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Alessandro Manzoni

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Jessica Marques 4H ita

Alessandro Manzoni e i promessi sposi


Il ROMANTICISMO
Si sviluppa in Germania a fine ‘700. Oppongono alla ragione una appassionata credenza negli ideali.
Sono i fratelli Schlegel e il gruppo di Jena a scrivere una polemica antilluminista. I loro principi si
contrappongono appunta a quelli illuministi, preferiscono la religione al sensismo (superiorità dei
sensi), le coscienze non spiegabili (es. Trinità) alle conoscenze razionali, il patriottismo al
cosmopolitismo e soprattutto valorizzano l’elemento istintivo e emotivo (PATHOS).
Si diffonde per diverse ragioni e accadimenti storici. Innanzitutto, la Restaurazione, che riporta la
società sotto un controllo assoluto; la Rivoluzione Industriale che con il cambiamento di produzione
richiede sempre più manodopera, ma che tuttavia percepisce gli operai sempre di più come estensioni
delle macchine e comporta uno spostamento verso le città. Ci sono sempre più persone inquadrate
nella classe sociale borghese, gente alfabetizzata e guidata da una logica del profitto e considerano il
mondo come una risorsa da far fruttare (razionalizzazione della natura). In questa nuova società
l’intellettuale non si sente al suo posto e nasce in lui il desiderio di valorizzare le sue passioni, di
allontanarsi dalla produzione e di dedicarsi all’incalcolabile (non vuole monetizzare le sue passioni).
Nell’intellettuale romantico si produce una scissione tra io e mondo e si chiude in sé stesso. Nasce così
la CORRENTE SOGGETTIVISTICA dove si produce lirica.
La seconda corrente è quella di affrontare la spaccatura e lottare contro la società malgrado
l’impossibilità di vincere e si chiama TITANISMO, i cui eroi finiscono in modo tragico.
L’ultima possibilità è il RAPPORTO con la NATURA, dove essa diventa una forza d’attrazione e rifugio o
che mostra la sua forza sovraumana. È comune trovare il topos paesaggio-stato d’animo e le
manifestazioni della natura fanno paura ma sono anche oggetto di ammirazione.
Il romanticismo si concentra tra Germania-Inghilterra e Francia-Italia. Nel primo la scissione tra io e
mondo è di tipo ontologico, ovvero riguarda la sostanza. La lotta appare quindi insuperabile e la
letteratura è quindi in prevalenza soggettivista. In Francia e Italia non avviene una descrizione così
folgorante dell’irrazionalità e si cercano più “compromessi”, in quanto i valori illuministi erano più
radicati. Il contrasto è tra un protagonista e il mondo malvagio in cui è calato e in cui non si trova bene
perché è un idealista e il mondo continua a contraddirlo. Questo scontro è analizzato in modo
razionale e rappresentati in opere realiste.
Vediamo nello specifico il romanticismo italiano. Vengono inglobati temi dalla cultura romantica (es.
mistero, superstizione) che però sono trattati in modo illuminista. Vengono recuperati i personaggi del
popolo (a cui viene data dignità letteraria), più influenzabili e soggetti al mistero. Si interessano anche
alla storia nazionale (patriottismo) e il romanticismo italiano è quindi legato al Risorgimento. Infatti nel
1821 cominciano i movimenti risorgimentali (insurrezioni popolari contro le dominazioni straniere).
Nel ’48 c’è la prima Guerra d’Indipendenza, che fallisce mentre nel ’58 c’è la seconda che culmina con
l’unificazione italiana nel ’61. Il Risorgimento coincide con il periodo romantico e la sua letteratura
viene dunque chiamata risorgimentale. I temi vengono trattati in modo pragmatico e morale (la
letteratura è edificante, fornisce un metodo di comportamento). I testi sono comunque caratterizzati
dalla scissione io-mondo e i personaggi sono idealisti che si scontrano con il mondo ingiusto e tentano
di sopravvivere con il loro valori (libertà, patriottismo). Le opere letterarie si fanno quindi veicoli della
scissione tra io patriottico e mondo dominato da potenze straniere.

