici è però 1 perché i
secondi ricevono più sangue in diastole, a causa della maggiore densità capillare e minore
resistenza arteriolare, ed il tessuto ha una quantità maggiore di mioglobina che consente la
cessione di O2 anche durante la fase di arresto di flusso (compressione sistolica).
Il flusso ematico coronarico è correlato in maniera quasi lineare al consumo di O2:
l’incremento è conseguente alla O2 (es. sforzo) che stimola la liberazione di metaboliti
vasodilatanti: adenosina, PG, H+, K+, CO2, NO.
Regolazione del flusso coronarico: • fattori meccanici: l’autoregolazione rende indipendente
il flusso dalla pressione di perfusione e dipende dal fabbisogno locale; • fattori metabolici:
ruolo sostanziale dell’O2 (vd. sopra); • fattori nervosi (influenza modesta): il simpatico da una
parte tende a costringere i vasi, ma dall’altra (e prevalente), aumentando la GS, aumenta
l’attività metabolica aumentano le sostanze vasodilatanti; un’azione eccessiva dell’attività
simpatica porta però a spasmi (facilita pressione critica di chiusura: regolazione elastica) e
spostamento della curva di autoregolazione occlusione del vaso; • fattori ormonali:
adrenalina, acetilcolina, tiroxina, glucagone, nitroglicerina, estradiolo, progesterone,
testosterone (dilatazione), insulina (centro costrizione, locale dilatazione), ADH, STH,
deidroepiandrosterone (contrazione).
Per un dato valore di flusso a riposo, la riserva coronarica (massimo incremento di flusso
che si può ottenere rispetto alla situazione di riposo, per azione dei meccanismi vasodilatanti)
cresce con l’aumento della P (nell’ambito di autoregolazione).
In condizioni di dilatazione (es. NO) la riserva coronaria si riduce il flusso aumenta meno.
Riflessi vasocostrittori delle coronarie: l’aumento del ritorno venoso può attivare recettori
atriali che generano vasocostrizione (alzare le gambe ad un soggetto infartuato può risultare
pericoloso); anche la distensione di visceri come stomaco, vescica, utero e colecisti genera
riflessi vasocostrittori.
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Circolo cerebrale
Ha un flusso di 55 ml/min/100 g (300 ml in massima attivazione), non uniforme e attività
dipendente; è sito in una struttura rigida (cranio) ogni variazione pressoria dell’interstizio si
riflette a livello dei vasi.
In questo distretto le grosse arterie sono vasi di resistenza (parete muscolare) riccamente
anastomizzati e i capillari (103/mm2) sono scarsamente permeabili; la differenza artero-venosa
è 6 ml/100 ml; se la pressione di perfusione scende sotto 40 mmHg la perfusione cessa
perché manca la forza per opporsi alla gravità.
A causa della mancanza di anastomosi tra i rami terminali dei diversi vasi cerebrali, nelle zone
di confine tra i territori vascolarizzati da arterie diverse si possono produrre infarti in caso di
ipoperfusione.
Regolazione del flusso cerebrale: ogni volta che si ha una pressione endocranica elevata
(occlusione dei vasi) si ha una risposta ischemica di Cushing R aggiuntiva il circolo
risponde in maniera riflessa con un’ipertensione sistemica. Ciò non sempre risolve il problema
poiché l’aumento di pressione arteriosa genera a sua volta l’aumento della P endocranica; in
questo caso i grossi vasi arteriosi entrano in spasmo (risposta miogena) opponendosi
all’ipertensione.
C’è anche un modesto controllo nervoso simpatico e parasimpatico (pia) e un rilascio di
sostanze dal parenchima del tronco dell’encefalo; un controllo metabolico (ruolo importante
O2 e CO2 e H+) e un’autoregolazione miogena e chimica.
• Il flusso ematico regionale varia con l’attività metabolica delle singole aree. L’incremento di
flusso è conseguente all’accumulo di metaboliti vasodilatanti: K+, adenosina, H+, lattato, CO2,
NO. Il circolo cerebrale è particolarmente sensibile alla CO2: normalmente pCO2 ≈ 40 mmHg
e per ogni aumento di 1 mmHg il flusso aumenta del 6% l’aumento di CO2 fa diminuire il
pH che ha sia un effetto diretto sulla muscolatura vasale sia indiretto tramite la stimolazione
della produzione di fattori vasodilatanti (PG e NO).
• La regolazione nervosa è modesta: esiste un’innervazione estrinseca (simpatico che
vasocostringe i grossi vasi e parasimpatico che ha azione vasodilatante) e un’innervazione
intrinseca caratterizzata da fibre nervose che partono dal tronco dell’encefalo, percorrendo i
vasi, e vanno ad innervare i territori vascolari della pia madre e i vasi del circolo cerebrale
(NE, ACh, 5-HT, NO).
• L’autoregolazione: all’interno di certi valori pressori si ha la classica autoregolazione per
bassi valori pressori il flusso è proporzionale alla P arteriosa; quando la pressione sale il flusso
tende a mantenersi costante (vasocostrizione); in caso
di ipertensione estrema (P > 150 mmHg) si esce
dall’autoregolazione si ha una marcata
vasodilatazione che porta a rottura della barriera
ematoencefalica ed edema cerebrale.
In condizioni di ipertensione cronica la curva si
sposta a destra lo spostamento del limite superiore
verso destra fa sì che anche per pressioni superiori a
150 mmHg non si abbia un aumento del flusso
(meccanismo protettivo); lo spostamento a destra del limite inferiore fa sì che il flusso
diminuisca anche per valori pressori normali rischio di ipoperfusione per ipotensioni
transitorie.
Circolo muscolare
Il flusso è ampiamente variabile (elevato controllo nervoso): il flusso a riposo per i muscoli
fasici (prevalente anaerobiosi) è 2-5 ml/min/100 g, per i muscoli tonici (prevalente aerobiosi
hanno 3 volte il numero dei vasi dei muscoli fasici) 15 ml/min/100 g; mentre il flusso in
attività è rispettivamente 50-70 ml/min/100 g e 150 ml/min/100 g.
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Circolo cutaneo
È impegnato nel controllo della temperatura: se l’ambiente è caldo si ha una vasodilatazione
aumenta superficie di scambio; se è freddo si ha una vasocostrizione diminuisce
superficie di scambio. Quindi il flusso può variare notevolmente: ambiente freddo 1 ml, neutro
10-20 ml e caldo 200 ml/min/100 g. Queste variazioni si verificano grazie ad anastomosi
arteriolo-venulari che connettono lo strato superficiale a quello profondo in modo tale che se
c’è vasocostrizione superficiale il sangue passi nello strato profondo: non hanno iperemia
reattiva, ma sono fortemente influenzate dal simpatico per la costrizione e da VIP,
bradichinina e simpatico colinergico per la dilatazione.
La vasodilatazione è normalmente passiva (cioè per riduzione del tono simpatico) ma talvolta
si aggiunge quella attiva del simpatico colinergico (zone cutanee differentemente sensibili).
Effetti locali: costrizione dovuta ad inibizione delle pompe Na+/K+; la NE (ad es. per intenso
freddo) causa un’iniziale vasocostrizione seguita da una vasodilatazione (le cellule diventano
insensibili alla NE e agiscono prostaglandine) perché le cellule della cute non siano
danneggiate dal poco afflusso di sangue.
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Lo stesso meccanismo è alla base dello sviluppo di circoli collaterali (per chiusura del
principale mancanza di O2).
Gittata cardiaca
La pressione arteriosa rimane costante nelle diverse condizioni fisiologiche, mentre cambiano
le resistenze ed il flusso (a seconda del fabbisogno dell’organo).
Il flusso del cuore viene chiamato gittata cardiaca (GC), ha un valore che varia da 5 a 25-30
l/min e dipende dalle esigenze metaboliche dell’organismo e quindi dal consumo di O2 (in
condizioni basali 250 ml/min, ma può salire fino a 3-4 l/min durante esercizio fisico).
Misurazione
Le tecniche che ci consentono di misurare la GC sono: il principio di Fick, il metodo della
diluizione, l’eco-doppler e la flussimetria elettromagnetica.
• Principio di Fick: la quantità di sostanza che entra (Qi) in un tubo, che rappresenta un vaso
che attraversa un organo, è uguale alla quantità di sostanza che esce dal tubo (Qo) più la
quantità di sostanza che è stata consumata dall’organo (Qc): Qi = Qo + Qc Qc = Qi - Qo;
poiché la concentrazione (C) è quantità su volume (Q/V) e il V in un tubo è Sv e cioè flusso
(F) Q = VC = FC Qc = FCi – FCo = F(Ci – Co) F = Qc/(Ci
– Co) valutando la concentrazione di una sostanza all’inizio e
alla fine del tessuto esaminato si può calcolare il flusso del liquido
che è passato nel tessuto.
Questa relazione può essere utilizzata per determinare il flusso di
sangue che attraversa il polmone, cioè la GC, utilizzando come
indicatore fisiologico l’O2: la quantità di sostanza è il VO2 (volume
di O2) prelevato nell’unità di tempo a livello polmonare (misurato
con uno spirometro) e CaO2 – CvO2 la differenza di concentrazione
di O2 tra sangue arterioso e sangue venoso GC = VO2/(CaO2 – CvO2) = (250 ml/min)/(20-
15 ml/min/100) = 5000 ml/min.
• Metodo della diluizione: si inietta una sostanza in un vaso e se ne misura l’andamento della
concentrazione in un distretto; facendo l’integrale della curva ottenuta si ottiene un valore
medio della concentrazione (Cm) conosco la quantità di sostanza iniettata, la sua
concentrazione media nel distretto e il tempo in cui vi è passata C/T = (Q/V)/T F=
(Qiniettata · 60 s)/(Cm · T).
• Eco-Doppler: è il meccanismo più utilizzato per determinare il flusso e si basa sull’effetto
Doppler: se si mandano degli ultrasuoni verso un corpo (sangue) in allontanamento questi
saranno riflessi con una frequenza minore e proporzionale alla velocità di allontanamento.
Quindi, per ottenere il flusso, si moltiplica la velocità (v) per la sezione (S): F = Sv.
• Flussimetria elettromagnetica: un conduttore che si muove attraverso un campo magnetico
genera un campo elettrico perpendicolare alle linee di forza del campo magnetico stesso.
Ponendo un vaso sanguigno tra due poli di un magnete e due elettrodi ai due lati del vaso,
perpendicolarmente alle linee di forza del magnete vediamo che quando il sangue (conduttore
perché contiene elettroliti) scorre attraverso il campo magnetico, tra i due elettrodi si genera
un voltaggio proporzionale all’entità del flusso (poiché proporzionale agli elettroliti misura
molto precisa).
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La pressione atriale destra è un importante indice funzionale del cuore poiché, essendo in
stretta connessione col RV e la GC, indica l’entità del riempimento ventricolare (VTD).
Il RV dipende dalle resistenze venose e dal salto pressorio esistente tra la pressione media di
riempimento (o pressione venosa periferica (PVP): 7 mmHg) e quella atriale (pressione
venosa centrale (PVC): 0-2 mmHg) quando PVC = 2 mmHg RV = 5 l/min = GC.
La PVP è generata dalla quantità di sangue che c’è nelle vene e dal loro grado di compliance
(la pressione che si genera in aorta conta poco per il RV, perché si è quasi esaurita).
L’attività cardiaca fa sì che sangue sia prelevato dal versante venoso e trasferito nel letto
arterioso. Questa azione riduce la PVC ed aumenta la P arteriosa creando un equilibrio
dinamico nella distribuzione del sangue fra versante arterioso e venoso.
Mantenendo bassa la PVC l’azione di pompa del cuore assicura il gradiente per il RV.
Aumenti della PVC (con PVP costante) comportano riduzione del RV (poiché diminuisce il
salto pressorio) che si azzera quando PVC = PVP.
Riduzioni della PVC comportano incrementi del RV, ma a PVC
negative non si osserva ulteriore aumento del RV, nonostante il
P aumentato, in quanto le vene centrali collassano.
Al RV contribuiscono anche la pompa muscolare, la pompa
respiratoria ed il meccanismo del piano valvolare.
• La pompa muscolare: la compressione
delle vene durante una contrazione della muscolatura circostante
spinge il sangue verso il cuore, dato che il reflusso verso il basso è
impedito dalle valvole venose.
La pressione negli arti inferiori può arrivare fino a 80 mmHg in
posizione eretta e scende in seguito alla contrazione dei muscoli.
• La pompa respiratoria: nello spazio endopleurico normalmente si
ha una pressione negativa (-4 mmHg “aspira il sangue”); nell’inspirazione l’aumento della
negatività della P endopleurica (-7 mmHg) e l’aumento della pressione intraddominale
(dovuto al diaframma) fanno aumentare il RV; nell’espirazione accade il contrario. Nello
pneumotorace la pressione endopleurica diventa come quella atmosferica si ha meno RV.
• Il meccanismo del piano valvolare: durante la sistole ventricolare causa un abbassamento
della P nell’atrio destro, creando un effetto aspirante sul sangue venoso (onda x).
Curva del RV
La curva del RV cambia se cambia la PVP che può variare in
funzione della volemia e della compliance venosa (il vaso può
essere irrigidito perché la parete muscolare è innervata dal
simpatico vasocostrizione
aumenta la PVP e vasodilatazione la
diminuisce).
Il RV dipende anche dal valore delle
resistenze venose: a parità di PVC se
le resistenze aumentano il RV diminuisce e viceversa, ma non
varia il salto pressorio le curve del RV si azzerano tutte a 7
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mmHg (ndr l’aumento delle resistenze nelle vene non causa un aumento pressorio a monte
come nel caso del letto arterioso perché le vene si dilatano).
Influenza del simpatico: causa vasocostrizione (effetto generale) che fa sia aumentare la PVP
che le resistenze nel vaso, ma incrementa PVP più di quanto ostacoli il flusso (domina
l’azione di compliance) questo comporta una maggiore quantità di sangue che si muove
verso il cuore e quindi un aumento del RV. Per distretti piccoli (effetto locale) domina invece
l’effetto vasocostrittore resistivo del simpatico.
Relazione RV-GC
Poiché sia la curva del RV che della GC dipendono dalla
pressione atriale destra possiamo rapportarle: GC e RV devono
essere entrambi 5 l/min il sistema cardio-circolatorio opera
sempre attorno ad un punto di equilibrio (pressione atriale di ≈ 2
mmHg) che è determinato dall’intersezione della curva di
funzionalità cardiaca e quella del RV e ogni fattore che
modifica una delle due curve (variazione della contrattilità, delle
RPT e della volemia) modifica il punto di equilibrio.
Variazioni transitorie di PVC modificano GC e RV in maniera
tale che la PVC viene riportata al valore normale: se il cuore riesce per un attimo ad
aumentare la GC PVC diminuisce (es. 0) GC, ma aumenta il RV le fibre si
distendono di più GC.
• Aumento volemia: RV (si sposta in alto la curva blu) il punto di equilibrio si ha a valori
maggiori di pressione atriale.
• Stimolazione ed inibizione del simpatico: l’attività del simpatico tende a far variare di poco
il punto di equilibrio (P atriale) poiché fa spostare entrambe le curve;
se stimola l’attività cardiaca la curva della GC si sposta più a sinistra,
ma nel contempo diminuisce la compliance la pressione a monte
RV (si sposta in alto la curva) il punto di equilibrio varia di
poco verso sinistra; se il simpatico è inibito la curva di GC si sposta a
destra e quella del RV in basso il punto di equilibrio varia di poco
verso destra.
• Ipoefficienza cardiaca: la curva di GC diventa meno pendente
e il RV incrementa di poco (si distendono maggiormente i vasi
venosi) il punto di equilibrio si sposta verso destra.
Durante l’insufficienza cardiaca (es. infarto) il simpatico però
entra in azione (tende a
compensare) innalzando
lievemente la curva di GC
(anche RV). Poi il cuore recupera un po’ l’efficacia
contrattile (aumenta GC) e il rene tende a recuperare
liquido volemia RV.
Il punto d’equilibrio torna circa all’altezza di quello
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Lo shock circolatorio, scompenso cardiaco, è dovuto ad una forte riduzione della PVC (
RV) che può essere causata da: emorragie gravi, vomito profuso, diarrea, perdite urinarie
volemia GC (shock ipovolemico); indebolimento cardiaco GC (shock cardiogeno);
shock settico (sostanze vasodilatatrici rilasciate dai batteri) e shock anafilattico (istamina)
vasodilatazione generalizzata RPT (shock vasogeno); attività simpatica perdita tono
vasale vasodilatazione generalizzata RPT (shock neurogeno).
Per regolazione della circolazione si intendono tutti i meccanismi di controllo che assicurano
il normale svolgimento delle funzioni circolatorie in condizioni di riposo e in condizioni di
aumentate esigenze. È caratterizzata dalla regolazione della GC (distribuzione regionale e
controllo del volume ematico) e dal mantenimento di una pressione di perfusione adeguata
(Pa: in funzione delle R arteriolari, della GC, della volemia e della compliance).
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aortico e glomi carotidei: sono due gruppi perché i secondi sono importanti per controllare il
flusso verso il cervello quando ad es. siamo in posizione ortostatica).
Le afferenze barocettive raggiungono (glutammato) il nucleo del tratto solitario (bulbo) che
inibisce (GABA) i neuroni pacemaker che costituiscono il centro vasocostrittore (anche
tramite l’attivazione del centro vasodilatatore che è laterale e più caudale) che normalmente
mantiene in maniera continua un tono di attivazione del simpatico (T1-L2) vasodilatazione
Pa; contemporaneamente il nucleo del tratto solitario inibisce il centro
cardioacceleratore (che agisce col simpatico) e attiva il centro cardioinibitore (che agice
con il vago) GC Pa. L’inibizione del simpatico, che agisce anche sulla midollare del
surrene, fa sì che diminuisca la produzione di adrenalina e noradrenalina Pa.
Se Pa la frequenza di scarica delle fibre barocettive aumenta in maniera sinusoidale a
partire da una soglia (Pa = 60 mmHg; i recettori però hanno soglie diverse notevole
sensibilità a tutti i gradi di pressione) fino ad una saturazione (Pa = 160-180 mmHg) con il
massimo di sensibilità (pendenza) nell’ambito fisiologico (presentano un aumento di scarica in
corrispondenza della P sistolica e una diminuzione in corrispondenza di quella diastolica).
I barocettori sono molto sensibili alla velocità con cui la Pa varia (aspetto dinamico)
rispondono meglio a rapidi cambiamenti piuttosto che a P elevate, ma stazionarie (se si ha la
stessa Pa media, ma pulsazioni smorzate i recettori si attivano di meno Pa i
barocettori non sono importanti per la Pa media, ma per le variazioni pressorie: non avessimo
questi recettori la Pa media rimarebbe invariata (100 mmHg), ma le oscillazioni della Pa
diventano molto più ampie (50-150 mmHg anziché 80-120 mmHg)).
Se persiste l’incremento di Pa la loro frequenza di scarica si riduce progressivamente fino ai
valori pre-rialzo pressorio resetting recettoriale (adattamento).
Le risposte vasomotorie riflesse, mediate dai barocettori a livello dei distretti pre e
postcapillari, possono determinare modificazioni dell’equilibrio tra filtrazione e
riassorbimento, influenzando il volume ematico.
Volocettori: sono recettori di volume (terminazione libere di afferenze vagali che vanno al
nucleo del tratto solitario), siti a livello dell’atrio (tipo A e B) e del ventricolo, che riducono al
minimo le variazioni di Pa conseguenti a variazioni di volemia (poiché se V P).
I volocettori di tipo A scaricano durante la sistole atriale generando il riflesso di Bainbridge
(aumenti del RV determinano aumenti della frequenza cardiaca); i volocettori di tipo B
scaricano durante la diastole atriale causando un’inibizione del simpatico renale, della
secrezione di renina e della secrezione di ADH; i volocettori ventricolari scaricano all’inizio
della sistole ventricolare contribuendo all’effetto cronotropo negativo del vago (bradicardia).
Se / volemia / attività simpatica ( / Pa) e / liberazione di ADH.
Se non avessimo questi recettori le oscillazioni aumenterebbero (come i barocettori) e
salirebbe la Pa media sono più tonici (si adattano meno) dei barocettori.
L’azione contemporanea di volocettori e barocettori ha un effetto moltiplicativo (non solo
additivo).
Chemocettori: se Pa sotto a 80 mmHg perfusione degli organi O2 e CO2 (
pH) che stimolano i chemocettori (glomi carotidei ed aortico) stimolano il centro
vasocostrittore Pa.
I chemocettori (al contrario dei barocettori) sono unidirezionali sentono solo
l’abbassamento della Pa, non l’innalzamento (perché non variano significativamente O2 e
CO2) per valori di Pa bassi, il riflesso chemocettivo coopera con il riflesso barocettivo nel
controllo della Pa, ma non è efficace nel controllo della Pa intorno a valori normali.
Risposta ischemica del SNC: la diminuzione di flusso cerebrale (ischemia) determina una
forte attivazione dei neuroni del centro vasocostrittore Pa (fino a 250 mmHg).
La riduzione di flusso può essere conseguente a: Pa sistemica, patologie dei vasi cerebrali,
compressione dei vasi provocate da tumori (reazione di Cushing).
La massima attivazione della risposta ischemica si ha per Pa = 15-20 mmHg.
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Sistema respiratorio
Il movimento di aria avviene attraverso le vie aeree di conduzione: trachea e bronchi (dotati
di anelli cartilaginei per evitare il collasso); i bronchi primari danno origine a 23 generazioni
di condotti secondari fino agli alveoli. L’aria si muove con movimento di massa (permesso da
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Nelle vie aeree di conduzione, l’aria viene preriscaldata, umidificata (per contatto con il
secreto che bagna la mucosa) e depurata (il muco trattiene la polvere, che viene eliminata
attraverso il meccanismo di scala mobile muco-ciliare: spinta verso la bocca).
Il numero delle cellule caliciformi mucipare (goblet cells) diminuisce tra la 5a e la 12a
divisione bronchiale, ma nel tabagismo ed in presenza di sostanze inquinanti aumentano di
numero e si propagano ai bronchioli riducendone il calibro ( resistenze: es. BPCO).
Meccanismi di difesa
Le cellule ciliate, presenti nelle vie aeree, dal naso ai bronchioli terminali, contengono circa
200-250 cilia per cellula, con battito continuo a frequenza 10-20 battiti/s (scala mobile muco-
ciliare: movimento del muco verso la faringe a velocità 5-20 mm/min).
• Particelle > 10-15 m vengono rimosse nel naso (vibrisse e precipitazione per turbolenza: le
sporgenze delle cavità nasali (turbinati) deviano la direzione dell’aria; particelle che hanno
massa ed inerzia maggiore dell’aria non sono deviate e nell’urto contro le sporgenze sono
intrappolate nel muco e spinte dalle cilia fino alla faringe, per essere deglutite); l’irritazione
delle vie nasali provoca il riflesso dello starnuto; • particelle di ≈ 10 m arrivano in trachea e
nei bronchi, dove sono intrappolate nel muco ed eliminate dal movimento ciliare; stimolano
broncocostrizione e il riflesso della tosse; • particelle di 2-5 m sedimentano nei bronchioli
terminali per precipitazione gravitazionale causando malattie (minatori di carbone); •
particelle < 2 m arrivano agli alveoli dove vengono rimosse dai macrofagi alveolari o
allontanate dai linfatici polmonari, ma un eccesso di particelle provoca proliferazione di
tessuto fibroso nei setti alveolari con danno polmonare permanente (asbestosi, silicosi).
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Meccanica respiratoria
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(CFR). In questa situazione la Pep ha un valore di -5 cmH2O (espressione delle forze elastiche
contrarie tendono ad espandere lo spazio pleurico).
Ogni variazione di
volume rispetto alla CFR
prevede lo sviluppo di
forza muscolare: • per
aumentare il volume al
di sopra della CFR (per
diminuire P
inspirazione) è
necessario vincere la
forza di retrazione
elastica del polmone
(muscolatura inspiratoria); • per ridurre il volume al di sotto della CFR (espirazione forzata) è
necessario vincere la forza di retrazione elastica della gabbia toracica (muscolatura
espiratoria). Se respiro normalmente, l’espirazione è un fenomeno passivo: basta infatti
rilasciare la muscolatura inspiratoria.
Muscolatura respiratoria
La muscolatura respiratoria è divisibile in inspiratoria ed espiratoria (attiva solo per
espirazioni forzate) che possono far variare il volume della gabbia toracica modificandone il
diametro cranio-caudale, trasverso o antero-posteriore (ventro-dorsale).
Muscoli inspiratori: • diaframma: il diametro cranio-caudale e trasverso; • intercostali
esterni: vanno dal dietro all’avanti, da margine inferiore di una costola a quello superiore
della sottostante e il diametro antero-posteriore e trasverso; • accessori (importanti nelle
inspirazioni forzate: esercizio fisico, tosse, patologie ostruttive come l’asma):
sternocleidomastoidei ( il diametro antero-posteriore e trasverso) e scaleni ( il diametro
cranio-caudale alzando le prime due coste).
Muscoli espiratori: intercostali interni, addominali ed accessori (grande dorsale, dentato
posteriore-inferiore, quadrato dei lombi).
Il diaframma, innervato dai nervi frenici (motoneuroni siti a livello cervicale C3-C5), si
inserisce sullo sterno, sulle coste più basse ed è aderente al pericardio. La sua contrazione
porta alla riduzione della cupola diaframmatica: in condizioni di respirazione eupnoica
(normale: 500 ml aria inspirata) il diaframma si abbassa di 1-2 cm aumentando il volume
polmonare di 200-400 ml; nelle inspirazioni forzate la cupola si può abbassare fino a 10 cm
aumentando V di 2-4 l. Il diaframma è meno efficiente nelle donne, dove la respirazione è
normalmente più costale (perché la gravidanza impedirebbe un abbassamento notevole del
diaframma). Gli obesi hanno difficoltà nell’abbassare il diaframma respirazione costale.
I muscoli intercostali esterni (motoneuroni siti T1-T11), si inseriscono al margine inferiore di
una costa e al superiore della costa sottostante innalzandola apertura del torace definita
“movimento del manico del secchio”. Funziona come una leva di III tipo dove la potenza è
rappresentata dai muscoli, la resistenza è distribuita sulla parete anteriore della costa e il fulcro
è rappresentato dall’articolazione costo-vertebrale. Le coste più craniali sono più brevi e si
muovono più in avanti ( il diametro antero-posteriorele), mentre le coste più basse
aumentano di più il diametro trasversale, dato che c’è una diminuzione dell’angolo di
rotazione (la I costa ha un angolo di 125°, la VI di 80°).
L’inspirazione è conseguenza dell’espansione del polmone, che segue l’aumento di volume
della gabbia toracica, ottenuto per contrazione dei muscoli inspiratori, che compiono un
lavoro per vincere le forze di retrazione elastica del polmone. L’espirazione tranquilla è un
fenomeno passivo, associato al rilasciamento della muscolatura inspiratoria quando la
muscolatura si rilascia il sistema toraco-polmonare torna al volume di partenza (punto di
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equilibrio) grazie al prevalere delle forze di retrazione elastica del polmone. L’espirazione
forzata (volumi inferiori alla CFR) necessita della contrazione dei muscoli espiratori, che
devono vincere le forze di retrazione elastica della gabbia toracica.
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del flusso), chi esprime la negatività endopleurica è solamente la retrazione, che dipende dal
volume a cui sono arrivato (che è identico in condizione statica e dinamica).
La variazione della Pip durante un ciclo respiratorio dinamico non è molto consistente (± 1
cmH2O rispetto alla Patm) ed è sufficiente a garantire un flusso d’aria adeguato; inoltre è
graduale: il polmone segue gradualmente la gabbia toracica, poi la P, all’aumentare dal flusso,
diminuisce (perché diminuisce il gradiente) fino a 0.
Anche nell’espirazione la Pep dinamica è la somma della Pep statica (che da -7 torna a -5) e
della Pip, a rappresentare il fatto che serve una forza aggiuntiva per creare il flusso in uscita
(resistenze viscose delle vie aeree e dei tessuti da vincere); il massimo di differenza fra Pep
statica e dinamica c’è quando è massima la Pip.
Spirometria
Tecnica per valutare le patologie respiratorie che permette la misura diretta dei volumi
respiratori.
Lo spirometro una volta era costituito da una campana di vetro piena d’aria, introdotta in un
cilindro pieno d’acqua, e connessa attraverso un tubo al paziente: in inspirazione la campana
si abbassa e la penna scrive verso l’alto, tracciando la variazione di volume (spirogramma; in
espirazione l’opposto). Tecnica attuale: il cavo viene fatto scorrere su un potenziometro
lineare che genera un segnale elettrico di intensità proporzionale alla sua rotazione in senso
orario e quindi allo spostamento del cavo e al
volume con cui è riempito lo spirometro.
I volumi misurabili con la spirometria sono:
volume corrente (VC): volume inspirato ed
espirato in un atto respiratorio normale (500
ml); volume di riserva inspiratoria (VRI):
massimo volume inspirabile oltre
un’inspirazione normale (3000 ml); volume di
riserva espiratoria (VRE): massimo volume
espirabile oltre un’espirazione normale (1100
ml); volume residuo (VR): volume presente
nei polmoni alla fine di un’espirazione
massima (1200 ml: non calcolabile con la spirometria; eliminato
solo in un collasso polmonare, impedito finché il polmone è
legato alla gabbia toracica); il VR entra col primo atto
respiratorio, alla nascita, per espandere il polmone che si incolla
alla gabbia toracica (che crescerà di più rispetto al polmone); in
medicina legale è un indice importante per gli anatomopatologi
per capire se un neonato è nato vivo o morto (docimasia
idrostatica).
Le capacità (somme di volumi) definite normalmente sono:
capacità funzionale residua (CFR): volume presente nel polmone alla fine di un’espirazione
normale (VRE + VR); capacità inspiratoria (CI): massimo V inspirabile a partire dal V di
fine espirazione (VC + VRI); capacità polmonare totale (CPT): volume contenuto nel
polmone alla fine di un’inspirazione massima (VR + CV); capacità vitale (CV): massimo V
che può essere inspirato ed espirato (VC + VRI + VRE).
Queste capacità si possono modificare in condizioni
fisiologiche (es. invecchiamento, postura) e patologiche.
Nell’anziano la CV varia perché la CPT diminuisce, perché
diminuisce la distensibilità di polmone e gabbia toracica, e il
VR aumenta.
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Spazio morto
Il volume di aria inspirata, che non raggiunge gli alveoli, ma rimane nelle vie aeree di
conduzione, è definito spazio morto anatomico e nell’adulto è circa 150 ml ( 350 ml
raggiungono gli alveoli).
Si definisce spazio morto fisiologico l’insieme dello spazio morto anatomico e degli spazi
alveolari che, per problemi di perfusione, non partecipano agli scambi.
Nel polmone normale il numero degli alveoli in cui gli scambi non avvengono è molto ridotto,
quindi lo spazio morto fisiologico, in un soggetto sano, corrisponde allo spazio morto
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anatomico (da considerare che un paziente attaccato ad un respiratore ha uno spazio morto,
dovuto al tubo, aumentato).
Misurazione dello spazio morto: si utilizza il
metodo di Fowler che consiste nel far fare
una singola inspirazione di O2 puro al
soggetto, seguita da espirazione; il primo
volume di aria espirata è costituita da O2 puro
proveniente dallo spazio morto; quindi si
misura la concentrazione di N2 nell’aria
espirata che va aumentando fino a diventare
costante (fase del plateau alveolare) quando
tutta l’aria espirata proviene dagli alveoli Vspazio morto = V1 + ½ V2 (V1 = volume a cui la
concentrazione di N2 = 0%; V2 = volume durante il quale la concentrazione di N2 incrementa).
Es. un paziente con VC di 500 ml con normale frequenza, la concentrazione di N2 è 0 nei
primi 130 ml di aria espirati, mentre a 170 ml diventa costante 130 ml + ½ (170 ml - 130
ml) = 150 ml.
Il metodo di Fowler misura il volume delle vie aeree di conduzione, fino al livello in cui il gas
inspirato viene rapidamente diluito con il gas già presente nei polmoni, e consente la misura
dello spazio morto anatomico.
Lo spazio morto fisiologico si misura con il metodo di Bohr, che valuta il volume polmonare
che non elimina la CO2 (presente solo se ci sono scambi). Il volume espirato (VE) è formato
dal volume dello spazio morto (VD) e dal volume alveolare (VA): VE = VD + VA. La quantità
di CO2 espirata = alla quantità di CO2 che proviene dallo spazio morto (concentrazione CO2
uguale a quella dell’aria inspirata: CCO2I = 0) + la quantità di CO2 che proviene dagli alveoli
(concentrazione CO2 alveolare: CCO2A); essendo Q = V · C VECCO2E = VDCCO2I + VACCO2A
VECCO2E = VACCO2A VECCO2E = (VE - VD) CCO2A VD/VE = (CCO2A - CCO2E)/CCO2A; la
P parziale di un gas è proporzionale alla sua concentrazione VD/VE = (PCO2A - PCO2E)/PCO2A
e poiché PCO2A = PCO2a (P parziale nel sangue arterioso) VD/VE = 1 – (PCO2E/PCO2a)
(equazione di Bohr). Il rapporto VD/VE normalmente varia tra 0,20 e 0,30, diminuisce
durante l’esercizio ed aumenta con l’età.
Ventilazione
Si definisce volume minuto o ventilazione polmonare il volume di aria in- ed espirato
nell’unità di tempo: V = VC · frequenza = 0,5 l · 12 respiri/min = 6 l/min.
Quella parte del volume minuto che ventila gli alveoli (quindi disponibile agli scambi) è detta
ventilazione alveolare, il resto, ventilazione dello spazio morto: VA = (VC - VD) · frequenza
(in condizioni normali VD = 150 ml) = (500 - 150) · 12 = 4,2 l/min.
La stessa ventilazione si può avere aumentando i VC o aumentando la frequenza
respiratoria; pazienti con patologie restrittive (sistema poco espandibile) hanno VC bassi (non
può essere inferiore allo spazio morto), ma alte frequenze respiratorie, con conseguente
respiro affannoso; pazienti con patologie ostruttive (aumento delle resistenze delle vie aeree)
hanno invece una lenta e profonda inspirazione ( VC), ma bassa frequenza respiratoria.
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Tensione superficiale
La resistenza elastica offerta dal polmone alla distensione ha due componenti: una
componente parenchimale (il tessuto polmonare è formato da fibre di elastina (facilmente
distensibili) e collagene (meno distensibili)) e una componente alveolare (tensione superficiale
(Ts), generata nell’alveolo dall’esistenza dell’interfaccia aria-liquido).
La struttura polare dell’acqua genera forze di attrazione: le
molecole in superficie, a differenza di quelle interne al liquido,
sono soggette a forze che agiscono dal basso e lateralmente, ma
non dall’alto le forze non si equilibrano e generano
all’interfaccia aria-acqua un vettore risultante diretto verso
l’interno del fluido (forza di tensione superficiale: Ts).
La Ts tende a ridurre al minimo l’area della superficie liquida
(tende a ridurre il volume dell’alveolo) e si oppone ad ogni
forza che tende ad aumentare l’area della superficie del liquido si oppone all’espansione
dell’alveolo, aumentando le forze di retrazione elastica e
riducendo la compliance polmonare.
Se si riempie un polmone di soluzione fisiologica anziché di aria
vengono a mancare le forze di superficie e si nota che il 50% della
resistenza alla distensione polmonare è rappresentata dalla Ts.
Nel polmone riempito di aria le curve di insufflazione e
desufflazione non coincidono (isteresi: diverso comportamento in
fase di riempimento ed in fase di svuotamento in insufflazione
serve una P maggiore per raggiungere un dato V), al contrario di ciò che accade nel polmone
riempito di fisiologica.
La Ts da vincere è maggiore durante l’espansione a
partire da VR rispetto allo svuotamento a partire da
CPT. Il lavoro elastico di espansione è maggiore di
quello di svuotamento (la desufflazione è più facile) e
solo una parte dell’energia elastica accumulata viene
spesa per il ritorno elastico, la rimanente (area di
isteresi) è dispersa come calore.
In fase di espansione, non si hanno variazioni di V
finché non si raggiunge una P sufficiente a vincere la Ts
(P di apertura).
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d’acqua più superficiali contrastando la forza di attrazione esercitata da quelle più profonde.
Le molecole di tensioattivo sono compresse durante la desufflazione polmonare ( maggiore
riduzione Ts) ed espanse durante l’insufflazione ( minore riduzione Ts).
La riduzione della Ts a bassi volumi è limitata dalla rottura dello strato monomolecolare di
surfattante. ll ricambio delle molecole di surfattante è favorito dall’espansione polmonare
(insufflazione) il sospiro, lo sbadiglio, la respirazione a bassi volumi, favoriscono il
ricambio impedendo l’atelettasia alveolare.
Il surfattante si forma tra il IV-VII mese di gravidanza (completo alla 34a settimana); la sua
mancanza è causa della sindrome da distress respiratorio del neonato (si fanno iniezioni di
surfattante nelle vie aeree).
Nell’adulto la formazione del surfattante è ridotta dall’ipossia; la sua mancanza causa la
sindrome da distress respiratorio dell’adulto (polmone da shock).
Il surfattante riduce la Ts • la compliance polmonare; • mantiene la stabilità alveolare
(impedisce che gli alveoli piccoli si svuotino in quelli grandi); • impedisce il collasso degli
alveoli (atelettasia) a bassi volumi; • impedisce l’edema polmonare (minore pressione di
collasso, maggiore pressione interstiziale): l’edema si genera per una modificazione delle
forze di Starling, come ad esempio una diminuzione della P dello spazio interstiziale
passaggio di liquido dal capillare all’interstizio. La forza di collasso dell’alveolo è una forza
che tende ad espandere lo spazio interstiziale favorisce il richiamo di liquido dal capillare;
se questa forza viene contrastata dal surfattante si riduce la tendenza all’aumento del volume
dello spazio interstiziale e di conseguenza della forza che richiamerebbe liquido nelle
patologie in cui il surfattante si può andare incontro ad un accumulo di liquido negli spazi
interstiziali (edema polmonare); • un’altra cosa che il surfattante fa per mantenere la stabilità
alveolare è di riuscire a favorire, durante il ciclo respiratorio, un equilibrio tra alveoli che
hanno una latenza diversa nella loro variazione di volume ( garantisce una corretta
ridistribuzione dei volumi): ci sono infatti alveoli “veloci” e “lenti” (che si espandono e
raggiungono i volumi massimi molto lentamente, a causa della loro compliance) minimizza
le differenze di ventilazione tra alveoli veloci e lenti,
aggiustando dinamicamente la velocità di espansione e
svuotamento degli alveoli; in inspirazione: gli alveoli si
espandono a diverse velocità: quello che si espande più
velocemente va incontro alla rottura dello strato
monomolecolare (film) di surfattante prima di quello
lento la Ts in fase di espansione tende ad aumentare
più velocemente nell’alveolo veloce rispetto a quello
lento, ma una Ts meno contrastata frena l’ulteriore
espansione dell’alveolo si espande inizialmente in
maniera molto rapida, ma poi è costretto a fermarsi e
“aspetta” il riempimento di quello lento; in espirazione:
l’alveolo più veloce ricompatta più velocemente lo strato di surfattante rispetto a quello più
lento avrà una riduzione maggiore della Ts rallenta lo svuotamento “aspettando”
l’alveolo lento.
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Condizione dinamica
Finora abbiamo studiato i sistemi in
condizioni statiche (solo resistenze
elastiche e tensioattivo); la fase
dinamica implica un flusso di aria
rispetto ad una curva statica dobbiamo
considerare anche le resistenze delle
vie aeree. In queste condizioni la curva
si modifica: c’è un’espansione verso
destra (P più elevate a parità di V) in
fase inspiratoria) e verso sinistra in
fase espiratoria: si viene a creare
un’ansa respiratoria (loop) che è
espressione del fatto che c’è un lavoro aggiuntivo (F aggiuntiva) da compiere per vincere la
resistenza delle vie aeree; questo lavoro non esiste in fase di espirazione passiva: cade nel
lavoro (triangolo) fatto per vincere le resistenze elastiche (L elastico) perché l’espirazione non
ha bisogno di forza muscolare essendo legata esclusivamente alla retrazione la parte
espiratoria dell’ansa va a cadere in un lavoro che ho già fatto per inspirare e vincere le
resistenze elastiche rispetto alle curve statiche c’è un’isteresi dovuta alle resistenze delle
vie aeree e in piccola parte alla viscosità del tessuto stesso.
Il concetto di resistenza è legato al concetto di flusso (F = P/R), che è valutabile con
l’equazione di Poiseuille: F = P r4/8 l ( R = 8 l/ r4).
Il 70% della R la troviamo nei bronchi maggiori fino ai bronchi di medio calibro, il 30% nei
bronchi di piccolo calibro (per: numero elevato, disposizione in parallelo e flusso laminare).
In individui normali R ≈ 1,5 cmH2O/l/s (range: 0,6-2,3 cmH2O/l/s); aumenta molto nelle
patologie ostruttive: riduzione di calibro (es. deposito di muco) R fino a 10 cmH2O/l/s.
Il flusso nelle vie aeree (soprattutto superiori) è turbolento rumori le cui modificazioni
sono indice di patologia (nel
sistema cardiocircolatorio la
presenza stessa di rumori è indice
di patologia).
In condizioni di riposo abbiamo
flusso turbolento ( P = F2 · R;
numero di Reynolds (NR) > 2000)
nelle alte vie aree, un flusso di
transizione (laminare-turbolento:
P = F · R1 + F2 · R2 (equazione di
Rohrer)) alle biforcazioni, un
flusso di nuovo turbolento nei
bronchi e poi laminare ( P = F · R)
nelle ramificazioni terminali.
Se ho occlusioni, infiammazioni o altre alterazioni del calibro delle vie respiratorie il flusso
può modificarsi e modificare i rumori nelle varie zone del polmone.
Durante un esercizio fisico si ha inspirazione forzata velocità del flusso si supera NR
turbolenza.
Il calibro ( R) delle vie aeree può essere modificato perché la muscolatura liscia bronchiale
è innervata da: parasimpatico broncocostringe (e secrezioni); simpatico-adrenergico
broncodilata (e secrezioni).
In inspirazione ( V polmonare) la R delle vie aeree (in condizioni fisiologiche) diminuisce
perché aumenta il calibro dei condotti (soprattutto quelli privi di anelli cartilaginei) in seguito
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Il volume massimo
espirato in un secondo
(VEMS = FEV1) si
riduce sia nelle patologie
ostruttive ( R) che in
quelle restrittive
(problemi di distensione),
ma poiché la capacità
vitale forzata (CVF) può
essere normale nelle
patologie ostruttive e si
riduce nelle patologie
restrittive l’indice di
Tiffeneau è rispettivamente
ridotto ed aumentato.
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delle vie aeree alte (rigide) il picco di flusso è minore ma può essere mantenuto per un
ampio ambito di volumi polmonari, finché non appaiono fenomeni di compressione dinamica.
Ostruzione distale (enfisema polmonare e asma bronchiale): la R delle vie aeree
distensibili la fase iniziale dell’espirazione forzata è quasi normale, ma essendo il punto di
uguale pressione distale, il segmento che definisce la porzione sforzo indipendente è spostato
a sinistra e la compressione delle vie aeree è tanto più precoce ed accentuata, quanto maggiore
è l’ostruzione.
Costante di tempo: le
variazioni di V alveolare
seguono le variazioni di forza
muscolare con un ritardo
descritto dalla costante di
tempo dipendente dalla
resistenza offerta dalle vie
aeree e dalla capacità (qui
compliance): = R · C.
Ci sono due tipi di alveoli: veloci (espansione rapida) e lenti
(magari perché connessi con una via aerea leggermente
ostruita); in condizioni normali (frequenza di 12/min
ciclo respiratorio di 5 s di cui 2,5 s di inspirazione) ciò non
crea problemi perché entrambi i tipi di alveoli riescono,
seppure in tempi diversi, a raggiungere il V finale; se la
frequenza respiratoria solo l’alveolo veloce riesce a
raggiungere il V desiderato nel tempo di inspirazione (si può
verificare che in espirazione l’alveolo normale si scarichi
nell’alveolo più lento: pendolo d’aria).
Nelle patologie restrittive ( C), il V inspirato è minore del
normale, ma è raggiunto più velocemente, perché ; nelle
patologie ostruttive ( R delle vie aeree), il V inspirato è
minore del normale, perché l’elevata resistenza ( ) ne
ritarda il raggiungimento: l’inspirazione finisce prima che
tale V venga raggiunto (il V finale si può raggiungere solo a
bassa frequenza respiratoria).
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Ventilazione
La ventilazione polmonare tiene conto solo del volume
corrente (= VC · frequenza = 0,5 l · 12 atti/min = 6
l/min), mentre la ventilazione alveolare tiene conto
anche dello spazio morto ((VC - VD) · frequenza = (500 -
150) ml · 12 atti/min = 4,2 l/min.
Il polmone in posizione ortostatica è soggetto alla forza
di gravità che stira come una molla la parte alta del
polmone, e comprime la parte bassa in condizioni di
riposo ortostatico, gli alveoli apicali sono più espansi
rispetto agli alveoli della base; in inspirazione, gli alveoli
subiscono perciò incrementi di V diversi: gli alveoli apicali sono
già distesi non si distenderanno molto ulteriormente
entrerà più aria negli alveoli della base del polmone poiché
partono da un V minore grazie alla forza di gravità abbiamo
in posizione ortostatica una ventilazione che aumenta dall’apice
verso la base.
Alla CFR, gli alveoli della base, che si trovano a V minore (Pep
più negativa), hanno maggiore C la ventilazione è maggiore
alla base del polmone.
Al VR, le parti basali del polmone risultano compresse (Pep
positiva) e quindi più difficilmente distensibili. A questo V la C è
maggiore nelle parti apicali del polmone ventilazione
maggiore all’apice.
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Perfusione polmonare
Dipende dalla GC del ventricolo destro (5 l/min); il circolo polmonare è un circolo a bassa
resistenza P basse rispetto al sistemico: Ps: 25 mmHg, Pd: 8 mmHg, Pm: 15 mmHg, P
capillare media: 7 mmHg. Rpol = (Pa -
Pv)/Fpol = (15 - 5) mmHg/5 l/min = 2
mmHg/l/min.
I vasi che vanno ad irrorare il polmone sono
divisibili in vasi extra-alveolari (sottoposti
alle variazioni di Pep calibro in
inspirazione (maggiore negatività Pep)) ed
alveolari (sottoposti alla tensione delle
pareti alveolari calibro in inspirazione
(maggiore V alveolare)).
La R totale è data dalla somma delle R delle
due tipologie di vasi (disposti in serie): è
minima alla CFR e aumenta sia verso il VR
che verso la CPT.
La Rpol subisce delle modificazioni diverse
da quelle delle R del circolo sistemico essendo il polmone l’unico distretto non dotato di
autoregolazione i vasi polmonari sono passivi: se P polmonare R per due fenomeni:
il reclutamento (molti vasi non sono aperti a P normali se P numero dei vasi pervi
R) e la distensione (vasi già aperti si dilatano se P). La riduzione delle Rpol mantiene
la P polmonare invariata; quindi, quando la GC mantiene invariato il post-carico per il
cuore di destra, impedisce la formazione di edema polmonare (che allontana la membrana
dell’endotelio da quella dell’alveolo diffusione polmonare) e controbilancia la tendenza
all’aumento di velocità di flusso mantenendo efficienti gli scambi alveolari.
I vasi polmonari sono comunque sensibili a sostanze vasocostrittrici (catecolamine,
serotonina, His (H1), PFG2 , PGE2, PDG2, TXA2) e vasodilatatrici (ACh (M1, mediata da NO),
PGI2 (prostacicline), NO, bradichinina, dopamina, adenosina).
Vasocostrizione ipo-ossica: negli altri distretti l’ipossia determina vasodilatazione (il sistema
chiede più sangue), a livello polmonare invece una diminuzione di pO2 nell’aria alveolare
determina una vasocostrizione (tempo di induzione 3-10 min) finalizzata a dirottare il flusso
ematico dalle unità ipo-ossiche agli alveoli normalmente ossigenati. Il fenomeno è mediato da
un’aumentata produzione vasocostrittori locali o una diminuzione dei vasodilatatori (ipotesi
dei recettori per O2 accoppiati a canale al K+ depolarizzazione contrazione muscolare).
Se le pressioni nei vasi o negli alveoli cambiano si modifica anche il flusso: come
conseguenza degli effetti gravitazionali, nel polmone normale in posizione ortostatica, il F
ematico aumenta dall’apice verso la base. L’effetto dipende dalle modificazioni di P ematica
in relazione con la distanza dal cuore (0,74 mmHg/cm; punto di riferimento idrostatico 0).
Normalmente nei polmoni (30 cm: salto pressorio di ≈ 23 mmHg) si possono identificare 3(/4)
zone di flusso (zone di West: sono
funzionali, non anatomiche).
Zona di flusso 1: assenza di F sia in fase
sistolica che diastolica perché, grazie
alla forza di gravità, la P arteriosa
polmonare è minore della P alveolare; è
una zona assente in condizioni normali,
ma si riscontra in condizioni di ridotta P
ematica o aumentata P alveolare (come
nei suonatori di strumenti a fiato).
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Zona di flusso 2 (da 10 cm sopra il cuore fino all’apice): la P è di 15 mmHg inferiore a quella
a livello del cuore Ps = 10 mmHg e Pd = -7 mmHg la Ps riesce a superare la P alveolare
(0), mentre la Pd diventa negativa ed il vaso viene compresso F intermittente: presente in
sistole, assente in diastole.
Zona di flusso 3 (da 10 cm sopra al cuore alla base del polmone): la P è di 8 mmHg superiore
a quella a livello del cuore Ps = 33 mmHg e Pd = 16 mmHg sia in sistole che in diastole
la P è superiore alla P alveolare F continuo.
Zona di flusso 4: in caso di eccessiva distensione del polmone vengono compressi i vasi
interalveolari.
La forza di gravità incide sia sulla ventilazione che
sulla perfusione: la ventilazione è maggiore alla base
rispetto all’apice (legato alla maggior possibilità di
distendere gli alveoli basali) ventilazione di 0,8
l/min alla base e 0,25 l/min all’apice; anche la
perfusione è maggiore alla base rispetto all’apice, ma
aumenta con una pendenza diversa siccome
l’aumento è diverso nei due casi il rapporto
ventilazione/perfusione (che è ciò che ci interessa ai
fini degli scambi) è maggiore all’apice e minore alla
base (perché alla base la perfusione è maggiore della
ventilazione e all’apice viceversa).
