Location via proxy:   [ UP ]  
[Report a bug]   [Manage cookies]                

Storia

Scarica in formato pdf o txt
Scarica in formato pdf o txt
Sei sulla pagina 1di 8

La rivoluzione del 1905 in Russia

In Russia, nel 1905, la popolazione inizia a protestare contro l'aumento del costo della vita
provocato dalla guerra. 200.000 operai si riuniscono in un corteo guidato da un sacerdote
della chiesa ortodossa russa, Marciano pacificamente per consegnare una supplica
all'imperatore. L'esercito reagisce sparando sulla folla, episodio che riprese il nome di
domenica di sangue e che diede vita a scioperi e insurrezioni nelle campagne nelle città. Gli
operai danno vita, a San Pietroburgo, ai soviet, cioè ha dei consigli che non erano altro che
istituzioni democratiche e rappresentative che dovevano dirigere un'azione rivoluzionaria ed
esprimevano la volontà popolare. Lo zar, in abile nel tentativo di eliminare i soviet, il 17
ottobre e ma non manifesto nel quale prometteva l'istituzione di una camera dei deputati,
con controllo sull'operato del sovrano e sulla politica del governo. Questa istituzione, detta
Duma, Venne costituita, lo zar però riuscì a recuperare il potere scavalcando
sistematicamente la camera fino addirittura a sciogliere due volte la Duma. Questa
rivoluzione si conclude nel 1905 con un nulla di fatto, e la popolazione continua ad
arrancare.

Il comunismo in Russia
Nel febbraio del 1917 una rivoluzione in Russia obbliga lo zar ad abdicare, sale così al
potere un governo provvisorio. L'impero zarista comprendeva l'odierna Europa dell'est, sale
al trono Nicola secondo Romanov nel 1894. Tale impero basava gran parte della propria
economia sull'agricoltura, le industrie presenti erano concentrate in poche zone dell'impero.
La Russia primeggiava solamente nella produzione di petrolio, data l'attivazione vicino al
Mar Caspio. Le carenze industriali e logistiche dell'impero zarista emersero maggiormente
con lo scontro russo-giapponese il quale fu perso dall'esercito Russo a causa della scarsità
dei loro cannoni e per le difficoltà riscontrate con i rifornimenti tramite la ferrovia. Lo strazio e
le privazioni innescate dalla guerra diedero vita alla rivoluzione, a Nicola II rimase fedele
l'esercito e il suo impero non crollò. La classe operaia era in forte fermento.

Rivoluzione di febbraio
Ad accompagnare l'inizio del primo conflitto mondiale furono molte manifestazioni di
patriottismo. I liberali sostenevano la guerra al fianco dei giapponesi, nel 1914 liberali
appoggiarono lo zar nello schierarsi con Gran Bretagna e Francia ma pochi anni più tardi
risultarono piuttosto restii ad abbandonare l'alleanza e accettare la sconfitta della guerra
russo-giapponese, stipulando un armistizio separato con la Germania. L'errore dello zarro fu
l’assunzione del comando diretto delle operazioni militari, dunque quando iniziarono a
diventare numerose le sconfitte tutta la responsabilità ricade sulle scarse competenze dello
zar. un ulteriore peggioramento del prestigio della famiglia reale avvenne quando a corte il
ruolo di consigliere dello zar venne affidato a Rasputin, Monaco ignorante e corrotto. Questo
Monaco Venne ucciso da aristocratici alla fine del 1916, la monarchia era ormai al declino.
La guerra provocò un forte aumento dei prezzi dei beni di prima necessità, nelle campagne,
alle mogli dei soldati al fronte, venne affidata la coltivazione delle terre punto le donne russe
erano molto arrabbiate, determinate nella protesta contro le privazioni difficili da contrastare.
Il 1916 in Russia fu caratterizzato dunque da una crisi alimentare ed iniziarono ad avanzare
le minoranze etniche che rivendicavano la propria autonomia. Gli scioperi, inizialmente
sviluppati dalle donne, diventarono generali e investono infatti tutta la città di pietrogrado,
mettendo in difficoltà le forze armate. Domenica 26 febbraio alcuni reparti spararono sulla
folla, provocando molte vittime, il giorno seguente si registrarono molti ammutinamenti e
gran parte dei soldati decise di non usare più le armi contro i manifestanti e si schierarono
contro la polizia.