ALESSANDRO MANZONI (1785-1873) nasce da Giulia Beccaria, sposata con il vecchio Pietro Manzoni.
Che lo riconosce nonostante sia figlio di Giovanni Verri. Quando Alessandro ha sette anni, la madre
divorzia e va in Francia, mentre lui rimane in Italia e viene mandato in collegio, dove sviluppa una
antipatia verso la religione. A sedici anni lascia il collegio come un razionalista e si trasferisce a Milano
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dove viene introdotto in circoli culturali grazie al nome del nonno, Cesare Beccaria. Lì entra in contatto
con Vincenzo Monti, neoclassico, e Ugo Foscolo, pre-romantico. Mentre progetta di trasferirsi dalla
madre a Parigi, il compagno di lei, Carlo Imbonati, muore. Manzoni scrive allora il Carme, dove
Imbonati lo visita dopo essere morto e insieme si dispiacciono per il dolore di Giulia. Lui dice che averla
lasciata è il suo unico rimpianto e fa un’invettiva sulla società, che Manzoni porta avanti criticando chi
(autori) si sottomette alle autorità e al pubblico. Parini, precettore di Carlo Imbonati, viene richiamato
come esempio di poesia retta insieme a Omero. L’autore chiede allora consiglio su come rimanere sé
stesso e Imbonati gli fa un elenco.
 In morte di Carlo Imbonati, vv. 207-215, fascicolo p. 2
Dal testo si vede il legame di Manzoni con l’illuminismo, ovvero l’utilità della letteratura. Accanto si
vede però già la corrente romantica con la convinzione negli ideali (es. l’io giusto verso il vile). A ciò si
aggiungeranno poi il “sentimento verso il popolo”, la religione e l’interesse per la storia.
Va a Parigi e sviluppa un bel rapporto con la madre e incontra gli ideologues, che hanno idee simili a
quelle raccontate nel Carme. Nel 1810 si converte (soffriva di “crisi nervose” che potrebbero averlo
spinto) insieme alla moglie al cattolicesimo in quanto ha bisogno di credere, di coltivare la sua parte
sentimentale, rientra poi a Milano.
La conversione comporta una svolta nelle sue opere. Dal 1812 si dedica alla poesia religiosa, scrivendo
gli Inni Sacri (moda neoclassica). Il periodo dal 1815 al 1825 è definito gli anni dei capolavori. Scrive:
 Il conte di Carmagnola e gli Adelchi, tragedie che presentano la scissione tra mondo ingiusto e
protagonista romantico. Nella prefazione del primo, supera le tre unità aristoteliche, in quanto
limitano l’autore.
 Le odi Marzo 1821 e Il 5 Maggio, che sono poesia civile che tratta la fortuna come essa “giri” e
fa delle riflessioni sulla religione e la società
 Inizia la stesura romanesca del Fermo e Lucia, prima fase dei Promessi Sposi.
 Scrive anche trattati teorici di argomento morale e storiografico-religioso, ma anche sulla
letteratura. Riflette sul fatto che la letteratura deve avere un’integrazione della storia, in modo
da darle un valore conoscitivo.
 Lettera a Cesare d’Azeglio, “Sul romanticismo”, fascicolo p. 2
Qui afferma che in ogni narrazione devono esservi veri fatti storici. La letteratura deve essere vera,
storica, non può narrare il falso, in quanto deve essere utile (e quindi ritrovare ciò che si ha letto nella
società). Nella seconda parte della lettera emerge la profondità di Manzoni, che è consapevole
dell’indeterminatezza di certi valori estetici. Riassumiamo la sua affermazione: la letteratura deve
essere educativa (pensiero illuminista); deve rappresentare del “vero storico” (deve esserci del
contesto storico ben ricostituito) e del “vero morale” (rappresentare in modo vero la psicologia e il
carattere dei personaggi). La letteratura vuole incastrare la storia vera con storie individuali e sfruttare
temi e stilemi che piacciono al pubblico, e raggiungono quindi più gente possibile, che sono amore e
scontri.
Dagli anni ’30, Manzoni vive molti lutti, che lo portano ad un accantonamento della letteratura. Si
dedica solo alla revisione della lingua dei Promessi Sposi. Questa sua riflessione sulla lingua è
particolarmente importante, in quanto il ministro dell’istruzione del neonato stato italiano gli
commissiona un lavoro, la “Relazione intorno alla lingua e ai mezzi per diffonderla”. L’autore si era già
posto la questione, su che lingua usare per raggiungere i lettori. Dice allora che non si può usare la
lingua letteraria, ma piuttosto di scegliere il toscano, che si trova “in mezzo” e quindi ha cose in
comune con il nord e il sud, ha la più lunga tradizione letteraria e l’ultima revisione dei Promessi Sposi
è proprio in toscano.

