Location via proxy:   [ UP ]  
[Report a bug]   [Manage cookies]                
1 A CINQUANT'ANNI DALLA SOPPRESSIONE DEL 'PERFIDIS IUDAEIS'. NOTE STORICHE ALLA LUCE DI MATERIALI D'ARCHIVIO INEDITI1 Ombretta Pisano Sono passati cinquant'anni da quando, nel 1959, Papa Giovanni XXIII abolì i riferimenti ai 'perfidi' ebrei e alla 'perfidia judaica' dalla liturgia della Passione del Venerdì Santo e dal rituale del Battesimo dei Catecumeni. Ebbe inizio, da quel momento, una svolta decisiva nel modo in cui la religione cattolica riflette su e si riferisce a quella ebraica, che segna il cammino delle moderne relazioni ebraico-cristiane, radicalmente differenti rispetto a quelle del passato. In questo senso si potrebbe forse dire che ha avuto inizio un vero e proprio percorso di conversione, da parte della Chiesa, un percorso di ri-comprensione del rapporto tra questa e l'ebraismo che non a caso prende il via dalla liturgia, luogo per eccellenza in cui la fede si esprime ed alla quale si è anche educati ("Lex orandi lex credendi"). Dopo la Shoah, davanti all'immane ferita dello sterminio di milioni di ebrei, la Chiesa non può più ignorare il contributo che l'antigiudaismo cristiano aveva dato, in secoli di insegnamento del disprezzo, alla tragedia nazifascista. Giovanni XXIII, coraggiosamente e profeticamente, impone il nuovo corso inaugurando prima di tutto un nuovo linguaggio liturgico, primo fondamentale passo per un cambiamento di mentalità. Si tratta di un cambiamento che emerge, deciso, da un amalgama di forze di segno opposto che si scontrano e lottano, ma anche di un cambiamento maturato nel limo fertile dell'opera tenace e spesso nascosta di persone, grazie alle quali lo stesso Giovanni XXIII ha potuto trovare un terreno già preparato, pronto a ricevere il seme della novità. Quella della modifica della preghiera per gli ebrei è una storia già ampiamente trattata in ottimi studi. In questo articolo si porta alla luce il contributo di alcuni personaggi, tra i quali spicca il Presidente del Comitato Ricerche Deportati Ebrei (CRDE), colonnello Massimo Adolfo Vitale. Un piccolo tributo alla memoria delle persone che hanno unito i loro sforzi a quelli delle personalità più conosciute nel comune intento di eliminare ogni pretesto religioso all'odio antisemita. Dobbiamo partire da un po’ più lontano, però, per inquadrare adeguatamente i fatti. Se vogliamo dare un inizio a questa storia di conversione della Chiesa, dobbiamo risalire almeno agli inizi del Novecento. 1. L'Associazione degli 'Amici di Israele'2 Fin dal 1570 il Messale Romano di S. Pio V, che ha costituito il rito ufficiale in uso nella Chiesa universale fino alla riforma liturgica del Concilio Vaticano II, riportava una serie di preghiere da farsi ogni Venerdì Santo in occasione della celebrazione della liturgia della Croce. Ciascuna di queste preghiere era divisa in due parti: una introduzione, cui seguivano l'Oremus e la genuflessione (Flectamus génua. Leváte), e poi la seconda parte. Tra queste preghiere vi era quella per gli ebrei, la quale si differenziava dalle altre perché tra la prima e la seconda parte erano stati omessi sia l'Oremus che la genuflessione: Oremus et pro perfidis Iudaeis: ut Deus et Dominus noster auferat velamen de cordibus eorum; ut et ipsi agnoscant Iesum Christum Dominum nostrum. 1 Si ringraziano: don Federico Corrubolo, parroco della Chiesa romana di Santa Maria ai Monti, per il multiforme aiuto e per i preziosi suggerimenti; la dott.sa Gisèle Lévy, responsabile della biblioteca del Centro Bibliografico dell'UCEI a Roma per l'accesso ai documenti degli archivi storici del Comitato Ricerche Deportati Ebrei (segnalati tramite la dicitura CRDE); il personale dell'archivio storico del CDEC di Milano, che ha consentito l'esame delle carte del Fondo Vitale (segnalate tramite la dicitura CDEC). 