Location via proxy:   [ UP ]  
[Report a bug]   [Manage cookies]                
Studi, ricerche, approfondimenti, e traduzioni Avv. Carmine Alvino S. URIELE E IL VEN. ANTONIO MARGIL (1657 – 1726) APOSTOLO ED EVANGELIZZATORE NELLE AMERICHE QUANDO SPARISCE UN ARCANGELO! Carissimi lettori, … proprio in questa occasione, come mai in altre, si nota maggiormente la incauta mano operata dalla censura ecclesiastica, che andò ad eliminare il riferimento concreto dell’Angelo Uriele, all’interno della biografia del Venerabile Antonio Margil, il grandissimo evangelizzatore d’ America, cosicchè, nelle edizioni successive della medesima biografia, non fu più presente alcun riferimento a questa apparizione. Ciò fu fatto per non compromettere l’arresto del Sinodo Romano II, sotto Papa Zaccaria del 745 d.c. e dei successivi decreti che ad esso si conformavano. Pertanto, onde salvaguardare una pretesa (o presunta) correttezza dottrinaria, non ci si fece scrupolo di mutilare la memoria di p. Margil, così oggi noi potremmo pregarlo, essendo stato proclamato venerabile dal Papa Gregorio XVI° nel 1836, senza tuttavia conoscere e pregare lo Spirito angelico che lo proteggeva. Ciò significa che seppur la Chiesa ritenga Margil aver pregato un “demone”, come sostenne il cardinale Baronio, nei suoi Annales Ecclesiastici del 1600 con riguardo ad Uriele Arcangelo, avendo tuttavia Margil, compiuto opere degne di venerazione e diffuso il Santo Evangelo e il Rosario, può comunque essere pregato senza la memoria del suo protettore: insomma ancora una volta si salva il buono e si cancella quello che non piace! In ciò, si è inevitabilmente voluto comprimere la Verità di Cristo, il quale è Vero Dio anche e soprattutto in coloro che sceglie per la nostra salvezza, ciò perché in Dio, Ontologia (Essere) e Deontologia (Dover Essere) sono una ed una sola essenza! Non vi può essere cioè, Cristo che sia separato dal Suo Operato! Cristo “è” anche perché “agisce ed opera” nel mondo compiendo la volontà del Suo Padre Celeste. Credere il contrario, cioè che Cristo non operi, ed anzi esista indipendentemente dal suo operare, significa inevitabilmente non credere in Gesù Cristo. Se dunque non vi può essere un Cristo “fatto a pezzi” o peggio “a segmenti di Sé”, ma dobbiamo adorare Nostro Signore nell’interezza della sua Divina Essenza, fa parte inevitabilmente e meravigliosamente della Medesima Essenza, anche il suo potere di scelta e d’elezione, che merita la stessa considerazione di quella Sostanza Infinita che sceglie ed elegge. Questo non significa adorare l’ “oggetto” della scelta che è e resta una Sua creatura, bensì adorare la “Scelta Stessa” che in quanto opera di Cristo, è Essa Stessa Cristo. Cristo non è separato infatti dalle sue opere e dai conseguenti benefici che ci elargisce. Ma se questi benefici non vengono accettati, o peggio, se coloro che sono stati scelti per la nostra Salvezza, non sono riconosciuti, si finisce per mutilare Cristo, e per non accettare totalmente la Verità di Cristo: come un albero che , amputati “senza ragione” alcuni dei suoi rami, finisce per crescere storto. Ed in tal modo, siccome non vi può essere verità parziale in Dio, conseguentemente non vi può essere Verità parziale in Cristo! Noi non adoriamo mezzo Cristo, ma Cristo intero, né nella Santa Eucarestia lo assumiamo, a metà o in parte, ma tutto intero. Per questo, anche la scelta operata da Cristo è vero Cristo, ed in ciò riteniamo, sta l’errore più evidente di questo operato. Sorgono dunque diverse domande che rimangono allo stato inevase:  È giusto salvaguardare la dottrina, se questa va contro Cristo?  È giusto rispettare l’arresto di un Sinodo se questo pronuncia contro la Verità di Cristo?  Ed al contrario, se si appurasse realmente, che diversi Santi che hanno invocato S. Uriele, in aperta dissonanza dal responso di quel Sinodo, siano caduti in errore, allora gli stessi non hanno confessato Cristo, ma il demonio?  Infatti l’errore può essere scusabile nella dottrina, ma non nella liturgia, o nell’illuminazione Celeste, dove, la preghiera diretta verso satana e i suoi accoliti, non può essere rivolta anche a Dio, e i frutti da essa ricevuti, non sono e non possono essere dello Spirito Santo, ma del Principe dell’iniquità!  Se dunque, si è confessato satana, non si può raccogliere frutto, ma se invece non si è confessato satana, ma si confessa Cristo ed una verità di Cristo: perché non si accoglie Cristo e coloro che lui ha scelto per la nostra salvezza? Difatti ,come abbiamo visto, la Sacra Congregazione dei Riti riteneva (e forse ritiene ancora) essere un errore la devozione all’Arcangelo Uriele. Certo, se di errore si tratta, c’è da chiedersi quale impatto avrebbe allora sulla proclamata santità di quelle personalità del cattolicesimo che, come abbiamo visto, veneravano, ed in qualche caso, pregavano pure, S. Uriele. La vicenda va presa quindi con attenta circospezione. ANTONIO MARGIL DI GESU’ GLI INCREDIBILI TRAGITTI DI ANTONIO MARGIL VERO E PROPRIO SAN PAOLO DELLE AMERICHE (1) (2) (3) Viaggia nell'America centrale, Messico e Texas e Louisiana. Viaggia in Honduras, Nicaragua, Costa Rica e Panama Viaggia Messico, Guatemala e El Salvador 1) 2) 3) mappe tratte da: Select Writings of Ven Fr. Antonio Margil, O.F.M. Chicago: Franciscan Herald Press, 1976 VITA, VIRTU’ E MIRACOLI DEL VEN. PADRE ANTONIO MARGIL All’inizio1 del sec. XVIII° l’America settentrionale poté vantare uno nuovo Apostolo di Cristo, vero e proprio San Paolo delle Americhe, il sacerdote francescano Antonio Margil di Gesù (1657 – 1726) , che per quarantatré anni continui, instancabilmente percorse tutte quasi le terre, che formavano allora la Nuova Spagna2 [Texas, Arizona, California, Colorado, Nevada, Nuovo Messico, Wyoming e Utah], il Regno del Messico, e parte della Luisiana, per diffondere da ovunque la luce del Vangelo. Tali nobilissime imprese unite ad un esercizio costante d’ogni virtù e corredate da singolarissimi doni soprannaturali resero Margil il più grande evangelizzatore d’ America. Nacque nella città di Valensia in Spagna il 18 agosto 1657 dai coniugi Giovanni Margil e Speranza Ros, persone di basso lignaggio e sfornite di beni di fortuna, ma pie e virtuose, che non tardarono di dedicarlo a Dio per mezzo del santo battesimo e ad impartirgli un’educazione veramente cristiana. Ricco di tali virtù, passò così tanto santamente la fanciullezza e la prima adolescenza, che quando morì, nel fare la sua ultima confessione, poté francamente dire al suo confessore, di non avere mai peccatto durante i suoi primi anni. Verso i sedici anni d’età, Antonio, si presentò ai Padri Minori Osservanti del convento della Corona di Nostro Signore in Valensia, domandando umilmente l’abito religioso, che