FRANCESCO ASPESI
IL MIELE, CIBO DEGLI DEI*
La storia del miele è la storia di un nobile alimento decaduto, non conservando,
nell’alimentazione contemporanea, che un ruolo marginale rispetto a quello rivestito fra
le popolazioni del Mediterraneo antico per le quali costituiva la fondamentale sostanza
dolcificante e medicamentosa.
Fino all’affinamento delle tecniche di allevamento delle api, fu anche un prodotto di
raccolta decisamente raro rispetto alle necessità derivanti da tali impieghi, benché
integrato, in alcune regioni, da un surrogato ricavato dai datteri: le lingue semitiche
antiche, infatti, denominano allo stesso modo il miele deposto dalle api e quello
vegetale1.
Il miele è quindi ancora troppo prezioso nelle civiltà del bronzo del Mediterraneo
orientale per figurare di norma nella documentazione economica degli archivi di
palazzo, perlopiù costituita da assegnazioni di razioni: esso appare infatti confinato in
registrazione di offerte alle divinità. Così alla tavoletta in lineare B da Cnosso che
annota offerte di vasi di miele a tutte le divinità e, in particolare, alla Signora del
Labirinto2, fa da pendant sulla costa siriana il vaso di miele libato dall’alto della torre
nella coeva storia di Keret a Ugarit3.
Le prove della grande rilevanza del miele nel Mediterraneo antico non vanno quindi
ricercate negli archivi, dove è invece possibile quantificare il ruolo essenziale di
alimenti come i cereali, i fichi, le olive con l’olio e lo stesso vino: esse risultano
cristallizzate nelle straordinarie valenze mitico-religiose di cui il miele e la sua
intermediaria all’umanità, l’ape, si trovano rivestiti nella documentazione letteraria
antica.
*Da Silvestri, D., Marra, A., Pinto, I. (a cura di), Saperi e sapori mediterranei. La cultura
dell’alimentazione e i suoi riflessi linguistici (Napoli, 13-16 ottobre 1999, 3 voll., Napoli 2002, III, pp.
919-29.
1 Cohen 1993, 215-16, sub voce DB/P$ e Halévy 1910, 499-501. Flavio Giuseppe segnala che le palme
della regione di Gerico producono datteri i quali forniscono un’abbondante miele non molto inferiore
all’altro prodotto dalle api del paese (De Bell. Jud., 4, 8, 3).
2 KN Gg 702.
3 Gordon 1965, 251, vv. 164-65.
1
Ape intermediaria, infatti, e non diretta produttrice del miele, che essa si limita a
restituire ai mortali e agli infanti divini, come il neonato Zeus cretese4, dopo averla essa
stessa assunto: fino a tutta l’antichità classica il miele essendo, non solo cibo5, ma anche
dono degli dei.
L’ipotesi più concreta che i popoli del Mediterraneo antico hanno saputo formulare
circa l’origine del miele in terra è stata quella della sua caduta dal cielo, sotto forma di
rugiada6 o di manna7.
La stessa ape è spesso inserita nella sfera del divino. In Egitto essa figura nella
titolazione del dio faraone in qualità di emblema del Basso Egitto: nonostante l’ipotesi
che in tal caso il geroglifico dell’ape possa non essere il nome bjt “ape”, ma costituire
uno dei rebus utilizzati dalle scritture egiziane8, esistono non infrequenti riferimenti alle
api e al miele nella teologia dell’antico Egitto, con particolare riferimento alla regione
del Delta9.
In Grecia, l’ape costituisce spesso il sacro corteggio di dee connesse alla fertilità e alla
selva: Esichio afferma che mevlissai sono aiJ th~" Dhvmhtro" muvstide" e Servio e
Lattanzio riportano leggendarie attestazioni di sacerdotesse di Demetra a Corinto e di
4
Lattanzio, Divinae Institutione I, 22: “puerum caprino lacte ac melle nutrierunt (riferito alle due figlie
del re cretese Melisseo, Amaltea e Melissa), unde poëtica illa fabula origine sumpsit advolasse apes atque
os pueri melle complesse”. Si veda al riguardo il commento della Marconi (1940, 166). Antonino
Liberale, rifacendosi a tradizioni molto antiche, afferma che la grotta a Creta dove Rhea partorì Zeus “è
abitata da api sacre, che furono le nutrici di Zeus”.