Scambi alveolari
63
Piso
La pressione dell’aria a livello del mare è 760 mmHg ed è composta per il 20,84% di O2 (pO2
= 159 mmHg), per il 78,6% di N2 (pN2 = 597 mmHg) e per lo 0,04% di CO2 (pCO2 = 0,3
mmHg, se non c’è inquinamento).
L’aria che entra nelle vie aeree (inspirata) viene umidificata, ossia addizionata di vapore
acqueo che, alla temperatura corporea, esercita una pressione parziale di 47 mmHg.
Poiché la P totale rimane 760 mmHg le percentuali relative degli altri gas non cambiano,
ma la loro pressione parziale diminuisce: pgas = % gas · (Pmiscela - pH2O) pO2 = 149 mmHg;
pN2 = 563 mmHg; pCO2 = 0,3 mmHg.
Le p dei gas nell’aria alveolare sono differenti da quelle dell’aria inspirata perché: • ad ogni
atto respiratorio 350 ml di aria atmosferica (VC - VD) si diluiscono in 2300 ml (CFR): il lento
ricambio dell’aria alveolare è fondamentale per prevenire improvvisi cambiamenti delle
concentrazioni e quindi della p dei gas nel sangue; • a livello alveolare O2 viene
continuamente prelevato dal sangue e CO2 passa continuamente dal sangue all’alveolo le p
diventano 100 mmHg per l’O2 e 40 mmHg per la CO2.
I valori delle pressioni alveolari dei gas si collocano, all’equilibrio, tra quelli dei vasi che
perfondono gli alveoli (pO2 = 40 mmHg, pCO2 = 46 mmHg) e quelli dell’aria (grazie alla
diffusione il sangue che esce dall’unità alveolo-capillare ha p uguali a quelle alveolari) e sono
misurabili valutando i valori di pressione nell’aria espirata, al termine dell’espirazione
(nell’aria espirata le p si modificano nel tempo perché il primo V di aria che esce deriva dallo
spazio morto ( stessa composizione dell’aria inspirata), poi si
hanno p intermedie e infine, l’ultimo V di aria espirata, proviene
solo dagli alveoli).
La pO2 e pCO2 alveolari dipendono dalla ventilazione alveolare:
con ventilazione alveolare normale (4,2 l/min) nell’alveolo
abbiamo pCO2 = 40 mmHg e pO2 = 100 mmHg; in caso di
iperventilazione ( profondità (VC) e/o frequenza) pO2 e
pCO2; in caso di ipoventilazione pO2 e pCO2.
La pO2 alveolare è: • direttamente proporzionale alla
ventilazione, fino ad un limite (pO2 dell’aria inspirata; oltre serve
la bombola) in un’attività fisica intensa arriva al polmone
sangue con pO2 = 15 mmHg ( consumo fino a 1000 ml/min
rispetto ai 250 ml/min della condizione basale) serve
iperventilazione; • inversamente proporzionale alla velocità di
consumo O2.
La pCO2 alveolare è: • direttamente proporzionale alla velocità
di produzione della CO2 (in esercizio produciamo 800 ml/min,
contro i 200 ml/min prodotti in condizioni normali serve
iperventilazione); • inversamente proporzionale alla
ventilazione (eliminata contro una p esterna molto bassa
posso eliminare CO2 fino a valori prossimi allo 0). Andamento
descritto dall’equazione: palveolareCO2 = CO2
prodotta/ventilazione alveolare.
Equazione dell’aria alveolare: consente di calcolare la pO2 alveolare conoscendo la
ventilazione alveolare e la quantità di CO2 prodotta dall’organismo è possibile calcolare la
pO2 alveolare, conoscendo: • pCO2 alveolare (pACO2 = CO2 prodotta/ventilazione alveolare); •
quoziente respiratorio R (rapporto tra CO2 prodotta e O2 consumato) che dipende dal
contenuto nella dieta di lipidi, carboidrati e proteine che determinano la quantità di CO2
prodotta, per un dato numero di molecole di O2 consumate dal metabolismo (R = 0,7 con un
metabolismo esclusivamente lipidico, R = 1 con un metabolismo esclusivamente a base di
carboidrati, R = 0,82 con una dieta mista).
64
Piso
Legge di Fick
La legge di Fick si applica anche alla diffusione dei gas: V = ( p · A · D)/d (V = quantità di
gas che diffonde nell’unità di tempo; p = differenza di concentrazione, quindi di pressione
parziale; A = superficie di scambio; D = /√PM = coefficiente di diffusione; d = distanza di
diffusione = spessore membrana respiratoria).
Le patologie che riducono la superficie di scambio (sia capillari che alveoli) o che
ispessiscono lo spazio alveolo-capillare (essudato bronchitico, edema polmonare) riducono la
capacità del gas di diffondere.
Il rapporto (A · D)/d rappresenta la conduttanza di un gas (capacità di diffusione)
dall’alveolo al sangue. Quando si considera l’intero polmone, la capacità di diffusione
polmonare per un gas (Dp) è la sua conduttanza per quel gas e viene definita come il V di gas
che diffonde in un minuto per un p di 1 mmHg valutata dall’equazione di Fick: Dp = (A ·
D)/d = Vgas/ P.
Dp aumenta durante l’esercizio fisico per aumento dell’area della superficie di scambio
dovuto a reclutamento dei capillari e dilatazione dei capillari già pervi, mentre si riduce in
condizioni patologiche (enfisema, fibrosi polmonare).
65
Piso
Il raggiungimento dell’equilibrio tra pgas alveolare e pgas sangue dipende dal legame del gas
con l’Hb ed è tanto più ritardato quanto maggiore è l’affinità dell’Hb per il gas.
Per gas come N2O (protossido di azoto) che non si legano
all’Hb (come tanti anestetici) l’equilibrio è raggiunto
velocemente: scambio limitato dalla perfusione la
diffusione dall’alveolo al sangue è limitata dalla quantità di
sangue che perfonde l’alveolo se nell’unità di tempo
passa più sangue (aumento perfusione) il trasporto
aumenta.
Per gas come CO, che hanno bassa solubilità nella barriera
alveolo-capillare e elevata affinità per l’Hb (250 volte
superiore a quella dell’O2), l’equilibrio non viene
raggiunto durante il tempo di transito: scambio limitato
dalla diffusione il sangue è in grado di legare rapidamente CO nel plasma la p rimane
bassa e l’equilibrio non viene raggiunto prima della fine del capillare solo se la diffusione
aumenta è possibile avere un significativo aumento di pressione al termine del capillare.
In generale il trasporto di un gas è: diffusione-limitato se pgas fine capillare < pgas alveolare;
perfusione-limitato se pgas fine capillare = pgas alveolare.
Il trasporto dell’O2 è normalmente perfusione-limitato e può diventare diffusione-limitato in
alcune patologie polmonari.
Anche la diffusione della CO2 è perfusione-limitata, perché l’equilibrio tra pACO2 e pcCO2 è
raggiunto in tempi brevi (simile all’O2: 0,20-0,25 s, sempre per garantire il giusto
funzionamento in caso di aumentata GC).
Come la CO, anche CO2 e O2 hanno bassa solubilità nella membrana alveolo-capillare, ma
elevata solubilità nel sangue, in quanto si legano all’Hb. La loro velocità di equilibrio è
comunque elevata e quindi il loro scambio è perfusione-limitato (simile a N2O) a causa di: •
elevato p per l’O2 (che tende a compensare il coefficiente di diffusione 20 volte inferiore
rispetto alla CO2) e maggiore diffusibilità per la CO2 (che permette gli spostamenti nonostante
66
Piso
una p minore); • capacità di legame con Hb ridotta (per l’O2) dalla parziale saturazione
dell’Hb (infatti alla pO2 del sangue venoso l’Hb è già satura al 75% perché l’Hb venga
saturata ci vuole poco comportamento più simile ad un gas che non ha affinità per l’Hb).
Misura della diffusione: la capacità di diffusione polmonare (Dp), come detto, è calcolabile
dall’equazione di Fick (= Vgas/ P); poiché risulta difficile misurare la p capillare di gas come
O2 o CO2 ( difficile calcolare il P) si utilizza normalmente la misura della capacità di
diffusione del CO, che, avendo un’elevata affinità per l’Hb, ha una pc che può essere
considerata 0 DpCO = VCO/(pACO).
La misura di DpCO informa sull’effettivo stato funzionale della membrana alveolo-capillare e
viene usato in clinica nella valutazione di patologie in cui è alterata la membrana (enfisema,
fibrosi polmonare).
Valutazione della DpCO: • metodo dello steady state: il soggetto respira per alcuni minuti una
miscela gassosa contenete 0,15% CO in aria, fino al raggiungimento di un valore alveolare
costante di CO (steady state); poi si misura la pACO (ultimo campione di aria espirata) e il
volume di CO assorbito nell’unità di tempo (VCO), come differenza tra la concentrazione di
CO nell’aria inspirata ed espirata; • tecnica del singolo respiro: il soggetto compie una sola
inspirazione di una miscela a bassa concentrazione di CO (0,2-0,3%) e quindi trattiene il
respiro per 10 secondi, durante i quali CO passa nel sangue in misura proporzionale alla
conduttanza della membrana alveolo-capillare; poi si misura pACO (ultimo campione di aria
espirata) e la quantità di CO assorbita durante il respiro (VCO) come differenza tra CO
inspirata ed espirata.
Considerando che la DpCO = 25 ml/min/mmHg e che vale 1,19 volte DpO2 DpO2 = 25/1,19
= 21 ml/min/mmHg con un p medio (tutto il transito del sangue nel capillare) per l’O2 di
11 mmHg (solo all’inizio vale 100 - 40) VO2 = 21 · 11 = 231 ml/min; DpCO2 = 200
ml/min/mmHg con un p medio per la CO2 di 1 mmHg (all’inizio 46 - 40) VCO2 = 200
ml/min.
Raggiungimento dell’equilibrio per l’O2 in caso di
alterazioni della DpO2 (il trasferimento diventa diffusione
dipendente): A: condizioni fisiologiche a riposo
equilibrio raggiunto in 1/3 del tempo di transito del sangue
nei capillari polmonari; B: riduzioni modeste della
diffusione (es. modesto ispessimento della membrana
respiratoria) aumenta il tempo di raggiungimento
dell’equilibrio; C: riduzioni consistenti della diffusione (es.
notevole ispessimento della membrana respiratoria)
l’equilibrio non è raggiunto nel tempo di transito del sangue
nei capillari polmonari e si avrà ipercapnia.
Raggiungimento dell’equilibrio per l’O2 durante l’esercizio
fisico intenso: GC il tempo di transito del sangue nel
capillare fino a 0,25 s ( tempo sufficiente, ma a rischio), ma
si verificano due condizioni che facilitano la diffusione: • p
alveolo-capillare per diminuzione della pO2 venosa (aumentato
consumo di O2 a livello muscolare p sangue = 15 mmHg) ed
aumento della pO2 alveolare (iper-ventilazione p alveolare =
110 mmHg); • l’area di superficie di scambio per un maggior
reclutamento dei capillari. diffusione l’equilibrio è
raggiunto nonostante la riduzione del tempo di transito del
sangue dovuta all’aumentata velocità di flusso per aumento
della GC.
67
Piso
Per arterializzazione del sangue si intendono le modificazioni di pO2 e pCO2 conseguenti agli
scambi gassosi polmonari. Il grado di arterializzazione del sangue è influenzato oltre che dalla
capacità di diffusione, anche dal rapporto tra ventilazione alveolare (VA) e perfusione
polmonare (Q).
Normalmente VA = 4,2 l/min con una
frequenza di 12 atti/min, mentre la Q (5
l/min) corrisponde alla gittata del
ventricolo dx considerando tutto il
polmone il rapporto V/Q = 0,8 con un
rapporto ≈ 1 abbiamo degli scambi
adeguati e delle p normali.
Se in un’unità respiratoria Q è normale,
ma V = 0 ( l’aria non viene ricambiata
in un alveolo ad es. per un’ostruzione
della via aerea avrà le stesse p del
sangue venoso: pO2 = 40 mmHg e pCO2
= 46 mmHg) V/Q = 0 il sangue
entra come venoso ed esce come venoso:
condizione detta shunt alveolare
(mescolamento del sangue venoso proveniente da alveoli in queste condizioni con sangue
diventato arterioso) che assieme allo shunt anatomico forma lo shunt fisiologico. Esistono
shunt anatomici: tutto il sangue arterioso proveniente dal polmone ha già subito un piccolo
mescolamento con un sangue venoso (le vene bronchiali si immettono nelle vene polmonari;
le vene di Tebesio si svuotano nel ventricolo di sx) anziché avere una pO2 = 100 mmHg
dall’emogas risulta una pO2 ≈ 95-97 mmHg (la CO2 varia poco) se facendo l’emogas la
pO2 risulta < 95 mmHg c’è uno shunt alveolare.
L’equazione dello shunt permette di calcolare quant’è la quota di sangue di shunt (Qs)
rispetto alla Q totale (Qt = GC): Qt · CaO2 (quantità di O2 nelle arterie sistemiche) = (Qt - Qs) ·
CcO2 (quantità di O2 dai capillari di unità con V/Q normale) + Qs · CvO2 (quantità di O2 dal
flusso shuntato) Qs/Qt = (CcO2 - CaO2)/(CcO2 - CvO2) (ndr: CcO2 si deriva calcolando la pO2
alveolare con l’equazione dell’aria alveolare; CaO2 misurata nel sangue arterioso; CvO2
misurata nell’arteria polmonare). Tanto maggiore è lo shunt fisiologico tanto maggiore è la
quantità di sangue che non viene ossigenata.
Se V è normale, ma Q = 0 (occlusione del vaso) V/Q = ∞ l’alveolo continua a ventilare,
ma non c’è scambio le p alveolari sono quelle dell’aria inspirata diventa uno spazio
morto alveolare che assieme allo spazio morto anatomico va a formare lo spazio morto
fisiologico (calcolabile con l’equazione di Bohr: VD/VC = (paCO2 - peCO2)/paCO2).
La ventilazione e la perfusione sono diverse nelle varie parti del polmone il rapporto V/Q è
minore alla base del polmone e maggiore all’apice negli alveoli apicali si avrà una
modificazione delle p che tende al comportamento dello spazio morto (V/Q = 0,25/0,07 =
3,56), mentre alla base ci si avvicina di più alla condizione di shunt (V/Q = 0,8/1,3 = 0,62):
negli alveoli apicali pO2 = 132 mmHg e pCO2 = 28 mmHg, negli alveoli basali pO2 = 88
mmHg e pCO2 = 42 mmHg.
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Il 97% dell’O2 viene trasportato legato all’Hb contenuta nei globuli rossi (19,4 ml/100 ml),
mentre il 3% (0,3 ml/100 ml) è fisicamente disciolto nel plasma e determina il valore della
pO2 nel sangue arterioso (valutabile con emogas) contenuto totale di O2: 19,7 ml/100 ml.
L’Hb è una cromoproteina di PM 64500, formata da 4 catene polipeptidiche: 2 catene di 141
aa e 2 catene non ( (146 aa), , ); ad ogni catena proteica è legato un gruppo eme:
protoporfirine con 4 anelli pirrolici
che legano un ferro bivalente (Fe2+)
centrale.
Nell’adulto l’Hb (HbA) è costituita
per il 95% da 2 catene e 2 (HbA
2 2) e per il 2-3% da 2 catene e2
(HbA 2 2). L’Hb fetale (HbF) è 2 2
(le catene vengono sintetizzate a
partire dalla sesta settimana prima
della nascita e la sostituzione si
completa a 4 mesi di vita). I diversi tipi di Hb hanno affinità diverse per l’O2.
L’O2 si lega all’eme per ossigenazione (senza cambiamenti della valenza ionica del ferro)
si forma ossiemoglobina (HbO2): reazione molto veloce (tempo di dimezzamento di 0,01 s)
che presenta cooperazione (un legame facilita il seguente). La liberazione dell’O2 avviene per
desossigenazione si forma desossiemoglobina.
Normalmente [Hb] = 15 g/100 ml di sangue; la capacità di legare O2 è descritta dal
coefficiente di legame (potere ossiforico): in condizioni ottimali 1 g di Hb lega 1,39 ml di
O2, in condizioni reali (leggera presenza di MetHb: ferro presente in forma trivalente (Fe3+) e
non può legare O2) 1 g di Hb lega 1,34 ml di O2 la massima capacità di O2 dell’Hb in
condizioni reali = 1,34 · 15 = 20,1 ml/100 ml di sangue nel sangue arterioso la capacità
massima di trasporto di O2 è 20,4 ml/100 ml di sangue (20,1 legati + 0,3 disciolti).
Il legame di O2 determina una modificazione
configurazionale della molecola di Hb (forma tesa
forma rilasciata): l’atomo di Fe2+ legato all’O2
risulta più piccolo, perché legandovisi mette in
comune con l’O2 un elettrone. Questo comporta
una riduzione del suo volume del 13% che lo fa
scivolare al centro dei 4 anelli pirrolici tirandosi
dietro l’istidina prossimale (His 87).
La quantità di O2 legata all’Hb (contenuto di O2) cresce in rapporto alla pO2 seguendo una
curva ad andamento sigmoide. Le proprietà funzionali
dell’Hb richiedono che sia un tetramero formato da
catene diverse (un tetramero con 4 catene uguali (es.
una forma di talassemia ha 4) o la mioglobina (formata
da una sola catena proteica) presentano una curva di
saturazione iperbolica diversa capacità di legare O2
alle diverse p): % saturazione in O2 = ([HbO2]/Hb
totale) · 100.
La capacità di trasporto dipende dal contenuto di Hb: la saturazione non equivale al contenuto
di O2 si possono avere stessi livelli di saturazione, ma contenuto in O2 minore, se la
concentrazione di Hb nel sangue è minore (es. anemia con Hb 7,5 gr/100 ml, pO2 = 100
mmHg saturazione = 97,5%, O2 legato = 10,4 ml/100 ml, contenuto O2: 10,4 + 0,3 = 10,7
ml/100 ml).
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Ricapitolazione riguardo il
contenuto arterioso di O2: • l’O2
disciolto è influenzato dalla
composizione dell’aria inspirata, dalla
ventilazione alveolare (che dipende
dalla frequenza respiratoria, VC, R
delle vie aeree, C), dalla diffusione
(che dipende dalla superficie di
scambio e dallo spessore della
membrana respiratoria) e dalla
perfusione; • l’O2 legato all’Hb
dipende dalla % di saturazione
dell’Hb (influenzata da pH, pCO2, T e
2,3-DPG) e dal numero totale di legami (dipendente dalla quantità di Hb presente in ogni
globulo rosso e dal numero di globuli rossi presenti nel sangue).
73
Piso
dalla pO2 del sangue arterioso e dal consumo metabolico. Consideriamo il passaggio del
sangue arterioso alla cellula: in assenza di metabolismo (MO2 = 0), la pO2 cala linearmente
con la distanza, con pendenza che dipende solo dalla conduttanza Kp; se MO2 > 0, il calo di
pO2 segue una funzione parabolica con pendenza tanto più ripida quanto maggiore è MO2.
Esiste all’interno della cellula una distanza d0 (pO2 < 3mmHg zona di anossia che diventa
zona di ischemia) dal capillare a cui pO2 si riduce a 0 (tanto minore quanto maggiore è MO2 e
maggiore quanto più elevate sono pO2 e Kp).
Questo concetto è spiegabile anche mediante
un modello che consideri un intero tessuto: il
cilindro di tessuto di Krogh rappresenta
un’area di tessuto attraversato centralmente da
un capillare.
L’immagine a sx rappresenta l’evoluzione della
pO2 all’interno di una cellula in funzione della
distanza radiale dal capo arterioso e venoso di
un capillare.
L’equilibrio tra consumo e apporto di O2
corrisponde ad un’adeguata pO2 in tutto il
tessuto; all’aumentare della distanza tra
capillari (cilindro più largo) o del consumo di O2 si possono avere punti del tessuto in cui la
pO2 cade a 0 (punto critico); oltre questo punto, non arrivando ossigeno, c’è una regione
anossica (nella regione del capo venoso, dove pO2 è minore) dove il metabolismo aerobico è
impossibile.
L’apporto di O2 ad un organo viene adattato al fabbisogno di O2 principalmente tramite
variazioni della perfusione (numero di capillari perfusi) poiché il contenuto di O2 nel sangue
arterioso non può essere aumentato di molto con l’iperventilazione essendo l’Hb, in
condizioni normali, già saturata al 98%.
Gli squilibri fra le necessità e la disponibilità di O2 vengono definiti ipossie: • ipossia
arteriosa (riduzione della pO2 nel sangue arterioso) che dipende da: · riduzione della pO2
nell’aria alveolare (per alta quota o diminuzione della ventilazione), · riduzione della
diffusione alveolare dell’O2 (per riduzione della superficie di scambio o aumentato spessore
della membrana respiratoria), · aumento del sangue di shunt (per alterazioni del rapporto
V/Q); • ipossia anemica (riduzione del contenuto di O2 nel sangue) che dipende da: ·
riduzione del contenuto di Hb, · formazione maggiore di metaemoglobina, · avvelenamento da
CO; • ipossia ischemica (riduzione del flusso ematico) che dipende da: · diminuzione della
pressione arteriosa, · aumento della pressione venosa; • ipossia istotossica (inattivazione dei
sistemi ossidativi cellulari; es. avvelenamento da cianuro).
74
Piso
per diffusione dal plasma (una piccola quota si lega alle proteine plasmatiche), si lega al
gruppo –NH2 dell’Hb con legami carbaminici a formare la carbaminoemoglobina. Il 70%
della CO2 reagisce nel globulo rosso con l’H2O in una reazione di idratazione catalizzata dalla
carboanidrasi formazione di H2CO3
(acido carbonico) che si dissocia in H+ e
HCO3− (bicarbonato); l’H+ viene quindi
tamponato, perché non vari il pH, dall’Hb
che lo lega a livello del gruppo
carbossilico (questi legami descritti sono
favoriti dal cambiamento di
conformazione dell’Hb quando rilascia
l’O2 e dall’effetto Bohr); l’HCO3− viene
trasportato nel plasma grazie allo
scambiatore HCO3−/Cl− della membrana
del globulo rosso serve a mantenere
l’elettroneutralità del globulo rosso (la
membrana del globulo rosso è
−
impermeabile ai cationi); il Cl che entra
nel globulo rosso è seguito dall’ingresso di
H2O il globulo rosso nel sangue venoso è più rigonfio (effetto Hamburger). Il 70%
della CO2 è sottoforma di HCO3−: tampone importantissimo del pH plasmatico.
Quando il sangue venoso arriva al polmone la CO2 dev’essere rilasciata: in primis passa
all’alveolo la CO2 fisicamente disciolta (grazie al p tra sangue venoso ed aria alveolare: 46-
40 mmHg) che, abbassando la pressione parziale del plasma, contribuisce alla riformazione di
CO2 dalle forme legate: l’interazione O2-Hb che avviene a livello polmonare favorisce il
distacco della CO2 e dell’H+
dall’Hb (l’Hb legata all’O2 è
un acido più forte dell’Hb non
ossigenata); l’H+ si ricombina
con il HCO3− che rientra nel
globulo rosso per inversione
dello scambiatore HCO3−/Cl−
si riforma CO2 che passa
nel plasma e va nell’alveolo.
Alla fine abbiamo un sangue arterioso che ha scaricato la CO2 (pCO2 = 40 mmHg) e non sono
più presenti CO2 e H+ in forma legata.
L’effetto che il legame O2-Hb ha sul rilascio della CO2 è detto effetto Haldane: le curve
sottostanti rappresentano la modificazione della quantità di CO2 presente nel sangue al variare
della pCO2; nel sangue venoso, alla pressione parziale
di 46 mmHg, il contenuto totale di CO2 è di 52 ml/100
ml; se la curva di dissociazione della CO2 non si
modificasse, il passaggio da sangue venoso ad
arterioso porterebbe ad una diminuzione del contenuto
totale di CO2 di soli 2 ml/100 ml (da 52 a 50 ml/100
ml dovuto alla CO2 fisicamente disciolta) in
conseguenza del legame dell’O2 all’Hb (sangue
arterioso) la curva di dissociazione della CO2 si sposta verso il basso nel passaggio da una
pCO2 di 46 mmHg ad una di 40 dobbiamo spostarci dalla curva viola a quella rossa la
quantità di CO2 rilasciata diminuisce di 4 ml/100 ml (da 52 a 48 ml/100 ml) raddoppia la
quantità di CO2 rilasciabile.
75
Piso
È conseguenza della maggiore acidità dell’HbO2 che facilita l’eliminazione della CO2: ha
meno tendenza a legarsi alla CO2 come carbaminoemoglobina, liberando quindi molta della
CO2 sotto questa forma, e rilascia un maggior numero di H+, che, combinandosi con HCO3−,
riformano CO2 che passa dal sangue agli alveoli.
Quest’effetto è il retro della medaglia (ed è più potente)
dell’effetto Bohr che dice che se CO2 e H+ diminuiscono
aumenta l’affinità dell’Hb per l’O2.
Il grafico a sx rappresenta il rapporto tra pressioni parziali e
trasporto nel sangue di O2 e CO2: la curva della CO2 è più
pendente rispetto a quella dell’O2 (bastano piccole variazioni
della pCO2 per avere grandi variazioni della quantità nel sangue)
le variazioni del contenuto di CO2 devono essere più
tamponate (es. Hb) perché sono più pericolose (la CO2 spinge
alla formazione di H+ promuovendo l’acidosi).
76
Piso
devono raggiungere i motoneuroni dei muscoli inspiratori (es. muscolo diaframma con il
nervo frenico)).
Il gruppo respiratorio dorsale è costituito da neuroni del nucleo del tratto solitario (NTS):
neuroni inspiratori, estremamente importanti nei processi di integrazione delle informazioni
provenienti dai chemocettori e dei recettori polmonari (afferenze).
Responsabile della ritmicità è il gruppo respiratorio ventrale che comprende varie aree: •
una zona rostrale, corrispondente al
nucleo retro-facciale (complesso di
Bötzinger) che ha funzione
espiratoria; • una zona intermedia,
corrispondente al nucleo ambiguo
e para-ambiguo, con funzione
inspiratoria; • una zona caudale,
corrispondente al nucleo retro-
ambiguo, con funzione espiratoria.
A questi nuclei si aggiunge il
complesso pre-Bötzinger,
coinvolto nella genesi del ritmo
respiratorio nel primo periodo
post-natale.
Il centro pneumotassico, che
costituisce il gruppo respiratorio
pontino, comprende il nucleo di Kolliker-Fuse e il nucleo parabrachiale mediale i cui neuroni
(neuroni interruttore) facilitano il passaggio dalla inspirazione alla espirazione (infatti una
lesione tra centro pneumotassico e i centri sottostanti causa respiro apneustico: lunga
inspirazione e corta espirazione).
Il centro apneustico è centrale e non ben definito; fa parte della sostanza reticolare giganto-
cellulare e magno-cellulare pontina (reticolare), avente un’azione attivatrice generale
(l’interruzione di questa connessione riduce la regolarità dell’attività dei neuroni bulbari).
Il gruppo respiratorio ventrale, attivando alternatamente motoneuroni di muscoli inspiratori
ed espiratori, genera il ritmo, che viene regolato dal centro pneumotassico, dai chemocettori
centrali e periferici e dai meccanocettori polmonari (centro respiratorio dorsale) e dalla
volontà.
L’attività respiratoria viene divisa in 3 fasi: una fase inspiratoria (I) in cui si ha un aumento
graduale (a rampa) dell’attività del nervo frenico (attivazione diaframma) che assicura un
graduale aumento del volume polmonare; una fase espiratoria (divisibile in fase post-
inspiratoria (PI) ed espiratoria) in cui
si ha una progressiva diminuzione
dell’attività del nervo frenico
(rilasciamento diaframma); una fase di
espirazione attiva (E2) in cui si ha
un’attività crescente (a rampa) dei
nervi intercostali interni.
I neuroni respiratori sono divisibili in 2
categorie: proprio-bulbari (interneuroni costituenti la rete neuronale) e bulbo-spinali
(neuroni che proiettano il segnale elaborato dalla rete neuronale ai motoneuroni del midollo
spinale).
I neuroni respiratori proprio-bulbari sono divisibili, in base alla modificazione di frequenza di
77
Piso
scarica durante il ciclo respiratorio, in: neuroni a scarica crescente (a rampa), neuroni a scarica
decrescente e neuroni a scarica costante; i neuroni respiratori bulbo-spinali sono invece tutti
neuroni a scarica crescente (a rampa).
Il pattern di scarica dei vari tipi di neuroni respiratori proprio-bulbari deriva dalle proprietà
intrinseche di membrana del neurone e dalle connessioni sinaptiche eccitatorie ed inibitorie
della rete neuronale.
Neuroni inspiratori precoci (IP): scaricano a inizio
inspirazione e poi la scarica decresce; neuroni
inspiratori (I): hanno una scarica crescente e sono
inibiti in espirazione; neuroni inspiratori tardivi (IT):
scaricano nell’ultima parte della fase inspiratoria e la
scarica decresce nella prima parte della fase post-
inspirtoria (utile perché il passaggio da inspirazione ad
espirazione sia graduale); neuroni post-inspiratori (PI):
hanno una scarica decrescente in espirazione (inibiti in
espirazione attiva); neuroni espiratori (E2): hanno una
piccola scarica alla fine dell’inspirazione, mentre in espirazione attiva scaricano in maniera
crescente se diminuiscono gli input inibitori; neuroni pre-inspiratori (Pre-I): scaricano
nell’ultima parte dell’espirazione e nella prima dell’inspirazione.
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cessazione della scarica dei Golgi del diaframma e soprattutto degli intercostali esterni (più
caudali) attivazione motoneuroni del frenico (rinforzo).
Queste afferenze neuromuscolari sono importanti per la genesi della dispnea (difficoltà a
respirare): quando l’accorciamento del muscolo è inadeguato a generare la forza che deve
essere sviluppata, si ha discrepanza tra l’informazione dei fusi (lunghezza muscolo) e dei
Golgi (tensione) si avverte una sensazione di ostacolo alla respirazione.
Anche i recettori articolari (delle articolazioni della gabbia toracica) informano su inadeguati
spostamenti della gabbia toracica.
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Chemocettori periferici: i glomi aortici e carotidei sono recettori formati da cellule ( non
terminazioni libere come per i barocettori) glomiche (rotondeggianti) in contatto sinaptico con
afferenze del nervo di Hering (le stesse che vengono dai barocettori e che viaggiano poi nel
nervo glossofaringeo) per quanto riguarda i glomi carotidei, e con afferenze del vago per
quanto riguarda i glomi aortici. Le cellule glomiche rispondono a pO2 ( sente O2
disciolto), pCO2 e pH del sangue arterioso e si
comportano come interneuroni: rilasciano dopamina
depolarizzando le cellule delle fibre afferenti di cui
incrementano la scarica (che è tonica a valori normali di
pO2, pCO2 e pH). Questi recettori non si adattano nelle
condizioni croniche.
La risposta alla pCO2 dei chemocettori periferici è
meno potente di quella dei chemocettori centrali, ma è
più rapida (perché ci vuole tempo affinché il sangue in
cui si modifica p arrivi all’endefalo e stimoli i
chemocettori centrali).
Questi recettori sono perfusi con un flusso ematico
molto elevato (2 l/min/100 g di tessuto) a questo
livello la velocità di flusso è talmente elevata che l’O2
prelevato per il metabolismo delle cellule glomiche non
fa variare la pO2 i recettori sono sempre a contatto
con alti livelli di pO2 (sangue arterioso) riescono a
rilevarne la minima variazione.
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Sonno e ventilazione
La formazione reticolare tronco-encefalica influenza il ritmo sonno-veglia ed il respiro
variazioni stato sonno-veglia si ripercuotono su variazioni della ventilazione.
Nella fase di sono non-Rem c’è una maggiore regolarità del respiro e una diminuita sensibilità
alla CO2 dovuta al fatto che si ha una diminuita attività della reticolare la ventilazione è
regolata principalmente da influenze di tipo metabolico.
Nella fase di sonno REM c’è una maggiore irregolarità del respiro e si ha un ulteriore
diminuzione di sensibilità alla CO2 rischio di apnee da sonno (arresto della ventilazione)
la sonno-poligrafia registra l’attività respiratoria nelle diverse fasi del sonno, evidenziando
eventuali periodi di apnea.
Patologiche sono le apnee da sonno centrale (o maledizione di Ondine): mancanza di
ventilazione durante il sonno per perdita dell’attivazione centrale (il soggetto dev’essere
aiutato a respirare durante il sonno).
Equilibrio acido-base
pH = log (1/[H+]) = - log [H+]; valori nei liquidi corporei: sangue arterioso pH = 7,4, sangue
venoso pH = 7,35 (pH inferiori = acidosi, pH superiori = alcalosi: limiti di pH compatibili con
la vita = 6,8-8), pH intracellulare = 6-7,4, pH urina 4,5-8.
Effetti delle alterazioni del pH: • alterazioni dell’eccitabilità delle cellule nervose e muscolari
(se pH depressione del SNC (disorientamento e coma), se pH ipereccitabilità del
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SNP (formicolii, scosse muscolari, spasmi) e del SNC (convulsioni)), • alterazioni delle
attività enzimatiche, • alterazioni della concentrazione di K+ (se pH escrezione renale di
+ +
H secrezione di K ).
Il nostro organismo produce H+: • acidità volatile (15000 mmol/die): dalla reazione di
idratazione catalizzata dall’anidrasi carbonica (CO2 + H2O H2CO3 H+ + HCO3−); l’H+
così formatosi viene temporaneamente tamponato dall’Hb e restituito sottoforma di CO2 a
livello polmonare non costituisce un guadagno di H+ perché la CO2 (volatile) viene
eliminata con la respirazione; • acidità fissa (0,2%, ≈ 210 mmol/die): acido solforico (dal
metabolismo proteico: metionina, cisteina, cistina), acido fosforico (dal metabolismo dei
fosfolipidi), acido cloridrico (dalla conversione del cloruro di ammonio in urea), acido lattico
(dalla gliolisi aerobica), corpi chetonici (acido acetoacetico, -idrossibutirrico, acetone).
H+ viene tuttavia consumato nella quantità di 140 mmol/die (per le reazioni di ossidazione
degli anioni) in dieta mista il bilancio di H+ è di 1 mmol/Kg/die ( 70 mmol/die in un
adulto di 70 Kg) eccesso di H+ affinché non venga alterato il pH fisiologico servono
sistemi tampone che agiscano velocemente intrappolando temporaneamente gli H+ (tempi
delle reazioni chimiche: risposta immediata) finché non vengono eliminati da polmoni
(minuti: risposta rapida) e reni (giorni: risposta lenta).
Potere tampone: quantità (moli) di acido o base che occorre aggiungere ad 1 litro di
soluzione tampone per variare il pH di 1 unità.
L’equazione di Henderson-Hasselbalch permette di calcolare il pH di una soluzione
tampone conoscendo la concentrazione dei componenti del sistema tampone ed è descritta
dalla cinetica della reazione di dissociazione di un acido: HA H+ + A− (esiste una costante
di dissociazione (k1) e una costante di riassociazione (k2) che all’equilibrio sono uguali); per la
legge di azione di massa: k1[HA] = k2[H+][A−] k1/k2 = K (costante di equilibrio) =
− −
+
([H ][A ])/[HA] +
[H ] = K[HA]/[A ] - log [H ] = - log K - log ([HA]/[A−])
+
pH = pK
+ log ([A−]/[HA]).
La rappresentazione grafica di questa equazione ci
dice che quando il valore del pH è uguale al valore
del pK (del sistema tampone), le concentrazioni di
HA ed A− sono uguali. Il sistema tampone è più
efficiente nella parte centrale della curva (entro
oscillazioni di 1 unità di pH in più o in meno del
valore di pK) il tampone è efficace se: • il suo
pK è vicino al pH desiderato, • se è presente in
elevate concentrazioni.
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La curva di titolazione del sistema bicarbonato ci mostra appunto che il sistema tampone non
sembra essere particolarmente efficiente perché pK = 6,1 mentre il pH del sangue = 7,4 (
dal punto di vista chimico non è un buon tampone). La parte del tampone sotto forma di
HCO3− è 20 volte > di quella sotto
forma di CO2. Inoltre le concentrazioni
di HCO3− e CO2 sono basse.
In realtà il sistema bicarbonato è il
sistema tampone extracellulare più
potente dell’organismo, perché è un
sistema aperto, cioè un sistema nel
quale i componenti possono essere
regolati dall’organismo (la CO2
dall’attività respiratoria e l’HCO3− dal
rene).
L’equazione di Henderson-Hasselbalch
per il bicarbonato è pH = 6,1 + log ((24
mmol/l)/(1,2 mmol/l)); se aggiungiamo 5 mmol di HCl, in un sistema chiuso (il bicarbonato si
riduce perché va a tamponare le 5 mmol): pH = 6,1 + log ((24 - 5)/(1,2 + 5)) = 6,1 + log
(19/6,5) = 6,6; se aggiungiamo a 5 mmol di HCl, in un sistema aperto, in cui la CO2 è
costantemente controllata (man mano eliminata grazie alla iperventilazione indotta da pCO2
pH mantenuto costante): pH = 6,1 + log (19/1,2) = 7,3.
Tamponi intracellulari
Il pH intracellulare (6-7,4) è leggermente inferiore a quello del LEC, ma ne segue, anche se
lentamente, le variazioni, perché la CO2 diffonde nelle cellule e H+ entra con anioni organici e
in scambio con il K+.
I sistemi tampone intracellulari contribuiscono ad impedire variazioni del pH del LEC, anche
se agiscono lentamente e sono rappresentati dalle proteine e dai fosfati inorganici (ATP, ADP,
AMP, glucosio-1-monofosfato e 2,3-DPG).
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HCO3− viene filtrato nel glomerulo e non può essere riassorbito come tale perché la membrana
di queste cellule è impermeabile agli anioni si combina con l’H+ secreto si forma H2CO3
(acido carbonico) che si dissocia (nell’orletto a spazzola è presente un’anidrasi carbonica: CA-
IV) in H2O (che può essere riassorbita a seconda della parte di tubulo dove ci troviamo) e CO2
che, essendo liposolubile, rientra nella cellula (la CO2 presente nella cellula può anche venire
dal plasma) dove viene idratata da un’anidrasi carbonica intracellulare (CA-II) l’H+ viene
−
secreto da NHE3 ( è ricircolato), l’HCO3 viene immesso nel sangue in controtrasporto col
Na+ (S1) o col Cl− (S3).
I controtrasporti Na+/H+ sono gli stessi che sono coinvolti nel riassorbimento del Na+ in
ipovolemia ( LEC; es. terapie con diuretici o vomito) l’angiotensina II accelera il
funzionamento e l’espressione dei trasportatori riassorbimento del Na+, ma anche la
secrezione di H+ e quindi il riassorbimento di HCO3− meccanismo che provoca alcalosi (da
riduzione del LEC).
Il riassorbimento di HCO3− non porta ad escrezione netta di H+ (che ricircola); la secrezione di
H+ serve fondamentalmente ad impedire la perdita di HCO3− per ogni H+ secreto abbiamo
−
riassorbito un HCO3 che però è meno rispetto alla quantità di H+ da eliminare servono
anche altri sistemi tampone.
Sempre nel tubulo prossimale
agisce il sistema tampone del
fosfato: l’H+, derivante dalla
reazione di idratazione (AC-II)
della CO2 ( si forma anche
−
HCO3 ), viene secreto mediante
NHE3 e si combina con HPO42−
a formare H2PO4 che viene
eliminato con l’urina come
NaH2PO4 (fosfato di sodio).
Per ogni H+ secreto nel lume che
si combina con un tampone
diverso da HCO3−, un nuovo
ione HCO3− viene immesso nel
sangue.
In condizioni normali, la maggior parte del fosfato filtrato è riassorbita (cotrasporto
Na+/fosfato a livello del tubulo prossimale) solo 30-40 mmol/die sono utilizzabili come
tampone urinario. Il cotrasporto Na+/fosfato è inibito da un pH luminale basso minor
riassorbimento in caso di
acidosi più utilizzabile
per tamponare. Il carrier
Na+/fosfato inoltre trasporta
meglio HPO42− rispetto ad
H2PO4− ( una volta
tamponato H+ è meno
riassorbibile è facilitata
l’escrezione di H+).
Un sistema tampone
importante (il più
importante in condizioni di
acidosi) è quello
+
dell’NH3/NH4 .
NH3 (ammoniaca) si
produce dal metabolismo
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della glutammina che viene filtrata nel glomerulo e riassorbita dalle cellule del tubulo
prossimale dove viene scissa dalla glutaminasi in glutammato e NH4+ (ione ammonio) che
deriva anche dalla successiva trasformazione del glutammato in -chetoglutarato ad opera
della glutammato-deidrogenasi. Questi 2 NH4+ non possono essere secreti scissi in 2 NH3 +
2 H (secreto dalla NHE3) che possono essere secreti nel tubulo e qui si riassociano in 2 NH4+
+
che in piccola parte viengono riassorbiti a livello dell’ansa di Henle in scambio col K+, ma per
lo più si combinano col Cl− per essere eliminati ( nell’urina troviamo cloruro di ammonio).
L’ -chetoglutarato formatosi nella cellula, associandosi a 2 H+ derivanti dall’idratazione della
CO2 (CA-II), forma (½) glucosio che viene riassorbito; dall’idratazione si formano anche 2
HCO3− per ogni molecola di glutammina metabolizzata nei tubuli prossimali 2 NH4+
vengono secreti nel tubulo e 2 HCO3− di nuova formazione vengono immessi nel sangue.
Ogni volta che tamponiamo H+ con sistemi diversi da HCO3− riformiamo HCO3−.
NH3 viene escreto anche dalle
cellule intercalate del tubulo
collettore: l’H+, prodotto
dall’idratazione della CO2 (CA-
II), viene secreto nel tubulo da
solo da una ATPasi o in scambio
col K+ dall’ATPasi H+/K+ e nel
lume si associa a NH3 che vi
arriva invece passando
liberamente la membrana
luminale o, dal liquido
interstiziale, tramite la via
paracellulare anche qui per
ogni NH4+ escreto nell’urina un nuovo HCO3− viene immesso nel sangue.
L’acidosi stimola la sintesi della glutaminasi incrementa il metabolismo renale della
glutamina; nell’acidosi cronica l’escrezione di NH4+ aumenta notevolmente e diventa il
meccanismo prevalente per l’eliminazione dell’eccesso di H+.
Le cellule intercalate possono essere di tipo e : • in caso di acidosi le cellule intercalate di
tipo secernono H+ (responsabili del 5% della secrezione) e riassorbono HCO3− (pompa
ATPasi-H+ e pompa ATPasi-H+/K+ site nella membrana apicale) in eccesso di H+ c’è la
+
possibilità di liberare nell’urina H libero (acidità titolabile: quantità di acido libero,
valutabile in base alla quantità di base, NaOH, necessaria a riportare il pH a 7,4) pH urina
fino a 4-4,5; • in caso di alcalosi le cellule intercalate di tipo riassorbono H+ ed eliminano
HCO3− (pompa ATPasi-H+ e pompa ATPasi-H+/K+ site nella membrana baso-laterale).
L’acidosi stimola l’inserimento della pompa ATPasi-H+/K+ nella membrana apicale. La
funzione di questa pompa può creare alterazioni nella kaliemia, parallele a quelle
dell’equilibrio acido-base (acidosi associata ad iperkaliemia e alcalosi associata ad
ipokaliemia).
L’acidosi stimola l’espressione e l’inserimento della pompa ATPasi-H+ nella membrana
apicale, l’alcalosi ha effetto opposto.
La secrezione di H+ è stimolata dall’aldosterone: • azione diretta sulle cellule intercalate
(meccanismo non ancora chiarito), • azione indiretta, associata al riassorbimento di Na+ a
livello delle cellule principali, che aumenta il voltaggio negativo del lume, favorendo la
secrezione di H+ da parte delle cellule intercalate.
Quando si ha un eccesso di HCO3− rispetto ad H+ (alcalosi) gli HCO3− in eccesso non possono
essere riassorbiti a livello renale vengono escreti (compensazione renale dell’alcalosi).
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Nomogramma acido-base
Grafico in cui sono riportati i valori di pH
(sangue arterioso), [HCO3−] e pCO2 che si
intersecano, secondo l’equazione di
Henderson-Hasselbalch.
Il nomogramma a dx rappresenta la relazione
tra [HCO3−] plasmatica e pH per diversi valori
di pCO2 (le linee blu sono isobare della CO2):
la zona verde indica gli ambiti
fisiologicamente accettabili di pCO2 (35-50
mmHg) e [HCO3−] (22-28 mM); fuori da tale
regione, si delimitano 4 quadranti: • sinistra-
alto: acidosi respiratoria, • sinistra-basso:
acidosi non-respiratoria (metabolica), • destra-
alto: alcalosi non-respiratoria (metabolica), •
destra-basso: alcalosi respiratoria.
Un altro tipo di nomogramma
rappresenta la relazione tra [HCO3−]
plasmatica e pCO2 per diversi valori
di pH: ad ogni pH (linee rette blu)
corrisponde un rapporto fisso tra
[HCO3−] e pCO2. Le variazioni di pH
nel sangue (linea del sangue)
dipendono principalmente dal suo
contenuto di HCO3− (riserva alcalina:
RA). Con una RA normale (HCO3− =
24 mM/l) alterazioni della pCO2 (non
variano la RA perché HCO3− e
proteinati) spostano il sistema lungo
la “linea del sangue normale”
(verde). Modificazioni della RA
cambiano le proprietà tampone del
sangue (linea blu: RA elevata, BE+;
linea rossa: RA ridotta, BE-).
Le regioni sopra e sotto la linea di [HCO3−] normale
indicano rispettivamente alcalosi ed acidosi
metabolica. Le regioni a sinistra e a destra del
valore di pCO2 normale indicano rispettivamente
alcalosi e acidosi respiratoria.
• Disturbi respiratori: con una [HCO3−] normale
(RA normale), la risposta passiva del sangue, come
tampone chimico, alle alterazioni di pCO2 in fase
acuta è rappresentata da spostamenti lungo la linea
del sangue normale (1: blu = alcalosi, rossa =
acidosi). Se persiste la di pCO2 (alcalosi
respiratoria cronica), il sistema ripristina il pH,
grazie all’eliminazione renale di HCO3− (2 blu), che
sposta il sistema su una curva del sangue
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Criteri diagnostici
Misurare su campioni di sangue arterioso le grandezze che permettono la distinzione fra
alcalosi-acidosi, come fra forme respiratorie e non-respiratorie: • pH: indica se è presente uno
squilibrio acido-base; • pCO2: permette di distinguere un’alterazione primaria di tipo
respiratorio; • eccesso delle basi (BE: ambito normale -2,5/+2,5 mmol/l): permette di
riconoscere se si è in presenza di un’alterazione primaria di tipo respiratorio o non
respiratorio.
Es. pH < 7,4 acidosi • se [HCO3−] < 24 mEq/l metabolica (se c’è un compenso
respiratorio in atto pCO2 < 40 mmHg); • se pCO2 > 40 mmHg respiratoria (se c’è
−
compenso renale in atto [HCO3 ] > 24 mEq/l.
pH > 7,4 alcalosi • se [HCO3−] > 24 mEq/l metabolica (se c’è un compenso
respiratorio in atto pCO2 > 40 mmHg); • se pCO2 < 40 mmHg respiratoria (se c’è
−
compenso renale in atto [HCO3 ] < 24 mEq/l.
Se nel sangue arterioso: pH = 7,35, [HCO3−] = 16 mEq/l e pCO2 = 30 mmHg acidosi
−
metabolica perché: pH < 7,4, [HCO3 ] < 24 mEq/l e pCO2 < 40 mmHg analisi della
risposta compensatoria: acidosi metabolica compensata perché pCO2 < 40 mmHg; diagnosi:
acidosi metabolica semplice, con appropriata risposta compensatoria respiratoria in atto.
Se nel sangue arterioso: pH = 6,96, [HCO3−] = 12 mEq/l e pCO2 = 55 mmHg acidosi
−
metabolica e respiratoria perché: pH < 7,4, [HCO3 ] < 24 mEq/l e pCO2 > 40 mmHg;
diagnosi: alterazione mista; potrebbe essere presente in paziente con patologia respiratoria
cronica (enfisema) e con una forma gastrointestinale acuta (diarrea).
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Gap anionico
Utile nella diagnosi differenziale dell'acidosi metabolica: GA = [Na+] - ([Cl−] + [HCO3−]); il
range di normalità è 5-11 mEq/l.
Si basa essenzialmente sul principio di elettroneutralità (in ogni istante deve essere presente
una situazione di elettroneutralità: la somma dei cationi deve essere uguale alla somma degli
anioni) Na+ + K+ + CNM = Cl− + HCO3− + ANM (CNM e ANM sono rispettivamente i
cationi e gli anioni non misurabili) (Na+ + K+) - (Cl− + HCO3−) = (ANM - CNM) se la
somma di tutti i cationi misurati (140 + 4) è sempre superiore alla somma degli anioni
misurati (105 + 24), la loro differenza esprimerà una quota importante degli altri anioni
presenti ma non misurati perché servirebbero metodiche complesse (gap anionico).
Riflette le cariche negative associate alle proteine plasmatiche in quanto gli altri cationi (K+,
Ca2+ e Mg2+) sono bilanciate da fosfati, solfati ed anioni organici.
• Gap anionico elevato indica acidosi metabolica da accumulo di anioni non misurati (solfato
nell'insufficienza renale, corpi chetonici nel diabete o chetoacidosi alcolica, lattato o agenti
tossici esogeni come il glicole etilenico o i salicilati).
• Gap anionico normale: acidosi metabolica ipercloremica, perché l'anione acido è il cloro che
entra nel calcolo del gap anionico. Le perdite renali o extrarenali di HCO3− determinano
acidosi metabolica ipercloremica (senza gap anionico), poiché i meccanismi renali conservano
il cloro nel tentativo di mantenere il volume del LEC. Acidosi con gap anionico normale
segnalano alterazione dell'escrezione renale di H+ (acidosi tubulare renale (Renal Tubular
Acidosis: RTA), nefropatia interstiziale).
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Sistema renale
Il flusso ematico renale (FER) è il 21% della GC 1200 ml/min che si distribuiscono per il
90% alla corticale e per il 10% alla midollare.
Le unità anatomo-funzionali del rene sono i nefroni che in base alla loro distribuzione si
dividono in corticali e iuxtamidollari (questi hanno lunghe anse di Henle).
Il glomerulo vascolare è costituito dalla capillarizzazione dell’arteriola afferente e questi
capillari confluiscono nell’arteriola efferente che dà origine ad una seconda capillarizzazione
(capillari peritubulari). Il glomerulo è avvolto dalla capsula di Bowman, un’estroflessione del
tubulo contorto prossimale che prosegue con l’ansa di Henle e col tubulo contorto distale che
si apre in un dotto collettore.
