ISSN 2531-3959
Jan Patočka
14
Jan Patočka (1907-1977), massimo esponente della fenomenologia nell’Europa dell’Est,
insegnò nell’università di Praga e di Brno. Profondamente impegnato nel movimento
dissidente, morì a seguito degli interrogatori subiti dalla polizia. Tra le sue opere tradotte in italiano ricordiamo Platonismo negativo e altri frammenti (Bompiani, 2015).
Patočka
€ 00,00
Introduzione alla filosofia fenomenologica
Nell’anno accademico 1969-1970 – due anni prima di essere privato della
libera docenza dal regime politico – Patočka tenne all’università Carlo di
Praga le lezioni qui pubblicate e per la prima volta tradotte in italiano.
Esse raccolgono le sue riflessioni più mature sull’esistenza umana e sulla
fenomenologia, elaborate attraverso un intenso confronto con il pensiero
di Husserl – in gioventù il filosofo ceco fu tra gli studenti a lui più vicini –
e con quello di Heidegger – di cui ebbe modo di ascoltare le lezioni. Collegando il pensiero sistematico con la prospettiva storica, Patočka rivisita i nuclei teorici della fenomenologia sviluppando una critica delle sue
fondamenta, che non ne indica la fine, ma suggerisce piuttosto un nuovo
inizio non solo di questa scuola filosofica ma anche della stessa filosofia.
Introduzione alla
filosofia fenomenologica
FENOMENOLOGIE
14
Collana diretta da Vincenzo Costa ed Elio Franzini
Classici della fenomenologia
Comitato editoriale della collana
Direttori: Vincenzo Costa - Elio Franzini
Comitato scientifico:
Giampiero Arciero, Antonio Bellingreri, Jocelyn Benoist, Rudolf
Bernet, Stefano Besoli, Daniele Bruzzone, Carla Canullo, Virgilio Cesarone, Alfredo Civita, Giuseppe D’Anna, Marco Dallari,
Roberta De Monticelli, Ferruccio De Natale, Nicolas De Warren,
Natalie Depraz, Adriano Fabris, Alfredo Ferrarin, Thomas Fuchs,
Hans-Helmuth Gander, Nicoletta Ghigi, Luca Ghirotto, Luca Guidetti, Vanna Iori, Roberta Lanfredini, Michele Lenoci, Davide Liccione, Sandro Mancini, Giuliana Mancuso, Massimo Marassi, Felice
Masi, Eugenio Mazzarella, Silvano Petrosino, Dominique Pradelle,
Alice Pugliese, Pier Cesare Rivoltella, Giorgio Rizzo, Claude Romano, Leonardo Samonà, Jose Javier San Martin Sala, Paolo Spinicci,
Andrea Staiti, Giovanni Stanghellini, Anthony Steinbock, Massimiliano Tarozzi, Francesco Saverio Trincia, Luca Vanzago, Mario Vergani, Dan Zahavi, Antonio Zirion Q.
Jan Patočka
Introduzione alla filosofia
fenomenologica
a cura di Marco Barcaro
Scholé
Titolo originale:
Úvod do fenomenologické filosofie
© OIKOYMENH, Praha 19932
Traduzione di Anna Maria Perissutti
Revisione di Marco Barcaro
La collana è peer reviewed
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento
totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm), sono riservati per tutti i
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© 2023 Editrice Morcelliana
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LegoDigit srl - Via Galileo Galilei 15/1 - 38015 Lavis (TN)
ISSN 2531-3959
ISBN 978-88-284-0533-7
Introduzione
1. Il contesto storico
Nel 1968 – anno della Primavera di Praga – Patočka fu nominato
professore ordinario presso l’università Carlo a Praga. Questo libro presenta per la prima volta in italiano gli appunti delle lezioni che il filosofo
vi tenne nel suo secondo anno accademico, il 1969-70. Si tratta, però,
anche di uno dei suoi ultimi corsi universitari, dato che il regime politico
lo allontanò dall’università privandolo della libera docenza appena pochi
anni dopo, nel 19721. Infatti, una nuova legge promulgata dal governo
comunista prevedeva che un professore potesse essere mandato in pensione a sessantacinque anni (e Patočka li compiva proprio in quell’anno).
In aggiunta a ciò, gli venne confiscato anche il passaporto per impedirne
l’espatrio. La vera ragione del pensionamento, quindi, era che questo
era il modo con il quale il regime si sbarazzava di quei professori che
riteneva ostili, perché formatisi in un clima politico e culturale molto
diverso. Com’è noto, Patočka non si piegò mai alle pressioni del potere.
Egli spese gran parte della sua vita di valente studioso al di fuori dell’ambiente strettamente accademico per ragioni di dissenso nei confronti del
regime politico, lavorando presso vari istituti di ricerca2 e partecipando a
Patočka poté insegnare liberamente otto anni all’università carolina: dal 1945 al
1949 come professore associato, dal 1968 al 1972 come ordinario.
2
Dal 1950 fino al 1954 ha lavorato presso la Biblioteca Masaryk, mentre tra il 1954 e il
1957 ha lavorato per l’Istituto Pedagogico dell’Accademia delle Scienze della Cecoslovacchia.
1
Introduzione
conferenze internazionali in varie città europee. Negli ultimi anni di vita,
dalla fine degli anni Sessanta alla sua morte nel 1977, come molti altri
intellettuali cechi tenne dei seminari clandestini negli appartamenti dei
partecipanti3. Vi presero parte prima quattro, poi otto persone. A uno
dei più importanti seminari tra questi distribuì in copie samizdat4 quella
che divenne poi la famosa opera Saggi eretici sulla filosofia della storia.
2. Un interesse costante per i temi fenomenologici
Il tema scelto per questo corso, Introduzione alla filosofia fenomenologica,
è alquanto significativo. La ricerca e la difficile elaborazione del metodo della fenomenologia e di una filosofia che da essa si lascia plasmare
aveva accompagnato pressoché tutta la vita di Husserl. L’espressione
“filosofia fenomenologica”, infatti, compare significativamente nel titolo del primo volume delle Idee di Husserl. Leggendo queste lezioni
potremmo dire che questa ricerca vale altrettanto anche per Patočka.
Patočka incontrò personalmente Husserl in più occasioni ancora
nei suoi anni giovanili. La prima volta fu quando ascoltò alla Sorbona
quelle che sarebbero diventate poi le Meditazioni cartesiane. A quel tempo Patočka considerava Husserl come il filosofo con la F maiuscola
(«als den Philosophen»5); ma poi ebbe occasione di conoscerlo meglio
a Friburgo dove, grazie a una borsa di studio della Fondazione Humboldt, si era recato per studiare nel semestre estivo del 1933. Negli anni
Trenta, quindi, Patočka entrò a far parte del gruppo di studenti più
vicini a Husserl. A riprova della profonda relazione che si instaurò, nel
1937 tornò a Friburgo per festeggiare il Natale con la famiglia stessa di
Husserl. E fu in quell’occasione che Husserl gli consegnò, come dono
3
Alcune registrazioni analogiche autentiche delle lezioni di questi seminari residenziali (dal 1970 al 1975) sono ora disponibili sul sito: https://archiv.janpatocka.cz/
exhibits/show/prednasky.
4
Il termine samizdat è un nome collettivo per indicare la distribuzione clandestina
della letteratura nei Paesi ex-sovietici.
5
J. Patočka, Erinnerungen an Husserl, in J. Patočka, Texte, Dokumente, Bibliographie, a cura
di L. Hagedorn e H. Rainer Sepp, Verlag Karl Alber, München 1999, p. 273.
6
Introduzione
simbolico, un leggio per la lettura che a sua volta apparteneva al filosofo e poi statista ceco Tomáš G. Masaryk.
