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Schopenhauer 2016

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SCHOPENHAUER

1788-1860: la vita
• 1788: nasce a Danzica da famiglia di agiati commercianti.
• 1805: il padre muore suicida.
• 1813: dopo aver frequentato, l’università di Gottinga dove è stato allievo
dello scettico Schulze - su consiglio del quale approfondisce lo studio di
Kant e Platone - si laurea con la dissertazione Sulla quadruplice radice
del principio di ragion sufficiente.
• 1819: pubblica la sua opera maggiore Il mondo come volontà e
rappresentazione, ma il testo non avrà nessun successo editoriale.
• 1820: intraprende la carriera accademica discutendo la tesi Sulle
quattro distinte specie di causa. In quell’occasione si scontra con
Hegel.
• 1820-1831 tenta invano di fare concorrenza ad Hegel all’università di
Berlino, fallendo completamente per mancanza di studenti.
• 1831: si stabilisce a Francoforte per sfuggire ad un’epidemia di peste
scoppiata a Berlino. Qui pubblicherà nel 1851 i Parerga e
paralipomena, un libro che comprende diversi saggi, scritti in modo
accattivante e popolare, che contribuiranno a dargli il primo successo di
pubblico.
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SCHOPENHAUER
1788-1860: la vita
1836: a Francoforte pubblica la Volontà della natura in cui i suoi
interessi scientifici si fondono con lo studio del pensiero
orientale.
1839: ottiene un riconoscimento ufficiale dalla Reale Società
delle Scienze di Norvegia per il saggio Sulla libertà del volere
umano presentato ad un concorso bandito da quella stessa
istituzione.
1841: il testo sulla libertà viene pubblicato assieme ad un altro
saggio intitolato Sul fondamento della morale. I due scritti
sono presentati sotto il titolo I due problemi fondamentali
dell’etica.
1851: dopo il successo dei Parerga e partalipomena,
Schopenhauer continua la normale vita ritirata di sempre,
dedicandosi a nuove letture come i Pensieri e le Operette
morali di Leopardi.
1860: muore a Francoforte di polmonite.
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Contro Hegel
• Per Schopenhauer l’opera hegeliana,
- scritta in un linguaggio tronfio e incomprensibile,
- con la sua esaltazione dello Stato, quale culmine
della storia dello Spirito, “colpisce al cuore la libertà
di pensiero” ed è utile solo a preparare “futuri
impiegati governativi e capisezione”, poiché insegna
a “dare la vita allo Stato, ad appartenergli anima e
corpo come l’ape all’alveare”.
In questo modo si uccide la verità che non può essere
compressa nei limiti di ciò che lo Stato ritiene utile e
giovevole. Hegel in questo senso è un “sicario della
verità”.

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Contro Hegel (2)

• Schopenhauer ritiene invece che la


filosofia debba essere completamente
libera e avere la verità come unico
criterio. Così anche la remunerazione
accademica, o qualsiasi altro
asservimento del lavoro del filosofo a
necessità esterne, riduce la filosofia a
sofistica, cioè a disciplina al servizio di un
qualche potere contro la sua più intima
vocazione.
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Kant contro Hegel
• Contro Hegel, Schopenhauer riprende la
filosofia di Kant. Si tratta ovviamente di un
Kant reinterpretato alla luce dei successivi
sviluppi (pur essendo in radicale disaccordo con
gli idealisti, il nostro filosofo non può far finta che
non siano mai esistiti). Infatti l’affermazione
iniziale della sua opera fondamentale, Il mondo
come volontà e rappresentazione, in cui
Schopenhauer afferma: “Il mondo è una mia
rappresentazione”, pur dovendo essere letta in
modo kantiano (cioè a partire dalla rivoluzione
copernicana) ha una schietta matrice idealistica.

