STORIE DA SUONATORI
La tradizione musicale del Carnevale
ơ
a cura di Daniele Richiedei
prefazione di Roberto Tombesi
saggi di
Giuliano Grasso
Giancarlo Marchesi
Lorenzo Pelizzari
Daniele Richiedei
Nerio Richiedei
liberedizioni
Osservazioni sul repertorio musicale
della Val Caffaro
e relazioni con fonti storiche manoscritte
Giuliano Grasso
Osservazioni sul repertorio e relazioni con le fonti
133
Il repertorio musicale carnevalesco della valle del Caffaro ha dagli anni ’70
suscitato l'interesse degli etnomusicologi oltre che per la sua ricchezza e integrità
anche per la sua apparente specificità rispetto alle tradizioni riscontrabili nelle
aree limitrofe1. La singolarità di queste musiche è sempre stata in realtà accentuata dalla scarsa conoscenza che in quel periodo si aveva del repertorio da ballo cisalpino e della pur ingente quantità di musica per danza composta e pubblicata in
questo territorio nei secoli XVIII e XIX.
Il clima determinato dalla maggiore attenzione ai repertori di musica strumentale
dell'Italia settentrionale, ha in seguito permesso che ulteriori studi e ricerche approfondissero l'osservazione e l'analisi di questo corpus.2 Infatti, se risulta tuttora
arduo raccogliere concreti elementi documentali riguardo alla sua evoluzione, appare però sempre meno probabile l’ipotesi dell’acquisizione di un repertorio importato dall’esterno, dovendosi invece attribuire la sua marcata omogeneità alla
secolare pratica violinistica locale e al suo stile fortemente caratterizzato che
avrebbe adattato e uniformato melodie almeno in parte di diversa natura ed origine.
Inoltre, se la documentazione archivistica ha potuto datare le prime testimonianze del Carnevale nella valle del Caffaro alla metà del sec. XVI, gran parte delle musiche attuali sembra però aderire a forme musicali più recenti. Il carnevale peraltro, per sua stessa natura, rappresenta il luogo per eccellenza dove la cultura popolare, in continua trasformazione, riesce ad integrare tradizioni arcaiche con
elementi di stretta attualità.
1
R. Leydi, C. Pederiva, I balli del carnevale di Bagolino in: Brescia e il suo territorio, Milano, 1975; I.
Sordi, Il carnevale di Bagolino, ibidem; I. Sordi (a cura di), La musica del carnevale di Bagolino, disco
Albatros VPA 8236 serie Regione Lombardia 4. Carnevale in montagna: Bagolino e Ponte Caffaro,
film 16 mm., regia di B. Pianta, Regione Lombardia,
2 Le pubblicazioni della Regione Lombardia, hanno riguardato principalmente il capoluogo Bagolino,
il carnevale della frazione Ponte Caffaro è stato documentato nel film La danza degli ori, prodotto
dalla sede RAI di Trento per la regia di Renato Morelli, e dal Compact Disc: Pas en amur (ACB/CD05)
della Compagnia Sonadùr di Ponte Caffaro, prodotto dall' Associazione Culturale Barabàn. Nel libretto allegato a questo CD si trovano i due saggi che sono alla base di questo contributo: 1) B. Falconi, Il
carnevale tradizionale nella Valle del Caffaro, 2) G. Grasso, Un'analisi storico-musicale del repertorio
di Ponte Caffaro.
134
Storie da suonatori
Il repertorio
Se ai primi osservatori del carnevale i nomi dei balli potevano quindi sembrare
singolari in quanto non trovavano riscontro nei pochi altri repertori dell'italia settentrionale allora conosciuti, l’odierna analisi dei brani dimostra come le caratteristiche musicali del repertorio carnevalesco coincidano integralmente con quelle
dei balli praticati nell’area subalpina e come lo stesso sia andato formandosi nel
corso dei secoli XVIII e XIX attraverso un processo di stratificazione.
Non è quindi significativa l’assenza dei comuni “balli di genere” italiani (Giga, Corrente, Furlana, etc) essendo noto come nelle nostre regioni le sole denominazioni
rivestano poca importanza in quanto non associate, salvo pochi casi, a caratteristiche formali proprie 3. Nel carnevale della Val Caffaro troviamo infatti concordanze con altre forme musicali carnevalesche già conosciute ma solitamente poco
studiate in quanto appartenenti a quella sottostimata categoria di forme minori
comprendenti balli pantomimici, buffoneschi, ludici etc. che, tuttavia, nel caso
delle danze "di mestiere" costituiscono un genere coreutico autonomo e identificabile fin dai tempi più antichi.4
Attraverso una breve analisi dei soli titoli è già possibile individuare sommariamente il contesto che colloca il repertorio musicale della Val Caffaro pienamente
all’interno della tradizione musicale del nord Italia, nonostante almeno dalla seconda metà del Novecento esso rappresenti una vera e propria “isola” la cui importanza è resa ancor più preziosa dalla evidente unicità di molti altri elementi
che contraddistinguono l’intero rituale carnevalesco come un fenomeno etnografico di eccezionale importanza.
Tra i titoli troviamo riferimenti a figure di ballo tipiche delle Contradanze: la rosa
(Ariosa?), la catena (Cadina), il bozzolo (Bosolù), nonché a canzoni/danze pantomimiche di mestiere di tipo carnevalesco come l’arrotino (Moleta), lo spazzacamino (Spasacamì), o ad altri componimenti vocali. Se infatti i titoli del balli di carnevale sembrano non convenzionali nell’ambito della musica prettamente da danza,
parziali concordanze affiorano invece in ambiti limitrofi e alcuni di essi risultano
già conosciuti nei repertori della musica popolare del nord Italia.
Il Moleta, unico ballo che può vantare una solida relazione territoriale con il Trentino, è testimoniato in Vallagarina nel XIX secolo5 e in Val di Fiemme come ballo
carnevalesco fino agli anni ’70 del Novecento6. Esso era inoltre diffuso alla fine
dell'Ottocento nella vicina Val Rendena con gli stessi gesti pantomimici ancora
ravvisabili nelle movenze dei ballerini della Val Caffaro, i quali tuttoggi mimano il
3 L’unico esempio di ballo di genere potrebbe essere costituito dalle Monfrine che però, pur presenti
nella tradizione locale, sono esplicitamente escluse dal repertorio carnevalesco e sulle quali si tornerà più avanti.
4 C. Sachs, Storia della danza, Berlin, 1933.
5 C. Lunelli, “I processi per balli, suoni e mascherate in Vallagarina nei secoli XVII e XVIII”, in: Atti
dell’Accademia Roveretana degli Agiati, n. 240, 1990
6 D. Balocco, Carnevali in Val di Fiemme, Trento U.C.T. 1995
Osservazioni sul repertorio e relazioni con le fonti
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gesto dell’arrotino che aziona la mola.7 Spazzacamino, altro brano largamente
diffuso anche in forma vocale, è tuttora eseguito, con melodie differenti, in Emilia
e in Friuli. Landerina (contrazione bresciana di laànderina),8 è riferibile al noto ballo pantomimico del "ballo della lavandaia" ampiamente documentato fin
dall’epoca rinascimentale, ancora in voga nelle sale da ballo europee dell’800 e
più volte raccolto nel nord Italia.9
Titoli conosciuti sono anche il Ballo dell'orso, nome che può indicare sia melodie
eseguite dagli orsanti girovaghi sia una danza carnevalesca della maschera omonima, Biondina e Monichèla, titoli di note canzoni, e Sefolòt, ballo conosciuto in
Veneto e in Friuli, anch’esso eseguito con segnacole che ne rivelano l’origine pantomimica.