A livello del nefrone si realizzano tre processi fondamentali che portano alla formazione
dell’urina: l’ultrafiltrazione (a livello del glomerulo), il riassorbimento e la secrezione (a
livello dei tubuli); la quantità di qualsiasi sostanza presente nell’urina (carico escreto) è il
risultato di questi tre processi carico escreto (E) = carico filtrato (F) – carico riassorbito (R)
+ carico secreto (S).
Per eliminare dal circolo le sostanze in eccesso, o tossiche, è richiesta ultrafiltrazione e non è
sufficiente la sola secrezione perché l’ultrafiltrazione permette: un’uscita più rapida delle
sostanze dal circolo e un risparmio energetico, perché utilizza un processo fisico che sfrutta
l’energia pressoria creata dal cuore anziché trasporti attivi.
L’ultrafiltrazione consiste nel passaggio di un elevato volume di plasma privo di proteine.
È necessario un filtro scarsamente selettivo perché rimangano nel sangue solo le proteine, che
creano una pressione colloido-osmotica che la pressione ematica può contrastare (si evita al
cuore un lavoro eccessivo) se il filtro fosse più selettivo pressione colloido-osmotica
servirebbe una Pa molto maggiore. L’ultrafiltrazione impone però un processo di
riassorbimento tubulare atto a recuperare le sostanze utili all’organismo.
Il volume di plasma che viene filtrato nell’unità di
tempo nel glomerulo renale ci dice la velocità di
filtrazione glomerulare (VFG); la frazione di
filtrazione (FF) rappresenta la percentuale del
flusso plasmatico renale (FPR) che subisce
filtrazione: FF = VFG/FPR = 20%.
Perché si abbia una corretta ultrafiltrazione sono
necessari: la presenza di una struttura capace di
trattenere le proteine e far passare solvente e
cristalloidi (barriera di ultrafiltrazione); la presenza
di una pressione glomerulare (pressione di
filtrazione) risultante da una pressione ematica
capace di superare la pressione colloido-osmotica
del plasma e la pressione della capsula di Bowman
(equivalente della pressione interstiziale).
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Barriera di ultrafiltrazione
La barriera di ultrafiltrazione è permeabile all’acqua e a tutti i soluti con PM < 70 kDa
(l’albumina è la proteina col minor PM: 69 kDa).
La capacità di filtro dipende dalle dimensioni delle molecole (cui corrisponde un raggio
atomico) e dalla loro carica elettrica (le proteine, al pH dei liquidi corporei, sono anioni
respinte dalle cariche negative dei componenti della barriera): la filtrazione è libera per
molecole con raggio < 20 Å (PM < 5 kDa), è parziale per sostanze con raggio < 42 Å (PM <
70 kDa) ed è nulla per molecole con raggio e PM maggiori.
La barriera di ultrafiltrazione è formata da: un
endotelio fenestrato (pori di 50-100 nm)
caricato negativamente, una membrana basale
costituita da collagene, proteoglicani
polianionici e mucopolisaccaridi acidi (cariche
negative fisse), l’epitelio viscerale della
capsula di Bowman costituito da podociti i cui
prolungamenti (pedicelli) aderiscono alla
membrana basale grazie a ponti molecolari
(integrine) e formano fessure (≈ 5 nm) chiuse da
un diaframma (con pori di 4-14 nm) formato da
nefrina e podocina ancorate all’actina del
citoscheletro tramite caderina (per regolare
l’apertura di questi pori).
Dipendenza della filtrabilità dalla carica
elettrica: la relazione tra dimensioni molecolari, carica e coefficiente di filtrazione (filtrabilità)
è stata studiata utilizzando polimeri di destrano: la filtrabilità di macromolecole con raggio 20-
42 Å dipende dalla carica ed è maggiore per le forme cationiche.
La filtrazione delle proteine è limitata perché caricate negativamente. Se l’albumina (raggio
35 Å) fosse neutra filtrerebbe significativamente con conseguente ipoalbuminemia.
La perdita della carica negativa sulla barriera di filtrazione (glomerulonefriti) provoca
aumento di filtrazione delle proteine polianioniche con raggio fino a 42Å e comparsa nelle
urine (proteinuria).
La VFG è il volume di filtrato che si forma nell’unità di tempo e corrisponde a 125 ml/min
(180 l/die i 3 litri di plasma che abbiamo in condizioni normali sono filtrati 60 volte in un
giorno).
Questo volume dipende dalla pressione netta di ultrafiltrazione (Pf), che è la risultante delle
forze di Starling (idrostatiche e colloido-osmotiche), e dal coefficiente di ultrafiltrazione (Kf
= permeabilità · superficie filtrante), che nel rene è 400 volte superiore a quello degli altri
distretti vascolari.
In un capillare sistemico la pressione idrostatica nel versante arterioso è 30-32 mmHg e
diminuisce nel versante venoso (per le resistenze) fino a 10 mmHg cui si oppone una
pressione colloido-osmotica di 28 mmHg, una pressione idrostatica interstiziale di -3 mmHg e
si somma una pressione colloido-osmotica interstiziale di 8 mmHg nella porzione
arteriolare c’è filtrazione, ma andando verso il versante venulare le forze che la causano
diminuiscono e poi si invertono causando riassorbimento (considerando i valori medi c’è un
eccesso di filtrazione che viene recuperato dal sistema linfatico).
Nel glomerulo non ci deve essere riassorbimento (che deve avvenire nei tubuli grazie ai
capillari peritubulari) le pressioni devono rimanere a favore della filtrazione: al capo
afferente la pressione ematica è 60 mmHg (alta perché sia sicuramente efficiente: dovuta alla
bassa resistenza offerta dall’arteriola afferente che è più larga e corta di quelle sistemiche), al
capo efferente è 58-59 mmHg (alta perché la rete capillare offre una bassa resistenza e perché
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Autoregolazione renale
Tutti i distretti, tranne il polmonare, sono in grado di autoregolarsi, ossia di mantenere il
flusso costante, in un ambito di variazione pressoria (ambito di autoregolazione), grazie
all’effetto miogeno (di Bayliss) che consiste nella contrazione/rilasciamento della muscolatura
( cambia la resistenza) stimolata dallo stato di distensione dovuta all’aumento/diminuzione
della pressione (se Pa perché non incrementi il flusso R).
Nel rene questo meccanismo è fondamentale per mantenere costanti il FER e quindi la VFG:
se la Pa aumenta da 100 a 120, senza autoregolazione, la VFG aumenta da 180 a 216 l/die che,
con riassorbimento tubulare invariato, comporta un aumento dell’escrezione urinaria da 1,5 a
36 l/die completa deplezione del volume ematico in 2 ore.
Nell’ambito di autoregolazione (75-180 mmHg) le variazioni di FER sono minime e VFG
rimane costante, mentre il volume urinario (Vu) aumenta in maniera significativa,
incrementando l’escrezione di acqua e sodio (diuresi e natriuresi pressoria: controllo renale
della Pa) grazie a modificazioni del riassorbimento: Pa riassorbimento H2O e Na+
diuresi e natriuresi.
Nel rene il meccanismo di autoregolazione principale è il feedback tubulo-glomerulare e in
misura minore il meccanismo miogeno (di Bayliss) e il bilancio glomerulo-tubulare (permette
di mantenere il riassorbimento bilanciato con la filtrazione quando ci sono variazioni della
VFG).
Feedback tubulo-glomerulare: per questo
meccanismo sono fondamentali la macula densa,
costituita da cellule del tubulo contorto distale, e
l’apparato iuxtaglomerulare, costituito da cellule
del mesangio in stretto rapporto con l’arteriola
afferente ed efferente. Le cellule della macula densa
sono dei sensori che monitorano la concentrazione
del NaCl nel tubulo distale: • se Pa FER
VFG la concentrazione di NaCl nel filtrato e
quindi alla macula densa che libera sostanze
paracrine (ATP che agisce attraverso recettori
purinici di tipo 2 (P2) e adenosina (agisce attraverso
i recettori A1A)) che determinano vasocostrizione
dell’arteriola afferente e diminuisce la produzione
di renina da parte delle cellule iuxtaglomerulari provocando vasodilatazione parziale
dell’arteriola efferente Pc VFG; • se Pa FER VFG la concentrazione
di NaCl la macula densa libera sostanze paracrine (PGE2) che determinano vasodilatazione
dell’arteriola afferente e aumenta la produzione di renina da parte delle cellule
iuxtaglomerulari che fa aumentare l’angiotensina II provocando vasocostrizione dell’arteriola
efferente Pc VFG.
A livello del rene inoltre, se Pa, le cellule iuxtaglomerulari sono stimolate a produrre renina
tramite altri due meccanismi: 1) si innesca il riflesso barocettivo attività del simpatico
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Piso
Clearance renale
La clearance renale (Cs) esprime l’efficacia con cui i reni rimuovono varie sostanze dal
plasma (considera filtrazione, riassorbimento e secrezione). La clearance renale di una
sostanza è definita come il volume ipotetico di plasma completamente depurato di quella
sostanza nell’unità di tempo e rappresenta, quindi, il volume virtuale di plasma necessario per
fornire la quantità di sostanza che è escreta con l’urina nell’unità di tempo.
Il calcolo della Cs permette di comparare la velocità alla quale il glomerulo filtra quella
sostanza (acqua o soluti), con la velocità alla quale la sostanza viene eliminata nell’urina: se il
plasma che fluisce attraverso il rene contiene 1 mg/ml di sostanza, e 1 mg/min della stessa
sostanza viene escreto nell’urina, il volume di plasma depurato di quella sostanza in 1 min
(Cs) è 1 ml.
La quantità di una sostanza eliminata dal plasma (Qs1) è uguale alla quantità di sostanza
presente nelle urine (Qs2); poiché la quantità è concentrazione per volume Qs1 =
concentrazione della sostanza nel plasma (Ps) · volume di plasma depurato (clearance renale:
Cs) e Qs2 = concentrazione della sostanza nell’urina (Us) · volume di urina che viene eliminato
nell’unità di tempo (cioè il flusso urinario: Vu) nell’unità di tempo: Cs · Ps = Vu · Us Cs
= (Vu · Us)/Ps. Praticamente si calcola la concentrazione di una sostanza nella raccolta delle
urine giornaliera e la concentrazione plasmatica in un prelievo ematico.
• Clearance di una sostanza non riassorbita e non secreta: il plasma e la sostanza vengono
filtrati ed entrano nella per-urina; il plasma viene riassorbito senza la sostanza rappresenta
la Cs; il calcolo della clearance di una sostanza non riassorbita e non secreta (volume di
plasma depurato nell’unità di tempo) è la VFG VFG = (Vu · Us)/ Ps utilizzando sostanze
di questo tipo posso valutare se il paziente ha una funzionalità renale corretta.
I criteri nell’uso di una sostanza nel calcolo della VFG sono: che deve essere liberamente
filtrabile, non deve essere riassorbita o secreta a livello renale, non deve essere metabolizzata
o prodotta dal rene e deve essere inerte (non tossica); l’inulina è un polimero del fruttosio che
rispetta questi criteri, ma è una sostanza esogena; la creatinina, che deriva dal metabolismo
muscolare del creatinfosfato, viene minimamente secreta a livello tubulare causa una
sovrastima della VFG del 20%; metodi calorimetrici usati per misurare la concentrazione
plasmatica di creatinina però sovrastimano questo valore l’effetto netto dei due errori
riporta il valore della clearance della creatinina vicino a quello della clearance dell’inulina
in clinica, come indice della VFG, si usa frequentemente la concentrazione plasmatica di
creatinina (normalmente 1 mg/100 ml), sulla base della relazione inversa fra concentrazione
plasmatica della creatinina (Pcr) e clearance della creatinina (Ccr): se / Ccr (VFG) / Pcr.
Se normalmente VFG = 100 ml/min e Pcr = 1 mg/100ml VFG · Pcr = 1 mg/min (velocità
produzione ed escrezione creatinina); se improvvisamente la VFG diminuisce a 50 ml/min,
poiché la produzione di creatinina rimane invariata, il rene inizialmente filtra ed elimina meno
creatinina Pcr e all’equilibrio è 2 mg/100ml VFG (50 ml/min) · Pcr (2 mg/100 ml)
torna ad essere 1 mg/min.
• Clearance di una sostanza filtrata e parzialmente riassorbita: Cs < VFG.
• Clearance di una sostanza soggetta a maggiore riassorbimento: l’urea viene riassorbita in
grandi quantità a livello dei tubuli la sua clearance è ancora più lontana dal volume filtrato.
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• Clearance di una sostanza completamente riassorbita: il glucosio viene tutto riassorbito (la
presenza di glucosio nelle urine è segno di diabete mellito) la sua clearance è 0.
• Clearance di una sostanza filtrata e totalmente secreta: Cs > VFG; se una sostanza è
completamente eliminata dal plasma a livello renale, la sua clearance corrisponde al flusso
plasmatico renale (FPR).
Per qualsiasi soluto che il rene non metabolizza e non produce, l’unica via di entrata è l’arteria
renale e le sole due vie di uscita sono la vena renale e l’uretere.
Poichè la VFG è solo il 20% del FPR totale, una sostanza, per essere completamente eliminata
dal plasma, deve essere non solo filtrata, ma anche secreta, a livello tubulare.
Una sostanza endogena con queste caratteristiche non esiste, ma l’acido para-aminoippurico
(PAI), somministrato dall’esterno, si avvicina a queste condizioni, perchè viene eliminato per
il 90% (frazione di estrazione del PAI) FPR ≈ CPAI = (UPAI · Vu)/PPAI = (5,85 mg/ml · 1
ml/min)/0,01 mg/ml = 585 ml/min che viene corretto (poiché non è eliminato al 100%)
dividendolo per la frazione di estrazione del PAI: FPR = 585/0,9 = 650 ml/min.
Il FER si può ricavare tenendo in considerazione che l’ematocrito costituisce il 45% del
sangue FER = FPR/(1 – ematocrito) = FPR/(1 – 0,45) = 1182 ml/min.
Riassorbimento
La quantità di sostanza riassorbita può essere calcolata perché corrisponde alla quantità che è
stata filtrata meno la quantità escreta: Qr = Qf - Qe = (VFG · Ps) - (Us · Vu).
La quantità di sostanza secreta è invece la quantità di sostanza escreta meno quella filtrata: Qs
= Qe - Qf = (Us · Vu) - (VFG · Ps).
Lungo i tubuli renali viene riassorbita la maggior parte dei soluti ed il 99% dell’acqua filtrata
(178,5 l/die): VFG = 125 ml/min (180 l/die), riassorbimento = 124 ml/min (178,5 l/die),
escrezione = 1 ml/min (1,44 l/die). Il 65% del carico filtrato di acqua e sodio viene riassorbito
nel tubulo prossimale (riassorbimenti obbligatori); la parte restante può essere riassorbita o
meno (a seconda delle condizioni dell’organismo) nelle parti più distali del nefrone, che sono
soggette alle azioni ormonali di ADH ed aldosterone.
Il riassorbimento tubulare dei soluti avviene grazie a meccanismi passivi (diffusione) e
meccanismi attivi: il riassorbimento per diffusione avviene grazie a gradiente di
concentrazione e gradiente elettrico (per gli ioni); il riassorbimento di H2O avviene per osmosi
e dipende dal gradiente osmotico (l’H2O trasporta i soluti (drenaggio del solvente)) a meno
che il tubulo non sia impermeabile all’H2O; il trasporto attivo può essere: primario se
accoppiato direttamente ad una fonte di energia (idrolisi di ATP; es. pompa ATPasi Na+/K+
che è attiva in quasi tutto il tubulo renale), secondario se l’energia deriva dal movimento di
un altro soluto, accoppiato direttamente ad una fonte di energia (meccanismi di co-trasporto e
contro-trasporto).
Il riassorbimento di peptidi, piccole proteine e macromolecole avviene per pinocitosi. La
membrana tubulare esprime anche carrier per peptidi a catena breve (PEPT1-T2).
Le cellule tubulari sono molto ravvicinate e connesse da giunzioni strette (tight junction:
proteine transmembrana dette: occludine, claudine e JAM (junction adhesion molecule)) che
formano pori a diversa permeabilità formando quella che viene detta via paracellulare; i
grossi trasporti avvengono per via transcellulare (diffusione e trasporto attivo); l’acqua, se
c’è permeabilità all’acqua, può prendere entrambe le vie seguendo i soluti per osmosi (canali
per l’acqua formati da proteine dette acquaporine che possono essere regolate nel nefrone
distale).
Trasporto massimo: per le sostanze riassorbite con meccanismo attivo, esiste un limite alla
velocità di riassorbimento (trasporto massimo, Tm) dovuto alla saturazione dei sistemi di
trasporto. Si ha saturazione quando il carico tubulare (Ps·VFG) supera la disponibilità del
trasportatore. Il valore di carico tubulare al quale si ha saturazione è detto soglia renale.
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che rimane costante l’escrezione è nulla fino al raggiungimento della soglia renale (220
mg/min, [G]p 1,8 mg/ml), poi cresce linearmente al crescere del carico tubulare (la curva di
escrezione non sale subito linearmente (concavità: “splay”) poiché la soglia renale empirica è
più bassa di quella teorica in quanto diversi nefroni hanno diversi Tm (legato alle
caratteristiche del nefrone e alla diversa quantità di trasportatori espressi) saturazione a
diversi valori).
Diversità tra la soglia empirica e teorica: ha ragioni morfologico-funzionali e biochimiche.
• Ragione morfologica e funzionale: eterogeneità nello sviluppo glomerulare (entità
filtrazione) rispetto allo sviluppo tubulare (entità riassorbimento) nei diversi nefroni (es. se ho
un glomerulo ridotto e un tubulo molto sviluppato si filtra poco e si ha un Tm alto soglia
più alta).
• Ragione biochimica: legata alla legge d’azione di massa per l’equazione G (glucosio) + C
(carrier) = GC se [G] << [C] tutto G si combina con C Qe = 0 e ci sono molte
molecole C libere; se [G] ≈ [C] non tutto G si combina con C Qe > 0 e ci sono alcune
molecole C libere; se [G] >> [C] tutto C è saturato e G è in eccesso Qe >> 0.
Secrezione
Utilizza gli stessi meccanismi del riassorbimento (attivo, che è caratterizzato da Tm, e
passivo), ma ha la funzione di aggiungere sostanze al filtrato al fine di accelerarne
l’eliminazione.
Operano sistemi di trasporto poco specifici, che permettono la secrezione di anioni e cationi
organici sia endogeni (H+; formiato, ossalato, urati, anioni degli acidi biliari; creatinina,
istamina, dopamina, adrenalina, acetilcolina) che esogeni (PAI, farmaci: antibiotici
(penicilline, cefalosporine), salicilati, FANS; farmaci: morfina, atropina, cimetidina,
ranitidina).
La maggior parte della secrezione si ha nel tubulo
contorto prossimale e riguarda anioni organici (AO)
e cationi organici (CO).
• AO: l’ingresso nella cellula, a livello della
membrana basale, dipende dallo scambio (contro-
trasporto) con un -chetoglutarato (derivato dal
metabolismo del glutammato) che rientra in co-
trasporto con il Na+. Il trasferimento dalla cellula al
liquido tubulare avviene in gran parte per diffusione
facilitata e contro-trasporto con il Cl−.
• CO: l’ingresso nella cellula, a livello della
membrana basale, avviene per diffusione facilitata
(carrier) favorita dalla negatività intracellulare. Il
trasporto attraverso la membrana luminale è mediato
da un contro-trasporto H+-CO (H+ riesce in contro-
trasporto con Na+).
Sia gli anioni che i cationi organici competono tutti
per lo stesso trasportatore (processi poco selettivi)
l’elevata concentrazione plasmatica di uno,
inibisce la secrezione degli altri, aumentandone il tempo di permanenza nell’organismo.
Rapporto tra clearance e Tm: il Tm esiste sia per i riassorbimenti attivi che per le secrezioni
mediate da carrier.
La clearance delle sostanze riassorbite (Cs) è minore della di quella dell’inulina (Cs < Ci =
VFG). La Cs rimane invariata finché si ha riassorbimento, ma quando la concentrazione
plasmatica, e quindi il carico filtrato, supera il Tm troveremo la sostanza nell’urina Cs
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Bilancio Idrico
È essenziale per l’omeostasi mantenere costanti volume ed osmolalità dei liquidi corporei,
attraverso il bilancio tra assunzione ed eliminazione di H2O e NaCl.
I reni giocano un ruolo fondamentale nel mantenimento del volume e dell’osmolalità dei
liquidi corporei, regolando l’escrezione di H2O e NaCl in base ai bisogni.
Osmolarità (Osm/l): pressione osmotica generata dalle molecole di soluto disciolte in 1 l di
solvente ed è dipendente dalla temperatura, che modifica il volume ( T V).
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L’osmolarità viene calcolata come concentrazione della sostanza nella soluzione per il
coefficiente osmotico (0,934 < 1 perché parte delle particelle è legata e non partecipa).
La pressione osmotica si calcola come = nCRT (legge di van’t Hoff: n = numero di particelle
dissociate, C = concentrazione della sostanza, R = costante universale dei gas, T =
temperatura assoluta) e si misura in atm (1 atm = 760 mmHg).
Osmolalità: numero di molecole disciolte in 1 Kg di solvente ed è indipendentemente dalla T
preferibile nei sistemi biologici (per le soluzioni fisiologiche si esprime in mOsm/KgH2O).
In un adulto sano il liquido extracellulare (LEC) ammonta a 14 l (20% del peso corporeo)
distribuiti fra plasma (≈ 3 l), liquido interstiziale (≈ 11 l) e una piccola quota di liquidi
transcellulari (sinoviale, peritoneale, intraoculare e cerebrospinale: 1-2 litri); il liquido
intracellulare (LIC) ammonta a 28 l (40% del peso corporeo).
Assumiamo liquidi con cibo e bevande per circa 2100 ml/die; il metabolismo produce circa
300 ml di H2O (soprattutto glicolisi) per bilanciare perdiamo liquidi con la perspiratio
insensibilis (tramite vie respiratorie e tramite un velo di liquido cutaneo) per circa 700 ml/die,
con la sudorazione (da 100 ml a 5 l/die) che dipende dall'attività fisica e dall'ambiente, con le
feci (100 ml) e con le urine (1500 ml/die: volume regolabile ai fini del mantenimento del
bilancio idrico, mentre il sudore si modifica ai fini della termoregolazione).
L'assunzione di H2O è determinata dalla sensazione di sete (vd. dopo). L'escrezione renale di
H2O dipende dal suo riassorbimento facoltativo che è regolato dall’ADH e avviene a livello
del tubulo convoluto distale (nel tubulo prossimale il riassorbimento è obbligatorio).
Quando l’assunzione di acqua è scarsa o acqua viene persa dall’organismo attraverso altre vie,
il rene tende a conservare acqua producendo un volume ridotto di urina iper-osmotica rispetto
al plasma; quando l’assunzione di acqua è elevata, il rene produce un elevato volume di urine
ipo-osmotiche (in un soggetto normale l’osmolalità dell’urina può variare da 50 a 1200
mOsm/KgH2O, mentre il suo volume da 0,5 a 18 l/die). Quando il bilancio idrico è alterato, si
modifica anche l’osmolalità dei liquidi corporei.
L’acqua si muove rapidamente tra i diversi compartimenti liquidi dell’organismo: il
movimento di H2O attraverso la parete capillare dipende dalle forze di Starling (pressione
idrostatica e pressione colloido-osmotica), il movimento di H2O attraverso le membrane
cellulari dipende dalla differenza di osmolalità tra LIC e LEC (data la grande permeabilità
delle membrane cellulari all’H2O, variazioni di osmolalità del LEC o del LIC comportano
rapido movimento di H2O tra i due compartimenti che, con l’eccezione di brevi periodi
transitori, permette l’equilibrio osmotico tra LEC e LIC).
La composizione dei compartimenti liquidi regola gli scambi di acqua e soluti; tra il plasma e
il liquido interstiziale (LEC) non ci sono grosse differenze, mentre ci sono tra LEC (in cui c’è
molto Na+ e Cl−) e LIC (in cui c’è molto K+), ma se si considera il totale di soluti i valori tra i
tre compartimenti è pressoché uguale (300 mOsm) come pure l’osmolarità (280/300 mOsm/l:
nel LEC determinata per il 90% da ioni Na+ Cl−, nel LIC per il 50% da ioni K+) e la pressione
osmotica (5420 mmHg la c (28 mmHg), determinata dalle proteine che non diffondono
attraverso la parete capillare, è solo un duecentesimo della totale, ma è fondamentale per gli
scambi con l’interstizio).
Effetto sul volume cellulare di soluzioni con tonicità diverse: tutti gli scambi di acqua con
l’ambiente esterno (infusione endovenosa, assunzione e perdita attraverso l’apparato
gastroenterico) avvengono attraverso il LEC (con cui il LIC si mette in equilibrio).
L’introduzione di soluzioni iso-, ipo- o iper-osmotiche comporta solo variazioni di volume del
LIC e del LEC, perché l’eventuale differenza di osmolalità tra LIC e LEC viene bilanciata
rapidamente dal movimento di acqua (la membrana cellulare è molto permeabile all’acqua e
quasi totalmente impermeabile a molti soluti).
Considerando una cellula in soluzione isotonica (280 mOsm/l) non c'è alcun movimento di
H2O tra LEC e LIC (il glucosio al 5% o il NaCl allo 0,9% sono soluzioni fisiologiche); nella
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Metodo per la valutazione delle variazioni di volume (LEC e LIC) quando si aggiungono
soluzioni a diversa osmolarità: tenendo conto che C = Q/V V = Q/C; si valuta la quantità
totale di osmoli presenti (Q totale di LEC e LIC) e il volume totale (V: ad es. tramite la
conoscenza del peso corporeo); si valuta l’osmolarità globale che è data dal rapporto delle
osmoli totali sul volume totale (C = Q/V); si divide la quantità di osmoli presenti in ciascun
compartimento per l’osmolarità globale (V = Q/C).
Distribuzione normale: 42 l (14 LEC, 28 LIC) con un'osmolarità (C) di 280 mOsm/l CLEC =
3920 mOsm, CLIC = 7840 mOsm Ctot = 11760 mOsm.
Es. partendo da una condizione (per semplificare) in cui si ha un volume totale (V) di 6 l di
cui 2 l LEC e 4 l LIC con un’osmolarità (C) di 200 mOsm/l Qtot = 1200 mOsm, QLEC = 400
mOsm e QLIC = 800 mOsm: • se si aggiungono 2 l di una soluzione iso-osmotica ( 200
mOsm/l 400 mOsm) Vtot (8 l) e le moli (1600 mOsm) Ctot rimane 200 mOsm/l
CLEC e CLIC rimangono 200 mOsm, ma le osmoli nel LEC sono aumentate (QLEC = 800
mOsm; perché tutto ciò che si introduce finisce nel LEC) VLEC (800 mOsm/200 mOsm/l
= 4 l); • se si aggiungono 2 l di una soluzione ipo-osmotica (40 mOsm/l 80 mOsm)
Vtot (8 l) e le moli (1280 mOsm) Ctot (160 mOsm/l) CLEC e CLIC (160 mOsm/l) e
QLEC (480 mOsm) VLEC (3 l) e VLIC (5 l); • se si aggiungono 2 l di una soluzione iper-
osmotica ( 400 mOsm/l 800 mOsm) Vtot (8 l) e le moli (2000 mOsm) Ctot
(250 mOsm/l) CLEC e CLIC (250 mOsm/l) e QLEC (1200 mOsm) VLEC (4,8 l) e
VLIC (3,2 l).
Se aumenta l'osmolarità dei liquidi corporei di un paziente da 280 a 320 mOsm/l calcolo la
Q (13440 mOsm) e determino il V necessario affinché C torni normale (per diluire; 48 l);
quindi introduco il liquido che serve per raggiungere tale volume (6 l che si distribuiscono 2
nel LEC e 4 nel LIC).
Alterazioni del bilancio idrico sono in genere conseguenza di squilibri nell’introduzione ed
escrezione di acqua ed elettroliti: disidratazione isotonica (perdita di H2O e soluti volumi,
ma rimane invariata l’osmolarità: sudorazione intensa, vomito, diarrea, diuretici) LEC
volemia collasso cardiocircolatorio; disidratazione ipertonica (perdita di sola H2O
aumento perspirazio insensibilis nella febbre, ipertermia, iperventilazione) LIC
(raggrinzimento cellulare); disidratazione ipotonica (perdita di soluti) LIC (rigonfiamento
cellulare: es. edema cerebrale); iperidratazione isotonica ( assunzione di H2O e soluti o
diuresi) LEC volemia (edema); iperidratazione ipertonica ( ingestione di soluti: es.
acqua di mare) LIC e LEC diuresi volemia (collasso cardiocircolatorio);
iperidratazione ipotonica ( assunzione acqua) LIC (es. edema cerebrale)
Bilancio idrico-salino
Il controllo dell’osmolalità (≈ 300 mOsm/KgH2O) e del volume del LEC dipende dalla
capacità del rene di eliminare o trattenere acqua, indipendentemente dai soluti (principalmente
NaCl). In caso di ipo-osmolalità del LEC (eccesso di acqua), il rene elimina l’acqua in
eccesso: riassorbimento soluti > riassorbimento acqua urina diluita (ipo-osmotica, fino a 50
mOsm/KgH2O). In caso di iper-osmolalità del LEC (carenza di acqua), il rene elimina meno
acqua: riassorbimento acqua > riassorbimento soluti urina concentrata (iper-osmotica, fino
a 1200 mOsm/KgH2O).
Il rene per equilibrare queste situazioni legate all’ingestione di liquidi impiega ≈ 30 min.
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Urea: nella situazione in cui l’organismo ha grande necessità di riassorbire acqua (urina
concentrata), sotto l’azione dell’ADH, il 50% dell’iperosmolarità della midollare ( 600 su
1200 mOsm) è dovuta all’urea (50% a NaCl).
A differenza del NaCl, l’urea è riassorbita passivamente e quando manca acqua (ovvero
ADH ) viene riassorbita in grandi quantità poiché l'ADH agisce sul dotto collettore midollare
aumentando la permeabilità per l’urea.
Se si fa una dieta ipoproteica concentrazione d’urea capacità di concentrare l’urina
perché si ha una minor capacità di riassorbire H2O (rischio in condizioni di disidratazione).
L’urea, nel tubulo
prossimale, subisce un
riassorbimento passivo che
riguarda il 50% di quella
filtrata; nella branca
discendente dell’ansa di
Henle, impermeabile
all’urea, la concentrazione di
urea per riassorbimento di
H2O e secrezione di urea
stessa (trasporto passivo, ma
guidato dai trasportatori UT-
A2) meccanismo
importante nel ridurre il
riassorbimento di H2O
poiché si impedisce
un’eccessiva diluizione del
gradiente osmotico. Il tubulo
distale e il dotto collettore della midollare esterna sono impermeabili all’urea che si concentra
progressivamente in seguito al riassorbimento di H2O (controllato da ADH) nel dotto
collettore della midollare interna arriva un’alta concentrazione di urea e se agisce ADH (che
qui permeabilità ad H2O ed urea) l’urea viene qui riassorbita (per il 60%, di cui: il 10% va
nel sangue e il 50% resta nell’interstizio: importante per incrementare la concentrazione della
midollare). L’urea è però un catabolita che va eliminato viene recuperata dall’ansa: solo un
10% tornerà in circolo. Il ricircolo dell’urea è importante perché permette di incrementare la
concentrazione della midollare e perché permette, grazie alla risecrezione che avviene nel
tubulo, una progressiva concentrazione che ne permette l’eliminazione con l’urina.
Quando il tubulo è permeabile non è osmoticamente attiva poiché, potendosi muovere lei
stessa non richiama acqua.
Tra la forza osmotica dell’urea nel dotto, quando questo è impermeabile, e quella del NaCl
nella midollare quest’ultima è più potente prevale l’effetto del gradiente del NaCl.
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Vasa recta: quando si crea questa iperosmolarità nella midollare c’è qualcosa che evita la
dissipazione del gradiente per spostamento di soluti e H2O tra le varie parti della midollare o
dal sangue che vi scorre. I vasa recta hanno una forma a forcina, come le anse di Henle, e
contribuiscono al mantenimento dell’iperosmolarità della midollare (non alla creazione)
perché: 1) il flusso è molto basso (2% del
FER bassa velocità di flusso; se il flusso,
ad es. per vasodilatazione farmacologica, si
tende a dissipare il gradiente), 2) i vasa recta
funzionano da scambiatori controcorrente (tra
le due parti del vaso e rispetto al flusso
dell’urina) e 3) l’elevata c dei vasa recta
conferisce notevole capacità di richiamare
acqua dall’interstizio.
Se avessi un capillare a decorso rettilineo, in
una midollare più concentrata dall’alto in
basso, ci sarebbe una dissipazione di gradiente
perché il sangue, a causa del gradiente
osmotico, acquisterebbe soluti e rilascierebbe
H2O. Invece, grazie al decorso controcorrente,
nella parte discendente perde H2O (accumulo soluti), e nella parte ascendente cede soluti e
richiama H2O i vasa recta scorrono con lo stesso decorso dell’ansa di Henle: i soluti persi
dalla branca ascendente entrano nel vaso, che ha un flusso discendente (il sangue si
concentra); quando il vaso risale è in rapporto con la branca discendente che ha
concentrazione più bassa il sangue riperde i soluti e riacquista H2O.
Grazie a questi meccanismi, troviamo una pre-urina iso-osmotica col plasma nel tubulo
prossimale, una preurina che si concentra nella branca discendente dell’ansa di Henle (valore
diverso a seconda del livello di ADH poiché se alto l’osmolarità dipende anche dall’urea
riassorbita, altrimenti solo dal NaCl), si diluisce nella branca ascendente dell’ansa di Henle e,
successivamente, se c’è ADH riassorbiamo H2O (urina concentrata), altrimenti l’urina è
diluita (volumi fino a 18/20 l/die). Nel diabete insipido, in cui per problemi centrali non viene
prodotto ADH (natura neurogena), o in cui il rene non risponde all'ADH (natura nefrogena), il
paziente elimina continuamente volumi enormi di urina altamente diluita.
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volo- e barocettori), angiotensina II (agisce sul centro della sete), secchezza del cavo orale e
delle mucose esofagee (indotta dall’iper-osmolarità).
La sete è scatenata ad un valore di osmolarità (soglia della sete) che è superiore alla soglia
per la produzione dell’ADH se c’è iper-osmolarità del LEC prima produciamo ADH e
successivamente, quando la concentrazione plasmatica di NaCl è aumentata almeno di 2
mEq/l rispetto al valore normale, viene indotta anche la sete (la sete è stimolata ad una
osmolalità del LEC per la quale la secrezione di ADH è già massima).
Abbiamo una grande capacità di parametrare l'ingestione di liquido prima che l’acqua
arrivi a diluire i liquidi (30-60 min) sappiamo se è sufficiente (altrimenti continueremmo a
bere per quei 30-60 min) il senso della sete riesce a ridursi prima che l’acqua abbia
effettivamente diluito il LEC.
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Es. volume LEC volume urinario per non alterare osmolarità plasmatica, deve
essere accompagnato da escrezione di Na+ il rene, controllando l’escrezione di NaCl,
controlla il volume dei liquidi corporei.
La stimolazione dei volocettori e dei barocettori conseguente a variazioni della volemia ( per
dieta ipersodica e per dieta iposodica o emorragia) determina aggiustamenti dell’escrezione
renale di Na+.
Carico escreto Na+ = carico filtrato (VFG · ANP+) - carico riassorbito; il riassorbimento di
Na+ nel tubulo prossimale (obbligatorio) è tempo-gradiente dipendente associato a co-
trasporti (glucosio, aminoacidi) e contro-trasporti (H+) ed è controllato dal bilancio
glomerulo-tubulare in presenza di variazioni della VFG. Il riassorbimento di Na+ nel nefrone
distale (facoltativo) avviene in scambio con il K+ ed è regolato dall’aldosterone (
riassorbimento Na+ e secrezione K+; se riassorbimento Na+ riassorbimento H2O) e dal
peptide natriuretico atriale (ANP: riassorbimento Na+ e secrezione K+).
Fattori che influenzano il riassorbimento di Na+: • simpatico: vasocostrizione VFG,
riassorbimento, renina-angiotensina-aldosterone riassorbimento Na+ (emorragia); •
angiotensina II: stimola la vasocostrizione dell’arteriola efferente ( riassorbimento
tubulare perché diminuisce Pc), stimola la produzione di aldosterone e stimola il
riassorbimento di Na+ agendo direttamente sulle cellule del tubulo prossimale dove è
localizzato il recettore AT-1 che induce l’inserimento delle pompe Na+/K+ nella membrana
baso-laterale e l’attivazione dello scambiatore Na+/H+ della membrana luminale; •
aldosterone: riassorbimento di Na+ e secrezione di K+ e espressione ed attività delle
pompe Na+/K+; • ADH: controlla la diuresi per effetti osmotici; il volume di liquido trattenuto
non aumenta molto per gli effetti sulla Pa che, stimolando la diuresi, determina deplezione di
Na+; • ANP: è prodotto dai miociti atriali in seguito ad della volemia (recettori sensibili allo
stiramento meccanico): VFG (dilatazione arteriola afferente e costrizione arteriola
efferente), inibisce la secrezione di renina, inibisce la produzione di aldosterone direttamente e
indirettamente (inibendo la angiotensina), inibisce il riassorbimento di Na+ a livello del dotto
collettore ( cGMP inibisce canali al Na+ e al K+) e inibisce la secrezione di ADH (
inibisce la sua azione a livello del tubulo collettore).
Ndr. il sistema ADH-sete (vd.) è responsabile della regolazione dell’osmolarità del Na+.
111
Piso
Bilancio del K+
È l’elemento più rappresentato nel citoplasma ed è importante per regolare l’eccitabilità delle
cellule. La concentrazione di potassio nel sangue/LEC (kaliemia) è 4,2 mEq/l e 140 mEq/l nel
LIC. L’assunzione del K+ con la dieta è ≈ 100 mEq/die che vanno eliminati: tramite il rene
eliminiamo 92 mEq/die, con le feci 8 mEq/die.
Variazioni dal valore normale di kaliemia causano problemi nella ripolarizzazione delle
cellule cardiache: kaliemia > 5 mEq/l iperkaliemia intervallo PR prolungato, segmento
ST depresso, onda T elevata, fibrillazione ventricolare; kaliemia < 3,5 mEq/l
ipokaliemia segmento ST e onda T bassi e onda U (ripolarizzazione dei muscoli papillari)
elevata.
Regolazione dei livelli di K+: se il potassio ingerito restasse nel LEC si avrebbero iperkaliemie
in breve tempo poiché il rene, che bilancia totalmente le alterazioni, agisce lentamente (> 6
ore) ciò è evitato dal tamponamento cellulare: il K+ viene temporaneamente portato nelle
cellule e successivamente eliminato attraverso il rene.
I fattori che stimolano il riassorbimento del K+ nelle cellue agiscono stimolando le Na+/K+
ATPasi; i fattori fisiologici, stimolati dall’iperkaliemia stessa, sono l’insulina, l’aldosterone e
l’adrenalina ( 2); i fattori fisiopatologici sono l’alcalosi ( pH) e l’ipo-osmolarità del LEC (
volume cellulare).
La mancanza di insulina o aldosterone o il blocco dei recettori 2 causa l’uscita di K+ dalle
cellule e l’aumento nel LEC ( iperkaliemia). Un fattore fisiologico iperkaliemizzante è
l’adrenalina (recettori ) che dopo un
esercizio fisico è importante per prevenire
l’ipokaliemia. Fattori fisiopatologici sono
l’acidosi ( pH), l’iperosmolarità del LEC
( volume cellulare), la lisi cellulare e
l’esercizio muscolare (rilascio del K+
durante la fase di ripolarizzazione del pda).
Farmaci iperkaliemizzanti sono gli ACE
inibitori, i diuretici (i cosiddetti
“risparmiatori” di K+: evitano la secrezione
e l’escrezione di K+ con l’urina) e l’eparina.
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Funzione del rene nel bilancio del K+: il mantenimento della kaliemia dipende dall’escrezione
renale del K+ (92%) che deriva da 3 processi: la filtrazione del K+ (4,2 · 180 = 756 mEq/die),
il riassorbimento (65% nel tubulo prossimale e 25-30% nella porzione spessa della branca
ascendente dell’ansa di Henle tramite NKCC) e la secrezione (carico controllato nel tubulo
distale e nel dotto collettore: 90% secreto dalle cellule principali (Na+/K+), 10% riassorbito
dalle cellule intercalari (H+/K+)).
Quando l’assunzione di K+ è nella norma lo ritroviamo nell’urina, se ne la secrezione (dal
15 all’80%), se ne la secrezione, ma se l’assunzione molto
nelle cellule intercalari c’è riassorbimento di K+ per mantenere i
livelli normali.
Il più potente stimolatore della secrezione del K+ è proprio la sua
concentrazione plasmatica: incremento rapido da valori normali fino
a ≈ 5 mEq/l e poi si ha una secrezione costante se ulteriormente
nel plasma, si accumula e diventa letale.
Le cellule principali del tubulo distale e del dotto collettore sono le cellule implicate nella
secrezione: la membrana luminale contiene canali per il K+ e per il Na+, regolati
dall’aldosterone; la membrana basale contiene la pompa Na+/K+ che è necessaria per il
mantenimento dei gradienti utili alla secrezione.
Il K+ può invece essere riassorbito dalle cellule intercalate
mediante una H+/K+ ATPasi posta sulla membrana apicale.
La kaliemia e l’aldosterone sono i principali regolatori
fisiologici della secrezione di K+: se kaliemia stimola: •
+ +
direttamente la pompa Na /K ATPasi [K+] intracellulare
uscita K+ attraverso la membrana apicale; • l’incremento
della permeabilità dei canali della membrana apicale al K+; • la
secrezione di aldosterone numero di pompe Na+/K+ ATPasi
e permeabilità della membrana apicale (anche perché aumentano di numero i canali) al K+; • il
flusso del liquido tubulare che stimola la secrezione di K+.
La secrezione dell’aldosterone è inoltre aumentata
dall’angiotensina II e ridotta dall’ANP ( agisce contro il
riassorbimento del Na+ e la secrezione del K+).
Se assunzione K+ kaliemia secrezione del K+
dal nefrone distale stimolata da un dell’aldosterone
mantenimento pressoché costante della kaliemia il
sistema dell’aldosterone non è importante nel
mantenimento della natriemia, ma fondamentale nel
controllo della kaliemia.
La secrezione di K+ è influenzata dal flusso tubulare: se flusso nel tubulo distale e dotto
collettore (per VFG, consumo di Na+ o uso di diuretici) secrezione K+ mantiene
+
normale l’escrezione di K compensando la
secrezione indotta da aldosterone (in caso di
aumentato apporto di Na+). Ciò avviene grazie
ad un sistema di rilevazione di velocità di
flusso, costituito da un ciglio che si piega
quando aumenta la velocità: • attiva canali per
il Ca2+ Ca2+ permeabilità dei canali
per il K ; • permeabilità dei canali al Na+
+
la situazione.
Questi riassorbimenti di Ca2+ e Na+ sono
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relativamente lievi non influiscono più di tanto sul bilancio e quindi sono innocui
fisiologicamente.
Lo schema della pagina precedente mostra come si possa avere
un’escrezione di K+ invariata quando si associano due stimoli
contrastanti avviati da un dell’assunzione di Na+ ( aldosterone
e velocità di flusso).
La secrezione del K+ è modificata dall’equilibrio acido/base (il
pH fisiologico è 7,4 nel sangue arterioso e 7,35 nel sangue
venoso): nell’acidosi acuta la secrezione di K+ (nell’alcalosi )
perché attività della pompa Na+/K+
ATPasi e la permeabilità dei canali al
K+; nell’acidosi cronica: meccanismi
tampone dell’acidità aumentano
+
l’ingresso di H nella cellula e quindi
la fuoriuscita del K+ (scambiatore
H+/K+) kaliemia aldosterone
attività delle pompe Na+/K+
secrezione di K+; inoltre le cellule del
tubulo prossimale, in acidosi cronica,
riassorbono una quantità minore di
NaCl e di H2O flusso tubulare e
LEC ( aldosterone)
secrezione di K+.
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Sistema gastrointestinale
La funzione di tutti gli organi è quella di controllare l’omeostasi del nostro organismo, ovvero
di mantenere dei parametri entro dei limiti fisiologici: il sistema gastroenterico si occupa
dell’omeostasi dei principi nutritivi e contribuisce al bilancio idrosalino col sistema renale.
Ci occuperemo di: 1) motilità gastroenterica (progressione del cibo); 2) secrezione dei succhi
digestivi (digestione), 3) meccanismi di assorbimento.
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“Legge dell’intestino”
Ogni volta che c’è uno stiramento radiale dell’intestino si genera un’onda di contrazione che
si propaga a valle e prende il nome di riflesso peristaltico o riflesso mioenterico (per
importanza del plesso mioenterico): onda di costrizione viaggiante, in direzione aborale,
prodotta dalla contrazione della muscolatura circolare e rilasciamento della muscolatura
longitudinale a monte del sito di stimolazione (si restringe il lume) e contemporaneo
rilasciamento della muscolatura circolare e contrazione della muscolatura longitudinale a valle
della sede di stimolazione (aumenta diametro lume: “rilasciamento recettivo”).
Il riflesso è polarizzato (è più facile che lo stimolo elettrico viaggi) in direzione caudale, ma si
inverte durante il riflesso del vomito.
La funzione dell’onda peristaltica è quella di far progredire il contenuto gastroenterico, ma
quando l’onda peristaltica incontra uno sfintere chiuso assume la funzione di rimescolamento.
Esistono anche quelli che sono detti movimenti di segmentazione e che possono essere
spaziati regolarmente (anche di debole intensità), isolati o spaziati irregolarmente: avvengono
a livello dello strato di muscolatura circolare e hanno la funzione di dividere il contenuto
gastroenterico, ma possono influenzarne anche la progressione lenta nell’intestino.
Le fibre sensitive afferenti che originano nell’epitelio o nella parete dell’intestino possono
avviare il riflesso peristaltico se stimolate da irritazioni della mucosa, eccessive distensioni del
tubo digerente e presenza di sostanze
chimiche ( monitorano).
I neuroni sensoriali sensibili agli stimoli
meccanici e chimici (attivabili anche dal
rilascio di 5-HT dalle cellule cromaffini
della parete intestinale), se attivati, portano
l’informazione ai plessi intramurali
(sottomucoso e mioenterico): viene
attivato il motoneurone eccitatorio rostrale
che rilascia sulla muscolatura liscia ACh e
SP provocando una contrazione (a monte);
viene attivato il motoneurone inibitorio
caudale che rilascia NO, VIP e ATP
facendo rilasciare il muscolo liscio. I
neuroni sensoriali del plesso mioenterico
sono sensibili soprattutto alla distensione,
quelli del plesso sottomucoso sia a stimoli
meccanici che chimici.
L’attività peristaltica nell’intestino tenue è
normalmente debole, ma in seguito ad eccessiva distensione o intensa irritazione della mucosa
(diarrea infettiva) vengono attivati riflessi mioenterici e troncoencefalici (che coinvolgono il
nervo vago) possono verificarsi potenti scariche peristaltiche atte a far progredire
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rapidamente il contenuto gastroenterico verso il colon per rimuovere la causa della distensione
o dell’irritazione.
Movimenti causati dalla muscolaris mucosae e dalle fibre muscolari dei villi intestinali
La presenza di chimo nell’intestino tenue avvia riflessi nervosi locali del plesso sottomucoso
che provocano la contrazione della muscolaris mucosae comparsa e migrazione delle
plicature aumenta la superficie di contatto con il chimo aumento dell’assorbimento.
La contrazione della muscolaris mucosae dei villi intestinali provoca una spremitura
(accorciamento ed allungamento intermittenti) del villo che promuove lo scorrimento della
linfa dal vaso chilifero centrale del villo nel sistema linfatico.
Masticazione
La masticazione è un’attività motoria volontaria stereotipata controllata dalle aree corticali
motorie primarie e supplementari e dai nuclei del tronco encefalico mediante la componente
motoria del trigemino, il nervo facciale, glossofaringeo, vago e ipoglosso. Alla masticazione
contribuisce in modo ciclico anche il riflesso mandibolare ciclico: bolo contro cavo orale
inibizione muscoli masticatori abbassamento mandibola stiramento dei muscoli
elevatori della mandibola contrazione riflessa.
Ruolo fisiologico della masticazione: frammentazione degli alimenti in particelle sempre più
piccole per aumentarne la superficie di contatto con gli enzimi aumenta velocità digestione;
progressione del chimo; impedisce che ci siano escoriazioni; rompe le membrane cellulosiche
in frutta e verdura.
Deglutizione
Quando il bolo alimentare viene spinto nella parte posteriore del cavo orale stimola
meccanicamente i pilastri tonsillari: i meccanocettori trasformano l’informazione in segnali
elettrici che trasmettono con le fibre sensitive del trigemino e del glossofaringeo al nucleo del
tratto solitario e alla sostanza reticolare del bulbo che integrano queste informazioni e attivano
il V, IX, X e XII nervo cranico avviando il riflesso della deglutizione.
Durante questa fase viene inibito il centro respiratorio bulbare per un paio di secondi per
permettere al bolo di passare nell’esofago e si apre lo sfintere esofageo inferiore.
Il bolo alimentare viene spinto contro il palato molle che si solleva (chiusura rinofaringe),
l’epiglottide chiude la glottide per impedire il passaggio in trachea, lo sfintere esofageo
superiore si rilascia facendo entrare il bolo stiramento delle pareti esofagee induzione
della peristalsi. Nel caso in cui l’onda peristaltica primaria non sia in grado di far passare il
bolo nella cavità gastrica vengono indotte delle onde peristaltiche secondarie.
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Stomaco
Nello stomaco prossimale (tra fondo e corpo) esistono delle cellule con attività elettrica
intrinseca (pacemaker) che controllano l’attività elettrica di tutto lo stomaco (onde lente).
Nella parte prossimale dello stomaco l’attività contrattile è minima e la frequenza delle onde
lente nello stomaco è inferiore a quella del duodeno.
Il centro pacemaker gastrico è sotto il controllo di ormoni gastroenterici: la gastrina, rilasciata
dalle cellule G dell’antro e del duodeno, ne stimola l’attività ( aumenta motilità gastrica); la
secretina, rilasciata dalle cellule S duodenali quando il pH scende, ha un’attività inibitoria.
L’ampiezza delle onde lente gastriche dipende dal grado di stiramento dello stomaco e quando
il potenziale raggiunge la soglia si generano dei pda che provocano contrazioni peristaltiche
ad anello molto vigorose.