Lo zar abdica
Il 28 febbraio la capitale vide nelle fabbriche le votazioni per eleggere i rappresentanti del
soviet cittadino, i quali avrebbero regolato le future ribellioni. Il 2 marzo una delegazione di
deputati della Duma si recò dallo zar per invitarlo ad abdicare. Il 12 marzo si formò un
governo provvisorio guidato da Georgij L’vov, con un unico ministro di sinistra, Aleksandr
Kerenskij: grazie a L’vov la corona passò al fratello dello zar, Michele Romanov, il quale però
firmò la rinuncia alla corona. La Russia divenne quindi una repubblica e il Parlamento diede
vita a un governo provvisorio: I soldati non si sentivano obbligati ad obbedire al governo
provvisorio e rifiutavano i loro ordini, si venne a creare una situazione di caos generale.
Grazie ai socialisti rivoluzionari i soviet si diffusero anche nelle zone rurali della Russia,
coinvolgendo anche molti contadini.

Menscevichi e bolscevichi
In Russia i seguaci di Marx si erano organizzati nel partito socialdemocratico. nell'Impero
zarista qualsiasi organizzazione dei lavoratori era illegale, per cui il partito socialdemocratico
Russo era molto debole, mal organizzato è clandestino. Il partito si era diviso in due correnti:
menscevichi, corrente minatoria, e bolscevichi, il partito della maggioranza. I menscevichi i
pensavano una vasta organizzazione di massa che arruolava militanti tra gli operai delle
fabbriche, mentre i bolscevichi ritenevano che l'oppressione del regime zarista obbligasse a
costruire un nuovo partito, composto da un nucleo ristretto di rivoluzionari. I menscevichi
erano marxisti e convinti che la Russia non fosse pronta per il socialismo, mentre i
bolscevichi pensavano che la guerra avesse accelerato i tempi e che bisognava stare al
passo con essi. I bolscevichi credevano che i soviet dovessero governare: a capo di questa
corrente vi era Lenin, che con il sostegno tedesco nel 1917 raggiunse pietrogrado, dopo un
breve periodo di esilio in Svizzera, lanciando quindi le tesi di Aprile, un programma
rivoluzionario che lasciò profondamente turbati anche alcuni suoi compagni di partito come
Stalin. Secondo i menscevichi il governo provvisorio era l'unica autorità legittima dello stato
e i soviet dovevano svolgere solamente un’attività di controllo. Terminata l'emergenza
rivoluzionaria il ruolo dei soviet sarebbe cessato totalmente per poi far subentrare
un'assemblea costituente. Secondo Lenin il governo provvisorio sarebbe dovuto essere
eliminato e avrebbe dovuto cedere il completo potere ai soviet: si può riassumere il suo
pensiero nella frase “pace immediata e tutto il potere ai soviet”. A spiccare nel governo
Russo fu Aleksandr Kerenskij, il quale fu ministro della guerra è capo del governo, era
piuttosto convinto che avrebbe portato la Russia alla Vittoria, ma anche l'ultima offensiva
lanciata sul fronte orientale non fu altro che un fallimento che provocò la morte di 400.000
soldati. La rabbia dei soldati era inarrestabile e comprensibile, iniziarono a disertare e fecero
ritorno ai loro villaggi.

Le tesi di Aprile
Lenin riesce a tornare nel caos a pietrogrado ed espone il suo programma in una tesi su
come bolscevichi avrebbero dovuto cambiare la Russia. Alcuni punti prevedevano: Non
appoggiare il governo provvisorio, i soviet sono l'unica forma di governo rivoluzionario
possibile e fino a quando i soviet saranno sottomessi dalla borghesia I bolscevichi non
faranno altro che spiegare perché è necessario il passaggio del potere statale ai soviet, non
deve rinascere la repubblica parlamentare ma è necessaria la Repubblica dei soviet dei
deputati operai/braccianti/contadini, deve essere soppressa alla polizia, il salario dei
funzionari non deve essere superiore al salario medio di un operaio.

