Il fascismo in mostra. Celebrazione, rimozione, revisione "I nostri non sono più tempi di Musei e... more Il fascismo in mostra. Celebrazione, rimozione, revisione "I nostri non sono più tempi di Musei e di Biblioteche intesi, come fin qui, da alcuni eruditi in colletto e abito nero". 1 Un osservatorio dalle molte implicazioni Lo studio del sistema espositivo fascista può essere considerato figlio della svolta storiografica collocabile tra gli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso. In quella fase, nel pieno dell'acceso dibattito innescato dalle tesi di Renzo De Felice, si fece strada l'esigenza di rileggere l'esperienza del fascismo nel quadro della storia nazionale con categorie analitiche capaci di dar conto della complessità del fenomeno: furono così gradualmente superate, pur dentro ben distinte e spesso ancora apertamente antagonistiche opzioni interpretative, letture che avevano rallentato una esplorazione a tutto tondo del rapporto della società italiana con il regime. L'ideologia, la cultura, la politica culturale del fascismo, per molto tempo relegate alla mera sfera propagandistica quando non negate come temi di ricerca, sono state da allora sviscerate senza soluzione di continuità, costituendo uno dei lasciti storiografici più incisivi di quella stagione. 2 Particolare attenzione è stata via via dedicata alle modalità con cui il regime ha messo in scena se stesso, in una complessa interazione tra estetizzazione della politica e politicizzazione dell'estetica, 3 i cui effetti erano ingigantiti dal controllo dei mezzi di comunicazione e dei luoghi dell'educazione e dell'associazionismo. Di questa complessa operazione, che si situava all'incrocio di varie aspettative, l'apparato espositivo costituì un tassello non trascurabile. 4 Come ha notato di recente Maddalena Carli, l'analisi della "piramide espositiva" fascista richiede di tenere insieme il piano liturgicoestetico e quello più propriamente politico, che si lega anche «alla sperimentazione corporativa nel composito universo degli artisti». 5 Esso costituisce una efficace cartina di tornasole della politica culturale del regime e della costruzione del consenso: oltre all'importanza attribuita agli artisti e al ruolo di istituti e associazioni, si riflette nel dispositivo "mostra" l'ambizione di valorizzare le immagini quale canale privilegiato nella definizione di una identità in grado di far risaltare l'originalità del fascismo nel fiume della storia nazionale. Sullo specifico terreno della mise en scène del passato e del suo recupero attualizzante, su cui mi concentro in questa sede, l'intervento del regime fascista non nasceva tuttavia sul deserto. Nei decenni
Cagliari 1970: a «new frontier» of Italian football
Cagliari’s victory in the 1969-70 National fo... more Cagliari 1970: a «new frontier» of Italian football Cagliari’s victory in the 1969-70 National football championship represents a turning point in the history of Italian sport “par excellence”. For the first time, a “provincial” and Southern team broke the hegemony of the big and powerful teams from the North. The essay highlights this sporting success in the context of an Italy in the midst of major transformations, between incipient economic crisis, political and social contestation, and the strategy of tension. In addition to the impact of the phenomenon, in particular through the reactions of the press, the analysis explores its implications in two other directions: on the one hand, the repercussions that the sporting triumph had on the socio-economic life of Sardinia as well as on the island’s image in Italy; on the other, the extraordinary popularity of Gigi Riva, a football icon of those years, which also allows us to reflect on the evolution of the sports celebrity in a media and social system that would soon experience profound discontinuities with the past.
L'accademico Francesco Severi mi ha tenuto un lungo discorso sui rapporti tra fede e scienza. Mi ... more L'accademico Francesco Severi mi ha tenuto un lungo discorso sui rapporti tra fede e scienza. Mi sembra avviato a una stagione di cattolicesimo militante. Con i paradossi dimostra che non può esserci scienza che non ritrovi certezza nella fede. Mi sono astenuto dal rispondergli che non dovrebbe esservi fede disposta a negare la verità che la scienza, dal proprio seno, esprime. Siamo alle solite battaglie. Galileo o non Galileo? 1
In "Il Mestiere di Storico", 1/2020, pp. 94-96 Inaugurato a Mestre alla fine del 2018, il Museo d... more In "Il Mestiere di Storico", 1/2020, pp. 94-96 Inaugurato a Mestre alla fine del 2018, il Museo del Novecento (M9) è il frutto di un intenso lavoro decennale che la Fondazione Venezia ha realizzato attraverso la riqualificazione urbana di alcuni stabili situati nel cuore del centro storico e ora adibiti a diverse funzioni e attività collegate al museo. L'insieme risulta di notevole suggestione, esaltando un profilo progettuale innovativo e ambizioso, tanto nel design quanto nell'organizzazione degli spazi. L'area espositiva specificamente dedicata al Novecento occupa il primo e secondo piano dell'edificio principale. Entrambe le sale sono divise in quattro sezioni tra loro comunicanti: l'obiettivo è evidentemente quello di agevolare il libero movimento lungo la linea del tempo e valorizzare la relazione con le soluzioni espositive. Si comincia con i macro temi che illustrano la storia d'Italia in termini di demografia e strutture sociali (Come eravamo, come siamo), consumi, costumi e stili di vita (The Italian way of life), innovazioni scientifiche e tecnologiche (La corsa al progresso), economia e lavoro (Soldi soldi soldi). Pannelli, fotografie, statistiche, filmati, dispositivi multimediali interattivi restituiscono con efficacia le condizioni famigliari e lavorative, le abitazioni, i consumi alimentari, l'abbigliamento, spiegandone l'evoluzione nei diversi passaggi della storia nazionale. Al secondo piano, dopo una prima sezione sui mutamenti del paesaggio e dell'insediamento urbano (Guardiamoci intorno), che appare un prolungamento-completamento dell'itinerario precedente, sono introdotti gli snodi istituzionali, politici e culturali. Res Publica, Fare gli italiani, Per farci riconoscere: i titoli generali suggeriscono un percorso di avvicinamento al modello italiano novecentesco, declinato in termini di articolazione delle istituzioni e dei partiti politici, politiche educative e scolastiche, ruolo della Chiesa e della religione cattolica, canali dell'autorappresentazione nazionale (canzone, cinema, sport). Nell'ampio utilizzo di linguaggi e tecniche di comunicazione che puntano a trasmettere una conoscenza filtrata dall'adesione empatica, l'allestimento fa propria l'impostazione affermatasi nell'ambito della museologia più recente: si pensi alla Maison de l'histoire européenne di Bruxelles o al Museo degli ebrei polacchi di Varsavia, ma anche al modello espositivo sperimentato nel 2011 a Torino con la fortunata mostra Fare gli italiani, in occasione del 150° anniversario dell'unità. M9 si propone dunque come un luogo di racconto del Novecento italiano che ben esemplifica il passaggio dai musei tradizionali di collezione ai musei di narrazione. Il direttore Marco Biscione lo definisce un «museo immersivo ed esperenziale» dove la ricostruzione «prescinde dalla materialità degli oggetti ed è affidata completamente all'interazione tra il visitatore e le strutture espositive in una mescolanza tra formazione e intrattenimento» (M9, una nuova visione di museo, in M9-Museo del '900, a cura di C. De Michelis, Venezia, Marsilio, 2018, p. 41). Conoscenza, formazione, intrattenimento: l'impostazione prescelta sembra voler indicare nel museo un terreno congeniale alle pratiche della public history, in linea con il principio-peraltro alquanto scivoloso-della shared authority, della storia fatta "nel" e "con" il pubblico. La conoscenza critica del passato è chiamata a farsi mediatrice di una più consapevole cittadinanza democratica, passando attraverso l'attivazione di una relazione virtuosa tra il coinvolgimento ludico-emotivo e l'idea della storia che il museo intende comunicare (si vedano le riflessioni in proposito di Ilaria Porciani, What can Public History do for Museums, what can Museums do for Public History?, in «Memoria e Ricerca», 54 (2017), pp. 21-40). M9 punta indubbiamente sul potere seduttivo delle immagini, ferme e in movimento, invitando il visitatore a sperimentare creative forme di interazione e simulazione mediatica. Le sollecitazioni sensoriali, specialmente visive, ritmano l'intero percorso. Le informazioni di contesto, i "fatti" sono perlopiù affidati a sobri pannelli introduttivi, mentre gli approfondimenti, talora un po' frettolosi e non privi di qualche inesattezza, sono inseriti in appositi box luminosi che "parlano" soltanto se attivati dal pubblico.
Il fronte si trova ancora sul fiume e mai non si muovono e noi non ne possiamo più forse saranno ... more Il fronte si trova ancora sul fiume e mai non si muovono e noi non ne possiamo più forse saranno tutti contro di noi perché tutti ci vogliono amazzare 1 Si diceva quando finirà questa guerra tremenda [...] Non si sapeva più da che parte stare, non si sapeva più chi era che ti aiutava, chi era che ti danneggiava; non si capiva più niente. Una gran confusione tra gli alleati, i partigiani, i tedeschi 2. Sin dai riferimenti cronologici che si leggono nel titolo di questo contributo è facile riconoscere i motivi che conferiscono alla vicenda bellica nella provincia di Ravenna i tratti corposi di un'esperienza per molti versi singolare. Infatti, l'ottobre 1944 e l'aprile 1945 delimitano temporalmente lo scenario di "guerra in casa" che scaturì dalla geografia delle operazioni militari, anche se all'interno di questi estremi le conseguenze del protrarsi della guerra furono sopportate in misura difforme dai singoli comuni. Le speranze che la popolazione riponeva sul passaggio rapido del fronte si infransero contro la realtà di un'avanzata estremamente lenta e incerta, come si può verificare osservando lo scarto temporale tra la data della liberazione di Rimini (21 settembre 1944) e quelle di Ravenna e Faenza (4 e 17 dicembre) 3. Alla fine dell'anno il territorio provinciale venne di fatto tagliato a metà dalla stabilizzazione del fronte all'altezza del Senio, un modesto corso d'acqua che scende dall'Appennino e confluisce nel fiume Reno nei pressi delle valli di Comacchio 4 : la decisione alleata di rinviare la ripresa dell'offensiva alla stagione primaverile, affidando nel frattempo ai bombardamenti e al tiro incessante delle artiglierie il compito di logorare la resistenza del nemico, espose la popolazione dei comuni situati alla sinistra del fiume a un calvario supplementare di disagi materiali e di contraccolpi psicologici 5. 1 La frase è tratta dal diario di Liliana Corelli di Fusignano, alla data del 30 dicembre 1944: il manoscritto reca come titolo Famiglia Corelli in Le triste Avventure del passaggio del Fronte, ora in I giorni della guerra. Il passaggio del fronte a Fusignano nei diari di Quirino Majorana e Liliana Corelli (1944-1945), a cura di A. Belletti e M. Baioni, con la collaborazione di G. Bellosi, Ravenna, Longo, 1995. 2 Testimonianza di Wanda Bertoni (1920), Alfonsine, 23 novembre 1995. 3 Per quanto concerne le operazioni militari del versante adriatico della penisola si vedano G. A quel momento, oltre a Ravenna e Faenza, erano stati liberati i seguenti comuni: Cervia (22 ottobre), Russi (3 dicembre), Casola Valsenio (4 dicembre), Brisighella (5 dicembre), Bagnacavallo (21 dicembre). 5 Con la cosiddetta battaglia del Senio, iniziata il 9 aprile 1945, alleati e partigiani liberarono nel giro di pochi giorni il territorio degli 11 comuni ancora occupato da tedeschi e fascisti repubblicani: Cotignola, Alfonsine, Fusignano e Lugo (10 aprile), Riolo Terme, Solarolo e Bagnara (11 aprile), Castelbolognese e Sant'Agata sul Santerno (12 aprile), Massalombarda (13 aprile), Conselice (14 aprile).
Tearing down the Littorio. Iteneraries of Fascist symbolism in Republican Italy Since 1945, Italy... more Tearing down the Littorio. Iteneraries of Fascist symbolism in Republican Italy Since 1945, Italy and the Italians have also had to confront the Fascist legacy at the monumental and symbolic level. During the Ventennio urban spaces had been largely exploited as instruments of the Fascist totalitarian project. After the Second World War, the iconoclastic violence against Fascist symbols slowed down because of the internal political scenario and because of the international framework of the Cold War. Many Fascist buildings (railway stations, hospitals, courts of justice, schools, stadiums) were preserved because of their civic usefulness. Indeed the new Italian Republic delayed the confrontation with the Fascist past, promoting for a long time the image of "good-hearted Italian people". The article focuses on the impact that the presence of Fascist legacy in urban space still has on the current historiographical and political debates.
