Studi, ricerche, approfondimenti, e traduzioni
Avv. Carmine Alvino
S. URIELE E IL VEN. ANTONIO MARGIL (1657 – 1726)
APOSTOLO ED EVANGELIZZATORE NELLE AMERICHE
QUANDO SPARISCE UN ARCANGELO!
Carissimi lettori, … proprio in questa occasione, come
mai in altre, si nota maggiormente la incauta mano
operata dalla censura ecclesiastica, che andò ad
eliminare il riferimento concreto dell’Angelo Uriele,
all’interno della biografia del Venerabile Antonio
Margil, il grandissimo evangelizzatore d’ America,
cosicchè, nelle edizioni successive della medesima biografia, non fu più
presente alcun riferimento a questa apparizione.
Ciò fu fatto per non compromettere l’arresto del Sinodo Romano II, sotto
Papa Zaccaria del 745 d.c. e dei successivi decreti che ad esso si
conformavano.
Pertanto, onde salvaguardare una pretesa (o presunta) correttezza
dottrinaria, non ci si fece scrupolo di mutilare la memoria di p. Margil,
così oggi noi potremmo pregarlo, essendo stato proclamato venerabile
dal Papa Gregorio XVI° nel 1836, senza tuttavia conoscere e pregare lo
Spirito angelico che lo proteggeva.
Ciò significa che seppur la Chiesa ritenga Margil aver pregato un
“demone”, come sostenne il cardinale Baronio, nei suoi Annales
Ecclesiastici del 1600 con riguardo ad Uriele Arcangelo, avendo tuttavia
Margil, compiuto opere degne di venerazione e diffuso il Santo Evangelo
e il Rosario, può comunque essere pregato senza la memoria del suo
protettore: insomma ancora una volta si salva il buono e si cancella
quello che non piace!
In ciò, si è inevitabilmente voluto comprimere la Verità di Cristo, il quale
è Vero Dio anche e soprattutto in coloro che sceglie per la nostra
salvezza, ciò perché in Dio, Ontologia (Essere) e Deontologia (Dover
Essere) sono una ed una sola essenza!
Non vi può essere cioè, Cristo che sia separato dal Suo Operato!
Cristo “è” anche perché “agisce ed opera” nel mondo compiendo la
volontà del Suo Padre Celeste.
Credere il contrario, cioè che Cristo non operi, ed anzi esista
indipendentemente dal suo operare, significa inevitabilmente non
credere in Gesù Cristo.
Se dunque non vi può essere un Cristo “fatto a pezzi” o peggio “a
segmenti di Sé”, ma dobbiamo adorare Nostro Signore nell’interezza
della sua Divina Essenza, fa parte inevitabilmente e meravigliosamente
della Medesima Essenza, anche il suo potere di scelta e d’elezione, che
merita la stessa considerazione di quella Sostanza Infinita che sceglie ed
elegge.
Questo non significa adorare l’ “oggetto” della scelta che è e resta una
Sua creatura, bensì adorare la “Scelta Stessa” che in quanto opera di
Cristo, è Essa Stessa Cristo.
Cristo non è separato infatti dalle sue opere e dai conseguenti benefici
che ci elargisce.
Ma se questi benefici non vengono accettati, o peggio, se coloro che sono
stati scelti per la nostra Salvezza, non sono riconosciuti, si finisce per
mutilare Cristo, e per non accettare totalmente la Verità di Cristo: come
un albero che , amputati “senza ragione” alcuni dei suoi rami, finisce per
crescere storto.
Ed in tal modo, siccome non vi può essere verità parziale in Dio,
conseguentemente non vi può essere Verità parziale in Cristo!
Noi non adoriamo mezzo Cristo, ma Cristo intero, né nella Santa
Eucarestia lo assumiamo, a metà o in parte, ma tutto intero.
Per questo, anche la scelta operata da Cristo è vero Cristo, ed in ciò
riteniamo, sta l’errore più evidente di questo operato.
Sorgono dunque diverse domande che rimangono allo stato inevase:
È giusto salvaguardare la dottrina, se questa va contro Cristo?
È giusto rispettare l’arresto di un Sinodo se questo pronuncia contro la
Verità di Cristo?
Ed al contrario, se si appurasse realmente, che diversi Santi che hanno
invocato S. Uriele, in aperta dissonanza dal responso di quel Sinodo, siano
caduti in errore, allora gli stessi non hanno confessato Cristo, ma il
demonio?
Infatti l’errore può essere scusabile nella dottrina, ma non nella liturgia,
o nell’illuminazione Celeste, dove, la preghiera diretta verso satana e i
suoi accoliti, non può essere rivolta anche a Dio, e i frutti da essa ricevuti,
non sono e non possono essere dello Spirito Santo, ma del Principe
dell’iniquità!
Se dunque, si è confessato satana, non si può raccogliere frutto, ma se
invece non si è confessato satana, ma si confessa Cristo ed una verità di
Cristo: perché non si accoglie Cristo e coloro che lui ha scelto per la nostra
salvezza?
Difatti ,come abbiamo visto, la Sacra Congregazione dei Riti riteneva (e
forse ritiene ancora) essere un errore la devozione all’Arcangelo Uriele.
Certo, se di errore si tratta, c’è da chiedersi quale impatto avrebbe allora
sulla proclamata santità di quelle personalità del cattolicesimo che,
come abbiamo visto, veneravano, ed in qualche caso, pregavano pure, S.
Uriele.
La vicenda va presa quindi con attenta circospezione.
ANTONIO MARGIL DI GESU’
GLI INCREDIBILI TRAGITTI DI ANTONIO MARGIL VERO E PROPRIO SAN
PAOLO DELLE AMERICHE
(1)
(2)
(3)
Viaggia nell'America centrale, Messico e Texas e Louisiana.
Viaggia in Honduras, Nicaragua, Costa Rica e Panama
Viaggia Messico, Guatemala e El Salvador
1)
2)
3)
mappe tratte da:
Select Writings of Ven Fr.
Antonio Margil, O.F.M.
Chicago: Franciscan Herald
Press, 1976
VITA, VIRTU’ E MIRACOLI DEL VEN. PADRE ANTONIO MARGIL
All’inizio1 del sec. XVIII° l’America settentrionale poté vantare uno
nuovo Apostolo di Cristo, vero e proprio San Paolo delle Americhe, il
sacerdote francescano Antonio Margil di Gesù (1657 – 1726) , che per
quarantatré anni continui, instancabilmente percorse tutte quasi le
terre, che formavano allora la Nuova Spagna2 [Texas, Arizona, California,
Colorado, Nevada, Nuovo Messico, Wyoming e Utah], il Regno del Messico,
e parte della Luisiana, per diffondere da ovunque la luce del Vangelo.
Tali nobilissime imprese unite ad un esercizio costante d’ogni virtù
e corredate da singolarissimi doni soprannaturali resero Margil il
più grande evangelizzatore d’ America.
Nacque nella città di Valensia in Spagna il 18 agosto 1657 dai coniugi
Giovanni Margil e Speranza Ros, persone di basso lignaggio e sfornite di
beni di fortuna, ma pie e virtuose, che non tardarono di dedicarlo a Dio
per mezzo del santo battesimo e ad impartirgli un’educazione
veramente cristiana.
Ricco di tali virtù, passò così tanto santamente la fanciullezza e la prima
adolescenza, che quando morì, nel fare la sua ultima confessione, poté
francamente dire al suo confessore, di non avere mai peccatto durante i
suoi primi anni.