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Il mondo come rappresentazione

“Il mondo è una mia rappresentazione: ecco una


verità valida per ogni essere vivente e pensante”,
cioè il mondo circostante non esiste se non in
relazione con un soggetto che lo percepisce.
Seguendo Kant, S. afferma che nessuno può uscire
da se stesso e vedere le cose per quello che sono,
perché “tutto ciò di cui si ha conoscenza si trova
dentro la nostra coscienza”.

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La rappresentazione
E’ costituita da due elementi sempre presenti e inseparabili
tra loro:
1) Il soggetto (il rappresentante): ciò che tutto conosce
senza essere conosciuto da alcuno e condizione
sottointesa di ogni fenomeno. E’ presente intero e unico
in ogni individuo, cioè basta anche un solo individuo e un
oggetto a creare il mondo come rappresentazione.
2) L’oggetto (il rappresentato): è condizionato dalle forme
a priori di spazio e di tempo, cioè esiste sempre nello
spazio e nel tempo che rappresentano il loro principium
individuationis: gli oggetti appaiono nella loro specificità
e singolarità, gli uni distinti dagli altri, perché sono
collocati in un dato spazio e in un dato tempo.
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L’idealismo di Schopenhauer

Quella di Schopenhauer è una forma di idealismo depurato dalle


“assurdità” elaborate dai filosofi dell’università, un idealismo
che ritorna alle sue basi kantiane: se è l’oggetto a dover
ruotare attorno al soggetto (rivoluzione copernicana), ogni
oggetto è sempre “per” la mia coscienza, cioè è dato in una
rappresentazione che è propria del soggetto.
In particolare l’oggetto è fenomeno che non si dà se non alle
forme a priori del pensiero e dell’intuizione. La conseguenza
idealistica è che un mondo che “esista fuori di noi con
assoluta realtà obiettiva” non è concepibile. Infatti non appena
lo concepissimo sarebbe già un mondo concepito, cioè
rappresentato, cioè per il soggetto.

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La distinzione mantenuta tra
fenomeno noumeno
Malgrado simili affermazioni in
direzione idealistica, il kantismo di
Schopenhauer rimane ben saldo e ciò
si coglie chiaramente nel
mantenimento della basilare
distinzione criticistica tra fenomeno
e noumeno.

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Fenomeno e noumeno
La distinzione fenomeno noumeno viene tuttavia
mantenuta con un’importante peculiarità:
il fenomeno è tutto ciò che è rappresentabile, cioè
ordinabile secondo uno schema conoscitivo. Ma tutto ciò
che è così ordinabile risulta essere pura apparenza. La
pura apparenza del fenomeno non è come in Kant
l’unico modo in cui noi possiamo intendere la realtà,
date le nostre strutture a priori (cioè non è fondamento
inconcusso di una scienza affidabile delle cose reali),
ma semplicemente una sorta di sogno ad occhi aperti,
una sorta di allucinazione collettiva regolare, cui
sottostà una vera realtà non rappresentabile, ma
solo intuibile: la volontà.

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In conseguenza al suo specifico idealismo kantiano
Schopenhauer rifiuta

a) Il materialismo che riduce il soggetto a materia,


negando la sua funzione si sostrato di ogni
conoscenza.
b) L’idealismo, in particolare quello fichtiano, per la sua eccessiva
enfasi sul soggetto che fa dimenticare la necessità, all’interno della
rappresentazione di una dimensione oggettiva. Infatti il soggetto
non può conoscere se non un oggetto: se non ci fosse un oggetto,
il soggetto non conoscerebbe nulla; ma in questo caso non
sarebbe neppure più soggetto, poiché esso è tale soltanto in
quanto conosce.
c) Il realismo, secondo cui esisterebbe una realtà esterna
a noi ed essa si rispecchierebbe, nell’atto conoscitivo,
all’interno della nostra mente.

