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La ballata degli impiccati

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Disambiguazione – Se stai cercando altri significati, vedi La ballata degli impiccati (disambigua).
La ballata degli impiccati
Titolo originaleBallade des pendus
La ballade des pendus, edizione Trepperel, Parigi, 1500
AutoreFrançois Villon
1ª ed. originale1489
Generepoesia
Lingua originalefrancese medio

La ballata degli impiccati (Ballade des pendus), originariamente chiamata L'epitaffio di Villon (L'épitaphe Villon) e conosciuta anche come Fratelli umani (Frères humains) è un'opera del poeta francese François Villon, pubblicata a stampa per la prima volta nel 1489.

È la poesia più famosa di Villon. Sebbene non vi siano prove certe su ciò, comunemente si ritiene che il poeta la compose mentre era in carcere, in attesa della sua esecuzione, in seguito all'«affare Ferrebouc» che riguardava il ferimento di un notaio pontificio durante una rissa[1].

Fu poi inclusa nel Testament, con molti altri testi.

Nel manoscritto Coislin, questa ballata non ha titolo e nell'antologia Le Jardin de Plaisance et Fleur de rethoricque stampata nel 1501 da Antoine Vérard essa è chiamata semplicemente Autre ballade. È intitolata Épitaphe Villon nel manoscritto Fauchet e nell'edizione del 1489 di Pierre Levet, Épitaphe dudit Villon nel Chansonnier de Rohan; Clément Marot, nella sua edizione commentata del 1533 delle opere di Villon la chiama Epitaffio in forma di ballata, che fece Villon per lui e per i suoi compagni in attesa d'essere impiccato con essi[2].

Il titolo attuale si deve ai romantici e presenta il problema di svelare troppo presto l'identità dei narratori, compromettendo l'effetto sorpresa auspicato da Villon.

Il titolo Épitaphe Villon, insieme ai suoi derivati, pur essendo il titolo utilizzato dal manoscritto originale, è improprio e genera confusione, giacché Villon compilò un vero epitaffio alla fine del Testament (versi 1884-1906). In più, questo titolo, in particolare nella versione di Marot, dà per buona l'ipotesi che Villon abbia composto l'opera in attesa dell'impiccagione, elemento che invece è ancora soggetto a verifica da parte degli studiosi.

Gli storici e commentatori di Villon si sono oggi in buona parte risolti a indicare questa ballata con le sue prime parole: Freres humains, come si è soliti fare quando l'autore lascia privo di titolo il componimento. SAZ

Si è spesso detto che Villon compose Frères humains all'ombra della forca che gli era stata prospettata dal prevosto di Parigi per via dell'affare Ferrebouc. Gert Pinkernell, per esempio, mette in evidenza il carattere disperato e macabro del testo e ne deduce che Villon l'ha sicuramente composto in prigione. Tuttavia, come sottolinea Claude Thiry: «È una possibilità fra le altre: non si può affatto escluderla, ma nemmeno la si deve imporre»[3]. Egli nota infatti che questo è lungi dall'essere l'unico testo di Villon che faccia riferimento alla sua paura della corda e ai pericoli che attendono i «figli perduti». Le «ballate in gergo» (Ballades en jargon), per esempio, contengono numerose allusioni alla forca, ma sarebbe più che azzardato datarle a questo periodo di prigionia. Anche la Quartina è un'opera di Villon che si suppone sia stata scritta durante questo periodo di prigionia. In più, Thiry mostra anche che Freres humains, una volta superata la suggestione del titolo attuale, che falsa la lettura, è più un appello alla carità cristiana verso i poveri che verso gli impiccati e che, contrariamente alla stragrande maggioranza dei suoi testi, questo non è affatto presentato da Villon come autobiografico. Inoltre, il tono macabro che caratterizza la ballata si ritrova anche nella sua evocazione del «carnaio degli innocenti» nelle ottave dalla CLV alla CLXV del Testament.