Verso i sedici anni d’età, Antonio, si presentò ai Padri Minori Osservanti
del convento della Corona di Nostro Signore in Valensia, domandando
umilmente l’abito religioso, che ottenne, dopo aver passato l’anno di
Notizie della vita, virt, doni e miracoli del Ven. servo di Dio Fr. Antonio Margil, di Giuseppe Maria Gusman
Il Vicereame della Nuova Spagna (1535-1821), all'interno dell'Impero coloniale spagnolo, fu il primo vicereame spagnolo ad
essere istituito e anche il più esteso (oltre cinque milioni e centocinquantamila chilometri quadrati al momento della sua
dissoluzione) esso occupava tutta la metà centro-occidentale degli attuali Stati Uniti (Texas, Arizona, California, Colorado,
Nevada, Nuovo Messico, Wyoming e Utah) più tutto l'attuale Messico e la gran parte dell'America Centrale (allora compresa
nella Capitaneria Generale del Guatemala che includeva gli attuali Guatemala, Honduras, El Salvador, Nicaragua, Costa Rica),
erano sotto suo dominio anche: la Capitaneria Generale di Cuba (da cui dipendevano anche i territori della Florida, Porto Rico
e Santo Domingo) e la Capitaneria Generale delle Filippine nel Pacifico; il Vicereame rivendicava inoltre il possesso del Paese
dell'Oregon (dalla Columbia Britannica, in Canada agli attuali stati americani di Washington, Oregon, Idaho) e dal 1763 al 1803
occupò anche la ex Louisiana francese; la capitale del Vicereame era posta a Città del Messico. La Nuova Spagna non solo
amministrava le terre comprese entro questi limiti ma come detto anche l'arcipelago delle Filippine in Asia e varie isole minori
dell'Oceania come l'isola di Guam e le Marianne. Dopo la sconfitta dell'esercito spagnolo da parte delle truppe di Agustín de
Iturbide e di Vicente Guerrero, tutto il territorio fu reso indipendente. Il Vicereame della Nuova Spagna è il predecessore
storico dal quale sorse immediatamente dopo il Messico.
1
2
noviziato, il 13 aprile 1674.
Terminati gli studi teologici, egli si diede sin da subito, nella stessa città
di Valensia, ad esercitare con un impegno straordinario il suo ministero,
senonché, stante la continua richiesta di Missionari che andassero ad
annunziare il Vangelo in America, egli prontamente si presentò, e
richiese d’essere uno di loro.
Dopo aver preso congedo dalla madre, tra molte lacrime, giunse con gli
altri Missionari a Veracruz, il 6 giugno del 1683, dopo una penosissima
navigazione di novantatré giorni.
La disgrazia di quella città, che allora era messa a sacco dai francesi,
presentò all’istante un vasto campo alla carità dei nostri Religiosi.
Come lo stato delle cose lo permise, essi si diedero a sotterrare i
cadaveri, che erano rimasti insepolti, a confortare gli afflitti, a curare i
feriti, e somministrare loro tutti gli aiuti di cui avevano bisogno.
Ben presto però Antonio si allontanò da Veracruz, e, portando con sé per
equipaggiamento, il bastone ed il breviario, si pose, sulla strada del
Messico scortato da alcuni mulattieri, che trasportavano mercurio.
Questo primo viaggio, fu per lui, una continua missione evangelica: in
ogni luogo che attraversava, infatti, predicava con sommo fervore e
recitava il Rosario, ascoltava quante più confessioni poteva, celebrava la
Messa, distribuiva l’ Eucaristia ai confessati.
Giunto alla città di S. Giovanni del Rio, ricevette dai suoi Superiori
l’ordine di proseguire il viaggio fino a Queretaro, per prendervi il
possesso del convento di Santa Croce assieme ad altri Religiosi.
Li, cominciò subito ad impegnarsi a tutto vantaggio di quei cittadini, e
poiché vide germogliare sin da subito rilevanti frutti di conversione,
ritenendo inutile soffermarsi ulteriormente, ritornò indietro per ben
trentotto leghe sul cammino già percorso, al fine di evangelizzare le
province del Messico.
Ritornato poi nuovamente a Queretaro, gli fu ordinato di dirigersi
immediatamente a Veracruz per passare di là nello Yucatan in
compagnia di altri religiosi a fondarvi la “Recollezione” della Mexorada3.
Rientrò dunque con tutta la fretta possibile a Veracruz, ma giunto li,
considerando che non erano ancora stati allestiti i preparativi per la
partenza, si diede a passare il tempo, facendo missioni evangeliche nella
vicina Isoletta di S. Giovanni d’Ulva; finché predisposto finalmente
l’imbarco, salì coi suoi compagni sulla nave.
Giunse nello Yucatan nell’ Aprile del 1684, ed incominciò subito ad
evangelizzare la città di Campeche, ove era approdato; e siccome per la
fondazione della “casa di recollezione” ci voleva ancora del tempo, egli
non si fermò li, ma continuando nella sua predicazione, portò le missioni
francescane fino a Merida.
Da li ritornò nuovamente a Campeche, dove lo voleva il P. Commissario
generale Fra Giovanni di Lusuriaga per averlo come compagno nella
fondazione della “casa di recollezione”.
Ma la Provvidenza Divina dispose di lui in modo diverso, in quanto,
invece di rimanere li, gli fu ordinato, assieme al P. Fra Melchiorre Lopez,
di continuare altrove la sua missione.
Abbandonata Campeche, fece vela col compagno per Tabasco, per
andare a recar rimedio ai mali spirituali di quella provincia.
Ivi giunto, si diede con instancabile fervore a tutti gli esercizi del suo
ministero apostolico, non risparmiandosi in nulla per ottenere che si
estirpassero i vizi e le anime fossero indirizzate nel sentiero della virtù.
E ciò gli riusciva perché la sua zelante predicazione era accompagnata
da costumi irreprensibili, da profondissima umiltà, austera
mortificazione di se stesso e da una carità e mansuetudine senza pari,
che mostravano in lui un vivo modello di quella dottrina, che con tanto
impegno, inculcava negli altri.
I ‘Recolletti’ francescani, ebbero origine come ramo degli Osservanti in Spagna, agli inizi del XVI secolo e furono così
chiamati dalle case di ritiro o di recollazione, istituite a partire dal 1502, con lo scopo di una vita più austera e di
raccoglimento; alla fine del XVIII secolo avevano oltre 490 conventi.
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Con questo contegno di vita, egli perdurò costantemente in tutte le terre
attraverso le quali transitava, finché oppresso dal peso di tante fatiche,
fu colpito nella città di Chiapa da una malattia mortale.
Una Madre offre la propria figlia a Dio in cambio della vita di p. Margil
Non essendovi nella popolazione di Chiapa alcun convento dell’Ordine,
il Servo di Dio si trovava malato presso due pii coniugi, chiamati
Gregorio di Vargas e Francesca di Astudello, i quali avevano avuto dal
loro matrimonio due figliuole, allora assai piccole d’ età, che erano
l’oggetto del loro amore.
Questo amore, però, non impedì a mamma Francesca, colpita da una
straordinaria carità verso il Servo di Dio; ed afflitta per il male sempre
crescente in lui, di recarsi un giorno alla chiesa con ambedue le sue figlie,
e a Dio ferventemente rivolta, offrirne una di quelle, per la salvezza del
Servo di Dio.