ottenne, dopo aver passato l’anno di Notizie della vita, virt, doni e miracoli del Ven. servo di Dio Fr. Antonio Margil, di Giuseppe Maria Gusman Il Vicereame della Nuova Spagna (1535-1821), all'interno dell'Impero coloniale spagnolo, fu il primo vicereame spagnolo ad essere istituito e anche il più esteso (oltre cinque milioni e centocinquantamila chilometri quadrati al momento della sua dissoluzione) esso occupava tutta la metà centro-occidentale degli attuali Stati Uniti (Texas, Arizona, California, Colorado, Nevada, Nuovo Messico, Wyoming e Utah) più tutto l'attuale Messico e la gran parte dell'America Centrale (allora compresa nella Capitaneria Generale del Guatemala che includeva gli attuali Guatemala, Honduras, El Salvador, Nicaragua, Costa Rica), erano sotto suo dominio anche: la Capitaneria Generale di Cuba (da cui dipendevano anche i territori della Florida, Porto Rico e Santo Domingo) e la Capitaneria Generale delle Filippine nel Pacifico; il Vicereame rivendicava inoltre il possesso del Paese dell'Oregon (dalla Columbia Britannica, in Canada agli attuali stati americani di Washington, Oregon, Idaho) e dal 1763 al 1803 occupò anche la ex Louisiana francese; la capitale del Vicereame era posta a Città del Messico. La Nuova Spagna non solo amministrava le terre comprese entro questi limiti ma come detto anche l'arcipelago delle Filippine in Asia e varie isole minori dell'Oceania come l'isola di Guam e le Marianne. Dopo la sconfitta dell'esercito spagnolo da parte delle truppe di Agustín de Iturbide e di Vicente Guerrero, tutto il territorio fu reso indipendente. Il Vicereame della Nuova Spagna è il predecessore storico dal quale sorse immediatamente dopo il Messico. 1 2 noviziato, il 13 aprile 1674. Terminati gli studi teologici, egli si diede sin da subito, nella stessa città di Valensia, ad esercitare con un impegno straordinario il suo ministero, senonché, stante la continua richiesta di Missionari che andassero ad annunziare il Vangelo in America, egli prontamente si presentò, e richiese d’essere uno di loro. Dopo aver preso congedo dalla madre, tra molte lacrime, giunse con gli altri Missionari a Veracruz, il 6 giugno del 1683, dopo una penosissima navigazione di novantatré giorni. La disgrazia di quella città, che allora era messa a sacco dai francesi, presentò all’istante un vasto campo alla carità dei nostri Religiosi. Come lo stato delle cose lo permise, essi si diedero a sotterrare i cadaveri, che erano rimasti insepolti, a confortare gli afflitti, a curare i feriti, e somministrare loro tutti gli aiuti di cui avevano bisogno. Ben presto però Antonio si allontanò da Veracruz, e, portando con sé per equipaggiamento, il bastone ed il breviario, si pose, sulla strada del Messico scortato da alcuni mulattieri, che trasportavano mercurio. Questo primo viaggio, fu per lui, una continua missione evangelica: in ogni luogo che attraversava, infatti, predicava con sommo fervore e recitava il Rosario, ascoltava quante più confessioni poteva, celebrava la Messa, distribuiva l’ Eucaristia ai confessati. Giunto alla città di S. Giovanni del Rio, ricevette dai suoi Superiori l’ordine di proseguire il viaggio fino a Queretaro, per prendervi il possesso del convento di Santa Croce assieme ad altri Religiosi. Li, cominciò subito ad impegnarsi a tutto vantaggio di quei cittadini, e poiché vide germogliare sin da subito rilevanti frutti di conversione, ritenendo inutile soffermarsi ulteriormente, ritornò indietro per ben trentotto leghe sul cammino già percorso, al fine di evangelizzare le province del Messico. Ritornato poi nuovamente a Queretaro, gli fu ordinato di dirigersi immediatamente a Veracruz per passare di là nello Yucatan in compagnia di altri religiosi a fondarvi la “Recollezione” della Mexorada3. Rientrò dunque con tutta la fretta possibile a Veracruz, ma giunto li, considerando che non erano ancora stati allestiti i preparativi per la partenza, si diede a passare il tempo, facendo missioni evangeliche nella vicina Isoletta di S. Giovanni d’Ulva; finché predisposto finalmente l’imbarco, salì coi suoi compagni sulla nave. Giunse nello Yucatan nell’ Aprile del 1684, ed incominciò subito ad evangelizzare la città di Campeche, ove era approdato; e siccome per la fondazione della “casa di recollezione” ci voleva ancora del tempo, egli non si fermò li, ma continuando nella sua predicazione, portò le missioni francescane fino a Merida. Da li ritornò nuovamente a Campeche, dove lo voleva il P. Commissario generale Fra Giovanni di Lusuriaga per averlo come compagno nella fondazione della “casa di recollezione”. Ma la Provvidenza Divina dispose di lui in modo diverso, in quanto, invece di rimanere li, gli fu ordinato, assieme al P. Fra Melchiorre Lopez, di continuare altrove la sua missione. Abbandonata Campeche, fece vela col compagno per Tabasco, per andare a recar rimedio ai mali spirituali di quella provincia. Ivi giunto, si diede con instancabile fervore a tutti gli esercizi del suo ministero apostolico, non risparmiandosi in nulla per ottenere che si estirpassero i vizi e le anime fossero indirizzate nel sentiero della virtù. E ciò gli riusciva perché la sua zelante predicazione era accompagnata da costumi irreprensibili, da profondissima umiltà, austera mortificazione di se stesso e da una carità e mansuetudine senza pari, che mostravano in lui un vivo modello di quella dottrina, che con tanto impegno, inculcava negli altri. I ‘Recolletti’ francescani, ebbero origine come ramo degli Osservanti in Spagna, agli inizi del XVI secolo e furono così chiamati dalle case di ritiro o di recollazione, istituite a partire dal 1502, con lo scopo di una vita più austera e di raccoglimento; alla fine del XVIII secolo avevano oltre 490 conventi. 