Qual è stato il peso della lingua, della retorica e della scolarizzazione fascista nella formazione della generazione «degli anni difficili»? E come gli scrittori nati a ridosso della Marcia su Roma riuscirono a «strapparsi di dosso»...
moreQual è stato il peso della lingua, della retorica e della scolarizzazione fascista nella formazione della generazione «degli anni difficili»? E come gli scrittori nati a ridosso della Marcia su Roma riuscirono a «strapparsi di dosso» quella pesante eredità?
Sono questi gli interrogativi che percorrono il volume, con cui si intende offrire un primo sondaggio sulla relazione tra l’indiscussa vocazione etico-civile di gran parte degli scrittori nati negli anni Venti e la loro formazione scolastica durante il fascismo. Sciascia, Rigoni Stern, Fenoglio, Pasolini, Meneghello, Calvino (solo per citare alcuni nomi) studiarono sui Testi unici di Stato, lessero Il balilla Vittorio e introiettarono, volenti o nolenti, la retorica di regime. Per alcuni di loro, dialettofoni, quella lingua fu il primo approccio con l’italiano.
Il partecipare alla Resistenza fu, per taluni, una prima catarsi, ma il processo di ri-educazione fu molto più lungo, andò ben oltre la caduta del Regime e coincise con la volontà di ridare alla nascente Italia democratica una lingua (e un dunque un sistema di pensiero e culturale) che non conservasse alcun retaggio totalitario, imperialista, bellicistico: da qui, la scelta espressiva antieroica e antiretorica, o impegnata, o ‘illuminista’, o volta a scavare la parola con tersa esattezza chirurgica. La rieducazione, insomma, si inverò nella scrittura letteraria.