1. I luoghi del Risorgimento, storia e memoria dell'Italia unita Alla storia del processo di unif... more 1. I luoghi del Risorgimento, storia e memoria dell'Italia unita Alla storia del processo di unificazione italiana appartengono alcuni spazi che possono essere chiamati in senso proprio luoghi risorgimentali della memoria nazionale. Sono quelli in cui si sono consumati gli eventi e le battaglie poi entrati a pieno titolo nella narrazione pubblica attraverso la scuola e le poesie patriottiche, l'odonomastica, i monumenti, la pittura, le pubblicazioni ad uso edificante: Goito, Pastrengo, Curtatone e Montanara, Magenta, Solferino, San Martino, Calatafimi e così via. Nel caso delle più celebri insurrezioni popolari, specialmente quelle del 1848-49, il nesso spazio-tempo si fa dominante. Le Cinque giornate di Milano, l'8 agosto a Bologna, le Dieci giornate di Brescia sono gli esempi più conosciuti, unitamente alle vicende delle repubbliche di Venezia e di Roma. Ma l'elenco sarebbe lungo: Padova ricorda l'8 febbraio 1848, Vicenza il 10 giugno 1848, Palermo il 4 e il 29 aprile 1860, Perugia il 20 giugno 1859, Firenze il 27 aprile 1859. Ciò che va rimarcato è il peso ragguardevole, spesso preponderante, che la declinazione locale della rappresentazione memoriale assume in rapporto al discorso nazionale. È una via che viene a lungo percorsa per integrare la piccola patria all'interno di quella più ampia che la contiene, in una relazione che punta alla reciproca valorizzazione. Se dalla dislocazione territoriale dei luoghi si passa alla loro funzione nel campo delle rappresentazioni e delle pratiche simboliche, si entra nel versante più specifico della dimensione memoriale resa celebre dalla fortunata operazione avviata da Pierre Nora in Francia e rilanciata altrove con le varianti e le sensibilità storiografiche proprie di ogni contesto nazionale 1. Ai luoghi della memoria risorgimentale è affidato il compito di cristallizzare il ricordo degli eventi e di consacrarli alla religione della patria con le modalità più varie. Monumenti, ossari, targhe e lapidi, musei, rituali festivi e commemorazioni: la complessa stratificazione dello spazio urbano e del suo arredo diventa parte costitutiva di un progetto di racconto e di messa in scena del passato in cui si misurano rappresentazioni di potere, gerarchie, linguaggi innovativi della politica. Condensando nel loro dispositivo simbolico effetti rievocativi e capacità di seduzione rispetto alla costruzione della memoria collettiva, i luoghi della memoria incarnano una pronunciata vena pedagogico-patriottica. Essi perfezionano e veicolano quella sorta di «corso silenzioso d'etica per il popolo» che nel corso della Rivoluzione francese i giacobini hanno lucidamente affidato alla riorganizzazione dello spazio urbano, elevato a palinsesto simbolico intorno al quale far gravitare attese di vario tipo 2. Non sorprende che tale ampiezza di significati inneschi prolungati conflitti, dentro i quali si esprimono visioni antagonistiche del passato e delle sue proiezioni nel presente 3. In questo ricco e poliedrico panorama, alcuni luoghi hanno mostrato nel tempo una tenuta maggiore di altri. Sono quelli legati ai personaggi più celebri, Garibaldi e Mazzini su tutti, che 1 Les lieux de mémoire, sous la direction de P. Nora, 7 voll, Paris, Gallimard, 1984-1992. Per l'Italia I luoghi della memoria, a cura di M. Isnenghi, 3 voll.
In "Memoria e Ricerca", 1995, n. 6, pp. 99-113. 1. Il 1° maggio 1904 si apriva a Ravenna l'Esposi... more In "Memoria e Ricerca", 1995, n. 6, pp. 99-113. 1. Il 1° maggio 1904 si apriva a Ravenna l'Esposizione Regionale Romagnola. I padiglioni allestiti negli spazi dell'Ippodromo e in quelli prospicienti della Loggetta lombardesca e del chiostro di S. Maria in Porto, dopo un lavoro protrattosi incessantemente per alcuni mesi, accoglievano finalmente i quasi duemila espositori giunti in città da ogni angolo della Romagna. Si trattava di un evento molto atteso, al quale l'opinione pubblica era stata preparata con una lunga campagna informativa orchestrata dai giornali locali. Tranne rare eccezioni 1 , non risulta tuttavia che esso abbia trovato posto adeguato negli studi di storia locale. Ci pare viceversa che il tema meriti attenzione, prestandosi ad una lettura che, come vedremo, si articola su piani molteplici. L'organizzazione di una manifestazione espositiva si inseriva in una tradizione ormai consolidata in Italia, come riflesso di una tendenza che, ispirata al credo positivista, aveva attraversato il continente europeo lungo la seconda metà del XIX secolo. Sulla scia del successo riscosso dalle Esposizioni nazionali, tra cui vanno ricordate almeno quelle di Firenze (1861), Milano (1881) e Torino (1884 e 1898), e in ragione delle ricadute su cui i promotori contavano in termini di propaganda, di legittimazione politica e di slancio produttivo, se ne erano rapidamente diffuse versioni su scala locale 2. E proprio queste ultime, se accettiamo di considerare l'Esposizione una fonte di notevole interesse per l'intreccio di componenti che vi entrano in gioco e per la visuale storica globale che favorisce, si presentano come un terreno prezioso per verificare ipotesi interpretative e metodologie di ricerca messe opportunamente a punto e applicate già in alcuni lavori di impianto generale 3. Anche nella più modesta di queste manifestazioni è infatti possibile rintracciare i requisiti dell'evento "polivalente", in virtù della forte circolarità di motivazioni che ne fanno insieme un fatto economico, politico-ideologico e sociale-socializzante 4. A seconda dei momenti e delle circostanze ciascuna di queste componenti può eventualmente 1 S. Mattarelli, Un'ipotesi laica tra massimalismo e riformismo. La figura di Fortunato Buzzi amministratore della Ravenna prefascista, Ravenna, Centro culturale «Carlo Cattaneo», 1981, pp. 38-40. 2 Nel caso italiano il fenomeno sembra caratterizzato dalla combinazione di «intenti celebrativi dei processi di unificazione politica in atto nel paese» e di «pressioni di alcuni settori dell'industria (metalmeccanica, laterizi e materiali stradali) per un 'lancio' promozionale delle imprese e dei prodotti nazionali»; A. Molinari, Cronaca di un'esperienza memorabile. La visita di un operaio genovese all'Esposizione Internazionale di Torino del 1911, «Ventesimo secolo», 1991, n. 1, p. 206. L'Esposizione più importante in ambito emiliano-romagnolo si era tenuta nel 1888 a Bologna: si vedano alcuni interventi in W. Tega (a cura di), Lo Studio e la città.
Massimo Baioni «Questo periodo spaventoso della nostra esistenza». Civili e scrittura al fronte I... more Massimo Baioni «Questo periodo spaventoso della nostra esistenza». Civili e scrittura al fronte In Massimo Baioni, Identità e dintorni. Ravenna e la Romagna tra fine Ottocento e seconda guerra mondiale, Cesena, Il Ponte Vecchio, 1999, pp. 187-206 Dopo la durissima battaglia combattuta per la liberazione di Rimini, a cavallo tra l'agosto e il settembre 1944, l'esercito alleato si preparava ad attaccare le difese tedesche in Romagna. Lasciandosi alle spalle i mesi consumati a fronteggiare le insidie dell'accidentato terreno appenninico dell'Italia centrale, l'VIII Armata britannica, alla quale era stato assegnato il compito di avanzare lungo il litorale adriatico e la Via Emilia, si attendeva dalla superficie pianeggiante le condizioni per un rapido movimento in profondità. L'esito della manovra accerchiante avrebbe dovuto portare al ricongiungimento, nella zona di Bologna, con la V Armata americana, a sua volta attestata sul lato centro-occidentale del fronte montano. Contrariamente alle previsioni, una serie complessa di fattori intervenne a intaccare l'ottimismo dei comandi alleati. L'intreccio di scelte politico-militari che riducevano ormai l'Italia a fronte strategico secondario nel quadro globale del conflitto ebbe un peso determinante: ma non meno importanti si rivelarono la sottovalutazione della conformazione geomorfologica e gli imprevisti di natura meteorologica. Le piogge abbondanti dell'autunno e gli allagamenti provocati ad arte dai tedeschi trasformarono la Romagna in un vasto pantano, penalizzando le manovre dei mezzi corazzati degli alleati, i quali si vedevano inoltre costretti a ovviare al pericolo delle mine disseminate ovunque e a provvedere alla ricostruzione dei ponti e delle principali infrastrutture militari e civili. Sull'altro versante, tedeschi e fascisti, nonostante la vistosa inferiorità numerica e di mezzi, poterono valorizzare il potenziale difensivo offerto dai numerosi corsi d'acqua, i cui argini furono fortificati e adibiti a trincee naturali per rallentare l'avanzata nemica 1. Di fatto, lo scontro bellico che stagnò nell'area romagnola si rivelò il più lungo tra quelli trascorsi in Italia dagli alleati. Nel Ravennate, in particolare, dove pure essi poterono contare sulla massiccia collaborazione delle formazioni partigiane dislocate in tutte le zone del territorio, furono impiegati circa sei mesi per liberare l'intero territorio provinciale. Alla fine del 1944, quando il fronte si assestò lungo il fiume Senio, restandovi fino alla primavera seguente, soltanto la popolazione della parte orientale della provincia poteva guardare con maggiore sollievo al futuro, dopo i mesi di convivenza con il terrore delle rappresaglie nazifasciste e con l'incubo dei bombardamenti. Per i paesi alla sinistra del Senio il tormento si sarebbe invece concluso nell'aprile 1945; l'offensiva finale avrebbe travolto le difese tedesche nel 1 Cfr. L. Lotti, Collina e pianura nelle operazioni militari in Romagna (da Rimini a Bologna), in Romagna 1944-45. Le immagini dei fotografi di guerra inglesi dall'Appennino al Po, a cura di L.