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Spazio tempo e causalità

Nell’ambito del mondo come rappresentazione, cioè della


conoscenza del fenomeno, gli oggetti sono colti nella
loro individualità e distinzione gli uni dagli altri per mezzo
delle strutture a priori di spazio, tempo e causalità. Essi
costituiscono insieme il principium individuationis degli
oggetti, cioè il principio che ce li fa pensare come distinti
e al tempo stesso in relazione tra loro.
Infatti lo spazio è ciò per cui gli oggetti sono individuali
(nessuno occupa lo spazio di un altro), e il tempo è ciò
che fa di un oggetto qualcosa di differente da ciò che era
prima e sarà dopo. Infine la causalità li mette in
relazione fra loro - dato un oggetto, un altro ne viene
influenzato – e consiste nel principio di ragion sufficiente
che dice che “niente è senza una ragione perché esso
sia”.
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La causalità nella
rappresentazione
La causalità mette inoltre in relazione lo spazio con il
tempo, cioè rileva l’ordine di un cambiamento che
avviene sempre in relazione ad un dato spazio e
ad un dato tempo.
Nella rappresentazione gli oggetti, tutti gli oggetti, cioè
tutto ciò che è pensabile, sono in un ordine
specifico dato da un rapporto di causa ed effetto.
Questo ordine è il principio della loro stessa
pensabilità tanto che l’azione causale di un oggetto
su altri oggetti risulta coprire l’intera realtà
dell’oggetto.
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Quattro forme della causalità

A seconda del tipo di oggetto rappresentato si determina una specifica forma di


causalità o di ragion sufficiente.
a) Negli oggetti naturali la causalità determina il loro divenire: “ogni nuovo stato degli
oggetti empirici risulta necessariamente da un mutamento che lo precede”.
Questa è la NECESSITÀ FISICA.
b) Nell’ambito degli oggetti del solo pensiero (logici) vi è un principio di ragione
sufficiente del conoscere: la verità delle premesse determina ed è causa delle
verità delle conclusioni. Questa è la NECESSITÀ LOGICA.
c) nell’ambito degli oggetti matematici e geometrici vi è un condizionamento tra le
parti di spazio e di tempo che rispettivamente li identificano (cfr. Kant: spazio:
geometria; tempo: aritmetica) e ciò corrisponde ad un principio di ragione relativo
all’essere (giacché riguarda la struttura matematica sottostante a tutto ciò che è).
Questa è la NECESSITÀ MATEMATICA.
d) nell’ambito degli oggetti etici, cioè delle azioni umane, vi è un principio di ragione
dell’agire che regola i rapporti tra le azioni e i loro motivi. Questa è la NECESSITÀ
MORALE.

Pertanto NEL MONDO COME RAPPRESENTAZIONE VI È SOLO NECESSITÀ

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Oltre la rappresentazione
Si è detto che il mondo come rappresentazione è
fenomeno cioè solo apparenza e sogno, un sogno
ad occhi aperti che si differenzia da quello
notturno solo per il fatto di possedere maggiore
regolarità (dice Schopenhauer che nel primo è
come se si sfogliasse un libro in modo regolare
dalla prima all’ultima pagina, nel secondo è come
se lo si aprisse a caso). La cultura orientale usa
una felice immagine per definire questa
dimensione onirica della percezione: VELO DI
MAYA.
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Irrealtà del mondo come
rappresentazione (Schopenhauer)
• “Quegli a cui dalla mia dissertazione introduttiva sia risultata chiara la piena
identità di contenuto del principio di ragione, malgrado la varietà di tutte le sue
modificazioni, sarà pur convinto di quanto importi, a penetrar nella sua più
intima essenza, la nozione della più semplice delle sue forme come tali: e per
tale abbiamo riconosciuto il tempo. Come nel tempo ciascun attimo esiste
solo in quanto ha cancellato l’attimo precedente – suo padre – per venire
anch’esso con la medesima rapidità alla sua volta cancellato; come passato e
avvenire (facendo astrazione dalle conseguenze del loro contenuto) sono illusori
a modo di sogni, e il presente non è che un limite tra quelli, privo di estensione e
di durata: proprio così riconosceremo la stessa nullità in tutte le altre forme del
principio di ragione. E comprenderemo che come il tempo, così anche lo spazio,
e come questo, così tutto ciò che è insieme nello spazio e nel tempo, tutto
insomma, ciò che proviene da cause o motivi, ha un’esistenza solo relativa ,
esiste solo mediante e per un’altra cosa che ha la stessa natura, ossia esiste
anch’essa soltanto a quel modo. La sostanza di questa opinione è antica:
Eraclito lamentava con essa l’eterno fluire delle cose; Platone ne disdegnò
l’oggetto come un perenne divenire che non è mai essere; Spinoza chiamò le
cose puri accidenti della unica sostanza; Kant contrappose ciò che conosciamo
in tal modo, come pura apparenza, alla cosa in sé e infine l’antichissima
sapienza indiana dice:…