I primi lavori filosofici di Patočka, sia la tesi di dottorato intitolata
Il concetto di evidenza e la sua importanza per la teoria della conoscenza (Pojem
evidence a jeho význam pro noetiku) del 1931, sia la tesi per l’abilitazione
all’insegnamento, intitolata Il mondo naturale come problema filosofico (Přirozený svět jako filosofický problém) del 1936, confermano dunque che si è
formato dentro al contesto della fenomenologia husserliana
A Friburgo Patočka entrò in contatto con l’assistente di Husserl,
Eugen Fink, con il quale strinse poi un’intima amicizia6. Fink ebbe un
ruolo importante, perché gli trasmise sia il pensiero di Husserl sia quello
di Heidegger. Patočka ebbe la concreta possibilità di ascoltare anche le
lezioni di Heidegger e di discutere poi con Fink le differenze di impostazione dei due maestri. Mentre i testi di Patočka degli anni Trenta nascono sostanzialmente all’interno del quadro della fenomenologia husserliana, a partire dagli anni Quaranta Patočka iniziò a condividere le proprie
opinioni con il pensiero di Heidegger, critico verso la fenomenologia di
Husserl. Una valutazione più positiva verso il pensiero di Heidegger si
può notare proprio nella corrispondenza quarantennale (1933-1977) con
l’amico Fink. Entrambi mettono in discussione certi elementi di base
dell’impostazione husserliana. Queste lezioni sono interessanti proprio
perché siamo alla fine degli anni Sessanta e Patočka, attraverso questo
intenso confronto con il pensiero di Husserl e di Heidegger, ci mostra
le sue riflessioni più mature sull’esistenza umana e sulla fenomenologia.
Un’ulteriore conferma del fatto che, nell’ultimo decennio della sua
vita, il filosofo ceco ha continuato la sua riflessione sulla natura e sul
metodo della fenomenologia possiamo averla dai titoli dei corsi tenuti e dei saggi scritti proprio in quegli anni. Nel 1964-1965, in qualità
di conferenziere esterno invitato all’università Carlo a Praga, e l’anno
accademico successivo (1965-1966) all’università di Magonza in Ger-
6
Ne danno prova le lettere tra i due contenute in E. Fink - J. Patočka, Briefe und
Dokumente 1933-1977, Karl Alber Verlag, München 1999.
7
Introduzione
mania, Patočka tenne delle lezioni introduttive alla fenomenologia7. I
principali temi trattati sono: l’intuizione categoriale, l’intenzionalità, il
problema della fondazione dell’esperienza, la riduzione e la coscienza
del tempo. Sempre verso la metà degli anni Sessanta Patočka scrive il
saggio: La fenomenologia trascendentale di Husserl dopo la sua revisione (fine
anni Sessanta). Nel 1968 redige la postfazione alla traduzione in ceco
delle Meditazioni cartesiane, intitolata: La fenomenologia, la filosofia fenomenologica e le “Meditazioni cartesiane” di Husserl. Il corso del 1969-1970,
quindi, continua questa sua revisione e approfondimento critico dei
fondamenti del pensiero husserliano.
Tuttavia, se diamo uno sguardo anche ad almeno alcuni dei titoli
dei saggi degli anni successivi al nostro corso, notiamo che questo interesse di ricerca continuò e che fu proprio questo studio approfondito
a portarlo, attraverso una presa di distanza critica dalla fenomenologia
husserliana, a un chiarimento di quella che definirà “fenomenologia
a-soggettiva”. A tal proposito val la pena ricordare almeno questi titoli
più significativi: Il soggettivismo della fenomenologia husserliana e la possibilità
di una fenomenologia “asoggettiva” (apparso in tedesco nel 1970) e Il soggettivismo della fenomenologia husserliana e la necessità di una fenomenologia “asoggettiva” (in tedesco, del 1971). Per l’importanza dei contenuti discussi,
però, vanno ricordati altri due scritti: Epoché e riduzione8 (1975) e Che cos’è
la fenomenologia? (articolo pubblicato in tedesco nel 1976). Svariati altri
indizi di questa ultima fase di ripensamento dei fondamenti della feno-
Questo ciclo di lezioni è stato pubblicato in francese col titolo: Introduction à la
phénoménologie de Husserl (Millon, Grenoble 1995).
8
Il saggio è apparso nella raccolta Bewußt-sein. Gerhard Funke zu eigen, Bouvier Verlag, Bonn 1975, pp. 76-85. I manoscritti di lavoro collegati a questo saggio risalgono
all’anno prima, al 1974, e sono molto più lunghi della versione finale (cfr. Papiers phénoménologiques, pp. 163-210). In questo saggio Patočka rilegge e commenta una a una le
cinque lezioni contenute in L’idea della fenomenologia di Husserl, e la seconda sezione di
Idee i (La considerazione fenomenologica fondamentale, §§ 27-62), in particolare i paragrafi 31
e 32 (il mutamento della tesi naturale e l’epoché fenomenologica).
7
8
Introduzione
menologia sono contenuti in numerosissimi frammenti e manoscritti di
lavoro i cui titoli, però, non è possibile elencare qui9.
3. Il ripensamento della filosofia attraverso la fenomenologia
Uno dei messaggi forse più importanti di questo libro, certamente
la caratteristica che attraversa e innerva le ventitré lezioni, è il fatto
che Patočka rivisita i nuclei teorici della fenomenologia collegando il
pensiero sistematico con la prospettiva storica. Per tale motivo questo
è un libro storico. È lo stesso filosofo ceco a dirlo all’inizio: «Le lezioni
saranno incentrate contemporaneamente sulla storia della filosofia e
sull’analisi sistematica»10. Tale abilità didattica è prova di una eccezionale conoscenza della storia della filosofia, ma mostra anche la capacità
di Patočka di saper attingere di volta in volta a quei luoghi della tradizione del pensiero che gli servono a costruire il suo ragionamento. Ad
esempio, egli si riferisce spesso a quel contesto di filosofi che sono i
predecessori espliciti di Husserl, come il suo primo maestro Brentano;
si confronta però anche con Bolzano, con la Gran Bretagna, con l’empirismo e con il pensiero greco antico. Un altro esempio, precedente
di pochi anni, di questa sua straordinaria capacità è la sua seconda tesi
di abilitazione intitolata: Aristotele, i suoi predecessori e successori (Aristoteles,
jeho předchůdce a dědicové)11. Il volume pubblicato nel 1964, che è senz’altro una delle opere maggiori sul concetto di movimento in generale,
ripercorre la comprensione del concetto di movimento partendo da
Aristotele per arrivare, attraverso gli sviluppi successivi all’affermarsi
della scienza moderna, fino a Hegel.
9
Rinviamo per questo alle due pregevoli antologie apparse in francese e tedesco:
Papiers phénoménologiques (Millon, Grenoble 1995) e Vom Erscheinen als solchem. Texte aus
dem Nachlaß (K. Alber Verlag, Freiburg-Breisgau/München 2000).
10
I Infra, p. 39.
11
J. Patočka, Aristoteles, jeho předchudci a dědicové. Studie z dějin filosofie od Aristotela k
Hegelovi, Nakl. ČSAV, Praha 1964; tr. fr. di E. Abrams, Aristote, ses devanciers, ses successeurs: études d'histoire de la philosophie d'Aristote à Hegel, Vrin, Paris 2011.
9
Introduzione
Perché Patočka procede in questo duplice modo, sistematico-storico? Come dice egli stesso, «la comprensione del contesto storico servirà a preparare il terreno per l’analisi dei problemi concreti»12. In questo modo, quindi, ci mostra dove comincia un problema filosofico (che
si tratti dell’apparire, della datità, o di altro) e come esso è evoluto in
epoche diverse, attraversando prima Aristotele, poi Cartesio, Kant etc.
Vedere uno stesso problema in epoche diverse non implica una mera
ricostruzione storica, ma è importante perché ciò significa, ad esempio,
che non è possibile leggere Platone senza poi riferirsi anche a Hegel,
Husserl etc. Ma anche viceversa.
Patočka, quindi, ci fa comprendere che:
1. alcuni problemi fenomenologici contemporanei sono essenzialmente già presenti in Platone e in Aristotele, anche se formulati
in modo diverso. In questo senso non è strano riconoscere che
nell’epistola settima «Platone era giunto alle stesse profonde intuizioni a cui Husserl arriva nella vi ricerca logica»13;
2. inoltre, ciò è rilevante per svolgere – proprio come intende fare
Patočka – una critica nel presente alla fenomenologia dal suo
interno, al fine di spingerne più avanti i risultati raggiunti. Uno
degli esempi più chiari è forse l’excursus sulle diverse concezioni
del tempo – cruciale nella concezione dell’apparire – delle lezioni xx-xxi. Partendo da come il problema è stato tramandato
da Husserl, Patočka ritorna ad Aristotele, poi passa a Kant, riprende nella lezione successiva il tema con Hegel dimostrando
come questi trascenda la concezione di Aristotele. La lezione
xxi termina poi criticando l’interpretazione heideggeriana della
temporalità di Hegel in Essere e tempo.