Massimo Baioni Biografie in cammino. Vite del Risorgimento e mitografie nazionali In "Passato e P... more Massimo Baioni Biografie in cammino. Vite del Risorgimento e mitografie nazionali In "Passato e Presente", n. 106 (2019), pp. 153-163. Biographies in Action. Lives of the Risorgimento and national mythologies. The debate about the Risorgimento has always been played out in the historiographical battlefield, as well as in the public arena. The article weaves together these two contexts by focussing on the genre of biography in all its manifestations. The first section looks at the exemplary case of Anita Garibaldi, from the various stages of her life to the images and representations of this heroine after her death. The second part analyses the great biographical dictionaries of the 20th century which allow us to place the Risorgimento tradition within the context of Liberal, then Fascist and finally Republican Italy. Sin dalla primissima stagione postunitaria, il genere biografico ha costituito un canale potente e seducente del racconto pubblico del Risorgimento. Oscillante tra agiografia, contestazione, torsioni municipalistiche, esso si è strutturato intorno a modalità che si sono protratte con poche varianti almeno fino al centenario del 1961, grazie anche alla diffusione che ne hanno garantito altri strumenti di circolazione, dai musei al cinema, dalla pittura alla narrativa. La produzione biografica non ha mancato di investire la sfera storiografica, che a sua volta non è rimasta impermeabile alle forti implicazioni politiche connesse allo studio del Risorgimento e al peso esercitato da un'accezione della storia che Gramsci vedeva declinata in termini di «biografia nazionale». Il flusso non si è di fatto arrestato all'indomani del centenario, anche quando si trattava di biografie sui generis, come il Cavour di Rosario Romeo; ma in quegli anni la predilezione degli storici stava ormai orientandosi in altre direzioni, trainata dalle discussioni sui limiti dello sviluppo e dal bisogno di colmare lacune gravi in tema di condizioni economiche e sociali, di agricoltura, industria, commercio nei decenni tra XVIII secolo e unità. Dopo una fase di appannamento, la ricomparsa dell'approccio biografico che si registra nell'agenda degli studiosi del Risorgimento può essere ricondotta a una serie concomitante di fattori. In generale, si avverte forse anche in questo ambito una reazione alla tendenza a nascondere gli individui dietro categorie impersonali, a descrivere la realtà prevalentemente «attraverso anonimi rapporti di potere» 1. Sul piano propriamente storiografico, hanno inciso a vario titolo il ritorno dell'"evento", il successo della storia culturale, l'attenzione posta sulla dimensione emozionale dell'azione politica, l'esplorazione della soggettività lungo le traiettorie di vita transnazionali e le complesse identità di confine 2. "Storie" di uomini e donne beneficiano del recupero di fonti autobiografiche (epistolari, diari, memorie) e dell'intensa attività di istituzioni impegnate su questo terreno, che non sempre riesce a evitare un'enfasi scivolosa sul versante della memoria. I tanti anniversari che si sono succeduti negli ultimi anni e il riaccendersi della discussione politica sul passato, alimentata dalla visibilità crescente di un revisionismo cattolico e neoborbonico, hanno incoraggiato a loro volta il revival biografico. Restando in campo risorgimentale, e solo per citare alcuni esempi importanti, basti ricordare i volumi su Mazzini, Garibaldi, Cavour e la folta produzione innescata dal centocinquantenario del 2011 3. 1 S. Loriga, La piccola x. Dalla biografia alla storia, Sellerio, Palermo 2012, p. 15. 2 Cfr. M. Verginella, La guerra di Bruno. L'identità di confine di un antieroe triestino e sloveno, Carocci, Roma 2015. 3 R. Sarti, Giuseppe Mazzini. La politica come religione civile, Laterza, Roma-Bari 2005; L. Riall, Garibaldi. L'invenzione di un eroe, Laterza, Roma-Bari 2007; M. Isnenghi, Garibaldi fu ferito. Storia e mito di un rivoluzionario disciplinato, Donzelli, Roma 2007; S. Levis Sullam, L'apostolo a brandelli. L'eredità di Mazzini tra Risorgimento e fascismo,
Il fascismo in mostra. Celebrazione, rimozione, revisione "I nostri non sono più tempi di Musei e... more Il fascismo in mostra. Celebrazione, rimozione, revisione "I nostri non sono più tempi di Musei e di Biblioteche intesi, come fin qui, da alcuni eruditi in colletto e abito nero". 1 Un osservatorio dalle molte implicazioni Lo studio del sistema espositivo fascista può essere considerato figlio della svolta storiografica collocabile tra gli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso. In quella fase, nel pieno dell'acceso dibattito innescato dalle tesi di Renzo De Felice, si fece strada l'esigenza di rileggere l'esperienza del fascismo nel quadro della storia nazionale con categorie analitiche capaci di dar conto della complessità del fenomeno: furono così gradualmente superate, pur dentro ben distinte e spesso ancora apertamente antagonistiche opzioni interpretative, letture che avevano rallentato una esplorazione a tutto tondo del rapporto della società italiana con il regime. L'ideologia, la cultura, la politica culturale del fascismo, per molto tempo relegate alla mera sfera propagandistica quando non negate come temi di ricerca, sono state da allora sviscerate senza soluzione di continuità, costituendo uno dei lasciti storiografici più incisivi di quella stagione. 2 Particolare attenzione è stata via via dedicata alle modalità con cui il regime ha messo in scena se stesso, in una complessa interazione tra estetizzazione della politica e politicizzazione dell'estetica, 3 i cui effetti erano ingigantiti dal controllo dei mezzi di comunicazione e dei luoghi dell'educazione e dell'associazionismo. Di questa complessa operazione, che si situava all'incrocio di varie aspettative, l'apparato espositivo costituì un tassello non trascurabile. 4 Come ha notato di recente Maddalena Carli, l'analisi della "piramide espositiva" fascista richiede di tenere insieme il piano liturgicoestetico e quello più propriamente politico, che si lega anche «alla sperimentazione corporativa nel composito universo degli artisti». 5 Esso costituisce una efficace cartina di tornasole della politica culturale del regime e della costruzione del consenso: oltre all'importanza attribuita agli artisti e al ruolo di istituti e associazioni, si riflette nel dispositivo "mostra" l'ambizione di valorizzare le immagini quale canale privilegiato nella definizione di una identità in grado di far risaltare l'originalità del fascismo nel fiume della storia nazionale. Sullo specifico terreno della mise en scène del passato e del suo recupero attualizzante, su cui mi concentro in questa sede, l'intervento del regime fascista non nasceva tuttavia sul deserto. Nei decenni
Cagliari 1970: a «new frontier» of Italian football
Cagliari’s victory in the 1969-70 National fo... more Cagliari 1970: a «new frontier» of Italian football Cagliari’s victory in the 1969-70 National football championship represents a turning point in the history of Italian sport “par excellence”. For the first time, a “provincial” and Southern team broke the hegemony of the big and powerful teams from the North. The essay highlights this sporting success in the context of an Italy in the midst of major transformations, between incipient economic crisis, political and social contestation, and the strategy of tension. In addition to the impact of the phenomenon, in particular through the reactions of the press, the analysis explores its implications in two other directions: on the one hand, the repercussions that the sporting triumph had on the socio-economic life of Sardinia as well as on the island’s image in Italy; on the other, the extraordinary popularity of Gigi Riva, a football icon of those years, which also allows us to reflect on the evolution of the sports celebrity in a media and social system that would soon experience profound discontinuities with the past.
L'accademico Francesco Severi mi ha tenuto un lungo discorso sui rapporti tra fede e scienza. Mi ... more L'accademico Francesco Severi mi ha tenuto un lungo discorso sui rapporti tra fede e scienza. Mi sembra avviato a una stagione di cattolicesimo militante. Con i paradossi dimostra che non può esserci scienza che non ritrovi certezza nella fede. Mi sono astenuto dal rispondergli che non dovrebbe esservi fede disposta a negare la verità che la scienza, dal proprio seno, esprime. Siamo alle solite battaglie. Galileo o non Galileo? 1
In "Il Mestiere di Storico", 1/2020, pp. 94-96 Inaugurato a Mestre alla fine del 2018, il Museo d... more In "Il Mestiere di Storico", 1/2020, pp. 94-96 Inaugurato a Mestre alla fine del 2018, il Museo del Novecento (M9) è il frutto di un intenso lavoro decennale che la Fondazione Venezia ha realizzato attraverso la riqualificazione urbana di alcuni stabili situati nel cuore del centro storico e ora adibiti a diverse funzioni e attività collegate al museo. L'insieme risulta di notevole suggestione, esaltando un profilo progettuale innovativo e ambizioso, tanto nel design quanto nell'organizzazione degli spazi. L'area espositiva specificamente dedicata al Novecento occupa il primo e secondo piano dell'edificio principale. Entrambe le sale sono divise in quattro sezioni tra loro comunicanti: l'obiettivo è evidentemente quello di agevolare il libero movimento lungo la linea del tempo e valorizzare la relazione con le soluzioni espositive. Si comincia con i macro temi che illustrano la storia d'Italia in termini di demografia e strutture sociali (Come eravamo, come siamo), consumi, costumi e stili di vita (The Italian way of life), innovazioni scientifiche e tecnologiche (La corsa al progresso), economia e lavoro (Soldi soldi soldi). Pannelli, fotografie, statistiche, filmati, dispositivi multimediali interattivi restituiscono con efficacia le condizioni famigliari e lavorative, le abitazioni, i consumi alimentari, l'abbigliamento, spiegandone l'evoluzione nei diversi passaggi della storia nazionale. Al secondo piano, dopo una prima sezione sui mutamenti del paesaggio e dell'insediamento urbano (Guardiamoci intorno), che appare un prolungamento-completamento dell'itinerario precedente, sono introdotti gli snodi istituzionali, politici e culturali. Res Publica, Fare gli italiani, Per farci riconoscere: i titoli generali suggeriscono un percorso di avvicinamento al modello italiano novecentesco, declinato in termini di articolazione delle istituzioni e dei partiti politici, politiche educative e scolastiche, ruolo della Chiesa e della religione cattolica, canali dell'autorappresentazione nazionale (canzone, cinema, sport). Nell'ampio utilizzo di linguaggi e tecniche di comunicazione che puntano a trasmettere una conoscenza filtrata dall'adesione empatica, l'allestimento fa propria l'impostazione affermatasi nell'ambito della museologia più recente: si pensi alla Maison de l'histoire européenne di Bruxelles o al Museo degli ebrei polacchi di Varsavia, ma anche al modello espositivo sperimentato nel 2011 a Torino con la fortunata mostra Fare gli italiani, in occasione del 150° anniversario dell'unità. M9 si propone dunque come un luogo di racconto del Novecento italiano che ben esemplifica il passaggio dai musei tradizionali di collezione ai musei di narrazione. Il direttore Marco Biscione lo definisce un «museo immersivo ed esperenziale» dove la ricostruzione «prescinde dalla materialità degli oggetti ed è affidata completamente all'interazione tra il visitatore e le strutture espositive in una mescolanza tra formazione e intrattenimento» (M9, una nuova visione di museo, in M9-Museo del '900, a cura di C. De Michelis, Venezia, Marsilio, 2018, p. 41). Conoscenza, formazione, intrattenimento: l'impostazione prescelta sembra voler indicare nel museo un terreno congeniale alle pratiche della public history, in linea con il principio-peraltro alquanto scivoloso-della shared authority, della storia fatta "nel" e "con" il pubblico. La conoscenza critica del passato è chiamata a farsi mediatrice di una più consapevole cittadinanza democratica, passando attraverso l'attivazione di una relazione virtuosa tra il coinvolgimento ludico-emotivo e l'idea della storia che il museo intende comunicare (si vedano le riflessioni in proposito di Ilaria Porciani, What can Public History do for Museums, what can Museums do for Public History?, in «Memoria e Ricerca», 54 (2017), pp. 21-40). M9 punta indubbiamente sul potere seduttivo delle immagini, ferme e in movimento, invitando il visitatore a sperimentare creative forme di interazione e simulazione mediatica. Le sollecitazioni sensoriali, specialmente visive, ritmano l'intero percorso. Le informazioni di contesto, i "fatti" sono perlopiù affidati a sobri pannelli introduttivi, mentre gli approfondimenti, talora un po' frettolosi e non privi di qualche inesattezza, sono inseriti in appositi box luminosi che "parlano" soltanto se attivati dal pubblico.