La rivoluzione di ottobre
Le difficoltà che incontrò il governo kerenskij non fecero altro che aumentare il pensiero di
Lenin riguardo l'insurrezione e il colpo di stato. Il 10 ottobre 1917 sirui il comitato centrale e
bolscevico, Lenin impose la sua linea rivoluzionaria: la notte tra il 24 e il 25 ottobre avvenne
l'assalto al palazzo d'inverno, in cui risiedeva il governo provvisorio. Questo fu l'inizio della
rivoluzione d'ottobre. Alla guida del nuovo governo rivoluzionario sovietico, basato cioè sui
soviet, fu posto Lenin, il quale fu affiancato da un consiglio dei commissari del popolo di cui
facevano parte Lev Trotsky e Stalin. Dopo aver sciolto nel 1918 l'assemblea costituente da
poco eletta, Lenin stipulò con Austria e Germania la pace di brest-litovsk: siamo nel marzo
1918. Tra le tante difficoltà del governo bolscevico, Lenin ordinò di trasferire la capitale da
pietrogrado a Mosca, la quale era più facile da difendere. I nemici più pericolosi di Lenin
erano gli eserciti Bianchi guidati da Generali che non riconoscevano alcun valore al colpo di
stato del 1917. Gli eserciti Bianchi erano così chiamati per il colore della loro divisa e per
contrapposizione verso i rossi, sostenitori dei soviet. Gli eserciti Bianchi erano sostenuti
militarmente dalla Francia, dall'Inghilterra, dall'Italia, dal Giappone e dagli Stati Uniti, si
aggiunse a questi anche un gruppo di soldati cecoslovacchi che rifiutarono il regime
bolscevico e che minacciarono la città in cui lo zar si era rifugiato con la sua famiglia. Per
impedire che questi ultimi venissero Liberati, il 16 luglio 1918 I bolscevichi decisero di
fucilarli. La guerra tra armata bianca e armata rossa si concluse nel 1919 con la vittoria dei
bolscevichi. Dal momento in cui si diffuse l'idea che nel regime bolscevico vi erano gli ebrei,
negli eserciti Bianchi si diffusero il protocolli dei Savi anziani di Sion, quindi i bianchi animati
da questo forte odio uccisero più di centomila ebrei. Negli anni della guerra civile Lenin
intraprese un programma di controllo forzato su tutta la produzione, in particolare agricola,
chiamato comunismo di guerra. Alle resistenze dei contadini colpiti dalla crisi agricola e
carestie il governo rispose con le repressioni, attuate dalla Ceka, la polizia segreta di stato.

La nuova politica economica e la nascita dell'URSS


Il paese fu colpito da una tremenda carestia. Lenin capì che bisognava dare Maggiore libertà
economica ai cittadini, ma continua ad emanare nei confronti della chiesa ortodossa una
campagna di arresti e di sequestri dei beni ecclesiastici, non modificando i suoi orientamenti
politici. Lenin lanciò una nuova politica economica nel 1921, con cui ripristinò parzialmente il
libero commercio, l'aumento dei prodotti disponibili per il consumo, la prospettiva di profitti
privati e una maggiore libertà per i contadini. In breve, la moneta tornò a circolare all'interno
del paese. Nel 1922 I bolscevichi affermarono il proprio assetto istituzionale: è la nascita
dell'Unione delle repubbliche socialiste sovietiche. Lo Stato era retto da un consiglio, il
Soviet supremo dell’Unione e da un Consiglio dei commissari del popolo. La Costituzione
prevedeva come unico partito il Partito comunista. Il potere giudiziario fu affidato ad una
Corte suprema dei soviet. Chiunque si opponeva al regime sarebbe finito in un lager, cioè in
un campo di concentramento. Con la morte di Lenin nel 1924 pietrogrado cambia il suo
nome in leningrado. Alla sua morte, Trockij e Stalin iniziarono una vera e propria lotta per la
successione: Trockij nel 1927 verrà espulso dall'urss e fatto uccidere da un sicario di Stalin.
Questo quest'ultimo quindi sale al potere e cerca di legittimare una dittatura sempre più
forte.
Stalin al potere
Stalin al potere rinnega la NEP, poiché secondo lui la Russia doveva rimettersi in sesto e
raggiungere economicamente gli altri paesi. Nel 1929 vengono approvati i piani
quinquennali, con i quali si fissavano gli obiettivi per quanto riguarda la produzione
industriale. Il suo obiettivo era raggiungere quanto prima possibile le capacità industriali dei
paesi al capitalismo avanzato. Fin da subito decise che l'industria pesante aveva la priorità,
iniziò quindi ad estrarre sempre più petrolio e carbone, potenziando anche la tecnologia e i
capitali, che cercò di ottenere scambiando con l'estero le grandi quantità di cereali
dell'URSS. A subire l'industrializzazione fu la popolazione sovietica.