PROMESSI SPOSI
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Ci sono tre romanzi (tre fasi di produzione): il primo è il “Fermo e Lucia”, dove vengono già definiti gli
eventi principali; la seconda edizione è la ventisettana ovvero Promessi Sposi del 1827 dove Manzoni fa
alcune revisioni linguistiche; mentre nel 1840 (quarantana) viene pubblicata l’edizione definitiva I
Promessi Sposi-Storia della Colonna Infame.
Nella prima fase la lingua è di base toscana, ci sono però apporti dal francese e regionalismi lombardi
che tolgono armonia, questa è una lingua a mosaico, che non gli piace. Studia allora il toscano su libri e
giornali, tuttavia quella non è la vera lingua in uso, così nel ’27 si reca a Firenze per purificare la sua
lingua e imparare il fiorentino parlato dai ceti colti, che sarà la lingua della quarantana.
Il Fermo e Lucia ha una narrazione a blocchi (procede singolarmente nella narrazione delle varie
avventure) ed è pieno di digressioni morali e letterarie. Ci sono anche episodi di gusto romantico
(macabri e perversi). Presenta inoltre un’”Appendice storica sulla Colonna Infame”, dove critica le
ingiustizie commesse dalle istituzioni durante la peste (verso quattro untori) e con la quale porta avanti
il vero storico.
Nella ventisettana toglie diverse digressioni e l’Appendice e cambia lo stile di narrazione, recuperando
la tecnica dell’incrocio ( La tecnica narrativa, fascicolo p. 3)
Nella quarantana avviene un’ulteriore revisione linguistica e fa due integrazioni: un sistema di
illustrazioni (con lo scopo di guidare la lettura e tutelarsi dalle edizioni pirata) e aggiunge nuovamente
la Storia della Colonna Infame, che compare addirittura nel frontespizio.
 Introduzione
Manzoni finge che si a qualcun altro a scrivere la storia e che lui la riscriva meglio (prima presentava
troppi latinismi e lingua solenne). Finge di prendere ispirazione da un manoscritto seicentesco e dice di
aver fatto ricerche per assicurarsi che la storia fosse vera storicamente. Perché lo fa? Manzoni teneva
all’accuratezza e così sembra che ci sia una fonte del ‘600 a dare fondamento storico.
La vicenda e la struttura del romanzo, fascicolo p. 6
 Il frontespizio «morto», fascicolo p. 4
Esso ha lo scopo di riassumere le vicende. I personaggi del romanzo sono disposti secondo regole di
simmetria e opposizione spaziale che suggeriscono i loro rapporti. Si vede ad es. la vicenda principale
(Lucia al centro e Renzo e don Rodrigo agli estremi in competizione per lei) o l’opposizione tra don
Abbondio e l’innominato.
Accanto a Renzo e Lucia c’è una terza protagonista: la Storia, che Manzoni voleva descrivere
fedelmente insieme alla psicologia dei personaggi. Si informa e ricostruisce con fonti la società
dell’epoca nella quale cala personaggi di sua invenzione. Nel periodo tra il 1628 e il 1631 la Lombardia
era oppressa dal dominatore spagnolo. Anche nell’ ‘800 c0è un dominatore straniero: quello austriaco.
Ciò permette a Manzoni di fare una critica a quella attuale attraverso la situazione seicentesca.
L’autore fa ciò sia per criticare gli oppressori sia per rappresentare i ceti popolari (tema romantico).
Tutto questo è affine all’ideologia di Manzoni e all’espressione delle sue opinioni politiche. Il suo
interesse illuminista è presenta grazie al racconto di vicende romantiche in modo estremamente
realista.
All’interno del romanzo viene inoltre affrontato il problema del male storico ed emerge così il
pessimismo manzoniano. La presenza della Colonna Infame mostra questa sua idea perché racconta
dei tribunali corrotti che invece avrebbero dovuto rappresentare la giustizia. Se prima il romanzo era
visto portatore di un messaggio consolatorio, in tempi più recenti ci si è concentrati sullo sguardo
ironico dell’autore e sul problema del male.
 Il Male e la Provvidenza, fascicolo p. 10
Manzoni è convinto che il mondo sia pervaso dal male storico e che quindi gli sforzi volontaristici
umani siano inutili. Ad es. gli sforzi di Renzo sono inutili con il potere sociale. Essi sono resi vani anche