3 Con questo contegno di vita, egli perdurò costantemente in tutte le terre attraverso le quali transitava, finché oppresso dal peso di tante fatiche, fu colpito nella città di Chiapa da una malattia mortale. Una Madre offre la propria figlia a Dio in cambio della vita di p. Margil Non essendovi nella popolazione di Chiapa alcun convento dell’Ordine, il Servo di Dio si trovava malato presso due pii coniugi, chiamati Gregorio di Vargas e Francesca di Astudello, i quali avevano avuto dal loro matrimonio due figliuole, allora assai piccole d’ età, che erano l’oggetto del loro amore. Questo amore, però, non impedì a mamma Francesca, colpita da una straordinaria carità verso il Servo di Dio; ed afflitta per il male sempre crescente in lui, di recarsi un giorno alla chiesa con ambedue le sue figlie, e a Dio ferventemente rivolta, offrirne una di quelle, per la salvezza del Servo di Dio. Piacque al Signore un oblazione così generosa, e l’accettò; difatti il Missionario si ristabilì in breve tempo, con somma consolazione di tutto il popolo, al prezzo della vita di una delle due figlie della coppia, che improvvisamente morì. Ma se gli fu restituita la salute per il vantaggio dei popoli, egli non tardò ad impiegarla a loro profitto, col passare di paese in paese, di città in città, distruggendo da per tutto, con la forza della sua predicazione, il regno dell’errore e del vizio. Trascorso così quasi un anno sulle costiere Guatemaltesi, arrivò nella città di Guatemala col compagno delle sue corse apostoliche il p. Melchiorre Lopez il 2 Settembre 1685, dove aprirono subito una missione, i cui risultati furono stupendi e sbalorditivi, dopodiché, se ne partì per Talamanca , eseguendo li meravigliose conversioni e prodigi. Circa quattrocento leghe di viaggio si devono percorrere per chi partendo dal Guatemala intende entrare nella Talamanca, ed a ciò si aggiungeva l’estrema povertà dei missionari, che null’ altro avevano se non un immagine del Crocifisso, un breviaro ed un bastone, con cui sostentarsi fra la balze, i dirupi e la ferocia di popoli non ancora civilizzati. E difatti quei barbari, conosciuto lo scopo della loro venuta, misero in atto ogni mezzo più violento per impedirne il conseguimento. Ma quella provvidenza amorosa in cui essi ponevano tutta la loro fiducia e le loro forze, non mancò di soccorrerli in tali affanni, e mentre da una parte li teneva saldi e li incoraggiava, dall’ altra li preservava dalle trame più occulte e terribili con una cura specialissima, e non di rado ancora con luminosi prodigi. Miracolo della catasta ardente Come appunto accadde allorché, essendo stato, il nostro Fra Antonio, catturato dai barbari e gettato in un’ ardente pila, le fiamme, che lo circondavano non poterono recargli alcun danno, e soltanto (a rendere più chiaro il portento) annerirono l’immagine del Crocifisso, che egli teneva in mano, quantunque il fuoco fosse alimentato da quei furibondi per diverse ore. Meraviglie di tal fatta e più ancora l’imperturbabile pazienza, benignità e amorevolezza con cui i due Padri sopportavano ogni sorta d’oltraggi addolcirono finalmente quei cuori, e li disposero a ricevere il seme della Divina Parola. Si recarono poi dai Boruchi, molti dei quali credettero e furono battezzati, e successivamente fra i Tecabi, i quali si mostrarono assai docili, e facilmente si arresero alle persuasioni dei Missionari. Fabbricata loro una chiesa, spedirono ai Terrabi degli ambasciatori per domandare ai nobili del popolo il permesso di andare da loro. Degli otto nobili Terrabi, sette facilmente annuirono alla richiesta; uno invece pervicacemente si oppose, e adirato si presentò davanti ai suoi idoli, facendo giuramento che avrebbe ucciso i Missionari, se gli si fossero presentati. Circondatosi dunque di armi e guerrieri, stava attendendo con impazienza la loro venuta pronto a dare esecuzione al suo folle piano. Saputo ciò, Margil, inverce di intimorirsi per via del pericolo che incombeva, appena giunto fra i Terrabi, si recò dirittamente con aria ferma e tranquilla alla casa di quello. Una visita cosi inattesa, e tanto audace sorprese il barbaro, il quale, deposta all’ istante ogni fierezza, unitamente ai suoi accoliti, gettò ai piedi del Servo di Dio le armi e con dimostrazioni di affetto e d’onore, si arrese. Quindi i Padri diedero fuoco agli idoli e sostituendo al loro culto superstizioso quello di Dio, edificarono due chiese, nelle quali con somma loro consolazione, furono celebrati i divini offici, e amministrati i sacramenti. Dopo avere ottenuta una tale conversione, non fu difficile riconciliare quegli animi coi Talamanchiti, dai quali i Missionari stessi vollero andare come ambasciatori, tanto più che, nel separarsene, avevano data parola di tornare da loro. La docilità, il coraggio e l’amorevolezza dei missionari, furono tali che al partirsi dalla Talamanca vi lasciarono fondate trenta chiese e convertiti e civilizzati tanti barbari, che se ne poterono formare undici popolazioni. Data l’eco dell’imprese di Margil, presto tutti i vescovi delle zone limitrofe cominciarono incessantemente ad invocare il suo aiuto affinché si recasse presso di loro per convertire quelle loro popolazioni. Anche il Vescovo di Panama, che si trovava più vicino alla Talamanca, fece numerose richieste ai Missionari, perché volessero rivolgere le loro cure a beneficio del popolo a lui affidato. Invito più grato non poteva giungere ai Padri, che, senza attendere oltre, incominciarono ad inoltrarsi fra le genti barbare di quel regno ma proprio mentre si trovavano li, furono costretti a fermarsi a causa di una lettera del Commissario Generale, che li richiamava a Queretaro, imponendo loro, senza un’ apparente ragione, un viaggio di ben settecento leghe, per cui, a malincuore, abbandonato tutto, tornarono sui loro passi, e presero il cammino del Guatemala, dove vi giunsero all’inizio di dicembre 1691. Il Vescovo della città di Guatemala non volle lasciarsi fuggire l’occasione della loro venuta per porre rimedio alle turbolenze generate dalle popolazioni del luogo. Su sua istanza, i due Mssionari si recarono a Verapace, e confortati dalla Divina Provvidenza, s’ingraziarono gli animi di quei popoli con gli ammonimenti, le istruzioni, e l’ esempio di una vita irreprensibile; e nello spazio di cinque mesi, abolita l’idolatria, bruciati gli idoli, tolto il mal costume, li condussero interamente a Cristo. Il Commissario generale, sperando di poter fondare un ospizio francescano in Guatemala, richiamò fra Antonio e fra Melchiorre per aiutarlo; ma non essendosi potuta mandare ad effetto la fondazione, i due se ne partirono di nuovo per tornare a fissare meglio nella fede i novelli convertiti di Verapace, e per tentare la conversione dei vicini Choli. Conseguito il loro intento, incominciarono ad aggirarsi fra le montagne a caccia degli idolatri, i quali vivevano li come belve. L’inclemenza del clima, l’asprezza delle vie, la mancanza delle cose più necessarie alla vita non furono i maggiori mali, che in questa impresa dovettero sopportare i Servi di Dio, perché opponendosi direttamente con la predicazione e col modo di vivere ai barbari usi e alle superstizioni di quelle genti, e tentando ad ogni costo di strapparli dalle loro dissolutezze ed abominazioni, si tiravano addosso il loro odio, e con questo ogni sorta d’insulti e di maltrattamenti. Ma siccome, nonostante tutti gli oltraggi e le offese subite, persistevano nel loro santo proposito, anzi tanto più vi si infervoravano quanto maggiori erano i patimenti, quei barbari, disperando di farli desistere dalla loro impresa, decisero di ucciderli. Catturatili, un giorno, essi li legarono ad un albero per farli bersaglio alle loro frecce. Ma i Missionari, presentandosi