La poesia è un appello alla carità cristiana, valore molto rispettato nel Medioevo:

(FR)

«Car, si pitié de nous pauvres avez,
Dieu en aura plus tost de vous merciz,
car si vous avez pitié de nous,
Dieu aura plus vite pitié de vous-aussi»

(IT)

«Perché, se pietà di noi poveri avete,
Dio avrà piuttosto di voi mercé,
perché se voi avete pietà di noi,
Dio avrà più presto pietà anche di voi»

Essa presenta un'originalità profonda nella sua enunciazione: sono i morti a rivolgersi ai vivi, in un appello alla compassione e alla carità cristiana, esaltato dalla descrizione macabra. Questo effetto di sorpresa è tuttavia smorzato dal titolo moderno[4]. Il primo verso «Freres humains, qui après nous vivez», conserva difatti ancora oggi un forte potere evocativo ed emotivo: la voce degli impiccati immaginata da Villon trascende la barriera del tempo e della morte[5].

Villon, che attende di essere condannato all'impiccagione, si rivolge ai posteri per sollecitare la pietà dei passanti ed esprimere dei desideri, sollecitare la nostra indulgenza, descrivere la loro condizione di vita, rivolgere una preghiera a Gesù. In second'ordine si può percepire in questa ballata un appello dell'autore alla pietà del re, giacché quest'ultimo lo ha messo in prigione.

La redenzione è al centro della ballata. Villon riconosce di essersi preoccupato troppo del suo essere di carne a discapito della sua spiritualità. Questa constatazione è rafforzata dalla cruda e insopportabile descrizione dei corpi marcescenti (che fu probabilmente ispirata dal macabro spettacolo del «carnaio degli innocenti») che produce un forte contrasto con l'evocazione dei temi religiosi[6]. Gli impiccati esortano in primo luogo i passanti a pregare per loro; poi, nel corso dell'appello, la preghiera si generalizza verso tutti gli esseri umani.

Si tratta di una «grande ballata» e, in quanto tale, segue le regole della ballata classica; le strofe hanno dunque tanti versi quante sono le sillabe di ciascun verso (strofe di 10 versi, verso a sua volta di 10 sillabe). Essa conta dunque tre decime (strofe di 10 versi) più una strofa conclusiva (envoi) di 5 versi. Le rime sono alternate, anche se questa non è tuttavia una delle regole della ballata. Ciascuna strofa si conclude con un ritornelloMais priez Dieu que tous nous vueille absouldre!»). L'ultima strofa è un envoi di soli cinque versi; l'envoi di norma è rivolto a un alto dignitario (l'organizzatore del concorso, il mecenate dell'artista...), qui è invece rivolto direttamente al «Prince Jhesus» (verso 31).

Riepilogo:

Testo della ballata e traduzione italiana

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Testo della ballata[7] e traduzione italiana[8].





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Frères humains qui apres nous vivez
N'ayez les cuers contre nous endurciz,
Car, se pitié de nous pauvres avez,
Dieu en aura plus tost de vous merciz.
Vous nous voyez cy attachez cinq, six
Quant de la chair, que trop avons nourrie,
Elle est pieça devoree et pourrie,
Et nous les os, devenons cendre et pouldre.
De nostre mal personne ne s'en rie:
Mais priez Dieu que tous nous veuille absouldre!

Se frères vous clamons, pas n'en devez
Avoir desdain, quoy que fusmes occiz
Par justice. Toutesfois, vous savez
Que tous hommes n'ont pas le sens rassiz;
Excusez nous, puis que sommes transis,
Envers le filz de la Vierge Marie,
Que sa grâce ne soit pour nous tarie,
Nous préservant de l'infernale fouldre.
Nous sommes mors, ame ne nous harie;
Mais priez Dieu que tous nous vueille absouldre!