Come si può notare, la presunta singolarità dei titoli svanisce se posta in relazione
non già con le più comuni denominazioni di danze strumentali bensì col meno codificato repertorio di uso carnevalesco.
Per quanto riguarda le melodie, se alcune presentano caratteristiche che fanno
pensare ad una loro origine eminentemente strumentale, pur se di diversa epoca,
un’altra parte sembra invece chiaramente derivare dal repertorio vocale popolare
dei secoli XVIII e XIX.
Nei prossimi paragrafi cercherò, attraverso una comparazione con le numerose
fonti d’epoca da me esaminate, di illustrare le relazioni con altri repertori del nord
Italia allo scopo di ipotizzare una possibile datazione e un’area di provenienza dei
balli oggi eseguiti nei carnevali della Val Caffaro. Verranno inoltre illustrate le particolarità stilistiche (schemi ritmici, armonici e melodici) per individuare i caratteri
di quella consolidata prassi esecutiva locale che ha permesso l'assimilazione e la
stratificazione nel tempo di questo repertorio.
Concordanze rinascimentali
Fra le melodie di probabile origine strumentale possiamo identificare due brani:
Bosolù e Mascherina, che mostrano caratteristiche decisamente più antiche rispetto agli altri. Questi caratteri, fortemente tipici della musica da ballo italiana
del XVII secolo, ci possono ragionevolmente far ipotizzare che la loro origine possa
risalire a quel periodo.
L'analisi del Bosolù dimostra infatti una inequivocabile identità metrico/armonica
con alcune versioni dello Spagnoletto antico, una di quelle danze (come il Ballo di
Mantova, il Ruggero o il Bergamasco) già largamente diffuse in epoca tardorina-
7 “…Il ballo del moleta è una specie di monferrina, ma di tratto in tratto i ballerini si arrestano, alzando il piè destro, poi il sinistro, imitando così il movimento dell’arruotino che mette in moto e fa
girare la ruota…” N. Bolognini, Usi e costumi della Rendena, 1880,
8 G. B. Melchiorri, Vocabolario Bresciano-Italiano, Brescia, 1817
9 Durante le ricerche svolte da B. Falconi, L. Pelizzari, e G. Scalvini è stata raccolta memoria di un Bal
del leseàs, (del bucato) oggi non più eseguito, del quale non è stato però possibile raccogliere la melodia. Non si può escludere che il ricordo di quel ballo possa riferirsi alla stessa Landerina.
136
Storie da suonatori
scimentale e delle quali esistono numerose varianti.10 Si tratta in realtà di uno
Spagnoletto "mascherato" in quanto avendo il Bosolù struttura bipartita e lo Spagnoletto tripartita, la coincidenza melodica appare sovrapponendo la seconda
semifrase della parte A e la parte B del Bosolù alle parti B e C dello Spagnoletto,
come se quest'ultimo venisse osservato senza ripetizioni di frase.
I due brani mostrano quindi una piccola divergenza melodica solo nelle sole prime
due misure e unicamente riguardo al tipo di fraseggio utilizzato per raggiungere il
terzo grado (falsa tonica) dove il Bosolù impiega una seconda discendente laddove
lo Spagnoletto utilizza perlopiù il moto ascendente. Anche qui la coincidenza
strutturale non appare immediatamente ma si svela confrontando il Bosolù con la
linea melodica del basso di uno Spagnoletto a quattro parti.11
La coincidenza armonica dei due brani risulta pressochè totale e, data la non banalità della sequenza, decisiva per puntualizzare lo strettissimo rapporto esistente
fra il modello antico dello Spagnoletto e il Bosolù della Val Caffaro il cui nome peraltro identifica esclusivamente una figura coreutica (il bozzolo).
Nel Bosolù il movimento dalla fondamentale in modo minore alla relativa maggiore per mezzo del settimo grado (dominante secondaria), con uno schema che varia intorno ai gradi i-II-III-i-V-i aderisce pienamente ad un modello armonico antico, caratteristico di alcune particolari strutture di danza tardorinascimentali, basato non su di una unità di riferimento (tonica) ma sulla relazione tra gli accordi.12
10 N. Sansone, Musica strumentale manoscritta nel Fondo Musicale della Cappella di Santa Barbara
di Mantova, Tesi di laurea DAMS, Bologna, 1990-91.
11 G. Zanetti, Il Scolaro, Milano, 1645.
12 R. Hudson, The concept of Mode in Italian guitar music, in "Acta musicologica", Vol. XLII, 1970.
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Osservazioni sul repertorio e relazioni con le fonti
Bosolù (relazioni armoniche)
Dm
C
F
C
F
Dm
C
Dm
A
Dm
I
VII
III
VII
III
i
VII
i
V
i
I
V
V
vi
V
i
V
i
Questo particolare impiego della progressione accordale è presente anche in Mascherina che, pur non essendo aderente a uno degli schemi più frequenti
dell’epoca, rivela anch’essa la sua possibile origine tardorinascimentale nella presenza di quel concetto di "tonica relativa" che caratterizza le danze di quel periodo, dove la modalità non si estrinseca tanto nella melodia quanto nell’armonia,
più precisamente nell’associazione di ogni accordo alla sua scala di riferimento.13
Mascherina mostra infatti nella prima parte, una tipica progressione armonica
funzionale (caratteristica ad es. del Passamezzo o della Bertazzina), in questo caso
a carattere “circolare” in quanto l'ultima cadenza riporta, con il passaggio I-II-V
visto in precedenza, alla tonica di partenza.
Mascherina (relazioni armoniche)
G
D
G
G
D
F
C
D
G
I
V
I
I
V
VII
IV
V
I
IV
I
II
V
Le concordanze formali fra le forme di danza del XVII secolo e le strutture di Bosolù e Mascherina sono senza dubbio molto interessanti, esse sono però riscontrabili nei soli due balli ora esaminati, mentre gran parte del restante repertorio mostra caratteri riferibili a un ambito diverso, tipico del secolo successivo.
Concordanze veneziane
Il repertorio bagosso trova infatti le relazioni melodiche più significative in un
gruppo di balli le cui melodie appaiono più volte in diversi manoscritti settecenteschi di area veneta. Queste raccolte consistono normalmente in partiture ad uso
privato compilate dagli stessi suonatori contenenti canzoni e musiche da danza,
spesso eseguite a due voci, in voga negli ultimi decenni della Serenissima. In que-
13
R. Hudson, Chordal aspects of the Italian dance style, in "Journal of the Lute Society of America",
n.III, 1970.
138
Storie da suonatori
ste fonti la coincidenza nei titoli, nella forma e nella melodia è tale da offrirci una
relazione certa e inequivocabile con almeno due brani: Biondina e Landerina.
Anche per altri due, Sefolòt e Monichéla, la concordanza è comunque abbastanza
significativa da poter stabilire un legame documentato con un preciso territorio,
quello veneto, nonché una possibile datazione fra la metà del XVIII° secolo e
l’inizio del successivo. Biondina, infatti, non è altro che la trasposizione strumentale della celebre canzone "La Biondina in gondoleta" del 1782, una delle ultime
composizioni, divenuta in breve tempo la più famosa, di quel vasto repertorio di
Canzoni da Battello veneziane in auge nel XVIII secolo.