La Prima guerra mondiale causò ben 17 milioni di morti e 20 milioni tra feriti e mutilati, solo
un terzo degli uomini che parteciparono tornò illeso. In Europa inoltre si propagò
un’epidemia influenzale, chiamata “la spagnola”. Il disegno dei nuovi confini però sollevò il
problema dei profughi e delle minoranze etniche. Durante la guerra erano state spese
somme gigantesche, ciò produsse un pesante indebitamento. Il problema maggiore però fu
la riconversione industriale, le risorse economiche furono dirottate nell’industria pesante
perciò ora si dovette passare da un’economia di guerra ad un’economia di pace. Questa
operazione fu rallentata dalla mancanza di risorse pubbliche. Si verificò anche un crollo della
produzione agricola causato dall’abbandono delle campagne. Dovettero quindi importare
grandi quantità di beni da paesi extraeuropei e questo causò un rialzo dei prezzi e una forte
inflazione. Tutto ciò portò ad una forte crisi economica e finanziaria che colpì soprattutto
Inghilterra, Francia, Germania e Italia. In Italia i problemi del dopoguerra si innestarono sugli
squilibri già presenti nel campo economico e sociale. La crisi ebbe il suo culmine nel 1921,
con il fallimento di alcuni grandi trust. La Germania si trovò ancor più disastrata, a causa
delle punitive richieste di risarcimenti di guerra. Tutto ciò era peggiorato da alcuni fattori: la
chiusura dei tradizionali mercati tedeschi, la perdita delle colonie e la perdita del bacino
minerario della Saar. La richiesta della Germania di dilazionare i pagamenti fu rifiutata dagli
altri paesi poichè miravano ad affondarla.
La crisi portò alcune importanti conseguenze in Europa:
➢ la fine della centralità dell’Europa e l’ascesa degli Usa;
➢ l’intervento dello Stato nelle dinamiche economiche;
➢ l’aumento del tasso di disoccupazione e l’aumento del costo della vita.
La disoccupazione aumentò vertiginosamente; ma mentre in Germania e in Inghilterra i
disoccupati chiesero l’intervento protettivo dello Stato, in Italia si trovò una valvola di sfogo
nell’emigrazione, questa volta con nuove mete. Le limitazioni poste dagli Stati Uniti infatti
dirottarono il flusso migratorio in Francia e verso gli altri continenti. Gli Stati Uniti usciti dalla
Prima guerra mondiale si trovarono in una posizione dominante. Si erano affermati come i
principali esportatori di prodotti, beni e capitali. Alle elezioni presidenziali del 1920 il
repubblicano Warren G. Harding venne eletto come nuovo presidente; egli adottò misure
protezionistiche come l’imposizione di alte tariffe doganali a difesa del prodotto nazionale.
Favorì così le grandi imprese e le grandi concentrazioni industriali e finanziarie. La scelta
dell’isolazionismo fu appoggiata da gran parte degli americani poichè così sarebbero potuti
essere al riparo da nuovi eventuali conflitti in Europa. Gli Usa iniziarono ad avere la
necessitàdi aprirsi sul mercato internazionale, poichè l’economia americana andò in crisi di
sovrapproduzione; con gli anni la situazione migliorò ma si iniziò anche a dare risposta a
quest’esigenza di ampliare il mercato. Decisero quindi di iniziare a riaprire l’esportazione
verso il Vecchio
continente, questo era anche il presupposto per la ricostruzione economica dei paesi
europei. Ebbe così origine il “piano Dawes”, ideato dal banchiere e politivo Charles Dawes.
Questo piano prevedeva anche la riduzione dei costi di riparazione alla Germania; tutto ciò
aiutò molti paesi che parteciparono alla guerra. Diventò anche più “semplice” allontanare il
pericolo di una rivoluzione di stampo bolscevico. Il piano ebbe successo, gli Usa fecero
affluire nuovamente i capitalo in eccedenza. L’intensificarsi degli scambi internazionali
determinò un enorme giro di affari e contribuì allo sviluppo economico che poi sfociò in un
boom.