così fieri e saldi innanzi a loro , desiderosi di incontrare il martirio, destarono una tale sorpresa in quelle popolazioni che , queste, abbandonarono i loro propositi e, mutato istantaneamente il furore e l’alterigia in ossequio e docilità, si diedero ad ascoltare le loro istruzioni. I missionari, divisero allora quelle genti in otto popolazioni, in ciascuna delle quali fu costruita una chiesa, dove furono celebrati i divini misteri; decisero quindi di recarsi dai Lacandoni, gente bellicosa e feroce, che col loro nome incuteva il terrore in tanti popoli vicini. Dopo numerose avventure, tradimenti e malversazioni subite, fra’ Antonio, giunse nei primi giorni del carnevale del 1694 presso le popolazioni dei Lacandoni. Qui, nonostante le loro persuasioni, i Lacandoni rapirono purtroppo i due Religiosi, e una volta denudatili, li legarono ad un palo, destinandoli vittime della loro rabbia e proponendo loro per unico scampo, l’adorare gli idoli del loro popolo. Tre giorni furono tenuti ad attendere la morte, a cui avrebbero certamente dovuto soccombere almeno per l’inedia, se una di quelli, mossa a compassione, non avesse loro somministrato il necessario alimento. Risultato vano ogni sforzo, dopo aver sofferto molti altri rimproveri, si allontanarono piangendo sulla loro ostinazione, e predicendo, che ben presto, quei barbari pervicaci sarebbero stati puniti da un incendio, che avrebbe distrutto le loro case. Alla predizione seguì il castigo, ed atterrì talmente quei barbari, che all’istante corsero sulle tracce dei Missionari per richiamarli indietro. Frattanto uno dei compagni di Antonio, stimò opportuno passare fra i Choli convertiti, per apprenderne la lingua, e Margil pensò bene di unirsi a lui. Intanto il Regio Presidente intendeva convertire gli altri popoli di Verapace, e in particolar modo quelli della Provincia del Peten e pensando che all’esito felice dell’impresa avrebbe forse più contribuito lo zelo apostolico del Servo di Dio che la forza delle armi, decise di volerlo con lui per compagno di viaggio, e confessore. Dunque, fra Antonio si allontanò nuovamente dai Choli, e intraprese il pericoloso cammino assieme con la nuova comitiva, distinguendosi per un'umiltà singolare, una fortezza senza pari nel sopportare qualunque travaglio, ed una carità affettuosissima verso tutti, unitamente ad un esercizio costante di ogni virtù. Quantunque gli altri andassero a cavallo, egli precedeva sempre tutti, e non v’era asprezza di strade, fango di palude, od ostacolo di qualunque sorta, che potessero trattenerlo. Miracolo della Mula Essendo una volta caduta in un fossa una delle mule che portavano i viveri per le truppe, molti soldati accorsero unendo le forze per trarla fuori, ma la profondità del fosso, ed il peso del carico, da cui la bestia era oppressa, rendevano vano ogni tentativo, e ogni fatica. Avvedutosi di ciò il Servo di Dio, rivoltosi alla mula, disse: “ via su obbedisci!”, e quella all’istante rinvigorita da nuove forze, spiccando un violentissimo salto, tornò sulla strada senza aver riportato alcuna lesione Ma fu un altro avvenimento ad accrescere la fama di santità dell’infaticabile frate, che, nei processi di beatificazione viene riferito da un testimone assai ragguardevole, e perciò degnissimo di fede, il quale lo aveva, a sua volta, appreso da suo padre , che ne era stato testimone oculare. Miracolo della fonte d’acqua Un giorno, poiché le truppe erano ormai stanche per il lungo viaggio ed afflitte dalla sete, e non si riusciva a trovare in nessun luogo dell’acqua con cui soddisfare l’urgente bisogno; mentre già tutti erano caduti nell’abbattimento non vedendo alcuna speranza di salvezza, il Servo di Dio si diede ad infondere loro coraggio, animandoli a confidare nella divina provvidenza, che giammai abbandona chi a lei si rivolge, promettendo loro, un pronto soccorso. Avanzata difatti ancora di un piccolo tratto la marcia, su consiglio del frate, si trovò acqua abbondante, con cui ciascuno poté soddisfarsi, e recuperare le forze abbattute. Date le tante ricerche erano state fatte per rinvenire una fonte d’acqua, questo avvenimento non era sembrato per nulla casuale anche perché , il testimone riferì che, nel ripassare qualche mese dopo sulla medesima strada, per visitare quella sorgente benefica, non gli fu possibile rinvenirla, o trovarne almeno la più piccola traccia. Erano passati quasi tre mesi nel viaggio, allorché il 19 Aprile del 1695 raggiunsero il paese dei Lacandoni. Il Servo di Dio, essendo giunto ad ammansire la ferocia degli infedeli si pose ad illuminare i loro intelletti catechizzandoli, cosicché tutti correvano da lui a domandargli di essere battezzati . Inoltre la sua predicazione veniva confermata li da moltissimi prodigi. Fra gli altri miracoli però ne accadde uno, che meritamente gli attirò l’ammirazione di tutti. Miracolo del Fanciullo Fra Antonio aveva spesso l’abitudine che, nel visitare ogni popolazione, al vedere un amico, o nell’entrare in una casa, prima d’ogni altro saluto, dicesse “Ave Maria”, e il salutato rispondesse “Concepita senza peccato”. Questa pia pratica, con cui veniva ricordato uno dei dogmi più importanti della Regina del Cielo , fu da lei tanto gradita , che volle darne un chiarissimo segno col seguente miracolo. Incontratosi un giorno il Servo di Dio con una donna, che portava sul petto un neonato, si avvicinò all’orecchio di quello, e alla presenza di molte persone gli disse : “Ave Maria!” . A queste parole il frugoletto, come se d’improvviso avesse ottenuto la perfezione degli organi, e la conoscenza dei misteri celesti, a chiara voce, intesa da coloro che si trovavano li attorno, rispose: “Concepita senza peccato!”, sciogliendo così con uno stupendo prodigio la sua lingua infantile, per attestare nel modo più autorevole, sia il singolare privilegio della gran Madre di Dio, che la santità del Venerabile Padre. Quattro popolazioni di novelli convertiti si erano già formate nel Peten per le cure del Servo di Dio, ed egli poteva ormai ragionevolmente attendersi frutti molto più copiosi, quando gli sopraggiunse un ordine superiore, con cui veniva destinato a Guardiano del Collegio di Santa Croce in Queretaro. Subito dunque, si mise nuovamente in viaggio per la strada del Messico, catechizzando ed evangelizzando ovunque andava. Velocità sovrumana di spostamento Quello che più impressionava i suoi compagni era l’incredibile velocità con cui il Ven. Padre Margil passava da un luogo all’altro, perché, rimanendo egli sempre indietro rispetto al gruppo, essendo occupato nella predicazione e nell’ascoltare le confessioni, nonostante gli altri si allontanassero prima di lui a cavallo da quel luogo, lo si ritrovava poi già arrivato a destinazione, prima di tutti, e