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Bell D-188A

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Bell D-188A
Descrizione
Tipocaccia V/STOL
Equipaggio1
CostruttoreStati Uniti (bandiera) Bell Aircraft
Esemplari1 mock-up
Dimensioni e pesi
Lunghezza10,90 m (62 ft 0 in)
Apertura alare7,24 m (23 ft 9 in)
Altezza3,89 m (12 ft 9 in)
Superficie alare18,02 (194 sq ft)
Peso a vuoto6 260 kg (13 800 lb)
Peso carico10 849 kg (23 917 lb)
Propulsione
Motore8 turboreattori General Electric J85 ognuno da 1.181 kg/s
Spinta12 kN ciascuno
Prestazioni
Velocità max2744 km/h (Mach 2,3 teorici)
Autonomia3.900 km (2.300 mi, 2.000 nmi)
Raggio di azione2.170 km (1.350 mi, 1.170 nmi)
Tangenza18.288 m (60.000 ft)
Armamento
Cannoni4 cannoni da 20 mm
Bombe1.800 kg
Missili2 AIM-7 Sparrow a guida SAHR
4 AIM-9 Sidewinder a guida IR
Piloni8

i dati tratti da Bell XF-109[1]

voci di aerei militari presenti su Wikipedia

Il Bell D-188A (denominazioni militari non ufficiali XF-109/XF3L) era un aereo da caccia/cacciabombardiere con capacità di decollo ed atterraggio verticale (VTOL), dotato di otto turboreattori General Electric J85, ognuno da 1.181 kg/s, velocità massima prevista di Mach 2,3, sviluppato nella seconda metà degli anni Cinquanta del XX secolo, che andò mai oltre lo stadio di mock-up.[1]

Storia del progetto

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Nei primi anni Cinquanta del XX secolo la Bell Aircraft sviluppò un piccolo velivolo sperimentale a reattori basculanti, designato ATV Model 65, che compì il suo primo decollo assistito, assicurato ad una piattaforma per evitare che i gas di scarico fossero reingestiti dai motori, nel novembre 1954.[2] Il programma Model 65 fu terminato nel 1955, ma in quello stesso anno sia l'USAF che l'US Navy chiesero alla Bell Aircraft di sviluppare un cacciabombardiere/intercettore supersonico ognitempo con caratteristiche VTOL/STOVL.[3] Il progetto, destinato a ricoprire numerosi ruoli in seno a due forze armate ottenne la designazione di Project 2000 e fu richisto lo sviluppo di due distinte versioni, il D-188 per l'US Navy e il D-188A per l'USAF.[3] La Bell Aicraft chiese all'United States Air Force di attribuire al D-188A, la versione terrestre, il prefisso XF-109, mentre essa stessa attribuì a quella imbarcata la designazione XF-3L-1.[3] Tra il 1956 e il febbraio 1959 per lo sviluppo di questo velivolo furono spesi 14.500.000 dollari.[4] Nel 1959 la Bell collaborò insieme alla Convair Division di San Diego (California) della General Dynamics alla Phase 1 di sviluppo del progetto.[3]

Il 5 dicembre 1960 la Bell presentò il mock-up del nuovo velivolo, designandolo di propria iniziativa XF-109.[3] A quell'epoca la marina aveva già deciso di non procedere con la realizzazione di un caccia imbarcato supersonico VTOL, sia per problemi di bilancio e sia per contrasti con l'USAF.[3] Lo sviluppo del Bell XF-3L fu definitivamente cancellato il 18 febbraio 1959.[5]

Descrizione tecnica

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L'aereo era di tipo non convenzionale, aveva una fusoliera lunga 18,9 m, disegnata seguendo la regola delle aree, dotata di grande deriva e due stabilizzatori interamente mobili.[3] La cabina di pilotaggio monoposto, dotata di seggiolino eiettabile, era posizionata all'estremità del muso, mentre l'ala, posizionata alta sulla fusoliera, aveva una apertura di 7,24 m.[3] Alle estremità di ciascuna semiala vi era un pod contenente due turboreattori General Electric J85 ognuno erogante la spinta da 1.181 kg.[3][6] Essi erano stati progettati per basculare lungo un arco di 100° dalla posizione orizzontale a 10° all'indietro in quella verticale, con i pod che venivano ruotati per dirigere la spinta del motore verso il basso, e mentre per il volo orizzontale i pod venivano ruotati nuovamente in orizzontale.[4][3] Oltre ai quattro motori nelle ali, nella fusoliera vi erano altri due propulsori nella parte posteriore, dotati di due condotti di coda separati e alimentati da due grandi prese d'aria sagomate, poste sui fianchi della fusoliera.[5] Su questi sei motori era prevista l'installazione dei postbruciatori che avrebbero consentito una velocità massima di Mach 2,3.[5] Gli altri due turbogetti fissi, posizionati in fusoliera a sostegno della spinta verticale, dotati di compressore assiale a 9 stadi, avrebbero alimentato un sistema di getti ad aria spillata, due posti sotto il muso e due in coda, assicurando così il completo controllo sui tre assi.[5] Il velivolo disponeva di un totale di 8 turboreattori General Electric J-85.[5] Per la costruzione dell'aereo sarebbe stato usato in massima parte alluminio, limitando l'uso di acciaio temperato e titanio.[5] Il carrello di atterraggio era del tipo anteriore, completamente retrattile.[6]

Ognuna delle due versioni previste avrebbe avuto uno specifico armamento.[5] Per la versione caccia intercettore erano previsti quattro cannoni da 20 mm, 4 missili aria-aria a guida IR AIM-9 Sidewinder e due missili aria-aria a guida SAHR AIM-7 Sparrow.[5] Per il ruolo di cacciabombardiere vi erano otto punti d'attacco per bombe e razzi da 70 mm per un carico massimo di 1.800 kg.[5] Il velivolo avrebbe potuto passare da una versione all'altra semplicemente cambiando il selettore.[5]

Impiego operativo

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Il mock-up della versione XF-109 (D-188A) fu mostrato a una delegazione dell'USAF con il numero di serie 92109 dipinto sull'impennaggio di coda, ma non ottenne alcun ordine di produzione in serie e il progetto fu definitivamente abbandonato nella primavera del 1961.[3]

  1. ^ a b National Museum.
  2. ^ Marsan 2016, p. 42-43.
  3. ^ a b c d e f g h i j k Marsan 2016, p. 44.
  4. ^ a b Pelletier 1992, p. 204.
  5. ^ a b c d e f g h i j Marsan 2016, p. 46.
  6. ^ a b Marsan 2016, p. 45.
  • (EN) Dennis R. Jenkins e Tony R. Landis, Experimental & Prototype U.S. Air Force Jet Fighters, Minnesota, Specialty Press, 2008, ISBN 978-1-58007-111-6.
  • (EN) Alain J. Pelletier, Bell Aircraft. Since 1935, Annapolis, Naval Institute Press, 2007, ISBN 1-55750-056-8.
  • (EN) David R. Townend, Clipped Wings– The History of Aborted Aircraft Projects, Markham, Ontario, AeroFile Publications, 2007, ISBN 978-0-9732020-4-5.
Periodici
  • Michele Marsan, XF-109, bello e impossibile, in Aerei nella Storia, n. 107, Parma, West-Ward Edizioni, aprile-maggio 2016, pp. 42-46.

Voci correlate

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Altri progetti

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Collegamenti esterni

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Video