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dall’imperscrutabilità della Provvidenza non si può sapere come agirà Dio). Manzoni combina la fede
con un atteggiamento razionalista, chiedendosi il perché delle cose.
 Sistema di forze tra i personaggi, fascicolo p. 10
Secondo Calvino, questo è il romanzo dei rapporti di forza. Il triangolo vede ai vertici tre autorità: il
potere sociale, usato sempre negativamente, rappresentato dall’innominato e don Rodrigo; la Chiesa
buona con il cardinale Borromeo e fra Cristoforo; e la Chiesa cattiva con don Abbondio e la monaca di
Monza. Calvino aggiunge un ulteriore triangolo mettendo agli estremi la storia umana (malgoverno,
guerre, …), la natura abbandonata da Dio ovvero il male naturale e la giustizia divina con la peste.
Considerarla giustizia però è problematico in quanto non punisce solo i peccatori. È da qui che nasce il
dilemma sulla natura del male. Il male storico è perpetuato sempre dalle istituzioni stesse, ma la
questione del male naturale rimane aperta per l’autore.
 Capitolo I + Quel ramo del lago di Como, Umberto Eco, p.12
Già nella descrizione, Manzoni inserisce una critica velata verso le autorità spagnole e la fa in modo
ironico usando antifrasi ed eufemismi (insegnamenti pariniani). Nell’excursus sui bravi, alterna il
registro solenne degli estratti con quello basso e ironico dei commenti del narratore, in modo da
sottolineare l’inefficacia delle leggi.
Passando a don Abbondio, si può vedere come il suo ritratto sia stato fatto da un narratore
onnisciente. Alle rr. 238-239 si vede il desiderio manzoniano di rappresentare il vero storico e come
quest’ultimo influenzi il vero morale (comportamento di don Abbondio). Con la frase “gli animali senza
artigli e senza zanne” (intesi come gli innocenti) viene confermato quanto detto prima, ossia che gli
innocenti non sono protetti dalla legge, che chi doveva farla rispettare o era un potente o non aveva
interesse ad andare loro contro. Don Abbondio è un individuo fragile, che entra nel clero non perché è
coinvolto spiritualmente, ma perché vuole mantenere la sua quiete e appartenere a un ceto più
potente (≠ popolani) glielo permette. Cerca di non prendere posizione, ma ciò gli fa accumulare
rancore verso i potenti che sfoga poi sui più deboli. Il ritratto del don è bipartito: viene prima dato il
contesto storico e poi “l’anima” del personaggio. Esso è una sequenza di pausa dove la narrazione non
progredisce.
Alle rr. 362-373, vengono riportati i suoi pensieri tramite discorso diretto libero, ovvero con trattini e
senza verbi del dire e del pensare. Anche il discorso con Perpetua è libero, cioè non c’è l’intervento del
narratore e ciò rende la scena più realistica. Il realismo del dialogo c’è anche nell’utilizzo di marche
orali, come ripetizioni, interruzioni, ecc.
In don Abbondio, Manzoni rappresenta la tendenza dell’uomo all’opportunismo e all’egoismo, difatti è
complice con il più forte pur di non turbare la sua tranquillità. In questo capitolo si vede il pessimismo
manzoniano che serpeggia soprattutto nella pagina dedicata al comportamento di chi avrebbe dovuto
tutelare la giustizia e che invece è complice dei soprusi. I Promessi Sposi è un romanzo storico e ciò si
vede dalla trascrizione delle grida (dà verosimiglianza al narrato), nei rapporti di forza dell’epoca e
anche nell’accurata descrizione dell’abbigliamento dei bravi. Da ultimo, i personaggi sono calati nella
storia e sono influenzati da essa.
Riassumendo il capitolo I, si può dire che:
 Il narratore è esterno e onnisciente e superiore al mondo descritto in quanto sta sopra ai
popolani, ma anche perché è un uomo acculturato dell’‘800.
 C’è una focalizzazione interna su don Abbondio, ma la sua onniscienza gli permette di alternare
le focalizzazioni.
 Appena passa dalla geografia alla storia, il suo tono diventa ironico (simbolo del pessimismo)
 Vengono usati diversi tipi di registro.
 Il ritratto del don è in relazione con il vero storico e c’è il desiderio di descrizione realistica.
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 Capitoli II e III + I protagonisti del romanzo, p. 13