5 Anche le labbra del piccolo Dioniso vengono cosparse di mielein concomitanza con la sua nutrizione da
parte di Makris, figlia di Aristeo (Apollonio Rodio, Arg., IV, 1132). Sull’assimilazione del miele
all’ambrosia e al nettare, si vedano Robert-Tornow 1895, 85-89 e Ransome 1937, 131-39, che estende le
sue considerazioni anche al mondo indiano, con riferimento al soma. Nell’inno omerico a Hermes (vv.
560-62), peraltro, il biondo miele (mevli clwro;n) è dolce cibo degli dei (qew~n hJdei~an ejdwdevn).
6 Secondo Aristotele, Historia Animalium V, 20-21, il miele cade dal cielo (ejk tou~ ajevro") soprattutto al
sorgere degli astri e al dispiegarsi dell’arcobaleno: non c’è affatto miele prima del sorgere delle Pleiadi. E
ancora Aristotele nel luogo citato: (le api) il miele non lo producono, ma trasportano quello che cade (to;
de; mevli o{ti ouv poiei~, ajlla; fevrei to; pi~pton). Robert-Tornow (1893, 76 ss.) riporta passi analoghi
di altri autori classici, fra cui Teofrasto, Plinio e Columella. Si veda anche il passo di Servio citato in
Triomphe 1989, 106, n. 8.
7
Suida, s.v. ajkriv", interpreta mavnna come mevli a[grion. Il libro dell’Esodo (16, 31) dice che la manna
“aveva il sapore di schiacciata fatta col miele” e il Talmud afferma che, per i bambini, la manna del
deserto aveva il sapore del miele (Berachot 37b, citato in Toperoff 1985, 247).
8 H. G. Fisher, in Neufeld 1978, 229.
9 Chouliara-Raïos 1989, 33-34. Per gli antichi egiziani, peraltro, le api, e di conseguenza il miele e la
cera, sarebbero nate dalle lacrime del dio sole Ré’ (ivi, 31).
2
Rhea a Creta di nome Melissa10; l’ape è d’altra parte connessa al culto di Artemide, in
particolare a Efeso11.
Nel mondo classico essa è un insetto tanto osservato e ammirato, quanto avvolto nel
mistero, specie per ciò che riguarda la sua genesi. L’ape è infatti ritenuta essere, tra
l’altro, il simbolo della castità12 e quindi non riproducibile per filiazione. Virgilio riveste
di poesia il notissimo mito della bugonia, della nascita delle api dalla carcassa bovina;
sostituendo il leone al bue, tale mito trova testimonianze certe nell’episodio di Sansone
di Giudici, 14, e indiziarie nell’antico Egitto13. La bugonia virgiliana14, prodottasi dalle
sfatte carni delle quattro giovenche e dei quattro tori sacrificati a Orfeo, connette ancora
le api al mondo invisibile, non più celeste ma ctonio.
Questo ci riporta all’origine concreta dell’impressionante elaborazione simbolica
operata dalle culture del Mediterraneo antico attorno al miele e all’ape: la rarità e la
preziosità del miele nel corso della lunghissima fase della sua raccolta come prodotto
selvatico, fase che trova testimonianze già in epoca paleolitica. L’approdo
all’acquisizione progressiva delle tecniche di addomesticamento delle api appare infatti
differenziato nel tempo per le diverse popolazioni mediterranee.
Una scena rappresentata in un tempio solare egiziano della quinta dinastia potrebbe far
pensare a primitivi alveari, costituiti da giare orizzontali sovrapposte e di probabile
monopolio reale, già nell’Antico Regno15; forme di allevamento domestico delle api
10
Anche Callimaco (Inno ad Apollo, 110) ci presenta delle Mevlissai che portano acqua pura a Demetra.
Elderkin 1939, Picard 1940 e Bodson 1978, 38-43. Vedere anche Cook 1895 a p. 12 per Efeso e in
generale per la mitologia dell’ape in Grecia.
12 Riferimenti di autori classici alla castità dell’ape, quali Aristotele, Varrone, Virgilio e altri, in RobertTornow 1893, 12-18.
13 Aspesi 1994, 8-9, 12-18.
14 Georg. IV, 554-58. Sulla bugonia in Virgilio e per accenni negli autori ellenistici, si veda il commento
di Laura Simonini all’Antro di Porfirio (1986, 177-80).