già impegnato nelle medesime occupazioni. In tal modo giunse a Queretaro il 22 di aprile 1697, prendendo possesso, tra la gioia della comunità, della chiesa di Santa Croce; ove tenne un tenerissimo discorso di saluto. Nell’aprile del 1701, mentre si trovava a dirigere il convento di Queretaro come Vicario, in assenza del nuovo Guardiano eletto, gli giunsero lettere del Regio Presidente, che lo pregava di recarsi in Guatemala per esercitarvi il nobile officio di pacificatore. Partitosi pertanto dal suo diletto popolo di Queretaro (che non voleva lasciarlo andare) immediatamente si rimise in viaggio, con tale solerzia che, sul finire di maggio, si vide giunto a termine, benché avesse dovuto percorrere trecensettanta leghe di strada. Al suo arrivo trovò, tutta la città violentemente agitata da gravissime discordie e rancori, che coinvolgevano le principali famiglie e i ministri stessi del Regio Tribunale; ma ciò nonostante in virtù dell’amore e della stima, di cui godeva presso tutti, seppe ricondurre in breve tempo la calma, estirpare gli odi, e riappacificare gli animi con somma edificazione e consolazione di tutti. Fatto ciò, incominciò per mezzo delle largizioni e dei materiali che gli si offrivano, e delle opere che spontaneamente gli erano esibite, a costruire una povera chiesa ed un convento in quella città. E nel conseguimento di questo fine si registrarono fatti così straordinari, che la popolazione del luogo fu definitivamente ammansita. Miracolo del Sasso Un giorno, essendo trasportato, dai lavoratori, un sasso molto pesante, uno di essi scivolò, ed il peso della grande pietra, insistendo tutto verso quella parte che mancava al sostegno, stava già per schiacciarlo; quando apparso d’improvviso fra Antonio, pose la mano sotto al sasso, e sostenendone l’enorme peso, da solo, liberò quell’infelice. 1° Miracolo di Bilocazione Essendo terminato un giorno, il rifornimento della calce, sembrava a tutti che dovesse necessariamente sospendersi il lavoro, non essendo stati preventivamente avvertiti coloro che dovevano portarla; ciò nonostante però, si videro, il giorno dopo, arrivare lo stesso i mulattieri con le bestie cariche di quella merce, come se fossero stati avvertiti da qualcuno. Interrogati sul motivo del loro arrivo così opportuno, dissero che il giorno prima, ne avevano ricevuto ordine dal Servo di Dio padre Margil. Fu evidente dunque, che il Padre nel medesimo tempo era stato in due luoghi diversi, perché in quel giorno non si era mai allontanato dal convento. Condotta così a termine la costruzione della Chiesa con le opere dei fedeli , le elemosine dei benefattori, e l’aiuto dei miracoli, il 13 di giugno del 1701 , padre Margil ne prese il possesso coi suoi Religiosi, o a meglio dire lo consegnò formalmente alla Regina del Cielo, ai cui piedi, dopo aver cantato il Te Deum, andò a deporre ossequiosamente le chiavi del collegio. Intanto un’ altra sua bilocazione fece maggiore scalpore in Guatemala. 2° Miracolo di Bilocazione Un giorno stava predicando a un popolo numeroso nella chiesa di Santa Lucia, quando d’improvviso, restando come alienato ai sensi, con le mani in croce, tacque, e non proseguì l’iniziato ragionamento se non dopo lungo tempo. Stupiti per tal accaduto, gli uditori si diedero ad indagarne il motivo e vennero a sapere che in quel medesimo tempo, egli era stato in una casa a liberare dalla morte una donna, che stava per cadere sotto i colpi di suo marito. Si confermò, in tal modo, sempre più l’ opinione di santità di Margil e per questo, i suoi correligiosi non vollero lasciarsi fuggire la circostanza della sua dimora in Guatemala per averlo per Superiore dell’Ordine; e perciò, risultata vacante la carica di Guardiano nel settembre del 1702, di unanime consenso lo elessero a quel titolo. Del dono di preveggenza Mentre una notte stava egli pregando con i suoi Religiosi, arrestatosi subito, come chi avesse visto una cosa di grande orrore, esclamò per due volte: che pena che si perda quell’ anima! e alzatosi in fretta corse con un compagno verso una porta d’ingresso della città, presso cui pendeva già da un capestro un miserabile, che indotto dalla disperazione, era andato ad appiccarsi. Lo sciolse all’istante, e liberatolo nello stesso istante dalla morte temporale e da quella eterna, gli fece conoscere la gravità del suo misfatto, l’indusse al pentimento, e ne ottenne, che poi conducesse una vita santa. Interruppe pure una volta il divino ufficio, per impedire un delitto, che due libertini stavano per commettere fra le ombre della notte; ed un’ altra volta per trattenere un tal D. Luigi Antonio Mugnoz, che era uscito di casa armato per andare a vendicarsi dell’avversario a causa di una ingiustizia ricevuta. Si recò, un’altra notte, a prevenire un altro omicidio, che si stava compiendo in una casa di gioco. Un cavaliere commosso dalle sue prediche e a lui confessatosi, aveva troncato finalmente una insana relazione, che da gran tempo teneva con una dama sua pari. La donna vedendosi priva dell’oggetto della sua passione, e conoscendo essere appunto il Ven. Padre quegli che glielo aveva portato via; decise di vendicarsi meditando di farlo cadere in uno scandalo. Pertanto, finse un bisogno spirituale, e sotto tale pretesto fece chiamare a sé Margil. Non tardò il Servo di Dio ad accorrere, e benché fosse da superna luce istruito delle perverse mire della donna, confidando sempre nello speciale aiuto di Dio, fingendosi ignaro del pericolo, la salutò cortesemente e sedutosi presso lei, cominciò con dolci modi ad interrogarla dei suoi bisogni, ponendole nel tempo stesso, come chi ammonisce, una mano sulla spalla. A quel tocco, mosso ed animato dalla divina virtù, si vide operata la più portentosa conversione; poiché quella, allontanato subito dal cuore il rancore e l’odio, incominciò a sciogliersi in amare lacrime di pentimento, chiese di confessarsi, ed intraprese da quel momento a condurre una vita veramente onesta ed edificante. L’agosto del 1705 dopo essere stato nominato Commissario delle Missioni di Costarica, un comando del Commissario Generale venne a troncargli ogni progetto, e ad imporgli di retrocedere per ben settecento leghe, per andare a fondare un collegio a Zacatecas. L’episodio dell’oltraggio Mentre ritornava sul già fatto cammino, trattenendosi un giorno col Vescovo del Nicaragua in cui si era incontrato, vide venire un sacerdote da cui aveva ricevuto un gravissimo oltraggio. Era costui un parroco, che avendolo sentito una volta predicare nella propria chiesa, e trovandosi colpito dalle verità che egli annunziava, acceso d’ira, senza alcun riguardo allo scandalo del popolo, e al rispetto dovuto al luogo santo, l’aveva pubblicamente rimproverato di predicare spropositi, e ricolmandolo