La pluye nous a débuez et lavez,
Et le soleil desséchez et noirciz:
Pies, corbeaulx nous ont les yeulx cavez
Et arraché la barbe et les sourciz.
Jamais nul temps nous ne sommes assis;
Puis ça, puis la, comme le vent varie,
A son plaisir sans cesser nous charie,
Plus becquetez d'oiseaulx que dez à couldre.
Ne soyez donc de nostre confrarie;
Mais priez Dieu que tous nous vueille absouldre!

Prince Jhesus, qui sur tous a maistrie,
Garde qu'Enfer n'ait de nous seigneurie:
A luy n'avons que faire ne que souldre.
Hommes, icy n'a point de mocquerie;
Mais priez Dieu que tous nous vueille absouldre.

(Trascrizione del testo tratta dal manuale Lagarde et Michard[9])

Fratelli umani che dopo noi vivrete,
non siate verso noi duri di cuore,
ché, se pietà di noi miseri avete,
Iddio ve ne saprà ricompensare.
Qui ci vedete appesi, cinque, sei:
e la carne da noi troppo nutrita,
oramai è divorata e imputridita,
noi, ossa, diveniam cenere e polvere.
Del nostro mal nessuno se ne rida;
ma Dio pregate che ci voglia assolvere!

Se vi chiamiam fratelli, non dovete
disdegnarci, benché siamo impiccati
per giustizia. Tuttavia, voi sapete
che gli uomini non son tutti assennati,
perdonateci, ché siamo trapassati,
verso il figlio della vergine Maria,
che di grazia per noi prodiga sia,
salvandoci dall’infernale folgore.
Siam morti, anima, l’odio caccia via,
ma Dio pregate che ci voglia assolvere!

La pioggia ci ha bagnati e dilavati
e il sole disseccati e anneriti.
Gazze e corvi gli occhi ci han cavati
e strappato la barba e i sopraccigli.
Mai un istante ci siamo fermati
di qua, di là siccome il vento muta,
a suo piacere si oscilla senza sosta,
più beccati che i ditali per cucire.
Non siate dunque della nostra brigata;
ma Dio pregate che ci voglia assolvere!

Gesù, che su tutti hai potere sovrano,
fa’ che non ci abbia in possesso l’Inferno:
con lui non abbiamo niente a che vedere.
Uomini qui non c’è ombra di scherno;
ma Dio pregate che ci voglia assolvere!

(Traduzione di Nino Muzzi)

Note alla ballata

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Verso 4: merciz: "misericordia" (da paragonare alla parola dell'inglese moderno mercy che ne ha conservato il senso). La 'z' finale (che equivale alla 's' del francese moderno) è stata aggiunta da Villon per analogia del caso soggetto del tipo li murs (come era consentito nella versificazione medievale) per facilitare la rima.

Versi 6, 7 e 8: nourrie (...) pourrie (...) pouldre : queste tre rime si ritrovano nell'ottava CLXIV del Testament che descrive il «carnaio degli innocenti» e che peraltro termina con: «Plaise au doulx Jesus les absouldre!».

Verso 7: dévorée: può significare "mangiata (dagli uccelli)", ma anche (ed è il senso principale): "decomposta".

Seconda strofa: Villon svela infine la causa del decesso dei corpi parlanti (par justice), dopo avere lasciato il dubbio nella prima strofa per permettere al lettore di avente orrore e pietà.

Verso 13: Par justice: doppio senso: "È solo giustizia" e "Per decisione di giustizia". «Giustizia» potrebbe anche essere un'allegoria (molto comune nella poesia del XIV e XV secolo), ma l'assenza di maiuscole porta a tenere in considerazione solo questi due primi significati.

Verso 14: Que tous hommes n'ont pas le sens rassiz: si veda Le Lais, versi 2 e 3: Je, François Villon, escollier, / Considérant, de sens rassis,....

Verso 15: transis: un transi è la rappresentazione di un corpo in decomposizione che si rinveniva abitualmente nei libri d'ore e sulle tombe del XV secolo.

Verso 19: harie, dal verbo harier: canzonare, insultare.