Piacque al Signore un oblazione così generosa, e l’accettò; difatti il
Missionario si ristabilì in breve tempo, con somma consolazione di tutto
il popolo, al prezzo della vita di una delle due figlie della coppia, che
improvvisamente morì.
Ma se gli fu restituita la salute per il vantaggio dei popoli, egli non tardò
ad impiegarla a loro profitto, col passare di paese in paese, di città in
città, distruggendo da per tutto, con la forza della sua predicazione, il
regno dell’errore e del vizio.
Trascorso così quasi un anno sulle costiere Guatemaltesi, arrivò nella
città di Guatemala col compagno delle sue corse apostoliche il p.
Melchiorre Lopez il 2 Settembre 1685, dove aprirono subito una
missione, i cui risultati furono stupendi e sbalorditivi, dopodiché, se ne
partì per Talamanca , eseguendo li meravigliose conversioni e prodigi.
Circa quattrocento leghe di viaggio si devono percorrere per chi
partendo dal Guatemala intende entrare nella Talamanca, ed a ciò si
aggiungeva l’estrema povertà dei missionari, che null’ altro avevano se
non un immagine del Crocifisso, un breviaro ed un bastone, con cui
sostentarsi fra la balze, i dirupi e la ferocia di popoli non ancora
civilizzati.
E difatti quei barbari, conosciuto lo scopo della loro venuta, misero in
atto ogni mezzo più violento per impedirne il conseguimento.
Ma quella provvidenza amorosa in cui essi ponevano tutta la loro fiducia
e le loro forze, non mancò di soccorrerli in tali affanni, e mentre da una
parte li teneva saldi e li incoraggiava, dall’ altra li preservava dalle trame
più occulte e terribili con una cura specialissima, e non di rado ancora
con luminosi prodigi.
Miracolo della catasta ardente
Come appunto accadde allorché, essendo stato, il nostro Fra Antonio,
catturato dai barbari e gettato in un’ ardente pila, le fiamme, che lo
circondavano non poterono recargli alcun danno, e soltanto (a rendere
più chiaro il portento) annerirono l’immagine del Crocifisso, che egli
teneva in mano, quantunque il fuoco fosse alimentato da quei furibondi
per diverse ore.
Meraviglie di tal fatta e più ancora l’imperturbabile pazienza, benignità
e amorevolezza con cui i due Padri sopportavano ogni sorta d’oltraggi
addolcirono finalmente quei cuori, e li disposero a ricevere il seme della
Divina Parola.
Si recarono poi dai Boruchi, molti dei quali credettero e furono
battezzati, e successivamente fra i Tecabi, i quali si mostrarono assai
docili, e facilmente si arresero alle persuasioni dei Missionari.
Fabbricata loro una chiesa, spedirono ai Terrabi degli ambasciatori per
domandare ai nobili del popolo il permesso di andare da loro.
Degli otto nobili Terrabi, sette facilmente annuirono alla richiesta; uno
invece pervicacemente si oppose, e adirato si presentò davanti ai suoi
idoli, facendo giuramento che avrebbe ucciso i Missionari, se gli si
fossero presentati.
Circondatosi dunque di armi e guerrieri, stava attendendo con
impazienza la loro venuta pronto a dare esecuzione al suo folle piano.
Saputo ciò, Margil, inverce di intimorirsi per via del pericolo che
incombeva, appena giunto fra i Terrabi, si recò dirittamente con aria
ferma e tranquilla alla casa di quello.
Una visita cosi inattesa, e tanto audace sorprese il barbaro, il quale,
deposta all’ istante ogni fierezza, unitamente ai suoi accoliti, gettò ai
piedi del Servo di Dio le armi e con dimostrazioni di affetto e d’onore, si
arrese.
Quindi i Padri diedero fuoco agli idoli e sostituendo al loro culto
superstizioso quello di Dio, edificarono due chiese, nelle quali con
somma loro consolazione, furono celebrati i divini offici, e amministrati
i sacramenti.
Dopo avere ottenuta una tale conversione, non fu difficile riconciliare
quegli animi coi Talamanchiti, dai quali i Missionari stessi vollero
andare come ambasciatori, tanto più che, nel separarsene, avevano data
parola di tornare da loro.
La docilità, il coraggio e l’amorevolezza dei missionari, furono tali che al
partirsi dalla Talamanca vi lasciarono fondate trenta chiese e convertiti
e civilizzati tanti barbari, che se ne poterono formare undici popolazioni.
Data l’eco dell’imprese di Margil, presto tutti i vescovi delle zone
limitrofe cominciarono incessantemente ad invocare il suo aiuto
affinché si recasse presso di loro per convertire quelle loro popolazioni.
Anche il Vescovo di Panama, che si trovava più vicino alla Talamanca,
fece numerose richieste ai Missionari, perché volessero rivolgere le loro
cure a beneficio del popolo a lui affidato.
Invito più grato non poteva giungere ai Padri, che, senza attendere oltre,
incominciarono ad inoltrarsi fra le genti barbare di quel regno ma
proprio mentre si trovavano li, furono costretti a fermarsi a causa di una
lettera del Commissario Generale, che li richiamava a Queretaro,
imponendo loro, senza un’ apparente ragione, un viaggio di ben
settecento leghe, per cui, a malincuore, abbandonato tutto, tornarono
sui loro passi, e presero il cammino del Guatemala, dove vi giunsero
all’inizio di dicembre 1691.
Il Vescovo della città di Guatemala non volle lasciarsi fuggire l’occasione
della loro venuta per porre rimedio alle turbolenze generate dalle
popolazioni del luogo.
Su sua istanza, i due Mssionari si recarono a Verapace, e confortati dalla
Divina Provvidenza, s’ingraziarono gli animi di quei popoli con gli
ammonimenti, le istruzioni, e l’ esempio di una vita irreprensibile; e
nello spazio di cinque mesi, abolita l’idolatria, bruciati gli idoli, tolto il
mal costume, li condussero interamente a Cristo.
Il Commissario generale, sperando di poter fondare un ospizio
francescano in Guatemala, richiamò fra Antonio e fra Melchiorre per
aiutarlo; ma non essendosi potuta mandare ad effetto la fondazione, i
due se ne partirono di nuovo per tornare a fissare meglio nella fede i
novelli convertiti di Verapace, e per tentare la conversione dei vicini
Choli.
Conseguito il loro intento, incominciarono ad aggirarsi fra le montagne
a caccia degli idolatri, i quali vivevano li come belve.
L’inclemenza del clima, l’asprezza delle vie, la mancanza delle cose più
necessarie alla vita non furono i maggiori mali, che in questa impresa
dovettero sopportare i Servi di Dio, perché opponendosi direttamente
con la predicazione e col modo di vivere ai barbari usi e alle
superstizioni di quelle genti, e tentando ad ogni costo di strapparli dalle
loro dissolutezze ed abominazioni, si tiravano addosso il loro odio, e con
questo ogni sorta d’insulti e di maltrattamenti.
Ma siccome, nonostante tutti gli oltraggi e le offese subite, persistevano
nel loro santo proposito, anzi tanto più vi si infervoravano quanto
maggiori erano i patimenti, quei barbari, disperando di farli desistere
dalla loro impresa, decisero di ucciderli.
Catturatili, un giorno, essi li legarono ad un albero per farli bersaglio alle
loro frecce.
