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Alice Pagani

Da Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà.
Alice Pagani (2021)

Alice Pagani (1998 – vivente), attrice italiana.

Citazioni di Alice Pagani

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Citazioni in ordine temporale.

  • Ho fatto le superiori ad un liceo artistico e fin dal primo anno ci facevano disegnare modelle nude su tela, per questo ho sempre considerato il corpo come arte. Che si tratti di una donna magra, una donna grassa, uomini con difetti fisici: per me è arte. Questo aspetto mi ha permesso di non sentire alcuna vergogna [nello spogliarmi sul set], se si fa qualcosa in nome dell'arte quel qualcosa non può che diventare magico.[1]

Dall'intervista di Antonella Bussi a Marie Claire, gennaio 2020; citato in marieclaire.com, 16 dicembre 2019.

  • Io non riesco mai a fingere, nel momento in cui fingo toppo la scena, perché sono abituata a essere un'attrice istintiva, non tecnica. Uso le mie esperienze passate per vivere quel momento come se davvero fossi quel personaggio. Mentire è un'arte, per questo serve l'esperienza per arrivare a una recitazione sottile, elegante, raffinata. Anche se studi dodici ore al giorno, c'è bisogno del tempo.
  • [...] ho scoperto che il mio punto di commedia è nell'antipatia: quando sono stronza, faccio ridere.
  • Alcune donne non sanno di avere un potere, altre lo usano anche troppo. È bello capire che c'è un equilibrio, lo scopri con il tempo. Io non sapevo di avere una sensualità da giocare. Anche solo con gli occhi... Al mio primo provino, per Che Dio ci aiuti, con Elena Sofia Ricci, a un certo punto la responsabile del casting mi fa: "Stop, guarda che stai seducendo una suora". Ero imbarazzata. Le donne possono avere due poteri fortissimi: l'intelligenza, la più importante, e la sensualità. Ma la sensualità senza l'intelligenza non va da nessuna parte. Quindi coltivo entrambe.
  • Mi rendo conto che gli uomini riescono a gestire una cosa alla volta, noi [donne] anche cinque, forse perché ci è stata data la forza mentale e all'uomo quella fisica. Per me femminismo oggi significa essere libere da ogni paura, dimostrare la nostra forza. Non c'è più il senso di rivalsa del '68 forse, possiamo fare tutti i lavori, andare avanti facendo valere le nostre idee. Non abbiamo bisogno di usare il corpo per sedurre, abbiamo anche altro. A me piacciono le donne che vestono abiti maschili, anche sul red carpet. Io ce l'ho chiara la mia idea, sono cresciuta in una famiglia dove i maschi cucinano, le donne non sanno cucinare, dove mio padre fa il bucato quando non lo può fare la sua compagna, per me questa è normalità.

Intervista di Fabia Di Drusco, lofficielitalia.com, 8 dicembre 2020.

  • Mi rimproverano di non utilizzare abbastanza Instagram per promuovere il mio lavoro. La verità è che mi interessa che la gente vada a vedermi al cinema, non che mi metta dei likes sui social.
  • [«Come sei diventata attrice?»] Da piccola soffrivo di una malattia molto rara, la porpora di Schoenlein Henoch, per cui quando avevo 11 anni sono addirittura finita su una sedia a rotelle e mi hanno ricoverato a lungo in ospedale. Per farmi passare il tempo mi avevano regalato una macchinetta fotografica e io scattavo e scattavo le mie lentiggini, che mi affascinavano tantissimo, e le postavo su Facebook. E su FB mi ha contattato Alessio Albi, un fotografo con cui lavoro ancora adesso. Ho posato per lui e per un altro fotografo, entrambi hanno insistito con mia madre dicendo che ero fotogenica e che in video venivo fuori tantissimo, per cui poteva aver senso iscrivermi a una scuola di recitazione. Mia madre si era informata, senza dirmi niente, ma le scuole costavano troppo per noi che non eravamo benestanti. Qualche anno dopo mi ha fermato un fotografo a Roma (vivevo ancora nel mio piccolo paesino delle Marche) dicendomi la stessa cosa. All'inizio ero incerta, avevo molta paura, poi piano piano è stato il cinema a darmi delle conferme.
  • Il caschetto che ho portato per tutta la vita [...] è un'idea di mia madre, che è un'esteta. Un caschetto da Valentina [il fumetto di Guido Crepax] per incorniciare i miei occhi grandissimi che "divoravano" letteralmente la mia faccia quando ero bambina.
  • [«Ti sei definita un'artista... fare l'attrice è la tua vocazione definitiva?»] Credo che fare l'attrice sia la mia vocazione, ma è un mestiere che si nutre di tante forme d'arte. [...] mi piacerebbe poter usare il mio corpo come Marina Abramović, per appropriarmi dello spazio che gli sta attorno trasformandolo in spazio artistico.

