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Carlo Tosco Paesaggi cistercensi: armonie e conflitti I monaci cistercensi sono tradizionalmente considerati tra i più attivi ‘costruttori di paesaggi’ del Medioevo. È ben nota la loro capacità di pianificare i possedimenti delle abbazie, dissodare le aree incolte, abbattere le foreste, prosciugare gli acquitrini, sistemare i terreni per lo sfruttamento agricolo intensivo. Tra le immagini più note della miniatura cistercense troviamo proprio una scena di disboscamento, nel codice dei Moralia in Job redatto a Cîteaux e oggi alla Bibliothèque municipale di Digione (ill. 1).1 Nei progetti di sistemazione rurale un ruolo di grande importanza era assunto dalle grange. Questi nuclei insediativi, decentrati rispetto al circuito monastico, funzionavano come centri aziendali a gestione diretta, affidati in prevalenza alla cura dei conversi. È nello studio delle grange che la storia dell’architettura si connette alla storia del paesaggio agrario, esaminando i resti materiali ancora conservati di questi edifici, insieme alle strutture di servizio, alle canalizzazioni e alle tracce archeologiche dei sistemi colturali. Su questo tema le ricerche in Italia sono ancora poco sviluppate, e i lavori migliori si devono a Marina Righetti, che ha aperto nuove prospettive con indagini a vasto raggio, centrate sull’‘architettura per il lavoro’.2 I grandi interventi di sistemazione promossi dalle abbazie cistercensi si collocavano in territori che, nella maggioranza dei casi, erano già stati raggiunti dall’espansione agraria dell’XI secolo. I nuovi monasteri, che secondo le regole dell’ordine avrebbero dovuto sorgere “in locis a conversatione hominum semotis”,3 in realtà nascevano in zone dove esisteva una popolazione residente, con villaggi rurali, ambienti antropizzati e beni collettivi. I cistercensi erano dei ‘coprotagonisti’4 nella trasformazione dei paesaggi, che operavano a fianco delle forze locali, dei contadini e dei poteri signorili. È l’aspetto che si vorrebbe approfondire in questo contributo: il paesaggio come frutto di un intreccio di rapporti tra gruppi sociali, che in molti casi divengono aperti conflitti. L’intento sarebbe di superare una visione ancora troppo idealizzata dei paesaggi monastici, come regno di civiltà agraria, di gestione esemplare e di virtù religiosa. Per chiarire meglio questi temi, la via migliore è 576 1. Dijon, Bibliothèque municipale, ms 173, fol. 41r, Gregorio Magno, Moralia in Job, pagina miniata (da Righetti 2008) ascoltare la voce dei protagonisti. I paesaggi del passato possono essere ricostruiti per diverse vie: leggendo i documenti, esaminando le mappe d’archivio, identificando i resti ancora conservati sul terreno. Nella grande varietà dei documenti giunti fino a noi, tra le testimonianze più significative troviamo le descrizioni dirette del territorio, pronunciate da persone che hanno abitato i luoghi e percepito i segni dell’ambiente che li circondava. Nel Medioevo è raro incontrare descrizioni di questo genere, e quando sopravvivono nei documenti è sempre un’occasione preziosa, che offre la possibilità di gettare uno sguardo vivo sui paesaggi del passato. Una di queste occasioni si ritrova in una raccolta di deposizioni giudiziarie legate all’abbazia di Santa Maria a Staffarda, uno dei primi monasteri cistercensi fondati in Italia, nata tra il 1127 e il 1138 nella pianura saluzzese, ai piedi delle Alpi Cozie.5 Nel 1209 un certo Guglielmo ‘de la Mura’, chiamato a testimoniare in una lite scoppiata tra i monaci di Staffarda e i signori locali per il possesso di un bosco non lontano dall’abbazia, il bosco di Aimondino, aveva dichiarato quanto ricordava sulle antiche consuetudini della sua gente. Un giorno, molti anni prima, quando era ragazzo, un compaesano più anziano lo aveva portato di fronte al bosco e gli aveva indicato il folto degli alberi con rammarico, dichiarando che presto tutto sarebbe scomparso: Boschus iste de armitanis est et ipsi debent eum exarare et si exartabunt eum, perdita est caza porchorum, cenglariorum et cervorum, quoniam iste nidus eorum est. (Questo bosco è dei