Il fronte si trova ancora sul fiume e mai non si muovono e noi non ne possiamo più forse saranno ... more Il fronte si trova ancora sul fiume e mai non si muovono e noi non ne possiamo più forse saranno tutti contro di noi perché tutti ci vogliono amazzare 1 Si diceva quando finirà questa guerra tremenda [...] Non si sapeva più da che parte stare, non si sapeva più chi era che ti aiutava, chi era che ti danneggiava; non si capiva più niente. Una gran confusione tra gli alleati, i partigiani, i tedeschi 2. Sin dai riferimenti cronologici che si leggono nel titolo di questo contributo è facile riconoscere i motivi che conferiscono alla vicenda bellica nella provincia di Ravenna i tratti corposi di un'esperienza per molti versi singolare. Infatti, l'ottobre 1944 e l'aprile 1945 delimitano temporalmente lo scenario di "guerra in casa" che scaturì dalla geografia delle operazioni militari, anche se all'interno di questi estremi le conseguenze del protrarsi della guerra furono sopportate in misura difforme dai singoli comuni. Le speranze che la popolazione riponeva sul passaggio rapido del fronte si infransero contro la realtà di un'avanzata estremamente lenta e incerta, come si può verificare osservando lo scarto temporale tra la data della liberazione di Rimini (21 settembre 1944) e quelle di Ravenna e Faenza (4 e 17 dicembre) 3. Alla fine dell'anno il territorio provinciale venne di fatto tagliato a metà dalla stabilizzazione del fronte all'altezza del Senio, un modesto corso d'acqua che scende dall'Appennino e confluisce nel fiume Reno nei pressi delle valli di Comacchio 4 : la decisione alleata di rinviare la ripresa dell'offensiva alla stagione primaverile, affidando nel frattempo ai bombardamenti e al tiro incessante delle artiglierie il compito di logorare la resistenza del nemico, espose la popolazione dei comuni situati alla sinistra del fiume a un calvario supplementare di disagi materiali e di contraccolpi psicologici 5. 1 La frase è tratta dal diario di Liliana Corelli di Fusignano, alla data del 30 dicembre 1944: il manoscritto reca come titolo Famiglia Corelli in Le triste Avventure del passaggio del Fronte, ora in I giorni della guerra. Il passaggio del fronte a Fusignano nei diari di Quirino Majorana e Liliana Corelli (1944-1945), a cura di A. Belletti e M. Baioni, con la collaborazione di G. Bellosi, Ravenna, Longo, 1995. 2 Testimonianza di Wanda Bertoni (1920), Alfonsine, 23 novembre 1995. 3 Per quanto concerne le operazioni militari del versante adriatico della penisola si vedano G. A quel momento, oltre a Ravenna e Faenza, erano stati liberati i seguenti comuni: Cervia (22 ottobre), Russi (3 dicembre), Casola Valsenio (4 dicembre), Brisighella (5 dicembre), Bagnacavallo (21 dicembre). 5 Con la cosiddetta battaglia del Senio, iniziata il 9 aprile 1945, alleati e partigiani liberarono nel giro di pochi giorni il territorio degli 11 comuni ancora occupato da tedeschi e fascisti repubblicani: Cotignola, Alfonsine, Fusignano e Lugo (10 aprile), Riolo Terme, Solarolo e Bagnara (11 aprile), Castelbolognese e Sant'Agata sul Santerno (12 aprile), Massalombarda (13 aprile), Conselice (14 aprile).
Tearing down the Littorio. Iteneraries of Fascist symbolism in Republican Italy Since 1945, Italy... more Tearing down the Littorio. Iteneraries of Fascist symbolism in Republican Italy Since 1945, Italy and the Italians have also had to confront the Fascist legacy at the monumental and symbolic level. During the Ventennio urban spaces had been largely exploited as instruments of the Fascist totalitarian project. After the Second World War, the iconoclastic violence against Fascist symbols slowed down because of the internal political scenario and because of the international framework of the Cold War. Many Fascist buildings (railway stations, hospitals, courts of justice, schools, stadiums) were preserved because of their civic usefulness. Indeed the new Italian Republic delayed the confrontation with the Fascist past, promoting for a long time the image of "good-hearted Italian people". The article focuses on the impact that the presence of Fascist legacy in urban space still has on the current historiographical and political debates.
1. I luoghi del Risorgimento, storia e memoria dell'Italia unita Alla storia del processo di unif... more 1. I luoghi del Risorgimento, storia e memoria dell'Italia unita Alla storia del processo di unificazione italiana appartengono alcuni spazi che possono essere chiamati in senso proprio luoghi risorgimentali della memoria nazionale. Sono quelli in cui si sono consumati gli eventi e le battaglie poi entrati a pieno titolo nella narrazione pubblica attraverso la scuola e le poesie patriottiche, l'odonomastica, i monumenti, la pittura, le pubblicazioni ad uso edificante: Goito, Pastrengo, Curtatone e Montanara, Magenta, Solferino, San Martino, Calatafimi e così via. Nel caso delle più celebri insurrezioni popolari, specialmente quelle del 1848-49, il nesso spazio-tempo si fa dominante. Le Cinque giornate di Milano, l'8 agosto a Bologna, le Dieci giornate di Brescia sono gli esempi più conosciuti, unitamente alle vicende delle repubbliche di Venezia e di Roma. Ma l'elenco sarebbe lungo: Padova ricorda l'8 febbraio 1848, Vicenza il 10 giugno 1848, Palermo il 4 e il 29 aprile 1860, Perugia il 20 giugno 1859, Firenze il 27 aprile 1859. Ciò che va rimarcato è il peso ragguardevole, spesso preponderante, che la declinazione locale della rappresentazione memoriale assume in rapporto al discorso nazionale. È una via che viene a lungo percorsa per integrare la piccola patria all'interno di quella più ampia che la contiene, in una relazione che punta alla reciproca valorizzazione. Se dalla dislocazione territoriale dei luoghi si passa alla loro funzione nel campo delle rappresentazioni e delle pratiche simboliche, si entra nel versante più specifico della dimensione memoriale resa celebre dalla fortunata operazione avviata da Pierre Nora in Francia e rilanciata altrove con le varianti e le sensibilità storiografiche proprie di ogni contesto nazionale 1. Ai luoghi della memoria risorgimentale è affidato il compito di cristallizzare il ricordo degli eventi e di consacrarli alla religione della patria con le modalità più varie. Monumenti, ossari, targhe e lapidi, musei, rituali festivi e commemorazioni: la complessa stratificazione dello spazio urbano e del suo arredo diventa parte costitutiva di un progetto di racconto e di messa in scena del passato in cui si misurano rappresentazioni di potere, gerarchie, linguaggi innovativi della politica. Condensando nel loro dispositivo simbolico effetti rievocativi e capacità di seduzione rispetto alla costruzione della memoria collettiva, i luoghi della memoria incarnano una pronunciata vena pedagogico-patriottica. Essi perfezionano e veicolano quella sorta di «corso silenzioso d'etica per il popolo» che nel corso della Rivoluzione francese i giacobini hanno lucidamente affidato alla riorganizzazione dello spazio urbano, elevato a palinsesto simbolico intorno al quale far gravitare attese di vario tipo 2. Non sorprende che tale ampiezza di significati inneschi prolungati conflitti, dentro i quali si esprimono visioni antagonistiche del passato e delle sue proiezioni nel presente 3. In questo ricco e poliedrico panorama, alcuni luoghi hanno mostrato nel tempo una tenuta maggiore di altri. Sono quelli legati ai personaggi più celebri, Garibaldi e Mazzini su tutti, che 1 Les lieux de mémoire, sous la direction de P. Nora, 7 voll, Paris, Gallimard, 1984-1992. Per l'Italia I luoghi della memoria, a cura di M. Isnenghi, 3 voll.
In "Memoria e Ricerca", 1995, n. 6, pp. 99-113. 1. Il 1° maggio 1904 si apriva a Ravenna l'Esposi... more In "Memoria e Ricerca", 1995, n. 6, pp. 99-113. 1. Il 1° maggio 1904 si apriva a Ravenna l'Esposizione Regionale Romagnola. I padiglioni allestiti negli spazi dell'Ippodromo e in quelli prospicienti della Loggetta lombardesca e del chiostro di S. Maria in Porto, dopo un lavoro protrattosi incessantemente per alcuni mesi, accoglievano finalmente i quasi duemila espositori giunti in città da ogni angolo della Romagna. Si trattava di un evento molto atteso, al quale l'opinione pubblica era stata preparata con una lunga campagna informativa orchestrata dai giornali locali. Tranne rare eccezioni 1 , non risulta tuttavia che esso abbia trovato posto adeguato negli studi di storia locale. Ci pare viceversa che il tema meriti attenzione, prestandosi ad una lettura che, come vedremo, si articola su piani molteplici. L'organizzazione di una manifestazione espositiva si inseriva in una tradizione ormai consolidata in Italia, come riflesso di una tendenza che, ispirata al credo positivista, aveva attraversato il continente europeo lungo la seconda metà del XIX secolo. Sulla scia del successo riscosso dalle Esposizioni nazionali, tra cui vanno ricordate almeno quelle di Firenze (1861), Milano (1881) e Torino (1884 e 1898), e in ragione delle ricadute su cui i promotori contavano in termini di propaganda, di legittimazione politica e di slancio produttivo, se ne erano rapidamente diffuse versioni su scala locale 2. E proprio queste ultime, se accettiamo di considerare l'Esposizione una fonte di notevole interesse per l'intreccio di componenti che vi entrano in gioco e per la visuale storica globale che favorisce, si presentano come un terreno prezioso per verificare ipotesi interpretative e metodologie di ricerca messe opportunamente a punto e applicate già in alcuni lavori di impianto generale 3. Anche nella più modesta di queste manifestazioni è infatti possibile rintracciare i requisiti dell'evento "polivalente", in virtù della forte circolarità di motivazioni che ne fanno insieme un fatto economico, politico-ideologico e sociale-socializzante 4. A seconda dei momenti e delle circostanze ciascuna di queste componenti può eventualmente 1 S. Mattarelli, Un'ipotesi laica tra massimalismo e riformismo. La figura di Fortunato Buzzi amministratore della Ravenna prefascista, Ravenna, Centro culturale «Carlo Cattaneo», 1981, pp. 38-40. 2 Nel caso italiano il fenomeno sembra caratterizzato dalla combinazione di «intenti celebrativi dei processi di unificazione politica in atto nel paese» e di «pressioni di alcuni settori dell'industria (metalmeccanica, laterizi e materiali stradali) per un 'lancio' promozionale delle imprese e dei prodotti nazionali»; A. Molinari, Cronaca di un'esperienza memorabile. La visita di un operaio genovese all'Esposizione Internazionale di Torino del 1911, «Ventesimo secolo», 1991, n. 1, p. 206. L'Esposizione più importante in ambito emiliano-romagnolo si era tenuta nel 1888 a Bologna: si vedano alcuni interventi in W. Tega (a cura di), Lo Studio e la città.
Massimo Baioni «Questo periodo spaventoso della nostra esistenza». Civili e scrittura al fronte I... more Massimo Baioni «Questo periodo spaventoso della nostra esistenza». Civili e scrittura al fronte In Massimo Baioni, Identità e dintorni. Ravenna e la Romagna tra fine Ottocento e seconda guerra mondiale, Cesena, Il Ponte Vecchio, 1999, pp. 187-206 Dopo la durissima battaglia combattuta per la liberazione di Rimini, a cavallo tra l'agosto e il settembre 1944, l'esercito alleato si preparava ad attaccare le difese tedesche in Romagna. Lasciandosi alle spalle i mesi consumati a fronteggiare le insidie dell'accidentato terreno appenninico dell'Italia centrale, l'VIII Armata britannica, alla quale era stato assegnato il compito di avanzare lungo il litorale adriatico e la Via Emilia, si attendeva dalla superficie pianeggiante le condizioni per un rapido movimento in profondità. L'esito della manovra accerchiante avrebbe dovuto portare al ricongiungimento, nella zona di Bologna, con la V Armata americana, a sua volta attestata sul lato centro-occidentale del fronte montano. Contrariamente alle previsioni, una serie complessa di fattori intervenne a intaccare l'ottimismo dei comandi alleati. L'intreccio di scelte politico-militari che riducevano ormai l'Italia a fronte strategico secondario nel quadro globale del conflitto ebbe un peso determinante: ma non meno importanti si rivelarono la sottovalutazione della conformazione geomorfologica e gli imprevisti di natura meteorologica. Le piogge abbondanti dell'autunno e gli allagamenti provocati ad arte dai tedeschi trasformarono la Romagna in un vasto pantano, penalizzando le manovre dei mezzi corazzati degli alleati, i quali si vedevano inoltre costretti a ovviare al pericolo delle mine disseminate ovunque e a provvedere alla ricostruzione dei ponti e delle principali infrastrutture militari e civili. Sull'altro versante, tedeschi e fascisti, nonostante la vistosa inferiorità numerica e di mezzi, poterono valorizzare il potenziale difensivo offerto dai numerosi corsi d'acqua, i cui argini furono fortificati e adibiti a trincee naturali per rallentare l'avanzata nemica 1. Di fatto, lo scontro bellico che stagnò nell'area romagnola si rivelò il più lungo tra quelli trascorsi in Italia dagli alleati. Nel Ravennate, in particolare, dove pure essi poterono contare sulla massiccia collaborazione delle formazioni partigiane dislocate in tutte le zone del territorio, furono impiegati circa sei mesi per liberare l'intero territorio provinciale. Alla fine del 1944, quando il fronte si assestò lungo il fiume Senio, restandovi fino alla primavera seguente, soltanto la popolazione della parte orientale della provincia poteva guardare con maggiore sollievo al futuro, dopo i mesi di convivenza con il terrore delle rappresaglie nazifasciste e con l'incubo dei bombardamenti. Per i paesi alla sinistra del Senio il tormento si sarebbe invece concluso nell'aprile 1945; l'offensiva finale avrebbe travolto le difese tedesche nel 1 Cfr. L. Lotti, Collina e pianura nelle operazioni militari in Romagna (da Rimini a Bologna), in Romagna 1944-45. Le immagini dei fotografi di guerra inglesi dall'Appennino al Po, a cura di L.