Il grande successo popolare di questo genere indusse i musicanti e i copisti coevi a
compiere furbesche operazioni fra le quali quella denunciata da Benedetto Marcello di "ridurre la maggior parte dell'Arie d'Opera in Canzoni da Battello"14 nonchè quella di riciclare vecchie canzoni popolari di mestiere, tanto che ritroviamo in
questo grande calderone altri due brani presenti nel repertorio bagosso: il Moleta
e lo Spazzacamino.15 La Biondina della Val Caffaro non sembra però trasformata
direttamente dalla canzone originale, bensì dalla melodia che si diffuse presto in
forma di Contradanza a due voci e che ebbe poi circolazione autonoma, come testimoniato da diversi manoscritti veneti dell’epoca. Data la sua incerta paternità
non sappiamo quando il testo venne effettivamente musicato ma la fonte più antica a me conosciuta reca la data del 1782.16
Pur conoscendo la data di composizione di Biondina, non possiamo ancora dire
quando essa sia arrivata al carnevale di Bagolino. Anche ipotizzando il 1782 come
indicativo termine post quem, c’è da dire che la canzone ebbe presto in ambito
veneziano una fortuna che si estese nell’800 anche all’estero, grazie al fatto che
fra il 1816 e il 1820, Rossini la inserì fra le arie eseguite nel secondo atto del Barbiere di Siviglia. Questo fatto ne determinò il grande successo tra il pubblico francese e inglese tanto che iniziarono a circolare numerose edizioni a stampa e persino arrangiamenti da parte dei musicisti più colti, tra i quali Beethoven, che fino
ad allora avevano snobbato questo genere popolare di composizioni.17 Tenendo
conto del suo rapido successo, potremmo quindi ipotizzare che il brano possa essere entrato nel repertorio di Bagolino fra gli ultimi anni del XVIII° e i primi del XIX°
secolo.
Da questa datazione di Biondina, comparata con quella ipotizzata per Bosolù e
Mascherina, possiamo quindi trarre un primo indizio della diversa natura dei brani
14 B. Marcello, Il teatro alla moda, Venezia, 1720. Questa pratica dovette durare per molto tempo se
ancora nel 1844 J.V. Foscarini nel suo libro I canti del popolo veneziano si lamenta che non si sentano più le vere canzoni venete del '700 bensì arie di moda rubate al teatro.
15 Canzoni da Battello, cit.
16 Sulla paternità del brano non c’è unanimità: se il testo è certamente opera del poeta Antonio Maria Lamberti (ispiratosi alla "dama" Marina Querini-Benzon), la musica viene oggi comunemente
attribuita a J. S. Mayr. Diverse fonti dell’800 ne danno la paternità al dilettante G. B. Perucchini
(1784-1870), il che sarebbe impossibile per ragioni anagrafiche. E' invece da segnalare che altre canzoni contenute nel manoscritto I-Vlevi, Ms CF B54, il primo dove appare La Biondina in gondoleta,
sarebbero opera del sacerdote copista Angelo Baldan (1747-1803).
17 L. van Beethoven, "La gondoletta", WoO. 157 (12 songs of various nationalities) no. 12 (1816)
Osservazioni sul repertorio e relazioni con le fonti
139
del carnevale e della probabile stratificazione di questo repertorio. Anche Landerina, il cui titolo come abbiamo detto corrisponde alla contrazione del bresciano
laànderina,18 pur riportandoci alla nota forma del ballo della lavandaia presente in
molte regioni italiane, solo in alcuni manoscritti di balli veneziani trova una corrispondenza melodica ben precisa.19
Lo stesso brano è contenuto in diverse altre fonti di area veneta a conferma del legame non casuale fra questa precisa melodia e il territorio in esame.20 Da notare
che, ancora in una delle stesse fonti, nell'ultima parte di una danza denominata Falsa, il fraseggio ricorda la seconda parte del Bosolù, pur se eseguito in modo minore;
Il terzo brano di cui è stata riscontrata una parziale concordanza in manoscritti di
area veneta è Sefolòt, anche se relativamente alla sola prima parte. In questo caso
18 Nei primi studi sul carnevale questo titolo è stato erroneamente associato al Lander, danza tedesca che,
unitamente ai suoi alias Valzer, Teichts e Shuplatter, rappresenta la tipica forma in tempo di ¾ che caratterizza le danze di quell’area almeno dalla metà del ‘700 e di cui non vi è alcuna traccia nel repertorio bagosso.
19 Tutti gli esempi musicali riportati in questo contributo sono stati uniformati alla tonalità di RE e al
tempo di 6/8 per permettere una migliore comparazione delle diverse fonti che spesso mostrano
tempi e tonalità eterogenei
20 In totale, il brano è riportato in forma pressochè identica in almeno quattro manoscritti, tre veneziani, e
uno di area mantovana. All’elenco possiamo inoltre aggiungere, nonostante il suo sviluppo presenti una
misura in eccedenza, la versione contenuta nel ms. cadorino Ballabili antichi per violino e mandolino. Un
repertorio dalle Dolomiti del primo '900, a cura di R. Tombesi, F. Ganassin, T. Luison. Udine, 2013.
140
Storie da suonatori
nel manoscritto, di area trevigiana, il brano è indicato col titolo di Forlana.21
Un’ultima relazione con brani presenti in fonti veneziane la possiamo trovare in
una Aria della monicella che, pur non essendo perfettamente coincidente, ricalca
la sua omonima Monichéla nei cardini essenziali della linea melodica.22
A queste precise concordanze musicali possiamo ulteriormente aggiungere la
coincidenza della presenza di una maschera identica a quella dei ballerini della Val
Caffaro (bianca con "larva nera" dipinta) fra quelle illustrate nel 1754 negli acquarelli veneziani del pittore Giovanni Grevenbroch.23 Anche quest’ultima relazione
appare di una certa importanza in quanto l’uso di tale maschera non sembra te-
21
Questa melodia è presente anche in un manoscritto ottocentesco piemontese col nome Monferrina
Anonimo, Minueti e ariete da batelo, ms. XVIII sec. Venezia Museo Correr (parz. Ricordi 1984).
Benché in Val Caffaro il titolo comunemente oggi usato sia Monichéla, a Bagolino il ballo è conosciuto anche come Monicella.
23 G. Grevembroch, Sembianza trasformata, in: Gli abiti dei veneziani, Venezia, 1754.
22
Osservazioni sul repertorio e relazioni con le fonti
141
stimoniato altrove. 24 Considerando che per molto tempo fra le province orientali
lombarde e la Serenissima sono esistiti importanti legami, la relazione esistente
fra il carnevale bagosso e le feste veneziane del Settecento meriterebbe di essere
approfondita da ulteriori studi in quanto è proprio da questo contesto che sono
uscite, fino ad ora, le connessioni di maggior interesse. E’ quindi il caso di riportare
ancora l’attenzione alla provenienza veneziana di Biondina e Landerina in quanto
ancora in un manoscritto settecentesco veneto di danze e arie da battello possiamo
compiere ulteriori interessanti raffronti con due altri balli: Sefolòt e Spasacamì.25
Due brani di questo manoscritto, il Bal del Zufolot e lo Spazzacamin, pur non mostrando una precisa corrispondenza melodica, presentano comunque una fortissima analogia formale e strutturale col repertorio della Val Caffaro. In questo caso
poi anche la sola concordanza nominale è comunque molto significativa in quanto
si tratta di titoli riferiti a danze burlesche e la loro presenza nei manoscritti veneti
in forma strumentale a due voci, dimostra come fosse prassi comune la trasformazione di canzoni in forma di Contradanze e quindi una mobilità trasversale dei
componimenti più noti.