cistercensi, che lo devono disboscare, e se lo disboscheranno andrà persa la caccia ai maiali [selvatici], ai cinghiali e ai cervi, poiché è quella la loro tana).6 577 Nelle parole di Guglielmo si apre di fronte a noi un paesaggio, il modo di vedere un bosco con gli occhi di un uomo del XII secolo. La foresta non è uno spazio estraneo e ostile, ma al contrario un ambiente famigliare, vicino alle abitazioni, una riserva naturale di caccia, ricca di animali di grossa taglia. Il bosco però è anche uno spazio di conflitto, che genera un contrasto tra modi diversi di rapportarsi alle risorse ambientali: per i monaci è un ambiente da aggredire, da dissodare e portare a coltura, per assicurare nuove terre arabili all’abazia. La testimonianza ci ricorda che la “lunga tranquillità ecologica”7 dell’Alto Medioevo è finita: ora il territorio è sempre di più uno scenario di conflitti tra gruppi umani in crescita, poteri locali e stili diversi di vita. Le paure del compaesano non erano infondate: il bosco di Aimondino verrà sacrificato e sulle terre dissodate sorgerà una grangia, un’azienda agricola ben organizzata, gestita dai monaci di Staffarda (ill. 2-3). È importante osservare che i conflitti generati a Staffarda non erano un fenomeno isolato, ma molto frequente e, si direbbe, inevitabile quando le abbazie cistercensi sorgevano in territori già antropizzati. In Lombardia ad esempio le ricerche di Luisa Chiappa Mauri hanno indagato le vicende della grangia di Valera, costruita per iniziativa dell’abbazia di Chiaravalle Milanese nel territorio di Lodi.8 Verso il 1180 i cistercensi acquisiscono nell’area una grande quantità di terre, convertono i boschi in prati per foraggi e fondano una grangia impegnata nell’allevamento. Alla fine del secolo il paesaggio è profondamente cambiato: l’antico villaggio rurale di Valera è in abbandono e i coloni si sono in gran parte trasferiti nella grangia, al servizio dei monaci come salariati. Volendo estendere il nostro sguardo ad un confronto internazionale, anche oltre le Alpi le abbazie cistercensi avevano costruito i loro paesaggi rapportandosi con difficoltà alle popolazioni locali. Per esigenza di spazio, in questo breve saggio, possiamo limitare il confronto con il regno d’Inghilterra, dove i cistercensi penetrano con successo nel corso del XII secolo, grazie al favore della monarchia e dei poteri signorili.9 Le ricerche più recenti hanno esaminato in modo approfondito le modalità di fondazione delle nuove abbazie, i sistemi di sfruttamento delle terre, i progressi dei dissodamenti e la gestione dei sistemi agrari. 578 CARLO TOSCO 2. Il sistema delle grange dell’abbazia di Staffarda, nella pianura saluzzese: la croce a sfondo grigio indica la localizzazione incerta, tra parentesi la data della prima attestazione come grangia (da Beltramo 2010) 3. Il paesaggio agrario della grangia di Aimondino dell’abbazia di Staffarda e lo sviluppo del sistema insediativo tra XII e XIV secolo ) Di recente Bryan Waites ha indagato la ramificazione dei cistercensi nelle campagne a nord-est dello Yorkshire con i metodi più aggiornati della Landscape history, tenendo conto dei caratteri geomorfologici, del regime delle acque e delle potenzialità dei suoli (fig. 4).10 Viene così ricostruito sul terreno quel processo insediativo che i documenti medievali indicavano come “redigere in grangiam”: una progressiva riorganizzazione in senso aziendale dei territori rurali. In alcuni casi le analisi paleobotaniche, condotte in modo mirato sulle terre occupate dai religiosi, hanno consentito di ricostruire la trasformazione dei paesaggi, dalla foresta di querce alle colture cerealicole.11 Le ricerche dimostrano che il sistema delle grange favoriva un completo accorpamento delle proprietà nelle mani dei monaci bianchi, che detenevano la ricchezza necessaria per le acquisizioni fondiarie e per la pianificazione su vasta scala dei terreni da dissodare. Un caso significativo può essere ricordato: nel 1142 William de Roumara, conte di Lincoln, aveva donato le terre in suo possesso nelle località di Revesby, Thoresby e Sythersby all’abate di Rievaulx per la fondazione di un nuovo