Passiamo ora a vedere alcuni dei temi toccati e dei percorsi sviluppati da
Patočka nel suo ripensamento della filosofia attraverso la fenomenologia.
Le prime lezioni prendono le mosse dalla domanda dalla quale la
filosofia inizia, e cioè: quale esperienza possiamo fare della realtà? La
12
13
I Infra, p. 39.
IX Infra, p. 138.
10
Introduzione
filosofia di Husserl, sotto questo aspetto, ha voluto però essere «un tipo
di empirismo completamente nuovo in filosofia»14 nel senso di un empirismo capace di sviluppare in maniera radicale il concetto di esperienza.
Per arrivare a questo, Husserl ha formulato il principio di tutti i principi,
in base al quale la fonte di ogni conoscenza, di ogni verità, è l’evidenza.
L’evidenza emerge dalla materia nel suo apparire, è l’intuizione della
materia stessa, l’oggetto stesso presente nell’esperienza. Questo concetto, però, ha almeno due punti deboli: 1. è così generale che può valere
per ogni conoscenza, e quindi non sembra rappresentare uno specifico
della filosofia; 2. sembra non contenere niente di nuovo e di specifico
rispetto all’empirismo del xix e xx secolo. Per questo, Husserl, attraverso l’intuizione eidetica, ha cercato di estendere il concetto di esperienza
al di là della sfera sensoriale dell’individuale, cioè alla sfera universale.
Nelle Ricerche logiche troviamo già questo ampliamento della concezione
dell’empirismo tradizionale. Egli chiama questa sfera: categoriale. Husserl, quindi, è convinto che esista un’esperienza originaria di ciò che
è universale. E l’esperienza dell’universale ci permette di giungere alla
conoscenza del generale. Patočka precisa che, in Husserl, questo principio «nasce fin dall’inizio nella dimensione della logica, nella dimensione
del significato, nella dimensione del linguaggio ricco di significato»15,
perché abbiamo bisogno di alcune strutture di base per permetterci di
parlare. Tuttavia la teoria dell’intuizione del generale è stata aspramente criticata da numerosi pensatori (ad esempio Adorno) principalmente
perché nel caso del generale (o della specie) siamo in realtà in presenza
di un concetto, non di un’intuizione. Considerando questo problema
in prospettiva storica (espresso, quindi, nella teoria della conoscenza
degli universali) Patočka osserva che la conoscenza degli universali era
considerata oramai qualcosa di superato, appartenente alla scolastica;
in realtà, invece, con questi problemi si erano confrontati poi Berkeley,
Hume, i teorici della teoria generale dell’astrazione. Ma esso ha rappresentato un momento molto stimolante anche per i filosofi d’inizio
14
15
I Infra, p. 39.
II Infra, p. 56.
11
Introduzione
Novecento, soprattutto per Scheler. Di fronte ai problemi sorti con le
teorie dell’astrazione, Husserl ha proposto la variazione eidetica come
soluzione. L’eidos, che può essere sempre colto, rappresenta una base
comune per l’esperienza, ma ci rivela allo stesso tempo che «l’esperienza
non è definita prima e una volta per tutte»16. Critiche alla teoria dell’intuizione eidetica husserliana sono state rivolte anche da Lukács nel libro
La distruzione della ragione17 (dove la considera irrazionale), ma anche da
pensatori di orientamento opposto, come Ortega y Gasset.
Da questi passaggi emerge che la filosofia, in quanto disciplina di tutte le teorie dell’esperienza, non è una costruzione che risolve problemi
astratti, ma è soprattutto ricerca della datità, ossia di ciò che è dato (e
«fare filosofia significa vedere»18 ciò che ci è dato). Per capire l’intuizione
eidetica, quindi, bisogna partire sempre dal principio di tutti i principi e
dal suo rapporto con l’esperienza originaria. L’esperienza viene considerata sempre nei suoi limiti costitutivi: ossia in ciò che essa dà, perché
non può mai andare oltre la datità originaria. Questi richiami husserliani
portano Patočka a dire che il padre della fenomenologia ci ha lasciato
con questo principio uno dei problemi centrali della fenomenologia.
L’esperienza, dunque, ha sempre bisogno anche di essere interpretata. Ciò si realizza nella riflessione. La riflessione sull’esperienza o la
consapevolezza dell’esperienza, però, è un momento che va distinto
dall’esperienza stessa perché l’esperienza non coincide con la consapevolezza di essa. Fare questo non è facile perché, per poter parlare
della propria vita interiore, bisogna presupporre la conoscenza delle
sue strutture essenziali. In questo senso, allora, oggetto della filosofia
non sono soltanto i dati, ma anche le strutture che ci permettono l’elaborazione dei dati. Il vero dominio del nostro pensiero, dunque, non
risiede nella semplice datità, ma nella coscienza e nei suoi atti sintetici.
Tale concezione, secondo Patočka, avvicina la riflessione di Husserl
a una concezione speculativa come quella hegeliana. In questo senso, «il
principio di tutti i principi in realtà indica un soggetto assoluto che com16
17
18
I Infra, p. 49.
G. Lukács, La distruzione della ragione, Mimesis, Milano-Udine 2011.
I Infra, p. 49.
12
Introduzione
prende se stesso e che sviluppa sotto il proprio sguardo spirituale l’intera
propria esperienza»19. Questo significa che, quando parliamo di esperienza, non ci riferiamo all’analisi delle singole datità, ma ci riferiamo in
realtà all’osservazione di quelle strutture che ci consentono la mediazione della realtà. E ciò significa che i dati immediati vengono superati
di fatto dall’intenzione, ma noi ce ne dimentichiamo. Alla fine questo ci
porta a non riflettere più sul modo in cui le cose si fanno e su come noi
accediamo a esse. Tale carenza di riflessione sul modo in cui accediamo
alle cose, inoltre, ha come conseguenza di farci considerare le cose come
semplicemente qui. Il compito della filosofia, allora, consiste proprio nel
tentare di «porre fine a questa alienazione»20 del pensiero, della vita spirituale e dello spirito. Secondo Patočka ciò che va riconosciuto in tutto ciò
è la presenza di un concetto speculativo che «si traveste allora da dottrina
empirica [...] e pretende di riportare in ogni luogo la nostra esperienza al
dato originario»21. Se questo è ciò che in realtà accade, secondo Patočka è
necessario «procedere in modo riflessivo e regressivo»22, così da scoprire
i presupposti nascosti, criticarli, relativizzarli ed eliminarli in un processo
infinito. Questo è quindi il senso della fenomenologia non-metafisica di
cui parla: essa «non può essere metafisica, ma critica di tutte le metafisiche, di tutti i sistemi che si fissano, che ingabbiano»23.
Il significato dell’esperienza rimanda quindi al tema della riflessione,
perché è la riflessione oggettivante che studia l’esperienza e tenta di cogliere gli atti esperienziali nell’originale. Come abbiamo visto, però, Patočka critica l’idea di Husserl in base alla quale «il terreno su cui è possibile dimostrare le cose è l’autoconsapevolezza che si dà nella riflessione,
il terreno della coscienza dato nella riflessione»24. La supposta autodatità
della coscienza evidenzia «una grande analogia»25 con la filosofia tedesca,
19
20
21
22
23
24
25
II Infra, p. 64.
Ibidem.
Ibidem.
II Infra, p. 66.
Ibidem.
VIII Infra, p. 123.
VIII Infra, p. 132.
13
Introduzione
specialmente con Hegel e il suo concetto di coscienza; ma questo terreno non può essere analizzato, studiato e descritto come un dato26. Tale
“cartesianesimo”, che Husserl condividerebbe con tutta la tradizione a
lui precedente, consiste nella convinzione che tutto ciò che è conoscibile
dev’essere anche dimostrabile nella coscienza. Conoscere significa saper
giustificare, e il terreno di questa dimostrazione, il fundamentum inconcussum «è la coscienza, che può essere studiata nella riflessione in quanto
datità»27. Ossia l’autocoscienza della coscienza. La teoria della datità nella
riflessione suscitò però numerosi sospetti, in primis negli psicologi (ad
esempio, H.J. Watt), ai quali Husserl rispose nel primo volume delle Idee.