Trasformazioni sociali e ideologie


La crisi economica in Europa colpì in particolare i ceti popolari, che reagirono con scioperi e
con l'occupazione delle terre padronali. Anche i ceti medi erano in sofferenza, senza contare
il malcontento dei reduci di guerra che si aspettavano di ricevere in ricompensa degli
appezzamenti di terra da poter coltivare e invece non gli fu riconosciuto nulla. Sull'onda degli
avvenimenti russi si rafforzavano i movimenti operai, distinti in socialisti riformisti e comunisti
rivoluzionari. Presero piede anche ideologie nazionaliste, autoritarie e antidemocratiche che
individuarono nella violenza la soluzione dei conflitti sociali e che spesso si caratterizzarono
per un acceso antisemitismo. Intanto negli Stati Uniti l'indirizzo isolazionista portò
provvedimenti contro l'immigrazione straniera e ad un clima di ostilità e violenza xenofoba e
razzista. Si credeva che la razza bianca fosse superiore a tutte le altre, perciò ogni
immigrato dalla pelle scura veniva maltrattato. In questo periodo vi furono molti attentati.
Questi anni furono segnati negli Stati Uniti dal provvedimento del proibizionismo, che vietava
la produzione e la vendita di alcolici. Le ragioni date furono quelle della difesa della salute e
anche il fatto che si ritenesse che l’abuso di alcol riducesse la produttività dei lavoratori. Ma
in realtà anche qui la decisione fu presa sotto pressioni razziste, poichè erano soprattutto gli
immigrati ad essere accusati di bere eccessivamente. Il provvedimento non ottenne gli effetti
voluti, bensì alimentò un traffico illegale di alcolici che arricchì la criminalità organizzata
(ascesa del gangster Al Capone). Ci vollero più di dieci anni per prendere atto del fallimento
del proibizionismo, che fu abolito nel 1933.

Gli anni 20: benessere e nuovi stili di vita


La società uscita dal conflitto erano società più egualitaria, più dinamica è aperta, dove
anche le donne avevano raggiunto una certa autonomia. I nuovi modelli culturali arrivarono
poi dagli Stati Uniti nel boom economico. Furono quelli i cosiddetti anni ruggenti, cioè gli anni
in cui si andò delineando l'american way of life. Questo tenore di vita era contraddistinto per i
suoi alti standard, dal consumismo, dalla ricerca di svaghi e divertimenti per il tempo libero,
seppure era comunque prerogativa della popolazione economicamente agiata.

La crisi del 1929 e il New deal di Roosevelt


Terminato il primo conflitto mondiale, gli USA si trovarono dinnanzi con gli anni
economicamente stabili. Il benessere è sempre crescente, la nascita della borsa, cioè un
sistema di quotazione delle varie aziende la cui economia si apre alla speculazione
finanziaria, i facili guadagni, l'incontrollata produzione industriale agricola crearono negli
Stati Uniti una crisi di sovrapproduzione. Il mercato internazionale si trovò nell'impossibilità di
assorbire le eccedenze produttive e questo determinò una crisi gravissima, con
conseguenze a catena. Il 24 ottobre 1929 la borsa di Wall street crollò e iniziò una grave
crisi economica: questa data passò alle cronache del paese con il nome di giovedì nero. Le
fabbriche chiusero e le banche fallirono, la produzione industriale calò vertiginosamente e
crebbero disoccupazione e povertà. Tutti coloro che avevano investito nelle azioni delle
aziende si ritrovarono senza lavoro e senza soldi. Ad avviare una rinascita dello Stato fu il
presidente Franklin Delano Roosevelt, che varò il New Deal, che segnava il passaggio da
un’economia libera ad un’economia guidata, basata su un energico intervento dello Stato.
Roosevelt mise in atto un’inflazione controllata: svalutò il dollaro del 40%, rialzò i prezzi,
immise cartamoneta e introdusse il controllo dello Stato sul sistema bancario, sulle Borse e
sul mercato azionario. Roosevelt si occupò anche di politica sociale, prestando molta
attenzione ai salari minimi e alla stipulazione dei contratti di lavoro, oltre che alla riduzione
dell'orario di lavoro. Realizzò lavori pubblici per combattere la disoccupazione e aiutò
economicamente le aziende in crisi. Roosevelt applicò anche una politica fiscale più pesante
nei confronti delle classi abbienti e privilegiate, suscitando l'opposizione alla sua linea di
governo. La seconda presidenza di Roosevelt confermò però il pieno consenso delle masse
popolari e delle organizzazioni sindacali alla sua politica basata sulle teorie dell'economista
inglese John Maynard Keynes.