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Velo di Maya (Schopenhauer)
…‘È Maya, il velo ingannatore, che avvolge gli occhi dei
mortali e fa loro vedere un mondo del quale non può
dirsi né che esista, né che non esista; perché ella
rassomiglia al sogno, rassomiglia al riflesso del sole
sulla sabbia, che il pellegrino da lontano scambia per
acqua; o anche rassomiglia alla corda gettata a terra,
che egli prende per un serpente’ (questi racconti si
trovano ripetuti in luoghi innumerevoli dei Veda dei
Purana)”. A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e
rappresentazione, tr. it. di p. Savy Lopez e G. De
Lorenzo, Laterza, Roma-Bari, 1986, p. 35.

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Dietro al sogno: la volontà
Come si giunge ad afferrare la vera realtà noumenica che soggiace al mondo
come rappresentazione?
Quest’ultimo è dato ad un soggetto conoscente che è anche CORPO.
Due modi di vedere il corpo:

1) esso è oggetto fra gli oggetti di una rappresentazione, tanto che


possiamo conoscerlo e concepirlo con specifici strumenti concettuali;

2) esso è dato come “qualcosa di immediatamente conosciuto”, nel senso di


PERCEPITO E SENTITO senza mediazioni intellettuali. “Da ciascuno viene
designato con il nome di VOLONTÀ”: ad ogni movimento del corpo
corrisponde un atto della volontà e un atto della volontà appare sempre come
movimento del corpo. L’atto volitivo e l’azione del corpo sono una cosa sola:
il corpo è volontà resa visibile. Tutto ciò noi avvertiamo quando sentiamo di
vivere, NE AVVERTIAMO LA BRAMA e NE TEMIAMO LA FINE.

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Il corpo
«Il filosofo ha la sua radice nel mondo; ci si trova come individuo e cioè la
sua conoscenza, condizione e fulcro del mondo come rappresentazione, è
necessariamente condizionata al corpo, le cui modificazioni porgono
all’intelletto il suo punto di partenza per l’intuizione del mondo medesimo.
Esso corpo è dato in due maniere del tutto diverse: da un lato come
rappresentazione intuitiva dell’intelletto, come oggetto fra gli oggetti,
sottostante alle loro leggi; ma insieme dall’altro lato, è dato come qualcosa
di immediatamente conosciuto da ciascuno, e che vien designato col nome
di volontà. Ogni atto reale della sua volontà è sempre infallibilmente anche
un movimento del suo corpo […]. L’atto volitivo e l’azione del corpo non
sono due stati differenti, conosciuti in modo obiettivo e collegati secondo il
principio di causalità: sono al contrario una sola e medesima cosa che ci è
data in due maniere diverse; da un lato immediatamente, dall’altro come
intuizione per l’intelletto» (A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e
rappresentazione II cap. 18).