L’attività meccanica dello stomaco è controllata anche mediante riflessi; distensioni del
duodeno, irritazione della mucosa duodenale, chimo acido nel duodeno ( secretina),
ipertonicità del chimo nel duodeno, presenza di peptidi e grassi (CCK da cellule I) inducono il
riflesso enterogastrico che è un riflesso inibitorio volto a controllare l’attività meccanica
dello stomaco per non sovraccaricare di lavoro il duodeno.
Le cellule pacemaker dello stomaco danno luogo a dei pda gastrici che durano 5 s (quello
cardiaco 200-300 ms, quello neuronale 1-2 ms) e sono caratterizzati da una fase rapida, che dà
luogo alla contrazione primaria, e da una fase di plateau, che qualora superi la soglia dà
luogo ad una contrazione secondaria: il piloro, quando arriva l’onda di contrazione primaria,
fa passare nel duodeno un fiotto di chimo se di dimensioni ≈ 1 mm; altrimenti il chimo sbatte
contro il piloro, che in seguito all’arrivo dell’onda di contrazione si chiude, subendo un
processo di retropropulsione che rimescola il chimo coi succhi gastrici e lo frammenta
(pompa antrale).
Recettori sensibili allo stiramento attivano in faringe, esofago e stomaco delle afferenze vagali
che giungono al SNC dove vengono attivate efferenze vagali (riflesso vago-vagale) che
vanno a modulare i circuiti del SN enterico attivazione motoneuroni inibitori che rilasciano
VIP rilasciamento muscolare.
Abbiamo 3 tipi di rilasciamento del serbatoio gastrico (recettivo, adattivo e a feedback):
quando il cibo entra nella faringe e nell’esofago stimola recettori da stiramento attivazione
del riflesso vago-vagale rilasciamento recettivo gastrico P intragastrica; quando il
cibo giunge nello stomaco vengono stimolati recettori da stiramento attivazione del riflesso
vago-vagale rilasciamento adattivo (o di accomodazione; assente nei vagotomizzati) dello
stomaco P intragastrica meccanismi volti a permettere, anche in caso di pasti
abbondanti, riempimento gastrico senza incremento di P e di velocità di svuotamento. Il
rilasciamento a feedback è determinato dal passaggio di chimo nel duodeno dove attiva il
rilascio di ormoni e/o riflessi nervosi locali che coinvolgono prevalentemente il SN enterico
che causano rilasciamento della muscolatura gastrica.
Ormoni interessati: • gastrina: rilasciata dalle cellule G (mucosa dell’antro e duodeno)
stimolate dai prodotti del catabolismo proteico nello stomaco, dalla distensione della parete
gastrica o dall’attivazione vagale; aumenta la motilità gastrica e l’attività della pompa antrale,
aumenta la secrezione di HCl e di pepsinogeno e aumenta la crescita della mucosa; •
colecistochinina (CCK): rilasciata dalle cellule I di duodeno e digiuno (anche da neuroni del
SNC) stimolate da prodotti del catabolismo proteico e da acidi grassi a lunga catena che si
trovano nel duodeno; promuove un ritardo nello svuotamento gastrico (inibisce contrattilità),
aumenta la secrezione di enzimi pancreatici, aumenta la contrazione della colecisti, promuove
debolmente il rilascio dello sfintere di Oddi, rinforza gli effetti della secretina, diminuisce la
secrezione di HCl e aumenta la secrezione di pepsinogeno (“ormone della sazietà”); •
secretina: rilasciata dalle cellule S duodenali e del digiuno in seguito a una diminuzione del
pH (al di sotto di 4) del contenuto duodenale o in seguito alla presenza di acidi biliari nel
duodeno; col circolo sanguigno raggiunge le cellule pacemaker dello stomaco e le inibisce
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ritardo dello svuotamento gastrico, aumenta la secrezione di HCO3 nel pancreas e nelle vie
biliari, diminuisce la secrezione di HCl e aumenta quella di pepsinogeno; • GIP: rilasciato
dalle cellule K (duodeno e digiuno) stimolate dalla presenza nel duodeno di glucosio, acidi
grassi e aminoacidi; aumenta la secrezione di insulina e diminuisce la produzione di HCl e la
motilità gastrica; • motilina: secreta dalle cellule M (duodeno e digiuno) stimolate dalla
diminuzione del pH o dalla presenza di acidi grassi nel duodeno; aumenta la motilità
interdigestiva.
Vomito
Il vomito è un riflesso protettivo mediante il quale la parte alta del tubo digerente può liberarsi
del suo contenuto.
Il riflesso del vomito è causato da: stimolazione meccanica dell’orofaringe, infiammazioni
nella cavità addominale, alterazioni meccaniche e chimiche nello stomaco e nell’intestino,
intensi stati dolorosi (coliche, infarto), cambiamenti ormonali in gravidanza, cinetosi e assenza
di gravità nello spazio, aumento della pressione endocranica, vista e odori nauseanti,
intossicazioni, farmaci (apomorfina, morfina e derivati della digitale), annegamento (presenza
di liquidi nelle vie aeree).
Cause nei bambini: infezioni delle vie aeree superiori accompagnate da tosse, otiti, primi
sintomi della meningite, infezioni intestinali, stenosi del piloro, occlusione intestinale,
appendicite, malformazione del tubo digerente, intolleranza a medicinali o intossicazioni,
conflitti affettivi.
Il vomito cronico provoca deplezione di ioni H+, K+, Cl e H2O ipovolemia e alcalosi non
respiratoria.
A livello del bulbo abbiamo 2 centri del vomito che ricevono informazione sullo stato del
nostro intestino attraverso afferenze vagali e simpatiche che registrano iperdistensioni,
irritazioni o ipereccitabilità del canale gastroenterico attivazione della componente motoria
dei nervi V, VII, IX, X e XII che attiva un’antiperistalsi che può partire persino dall’ileo per
far refluire il contenuto luminale (con velocità di 2-3 cm/s) aggrava distensione a livello
duodenale e gastrico; i centri del vomito, attraverso i nervi spinali, controllano anche la
contrazione diaframmatica e dei muscoli addominali (aumento pressione cavità gastrica).
Contestualmente si ha: respiro profondo, sollevamento dell’osso ioide e della laringe e
apertura dello sfintere esofageo superiore, chiusura della glottide, sollevamento del palato
molle per chiudere la rinofaringe, rilasciamento dello sfintere gastroesofageo ed espulsione
del contenuto gastrico.
Ileo
Si definisce ileo fisiologico la condizione di assenza d’attività motoria nell’intestino tenue e
crasso. È una condizione funzionale programmata dal SN enterico ed è dovuta ad uno stato di
continua attività dei neuroni inibitori che determina l’assenza di attività contrattile.
Si definisce ileo paralitico la condizione di prolungata assenza d’attività motoria. È una
condizione dovuta ad uno stato di ininterrotta attività dei motoneuroni inibitori che impedisce
ogni attività miogena.
La valvola ileocecale (sfintere ileocecale): impedisce il reflusso di materiale fecale dal colon
nel tenue. Il chimo si ferma a livello della valvola ileocecale (chiusa in uno stato di
contrazione tonica) per varie ore, sino a quando il soggetto ingerisce il pasto successivo,
prolungando l’assorbimento dei nutrienti. Il pasto stira le pareti della cavità gastrica attivando
il riflesso gastro-ileale il quale intensifica la peristalsi nell’ileo che promuove il rilasciamento
dello sfintere ileocecale ed il passaggio di chimo nel colon. La gastrina rilasciata dalla mucosa
gastrica nel circolo ematico raggiunge l’ileo stimolandone la peristalsi e promuovendo il
rilasciamento dello sfintere ileo-cecale.
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Colon
Nel cieco e nel colon ascendente sono presenti movimenti di segmentazione chiamati
austrazioni: contrazioni ad anello della muscolatura liscia del colon volte a segmentare
(consente progressione) e rimescolare il contenuto enterico e a favorire il riassorbimento di
elettroliti e H2O.
Dal colon trasverso al sigma sono presenti movimenti di massa (o propulsivi): contrazioni di
segmenti relativamente lunghi di colon con la funzione di far progredire il materiale nel lume
al fine di ripulirlo e rimuovere agenti irritanti e potenzialmente nocivi (irritazioni stimolano
questi movimenti).
I meccanocettori attivati dalla distensione delle pareti gastriche e duodenali fanno partire
segnali che arrivano ai gangli simpatici prevertebrali e tornano al colon dove promuovono la
comparsa dei movimenti di massa (riflesso gastrocolico e riflesso duodenocolico).
Il colon in genere viene svuotato in circa 24-48 ore.
I movimenti di massa nel colon spingono il materiale fecale nel retto distensione delle
pareti rettali attivazione del sistema nervoso enterico (plesso mioenterico) generazione
di onde peristaltiche nel colon discendente, sigma e retto rilasciamento dello sfintere
interno dell’ano (stimoli nervosi inibitori che si originano nel plesso mioenterico)
rilasciamento volontario dello sfintere esterno dell’ano (n. pudendo) riflesso intrinseco
della defecazione; è un meccanismo debole, rinforzato però dal riflesso parasimpatico della
defecazione: la distensione delle pareti rettali dovute alla spinta di materiale fecale nel retto
porta alla stimolazione di terminazioni nervose afferenti che dal retto inviano segnali al
midollo spinale ritrasmissione dei segnali per via riflessa mediante le fibre parasimpatiche
(nervi pelvici) al colon discendente, sigma e retto potenziamento delle onde peristaltiche
stimolate dal riflesso intrinseco e rilasciamento dello sfintere interno.
Altri riflessi viscerali attivati da stimoli irritativi, i quali giungendo ai gangli simpatici
prevertebrali e/o midollo spinale inibiscono l’attività intestinale bloccando la progressione del
cibo sono: il riflesso peritoneo-enterico, il riflesso nefro-enterico, il riflesso vescico-enterico e
il riflesso somato-enterico (parete addominale).
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La pirosi gastrica (bruciore di stomaco) in gravidanza è dovuto al fatto che la placenta secerne
progesterone che oltre a far rilasciare la muscolatura liscia uterina agisce anche sulla
muscolatura liscia del cardias (incontinenza dello sfintere gastroesofageo inferiore)
reflusso gastroesofageo bruciore di stomaco postprandiale che si estende dalla gola alla
parte inferiore dello sterno; il progesterone inoltre rallenta la motilità gastrica digestione
lenta. L’incontinenza dello sfintere gastroesofageo inferiore si verifica anche in anomalie
anatomo-patologiche quali l’ernia da scivolamento o l’ernia paraesofagea.
Nel morbo di Hirshsprung (o megacolon congenito) si ha l’assenza congenita di neuroni
gangliari enterici (aganglionosi) sia nel plesso mioenterico che nel plesso sottomucoso della
parete del sigma mancanza di tono della muscolatura liscia, assenza di movimenti
peristaltici e assenza del riflesso della defecazione spasticità e restringimento del sigma
(appare normale ai raggi X) accumulo e ristagno di feci nel colon a monte notevole
dilatazione del colon (appare ingrandito ai raggi X).
Nel lume intestinale, tra secrezioni e cibo ingerito, vengono riversati 7-10 litri di liquido al
giorno che devono essere rimossi: 1,5 l di liquidi presenti in cibi e bevande, 1 l di secrezione
salivare, 2 l di secrezioni gastriche, 0,5 l di bile, 1,5 l di secrezioni pancreatiche, 2 l di
secrezione del digiuno, 0,5 l di secrezioni dell’ileo ≈ 9 l. Se il chimo è ipotonico a livello del
digiuno ne vengono riassorbiti 5 l, nell’ileo 3 l, nel colon 1 l (100 ml con le feci); se il chimo è
ipertonico l’H2O passa nel lume intestinale fino all’equilibrio osmotico tra chimo e plasma.
Mediamente il chimo permane nello stomaco 1-5 ore, nel tenue 2-4 ore, nel colon 5-70 ore.
Muco
Lubrifica e protegge le pareti intestinali previene il contatto (aderendo alle pareti),
favorisce lo scivolamento del materiale alimentare e promuove l’adesione di particelle fecali;
è difficilmente digeribile grazie alla presenza di glicoproteine; nella rete di proteine che
aderisce alla mucosa intestinale vengono intrappolate H2O, bicarbonato e gli elettroliti,
altrimenti rapidamente rimossi tamponamento di acidi e basi (si oppone alle variazioni di
pH).
Saliva
Si compone di una secrezione mucosa operata prevalentemente dalla ghiandola sottolinguale e
sottomandibolare e una secrezione sierosa, effettuata dalla ghiandola parotide, costituita per lo
più da ptialina ( -amilasi) che serve per la digestione dei carboidrati, ma viene inattivata dal
pH dei succhi gastrici.
Le ghiandole salivari sierose situate sul lato dorsale della lingua (ghiandole di von Ebner)
secernono la lipasi linguale (acida può continuare ad agire anche nello stomaco).
La secrezione salivare è stimolata soprattutto dal SN parasimpatico: dai nuclei salivatori
superiore ed inferiore, siti a livello bulbo-pontino, da cui partono fibre pregangliari
parasimpatiche che decorrono nei nervi facciale e glossofaringeo per interrompersi
rispettivamente al ganglio sottomandibolare, da cui partono le fibre postgangliari
parasimpatiche per la ghiandola sottolinguale e sottomandibolare, e al ganglio otico, da cui
partono le fibre postgangliari parasimpatiche per la ghiandola parotide (il parasimpatico
provoca vasodilatazione dei vasi che irrorano le ghiandole). I nuclei salivatori sono attivati da
riflessi condizionati (Pavlov), olfatto, gusto e nausea; sono invece inibiti da disidratazione,
febbre, fatica e sonno.
La secrezione salivare è controllata in minor misura anche dal simpatico: nervi spinali toracici
si interrompono a livello del ganglio cervicale superiore da cui partono fibre postgangliari che
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decorrono lungo i vasi arteriosi per raggiungere le varie ghiandole. La stimolazione della
secrezione da parte del simpatico è di tipo bifasico: inizialmente provoca una diminuzione
della secrezione perché vengono stimolati recettori vasocostrizione (rami della carotide)
minor afflusso ematico alla ghiandola; la vasocostrizione fa però accumulare nella
ghiandola metaboliti vasodilatanti afflusso di sangue secrezione di saliva.
Oltre al SN anche un sistema di fattori contribuisce a modulare la secrezione salivare: la
callicreina, rilasciata dalla ghiandola salivare attivata, promuove la trasformazione del
chininogeno in lisilbradichinina che ha attività vasodilatatoria e aumenta la permeabilità dei
capillari ( secrezione salivare).
Inizialmente le cellule acinose secernono nel lume dell’acino un liquido con composizione
simile a quella del plasma (secrezione primaria) che scorrendo lungo il dotto intercalato
subisce un processo di assorbimento di alcuni elettroliti e secrezione di altri: in particolare Na+
esce (riassorbito) e K+ e Ca2+ entrano (quest’ultimo è importante per prevenire la
decalcificazione dei denti). Ne risulta che la saliva ha un’osmolarità inferiore al plasma (
iposmotica) e dipendente dalla velocità di secrezione (3 ml/min durante il sonno; fino a 400
ml/min durante le fasi digestive). L’aldosterone promuove il riassorbimento di Na+ e la
secrezione del K+.
Funzioni: lavaggio, umidificazione, protezione, digestione (ptialina e lipasi linguale), azione
antibatterica (ioni tiocianato e il lisozima muramidasi), produzione di IgA secretorie,
regolazione dell’assunzione di liquidi ( regola la sete), importante per la fonazione,
promozione dello scorrimento del bolo.
Ha un pH che va dalla condizione basale di 6,4 a 8 durante la stimolazione.
Un altro componente importante della saliva è la proteina R (o aptocorrina) che lega la
vitamina B12 a livello della cavità gastrica proteggendola fino al tenue prossimale.
In caso di xerostomia si ha una marcata riduzione della secrezione salivare aumentano le
infezioni (come carie) e le escoriazioni.
Secrezioni gastriche
Le cellule parietali (o oxintiche) secernono HCl e fattore intrinseco (nessun altro organo lo
produce secrezione principale; se manca: anemia perniciosa), le cellule mucose del colletto
secernono muco e pepsinogeno e le cellule principali (o peptiche) secernono pepsinogeno e
lipasi gastrica.
Le cellule principali possono essere stimolate a produrre pepsinogeno: in maniera indiretta da
HCl presente nello stomaco mediante l’attivazione di riflessi locali; dal nervo vago e dai plessi
enterici locali mediante ACh.
Il pepsinogeno è un proenzima che per esplicare le proprie funzioni digestive sulle proteine
deve essere trasformato nella forma attiva, pepsina, dai H+ (da HCl). La pepsina è un enzima
proteolitico (essa stessa può svolgere la catalisi del pepsinogeno in pepsina) che agisce a pH
compreso tra 1,8 e 3,5 ( nel duodeno viene inattivata perché pH ≈ 6) ed è responsabile della
proteolisi del 20% delle proteine in oligopeptidi.
La vitamina B12 si lega alla proteina R salivare con cui forma un complesso resistente
all’attacco dei succhi gastrici mentre il complesso viene scisso dai succhi pancreatici nel tenue
prossimale; qui la vitamina B12 si lega al fattore intrinseco formando un complesso resistente
alla proteolisi (dei succhi pancreatici) e all’assorbimento nel tenue prossimale; il
riassorbimento avviene nell’ileo mediante endocitosi mediata da recettore (cubilina) e col
sangue portale (legata alla transcobalamina) viene portata al fegato che accumula quantità di
vitamina sufficiente per alcuni anni (lenta insorgenza della avitaminosi).
La gastrite cronica può provocare la distruzione delle cellule parietali acloridria ed anemia
perniciosa.
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prodotti del catabolismo proteico nello stomaco, distensione della parete gastrica e stimoli
vagali. La gastrina (tramite attivazione della PLC) la secrezione di HCl e di pepsinogeno,
stimola la crescita della mucosa, favorisce la motilità gastrica e l’attività della pompa antrale;
• secretina viene rilasciata dalle cellule S (duodeno e digiuno) qualora il pH scende sotto a 4 o
per la presenza di acidi biliari nel duodeno. La secretina (tramite attivazione dell’adenilato
ciclasi) la secrezione di HCl (tutela il duodeno dal pH acido), promuove il ritardo dello
svuotamento gastrico, la produzione di pepsinogeno e la secrezione di HCO3 nel pancreas e
nelle vie biliari (è nota come “antiacido naturale” perché promuove il tamponamento dei
protoni); • bombesina (o GRP) viene rilasciata dalle terminazioni nervose e stimola (tramite
attivazione di PLC) la liberazione di gastrina.
Stimolazione della cellula parietale: la cellula parietale presenta a livello della membrana
baso-laterale recettori per l’istamina di tipo H2 (cAMP), recettori muscarinici M3 per l’ACh
(IP3) e recettori per la gastrina (IP3) convergono 3
stimoli: l’ACh è rilasciata dal nervo vago (via diretta);
l’istamina (va alla cellula per diffusione) è rilasciata
dalle ECL (mucosa gastrica) in seguito a stimolazione
vagale (ACh) o della gastrina; la gastrina viene rilasciata
dalle cellule G (previa azione della bombesina) ed entra
nel circolo sanguigno tramite cui raggiunge le cellule
parietali, ma agisce prevalentemente stimolando il
rilascio di istamina da parte delle ECL (nella sindrome di
Zollinger-Ellison si osservano tumori gastrina-secernenti
enorme secrezione di HCl denaturazione degli
enzimi pancreatici (malnutrizione) e ulcere anche a
livello ileale). Questi 3 stimoli, agendo sinergicamente
(non effetto solo additivo), potenziano enormemente la
secrezione di HCl.
Nella secrezione gastrica si distinguono 3 fasi: una fase cefalica (20%) messa in atto già da
prima dell’ingresso del cibo nella cavità orale poiché l’odore, il sapore, la vista o il pensiero
del cibo stimolano tramite la corteccia i neuroni parasimpatici del nervo vago ACh e GRP;
una fase gastrica (70%) indotta dalla distensione delle pareti gastriche dovuta alla presenza di
chimo e prodotti del catabolismo proteico nello stomaco stimolazione di neuroni sensoriali
riflessi intramurali corti; se il pH nell’antro scende sotto a 3 viene secreta somatostatina
(cellule D della mucosa gastrica) inibisce il rilascio di gastrina; fase intestinale (10%): la
distensione della parete del duodeno e la presenza di prodotti del catabolismo proteico
stimolano la secrezione di gastrina; se il pH nel duodeno scende sotto 4 o se il chilo è ricco di
lipidi vengono secrete neurotensina, GIP (peptide inibitore gastrico) e secretina che bloccano
la secrezione di gastrina.
Secrezione pancreatica
Il pancreas ha due tipi di secrezioni: una secrezione endocrina (1%) e una esocrina (99%) che
viene riversata nel dotto pancreatico che converge col coledoco a formare l’ampolla di Vater
la cui apertura nel duodeno è regolata dallo sfintere di Oddi regola il flusso dei succhi
pancreatici e della bile e impedisce il loro reflusso.
Le cellule acinari del pancreas secernono enzimi digestivi, mentre le cellule centroacinari e le
cellule dei dotti secernono H2O e bicarbonato che hanno un effetto tampone e un effetto
meccanico (spingono le secrezioni nel duodeno).
Quando la secretina proveniente dal circolo ematico raggiunge le cellule dei dotti e quelle
centroacinari si lega al suo recettore proteina G adenilato ciclasi cAMP stimola
il controtrasporto Na+-H+ a livello della membrana basolaterale (Na+ entra e H+ va nel liquido
interstiziale il sangue venoso refluo dal pancreas in fase di attività ha un pH acido)
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Secrezione biliare
Il fegato è formato da lobuli, ognuno organizzato attorno ad una vena centrale. Alla periferia
del lobulo il sangue proveniente dalla vena porta e dall’arteria epatica entra nei sinusoidi e vi
scorre con direzione centripeta a diretto contatto con lamine di epatociti.
La bile è continuamente prodotta e riversata dagli epatociti in canalicoli e dotti biliari, ma la
liberazione nel duodeno è discontinua quando lo sfintere di Oddi è chiuso defluisce nella
colecisti dove subisce delle modificazioni (inizialmente ha una composizione, dal punto di
vista dell’osmolarità, simile a quella del plasma): nel passaggio tra la bile epatica e la bile
colecistica vengono concentrati i sali biliari (da 20 a 80 mmol/l), il Na+ (da 146 a 209 mmol/l),
il K+ (da 5 a 13 mmol/l) e il Ca2+ (da 2,5 a 11 mmol/l), mentre vengono riassorbiti Cl (da 105
a 106 mmol/l) e bicarbonato (da 30 a 19 mmol/l) si passa da un pH di 7,2 a un pH di 6,95.
La funzione della colecisti è quella di concentrare la bile (normalmente 5 volte; al max 20
volte), di immagazzinarla e quindi di riversarla nel duodeno (le sostanze che promuovono la
contrazione della colecisti e quindi l’ingresso della bile nel duodeno sono dette colagoghe).
I principali costituenti della bile sono i colati, i chenodesossicolati, i desossicolati (tutti sali
biliari) e i fosfolipidi, mentre sono presenti in quantità minori i litocolati, gli ursodesossicolati
(sali biliari), il colesterolo, prodotti di scarto della bilirubina e altre proteine.
La bile ha la funzione di emulsionare (diminuzione della tensione superficiale) i grassi per
facilitare la funzione delle lipasi, facilitare il trasporto e l’assorbimento delle vitamine
liposolubili (A, D, E, K) ed è importante per eliminare colesterolo in eccesso, metalli pesanti e
farmaci.
Chimicamente i sali biliari sono derivati del colesterolo e distinguiamo acidi biliari primari
(acido colico e chenodesossicolico) che vengono trasformati da batteri intestinali in acidi
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biliari secondari (acido litocolico e deossicolico) che a loro volta sono trasformati in acidi
biliari terziari (acido ursodesossicolico e sulfuritocolico) dal fegato e dai batteri intestinali.
Gli acidi biliari sono poco solubili a pH fisiologico, poiché hanno un pK simile a 7 stanno
in forma coniugata con la glicina e la taurina che ne migliorano la solubilità (ora sali biliari).
A concentrazioni basse i sali biliari non interagiscono molto tra loro, mentre quando la
concentrazione sale sopra a 1,5 mmol/l (concentrazione micellare critica) si formano le
micelle: strutture costituite da sali biliari la cui parte idrofoba è posizionata internamente e
quella idrofila esternamente (presenza di cariche) riescono ad andare in soluzione e
permettono l’entrata degli acidi grassi liberi e di colesterolo (funzione di trasportatore di acidi
grassi e colesterolo); la colipasi permette l’ingresso della lipasi pancreatica nella micella in cui
continua l’azione digestiva.
Secrezione della bile: la secrezione giornaliera di bile è di 600-700 ml ed è in parte
dipendente dagli acidi biliari e in parte indipendente.
• Secrezione dipendente dagli acidi biliari: è dovuta alla sintesi degli acidi biliari primari a
partire dal colesterolo e alla secrezione di acidi biliari a partire dagli acidi biliari secondari
provenienti dal ricircolo entero-epatico (ricaptati da un sistema Na+-dipendente) maggiore
è la concentrazione degli acidi biliari nel sangue
portale, maggiore sarà la loro estrazione e
successiva secrezione: effetto coleretico (le
sostanze che stimolano la secrezione dei sali
biliari sono dette coleretiche); queste secrezioni
stimolano il flusso osmotico di acqua attraverso la
via paracellulare con formazione di un secreto
primario isotonico con il plasma.
• Secrezione indipendente dagli acidi biliari: è
relativa alla secrezione di bicarbonato nei
canalicoli biliari (Cl esce dall’epatocita ed entra
nel canalicolo biliare e alimenta il controtrasporto
Cl -bicarbonato) che stimola anch’esso il flusso osmotico di acqua attraverso la via
paracellulare con formazione di un secreto primario isotonico con il plasma.
Svuotamento della colecisti: uno degli stimoli maggiori affinché la colecisti si contragga è la
liberazione di CCK da parte delle cellule I duodenali stimolate da un chimo grasso o proteico;
la CCK causa un debole rilasciamento dello sfintere di Oddi (svuotamento non significativo
della colecisti) e stimola a livello della colecisti, assieme a stimolazioni colinergiche vagali o
mediate dal SNE, delle contrazioni peristaltiche che si propagano lungo il coledoco quando
la fase di rilasciamento dell’onda investe lo sfintere di Oddi questo si rilascia debolmente
svuotamento non significativo della colecisti.
L’efficace svuotamento della colecisti è dovuto alla fase di rilasciamento dell’onda peristaltica
intestinale che arrivata nel duodeno investe e rilascia efficacemente lo sfintere di Oddi; questo
meccanismo fa sì che i getti di bile nel duodeno siano sincroni col chimo che sta passando.
Anche per la secrezione di bile distinguiamo 3 fasi: una fase cefalica in cui sapore, odore, e
presenza del cibo in bocca attivano riflessi vagali che aumentano la velocità di svuotamento
della colecisti; una fase gastrica in cui lo stiramento delle pareti gastriche attivano riflessi
vago-vagali che fanno aumentare la peristalsi a livello della colecisti aumentandone la velocità
di svuotamento; una fase intestinale (la più importante) dipendente da: • CCK (secreta dalle
cellule di Ito stimolate dal chimo grasso) che fa aumentare la peristalsi della colecisti, •
secretina (secreta dalle cellule S in risposta a pH acido nel duodeno) che promuove la
secrezione di H2O e bicarbonato (effetto potenziato dalla CCK), • l’elevata concentrazione di
bile nell’intestino e quindi l’elevato riassorbimento dei sali biliari (fasi prandiali) che stimola
la secrezione di sali biliari nell’epatocita.
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Durante le fasi interprandiali, quando la concentrazione dei sali biliari nel sangue portale è
bassa, l’epatocita è stimolato a produrre nuovi sali biliari a partire dal colesterolo stimolata
produzione ed inibita la secrezione.
Ricircolo entero-epatico: i sali biliari vengono riciclati più di 18 volte; una volta rilasciati nel
duodeno si ha un loro riassorbimento di più del 95% (per lo più nell’ileo) mentre un 5% va
nella circolazione sistemica sfuggendo al fegato e viene escreto con le urine.
Tale ricircolo è necessario perché per digerire 100 g di lipidi sono necessari 20 g di acidi
biliari, ma il pool di sali biliari del nostro organismo è solo di 2-4 g ( secreti per 4-12 volte
durante un pasto).
Una piccola quota di sali biliari viene escreta con le feci esistono farmaci che aumentano
l’escrezione fecale per ridurre la colesterolemia.
Il colesterolo, presente nella bile, è insolubile ed è tenuto in soluzione dai sali biliari presenti
nella colecisti; se l’epitelio della colecisti si infiamma aumenta il riassorbimento di H2O
solubilità del colesterolo che precipita formazione di calcoli di colesterolo.
Per aumentare la solubilità del colesterolo i clinici usano gli acidi biliari (chenodeossicolico o
ursodeossicolico) volume bile concentrazione di colesterolo nella bile colecistica.
Assorbimento
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Neurofisiologia
Trasporti di membrana
Il mantenimento dell’omeostasi cellulare è permesso da sistemi di scambio di molecole: •
proteine integrali di membrana, classificate in famiglie a seconda del numero di segmenti
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(sulla superficie citoplasmatica carica Ca2+ nonostante la bassa concentrazione, a causa della
grande affinità e sulla superficie extracellulare carica Na+ nonostante la bassa affinità a causa
dell’alta concentrazione la transizione conformazionale comporta aumento di affinità per il
Na+ e diminuzione di affinità per il Ca2+ sulla superficie citoplasmatica libera Na+
nonostante la maggiore affinità a causa della bassa concentrazione e sulla superficie
extracellulare libera Ca2+ nonostante l’alta concentrazione a causa della bassa affinità),
scambiatori Na+/H+ e Cl−/HCO3−, neurotrasportatori vescicolari (dipendenti da ATPasi
protoniche che pompano H+ verso l’interno delle vescicole).
Canali ionici
Le funzioni del sistema nervoso dipendono dalle attività funzionali del neurone che consistono
nel generare e trasmettere informazioni nervose modificando le proprietà elettriche della
membrana grazie al lavoro dei canali ionici.
I canali ionici sono proteine integrali di membrana legate sul versante esterno a gruppi di
carboidrati, formate da diverse subunità (se uguali: canali omomerici, se diverse: canali
eteromerici; es. il canale al Na+ ha subunità e ) che circoscrivono un poro acquoso che
permette il passaggio selettivo di ioni. La loro apertura influenza l’equilibrio chimico ed
elettrico della cellula determinando flussi di ioni che generano modificazioni rapide del
potenziale transmembrana.
Ogni subunità consiste in una lunga sequenza di aminoacidi organizzata in domini, formati a
loro volta da segmenti con struttura ad elica che attraversano la membrana da parte a parte e
sono uniti tra loro da anse estese sia sul versante extra che intracellulare.
I canali ionici possono avere elevata selettività per una determinata specie ionica o permettere
il passaggio di diversi tipi di ioni (Na+, K+ e Ca2+). La selettività dipende da uno specifico
filtro molecolare costituito da residui aminoacidici polari (regione P) che stabiliscono legami
labili con lo ione.
Gli ioni sono circondati da una corona di molecole di H2O (solvatazione), la cui dimensione è
proporzionale alla concentrazione della carica elettrica ionica ione con raggio atomico
piccolo maggiore concentrazione di carica maggiore solvatazione (es. carica: Na+ = K+;
raggio atomico: Na+ < K+ idratazione (raggio solvatazione): Na+ > K+).
Lo ione lascia gran parte delle molecole di H2O legandosi per un tempo brevissimo (< s) al
sito specifico e attraversa il canale (di qualsiasi tipo esso sia) spinto dal gradiente
elettrochimico (gradiente di concentrazione e differenza di potenziale elettrico).
Nella membrana cellulare individuiamo: canali passivi (sempre aperti il flusso ionico è
determinato dalla forza elettrochimica esistente tra i due versanti della membrana; coinvolti
nella genesi del potenziale di membrana) e canali ad accesso variabile (possiedono un
meccanismo che li fa aprire a seguito di stimoli specifici di natura elettrica (voltaggio-
dipendenti), chimica (ligando-dipendenti; anche fosforilazione operata da secondi messaggeri)
o meccanici; responsabili dell’insorgenza di segnali elettrici nelle cellule eccitabili).
I canali ionici ad accesso variabile (studiabili singolarmente con la tecnica del patch-clamp)
possono trovarsi in tre stati funzionali: aperti, chiusi od inattivati/refrattari (conformazione
aperta, ma funzionalmente chiusi). In risposta a stimoli specifici il canale passa rapidamente
dallo stato chiuso a quello aperto; l’attivazione del canale non determina un flusso ionico
continuo, ma l’insorgenza di una ripetizione di impulsi con caratteristiche tutto o nulla, di
durata e frequenza variabile. Lo stato di inattivazione fa sì che, pur perdurando lo stimolo
specifico che determina l’apertura del canale, il transito degli ioni sia impedito.
Lo stato d’inattivazione può dipendere dal voltaggio (il perdurare delle modificazioni del
voltaggio causa un cambiamento conformazionale di una regione del canale come per il canale
del Na+), dallo ione (lo ione trasportato si lega al canale bloccandolo come per il canale del
Ca2+) o dalla defosforilazione.
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Il periodo refrattario ha due funzioni: • impedisce il riverbero dei segnali che devono essere
propagati in una sola direzione (antidromica) senza poter tornare indietro e • limita la
frequenza di scarica di un neurone. Ciò comporta che il pda è un evento isolato che non
può sommarsi con altri pda e la frequenza con cui un neurone può generare potenziali
d’azione è limitata (le caratteristiche della frequenza di scarica sono molto variabili da un
neurone all’altro in quanto ciascun neurone possiede un diverso corredo di canali ionici
voltaggio-dipendenti).
Il pda viene generato in una zona specifica del neurone detta zona trigger. I potenziali a
monte di questa zona (potenziali graduati; necessari per superare la soglia) si propagano
secondo il modello della conduzione assonale passiva (con decremento).
Le varie regioni del neurone sono provviste di differenti tipi di canali voltaggio-dipendenti:
dendriti canali per K+, Ca2+ e a volte Na+; zona d’innesco alta densità di canali per Na+;
+ +
assone mielinico elevata densità di canali per Na e K a livello dei nodi di Ranvier;
terminazioni canali per Ca2+.
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Maggiore è RM meno le cariche escono (però è meno eccitabile: una cellula piccola è più
eccitabile di una grande), minore è Ra meglio le cariche si spostano se il diametro
(in genere varia da 1 mm (assoni) a 150-200 m (dendriti)) sono migliori le proprietà del
cavo conduttore.
La velocità di conduzione e l’eccitabilità delle fibre nervose dipendono dal loro diametro:
se diametro velocità di conduzione ed eccitabilità.
Classificazione delle fibre nervose: A : afferenze primarie dei fusi neuromuscolari e -
motoneuroni (diametro: 15 m; velocità: 100 m/s); A : afferenze cutanee (tatto e pressione; 8
m; 50 m/s); A : -motoneuroni (5 m; 20 m/s); A : afferenze cutanee termiche e nocicettive
(3 m; 15 m/s); B: simpatiche pregangliari (< 3 m; 7 m/s); C amieliniche: afferenze cutanee
nocicettive e efferenze simpatiche postgangliari (1 m; 1 m/s).
A causa delle caratteristiche passive della membrana, uno stimolo, per essere efficace, deve
avere una certa intensità e durata. Entro un certo range queste due grandezze sono
interdipendenti: minore è l’intensità di uno stimolo, maggiore deve essere la sua durata e
viceversa; l’intensità minima in grado di generare una risposta e detta reobase (cronassia:
durata di uno stimolo di intensità uguale al doppio della reobase).
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Trasmissione sinaptica
Il trasferimento di segnali tra cellule eccitabili avviene a livello delle sinapsi, che possono
essere elettriche o chimiche.
• Sinapsi elettrica: continuità citoplasmatica tra elemento pre- e postsinaptico trasmissione
del segnale virtualmente istantanea per passaggio diretto (attraverso gap-junctions) di correnti
ioniche dall’elemento pre-sinaptico a post-sinaptico. Sono solo eccitatorie.
In molti casi la sinapsi elettrica viene utilizzata per sincronizzare più neuroni ed ottenere una
attivazione massiva e molto rapida.
Le gap-junctions sono formate da una coppia di emicanali (connessoni) costituiti da sei
subunità proteiche identiche (connessine) che formano un poro (2 nm) che mette in
comunicazione il citoplasma delle cellule attigue trasmissione rapida e bidirezionale.
L’apertura dipende da modificazioni conformazionali delle connessine (chiusura per pH e
Ca2+).
• Sinapsi chimica: gli elementi pre- e postsinaptico sono separati dal vallo sinaptico (20-40
nm) necessario un neurotrasmettitore: depolarizzazione dell’elemento presinaptico (
apertura dei canali del Ca2+ voltaggio-dipendenti entra Ca2+ esocitosi del contenuto
delle vescicole sinaptiche) con liberazione del neurotrasmettitore (processo di
trasmissione) interazione con recettori specifici della membrana postsinaptica e
modificazione del potenziale di membrana (processo recettivo; quindi è necessaria una rapida
inattivazione o rimozione del neurotrasmettitore dalla fessura sinaptica).
Le sinapsi chimiche sono caratterizzate da un ritardo della risposta (da 0,3 ms a qualche ms),
sono unidirezionali e permettono l’amplificazione del segnale.
La sinapsi chimica può essere sia eccitatoria che inibitoria: il legame neurotrasmettitore-
recettore determina modificazioni della permeabilità ionica depolarizzazione (EPSP:
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durata che hanno grande importanza nei processi di sviluppo neuronale e della memoria a
lungo termine.
Principali neurotrasmettitori
• ACh: è liberata dai terminali di: motoneuroni, neuroni pregangliari del SNA e postgangliari
del parasimpatico, neuroni di varie regioni del SNC (ruolo essenziale nei processi cognitivi).
Ha due categorie di recettori: nicotinici (ionotropici) e muscarinici (metabotropici).
I recettori nicotinici sono costituiti da cinque subunità, causano depolarizzazione e si
dividono in: periferici (canali per Na+ e K+ che vanno incontro, per fosforilazione, a
desensitizzazione (modificazione del recettore che, esposto in maniera prolungata all’agonista,
diventa impermeabile agli ioni)) e centrali (elevata permeabilità al Ca2+).
I recettori muscarinici con le subunità M1, M3 e M5 causano attivazione della PLC, mentre
con le subunità M2 e M4 l’inibizione dell’adenilatociclasi.
• GABA (acido -aminobutirrico) e glicina: il GABA (da glutammato) è il principale
neurotrasmettitore inibitorio del SNC, mentre la glicina (da serina) è il neurotrasmettitore
inibitorio del MS, coinvolto nei riflessi spinali e nella coordinazione motoria; entrambi
vengono ricaptati dall’elemento presinaptico.
Il GABA ha sia recettori ionotropici (GABAA e GABAC (nella retina) che sono canali al Cl−)
che metabotropici (GABAB che inibisce l’adenilatociclasi attivazione canali al K+).
GABAA è formato da cinque subunità che formano il canale per il Cl− e presenta un sito di
fosforilazione che consente di modulare (aumentare o diminuire) la corrente ionica a seconda
del tipo di subunità presente nel recettore. È bersaglio di sostanze neuroattive esogene
(benzodiazepine, barbiturici ed alcool) ed endogene (neurosteroidi) che legandosi a siti
specifici aumentano la sensibilità del recettore al GABA.
La glicina ha recettori ionotropici ( 1) che sono canali al Cl−.
I recettori ionotropici per GABA e glicina possono avere effetti eccitatori durante lo sviluppo
postnatale, quando, a causa di una maggiore concentrazione intracellulare di Cl− rispetto ai
neuroni adulti, il Cl− tende ad uscire dalla cellula.
• Glutammato: è prodotto a partire dal glucosio o per idrolisi della glutammina; è il
principale neurotrasmettitore eccitatorio del SNC.
Una volta liberato viene ricaptato dai neuroni e dalle cellule gliali attraverso trasportatori
specifici. L’eccesso di glutammato (es. in caso di ischemia) può portare a morte cellulare
attraverso un meccanismo eccitotossico.
Recettori ionotropici: formati da 4-5 subunità che incorporano canali ionici permeabili ai
cationi; la permeabilità relativa a Na+ e Ca2+ varia a seconda del tipo di recettore e della sua
composizione in subunità; si dividono in base all’affinità in: • NMDA (alta affinità): cinetiche
lente mediano risposte sinaptiche lente; coinvolti nell’induzione di forme specifiche di
plasticità sinaptica; sono chiusi al potenziale di riposo da Mg2+ e si attivano per sua rimozione
voltaggio-dipendente; sono formati dalla subunità NR1 (determina le caratteristiche del
recettore) + diverse combinazioni di subunità NR2 (A-D) o NR3 (A-B) responsabili delle
diversità funzionali (permeabilità al Ca2+, sensibilità a Mg2+ e glicina); antagonisti competitivi
si legano al sito di legame del glutammato, la glicina è un co-agonista ( la probabilità di
apertura del canale), le poliamine sono modulatori allosterici e gli antagonisti non competitivi
bloccano il poro del canale; • non-NMDA (bassa affinità): sono permeabili a Na+ e K+ e
comprendono: · AMPA che sono espressi in tutto il SNC e mediano la trasmissione eccitatoria
rapida (cinetiche di attivazione ed inattivazione rapide; rettificazione a potenziali di membrana
positivi (conducono meglio a potenziali più negativi); vanno incontro a splicing alternativo ed
editing che ne modificano la permeabilità); · Kainato che sono diffusi in tutto il SNC
(ippocampo, CB, MS, talamo) e rispetto agli AMPA inducono correnti più modeste e hanno
cinetiche di inattivazione più lente (se postsinaptici partecipano alle risposte eccitatorie, se
presinaptici, modulano il rilascio del neurotrasmettitore).
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In genere i recettori NMDA sono colocalizzati con gli AMPA. La depolarizzazione rapida
indotta dagli AMPA attiva gli NMDA. I recettori NMDA giocano un ruolo rilevante
nell’induzione di fenomeni di plasticità sinaptica, come il potenziamento e la depressione a
lungo termine (LTP, LTD) grazie alla loro elevata permeabilità al Ca2+; tuttavia un ingresso
eccessivo di Ca2+ nel neurone può attivare proteasi e fosfolipasi Ca2+-dipendenti con
formazione di radicali liberi e conseguente morte cellulare.
Recettori metabotropici (mGluRs): 8 tipi divisi in 3 classi in base all’accoppiamento con
secondi messaggeri: • I PLC; II e III inibizione dell’adenilatociclasi.
• Amine biogene: · noradrenalina (catecolamina): nel SNC presenti nel locus coeruleus
(tronco encefalo) a proiezione diffusa a corteccia, CB e MS; nel SNA presenti in neuroni
postgangliari del sistema nervoso simpatico; recettori metabotropici e ; · dopamina
(catecolamina): substantia nigra (mesencefalo) e nucleo arcuato dell’ipotalamo (la via
nigrostriale è alterata nel morbo di Parkinson ed in altri disturbi motori); recettori
metabotropici D1 (attiva adenilatocilcasi) e D2 (inibisce adenilatociclasi); · serotonona (5-
HT): nuclei del rafe (tronco encefalo), coinvolti in funzioni cognitive complesse e nel ritmo
sonno-veglia (implicata nella patogenesi delle forme depressive); recettori ionotropici (5-HT3)
e metabotropici (5-HT1, 5-HT2, 5-HT4, 5-HT5, 5-HT6, 5-HT7); · istamina: nucleo
tuberomammilare (ipotalamo posteriore); implicata nella regolazione dello stato di vigilanza e
nel controllo neuroendocrino; recettori metabotropici postsinaptici eccitatori (H1 e H2) e
presinaptici (H3).
• Purine (ATP e adenosina): utilizzate nel SNC e in alcune parti del SN simpatico; coinvolte
nella trasmissione del dolore. L’adenosina ha solo recettori metabotropici (anche a livello
presinaptico: controllo liberazione di altri nerurotrasmettitori), l’ATP anche ionotropici (P2X1-
2+
7: permeabili al Ca ).
Messaggeri retrogradi: sostanze facilmente diffusibili attraverso le membrane (messaggeri
transcellulari) sintetizzate a livello postsinaptico; diffondono fino al terminale presinaptico
determinando modificazioni del rilascio di neurotrasmettitore (gassosi: NO e CO (coinvolti
nei fenomeni di potenziamento sinaptico); acido arachidonico).
150
Piso
Plasticità sinaptica
Le sinapsi si possono modificare grazie alla sinaptogenesi e al rimodellamento sinaptico
plasticità sinaptica: richiede comunicazione bidirezionale tra compartimento pre- e
postsinaptico finalizzata all’attivazione di diversi meccanismi cellulari e molecolari che hanno
il compito di decidere dove e quando le sinapsi vadano formate, rimosse o modificate.
Formazione di un circuito neuronale: • ricerca del bersaglio: 1) generazione di strutture
assonali (cono di crescita) che si allontanano dalla cellula alla ricerca del bersaglio; 2)
allungamento direzionato da segnali extracellulari (NGF, BDNF, neurotrofine da cellule
vicine + campi elettrici locali e stimoli meccanici); 3) adesione a molecole della matrice
extracellulare e della membrana bersaglio stimola ( Ca2+ citosolico) la formazione di
microfilamenti (polimerizzazione actina) avanzamento dei prolungamenti (aggiunta
membrana per fusione delle vescicole); • connessione al bersaglio: 1) il cono di crescita
segnala la propria presenza e il bersaglio invia segnali che possono facilitare o inibire la
crescita assonale; 2) ogni assone raggiunge con precisione il bersaglio attraverso un
complesso processo di integrazione; 3) una volta raggiunto il bersaglio raffinamento
contatti sinaptici attività-dipendente (le neurotrofine inibiscono un programma endogeno di
morte cellulare (apoptosi) caspasi dipendente).
151
Piso
Quando si genera una sinapsi i primi recettori ad essere espressi sono gli NMDA, seguiti dagli
AMPA, che vengono esposti in membrana grazie a vescicole del Golgi e quindi traslocati fino
alla sinapsi dove vengono ancorati da proteine citoplasmatiche (PSD-95). Questi recettori
cambiano poi la propria isoforma durante la stabilizzazione grazie a molte molecole tra cui la
molecola solubile BDNF (dipende dall’attività elettrica).
Competizione tra sinapsi: l’eliminazione di sinapsi in eccesso dipende dal grado di attività di
una sinapsi rispetto alle altre (vengono stabilizzati gli input sinaptici dove si verifica una
correlazione di attività pre- e postsinaptica): se tra due sinapsi presenti una sola funziona
quella inattiva viene rimossa, se entrambe le sinapsi sono attive, ma con attività diversa, quella
maggiormente attiva si rafforza o funzionalmente o anatomicamente (raddoppiandosi).
Legge di Hebb: solo le connessioni che sono in grado di attivare in modo sincrono le cellule
bersaglio vengono conservate e rafforzate (importanza della correlazione di attività).
Fenomeni di plasticità sinaptica: l’efficacia di una sinapsi (entità della risposta sinaptica) può
variare in relazione alla frequenza degli impulsi nervosi che la interessano ( alla base dei
processi di memorizzazione): fenomeni a breve termine (1 ms-5 min; es. potenziamento
post-tetanico: se frequanza di stimolo EPSP postsinaptico per un certo tempo dopo la
stimolazione) sono dovuti a modificazione funzionale (liberazione di neurotrasmettitore
modifiche presinaptiche: la concentrazione di Ca2+, il numero delle vescicole, la responsività
dei canali del Ca2+ della zona attiva); fenomeni a lungo termine (30 min-settimane) sono
associati a modificazioni funzionali e strutturali dell’elemento post- e presinaptico.
I fenomeni a lungo termine si dividono in: • LTP (long-term potentiation) che potenzia la
sinapsi memorizzazione; • LTD (long-term depression) che viene indotta con stimolazioni
a bassa frequenza (2 Hz) per un tempo prolungato indebolimento della sinapsi
cancellazione.
Importanza NMDA e AMPA: il recettore NMDA funziona da molecola associativa poiché
richiede la presenza simultanea di glutammato liberato dal terminale presinaptico e di una
depolarizzazione postinaptica liberazione glutammato ( AMPA depolarizzazione)
NMDA (il glutammato attiva anche mGluR PLC IP3 ) Ca2+ (mediatore delle
modificazioni postsinaptiche a breve e lungo termine) messaggeri retrogradi Ca2+ -
dipendenti (es. NOS) e CaMKII (chinasi Ca2+-calmodulina-dipendente) e altre chinasi
responsività degli NMDA e numero di AMPA in membrana LTP. Gli NMDA sono
2+
importanti anche per la LTD (entra meno Ca per più tempo attivazione di fosfatasi Ca2+ -
2+
dipendenti più affini al Ca rispetto a CaMKII) determinano l’attivazione del processo
plastico, ma non la direzione.
Mantenimento della LTP: l’LTP ha una fase precoce indipendente dalla sintesi proteica e una
tardiva che si può basare su: • modifiche presinaptiche ( liberazione di glutammato
necessari messaggeri retrogradi (acido arachidonico, NO, CO, BDNF) e meccanismi che li
rendano selettivi per le sinapsi attive); • modifiche postsinaptiche (modulazione dei recettori
AMPA già espressi (fosforilazione/defosforilazione) o inserimento di nuovi recettori AMPA
per regolazione dei meccanismi di trasporto intracellulare e di incorporazione in membrana); •
aumento del numero di sinapsi; • reclutamento di sinapsi silenti.
Muscolo scheletrico
152
Piso
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Piso
alle fibre collagene della matrice extracellulare) stabilizza la membrana cellulare durante la
contrazione.
Scorrimento dei filamenti: l’accorciamento del sarcomero durante la contrazione muscolare
avviene grazie allo scorrimento dei filamenti spessi e sottili l’uno sull’altro. La forza generata
dal muscolo dipende dall’azione dei ponti trasversi (crossbridge).
1) durante la fase di attacco i ponti generano forza scorrimento filamenti di actina (8-12
nm, movimento a remo); 2) distacco ponti ed attacco a nuovi siti di actina. L’azione ciclica e
ripetuta determina l’accorciamento di tutto il muscolo.
La forza muscolare sviluppata dipende dal numero di interazioni che si realizzano la forza
generata da un sarcomero varia linearmente con l’entità di sovrapposizione dei miofilamenti
perché sovrapposizione numero dei crossbridge.