Ma i Missionari, presentandosi così fieri e saldi innanzi a loro ,
desiderosi di incontrare il martirio, destarono una tale sorpresa in
quelle popolazioni che , queste, abbandonarono i loro propositi e,
mutato istantaneamente il furore e l’alterigia in ossequio e docilità, si
diedero ad ascoltare le loro istruzioni.
I missionari, divisero allora quelle genti in otto popolazioni, in ciascuna
delle quali fu costruita una chiesa, dove furono celebrati i divini misteri;
decisero quindi di recarsi dai Lacandoni, gente bellicosa e feroce, che col
loro nome incuteva il terrore in tanti popoli vicini.
Dopo numerose avventure, tradimenti e malversazioni subite, fra’
Antonio, giunse nei primi giorni del carnevale del 1694 presso le
popolazioni dei Lacandoni.
Qui, nonostante le loro persuasioni, i Lacandoni rapirono purtroppo i
due Religiosi, e una volta denudatili, li legarono ad un palo, destinandoli
vittime della loro rabbia e proponendo loro per unico scampo, l’adorare
gli idoli del loro popolo.
Tre giorni furono tenuti ad attendere la morte, a cui avrebbero
certamente dovuto soccombere almeno per l’inedia, se una di quelli,
mossa a compassione, non avesse loro somministrato il necessario
alimento.
Risultato vano ogni sforzo, dopo aver sofferto molti altri rimproveri, si
allontanarono piangendo sulla loro ostinazione, e predicendo, che ben
presto, quei barbari pervicaci sarebbero stati puniti da un incendio, che
avrebbe distrutto le loro case.
Alla predizione seguì il castigo, ed atterrì talmente quei barbari, che
all’istante corsero sulle tracce dei Missionari per richiamarli indietro.
Frattanto uno dei compagni di Antonio, stimò opportuno passare fra i
Choli convertiti, per apprenderne la lingua, e Margil pensò bene di unirsi
a lui.
Intanto il Regio Presidente intendeva convertire gli altri popoli di
Verapace, e in particolar modo quelli della Provincia del Peten e
pensando che all’esito felice dell’impresa avrebbe forse più contribuito
lo zelo apostolico del Servo di Dio che la forza delle armi, decise di
volerlo con lui per compagno di viaggio, e confessore.
Dunque, fra Antonio si allontanò nuovamente dai Choli, e intraprese il
pericoloso cammino assieme con la nuova comitiva, distinguendosi per
un'umiltà singolare, una fortezza senza pari nel sopportare qualunque
travaglio, ed una carità affettuosissima verso tutti, unitamente ad un
esercizio costante di ogni virtù.
Quantunque gli altri andassero a cavallo, egli precedeva sempre tutti, e
non v’era asprezza di strade, fango di palude, od ostacolo di qualunque
sorta, che potessero trattenerlo.
Miracolo della Mula
Essendo una volta caduta in un fossa una delle mule che portavano i
viveri per le truppe, molti soldati accorsero unendo le forze per trarla
fuori, ma la profondità del fosso, ed il peso del carico, da cui la bestia era
oppressa, rendevano vano ogni tentativo, e ogni fatica.
Avvedutosi di ciò il Servo di Dio, rivoltosi alla mula, disse: “ via su
obbedisci!”, e quella all’istante rinvigorita da nuove forze, spiccando un
violentissimo salto, tornò sulla strada senza aver riportato alcuna
lesione
Ma fu un altro avvenimento ad accrescere la fama di santità
dell’infaticabile frate, che, nei processi di beatificazione viene riferito da
un testimone assai ragguardevole, e perciò degnissimo di fede, il quale
lo aveva, a sua volta, appreso da suo padre , che ne era stato testimone
oculare.
Miracolo della fonte d’acqua
Un giorno, poiché le truppe erano ormai stanche per il lungo viaggio ed
afflitte dalla sete, e non si riusciva a trovare in nessun luogo dell’acqua
con cui soddisfare l’urgente bisogno; mentre già tutti erano caduti
nell’abbattimento non vedendo alcuna speranza di salvezza, il Servo di
Dio si diede ad infondere loro coraggio, animandoli a confidare nella
divina provvidenza, che giammai abbandona chi a lei si rivolge,
promettendo loro, un pronto soccorso.
Avanzata difatti ancora di un piccolo tratto la marcia, su consiglio del
frate, si trovò acqua abbondante, con cui ciascuno poté soddisfarsi, e
recuperare le forze abbattute.
Date le tante ricerche erano state fatte per rinvenire una fonte d’acqua,
questo avvenimento non era sembrato per nulla casuale anche perché ,
il testimone riferì che, nel ripassare qualche mese dopo sulla medesima
strada, per visitare quella sorgente benefica, non gli fu possibile
rinvenirla, o trovarne almeno la più piccola traccia.
Erano passati quasi tre mesi nel viaggio, allorché il 19 Aprile del 1695
raggiunsero il paese dei Lacandoni.
Il Servo di Dio, essendo giunto ad ammansire la ferocia degli infedeli si
pose ad illuminare i loro intelletti catechizzandoli, cosicché tutti
correvano da lui a domandargli di essere battezzati .
Inoltre la sua predicazione veniva confermata li da moltissimi prodigi.
Fra gli altri miracoli però ne accadde uno, che meritamente gli attirò
l’ammirazione di tutti.
Miracolo del Fanciullo
Fra Antonio aveva spesso l’abitudine che, nel visitare ogni popolazione,
al vedere un amico, o nell’entrare in una casa, prima d’ogni altro saluto,
dicesse “Ave Maria”, e il salutato rispondesse “Concepita senza peccato”.
Questa pia pratica, con cui veniva ricordato uno dei dogmi più
importanti della Regina del Cielo , fu da lei tanto gradita , che volle darne
un chiarissimo segno col seguente miracolo.
Incontratosi un giorno il Servo di Dio con una donna, che portava sul
petto un neonato, si avvicinò all’orecchio di quello, e alla presenza di
molte persone gli disse : “Ave Maria!” .
A queste parole il frugoletto, come se d’improvviso avesse ottenuto la
perfezione degli organi, e la conoscenza dei misteri celesti, a chiara voce,
intesa da coloro che si trovavano li attorno, rispose: “Concepita senza
peccato!”, sciogliendo così con uno stupendo prodigio la sua lingua
infantile, per attestare nel modo più autorevole, sia il singolare
privilegio della gran Madre di Dio, che la santità del Venerabile Padre.
Quattro popolazioni di novelli convertiti si erano già formate nel Peten
per le cure del Servo di Dio, ed egli poteva ormai ragionevolmente
attendersi frutti molto più copiosi, quando gli sopraggiunse un ordine
superiore, con cui veniva destinato a Guardiano del Collegio di Santa
Croce in Queretaro.
Subito dunque, si mise nuovamente in viaggio per la strada del Messico,
catechizzando ed evangelizzando ovunque andava.
Velocità sovrumana di spostamento
Quello che più impressionava i suoi compagni era l’incredibile velocità
con cui il Ven. Padre Margil passava da un luogo all’altro, perché,
rimanendo egli sempre indietro rispetto al gruppo, essendo occupato
nella predicazione e nell’ascoltare le confessioni, nonostante gli altri si
allontanassero prima di lui a cavallo da quel luogo, lo si ritrovava poi già
arrivato a destinazione, prima di tutti, e già impegnato nelle medesime
occupazioni.
In tal modo giunse a Queretaro il 22 di aprile 1697, prendendo possesso,
tra la gioia della comunità, della chiesa di Santa Croce; ove tenne un
tenerissimo discorso di saluto.
