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Storia di un impiegato

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
(Reindirizzamento da Canzone del maggio)
Storia di un impiegato
album in studio
ArtistaFabrizio De André
Pubblicazione2 ottobre 1973
Durata35:33
Dischi1
Tracce9
GenereMusica d'autore
Folk rock
Rock progressivo
EtichettaProduttori Associati
ProduttoreRoberto Dané
RegistrazioneStudio Ortophonic di Roma, 1973
Velocità di rotazione33 giri
FormatiMC, LP 30 cm[1]
Altri formatiCD
NoteArrangiamenti e direzione d'orchestra di Nicola Piovani
Certificazioni FIMI (dal 2009)
Dischi d'oroItalia (bandiera) Italia[2]
(vendite: 25 000+)
Fabrizio De André - cronologia
Album successivo
(1974)

Storia di un impiegato è il sesto album in studio del cantautore italiano Fabrizio De André, pubblicato nel 1973.

«La "Storia di un impiegato" l'abbiamo scritta, io, Bentivoglio, Piovani, in un anno e mezzo tormentatissimo e quando è uscita volevo bruciare il disco. Era la prima volta che mi dichiaravo politicamente e so di aver usato un linguaggio troppo oscuro, difficile, so di non essere riuscito a spiegarmi.»

Come accade spesso nei dischi di De André, le canzoni dell'album sono collegate fra loro da un filo narrativo: un giovane impiegato che, dopo aver ascoltato un canto del Maggio francese, entra in crisi e decide di ribellarsi, senza però rinunciare al suo individualismo. Le canzoni che seguono raccontano la sua presa di posizione solitaria, con un rapido succedersi dei fatti, poi l'esperienza fallimentare della violenza e infine, in carcere, la presa di coscienza del bisogno di una lotta comune. Un altro tema del disco, oltre al Maggio francese, è il terrorismo.[4]

Lato A

Testi di Fabrizio De André e Giuseppe Bentivoglio (ad eccezione di Sogno numero due), musiche di Fabrizio De André e Nicola Piovani.

  1. Introduzione – 1:42
  2. Canzone del Maggio – 2:24
  3. La bomba in testa – 4:01
  4. Al ballo mascherato – 5:12
  5. Sogno numero due – 3:13 (testo: Fabrizio De André e Roberto Dané)
Lato B
  1. La canzone del padre – 5:14
  2. Il bombarolo – 4:20
  3. Verranno a chiederti del nostro amore – 4:19
  4. Nella mia ora di libertà – 5:09

Il disco venne duramente attaccato dalla stampa musicale militante e vicina al movimento studentesco. Così fu recensito, ad esempio, da Simone Dessì:

«Storia di un impiegato è un disco tremendo: il tentativo, clamorosamente fallito, di dare un contenuto "politico" a un impianto musicale, culturale e linguistico assolutamente tradizionale, privo di qualunque sforzo di rinnovamento e di qualunque ripensamento autocritico: la canzone Il bombarolo è un esempio magistrale di insipienza culturale e politica»

In anni più recenti è stato giudicato da Riccardo Bertoncelli come un disco «verboso, alla fine datato[6] »

Anche Enrico Deregibus ne diede un giudizio sostanzialmente negativo:

«L'album è sempre stato considerato, anche dal suo autore, come uno dei più confusi. La vena anarchica di De André deve fondersi con quella marxista di Bentivoglio, e spesso i punti di sutura e di contraddizione sono fin troppo evidenti. Non a caso è l'ultimo episodio della collaborazione tra i due»

Un'altra recensione negativa è quella di Fiorella Gentile, apparsa su Ciao 2001:

«La musica presta il nome a qualcosa che a tratti sembra la colonna sonora di un film sulla mafia (con il sintetizzatore al posto dello scacciapensieri), a volte quella di un thrilling alla Dario Argento (con il basso che riproduce il battito cardiaco), altre recupera i toni alla Cohen e alla Guccini: ma rimane un prodotto scucito, che non ha più il vecchio incanto.»

Anche il pubblico accolse l'album in maniera negativa[9].