Anche Biondina in forma di Contradanza, notata a due voci che procedono per
terze parallele, è stata riscontrata in più di una fonte veneta.26 Dalla comparazione
melodica possiamo quindi trarre un importante spunto interpretativo: raffrontando la canzone’originale, la Contradanza e il ballo della Val Caffaro emerge in
quest’ultima la tecnica di sviluppo diminutivo della melodia che chiarisce il processo di trasformazione in grado di convertire facilmente una canzonetta ariosa in
una danza ritmica.27
24
Unica testimonianza di questa maschera è contenuta in una interessante fotografia conservata
nell’archivio della Fototeca Gilardi, purtroppo senza luogo di provenienza, che rappresenta una mascherata carnevalesca del 1896 con suonatori di violino e contrabbasso. La fotografia è stata pubblicata nel catalogo della mostra fotografica L’altro violino, a cura di G. Grasso e M. Padovan, Cremona,
1996.
25 Anonimo, Minueti e ariete da batelo, cit.
26 ANONIMO, Canzoni, cavatine, duetti, arie, minuetti e contraddanze di varj autori, ms. XVIII sec. Coll.
Priv. In totale il brano in forma strumentale è stato riscontrato identico in sei manoscritti, tre veneziani, due trevigiani e uno cadorino.
27 Tutte e tre le melodie si sviluppano a due voci parallele. Abbiamo scelto quella comunemente
riconosciuta come “prima” anche se nella fonte più antica la melodia della Biondina in gondoleta è
quella inferiore che si muove intorno alla tonica invece che intorno alla mediante.
142
Storie da suonatori
Moduli vocali e Contradanze
L’ultimo esempio ci riporta alla problematica dell'ambivalenza vocale/strumentale
di alcuni brani del carnevale. Come già notato da I. Sordi, se alcuni dei testi cantati
sull'aria di qualche ballo consistono in strofe burlesche "posticce" che evidentemente non hanno nulla a che fare con i balli su cui sono cantate, in altri casi, come i
frammenti di testo di Moleta e Spasacamì, costituiscono i veri e propri incipit delle
omonime canzoni dalle quali si sono originate le corrispondenti forme strumentali.28
L'analisi del meccanismo riveste quindi una certa importanza per l'inquadramento
storico/musicale del repertorio in quanto balli nati quasi certamente in forma
strumentale (Bal frances, Bosolù, Mascherina, Cadina, Bal de l'urs, Pas en amùr
etc.) presentano oggi caratteristiche musicali assolutamente identiche a quelle di
altri brani che possiamo invece ipotizzare siano stati originati da moduli vocali.
Questo dato è riscontrabile dalla presenza, nei regolari gruppi di terzine che scandiscono il tempo binario del 12/8, di numerosi suffissi anticipativi della terzina
successiva, così che in molti casi il segmento terzina può essere considerato diminuzione del segmento trocaico, procedimento tipico nella trasformazione in musica da ballo di musica vocale in endecasillabi.29 Infatti se il tempo di 12/8 non risulta usuale nelle danze del nord Italia dove prevale il più agile 6/8, esso suona però
molto familiare se inteso come la trasformazione strumentale dei moduli in endecasillabi, ad esempio quelli dei cantastorie, dove il ritmo musicale viene a coincidere con la metrica letteraria. La relazione tra metrica e ritmo resta quindi riconoscibile pur in melodie che ad un certo punto della loro esistenza hanno abbandonato un testo per evolversi in forma strumentale attraverso dimunuzioni e adattamenti ritmici.
Allo stesso modo Ròse e fiori richiama ancora una volta un'aria largamente conosciuta sia in forma vocale, in una nota canzoncina bresciana, che strumentale,
come melodia di Monferrina raccolta nel Canton Ticino:30
28
I. Sordi, Il carnevale di Bagolino, cit.
Nelle prime trascrizioni operate dai ricercatori della Regione Lombardia, i balli del carnevale sono
stati interpretati in tempo di 12/8 a causa del fraseggio “pesante” di alcuni brani riconducibili appunto a canti in endecasillabi. Ferma restando l’inevitabile forte soggettività di ogni trascrizione musicale, per i balli di più evidente matrice strumentale risulta comunque funzionale anche la più agile divisione in 6/8, comunemente usata nei manoscritti d’epoca per annotare questo tipo di danze.
30 Informazioni gentilmente fornite da Bernardo Falconi e Mauro Garbani
29
Osservazioni sul repertorio e relazioni con le fonti
143
Anche Monichèla dovrebbe essere la trasformazione strumentale di una delle
numerose versioni della omonima ballata classificata come La sposa per forza, largamente diffusa nell'arco alpino.31 Lo stesso modulo vocale è utilizzato anche per
il canto nuziale Le carrozze son già preparate e analogie con entrambi i canti sono
evidenti confrontando versioni diffuse in area bergamasco/bresciana:
Anche l’analisi di questo gruppo di balli conferma quindi come alcuni di questi titoli, apparentemente estranei al repertorio etnocoreutico odierno, risultino invece più comuni se rapportati ad un ambito funzionale più vasto come quello del
repertorio vocale. Emerge inoltre l'idea di una tecnica, padroneggiata da professionisti e ancora oggi utilizzata dai migliori suonatori popolari, consistente nel riutilizzo di un bagaglio già noto per sopperire velocemente alla richiesta di nuove
musiche per il repertorio di ballo, una tecnica che già nel Settecento ha contribuito alla gigantesca produzione seriale di melodie per le allora richiestissime Contradanze.32
Anche fra i brani di probabile origine strumentale è comunque possibile riscontrare analogie con altri repertori. La melodia del Bas de tac sembrerebbe richiamare
un canto (sia a Bagolino che a Ponte Caffaro su questo ballo vengono abitualmente cantate delle strofette satiriche), tuttavia il suo utilizzo come danza è attestato
per l’area lombarda in due manoscritti del primo ottocento. Nel primo, proveniente dalla montagna bresciana, il brano compare in una antologia per strumenti a
tastiera come Monferrina dall’analogo titolo El cafè del bas de tac. Anche nel secondo, di area mantovana, questa stessa melodia compare sotto forma di MonferFin dal ‘600 è testimoniato l’utilizzo in forma strumentale di questa canzone (già a quel tempo
molto popolare) ad opera di vari compositori, fra i quali B. Marini e G. Frescobaldi, per arie e sonate
"sopra la Monica"
32 B. Pianta, "Ricerca sul campo e riflessioni sul metodo", in: La ricerca folklorica n. 1, Brescia, 1980.
31
144
Storie da suonatori
rina.33 Nelle alpi piemontesi, ritroviamo poi fra le Courento della Val Varaita una
identica melodia, generalmente conosciuta in Provenza come Farandoulo, ballo a
sua volta originato da una canzoncina infantile. ;34
Bal de l'ors, uno dei pochi balli in 6/8, coincide ancora una volta con una Monferrina delle Milizie della Val Anzasca eseguita con pifferi e tamburi, nella quale si
notano elementi melodici caratteristici della musica militare.35
L’Ariòsa presenta lo stesso sviluppo melodico, coincidente nelle prime due misure, della canzone a ballo A Lencoac, danzata come Rondeau nel Bearn (Francia) e
come Danse de Satan nei paesi baschi.36
L’ampia diffusione geografica di alcune melodie era peraltro un fatto abbastanza
normale se pensiamo che le raccolte di Contradanze poterono circolare in vari
paesi europei mediante la ricopiatura dei manoscritti da parte di suonatori alfabetizzati, se pur dilettanti37.