Nell’aprile del 1701, mentre si trovava a dirigere il convento di
Queretaro come Vicario, in assenza del nuovo Guardiano eletto, gli
giunsero lettere del Regio Presidente, che lo pregava di recarsi in
Guatemala per esercitarvi il nobile officio di pacificatore.
Partitosi pertanto dal suo diletto popolo di Queretaro (che non voleva
lasciarlo andare) immediatamente si rimise in viaggio, con tale solerzia
che, sul finire di maggio, si vide giunto a termine, benché avesse dovuto
percorrere trecensettanta leghe di strada.
Al suo arrivo trovò, tutta la città violentemente agitata da gravissime
discordie e rancori, che coinvolgevano le principali famiglie e i ministri
stessi del Regio Tribunale; ma ciò nonostante in virtù dell’amore e della
stima, di cui godeva presso tutti, seppe ricondurre in breve tempo la
calma, estirpare gli odi, e riappacificare gli animi con somma
edificazione e consolazione di tutti.
Fatto ciò, incominciò per mezzo delle largizioni e dei materiali che gli si
offrivano, e delle opere che spontaneamente gli erano esibite, a costruire
una povera chiesa ed un convento in quella città.
E nel conseguimento di questo fine si registrarono fatti così straordinari,
che la popolazione del luogo fu definitivamente ammansita.
Miracolo del Sasso
Un giorno, essendo trasportato, dai lavoratori, un sasso molto pesante,
uno di essi scivolò, ed il peso della grande pietra, insistendo tutto verso
quella parte che mancava al sostegno, stava già per schiacciarlo; quando
apparso d’improvviso fra Antonio, pose la mano sotto al sasso, e
sostenendone l’enorme peso, da solo, liberò quell’infelice.
1° Miracolo di Bilocazione
Essendo terminato un giorno, il rifornimento della calce, sembrava a
tutti che dovesse necessariamente sospendersi il lavoro, non essendo
stati preventivamente avvertiti coloro che dovevano portarla; ciò
nonostante però, si videro, il giorno dopo, arrivare lo stesso i mulattieri
con le bestie cariche di quella merce, come se fossero stati avvertiti da
qualcuno.
Interrogati sul motivo del loro arrivo così opportuno, dissero che il
giorno prima, ne avevano ricevuto ordine dal Servo di Dio padre Margil.
Fu evidente dunque, che il Padre nel medesimo tempo era stato in due
luoghi diversi, perché in quel giorno non si era mai allontanato dal
convento.
Condotta così a termine la costruzione della Chiesa con le opere dei
fedeli , le elemosine dei benefattori, e l’aiuto dei miracoli, il 13 di giugno
del 1701 , padre Margil ne prese il possesso coi suoi Religiosi, o a meglio
dire lo consegnò formalmente alla Regina del Cielo, ai cui piedi, dopo
aver cantato il Te Deum, andò a deporre ossequiosamente le chiavi del
collegio.
Intanto un’ altra sua bilocazione fece maggiore scalpore in Guatemala.
2° Miracolo di Bilocazione
Un giorno stava predicando a un popolo numeroso nella chiesa di Santa
Lucia, quando d’improvviso, restando come alienato ai sensi, con le mani
in croce, tacque, e non proseguì l’iniziato ragionamento se non dopo
lungo tempo.
Stupiti per tal accaduto, gli uditori si diedero ad indagarne il motivo e
vennero a sapere che in quel medesimo tempo, egli era stato in una casa
a liberare dalla morte una donna, che stava per cadere sotto i colpi di
suo marito.
Si confermò, in tal modo, sempre più l’ opinione di santità di Margil e per
questo, i suoi correligiosi non vollero lasciarsi fuggire la circostanza
della sua dimora in Guatemala per averlo per Superiore dell’Ordine; e
perciò, risultata vacante la carica di Guardiano nel settembre del 1702,
di unanime consenso lo elessero a quel titolo.
Del dono di preveggenza
Mentre una notte stava egli pregando con i suoi Religiosi, arrestatosi
subito, come chi avesse visto una cosa di grande orrore, esclamò per due
volte: che pena che si perda quell’ anima! e alzatosi in fretta corse con
un compagno verso una porta d’ingresso della città, presso cui pendeva
già da un capestro un miserabile, che indotto dalla disperazione, era
andato ad appiccarsi.
Lo sciolse all’istante, e liberatolo nello stesso istante dalla morte
temporale e da quella eterna, gli fece conoscere la gravità del suo
misfatto, l’indusse al pentimento, e ne ottenne, che poi conducesse una
vita santa.
Interruppe pure una volta il divino ufficio, per impedire un delitto, che
due libertini stavano per commettere fra le ombre della notte; ed un’
altra volta per trattenere un tal D. Luigi Antonio Mugnoz, che era uscito
di casa armato per andare a vendicarsi dell’avversario a causa di una
ingiustizia ricevuta.
Si recò, un’altra notte, a prevenire un altro omicidio, che si stava
compiendo in una casa di gioco.
Un cavaliere commosso dalle sue prediche e a lui confessatosi, aveva
troncato finalmente una insana relazione, che da gran tempo teneva con
una dama sua pari.
La donna vedendosi priva dell’oggetto della sua passione, e conoscendo
essere appunto il Ven. Padre quegli che glielo aveva portato via; decise
di vendicarsi meditando di farlo cadere in uno scandalo.
Pertanto, finse un bisogno spirituale, e sotto tale pretesto fece chiamare
a sé Margil.
Non tardò il Servo di Dio ad accorrere, e benché fosse da superna luce
istruito delle perverse mire della donna, confidando sempre nello
speciale aiuto di Dio, fingendosi ignaro del pericolo, la salutò
cortesemente e sedutosi presso lei, cominciò con dolci modi ad
interrogarla dei suoi bisogni, ponendole nel tempo stesso, come chi
ammonisce, una mano sulla spalla.
A quel tocco, mosso ed animato dalla divina virtù, si vide operata la più
portentosa conversione; poiché quella, allontanato subito dal cuore il
rancore e l’odio, incominciò a sciogliersi in amare lacrime di pentimento,
chiese di confessarsi, ed intraprese da quel momento a condurre una
vita veramente onesta ed edificante.
L’agosto del 1705 dopo essere stato nominato Commissario delle
Missioni di Costarica, un comando del Commissario Generale venne a
troncargli ogni progetto, e ad imporgli di retrocedere per ben settecento
leghe, per andare a fondare un collegio a Zacatecas.
L’episodio dell’oltraggio
Mentre ritornava sul già fatto cammino, trattenendosi un giorno col
Vescovo del Nicaragua in cui si era incontrato, vide venire un sacerdote
da cui aveva ricevuto un gravissimo oltraggio.
Era costui un parroco, che avendolo sentito una volta predicare nella
propria chiesa, e trovandosi colpito dalle verità che egli annunziava,
acceso d’ira, senza alcun riguardo allo scandalo del popolo, e al rispetto
dovuto al luogo santo, l’aveva pubblicamente rimproverato di predicare
spropositi, e ricolmandolo anche d’ ingiurie e di villanie, gli aveva
ordinato di scendere dal pulpito.
Al che il Servo di Dio prontamente obbedendo troncò il discorso nel suo
mezzo, e disceso immediatamente, si recò da lui a ringraziarlo
umilmente, perché aveva voluto, in tal modo, abbassare la sua superbia
ed illuminare la sua ignoranza.
