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Roma 15 novembre 1848 L’assassinio del ministro Pellegrino Rossi Pellegrino Rossi (nato a Carrara nel 1787), giurista ed economista di prestigio internazionale, era Ministro dell’Interno e delle Finanze del primo governo costituzionale di Pio IX, di orientamento moderato. Il giorno dell’apertura della Camera al Palazzo della Cancelleria fu pugnalato a morte sullo scalone d’accesso. La notizia la apprendiamo in diretta dal Diario dell’impassibile principe Agostino Chigi: Questa mattina si sono riaperti tanto l’Alto Consiglio, quanto quello dei Deputati, dopo la proroga. Il Ministro dell’Interno e interino delle Finanze, nel recarsi in carrozza al secondo, è stato accolto sulla piazza della Cancelleria con fischi strepitosi, ed essendo poi smontato alla scala, al principio della medesima è stato circondato da un gruppo di persone ed è stato ferito nella gola con colpi di pugnale, per i quali, trasportato nelle camere del Card. Gazzoli che abita nel palazzo della Cancelleria, è rimasto esanime quasi al momento. I due suoi figli si trovavano sulla piazza quando succedeva questo terribile fatto. (CHIGI 1966, p. 259) Il Rossi era a Roma un uomo solo, poco sostenuto dalla Curia, in polemica con Rosmini (presente in città) e le sue istanze neoguelfe, pressato dai democratici romani (tra cui Carlo Luciano Bonaparte principe di Canino), che si muovevano sulla spinta del neonato governo democratico toscano di Montanelli. Questi, pochi anni dopo, nelle sue Memorie, ci tenne a stigmatizzare l’orrore e l’errore di quell’assassinio che dava voce alla reazione: Contemporaneo di Washington e non di Bruto, io non glorifico cotesti modi di spacciare il nemico politico, che la civiltà presente, quantunque ancora rugginosa di molta barbarie, non tollera più; e nemmeno mi lagno che a noi apostoli di progresso più che agli indietreggiatori chiedasi conto severo di ogni crimenlese di civiltà. Rossi ancora più che ai democrati in odio ai preti per la guerra intrapresa alle pie mangerie, non poteva lungamente tenere lo Stato; e sarebbe caduto, argomento di più della impotenza del papato a reggere in qualsivoglia più mite temperie di libertà; ma anche vivendo cent’anni tartassatore della democrazia italiana, non poteva farle mai tanto male, quanto ne fece il suo morire di ferro; il quale evento della nostra immacolata rivoluzione, diede agognato pretesto di screditarla ai sepolcri imbiancati della reazione. (MONTANELLI 1855, p. 422) Dobbiamo a un tardo Belli italiano l’interpretazione poetica di quel delitto, nelle ottave macabre della poesia-cronaca Il XV novembre: Per quel dì tutti i venderecci eroi a una vittima sola eran giurati, vittima illustre che pagò per noi tanti errori e politici peccati! E cadde, e niuno de’ compagni suoi si scosse ad imprecar gli scelerati quando d’un colpo, ed ahi qual colpo, in gola gli fu tronca la vita e la parola! Tosto o per alti o per sommessi motti corse l’annunzio del crudel misfatto, e s’udia per le piazze e pei ridotti mormorar qualche voce è fatto, è fatto. La turba intanto de’ romei cagnotti, sciolta così dal glorioso patto, rintanossi in arcani penetrali a celar, per quel giorno, i suoi pugnali. (BELLI 1865, pp. 141-142, vv. 129-144) Pellegrino Rossi fu commemorato al Parlamento di Parigi da Montalembert, suo irriducibile e dichiarato avversario («l’ho conosciuto, l’ho combattuto tutta la mia vita»). Una moderna e documentata ricostruzione è costituita da Ore 13. il Ministro deve morire (1974) di Giulio Andreotti: nel libro hanno spicco gli avvisi di morte della vigilia (come per l’antico Cesare), ma anche l’analisi degli atti del processo, che si 73 svolse solo nel 1854 e che vide due condanne a morte: Sante Costantini, ‘scultore’ (cioè scalpellino), e Luigi Grandoni, mercante. Quest’ultimo s’impiccò in carcere: Costantini, invece, fu ghigliottinato in piazza dei Cerchi alle sei del mattino del 22 luglio 1854. Mastro Titta Bugatti [il boia] dovette impiegare più del solito nel disbrigo della sua mansione, perchè il condannato, rifiutati i conforti religiosi, protestò ripetutamente contro l’infamia della sentenza e alla fine, prima di essere trascinato sotto la mannaia gridò a voce alta: «Viva la repubblica!». (ANDREOTTI 1976, p. 232) Non ci fu incriminazione per il Principe di Canino, per opportunità politica, in quanto cugino di Napoleone III, protettore dello Stato Pontificio. STEFANO VERDINO Università degli Studi di Genova BIBLIOGRAFIA ANDREOTTI 1976: Giulio Andreotti, Ore 13. il Ministro deve morire [1974], Milano, BUR, 1976. BELLI 1865: Giuseppe Gioacchino Belli, Poesie inedite, Roma, Salviucci, 1865. CHIGI 1966: Agostino Chigi, Il tempo del papa-re. Diario del Principe don Agostino Chigi dall’anno 1830 al 1855, Milano, Edizioni del Borghese, 1966. MONTANELLI 1855: Giuseppe Montanelli, Memorie sull’Italia 1814-1850, II ed., Torino, Società editrice italiana, 1855. 74