I nomi dei protagonisti sono significativi, difatti nel cognome Tramaglino si sente la parola trame che fa
riferimento sia al lavoro di Renzo come filatore sia al verbo tramare, evocativo del tipo di situazioni a
cui va incontro. Lucia invece significa luce e infatti lei è la bussola di virtù, fede e bontà del romanzo.
Mondella invece contiene l’aggettivo mondo che significa puro.
Importante è il commento del narratore a rr. 267-269, dove emerge nuovamente il pessimismo
manzoniano e la condanna al potere sociale malusato. A r. 282, c’è un pensiero diretto libero di Renzo
che interrompe la descrizione violenta indiretta dei suoi pensieri. Questo inserto è simbolo di realismo
e mostra il ruolo di Lucia come bussola per lui.
Per il desiderio di vero storico, c’è la descrizione accurata degli abiti di Lucia con anche una grande
precisione nella citazione degli “elementi dell’animo umano” per il vero morale.
Lucia fa da freno per l’impulsività di Renzo. È un personaggio piuttosto statico, sempre buona, sempre
fuori dalle agitazioni delle masse, al contrario di Renzo che cresce nel corso della storia.
Concentriamoci sul dialogo tra Renzo e don Abbondio. Quest’ultimo comincia a parlargli latino con lo
scopo di “spostare l’area di battaglia”. Nel romanzo il latino è la lingua dell’oppressione, usato da don
Abbondio per perpetrare l’ingiustizia. È centrale anche nell’episodio con l’Azzecca-garbugli e impedisce
all’oppresso di difendersi. Il discorso è diretto e libero.
 Capitolo IV
Il lessico per il paesaggio è armonioso e positivo, in contrasto con quello dell’animo umano e del fisico.
Ci troviamo in un contesto di carestia, la terra ha smesso di dare frutti e la gente è magra e di
malumore. Il “ma” a r. 14 mette in scena un’opposizione quasi incomprensibile: la terra è così bella
eppure non produce. Le figure umane rappresentano l’inspiegabile male naturale. Da bravo illuminista,
Manzoni darà alcune spiegazioni razionali e storiche, tuttavia è come se non ci sia una spiegazione
divina. È un problema filosofico che nemmeno il narratore riesce a spiegare.
Per la descrizione di fra Cristoforo, vengono usate diverse opposizioni/antitesi, sia nel suo aspetto
fisico che nel “carattere”, ad es. c’è un’antitesi nel suo modo di alzare alteramente la testa e
riabbassarla umilmente e la barba soffice contro i tratti spigolosi del viso. La magrezza gli dà uno
sguardo severo, non vuoto. Gli occhi di tanto in tanto sfolgorano e c’è una similitudine con l’attitudine
dei cavalli. La strategia retorica è quella del contrasto. La sua figura vede appunto il contrasto tra la sua
autodeterminazione (principale) e la sua indole guerriera, dinamiche da ricondurre al suo passato.
Vediamo ora i commenti ironici del narratore in questo capitolo:
 Rr. 119-120: antifrasi della parola vantaggio, per mettere in scena i rapporti sociali
 Rr. 123-124: il commento ironico riguarda la consuetudine, che è controproducente e porta a
conflitti. L’ironia riguarda anche le leggi, diventate prolisse.
 R. 131: “basso rilievo”, la similitudine è volta rappresentare la ridicola testardaggine tipica della
classe nobiliare.
 R. 178: perifrasi volta a mettere in evidenza l’arbitrarietà e il disordine delle istituzioni
giuridiche (cose e persone che non si rifanno e non sono coerenti con la giustizia).
L’ionia ha come obbiettivo quello di ridicolizzare ciò che era ritenuto importante. Il tono amaro vuole
far riflettere sulle strutture e il male storico.
 Personaggi dei Promessi Sposi, L. Russo, in fondo al cap. IV
È importante notare che la conversione di fra Cristoforo non è “la soluzione facile” della letteratura
religione tradizionale. Il narratore riconduce la conversione alla ricostruzione psicologica e storica del
personaggio e egli rimane comunque fedele alla sua indole focosa e impetuosa, pur
autocontrollandosi. La conversione è logica, razionale. È un personaggio in cui si vede la matrice