Or dunque vedendo venir questo parroco, si licenziò subito dal Vescovo
e dalla sua compagnia, demandando il permesso di andare a salutare
quel sacerdote, a cui (come egli diceva) aveva obbligazioni così grandi,
che non sarebbe mai giunto a rendergliene degne grazie.
Quindi subito corse verso il parroco a braccia aperte, e prostratoglisi
dinanzi, gli baciò le mani e i piedi con tali dimostrazioni di tenerezza e
di affetto, che lasciò tutti i presenti ,quantunque ignari del precedente
avvenimento, altamente edificati e sorpresi di tanta umiltà.
Fra l’esercizio di tali virtù e le ordinarie sue fatiche di apostolo, giunse
in Guatemala, ai primi dell’anno 1707.
Stava, non molto distante, una miniera, per la sua sterilità, abbandonata
dal Suo padrone D. Ignazio Bernardez.
Mentre questi una notte se ne stava in casa, si vide comparire avanti il P.
Margil, che con un tono franco gli disse, che a sue spese si doveva
edificare il collegio.
Sorpreso il Bernardez gli fece presente le sue circostanze, le quali non
gli permettevano di accingersi a tale impresa; ma il Padre troncandogli
le parole soggiunse, che facesse di nuovo aprire la miniera, e ne avrebbe
tratto lucro in abbondanza sia per sè, che per supplire alle spese della
costruzione.
In tal modo il Bernardez comandò al suo minatore di porre
immediatamente la mano all’ opera ed improvvisamente, ottenne da
quella miniera precedentemente abbandonata, un così grande utile, che
poté in breve edificare, a suo costo, la chiesa e il collegio, conosciuto poi
sotto il titolo di Nostra Signora di Guadalupe, dove i Padri pieni di
riconoscenza a Dio e al loro benefattore andarono ad abitare.
Nello stesso anno 1707, ad istanza del Vescovo di Guadalaxara andò a
far missioni in quella città, e in seguito, per lo stesso motivo, percorse
molti altri luoghi della medesima diocesi, di quella di Gudiana, e della
provincia di S. Francesco di Zacatecas, riportando ovunque la
conversione di moltissimi peccatori, e il loro ritorno sulla via della
grazia.
Inoltre, già da qualche tempo la Corte di Spagna desiderava di ridurre
alla Fede gli abitanti delle montagne del Nayarit, e scriveva pertanto
incisive lettere al Regio Tribunale di Guadalaxara.
Nessuno si vedeva più adatto a tale scopo del Servo di Dio.
Il miracolo delle frecce
Tuttavia, appena si inoltrò di qualche lega fra le montagne abitate dagli
infedeli, una truppa di quelli, scortolo da lontano, gli si avventò contro,
ed incominciò a scaricargli addosso le sue frecce.
Lietissimo di poter dare la sua vita al Signore, denudatosi il petto, si era
già posto con le braccia in croce ad aspettare la morte; senonché,
volendo il Signore riservarlo a cose maggiori, infuse all’istante, nel cuor
di quei miseri, un tale spavento, che li rese incapaci ad ottenere lo scopo;
ed uno , che lo aveva preso bene di mira e stava già per lanciare il dardo,
fu colpito da una immediata debolezza di tutte le membra del corpo e
non fu capace di eseguire il suo folle intento.
Scampato così meravigliosamente dalla morte, corse ad abbracciare
affettuosamente il comandante dei barbari ed gli espose per mezzo degli
interpreti, le sue intenzioni e i suoi fini.
Tutto però riuscì inutile, e gli armati si ritirarono rumorosamente,
insultandolo e minacciandolo di pronta morte se non fosse partito
all’istante.
Vista l’impossibilità di convertire quelle genti, il Ven. Padre ritornò a
Guadalaxara, per esporvi al Regio Tribunale l’esito della sua missione.
Poi ritornò a Zacatecas per visitare il suo collegio, e quindi passò in
Messico a stabilire col Vicerè i mezzi da adoperarsi per la conversione
di quelle genti.
Terminate finalmente le discussioni sugli affari del Nayarit, tornò fra i
suoi Religiosi a Zacatecas circa la metà dell’ anno 1712.
Tuttavia, la deplorabile condizione degli abitanti delle regioni
conosciute sotto il nome di Texas, i quali del tutto abbrutiti recavano una
vita misera e selvaggia, lo indussero ad impiegare per loro le sue fatiche,
i suoi sudori, e se necessario la sua vita, tanto più che, il Commissario
Generale, lo aveva autorizzato ad andare a portare le missioni ovunque
volesse, e con quei compagni che stimasse più necessari, senza dover
soggiacere ad alcun Superiore subalterno.
Quattrocento leghe di distanza circa dividono il Texas da Zacatecas, e
luoghi aridi, monti scoscesi, tratti di paese totalmente deserti, ne
occupano la maggior parte.
Il Servo di Dio, si pose, dunque, con i suoi compagni in cammino, senza
viatico, senza provviste, senza soccorsi, e carico solo degli arredi
sacerdotali.
Fra le azioni notabili di questo tempo, fu l’aver fondato nella provincia
di Bocca di Leoni, un Terzo Ordine di Penitenza, ed un Ospizio, a cui,
mossi dall’ efficacia delle sue parole , incominciarono ad accorrere i
popoli limitrofi per frequentarvi gli atti del culto e i sacramenti, dai quali
si erano tenuti tanto tempo lontani, immersi nella dissolutezza e nel
paganesimo.
Due anni interi erano scorsi dalla sua partenza da Zacatecas quando si
vide giunto nei paesi dei Texas, quando gli stenti e le privazioni crebbero
a dismisura, ma ciò nonostante, incominciò a farsi strada nell’affetto di
quei popoli.
Attestano i processi, che quando egli predicava si spopolavano le terre,
e la gente da per tutto correva in folla per andarlo a sentire , e che il
bene che si otteneva dalle sue prediche era incalcolabile.
Ma quand’anche di tale circostanza non ne facessero menzione gli
autorevoli testimoni oculari, potrebbero corroborarne la verità le tante
case di missione e le chiese da lui fondate in quei paesi, come ad
esempio: la casa di missione di S. Giovanni Battista, di S. Antonio di
Vejar, di S. Giuseppe di Vejar, della Baia dello Spirito Santo, della
Santissima Concezione, e di S. Francesco della Spada.
Mentre però procurava in tal modo la conversione degli infedeli, non
trascurava gl’interessi dei cattolici.
Molti si riaccostarono a quei sacramenti che da dieci e più anni avevano
trascurati ; altri incominciarono una vita tutta nuova; ed altri si tolsero
dagli scandali, congiungendosi in matrimonio a quelle persone che
illecitamente mantenevano.
Ma il nostro Ven. Padre non si fermò li, ma azi andò avanti finché non
ebbe piantato lo stendardo della fede fra gli Adaes, sessanta leghe al di
là dei paesi dei Texas: e sarebbe certamente passato più oltre , se il
comando dei Superiori non l’avesse obbligato a ritornare indietro.
Tuttavia nel 1722, i Padri di Zacatecas, spedirono un avviso a Padre
Margil volendolo nuovamente tra loro, mentre egli si trovava appunto
nei più lontani paesi degli Adaes .
Quindi senza esitare egli si rimise un’altra volta in cammino.