Massimo Baioni Biografie in cammino. Vite del Risorgimento e mitografie nazionali In "Passato e P... more Massimo Baioni Biografie in cammino. Vite del Risorgimento e mitografie nazionali In "Passato e Presente", n. 106 (2019), pp. 153-163. Biographies in Action. Lives of the Risorgimento and national mythologies. The debate about the Risorgimento has always been played out in the historiographical battlefield, as well as in the public arena. The article weaves together these two contexts by focussing on the genre of biography in all its manifestations. The first section looks at the exemplary case of Anita Garibaldi, from the various stages of her life to the images and representations of this heroine after her death. The second part analyses the great biographical dictionaries of the 20th century which allow us to place the Risorgimento tradition within the context of Liberal, then Fascist and finally Republican Italy. Sin dalla primissima stagione postunitaria, il genere biografico ha costituito un canale potente e seducente del racconto pubblico del Risorgimento. Oscillante tra agiografia, contestazione, torsioni municipalistiche, esso si è strutturato intorno a modalità che si sono protratte con poche varianti almeno fino al centenario del 1961, grazie anche alla diffusione che ne hanno garantito altri strumenti di circolazione, dai musei al cinema, dalla pittura alla narrativa. La produzione biografica non ha mancato di investire la sfera storiografica, che a sua volta non è rimasta impermeabile alle forti implicazioni politiche connesse allo studio del Risorgimento e al peso esercitato da un'accezione della storia che Gramsci vedeva declinata in termini di «biografia nazionale». Il flusso non si è di fatto arrestato all'indomani del centenario, anche quando si trattava di biografie sui generis, come il Cavour di Rosario Romeo; ma in quegli anni la predilezione degli storici stava ormai orientandosi in altre direzioni, trainata dalle discussioni sui limiti dello sviluppo e dal bisogno di colmare lacune gravi in tema di condizioni economiche e sociali, di agricoltura, industria, commercio nei decenni tra XVIII secolo e unità. Dopo una fase di appannamento, la ricomparsa dell'approccio biografico che si registra nell'agenda degli studiosi del Risorgimento può essere ricondotta a una serie concomitante di fattori. In generale, si avverte forse anche in questo ambito una reazione alla tendenza a nascondere gli individui dietro categorie impersonali, a descrivere la realtà prevalentemente «attraverso anonimi rapporti di potere» 1. Sul piano propriamente storiografico, hanno inciso a vario titolo il ritorno dell'"evento", il successo della storia culturale, l'attenzione posta sulla dimensione emozionale dell'azione politica, l'esplorazione della soggettività lungo le traiettorie di vita transnazionali e le complesse identità di confine 2. "Storie" di uomini e donne beneficiano del recupero di fonti autobiografiche (epistolari, diari, memorie) e dell'intensa attività di istituzioni impegnate su questo terreno, che non sempre riesce a evitare un'enfasi scivolosa sul versante della memoria. I tanti anniversari che si sono succeduti negli ultimi anni e il riaccendersi della discussione politica sul passato, alimentata dalla visibilità crescente di un revisionismo cattolico e neoborbonico, hanno incoraggiato a loro volta il revival biografico. Restando in campo risorgimentale, e solo per citare alcuni esempi importanti, basti ricordare i volumi su Mazzini, Garibaldi, Cavour e la folta produzione innescata dal centocinquantenario del 2011 3. 1 S. Loriga, La piccola x. Dalla biografia alla storia, Sellerio, Palermo 2012, p. 15. 2 Cfr. M. Verginella, La guerra di Bruno. L'identità di confine di un antieroe triestino e sloveno, Carocci, Roma 2015. 3 R. Sarti, Giuseppe Mazzini. La politica come religione civile, Laterza, Roma-Bari 2005; L. Riall, Garibaldi. L'invenzione di un eroe, Laterza, Roma-Bari 2007; M. Isnenghi, Garibaldi fu ferito. Storia e mito di un rivoluzionario disciplinato, Donzelli, Roma 2007; S. Levis Sullam, L'apostolo a brandelli. L'eredità di Mazzini tra Risorgimento e fascismo,
Massimo Baioni (a cura di), Città mito. Luoghi del Novecento politico italiano, Carocci, 2023
Roma, Venezia, Trento e Trieste, Fiume, ma anche le capitali del repubblicanesimo, quelle dell’an... more Roma, Venezia, Trento e Trieste, Fiume, ma anche le capitali del repubblicanesimo, quelle dell’antifascismo e della Resistenza, il Veneto bianco, Predappio, Bologna, Sesto San Giovanni, Perugia e Assisi, i reticoli urbani del terrorismo, la Napoli della tradizione laurina, la provincia leghista, la Milano di “Mani pulite”. Protagoniste di questo volume sono le città che hanno nutrito l’immaginario politico dell’Italia unita, orientando la “mappa mentale” di varie generazioni. Gli autori, recuperando alcune radici ottocentesche, si muovono tra casi eclatanti – per importanza e sedimentazione del rispettivo mito – e altri di conio prettamente novecentesco, la cui eco arriva talora fino ai giorni nostri. Si interrogano sulle ragioni che hanno dato origine a determinate immagini delle città, nello specifico dei contesti storici e territoriali di riferimento; ne indagano l’evoluzione, il successo così come l’eclissi nello spazio pubblico, i canali di trasmissione e i meccanismi narrativi che hanno accompagnato la loro circolazione nella vita del paese. Anche da questa prospettiva originale, che intreccia storia e rappresentazione, le città si rivelano una preziosa cartina di tornasole per comprendere il profilo politico del Novecento italiano e cogliere i mutamenti più generali in atto nella società.
Risorgimento, Grande guerra, Fascismo, Resistenza. Gli snodi cruciali dell’Italia contemporanea s... more Risorgimento, Grande guerra, Fascismo, Resistenza. Gli snodi cruciali dell’Italia contemporanea sono passati anche attraverso la loro “messa in scena” tramite oggetti, dipinti, documenti. Parte integrante del paesaggio memoriale, i musei costituiscono un dispositivo narrativo che contribuisce a plasmare una peculiare lettura e trasmissione del passato. Il libro ricostruisce vicende ed evoluzioni dei musei storici – con particolare riferimento a quelli intitolati al Risorgimento – dagli ultimi decenni dell’Ottocento agli anni Sessanta del secolo scorso, quando il loro impianto “patriottico” mostra incrinature sempre più vistose. Coinvolgimento delle istituzioni e ruolo dei direttori, linguaggi e tipologie degli allestimenti, battaglie politiche e ricadute sociali: l’operazione museale si rivela un osservatorio ricco di implicazioni, utile anche a decifrare l’attuale fase di ripensamento dei modelli di rappresentazione, comunicazione e uso pubblico della storia.
La " nazionalizzazione della memoria collettiva " è stata uno uno degli snodi storici più importa... more La " nazionalizzazione della memoria collettiva " è stata uno uno degli snodi storici più importanti degli ultimi due secoli. I grandi anniversari di eventi e personaggi del passato sono stati parte decisiva di questo fenomeno. Epicentro delle politiche della memoria pubblica e dei connessi rituali celebrativi, le principali ricorrenze hanno catalizzato l'attenzione di istituzioni, partiti, intellettuali, mass media. Muovendo da questa prospettiva, i saggi inclusi nel libro analizzano molteplici eventi commemorativi dalla fine del XIX secolo ai giorni nostri, aprendo una finestra anche su importanti realtà extraeuropee. Ne esce un panorama ricco e articolato su significati, strumenti e linguaggi delle memorie pubbliche. Gli anniversari si rivelano vetrine di straordinario interesse per ricostruire la trama di tensioni politiche e di rappresentazioni culturali e simboliche intorno a cui si è formato il tessuto connettivo delle società nazionali.
Massimo Baioni
Le patrie degli italiani. Percorsi nel Novecento, Pacini Editore, 2017
Nel riper... more Massimo Baioni Le patrie degli italiani. Percorsi nel Novecento, Pacini Editore, 2017
Nel ripercorrere alcuni momenti salienti del Novecento italiano, questo libro adotta la lente particolare del discorso patriottico, dei suoi miti e usi pubblici, delle continuità e delle rotture che lo hanno caratterizzato, delle sue relazioni con le varie culture politiche nazionali. Si tratta di una tematica ricca di implicazioni, che non ha mai cessato di essere terreno di confronto storiografico e di accesa polemica politica. Partendo dallo stretto rapporto con le guerre, che segna il tema del patriottismo e dell’italianità tra i due conflitti mondiali e soprattutto durante il fascismo, il libro passa a esplorare la transizione dei miti nazionali nell’Italia repubblicana: arriva infine a lambire il presente, con alcune riflessioni sul 150° anniversario dell’unità. Ne esce l’invito a dare un respiro di lungo periodo ai tanti interrogativi che accompagnano l’Italia e gli italiani alle prese con le sfide del nuovo secolo.
L’autore Massimo Baioni (1963) insegna Storia del Risorgimento e Storia dell’Europa contemporanea all’Università di Siena, Dipartimento di Scienze della formazione, Scienze umane e della Comunicazione interculturale (Arezzo). Tra i suoi libri: Risorgimento in camicia nera (Carocci, 2006); Risorgimento conteso (Diabasis, 2009); Rituali in provincia (Longo, 2010). È membro del comitato direttivo della rivista «Memoria e Ricerca».