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illuminista, ma anche quella romantica attraverso il contrasto “io e il mondo” (protezione degli
oppressi). L’io è mosso da ideali di giustizia e si scontra con il mondo ingiusto.

 Capitoli V-VI
Fra Cristoforo va al palazzotto di don Rodrigo e vengono date le prime indicazioni su di esso (geografia,
condizione, costumi del paese, …). Il palazzotto si trova in cima a un poggio ed è quindi più in alto del
villaggio di contadini. Il narratore si concentra sulla superiorità sociale (relativa) di don Rodrigo, che è
un nobile ma non è particolarmente importante per il ducato di Milano. L’insistenza sui diminutivi e
l’enfasi sull’altezza dell’abitazione espongono appunto la relatività della sua importanza.
Per quanto riguarda le condizioni e i sudditi di don Rodrigo, si può dire che vengono rappresentati in
modo violento, si tratta di contadini bravi. L’imbruttimento fisico è diretta conseguenza del
malgoverno del don, che ne influenza costumi e abitudini.
Il «palazzotto»: ci sono cadaveri di avvoltoi (che rappresentano la morte) appesi alla porta che
mostrano la violenza gratuita perpetuata dal don, in quanto questa caccia non è funzionale
all’alimentazione. I bravi che riposano contribuiscono alla descrizione del palazzotto come
insignificante e decadente.
 Il castello dell’innominato, p. 17
Il castello domina la valle stretta e selvaggia ed è una vera fortezza. Viene descritto come il nido di
un’aquila (≠ avvoltoio), simbolo di forza e nobiltà. L’innominato è un vero cattivo. I due castelli
rispecchiano le differenze tra i due personaggi: don Rodrigo “fa il duro”, ma non si isola perché vuole
far parte della società per godere dei privilegi relativi alla sua posizione. Gli interessa solo tiranneggiare
sui più deboli.
 Il dialogo-duello di fra Cristoforo e don Rodrigo, p. 18
A r. 128, il frate mostra a don Rodrigo un teschietto, tentando di instaurare in lui il timore del giudizio
divino. Si tratta di un memento mori (= ricordati che devi morire).
Il don non è mai descritto e raramente viene usata la focalizzazione interna su di lui (eccezione: rr. 41-
42).
Unheimlich, il ritorno di qualcosa che si era dimenticato/rimosso. È ciò che succede al don a r. 91. Si
spaventa per il ritorno di una consapevolezza ed è paura per il giudizio divino. È per questo timore che
sente la necessità di fermare fra Cristoforo.
La battaglia è vinta (nei fatti) dal don, che non viene dissuaso, ma a prevalere è in realtà il frate, in
quanto alla fine, arrabbiato, libera la parte focosa di sé e riversa sull’altro tutto ciò che pensa.
C’è dunque uno scontro tra ideali: il don Rodrigo rappresenta il male storico, destinato a fallire, del
potere sociale e politico mentre Fra Cristoforo rappresenta la chiesa buona, della carità e della giustizia
divina, ma anche il giudizio divino. Il riferimento al faraone riporta in mentre un dio più crudele
Ci possiamo ricollegare al capitolo 33 (sogno di Don Rodrigo):
Siamo in piena peste e don Rodrigo è andato a cena a Milano con degli amici. Inizia a sentirsi male
quando arriva a casa. Inizialmente non riesce ad addormentarsi ma quando si addormenta fa un sogno
dove Don Rodrigo punta il dito contro di lui (gesto che riprende quello del capitolo VI) e mentre don
Rodrigo cerca di afferrarlo si sveglia. -> fra Cristoforo gli appare in sogno proprio quando lui si ammala
avverando la sua profezia
il vero antagonista di Don Rodrigo è fra Cristoforo e non Renzo. Quest’ultimo è socialmente troppo
in basso a Rodrigo e quest’ultimo non può dargli importanza.