anche d’ ingiurie e di villanie, gli aveva ordinato di scendere dal pulpito. Al che il Servo di Dio prontamente obbedendo troncò il discorso nel suo mezzo, e disceso immediatamente, si recò da lui a ringraziarlo umilmente, perché aveva voluto, in tal modo, abbassare la sua superbia ed illuminare la sua ignoranza. Or dunque vedendo venir questo parroco, si licenziò subito dal Vescovo e dalla sua compagnia, demandando il permesso di andare a salutare quel sacerdote, a cui (come egli diceva) aveva obbligazioni così grandi, che non sarebbe mai giunto a rendergliene degne grazie. Quindi subito corse verso il parroco a braccia aperte, e prostratoglisi dinanzi, gli baciò le mani e i piedi con tali dimostrazioni di tenerezza e di affetto, che lasciò tutti i presenti ,quantunque ignari del precedente avvenimento, altamente edificati e sorpresi di tanta umiltà. Fra l’esercizio di tali virtù e le ordinarie sue fatiche di apostolo, giunse in Guatemala, ai primi dell’anno 1707. Stava, non molto distante, una miniera, per la sua sterilità, abbandonata dal Suo padrone D. Ignazio Bernardez. Mentre questi una notte se ne stava in casa, si vide comparire avanti il P. Margil, che con un tono franco gli disse, che a sue spese si doveva edificare il collegio. Sorpreso il Bernardez gli fece presente le sue circostanze, le quali non gli permettevano di accingersi a tale impresa; ma il Padre troncandogli le parole soggiunse, che facesse di nuovo aprire la miniera, e ne avrebbe tratto lucro in abbondanza sia per sè, che per supplire alle spese della costruzione. In tal modo il Bernardez comandò al suo minatore di porre immediatamente la mano all’ opera ed improvvisamente, ottenne da quella miniera precedentemente abbandonata, un così grande utile, che poté in breve edificare, a suo costo, la chiesa e il collegio, conosciuto poi sotto il titolo di Nostra Signora di Guadalupe, dove i Padri pieni di riconoscenza a Dio e al loro benefattore andarono ad abitare. Nello stesso anno 1707, ad istanza del Vescovo di Guadalaxara andò a far missioni in quella città, e in seguito, per lo stesso motivo, percorse molti altri luoghi della medesima diocesi, di quella di Gudiana, e della provincia di S. Francesco di Zacatecas, riportando ovunque la conversione di moltissimi peccatori, e il loro ritorno sulla via della grazia. Inoltre, già da qualche tempo la Corte di Spagna desiderava di ridurre alla Fede gli abitanti delle montagne del Nayarit, e scriveva pertanto incisive lettere al Regio Tribunale di Guadalaxara. Nessuno si vedeva più adatto a tale scopo del Servo di Dio. Il miracolo delle frecce Tuttavia, appena si inoltrò di qualche lega fra le montagne abitate dagli infedeli, una truppa di quelli, scortolo da lontano, gli si avventò contro, ed incominciò a scaricargli addosso le sue frecce. Lietissimo di poter dare la sua vita al Signore, denudatosi il petto, si era già posto con le braccia in croce ad aspettare la morte; senonché, volendo il Signore riservarlo a cose maggiori, infuse all’istante, nel cuor di quei miseri, un tale spavento, che li rese incapaci ad ottenere lo scopo; ed uno , che lo aveva preso bene di mira e stava già per lanciare il dardo, fu colpito da una immediata debolezza di tutte le membra del corpo e non fu capace di eseguire il suo folle intento. Scampato così meravigliosamente dalla morte, corse ad abbracciare affettuosamente il comandante dei barbari ed gli espose per mezzo degli interpreti, le sue intenzioni e i suoi fini. Tutto però riuscì inutile, e gli armati si ritirarono rumorosamente, insultandolo e minacciandolo di pronta morte se non fosse partito all’istante. Vista l’impossibilità di convertire quelle genti, il Ven. Padre ritornò a Guadalaxara, per esporvi al Regio Tribunale l’esito della sua missione. Poi ritornò a Zacatecas per visitare il suo collegio, e quindi passò in Messico a stabilire col Vicerè i mezzi da adoperarsi per la conversione di quelle genti. Terminate finalmente le discussioni sugli affari del Nayarit, tornò fra i suoi Religiosi a Zacatecas circa la metà dell’ anno 1712. Tuttavia, la deplorabile condizione degli abitanti delle regioni conosciute sotto il nome di Texas, i quali del tutto abbrutiti recavano una vita misera e selvaggia, lo indussero ad impiegare per loro le sue fatiche, i suoi sudori, e se necessario la sua vita, tanto più che, il Commissario Generale, lo aveva autorizzato ad andare a portare le missioni ovunque volesse, e con quei compagni che stimasse più necessari, senza dover soggiacere ad alcun Superiore subalterno. Quattrocento leghe di distanza circa dividono il Texas da Zacatecas, e luoghi aridi, monti scoscesi, tratti di paese totalmente deserti, ne occupano la maggior parte. Il Servo di Dio, si pose, dunque, con i suoi compagni in cammino, senza viatico, senza provviste, senza soccorsi, e carico solo degli arredi sacerdotali. Fra le azioni notabili di questo tempo, fu l’aver fondato nella provincia di Bocca di Leoni, un Terzo Ordine di Penitenza, ed un Ospizio, a cui, mossi dall’ efficacia delle sue parole , incominciarono ad accorrere i popoli limitrofi per frequentarvi gli atti del culto e i sacramenti, dai quali si erano tenuti tanto tempo lontani, immersi nella dissolutezza e nel paganesimo. Due anni interi erano scorsi dalla sua partenza da Zacatecas quando si vide giunto nei paesi dei Texas, quando gli stenti e le privazioni crebbero a dismisura, ma ciò nonostante, incominciò a farsi strada nell’affetto di quei popoli. Attestano i processi, che quando egli predicava si spopolavano le terre, e la gente da per tutto correva in folla per andarlo a sentire , e che il bene che si otteneva dalle sue prediche era incalcolabile. Ma quand’anche di tale circostanza non ne facessero menzione gli autorevoli testimoni oculari, potrebbero corroborarne la verità le tante case di missione e le chiese da lui fondate in quei paesi, come ad esempio: la casa di missione di S. Giovanni Battista, di S. Antonio di Vejar, di S. Giuseppe di Vejar, della Baia dello Spirito Santo, della Santissima Concezione, e di S. Francesco della Spada. Mentre però procurava in tal modo la conversione degli infedeli, non trascurava gl’interessi dei cattolici. Molti si riaccostarono a quei sacramenti che da dieci e più anni avevano trascurati ; altri incominciarono una vita tutta nuova; ed altri si tolsero dagli scandali, congiungendosi in matrimonio a quelle persone che illecitamente mantenevano. Ma il nostro Ven. Padre non si fermò li, ma azi andò avanti finché non ebbe piantato lo stendardo della fede fra gli Adaes, sessanta leghe al di là dei paesi dei Texas: e sarebbe certamente passato più oltre , se il comando dei Superiori non l’avesse obbligato a ritornare indietro. Tuttavia nel 1722, i Padri di