Una delle polemiche più note relative alla pubblicazione del disco venne dal cantautore milanese Giorgio Gaber, il quale accusò il collega ligure di aver usato "un linguaggio da liceale che si è fermato a Dante, che fa dei bei temini, ma non si riesce a capire se sia liberale o extraparlamentare"[3]. De André rispose a Gaber in occasione di un'intervista alla Domenica del Corriere del gennaio 1974, dichiarando: "Io stimo e ammiro Giorgio e mi spiace che lui, che si dichiara comunista, sia andato a raccontare queste cose al primo giornalista che ha incontrato. Poteva telefonarmi, farmi le sue osservazioni: ne avremmo discusso, ci saremmo confrontati. Così, invece, ha svilito ancora di più un mondo già tanto criticato"[3].

Delle canzoni del disco, solo Verranno a chiederti del nostro amore[10] viene inserita nel repertorio dal vivo di De André negli anni a seguire[11]. Gli altri brani vennero eseguiti in concerto solo per qualche anno, ne è un esempio la Canzone del Maggio inserita nella scaletta del primo tour del 1975 o ancora La bomba in testa, Al ballo mascherato, Canzone del padre, Il bombarolo e Nella mia ora di libertà che vennero riproposti solo in alcune date del tour del 1976[12].

Dopo un attacco strumentale che verrà ripreso in varie occasioni negli altri brani, viene introdotto il personaggio dell'impiegato, mentre osserva gli studenti ribelli del '68 (Lottavano così come si gioca / i cuccioli del maggio era normale...).

Canzone del Maggio

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Il primo brano, Canzone del Maggio, è liberamente tratto da un canto del Maggio francese del 1968 di Dominique Grange, il cui titolo è Chacun de vous est concerné[13]. Quando De André si mise in contatto con la Grange per poter pubblicare il pezzo, la cantante francese glielo regalò, non chiedendogli nemmeno i diritti d'autore.

Della Canzone del Maggio esiste una versione dal testo differente (e lontano dalla traduzione letterale dell'originale[7]), presentata a volte dal vivo dal cantautore genovese; di questa versione esiste una registrazione pubblicata dalla Produttori Associati in una cassetta antologica Stereo 8. Il ritornello di questa versione recita "Voi non avete fermato il vento, gli avete fatto perdere tempo"; sono presenti inoltre altre differenze.

La canzone è stata reinterpretata nell'album Mille papaveri rossi da Alberto Cesa e i Cantovivo, mentre in Canti randagi è stata tradotta in Lombardo dai Barabàn.

La bomba in testa

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In questa canzone l'impiegato si confronta con i sessantottini e si unisce idealmente ai giovani, seppur con cinque anni di ritardo, scegliendo però un approccio individualista e violento. La canzone inizia con l'impiegato che si dedica, in maniera passiva e rassegnata, al suo lavoro; in seguito, durante la canzone, vediamo una sua evoluzione interiore, dovuta alla visione dell'esempio dei giovani ribelli. A questi, a fine canzone, si unirà idealmente.[14]

Al ballo mascherato

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Questa canzone rappresenta il primo sogno, la prima esperienza onirica nella quale l'impiegato, con l'esplosivo, farebbe saltare i simboli del potere e gli spiriti di Cristo, Maria, Dante Alighieri, dell'ammiraglio Nelson, del padre e della madre. Qui il potere è espresso in tutte le sfaccettature della società borghese: culturali, genitoriali, politiche e ideologiche, religiose ecc. L'intento è quello di togliere la maschera agli ipocriti, delegittimare il potere e colpire le istituzioni.

Sogno numero due

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Il sogno continua con l'impiegato sotto processo, che viene smascherato dal giudice (Imputato ascolta, noi ti abbiamo ascoltato. Tu non sapevi di avere una coscienza al fosforo piantata tra l'aorta e l'intenzione), il quale gli fa notare come la bomba abbia rinnovato e alimentato il sistema; seguendo la sua personale brama di potere, l'impiegato ha infatti giudicato, giustiziato e ucciso i potenti per ritagliarsi un posto, divenendo l'unico simbolo potente.

La particolarità del brano è il testo, interamente recitato su una base ritmica, intervallato da parti orchestrali.