Saltiamo al capitolo XXI. Cos’è successo? Capitolo VII: Rodrigo vuole rapire Lucia e manda i bravi a
casa sua ma lei è da Don Abbondio e successivamente lei e il suo amato fuggono come programmato
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(lei dalla monaca di Monza e Renzo cerca l’avvocato a Milano, ma essendo un ragazzo ingenuo finisce
in diversi casini e ha addirittura un mandato di cattura) Don Rodrigo riesce a cacciare via Cristoforo
trovando la strada completamente spianata per andare da lucia. Per farlo decide di farsi aiutare
dell’innominato, personaggio che funge da “ago della bilancia”. “ispirato a Bernardino Visconti, usando
la fonte “Storia patria di Giuseppe Ripamanti”. Era stato un nobile con un’insaziabile sete di potere, era
un malvagio che si “sporcava le mani” per affermare la sua reputazione. Era stato esiliato dal ducato di
Milano (avvenimento che permette il legame storico con Bernardino), ma successivamente revocato.
Descrizione dell’innominato: “grande, bruno,...” (cap. XX), insomma un uomo molto forte nonostante
l’età. È il secondo personaggio che ha una conversione (il primo era Fra Cristoforo, con una
conversione logica e non miracolosa grazie ai moti già presenti nella sua anima). Anche per
l’innominato accade qualcosa di simile; dopo una vita di crimini comincia a provare una certa “uggia”
(malinconia), non p del tutto a suo agio con ciò che a fatto. Lui sta vivendo dunque quello che fra
Cristoforo aveva tentato di instaurare in don Rodrigo nel capitolo VI, in quanto si sta avvicinando alla
morte. -> Il narratore sta già mettendo le basi per questa conversione.
La provvidenza agisce dunque più in profondità, non solo nel proteggere Renzo e lucia ma anche da
dentro l’innominato. Dio parla dall’interno e non solo negli eventi
vediamo dunque il razionalismo dell’autore derivato dalla sua cultura illuminista ma anche
romanticismo (provvidenzialismo, interesse per l’occulto).

Capitolo XXI: Il nibbio (capo dei bravi dell’innominato), è un uomo che non si lascia intimidire ma
prova compassione per Lucia. Stupito di questa confessione l’innominato decide di voler incontrare
lucia, anche se inizialmente (per paura) voleva portarla subito a don Rodrigo.
Lucia cerca di convincerlo a lasciarla andare e per farlo cita Dio, due volte, dicendo “Dio perdona tante
cose, per un’opera di misericordia”, dio è quindi rappresentato come benevolo. Anche lucia riprende la
tematica del dio giudice, come aveva fatto Cristoforo con Rodrigo.
Nel discorso, l’innominato si dispiace che lucia sia innocente, ma non è ancora pentimento. Lucia non
tenta di spaventarlo, vuole solo tirare fuori il bene che vede in lui. Attraverso le sue parole riesce a far
emergere la dolcezza, mostrando ancora una volta di essere il faro morale.