Contrazione muscolare: l’attività ciclica dei crossbridge è regolata dal Ca2+ intracellulare; •
fase I: nel muscolo scheletrico a riposo la concentrazione plasmatica di Ca2+ è 10-7 M e il
legame actina-miosina è impedito dal blocco
TnI-dipendente del sito di interazione non
c’è sviluppo di forza; la miosina si trova nello
stato M.ADP.Pi in cui l’ATPasi miosinica ha già
idrolizzato l’ATP, ma i prodotti non sono stati
liberati; • fase II: Ca2+ intracellulare il
2+
legame Ca -TnC determina la liberazione del
sito di interazione actina-miosina si forma il
complesso AM.ADP.Pi; • fase III: viene liberato
il fosfato ( AM.ADP + Pi) induce la
rotazione del braccio di leva che muove di 6-8
nm il filamento di actina (power stroke); • fase
IV: viene liberato l’ADP (AM + ADP) causa
un secondo power stroke che provoca uno scorrimento di 2-4 nm (fase più lenta in condizioni
isometriche la miosina rimane nello stato generante forza più a lungo risparmio
energetico); • fase V: lo stato AM (stato di rigor) è molto stabile, ma viene rotto dal legame
alla miosina di ATP (M.ATP) che abbassa l’affinità della miosina per l’actina il ponte si
stacca (effetto rilasciante dell’ATP) la forza si azzera; a questo punto l’ATPasi miosinica
idrolizza l’ATP ritorno a fase I.
Accoppiamento elettromeccanico: è la sequenza di eventi per cui al pda segue la contrazione
muscolare; è mediata dal Ca2+; a riposo la concentrazione citoplasmatica di Ca2+ è bassa (<
0,1 M) nel sarcoplasma ed elevata nel reticolo sarcoplasmatico (nelle cisterne terminali)
pda propagazione depolarizzazione nel tubulo T rilascio di Ca2+ dal reticolo
sarcoplasmatico legame Ca2+-TnC contrazione, che avviene dopo un periodo di latenza
dall’arrivo del pda (tempo necessario per il rilascio del Ca2+ e il suo legame alla TnC; dato il
periodo di latenza la fase di contrazione inizia solo dopo la fine del pda).
In prossimità delle cisterne del reticolo sarcoplasmatico esiste un’invaginazione della
membrana cellulare che costituisce il tubulo T (triade: cisterna + tubulo T + cisterna) e serve
ad avvicinare la membrana (e quindi il pda) a dove sta il Ca2+.
Liberazione del Ca2+: sulla membrana del tubulo T c’è un recettore voltaggio-dipendente
legato, grazie ad una proteina, ad un canale per il Ca2+ sul reticolo sarcoplasmatico (recettori
della rianodina) arriva il pda il recettore voltaggio-dipendente cambia conformazione
apertura del canale della rianodina esce Ca2+ per gradiente chimico. Il rilasciamento
2+
muscolare ha luogo quando gli ioni Ca vengono riassorbiti nel reticolo sarcoplasmatico ad
opera di una pompa ATP-dipendente.
Il fenomeno contrattile che segue un singolo pda è detto scossa muscolare semplice e la sua
durata è maggiore di quella del pda e dipende dal tipo di fibra muscolare in esame; due pda
ravvicinati nel tempo fanno sì che l’evento meccanico del secondo pda si sommi a quello del
154
Piso
primo che non è ancora finito le tensioni si sommano e il muscolo sviluppa una contrazione
più forte e duratura (tetano muscolare). Parliamo di tetano incompleto se si sommano eventi
contrattili in fase di rilasciamento; parliamo di tetano completo quando le scosse si sommano
in fase di contrazione ( perché si somma il Ca2+; responsabile della massima tensione che il
muscolo può generare) lo sviluppo di un tetano incompleto o completo dipende dalla
frequenza dei pda (frequenza di scarica dei motoneuroni) la regolazione della frequenza di
scarica dei motoneuroni è un meccanismo che permette la regolazione della forza muscolare.
Ruolo dell’ATP nella contrazione muscolare: distacco della miosina dall’actina,
trasferimento di energia alla testa della miosina e trasporto attivo del Ca2+ nel reticolo
sarcoplasmatico.
La concentrazione muscolare di ATP (3-5 mM) è sufficiente per una contrazione tetanica di ≈
2 s la maggior durata delle contrazioni muscolari dipende dalla riformazione di ATP
attraverso: fosfocreatina, fosforilazione ossidativa e glicolisi (anaerobia: glucosio piruvato
acido lattico 2 ATP poco efficiente, ma rapida; aerobia: in presenza di O2 il piruvato
entra nel ciclo di Krebs 36 ATP; in condizioni aerobie il muscolo può utilizzare anche gli
acidi grassi: -ossidazione acetil-CoA).
Meccanica muscolare
Tensione muscolare: forza esercitata dal muscolo/area di sezione (N/m2); carico: forza
esercitata da un peso sul muscolo.
Contrazione isometrica: se il carico è superiore alla tensione che il
muscolo può sviluppare il muscolo si contrae e sviluppa tensione,
stira l’elemento elastico in serie (tendine), ma non si accorcia, perché
la tensione sviluppata non è sufficiente a spostare, il carico.
Contrazione isotonica: se la forza
sviluppata dall’elemento contrattile
è in grado di vincere la forza esercitata dal carico
l’elemento contrattile si accorcia e il carico viene spostato.
Durante qualsiasi contrazione abbiamo una fase isometrica
che precede quella isotonica (contrazione isotonica pura se il
carico fosse 0, ma è impossibile perché devo spostare
ossa…): all’inizio si sviluppa tensione e, quando ha raggiunto
quella necessaria a spostare il carico, rimane costante e inizia
l’accorciamento.
La forza isometrica sviluppata da una fibra muscolare dipende
dal numero di interazioni actina-miosina che si formano
nell’area della sua sezione trasversa (tutte le interazioni sviluppano la stessa forza la forza
sviluppata da una fibra muscolare è la somma della forza sviluppata da tutte le interazioni di
miofibrille disposte in parallelo). La forza sviluppata non dipende dalla lunghezza della fibra
muscolare (sarcomeri in serie), perché la forza di sarcomeri in serie non può sommarsi poiché
si scarica su quelli vicini (ogni sarcomero agisce, infatti, non sulle estremità della miofibrilla,
ma sui sarcomeri vicini, che trasmettono la forza sviluppata agli estremi): se un’ipotetica
miofibrilla è formata da 1000 sarcomeri in serie (lunghezza 2,5 mm), che sviluppano ognuno
5 g di forza la fibra svilupperà ai suoi estremi 5 g; se si aggiungono 1000 sarcomeri in
parallelo, la forza sviluppata sarà 10 g, perché i sarcomeri in parallelo agiscono sulle
estremità della fibra. Il numero di interazioni actina-miosina che si formano nella sezione
trasversa di una fibra, durante una contrazione dipendono da: • diametro fibra (determina il
numero di miofibrille sarcomeri disposti in parallelo), • lunghezza dei sarcomeri
(determina il grado di sovrapposizione dei filamenti spessi e sottili), • quantità di Ca2+ che si
lega alla TnC (determina il numero di siti di interazione disponibili), • tipo di miosina.
155
Piso
Relazione tensione-lunghezza
La tensione sviluppata dal muscolo durante la contrazione dipende dalla lunghezza a cui si
trovano le fibre muscolari quando inizia la contrazione.
La tensione sviluppata da un muscolo è divisibile in due componenti: • tensione passiva che è
la tensione sviluppata dal muscolo quando viene allungato; aumenta con la lunghezza delle
fibre muscolari e dipende dalle componenti elastiche del muscolo (tessuto connettivo, titina); •
tensione attiva che è la tensione sviluppata dal muscolo durante la contrazione e aumenta fino
ad un massimo per poi cadere a 0 variando la lunghezza iniziale del muscolo si ottengono
valori diversi di tensione passiva ed attiva e si può descrivere una curva lunghezza-tensione.
La tensione totale è la somma della tensione passiva (precarico) ed attiva.
L0 (o Lmax) è la lunghezza ottimale (muscolo in situ) alla quale si
sviluppa la massima tensione attiva; Le è la lunghezza di
equilibrio (distaccato da posizione naturale): la tensione passiva e
attiva aumentano a partire da Le, ma quella attiva raggiunge il
massimo a L0 e diminuisce a lunghezza superiori.
La variazione di T attiva in relazione alla lunghezza dipende dalla
lunghezza del sarcomero che condiziona il numero di interazioni
actina-miosina: alla lunghezza del muscolo a riposo (2-2,2 m)
massimo numero interazioni massima T sviluppata; a
lunghezze maggiori o minori minore numero interazioni
minore T sviluppata.
La relazione T-L indica il livello di tensione isometrica massima sviluppabile ad una certa
lunghezza e stabilisce il livello di accorciamento massimo per ogni dato carico durante la
contrazione isotonica.
L’accorciamento (fase isotonica) inizia dopo che è
stata raggiunta la T necessaria a vincere il carico (fase
isometrica). Durante l’accorciamento la T isometrica
massima che il muscolo può sviluppare diminuisce con
il diminuire della lunghezza.
A parità di lunghezza iniziale, l’entità di accorciamento
diminuisce con l’aumentare del carico (al vertice sarà
contrazione isometrica pura).
Attività isotonica: maggiore è il carico applicato ad un muscolo
(P), maggiore è la T sviluppata. Raggiunta la T sufficiente a
superare P il muscolo inizia ad accorciarsi e la T sviluppata
rimane costante ed uguale a P. La velocità di accorciamento (V)
varia al variare del carico: è costante all’inizio e aumenta al
diminuire della massima T isometrica che il muscolo può
sviluppare ( al diminuire di P) entità di accorciamento e
velocità di accorciamento dipendono dal carico.
Quando si raggiunge la lunghezza alla quale la massima T
isometrica = carico (P) l’accorciamento termina.
Relazione forza/velocità: la velocità di accorciamento delle
fibre muscolari dipende dalla velocità con la quale avviene il
ciclo di interazioni actina-miosina dipende da tre fattori: •
carico applicato (la velocità con la quale un ponte trasversale
ruota, a parità di attività ATPasica, dipende dal carico applicato sul ponte stesso; il carico
viene ripartito per il numero di ponti attivi); • attività ATPasica della miosina; • massima forza
isometrica sviluppata (maggiore è la forza sviluppata (numero di ponti che si formano)
maggiore è la velocità di accorciamento, a parità di carico applicato (è minore il carico
applicato su ogni ponte)).
156
Piso
Unità motorie
L’unità motoria è l’unità fondamentale del movimento ed è costituita da motoneurone +
fibre muscolari da esso innervate (le fibre muscolari di una unità motoria sono tutte dello
stesso tipo: I, II A o II B). Ogni fibra muscolare riceve un solo terminale assonico il
rapporto tra fibra nervosa e muscolare è 1:1.
Il numero delle fibre muscolari che formano l’unità motoria è variabile: • unità motorie
piccole: poche fibre muscolari (< 100) muscoli capaci di movimenti fini (muscoli
dell’occhio (10 fibre), della mano (100 fibre)); • unità motorie grandi: molte fibre muscolari
muscoli che compiono movimenti grossolani, ma incrementano più rapidamente la forza
(muscolo tibiale anteriore (600 fibre)).
Reclutando più o meno unità motorie si regola la forza di contrazione del muscolo; le fibre
muscolari appartenenti ad unità motorie diverse si mescolano per garantire, in caso di attività
dei poche unità motorie, una buona distribuzione della forza sviluppata dall’intero muscolo.
Ogni muscolo presenta tutti i tipi di fibre, ma la proporzione di ciascun tipo di unità motoria
varia a seconda del tipo di attività muscolare (muscolo rapido (retto interno) sarà formato
prevalentemente da fibre rapide, un muscolo lento (soleo) da fibre lente).
Unità motorie S (slow; fibre I): livelli di forza bassi, contrazione lenta, resistenza alla fatica
elevata adatte ad attività muscolare sostenuta nel tempo; sono normalmente le più
numerose; unità motorie FF (fast faticable; fibre II B): livelli di forza elevati, contrazione
molto rapida, affaticabili adatte ai movimenti in cui si richiede massima rapidità e forza per
periodi brevi; sono normalmente le meno numerose; unità motorie FR (fast resistant; fibre II
157
Piso
A): livelli di forza intermedi, contrazione a velocità intermedia, resistenza alla fatica adatte
ai movimenti in cui si richiedono prestazioni intermedie.
Le unità motorie FF sono innervate da motoneuroni grandi, assoni con grande diametro a
elevata velocità di conduzione; numero di fibre muscolari elevato; le unità motorie S
(produzione di forza minore) sono innervate da motoneuroni piccoli, assoni piccoli a bassa
velocità di conduzione; numero di fibre muscolari basso; le unità motorie FR sono innervate
da motoneuroni con caratteristiche intermedie.
L’ordine di reclutamento delle unità motorie dipende dalla grandezza dei motoneuroni
(principio della dimensione); le unità motorie sono reclutate secondo un ordine prestabilito:
S FR FF; quando la forza muscolare diminuisce, cessano di scaricare in sequenza: FF
FR S. Tale ordine è possibile perché: • i neuroni piccoli sono più facilmente eccitabili
(alta Rm); • le S, che sono meno affaticabili, possono essere utilizzate per più tempo.
L’ordine con cui vengono reclutate le unità motorie è direttamente proporzionale alla forza
generata e alla velocità di contrazione ed inversamente proporzionale alla resistenza alla
fatica.
La forza sviluppata da un muscolo può essere aumentata attraverso due modalità: •
reclutamento di unità motorie (aumento numero delle fibre muscolari attive): stimolazione
afferente numero delle unità motorie attivate esponenzialmente la forza; • aumento
della frequenza di scarica delle unità motorie già attive: stimolazione afferente
frequenza di scarica dei motoneuroni già attivi la contrazione muscolare passa da tetano
incompleto a completo (o liscio).
Nei compiti motori che richiedono un lento aumento della forza le unità motorie vengono
reclutate gradualmente e la loro frequenza di scarica aumenta progressivamente (a partire da 8
Hz) man mano che aumenta il carico del muscolo.
La frequenza di scarica dei motoneuroni è tale da generare nelle fibre innervate tetani
incompleti. Le singole unità motorie sono attive in maniera asincrona la contrazione ed il
rilasciamento delle diverse unità motorie attive avviene in tempi e con frequenze diverse •
il movimento si presenta continuo e non discontinuo come nel tetano incompleto (fusione
delle contrazioni tetaniche incomplete prodotte dai motoneuroni attivi); • produzione di una
forza di contrazione costante nel tempo; • è ridotta la fatica delle fibre di un’unità motoria.
Muscolo liscio
È presente nella parete di organi interni cavi (arterie, vene, canale digerente, vescica); è
formato da cellule piccole (lunghezza 20-600 m, diametro 2-5 m) mononucleate che
presentano un reticolo sarcoplasmatico sprovvisto di tubuli a T.
La contrazione del muscolo liscio è più lenta, ma più duratura, di quella del muscolo
scheletrico e serve a modificare la grandezza e la forma dell’organo.
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Piso
Il muscolo liscio si divide in: • unitario: cellule accoppiate elettricamente (gap junction)
sincizio funzionale sincronizzazione rapida della contrazione (tratto gastrointestinale,
vescica, uretere, utero, vasi) e attività pacemaker (onde lente); • multiunitario: cellule
separate ( assenza di accoppiamento elettrico) stimolate in maniera indipendente e
controllato da SNA (muscolo ciliare, iride).
Morfologia: i miofilamenti sono disposti in fasci a disposizione diagonale (no sarcomero
questa disposizione fa sì che la fibra diventi globulare); i filamenti sottili si attaccano ai corpi
densi (analoghi alle linee Z) e non contengono troponina, ma caldesmone (CaD) con azione
inibitoria sull’attività ATPasica della miosina; i filamenti spessi di miosina sono presenti in
fasci tra le fibre di actina.
Le teste della miosina sono presenti lungo tutto il filamento permette lo scorrimento dei
filamenti per distanze maggiori rispetto al sarcomero del muscolo scheletrico.
Il pda del muscolo liscio è Ca2+-dipendente (canali voltaggio-dipendenti) il Ca2+ che entra
2+
nella cellula durante il pda determina la contrazione. I canali per il Ca del muscolo liscio
sono controllati anche da altri stimoli ( la contrazione può avvenire anche
indipendentemente dal pda): • neurotrasmettitori del SNA (NE per il simpatico e ACh per il
parasimpatico); • ormoni; • segnali paracrini; • stiramento muscolare.
Mentre il muscolo scheletrico non è mai inibito perifericamente (si può inibire solo unità
motoria) la contrazione del muscolo liscio può essere inibita da diversi segnali chimici.
Alcuni tipi di muscolo liscio possono presentare cicli spontanei di polarizzazione-
depolarizzazione detti onde lente: in alcuni muscoli le onde lente sono accompagnate da
contrazione, in altri la contrazione avviene solo se le onde lente raggiungono la soglia per la
nascita del pda ( apertura dei canali del Ca2+ voltaggio-dipendenti).
Le onde lente sono mediate da variazioni intracellulari di ATP e dalle proprietà di apertura dei
canali del K+ ATP-dipendenti presenti sul sarcolemma ( ATP chiusura canali del K+
depolarizzazione membrana; ATP apertura dei canali del K+ iperpolarizzazione).
Uno stato di depolarizzazione sostenuta nel tempo è alla base del tono miogeno.
Alcuni tipi di muscolo liscio presentano una depolarizzazione spontanea, detta potenziale
pacemaker, che raggiunge sempre la soglia per la nascita del pda, a cui segue la contrazione.
Queste cellule muscolari sono dette cellule pacemaker.
Controllo della contrazione: • contrazione
attivata dal pda (multiunitari); • contrazione
attivata dalle onde lente che innescano pda; •
contrazione attivata dalle onde lente senza pda
(unitari); • contrazione attivata da
neurotrasmettitori o farmaci (unitari).
Accoppiamento elettro-meccanico
Nel muscolo liscio dipende fondamentalmente dal Ca2+ extracellulare: pda canali del Ca2+
2+
tipo L Ca intracellulare attiva i recettori IP3 del reticolo sarcoplasmatico (simili ai
recettori della rianodina; attivabili anche da neurotrasmettitori ed ormoni tramite PLC)
Ca2+ contrazione.
Meccanismi che regolano il Ca2+ citoplasmatico: • entrata di Ca2+ attraverso canali del Ca2+
voltaggio-dipendenti o ligando-dipendenti; • liberazione di Ca2+ dipendente dal reticolo
sarcoplasmatico per azione del Ca2+ sui canali del Ca2+ RyR; • liberazione di Ca2+ dal reticolo
sarcoplasmatico determinata dall’IP3 liberato come secondo messaggero per azione di
neurotrasmettitori o ormoni su specifici recettori di membrana; • rimozione del Ca2+ attraverso
pompe del Ca2+ ATP-dipendenti (su reticolo sarcoplasmatico e membrana cellulare) e
scambiatore Na+/Ca2+.
Contrazione del muscolo liscio: 1) Ca2+ dall’esterno + Ca2+ dal reticolo sarcoplasmatico; 2)
legame Ca2+-calmodulina; 3) il complesso Ca2+-calmodulina attiva la chinasi della catena
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Midollo spinale
I riflessi sono dovuti ad impulsi periferici; i segnali che prendiamo dall’esterno arrivano al MS
(tranne quelli presi dal trigemino) e hanno 2 scopi: • creare sensazione e percezione (coscienza
della sensazione) e • generare risposte riflesse (azioni comportamentali utili alla
sopravvivenza: riflessi profondi, superficiali, da stiramento, H e complessi).
I riflessi sono disposti in maniera metamerica: a dei mielomeri (segmenti di MS)
corrispondono dermatomeri (fibre afferenti) e miomeri (fibre efferenti); nel mielomero
individuiamo fasci, un’organizzazione laminare e un’organizzazione somatotopica.
I sensori (recettori) sono capaci di trasdurre segnali provenienti dall’esterno; il segnale va con
fibre afferenti al MS (centro) e da qui con fibre efferenti agli effettori.
Tra la fibra afferente ed efferente stanno spesso neuroni facilitati (glutammato) e/o
interneuroni (GABA) un arco riflesso viene modulato da sistemi discendenti; la
modulazione avviene a vari livelli: • le fibre afferenti viaggiano con altre fibre afferenti
può avvenire una modulazione periferica; • il SNC va, col fascio motorio, a selezionare
l’informazione e a modificare la sensibilità del recettore (gli interneuroni rendono possibile
l’integrazione; è su loro che le informazioni convergono, non direttamente sul motoneurone).
I riflessi sono innati, ma non si ripetono sempre uguali grazie alle funzioni superiori e
all’esperienza il contesto motorio modula i riflessi.
I circuiti riflessi non portano alla sola contrazione del muscolo agonista, ma vanno anche ad
inibire i muscoli antagonisti.
Unità motorie
Sono attivabili diversamente, capaci di agire per uno stimolo ripetitivo in maniera efficace e in
grado di operare più o meno rapidamente; la dimensione del motoneurone è fondamentale:
saranno eccitate prima le cellule più piccole e se l’impulso è forte anche le più grandi la
grandezza seleziona l’intensità. Se il comando è molto rapido la cellula muscolare varia
fibre rapide, ma soprattutto se il comando è continuo le fibre rapide diventano lente.
Individuiamo unità motorie rapide (FF), che si affaticano, lente (S), che non si affaticano, e
intermedie (FR).
La rapidità determina anche la caratteristica di sommazione: se aumenta la frequenza di
scarica è più facile (basta incremento modesto perché ci sia sommazione) far contrarre le fibre
S che le FF.
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Piso
Reti neuronali
• Divergenza: fa sì che una stimolazione riesca a dare una risposta
amplificata ma perde specificità a scendere; • convergenza: consente la
sommazione di più impulsi; • inversione del segnale: una via che porta un
impulso positivo viene modificata modificando l’apporto delle fibre
discendenti l’impulso diventa negativo; • selezione dell’ingresso
sensitivo (es. interneuroni su fibre dolorifiche); • riverberazione del
segnale: un impulso si amplifica temporalmente attivando interneuroni
che riscaricano sul primo neurone risposta prolungata nel tempo (è
comunque limitata perché c’è una costante di decadimento).
Riflessi profondi
Sono riflessi propriocettivi che nascono dalla stimolazione dei fusi neuromuscolari per
allungamento del muscolo (propriocettori: fuso neuromuscolare, organo muscolo-tendineo di
Golgi e recettori articolari): presenti nei muscoli antigravitari (stirati dalla gravità) che sono
sottoposti o a stimoli veloci o lunghi (gravità) riflessi diretti a mantenere la postura (negli
arti inferiori domina l’estensione per opporsi alla forza di gravità, nei superiori flessione):
arriva l’informazione tramite le fibre più veloci che ci sono e possono andare o direttamente o
tramite interneuroni facilitatori (circuito mono- o pauci-sinaptico) al motoneurone (nel
contempo inibisce l’antagonista).
La risposta è locale (stesso muscolo il cui fuso è stato stimolato), a latenza fissa e stereotipata,
ma regolata dai fasci extrapiramidali che la inibiscono (sistema frenante così si può esaltare
quando necessario) lesione extrapiramidale: esaltazione delle risposte (es. riflesso rotuleo).
Riflessi superficiali
Sono riflessi esterocettivi (recettori posti nella cute) che ci servono come difesa; sono poli-
sinaptici, a rete divergente, non localizzati e provocano risposta flessoria (inibizione estensori)
ed effetto opposto controlateralmente (riflesso estensore crociato). Sommazioni spazio-
temporali e risposte variabili per ampiezza e latenza (dipendono da quanti recettori attivi
faccio strisciare la punta del martelletto anziché dare un colpo).
Una lesione piramidale causa scomparsa dei riflessi ( il fascio piramidale ha azione
facilitatoria); il segno di Babinski è patognomonico della lesione del fascio piramidale:
l’alluce si estende e le altre dita si aprono a ventaglio (l’alluce dipende dal piramidale, le altre
da extrapiramidale).
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Riflesso H (Hoffmann)
Consente la quantificazione del riflesso; con uno stimolo elettrico (basso agisce solo su
fibre A ) si vanno a stimolare direttamente le fibre afferenti dei fusi (es. nel cavo popliteo
perché il nervo sciatico è molto superficiale; non causa dolore perché le fibre dolorifiche sono
più piccole meno eccitabili) per evitare i recettori attivazione arco riflesso risposte
elettromiografiche evidenziabili a livello del gastrocnemio (stimolo fibre afferenti MS
fibre efferenti muscolo).
Inizialmente all’aumentare dell’intensità dello stimolo aumenta la risposta H (causata dal
riflesso 30-40 ms), poi se lo stimolo continua ad aumentare l’onda H diminuisce perché
appare la risposta M, cioè: se l’intensità non stimolo più solo le fibre A (più grosse più
sensibili) responsabili del riflesso H, ma anche quelle più piccole, efferenti, responsabili della
contrazione del muscolo ( la risposta M è precoce, perché se le fibre efferenti sono
stimolate il muscolo si contrae subito, direttamente; inoltre l’impulso va anche ad occludere lo
spazio della risposta riflessa per via del periodo refrattario).
Utilizzato in neurologia per vedere se il danno è ad una via afferente o efferente.
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Riflesso asso-assonico
È responsabile ad es. dell’arrossamento che si ha in seguito ad una lesione della cute; è uno
pseudoriflesso perché è necessaria la fibra afferente, ma non richiede un centro nervoso se
si tagliano le radici dorsali persiste.
L’impulso viaggia con fibre A o C che mandano delle diramazioni ricorrenti che rilasciano
citochine vasodilatazione arrossamento.
Postura
Intende mantenere il baricentro, punto di applicazione delle forze, all’interno della base di
appoggio e serve per assumere una posizione utile al movimento. Il tono muscolare è la
contrazione continuativa del muscolo e permette di assumere atteggiamenti posturali adeguati.
Al fine di mantenere la postura è importante anche l’azione del fuso che attiva non solo
circuiti spinali, ma anche superiori.
La risposta posturale non origina solo dalla propriocezione, ma anche dall’organo vestibolare
(riflessi vestibolari). Anche la visione è importante (stabilizza il corpo nello spazio).
La postura si manifesta con risposte adattative (capace di modificarsi a seconda delle
condizioni) e risposte anticipatorie (modificazione della posizione corporea in vista di
particolari movimenti).
La postura si studia tramite piattaforme stabilometriche che consentono di rilevare il centro di
pressione (baricentro) grazie a sensori di forza (origina un gomitolo più largo latero-
lateralmente che antero-posteriormente).
Il controllo dell’equilibrio è complesso, abbiamo infatti una base di appoggio piccola: siamo
un pendolo invertito, dove il vincolo è in basso (piedi).
Il mantenimento dell’equilibrio necessita di elementi passivi (scheletro), elementi elastici e
componenti muscolari.
Le risposte atte a mantenere la postura sono complesse e derivano dall’integrazione di molti
segnali sensoriali: visione, vestibolare, propriocettivi.
Quando chiudiamo gli occhi il SNC perde un tipo di informazione oscillazione (gomitolo
largo), poi “capisce” che quell’informazione non c’è più l’efficacia dell’informazione
propriocettiva (gomitolo torna normale).
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Piso
tenere un tono più elevato), in secondo luogo perché una struttura rigida sfavorisce il
movimento.
Non è efficace né lo stato di rilassamento completo (che comunque mantiene l’equilibrio),
né uno stato di contrazione notevole (che comunque mantiene l’equilibrio), ma uno stato
intermedio che varia a seconda della situazione (in piedi, seduti…).
Poiché noi, stando in piedi, combattiamo contro la gravità i muscoli estensori degli arti
inferiori e i muscoli flessori degli arti superiori devono avere un tono leggermente maggiore.
La struttura corporea è fatta in maniera tale da scaricare il più possibile sugli elementi rigidi la
forza di gravità: i 2/3 si scaricano a livello dello scheletro e solo 1/3 spinge in
avanti il corpo il tono serve per contrastare questa parte minoritaria.
Se l’osso fosse perpendicolare al piano terra la forza si scaricherebbe tutta su
esso rendendo inutile il tono; ciò non avviene perché la postura non ci serve solo a
mantenere una posizione che si oppone alla forza di gravità, ma serve anche a far
essere il corpo pronto a muoversi (posizione di preattivazione).
Scheletro (scarico forze), tono (riduce oscillazione), riflessi (correggono in
caso di perturbazioni).
Affinché si abbia il tono muscolare è fondamentale l’azione del fuso che sente gli stiramenti
dovuti alla forza di gravità ed innesca il riflesso miotatico tonico il tono incrementa di quel
tanto che basta a superare la gravità (o la perturbazione).
L’attività è responsabile della modulazione del tono ed è controllata dal centro.
Alcune aree centrali aumentano e altre riducono il tono;
per determinare queste aree si è agito empiricamente
(esclusione funzionale): • resezione transcollicolare
(escludo diencefalo e CC): si ha un’ipertonia in cui tutti i
muscoli si oppongono alla gravità sopra il collicolo
superiore c’è qualcosa che tende ad inibire: il nucleo rosso;
togliendolo aumenta l’attività ( ipertonia ; è
perché se si tagliano le radici dorsali il tono scompare, non
potendo più modificare la sensibilità del fuso); • resezione
tra bulbo e ponte: ipotonia nel ponte (e forse un po’ nel
mesencefalo) c’è un’area capace di aumentare l’attività : la sostanza reticolare ponto-
mesencefalica (posta un po’ laterale, ma le fibre vanno centralmente); • nel bulbo c’è quindi
un’area con azione inibitrice: la sostanza reticolare bulbare (posta abbastanza centralmente,
ma le fibre vanno lateralmente).
Tutto ciò consente di modulare ampiamente le risposte agendo sui -motoneuroni.
Escludendo il CB (chiudendo le arterie) si esclude il verme, che inibisce i nuclei vestibolari
i nuclei vestibolari iniziano a scaricare molto intensamente, ma, al contrario dei casi
precedenti, scarica sugli -motoneuroni (tramite i fasci vestibolo-spinali) tono (anche se
si tagliano le radici dorsali; ndr nell’uomo un danno al CB non porta ipertonia, ma ipotonia
cerebellare perché dominano altri controlli tonogeni).
Le ipertonie possono essere originate da un aumento di attività o .
In un soggetto con emiplegia c’è impossibilità di compiere atti volontari e ipertonia dei
muscoli antigravitari. Si è tentato di intervenire tagliando le radici dorsali, ma si è osservato
che il tono diminuisce solo transitoriamente, poiché mentre prima prevaleva l’attività inizia,
per fenomeni plastici, a prevalere quella . Più risolutiva è la somministrazione di sostanze
GABA-ergiche che vanno ad attenuare l’arco riflesso.
Se tagliamo tra il bulbo e il MS si ha una profonda ipertonia, non per la presenza di un nucleo
inibitorio, ma perché il MS, isolato funzionalmente per lungo tempo, ha tutti i riflessi
ipoeccitabili: parliamo di shock spinale (dovuto alla cessazione degli impulsi dall’alto) che
nell’uomo dura mesi; poi gradualmente i riflessi spinali crescono di potenza fino a diventare
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Sistema vestibolare
È sito nella rocca petrosa dove delle cavità ossee contengono dei canali membranosi
semicircolari (3 per lato) e 2 cavità dette utricolo e sacculo, tutti contenenti endolinfa.
Le componenti canalicolari rilevano fondamentalmente l’accelerazione angolare (
rotazione) della testa; il sacculo e l’utricolo rilevano accelerazioni retto-lineari ( anche la
forza di gravità).
Questo sistema sensoriale serve per dare indicazione del movimento della testa, risponde alla
forza di gravità e produce un’idea (nella CC) della posizione del corpo, fondamentale per le
risposte posturali.
È in grado di dar luogo a riflessi: dai canali semicircolari nascono riflessi che fanno muovere
gli occhi (riflessi vestibolo-oculari) e riflessi che fanno muovere la testa (riflessi vestibolo-
cervicali o vestibolo-collico) questi due riflessi nascono per stimolazione dinamica della
testa riflessi dinamici; la componente otolitica (sacculo ed utricolo) genera riflessi
vestibolo-spinali, particolarmente importanti nella postura.
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Riflesso opto-cinetico (o ottico-cinetico): quando gli occhi rimangono stabili nello spazio i
riflessi in gioco sono due: il riflesso vestibolo-oculare (feedforward) e il riflesso opto-cinetico
(attivo anche per movimenti lenti).
Se facciamo scorrere delle immagini davanti agli occhi,
questi seguono le immagini (si muovono nella stessa
direzione) grazie al fatto che nella retina, attorno alla fovea,
esistono particolari recettori sensibili al movimento delle
immagini.
L’informazione retinica entra nel tronco dell’encefalo (e un
po’ di corteccia), discende per andare all’oliva inferiore,
CB… e poi tutta questa informazione visiva finisce nel
nucleo vestibolare mediale dove si integra con
l’informazione vestibolare: entrambe servono a garantire la stabilità (a seconda che si
muovano le immagini o la testa), ma il riflesso vestibolo-oculare è in feedforward
rapidissimo, ma meno preciso (perché non sapendo l’effetto non ha riscontro), mentre il
riflesso opto-cinetico è in feedback lento (deve avere l’informazione per rispondere, ma
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molto più preciso solo attraverso l’integrazione di questi due riflessi si può avere la
performance migliore.
Per i movimenti rapidi della testa (> 4°/s) il ruolo è esercitato fondamentalmente dal riflesso
vestibolare, per quelli lenti fondamentalmente dall’opto-cinetico, ma per i movimenti
intermedi interagiscono al fine di perfezionare la risposta: es. la testa si muove a 10°/s e il
riflesso vestibolo-oculare è in grado di correggere 9°/s rimane una componente non
corretta di 1°/s che è un movimento lento può agire il riflesso opto-cinetico che perfeziona
la risposta.
Infine il riflesso opto-cinetico può agire in maniera plastica modificando (ricalibrando) il
riflesso vestibolo-oculare poiché se il riflesso non è perfetto le immagini scivolano sulla retina
(meccanismo detto ricalibrazione vestibolo-oculare).
Questi due riflessi: hanno campi d’azione diversi; possono cooperare; uno istruisce l’altro.
Movimenti volontari dell’occhio: l’occhio non deve solo preoccuparsi di rimanere stabile
rispetto allo spazio per poter osservare le cose di fronte, ma deve anche potersi muovere per
vedere (raggiungere) punti diversi nello spazio e questi movimenti sono molto rapidi e detti
saccadi: permettono di foveare, cioè di porre la fovea verso l’oggetto che ci interessa.
Oltre ai movimenti saccadici ci sono dei movimenti lenti che ci permettono di inseguire gli
oggetti che si spostano: i movimenti di inseguimento.
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Come già visto per i riflessi vestibolo-oculare ed opto-cinetico i riflessi si possono combinare
per perfezionare, facilitare, integrare le risposte; ciò
vale anche per i riflessi otolitici e cervicali: se inclino
il corpo da un lato aumenta il tono dei muscoli
estensori dell’arto inferiore ipsilaterale (ipertonia
estensoria) perché non si cada (1) riflesso
otolitico (il cervicale non è presente perché testa e
tronco mantengono la stessa inclinazione reciproca);
per attivare solo il riflesso cervicale si tiene la testa
ferma e si inclina il corpo (2) si ottiene ipertonia
estensoria controlaterale al verso della rotazione.
Inclinando solo la testa si ha sia stimolazione 1 che 2
poiché il movimento della testa non sposta il baricentro sarebbe inutile un’ipertonia
estensoria di uno dei due lati e difatti si ha la cancellazione (ottengo stesso stimolo ma con
segno opposto si cancellano); questo è un esempio di miglioramento delle risposte a
seconda delle diverse condizioni.
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La risposta riflessa deve tener conto delle situazioni (ad es. sapere se la testa non è nella
posizione corretta).
Locomozione
È un movimento volontario, ma è anche un movimento ritmico per cui ha leggi interne un po’
diverse da quelle del movimento volontario.
Camminare è il frutto di un ciclo composto da un periodo di appoggio, che serve per
sostenere il corpo, e un periodo di oscillazione in cui la gamba oscilla in avanti per far
avanzare il corpo.
Dividiamo questi in fase F (flessione: da inizio a metà del ciclo di oscillazione) in cui l’arto
flettendosi si distacca dal suolo per poter andare in avanti, una fase E1 (estensione: da metà
del ciclo di oscillazione al contatto del tallone col suolo) in cui l’anca è flessa e ginocchio e
caviglia estesi, una fase E2 in cui l’anca si sposta in avanti (flessione passiva di ginocchio e
caviglia per spostamento del peso su questa gamba si accumula energia) e una fase E3 in
cui anca, ginocchio e caviglia si estendono completamente propulsione del corpo in avanti.
Ritmicità
Per poter effettuare queste flessioni ed estensioni c’è bisogno di un controllo: nel MS, a livello
lombare, individuiamo un emicentro estensorio ed un emicentro flessorio in grado di inibirsi a
vicenda (grazie ad interneuroni inibitori): queste strutture nel complesso costituiscono i
central pattern generator (CPG).
I centri di un lato sono in grado di confrontarsi con quelli
controlaterali cosicché tutto ciò che avviene da un lato avviene
anche dal lato opposto, ma con tempi alternati.
A garantire quest’interazione c’è il riflesso estensore crociato
(la flessione di un lato influenza l’estensione del lato opposto)
che si esplica tramite circuiti che presentano interneuroni
inibitori ( è un riflesso di base che nasce come meccanismo
protettivo (riflesso flessorio), ma serve anche per il
movimento volontario ritmico del cammino).
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Piso
Quando si attivano gli estensori di un lato si vuole che gli estensori controlaterali siano inibiti
(per poter flettere più facilmente) il centro estensore di un lato va ad attivare un
interneurone inibitorio che va ad inibire l’estensore controlaterale (via diretta), ma abbiamo
abbiamo bisogno che flessione ed estensione si alternino contemporaneamente si ha
l’attivazione di una via più lunga ( ritardo del segnale) che va ad inibire l’interneurone
inibitorio (via indiretta) cosicché abbiamo la sospensione dell’inibizione e il lato opposto
inizia ad essere attivato ( l’alternanza, secondo questo circuito, è garantita dal diverso
tempo di attivazione e inibizione degli interneuroni inibitori ipsilaterali).
Avvio
I central pattern generator presenti a livello lombare, in grado di mantenere il ritmo, sono
piuttosto inibiti poiché più in alto, nel mesencefalo, esistono centri generatori di ritmo che
dominano. Quando un soggetto ha una lesione spinale alta grave il cammino viene perso e
vanno riattivati, con esercizi, stimolazione elettrica o tutori che robotizzino il movimento, i
neuroni del MS per fargli riacquisire ritmo.
Il riflesso che origina dal Golgi è il riflesso inverso da stiramento: ogni volta che il muscolo
incrementa la forza nasce un meccanismo che riduce la forza del muscolo; nel cammino ci
serve che quando un muscolo viene contratto continui a stare contratto e nella fase di
appoggio i muscoli attivati, che generano forza consentendo l’appoggio, continuino a generare
forza e anzi ne esercitino di più. Ciò che accade è che i Golgi sentono la forza dei muscoli
estensori nella fase di appoggio e invece di inibire l’estensore inverte il segno e fa aumentare
la forza dell’estensore (inibendo un interneurone inibitorio) il riflesso inverso da stiramento
diventa riflesso da stiramento (incrementa la forza invece che diminuirla dimostrazione che
i riflessi possono cambiare di segno a seconda delle condizioni).
Esistono dei centri ritmogeni nel MS e centri superiori di cui il più importante è la regione
motoria mesencefalica (RLM).
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Piso
In caso di un quadro patologico grave si somministra L-DOPA che riesce a facilitare i neuroni
del MS e sovraspinali per indurre il cammino.
Una disconnessione tra RLM e le aree sottostanti (del ponte (sostanza reticolare e locus
ceruleus) e del MS) determina effetti del cammino piuttosto gravi.
Sono fondamentali però anche i nuclei della base e il CB che integra il tono antigravitario
nella fase di movimento, cioè fa in modo che la forza esercitata dagli estensori nella fase di
appoggio sia graduata rispetto all’effetto della gravità; calibra l’ipertonia che deve avere il
muscolo nella fase d’appoggio e ne dà una definizione sia nel tempo che nella direzione e
permette di realizzare dei movimenti anticipatori una volta che si ha avuta esperienza di un
atto di locomozione in un dato ambiente (rende il cammino sicuro su un suolo) consente di
passare da una risposta riflessa in feedback (risposte che si adattano: es. batto contro ostacolo
e fletto) a risposte in feedforward (gli occhi vedono l’ostacolo e il CB permette flessione).
Il CB è la struttura fondamentale che fa passare da feedback a feedforward ( apprende
attraverso gli errori e la volta dopo permette di anticipare gli eventi).
Movimento volontario: ruoli del MS, della CC, dei nuclei della base e del CB
Controllo
In realtà anche aumentando la frequenza di scarica un po’ di oscillazione c’è, ma la si può
evitare mediante un meccanismo di sincronizzazione e desincronizzazione che si basa sulla
presenza degli interneuroni inibitori di Renshaw: se attivo in maniera sincrona tutte le
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Piso
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Piso
muscolo da attivare dipende dalla condizione periferica. Si ha una divergenza sui muscoli e
una convergenza di strategie: molte aree corticali per un atto motorio e una zona corticale per
più muscoli.
L’informazione che esce dalla corteccia motoria deve dire, in ordine d’importanza: • la
direzione del movimento, • con che forza (se movimento isometrico) o velocità (se movimento
isotonico) va compiuto l’atto motorio e • il senso di posizione iniziale.
Infine la corteccia non si preoccupa solo dell’atto motorio in sé, ma deve ad es. assicurare la
stabilità articolare affinché il movimento avvenga.
Quando facciamo un movimento non attiviamo solo i neuroni che vanno a innervare il
muscolo responsabile di tale spostamento (es. estensione braccio), ma anche tutta una serie di
neuroni che ci permetterebbero altri movimenti (es. abduzione e adduzione braccio): il
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Piso
movimento finale non è quindi il risultato di un singolo muscolo che sposta, ma la risultante di
un insieme di vettori di forza la cui somma vettoriale (vettore (o codice) di popolazione)
determina la direzione del gesto motorio (è ovvio che il vettore dell’estensore sarà più
grande).
Ciò accade per due ragioni: 1) è un fattore di sicurezza per cui, se ad es. perdo un gruppo
muscolare, potrò utilizzare la sommatoria di due altre forze il cui vettore somma sarà uguale al
vettore forza che non sono più in grado di produrre mi garantisce l’esecuzione di un
movimento anche se le condizioni intorno al sistema sono cambiate; 2) è un fattore di
flessibilità grazie al quale neuroni che altrimenti avrebbero un potenziale basso sono tenuti
vicini al potenziale d’azione (stato di pre-attivazione) cosicché piccole quantità di
neurotrasmettitore sono sufficienti per attivarli in caso di bisogno permettendo di cambiare
velocemente direzione se necessario.
La corteccia, oltre a definire i fattori dimensionali spaziali (forza, direzione, posizione) deve
definire anche, in parte, il fattore temporale (la restante parte della definizione temporale
nasce nei nuclei della base, nelle aree supplementari motorie e nel CB).
Sequenze temporali da considerare: 1) pulse-step: tutti i nostri comandi motori prevedono un
comando iniziale molto intenso (pulse: per motivi inerziali lo sforzo
maggiore lo si fa all’inizio del movimento) e poi la scarica si
mantiene ad un livello più basso (step: mantenimento); ciò è dovuto
al fatto che i motoneuroni attivati con un impulso costante danno
all’inizio una risposta maggiore cui segue un fenomeno di
adattamento, ma soprattutto ad un controllo centrale (CB) che dopo l’apprendimento
organizza tale sequenza a seconda del movimento; 2) relazione agonista-antagonista:
quando inizio un movimento attivo l’agonista (che avrà il suo pulse seguito dallo step), ma per
frenare il movimento, a metà volo, inizia ad aumentare il tono dell’antagonista (e per
inibizione reciproca diminuisce quello dell’agonista).
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di carta vetrata la superficie del bicchiere impone forze diverse; queste cose avvengono in
automatico poiché informazioni sensoriali salgono e vanno a fare memoria sensori-motoria.
• Ruolo della propiocezione nel compiere un gesto: se facciamo flettere un braccio e
improvvisamente mettiamo un blocco aumenta l’attività di scarica dei neuroni corticali al fine
di superare il carico e ciò avviene perché in CC giunge l’informazione propiocettiva.
• Ruolo della visione: è particolarmente evidente nei movimenti di reaching e di grasping:
quando vogliamo raccogliere un oggetto abbiamo bisogno di vedere l’oggetto per
programmare l’atto motorio; per il movimento di reaching bisogna sapere dov’è l’oggetto
rispetto ad una coordinata egocentrica, per il movimento di grasping è necessario sapere
com’è l’oggetto (forma, dimensioni, peso).
Si è visto che l’informazione visiva della via del dove, per il reaching, parte dal lobo
occipitale e corre dorsalmente nella corteccia, mentre l’informazione visiva della via del
come, parte dal lobo occipitale e percorre il lobo temporale. Queste informazioni sono dirette
alle aree premotorie dorsale, che guida il movimento nella direzione, e ventrale, che guida il
processo di presa e manipolazione; poi queste informazioni tornano indietro e attivano la
corteccia motoria.
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Piso
Se non ci sono errori il movimento è eseguito e ci sono segnali che risalgono in corteccia per
segnalare che il movimento è stato adeguato e il soggetto è soddisfatto (“ricompensa”: c’è
anche nei nuclei della base). Se ci sono stati degli errori l’informazione va alla corteccia per
correggere il movimento stesso.
Aree motorie
In queste operazioni sono coinvolte molte aree corticali: l’area 4 (motoria), l’area 6
(premotoria), l’area supplementare motoria, le aree premotrici (dorsale e ventrale), l’area 8
(oculomotoria), l’area 44/45 (di Broca per il linguaggio); anche le aree 5 e 7 (aree sensori-
motorie) sono fortemente impegnate nel controllo e perfezionamento del gesto motorio.
Giro del cingolo: le parti rostrale (RCA) e caudale (CCA) del giro del cingolo sono le prime
aree che vengono attivate nel progettare un gesto motorio.
• RCA è importante perché permette un giudizio sull’esito di ciò che si sta per fare mettendo
insieme, in termini generali, la predizione del gesto e l’effetto ottenuto, confrontando cioè se
all’intenzione di un gesto consegue il risultato opportuno. Se è lesa quest’area il soggetto non
sa più se quei movimenti sono da eseguire o no perché non sa se portano all’effetto
riduzione dell’iniziativa. • CCA è invece più impegnata nell’esecuzione.
Aree supplementari motorie: sono l’area supplementare motoria (SMA) e l’area pre-
supplementare motoria (pre-SMA); • SMA è attivata per definire le sequenze motorie, lo
schema di movimento; non definisce i dettagli, ma il movimento nella sua completezza di
mano e bocca ( non tutto il corpo); può essere attivata anche se si immagina un movimento
(quindi senza l’esecuzione), per istruzioni che nascono dall’interno; • pre-SMA: implicata nei
movimenti lenti (di inseguimento) degli arti superiori.
Se c’è una lesione si avrà acinesia e parziale mutismo; può esserci la sindrome della mano
aliena per cui la mano si muove a prescindere dalla volontà.
Area premotoria dorsale (PMd): posta davanti all’area motoria e sotto SMA; è intercalata
nella via del dove: è fondamentale per predefinire e poi portare all’area motoria informazioni
sulla direzione del movimento (serve per il reaching); riesce inoltre ad associare uno stimolo
simbolico ad un movimento (es. rosso del semaforo pressione sul freno) direzione e
associazione simbolo-gesto motorio.
Quest’area riceve informazioni dal lobo parietale superiore (SLP) che è un’area
pseudosensoriale che gestisce la localizzazione e il movimento degli oggetti.
Le cellule delle aree fin qui descritte oltre a controllare il movimento creano memoria di ciò
che è stato fatto.
Area premotoria ventrale (PMv): è composta di diverse zone, non classificabili secondo la
classificazione di Brodmann, dette F5 ed F4.
• F5 riceve informazioni dalla zona anteriore al solco intraparietale (area intraparietale
anteriore: AIP); quest’informazione è legata alla forma degli oggetti e in parte al loro
significato ed è legata ai movimenti di grasping (via del come).
L’area F5 codifica atti motori ( no movimento singolo, ma sequenza): ci sono aree di F5
poco specifiche in cui i neuroni si attivano per fare una codifica generale del movimento da
intraprendere (es.: “il prendere”) e neuroni, attivati successivamente, che codificano un atto
motorio specifico (“prendere una pila”); quando il segnale ha raggiunto il massimo della
specificità passa nell’area motoria che attiva neuroni diversi a seconda del contesto (è F5 a
definire il contesto, ma per gradi).
Nell’area F5 è dominante la configurazione della mano (e bocca) e codifica anche le fasi del
movimento (agisce diversamente a seconda della fase in cui ci si trova).
In F5 ci sono neuroni motori (50%), che si attivano quando viene effettuato il gesto motorio, e
neuroni visuo-motori (50%: sono neuroni sia motori che sensitivi), che si attivano sia quando
viene effettuato il gesto motorio (es. prendere palla) sia quando viene visto l’obiettivo (poiché
si pensa al gesto motorio).
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Piso
AIP codifica non per tutte le caratteristiche dell’oggetto (l’oggetto nella sua interezza sarà
rappresentato in aree più ventrali che consentono la cognizione), ma per le caratteristiche
dell’oggetto che sono utili al movimento, che consentono un’interazione con esso
(affordences: es. manico e bordo della tazzina di caffè). Se ho l’intenzione di interagire con
l’oggetto queste aree di AIP, che è comunque un’area sensitiva, scaricano molto più
intensamente perché si preparano all’attuazione del gesto motorio.
Le aree F5 e AIP sono sotto il controllo della corteccia prefrontale, del lobo temporale
inferiore e del giro del cingolo (responsabili dell’intenzione).
In F5 sono presenti sia neuroni canonici, che rispondono solo quando si compie un’azione
specifica, sia neuroni a specchio, che si attivano anche quando si vede un soggetto compiere
un’azione (importanti nell’interpretazione di ciò che sente un altro) e distinguiamo neuroni a
specchio specifici (“prendere una pila”) e altri molto meno (“il prendere”).
Il SN organizza il movimento partendo da un’idea generale e per passi progressivi arriva
alla sua definizione precisa.
Ci sono neuroni a specchio che rispondono a movimento (bocca-mano) di ingestione (neuroni
ingestivi) e altri che rispondono a movimento (bocca-mano) di comunicazione (neuroni
comunicativi). Vi è però un’incongruenza per cui ci sono neuroni in cui la risposta
comunicativa si mescola a quella ingestiva e ciò fa pensare al fatto che la parola potrebbe
nascere dagli stessi movimenti che ci permettono di mangiare.
Ndr si sono trovati neuroni specchio anche in aree che si occupano dell’emotività.