Nel Giugno dello stesso anno 1722 giunse finalmente al suo convento,
ove riprese ciò che aveva lasciato otto anni prima; si allontanò per poco
dal collegio per andare ad insistere presso il Vicerè nel Messico per gli
affari del Nayarit, ma ben presto ritornò a Zacatecas a fare sperimentare
a quel popolo i vantaggi della sua presenza nel sedare numerose
discordie
Così in un esercizio sempre costante di carità , giunse, nel febbraio del
1725, in cui si fece luogo all’elezione del nuovo Guardiano.
Rimase a svolgere i compiti di semplice religioso, fin quando non fu
nuovamente disturbato da quella sua beata quiete, dalle pressanti
istanze, che nell’ottobre dello stesso anno, gli vennero fatte dai cittadini
di Guadalaxara, che si trovavano in gran bisogno del suo intervento.
Uscito poi da Guadalaxara, portò la Divina Parola a molti luoghi della
diocesi di Mechoacan, trattenendosi li fin quando lo richiedeva il
bisogno, tanta era nei popoli la brama di riceverlo e di ascoltar dalla sua
bocca le celesti verità.
Morte del Venerabile Padre
Tuttavia, a causa delle grandi fatiche che aveva dovuto sopportare per
arrecare così tanta salvezza a quelle popolazioni, la salute del Ven.
Padre cominciò progressivamente a venir meno.
Egli ritornò pertanto a Queretaro così mal ridotto che il Commissario
generale giudicando che in quel collegio non ci fossero mezzi sufficienti
per apprestargli una cura tale; gli consigliò di andare nel grande
convento situato in Messico.
Il Servo di Dio, tuttavia, già da molto tempo, aveva ricevuto dal Signore
degli interni e chiari presentimenti della sua prossima morte; e sin
dall’ultima volta, che partì da Zacatecas, aveva fatto intendere ad un tale
sig. Molina, che non si sarebbero più riveduti.
Questi presentimenti, essendo poi divenuti certezza, gli davano a
conoscere assai chiaramente , che ogni rimedio sarebbe stato inutile, e
quel viaggio di trentotto leghe non sarebbe servito ad altro, che ad
accelerargli la morte.
Accadde il felice suo transito nel giorno della Trasfigurazione del
Signore, il 6 di Agosto dell’anno 1726 , all’età di sessantotto anni, dei
quali quasi cinquantatré passati nella religione, e quarantatré fra offici
di apostolo.
Altri Miracoli Da Lui Operati In Vita
Mirabile fu in lui il dono delle lingue. In tanti paesi che percorse, fra i
tanti popoli ove si trattenne, non parlando se non l’idioma castigliano,
né, avendone appreso alcun altro, veniva capito da tutti, come se usasse
la lingua propria del luogo, ed intendeva benissimo quanti andavano a
confessarsi da lui, o a parlargli, come se fosse stato perfettamente
istruito nella loro lingua.
Viaggiando egli per la diocesi di Nicaragua, un servo del podestà di
Sevacò che lo accompagnava; nel tagliare un ramo d’albero si troncò un
dito in modo tale, che rimaneva pendente tramite la sua sola cute.
Impietosito il P. Margil per quella disgrazia riunì il dito staccato,
ponendovi sopra poco tabacco per nascondere il miracolo che stava per
operare, e fasciatolo con un fazzoletto, lo benedisse. Si proseguì quindi
il viaggio, e dopo circa un’ ora, il ferito, non avvertendo più alcun dolore
al dito, volendo osservare cosa era accaduto al suo arto, lo svolse, e lo
trovò perfettamente sanato.
Margil, un giorno si recò al monastero di S. Chiara in Messico, per
ascoltarvi la confessione della Madre Suor Niccola di S. Idelfonso, che da
cinque anni giaceva a letto paralitica.
Dopo essersi trattenuto da lei, dopo aver consolato la donna, le disse con
fare scherzoso, prima di partire: alzati pigra!. Le sue parole furono un
comando di Dio; giacché l’inferma nello stesso giorno recuperato l’uso
delle membra, poté attendere agli esercizi della comunità assieme con
le altre suore.
Oliver Margil, nipote del venerabile Antonio Margil, ammalatosi di
febbre terzana nell'agosto del 1740, implorava con fervore la guarigione
dal suo venerabile zio. Una volta, a mezzogiorno, mentre solo nella sua
cella pregava a questo scopo, il Venerabile gli apparse tutto splendente
e gli disse queste parole: “Sono tuo zio, Antonio Margil di Gesù, che, per la
grande umiltà che ebbi in vita, godo della beatitudine con una gloria
inesplicabile!”.
Poi segnò di croce la fronte del malato, gli promise la salute, disparve.
Il nipote si alzò che era guarito
L’ARCANGELO URIELE,
CUSTODE DEL VENERABILE ANTONIO MARGIL
Tutti questi miracoli e queste straordinarie opere non sarebbero potute
avvenire se Dio non avesse affidato al Venerabile Margil, uno Spirito di
Superiore Gerarchia, nientemeno che uno dei Sette Arcangeli Assistenti
al Trono di Dio (c.f.r. Tb 12,15 – Ap 1,4) , l’Arcangelo Uriele.
Questa straordinaria circostanza fu rivelata dal Padre Margil stesso, ad
una sua figlia molto spirituale, e la traiamo dalla biografia messicana
redatta da padre Isidoro di Siviglia, nella sua prima edizione, come
anche dalla Causa di Beatificazione e Canonizzazione.
In primo luogo, presentiamo al lettore :
El Peregrino septentrional atlante : delineado en la exemplarissima
vida del venerable padre Fr. Antonio Margil de Jesus ”, edizione del
Messico - 1737
Il veloce pellegrino settentrionale. Delineando la esemplarissima vita del
venerabile padre f. Antonio Margil di Gesù
la più importunante biografia sull’operato del Venerabile, di cui
riportiamo la riproduzione digitale integrale delle Pagg. 426 e 427 della
prima edizione del Libro, l’unica che non risulta poi censurata dal
revisore Espinosa.
Qui viene scritto, nel CAPITOLO XVII°, “Viviendo el v. padre assiste a su
madre en vida, y en su muerte, y del angel custodio, que le fue dado”.
che più di una volta questo straordinario predicatore rivelò quale fosse
il nome del suo Angelo Custode, ovvero S. Uriele Arcangelo, “Fuoco di
Dio”, il quale: “…lo embia el Senor, à que sople fuego del amor divino
en mi corazon..” cioè lo invia il Signore a soffiare il fuoco dell’amore di
Dio sul suo cuore.
Inoltre, come possono notare facilmente i nostri cari lettori, il Padre
Isidoro Felice de Espinosa, ha provveduto a cancellare a penna il nome
di Uriele dalla fonte documentale, mediante una retta di correzione,
eseguita su istanza della Censura Ecclesiastica che intendeva eliminarne
il nome, ed in basso alla medesima pagina 426, si nota poi la scritta:
“Expurgato el nombre de Uriel, segun Decreto del SS. Officio del
1749”
a firma del medesimo revisore Espinosa.
Forma non censurata del brano:
http://cdigital.dgb.uanl.mx/la/1020000514/1020000514_070.pdf
Ma vediamo cosa dice esattamente il documento che abbiamo voluto
tradurre dallo spagnolo in lingua italiana dal capitolo:
Questa ruota mistica, per l'esecuzione di ciò che abbiamo detto, si elevava
al passo che la muoveva lo Spirito Cherubico, che non sarebbe altro che il
suo Angelo Custode. Chi fosse questo, lo dichiara il Sermone che in suo
onore si predicò nel Collegio di Guatemala attraverso queste parole:
Disse una e molte volte il Venerabile Padre ad una persona molto
spirituale: Sai, che il mio angelo custode, è S. Uriele, il fuoco di Dio,
che il Signore, lo invia a soffiare il fuoco dell'amore divino sul mio
cuore?
