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Il dono di Rocco

Il testo appare in: Ugo Magnanti (a cura di), «Mi ricordo Rocco. Scritti in memoria di Rocco Paternostro», FusibiliaLibri, Anzio 2023 e nel giugno 2023 su www.academia.edu

Il dono di Rocco di Giovanni Pistoia Ringrazio Tiziana Aleandri e Ugo Magnanti dell’invito rivoltomi per “commemorare l’opera e la figura di Rocco Paternostro” con un mio breve testo. Sarò sincero: fatico a farlo. È come prendere atto che davvero tutto si è concluso. Tutto quello che c’era in itinere si è spezzato, per sempre. Al di là di ogni ragione, mi piacerebbe scrivere a Rocco ricordandogli i discorsi iniziati, i progetti che ci appassionavano. No, non ho elaborato, come si suole dire, quella scomparsa, troppo improvvisa e dolorosa; consumata, mentre tra di noi l’intesa si irrobustiva, e tante storie volevamo approfondire. Ci siamo conosciuti tardi ma ci siamo voluti bene da sempre. Ci siamo visti rare volte, spesso chattato utilizzando le nuove tecnologie. Ci siamo soprattutto sentiti al telefono, tante volte; e sempre più lunghe le conversazioni. La sua carica umana mi ha coinvolto da subito, la sua sensibilità verso alcuni temi ha contribuito a plasmare la mia. Sapeva leggere sul volto delle persone le angosce più segrete. In una sua e-mail del 15 aprile 2013, mi scrisse: Caro Giovanni, è stato un grande piacere rivederti e poter parlare di nuovo con te, anche se solo per poche ore. Tu sei stato l’amico che più mi è stato vicino in un periodo della mia vita non dico difficile, ma certo non facile. Di questo te ne sarò sempre riconoscente. Non ti nascondo che al piacere di rivederti è subentrato in me uno stato di apprensione, perché ho letto nella tua espressione e nel tuo sguardo un’ombra di tristezza, o meglio ancora una sorta di malinconia se non addirittura di preoccupazione. Non ti chiedo di dirmi, ma sappi che per qualsiasi cosa puoi contare su di me. Era tutto vero, anche se io cercavo di essere quello di sempre, ma a lui è bastato vedermi per poche ore per leggermi in profondità. Non basta, quindi, la quantità di un rapporto ma la qualità e la sincerità di quel rapporto. Sin dal primo incontro abbiamo scoperto, per esempio, l’interesse per la letteratura per ragazzi, per le fiabe, le antiche favole, i miti. Ricordammo le Fiabe italiane di Calvino del 1956 (mi disse, tra l’altro, che di questo autore apprezzava soprattutto le Lezioni americane del 1988). Accennammo a Rodari e al suo ruolo nella letteratura del Novecento. Gli parlai di Carmine De Luca, uno degli studiosi di Rodari più meticolosi, e curioso di saperne di più m’impegnò a fargli avere del materiale su questo saggista. Riuscii solo in parte a soddisfare la sua sete di conoscenza, e questo fu uno dei tanti impegni irrealizzati. Ritornammo sull’argomento qualche tempo dopo. Mi consegnò, un giorno, il suo corposo saggio critico su Il Raccontafiabe, ovvero fiabe, novelle, raccontini e altri scritti per fanciulli di (Aracne, Roma, 2003) con una bellissima dedica: A Giovanni fine dicitore di storie con vera amicizia. Parlando nei giorni successivi, dopo la lettura del suo studio, acuto, originale, meticoloso, concordammo che avrei scritto qualcosa sul libro. Mi ricordò spesso la promessa. Lo scrissi, in seguito, un opuscoletto, stimolato proprio dal suo saggio e, in particolare, dell’attività di autore di fiabe del Capuana, ma era già luglio del 2014; Rocco era già andato via da qualche mese, e così anche questo dialogo restò muto, spezzato, inconcluso. Fiabe, miti, visioni ritornano spesso negli scritti di Rocco, e spesso, quindi, anche nelle nostre lunghe telefonate. Gli argomenti furono ripresi discutendo i due volumetti, intensi e profondissimi di versi, Monologo per Euridice (Bulzoni, Roma,1989) e Sette Visioni (Lithos, Roma, 2008). Detto tra parentesi, troppo spesso l’attenzione di molti si è posta su Paternostro critico, storico della letteratura, filologo, mettendo in ombra, se non addirittura ignorando, Rocco Paternostro poeta. Ma la sua poesia è di limpida bellezza, e di una cifra stilistica raffinata. Si