• F4 si distingue da F5 in particolare in funzione dello spazio d’interesse: davanti a noi
esistono diversi spazi: lo spazio del mio corpo, lo spazio che sta vicino al mio corpo (spazio
peripersonale vicino), uno che va fino al punto più lontano raggiungibile dalla mia mano
(spazio peripersonale distante: se prendo un bastone in mano questo spazio diventa più
ampio) e lo spazio che non riesco a raggiungere (spazio extrapersonale); questi spazi sono
gestiti in maniera diversa: dallo spazio extrapersonale ci arrivano informazioni visive ed
acustiche che guidano le nostre risposte, dallo spazio peripersonale arrivano stimoli visivi,
acustici e tattili.
L’area F4 (riceve da VIP) gestisce lo spazio vicino di volto e mano: risponde sia a stimoli
tattili che visivi ed è indifferente che l’informazione sia tattile o visiva (la tatto-visione diviene
un tutt’uno) le coordinate sono somatosensoriali; F5 coinvolge uno spazio più distante.
Area 8 (Front Eye Field: FEF): riceve da IPL e serve a controllare i movimenti oculari per
permetterci di controllare lo spazio extrapersonale (coordinate retiniche e orbitali).
La rappresentazione spaziale non è unitaria e cambia con la distanza; a seconda della
localizzazione degli oggetti abbiamo delle coordinate di riferimento diverse.
Lobo parietale (superiore: SPL e inferiore: IPL): conduce informazioni che vengono dal
visivo e serve per mettere in rilievo oggetti che servono per il movimento; organizza la
trasposizione delle coordinate (passaggio da coordinate peripersonali, in cui il punto di
riferimento è il mio centro, a coordinate extrapersonali in cui i punti di riferimento sono
riferimenti spaziali assoluti come la gravità) permette di isolare aree utili al motorio.
Una lesione porta eminegligenza spaziale motoria (non si sa agire in una parte dello spazio),
atassia ottica, paralisi psichica dello sguardo, disturbi oculomotori.
Apprendimento: da notare che anche l’area motoria primaria si modifica quando un gesto
viene appreso (plasticità: attivazione maggiore di circuiti si estende l’attivazione). Si riduce
in oltre il grado di coattivazione: man mano si tende a non irrigidire più i muscoli posturali e
non (risparmio energia) che servivano ad irrigidire la struttura per ridurre gli errori.
Una volta che si è appreso un gesto cresce l’area di attivazione dell’area motoria, ma si
riducono le coattivazioni.
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del morbo di Parkinson non viene più facilitato il movimento perché la perdita dei neuroni
dopaminergici fa aumentare l’attività inibitoria del putamen sul GPe (non più inibiti D2); ciò
rende più attivo il nucleo subtalamico che attiva il GPi inibitorio perdita della capacità di
muoversi; la postura è in tetraflessione, tremore delle mani (“il contar moneta” a tre cicli per
secondo) che dipende da altre cose, l’avvio e il freno del movimento sono ritardati, il
movimento è decomposto perché il meccanismo di sequenza motoria viene frammentato, non
è facilitato.
Cervelletto
La corteccia motoria, nella prima fase di organizzazione della tattica, deve far riferimento al
CB laterale che in feedforward riporta l’informazione alla corteccia in modo tale che venga
utilizzato un modulo motorio corretto.
Al CB arrivano fibre dall’oliva inferiore dette fibre rampicanti, che dal punto di vista
fisiologico trasportano quasi sempre il segnale di errore di esecuzione del movimento (dai fusi
neuromuscolari), e si confrontano con le fibre muscoidi, che portano la copia efferente dalla
corteccia; da questo confronto nasce la risposta che può andare in corteccia, ma soprattutto al
nucleo rosso e poi scende a controllare il movimento stesso.
Modificando questi circuiti vengono alterati la programmazione e il controllo motorio e ciò
produce i comportamenti suddetti.
La struttura anatomica del CB è organizzata in maniera precisa (strato molecolare, strato delle
cellule del Purkinje e strato granulare). Gli alberi dendritici delle cellule del Purkinje sono
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delle fibre muscoidi e la coincidenza temporale crea l’induzione dell’LTD poiché causa una
maggior entrata di Ca2+ nella cellula del Purkinje e ciò incrementa una fosfochinasi che porta
verso l’interno i recettori al glutammato (internalizzazione legata al calcio dei recettori; c’è
anche un meccanismo legato a NO) rendendo la cellula meno sensibile (LTD). Poiché ha
meno recettori la cellula del Purkinje è meno attivata e perciò inibisce meno i nuclei
cerebellari e quindi il gesto motorio è più forte e può ora superare il freno ora non c’è più
errore le fibre rampicanti tornano a scaricare come prima, mentre quelle del Purkinje
scaricano con frequenza minore (hanno appreso). Se si toglie il freno si attiva il fenomeno
inverso, atto a cancellare la LTD: cancellation.
La ragione di avere 2 ingressi è che in primis portano informazioni diverse (molto
aspecifiche le fibre parallele e specifiche (perché portano segnali d’errore) le rampicanti), poi
perché servono per creare zone di coincidenza temporale e il fatto che si incontrino
perpendicolarmente farà sì che solo piccole zone saranno attivate (microzonule) e
quest’attivazione è esaltata dall’inibizione laterale (provoca isolamento) dovuta alle cellule a
canestro e stellate. Il CB corregge il gesto, lo consolida e se il freno non c’è più lo cancella.
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Sistemi sensoriali
Quei sistemi che si occupano di estrarre informazioni dalle afferenze per poterle utilizzare al
fine di adeguare le risposte dell’organismo in base alle necessità, al contesto ambientale ed
individuale; da una parte possono estrarre informazioni di senso per generare centralmente la
sensazione, la percezione di ciò che sta avvenendo (branca della fisiologia detta estesiologia:
studio delle funzioni degli organi di senso), dall’altra parte le informazioni afferenti possono
essere utilizzate per raccogliere informazioni utili per i sistemi motori affinché adeguino le
risposte, non necessariamente sotto il controllo della nostra coscienza.
I recettori
Sono le strutture preposte a captare le diverse forme di energia che colpiscono l’organismo
(cioè lo stimolo) e trasformarle in segnali che vengono trasmessi ai centri del SNC.
Lo stimolo per essere efficace (attivare il recettore) deve avere un’intensità minima (soglia).
Stimoli sottoliminali non provocano risposte dell’organismo.
La soglia determina la specificità di un recettore: gli stimoli possono essere, rispetto ad un
determinato recettore, adeguati (specifici) o inadeguati (aspecifici). Ad es. i fotorecettori, pur
essendo specifici per i fotoni, possono rispondere a forme di energia meccanica (se premiamo
l’occhio vediamo un falsh bianco), ma perché questa evochi una risposta serve una grande
intensità di stimolazione. Lo stimolo specifico per un recettore è quello che per attivarlo
utilizza una bassa intensità di stimolazione (bassa soglia).
Relazione tra input e output: c’è una certa proporzionalità tra l’ampiezza della risposta e
l’intensità dello stimolo, ma solo nel range tra la soglia e la saturazione (anche se aumento
stimolo non aumenta risposta). Molti recettori presentano in particolari condizioni di
stimolazione risposte non prevedibili, molto più amplificate rispetto a quelle previste, oppure
una sorta di depressione della risposta: in seguito a condizioni di stimolazioni ripetute un
recettore può cominciare a rispondere ad uno stimolo in maniera sempre più grande,
potenziando la sua risposta, alterando quindi la relazione tra input e output (vd. iperalgesia).
Le vie di trasmissione
Da un punto di vista qualitativo possiamo vedere aspetti in comune di tutti i sistemi sensoriali:
riconosciamo un recettore che comunica con un’afferenza che è il neurone di I ordine; questo
entra nel SN e instaura nelle prime stazioni delle sinapsi (prima forma di integrazione
complessa); da questo centro si diparte un’altra fibra, cioè un neurone di II ordine, che va a
fare sinapsi nel talamo, dove c’è un altro nucleo di collegamento e da qui si diparte un
neurone di III ordine che proietta ad aree corticali (neuroni di ordine successivo) preposte
all’elaborazione del segnale portato. Ndr la decussazione può avvenire nel MS o nel tronco
dell’encefalo a seconda dell’informazione.
Classificazioni
I recettori possono essere classificati qualitativamente in base alla loro struttura e a come
interagiscono con il neurone di I ordine: • I tipo: il recettore è un’estremità distale del neurone
di I ordine (Pacini, propiocettori, nocicettori…); • II tipo: il recettore è una cellula differente
rispetto al neurone di I ordine col quale fa una sinapsi (recettori vestibolari); • III tipo: tra il
recettore e il neurone di I ordine è interposta una cellula ( 2 sinapsi: recettori visivi).
Possono essere poi classificati in base al tipo di energia trasdotta: meccanocettori,
chemocettori, termocettori, nocicettori, fotocettori.
In base alla provenienza dello stimolo: esterocettori (stimoli dall’esterno: properocettori
(stimoli vicini), telecettori (stimoli lontani)), propiocettori (stimoli da muscoli, tendini e
articolazioni: organi importanti per la posizione spaziale), introcettori (stimoli da organi
interni).
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Questa codificazione dell’intensità è oggettiva, ma non ci dice niente sulla percezione che
induce lo stimolo; chi tratta invece dell’interpretazione soggettiva dell’intensità dello stimolo
è la psicofisica: la capacità di discriminare l’intensità diminuisce con l’aumentare
dell’intensità della stimolazione stessa.
Legge di Weber: due stimoli di alta intensità, per essere percepiti, devono differire
maggiormente di due stimoli di bassa intensità.
Legge di Stevens: I = K(S - S0)n; equazione matematica che ci consente di definire l’intensità
della percezione dello stimolo a ragione della stimolazione. K = costante; S - S0 = intensità
dello stimolo (stimolo effettivo meno soglia); n è una variabile, poiché alcune percezioni sono
direttamente proporzionali all’entità dello stimolo (propiocezione n = 1), altre seguono leggi
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esponenziali (dolore n > 1) o logaritimiche (olfatto n < 1). La stessa legge è utilizzata dalla
fisiologia oggettiva sostituendo la frequenza di scarica all’intensità della percezione.
• Durata: i recettori non scaricano tutti allo stesso modo in relazione al tempo dello stimolo;
distinguiamo: recettori tonici che inducono una scarica di impulsi a frequenza costante per
tutta la durata dello stimolo, o con una leggera diminuzione (lento adattamento) che sono
nocicettori e recettori muscolari e tendinei, e recettori fasici (rapido adattamento) che
generano una scarica di impulsi solo all’inizio della stimolazione (eventualmente anche alla
fine) e poi diventano silenti che sono recettori tattili e termocettori.
I recettori a lento adattamento non sono molto precisi, sentono l’ampiezza dello stimolo e
codificano la posizione ( x/ t), i recettori a rapido adattamento danno informazioni circa la
velocità di cambiamento (lavorano con la derivata di x/ t) dello stimolo (dicono inizio e fine
dello stimolo).
• Localizzazione: è codificata dal campo recettivo dei neuroni afferenti. Il campo recettivo di
un neurone è l’area della superficie sensoriale la cui stimolazione evoca una modificazione
della scarica del neurone afferente.
Lo stimolo passa poi in regioni specifiche del MS, del tronco dell’encefalo, del talamo e della
corteccia (somatotopia).
I campi recettivi sono tra loro leggermente sovrapposti. La discriminazione spaziale aumenta
all’aumentare dei recettori di un campo recettivo, al diminuire dell’ampiezza del campo
recettivo, all’aumentare della divergenza delle vie (analisi in parallelo; ridondanza: sicurezza),
al diminuire della convergenza delle vie (potenziamento risposte: abbassa soglia), mediante
l’inibizione laterale (permette della discriminazione spaziale amplificando ciò che avviene
nella via principale e inibendo ciò che avviene nelle collaterali; può avvenire attraverso vie
anterograde (feedforward) o retrograde (feedback)).
Quando l’informazione arriva in corteccia crea dei fronti d’onda rilevabili mediante elettrodi
(EEG).
Sensibilità tattile
I recettori della cute capaci di catturare l’informazione tattile sono meccanocettori e si trovano
in parte superficialmente subito al di sotto dell’epidermide (più sensibili), altri più
profondamente nel derma (necessitano di un’intensità di stimolazione maggiore). Entrambe
queste categorie presentano recettori a rapido e a lento adattamento.
Il disco di Merkel è un recettore superficiale a lento adattamento cui arriva una fibra
mielinica che si sfiocca; alla pressione scaricano tonicamente tendendo a mantenere la
frequenza di scarica finché è
presente lo stimolo.
Il corpuscolo di Meissner è un
recettore superficiale a rapido
adattamento in cui la fibra entra
in una guaina e si avvolge a
spirale; tale spirale viene
compressa in caso di stimolo
meccanico permettendo
+
l’entrata di K e altri ioni
positivi, ma se lo stimolo
perdura la molla si aggiusta e lo
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innervare ciò che non è più innervato perché vincono la competizione tra le sinapsi fibre
del volto innervano l’area che noi per esperienza associamo alla mano e così se si stimola il
volto crediamo sia stimolata la mano.
Non si ha solo il ricordo del tatto, ma anche del dolore, quindi segnali da altre parti del corpo
genereranno dolore bisogna abituare il soggetto a vedere che non c’è corrispondenza così il
SN pian piano apprende.
Tra le sensibilità epicritiche, ad alta definizione, c’è anche quella propiocettiva (fibre A ) che
va a dare centralmente l’idea della posizione degli arti.
Sono invece sensibilità protopatiche quelle dove la sensazione è meno definita: termica e
dolorifica.
Sensibilità termica
Esistono due gruppi di recettori: frigocettori e calocettori. La scarica dei calocettori aumenta a
partire dai 26/27 °C fino ai 42 °C e oltre i recettori tendono a scaricare di meno perché da
questa temperatura iniziano a scaricare le fibre dolorifiche (temperatura che comincia a
modificare la struttura delle proteine nocicezione) e perché si inizia a modificare la
struttura recettoriale.
I frigocettori iniziano a scaricare a 41 °C e
aumentano la frequenza man mano che la
temperatura scende fino ai 25 °C per poi
diminuire di nuovo la scarica; a temperatura
molto elevata (> 47 °C) questi recettori
cominciano a scaricare di nuovo (freddo
paradosso).
Da notare che le curve hanno uguale frequenza di
scarica a diverse temperature (es. calocettori a 35 e 46 °C) per cui il recettore da solo non
sarebbe in grado di dare un valore certo; quest’ambiguità viene risolta dalla presenza di
scarica dell’altro tipo di termocettore (infatti i frigocettori scaricano con una data frequenza a
35 °C mentre non scaricano a 46 °C). In condizioni normali (≈ 35/36 °C) i due tipi di
termocettori scaricano in maniera simile; all’alzarsi della temperatura aumenta la scarica dei
calocettori e diminuisce quella dei frigocettori e al diminuire accade il contrario.
Le fibre che trasportano queste informazioni sono A e C; i frigocettori (clave di Krause) sono
presenti su: fronte, congiuntiva, cornea, capezzoli, glutei, dorso; i calocettori (corpuscoli di
Pacini) sono presenti su: labbra, palpebre, punta lingua, fosse nasali.
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Nocicezione e dolore
Lo stimolo dolorifico informa il SNC non solo per creare una sensazione di spiacevolezza, ma
anche per rilevare un danno (nocicezione) meccanismo di protezione.
Lo stimolo dolorifico può insorgere o dai territori che i nervi innervano (dolore nocicettivo) o
lungo le vie nervose (dolore neuropatico: compressione, danno della fibra…).
La sensazione dolorifica può nascere dalla superficie del corpo (dolore somatico
superficiale) o dai tessuti profondi (dolore somatico profondo) o dagli organi interni (dolore
viscerale).
La capacità di rilevare il dolore non si distribuisce in modo omogeneo, poiché i recettori sono
particolarmente concentrati in quelle strutture dove può avvenire più facilmente un danno (es.
cornea e polpa dentale hanno quasi solo fibre dolorifiche; ne hanno molte anche viso e mani).
Delle membrane del nostro corpo solo i foglietti parietali (non i viscerali) sono innervati,
poiché stanno all’esterno e ci informano di eventuali danni dall’esterno.
Per quanto riguarda i visceri alcuni sono innervati (es. utero, cuore) altri no (SNC, a parte
meningi).
Le fibre afferenti sono fibre più piccole delle tattili: quando siamo colpiti sentiamo un primo
dolore acuto, lancinante (dolore puntorio) portato dalle fibre A e un successivo dolore più
continuo (dolore urente) portato dalle più lente (perché amieliniche) fibre C (alcuni stimoli
possono essere caratterizzati da solo dolore urente o solo puntorio). Lo stimolo arriva poi alle
corna posteriori del MS e decussa a quel livello per salire nel cordone laterale controlaterale
fino al talamo.
In una rappresentazione elettrica (pda composto di un nervo) dell’attività di queste due fibre
vediamo che l’onda C è piccola, ma ciò non è dovuto al minor numero di fibre, quanto al fatto
che hanno velocità di conduzione molto diverse tra di loro, per cui non riescono a sommarsi
risposta molto più ampia, ma meno grande.
Se andiamo a comprimere un nervo saranno compresse prima le fibre mieliniche (A ) e quindi
compare solo il dolore urente; se invece mettiamo un anestetico, che agisce per
concentrazione prima sulle fibre più piccole, avremo solo dolore urente.
A livello delle corna posteriori le fibre C vanno a scaricare
su neuroni della lamina 2, le fibre A su neuroni delle
lamine 1 e 5. I neuroni su cui vanno a scaricare le fibre C
alle volte mandano l’assone a decussare, ma spesso prende
contatto con altri neuroni ( interneurone). A livello delle
corna posteriori è possibile un’interazione tra le fibre
dolorifiche e le fibre tattili (A ): la sensibilità dolorifica è
frutto di una grande interazione.
Per quanto riguarda il trigemino le fibre dolorifiche e
termiche vanno nella porzione più caudale del nucleo discendente del trigemino (nella parte
più alta vanno tatto e propiocezione).
Recettori
La maggior parte dei nocicettori sono costituiti da terminazioni nervose libere le cui fibre
afferenti portano segnali algogeni al nevrasse.
Distinguiamo recettori che sentono solo il dolore causato dalle temperature > 42 °C
(nocicettori termici: fibre A ), quelli che sentono solo i dolori meccanici (nocicettori
meccanici: fibre A ), o solo chimici (nocicettori chimici), ma esistono anche recettori che
sentono sia la relazione termica che chimica che meccanica (nocicettori polimodali: fibre C).
Un’ulteriore divisione va fatta tra recettori che sentono esclusivamente il dolore e recettori che
a bassa soglia rispondono con sensibilità tattile, mentre per una stimolazione più intensa
scaricano di più aprendo sinapsi solitamente meno pervie e dando luogo a dolore.
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Dolore riferito
Fibre dolorifiche che procedono dalla cute e fibre dolorifiche che procedono dai visceri (o una
prolungamento dell’altra) vanno frequentemente a convergere sullo stesso neurone centrale. Il
SNC non riesce in questi casi a riconoscere il luogo d’origine dello stimolo, per cui stimoli
provenienti dai visceri vengono proiettati su parti del corrispondente dermatomero, dove il SN
è più abituato a concepire il dolore (la cute più normalmente sente dolore).
Iperalgesia
Per una lesione cutanea vengono spesso prodotte delle sostanze che hanno natura algogena
(attivano fibre dolorifiche), ma il dolore, dopo la lesione, tende a mantenere se stesso e a
potenziarsi per cui una zona che genera dolore dopo un po’ ne genererà di più poiché la soglia
delle fibre dolorifiche si abbassa diventano più sensibili (iperalgesia primaria); anche la
zona intorno a questa, dove le fibre dolorifiche non sono state attivate significativamente,
inizia a dar fastidio e ciò perché fibre normalmente tattili diventano dolorifiche (iperalgesia
secondaria; allodinia meccanica: cambia la sensibilità meccanica). Questo secondo caso è
possibile perché le fibre tattili, arrivate alle corna posteriori del MS, oltre ad attivare il
neurone secondario tattile attiva anche degli interneuroni, normalmente poco attivi, che
attivano le fibre dolorifiche; poiché il dolore è una sensazione più potente del tatto, non
teniamo conto della sensibilità tattile, ma passa solo il dolore.
Vie ascendenti
Il dolore percorre due vie diverse: • tramite il tratto spinotalamico sale nel cordone laterale e
arriva al talamo laterale per andare a S1 (capacità sensoriale discriminativa); • tramite il fascio
spinoreticolare (cordone anterolaterale), fa stazione alla sostanza reticolare da cui partono
fibre un po’ meno specifiche che salgono al talamo mediale e da qui in CC, ma non a S1.
Dobbiamo tenere presenti anche altri fasci ascendenti che non vanno in S1: i tratti spino-
mesencefalico (da cordone anterolaterale e funicolo laterale ad amigdala), cervico-talamico e
spino-ipotalamico (ai centri sovraspinali del SNA).
Le informazioni che arrivano a S1 (vie/sistema laterale) hanno una funzione discriminativa,
cioè individuano nello spazio il dolore; ma il dolore è caratterizzato anche dalla sensazione di
spiacevolezza che provoca e questa è codificata da altre aree corticali (vie/sistema mediale;
componente affettivo-emotiva va dal talamo mediale al sistema limbico: giro del cingolo,
corteccia orbitofrontale, insula, operculum parietale (S2)). Se anestetizziamo S1 il soggetto
sentirà il dolore, ma senza riuscire a localizzarlo.
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rende la cellula molto più sensibile allo stimolo dolorifico ( bisogna bloccare il dolore il
prima possibile, perché poi ci vuole molto più farmaco per bloccarlo).
• Riduzione periferica (controllo a cancello): fibre di
grosso calibro (A ) vanno a convergere sulla via del
dolore; normalmente sul neurone secondario domina la
fibra C, mentre la A ha stimolazione meno intensa, ma
questa va anche ad attivare interneuroni inbitori e se lo
stimolo tattile (che viaggia con le A ) è particolarmente
intenso l’interneurone scarica fortemente e va a silenziare il
neurone secondario del dolore chiusura del cancello. Se
la fibra C scarica molto intensamente inibisce anche il
neurone inibitorio il dolore apre il cancello a se stesso.
Ciò è risultato utile in medicina (es. per il trigemino)
perché attraverso l’applicazione di elettrodi superficiali si
possono attivare le fibre a calibro più grosso (tattili)
riduzione del dolore.
• Riduzione centrale: fasci discendenti dal grigio periacqueduttale
(attivato da endorfine: corrispettivo esogeno è la morfina) vanno
ad inibire il dolore tramite due vie: una adrenergica passante per il
locus ceruleus e una serotoninergica passante per il nucleo magno
del rafe; queste vanno ad attivare interneuroni inibitori del dolore
che tramite la liberazione di enkefaline o di GABA vanno ad
inibire presinapticamente l’afferenza del dolore al corno
posteriore. Molte aree possono attivare il grigio periacqueduttale
cosicché tutto il vissuto del soggetto, tutta la sua psiche, la sua
emotività possono modulare il dolore. Un dolore avvertito da una
causa meccanica e uno di stessa intensità oggettiva causato ad es.
dal cancro hanno un livello di ricezione molto diverso: il dolore del cancro è più forte perché
comporta un vissuto diverso, una paura diversa.
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periferico con l’aspirina ad es.; lungo le fibre nervose con anestetici locali che bloccano la
propagazione nervosa; con morfina per sfruttare il sistema discendente di modulazione).
Udito
Sentire significa rilevare dei suoni che sono onde di rarefazione e condensazione dell’aria
(onde pressorie) che raggiungono l’orecchio esterno (padiglione auricolare) vengono
convogliate lungo l’orecchio medio e raggiungono l’orecchio interno (coclea) che trasduce
queste informazioni meccaniche in fenomeni elettrici.
I suoni sono caratterizzati da frequenze e da come queste frequenze si combinano tra loro
(armoniche: frequenze che sono multipli interi del suono principale; timbro: combinazione di
frequenze) e da ampiezze (intensità).
La sensibilità dell’orecchio: l’intensità (dB) minima udibile (soglia) varia secondo le
frequenze (da 20 a 16000 Hz); l’intensità minima udibile l’abbiamo tra i 1000 e i 4000 Hz
la soglia è bassa nell’ambito delle frequenze tipiche della nostra vocalizzazione.
L’intensità del suono si misura in dB che corrisponde a 20log(Px/Pr) con Px = intensità da
valutare e Pr = intensità soglia = 2 · 10-5 N/m2; 0 dB corrisponde ad un Px = Pr (minimo suono
udibile); intensità molto elevate possono danneggiare gli elementi dall’apparato acustico
modificando la soglia ai suoni.
L’audiogramma valuta quanto la soglia effettiva si allontana in percentuale dalla soglia
teorica.
Il padiglione auricolare ha il ruolo di convogliare le onde in maniera specifica; il dotto filtra
pure, minimamente, alcune frequenze in ingresso.
Orecchio medio
L’orecchio medio ha il ruolo di modificare l’evento meccanico amplificandolo poiché le
oscillazioni delle vie aeree devono diventare oscillazioni delle vie liquide persa una parte
di energia per l’impedenza al passaggio delle oscillazioni.
Il timpano è una membrana sottile e delicata in grado di risuonare a diverse frequenze; in
quanto sistema elastico una volta messo in oscillazione dovrebbe continuare ad oscillare
sovrapposizione di suoni: ciò non accade perché grazie alla sua struttura le oscillazioni
vengono smorzate rapidamente; dietro il timpano c’è una catena di ossicini (catena ossiculare:
martello, incudine e staffa) in grado di amplificare il segnale e funzionano da adattatori di
impedenza, per consentire il passaggio delle onde sonore dall’ambiente gassoso (orecchio
esterno e medio) a quello liquido (orecchio interno).
Amplificazione del segnale: • il timpano ha una superficie molto più ampia della finestra ovale
una piccola oscillazione del timpano diventa una grande oscillazione della finestra ovale; •
la catena ossiculare, grazie ai particolari bracci di leva con cui lavorano, consentono una
amplificazione del segnale per la riduzione della superficie oscillante (timpano/finestra
ovale) l’oscillazione dovrebbe amplificarsi di 20 volte, per gli ossicini di 3 volte 3 · 20 =
60, ma in realtà meno a causa degli attriti. Il muscolo tensore del timpano e il muscolo
stapedio, innervati rispettivamente da trigemino e faciale, possono modificare questi
adattamenti d’impedenza.
Il suono raggiunge la coclea tramite 2 vie: • via aerea: il suono arriva lungo l’orecchio medio
e grazie alla catena degli ossicini attraversa la finestra ovale; • via ossea: il suono, colpendo la
nostra struttura, mette in oscillazione le ossa craniche rocca petrosa coclea. In
condizioni normali domina la via aerea, ma quando questa viene alterata (es. irrigidimento
degli ossicini per sclerosi) la sensibilità alla via ossea (prova del diapason di Weber: si
esegue ponendo il diapason al centro della fronte; il soggetto normale localizza il suono in
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Piso
entrambe le orecchie, il soggetto con ipoacusia unilaterale percepisce il suono nel lato malato
perché sensibilità della via ossea da quel lato).
Orecchio interno
La coclea (due giri e mezzo avvolti su se stessi) è costituita da una scala
vestibolare (sopra), una scala cocleare (in mezzo) e una scala timpanica
(sotto); la percussione della staffa sulla finestra ovale la fa oscillare
entra energia nella scala vestibolare mette in oscillazione la membrana
basilare passa nella scala timpanica facendo oscillare la finestra
rotonda.
A causa delle caratteristiche meccaniche della membrana basilare,
l’oscillazione è più marcata in prossimità delle finestre (giro basale) se il
suono è acuto, mentre è più marcata in prossimità dell’elicotrema (giro
apicale) se il suono è grave l’onda elastica tende ad attraversare il
dotto cocleare in corrispondenza della porzione della membrana basilare
“accordata” sulla sua frequenza.
Le caratteristiche meccaniche della membrana basilare variano (in modo
continuo) dalla base all’apice della coclea: alla base la membrana è più
stretta e rigida ( oscilla per frequenze alte), mentre all’apice è più larga e lassa ( oscilla
per frequenze basse).
Anche la morfologia delle cellule ciliate (strutture recettoriali) varia in funzione della distanza
dalla base della coclea: le ciglia, fondamentali per
trasdurre il segnale, sono corte e rigide alla base
( sentono alte frequenze) e lunghe all’apice (
oscillazione più lenta sentono basse
frequenze).
Per frequenze basse (es. 500 Hz) è la parte
terminale della membrana basilare ad oscillare di
più, mentre per frequenze alte (es. 16000 Hz) la parte iniziale.
In realtà l’oscillazione assume l’aspetto di un’onda viaggiante, che parte dalla base della
coclea e che raggiunge la sua massima ampiezza in corrispondenza della porzione della
membrana basilare “accordata” sulla sua frequenza (perché è la frequenza a cui la membrana
può oscillare di più); se l’energia è tutta catturata in questo punto non si ha più
oscillazione.
Tale discriminazione spaziale delle frequenze non riesce da sola a discriminare il numero
elevatissimo di frequenze poiché la massima ampiezza dell’onda si avrà in una regione
abbastanza ampia di membrana, mentre noi siamo in grado di discriminare anche una
variazione di frequenza da 1000 a 1003 Hz ( la membrana non è così selettiva).
L’oscillazione fa oscillare la membrana basilare e l’organo di Corti che vi si poggia
(membrana tettoria, cellule ciliate) le cellule ciliate vengono deformate: se le stereociglia
vengono spostate verso il chinociglio depolarizzazione perché entra K+; se le stereociglia si
allontanano dal chinociglio bloccato l’ingresso del K+.
Delle moltissime cellule ciliate (disposte su 4 file) solo le cellule ciliate interne (prima fila)
sono recettori sensoriali, mentre tutte le cellule ciliate esterne (la maggior
parte: 3 file parallele) svolgono una funzione meccanica che permette una
miglior separazione delle diverse frequenze, fissando la membrana tectoria
alle cellule sottostanti modificando la responsività delle cellule ciliate
interne.
Durante l’oscillazione si ha un movimento a battito d’ala: cambia la
relazione spaziale le cellule ciliate interne vengono deflesse.
Le cellule ciliate interne (IHC) sono globose e hanno una fibra sensitiva, che
196
Piso
riceve il mediatore chimico, e una piccola fibra efferente che va a modulare la sensibilità del
recettore.
Le cellule ciliate esterne (OHC) sono meno globose e domina il
sistema efferente (piccola fibra afferente): sono punti di fissazione tra
membrana tectoria ed organi di Corti modificano la rigidità del
sistema.
Sia nelle IHC che nelle OHC la depolarizzazione avviene per la
deflessione delle stereociglia ricche di proteine del citoscheletro (proteine del movimento):
l’actina gioca un ruolo essenziale nel mantenere la rigidità delle ciglia; la spectrina
irrigidisce le ciglia rispetto alla membrana cellulare; la miosina è responsabili delle capacità
di deflessione ciliare; la prestina (vd. sotto) è la molecola responsabile dell’accorciamento
delle stereociglia delle cellule ciliate esterne danni specifici ad una di queste proteine
produce sordità.
Tra chinociglio e stereociglia ci sono degli elementi meccanici proteici di aggancio detti tip-
link che sono responsabili dell’apertura dei canali del K+ entra K+ depolarizzazione
2+
apertura di canali del Ca voltaggio-dipendenti nella parete laterale della IHC entra Ca2+
rilascio di glutammato a livello sinaptico. Si deve avere rapidamente la ripolarizzazione
(altrimenti non si riuscirebbe a seguire oscillazioni di 3000-4000 Hz) K+ viene attivamente
estruso fuoriesce il Ca2+ (meccanismo ancora più rapido nelle cellule alla base della coclea
perché devono rispondere alle alte frequenze).
Il meccanismo di trasduzione è estremamente sensibile: può rispondere a deflessioni delle
ciglia di pochi Å; un movimento di ≈ 100 nm satura completamente la capacità di risposta di
una cellula necessario un sistema di adattamento: l’adattamento è legato all’ingresso di
Ca2+ che, attivando una miosina, fa abbassare il punto di attacco del tip-link la molla
+
diventa meno tesa chiusura rapida dei canali del K ( sono recettori molto dinamici).
Differenza d’innevazione: mentre le cellule ciliate interne sono innervate prevalentemente in
maniera afferente, l’innervazione delle cellule ciliate esterne è prevalentemente efferente:
diverse fibre afferenti convergono su una singola cellula ciliata interna, mentre un’unica fibra
afferente innerva molte cellule ciliate esterne; le fibre efferenti sono atte a modificare la
sensibilità.
La prestina è una proteina transmembrana presente nelle cellule ciliate esterne
in grado di modificare la sua geometria quando la cellula si depolarizza:
depolarizzazione l’interno della cellula (rosa) diventa positivo anioni (Cl−
−
o HCO3 ) che normalmente sono intrappolati nella prestina si spostano verso
l’interno la prestina si accorcia la cellula diventa più piccola (a ciò sere la
depolarizzazione delle cellule ciliate esterne).
La deformazione delle cellule ciliate esterne modifica, amplificandolo, il
movimento della membrana tectoria (l’avvicina all’organo di Corti), il che si
traduce in un aumento dell’attivazione delle cellule ciliate interne, che
rappresentano i veri recettori. Grazie a questo meccanismo, detto amplificatore
cocleare, il suono viene amplificato di circa 100 volte ( di ≈ 40 dB).
Questo meccanismo, oltre ad amplificare, seleziona meglio il segnale perché fa sì che il luogo
in cui la membrana basilare si modifica di più è il luogo dove le
cellule ciliate esterne sono maggiormente depolarizzate maggior
accorciamento prestina maggior abbassamento membrana tectoria
maggior amplificazione, ma di un’area definita selezione
spaziale delle frequenze.
Test delle otoemissioni acustiche: si manda un segnale sonoro dà luogo a queste
modificazioni meccaniche l’accorciamento delle cellule ciliate esterne produce oscillazioni
che si propagano in maniera retrograda possiamo registrare (se non si possono registrare
sordità dovuta a problemi della coclea).
197
Piso
Esiste un riflesso che ci permette di esaltare un suono piuttosto che un altro: cellule ciliate
interne fibre afferenti (nervo acustico) complesso olivare superiore fibre efferenti
colinergiche cellule ciliate esterne del territorio che sente le frequenze che ho selezionato
come interessanti discriminazione; inoltre le fibre efferenti dal complesso olivare
superiore vanno a modulare presinapticamente le fibre afferenti delle cellule ciliate interne
(serve per filtrare, modulare e proteggere).
Nelle stazioni successive della via afferente acustica è presente un ulteriore meccanismo atto a
separare le frequenze: il fenomeno dell’inibizione laterale. Se attivo i neuroni che mi
permettono di percepire ad es. i 1000 Hz questi creano, inibendo le fibre che percepiscono
frequenze maggiori e minori (ndr chi è più attivato inibisce di più), un’area d’inibizione che
potenzia fortemente il segnale.
Le frequenze vengono selezionate, sempre più precisamente, grazie a: membrana basilare,
cellule ciliate, prestina e inibizione laterale.
Vie afferenti
Attraverso la componente cocleare del VIII nervo cranico l’informazione acustica arriva ai
nuclei cocleari (dorsale e ventrale) i cui assoni passano controlateralmente e vanno a scaricarsi
ad una coppia di nuclei pontini detti nucleo olivare superiore e nucleo del corpo trapezoide; da
qui partono fibre verso l’alto (lemnisco laterale) diretto al collicolo inferiore da cui partono
fibre dirette al corpo genicolato mediale (mesencefalo) i cui assoni vanno all’area 41 lo
stimolo uditivo viene sentito dalla corteccia controlaterale.
Alcune fibre del lemnisco laterale fanno stazione al nucleo del lemnisco laterale e da qui
partono fibre (commessura di Probst) che vanno controlateralmente al nucleo del lemnisco
laterale ipsilaterale all’origine dello stimolo collicolo inferiore (cui giungono fibre anche
dal collicolo inferiore controlaterale) corpo genicolato mediale area 41. Lo stimolo
viene sentito anche dalla corteccia ipsilaterale allo stimolo rappresentazione bilaterale.
198
Piso
Corteccia uditiva
L’analisi corticale delle informazioni uditive è principalmente diretta a individuare la
provenienza del suono (localizzazione) e ad identificarne la natura (riconoscimento).
La corteccia uditiva è situata nella parte superiore del lobo temporale (area 41 e 42) ed è
costituita da diverse aree organizzate in maniera concentrica: un’area centale (core) circondata
da una cintura di aree periferiche (belt). Il core comprende la corteccia uditiva primaria (A1) e
due aree adiacenti definite rostrale (R) e caudomediale (CM).
La zona caudale (CM) e centrale (A1) del core riceve
informazioni (della regione ventrale del corpo genicolato
mediale) in maggiore quantità e interpreta il segnale
(significato del segnale: via del cosa), la zona più rostrale
(R) riceve informazioni (da regione dorsale del corpo
genicolato mediale) sulla provenienza del suono (via del
dove). Le aree che costituiscono la belt associano al suono
un significato (separazione per significati).
Le aree uditive sono divise in colonne corticali in serie
(disposte secondo le frequenze che vi giungono) costituite alternatamente (bande binaurali) da
neuroni su cui si ha sommazione o inibizione dei segnali provenienti dai due lati.
Dall’area acustica il segnale va verso l’area di Wernicke che interpreta i segnali acustici.
199
Piso
Vista
Ottica
Quando la luce colpisce una superficie può essere assorbita (diventa energia termica) o meno
e in questo caso può dar luogo a riflessione, diffusione (se la superficie è scabra), rifrazione e
dispersione (scomposizione nei vari colori).
La riflessione è il fenomeno per cui un raggio viene deviato da una superficie levigata; il
raggio riflesso ha, rispetto alla perpendicolare allo specchio passante per il punto d’incidenza,
stesso angolo di quello incidente.
La rifrazione è il fenomeno per cui un raggio, passando da un mezzo ad una certa densità ad
uno a diversa densità, cambia la propria direzione (vi è sempre anche un raggio riflesso); il
rapporto tra il seno dell’angolo incidente è quello dell’angolo di rifrazione è costante e
dipende dalla densità dei due mezzi (n = sen(i)/sen(r) con n = indice di rifrazione).
Le lenti sono oggetti costituiti da materiale trasparente, che sfruttano il fenomeno della
rifrazione, con cui è possibile deviare i raggi di luce in modo da farli convergere (lenti
biconcave) o divergere (lenti biconvesse); il fuoco è il punto in cui convergono i raggi che
provengono paralleli all’asse ottico; maggiore è lo spessore della lente, minore è la distanza
focale.
L’aberrazione cromatica dipende dal fatto che la luce di differente viene diversamente
rifratta da una lente una scritta rossa ( elevata) su uno sfondo blu ( breve) crea problemi
di messa a fuoco (o si mette a fuoco il rosso, o il blu).
200
Piso
Recettori
La luce entra, attraversa i vari strati dell’occhio, per colpire alla fine gli elementi recettoriali
detti coni e bastoncelli. Il messaggio viene fortemente elaborato nella retina da cellule
bipolari, da cellule orizzontali, da cellule gangliari e solo dopo ciò va in corteccia e viene
interpretato.
Coni e bastoncelli: famiglie recettoriali diverse correlato alla necessità di avere una soglia
e una sensibilità diversa poiché ci possiamo trovare fondamentalmente in una condizione di
luce (giorno visione fotopica) o di buio (notte visione scotopica) recettori capaci di
operare con una sensibilità minore (soglia più alta) per la presenza di molta luce (coni) e
recettori molto sensibili in grado di lavorare in presenza di poca luce (bastoncelli).
Differenze morfologiche: il cono è più piccolo, quindi si può addensare meglio nella struttura;
sensibilità: i dischi (in continuo rinnovamento),
contenenti il pigmento capace di captare i raggi
luminosi, sono più numerosi nei bastoncelli un
raggio luminoso che sfugge ai primi dischi viene
comunque catturato dopo sensibilità molto alta;
si distinguono un segmento esterno (coi dischi)
unito ad un segmento interno (corpo cellulare) da
un ciglio e infine una struttura che si organizza a
formare una presinapsi; risoluzione temporale: il cono
riesce ad attivarsi e disattivarsi rapidamente può
separare di più le immagini nel tempo (il bastoncello
“conserva” di più l’immagine); risoluzione spaziale:
l’acuità non è strettamente correlata al fatto che sia un
cono o un bastoncello quanto alla densità dei recettori
mentre è inversamente proporzionale alla convergenza
delle vie afferenti e i bastoncelli, soprattutto quelli alla
periferia della retina, tendono enormemente a convergere gran sensibilità (7-14 quanti di
luce sono in grado di darci sensazione luminosa e un bastoncello solo è in grado di rispondere
a 1 quanto, ma il piccolo potenziale creato in questo caso viene confuso dal cervello con
potenziali random); i coni sono le strutture in grado di differenziare le diverse lunghezze
d’onda ( distinzione colori).
201
Piso
Distribuzione: i coni sono concentrati al centro della retina (nella fovea fondamentalmente), i
bastoncelli sono quasi nulli nella foveola, aumentano in parafovea e si riducono in periferia;
nel punto in cui fuoriesce il nervo ottico non sono presenti recettori.
202
Piso
203
Piso
Il riconoscimento dei contrasti ha inizio fin dalla retina per minimizzare il rischio di errori
nella trasmissione.
Le cellule gangliari si dividono principalmente in due gruppi: • cellule M (magnae; o Y) che
hanno grandi campi recettivi analisi delle caratteristiche grossolane degli stimoli luminosi e
del loro movimento; • cellule P (parvae; o X; esistono cellule W con caratteristiche
intermedie), più piccole e numerose, che hanno piccoli campi recettivi percezione di
dettagli, forme e colori.
I coni che si trovano al centro di un campo recettivo entrano in contatto con cellule bipolari
che, a loro volta, trasmettono il segnale direttamente alle cellule gangliari (via diretta); i
segnali provenienti dalla periferia del campo recettivo necessitano di cellule orizzontali (a
volte amacrine; convogliano informazioni) che li connettano alle cellule bipolari (vie
laterali); da notare che le cellule orizzontali non sembrano trasmettere le informazioni
direttamente alle cellule bipolari, ma tramite coni situati al centro del campo recettivo.
Riflessi visivi
• Riflesso di dilatazione della pupilla (midriasi): luce retina nervo ottico (II)
entrambi i collicoli superiori centro ciliospinale (C8 e T1) fibre simpatiche pregangliari
ganglio cervicale superiore fibre simpatiche postgangliari fanno prima plesso attorno a
carotide, poi ad oftalmica muscolo dilatatore della pupilla (nello spessore dell’iride).
• Riflesso di contrazione della pupilla (miosi): luce retina nervo ottico entrambi i
nuclei pretettali nucleo di Edinger-Westphal fibre parasimpatiche pregangliari con III
nervo cranico ganglio ciliare fibre parasimpatiche postgangliari muscolo costrittore
della pupilla (nello spessore dell’iride).
• Riflesso di accomodazione (per modificare il potere rifrattivo del cristallino): retina
nervo ottico area 17 collicolo superiore nucleo pretettale nucleo di Edinger-
Westphal III nervo cranico muscolo ciliare rilasciamento zonula cristallino più
sferico; si accompagna a miosi e convergenza (retina nervo ottico area 17 area 8
nucleo di Edinger-Westphal III nervo cranico muscoli retti mediali).
• Riflesso di ammiccamento: cornea V nervo cranico entrambi i nuclei motorsomatici
del VII nervo cranico VII nervo cranico muscolo orbicolare delle palpebre.
204
Piso
Gli assoni delle cellule gangliari vanno a confluire nel disco ottico (dove diventano mielinici)
formando il II nervo cranico; le fibre delle emiretine nasali si incrociano a livello del
chiasma ottico ( vanno a emisfero controlaterale) mentre le fibre delle emiretine temporali
non si incrociano e unendosi alle controlaterali nasali vanno a formare il tratto ottico ( il
tratto ottico di un lato porta tutte le informazioni relative al campo visivo controlaterale) che
proietta a pretetto (controllo dei riflessi pupillari), collicolo superiore (ha una mappa del
campo visivo controlaterale e proietta al nucleo talamico del pulvinar e da qui alla corteccia;
controlla i movimenti saccadici) e corpo genicolato laterale.
Il 90% degli assoni retinici va al corpo genicolato laterale (da qui a V1 e poi cortecce extra
striate), dove è presente una rappresentazione retinotopica della metà controlaterale del campo
visivo (la fovea, che ha la maggior densità di cellule gangliari, ha la rappresentazione
maggiore; il rapporto tra l’area del corpo genicolato laterale (anche per V1) e l’area della
retina deputate a rappresentare 1° di campo visivo è detto fattore di amplificazione). Gli
assoni delle cellule gangliari M e P restano separati anche nel corpo genicolato laterale (2
strati ventrali magnocellulari e 4 dorsali parvicellulari; gli strati I, IV e VI ricevono dalla
retina nasale controlaterale, gli strati II, III e V dalla retina temporale ipsilaterale).
Anche i neuroni del corpo genicolato (oltre a quelli delle cellule gangliari) possono essere a
centro-on o a centro-off e hanno campi recettivi circolari.
Da notare che solo il 10% delle afferenze al corpo genicolato laterale sono di origine retinica,
le altre, forse, hanno la funzione di controllare il flusso delle afferenze dalla retina alla
corteccia.
Le cellule P hanno elevata sensibilità al contrasto di colore e alla frequenza spaziale, le cellule
M hanno elevata sensibilità al contrasto di luminanza e alla frequenza temporale contributi
diversi alla percezione visiva.
Gli assoni delle cellule gangliari M e delle cellule gangliari P prendono vie diverse disposte in
parallelo: le via M e la via P partono dalla retina, fanno stazione al corpo genicolato e
arrivano a V1 dove si suddividono in una via dorsale (via del dove; prevalenti le afferenze
della via M), che raggiunge V5 (corteccia parietale posteriore; movimento), e in una via
ventrale (via del cosa; sia afferenze della via M che P) che raggiunge V4 (corteccia
inferotemporale; forma e colore); le due vie si scambiano informazioni (ndr le due vie passano
anche per V2).
Danni: • taglio di un nervo ottico il campo visivo è visto monocularmente cecità nella
semiluna temporale del lato leso e problemi di profondità: amaurosi; • problemi del chiasma
ottico (es. tumore espansivo dell’ipofisi) mancano le informazioni sulle semilune
temporali: emianopsia bitemporale; • distruzione di un tratto ottico perdita della vista di
tutto l’emisfero visivo controlaterale: emianopsia bilaterale omonima; • lesione della
radiazione ottica o della corteccia visiva alterazioni incomplete o a quadrante (perché le
fibre sono più diffuse): es. quadrantopsia.
Corteccia visiva
La corteccia visiva primaria (V1; area 17) è sita nel lobo occipitale; il campo recettivo più
rappresentato è quello della zona foveale; allontanandosi dalla fovea la convergenza
rappresentazione corticale.
In corteccia le immagini vengono invertite: ciò che è sopra viene rappresentato sotto e ciò che
è rappresentato a sinistra a destra (e viceversa); queste informazioni vengono però interpretate
successivamente (grazie agli altri segnali sensoriali come quelli provenienti dagli otoliti).
L’interpretazione viene fatta in parallelo: arriva il messaggio da un’area della fovea e
l’informazione viene moltiplicata e studiata contemporaneamente per il colore, la direzione, la
dimensione, la distanza, il movimento.
Nella percezione visiva entrano in gioco due processi sequenziali distinti: • un processo
preattenzionale che serve come rilevatore della presenza degli oggetti (codifica in parallelo
205
Piso
206
Piso
profondità la stereopsi risulta dalla lieve disparità con cui sono visti gli oggetti, purché
siano compresi nell’area di Panum.
Al di fuori di tale area, un oggetto posto davanti o dietro l’oroptero viene percepito doppio
perché la sua immagine si forma su punti retinici disparati interpretato nello spazio in due
differenti posizioni (diplopia fisiologica omonima, se oggetto più lontano dell’oroptero,
crociata, se più vicino; la diplopia fisiologica non viene comunemente avvertita, forse perché
un’immagine viene soppressa o per la bassa acuità visiva di cui sono dotate le zone periferiche
della retina su cui si formano tali immagini).
La stereopsi è la visione tridimensionale che origina dalla stimolazione simultanea di
elementi retinici orizzontalmente disparati nell’ambito dell’area di Panum.
La distanza e l’angolazione con cui l’oggetto viene fissato (per distanze inferiori a 30 m) non
sono perfettamente uguali nei due occhi: in condizioni normali l’immagine originata dalla
fissazione di un oggetto cade a livello foveale grazie ai movimenti di vergenza; poiché gli
occhi distano l’uno dall’altro ≈ 6 cm qualsiasi oggetto che si trovi più vicino o più lontano
rispetto al punto di fissazione proietta l’immagine a una certa distanza dalla fovea. Il sistema
visivo è capace di calcolare la disparità retinica e di assegnare un senso di maggiore o
minore profondità agli oggetti dello spazio visivo la percezione delle immagini retiniche è
dotata di una leggera diversità che, nella fusione, costituisce la base della percezione della
profondità. La percezione della stereopsi comincia bruscamente tra i 3-4 mesi di vita.
Il senso stereoscopico non dipende soltanto dalla visione binoculare; anche soggetti
monoculari possono avere il senso della profondità (stereopsi secondaria; agisce anche nei
soggetti binoculari quando si fissano oggetti ad una distanza superiore a 30 metri, dato che a
tale distanza si assume che i raggi luminosi siano pressoché paralleli). In tal caso, molteplici
sono gli elementi monoculari empirici che giocano un ruolo nel concorrere alla formulazione
del giudizio della distanza relativa degli oggetti: • movimento di parallasse (la velocità di
spostamento di un oggetto vicino sembra maggiore di quella di uno lontano); • prospettiva
lineare; • sovrapposizione dei contorni (un oggetto che interrompe i contorni di un altro viene
percepito come anteposto); • distribuzione delle luci e delle ombre; • familiarità con gli
oggetti; • prospettiva aerea (l’atmosfera influenza il contrasto e il colore degli oggetti situati
più lontano).
L’origine della visione stereoscopica non risiede nella retina, né nel nucleo genicolato laterale,
ma si forma a livello della corteccia.
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Piso
Elettroencefalogramma (EEG)
208
Piso
Sonno
Il sonno è una funzione biologica basilare, presente in tutti gli esseri viventi in forma più o
meno evoluta, la cui caratteristica principale è la riduzione reversibile della soglia di risposta a
stimoli esterni; senza sonno si morirebbe.