Canzone del padre

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Il giudice ha concesso all'impiegato di scegliere una vita tranquilla e integrata, e questi decide di assumere il ruolo di suo padre, ben collocato nel suo posto tra "piccoli" e "grandi", scoprendo la miseria e l'inutilità della sua vita. L'ipocrisia e la fragilità della vita borghese, le paure bieche e piccole prendono il sopravvento fino a svegliarlo dal sogno.

La canzone è stata reinterpretata da Oliviero Malaspina nel concerto di tributo Faber, amico fragile, dal quale è stato tratto l'album omonimo.

L'impiegato, mosso da motivazioni da disperato ("se non del tutto giusto, quasi niente sbagliato"), prepara un ordigno con cui tenta di compiere un vero attentato, il cui unico effetto è metterlo in ridicolo, in particolare di fronte alla fidanzata, rivelando al tempo stesso la sua mania di protagonismo e la sua goffaggine.

Il brano si conclude esemplarmente con una ripresa dell'introduzione del disco.

La canzone è stata reinterpretata dal cantautore e attivista Luca Bassanese assieme alla Original Kocani Orkestar di Macedonia nell'album Al Mercato e nell'album Duemila papaveri rossi.[15]

Un'altra reinterpretazione del testo è stato realizzato dal rapper Willie Peyote nel 2019 e compresa nella raccolta tributo Faber nostrum.

Verranno a chiederti del nostro amore

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L'impiegato, dal carcere, vede la sua donna schermirsi nelle interviste ai giornali, ripensa al loro rapporto e, temendo per la sorte di lei nel futuro, quasi rassegnato, le chiede di prenderlo in mano e fare le proprie scelte con autonomia.

Il brano si intitolava in origine Lettera alla donna e venne composto per l'allora fidanzata Roberta, la stessa 'protagonista' di Giugno '73.[16] In un incontro pubblico il 10 luglio 2010 e nel successivo concerto del 12 luglio a Saluzzo, tuttavia, Cristiano De André, aprendo il proprio secondo tour "De André canta De André", in cui interpretava brani del padre Fabrizio, ha dichiarato che la canzone venne composta dal padre per la prima moglie (e madre di Cristiano) Enrica "Puny" Rignon e che egli poté assistere, pur dal buco della serratura, alla prima esecuzione del brano appena completato, nel cuore della notte, da parte di Fabrizio alla consorte, visibilmente commossa. La circostanza è stata confermata da Cristiano anche in una intervista, pubblicata su La Stampa, il successivo 22 luglio 2010.[17]

La canzone è stata reinterpretata da Eugenio Finardi nel concerto e nell'album Faber, amico fragile e da Lino Straulino nell'album Mille papaveri rossi.

Nella mia ora di libertà

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L'impiegato, in carcere, compie la maturazione definitiva tra l'individualismo e le lotte collettive. La canzone parte con la rinuncia all'ora d'aria, descrive l'inutilità del carcere e la maturazione che porta il carcerato a "capire che non ci sono poteri buoni" e si conclude con il sequestro dei secondini da parte dei detenuti, nell'unica frase al plurale: la lotta non è più una sterile protesta individuale del protagonista ma una lotta collettiva che riprende il tema della Canzone del Maggio. Musicalmente, il brano riprende sia quest'ultima che La bomba in testa.

La canzone è stata reinterpretata da Frontiera nell'album Mille papaveri rossi e da Giovanni Truppi, Vinicio Capossela e Mauro Pagani nella serata dedicata alle cover del Festival di Sanremo 2022.[18]

Come il precedente Non al denaro non all'amore né al cielo, anche questo disco fu registrato negli studi Ortophonic di Roma, situati in piazza Euclide (ora si chiamano studi Forum Music Village)[19]; il tecnico del suono è Sergio Marcotulli, padre della pianista jazz Rita.