Intervista di Elena Bara, vogue.it, 21 dicembre 2020.

  • Ho scoperto che ero simpatica involontariamente e che ero timida, molto più di quanto pensassi. Ho scoperto che avevo una grande paura di darmi agli altri per il timore di essere giudicata. E solo quando questa paura è svanita mi sono resa conto che non erano gli altri il problema, ma ero io a bloccare me stessa, a giudicarmi da sola prima ancora che lo facessero gli altri. Quando ho smesso di farlo credo che anche gli altri ai miei occhi abbiano smesso di giudicarmi.
  • [«Come ti fa sentire essere un'attrice?»] È un grande potere essere un'attrice: puoi essere chi vuoi, andare dove vuoi, scegliere il mondo che vuoi, i capelli che vuoi, i vestiti che vuoi. Puoi far vivere parole che sono semplicemente scritte su un foglio bianco, e puoi crederci più degli altri per fare in modo che anche gli altri ci credano. Ed è bellissimo perché è un canale comunicativo: quello che provo diventa universale, non sono l'unica a provarlo e nello stesso momento in cui lo provo non mi sento sola perché ci sono altre persone che lo provano insieme a me. È qualcosa che mi dà respiro, che mi fa vivere.
  • [«Ci sono momenti in cui desideri essere brutta?»] È strano pensare che a volte io voglia non essere me esteticamente, ma me per come è la mia anima, che non è sempre bella come può essere il mio aspetto. Ci sono delle volte in cui la mia anima è tormentata, delle volte in cui è triste, altre in cui è felice. Talvolta mi imbruttisco anche attraverso la recitazione, ma non lo faccio consapevolmente, lo faccio perché esce fuori la mia anima e quando è lei a comandarmi perdo il controllo di me stessa facendo uscire tutto ciò che è dentro di me, con tutte le imperfezioni dell'essere umano.

Intervista di Paola Casella, iodonna.it, 20 febbraio 2021.

  • È bello accettarsi infischiandosene se hai le smagliature o stai ingrassando. Se ti costringi a essere perfetta secondo l'ideale imposto dalla società, rischi che corpo e mente si ammalino.
  • Mio nonno [...] lavora nei campi, parla con gli animali e crede che gli alberi abbiano un'anima. Nonostante sia analfabeta sa più di chiunque io abbia mai conosciuto. Mi ha insegnato che la sensibilità e l'empatia sono utili tanto quanto la cultura per comprendere la vita. Mi ha dato il coraggio e anche un pizzico di follia. [«L'ha incoraggiata anche nella recitazione?»] Quando gli ho detto: "Nonno, voglio fare l'attrice" mi ha messo in mano 50 euro: "Così puoi iniziare a fare quello che desideri". Per lui 50 euro erano una fortuna. I miei volevano per me un mestiere più stabile, per proteggermi, ma il nonno ha detto: "Alice, tu sai proteggerti da sola".
  • Credo che la mia contraddizione sia avere un aspetto angelico ma sentirmi una tigre dentro.

Intervista di Vittoria Cappelli, corriere.it, 13 aprile 2021.