Deprivazione di sonno: nell’esperimento di Patrick e Gilbert (1896) tre soggetti non dormono
per 90 ore sonnolenza vincibile solo con stimoli forti, illusioni visive, tempi di reazione e
memoria, forza muscolare, acutezza visiva, presenza di micro sonni, recupero rapido.
Polisonnografia: si monitorizzano simultaneamente EEG (attività cerebrale), ECG (attività
cardiaca), EMG (tono muscolare) e EOG (movimenti oculari; la retina è elettricamente
negativa rispetto alla cornea dipolo).
209
Piso
Il tracciato EEG della veglia presenta attività a basso voltaggio ed alta frequenza espressione
del fatto che la maggior parte dei neuroni della corteccia cerebrale è tonicamente depolarizzata
e vicina alla soglia di scarica del pda attività spontanea variabile ed irregolare.
Sonno non-REM (NREM): costituisce circa il 75% del tempo totale di sonno e sulla base
dell’EEG è suddiviso in 4 fasi: • stadio I: riduzione delle onde a valori inferiori al 50%
rispetto alla veglia e presenza di onde ; movimenti oculari e tono muscolare; i microsonni
sono episodi di stadio I; • stadio II: onde e ; comparsa
di complessi K (ampia onda acuta negativa seguita da
un’onda lenta positiva) e fusi del sonno (oscillazioni di
ampiezza crescente e decrescente con frequenza di 12-14
Hz); movimenti oculari e tono muscolare e soglia per
il risveglio; • stadi III e IV (“sonno profondo”): onde
lente ( ); soglia per il risveglio.
Il tracciato EEG durante il sonno NREM è caratterizzato
dalla presenza di fusi del sonno, complessi K e onde
lente: all’addormentamento, nella corteccia cerebrale e
nel talamo la liberazione di ACh e altri
neurotrasmettitori provenienti da centri sottocorticali
apertura di canali del K+ (di tipo leakage) sulla
membrana dei neuroni talamici e corticali esce K+
potenziale di membrana a livelli più iperpolarizzati,
inducendo una serie di correnti ioniche intrinseche, che inducono un’oscillazione lenta del
potenziale della durata di ≈ 1 secondo (rare nello stadio I e aumentano progressivamente
riflettono la profondità del sonno NREM). L’oscillazione lenta è composta di due fasi
consecutive: • down-state: iperpolarizzazione dei neuroni corticali di alcune centinaia di
millisecondi che appare nel tracciato come un’onda negativa di grande ampiezza; si associa
all’assenza completa di attività sinaptica nelle reti neuronali corticali; • up-state: fase di
depolarizzazione durante la quale i neuroni scaricano a ≈ 40 Hz per meno di un secondo.
I complessi K sono singole oscillazioni lente che spiccano nello stadio II perché infrequenti; i
fusi del sonno avvengono durante l’up-state.
Sonno REM (comparsa di movimenti rapidi degli occhi): costituisce circa il 25% del tempo
totale di sonno e sulla base dell’EEG (simile a fase di veglia: “sonno paradossale”) è suddiviso
in 2 stadi (tonico, in cui c’è profonda atonia dei muscoli antigravitazionali, e fasico, che
presenta scosse muscolari rapide) caratterizzati da onde a basso voltaggio e alta frequenza
frammiste a onde ; soglia per il risveglio.
Il tracciato EEG durante il sonno REM torna ad essere attivato come quello della veglia:
depolarizzazione tonica dei neuroni corticali dovuta alla chiusura dei canali del K+ di tipo
leakage legata al fatto che la liberazione di ACh torna ad essere elevata.
Il ciclo di sonno NREM-REM dura 90-110 minuti e si ripete 4-6 volte in una notte; il pattern
di sonno varia considerevolmente durante la vita (adulto: 5% stadio I, 50% stadio II, 20-25%
stadi III e IV e 20-25% REM).
Il progressivo aumento della soglia di risposta agli stimoli nel sonno NREM si deve
soprattutto alla chiusura del cosiddetto “cancello talamico”: ACh (vd sopra)
iperpolarizzazione dei neuroni talamocorticali blocco parziale degli stimoli sensoriali; un
ulteriore meccanismo di blocco è dovuto all’oscillazione lenta del potenziale di membrana:
per centinaia di millisecondi i neuroni corticali sono fortemente iperpolarizzati improbabile
che raggiungano la soglia anche se uno stimolo supera il cancello talamico. Durante il sonno
REM il cancello talamico è aperto e i neuroni corticali sono tonicamente depolarizzati, ma
l’attenzione è rivolta all’attività intrinseca del cervello anziché agli stimoli esterni.
Sembra che la maggior parte dei sogni si verifichi al risveglio dal sonno REM (sogni carichi
di emotività) e la restante al risveglio dal sonno NREM (sogni più realistici); forse il sonno
210
Piso
REM e il sogno servono alla cancellazione e/o consolidamento delle informazioni in memoria
(teoria del consolidamento della memoria); inoltre si ipotizza un ruolo del sonno nel recupero
cerebrale (ripristinamento di metaboliti) e nell’omeostasi sinaptica.
Modificazioni molecolari: durante la veglia l’espressione di geni che codificano proteine che
aiutano il cervello a far fronte a maggiori richieste energetiche, all’attività sinaptica
eccitatoria, all’aumento di stress cellulare e proteine che favoriscono il potenziamento a lungo
termine dell’efficacia sinaptica; i geni maggiormente espressi durante il sonno sono coinvolti
nel consolidamento delle sinapsi (dopo che sono state potenziate) o nella depressione
dell’attività sinaptica, nella sintesi proteica, nel mantenimento delle membrane cellulari e nel
movimento degli organuli intracellulari.
Centri che regolano il sonno e la veglia: • il sistema reticolare attivante (RAS): liberazione
tonica e diffusa di neurotrasmettitori (nuclei tegmentali ACh con proiezioni talamiche
al talamo, con proiezioni extratalamiche a prosencefalo basale (ACh), ipotalamo (His),
neuroni sparsi (glutammato) corteccia; locus ceruleus noradrenalina ruolo nel
controllo dell’espressione genica; nucleo del rafe serotonina; sostanza nera e nuclei
tegmentali dopamina) mantengono depolarizzato il talamo e quindi la corteccia
blocco dei canali del K+ delle membrane cellulari dei neuroni corticali e talamici stato
tonico di depolarizzazione ( pronti a scaricare); • il sistema ipotalamico del sonno (HSS):
durante il sonno neuroni ipotalamici liberano GABA inibizione dei gruppi neuronali che
costituiscono il RAS; • il sistema generatore del sonno REM: è costituito dai neuroni
colinergici dei nuclei tegmentali come RAS, ma nel sonno REM i sistemi noradrenergico e
serotoninergico sono inibiti; • il nucleo soprachiasmatico (SCN) dell’ipotalamo coordina
nelle 24 ore il ciclo sonno-veglia (ritmo circadiano): attiva RAS e inibisce HSS durante la fase
di luce e viceversa durante la notte; ogni neurone del SCN è un pacemaker (fluttuazione delle
proteine Period e Timeless), ma i segnali inviati sono coerenti perché l’attività di tali
pacemaker è sincronizzata.
Nella regolazione del sonno si possono distinguere tre fattori principali: • il fattore di
vigilanza consente di essere svegli e pronti a reagire in caso di emergenza (attivazione
transitoria del RAS); • il fattore circadiano fa sì che il sonno abbia luogo nella fase della
giornata evolutivamente più adatta (notte perché l’uomo dipende dal sistema visivo); • il
fattore omeostatico riflette il fatto che la tendenza ad addormentarsi aumenta in relazione a
quanto si è rimasti svegli.
Funzioni superiori
Plasticità cerebrale
È la capacità dei circuiti neuronali di essere continuamente rimodellati consente al cervello
di adattarsi ai cambiamenti dell’ambiente.
Fin dalle prime fasi della vita embrionale le cellule interagiscono con l’ambiente
extracellulare per indirizzare la formazione delle varie aree cerebrali e delle loro connessioni.
Prima della nascita un codice molecolare regola lo sviluppo del cervello tramite il succedersi
di processi progressivi (replicazione, migrazione, differenziamento, sinaptogenesi) e regressivi
(apoptosi). L’attività neuronale di tipo spontaneo e indipendente da stimoli esterni compare
durante l’ultimo periodo di sviluppo prima della nascita e appare coinvolta nella formazione
delle connessioni tra le aree cerebrali.
La formazione di numerose aree cerebrali, compresi i moduli anatomofunzionali chiamati
colonne (neuroni funzionalmente omologhi), si sviluppa prima della nascita sotto il controllo
di un codice molecolare. Dopo la nascita e durante il primo periodo di vita postnatale la
maturazione cerebrale procede sotto l’influsso dell’ambiente esterno: la plasticità di grado
elevato che caratterizza questa epoca della vita dipende dall’attività neuronale (utilizzo dei
211
Piso
circuiti). Nelle aree corticali visive, somatosensoriali e acustiche emergono le mappe corticali
che contengono la rappresentazione spaziale dei recettori periferici; l’elevato grado di
plasticità comporta la maturazione delle mappe corticali sotto il diretto controllo dell’attività
neuronale evocata da stimoli esterni.
Le differenti aree cerebrali continuano a essere plastiche anche durante la vita adulta in
condizioni sia normali sia patologiche. Anche le mappe corticali possono andare incontro a
cambiamenti dipendenti dall’attività neuronale evocata da stimoli ambientali con meccanismi
simili a quelli utilizzati durante lo sviluppo.
Apprendimento e memoria
L’apprendimento e la memoria non sono altro che manifestazioni della plasticità neuronale;
l’apprendimento è il processo attraverso il quale un organismo acquisisce nuove informazioni
o conoscenze, la memoria è la ritenzione di queste informazioni in modo che possano essere
successivamente utilizzate il comportamento futuro risulta più adatto all’ambiente.
La memoria si divide in memoria a breve e lungo termine o, basandosi sul tipo di conoscenze
acquisite, in memoria non dichiarativa e dichiarativa.
• Per memoria a breve termine si intende un sistema che trattiene l’informazione
temporaneamente, in attesa che venga trasferita in un magazzino a lungo termine dove possa
diventare più stabile; è di breve durata perché indipendente dalla sintesi proteica.
• La memoria a lungo termine risulta essere dipendente da forme di plasticità sinaptica
durature che necessitano, per instaurarsi, di cambiamenti dell’espressione genica e della
sintesi di proteine necessarie a modificazioni strutturali, morfologiche e di lunga durata dei
contatti sinaptici.
• La memoria non dichiarativa (procedurale o implicita) implica un processo attraverso cui
la formazione del contenuto mnemonico e il suo recupero non dipendono da processi cognitivi
consci (paragoni, valutazioni, inferenze), ma si produce lentamente tramite ripetizioni.
Si distinguono: • apprendimento non associativo: con l’assuefazione il soggetto impara a
ignorare uno stimolo innocuo ( ampiezza e probabilità di una risposta); mediante la
sensibilizzazione impara invece a prestare attenzione a uno stimolo innocuo in quanto può
essere accompagnato da uno stimolo dannoso; • apprendimento associativo: mediante questa
modalità di apprendimento il soggetto coglie la relazione che intercorre tra due eventi; nel
condizionamento classico l’associazione si instaura tra due stimoli (lo stimolo condizionale
riesce a generare una risposta condizionata dopo essere stato associato più volte allo stimolo
incondizionato), nel condizionamento operante l’associazione si instaura tra il proprio
comportamento e ciò che ne consegue.
• La memoria dichiarativa dipende da un’analisi cognitiva per l’acquisizione e il richiamo
del contenuto mnesico e si basa su processi cognitivi come valutazioni, paragoni e inferenze
(si può formare anche dopo una singola esperienza); si divide in memoria di tipo episodico (fa
riferimento a contenuto autobiografico) e memoria semantica (include concetti e vocabolario e
non ha contesto temporale).
Le regioni cerebrali critiche per la generazione di nuove memorie dichiarative sono: il lobo
temporale mediale (ippocampo), il talamo mediale, i corpi mammillari (diencefalo mediale) e
il proencefalo basale (ndr circuito di Papez: giro del cingolo formazione dell’ippocampo
corpo mammillare nuclei talamici inferiori giro del cingolo). L’ippocampo ha un ruolo
fondamentale nell’orientamento spaziale, non perché sia una memoria dello spazio, ma uno
spazio di memoria: ogni informazione di un certo episodio viene elaborata dalle specifiche
aree di corteccia dedicate ognuna delle quali proietta alle regioni paraippocampali che le
inviano all’ippocampo che pone in relazione i vari elementi dell’episodio; l’ippocampo ha una
capacità temporale d’immagazzinamento limitata il risultato dell’elaborazione viene
rinviato alle cortecce paraippocampali che smistano alle varie cortecce associative dove viene
conservato.
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Emozioni
Sono risposte a vari tipi di stimoli caratterizzate sia da manifestazioni esterne che da
un’esperienza interna; hanno latenza e durata relativamente brevi e si differenziano dalle
sensazioni e dalla percezione di un oggetto poiché vi è associata una qualità affettiva e perché
l’organismo tende ad agire avvicinandosi o allontanandosi dallo stimolo. La componente
motoria delle emozioni serve a predisporre l’organismo all’azione e segnalare lo stato interno
ad altri individui.
Un indice globale di intensità affettiva è l’arousal, un indice quantitativo generico di
attivazione emotiva, che può variare da un livello minimo (stato di apatia) a un livello
massimo.
Una classificazione delle emozioni è difficile: ci si può basare su scale continue (arousal,
piacevolezza/spiacevolezza, avvicinamento/allontanamento) o su stati discreti (in base alle
espressioni facciali: disgusto, paura, gioia, sorpresa, tristezza, rabbia, neutro).
Molti parametri fisiologici (parametri cardiovascolari, respiratori, muscolari…) sono correlati
agli stati emotivi.
Dato che gli stati affettivi sono spesso integrati in processi cognitivi, risulta difficile definire
strutture corticali e sottocorticali specificamente associate agli stati affettivi, ma sono
sicuramente importanti l’ipotalamo, la regione ventromediale e orbito frontale della corteccia
prefrontale, l’amigdala, la regione anteriore della corteccia cingolata e l’insula.
Coscienza
La coscienza è tutto ciò di cui si ha esperienza; il fatto che esistano i sogni indica come la
coscienza del mondo esterno e di se stessi, reale o immaginaria, origini dall’attività di alcune
parti del cervello (ruolo fondamentale del sistema talamocorticale).
I problemi fondamentali connessi con lo studio della coscienza sono: determinare il livello (o
quantità) di coscienza e determinare il tipo (o qualità) di coscienza.
Secondo la teoria dell’informazione integrata un sistema fisico è cosciente nella misura in
cui è in grado di integrare informazioni; le proprietà fondamentali della coscienza sono: • la
ricchezza d’informazione (es. se c’è chiaro un fotodiodo lo recepisce perché esclude
scuro, l’individuo perché esclude un numero enorme di alternative) e • l’integrazione (es. la
macchina fotografica ha numerosissimi fotodiodi indipendenti, ma se il sensore venisse
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Linguaggio
Il linguaggio è un sistema di comunicazione tra individui della stessa specie, ma anche il
mezzo che ognuno usa correntemente per parlare con se stesso (linguaggio interno).
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La produzione del linguaggio orale richiede due processi concomitanti: l’emissione della voce
(fonazione) e l’articolazione dei fonemi (oggetto di studio della fonetica).
Fonazione: l’emissione della voce è prodotta dall’energia dell’aria emessa nel corso di
un’espirazione che fa vibrare le corde vocali (tese tra la cartilagine tiroide e ciascuna delle due
cartilagini aritenoidi della laringe) che definiscono una fessura (glottide); durante la
respirazione normale la glottide è mantenuta aperta dalla contrazione dei muscoli
cricoaritenoidei posteriori; durante la fonazione, l’ampiezza della glottide è ridotta e viene
regolata dalla contrazione dei muscoli cricoaritenoidei laterali la pressione intratoracica,
incontrando un ostacolo aumenta fino a divaricare le corde la velocità del flusso d’aria
pressione (Bernoulli) la glottide si richiude.
La frequenza fondamentale (o altezza; frequenza con cui la glottide si apre e si richiude) del
suono emesso dipende dal grado di rigidità e dalle dimensioni delle corde vocali; l’intensità (o
volume) del suono emesso è controllata per mezzo della pressione subglottidea che può
variare tra 4 e 20 cmH2O in relazione alla forza esercitata dai muscoli espiratori.
Fonetica: l’articolazione dei suoni del linguaggio (fonemi) avviene durante il transito dell’aria
emessa dalla glottide nell’apparato di risonanza formato da faringe, bocca e naso (cavità ad
ampiezza variabile anche grazie a lingua e velo palatino).
Le vocali sono suoni periodici in cui ogni armonica è un multiplo della fondamentale; le
consonanti sono dei suoni aperiodici (rumori).
I fonemi vengono prodotti perché porzioni diverse del tratto vocale (possono cambiare
conformazione grazie a mandibola, lingua, velo palatino e labbra) entrano in risonanza con
alcune frequenze emesse dalla glottide, dette formanti, che vengono rinforzate in intensità.
I muscoli del tratto vocale sono innervati da tutti i nervi cranici motori (tranne gli
oculomotori).
Nel linguaggio si distinguono tre principali livelli: un livello fonologico (discriminazione dei
fonemi per la funzione che hanno in uno specifico sistema di comunicazione), un livello
semantico (riguarda l’insieme delle conoscenze legate al significato delle parole) e un livello
morfosintattico (regole in base alle quali le parole si combinano tra loro in una lingua).
Il fatto che esistano degli aspetti universali del linguaggio, che corrispondono a caratteristiche
comuni dei sistemi cognitivi umani, rinforzano l’idea di una probabile base genetica.
Organizzazione nervosa: una volta gli studi erano solo lesionali, ora si sono aggiunti studi di
neuroimaging (PET e f-RMN) che permettono anche lo studio di soggetti sani; grazie a queste
tecniche abbiamo capito che il linguaggio umano dipende dall’integrità morfofunzionale di
una vasta estensione di corteccia situata nella parte laterale degli emisferi cerebrali attorno alla
scissura di Silvio (area di Broca (aree 44 e 45), giri angolare e sopramarginale (39 e 40) e area
di Wernicke (22)) e di strutture sottocorticali della sostanza bianca.
• Livello fonologico: il riconoscimento dei fonemi avviene nelle aree temporali superiori
quando l’ascolto è passivo, cioè non si deve compiere nessuna operazione sulle parole (in
questi casi l’attivazione è bilaterale), mentre in compiti controllati in modo conscio si ha
attivazione delle aree frontali e parietali inferiori del solo emisfero sinistro.
• Livello semantico: il cervello immagazzina le informazioni semantiche secondo criteri
categoriali (es. vivente/non vivente) e le regioni attivate risultano vicine a quelle che hanno
associazioni sensoriali o motorie con la categoria; le informazioni semantiche sembrano essere
depositate nella parte inferiore del lobo temporale e in quella inferiore della corteccia frontale.
• Livello morfosintattico: è difficilmente scindibile da quello semantico, ma si ha comunque
un ruolo preminente dell’area di Broca.
Altre aree coinvolte nel linguaggio sono le aree in prossimità di quelle visive per il linguaggio
scritto, quelle vicine alle aree implicate nei movimenti della mano per il linguaggio dei segni, i
nuclei della base (depositari di memorie procedurali per funzioni motorie) e talamo.
Il linguaggio rappresenta l’aspetto saliente della lateralizzazione emisferica peculiare
dell’uomo: nella maggioranza dei soggetti destrimani e nel 70% dei mancini l’emisfero
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dominante per il linguaggio è il sinistro (nel 15% dei casi entrambi gli emisferi
contribuiscono). C’è attivazione dell’emisfero destro in compiti che implicano aspetti
particolari della comunicazione verbale quali aspetti emozionali (prosodia), contestuali (es.
ricerca di una parola per completare la frase) o connotativi (es. ricerca dell’aspetto metaforico
di una frase); le regioni prevalentemente attivate nell’emisfero destro si raggruppano attorno
all’area 45 (corrispondente all’area di Broca), in compiti che richiedono un giudizio e una
risposta attiva, e all’area 22 (corrispondente all’area di Wernicke), in compiti in cui è più
importante l’analisi sensoriale.
Sviluppo del linguaggio: nell’area di Broca sono stati individuati neuroni (neuroni mirror)
che si attivano durante l’immaginazione del movimento, l’osservazione e l’imitazione del
movimento altrui. Si è ipotizzato che il sistema dei neuroni mirror possa essere alla base di
processi di enorme portata cognitiva, come la comprensione del linguaggio e dei processi
mentali altrui; infatti la capacità di imitare è fondamentale per l’acquisizione di un linguaggio.
Nella scimmia l’area F5 (corrispettivo dell’area di Broca) è in rapporto con i gesti della mano;
con il passaggio dalla comunicazione gestuale a quella verbale l’area di Broca sarebbe stata
occupata da parte del linguaggio.
L’acquisizione del linguaggio avviene nel bambino senza sforzo e sembra svilupparsi di pari
passo alla maturazione del cervello sulla base di una predisposizione innata e sotto la spinta
dell’ambiente.
Afasie: sono disturbi acquisiti del linguaggio causati da lesioni cerebrali; il linguaggio si basa
su due regioni principali: l’area di Broca (44 e 45), nella parte inferiore della corteccia
frontale, e l’area di Wernicke (22), nella parte posteriore e superiore della corteccia temporale;
nei pazienti con lesioni dell’area di Broca il linguaggio risulta scarsamente fluente e poco
articolato, mentre i pazienti con lesioni dell’area di Wernicke presentano disturbi della
comprensione, ma un linguaggio fluente con sostituzione di fonemi e di parole la
produzione del linguaggio si realizza in un’area associativa motoria (44 e 45) adiacente
all’area motoria primaria (4) e la comprensione del linguaggio si realizza in un’area
associativa acustica (22) adiacente all’area acustica primaria. A tale schema interpretativo si è
aggiunto un centro dei concetti (di Lichtheim) collegato ai suddetti e sito nella parte
inferiore del lobo parietale (giro sopramarginale e angolare, aree 39 e 40).
• Afasia motoria (di Broca): dell’eloquio spontaneo che risulta telegrafico e agrammatico;
è compromessa la ripetizione di frasi, sebbene i pazienti ne comprendano il significato.
• Afasia sensoriale (di Wernicke): l’eloquio è ricco e fluente, ma spesso incomprensibile
perché le parole sono storpiate; la comprensione e la ripetizione sono compromesse.
• Afasia di conduzione: eloquio fluente, comprensione discreta, tipicamente caratterizzata
dalla difficoltà di ripetere le frasi e ricondotta alla disconnessione tra il centro della
produzione e quello della comprensione del linguaggio (lesioni del fascicolo arcuato).
• Afasie transcorticali: possono essere sensoriale e motoria, simili rispettivamente all’afasia
di Wernicke e all’afasia di Broca, ma con ripetizione relativamente intatta; dovute a
disconnessioni del centro della produzione o del centro della comprensione del linguaggio dal
centro dei concetti.
• Afasia anomica: caratterizzata dall’impossibilità di produrre i nomi di oggetti o situazioni;
dovuta ad un danno del centro dei concetti.
• Afasia globale: tutte le funzioni del linguaggio sono compromesse; risultato del danno
combinato del centro della produzione e di quello della comprensione.
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Metabolismo energetico
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Termoregolazione
Nel regno animale ci sono animali omeotermi, che hanno una temperatura corporea costante
negli intervalli di temperatura ambientale compresi tra 13 e 50 °C, e animali pecilotermi, che
hanno una temperatura corporea strettamente dipendente dalla temperatura ambientale.
Una temperatura corporea costante attorno a 36,5-37 °C è necessaria affinché le reazioni
chimiche del nostro organismo avvengano a velocità ottimale. Rilevando la temperatura nel
cavo ascellare è più bassa di quella rilevata nel cavo orale che è più bassa di quella rilevata nel
retto (si avvicina di più alla temperatura del nucleo centrale).
La temperatura può aumentare fino a 40 °C (termoregolazione efficiente) per malattie febbrili
o intensa attività muscolare (se oltre la termoregolazione è gravemente compromessa colpi
di calore, lesioni cerebrali e convulsioni); se scende sotto i 35 °C si riducono la sensibilità,
la capacità motoria e le facoltà mentali.
Nel nostro organismo non esiste un’unica temperatura: la temperatura del nucleo centrale è
più alta e costante di quella della cute che risente delle variazioni della temperatura ambientale
(importante perché permette di avviare i meccanismi che permettono di mantenere costante la
temperatura del nucleo centrale).
La temperatura risente di variazioni circadiane e individuali; il sonno ha effetti diretti sulla
termoregolazione che si aggiungono alla riduzione notturna della temperatura corporea dovuta
a variazioni circadiane. La temperatura corporea e cerebrale diminuiscono durante il sonno
NREM soprattutto negli stadi 3 e 4. Questo fenomeno è dovuto sia ad un riassetto del
termostato centrale ipotalamico a livelli inferiori sia ad una perdita attiva di calore. Durante il
sonno REM la capacità di termoregolare mediate sudorazione è ridotta.
Ai fini della termoregolazione utilizziamo: il calore dissipato dal metabolismo basale,
l’attività muscolare sottoforma di brividi, incrementi del metabolismo dovuto a ormoni
(tiroxina, GH e testosterone) o all’attività del SN simpatico (E e NE).
Se la temperatura corporea è maggiore di quella dell’ambiente circostante noi dissipiamo
calore, la maggior parte del quale tramite raggi infrarossi (60%; per non perdere questo calore
possiamo usare tessuti riflettenti); tramite la cute e l’aria umidificata dal sistema respiratorio
perdiamo 600-700 ml di acqua al giorno (evaporazione: 22% del calore; una parte del quale
detta perspiratio insensibilis); tramite la conduzione con oggetti a temperatura inferiore
perdiamo il 3% del calore; l’energia cinetica delle molecole (calore) che costituiscono la cute
viene ceduta per conduzione (15%) alle molecole d’aria che circondano l’organismo finché la
temperatura della cute e delle molecole d’aria non si equivalgono ( processo autolimitato;
quando per convezione lo strato d’aria viene sostituito da aria più fredda il processo riprende;
vestendoci limitiamo la rimozione dello strato di aria calda).
Quando il nostro corpo è immerso in acqua dissipa calore molto più rapidamente poiché
l’acqua ha calore specifico e conducibilità termica molto maggiori di quelli dell’aria (ndr non
dare alcool poiché vasodilata dissipazione perché aumenta la superficie di scambio).
Gli organi interni producono la maggior parte del calore e questo, grazie al circolo sanguigno,
si sposta verso la cute che quindi lo disperde la velocità di dispersione del calore è la
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somma della velocità di conduzione del calore (organi cute) e della velocità di
trasferimento del calore (cute ambiente).
Un importante processo per limitare la dissipazione del calore è il meccanismo del flusso di
sangue in controcorrente: il sangue arterioso che scorre verso la periferia riscalda quello
venoso che torna dalla periferia grazie alla vicinanza dei vasi.
Nel derma esiste un sistema di capillari, il cui flusso è responsabile del passaggio di calore
all’epidermide e quindi all’ambiente, e un plesso venoso in cui può scorrere fino al 30 % della
GC (a livello dei palmi delle mani, delle piante dei piedi e dei padiglioni auricolari abbiamo
delle anastomosi artero-venose): quando la temperatura del nostro corpo sale oltre i valori
normali si ha una vasodilatazione dei capillari, quando diminuisce si ha una vasocostrizione
dei capillari il sangue torna tramite le anastomosi nel sistema venoso; il SN simpatico è
responsabile della regolazione dell’afflusso di sangue a questo livello.
Sudorazione: le differenti proprietà di acqua e aria le sfruttiamo quando l’ambiente circostante
ha una temperatura maggiore della nostra temperatura corporea: ci difendiamo dall’assunzione
di energia riversando uno strato d’acqua sulla cute dissipazione perché il sudore ha una
conducibilità termica e un calore specifico maggiore dell’aria (ndr se si va in un ambiente
freddo e si suda si perde calore molto più velocemente).
Le ghiandole sudoripare sono costituite da una parte convoluta e da un dotto e sono attivate
dal simpatico colinergico (ACh), attivato dal riscaldamento dell’area preottica ipotalamica, e
da E e NE secrete dalla midollare del surrene in seguito ad attività fisica e stress.
Una persona possiede circa 2,5 milioni di ghiandole sudoripare situate nella pelle di tutto il
corpo ad eccezione delle labbra, dei capezzoli e degli organi genitali esterni. Le ghiandole
sudoripare si possono distinguere in due tipi: le ghiandole eccrine (le più comuni) che si
trovano in tutto il corpo, ma soprattutto nella fronte, nelle palme delle mani e nella pianta dei
piedi e le ghiandole apocrine, che si trovano principalmente nella regione ascellare e nella
regione ano-genitale. Le ghiandole eccrine si aprono in pori situati sulla superficie della pelle,
mentre ghiandole apocrine si aprono nel follicolo pilifero attraverso un dotto al di sopra del
dotto sebaceo. Le ghiandole eccrine sono attive alla nascita, mentre le ghiandole apocrine
diventano attive durante la pubertà.
Le ghiandole sudoripare danno luogo ad un serceto primario che ha la composizione del
plasma privato delle proteine; scorrendo lungo il dotto vengono riassorbiti Na+ (sotto il
controllo dell’aldosterone), H2O etc.
Subito dopo lo spostamento in un clima caldo e umido le ghiandole sudoripare non
acclimatate possono secernere una quantità relativamente scarsa di sudore (1/1,5 l); dopo 2/3
settimane, mediante un processo di acclimatazione, si può arrivare a secernere più di 3 l/die di
sudore, ma la contemporanea presenza di aldosterone ci permette di perdere pochi elettroliti.
Un’alta percentuale di umidità dell’aria ci rende difficile la termoregolazione tramite
sudorazione poiché il passaggio di stato da liquido a gassoso è reso difficile dal fatto che
nell’aria c’è già molta acqua.
L’aspetto negativo della sudorazione è che ci fa perdere liquidi ed elettroliti necessaria
idratazione (poiché una diminuzione della volemia può far abbassare la Pa).
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Il centro di termoregolazione
ipotalamico: 1) se la
temperatura del corpo sta
aumentando inibisce i centri
ortosimpatici ad azione
vasocostrittrice (
vasodilatazione) e stimola i
neuroni simpatici colinergici
(ACh) che attivano le
ghiandole sudoripare (
sudore perdita di calore per
evaporazione; inoltre rilasciano
bradichinina vasodilatazione
attiva) e favoriscono una
vasodilatazione attiva dei vasi
cutanei; 2) se la temperatura del corpo sta scendendo vengono attivati i neuroni simpatici
adrenergici che provocano vasocostrizione cutanea (e forse stimolano la termogenesi senza
brivido (disaccoppiamento della fosforilazione ossidativa) a livello del grasso bruno: il
neonato ne ha una discreta quantità in regione interscapolare) e vengono attivati i neuroni
motori somatici che generano brividi termogenesi con brivido.
Nella regione dorso-mediale dell’ipotalamo posteriore, in prossimità del terzo ventricolo, c’è
il centro motorio primario del brivido che è stimolato dai termocettori cutanei e spinali
(termocettori per il freddo) ed è inibito dall’area preottica
(centro del caldo): stimola i motoneuroni anteriori tono
della muscolatura scheletrica brividi produzione di
calore (di 4-5 volte).
Il nucleo posteriore ipotalamico basa la sua attività su una
temperatura di riferimento detta set point ipotalamico (o
temperatura di riferimento ipotalamica) = 37,1 °C.
L’ipotalamo interpreta l’intervallo tra il set point e la
temperatura effettiva come l’errore da correggere: se la
temperatura è più alta aumenta la dispersione di calore per
evaporazione (il guadagno del sistema di termoregolazione è
27 è molto sensibile), ma la linea della produzione del
calore non scende sotto le 20 cal/s (perché c’è il metabolismo
basale); se la temperatura scende aumenta la produzione di
calore, ma la linea della dispersione del calore per
evaporazione non va a 0 (perché una parte è la perspiratio
insensibilis).
Regolazione della temperatura corporea in funzione della
temperatura cutanea (quindi ambientale): 1) produzione di
calore: se la temperatura della cute si abbassa (es. 20 °C) il
set point si alza (> 37,1 °C) si generano prima i brividi: è un
riflesso anticipatorio poiché in anticipo combattiamo una
possibile ipotermia; se la temperatura cutanea sale (31 °C) il
set point si abbassa (36,6 °C) si allontana la soglia di
generazione del brivido (la temperatura fuori è alta: se
generassimo anche i brividi ipertermia); 2)
termodispersione: se la temperatura cutanea è alta (es. > 33 °C)
il set point è basso (es. 36,7 °C) favorita la sudorazione;
se la temperatura cutanea scende (es. 29 °C) la soglia alla
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Febbre
La febbre può essere scatenata da pirogeni (tossine lipopolisaccaridiche batteriche (nel giro di
5-8 min) o proteine e prodotti di degradazione delle proteine generati da danno tissutale e
degenerazione), condizioni abnormi del cervello (tumori cerebrali che comprimono
l’ipotalamo) e condizioni ambientali che possono provocare un colpo di calore.
Meccanismo d’azione dei pirogeni: quando ci sono infezioni batteriche si ha la fagocitosi dei
batteri o dei loro prodotti di degradazione operata dai leucociti, dai macrofagi tessutali, dai
NK liberazione di IL-1 (detto anche pirogeno endogeno o dei leucociti) sintesi di PGE2
a partire da acido arachidonico agendo a livello ipotalamico la temperatura di riferimento
ipotalamico termoproduzione e termoregolazione (brividi) finché la temperatura corporea
non diviene uguale alla temperatura di riferimento ipotalamica (come un termostrato).
In seguito ad azione farmacologica o alla
rimozione dell’agente che ha fatto aumentare il
set point il set point torna rapidamente alla
norma si genera un altro errore da
correggere vasodilatazione e sudorazione
(defervescenza) finché la temperatura corporea
non raggiunge il set point.
Una delle maggiori cause della tachicardia è
l’incremento della temperatura corporea. La
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frequenza cardiaca aumenta di 18 battiti/min per ogni grado di aumento della temperatura
corporea fino ad un valore di 40,5 °C; oltre questa temperatura la frequenza cardiaca può
diminuire a causa del progressivo indebolimento del miocardio indotto dallo stato febbrile. La
febbre causa tachicardia perché l’aumento della temperatura incrementa il metabolismo del
nodo senoatriale facendone aumentare l’eccitabilità e la frequenza di scarica.
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Sistema endocrino
GH
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GHRH inibisce la propria secrezione; GH e IGF-1 hanno un effetto stimolante sui neuroni del
nucleo paraventricolare anteriore che iniziano a secernere GHIH (somatostatina) che ha un
effetto inibitorio sulle cellule somatotrope GH.
Anche gli stress, gli amminoacidi, l'ipoglicemia, il sonno, la serotonina e l’esercizio fisico
intenso stimolano la secrezione di GH.
La secrezione di GH presenta un ritmo circadiano:
nelle prime fasi del sonno profondo (a onde lente) c'è
un picco di secrezione. Durante la giornata
l'andamento è pulsatile, con 10-20 scariche al giorno.
Non c'è solo una variazione circadiana, ma anche
nell’arco della vita: nell'infanzia la produzione è
abbastanza alta e aumenta nella pubertà, mentre
nell'età adulta e in vecchiaia si riduce (da 5 a 20 anni: 6 ng/ml; da 20 a 40 anni: 3 ng/ml; da 40
a 70 anni: 1,6 ng/ml. La ridotta secrezione di GH
con l’età è correlata ad una riduzione del sonno ad
onde lente).
Casi patologici in cui in maniera precoce si arresta la
produzione di GH avranno accumulo di grasso e un
diminuito benessere generale.
Effetti metabolici
È un ormone diabetogeno, perchè aumenta la
glicemia in seguito a liberazione epatica di
glucosio per aumento della glicogenolisi e
della gluconeogenesi epatica che si avvale
come substrato del glicerolo derivante dalla
scissione dei trigliceridi a livello del tessuto
adiposo (mobilizzazione degli acidi grassi dal
tessuto adiposo) che a livello epatico viene
trasformato in glucosio.
L’aumento della glicemia è dovuto anche
all’induzione di una resistenza all'insulina dei
tessuti periferici (soprattutto a livello
muscolare e adiposo); importante perché il
glucosio deve essere utilizzato dal SNC.
Durante il digiuno il GH ci permette di dirottare le riserve energetiche: acidi grassi vanno
al muscolo, glucosio va invece al cervello (il GH è uno dei 5 ormoni che regola la glicemia).
Il GH promuove inoltre la captazione di quasi tutti gli amminoacidi da parte delle cellule
sintesi proteica (effetto sulla massa magra).
Il GH ha in realtà un effetto bifasico: inizialmente provoca ipoglicemia e lipogenesi (effetto
precoce insulino-simile mediato da IGF-1), successivamente provoca iperglicemia e lipolisi
(effetto tardivo); sulla sintesi proteica invece ha un effetto costante.
Sui condrociti stimola la proliferazione, l’aumento di dimensioni, la sintesi di collagene, la
sintesi proteica l’osso cresce; sembra che questo effetto sia mediato soprattutto da IGF-1
(che pare possa essere secreto anche dai tessuti periferici, quali l’osso, se stimolati da GH).
Sugli altri organi il GH stimola la funzionalità (trascrizione e sintesi proteica) e l’aumento
delle dimensioni.
Nelle gravi carenze proteiche (es. kwashiorkor) si hanno livelli alti di GH (40 ng/ml); se i
pazienti si trattano con carboidrati ( apporto calorico) i livelli di GH non diminuiscono,
ma è necessario fornire proteine per portare i livelli di GH alla norma.
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Tiroide
È importante assumere con la dieta almeno 1 mg/settimana di iodio. La maggior parte dello
iodio introdotto (pesce, acqua di mare e, poiché molto volatile, nei suoli dei dintorni in
alcune regioni cretinismo tiroideo) viene perso con le urine, mentre solo un 15-20% viene
assorbito dalla tiroide per formare gli ormoni tiroidei. La tiroide è in grado di immagazzinare
ormoni tiroidei fino a formare riserve sufficienti a coprire il fabbisogno dell’organismo per 2-
3 mesi gli effetti di una carenza di iodio si osservano con ritardo.
Gli ioni ioduro (I−) vengono intrappolati nella
cellula follicolare dove vengono ossidati a
iodio nascente (I3−; dalla perossidasi in
presenza di H2O2); la iodasi quindi lo combina
nel lume con la tireoglobulina (glicoproteina
con 70 molecole di Tyr) con formazione di
MIT e DIT (mono- e di-iodotirosina), T3
(triiodotironina) e T4 (tiroxina). Lo stimolo
del TSH fa sì che, mediante la formazione di
pseudopodi, la cellula follicolare inglobi
questa grande glicoproteina formando
goccioline di colloide che si fondono con
lisosomi intracellulari perché la glicoproteina
venga idrolizzata rilasciati MIT, DIT
(attaccati dalle deiodasi per riciclare iodio), T3
e T4. Se non funziona la deiodasi
ipotiroidismo.
T3 e T4 sono molecole particolarmente lipofile
passano agevolmente attraverso le
membrane e si legano alle globuline plasmatiche: in particolare T4 si lega alla globulina
legante la tiroxina, che la rilascia lentamente effetto prolungato; T3 si lega meno
stabilmente alle proteine plasmatiche effetto più rapido, ma breve, perchè ha un'emivita
inferiore. Questi ormoni si legano anche alle proteine citoplasmatiche (la tiroxina sempre più
stabilmente), che ne modulano la biodisponibilità.
Il T4 (93%) è normalmente prodotto e secreto ad una velocità 10 volte maggiore del T3 (7%)
che è però 4 volte più potente (ma breve emivita).
Se diamo T4 ad un paziente il metabolismo basale aumenta
lentamente: l’effetto si inizia a vedere dopo 2-3 giorni,
raggiunge un picco in 10-12
giorni e scompare nell’arco di
mesi (perché è legata a proteine
plasmatiche e citoplasmatiche).
L’effetto di una somministrazione di T3 si inizia a vedere già
dopo 2-3 ore, ha un picco in 2-3 giorni, ma svanisce presto.
L'ipotalamo rilascia il TRH che a livello dell’adenoipofisi
(cellule tireotrope) stimola il rilascio di TSH (tireotropina) che
col sangue raggiunge la tiroide T3 e T4 in circolo che
esercitano un meccanismo a feedback negativo sia a livello
ipofisario ( TSH) che ipotalamico ( TRH).
Una diminuzione della temperatura e reazioni emozionali
(stress) stimolano la secrezione degli ormoni tiroidei.
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Gli ormoni tiroidei sono soggetti solo a piccole variazioni di secrezione i loro livelli
plasmatici sono praticamente stabili non svolgono normalmente azioni fasiche, ma
agiscono per mantenere lo “status quo”.
Il TSH quando lega il suo recettore sulla
membrana basale della cellula follicolare
cAMP, il quale induce: l’intrappolamento
dello I−, i processi volti alla sintesi degli
ormoni tiroidei, l’endocitosi della
tireoglobulina e l’idrolisi in MIT e DIT, la
secrezione nel sangue di T3 e T4 (entro 20-30
minuti), l’aumento delle dimensioni e del
numero delle cellule follicolari (da cuboidali
divengono colonnari).
Effetti
Il T4, che viene trasformato dai tessuti in T3
(ormone biologicamente attivo), ha un recettore nucleare attiva la trascrizione di molti geni
aumenta la sintesi di numerose proteine ed enzimi tra cui: la pompa Na+/K+ ATPasi:
importante perché aumenti il metabolismo basale; aumentano il numero, le dimensioni e la
funzionalità dei mitocondri.
L’aumento del metabolismo fa sì che aumenti il fabbisogno di substrati energetici (fame) e di
vitamine. Di contro, questi ormoni promuovono il catabolismo, l'ossidazione delle riserve
energetiche e la mobilizzazione dei substrati energetici in tutti i tessuti l'ipertiroidismo
causa un dimagrimento precoce (anche di 50 kg); gli effetti sono tuttavia controbilanciati:
serve un aumento di O2 mediato da un aumento della ventilazione, della gittata cardiaca e
della rimozione della CO2 e cataboliti, i quali essi stessi provocano vasodilatazione locale
(utile per disperdere l'enorme quantità di calore prodotta, garantita anche dalla sudorazione e
dalla perspiratio insensibilis).
Effetti indiretti sull’apparato cardiocircolatorio: l’aumento del metabolismo, della richiesta di
O2 e della produzione di CO2 causano vasodilatazione RPT P diastolica di 10-15
mmHg di riflesso forza di contrazione e frequenza GS (azione inotropa positiva)
P sistolica di 10-15 mmHg pressione media invariata, mentre aumenta quella
differenziale.
Effetti diretti sull’apparato cardiocircolatorio: il trofismo ( proteine contrattili), il numero
di pompe Na+/K+, è stimolata l’up-regulation dei recettori 1-adrenergici ( effetto
permissivo) il cuore risponde maggiormente agli effetti della noradrenalina e
dell’adrenalina GS ( P sistolica) e frequenza cardiaca (importante per la diagnosi di
iper- o ipotiroidismo): gli esquimesi sono spesso affetti da tireotossicosi e l’effetto
catabolizzante degli ormoni tiroidei a un certo punto diviene dominante sull’effetto anabolico
flutter atriale o scompenso cardiaco.
Gli ormoni tiroidei stimolano l’approvvigionamento di cibo e tutto il metabolismo che ne
consegue: a livello intestinale i carboidrati vengono riassorbiti più velocemente, è promossa la
gliconeogenesi e la glicolisi; aumenta la mobilizzazione dei lipidi dal tessuto adiposo, gli acidi
grassi liberi nel plasma e la velocità di ossidazione degli acidi grassi liberi da parte delle
cellule depositi di grasso dell’organismo; la colesterolemia perché l'escrezione del
colesterolo con la bile; fosfolipidi e trigliceridi plasmatici (se si ha una iposecrezione
colesterolemia, accumulo di grasso nel fegato e facile arterosclerosi).
Altri effetti: attività secretoria e motoria del tubo gastrointestinale; importanza nella
formazione delle sinapsi, nella crescita degli assoni, nella formazione dei dendriti.
229
Piso
Patologie tiroidee
Se non si assume con la dieta una sufficiente quantità di iodio T3 e T4 TRH
TSH ( rigonfiamento della tiroide dovuto a: grande produzione ed accumulo di
tireoglobulina che non può essere convertita in ormone ed effetto trofico del TSH), ma per
l’assenza di iodio T3 e T4 (manca feedback negativo).
Morbo di Flaiani-Basedow: malattia autoimmunitaria i cui soggetti affetti presentano elevati
livelli plasmatici di TSI (immunoglobulina stimolante la tiroide) che va a stimolare il recettore
del TSH di cui mima gli effetti T3 e T4, la tiroide appare ipertrofica (il gozzo è segno sia
di iper- che di ipotiroidismo) e TSH e TRH (per feedback negativo).
Ipertiroidismo: intolleranza al caldo (per aumento del metabolismo), aumentata sudorazione,
dimagrimento, diarrea (per aumentata motilità gastroenterica), debolezza muscolare, tremore
delle mani (10-15 cicli/s per accentuata trasmissione neuromuscolare), estremo affaticamento,
nervosismo, insonnia, turbe psichiche (sindromi paranoidi, fenomeni di dissociazione).
Nell’ipertiroidismo si ha spesso un accrescimento eccessivo nel bambino con concomitante
precoce saldatura delle epifisi l’adulto può risultare più basso.
L’esoftalmo consiste nella protrusione dei bulbi oculari dovuta a tumefazione edematosa dei
tessuti retro-orbitari e a degenerazione dei muscoli estrinseci dell’occhio stiramento del
nervo ottico ( disturbi visivi) e incompleta chiusura delle rime palpebrali durante
l’ammiccamento e il sonno ( irritazioni ed ulcerazioni corneali).
Ipotiroidismo: una carenza di ormoni tiroidei in età infantile può portare a una forma di danno
cerebrale irreversibile chiamato cretinismo tiroideo, nel quale lo sviluppo mentale e la crescita
corporea sono ritardati e le cellule nervose sono caratterizzate da scarso sviluppo degli assoni
e dei dendriti e incompleta mielinizzazione. Se l’ipotiroidismo è diagnosticato precocemente il
cretinismo può essere prevenuto mediante una terapia sostitutiva con T4. Pare che in età fetale
gli ormoni materni possano in qualche modo parzialmente sopperire alla carenza è
possibile che il neonato sia normale nei primi giorni di vita, ma poi cominci a diventare
letargico il pediatra in questo caso ha 2-3 settimane al massimo per la diagnosi dopo di che
i danni cerebrali diventano irreversibili.
Anche nel sistema nervoso completamente sviluppato gli ormoni tiroidei sono essenziali per il
normale funzionamento. La carenza di questi ormoni può comportare negli adulti un
decadimento delle funzioni cognitive. Tali disturbi regrediscono completamente se i livelli
plasmatici di questi ormoni vengono normalizzati.
L’ipotiroidismo può essere causato da un processo autoimmunitario distruttivo della tiroide
(tiroidite) con conseguente fibrosi della ghiandola alla quale segue una riduzione o cessazione
della secrezione ormonale.
Facile affaticamento, estrema sonnolenza (si dorme 14-16 ore/die), estremo torpore
muscolare, bradicardia, riduzione della volemia, torpore mentale, stipsi, lenta crescita dei
capelli, desquamazione della cute e aspetto edematoso diffuso (per accumulo di proteine
nell’interstizio) detto mixedema.
Cortisolo
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Piso
cortisolo ed il cortisone, la reticolare secerne gli androgeni (un’ipersecrezione può dar luogo a
mascolinizzazione), la midollare secerne adrenalina e noradrenalina.
Il cortisolo si trova in equilibrio con il cortisone, il suo 11-cheto analogo biologicamente
inattivo; la loro interconversione è catalizzata dalla 11 -ol-deidrogenasi, che è presente in
molti tessuti e rende il cortisone esogeno una fonte efficace di attività cortisolica.
Quando il cortisolo va in circolo si lega per ≈ il 94% a proteine plasmatiche (in modo
specifico alla transcortina e aspecifico all’albumina).
Il cortisolo è un glicocorticoide (innalza la glicemia), ma ha anche scarsissimi effetti
mineralcorticoidi (1/500 dell’efficacia dell’aldosterone).
Questo grafico mostra la concentrazione nel tempo di
cortisone nel surrene e di corticosterone nel plasma in
seguito ad una frattura un trauma stimola la secrezione
di cortisolo.
Lo stimolo primario che, giungendo all’ipotalamo, dà
l’avvio alla secrezione di glicocorticoidi è chiamato
“stress” e può essere un trauma, infezioni e pirogeni,
caldo e freddo intensi, contusioni dolorose ed interventi
chirurgici, immobilizzazione assoluta del soggetto,
malattie debilitanti, dolore, stress mentale, gravi disturbi
psichiatrici, danno tissutale risultante da condizioni
morbose.
L’area paraventricolare ipotalamica secerne CRF (o
CRH: fattore di rilascio della corticotropina) che
attraverso il sistema portale ipotalamo-ipofisario raggiunge le cellule corticotrope in cui
stimola la secrezione di ACTH (corticotropina) che a livello
della corteccia surrenale stimola la secrezione di cortisolo; il
cortisolo inibisce sia il rilascio di ACTH da parte
dell’adenoipofisi che il rilascio di CRF da parte dell’ipotalamo
(inibito anche dall’ACTH).
Lo stimolo stressante (o ritmo circadiano) può prendere il
sopravvento sui meccanismi a feedback negativo facendo
aumentare la concentrazione di cortisolo.
In alcuni tipi di depressione le cellule corticotrope rispondono in
modo eccessivo all’azione del CRF e in modo insufficiente
all’azione inibente del cortisolo con conseguente ipersecrezione
di cortisolo.
I neuroni dell’area paraventricolare potenziano il sistema nervoso
simpatico, che a sua volta potenzia tali neuroni.
Se si tratta un soggetto con cortisolo si atrofizzano i neuroni
paravaentricolari ipotalamici, le cellule adenoipofisarie che
producono ACTH e la fascicolare; se si interrompe la terapia,
perché tali cellule riprendano la propria attività funzionale normale, sono necessari mesi
non si può interrompere la terapia bruscamente.
Il legame dell’ACTH al suo recettore fa aumentare la steroidogenesi ( colesterolo esterasi,
produzione di pregnenolone…); inoltre l’ACTH, provocando un up-regolation sia dei propri
recettori che dei recettori IGF-2 (fattori insulino simili), fa sì che le dimensioni, la funzionalità
e il numero delle cellule della fascicolare aumentino effetto trofico.