Docente di Storia contemporanea all'Università dell'Aquila, l'A. sviluppa un interesse di ricerca... more Docente di Storia contemporanea all'Università dell'Aquila, l'A. sviluppa un interesse di ricerca sull'uso pubblico del patrimonio culturale che in un volume del 2005 (La patria e la memoria) aveva esplorato con riferimento ai primi decenni dell'Italia unita. L'attenzione si sposta ora sul ruolo dell'archeologia nello spazio mediterraneo e sulla costruzione dell'immaginario imperiale. Diviso in quattro capitoli che, seguendo un percorso cronologico, sono dedicati rispettivamente a Creta, Libia, Rodi e infine alla politica del fascismo, il libro mette efficacemente in relazione le tante componenti e i molteplici obiettivi che entrano in gioco nell'operazione. Per i paesi europei impegnati negli scavi archeologici, specialmente quelli avviati a Creta a cavallo del secolo nella fase del protettorato dell'isola, si tratta di una partita importante e dai tanti risvolti: c'è una dimensione prettamente scientifica, che spinge gli studiosi a sentirsi parte di una medesima koinè intellettuale; agisce altresì la consapevolezza di contribuire all'onore della propria nazione, un obiettivo molto sentito in ambito italiano. La corsa ad accaparrarsi località di scavo, pur presentata «come nobile gara scientifica tra le nazioni», nasconde piuttosto una dura «competizione per affermare le proprie prerogative in un territorio tutto ancora da indagare» (p. 17). Sul piano dei rapporti con le popolazioni autoctone, le fonti lasciano trapelare il senso di superiorità che si fonda sull'introiezione di stereotipi rapidamente declinati sui toni del razzismo proprio dell'epoca. A tal proposito, l'A. sottolinea la diversa percezione che guida l'attività nelle isole dell'Egeo e nell'area libica: le prime sono percepite come uno spazio in cui è comunque respirabile la genesi della cultura europea, la seconda viene confinata a una dimensione più arretrata, che agli occhi di uomini e istituzioni giustifica un più radicale intervento di espropriazione e confisca in termini di «civilizzazione». Il ramificato dispositivo di potere sotteso allo scavo archeologico si regge sulla combinazione di fattori che, agendo simultaneamente, si alimentano a vicenda e reiterano il messaggio da veicolare. Specialmente nel corso degli anni Trenta, istituzioni culturali e musei, mostre e manifestazioni pensate ad hoc diffondono l'immagine dell'impero anche attraverso un uso attento delle rovine. Le documentazione utilizzata (taccuini, carteggi, articoli, fotografie), sempre inserita in un solido confronto storiografico, offre al lettore molte conoscenze sul meccanismo complesso connesso al patrimonio archeologico e soprattutto sulle sue tante implicazioni politiche, ideologiche, culturali. Tra i meriti del libro, non ultimo è la collocazione del tema nel lungo periodo, che consente di rilevare le persistenze tra la stagione liberale e quella fascista: non ne viene peraltro minimizzata l'accelerazione introdotta dal regime sul piano dell'ideologia coloniale così come sul terreno delle iniziative-anche turistiche-finalizzate alla valorizzazione dell'archeologia quale precipuo canale identitario nella costruzione del consenso. Massimo Baioni
Articolato in undici agili capitoli, il libro si propone come una chiara guida alle tante e compl... more Articolato in undici agili capitoli, il libro si propone come una chiara guida alle tante e complesse questioni che regolano il rapporto tra storia e memoria del Novecento e ne misurano le implicazioni nel dibattito pubblico. Il dato di partenza è ben noto: la memoria ha progressivamente eroso il ruolo della storia sul terreno della comprensione del passato, con inevitabile riferimento soprattutto alle vicende del Novecento. Gli esempi sono molteplici, a partire almeno dall'esplosione dell'età del testimone, che ha collocato le vittime al centro del racconto e ne ha reso visibile la candidatura a mediatori privilegiati delle catastrofi del secolo. Il richiamo va in primo luogo alla Shoah, alla luce del posto predominante ad essa assegnato nel mondo occidentale: mettendo a frutto l'attitudine alla comparazione, l'a. estende lo sguardo alle varie tragedie genocidarie e alle forme di violenza connesse alle esperienze politiche autoritarie, con particolare attenzione alla memoria del comunismo e del fascismo. Ciò permette di ribadire alcuni effetti paradossali: da un lato, il recupero di vissuti per lungo tempo censurati ha allargato gli ambiti tematici della ricerca e affinato le categorie dell'interpretazione storiografica; dall'altro, nello spazio pubblico ciò ha determinato una bulimia memoriale che, mentre ha inciso nella relazione delle società con il loro passato, ha risucchiato al contempo la categoria della complessità e la dimensione dell'analisi critica proprie dell'approccio storico. Uno degli effetti importanti di questa esplosione è stata la fitta politica legislativa, che ovunque in Europa, specialmente dopo la fine della guerra fredda, ha portato all'istituzione di numerose giornate rituali. L'ingorgo celebrativo imperniato sul «dovere di memoria», seppure finalizzato a contrastare usi distorti e manipolazioni politiche del passato, solleva interrogativi che investono anche il nodo dei risultati conseguiti in questi decenni: l'a. richiama la disamina di Valentina Pisanty (I guardiani della memoria), che ha evidenziato come alla centralità del discorso pubblico sulla Shoah abbia corrisposto il riaffiorare di linguaggi e pratiche intrisi di razzismo e xenofobia. Quanto agli studiosi professionali, Flores scrive che devono essere pronti a dialogarenella ricerca e nella didatticacon le domande nuove di cui è portatrice una società in costante mutamento. Se il loro peso «si è fatto meno rilevante, più ambiguo e sfuggente», si aprono tuttavia maggiori «possibilità di intervento in settori diversi e molteplici della cultura e della vita civile» (p. 107): una cultura storica attrezzata a interagire con le tante dinamiche del tempo presente diventa un «antidoto all'ignoranza e alla menzogna ma anche alla banalizzazione o alla sacralizzazione della memoria» (p. 108). Il nucleo profondo del metodo storiografico non può dunque essere eluso: la difficoltà della sfidache riguarda pure gli storiciconsiste semmai nel trasferire adeguatamente quel metodo sul piano pubblico, senza sacrificarlo a pratiche che non di rado finiscono per rilanciare l'equivoca sovrapposizione di storia e memoria. Massimo Baioni
Il passato in camicia nera: il fascismo e la storia Massimo Baioni In "Passato e presente", n. 11... more Il passato in camicia nera: il fascismo e la storia Massimo Baioni In "Passato e presente", n. 117, 2022 Segnali di varia natura hanno rilanciato il tema della presenza del fascismo nella storia italiana e più in generale delle sue eredità nella vita del paese. Le polemiche sollevate dalla proposta di istituire un museo storico a Predappio, la decisione presa da alcune amministrazioni di centro-destra di dedicare vie e piazze a personaggi del Ventennio, il dibattito sui lasciti simbolici del regime nello spazio urbano (si ricorderanno al proposito le considerazioni, non poco incaute, di Ruth Ben Ghiat), le discussioni su razzismo, colonialismo, politiche di snazionalizzazione, cancel culture: tutto ciò ha dato nuova visibilità a un nodo che appare in più punti ancora irrisolto 1. Diffuse attraverso i social media, che appaiono sempre di più come spazi autoreferenziali e poco adatti a restituire il senso della complessità del passato, le polemiche hanno avuto comunque l'effetto di rianimare l'interesse degli studiosi: i quali, per la verità, non hanno mai abbandonato la riflessione sul fascismo, nel più ampio confronto con i regimi affermatisi tra le due guerre mondiali. Volumi recenti, molto diversi tra loro per approcci e letture, testimoniano la continuità di un lavoro di ricerca che si muove tra quadri di sintesi e indagini su aspetti meno conosciuti 2. Appartengono a questa rinnovata stagione gli studi che attengono più specificamente al rapporto che il fascismo instaurò con il passato, alla sua concezione della storia, agli strumenti e canali di mediazione del passato nel corpo della società italiana. Anche in questo caso non si tratta di sguardi inediti. Il libro di Pier Giorgio Zunino sull'ideologia del fascismo, uscito nel 1985, si fa ancora apprezzare per la lucidità con cui sono evidenziati gli assi tematici che ritmano la relazione del fascismo con il passato 3. Lo stesso vale per le opere di altri studiosi che, da diverse angolazioni, hanno fatto affiorare le molteplici sfaccettature di quella relazione: si pensi a Mario Isnenghi, Emilio Gentile, Gabriele Turi, Renzo De Felice, solo per ricordare alcuni storici che hanno lasciato un segno e inaugurato filoni di ricerca ripresi e sviluppati successivamente, a cavallo del nuovo secolo, da ricercatori di più giovane generazione. L'attenzione storiografica è confermata da pubblicazioni che privilegiano dense riflessioni sui tempi lunghi della storia nazionale 4 o si confrontano da vicino sul terreno delle manifestazioni fasciste imperniate sui richiami alla storia e alla sua rappresentazione e trasmissione 5. Inserendosi in questo quadro, il volume collettaneo curato da Paola S. Salvatori ha il merito di offrire al lettore una visione di largo respiro sulle tante implicazioni sottese al rapporto che il fascismo stabilì con il passato e alla sua attualizzazione nello spazio pubblico 6. Il libro, frutto del convegno omonimo svoltosi nel febbraio 2017 alla Scuola Normale di Pisa, si presenta dunque anche come occasione di un bilancio storiografico, consente di segnalare i risultati acquisiti, i nodi interpretativi, le piste di ricerca ancora percorribili. L'indice riflette la vastità e la complessità delle questioni affrontate. Dopo la concisa ma puntuale introduzione della curatrice, i primi saggi affrontano il tema dell'antichità greca (Alessandra
Diritti: gli articoli di Diacronie. Studi di Storia Contemporanea sono pubblicati sotto licenza C... more Diritti: gli articoli di Diacronie. Studi di Storia Contemporanea sono pubblicati sotto licenza Creative Commons 3.0. Possono essere riprodotti e modificati a patto di indicare eventuali modifiche dei contenuti, di riconoscere la paternità dell'opera e di condividerla allo stesso modo. La citazione di estratti è comunque sempre autorizzata, nei limiti previsti dalla legge.
Giulio Brevetti, La patria esposta. Arte e storia nelle mostre e nei musei del Risorgimento, Pale... more Giulio Brevetti, La patria esposta. Arte e storia nelle mostre e nei musei del Risorgimento, Palermo, Palermo University Press, 2019, 361 pp., € 60 In "Il mestiere di storico", 1/2020, p. 169. Inserendosi nel filone di studi su memorie e rappresentazioni del Risorgimento nell'Italia contemporanea, il volume si segnala per l'attenzione posta agli aspetti propriamente artistici di esposizioni e musei, una prospettiva finora trascurata o comunque non affrontata in maniera sistematica. I passaggi più importanti sono richiamati lungo un arco cronologico che spazia dalla fine dell'Ottocento (il Padiglione storico allestito a Torino nel 1884) all'anniversario del 150° dell'unità d'Italia nel 2011. Le mostre temporanee, in particolare, sono assunte a osservatorio privilegiato per cogliere il lento processo tramite cui autori e opere si affrancano da un ruolo di mero supporto iconografico al racconto storico. L'intuizione è giusta e condivisibile, anche se esposizioni come quelle romane del 1895 e 1911 tendono talora a essere sovracaricate di valore paradigmatico, in linea con una tesi che vede nelle mostre «la traduzione visiva più immediata e significativa di una precisa interpretazione del Risorgimento e dunque della visione storica e politica di un dato momento» (p. 8). La lettura si riaffaccia in modo più convincente per gli anni del fascismo, con riferimento alle novità introdotte nella mostra garibaldina del 1932, curata da Antonio Monti, il direttore del Museo del Risorgimento di Milano e figura di spicco della museologia storica nel Ventennio. Le pagine più interessanti sono però quelle incentrate sui decenni dell'Italia repubblicana, ai quali l'a. dedica opportunamente lo sforzo più intenso, anche sotto il profilo della ricerca documentaria. Dalle prime esposizioni del dopoguerra, passando attraverso lo snodo di Italia '61 e i centenari risorgimentali degli anni Settanta e Ottanta, lo sguardo arriva alle mostre più recenti, ideate sulla base di un più consapevole e maturo dialogo storico-artistico e culminate con le manifestazioni del 2011. Il censimento di cataloghi, interventi su giornali e riviste, numeri unici, permette di portare alla luce una produzione molto ricca, da cui emerge una variopinta e diseguale tradizione di artisti, opere d'arte, esposizioni che respirano umori, tensioni, singolarità del momento e del territorio nel quale sono ospitate. L'impianto di sintesi del libro, che abbraccia un secolo e mezzo di storia nazionale, costringe inevitabilmente a sacrificare un confronto più articolato con le tante implicazioni politiche e culturali della presenza del Risorgimento nella vita del paese. Un'analisi temporalmente più circoscritta avrebbe giovato alla struttura del lavoro, suggerendo una migliore precisione dei contesti e un'analisi più densa delle tante fonti utilizzate. Il volume, corredato da una corposa sezione iconografica, ha comunque vari meriti: contribuendo a ricomporre lo sguardo tra la dimensione storica e quella artistica del fenomeno, solitamente analizzate in modo separato, si fonda su un vasto apparato documentario e offre numerosi elementi di riflessione sul lungo periodo, che potranno essere ripresi con ricerche mirate su specifici eventi espositivi. Massimo Baioni