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La volontà
• La volontà viene avvertita come bisogno continuo; cieco e
irresistibile impeto, forza libera e irrazionale che a partire da ciò che
sentiamo del nostro corpo, capiamo essere l’essenza di tutti i
fenomeni dell’universo. La volontà, il desiderio, l’impulso e la
tensione verso altro è ciò che muove l’intero universo determinando
il nascere e il divenire delle sue forme: da quelle inorganiche a
quelle organiche alla stessa vita umana.
• ESSA è insaziabilità ed eterna insoddisfazione che darà luogo ad
una catena ascensionale di esseri che parte dalle primigienie forze
naturali e arriva agli organismi complessi come l’uomo, muovendo
ciascuno verso la soddisfazione, il mantenimento e l’accrescimento
di sé.
• Ma se i singoli esseri sono individuati nello spazio e nel tempo, la
volontà è una e indivisibile, libera dal principio di
individuazione ed è presente uguale a sé in tutti gli esseri e in
ciascuno.

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Volontà e dolore

La volontà è mancanza e bisogno, è


perennemente insoddisfatta e comporta
dolore e lacerazione. Ogni soddisfazione
è effimera e lenisce solo per un momento
il desiderio che subito risorge
implacabilmente. Quanto più si sale nella
scala della coscienza, tanto più si è
consapevoli dell’inevitabilità di questo
bramare inesausto. Ciò determina un
aumento continuo del dolore.
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Oggettivazione della volontà

Ogni essere è volontà oggettivata cioè è il risultato,


l’espressione di un tendere, di un bramare che ha
raggiunto un dato livello e ha guadagnato a sé una
data forma. L’uomo è la manifestazione più
compiuta della volontà, è volontà oggettivata al
massimo grado che diventa cosciente di sé e del
proprio dolore, che sa della propria destinazione
alla morte, cioè al naufragio di ogni suo desiderio.

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OGGETTIVAZIONE DELLA
VOLONTÀ (2)
• La volontà vuole e ottiene quello che
vuole, cioè si oggettiva, diventa essere,
realtà. La prima espressione cristallizzata,
reificata, realizzata della volontà è il
mondo nella sua struttura ideale. Come
il Platone le idee erano i paradigmi
supremi della realtà, in S. esse sono le
sue strutture fondamentali e portanti. Cioè
coincidono con la volontà che emerge e si
manifesta come insieme di oggetti.
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OGGETTIVAZIONE DELLA
VOLONTÀ (3)
• Tali oggetti non sono però gli oggetti quotidiani e
particolari ma sono classi (non un oggetto
inorganico qualsiasi, ma una delle forze
fondamentali della natura; non un animale
qualsiasi, ma la sua specie) ordinate in senso
gerarchico dall’inorganico fino all’umanità. Tali
IDEE sono atemporali ed eterne, anche se noi le
conosciamo solo attraverso le categorie di
spazio tempo, cioè si rendono disponibili alla
rappresentazione sotto le categorie sue proprie
(spazio, tempo, causalità).
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OGGETTIVAZIONE DELLA
VOLONTÀ (4)
• La volontà si cristallizza e si OGGETTIVA in idee del
• Mondo inorganico: (forze generali della natura) – gravità, impenetrabilità dei corpi,
magnetismo, elettricità, chimismo
• Mondo organico: specie vegetali, animali, umanità
Le varie specie – intese come paradigmi perfetti - sono idee quindi fisse, e non
soggette a cambiamento (cfr. la visione contraria di Darwin, che S. ha conosciuto
solo indirettamente e alla fine della sua vita)
ALL’INTERNO DI CIASCUNA SPECIE, cioè ad un grado inferiore di oggettivazione della
volontà, si colloca invece il bramare continuo degli individui, la lotta per la propria
affermazione contro la volontà altrui, la vita dei singoli concreti e in divenire,
attanagliata dal dolore e destinata alla morte (la morte dell’individuo è in
contrapposizione all’eternità della specie, cui l’individuo è asservito).
Il mondo delle specie è ordinato, gerarchico, statico e perfetto mentre quello
dell’individuo è caos, conflitto e lotta (cfr. il concetto darwiniano simile di lotta per
la vita, che però non determina in S. alcuna evoluzione della specie).
L’umanità, cui noi individui apparteniamo, è il grado più alto di oggettivazione della
volontà, luogo in cui essa diventa consapevole di sé, anche se ciò non impedisce
affatto a noi di subire, come tutti gli altri, le conseguenze negative di appartenere al
mondo come volontà.