La lacuna, fondamentale per questi discorsi, è secondo Patočka che
nella fenomenologia di Husserl «manca una teoria della riflessione»28.
Husserl non ha chiarito cosa egli intende davvero per riflessione, ma
la presuppone fin dall’inizio, e «tutta la fenomenologia trascendentale è costruita su questo presupposto»29. Il senso della fenomenologia
trascendentale, perciò, sembra essere il tentativo di ricavare un terreno dato in modo assoluto30, senza la relatività che proviene dal dato
percettivo esterno. In altre parole, la validità oggettiva dell’intuizione
originariamente offerente non può essere garantita.
Che significato può assumere allora la riduzione? Essa è il modo
in cui l’io/coscienza vuole cogliersi in originale, nelle sue possibilità
di giungere all’oggetto. Se le cose stanno così, però, non c’è più niente
di esterno da osservare. Per Patočka, invece, non si dà alcun terreno
assoluto grazie al quale dimostrare ciò che è dato con evidenza e senza
relatività. Il filosofo ceco pensa, diversamente da Husserl, che «nell’evidenza dell’autodatità e nell’osservazione incondizionata non si danno
26
Il problema del dato rimane irrisolto. Nell’introduzione alla fenomenologia di
Husserl, però, parlando dell’intenzionalità, Patočka dice che è un “movimento”, e ciò
che ci è dato in originale è l’esperienza e il movimento della vita, non il soggetto. Cfr.
J. Patočka, Introduction à la phénoménologie de Husserl, Millon, Grenoble 1992, p. 252.
27
VIII Infra, p. 123.
28
VIII Infra, p. 130. E forse Patočka direbbe che non esiste nemmeno.
29
Ibidem.
30
Se il principio presuppone un soggetto assoluto, allora si avrebbe una concezione speculativa come quella hegeliana.
14
Introduzione
né l’εἶδος, né qualcosa di categoriale, né l’essere che riflette»31. Cosa
significa allora, veramente, la riflessione? Sostanzialmente significa che
noi siamo nel mondo in maniera diversa dalle cose. Per Patočka, cioè,
la riflessione non è un’intuizione, ma è la coscienza che noi abbiamo
di noi stessi. Come conseguenza coerente, questa critica lo conduce
ad affermare che «la fenomenologia dev’essere ricostruita su una base
diversa»32. Per lui, quindi, bisogna rinunciare alla riduzione affinché la
fenomenologia diventi la scienza dell’apparire in quanto tale.
Una prova che confermerebbe la necessità di una versione diversa
della fenomenologia è che essa non ha preso piede nella psicologia e
nella sociologia contemporanee, come ci si sarebbe invece aspettato. E
il motivo di ciò è proprio la mancanza di una teoria della riflessione. A
tale mancanza è correlata anche quella di una teoria del soggetto: ossia,
in Husserl manca un’analisi di ciò che è la soggettività del soggetto, di
quale modo abbia l’essere umano quando lo tematizziamo nella sua
essenza. Per questo, anche se tutta la fenomenologia trascendentale
si muove ancora nel soggetto, Patočka afferma che manca in Husserl
«una teoria della riflessione e una teoria del soggetto»33.
Patočka indica la direzione intrapresa dalla fenomenologia successiva a Husserl dalla lezione ix in avanti, e lo fa principalmente attraverso la meditazione di Heidegger. Guardando quindi al percorso fatto,
chiarisce che nelle lezioni precedenti ha tentato di fornire una critica
dettagliata all’intera terminologia della fenomenologia trascendentale di
Husserl «rifiutando il metodo consistente nel cogliere la nostra esperienza nell’originale attraverso la riflessione»34. La riflessione, quindi,
non basta a cogliere la nostra esperienza nell’originale e tantomeno la
nostra vita. Catturare l’esperienza immediata rimane pertanto una difficoltà. Per questo non si può descrivere l’uomo partendo dalla riflessione,
ma bisogna avvicinarsi a una comprensione dell’esistenza umana intesa
come semplice sum, che parte dal nostro essere-nel-mondo. Per questa
31
32
33
34
VIII Infra, p. 131.
Ibidem.
VIII Infra, p. 132.
XII Infra, p. 176.
15
Introduzione
ragione Patočka è molto interessato all’analisi dell’esistenza umana che
Heidegger ha sviluppato in Essere e tempo e in altri scritti e conferenze
degli anni Venti (in particolare Che cos’è metafisica?). Questo percorso approda alla fenomenologia a-soggettiva, spiegata in queste lezioni così:
«una fenomenologia che non considera il terreno della soggettività [...]
come il proprio tema centrale e la propria base metodologica»35.
In particolare nelle lezioni xiii e xiv troviamo un concentrato di queste idee. Vediamone alcune. All’idea che l’esistenza umana sia nel suo
nucleo un semplice sum Heidegger arriva analizzando alcuni fenomeni.
Il punto di partenza sono le nostre disposizioni d’animo, ossia il modo
in cui ci sentiamo (Befindlichkeit) nel mondo. A questo modo di sentirci appartengono esperienze come quelle dell’angoscia e della noia. La
noia autentica, secondo Patočka, è «l’idea più importante che Heidegger abbia mai espresso»36, è il punto di partenza per interpretare l’analisi
dell’umano e il modo in cui Heidegger intende riformulare l’ontologia.
Nella noia sentiamo l’insignificanza di qualsiasi cosa possa accaderci.
Gli stati d’animo (Stimmungen) sono importanti perché esprimono un
modo non tematizzato, non oggettivante di avere chiarezza sulle cose
e su noi stessi. Questo tipo di «chiarezza senza oggettivazione»37 è un
tratto essenziale del nostro essere uomini. Esiste però uno stato d’animo che pone l’uomo non di fronte alla totalità, ma al nulla, ed è la
noia profonda e l’angoscia. Quest’ultimo è fondamentale perché rende
comprensibili tutti gli altri stati d’animo e ha la funzione di svelarci il
mondo liberandoci dalle cose38. L’angoscia ci colloca sul fondo della
nostra esistenza anche senza avere davanti a sé un oggetto determinato. In essa «il nostro essere lotta per la possibilità totale del suo essere
nel mondo»39. Mentre nella vita ordinaria le cose ci dicono qualcosa,
XIII Infra, p. 182.
XIII Infra, p. 184.
37
XIII Infra, p. 185.
38
Patočka, però, tematizza la libertà soprattutto attraverso l’epoché perché la interpreta come il momento attraverso il quale l’esistenza umana può abbandonare i
fenomeni che appaiono a favore dell’apparire in quanto tale.
39
XIII Infra, p. 188.
35
36
16
Introduzione
nell’angoscia non ci dicono più niente, si dileguano. L’angoscia mette
quindi in discussione l’idea che le cose siano meri oggetti, e anche l’io
si dilegua. Cosa rimane allora? Il puro sum. Quando le cose non si rivolgono più a noi e cessano di avere significato per noi, noi stessi siamo
ridotti a semplice sum. Quindi, «qui ci viene mostrato che cos’è il nostro
essere nel suo carattere fondamentale»40. L’essenza dell’uomo, quindi, è
la sua esistenza. Non si tratta di una tesi, ma significa essere caratterizzati dalla Jemeinigkeit. Tale carattere non è una determinazione puntuale
dell’io, ma dice che l’io non è presente a se stesso. Piuttosto, l’io incontra se stesso solo nelle richieste contenute nelle cose che si rivolgono
a lui. L’angoscia è importante perché fa emergere la domanda su cosa
significa essere. Ed è solo grazie alla comprensione di cosa significa
essere che è possibile ogni chiarezza, ogni conoscenza e comprensione
anche dell’esistenza. Chiarezza e verità, quindi, non derivano dal cogito.
Intendere l’essere dell’uomo come esistenza e nient’altro potrebbe
sembrare un’asserzione dogmatica, ma non lo è in quanto è il risultato
di un’analisi fenomenologica, ossia di un’analisi supportata dai fenomeni. La struttura del sum, quindi, coincide con la natura del nostro essere (senza ulteriori determinazioni come animal rationale) e contiene intrinsecamente una relazione al mondo. La nostra esperienza originaria,
quindi, è di tipo pratico. Per questo motivo non siamo degli osservatori
imparziali che osservano da un punto di vista esterno gli enti del mondo.