monastero. La carta di donazione offriva alle popolazioni residenti la possibilità d’impegnarsi nei lavori di dissodamento oppure di abbandonare le terre dove sarebbe sorta l’abbazia. Ebbene soltanto tre uomini accettarono di restare dove abitavano, mentre trentuno capifamiglia preferirono trasferirsi altrove.12 La situazione appare chiara: le popolazioni vedevano come una vera minaccia l’arrivo di una comunità cistercense nei loro territori. Nell’Inghilterra del XII secolo la testimonianza più significativa per l’ostilità verso i monaci bianchi è sicuramente quella di Walter Map.Vicino alla prestigiosa corte di Enrico II Plantageneto e di Eleonora d’Aquitania, dotato di vasta cultura e canonico ad Oxford, Walter Map presenta nelle pagine del De nugis curialium un’accusa violenta contro i nuovi ordini monastici. Le critiche non risparmiano lo stesso Bernardo di 579 per cui in qualunque luogo li chiami, scoraggiano l’afflusso di uomini ed in breve con la forza li riducono in pochi e, se non onestamente, ottengono in qualunque modo lo scopo. Si introducono con gioia nei campi ceduti da un signore ingiusto a dispetto delle proteste di orfani, vedove, religiosi, preoccupati non di come ottenerli, ma di come trattenerli, e poiché secondo la regola non possono governare i parrocchiani, distruggono villaggi, abbattono chiese, espellono i parrocchiani).13 Chiaravalle, dileggiato come uno scaltro approfittatore e dispensatore di falsi miracoli. Un brano in particolare del libro tratta della conduzione delle abbazie e della rapacità che i monaci dimostravano nei confronti delle popolazioni locali: Manibus agriculturam omnimodam exercentes propriis, intra septa mecanici, extra runccatores opiliones nogociatores, in singulis officiosissimi. Bubulcum non habent vel subulcum nisi ex se, nec ad minimas et utiles custodia vel opera feminarum, ut lactis et similium, quempiam preter conversos suos admittunt. […] Habent in preceptis ut loca deserta incolant, que scilicet vel invenerint talia vel fecerint; unde fit ut in quamcumque partem vocaveris eos, hominum frequenciam sequantur, ut eam in brevi potenter in solitudinem redigant; et si non recte, faciunt quocumque modo rem, et a non iusto domino contra quamlibet reclamacionem orphanorum, viduarum, religiosorum, datos agros gratanter ingrediuntur, non quomodo eos adipiscantur sed quomodo retinere valeant solliciti, et quia parrochianos regere non habent secundum regulam, eradicant villas, ecclesias parrochianos eiciunt evertunt, altaria deiecere non abhorrent. ([I monaci bianchi] esercitano con le proprie mani ogni tipo di agricoltura, sono entro la cinta del convento artigiani, fuori sarchiatori, pastori, commercianti, industriosissimi in ciascun mestiere. Non hanno bovari né porcari se non dei loro, e neanche alle più piccole ed insignificanti incombenze, o ai lavori da donne, come il munger latte e simili, ammettono chicchessia che non faccia parte dei loro conversi. […] È per loro una regola abitare luoghi deserti, ed essi, se non li trovano così, li fanno diventare; 580 CARLO TOSCO 4. Il sistema delle grange dell’abbazia di Rievaulx, nello Yorkshire settentrionale (da Waites 2007). Il brano è certamente condizionato da enfatizzazioni retoriche e inasprito dai risentimenti personali dell’autore, che era in lite con i cistercensi di Flaxley per il mancato pagamento delle decime.14 La sostanza delle accuse di Walter Map però appare fondata, e richiama direttamente quanto era successo a Staffarda e nel villaggio lombardo di Valera. È interessante osservare che, in contesti geografici e politici del tutto diversi, i monaci bianchi operino con modelli ricorrenti, che turbano gli equilibri locali fino a suscitare gravi contrasti con le popolazioni. La storia dei paesaggi organizzati dai cistercensi promette ancora molti sviluppi, ma è significativo constatare che l’armonia non sempre regnava nelle terre dei monaci, come certe letture idealizzate vorrebbero presentare. La forza dei religiosi rispetto ai laici si basava sulla ricchezza delle abbazie, sulla coerenza dei progetti di espansione, sull’appoggio dei poteri signorili, sulla disponibilità