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SCHEMA

Mondo degli
esseri individuali
eternamente IDEE
desiderante e in Specie delle
Volontà oggettivazione cose
eterno reciproco oggettivazione SS
perfettamente
conflitto oggettivate

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NOIA E DOLORE

Negli esseri che la volontà, oggettivandosi, ha costituito, la


volontà stessa continua ad agire, a volere soddisfazione.
Nell’uomo ad ogni soddisfazione della volontà corrisponde un
momentaneo placarsi del dolore. Ma non appena il dolore è
placato subentra la noia, cioè il venir meno di ogni scopo, lo
svuotamento, la mancanza di passione e di finalità. Dalla noia
rinasce la scontentezza e dalla scontentezza il desiderio.
Per questo la regola della vita umana è
l’infelicità
Questo vale per il singolo come per le comunità umane, il cui
perenne tendere produce una storia senza senso, senza
direzione, poiché non vi è nessuna razionalità nella volontà
che attanaglia il singolo e allo stesso modo nessun senso in
quella che attanaglia i popoli.
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Possibilità di liberazione?

L’uomo sa di essere volontà. Questa è


l’unica sua relativa ancora di salvezza.
Questo sapere che la volontà produce il
suo dolore rende possibile un tentativo di
contrastare il volere e il desiderio.
Ciò può avvenire attraverso
L’ARTE, LA MORALE E L’ASCESI.

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L’arte (1)
• «L'arte si deve necessariamente considerare come il grado più alto,
come l'evoluzione più perfetta di quanto esiste; ci offre infatti
essenzialmente la stessa cosa che il mondo visibile; ma più
concentrata, più perfetta, con scelta e con riflessione: possiamo
quindi, nel vero senso della parola, chiamarla il fiore della vita. Se il
mondo come rappresentazione non è che volontà divenuta visibile,
l'arte è precisamente tale visibilità resa più chiara; la camera oscura
che abbraccia meglio e con una sola occhiata; è lo spettacolo nello
spettacolo, la scena nella scena».

Tutte le arti e in particolare la musica, che è la più pura tra esse,


esigono che “la volontà resti fuori dal gioco e che noi ci limitiamo ad
essere puro soggetto conoscente”. "Quando, invece, nella realtà
con i suoi orrori, è la volontà stessa ad essere sollecitata ed
angosciata, non abbiamo più a che fare con suoni e rapporti
numerici, ma siamo noi in persona adesso la corda tesa, pizzicata e
vibrante ".

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L’ arte (2)
Nella contemplazione estetica dunque ci si immerge
completamente nell’oggetto intuito, dimenticando il proprio
sé, il proprio tendere, il proprio dolore. Si diventa cioè un
“puro occhio del mondo” esaurendo se stessi in ciò che si
guarda o si sente o si percepisce. “Noi non siamo più quegli
individui che pongono la loro intelligenza al servizio della
volontà” ma diventiamo capaci di guardare in modo
disinteressato all’essenza delle cose, liberandoci dai moti che
ci portano a volerle e a cercare di possederle. Così l’opera
d’arte, la musica in particolare e, come in Aristotele, la
tragedia, una funzione catartica: mentre contempliamo
l’essenza delle cose, dell’uomo e del mondo, il fatto stesso di
vederle davanti a noi in una forma oggettiva, ci libera per un
momento dal nostro volere, dal nostro affanno, dalla nostra
lacerazione.
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LA MORALE
• Comporta la negazione in noi della
volontà di vivere attraverso
l’imposizione di un dovere che
prescinde da ciò che noi come individui
possiamo desiderare.
L’ etica schopenhaueriana passa
attraverso due tappe che
rappresentano un progressivo
abbandono dell’egoismo della volontà.