33
Sonate di gusto Antico e Moderno, da varii Autori raccolte e trascritte da me Luigi Serioli nell'anno
1816. Graz.122.15. Anonimo, Os, Ms. B 4659
34 J. P. Bousquier, M. Padovan. Juzep da' Rous, violinista della Val Varaita, Sampeyre, 1989.
35 Reg. di Giuliano Grasso, 7.8.1988.
36 J. M. Guilcher, La tradition de danse en Bèarn et Pays Basque francais, Paris, 1978.
37 Un caso tipico è quello de “La bella riosa”, una delle melodie da ballo più diffuse nelle fonti del
XVIII secolo. Pur essendo plausibile (ma non certa) la teoria della falsa divisione del nome La riosa
che avrebbe originato L’Ariosa di Bagolino, quest’ultima mostra però un andamento melodico completamente diverso.
Osservazioni sul repertorio e relazioni con le fonti
145
Se consideriamo che quasi tutti i brani del repertorio della Val Caffaro presentano
affinità melodico-ritmiche con quelli sopra esaminati, possiamo quindi ragionevolmente ipotizzare che almeno una parte di esso possa essere coeva ed avere
conosciuto un analogo sviluppo. In particolare, sintetizzando le osservazioni svolte, appare chiaro come una buona percentuale del repertorio si sia originata, o
quanto meno sviluppata, in quell'area lombardo-veneta che ha visto un rapido
diffondersi delle country dances e delle centinaia di melodie per esse composte o
adattate nel corso del XVIII secolo.38
Può essere inoltre significativo, per confermare la datazione del repertorio, esaminare il caso di quelle melodie chiamate Monfrine che, benché facenti parte del
repertorio locale, per tradizione sono considerate estranee al corpus delle suonate comandate nel carnevale della Val Caffaro. Una spiegazione è che questa esclusione possa essere dovuta al loro ingresso tardivo in un repertorio già ampiamente consolidato.39.
Le Monferrine rappresentano l’ultimo esempio di ballo di genere precedente la
grande affermazione dei balli lisci: sconosciute nel Settecento, esse appaiono improvvisamente nel repertorio di ballo da sala dei primissimi anni dell'Ottocento e
si diffondono velocemente in tutta Europa ottenendo un grande successo nella
prima metà del secolo, composte a centinaia sia da musicisti dilettanti che da
compositori affermati, per poi decadere nel solo repertorio di tradizione orale.40
Col tempo, il termine Monfrina subirà poi una degenerazione arrivando infine a
identificare genericamente, e spesso negativamente, qualsiasi “vecchia” melodia
popolare ripetitiva, non necessariamente ricollegabile alla forma della Monferrina.
Possiamo infatti notare che nessuna delle quattro Monfrine conosciute in Val Caffaro presenta i tipici elementi strutturali caratteristici della Monferrina, sembrando più che altro delle generiche marcette bitonali del primo Novecento, che in
due casi mostrano anche il caratteristico passaggio alla sottodominante in ripeti-
38
In alcune raccolte di Contradanze è ad esempio documentato il brano Pas en amour, ciononostante nemmeno questa melodia presenta analogie con quella in uso nella Val Caffaro
39 Questa spiegazione non si riferisce alle vere Monferrine che, come abbiamo visto, possono invece
aver contribuito alla formazione più recente del repertorio di carnevale, bensì alle melodie conosciute in loco come Monfrine. Esse sono peraltro normalmente eseguite dai suonatori nelle pause o nelle osterie in quanto percepite, a causa dell’analogia ritmica e strutturale, come parte integrante del
proprio repertorio. Infatti da qualche decennio una di esse è anche entrata stabilmente, con il nome
di Franciosa, nelle suonate “ufficiali” della Compagnia di Bagolino.
40 G. Grasso, L’ultima Matuzinàa, Malesco, 2001
146
Storie da suonatori
zione di frase tipico, ad esempio, dei brani di liscio.41 Nel repertorio di carnevale,
l’unica melodia che invece presenta alcune analogie formali con la Monferrina è in
realtà Cadina.Tuttavia, le diverse concordanze fin qui esposte con melodie attribuite a questa forma di ballo denotano quantomeno una relazione con il repertorio strumentale da danza del primo Ottocento.
Per quanto riguarda invece la provenienza, molte delle relazioni sin qui esaminate
fra il repertorio di carnevale e le fonti dei secoli precedenti portano inoltre a concludere che il contesto musicale che ha originato molti dei balli oggi in uso non
vada identificato in aree a nord della Val Caffaro, i cui repertori presentano caratteristiche differenti, bensì in quell’area dell’Italia subalpina che un tempo subì
l’influenza della Serenissima, e che tali musiche siano poi state assorbite dalla tradizione musicale locale, forte di una pratica plurisecolare testimoniata almeno
dalla metà del XVI secolo.42
Il linguaggio musicale
Appare quindi probabile che la rigida ed originale prassi esecutiva della Val Caffaro sia alla base dell'omologazione di musiche differenti, un vero e proprio stile basato su precise particolarità melodiche e armoniche riscontrabili sia nelle evidenti
caratteristiche violinistiche delle melodie (tonalità, fraseggi melodici, elementi
metrici e ritmici),che in quelle degli strumenti di accompagnamento. Elementi caratteristici di un certo interesse si rilevano, infatti, anche nei particolari "sistemi"
di sostegno del basso e della chitarra.
Dall'analisi della prassi esecutiva si rileva che le musiche del carnevale si connotano particolarmente per diversi aspetti degni di rilevanza musicologica:43
1. l'uso frequente della triade maggiore costruita sulla sopratonica (dominante secondaria),
2. la presenza diffusa di moduli melodici omologhi all'interno del repertorio
3. le funzioni armoniche esercitate dagli strumenti di accompagnamento
4. la particolare concezione polifonica rilevabile nella costruzione delle seconde voci.
G. Grasso, “Un repertorio piemontese di Monferrine manoscritte dell’Ottocento”, in Tradizione
popolare e linguaggio colto nell’Ottocento e Novecento musicale piemontese. Atti del convegno,
Alessandria 1997
42 B. Falconi, Il carnevale tradizionale nella Valle del Caffaro , cit.
43 Le osservazioni relative a questo paragrafo si basano sulla trascrizione del "corpus" di Ponte Caffaro da me effettuate negli anni ‘90. Trattandosi di un repertorio sempre vivo e in evoluzione, alcuni
elementi possono differire dalle esecuzioni odierne o da quanto riscontrabile a Bagolino.
41
Osservazioni sul repertorio e relazioni con le fonti
147
Il primo aspetto si esplica quasi esclusivamente nei brani in tonalità di Re, dove
l'impiego della dominante secondaria (Mi magg.), in questo caso definibile come
"doppia dominante", avviene in due differenti modalità: come ponte nell'ambito
di una mezza cadenza dal primo al quinto grado e come nuova dominante assunta
a seguito di una vera e propria micromodulazione.
Nel primo caso (modello A), riscontrabile in quattro balli e sempre nell'ultima misura della parte A, siamo praticamente in presenza di un "falso annuncio di modulazione" che ha l'apparente scopo di caratterizzare, attraverso un accordo di passaggio, il movimento verso la dominante.
Nel secondo caso (modello B), riscontrabile in ben otto balli e sempre nella parte
B, la sopratonica diventa in realtà dominante secondaria a seguito di una breve
modulazione che si esaurisce generalmente nell'ambito di una sola misura e che, a
parte due casi, rimane prettamente nell'ambito dell' accompagnamento; solo in
tre balli infatti (Spasacamì, Biondina e Partenza Manöel) la modulazione è effettivamente riscontrabile anche in una delle voci melodiche.