La notte è descritta due volte con due focalizzazioni diverse: la notte di lucia e la notte dell’innominato.
Lucia prova emozioni intense (“spaventi”) ma cerca anche di razionalizzare (“pensieri”) e immagina. Il
“ora, …, ora” serve a mostrare una psicologia sofferente e confusa, che altera i momenti di lucidità con
quelli di paura causata dall’immaginazione del futuro. -> angoscia di lucia
I “ma” servono a iniziare e condurre i processi psicologici di lucia, che non hanno un vero senso logico.
Quando gli da un senso lo fa grazie alla memoria, che insieme alla paura del futuro le danno un senso
generalizzato di paura, tanto che vorrebbe morire.
Un nuovo “ma”, introduce un nuovo moto di pensiero preveniente dal conforto che ella trova nella
preghiera (e pian piano si sente invadere dalla fede).
A un certo punto crede che se sacrificherà qualcosa la sua preghiera sarà esaurita più facilmente e fa
così un voto di castità alla vergine Maria, sacrificando l’amore per Renzo.
Differenze e somiglianze tra le due notti: Lucia è la vera fede, donna pia e devota, mentre
l’innominato è il tiranno per eccellenza con una vita di soprusi alle spalle. Seguono però un percorso
nella notte simile, tuttavia con delle aggiunte nella notte dell’innominato.
L’innominato non si suicida perché pensa al fattore mondano (ritrovamento da parte dei suoi uomini e
i nemici felici) e poi all’aldilà. Se il giudizio divino non esistesse, potrebbe continuare così la sua vita,
ma se esistesse sarebbe mandato all’inferno -> in entrambi i casi non gli conviene

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Lucia invece non si suicida perché si ricorda della preghiera e del fatto che può darle ottimismo e
fiducia nella provvidenza e arriva a fare un sacrificio (assolutamente coerente con l’etica cristiana,
mostrare di essere disposti a un sacrificio per la grazia divina). L’innominato però non può farlo perché
non ha gli strumenti della fede; infatti, rimane agitato mentre lucia trova la tranquillità.
Attraversa una fase di pentimento, ma prima deve farsi un esame di coscienza (riconoscere le sue
azioni con la morale). Essa si stava già sviluppando dentro di lui prima di parlare con lucia; dentro di lui
si era creata una divisione, una nuova anima che è la facoltà della coscienza. Le parti proprie della sua
evoluzione sono le evoluzioni della coscienza, il farsi un esame di coscienza e il ribrezzo che prova
verso le sue azioni che lo portano al pentimento.
Dopo ciò dovrebbe avvenire la preghiera e il perdono, strumenti continuano a mancargli e quindi
rimane nella confusione fino all’alba. Poi suonano le campane, e vede dei fedeli che vanno dal
cardinale Borromeo e ci va anche l’innominato che completerà la sua conversione.
La preghiera da sollievo a lucia mentre per l’innominato il sollievo arriva dall’immagine di lucie e dalla
redenzione per la sua liberazione; lucia funge dunque da intermediario tra lui e Dio.

Confronto tra le due conversioni nel libro:


La conversione non è miracolosa; il personaggio negativo non si trasforma di colpo ma l’idea di una
possibile conversione è già maturata dentro i personaggi. Fra Cristoforo (Ludovico) combatteva le
ingiustizie con la violenza e provando disgusto, aveva già pensato di farsi frate. Stessa cosa vale per
l’innominato, che nella sua presentazione viene subito presentata la sua “uggia”. I fattori scatenanti
della conversione sono secondi alla prontezza dell’anima. C’è poi il momento di vera e propria
conversione, e il loro volere si allinea con quello di dio, con il criterio morale cristiano. Inizia allora la
seconda fase della vita e pur avendo cambiato valori, mantengono alcune caratteristiche delle loro
personalità; ad esempio, gli occhi fiammeggianti di Fra Cristoforo e la protezione dei poveri, ma anche
l’innominato che continua ad imporre la sua autorità e il timore che incute ma mette le sue
caratteristiche al servizio del bene. Rimane autorevole e straordinario ma ciò deriva dai suoi nuovo
valori e non dalla violenza. È con la sua conversione che c’è la svolta ed è qui che convergono le due
anime dell’autore. Avvengono in modo logico, facendo emergere la parte illuminista e razionale di
Manzoni, in modo da rendere i processi “spiegabili”.
La conversione vera e propria però presuppone la provvidenza divina e la sua azione. Non agisce sugli
eventi esterni ma sull’animo umano dall’interno, dalla coscienza. Essa pero può essere ignorata per un
po’ ma poi riemerge; è qui quindi che il Mantoni razionalista si concilia con il Manzoni religioso.

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