La comprensione delle cose e la nostra capacità di utilizzarle è contenuta nel nostro agire. L’esistenza, inoltre, non è mai isolata, ma è sempre
essenzialmente aperta alle altre cose e interessata a se stessa, alle proprie
possibilità. Rispetto, quindi, alle molte teorie dell’io sviluppate dalla filosofia, qui l’io non è colto come un atto di pensiero, e non sorge nella
riflessione. Qui, piuttosto, siamo di fronte a una chiarezza diversa, in
quanto non oggettivante. La nostra comprensione è sempre una comprensione della realtà con cui abbiamo a che fare, ricavata attraverso la
riflessione. Si tratta di un processo di comprensione, non di un processo
oggettivo. Lo stato d’animo rivela che siamo già nel mondo, e per que-
40
Ibidem.
17
Introduzione
sto la chiarezza va ricavata da una modalità di relazionarci col mondo
diversa dall’oggettivazione. Esistiamo nel mondo come esseri che devono portare avanti la propria esistenza e non come processi oggettivi; e
le cose che incontriamo nella vita pratica non sono oggetti della nostra
percezione, ma «la nostra comprensione originale delle cose è sempre
una comprensione delle possibilità»41. Le possibilità, come pure il nostro
incontrare noi stessi, provengono dal mondo. Dire che le possibilità
nascono dal mondo implica due conseguenze:
1. fa dell’uomo il destinatario dell’apparire, cioè è l’apparire del
mondo che crea e struttura l’uomo, e non viceversa. Il concetto
di mondo, quindi, è la chiave del problema di come le cose possono apparire a noi, di come io posso apparire a me stesso; è la
chiave del problema del fenomeno in quanto tale e della stessa
possibilità della fenomenologia;
2. introduce il fenomeno del nostro essere nello spazio. Pertanto, se
noi siamo in relazione dinamica con le nostre possibilità – viviamo
quindi sulla base del futuro – e questa dinamica è incorporata nell’universo, l’esistenza si spiega di conseguenza come un movimento.
Anche l’apparire non è una pura presenza, ma un movimento.
Abbiamo visto poco sopra che le tonalità emotive ci rivelano il mondo senza bisogno, da parte nostra, di una rappresentazione tematica e
di una posizione intenzionale rispetto a esso. In secondo luogo esse ci
consentono di capire noi stessi non in una percezione interna, ma in
una comprensione pratica. Giunti a questo punto, possiamo comprendere meglio il significato della riflessione e il valore della finitudine.
L’attraversamento dell’ontologia fondamentale heideggeriana (che
considera il carattere fondamentale dell’essere per la fine) ci porta a
evitare di assolutizzare noi stessi mettendoci al centro. La fatticità è
radicata nel nucleo più profondo della nostra personalità. Questa
consapevolezza porta in sé «la capacità di smettere di girare intorno
a se stessi come se fossimo il centro assoluto della vita, di sbarazzarci
41
XIV Infra, p. 199.
18
Introduzione
dell’autismo»42. Per questo, come conseguenza coerente, Patočka critica
poi quell’impostazione del pensiero che ha elevato l’uomo alla posizione di dominatore della natura e del mondo. Capire la finitudine implica la capacità di vedere l’altro come tale e di lasciarlo essere nelle sue
possibilità. Da quanto detto si comprende allora che la riflessione non
è un semplice sguardo che intende fondare la conoscenza sul principio
della certezza assoluta e «non è nemmeno il lavoro di professori che
scrivono libri spessi e devono reperire il materiale da qualche parte»43.
Il passo in avanti fondamentale che Patočka fa suo è ritenere che la riflessione «riguarda la nostra vita»44, «è il modo in cui siamo nel mondo,
il modo in cui ci relazioniamo con tutte le cose e con gli altri»45.
Patočka parla anche di una catarsi in tutto il programma della vita,
di una purificazione di questa relazione di base che affida la vita alla
nostra responsabilità. Determinante in tal senso è il carattere mortale
dell’esistenza. Siamo qualcosa che avanza fatalmente verso la fine e
questo significa che viviamo nella responsabilità di portare a compimento la nostra vita. Compimento perché il sum non è qualcosa che
ci è stato dato, ma qualcosa che ci è stato affidato46. Ciò implica la
responsabilità di costruire una vita profonda, integra, autentica, e non
distratta. Ci troviamo nella condizione di non poter giustificare in alcun modo la nostra condizione originaria di gettatezza nel mondo, ma
dobbiamo soltanto assumerla. Tuttavia, i fenomeni dell’angoscia, della
coscienza e del senso di colpa ci conducono «di fronte alla nostra stessa esistenza come a un compito che non è stato deciso da qualcosa di
esterno a noi, un compito che nessuno può toglierci, che dobbiamo
assumere, portare avanti e compiere, e da cui non possiamo sottrarci»47.
In riferimento a questo, la coscienza è intesa come un modo speciale di
XVII Infra, p. 235.
XVII Infra, p. 236.
44
Ibidem.
45
Ibidem.
46
«Il nostro essere non è come quello di un pezzo di lava sulla luna [...] è qualcosa
che ci viene affidato e che dobbiamo compiere, nella situazione che abbiamo, in cui
siamo collocati» (XVIII Infra, p. 245).
47
XVI Infra, p. 225.
42
43
19
Introduzione
autocomprensione che ci permette di coglierci non attraverso la riflessione, ma attraverso le possibilità che si presentano a noi.
Si comprende allora come una vita nella verità equivalga a una vita
vissuta nella responsabilità. Qui la vita giunge a se stessa e qui il discorso teorico si salda alla prospettiva storica.
Un ultimo tema, al quale si collega tanto il nostro agire quanto l’essenza della nostra vita, è la temporalità. La struttura della temporalità –
possiamo dire – è lo scheletro che guida tutta l’analisi. Essa «rappresenta il culmine delle analisi fatte finora»48 ed è dunque fondamentale per
capire il soggiorno dell’uomo nel mondo. Patočka tratta questo tema
soprattutto nelle ultime lezioni, xix-xxi. Vediamone alcuni passaggi.
La temporalità può essere considerata come il senso intrinseco della
struttura complessiva dell’esistenza umana, senso che si rivela nel fenomeno del nostro esistere. Ciò significa che le strutture del nostro sum si riassumono in quelle possibilità rivelatrici del nostro essere che coincidono
con il giungere a noi stessi. Restano comunque sempre le possibilità che
ci permettono di cogliere il nostro modo di essere. Si tratta di un movimento di ritorno a me stesso che va dalle possibilità future a ciò che sono
sempre già di fatto; tale movimento, perciò, coincide con la temporalità.
L’uomo è in contatto con il tempo in tutto ciò che fa e incontra.
Noi viviamo in relazione a ciò che ci arriva e siamo aperti a ciò che ci
interpella. Viviamo per la fine, e dunque in relazione con la totalità della
nostra esistenza. La temporalità, quindi, non è una struttura statica, ma
una struttura che si temporalizza. In modo più chiaro, possiamo dire
che una vita che ha uno scopo, una vita che realizza un progetto, è caratterizzata da una fine. Secondo Patočka, Husserl ha rivisto la concezione
di Kant del tempo (coincidente con quella tradizionale-wolffiana), arrivando così a fornire un primo abbozzo di una temporalità esistenziale.
Come sappiamo, il vero problema di Husserl non è quello delle
strutture oggettive delle cose, ma del loro manifestarsi. In riferimento a
questa questione, la temporalità è cruciale perché essa è il palcoscenico
su cui si svolge il mondo, che a sua volta è il palcoscenico dell’apparire
48
XIX Infra, p. 256.
20
Introduzione
delle cose. La struttura del movimento dell’apparire (del sum come del
mondo), quindi, coincide con la temporalità. Il tempo in senso originario diventa allora «l’orizzonte di ogni manifestazione»49, cioè rende
possibile l’apparizione di ogni cosa. Il passo in avanti che Patočka vede
necessario consiste nel superare una concezione che interpreta il tempo come qualcosa di eterno e incommensurabile con la vita umana.
Al contrario, il tempo va pensato «a partire dall’esistenza umana, dalla
finitudine dell’Esserci umano nel mondo»50. È soltanto grazie al tempo,
quindi, che siamo di fronte al nostro agire e all’essenza della nostra vita.