Modello A: D/A/D/E/A - Modello B: A/ / /A/E/A/
E' interessante rilevare come la linea del Basso, identica nella seconda misura,
presenta una ambivalenza armonica che si risolve diversamente nei due modelli
solo per il diverso comportamento della chitarra.
Anche se formalmente differenti, quindi, questi due modi d'impiego dell'accordo
di Mi magg. formano in realtà uno stile che caratterizza l'intero repertorio bagosso rispetto agli altri dell’Italia settentrionale dove queste cadenze si riscontrano
solo in un paio di balli della montagna emiliana.
Questa prassi, benchè comunemente diffusa nella musica da ballo seicentesca (in
particolare per chitarra spagnola e battente) come tecnica di variazione accordale,
trova un frequente impiego in molti modelli di "piccola forma", danze o canzoni
che presentino una struttura ripartita con numero regolare e limitato di misure in
modo che il primo caso (l'annuncio di modulazione) presupponga sempre a una
ripetizione di frase o ad un cambiamento di parte mentre il secondo (la cadenza)
si trovi a chiudere la prima semifrase modulante.
La concordanza che qui ci interessa rilevare è data dal fatto che questa tecnica
riscontrabile nell'arco di almeno tre secoli, trova un suo largo impiego nelle strutture bipartite sette/ottocentesche, specialmente di tipo popolaresco.
148
Storie da suonatori
Il fraseggio modulare
Il secondo aspetto caratteristico è dato dalla ripetitività melodica del fraseggio,
nel quale si rilevano alcune figure, generalmente di una misura,44 che si possono
ripetere trasversalmente in entrambe le voci, talvolta anche in tonalità differenti,
e che in qualche caso si sommano fino ad ottenere addirittura una completa coincidenza di frase. Pur essendo qui in presenza di melodie ampiamente formalizzate, è tuttavia difficile non scorgere tracce consistenti di una tecnica compositiva
(nel senso di progressive e successive microelaborazioni) di tipo "modulare", riscontrabile anche in altri repertori da danza del nord Italia45 e che può essere
messo in relazione con una antica tecnica professionale di comporre musica per
danza.46
Nel repertorio della Val Caffaro ho potuto isolare circa una trentina di segmenti
melodici, che per comodità ho chiamato moduli, che si ripetono in numerosi brani
e ricorrono trasversalmente in diversi punti delle melodie e nelle diverse voci eseguite dai violini. Queste ripetizioni, che non possono essere considerate casuali, a
volte si estendono per due misure e in qualche caso limite si spingono sino alla
coincidenza di una intera parte (Segnù/Moleta) o di una mezza parte (Monichèla/Spasacamì).47
Una "spia" della non casualità di queste ripetizioni è individuabile proprio nella
particolare coincidenza della seconda parte del brano Segnù con la cadenza utilizzata come coda di alcuni brani. In questo caso la presenza nel fraseggio melodico
di un elemento solitamente autonomo ed esclusivo di una tradizione come la coda
tradisce un'arte di costruttività modulare che ha indubbiamente contribuito
all'omologazione del repertorio.
Le funzioni armoniche
La stessa propensione alla modularità è riscontrrabile anche nel supporto armonico fornito dagli strumenti d'accompagnamento (basso e chitarra) in quanto esso
risulta analogo nella maggior parte dei brani.
44 Nell'analisi della composizione melodica si usa considerare una lunghezza di due misure per definire un modulo (o meglio, un inciso), ritengo però che nella musica popolare da danza, una sola misura possa meglio rappresentare la più piccola unità significante nell'articolazione del periodo musicale.
45 G. Grasso, A. Citelli, La tradizione violinistica nell'oltrepo pavese, Milano, 1986.
46 Benchè proposta come “gioco”, la tecnica dei “Musikalisches Würfelspiel” diffusa dalla fine del
‘700, era già ben conosciuta dai compositori di musica per danza. Essa permetteva di comporre migliaia di melodie da ballo utilizzando solo pochi moduli prestabiliti di una misura che, tramite un
lancio di dadi, venivano collocati casualmente in diverse posizioni dando luogo a innumerevoli combinazioni. Molto in voga nel nord Europa, era conosciuta anche in Lombardia, come attestato dal
manoscritto Minuetti da comporsi da chi che sia, Mc N.2248.116
47 Una tabella analitica delle unità melodiche riscontrate e la loro ricorrenza all’interno dei singoli
brani è in:
G. Grasso, “Il gergo dei violinisti di carnevale”, in: Il violino tradizionale in Italia, Atti del convegno,
Trento, 1995
Osservazioni sul repertorio e relazioni con le fonti
149
Il basso, in particolare, esegue delle parti che confermano pienamente la tecnica
dei moduli ripetitivi esaminata in precedenza, insistendo, almeno per quanto riguarda i balli in RE, nella riproposizione, in quasi tutti i brani, di sei figure fondamentali, qualunque sia il profilo melodico, ulteriormente riducibili in molti casi a
tre figure, mediante l'accorpamento di moduli conseguenti, come ad esempio la
tipica sequenza:
In alcuni balli queste successioni di accordi non sono però obbligate dallo sviluppo
melodico e si ha quindi l'impressione che il giro armonico eseguito dal basso e della chitarra sia, se non proprio precostituito alla melodia, quanto meno non subordinato ad essa, venendo così ad assomigliare parzialmente alla tecnica delle "funzioni armoniche" nella quale l'armonia non svolge un vero accompagnamento della melodia bensì si muove autonomamente secondo una formula di basso ostinato
che appare ciclica e indipendente.48
Anche la presenza di questa tecnica è quindi un'ulteriore conferma della tendenza
dei suonatori della Val Caffaro a schematizzare le esecuzioni mediante i propri
moduli e a esprimersi con il proprio gergo musicale. L’originale ruolo svolto degli
strumenti di accompagnamento è confermato anche da ulteriori differenze rispetto ad altri repertori da danza dell'Italia settentrionale, come ad esempio l'accordatura del basso e la tecnica della chitarra.
Il basso
L'accordatura del basso re-la-sol, e il suo uso prevalentemente destinato all'utilizzo delle corde vuote, si configura in modo decisamente singolare non riscontrandosi in questo caso analogie con altri strumenti. Manca nel panorama dell'etnoorganologia, uno studio storico e tipologico sui bassetti del nord Italia, nonostante
la documentazione iconografica e fotografica ne abbia accertato l'enorme diffusione, seppure in forme non standardizzate. Il punto di riferimento più immediato potrebbe essere rappresentato (ma non per i modelli più piccoli) dai contrabbassi sette/ottocenteschi a tre corde, accordati abitualmente sol-re-la o anche sol-re-sol.
L'anomalia dell'accordatura della Val Caffaro riguarda quindi, oltre alla particolare
tensione richiesta alle corde, soprattutto la posizione e il rapporto fra di esse.
48
La divergenza dalle regole dell'armonia colta nei rapporti fra le modulazioni melodiche e l'accompagnamento è riscontrabile anche nei repertori dell’appennino bolognese o pavese. Talvolta sbrigativamente liquidati come "sbagli" del suonatore, determinati passaggi denotano invece una autonoma e poco studiata sensibilità modale della prassi popolare che si differenzia non solo dal tonalismo ma anche dal modalismo classico e medievale.