veda, solo a titolo indicativo Sette Visioni. Un testo di rara poesia dotta, dallo stile fine, elegante, rigoroso e, nello stesso tempo, poesia dolcissima, tenera; un lungo canto che, dai primordi dello spirito, attraverso miti, leggende, episodi storici, arriva fino ai nostri giorni, al nostro quotidiano intriso, ci piaccia o no, di sogni e realtà. Poesia profonda con forti accenni autobiografici, eppure cosmica, universale, senza spazio e senza tempo, dove il cielo e il mare si affacciano sul davanzale del mondo per scrutare visioni eteree e immagini indescrivibili. Poesia, a tratti difficile, corolla che tiene ben protetto il suo bocciolo, che non si dona a tutti: quando, però, si entra nei suoi segreti, si apre alla bellezza pura ed espande profumi e petali, essenze e assonanze, perché lì fioriscono versi di velluto. Qui la poesia diventa narrazione, ora danza di memorie, ora eco di filastrocca, melodia nobilitata, ora favola, storia di tante storie, preghiera, emozione e turbamento sulle note di nenie struggenti. Un viaggio, questo di Rocco Paternostro, in questo testo, nel vissuto dell’umanità, alla ricerca di una visione finale, uno svelamento di ombre, fino allo squarcio del settimo sigillo dell’Apocalisse di Giovanni, filo conduttore dell’intero poemetto. Una conchiglia intricata e complessa, apparentemente scontrosa, difficile. E di questa impenetrabilità parlammo. E della sua poetica ci intrattenemmo, senza avere mai potuto completare. Era molto legato alle sue raccolte; il 19 aprile del 2013 mi scrisse: esse rappresentano e testimoniano due tappe fondamentali non solo del mio impegno culturale, ma anche del mio tragitto spirituale, invero molto travagliato e sofferto. […] È vero, come tu dici, che tra Monologo e Sette Visioni c’è un filo rosso (o magico o mitologico) che accomuna le due raccolte: è il filo rosso di due momenti drammatici della mia esistenza che ho sublimato – come avrebbe detto il vecchio Freud – in poesia, ricorrendo e servendomi dei miti che l’uomo nei millenni ha prodotto sotto ogni latitudine, ora assumendoli direttamente, ora interpolandoli tra loro, ora, sulla loro spinta emozionale-creativa, inventandoli io dei nuovi. E a proposito della impermeabilità di alcune parti, Rocco Paternostro ne era consapevole. Il riferimento a episodi personali ed esistenziali ignoti a chi legge rende inevitabilmente oscure alcune Visioni, ma forse anche per questo sono ancora più affascinanti e avvincenti. Mi promise che alla prima occasione utile avremmo letto insieme, verso per verso, le Sette Visioni. Si sarebbe, altresì, soffermato in particolare sugli aspetti autobiografici, che teneva per se stesso con molto riserbo. Ma anche questo appuntamento venne a mancare con la sua scomparsa. E di questi progetti mancati l’elenco potrebbe continuare. Ne cito un solo: riprendere un tema, quello sulla violenza verso i minori, di cui parla, accennando a Giuseppe Guerzoni – a testimonianza di come la letteratura non poche volte è riuscita a smascherare gravi condizioni tenute nascoste, o comunque tollerate, se non addirittura incoraggiate dalle classi dominanti – nel suo poderoso lavoro Letteratura Italiana dell’Emigrazione (Aracne, Roma, 2011). Ecco perché mi lacera questo scritto. Questo “ricordo di Rocco Paternostro”, certamente doveroso, mi impone, ancora una volta, un’amara verità: è davvero tutto finito, ogni dialogo è ineluttabilmente terminato. Si può dire, come Capuana, “C’era una volta…”, ma nella certezza che i poeti veri non muoiono, e ritornano in chi ne apprezza il verso e la profondità del pensiero e dell’anima, mi lascio convincere che non bisogna mai credere alla parola fine, e se “C’era una volta Rocco Paternostro, c’è ancora, e ci sarà sempre”. E pensare, ancora, con Pessoa che “Mai nessuno s’è smarrito”. Averlo conosciuto certamente è stato per me un gran dono, e quel dono continuerà a fiorire per i giorni che verranno. Il testo appare in: Ugo Magnanti (a cura di), «Mi ricordo Rocco. Scritti in memoria di Rocco Paternostro», FusibiliaLibri, Anzio 2023 e nel giugno 2023 su www.academia.edu