Il nostro essere vive una relazione con il tempo primordiale in cui le
cose appaiono e si presentano. Dicendo ciò, bisogna precisare che non
si tratta di una soggettivazione della temporalità perché queste strutture, anche se sono soggettive nel senso che appartengono all’essenza
dell’uomo, rimangono tuttavia le strutture più universali e più originarie, e costituiscono quindi la precondizione dell’uomo stesso. In riferimento invece alla relazione con le cose, si può dire che il tempo, pur
rimanendo un fenomeno comune a tutti, rimane in sé non trasparente.
4. Tre concetti-chiave
Data la varietà dei temi trattati non è possibile fare una sintesi del
contenuto delle ventitré lezioni se non al prezzo di mortificarne e di
perderne la ricchezza; vogliamo tuttavia soffermarci su tre concetti
chiave per mostrare come la fenomenologia rimane, secondo Patočka, un cammino incompiuto.
a) «ritornare alle cose stesse»
Nelle lezioni iii-vi Patočka si interroga sul significato di questo motto e illustra da dove proviene storicamente questo concetto. La prima
cosa che sottolinea è che non si tratta di un concetto astratto; esso ci
49
50
XXII Infra, p. 288.
XXII Infra, p. 289.
21
Introduzione
ricorda anzitutto che sono le cose che si devono mostrare (o dare)
così come sono, allo sguardo del fenomenologo. A questo motto sono
intimamente connesse due questioni: quella della verità e quella della
conoscenza. La sorgente che legittima tutta la conoscenza originaria è
l’intuizione, e la verità significa cogliere mediante l’intuizione l’“oggetto” così com’è. La verità, quindi, rimanda alla questione dell’accesso
alle cose e indica in primo luogo l’evidenza adeguata51. La conoscenza,
invece, rimanda al come di questo accesso.
Tornare alle cose stesse implica, però, anche «tematizzare di nuovo
la relazione dell’uomo [...] quella che abbiamo caratterizzato all’inizio
come chiarezza sulle cose e su noi stessi»52. E – precisa ancora Patočka –
vuol dire «chiedersi come [...] le cose si mostrino a noi così come sono.
Coglierle così come sono e raccontarle in quello stesso modo, e non
come esse non sono, significa dire la verità»53. La possibilità della verità,
per Patočka, non è quindi solo la possibilità di raggiungere una verità
esterna all’uomo, ma è «la possibilità dell’uomo di essere nella verità»54.
Quindi: una vita nella verità. Il senso del motto sta quindi nel «non
sottrarsi al problema della verità»55. Per Husserl il terreno sul quale
trattare il problema della verità è quello della nostra vita cosciente, caratterizzata dall’intenzionalità; perciò il terreno della verità è il terreno
del relazionarsi intenzionale della coscienza.
Abbiamo accennato poco sopra al come della conoscenza, cioè al
come avviene l’incontro con le cose. Esso coincide con il modo in cui
le cose appaiono nell’esperienza, e quindi rimanda sempre all’evidenza. Patočka qui riprende il πώς di Aristotele e lo lega in questo modo
al motto della fenomenologia. Benché questo concetto in Aristotele
rimanga indefinito, interrogarsi su di esso – come fa Patočka – signi-
Soltanto pochi anni prima (nel 1965), Patočka, aveva però detto che l’evidenza, in
quanto problema filosofico, non va intesa come «un semplice fatto ultimo rispetto al quale
non si potrebbe andare oltre» (J. Patočka, Introduction à la phénoménologie de Husserl, cit., p. 252).
52
V Infra, p. 96.
53
Ibidem.
54
Ibidem.
55
Ibidem.
51
22
Introduzione
fica «chiedersi come [...] le cose si mostrino a noi così come sono»56,
cioè come appaiono nell’esperienza. E coglierle così come sono, e non
come non sono, significa dire la verità. Tuttavia, non basta aver recuperato in qualche modo il πώς, perché quest’ultimo «non chiarisce ancora
e in alcun modo la vera natura del terreno della filosofia»57. Per chiarire
la sua natura dovremmo prima sapere che cosa sia la ψυχή, cosa siano
le cose e in che modo possano mostrarsi. E proprio tali questioni rappresentano il cuore stesso della fenomenologia.
b) l’apparire
Il cuore della fenomenologia, dunque, rimane il tema dell’apparire
dei fenomeni. In queste lezioni tale tema è sempre presente. Infatti,
la maggioranza dei concetti con i quali Patočka lavora, rinvia sempre
a esso, ad esempio i concetti di: datità, certezza, evidenza, esperienza,
fenomeno, intuizione originariamente offerente e riduzione. L’apparire
è rivisitato in prospettiva storica quando si parla del mostrarsi di tutto
ciò di cui abbiamo conoscenza, nel pensiero di Cartesio, in Hegel, in
Brentano e in Husserl, e così via; dei riferimenti espliciti li troviamo
però nella lezione ix quando si parla del fenomeno.
Rispetto alla tradizione filosofica, la novità che Husserl evidenzia
– e che merita di essere studiata – è la differenza tra i diversi modi di
darsi di una stessa cosa, ossia l’ambito dell’apparire. Criticando Husserl,
Patočka pensa che la possibilità che ci siano infiniti modi di mostrarsi
V Infra, p. 96. Ripercorrendo l’analisi storica dei concetti, Patočka si rifà alla relazione della ψυχή di Aristotele con le cose. L’anima indica il nostro essere vivi in un
modo speciale, nel senso che la nostra vita è legata alla chiarezza in quanto la chiarezza è
una funzione della vita stessa. Dire che l’anima è in un certo senso tutte le cose significa
che essa si relaziona costantemente con l’ente. È nell’anima, quindi, che si realizza in
qualche modo la conoscenza del significato di tutto ciò che è. Al concetto aristotelico
di πώς si è ricollegato in seguito Brentano con il concetto di inesistenza intenzionale,
ma – secondo Patočka – questa concezione è infelice perché l’oggetto non può essere
parte dell’atto, non esiste in esso, come pensava invece Brentano. Il πώς di Aristotele,
quindi, sembra migliore. Da Husserl, invece, il πώς è stato definito e tematizzato come
intenzionalità (cfr. J. Patočka, Introduction à la phénoménologie de Husserl, cit., p. 254).
57
IX Infra, p. 104.
56
23
Introduzione
(o di datità) è di per sé in contrasto con l’idea di un terreno ultimo, assoluto, fosse anche quello dell’esperienza riflessiva interna al soggetto,
perché non esiste una riflessione su un atto esperienziale che possa
cogliere l’atto nel suo originale e che possa oggettivizzarlo. Invece, in
accordo con Husserl, Patočka ritiene che l’intuizione esperienziale rimane la base di ogni conoscenza; essa è la ragione che non è possibile
in alcun modo confutare, e perciò da essa devono scaturire tutti gli
argomenti (e non da tesi o argomentazioni vuote).
Per divenire dottrina dell’apparire in quanto tale, perciò, la fenomenologia deve rinunciare a ridurre il fenomeno alla pura immanenza,
ossia smettere «di essere la dottrina di un fondamento assoluto al quale
il fenomeno deve essere ridotto»58. Le conseguenze di questa riduzione
sono «incommensurabili!»59 in quanto l’apparizione non viene colta nel
suo carattere di apparizione, come apparire in quanto tale, ma come
un certo tipo di ente che è già apparso. Noi conosciamo quello che è
proprio sulla base di ciò che è apparso, perché si è manifestato, ma qual
è questa base? Secondo Patočka il processo del mostrare in quanto tale
«è il tema stesso della fenomenologia»60. E in questo punto Patočka
si avvicina a Heidegger in quanto ritiene che, «senza muovere alcuna
critica esplicita nei confronti di Husserl, [Heidegger] ha elaborato la
fenomenologia come dottrina dell’apparire che non riduce l’apparire
all’ente soggettivo»61. La direzione che il filosofo ceco persegue, quindi,
è seguire il cammino dell’analisi del fenomeno, dell’apparire nella sua
datità, nella sua struttura, quale essa si presenta a noi. Questo per evitare ogni forma di costruzione, per lo più soggettivista62.
IX Infra, p. 137.
Ibidem.
60
IX Infra, p. 138.
61
IX Infra, p. 139.