150
Storie da suonatori
Se infatti stabiliamo una relazione con strumenti analoghi coevi o preesistenti,
essendo il bassetto una via di mezzo fra un violoncello ed un contrabbasso, l'accordatura più plausibile dovrebbe essere per quinte o per quarte, e anche ipotizzando una autonoma derivazione da grosse taglie di viole (arciviola o violone) risulterebbe abbastanza strano quell'intervallo di seconda fra la seconda e la terza
corda. Se invece consideriamo l'accordatura totalmente originale e sviluppatasi in
base alle esigenze del carnevale, l'intonazione delle tre corde diventa perfettamente congruente, scrive infatti Curt Sachs parlando delle accordature empiriche:
"...l'orecchio applica le tre misure innate: gli intervalli di ottava, di quinta e di
quarta..."49
in questo caso quindi la combinazione tonica/dominante/sottodominante sarebbe
ovviamente riferita alla tonalità di RE, presente o esclusiva nella stragrande maggioranza dei brani, assegnando così alla corda di RE la funzione di tonica che, in
quanto tale, sarebbe stato più normale riscontrare quale corda più bassa piuttosto
che più alta. Questa scelta, che talvolta produce moto contrario (pratica colta) rispetto al tipico andamento sinusoidale delle voci melodiche, fa sì che le cadenze
avvengano sempre mediante un fraseggio ascendente del basso, la cui spinta verso la tonica superiore è alla base del fortissimo senso di ciclicità e "progressione"
caratteristico della musica della Val Caffaro.
Se un'inversione di corda si può quindi spiegare con la necessità del fraseggio, la
particolare tensione è invece probabilmente dovuta alla assoluta necessità di far
sentire il moto dei basso anche ai ballerini più lontani, disposti in due lunghe file
parallele contrapposte secondo le coreografie dei balli del carnevale, che si configurano come Contradanze del tipo "longways". Alla medesima esigenza di sonorità si può forse attribuire anche la non casuale importanza delle corde suonate a
vuoto: la particolare accordatura comporta infatti l'apparente "sacrificio" di una
corda, in quanto si potrebbe agevolmente ottenere il LA tastando in prima posizione la corda di SOL, come avviene ad esempio nella tecnica del bassetto venetoistriano a due corde. Si può quindi convenire con quanto rilevato da B. Falconi:
"...la suddetta accordatura è decisamente empirica e soddisfa pienamente le esigenze del repertorio tradizionale..."50
L'accordatura dovrebbe quindi essersi stabilizzata avendo come punto di riferimento sulla tonalità di RE. Anche in questo caso l'originalità della prassi esecutiva
e delle stesse modificazioni organologiche sottolinea la forte autonomia raggiunta
nel tempo da questa tradizione musicale.
La chitarra
L'altro strumento di accompagnamento, la chitarra, presenta invece alcune particolarità nel suo stile esecutivo. Mentre la tecnica normalmente utilizzata nei re49
50
C. Sachs, La musica nel mondo antico, New York, 1943.
B. Falconi, Il carnevale tradizionale nella Valle del Caffaro, cit.
Osservazioni sul repertorio e relazioni con le fonti
151
pertori strumentali dell'Italia settentrionale per accompagnare le danze prevede
un'alternanza basso/accordo (spesso con giri di bassi che accompagnano le modulazioni), in Val Caffaro viene impiegata una tecnica ad accordi continui in cui pennate di uguale intensità fanno sì che l'accento tenda ad essere ugualmente avvertito anche sul tempo debole, provocando un andamento giambico fortemente
incalzante.51
Questo stile particolare deriva certamente da quello della chitarra battente, chiamata in valle "chitarra italiana", utilizzata nei gruppi d'archi della Val Caffaro fino
all'inizio di questo secolo e della quale è accertata una qualificata liuteria locale
fino dal XVIII secolo.52
Le corde basse, infatti, oltre a non essere pizzicate singolarmente, non vengono
frequentemente toccate nemmeno nell'esecuzione degli accordi, producendo
quindi un sottofondo caratterizzato dalle note alte che richiama, oltre che lo stile,
anche il timbro della chitarra battente.
Interessante è anche notare come fra i suonatori si siano tramandati sino a tempi
recenti gli antichi nomi delle note, e dei relativi accordi, derivati dall’antica pratica
della solmizzazione e che si ritenevano completamente usciti dall’uso dalla metà
del XIX secolo.53 Anche in questo caso, pur con evidenti storpiature, l’uso dei nomi
Lamere o Fefaòt (in luogo di Alamire o Fefaut), sopravvissuti sia a Bagolino che a
Ponte Caffaro, denota il forte carattere conservativo della tradizione locale.54
La sensibilità polifonica
L'aspetto forse più interessante è però dato dalla particolare concezione armonica
verticale rilevabile nel rapporto fra le diverse voci melodiche.
Il rapporto principale, quello tra primo e secondo violino, si basa sull'alternanza
tra i fraseggi per terze e seste parallele, che rappresentano l'impianto generale, a
passaggi all'unisono e brevi cadenze melodiche che girano intorno ai gradi fondamentali e che a volte risultano armonicamente prevalenti. La melodia principale
risulta quindi formata da un intreccio non gerarchico delle voci, lasciando quindi
intravedere una tecnica caratteristica non tanto della musica a due voci ma piuttosto di quella polifonicamente più complessa.
Le testimonianze orali concordano nell'affermare che in passato la parte melodica
era generalmente affidata a due soli violini, questo era dovuto però principalmente a motivi di ordine economico e non musicale, non essendo affatto sgradita la
presenza di un altro violino (magari in osteria o nel casuale incontro di diverse
compagnie). In tal caso quest’ultimo si assumeva il compito di eseguire alcune
51
B. Falconi, G. Grasso, G. Venier, Manuale di violino popolare, San Daniele 1988
B. Falconi, “Giacomo e Giovanni Pietro Mora, liutai in Bagolino: alcune note introduttive”, in: Seconda Rassegna Nazionale di Strumenti a Pizzico, Brescia, 1990.
53 G. Grasso e M. Padovan, Vecchi balli per violino di area lombarda, Cremona 2001
54 U.Vaglia, Storia della Valle Sabbia, Brescia 1964
52
152
Storie da suonatori
parti del secondo all'ottava superiore con la tecnica denominata sachì, cosa che
peraltro avviene oggi normalmente sia a Bagolino che a Ponte Caffaro da quando
(almeno una trentina d'anni) non è più necessario fare economia nell'ingaggio di
suonatori.55
Questa voce, localmente definita "un altro secondo", è in realtà una vera e propria terza parte soprano con caratteristiche autonome, che alterna fraseggi una
sesta sopra il primo alla sottolineatura acuta delle note fondamentali eseguite dal
basso.
A Ponte Caffaro si sono inoltre tramandate attraverso una famiglia di suonatori
molto stimata (quella dei Pelizzari "Fiorite"), e sono tuttora eseguite, delle parti di
secondo violino che in alcuni brani si discostano sostanzialmente da quelle normalmente in uso, essendo talvolta costruite in un ambito compreso tra la sesta,
l'ottava e a volte la tredicesima inferiore alla voce principale.
Benchè anche questa voce venga definita "un secondo di mano differente", essa si
muove addirittura in una tessitura diversa, da viola più che da violino e risulta
molto efficace come terza parte che amplia lo spettro armonico, mentre come
“secondo” risulterebbe troppo lontano dalla voce principale.56
Appare però strano che una prassi musicale così fortemente ritualizzata e poco
libera nei suoi schemi esecutivi, abbia conservato senza giustificazione storica un
diverso sistema di armonizzazione che modifica sensibilmente l'effetto complessivo delle suonate. Siamo infatti qui in presenza di una parte che svolge una funzione analoga a quella del Tenor in quei consort di strumenti ad arco che, organizzati
in Compagnie, per almeno un paio di secoli hanno ricoperto in molte città del
nord Italia, in particolare a Venezia, incarichi cerimoniali sia in ambito devozionale, utilizzando anche melodie spesso mutuate dalla cultura popolare, sia in ambito
civile profano.57
Esemplificativo a questo proposito può rivelarsi l'analisi di Mascherina che ad un
esame approfondito mostra come l’insieme delle voci tramandate nei due paesi
della Val Caffaro formino in molti punti un insieme consonante e teoricamente
compatibile, di voci diverse e parallele.