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La Giustizia
riconosce gli altri come uguali a noi
stessi e comporta un’iniziale uscita dal
quel mondo solo per me che
caratterizza la mia volontà.
La pratica della giustizia mantiene però
la distinzione tra me e gli altri e non
abbatte quel che mi imprigiona nella
mia individualità desiderante.
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LA COMPASSIONE
invece ci fa sentire l’altrui dolore attraverso la
comprensione del nostro e ci introduce
all’agàpe cioè ad un amore fondato sulla
simpatia che ci ispira il comune soffrire e la
comune angoscia, e sulla pietà che ne
consegue per il destino altrui. Quindi nella
compassione il dovere appare più
saldamente fondato perché poggiante
sull’interiorità di un sentimento di
compartecipazione all’esistenza degli altri.
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Sentire il dolore altrui
• «Un uomo, cui riesca di sollevare il velo di Maya, di penetrare il
principium individuationis fino a sopprimere qualsiasi distinzione
egoistica fra la persona propria e l’altrui; un uomo che senta le
sofferenze degli altri non meno che le proprie; che dunque, non
soltanto si mostri soccorrevole fino all’estremo grado, ma sia pronto
a sacrificare la propria individualità, se cui si richieda per salvare
molti individui estranei; un tal uomo, riconoscendo in tutte le
creature se stesso, il più intimo, il più vero se stesso, riterrà come
sue le pene infinite di tutti gli esseri viventi e farà suo tutto il dolore
dell’universo. Nessuna sofferenza può essergli estranea. I tormenti
che vede affliggere i suoi simili, e che può così raramente addolcire;
quelli di cui non ha che notizia indiretta, e quelli stessi che può
soltanto concepire come possibili, tutti lo commuovono come se
fossero suoi…»

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Sentire il dolore altrui (2)
• «Non fissa più lo sguardo sull’alterna vicenda dei beni e dei mali
della propria persona, come fa l’uomo ancora schiavo dell’egoismo;
ma invece, riuscito com’è a penetrare il principium individuationis,
ogni cosa lo tocca ugualmente da vicino. Abbraccia tutto l’insieme
delle cose, ne afferra l’essenza, e la riconosce consistere in un
perpetuo annientamento, in uno sforzo sterile, in una contraddizione
intima, in una sofferenza senza tregua; dovunque volga lo sguardo,
vede un’umanità dolorante, un’animalità sofferente, un mondo
evanescente. Il tutto lo tocca da vicino, come i mali dlla propria
persona toccano l’egoista. Data una simile conoscenza del mondo,
come potrebbe l’uomo, con atti perpetui della volontà, affermare la
vita, aggrapparvisi sempre più strettamente, e tenersela tanto a
cuore?» A. Schopenhauer, Il mondo, cit., IV, 68.

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La tappa finale dell’uscita dall’egoismo della volontà e dalla prigione in
cui essa ci mantiene e quella propriamente ascetica.
L’ASCESI
spegne la volontà di vivere in ogni sua manifestazione tramite la
rinuncia e la mortificazione e in particolare si esprime in una
perfetta castità
Qui vi è la negazione dell’elemento primario della volontà di vivere, che
si trova nell’impulso alla generazione. Accanto alla castità, virtù
ascetiche sono la povertà volontaria, la rassegnazione, il sacrificio.
Queste strappano l’uomo dal legame con gli oggetti, con tutto ciò che
egli desidera e che non fa che procrastinare il dolore. Così la volontà è
quietata e si trasforma da voluntas in
NOLUNTAS
producendo la redenzione dell’uomo.

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