15 Kuény 1950. Il rilievo fa parte del tempio solare di Ne-User-Ré’ ad Abu-Ghorab; alla sinistra di
personaggi che travasano del miele, figura un uomo inginocchiato che sembra tenere un vaso di forma
allungata davanti alla sua bocca, dettaglio che è però reso incerto da una frattura della lastra. Il vaso è
simile a quelli accatastati sul limite sinistro della scena e che potrebbero appunto costituire un
rudimentale alveare. Questo dettaglio della scena è sovrastato dalla scritta nft, che, se interpretato come
infinito di un verbo nfy “soffiare, esalare” (che trova però attestazione solo in neo-egiziano), potrebbe
significare che l’uomo “soffia” in una vaso dell’alveare, secondo la tecnica di affumicamento delle api
prima di raccogliere il miele. Ma, oltre all’insensatezza e al rischio di una tale modalità di affumicamento
che espone il volto dell’uomo all’attacco delle api, Kuény (ivi, 86) osserva come il vaso in oggetto abbia
la stessa forma di quello da cui il personaggio a fianco versa il miele in un più ampio contenitore, facendo
quindi prevalere l’ipotesi di una riserva di miele piuttosto che di un apiario per le giare accatastatate.
Verrebbe in questo modo meno l’unica possibile prova di un allevamento di api alla fine del terzo
millennio. A partire da queste osservazioni, intendo, in una prossima breve nota, argomentare l’ipotesi
11
3
sembrano comunque certe solo nel tardo bronzo, oltre che in Egitto, in Siria e
nell’Anatolia ittita. Fino all’età del ferro, dubbie appaiono pratiche di apicoltura in
Palestina e, a oriente, in Mesopotamia, mentre risulta evidente dalla documentazione, ad
esempio dai pur scarsi riferimenti al miele contenuti nella Bibbia, la raccolta del miele
selvatico, che peraltro sembra continuare anche nei pochi paesi che hanno avviato
tecniche d’allevamento16. All’epoca di Omero e di Esiodo, l’apicoltura per i Greci è,
nella più favorevole delle ipotesi, solo all’inizio e la raccolta è certamente per essi
ancora la fonte principale di approvvigionamento del miele17.
La componente ctonia del simbolismo dell’ape e del miele rimanda così alle sedi
naturali dei favi selvatici che privilegiamo, oltre che le cavità degli alberi, gli anfratti
rocciosi, gli stessi ove origina, in forma di culto dei morti che vi si seppellivano, la
ritualità primordiale.
Le api selvatiche raccolgono il preziosissimo miele piovuto dal cielo e lo depositano
nelle caverne in qualità di offerta funebre, come alimento per la vita ultraterrena. Questo
è il paradigma culturale, attribuibile in qualche modo al preistorico homo
mediterraneus, che sembra trasparire, come sopravvivenza in epoca storica, nelle
numerose implicazione del miele in riti funerari, da quello egiziano “dell’apertura della
bocca” del defunto18, alle offerte di miele, di focacce al miele e alle libazioni di latte e
miele ai morti in Grecia19.
Omero rappresenta in connessione tutti gli elementi di tale paradigma nella descrizione
dell’antro di Itaca in Odissea 13, 102-112. Questo antro, infatti, amabile e oscuro,
contiene, tra l’altro, crateri e anfore di pietra dove le api ripongono il miele e presenta
due porte interne: una, rivolta a Borea, è la discesa per gli uomini, l’altra, volta a Noto,
è riservata agli dei.
L’antro è inoltre sacro alle ninfe Naiadi: Porfirio che, in tutt’altro clima culturale, coglie
l’altissima valenza simbolica di tale passo nel commento che gli dedica, assimila nella
sostanza le api alle ninfe, a partire dalle sedi naturali che ninfe e api selvatiche hanno in
comune20.
che il termine nft, in questo rilievo della quinta dinastia, possa essere un antico termine per “miele”
egitto-semitico nordoccidentale, riscontrabile anche in ugaritico (nbt) e in ebraico (nópet).
16 Aravantino 1985.
17 Fraser 19512, 96-97.
18 Complesso rituale accompagnato da ripeture offerte di miele e da alcuni riferimenti alle api (Ransome
1937, 31-32).
19 Testimonianze a partire da Omero (Il. XXIII, 170; Od. XXIV, 67, ecc.). Per le offerte funebri con
miele e in particolare per le nhfavlia, si veda Ransome 1937, 119-32.