Zacatecas, spedirono un avviso a Padre Margil volendolo nuovamente tra loro, mentre egli si trovava appunto nei più lontani paesi degli Adaes . Quindi senza esitare egli si rimise un’altra volta in cammino. Nel Giugno dello stesso anno 1722 giunse finalmente al suo convento, ove riprese ciò che aveva lasciato otto anni prima; si allontanò per poco dal collegio per andare ad insistere presso il Vicerè nel Messico per gli affari del Nayarit, ma ben presto ritornò a Zacatecas a fare sperimentare a quel popolo i vantaggi della sua presenza nel sedare numerose discordie Così in un esercizio sempre costante di carità , giunse, nel febbraio del 1725, in cui si fece luogo all’elezione del nuovo Guardiano. Rimase a svolgere i compiti di semplice religioso, fin quando non fu nuovamente disturbato da quella sua beata quiete, dalle pressanti istanze, che nell’ottobre dello stesso anno, gli vennero fatte dai cittadini di Guadalaxara, che si trovavano in gran bisogno del suo intervento. Uscito poi da Guadalaxara, portò la Divina Parola a molti luoghi della diocesi di Mechoacan, trattenendosi li fin quando lo richiedeva il bisogno, tanta era nei popoli la brama di riceverlo e di ascoltar dalla sua bocca le celesti verità. Morte del Venerabile Padre Tuttavia, a causa delle grandi fatiche che aveva dovuto sopportare per arrecare così tanta salvezza a quelle popolazioni, la salute del Ven. Padre cominciò progressivamente a venir meno. Egli ritornò pertanto a Queretaro così mal ridotto che il Commissario generale giudicando che in quel collegio non ci fossero mezzi sufficienti per apprestargli una cura tale; gli consigliò di andare nel grande convento situato in Messico. Il Servo di Dio, tuttavia, già da molto tempo, aveva ricevuto dal Signore degli interni e chiari presentimenti della sua prossima morte; e sin dall’ultima volta, che partì da Zacatecas, aveva fatto intendere ad un tale sig. Molina, che non si sarebbero più riveduti. Questi presentimenti, essendo poi divenuti certezza, gli davano a conoscere assai chiaramente , che ogni rimedio sarebbe stato inutile, e quel viaggio di trentotto leghe non sarebbe servito ad altro, che ad accelerargli la morte. Accadde il felice suo transito nel giorno della Trasfigurazione del Signore, il 6 di Agosto dell’anno 1726 , all’età di sessantotto anni, dei quali quasi cinquantatré passati nella religione, e quarantatré fra offici di apostolo. Altri Miracoli Da Lui Operati In Vita Mirabile fu in lui il dono delle lingue. In tanti paesi che percorse, fra i tanti popoli ove si trattenne, non parlando se non l’idioma castigliano, né, avendone appreso alcun altro, veniva capito da tutti, come se usasse la lingua propria del luogo, ed intendeva benissimo quanti andavano a confessarsi da lui, o a parlargli, come se fosse stato perfettamente istruito nella loro lingua. Viaggiando egli per la diocesi di Nicaragua, un servo del podestà di Sevacò che lo accompagnava; nel tagliare un ramo d’albero si troncò un dito in modo tale, che rimaneva pendente tramite la sua sola cute. Impietosito il P. Margil per quella disgrazia riunì il dito staccato, ponendovi sopra poco tabacco per nascondere il miracolo che stava per operare, e fasciatolo con un fazzoletto, lo benedisse. Si proseguì quindi il viaggio, e dopo circa un’ ora, il ferito, non avvertendo più alcun dolore al dito, volendo osservare cosa era accaduto al suo arto, lo svolse, e lo trovò perfettamente sanato. Margil, un giorno si recò al monastero di S. Chiara in Messico, per ascoltarvi la confessione della Madre Suor Niccola di S. Idelfonso, che da cinque anni giaceva a letto paralitica. Dopo essersi trattenuto da lei, dopo aver consolato la donna, le disse con fare scherzoso, prima di partire: alzati pigra!. Le sue parole furono un comando di Dio; giacché l’inferma nello stesso giorno recuperato l’uso delle membra, poté attendere agli esercizi della comunità assieme con le altre suore. Oliver Margil, nipote del venerabile Antonio Margil, ammalatosi di febbre terzana nell'agosto del 1740, implorava con fervore la guarigione dal suo venerabile zio. Una volta, a mezzogiorno, mentre solo nella sua cella pregava a questo scopo, il Venerabile gli apparse tutto splendente e gli disse queste parole: “Sono tuo zio, Antonio Margil di Gesù, che, per la grande umiltà che ebbi in vita, godo della beatitudine con una gloria inesplicabile!”. Poi segnò di croce la fronte del malato, gli promise la salute, disparve. Il nipote si alzò che era guarito L’ARCANGELO URIELE, CUSTODE DEL VENERABILE ANTONIO MARGIL Tutti questi miracoli e queste straordinarie opere non sarebbero potute avvenire se Dio non avesse affidato al Venerabile Margil, uno Spirito di Superiore Gerarchia, nientemeno che uno dei Sette Arcangeli Assistenti al Trono di Dio (c.f.r. Tb 12,15 – Ap 1,4) , l’Arcangelo Uriele. Questa straordinaria circostanza fu rivelata dal Padre Margil stesso, ad una sua figlia molto spirituale, e la traiamo dalla biografia messicana redatta da padre Isidoro di Siviglia, nella sua prima edizione, come anche dalla Causa di Beatificazione e Canonizzazione. In primo luogo, presentiamo al lettore : El Peregrino septentrional atlante : delineado en la exemplarissima vida del venerable padre Fr. Antonio Margil de Jesus ”, edizione del Messico - 1737 Il veloce pellegrino settentrionale. Delineando la esemplarissima vita del venerabile padre f. Antonio Margil di Gesù la più importunante biografia sull’operato del Venerabile, di cui riportiamo la riproduzione digitale integrale delle Pagg. 426 e 427 della prima edizione del Libro, l’unica che non risulta poi censurata dal revisore Espinosa. Qui viene scritto, nel CAPITOLO XVII°, “Viviendo el v. padre assiste a su madre en vida, y en su muerte, y del angel custodio, que le fue dado”. che più di una volta questo straordinario predicatore rivelò quale fosse il nome del suo Angelo Custode, ovvero S. Uriele Arcangelo, “Fuoco di Dio”, il quale: “…lo embia el Senor, à que sople fuego del amor divino en mi corazon..” cioè lo invia il Signore a soffiare il fuoco dell’amore di Dio sul suo cuore. Inoltre, come possono notare facilmente i nostri cari lettori, il Padre Isidoro Felice de Espinosa, ha provveduto a cancellare a penna il nome di Uriele dalla fonte documentale, mediante una retta di correzione, eseguita su istanza della Censura Ecclesiastica che intendeva eliminarne il nome, ed in basso alla medesima pagina 426, si nota poi la scritta: “Expurgato el nombre de Uriel, segun Decreto del SS. Officio del 1749” a firma del medesimo revisore Espinosa. Forma non censurata del brano: http://cdigital.dgb.uanl.mx/la/1020000514/1020000514_070.pdf Ma vediamo cosa dice esattamente il documento che abbiamo voluto tradurre dallo spagnolo in lingua