Verso 23: cavez, participio passato di caver che significa "scavare gallerie" e si applica più specificamente agli animali scavatori, come le talpe.

Verso 28: Plus becquetez d'oiseaulx que dez à couldre: reminiscenza del Dit de la mort, poesia anonima dove il corpo è punzecchiato (dai vermi, in questo caso) comme ung day pour coudre.

Envoi: I morti non hanno adesso più bisogno dei vivi per intercedere e interpellano direttamente Gesù, includendo anche i vivi nelle loro preghiere.

  • I personaggi divini:
    • "Dieu" (versi 4, 10, 20, 30, 35): se ne implora la pietà;
    • "Prince Jhesus" (verso 31) e "fils de la Vierge Maris" (verso 16): ha il potere di dominare gli uomini;
  • Gli uomini: "frères humains" (verso 1), "ses frères" (verso 11) e "hommes" (verso 34): sono caratterizzati da difetti e Villon li esorta a pregare per il perdono degli impiccati giacché essi stessi non sono esenti da errori e, se pregheranno per loro, «Dieu en aura plus tost de vous mercis» (saranno dunque perdonati per i propri peccati).
  • I condannati: Villon vuole mostrare agli uomini che i condannati a morte soffrono (versi da 5 a 9 e da 21 a 29).

Campi lessicali

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  • Il campo lessicale della morte corporale: "pieça, dévorée et pourrie" (verso 7), "débuez et lavés" (verso 21), "desséchés et noircis" (verso 22), "cavés" (verso 23), "arrache" (verso 24), "charrie" (verso 27). Esso mostra la sofferenza dei condannati.
  • Il campo lessicale del corpo: "chair" (verso 6), "os" (verso 8), "yeux" (verso 23), "barbe" (verso 24). Esso provoca, in associazione con la descrizione dei supplizi degli impiccati, una reazione di disgusto atta a suscitare pietà.
  • Il campo lessicale delle cose che provocano il loro dolore: "infernale foudre" (verso 18), "pluie" (verso 21), "soleil" (verso 22), "pies, corbeaux" (verso 23), "vent" (verso 26).

Citazioni letterarie

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Nel racconto Vita di uno stolto, dello scrittore giapponese Akutagawa Ryunosuke, incluso nella raccolta Rashomon e altri racconti, nel paragrafo 46 dal titolo "La menzogna", l'autore cita La ballata degli impiccati di Villon: «L'immagine di Villon in attesa dell'impiccagione gli apparve persino in sogno. Provò più volte a sprofondare come lui nel baratro della vita. Ma il suo ambiente e le sue energie fisiche non glielo consentirono».

  1. ^ Jean Favier, François Villon, Fayard, 1982, capitolo 21, p. 495-497
  2. ^ Épitaphe en forme de ballade, que feit Villon pour luy & pour ses compaignons s'attendant à estre pendu avec eulx.
  3. ^ «C'est une possibilité, mais parmi d'autres: on ne peut tout à fait l'exclure, mais on ne doit pas l'imposer».
  4. ^ Edizione e commento di Claude Thiry, p. 310-313
  5. ^ Jean Favier, François Villon, Fayard, 1982, capitolo 21, p. 495-497.
  6. ^ (FR) http://www.bacdefrancais.net/ballade_des_pendus_villon.php consultato il 19 settembre 2010.
  7. ^ (FR) http://www.feelingsurfer.net/garp/poesie/Villon.LaBalladeDesPendus.html Archiviato il 30 marzo 2010 in Internet Archive. Testo della ballata (URL consultato il 19 settembre 2010).
  8. ^ La traduzione è opera di un utente di Wikipedia e necessita di essere rivista.
  9. ^ André Lagarde, Laurent Michard, Moyen Age: Les Grands Auteurs français du programme - Anthologie et Histoire littéraire, Parigi, Bordas, collana «Collection littéraire Lagarde et Michard», 1993.

Voci correlate

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Collegamenti esterni

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