20 L’antro delle Ninfe dispone ora della citata edizione magistralmente commentata da Laura Simonini
(Porfirio 1986). In Porfirio, tale antro diventa luogo di rigenerazione delle anime, la cui simbologia è
affidata significativamente alle api (ivi, 64-65 per il testo e 181-82 per il commento).
4
In un mio lavoro di comparazione lessicale in stampa, avvalendomi anche di
considerazioni extra-linguistiche, arrivo parallelamente alla conclusione che gr. nuvmfh,
privo di convincente etimologia indeuropea, potrebbe essere un antico nome dell’ape
connesso, per emersione da un comune sostrato, con nomi per “ape”, “miele” e
“profeta” che, in lingue semitiche nord-occidentali, insistono su una comune radice
*NWB (/NB’) dai significati di fondo “effondere, fluire”21.
Il miele è peraltro strettamente collegato nelle culure del Mediterraneo antico alla parola
ispirata, sia poetica che, in particolare, profetica: come il miele discende dal cielo e
l’ape lo raccoglie per farne dono agli uomini, così il profeta (spesso la profetessa) e il
poeta attingono sotto ispirazione la parola divina per elargirla ai mortali.
Già nell’antica Mesopotamia, la cui cultura s’affaccia sul Mediterraneo attraverso il suo
ripetuto influsso egemonico sulle regioni della sponda siro-palestinese, sumerico
k a – l a l “bocca di miele” è epiteto di divinità22; di Ishtar, dea tipicamente oracolare
per il suo tramite col mondo ctonio, un inno antico-babilonese afferma che “le (sue)
labbra sono dolci come il miele, vita è la sua bocca”23. Il poeta e il profeta, quindi, sono
spesso assimilati alle api: in Grecia, è Platone che ci offre, nello Ione (534 b),
l’immagine straordinaria dei poeti che raccolgono i loro versi volteggiando presso
sorgenti di miele in certi giardini e recessi delle Muse.
Nell’inno omerico a Hermes, tre vergini esultanti dalle rapide ali, con la testa cosparsa
di farina bianca, insegnano in disparte la divinazione allo stesso Apollo fanciullo (vv.
552-57). Esse poi, volando ora da una parte, ora dall’altra, si nutrono col miele dei favi
e su ogni cosa danno profezie veritiere; e quando, per aver mangiato il biondo miele,
sono prese dall’ispirazione, benignamente consentono a rivelare la verità (vv. 558-61)24.
In quanto versa il miele della profezia, la Pizia è per Pindaro mevlissa di Delfi25,
esattamente come debôrâ, in ebraico “ape”, è il nome della profetessa giudice
d’Israele26.
L’ampia evidenza dell’estensione transculturale di queste concezioni connesse al miele
nel mondo del Mediterraneo orientale antico, mi ha suggerito, sul piano della lingua, un
collegamento in greco fra il tema mélit- di “miele” e il tema mélo- “poesia, canto,
eloquio ispirato”, a partire da una comune base radicale *mel; e questo in parallelo con
21 Aspesi, in stampa. Per l’enucleazione del significato di fondo della radice dimorfica *NWB / *NB’,
rimando ad Aspesi 1999.
22 Triomphe 1982, 115, n. 9.
23 Meissner 1902, 1902, 14, v. 9: $a-ap-ti-in du-u$-$u-pa-at ba-la-+ú-um-pí-i-$a.
24 Secondo la traduzione di Càssola (1975, 223).
25 Pitica IV, 60-61. Si veda, al riguardo, Scheinberg 1979.
26 Giudici 4 e 5.
5
la radice *DB(R), comune in ebraico a termini per “miele” (e ape) e al nome dábár
“parola (profetica)”27.
L’implicazione oracolare, già di sostrato, della quercia nel mondo greco28 e della palma
in ambito ebraico, all’ombra della quale profetizza per l’appunto la stessa debôrâ, può
quindi essere riportata concretamente al miele di raccolta: la quercia, a motivo delle
cavità del suo tronco, è sede privilegiata dei favi selvatici mentre la palma produce i
datteri da miele in stretta concorrenza con l’ape.