I ritmi luce-buio ( alterazione nelle persone cieche) e i ritmi sonno-veglia sono
fondamentali nella produzione di cortisolo: come per il GH, la secrezione di cortisolo è
pulsatile ed è regolata da un ritmo circadiano ( importanza del nucleo soprachiasmatico; si
inverte nelle persone che restano sveglie di notte e dormono durante il giorno). Sebbene la
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Piso
Patologie associate
L’ipercortisolismo può essere dovuto a tumori ipofisari secernenti ACTH, tumori della
corteccia surrenale secernenti cortisolo o essere di origine iatrogena e provoca: iperglicemia,
aumento del catabolismo proteico, lipolisi, aumento della fame aumento di grasso su tronco
e guance: “facies lunare” con gote paffute, “gibbo di bufalo”, obesità addominale, braccia e
gambe sottili, difficoltà di memoria e apprendimento.
Si ha morbo di Cushing in caso di ipersecrezione secondaria dovuta ad una patologia
ipotalamica ( CRF ACTH cortisolo, ma il meccanismo a feedback negativo è
inefficace sull’ipotalamo) o ad una patologia ipofisaria ( ACTH cortisolo che con
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Piso
Inoltre agisce su altre reazioni: inibisce la formazione di NO, riducendo l’edema; inibisce la
formazione di PAF; inibisce la formazione di acido arachidonico a partire dalla
fosfatidilcolina, impedendo la formazione di TX e PG (anche inibendo la ciclossigenasi) e di
LT; inoltre inibisce la risposta immunitaria cellulo-mediata inibendo la liberazione di IL-1, la
produzione di cellule T e B e quindi di anticorpi.
La somministrazione terapeutica di glucocorticoidi a dosi elevate per lunghi periodi di tempo
però aumenta la suscettibilità allo sviluppo di infezioni batteriche, virali o fungine o ne
favorisce la loro disseminazione.
Adrenalina e noradrenalina
La midollare della ghiandola surrenale, composta da cellule cromaffini, è del tutto simile ad
un ganglio simpatico (è assimilabile ad una sinapsi gigante). Il grande nervo splancnico
rilascia ACh che agisce su recettori nicotinici (ionotropici): legano due molecole di ACh che
inducono una modificazione conformazionale che apre il poro che sta nel recettore entra
molto Na+ ed esce un po’ di K+ depolarizzazione di membrana che fa aprire i canali del
Ca2+ voltaggio-dipendenti entra Ca2+ induce l’esocitosi di adrenalina (90%) e
noradrenalina (10%), amine derivate dalla tirosina (catecolamine) che circolano legate a
solfato ed hanno un’emivita di 2 minuti. Questo sistema ormonale ed il sistema simpatico
fanno uno le veci dell’altro le cellule cromaffini possono vicariare una mancanza
dell’effetto del simpatico e viceversa; la differenza sta nella prevalenza di E o NE in un
sistema e nell’altro, nei tempi di attivazione (il simpatico si attiva prima e per stimoli meno
intensi) e nell’azione locale (simpatico) o sistemica (surrene).
La liberazione di E e NE è stimolata dallo stimolo del simpatico ad opera di un esercizio fisico
intenso, ipovolemia, ipotermia, ipoglicemia, traumi, dolore, ansia, fight or fly effect. Esse
agiscono soprattutto sul sistema cardiocircolatorio e riescono a farci raggiungere un livello di
attività e di acuità mentale massimi.
Pazienti con feocromocitoma (tumore delle cellule cromaffini) presentano livelli pressori
molto alti (150-250 mmHg), sudorazione, pallore (segni tipici delle reazioni simpatiche).
Quando l’adrenalina entra in circolo non
attraversa la barriera ematoencefalica, ma attiva
il SNC (nucleo paraventricolare e locus
ceruleus) perché le fibre afferenti vagali, che
hanno recettori -adrenergici, arrivano al nucleo
del tratto solitario (NTS) che raggiunge
l’amigdala direttamente e mediante
l’attivazione del nucleo paragigante (PGi) e
quindi del LC (area cerebrale sita a livello
bulbo-pontino che presenta il maggior numero
di neuroni che producono NE e la rilasciano in tutte le regioni del cervello (stazione di relais)).
E e NE stimolano recettori 1 a livello della muscolatura liscia vasale di milza, rene, cute,
genitali, tubo gastroenterico vasocostrizione irrorazione (per dirottare il sangue in
organi che ci servono sotto stress); recettori 2 a livello della muscolatura liscia vasale del
miocardio, muscolo scheletrico, fegato, ghiandola surrenale, cervello (effetto modesto)
vasodilatazione irrorazione.
Anche il rossore cutaneo è dovuto ai recettori 2 di vasi cutanei presenti soprattutto nel viso e
nella parte inferiore del tronco (ma alla base di questa reazione ci sono anche altri
meccanismi, poiché non viene azzerata dai -bloccanti).
234
Piso
E e NE inducono una ridistribuzione di sangue nel caso di una reazione di lotta o fuga. Gli
effetti delle catecolamine si verificano solo in presenza di cortisolo la sua presenza è
necessaria affinché possano agire le catecolamine (effetto permissivo).
Altri cambiamenti generalmente associati allo stress comprendono un della secrezione di
ADH da parte della neuroipofisi, un del rilascio di renina da parte dei reni ed un dei livelli
plasmatici di angiotensina II. Queste riposte aiutano a mantenere entro limiti normali la
pressione sanguigna e quindi garantiscono adeguati livelli di flusso ematico al cuore e al
cervello. Questa risposta allo stress generalizzata e stereotipata è definita sindrome di
adattamento generale. I glucocorticoidi sono necessari anche per la secrezione dell’ormone
della crescita (in sinergia con gli ormoni tiroidei) e per mantenere la normale responsività dei
vasi sanguigni agli stimoli vasocostrittori quali quelli indotti dall’attività del sistema nervoso
simpatico, dall’adrenalina e dall’angiotensina II.
Esistono vari recettori adrenergici: 1 agisce inducendo il
rilascio di Ca2+ dal RE attraverso l’attivazione della PLC
ed è localizzato a livello della muscolatura liscia
intestinale ( rilasciamento), vasale, bronchiale,
sfinteriale ( costrizione), mentre a livello epatico
stimola la glicogenolisi; 2 agisce inibendo la
formazione di cAMP; stimola la formazione di cAMP:
1 agisce sul cuore con effetto cronotropo ed inotropo
positivo e sulle cellule iuxtaglomerulari controllando il
rilascio di renina promuove la trasformazione di
angiotensinogeno in angiotensina I, che viene convertita
dall’ACE in angiotensina II per la cui efficacia sulle
arteriole è necessario cortisolo (forse modula anche il
rilascio stesso di renina); 2, sito a livello della
muscolatura liscia d’organo e vasale ne stimola il
rilasciamento, nel fegato e nel muscolo scheletrico
stimola la glicogenolisi; 3 stimola la lipolisi a livello del
tessuto adiposo.
L’adrenalina, dal punto di vista metabolico, esalta
specialmente l’utilizzazione dei grassi ( 3: lipolisi
acidi grassi liberi possono essere trasformati a livello epatico in corpi chetonici utilizzabili dal
SN) in condizioni di stress, come nell’esercizio fisico intenso e negli stati ansiosi. L’effetto
iperglicemizzante dell’adrenalina (glicogenolisi epatica) è più rapido di quello del cortisolo
(gluconeogenesi). Riguardo la glicemia l’adrenalina inibisce inoltre la produzione di insulina e
stimola la secrezione di glucagone. Il glucosio rilasciato in circolo viene dirottato al cervello,
mentre i grassi vengono utilizzati dagli altri tessuti.
L’adrenalina accelera le reazioni biochimiche aumenta il metabolismo basale.
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Piso
glucosio, acidi grassi liberi, GC e Pa); inibizione delle risposte infiammatorie e delle funzioni
viscerali; del senso di fame perché viene rilasciato CRH che inibisce i centri della fame;
vengono bloccate la crescita, la funzione riproduttiva, l’ovulazione, il desiderio sessuale;
l’inibizione dei neuroni noradrenergici centrali provoca l’attivazione di uno stato psicologico
di aggressività e difesa detto arousal.
Insulina
È secreta dalle cellule delle isole di Langerhans ed è uno dei 5 ormoni che controllano la
glicemia. Alcune cellule funzionano prevalentemente con il glucosio (cervello, retina, epitelio
germinativo delle gonadi) se la glicemia, per l’effetto osmotico del glucosio, le cellule
raggrinziscono, viceversa se .
La storia dell’insulina subisce un’accelerazione nel 1869 quando Langerhans descrisse le
omonime isole. Banting, chirurgo, preparando un seminario sulle isole di Langerhans, pensò
di legare i dotti pancreatici si distruggevano gli acini ma non le isole di Langerhans.
Assieme al fisiologo Macleod iniziò a trattare cani con pancreas rimosso ( diabete indotto)
con il fattore che ricavavano dalle isole (nobel nel 1923).
Pancreas endocrino
L’emivita biologica dell’insulina è di ≈ 5 minuti dal momento della sua secrezione in circolo
ed è catabolizzata (75-80%) a livello epatico e renale. Il 50-60% dell’insulina è degradata nel
fegato durante il primo passaggio.
All’aumentare della concentrazione del
glucosio extracellulare, in presenza di
insulina, aumenta la concentrazione del
glucosio nel citoplasma delle cellule
muscolari e adipose.
Una cellula muscolare o adiposa in
condizioni basali ha vescicole
secretorie sulle cui membrane si
trovano proteine trasportatrici del glucosio (GLUT-4). Se l’insulina lega i suoi recettori su
queste cellule attiva una cascata Ca2+-dipendente che induce l’esocitosi delle vescicole
GLUT-4 risulta inserito nella membrana la permeabilità della cellula al glucosio.
Stranamente il muscolo scheletrico in attività non richiede insulina per la captazione di
glucosio poiché durante la contrazione, l’aumento del Ca2+ citoplasmatico, induce il processo
di fusione delle vescicole GLUT-4 viene inserito nella membrana cellulare
l’assorbimento di glucosio ( i diabetici dovrebbero fare sport per bruciare il glucosio).
I trasportatori del glucosio sono: GLUT-1 (eritrociti); GLUT-2 (epatociti e membrane
basolaterali delle cellule epiteliali renali ed intestinali); GLUT-3 (neuroni); GLUT-4 (insulino-
dipendente: muscoli ed adipociti); GLUT-5 (trasportatore del fruttosio: membrana apicale
delle cellule epiteliali intestinali).
Gli epatociti presentano GLUT-2 (insulino-indipendente), ma l’insulina influenza
indirettamente il trasporto di glucosio nelle cellule epatiche: per la legge di azione di massa, il
gradiente di concentrazione nell’epatocita viene mantenuto basso dall’insulina il glucosio
può entrare più facilmente. Essa stimola infatti la glucochinasi (glucosio glucosio-6-P)
mantenendo bassa la concentrazione del glucosio nell’epatocita stesso GLUT-2 può
funzionare meglio. Negli stadi post-assimilativi, quando l’insulinemia scende, si promuove la
glicogenolisi e la gluconeogenesi concentrazione del glucosio nell’epatocita viene
riversato in circolo tramite GLUT-2. In assenza di insulina il fegato, incapace di
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Piso
Cellule
Le cellule rilasciano insulina in circolo rispondendo ad un aumento della glicemia: il
glucosio entra con GLUT-2 utilizzo
metabolico ATP e ADP
l’attività dei canali del K+ sensibili
all’ATP (Kir 6.2) l’equazione di
Goldman ci dice che quando diminuisce
la permeabilità di membrana al K+
mentre rimane una minima permeabilità
al Na+ abbiamo depolarizzazione di
membrana apertura dei canali per il
Ca2+ voltaggio-dipendenti di tipo L
entra Ca2+ esocitosi di vescicole
contenenti insulina. Esistono farmaci che
inibiscono questi canali al K+
(sulfanilurea depolarizzazione
secrezione di insulina) e farmaci che ne stimolano l’attività (diazossido secrezione di
insulina).
I Kir 6.2 sono associati a recettori per le sulfaniluree (SUR1) a formare un ottamero. Nei
bambini, mutazioni loss of function per queste due proteine causano, per l’equazione di
Goldman (K+ non può uscire), depolarizzazione insulinemia glicemia: Persistent
Hyperinsulinaemic Hypoglycaemia of Infancy (PHHI).
La secrezione di insulina può essere anche influenzata dall’elevata funzionalità dell’apparato
gastroenterico: i cibi ingeriti stirano i recettori
dell’apparato digerente si attivano neuroni
afferenti che informano della presenza di cibo
nell’intestino il SNC neuroni efferenti attivano le
cellule rilascio di insulina in circolo.
Il SN parasimpatico (ACh) stimola la PLC IP3
Ca2+ rilascio di insulina; il SN simpatico ha
un effetto inibitorio tramite l’attivazione dei
recettori 2 cAMP secrezione di insulina.
Se la glicemia sale oltre i 100 mg/100 ml, la
secrezione di insulina aumenta, se scende sotto
questo valore la secrezione di insulina diminuisce.
I valori normali di glicemia sono 70-109 mg/100 ml
(109-125 mg/100 ml = prediabete o intolleranza al
glucosio; > 125 mg/100 ml = diabete).
Effetti metabolici
L’insulina consente la captazione del glucosio a livello del tessuto muscolare, epatico ed
adiposo; permette la captazione degli aminoacidi dal circolo (effetto anabolizzante, importante
per la crescita) il paziente diabetico riferisce una debolezza muscolare perché la carenza di
insulina ha effetto catabolizzante; a livello del tessuto adiposo inibisce la lipasi ormone-
sensibile inibita la lipolisi, favorendo la lipogenesi.
La rimozione di pancreas e ipofisi causa un blocco della crescita (mancanza di insulina e GH);
se si tratta il soggetto con solo GH o sola insulina si nota solo un piccolo effetto. Se si tratta il
soggetto sia con GH che con insulina si osserva un normale ritorno alla crescita ruolo
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Glucagone
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Somatostatina (GHIH)
Ha un ruolo nel controllo della crescita (GH), ma viene rilasciato anche quando i livelli di
glicemia, amminoacidi e acidi grassi nel sangue poiché vanno a stimolare le cellule delle
isole di Langerhans che producono l’ormone.
La somatostatina inibisce, con meccanismo paracrino sulle cellule e , la produzione di
glucagone ed insulina utilizzazione ed immagazzinamento dei principi nutritivi
prolungata disponibilità e minor esaurimento; inoltre inibisce anche la funzione del sistema
gastroenterico (secrezione, motilità stomaco, duodeno e cistifellea, assorbimento) tempo
di riassorbimento riduce il rapido passaggio dei principi nutritivi dal sistema gastroenterico
al circolo sanguigno, rendendo più duratura la presenza dei principi nutritivi (stratagemma per
bypassare le vie di mobilitazione e le vie di immagazzinamento).
La concentrazione di Ca2+
(calcio ionizzato) nel LEC è
2,4 mEq/l, mentre nel LIC è
0,0001 mEq/l.
La concentrazione dei fosfati
(calcolata dosando il fosforo)
nel LEC è 3-4 mEq/l (il pH
influenza la concentrazione),
mentre nel LIC è 75 mEq/l.
Normalmente introduciamo
2+
con la dieta 1 g di Ca al giorno (equivalente di 1 l di
latte), ma il suo riassorbimento è difficile (350 mg): 800
mg vengono escreti con le feci (anche perché molte delle
secrezioni gastroenteriche contengono calcio: 150 mg) e
200 mg con le urine, a seconda della concentrazione
plasmatica. Il Ca2+ riassorbito va a formare, con quello
scambiabile osseo e quello presente nel LEC e nel LIC, un
pool a rapido scambio: un magazzino di Ca2+ utile per
controllare la calcemia.
Il fosfato viene riassorbito, come tutti gli anioni, più facilmente (65%) e lo troviamo in buona
parte nei tessuti molli (ad esempio sotto forma di ATP) e nello scheletro sotto forma di fosfato
di Ca2+ o idrossiapatite. L’escrezione urinaria del fosfato è regolata da una soglia renale (1
mM/l). Variazioni della fosfatemia non provocano condizioni così gravi come variazioni della
calcemia.
L’osso è costituito per un 30% da matrice organica (fibre collagene che orientandosi lungo le
linee di forza conferiscono all’osso resistenza alla tensione) e per un 70% da idrossiapatite
(sali cristallini di fosfato di Ca2+: (Ca3(PO4)2)3 · Ca(OH)2), che conferisce resistenza alla
compressione, e sali di Na+, K+, Mg2+, piombo, uranio, plutonio (in caso di contaminazione da
radiazioni questi elementi si accumulano dando luogo a sarcoma osteogenico).
Le concentrazioni di Ca2+ e fosfato nel LEC sono tali che questi ioni dovrebbero precipitare
formando sali insolubili; inibitori, quali il pirofosfato, impediscono tale precipitazione nel
plasma ed in quasi tutti i tessuti corporei, tranne che nell’osso (l’inibizione della sua attività
favorisce la precipitazione e cristallizzazione).
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Paratormone e calcitriolo
L’ormone che gioca un ruolo fondamentale nel controllo della calcemia è il paratormone
(PTH), secreto dalle cellule principali delle quattro ghiandole paratiroidee (in passato
scambiate per accumuli di grasso per la loro consistenza e
rimosse dai chirurghi assieme alla tiroide). Le ghindole
paratiroidee hanno la capacità di ipertrofizzare a seconda
delle necessità di Ca2+ (avviene in gravidanza, lattazione,
rachitismo o in seguito ad exeresi di 2-3 ghiandole).
Nel controllo della calcemia gioca un ruolo fondamentale
anche il calcitriolo, il metabolita attivo della vitamina D,
che si comporta a tutti gli effetti come un ormone.
Il 7-deidrocolesterolo a livello cutaneo viene trasformato
in colecalciferolo (vitamina D3; altrimenti assunta con la
dieta) mediante irraggiamento (raggi solari) e
immagazzinato nel fegato (copre il fabbisogno del
soggetto per 2-3 mesi) che lo trasforma in 25-
idrossicolecalciferolo (trasformazione controllata da un
meccanismo a feedback negativo importante perché:
tende a non far variare i livelli di 25-
idrossicolecalciferolo riversato in circolo al variare dell’assunzione di vitamina D; così il
fegato controlla i livelli di vitamina D immagazzinata; impedisce che vengano stimolati gli
eventi biochimici che sono controllati da quest’ormone); a livello renale viene idrossilato in
1,25-diidrossicolecalciferolo (calcitriolo: trasformazione controllata dall'ormone paratiroideo)
che agisce a livello intestinale ( il riassorbimento di Ca2+), osseo (ad alte concentrazioni
agisce come il PTH, promuovendo rimozione di Ca2+ dal tessuto osseo, a basse dosi, ne
favorisce la deposizione; inoltre il PTH non riesce ad agire agevolmente in assenza di
vitamina D) e renale la concentrazione del Ca2+ nel plasma (feedback negativo
concentrazione di PTH nel plasma).
Nel caso in cui siamo in una condizione in cui la calcemia è normale (o ipercalcemia), la
fosfatemia è normale (o iperfosfatemia) i
livelli di vitamina D sono sufficienti il
fegato trasforma il 25-idrossicolecalciferolo
in 24,25-diidrossicolecalciferolo che è un
metabolita molto meno attivo. Viceversa
abbiamo visto che, quando abbiamo carenza
di vitamina D, ipocalcemia, ipofosfatemia
PTH il 25-idrossicolecalciferolo
diventa 1,25-diidrossicalciferolo.
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Piso
In condizioni normali la concentrazione di Ca2+ nel plasma è 9,4 mg/100 ml: se rapidamente
la calcemia secrezione di PTH fino a 3 ng/ml (effetto acuto: curva rossa); in gravidanza,
lattazione, rachitismo (condizioni croniche di
aumentata esigenza di Ca2+) osserviamo una
modificazione del meccanismo di controllo a
feedback negativo della secrezione del PTH (linea
blu tratteggiata) il sistema diventa sensibilissimo
(curva molto pendente): bastano piccole variazioni
della concentrazione di Ca2+ (100 g/100 ml) perché
aumenti molto la secrezione di PTH poiché le
ghiandole paratiroidee in queste condizioni
diventano più attive.
Il calcitriolo va nel nucleo dove attiva la trascrizione
dei geni deputati al trasporto del Ca2+ (per gli
enterociti): canali per il Ca2+, trasportatori del Ca2+,
2+ 2+
Ca ATPasi. La concentrazione del Ca citoplasmatico non può aumentare troppo (altrimenti
indurrebbe l’apoptosi) reso inefficace tramite il suo
legame alla calbindina (e poi pompato nell’interstizio
dalle Ca2+-ATPasi o dallo scambiatore Ca2+/Na+) o
mediante il suo immagazzinamento in vescicole
secretorie la cui fusione con la membrana basolaterale fa
sì che il calcio venga esocitato nello spazio interstiziale e
quindi possa entrare nel circolo sanguigno.
Il PTH provoca rapidamente anche una diminuzione della
fosfatemia favorendo l’escrezione renale del P.
243
Piso
Calcitonina
È un ormone proteico secreto dalle cellule parafollicolari (cellule C) della tiroide ed ha effetto
opposto al PTH: la calcemia (rallenta il riassorbimento e accelera la deposizione).
Nell’adulto il ruolo di quest’ormone sembra essere marginale poiché il processo di
riassorbimento e deposizione di Ca2+ è di modesta identità ( la rimozione della tiroide non
provoca grandi variazioni nella calcemia) mentre è importante durante la crescita ai fini del
rapido rimodellamento osseo.
La calcitonina riduce l’attività osteoclastica, la formazione di nuovi osteoclasti ed il processo
della osteolisi osteocitica favorita deposizione dell’osso. La riduzione della calcemia è però
solo transitoria: si osserva in tempi rapidi, ma poi alla riduzione dell’attività osteoclastica
consegue una riduzione dell’attività osteoblastica.
La calcitonina opera in modo più rapido del PTH (che opera a lungo
termine), come sistema di regolazione a breve termine della calcemia:
viene secreta non appena la calcemia diventa maggiore di 9,4 mg/100
ml.
Nel plasma troviamo: Ca2+ ionizzato che può diffondere attraverso le
membrane cellulari (50%: 2,4 mEq/l 1,2 mM/l), calcio legato alle
proteine plasmatiche (soprattutto albumina) che non può diffondere
attraverso le membrane (40%: 1 mM/l) e calcio legato al citrato e al
fosfato che, potendo essere ionizzato, può diffondere attraverso le membrane (10%: 0,2
mM/l). Il pH (acidosi e alcalosi) può far variare questi valori.
244
Piso
Variazioni della calcemia (9,4 mg/100 ml): • se scende a 6 mg/100 ml (ndr il Ca2+
intracellulare non varia molto perché abbiamo RE e mitocondrio che fungono da riserve)
tetania ipocalcemica della mano o spasmo carpopedale (ipoparatiroidismo o stadi finali del
rachitismo, quando il calcio delle ossa si esaurisce): il Ca2+ (e il Mg2+) ha un effetto
schermante (inibente) sui canali del Na+ voltaggio-dipendenti (carichi negativamente) se
Ca2+ si abbassa la soglia di apertura dei canali per il Na+ i canali si aprono più
facilmente (anche al potenziale di riposo delle fibre periferiche) arrivano treni di pda (
tetania) e viene modificata l’eccitabilità delle cellule nervose ( convulsione); • se scende a 4
mg/100 ml convulsioni occasionali, tetania generalizzata, spasmo dei muscoli laringei
(sono i più sensibili alla riduzione della calcemia) e morte per asfissia; • se aumenta a 12
mg/100 ml depressione del SN, torpidità dei riflessi, intervallo QT abbreviato, della
motilità gastrointestinale (per effetti sul SNE più che sul muscolo liscio) con stipsi ed
inappetenza; • se aumenta a 17 mg/100 ml i sali di fosfato di calcio precipitano e si
depositano (tireotossicosi) morte.
Il calcio legato all’albumina si lega a residui amminoacidici che possono anche legare H+
competizione sterica: in acidosi il calcio legato all’albumina plasmatica diminuisce, perché
viene scalzato dai protoni, e aumenta il Ca2+ libero e diffusibile (in alcalosi avviene l’inverso).
Riassorbimento renale
Nel nefrone abbiamo un riassorbimento del 70% del Ca2+ filtrato a
livello del tubulo prossimale; un 9% a livello del tubulo contorto
distale e parte del dotto collettore favorito dal PTH e in misura
minore dal calcitriolo; a livello del tratto ascendente dell’ansa di
Henle viene riassorbito un altro 20% del Ca2+ filtrato perdiamo
solamente l’1% con le urine.
In assenza di PTH escrezione di Ca2+ calcemia tetania
ipocalcemica.
L’80% del fosfato viene riassorbito a livello del tubulo prossimale:
quota controllata dal PTH che inibisce il riassorbimento del fosfato
favorendone l’escrezione; un altro 10% viene riassorbito a livello del
tubulo distale 10% viene escreto con le urine (1 mM/l è la soglia
renale per il riassorbimento di fosfato).
Processi di trasporto nel tubulo prossimale: il fosfato (nel disegno
“S”) a livello del tubulo prossimale viene riassorbito con un simporto
Na+-dipendente e poi passa nell’interstizio tramite canali ionici o in
scambio con anioni.
Per il Ca2+: • via paracellulare (80%): grazie a proteine trasportatrici si
ha il riassorbimento transcellulare di Na+, aminoacidi, bicarbonato
etc… i quali hanno un forte potere osmotico nella parte iniziale del
tubulo prossimale viene riassorbita H2O (riassorbimento transcellulare
(acquaporine) e paracellulare) che si trascina dietro Na+ (solvent drag) concentrazione
245
Piso
canali per il Cl− o in simporto con il K+ (entrato con la pompa Na+/K+). Il riassorbimento di
Cl−, considerando che il K+ torna nel lume, genera un
potenziale trans-tubulare di 8 mV (positivo nel lume) forza
motrice che permette al Ca2+ e al Mg2+ di essere riassorbiti (via
paracellulare).
L’attività di NKCC è sotto il controllo di un recettore per il
Ca2+ che monitora la calcemia ed è inibita dai diuretici
dell’ansa (furosemide: per diminuire la Pa) che aumentano
l’escrezione di Mg2+ e Ca2+ (l’uso cronico causa
ipomagnesemia; non ipocalcemia poiché il Ca2+ è attivamente
riassorbito nel tubulo contorto distale) positività luminale
(perché se NKCC non funziona rimane Cl− nel lume) la
forza che permette il riassorbimento di Ca2+. Tuttavia nel
trattamento acuto dell’ipercalcemia l’escrezione renale di calcio può essere drammaticamente
aumentata dagli agenti dell’ansa e da infusioni saline associate.
Processi di trasporto nel tubulo contorto distale e nella prima parte del dotto collettore:
il riassorbimento del Ca2+ nel tubulo contorto distale è esclusivamente transcellulare ed è sotto
il controllo del PTH. A questo livello, sulla membrana apicale, è
presente un trasportatore che fa entrare Na+ e Cl−; il Na+ viene
quindi estruso nell’interstizio con la pompa Na+/K+ (K+ riesce
per far continuare a funzionare la pompa) e il Cl− viene
riassorbito in simporto con il K+. Il Ca2+ entra dal versante
luminale attraverso trasportatori per il Ca2+ (TRPV6) e poi va
nell’interstizio mediante contro-trasporto col Na+.
I diuretici tiazidici (idroclorotiazide) inibiscono l’attività del
trasportatore Na+/Cl− concentrazione intracellulare di Na+
attività dello scambiatore Ca2+/Na+ favorito il
riassorbimento di Ca2+: ciò non provoca ipercalcemia, ma
potrebbe mettere in evidenza un’ipercalcemia indotta da
iperparatiroidismo, da carcinomi o da sarcoidosi (farmaci che possono favorire la diagnosi).
L’omeostasi del Ca2+ viene mantenuta grazie a intestino (controllata da PTH e calcitriolo),
osso (PTH, calcitriolo, calcitonina e cortisolo) e reni (PTH, calcitriolo e calcitonina).
246
Piso
I testicoli secernono vari ormoni sessuali maschili (androgeni); quello prodotto in quantità
maggiori è il testosterone che nei tessuti viene convertito quasi tutto in diidrotestosterone,
che è un ormone più attivo. Il testosterone è sintetizzato dalle cellule interstiziali di Leydig,
site negli intestizi tra i tubuli seminiferi; queste cellule scarseggiano nel bambino, mentre sono
numerose nelle prime settimane della sua vita e nell’adulto a partire dalla pubertà.
Le surrenali secernono vari tipi di androgeni (anche l’ovaio in piccole quantità), ma il loro
effetto mascolinizzante è modesto (non si apprezza neppure nella donna); però se la loro
quantità aumenta molto, come nel caso di tumori del surrene secernenti androgeni, stimolano
la comparsa dei caratteri sessuali secondari maschili nel maschio prepuberale e nella donna:
sindrome surreno-genitale (nel maschio adulto la diagnosi è difficile; utili ai fini diagnostici è
l’aumento dell’eliminazione urinaria dei 17-chetosteroidi).
Il testosterone, come gli altri androgeni, è uno steroide (può essere sintetizzato a partire dal
colesterolo o direttamente dall’acetil-CoA) e non appena secreto si lega labilmente alle
albumine plasmatiche o più stabilmente ad una -globulina (globulina legante steroidi
sessuali) con le quali raggiunge i tessuti, dove viene convertito in diidrossitestosterone; il
testosterone che non si fissa nei tessuti viene rapidamente trasformato, soprattutto dal fegato,
in androsterone e deidroepiandrosterone che vengono coniugati ed escreti con la bile o con le
urine.
Nel maschio vengono prodotte anche piccole quantità di estrogeni (1/5 della donna) a partire
dal testosterone dal fegato e dalle cellule del Seroli (alta concentrazione nel liquido dei tubuli
seminiferi) con probabili funzioni nella spermatogenesi.
Effetti
Durante lo sviluppo fetale e per circa 10 settimane dopo la nascita le gonadotropine corioniche
di origine placentare stimolano i testicoli a produrre testosterone; quindi, fino a 10-13 anni,
non viene prodotto testosterone, la cui produzione aumenta all’inizio della pubertà sotto lo
stimolo degli ormoni gonadotropi secreti dall’ipofisi anteriore (rallenta dopo i 50 anni:
climaterio maschile).
247
Piso
Il cromosoma maschile, attorno alla settima settimana, stimola la cresta genitale a secernere
testosterone responsabile dello sviluppo di pene, scroto, prostata, vescichette seminali e vie
spermatiche, mentre inibisce la formazione degli organi genitali femminili.
Il testosterone rappresenta anche lo stimolo necessario alla discesa dei testicoli (solitamente
II/III mese di gestazione; altrimenti alla nascita si somministra testosterone che li fa
discendere se i canali inguinali sono normali).
L’aumento della secrezione di testosterone durante la pubertà fa aumentare le dimensioni di
pene, scroto e testicoli e induce lo sviluppo dei caratteri sessuali secondari; modifica la
distribuzione del sistema pilifero, induce la calvizie (dipendente anche e soprattutto dalla
predisposizione genetica), cambia la voce (dovuta a ipertrofia della mucosa laringea e
ingrossamento del laringe), fa aumentare lo spessore della cute, stimola la secrezione delle
ghiandole sebacee ( si manifesta l’acne che scompare con gli anni perché la pelle si adatta),
promuove la sintesi proteica (ormone anabolizzante) e lo sviluppo muscolare, stimola la
formazione della matrice ossea (dipende dalla sua capacità anabolizzante proteica) e la
ritenzione del calcio (fa sì che la pelvi sia più stretta, lunga, resistente e a forma di imbuto
rispetto a quella femminile; velocizza l’accrescimento delle ossa lunghe, ma favorisce la
saldatura tra epifisi e diafisi bloccando l’allungamento), durante l’adolescenza fa aumentare il
metabolismo basale del 5-10% (conseguenza dell’effetto anabolico perché enzimi
attività cellulare), fa aumentare il numero di globuli rossi del 15-20% (grazie all’azione
anabolizzante), stimola il riassorbimento di Na+ nei tubuli distali (in misura minore rispetto ai
mineralcorticoidi del surrene), stimola la spermatogenesi (fondamentale per la divisione delle
cellule germinali).
• Meccanismo intracellulare: questi effetti sono dovuti all’aumento di produzione di proteine
nelle cellule bersaglio; es.: nelle cellule prostatiche il testosterone viene convertito dalla 5 -
riduttasi in diidrotestosterone che si combina con una proteina citoplasmatica e il complesso
migra nel nucleo dove va a stimolare la trascrizione. Studi recenti hanno dimostrato che il
testosterone ha anche effetti rapidi non genomici.
• Controllo: l’ormone liberatore delle gonadotropine (GnRH) è un peptide di 10 aa secreto
ciclicamente per alcuni minuti ogni 1-3 ore da neuroni dei nuclei arcuati dell’ipotalamo e
tramite il sistema portale ipotalamo-ipofisario raggiunge l’ipofisi anteriore dove stimola la
secrezione delle glicoproteine LH ed FSH da parte delle cellule gonadotrope che agiscono sui
rispettivi tessuti bersaglio nel testicolo mediante il sistema del
cAMP. La secrezione di LH segue la secrezione pulsatile del
GnRH (perciò detto anche LHRH), mentre quella di FSH lo fa
meno fedelmente.
L’LH stimola le cellule interstiziali di Leydig a secernere
testosterone che a sua volta agisce a livello dell’ipotalamo
inibendo la secrezione di GnRH LH e FSH.
L’FSH si lega a recettori specifici siti sulle cellule di Sertoli
facendo crescere queste cellule e inducendole a secernere
sostanze spermatogeniche sia l’FSH che il testosterone sono
indispensabili per la spermatogenesi.
In seguito ad una spermatogenesi troppo attiva le cellule di
Sertoli secernono inibina, un ormone glicoproteico che agisce a
livello dell’ipofisi anteriore inibendo la secrezione di FSH e in
minor misura a livello ipotalamico inibendo la secrezione di
GnRH.
Anche fattori psichici che coinvolgono il sistema limbico e
l’ipotalamo possono influenzare la secrezione di GnRH.
Durante la gravidanza la placenta secerne gonadotropina
248
Piso
corionica umana (hCG) che circola sia nella madre che nel feto esercitando gli stessi effetti
dell’LH se il feto è maschile promuove la secrezione di testosterone.
Patologie associate
Spesso negli uomini anziani si può sviluppare nella prostata un fibroadenoma benigno che può
provocare stenosi ureterale e ritenzione urinaria; questo tipo di cancro cresce rapidamente
sotto l’azione del testosterone trattamenti con estrogeni od ablazione dei testicoli.
Ipogonadismo: l’ablazione dei testicoli prima della pubertà porta ad enuchismo persistenza
di caratteristiche sessuali infantili per tutta la vita; l’ablazione dei testicoli dopo la pubertà fa
sì che solo alcuni caratteri sessuali secondari regrediscano (distribuzione peli, robustezza ossa
e muscolatura). Alcuni casi di ipogonadismo (sindrome adiposo-genitale o eunuchismo
ipotalamico) sono dovuti all’incapacità dell’ipotalamo di secernere quantità normali di GnRH
e vi si associa iperfagia (per la vicinanza dei centri della fame) e quindi obesità.
Ipergonadismo: i tumori delle cellule interstiziali sono rari e fanno sì che aumenti fino a 100
volte la produzione di testosterone sviluppo esagerato dei genitali e dei caratteri sessuali
secondari (difficile diagnosi nel maschio adulto); i tumori dell’epitelio germinativo sono più
frequenti e poiché le cellule germinali hanno la capacità di differenziarsi in qualsiasi altro tipo
di cellule questi tumori includono tessuti di varia natura (peli, denti, ossa…) e la massa
tumorale viene detta teratoma.
La vita fertile della donna è caratterizzata da variazioni ritmiche mensili della secrezione degli
ormoni sessuali che comporta una serie di modificazioni a carico delle ovaie e degli annessi
dell’apparato riproduttivo a caratterizzare il ciclo sessuale della donna che dura in media 28
giorni (fisiologicamente può durare da 20 a 45 giorni purché non vari la durata) i cui eventi
fondamentali sono la liberazione dalle ovaie di un solo uovo maturo per ciclo e le
modificazione dell’endometrio che si prepara ad accogliere l’uovo fecondato.
Intorno ai 9-10 anni l’ipofisi comincia a secernere quantità crescenti di ormoni gonadotropi
che culmina con l’avvio dei cicli mensili a 11-16 anni con il menarca (prima mestruazione).
Durante ciascun ciclo si ha un picco di sia di FSH che di LH che legano i propri recettori sulle
cellule ovariche e attivano il sistema del cAMP ( PK fosforilazione degli enzimi chiave).
Ciclo ovarico
Alla nascita ogni uovo è circondato da un singolo strato di
cellule della granulosa (follicolo primordiale) che lo
nutrono e, secernendo il fattore inibente la maturazione
dell’oocita, lo mantengono in profase; dopo la pubertà la
secrezione degli ormoni gonadotropi stimola la
maturazione dei follicoli.
• Fase follicolare: nei primi giorni del ciclo aumentano
leggermente FSH e LH (dopo qualche giorno e meno) che
provocano una rapida crescita di 6-12 follicoli primari:
proliferano le cellule della granulosa che si dispongono su
più strati, si sviluppa una teca interna (in grado di secernere, come la granulosa, ormoni
steroidei) e una teca esterna; dopo qualche giorno le cellule della granulosa iniziano a
secernere un liquido follicolare ricco di estrogeni con formazione dell’antro; quindi gli
estrogeni stimolano le cellule della granulosa ad aumentare i recettori per l’FSH (feedback
positivo) la cui azione combinata con gli estrogeni promuove la formazione di recettori anche
per l’LH molto l’attività proliferativa e secretoria (follicoli vescicolosi: sviluppo
249
Piso
esplosivo). Dopo una settimana uno dei follicoli comincia ad accrescersi (più recettori per
ormoni) più degli altri, che vanno incontro ad atresia, fino a diventare un follicolo maturo (≈ 1
cm).
Due giorni prima dell’ovulazione la secrezione di LH aumenta di 6-10 volte raggiungendo il
picco 16 ore prima dell’ovulazione e l’FSH aumenta di 2-3 volte l’azione sinergica dei due
ormoni fa aumentare molto il volume del follicolo negli ultimi giorni; inoltre l’LH trasforma
le cellule della teca da cellule secernenti estrogeni a cellule secernenti progesterone
estrogeni e progesterone. In queste condizioni, al 14° giorno (in un ciclo di 28), la teca
esterna comincia a rilasciare enzimi proteolitici dai lisosomi indebolendo la parete del
follicolo che protrude sulla superficie dell’ovaio (stigma) e si ha iperemia follicolare
(formazione di nuovi vasi) e secrezione di PG (vasodilatano) trasuda plasma nel follicolo
rigonfiamento fino a rottura dello stigma uscita nella cavità addominale dell’uovo
circondato dalla corona radiata.
• Fase luteinica: le cellule residue della granulosa, grazie all’LH (e al fatto che non sono più a
contatto con il fattore inibente la luteinizzazione presente nel liquido follicolare) si
ingrandiscono e si caricano di inclusioni lipidiche andando a costituire il corpo luteo che
produce progesterone e in minor misura estrogeni (le cellule della teca sintetizzano androgeni
che per lo più vengono convertiti dalle cellule della granulosa in ormoni femminili); il corpo
luteo si ingrandisce (1,5 cm) fino al 7° giorno dopo l’ovulazione per poi regredire fino a
diventare verso il 12° un corpus albicans (poi sostituito da connettivo). L’involuzione del
corpo luteo è dovuta al fatto che gli estrogeni (+ inibina), e in minor misura il progesterone,
secreti dal corpo luteo hanno un potente effetto a feedback negativo sulla secrezione di FSH
ed LH la mancanza di estrogeni, progesterone ed inibina fa quindi aumentare la secrezione
di FSH e, dopo qualche giorno, di LH riavviando il ciclo.
250
Piso
Ciclo endometriale
• Fase proliferativa (estrogenica: 11 giorni): sotto l’influenza degli estrogeni le cellule stromali
ed epiteliali e i vasi sanguigni dell’endometrio proliferano fino a raggiungere uno spessore di
3-5 mm al momento dell’ovulazione; le ghiandole, che si sono accresciute, secernono un
muco sottile e filante che guida gli spermatozoi.
• Fase secretiva (progestinica: 12 giorni): il corpo luteo produce estrogeni, che stimolano la
proliferazione delle cellule dell’endometrio (fino a 5-6 mm; le ghiandole e i vasi diventano
tortuosi), e progesterone, che ne induce un notevole turgore (cellule deciduali) e ne stimola
l’attività secretiva (latte uterino: assicura la nutrizione dell’uovo fino all’annidamento). Queste
modificazioni sono atte a rendere l’ambiente adeguato all’annidamento dell’uovo fecondato.
• Mestruazione (5 giorni): se l’uovo non viene fecondato cadono bruscamente i livelli di
estrogeni e progesterone l’endometrio regredisce, si ha vasospasmo dei vasi (grazie a
sostanze vasocostrittrici) con conseguente necrosi dell’endometrio dello strato vascolare e
fuoriuscita di sangue che vengono espulsi grazie a contrazioni uterine (non c’è coagulo perché
è presente fibrinolisina; sono presenti anche molti globuli bianchi resistenza alle infezioni).
Controllo
Durante la fase postovulatoria il corpo luteo secerne progesterone, estrogeni ed inibina
feedback negativo sull’ipofisi anteriore e sull’ipotalamo secrezione di FSH ed LH.
2-3 giorni prima della mestruazione il corpo luteo regredisce manca inibizione a feedback
i nuclei arcuati dell’ipotalamo (ricevono afferenze dal sistema limbico) secernono GnRH
FSH e dopo qualche giorno LH maturazione di nuovi follicoli secrezione di
estrogeni che inibisce leggermente la secrezione di FSH ed LH; 1-2 giorni prima
dell’ovulazione, forse a causa dell’alto livello di estrogeni (o grazie all’avvio della secrezione
di progesterone da parte dei follicoli), si ha un processo a feedback positivo sull’ipofisi
anteriore che induce un brusco aumento di LH (e in minor misura di FSH) che provoca
l’ovulazione e la successiva trasformazione del follicolo deiscente in corpo luteo (se il picco
di LH non è adeguato si ha un ciclo anovulatorio).
Pubertà e menopausa
La pubertà è causata da un graduale aumento della secrezione di gonadotropine da parte
dell’ipofisi anteriore (forse perché si raggiunge la maturità di qualche area del sistema
limbico) a partire dagli 8 anni e culmina con il menarca (prima mestruazione) verso i 13 anni.
A 40-50 anni si ha una fase della vita detta menopausa in cui i cicli diventano irregolari, molti
anovulatori, fino a cessare del tutto e quasi si azzera la secrezione di ormoni sessuali
femminili a causa dell’esaurimento delle ovaie (pochi follicoli primordiali poco estrogeno
manca inibizione di FSH ed LH e non si riesce ad indurre il picco preovulatorio, si hanno
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Piso
Patologie associate
Ipogonadismo: se le ovaie mancano fin dalla nascita si manifesta eunuchismo femminile in cui
non compaiono i caratteri sessuali secondari e gli organi sessuali rimangono infantili; se si
asportano le ovaie dopo lo sviluppo sessuale i caratteri sessuali regrediscono parzialmente
(come in menopausa) e il ciclo non può avvenire regolarmente (anche in ipotiroidismo).
Ipersecrezione ovarica: si manifesta solo se sostenuta da un tumore (poiché altrimenti induce
feedback negativo).
Gravidanza
Poco prima di essere espulso dal follicolo l’oocita primario si divide emesso il primo
globulo polare e l’oocita secondario, ciascuno contenente 23 cromosomi, che con la corona
radiata viene preso dalle fimbrie per andare nelle tube e incontrare le poche migliaia di
spermatozoi sopravvissuti e giunti alle ampolle. Una volta che lo spermatozoo entra nell’uovo
questo si divide a formare il secondo globulo polare e l’uovo maturo; questo in 3-4 giorni si
divide molte volte (blastocisti) e raggiunge l’utero dove in altri 3-4 giorni avviene l’impianto
grazie agli enzimi proteolitici delle cellule del trofoblasto. Inizialmente l’oocita trae
nutrimento dal latte uterino, quindi dalle cellule deciduali e, dal 16° giorno dalla
fecondazione, dalla placenta.
• Gonadotropina corionica umana (hCG): è una glicoproteina con caratteristiche simili
all’LH secreta dal sincizio trofoblastico nel sangue materno a partire dall’impianto della
blastocisti; la secrezione aumenta fino alla 10-12a settimana per poi diminuire un po’ e
rimanere stabile fino alla fine della gravidanza. Impedisce l’involuzione del corpo luteo alla
fine del ciclo e lo stimola a secernere quantità crescenti di progesterone ed estrogeni (
l’utero continua a crescere e non si ha la mestruazione); dopo 7-12 settimane la placenta è in
grado di secernere quantità di progesterone ed estrogeni sufficienti a garantire lo stato
gravidico il corpo luteo regredisce tra la 13a e la 17a settimana. Inoltre l’hCG, nei feti di
sesso maschile, stimola le cellule interstiziali del testicolo a secernere testosterone.
• Estrogeni: la placenta (sincizio trofoblastico) sintetizza estrogeni a partire da androgeni
secreti dalla corticale del surrene della madre e del feto e la secrezione alla fine della
gravidanza è di circa 30 volte maggiore di quella normale.
Gli estrogeni inducono l’ingrossamento dell’utero, l’ingrossamento delle mammelle e lo
sviluppo dei dotti della ghiandola mammaria, l’ingrossamento dei genitali esterni della donna,
fanno rilasciare i legamenti pelvici rendendo più agevole il passaggio del feto attraverso il
canale del parto e probabilmente influiscono sullo sviluppo del feto.
• Progesterone: inizialmente è prodotto dal corpo luteo, quindi dalla placenta e aumenta di
circa 10 volte durante la gravidanza. Stimola lo sviluppo delle cellule deciduali
nell’endometrio, inibisce la contrattilità dell’utero gravido, contribuisce allo sviluppo
dell’embrione, partecipa al processo di preparazione delle mammelle per la lattazione.
• Somatomammotropina corionica umana: glicoproteina prodotta dalla placenta a partire
dalla 5a settimana la cui secrezione aumenta per tutta la gestazione. Provoca lo sviluppo delle
mammelle, effetti simili a quelli del GH (1/100), riduce la sensibilità all’insulina e
l’utilizzazione del glucosio da parte della madre e promuove la mobilitazione degli acidi
grassi dalle riserve adipose della madre maggior disponibilità per il feto.
• Altri: · l’ipofisi anteriore diventa più grande del 50% e corticotropina, tireotropina e
prolattina, mentre FSH e LH a causa del feedback negativo dovuto ad estrogeni e
progesterone secreti dalla placenta; · glicocorticoidi e aldosterone ( ritenzione di liquidi
ipertensione gravidica); · a causa dell’hCG e della tireotropina corionica umana (prodotta
252
Piso
dalla placenta) la tiroide e quindi la secrezione di tiroxina aumentano del 50%; · si ingrossano
le paratiroidi riassorbimento di calcio dalle ossa materne.
Tutto ciò porta ad un aumento delle dimensioni degli organi sessuali, un aumento di peso di
circa 10-11 kg (3 feto, 2 liquido amniotico e placenta, 1 utero, 2 mammelle, 3 sangue e LEC e
1 grasso), aumento del 15% del metabolismo.
Parto
Verso il termine della gravidanza l’utero diventa sempre più eccitabile; la contrattilità
dell’utero dipende da fattori meccanici (stiramenti intermittenti dell’utero per movimenti del
feto e stimolazione del collo dell’utero) e da fattori ormonali: • il rapporto
estrogeni/progesterone poiché il progesterone, che inibisce la contrattilità, resta costante o
diminuisce dopo il VII mese, mentre gli estrogeni, che l’aumentano aumentando le giunzioni
comunicanti, aumentano; • la neuroipofisi, stimolata ad esempio da riflessi avviati dalla
stimolazione del collo dell’utero, secerne ossitocina che stimola la contrazione dell’utero (che
è maggiormente sensibile a quest’ormone negli ultimi mesi di gestazione); • anche
l’ossitocina, il cortisolo e le PG prodotte dal feto concorrono ad aumentare la contrattilità
uterina.
Una delle contrazioni uterine può essere così intensa da avviare un feedback positivo che si
conclude con la nascita del bambino.
Lattazione
Gli estrogeni secreti durante il ciclo dalla pubertà, ma soprattutto le grandi quantità secrete
dalla placenta durante la gravidanza stimolano lo sviluppo delle ghiandole mammarie e la
deposizione di grasso a livello della mammella; in sinergia con gli estrogeni funziona il
progesterone, ma entrambi inibiscono la secrezione effettiva di latte.
La prolattina, secreta dall’ipofisi, aumenta nel sangue della madre dalla 5a settimana di
gravidanza e promuove la secrezione di latte, come pure, in minor misura, la
somatomammotropina corionica umana secreta dalla placenta; domina però l’effetto inibitore
di estrogeni e progesterone. Dopo il parto cessa la secrezione placentare di estrogeni e
progesterone in 1-7 giorni le mammelle iniziano a secernere molto latte; sono necessari
anche GH, glicocorticoidi surrenalici e PTH per rendere disponibili aminoacidi, acidi grassi,
glucosio e calcio.
Il livello di prolattina torna a livelli basali dopo il parto, ma ogni volta che la madre allatta il
bambino la suzione dei capezzoli dà origine ad impulsi nervosi che raggiungono l’ipotalamo
facendo aumentare la secrezione di prolattina di 10-20 volte per 1 ora; se tale stimolo manca,
nel giro di pochi giorni le mammelle perdono la capacità di produrre latte.
Controllo: la secrezioni di prolattina da parte dell’ipofisi anteriore è inibita dall’ormone
inibitore della prolattina (PIH) prodotto dall’ipotalamo (probabilmente coincide con la
dopamina).
Nella metà delle madri che allattano il ciclo riprende solo dopo alcune settimane dalla fine
dell’allattamento poiché gli stimoli nervosi provocati dalla suzione del capezzolo, oltre a
promuovere la secrezione di prolattina, inibiscono la secrezione di FSH e LH.
Il latte viene continuamente secreto negli alveoli, ma non scorre nei dotti; quando il lattante si
attacca al capezzolo non riceve latte per almeno 30 secondi durante i quali impulsi nervosi
raggiungono l’ipotalamo permettendo la secrezione, oltre che di prolattina, di ossitocina che
col sangue giunge alla mammella dove stimola la contrazione delle cellule mioepiteliali che
circondano la parete esterna degli alveoli permettendo l’eiezione del latte (da entrambe le
mammelle).
Il latte materno contiene acqua, grasso, molto lattosio, varie proteine, anticorpi, neutrofili e
macrofagi.
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