Il regime fascista in Italia


Nel difficile contesto del primo dopoguerra, lo schieramento liberale andò perdendo
influenza, mentre nel 1919 Don Luigi Sturzo fondava Il partito popolare con un programma
basato sulla riforma agraria, sulle autonomie locali, sull'intercassismo, segno del definitivo
abbandono del Non expedit. Gravi dissidi si manifestarono nel partito socialistavirgola al cui
interno si scontravano la linea riformista di Turati (che controllava la CGIL) e quella
massimalista di Menotti Serrati, contrario a ogni e compromesso con lo stato borghese. Una
terza linea proposta da Bordiga, Gramsci e Togliatti, puntava alla realizzazione di un partito
rivoluzionario sul modello di quello che aveva realizzato in Russia Lenin punto in questo
clima caotico, l'ex socialista Benito Mussolini fondò il suo movimento dei fasci di
combattimento nel cui programma richieste di stampo progressista si affiancavano a
rivendicazioni reazionarie e anarchiche, espresse con un attivismo spesso sconfinante in atti
di violenza.

La crisi dello stato liberale


Un altro fattore di instabilità era legato alla delusione per il mancato rispetto del Patto di
Londra. La questione della Vittoria mutilata, termine coniato da D'Annunzio, finì per
riguardare la Dalmazia che l'Italia aveva intenzione di annettere contro il volere della
Francia, Inghilterra e Stati Uniti. Gabriele D'Annunzio, con un gruppo di nazionalisti,
organizzò una marcia sul fiume, occupò la città ed instaurò un governo provvisorio nel 1919,
annettendola alla nazione Italiana. L'annessione però non era vista di buon occhio da parte
degli alleati, soprattutto in seguito alla dimissione del presidente Orlando dopo il rifiuto della
concessione di questo territorio durante gli accordi di Parigi. Le elezioni politiche del 1919 ,
le prime che utilizzarono il sistema proporzionale e con il suffragio universale maschile,
premiarono socialisti e cattolici, organizzati in moderni partiti politici di massa, mentre
evidenziarono la crisi dello schieramento liberale. Tra il 1919 e il 1920 si ebbero nelle città e
nelle campagne scioperi e sommosse: questo periodo prende il nome di biennio rosso. Gli
operai riuscirono ad ottenere una riduzione dell’orario lavorativo settimanale (8 ore
giornaliere, più un riposo settimanale). L’apice delle agitazioni si ebbe tra l’agosto e il
settembre 1920, quando circa mezzo milione di lavoratori aderenti al sindacato della FIOM,
procedettero all’occupazione di oltre 600 fabbriche dove organizzarono produzione secondo
l’autogestione. In molti stabilimenti si diffusero consigli di fabbrica che si rifacevano al
modello dei soviet russi. La lotta si estese anche alle campagne. Al nord e al centro i
braccianti erano organizzati a livello locale in leghe rosse (socialiste) e leghe bianche
(cattoliche), riunite in federazioni come la Federazione dei lavoratori della terra. Con scioperi
e boicottaggi i braccianti rivendicarono aumenti salariali e una maggiore stabilità
occupazionale. Il governo Giolitti, per evitare una guerra civile, si oppose alle richieste degli
industriali di intervenire con la forza e firma un accordo con i sindacati, ma non riuscì a
mettere fine alle agitazioni, anzi si acuirono le divisioni interne al partito socialista. In
occasione del congresso di Livorno, la corrente minoritaria di estrema sinistra dette vita al
partito comunista che aderi alla terza internazionale Giolitti invece ottenne un successo nella
risoluzione della questione fiumana, infatti nel novembre del 1920 l'Italia e il regno dei serbi
trovati e sloveni firmarono il trattato di Rapallo, nel quale fiume veniva dichiarata città libera,
mentre D'Annunzio e il suo esercito dovettero ritirarsi. Per lo stesso motivo di non accendere
tensioni internazionali, Giolitti rinunciò al mandato sull'Albania, di cui riconobbe
l'indipendenza.