Il libro fa parte della collana "Storia d'Italia nel secolo ventesimo", promossa dall'Istituto na... more Il libro fa parte della collana "Storia d'Italia nel secolo ventesimo", promossa dall'Istituto nazionale per la storia del Movimento di liberazione in Italia. La precisazione non è superflua: infatti, in un progetto editoriale che prevede ben quattro volumi dedicati al ventennio fascista (cinque, in realtà, includendo quello sulla guerra 1940-43) e ne definisce la struttura per grandi tematiche (la politica estera, l'Italia del fascismo e quella dell'antifascismo, lo Stato), ciascun volume incorre nel rischio di muoversi in una logica molto interna alle questioni affrontate. La scelta, va da sé, è più che legittima, anche perché consente di esplorare alcuni aspetti della storia del fascismo con quello spessore analitico in genere (inevitabilmente) sacrificato nelle opere di sintesi. Ne deriva comunque la necessità, cui accenna nelle note introduttive lo stesso Marco Palla, di tenere presenti i molteplici raccordi e di completare la visione d'insieme con il rinvio ai saggi presenti in altri volumi della collana. Fatta questa premessa, va detto che il libro in questione offre una sistemazione storiografica importante sul tema cruciale dello Stato fascista: ne discute le fasi della nascita e dell'evoluzione nel corso degli anni, ricostruisce nel dettaglio i dispositivi legislativi, le componenti istituzionali, il ruolo del Partito nazionale fascista, gli effetti sull'articolazione complessiva del regime e della sua presenza nella società italiana. La delimitazione del campo di studio preso in considerazione è fissata dall'analisi dello Stato-partito, che connota la cornice tematica entro cui si soffermano i vari autori e al tempo stesso funge da perno interpretativo comune. «L'essenza dello Stato fascista-scrive Palla nel suo saggio-sta nella costruzione concreta di un regime misto e composito, di un tipo nuovo di Stato che è riassumibile nella formula interpretativa dello Stato-partito» (p. 6). La tesi di Alfredo Rocco, secondo la quale nel sistema fascista «il fatto ha preceduto la norma», può essere assunta a immagine esemplare del primato dell'azione e a chiave di lettura privilegiata del processo di «legittimazione giuridico-legislativa post factum» (p. 8) avviato dal regime. I contributi, muovendo da questi assunti, ne sviscerano i contenuti e i passaggi più significativi lungo alcune direzioni che intrecciano il versante istituzionale a quello delle ricadute sociali: il ruolo del partito (Palla, pp. 1-78), i mutamenti giuridico-istituzionali legati al rapporto controverso tra lo statuto albertino e la costituzione "materiale" (Enzo Fimiani, pp. 79-176), la concezione fascista dello stato sociale e gli interventi in materia di politica previdenziale (Fabio Bertini, pp. 177-313), il rapporto del regime con le autonomie locali (Luigi Ponziani, pp. 315-355), i meccanismi che portarono al perfezionamento dello Stato di polizia (Giovanni Verni, pp. 357-426). Tra le questioni più importanti discusse da Palla, il cui intervento condensa i risultati di una lunga frequentazione del tema, emerge quella relativa all'«impiantazione» dei fasci: la nascita del partito di massa è seguita nella sua rapidissima affermazione e nella sua suddivisione territoriale, con tabelle che danno conto del numero degli iscritti, della loro distribuzione geografica, dell'estrazione sociale. Ne escono confermati il radicamento del primo fascismo in alcune aree ben connotate e il ruolo trainante di alcune città di provincia (in Emilia, Lombardia, Triveneto, con diramazioni verso la Toscana e la Puglia nel Sud): qui l'affermazione del fascismo agrario si regge sull'«apporto sociale e il sostegno economico dei grandi proprietari, degli affittuari capitalisti che impiegano manodopera salariata e di altri strati intermedi» (p. 15); tra i coltivatori l'adesione fu raccolta soprattutto tra i disoccupati, anche in virtù dell'abile operazione gestita dal sindacato fascista che, una volta distrutta l'organizzazione avversaria, assunse il monopolio del collocamento di manodopera e ne fece un veicolo decisivo di reclutamento sociale (emblematico il caso di Ferrara). La riflessione sull'articolazione locale suggerita da Palla, che viene discussa ulteriormente nelle pagine di Ponziani dedicate all'espansione del controllo centrale sulla periferia, appare così necessaria
Il volume raccoglie gli interventi di 14 studiosi stranieri, chiamati a stilare un bilancio della... more Il volume raccoglie gli interventi di 14 studiosi stranieri, chiamati a stilare un bilancio della storiografia dei rispettivi paesi sul tema dell'Italia contemporanea: gli autori sono M. De Grazia (Stati Uniti). Dando per scontata la struttura eterogenea del libro, il risultato complessivo appare di notevole interesse, consentendo di cogliere la varietà e la diversità di angolazioni che hanno presieduto all'attenzione storiografica sul nostro paese. In questo senso, il volume si inserisce, arricchendolo di una prospettiva finora inesplorata, all'interno del filone di studi sull'immagine italiana all'estero inaugurato oltre vent'anni fa dagli studi di Venturi, Paris e Ragionieri. Se il Montesquieu delle Lettere Persiane è esplicitamente evocato, va detto tuttavia che gli autori non cedono alla tentazione di enfatizzare la presunta "obiettività" attribuita al giudizio dell'osservatore esterno, limitandosi a proporne l'utile ruolo integrativo rispetto alla visuale propriamente nazionale. A qualificare il volume è soprattutto la possibilità di verificare, in chiave di lettura comparativa, quali siano state finora le fasi della storia italiana contemporanea più indagate e come queste preferenze vadano collegate alle scansioni politiche e culturali, oltre che alle impostazioni metodologiche e interpretative, dei singoli contesti in cui sono cresciute. In generale, con gradazioni distinte, l'interesse storiografico verso la storia italiana contemporanea risulta particolarmente marcato o comunque decisamente superiore, tranne forse alcune eccezioni (Spagna), rispetto a quello manifestato dalla storiografia italiana per altri paesi. Si spazia da tradizioni consolidate (Francia, Germania, Gran Bretagna e Stati Uniti) ad altre che hanno operato in modo più discontinuo, soprattutto a causa di forti cesure politico-ideologiche (il franchismo per la Spagna, lo stalinismo per i paesi dell'Est), fino a toccare realtà storiografiche «emergenti» (l'Australia, il Giappone). Le pagine introduttive di Mazzonis sono una lucida "guida alla lettura" ed estrapolano gli aspetti essenziali che emergono dai vari contributi. Anzitutto risalta la centralità di alcuni periodi (il Risorgimento, il fascismo), che hanno catalizzato la maggior parte dell'interesse scientifico: meno frequentati sono stati invece altri aspetti e momenti nodali (l'età giolittiana, il ruolo della Chiesa, il cattolicesimo politico), mentre appaiono in crescita (specialmente in Gran Bretagna e in Germania) gli interventi sul cinquantennio repubblicano. Le motivazioni che hanno ispirato lo sguardo sull'Italia sono state per molto tempo viziate da un'ottica funzionalista, nel senso che l'attenzione era dirottata ad uso dei dibattiti storiografici interni, approdando perciò raramente a contributi di rilevante spessore scientifico. Ancora più pesante è stata la distorsione interpretativa di natura politico-ideologica, in base alla quale le vicende italiane servivano per comprovare la particolare "bontà" di un modello di Stato o di società: si comprende allora perché in Francia all'interesse suscitato dal Risorgimento, di cui si poteva enfatizzare l'eco dell'influenza francese e delle due esperienze napoleoniche, abbia fatto seguito (fino alla metà di questo secolo) la scarsa produzione di studi sul periodo postunitario, dal momento che l'Italia, con la stipula della Triplice Alleanza, sembrava aver rinnegato il rapporto privilegiato con la «sorella latina». Osservazioni analoghe possono valere per la Gran Bretagna: opere classiche come quelle di Trevelyan e di Bolton King, benché diverse per impostazione e taglio metodologico, furono concepite essenzialmente (prima che il fascismo intervenisse a rovesciarne l'ottica interpretativa) per celebrare la rivoluzione liberale italiana come «un prodotto "made in Britain", un fenomeno che offriva un'ulteriore e universale conferma dei
A un decennio dalla pubblicazione degli atti di un importante convegno (Alfredo Oriani e la cultu... more A un decennio dalla pubblicazione degli atti di un importante convegno (Alfredo Oriani e la cultura del suo tempo, Longo, Ravenna 1985, a cura di E. Dirani), con cui la figura del controverso scrittore romagnolo veniva finalmente sottoposta a una serena lettura critica, il libro di Pesante ritorna sul tema e ne propone un'interpretazione aggiornata ed articolata. Come avverte il sottotitolo, l'opera affronta separatamente il pensiero storico-politico e il vivace dibattito che, specialmente dopo la morte (1909), ha visto Oriani al centro di una querelle interpretativa strettamente intrecciata alla lotta politica e culturale. Nella prima parte, distinta in tre capitoli dedicati rispettivamente ai fondamenti filosofici, alla concezione della storia e al pensiero politico, le riflessioni dell'A. si riallacciano alle conclusioni cui è approdata la critica più recente, mirando a completarne (e in parte a rivederne) l'impianto analitico e concettuale attraverso una «metodologia di ricerca innanzi tutto fondata filologicamente sullo studio delle opere più che sugli schemi di interpretazione che si sono spesso sovrapposti ad esse» (p. 10). Il taglio dell'opera ha perciò imposto una netta preferenza per i testi (Matrimonio, Fino a Dogali, La lotta politica in Italia, La rivolta ideale, oltre alle raccolte degli articoli giornalistici) in cui più distesamente prende forma l'intreccio di influenze da cui muove l'elaborazione di Oriani. La cospicua produzione narrativa, inevitabilmente sacrificata, viene richiamata di tanto in tanto, specialmente laddove nelle pieghe dell'artificio artistico (dalla costruzione delle situazioni sociali al profilo dei personaggi) è facile riconoscere l'elemento autobiografico e la visione orianiana della storia, della società e della politica. In questo senso alcune questioni centrali vengono sottoposte a un'analisi puntuale e rigorosa: in particolare, viene argomentata con ampiezza di riferimenti la continua tensione tra l'influenza della cultura positivista quale fondale del «pessimismo orianiano» (p. 41) (a lungo negata o rimossa da una lettura su cui pesavano le categorie crociane), e l'afflato idealistico (da Hegel a Mazzini) da cui scaturiva invece un antipositivismo che si poneva come «reazione contro le pretese di una filosofia indifferente al mistero, di una scienza elevata con supponenza ad unica autentica conoscenza» (p. 29). L'obiettivo dell'A. è quello di dimostrare come il pensiero di Oriani possa essere assunto a cartina di tornasole di un processo più ampio di transizione, permettendo «di sondare dall'interno del mondo liberale la percezione della crisi politica di fine secolo, il periodo di incubazione del nazionalismo e poi del fascismo, gli umori dei settori maggiormente legati al mito del Risorgimento tradito» (p. 9). In effetti, sia l'elaborazione teorica che la produzione propriamente storiografica (specialmente La lotta politica in Italia) offrono spunti molteplici per misurare la portata delle trasformazioni che stavano investendo concetti chiave del dibattito coevo, tra cui quelli di nazione, nazionalismo, colonialismo. L'assunzione dell'eredità eroica del Risorgimento quale strumento di legittimazione dello Stato nazionale induceva Oriani a invocare con tono enfatico e oracolare una nuova missione per l'Italia unita, di cui espansione coloniale e costruzione della coscienza nazionale costituivano due momenti decisivi. Nella discussione di questi aspetti, sebbene l'A. sia attento a non cadere in giudizi unilaterali, si ha l'impressione che l'analisi "interna" alle fonti del pensiero storico-politico sconti la difficoltà di conferire il dovuto peso alle non poche ambiguità della concezione orianiana, che rendono difficile fare del romagnolo un epigono tout court del filone liberal-democratico: sono esemplari in questo senso tematiche come quelle del colonialismo e dell'imperialismo, che l'A. riconduce a un'ispirazione etico-civile e spirituale, finendo talvolta per trascurare l'apporto teorico fornito al nazionalismo aggressivo dei primi anni del secolo. Se è meno originale rispetto alla prima parte, perché si inserisce in un solco già tracciato da vari studiosi, la seconda sezione del volume ha il pregio notevole di affrontare in termini unitari il complesso capitolo della fortuna storiografica e politica dello scrittore romagnolo. Le tappe di questo percorso vengono ripercorse nel fitto intreccio di voci che per almeno mezzo secolo hanno fatto della