italiana dal capitolo: Questa ruota mistica, per l'esecuzione di ciò che abbiamo detto, si elevava al passo che la muoveva lo Spirito Cherubico, che non sarebbe altro che il suo Angelo Custode. Chi fosse questo, lo dichiara il Sermone che in suo onore si predicò nel Collegio di Guatemala attraverso queste parole: Disse una e molte volte il Venerabile Padre ad una persona molto spirituale: Sai, che il mio angelo custode, è S. Uriele, il fuoco di Dio, che il Signore, lo invia a soffiare il fuoco dell'amore divino sul mio cuore? Per confermare nel pio questa notizia, avverto che è opinione del maestro delle sentenze [Pier Lombardo], che un Angelo può essere, successivamente, il custode di molti uomini – si veda nella 2 sentenza, distinzione 11 - e che per questo ministero suole, il Signore, assegnarlo ad uno degli Spiriti Massimi della Gerarchia Suprema, secondo il suo beneplacito, perché tutti gli Angeli sono destinati a aiutare gli uomini. Dei loro nomi, anche insigni teologi affermano, se Dio li tiene indicati, solo tre ce li manifestano le Divine Scritture: ma la pietà popolare con probabile congettura, ha ammesso altri quattro tra i Sette Principi, che indica con nomi propri. È pur vero che, in riferimento alla statuizione del Concilio Romano dell’anno 745, il Santo Pontefice Zaccaria condannò i nomi mostruosi, che l’eretico Adalberto attribuiva agli Angeli. Senza saltare il decreto, avverte il conosciutissimo Padre Maestro Juan Martínez de la Parra [celebre predicatore gesuita del 1600 n.d.a.] nella approvazione del Libro dei Sette Principi, che il Concilio non chiuse la porte a quei nomi che i Dottori Cattolici riconoscono tra i Santi Angeli, nonostante non siano riconosciuti certi del tutto. Il nome di Uriele lo ammettono Santi, e narratori, si veda Cornelio sopra il Capitolo 1 di Ezechiele, e Silveira al Capitolo 1 dell’Apocalisse, che citano San Bonaventura, Sant’Alberto Magno e molti altri, che rendono questa pia opinione. Silveira , con l’autorità di Gerson dice, fu Uriele l’Angelo che liberò San Pietro e che fu il suo Angelo custode. Si leggano agli Atti degli Apostoli, capitolo 12. Quello che mi serve come appoggio più solido è l’approvazione di questo nome, da parte della Chiesa che, in un Responsorio dell’Officio francescano di San Gabriele parla dei quattro Principi e dice di San Raffaele Et suam medelam Raphael affert, quam confert Uriel pro grege rationali [E la sua medicina reca Raffaele, che Uriele dona al gregge sacerdotale n.d.a.]. Anche se non è di fede, non potrà dubitarsi che si trovi nella pietà popolare. Uriele significa infatti , come interpretano il suo nome quanti dottori lo trattano, Luce o Fuoco di Dio: come Luce, essendo il custode del Venerabile fra Antonio, poté rivelargli i bisogni e i guai in cui versava sua Madre; come Fuoco di Dio, concedergli la velocità per la prontezza dell’assistenza e per accendere nel suo petto una fiamma di amore divino, che impetrasse con le sue preghiere la salute per la Madre e la Sorella, quando le visitò in spirito e per assisterle corporalmente, quando raggiunse la virtuosa madre negli ultimi istanti della sua vita. È singolare la notizia del dotto padre Alcazar, secondo cui Uriele fu quell’Angelo che accese con tante misteriose fiamme il rovo dell’Oreb, che ardeva senza consumarsi4 . Se si dà assenso all’esser stato proprio questo l’Angelo del Servo di Dio…. Ciò posto, il revisore, onde evitare che il problema del nome potesse inficiare la beatificazione del p. Margil provvede a interlinearlo ed espungerlo dalle successive edizioni. 4 Alcazar riprende tale immagine da San Isidoro n.d.a. L’apparizione dell’Angelo è riportata anche nella causa di Beatificazione, intitolata: Sacra Rituum Congregatione – Emo et Rmo Domino Card. Pignatello Relatore / Mexicana Beatificationis et Canonizationis Ven. Servi Dei Antonii Margil a Jesu, Missionarii Apostolici Ordinis Minonorum S. Francisci de Observantia / Romae 1796 , par. 173/174, nella parte relativa alle contestazioni – animadversiones – del promotore della fede in cui si fa menzione della stessa rivelazione mistica operata dal padre alla predetta testimone, che era la pia donna precedentemente richiamata (traduciamo, per quanto indegnamente dal latino): “ Difficoltà molto più lievi creano alcune proposizioni, che sono indicate nella nota, alla lettera A, numero 50 , delle osservazioni – affermò una certa suora (processo informativo Guatemalese foglio 585 a tergo: “Mi disse, sai figlia chi è il mio Angelo Custode? S. Uriele fuoco di Dio”. Evito di domandare, con quale senso, queste parole furono espresse dal Venerabile Antonio. Aggiungo che non sia insolito, che Dio abbia rivelato a qualcuno il nome del suo Angelo Custode. Sebbene , infatti, la Chiesa Cattolica, tranne che di tre nomi di Angeli – Michele, Gabriele Raffaele, non riconosca nessun’ altro nome di Angelo, come provano i Cardinali, Albizio, nel De Incostantia in Fide, par 1, cap. 40,n. 15° ed Hurtado, al trattato 5, cap, 5, risoluzione 71, n. 1678, tuttavia, ciò non proibisce che, se per rivelazione privata, ad alcuno sia stato manifestato il nome del suo Angelo Custode, riconosca lo stesso sotto tale nome e lo accolga in culto privato, come espone lo stesso Albizio, li citato, al n. 156, con Hurtado: “… qualunque sia e fino a che punto giunto il culto privato, se emerga qualche rivelazione fatta ad un uomo cattolico e fornito di virtù, del nome del Suo Angelo Custode, come dice lo stesso Hurtado essersi verificato a Giovanna della Croce, il cui Angelo custode era chiamato Lauriel, che può fare uso sotto tale nome al predetto Angelo, non sarà lecito il culto pubblico senza l’approvazione della Sede Apostolica”. Dell’Angelo Uriele vi sono per noi documenti più certi, come infatti ad esempio indichiamo le Liturgie degli Etiopici e dei Greci, e non poche Litanie di qualche latino, in cui viene invocato Uriele, come può vedersi presso il Cancellieri nel suo De Secretariis p.1012 e ss; Sant’Ambrogio, nel libro 3° del De Fide all’imperatore Graziano e San Isidoro, le libro 7 delle Etimologie, c. 6 e altri riconoscono il nome dell’Angelo Uriele. Ne sepolcro di Maria Augusta, moglie dell’imperatore Onorio, fu rinvenuta una lamina, su cui era inciso il nome dell’Angelo Utiele. S. Bonaventura nel Centiloqui par. 3§18, assecondando la versione dei settanta interpreti, citò , come appare, il libro terzo di Esdra, al posto del libro quarto in cui viene espresso il nome di Uriele: “Così Uriele, che si interpreta, colui che a Dio risplende, o appare, o fuoco di Dio, o incendio di Dio, del cui nome si legge nel terzo libro di Esdra..”. Più cose di questo Angelo Uriele possono leggersi presso il lodato Cancellirei, e Calmet in Dizionario Biblico, alla parola Uriele”