L'ascesa del fascismo e il delitto Matteotti


Intanto i fasci di Mussolini raccoglievano l'appoggio delle forze conservatrici, rassicurate
dall'aperto ostilità del movimento verso i socialisti, ostilità che sempre più spesso si
tramutava in spedizione punitive di bande armate ai danni di sedi e persone: avviene
dunque il fenomeno dello squadrismo. In vista delle elezioni del maggio 1921, Giolitti istituì
un’alleanza con nazionalisti e fascisti, detta blocco nazionale. Gli esiti della consultazione
non premiarono però i giolittiani, bensì segnalarono l'avanzata dei fascisti, che entrarono in
Parlamento con 35 deputati, tra cui Mussolini stesso. Nel novembre dello stesso anno
Mussolini trasformò il movimento in partito nazionale fascista pnf, con un'organizzazione
fortemente centralizzata. Oltre che della grande borghesia agraria e industriale e dei liberali,
il nuovo partito raccolse i consensi del ceto medio e della piccola borghesia, che si sentivano
trascurati dalle forze politiche e minacciati dall’eversione rossa. A quel punto Mussolini
decise che era arrivato il momento di prendere il potere e ordinò ai suoi fedelissimi di
marciare su Roma: è il 28 ottobre 1922, lascia marciare su Roma solo le camicie nere
mentre lui se ne teneva lontano. Il presidente del Consiglio presentò al re il decreto che
proclamava lo stato d'assedio, per impedire l'ingresso dei fascisti in città, ma Vittorio
Emanuele III si rifiutò di firmarlo ed invita un Mussolini a recarsi a Roma per formare il
governo: si parla del 29 e del 30 ottobre. Mussolini a Roma diede vita ad un governo di
coalizione, formato da fascisti, liberali, popolari, socialdemocratici, altri gradi delle forze
armate, tramite cui garantì una apparente libertà alla stampa e ai partiti, appoggiando invece
le azioni violente degli squadristi. Per limitare il potere parlamentare istituì il Gran Consiglio
del fascismo e un esercito di partito posto sotto la sua diretta autorità, trasformando le
squadre d'azione in milizia volontaria per la sicurezza nazionale. Il fascismo assunse i
caratteri di un regime forte, accentrato, conservatore, marcatamente a favore della grande
borghesia. Il ministro delle finanze Alberto De Stefani adottò una politica economica liberista,
basata sulla riduzione delle tasse e del disavanzo pubblico, sullo sviluppo dell'Industria e
dell'Agricoltura e sulla riduzione dei salari. Per arginare la crescente avversione dei popolari
e guadagnare il consenso delle masse cattoliche, Mussolini imbrigliò le frange più estremiste
del partito e perseguì una politica di riavvicinamento alla chiesa. Per assicurarsi la
maggioranza parlamentare e fece votare anche una nuova legge elettorale, la legge acerbo,
che le introdusse il sistema maggioritario. Nelle lezioni del 1924 il partito di Mussolini ottenne
la maggioranza dei voti, anche grazie a brogli elettorali e intimidazioni, che suscitarono la
protesta dell'opposizione. Giacomo Matteotti, che si era levato in Parlamento contro i brogli,
fu fatto assassinare da un sicario di Mussolini il 10 giugno 1924. La scomparsa di Matteotti
portò l’opposizione a non partecipare più ai lavori parlamentari finché il governo non avesse
chiarito il suo coinvolgimento nella tragica vicenda. Il 27 giugno cominciò così la protesta
detta “secessione dell’Aventino”. Il tentativo di far cadere il fascismo sui basi morali non
portò però ad alcun risultato concreto.

Potrebbero piacerti anche