62
Su questo punto, i motivi che hanno portato Husserl a costruire una fenomenologia trascendentale vanno ripensati e sottoposti uno a uno a una revisione. Anche
Kant, in un certo senso, ha voluto risolvere il problema di come le cose ci appaiono:
infatti, la distinzione tra phainomenon e noumenon riguarda la natura del fenomeno in
quanto tale e di ciò che rende possibile l’apparire. Ma in Kant, in maniera ancora più
radicale che in Husserl, la base ultima dell’apparire è il soggetto nel senso dell’io puro
58
59
24
Introduzione
Un’importante distinzione, sottile e rigorosa, riguarda una «doppia
soggettività»63 che – secondo Patočka – troviamo in Husserl: una prima nozione di soggettività può essere colta nella riflessione; un’altra
nozione di soggettività (o soggettualità) la troviamo invece ne La crisi
delle scienze europee. Il mondo ci viene dato originariamente, secondo
prospettive, nella passività e nella ricettività della nostra vita, ma questa “soggettività”, in realtà, è la fenomenalità del fenomeno mondo64.
Questo mondo delle prospettive ha una propria regolarità e struttura
in quanto tale che la fenomenologia deve studiare.
Il problema dell’apparire in quanto tale, dunque, è una questione
che va necessariamente affrontata e che troviamo già nel cuore delle
Ricerche logiche. Secondo Patočka, però, Husserl «non riuscì mai a trasformare in un vero programma filosofico queste sue indagini, queste
sue intuizioni profonde, limitate al campo delle strutture logiche [...]
Ovunque gli apparisse un programma filosofico, lasciava andare il puro
apparire, lo riduceva a qualche ente e si metteva a costruire»65.
La questione dell’apparire, quindi, diventa il problema della fenomenalità del fenomeno. Questa fenomenalità è importante perché in essa
è insita la comprensione delle strutture essenziali delle cose che appaiono. Le cose possono apparire, perciò, solo quando c’è qualcosa che
che compie le sintesi dell’esperienza. L’atto di immaginazione sintetica, quindi, rimane
il presupposto dell’oggetto fenomenico.
63
IX Infra, p. 143.
64
Ritroviamo questa importante distinzione in un saggio di pochi anni prima: Sulla preistoria della scienza del movimento: il mondo, la terra, il cielo e il movimento della vita umana
(1965). In questo testo si distingue tra “soggettivo” e “soggettuale” come appartenente a un soggetto. “Soggettivo” è ciò a cui il soggetto si rapporta come all'orizzonte
della sua comprensione. Una prospettiva, o l’aspetto di una cosa, sono qualcosa di
soggettivo, ma non appartengono ai vissuti del soggetto come lo sguardo che esso
porta su una cosa. Il mondo è soggettivo in questo senso. La prospettiva, invece, fa
riferimento a un soggetto, ma non è una produzione soggettiva. “Soggettuale”, invece,
indica l’appartenenza della cogitatio, o del vissuto, a un soggetto. Quindi, bisogna allargare la comprensione di ciò che intendiamo con “soggettivo”.
65
IX Infra, p. 141. Va però anche detto che ci sono molti altri testi di Husserl, che
Patočka qui non cita, nei quali questi problemi vengono affrontati. Ad esempio: Lezioni sulla sintesi passiva (corsi tenuti da Husserl a Friburgo tra il 1920 e il 1926) e la prima
sezione di Esperienza e giudizio, intitolata: L’esperienza antepredicativa (ricettiva).
25
Introduzione
non coincide con gli enti che appaiono, ma li trascende. Giunti a questo
punto, l’indagine filosofica conduce a interrogarsi sul senso dell’essere
degli enti, e il problema della fenomenologia sembra così legarsi al problema del senso di ciò che esiste. Pertanto, il concetto di fenomeno risulta fondamentale, e il modo in cui la fenomenologia tematizza questa
nozione può rendere la fenomenologia filosoficamente feconda.
c) il mondo
Chiedendosi se la fenomenologia è ancora possibile, Patočka afferma: «la chiave della possibilità della fenomenologia, del problema
del fenomeno in quanto tale, del problema di come le cose possano
apparire a noi e di come io stesso possa essere manifesto a me stesso,
è il concetto di mondo»66. La filosofia è soprattutto una riflessione sul
mondo, cioè una riflessione che intende cogliere le cose nella loro radice ultima67. E alle cose è possibile accedere essenzialmente attraverso il
fenomeno, cioè attraverso il modo in cui le cose appaiono. Data, quindi, la sua importanza centrale, Patočka segue il concetto fenomenologico di mondo in particolare nelle pagine di Essere e tempo. Tale questione
non è meramente terminologica, ma ha un significato filosofico profondo. Mentre nel mondo fisico esistono soltanto atomi, per l’uomo gli
enti del mondo hanno un significato. Il concetto di mondo, secondo
Patočka, è il motivo più interessante introdotto da Heidegger, perché
ci mostra come il problema della manifestazione possa essere trasferito
dall’interno (inteso come coscienza assoluta) all’esterno, senza che questa esteriorità diventi una mera esteriorità delle cose.
Essere nel mondo per l’uomo non significa essere una monade senza
finestre, ma «una monade che non ha bisogno di finestre perché è essa
stessa una finestra»68. Il fenomeno del mondo, quindi, obbliga a chiarire il
XXII Infra, p. 287.
Sullo sviluppo di questo concetto in Patočka mi permetto di rinviare a J. Patočka,
Il mondo come paradosso. Patočka e lo sviluppo della Lebenswelt, Mimesis, Milano-Udine 2016.
68
XXII Infra, p. 287.
66
67
26
Introduzione
senso della soggettività non seguendo la via cartesiana del cogito69. Patočka
rigetta l’idea di una soggettività chiusa, a prima vista assoluta, e catturabile in originale70. Come sappiamo bene da altri testi, egli sviluppa una concezione dell’esistenza che si basa, invece, sul concetto di movimento71.
In queste pagine troviamo, inoltre, la distinzione tra un mondo esterno
e un mondo interno, distinzione alla quale il filosofo aveva lavorato già
alcuni decenni prima72. Il fenomeno del mondo ci pone di fronte, invece,
al tentativo di un concetto di soggettività che, fin dalle sue radici, è una
soggettività aperta. E il fatto che la soggettività sia aperta rende possibile,
al contempo, anche l’oggettivazione di ciò che, nel mondo, è altro da sé.
Anche la natura dei fenomeni non è risolvibile attraverso la via cartesiana (cfr. lezione xxii), nella misura in cui la chiave della fenomenicità del fenomeno si trova nella nozione di prassi, perché le cose che sono
nel mondo si mostrano soltanto praticamente, cioè quando noi agiamo
con esse. Il mondo, quindi, diventa «il modo in cui le cose, sotto forma
di servizi, sono in relazione con la vita nelle possibilità»73 e, in questo
senso, «il senso dell’esistenza viene dettato dall’esterno, dal mondo»74.
Patočka pensa sempre l’io non come qualcosa di dato, ma come qualcosa che sto
ancora cercando e che devo ancora acquisire (cfr. lezione xxiii). Questo perché l’accesso
alle strutture del mio essere non è determinato. La stessa coscienza non è un dato intuibile, ma è la costruzione di un modo d’essere. Anche la riflessione, allora, non significa
osservare ciò che è già là, ma essa ci dice le condizioni di possibilità. Cfr. J. Patočka,
Introduction à la phénoménologie de Husserl, cit., p. 261.
70
Nella lezione dodicesima Patočka afferma che Husserl, «pensatore di straordinaria onestà [...] ha cercato di uscirne».
71
Un accenno a questo tema si trova in queste lezioni: «noi siamo in un mondo
che è in un movimento costante, di cui non siamo gli autori. La nostra vita è un movimento il cui getto ci sfugge; pur trovandoci in una situazione in cui siamo all’oscuro
della nostra origine, dobbiamo compiere il nostro Esserci nel mondo, dobbiamo portarlo avanti» (XIX Infra, p. 253).
72
Questo tema era stato indagato da Patočka nei primi anni Quaranta. Rinviamo a tal proposito alla traduzione italiana: J. Patočka, L’interno e il mondo, Mimesis,
Milano-Udine 2018.
73
XXII Infra, p. 287.
74
XXII Infra, p. 291.
69
27
Introduzione
Aver mostrato alcuni problemi lasciati aperti mostra da un lato che
la fenomenologia è un sapere incompiuto, dall’altro lato non toglie alcuna importanza al continuare a lavorare con questi concetti. Patočka
lo esprime bene alla fine della lezione ottava, quando, parlando della
verità, dice: «Un grande filosofo può sbagliare, ma argomenta una certa
idea fino alla sua logica conclusione, in modo magnifico. E anche se l’idea stessa si rivela essere un vicolo cieco, è in grado di dimostrare molte
cose. Nonostante tutti gli elementi critici, offre molti risultati parziali in
cui emerge la potenza del pensiero creativo»75.