L’Anatolia non può non completare il quadro delle testimonianze mediterranee relative
all’elaborazione mitologica della grande rilevanza preistorica del miele di raccolta. Nel
mito ittita, un’ape è inviata come messaggera della madre degli dei presso Telepino,
nascosto in una grotta, a sollecitarne il ritorno cui consegue il ripristino della fertilità
della terra29; tale mitologema ricorda da vicino le vicende di Demetra e Proserpina col
loro seguito di mevlissai. Abbiamo accennato a come il margine eolico-ionico della
penisola anatolica veda peraltro l’ape associata ad Artemide efesina; libazioni di miele
caratterizzano inoltre il culto di Afrodite30 presumibilmente anche a Mileto, culto che
pare collegarsi a oriente a quello della dea Mullissu documentato da testi neo-assiri31,
dato che Erodoto (I, 131, 3) afferma che kalevousi de; ∆Assuvrioi thvn ∆Afrodivthn
Muvlitta, riferendosi ad Afrodite Urania: anche nelle culture che gravitano
sull’Anatolia antica, quindi, il miele e l’ape appaiono connettere il mondo celeste a
quello ctonio.
Se la complessa mitologia mediterranea del miele e dell’ape affonda le sue radici nella
fase della raccolta del miele selvatico ed è ampiamente testimoniata in Grecia e a Roma,
la mitologia classica ci presenta anche miti che celebrano la cosiddetta invenzione del
miele, cioè la definitiva acquisizione delle tecniche relative all’allevamento dell’ape. Il
prototipo dell’apicultore è infatti Aristeo, e le vicende di Orfeo, Euridice e Orione che
Virgilio canta sullo sfondo della sua disavventura, la perdita delle api, vicende tutte
27
Aspesi 1994, già citato. Per l’ape e il miele come simboli del poeta e della poesia nell’antichità
classica, si rimanda a Waszing 1974.
28 Si pensi alle querce oracolari di Dodona.
29 Picard 1940, 280-81.
30 Ransome 1937, 130, Triomphe 1989, 135 e note.
31 P. es. NAP 7:1-2 e NAP 7:20, riportati e commentati in Nissinen 1993, 225 e 242. Si vedano al
riguardo le rilevanti osservazioni in Mayer 1999, particolarmente pertinenti al tema qui trattato.
6
“marcate dal miele” secondo Detienne32, sono in qualche misura riportabili, nella loro
occasione ultima, al perfezionamento di tale conquista tecnologica33.
L’addomesticamento delle api comporta ovviamente un adeguamento della produzione
del miele alle necessità alimentari e farmacologiche delle popolazioni del Mediterraneo,
sottraendolo progressivamente alla sfera celeste in quanto non più raro e occasionale
dono degli dei.
Tuttavia la produttività simbolica del miele e dell’ape declina lentamente, tant’è che si
riscontra in buona misura anche nella ritualità e nella letteratura cristiana. Per
rappresentare la benignità di Cristo e la soavità della sua dottrina, ad esempio, la prima
lituragia cristiana imponeva di far gustare il miele in occasione del battesimo e, mentre
Ambrogio paragona la chiesa a un’arnia, l’ape è il simbolo della virtù teologale della
speranza e, per Bernardo di Chiaravalle, immagine dello Spirito Santo34.
Ancora in un codice del primo quattrocento della biblioteca Casanatese, il Theatrum
Sanitatis, la classificazione del miele, benché attuata secondo un paradigma scientifico
consono al nascente umanesimo, lascia trasparire nell’affermazione “prohibet
corruptionem carnium” l’antica associazione del miele ai riti funebri.
Borges, d’altronde, nella sua straordinaria sensibilità per gli archetipi, sedimento delle
più remote esperienze culturali, costruisce la sua biblioteca di Babele a forma di alveare,
nelle cui infinite celle esagonali sono deposti libri con tutte le possibili combinazioni di
lettere, inclusi quindi tutte le parole e i testi prodotti e producibili in qualsivoglia lingua;
ritengo quindi di potermi riferire al racconto di Borges come a un frutto recente
dell’inestinguibile metafora che lega la parola al miele.
32
Detienne 1974. Su Aristeo, egli pure nutrito di miele da piccolo, e la mitologia dell’ape e del miele, si
vedano anche Chomarat 1974, la prima parte di Triomphe 1989 e Roscalla 1998, 76-87.
33 Il cui ultimo stadio consiste nella capacità dell’apicultore di spostare gli apiari per consentire alle api di
sfruttare le successive fioriture dei diversi tipi di pianta. Il peregrinare di Aristeo col suo sciame al seguito
mi sembra potersi riferire a tale ulteriore acquisizione.
34 Per una ricca sintesi del simbolismo dell’ape e del miele nella ritualità e nella letteratura cristiana, si
veda Charbonneau-Lassay 1940, 873-76 e 878-63.
7
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