55
Questa tecnica, oggi largamente impiegata, era presente anche in passato ma in un minor numero
di balli. Pare che il suo uso sia stato implementato nello scorso secolo da Costante Cosi “Ciù” e che
altri violinisti dediti al liscio, apprezzandola come fatto tecnico, ne abbiano esteso l'uso.
56 La presenza locale della viola è documentata in: L. Pelizzari, “Violini di montagna. Musiche, strumenti e suonatori nella Valle del Caffaro”, in: Per archi, Roma 2017
57 R. Baroncini, Origini del violino e prassi strumentale in Padania: "sonadori di violini" bresciani attivi
in ambito devozionale (1540-1600), in: Liuteria e musica strumentale a Brescia fra Cinque e Seicento,
Vol. 1, a cura di M. Bizzarini, B. Falconi, U. Ravasio, Brescia, 1992.
Osservazioni sul repertorio e relazioni con le fonti
153
Se questo è solo un caso esemplificativo (le voci eseguite a Bagolino e Ponte Caffaro, pur nella diversità, sono generalmente analoghe), è però un dato di fatto che
la tecnica del sachì porta quasi sempre a tre il numero delle voci melodiche, che
diventano talvolta quattro a Ponte Caffaro quando alle sempre presenti voci di
canto e discanto si aggiungono in certi momenti di affascinante apertura armonica
anche quelle di Tenor e Soprano, oltre naturalmente a quella del Basso.
Questa sensibilità verticale caratterizza fortemente la musica della Val Caffaro,
inquadrandola in una dimensione diversa e più antica rispetto agli altri repertori
violinistici dell'Italia settentrionale dove le voci melodiche non sono quasi mai più
di due e dove ad un violino, o ad una viola, è sempre destinato un ruolo ritmico
che si esplica con dei bicordi, sconosciuti invece al repertorio bagosso dove l'accompagnamento è riservato unicamente alla chitarra e al basso.58
Questa osservazione porta cioè ad escludere qualsiasi ipotesi di parentela fra i
gruppi violinistici della Val Caffaro e i più recenti gruppi d'archi nati a seguito della
grande influenza esercitata dalla musica viennese ottocentesca.59 In questo senso
è significativo analizzare il movimento svolto in molti brani dalla seconda voce,
quando essa si discosta dalla linea "cantabile" tipica delle seconde voci parallele,
per eseguire passaggi che, svolgendo in certi momenti una mera funzione di riempitivo armonico, risultano tipici della tecnica compositiva polifonica, presuppongono cioè la presenza di altre voci svelando una possibile origine da armonie più
complesse.
58
G. Grasso, A. Citelli, La tradizione violinistica nell'oltrepo pavese, cit
Tale particolarità distingue significativamente i gruppi della Val Caffaro non solo rispetto agli altri
gruppi dell'arco alpino italiano ma anche da quelli del centro Europa.
59
154
Storie da suonatori
Se non mancano esempi di questo tipo nella letteratura della musica violinistica
da danza (ad es. Gasparo Zanetti), c'è da dire che la musica polifonica di questo
tipo, raramente si presenta con fraseggi così articolati su tutte le voci. La polifonia
che potrebbe presupporre questa tecnica non è quindi da ricercare nella composizione colta bensì nella sola pratica musicale quotidiana e di mestiere in grado di
fondere cultura orale e scritta: quella dei gruppi di musicanti professionali che,
con famiglie di strumenti omogenei, possono essere stati uno dei modelli che
hanno contribuito al radicarsi di questa tradizione in un'area che nel passato è
stata il cuore dello sviluppo e della diffusione della cultura violinistica.
Si pùo a questo punto ipotizzare che la maggior disponibilità economica degli ultimi decenni possa avere inconsapevolmente restituito a questo repertorio
un’antica sonorità polifonica che poteva essere caratteristica dei primi carnevali
allietati da compagnie violinistiche.
Ciò non significa ovviamente che si possa ipotizzare una relazione diretta fra le
attuali musiche e la pratica dei consort di strumenti ad arco le cui esecuzioni erano forse lontane dalle odierne suonate carnevalesche. Ad essi potrebbe però essere ricondotto quel caratterizzante gusto polifonico sconosciuto ad altri repertori
violinistici popolari attuali e che abbiamo visto essere invece profondamente assimilato in Val Caffaro.60
Questa sensibilità squisitamente "verticale" della musica bagossa nonchè le altre
particolarità esaminate in precedenza si sarebbero quindi sedimentate nel lungo
periodo in una prassi esecutiva talmente radicata e autonoma da poter omologare
brani di diversa provenienza senza rendere facilmente avvertibili le stratificazioni
e riconducendo ad un pregevole insieme armonico dei brani che, evolutisi da molto tempo a due voci, hanno sviluppato una struttura melodica di melodie sovrapposte che mal si adatterebbe, in un diverso contesto, ad una polifonia complessa.
A strutture più arcaiche, ancora forse riconoscibili nella danza in cerchio de
L’Ariosa, si possono essere aggiunte dapprima melodie tardorinascimentali ed in
seguito un nucleo parzialmente omogeneo di arie strumentali elaborate da canzoni in voga in quell'area del lombardo-veneto fortemente influenzata dalla cultura della Serenissima.
Si deve probabilmente a questa influenza anche l'arrivo della grande tradizione
delle country dances, con le loro innumerevoli combinazioni di figure, scambi e
60 Questa sensibilità si esprime anche nel locale canto polifonico, dove i cantori tendono a modellare
le voci cercando di riempire lo spazio libero verticale.
Osservazioni sul repertorio e relazioni con le fonti
155
intrecci tipici della danza settecentesca, che contribuiscono ancora oggi a dare al
carnevale bagosso e alle sue danze quell'aspetto elegante che lo caratterizza. Lo
spopolamento delle montagne alpine, la crisi dell'economia tradizionale, il mutato
ruolo strategico/culturale di Bagolino (certamente più importante fino al XVIII secolo) e l’affievolirsi del flusso bidirezionale colto/popolare, hanno in seguito contribuito al rallentamento, se non all'interruzione, del rinnovamento interno del
carnevale, che solo di recente sembra essersi rimesso in moto.
Dai primi dell'800 ad oggi esso deve aver infatti subìto pochi cambiamenti sostanziali, se non quelli involontari di una lenta e progressiva scomparsa di alcuni elementi (personaggi, balli, costumi etc.) alla quale non ha sempre corrisposto una
equivalente innovazione bensì un istinto alla conservazione rituale.61
Proprio questa accentuata ritualità garantita e perpetuata dalle Compagnie, cardini insostituibili destinati a preservare la continuità del carnevale, ha così in parte
fissato una tradizione che, pur trovando nell'ultimo periodo il suo fattore di maggiore coesione nella conservazione della prassi esecutiva musicale e coreutica, ha
nel contempo saputo mantenere la sua vitalità e la sua indispensabile capacità di
lento ma continuo rinnovamento.
61 Ad una perdita di alcuni elementi può forse essere attribuita qualche piccola differenza odierna fra
il carnevale bagosso e quello caffarese, nato intorno alla metà dell’Ottocento. Cfr. L. Pelizzari, Il carnevale di Ponte Caffaro in: "El Sfoi", Bagolino, 1982.