Dopo un periodo di appannamento, quando altri momenti e tematiche della sto-ria italiana contempo... more Dopo un periodo di appannamento, quando altri momenti e tematiche della sto-ria italiana contemporanea (la Grande guerra, il fascismo, la Resistenza) hanno catalizza-to l'attenzione storiografica e mediatica, il Risorgimento è tornato al centro di una vivace attenzione. Vi hanno contribuito, non c'è dubbio, le domande che hanno accompagnato la lunga fase di transizione della società italiana negli anni di crisi della cosiddetta «prima Repubblica». Come ha ben testimoniato l'anniversario del 2011, il dibattito ha trasceso il confronto tra gli addetti ai lavori, alimentando un'intensa controversia negli spazi del «di-scorso pubblico» nazionale. Limitando lo sguardo al campo degli studi, va riconosciuto tut-tavia che l'attivismo storiografico non è stato un derivato scontato della congiuntura politica o della scadenza celebrativa. Da oltre un ventennio, sull'onda di un dialogo proficuo con la storiografia internazionale, gli studi sul Risorgimento e sull'800 italiano hanno registrato un rinnovamento significativo, un cui primo bilancio si può trovare nel volume collettivo Rileggere l'Ottocento. Risorgimento e nazione, a cura di Maria Luisa Betri (Carocci, 2010). L'Atlante culturale del Risorgimento si presenta a sua volta come una sintesi efficace di alcune linee di tendenza storiografica, di approcci tematici e di opzioni interpretative che hanno segnato la più recente stagione di studi. I ventotto saggi che compongono il libro sono dedicati alle «parole che hanno costituito l'ossatura del vocabolario politico risorgi-mentale»: l'obiettivo è quello di analizzare i modi in cui il Risorgimento «si è costruito e si è rappresentato a livello concettuale» (p. V) tra la fine del XVIII secolo e la proclamazione dell'unità. Il volume respira dunque il clima della svolta «culturalista» delle ricerche sul Risorgimento. Come tale, si affianca ai lavori più citati di questo filone di studi, da quelli di Alberto Mario Banti (La nazione del Risorgimento, Einaudi, 2006) all'Annale Einaudi (2007), curato da Paul Ginsborg e dallo stesso Banti: opere importanti e controverse, alle quali va riconosciuto il merito di aver rilanciato l'interesse e il dibattito sul tema. Sarebbe però improprio schiacciare l'Atlante culturale sull'accesa polemica storiografica (e non
En 1983 eut lieu à Milan un important congrès sur Federico Chabod e la " nuova storiografia " ita... more En 1983 eut lieu à Milan un important congrès sur Federico Chabod e la " nuova storiografia " italiana dal primo al secondo dopoguerra (1919-1950), dont les actes furent publiés l'année suivante. Congrès et livre stimulèrent une exploration plus systématique des trajectoires intellectuelles et politiques des historiens au cours de décennies cruciales pour le développement de leur discipline et pour le rôle qu'elle occupa dans la vie politique et culturelle de la société italienne. Le livre de Margherita Angelini s'insère pleinement dans ce filon de recherche : il vise à reconstruire l'activité des historiens en étudiant les itinéraires de recherche personnels, les multiples réseaux de relations et le nouveau cadre des institutions culturelles. Les transformations du statut des chercheurs et des institutions de la recherche représentent en effet « un importante capitolo della storia culturale e, in senso lato, della storia politica di un paese » (p. 17). Sur le fond, on perçoit la présence, envahissante ou nuancée selon le cas, du régime fasciste, qui considère l'histoire comme un instrument fondamental de légitimation de ses propres choix de politique intérieure et internationale. D'où la juste conviction que les décennies de l'entre-deux-guerres sont « un punto di osservazione privilegiato per comprendere i cambiamenti interni alla disciplina storica poiché vi fu un progressivo assestamento delle strutture educative, che portò alla demarcazione di caratteri che divennero peculiari dell'accademia italiana nel lungo periodo » (p. 23). Gioacchino Volpe (1876-1971) et Federico Chabod (1901-1960) sont les personnalités exemplaires de cette période historiographique, dont les racines remontent, dans le cas de Volpe et de beaucoup d'autres spécialistes de sa génération (on pense aussi à Salvemini), à la phase qui va de l'époque giolittienne à la première guerre mondiale. Mais il ne fait aucun doute que les développements scientifiques et institutionnels de cette période ont pris réellement corps seulement dans les années du régime fasciste : comme en témoignent clairement de nombreuses études récentes consacrées à Volpe (par exemple les travaux d'Eugenio Di Rienzo, Barbara Bracco, Fabrizio Cossalter), c'est au cours de cette phase que l'historien occupe d'importantes fonctions comme celle de directeur de l'École d'histoire moderne et contemporaine de Rome. Tout en se concentrant sur les activités du maître et de l'élève, l'ouvrage de Margherita Angelini offre aussi des indications utiles pour reconstruire la trame complexe des relations et des initiatives scientifiques de ces années. Il reconstruit notamment les initiatives de spécialistes peut-être moins influents d'un point de vue scientifique, mais qui, néanmoins, réussirent à marquer en profondeur les paradigmes d'interprétation et les structures du pouvoir académique (on pense à Francesco Ercole, à Pietro Fedele ou à un haut dignitaire fasciste activement engagé au sein des instituts et des études historiques comme Cesare Maria De Vecchi). Les années trente marquèrent en effet un passage décisif également sur le plan législatif : entre 1933 et 1935, une vaste réforme des instituts et des études historiques déboucha sur la fondation de la « Giunta centrale per gli studi storici » et des quatre
1) Prof. Massimo Baioni, Lei è autore del libro Vedere per credere. Il racconto museale dell'Ital... more 1) Prof. Massimo Baioni, Lei è autore del libro Vedere per credere. Il racconto museale dell'Italia unita edito da Viella: di quale utilità è lo studio del paesaggio memoriale, e museale nella fattispecie, del nostro Paese per decifrare l'attuale fase di ripensamento dei modelli di rappresentazione, comunicazione e uso pubblico della storia? Il variegato paesaggio memoriale composto da monumenti, sacrari, nomi delle vie e delle piazze, epigrafi, ecc. ha sempre svolto un ruolo di primaria importanza nel campo dell'uso pubblico della storia. Oggi il fenomeno va correlato alla dilatazione dei soggetti e dei mezzi che, agendo nell'arena della comunicazione, hanno contribuito a mutare il ruolo sociale della storia e degli storici. La trasmissione del passato all'interno di uno spazio più ampio rispetto al perimetro ristretto degli addetti ai lavori configura un osservatorio cruciale per cogliere il mutamento della sensibilità culturale di una società: è una sorta di sismografo che restituisce le modalità attraverso cui i tanti attori che si muovono sulla scena pubblica declinano il rapporto con il passato, ne recuperano i momenti e i personaggi più adatti alla legittimazione (o delegittimazione) del presente, cercano di sintetizzare e fissare in forma simbolica i valori su cui si impernia un sistema politico. D'altronde, è sufficiente guardare alle recentissime polemiche sull'abbattimento delle statue e sul mutamento dell'odonomastica per rendersi conto che al centro del dibattito sono interrogativi dalle implicazioni estremamente delicate. I musei storici sono parte integrante di questa interpretazione del passato e della sua circolazione nel corpo sociale. Sin dal XIX secolo i musei hanno reso possibile la formazione di archivi e biblioteche specializzate. Il loro compito principale è stato però (e rimane tuttora, con l'ausilio delle nuove strumentazioni multimediali) quello di raccontare il passato attraverso una specifica organizzazione degli spazi e la collocazione di documenti, oggetti, cimeli. Essi sono perciò riconoscibili come tassello di una politica della memoria che, a partire dalle novità innescate dalla Rivoluzione francese, ha permeato in varie forme l'arredo urbano, rivestendolo di forti valenze simboliche. I linguaggi specifici attraverso cui i musei parlano del passato sono anch'essi figli del loro tempo, cambiano in ragione del contesto generale nel quale sono inseriti, delle urgenze indicate dall'agenda del presente, dei temi posti al centro della discussione storiografica così come delle priorità scandite dal discorso pubblico. 2) Come si sono evoluti i musei storici dall'Unità d'Italia ai giorni nostri e in che modo hanno rappresentato gli snodi cruciali della storia dell'Italia contemporanea? La tripartizione Italia liberale, Italia fascista, Italia repubblicana resta una chiave di lettura convincente anche per cogliere la natura e l'evoluzione dei musei storici nella lunga contemporaneità, il loro adattamento alle diverse sollecitazioni e pressioni. Ad ognuna di quelle fasi-che, va da sé, possono essere ulteriormente scomposte al loro interno-è associato un mito di fondazione o di rifondazione del sentimento nazionale: il Risorgimento per lo Stato liberale, la Grande guerra per il regime fascista, la Resistenza per la democrazia repubblicana. Quei grandi e controversi eventi sono stati "messi in scena" nelle sale dei musei e catapultati al centro di una contesa vibrante che è stata insieme storiografica, politica, simbolica. La visita al museo è stata a lungo una pratica consolidata per studenti, reparti militari, cittadini di varia estrazione sociale. Con un ruolo integrativo rispetto all'educazione scolastica, i musei hanno contribuito a sedimentare una certa immagine della storia e consentito a generazioni di italiani di entrare in contatto con i nomi di protagonisti, battaglie, luoghi, date celebri da mandare a memoria. Per questo insieme di motivi, il filtro del racconto museale restituisce alcuni tratti qualificanti dell'Italia unita: il confronto/scontro sulla rappresentazione della storia, il rapporto centro-periferia nelle dinamiche tra identità nazionale e identità locali, le contiguità e gli scarti rispetto alle molteplici altre forme di elaborazione e trasmissione del passato. Ne discende che per cogliere appieno la funzione assolta dai musei storici nella vita politica e culturale del paese occorre analizzare molteplici
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Papers by Massimo Baioni
Cagliari’s victory in the 1969-70 National football championship represents a turning point in the history of Italian sport “par excellence”. For the first time, a “provincial” and Southern team broke the hegemony of the big and powerful teams from the North. The essay highlights this sporting success in the context of an Italy in the midst of major transformations, between incipient economic crisis, political and social contestation, and the strategy of tension. In addition to the impact of the
phenomenon, in particular through the reactions of the press, the analysis explores its implications in two other directions: on the one hand, the repercussions that the sporting triumph had on the socio-economic life of Sardinia as well as on the island’s image in Italy; on the other, the extraordinary popularity of Gigi Riva, a football icon of those years, which also allows us to reflect on the evolution of the sports celebrity in a media and social system that would soon experience profound discontinuities with the past.
Cagliari’s victory in the 1969-70 National football championship represents a turning point in the history of Italian sport “par excellence”. For the first time, a “provincial” and Southern team broke the hegemony of the big and powerful teams from the North. The essay highlights this sporting success in the context of an Italy in the midst of major transformations, between incipient economic crisis, political and social contestation, and the strategy of tension. In addition to the impact of the
phenomenon, in particular through the reactions of the press, the analysis explores its implications in two other directions: on the one hand, the repercussions that the sporting triumph had on the socio-economic life of Sardinia as well as on the island’s image in Italy; on the other, the extraordinary popularity of Gigi Riva, a football icon of those years, which also allows us to reflect on the evolution of the sports celebrity in a media and social system that would soon experience profound discontinuities with the past.
Anche da questa prospettiva originale, che intreccia storia e rappresentazione, le città si rivelano una preziosa cartina di tornasole per comprendere il profilo politico del Novecento italiano e cogliere i mutamenti più generali in atto nella società.
Le patrie degli italiani. Percorsi nel Novecento, Pacini Editore, 2017
Nel ripercorrere alcuni momenti salienti del Novecento italiano, questo libro adotta la lente particolare del discorso patriottico, dei suoi miti e usi pubblici, delle continuità e delle rotture che lo hanno caratterizzato, delle sue relazioni con le varie culture politiche nazionali. Si tratta di una tematica ricca di implicazioni, che non ha mai cessato di essere terreno di confronto storiografico e di accesa polemica politica. Partendo dallo stretto rapporto con le guerre, che segna il tema del patriottismo e dell’italianità tra i due conflitti mondiali e soprattutto durante il fascismo, il libro passa a esplorare la transizione dei miti nazionali nell’Italia repubblicana: arriva infine a lambire il presente, con alcune riflessioni sul 150° anniversario dell’unità. Ne esce l’invito a dare un respiro di lungo periodo ai tanti interrogativi che accompagnano l’Italia e gli italiani alle prese con le sfide del nuovo secolo.
L’autore
Massimo Baioni (1963) insegna Storia del Risorgimento e Storia dell’Europa contemporanea all’Università di Siena, Dipartimento di Scienze della formazione, Scienze umane e della Comunicazione interculturale (Arezzo). Tra i suoi libri: Risorgimento in camicia nera (Carocci, 2006); Risorgimento conteso (Diabasis, 2009); Rituali in provincia (Longo, 2010). È membro del comitato direttivo della rivista «Memoria e Ricerca».