  1. ^ http://discografia.dds.it/scheda_titolo.php?idt=2433
  2. ^ Storia di un impiegato (certificazione), su FIMI. URL consultato il 2 settembre 2019.
  3. ^ a b c Gigi Speroni, De André s'arrabbia con Gaber, in Domenica del Corriere, n. 1, Milano, gennaio 1974 (archiviato dall'url originale l'8 maggio 2006).
  4. ^ Stefano Giannini, Storia di un impiegato di Fabrizio De André, La Riflessione, 2005, pp. 11-16.
  5. ^ Recensione di Simone Dessì pubblicata su Muzak e ristampata poi nel volume C'era una volta una gatta, Roma, edizioni Savelli-Il pane e le rose, 1977, p. 44.
  6. ^ Riccardo Bertoncelli (a cura di), Belin, sei sicuro? Storia e canzoni di Fabrizio De André, Giunti, 2003, p. 94, ISBN 978-88-09-02853-1.
  7. ^ a b Enrico Deregibus, Traccia biografica, pubblicata in Riccardo Bertoncelli (a cura di), Belin, sei sicuro? Storia e canzoni di Fabrizio De André, Giunti, 2003, p. 55, ISBN 978-88-09-02853-1.
  8. ^ Fiorella Gentile, Fabrizio De Andrè: un disco da "leggere" (JPG), in Ciao 2001, 2 dicembre 1973, pp. 33-35. URL consultato il 19 marzo 2010 (archiviato dall'url originale l'11 febbraio 2011).
  9. ^ De André arriva al cinema. Dori Ghezzi: "Il suo paradiso era in terra", su la Repubblica, 9 maggio 2015. URL consultato il 27 novembre 2023.
  10. ^ Inclusa anche nel doppio disco dal vivo con la PFM del biennio '79-'80
  11. ^ Come si può leggere nelle scalette dei concerti delle varie tournée riportate in Franco Zanetti e Claudio Sassi, Fabrizio De André in concerto, Giunti Editore
  12. ^ Franco Zanetti e Claudio Sassi, Fabrizio De André in concerto, Giunti Editore
  13. ^ Chacun de vous est concerné, su antiwarsongs.org, Canzoni contro la guerra. URL consultato l'11 maggio 2014.
  14. ^ Storia di un impiegato: il miglior album di Fabrizio De André, su WeGather, 26 febbraio 2020. URL consultato il 4 marzo 2020 (archiviato dall'url originale il 20 aprile 2020).
  15. ^ Duemila papaveri rossi, su lisolachenoncera.it. URL consultato l'11 maggio 2014.
  16. ^ Michelone 2011, p. 142.
  17. ^ Andrea Scanzi, Cristiano De André: "Mio padre Fabrizio un amico fragile", in La Stampa, Prato, 22 luglio 2010. URL consultato l'11 maggio 2014 (archiviato dall'url originale il 13 aprile 2013).
  18. ^ Redazione di Rainews, Sanremo 2022. Giovanni Truppi e Vinicio Capossela cantano "Nella mia ora di libertà", su RaiNews, 4 febbraio 2022. URL consultato il 2 ottobre 2024.
  19. ^ Nicola Piovani, Quel pomeriggio al piano con Fabrizio, in la Repubblica, 12 agosto 2007. URL consultato l'11 maggio 2014.
  • S.Giannini, Storia di un impiegato, La Riflessione, 2005.
  • Enrico Grassani, Anche se voi vi credete assolti... Fabrizio De André, attualità del messaggio poetico e sociale, Edizioni Selecta, Pavia 2002. ISBN 88-7332-072-4.
  • Domenico Guzzo, Storia di un impiegato (1973) de Fabrizio De André. L'impossible révolution d'un petit-bourgeois entre le «Joli mois de Mai» et les années de plomb, in "Dissidences", n. 10, 2010, pp. 71–82.
  • Guido Michelone, Fabrizio De André - La storia dietro ogni canzone, Siena, Barbera editore, 2011. ISBN 978-88-7899-511-6
  • C. Sassi e O. Semellini, Il maggio di Fabrizio De André, Milano, Aereostella, 2012.
  • Michele Rossi, Ma quanta strada bisogna fare per non «diventare così coglioni/ da non riuscire più a capire/ che non ci sono poteri buoni»? Storia di un impiegato di Fabrizio De André' in ''Il ’68: costruzione e decostruzione di un mito. Applicazioni e rappresentazioni italiane del movimento'', a cura di Sandro de Nobile, Chieti, Solfanelli, 2018. ISBN 978-88-3505-096-4

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