Per confermare nel pio questa notizia, avverto che è opinione del maestro
delle sentenze [Pier Lombardo], che un Angelo può essere,
successivamente, il custode di molti uomini – si veda nella 2 sentenza,
distinzione 11 - e che per questo ministero suole, il Signore, assegnarlo ad
uno degli Spiriti Massimi della Gerarchia Suprema, secondo il suo
beneplacito, perché tutti gli Angeli sono destinati a aiutare gli uomini.
Dei loro nomi, anche insigni teologi affermano, se Dio li tiene indicati, solo
tre ce li manifestano le Divine Scritture: ma la pietà popolare con
probabile congettura, ha ammesso altri quattro tra i Sette Principi, che
indica con nomi propri.
È pur vero che, in riferimento alla statuizione del Concilio Romano
dell’anno 745, il Santo Pontefice Zaccaria condannò i nomi mostruosi, che
l’eretico Adalberto attribuiva agli Angeli. Senza saltare il decreto, avverte
il conosciutissimo Padre Maestro Juan Martínez de la Parra [celebre
predicatore gesuita del 1600 n.d.a.] nella approvazione del Libro dei Sette
Principi, che il Concilio non chiuse la porte a quei nomi che i Dottori
Cattolici riconoscono tra i Santi Angeli, nonostante non siano riconosciuti
certi del tutto.
Il nome di Uriele lo ammettono Santi, e narratori, si veda Cornelio sopra il
Capitolo 1 di Ezechiele, e Silveira al Capitolo 1 dell’Apocalisse, che citano
San Bonaventura, Sant’Alberto Magno e molti altri, che rendono questa
pia opinione. Silveira , con l’autorità di Gerson dice, fu Uriele l’Angelo che
liberò San Pietro e che fu il suo Angelo custode.
Si leggano agli Atti degli Apostoli, capitolo 12.
Quello che mi serve come appoggio più solido è l’approvazione di questo
nome, da parte della Chiesa che, in un Responsorio dell’Officio francescano
di San Gabriele parla dei quattro Principi e dice di San Raffaele Et suam
medelam Raphael affert, quam confert Uriel pro grege rationali [E la
sua medicina reca Raffaele, che Uriele dona al gregge sacerdotale n.d.a.].
Anche se non è di fede, non potrà dubitarsi che si trovi nella pietà
popolare. Uriele significa infatti , come interpretano il suo nome
quanti dottori lo trattano, Luce o Fuoco di Dio: come Luce, essendo il
custode del Venerabile fra Antonio, poté rivelargli i bisogni e i guai
in cui versava sua Madre; come Fuoco di Dio, concedergli la velocità
per la prontezza dell’assistenza e per accendere nel suo petto una
fiamma di amore divino, che impetrasse con le sue preghiere la
salute per la Madre e la Sorella, quando le visitò in spirito e per
assisterle corporalmente, quando raggiunse la virtuosa madre negli
ultimi istanti della sua vita. È singolare la notizia del dotto padre
Alcazar, secondo cui Uriele fu quell’Angelo che accese con tante
misteriose fiamme il rovo dell’Oreb, che ardeva senza consumarsi4 .
Se si dà assenso all’esser stato proprio questo l’Angelo del Servo di
Dio….
Ciò posto, il revisore, onde evitare che il problema del nome potesse
inficiare la beatificazione del p. Margil provvede a interlinearlo ed
espungerlo dalle successive edizioni.
4
Alcazar riprende tale immagine da San Isidoro n.d.a.
L’apparizione dell’Angelo è riportata anche nella causa di Beatificazione,
intitolata:
Sacra Rituum Congregatione – Emo et Rmo Domino Card. Pignatello
Relatore / Mexicana Beatificationis et Canonizationis Ven. Servi Dei
Antonii Margil a Jesu, Missionarii Apostolici Ordinis Minonorum S.
Francisci de Observantia / Romae 1796 , par. 173/174,
nella parte relativa alle contestazioni – animadversiones – del
promotore della fede
in cui si fa menzione della stessa rivelazione mistica operata dal padre
alla predetta testimone, che era la pia donna precedentemente
richiamata (traduciamo, per quanto indegnamente dal latino):
“ Difficoltà molto più lievi creano alcune proposizioni, che sono indicate
nella nota, alla lettera A, numero 50 , delle osservazioni – affermò una
certa suora (processo informativo Guatemalese foglio 585 a tergo: “Mi
disse, sai figlia chi è il mio Angelo Custode? S. Uriele fuoco di Dio”.
Evito di domandare, con quale senso, queste parole furono espresse dal
Venerabile Antonio.
Aggiungo che non sia insolito, che Dio abbia rivelato a qualcuno il nome
del suo Angelo Custode.
Sebbene , infatti, la Chiesa Cattolica, tranne che di tre nomi di Angeli –
Michele, Gabriele Raffaele, non riconosca nessun’ altro nome di Angelo,
come provano i Cardinali, Albizio, nel De Incostantia in Fide, par 1, cap.
40,n. 15° ed Hurtado, al trattato 5, cap, 5, risoluzione 71, n. 1678, tuttavia,
ciò non proibisce che, se per rivelazione privata, ad alcuno sia stato
manifestato il nome del suo Angelo Custode, riconosca lo stesso sotto tale
nome e lo accolga in culto privato, come espone lo stesso Albizio, li citato,
al n. 156, con Hurtado: “… qualunque sia e fino a che punto giunto il culto
privato, se emerga qualche rivelazione fatta ad un uomo cattolico e
fornito di virtù, del nome del Suo Angelo Custode, come dice lo stesso
Hurtado essersi verificato a Giovanna della Croce, il cui Angelo custode era
chiamato Lauriel, che può fare uso sotto tale nome al predetto Angelo, non
sarà lecito il culto pubblico senza l’approvazione della Sede Apostolica”.
Dell’Angelo Uriele vi sono per noi documenti più certi, come infatti ad
esempio indichiamo le Liturgie degli Etiopici e dei Greci, e non poche
Litanie di qualche latino, in cui viene invocato Uriele, come può vedersi
presso il Cancellieri nel suo De Secretariis p.1012 e ss; Sant’Ambrogio, nel
libro 3° del De Fide all’imperatore Graziano e San Isidoro, le libro 7 delle
Etimologie, c. 6 e altri riconoscono il nome dell’Angelo Uriele.
Ne sepolcro di Maria Augusta, moglie dell’imperatore Onorio, fu rinvenuta
una lamina, su cui era inciso il nome dell’Angelo Utiele. S. Bonaventura nel
Centiloqui par. 3§18, assecondando la versione dei settanta interpreti, citò
, come appare, il libro terzo di Esdra, al posto del libro quarto in cui viene
espresso il nome di Uriele: “Così Uriele, che si interpreta, colui che a Dio
risplende, o appare, o fuoco di Dio, o incendio di Dio, del cui nome si legge
nel terzo libro di Esdra..”.
Più cose di questo Angelo Uriele possono leggersi presso il lodato
Cancellirei, e Calmet in Dizionario Biblico, alla parola Uriele”