Quale valutazione si può fare – si chiede Patočka – della fenomenologia dopo duemila anni di sforzi? Essa si è presentata con la pretesa di
costituire una disciplina di base per la filosofia, ossia una philosophia prima
che avrebbe dovuto diventare il fondamento di tutte le altre discipline
filosofiche, un sapere umano unificante e unitario. Questo, però, non
si è realizzato: non soltanto perché nell’epoca moderna, intesa come
metafisica, essa è stata abbandonata, ma anche perché ci troviamo nel
tempo delle conoscenze specialistiche e settoriali, che non necessitano
di un unico fondamento vincolante. Il motivo più importante, però,
è che le nuove considerazioni ontologiche hanno mutato sostanzialmente l’intero quadro di riferimento al cui interno si trovava l’intera
struttura dell’ego cogito cogitatum. La pretesa di Husserl di interpretare la
fenomenologia come philosophia prima, perciò, non è più realizzabile.
Cos’è allora la filosofia fenomenologica alla quale queste lezioni intendono essere un’introduzione? L’indicazione più chiara che troviamo qui è
la seguente: non è una filosofia riflessiva nel senso di una filosofia che costruisce; essa vuole studiare invece il suo oggetto nella semplice intuizione
e risolvere i problemi con la dimostrazione, e non costruzioni dialettiche.
L’interpretazione critica del cogito cartesiano serve a Patočka per criticare il
modo in cui Husserl sviluppa la sua fenomenologia e per mostrarne altre
possibilità. Tra tutte queste possibilità, il rapporto tra la soggettività e l’apparire – tema che riguarda ovviamente la possibilità della conoscenza e il
senso della riflessione – rimane a nostro avviso uno dei più importanti.
75
VIII Infra, p. 132. Il riferimento è ad Husserl.
28
Introduzione
Negli ultimi paragrafi della lezione conclusiva, parlando della relazione tra il tempo e l’essere inteso come “scena” su cui gli enti si manifestano e possono essere dati, troviamo un’altra indicazione significativa.
Patočka aggiunge una critica all’intera teoria del tempo di Heidegger:
secondo lui bisognerebbe ripensarne l’intera struttura, in modo che l’analisi heideggeriana, pur continuando a fungere da analisi esemplare nel suo
campo, diventi solo una delle possibili dimensioni della temporalizzazione del tempo (rispetto, ad esempio, al tempo di un animale, o al tempo
di fenomeni collettivi come la speranza). Come poter allora mostrare
che l’analisi heideggeriana è solo una delle modalizzazioni della temporalizzazione del tempo? Questi paragrafi finali aprono una problematica
grandissima, ma purtroppo, proprio in questo punto le lezioni finiscono.
La traduzione in italiano di questo corso universitario è importante. Fino a oggi gli studiosi internazionali hanno potuto disporre delle
traduzioni in spagnolo76 e in svedese77. Tenendo conto che la ricezione
del pensiero di Patočka si è sviluppata in Francia e Germania già alla
fine degli anni Ottanta del secolo scorso, e che in questi ultimi anni alcune tra le opere più significative sono state tradotte in inglese, questa
traduzione italiana offre ora la possibilità di conoscere meglio il suo
pensiero anche nel nostro Paese attraverso un testo ancora molto poco
noto, ma rilevante per il suo contenuto. Patočka sviluppa una critica
delle fondamenta della fenomenologia, una critica che non indica la
sua fine, ma suggerisce piuttosto un nuovo inizio. Attraverso la rilettura
critica del pensiero di Husserl, egli interroga le possibilità e il senso non
solo della fenomenologia come scuola filosofica ma anche della stessa
filosofia. Alla domanda su cosa sia la fenomenologia non si può allora
rispondere se non attraverso un pensare fenomenologicamente. Ecco
come il filosofo ceco intende la filosofia fenomenologica.
J. Patočka, Introducción a la fenomenología, tr. J.A. Sánchez Fernández, a cura di I.O.
Rodríguez, Herder Editorial, Barcellona 2005.
77
J. Patočka, Inledning till fenomenologisk filosofi, tr. L. Kramár, a cura di G. Strandberg, Södertörn Philosophical, Stockhol 2013.
76
29
Introduzione
Per aver approvato e creduto in questo progetto desidero esprimere
un vivo ringraziamento al professore Vincenzo Costa, che ci ha permesso
di ospitare questo lavoro in una collana editoriale filosofica appropriata.
Per la generosa disponibilità manifestata fin dall’inizio e per la professionalità dimostrata, esprimo un vivo ringraziamento alla professoressa
Anna Maria Perissutti (Università di Udine), che, pur tra molteplici altri impegni e incombenze accademiche, ha svolto in maniera così accurata questo lavoro di traduzione che in molti passi è stato una vera e propria sfida.
Infine, un ringraziamento sentito al direttore dell’Archivio Jan Patočka di Praga, professor Jan Frei, che ha seguito questo nostro terzo lavoro di traduzione78. Grazie a lui è stato possibile rileggere pazientemente
tutto il testo, parola per parola. Questo procedimento è divenuto così
l’esperienza di una “gioia filosofica” quasi settimanale, durata circa sei
mesi, durante i quali abbiamo discusso scelte traduttive, ci siamo confrontati per comprendere come rendere certi neologismi di Patočka; ma
anche abbiamo criticato il suo pensiero nei punti nei quali ci sentivamo
di dissentire maggiormente. Una traduzione può emergere solo del contesto di un vero dialogo filosofico. Questo confronto reciproco e questa
condivisione di aperture, divenuta spesso occasione per fare riferimenti
al pensiero anche di altri pensatori, è diventata l’esperienza appassionata
di un συν-φιλοσοφείν che ha arricchito numerosi nostri fine settimana.
In questa edizione sono state tradotte e riportate le note dell’edizione ceca, così come sono. Quando la nota, invece, è del revisore italiano
o della traduttrice, ciò è stato segnalato con la sigla N.d.R., N.d.T.
I titoli dei singoli capitoli, invece, non sono presenti nell’edizione
ceca. Ogni lezione affronta diverse questioni ed è difficile scegliere un
titolo che copra l’intero capitolo. I titoli indicati, qui aggiunti per ragioni editoriali, cercano perciò di essere fedeli a uno dei temi principali
affrontati di volta in volta da Patočka in quella lezione.
Marco Barcaro
78
I precedenti sono: L’interno e il mondo (Mimesis, Milano-Udine 2018) e Il mondo
naturale e il movimento dell’esistenza umana (Mimesis, Milano-Udine 2022).
30
Sommario
Introduzione di Marco Barcaro
5
1. Il contesto storico, 5 - 2. Un interesse costante per i temi fenomenologici, 6 - 3. Il ripensamento della filosofia attraverso la fenomenologia, 9 - 4.
Tre concetti-chiave, 21
Nota degli editori cechi
31
Nota di prefazione di Jan Frei
33
Nota della traduttrice di Anna Maria Perissutti
35
Jan Patočka
Introduzione alla filosofia fenomenologica
I. Un nuovo fondamento?
39
II. L’intuizione originaria
55
III. La ricerca storica sulla ψυχή
67
IV. Tornare alle cose stesse!
79
V. Il problema della verità
93
VI. La cosa della filosofia
103
VII. Il terreno della verità
113
Sommario
VIII. Critica alla coscienza assoluta
123
IX. Un’altra direzione
135
X. I modi dell’apparire
147
XI. La soggettività dell’apparire
159
XII. Una philosophia prima?
171
XIII. Le tonalità emotive
181
XIV. La comprensione: chiarezza non oggettivante
191
XV. Il linguaggio interpretante
203
XVI. La temporalità del sum
215
XVII. L’esistenza come un tutto
227
XVIII. Il richiamo della coscienza
239
XIX. Temporalità e soggiorno nel mondo
251
XX. La struttura problematica della temporalità
263
XXI. La filosofia del tempo in Hegel
275
XXII. Esistenza finita e carattere infinito del tempo
283
XXIII. Temporalizzazione e fenomenalità
295
Indice dei nomi
307
Indice dei concetti
309
318