  • [Sulle attrici della sua generazione] Siamo amiche, c'è una sana rivalità che ci aiuta a crescere.
  • [Sugli anni della scuola] Mi prendevano in giro perché in casa non avevamo tante possibilità economiche e i soldi per la pizza non c'erano, ero emarginata, in classe parlavo con un compagno di colore e una del Kazakistan. Io volevo essere la protettrice degli emarginati.
  • Ho fatto la fotomodella ma non era la mia strada, sono arrivata a Roma a 17 anni, dividevo la stanza con un'altra ragazza, facevo la lavapiatti e la cameriera per pagarmi gli studi di recitazione. Amo Monica Vitti, Eva Green, Helena Bonham Carter per la mia parte gotica. Dicevo arte, arte... Sembravo una freak, una ragazza problematica che non veniva presa sul serio. Ho fatto anche brutti incontri con un regista ma ho saputo difendermi.

Dall'ntervista di Silvia Bombino a Vanity Fair nº 16, 20 aprile 2021; citato in vanityfair.it, 13 aprile 2021.

  • [«[...] lei è partita da Piattoni, il paese dove è cresciuta in provincia di Ascoli Piceno [...]»] È un luogo dove non ci sono molte possibilità, ma solo un cinema, un centro commerciale e tre bar, che chiudono alle 20 anche se non c'è il coprifuoco. Tante case e poi i boschi, la campagna. Da bambina per giocare devi inventarti sempre qualcosa tu, perché non c'è molto da fare. Il tempo è scandito dalle fermate di un autobus che in un tempo lunghissimo ti porta nel posto più vicino, che è un capoluogo comunque lontano da tutto. Il motorino diventa la libertà, gli argomenti sono il calcio che ruota attorno al campetto dell'oratorio, quindi alla chiesa. La gente è molto devota e insieme giudicante verso chi è aperto, diverso, e per questo spaventa.
  • I miei sono operai, vivevo nelle case popolari, dove la vita è più dura, la prima scuola che incontri sono le difficoltà, la gente che frequenti ha problemi di soldi, integrazione, sopravvivenza. Sono cresciuta tra cinesi, kazakistani, filippini, che erano i miei amici. Dalle villette dei benestanti sembravamo alieni, a scuola ero la capetta del gruppo degli emarginati. Ero iperattiva e dislessica, sono finita sulla sedia a rotelle per una immobilità temporanea data da una malattia rara. Eppure gli ostacoli e l'esempio di mia madre mi hanno reso una ragazza forte, senza paura, ho sempre fatto e detto quello che pensavo in un contesto chiuso e anche razzista.
  • Avevo un compagno di classe mulatto, alle elementari, sua madre era bianca e suo padre nero. Ricordo con precisione che altre bambine venivano da me a chiedermi, disgustate: "Ma tu ti fidanzeresti mai con un uomo così?". Io invece non mi ero mai posta la domanda, anzi, ero affascinata dalle loro mani diverse che si univano... Andai a casa e lo dissi a mia mamma: lei mi spiegò che si trattava di ignoranza, che mi dovevo sentire libera di amare chi volevo e non pormi limiti.
  • Se noi continuiamo a promuovere stereotipi per avere controllo sulle vite degli altri non avremo mai la libertà. Ma la mia generazione ora chiede non solo libertà, ma anche verità. Cioè, per la mia generazione la verità è libertà. Per noi l'omosessualità, la transessualità, la fluidità di genere non sono più un tabù: la verità va spiegata ai più giovani, non va nascosta. Siamo molto arrabbiati però, perché abbiamo dovuto lottare con persone che, invece, se vedono due uomini che si baciano per strada dicono al figlio: "Tesoro, non guardare". Penso che il bacio sia un'educazione, e la violenza una diseducazione.
  • [«Perché una donna non ha problemi a dire di essere bisessuale e invece un maschio sì?»] Io scelgo di dire la verità. Scelgo di dire che secondo me è bene scoprire il resto, senza rimanere chiusi e dire a prescindere "no". Per un uomo è più complicato: i maschi devono reprimere la parte femminile perché altrimenti vengono giudicati.

Filmografia

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Note

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  1. Dall'intervista di Martina Barone, Alice Pagani si racconta da Loro a Baby: un corpo nudo è arte, cinematographe.it, 21 novembre 2018.

Altri progetti

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