di mano d’opera garantita dai conversi. Le popolazioni locali non potevano certo opporre una resistenza adeguata e i loro diritti finivano inevitabilmente per soccombere. È bene ancora ricordare che questi conflitti non erano caratteristici soltanto degli insediamenti cistercensi, ma coinvolgevano tutti i nuovi ordini monastici nati dalle riforme dell’XI secolo. Anche i certosini non erano immuni da tali pericoli. La consuetudine tipica di questi monaci di fissare un perimetro di desertum intorno alle certose, ben delimitato da segni di confine, dove operavano le grange impegnate soprattutto nell’allevamento d’altura, generava inevitabili contrasti con le popolazioni, che si vedevano sottrarre l’uso dei boschi e dei pascoli considerati per consuetudine beni comuni. Un esempio eloquente è rappresentato dalla certosa di Santa Maria a Pesio, fondata sulle Alpi Marittime nel 1173, dove la documentazione scritta ha tramandato un susseguirsi secolare di liti e di contrasti, sfociati in atti di violenza e aggressioni armate al monastero.15 La situazione cambierà soltanto nel tardo Medioevo, quando gli ordini monastici entreranno in una crisi profonda, mentre i loro patrimoni passeranno decisamente dalla conduzione diretta a quella indiretta, con la concessione in affitto delle terre. In Inghilterra inizia già nel XV secolo il fenomeno delle enclosures, e si segnalano reazioni sempre più decise da parte delle comunità locali. Due secoli dopo Walter Map, sulla stessa linea si collocano le parole di John Rous, che denuncia le vessazioni della comunità del villaggio di Cawston-on-Dunsmore da parte di cistercensi dell’abbazia di Pipewell: “The monks are delighted with the profits of enclosure, but the local people who have been despolied 581 by it are grieved at the robbery committed”.16 Il problema assumeva ormai in Inghilterra una portata nazionale, nel clima delle riforme promosse da Enrico VIII, e un’apposita commissione d’inchiesta venne stabilita nel 1517 dal cardinale Wolsey per indagare sui soprusi dei monaci nelle campagne. Lo studio dei paesaggi agrari nel tardo Medioevo è ancora un capitolo aperto nella storiografia, soprattutto in Italia. Molte ricerche richiedono di essere riprese, e le abbazie cistercensi rappresentano un osservatorio privilegiato per comprendere lo sviluppo dei rapporti tra società, ambiente e risorse naturali. Il ricorso ai metodi più aggiornati, in particolare alle potenzialità offerte dalle analisi paleobotaniche, ormai abituali in Inghilterra, è ancora raro nei nostri progetti di ricerca. Il tema delle ostilità tra monaci e comunità laiche, da tempo indagato dagli storici, dovrebbe essere proiettato sulle indagini archeologiche e di storia dell’architettura, ricercando le tracce materiali di quei conflitti che hanno segnato la storia dei nostri territori. Bibliografia L’abbazia di Staffarda 1999 = L’abbazia di Staffarda e l’irradiazione cistercense nel Piemonte meridionale, atti del convegno (Revello, 17-18 ottobre 1998), a cura di R. Comba, G.G. Merlo, Cuneo 1999. Auberger 1990 = J.B. 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Righetti, I cistercensi e l’acqua, in Abbazia di Fossanova. 800 anni tra storia e futuro, catalogo della mostra (Roma, Museo Centrale del 1 L’immagine del taglio dell’albero, che rappresenta l’iniziale I del libro XXI, si presta anche a letture allegoriche, con riferimento ai differenti pericoli delle tentazioni per i laici e per i religiosi: Rudolph 1997. 2 Righetti 1993; Righetti 1992, pp. 141-152; Righetti 2008, pp. 39-44. 3 Per questa prescrizione contenuta negli statuti più antichi dell’ordine: Auberger 1990, pp. 31-32; per la collocazione prossima alle città delle maggiori abbazie italiane e i rapporti con i comuni: Grillo 2008. 4 Secondo l’espressione di Rao 2015, p. 115. 5 L’abbazia di Staffarda 1999; Tosco 2003, pp. 13-90; Provero 2004, pp. 529-558; Beltramo 2010. 6 Il documento del 1209, conservato in copia quattrocentesca presso un archivio privato, è pubblicato da Risorgimento, 23 maggio-29 giugno 2008), a cura di G.B. De Rossi, M. Cancellieri, M. 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