2 Su questa Associazione si vedano gli studi di Hubert Wolf, "Pro perfidis Judaeis. Die 'Amici Israel' und ihr Antrag auf eine Reform der Karfreitagsfürbitte für die Juden (1928). Oder: Bemerkungen zum Thema katholische Kirche und Antisemitismus" in: Historische Zeitschrift, 279 (2004) 611-658. In lingua italiana e aggiornato agli ultimi sviluppi del Motu Proprio Summorum Pontificum del luglio 2007, si veda, sempre dello stesso autore, “II. Perfidi giudei? Scontro in Vaticano sull’antisemitismo (1928)” in: Il Papa e il diavolo, Il vaticano e il Terzo Reich, Donzelli, 2008, 87-133. 2 … Omnipotens, sempiterne Deus, qui etiam Iudaicam perfidiam a tua misericordia non repellis; exaudi preces nostras, quas pro illius populi obcaecatione deferimus; ut, agnita veritatis tuae luce, quae Christus est, a suis tenebris eruantur. Per eundem Dominum… 3 Riguardo alla genuflessione, questa era stata tolta dalla preghiera Pro Judaeis a partire dal IX secolo4. Il testo della preghiera qui di seguito riportata, tratto da una edizione del Messale del 1939 in traduzione italiana, ci offre un esempio della motivazione: "Preghiamo anche per i perfidi Giudei; perché Iddio, Signor nostro, levi il velo dai loro cuori, ond'essi pure arrivino a conoscere Gesù Cristo Signor nostro." A questo punto, in luogo della genuflessione, è aggiunta la seguente postilla in caratteri tipografici più piccoli: "Qui non si dice né Orémus, né Flectámus génua, in detestazione dei beffardi saluti e delle irrisorie genuflessioni con cui i Giudei e i manigoldi schernivano il divin Redentore presso i tribunali di Caifa e di Pilato". Dopodiché, segue il resto della preghiera: "Onnipotente sempiterno Iddio, che anche la perfidia giudaica non discacci dalla tua misericordia: esaudisci le nostre preghiere, che sull'accecamento di quel popolo ti porgiamo; affinché conosciuta la luce della tua verità, che è Cristo, siano tolti dalle loro tenebre…"5. Il testo della preghiera presenta un grosso problema, soprattutto nelle traduzioni dal latino. I termini 'perfidis' e 'perfidia', la cui etimologia deriva da 'per' (al di là) e 'fides' (fede) ed indica l'essere al di là della fede, la mancanza di fede, sarebbero quindi da tradurre con 'increduli-incredulità'. Vengono invece tradotti, in questo caso in italiano, con 'perfidi' e 'perfidia', termini profondamente negativi, che richiamano piuttosto malvagità, tradimento. Molti studi furono dedicati a questa questione. Le prime proposte di revisione appaiono su due riviste cattoliche belghe, il "Bulletin Paroissial Liturgique" e il "Bulletin des Missions", con il proposito di eliminare dalla liturgia quelle espressioni offensive per gli ebrei che non ne avrebbero certo incoraggiato la conversione6. Questo tipo di sensibilità, unito alla rapida crescita dell’antisemitismo alla quale si assiste in questo periodo in Europa, induce un gruppo di sacerdoti, sensibili alla questione della riconciliazione tra cattolici ed ebrei, ad adoperarsi per dare il via ad una serie di azioni atte a purificare il linguaggio liturgico e a debellare dal comune parlare e pensare della Chiesa tutte le espressioni indicanti disprezzo per gli ebrei. La finalità di questa azione è di riportare la Chiesa ad una vera pace con Israele, in modo da favorire la conversione di quest’ultimo. L’associazione, nata nel 1926 con il nome di “Opera Sacerdotale degli Amici di Israele” vede tra le sue fila numerosi aderenti e sostenitori: sacerdoti, vescovi e cardinali. In un libretto dal titolo ‘Pax super Israel’ si presentavano le linee programmatiche dell’Opera: l’amore per Israele, la preghiera per la sua conversione, il rispetto per la sua religione. Nel gennaio del 1928 l’Opera presenta a 3 Per approfondire gli sviluppi della questione riguardante la preghiera, si vedano: L. Canet, " La prière 'pro Judaeis' de la liturgie catholique romaine", Revue des Etudes Juives, XXXII (1911) 213-221. E, Peterson, "Perfidia Judaica", Ephemerides Liturgicae, L (1936), 296-311. J. Oesterreicher, "Pro perfidis Judaeis", Cahiers Sioniens, 1 (1947) 85-101. P. Démann, "Fidelité et infidelité en Israël", Cahiers Sioniens, 3 (1949) 197-214. P. Démann - R. Bloch, "Formation liturgique et attitude Chrétienne envers les juifs", Cahiers Sioniens, 7 (1953) 115-178. P. Démann (?), "A propos de la prière 'Pro perfidis Judaeis'", Cahiers Sioniens, 8 (1954) 65-67; "La prière pour les juifs dans le nouveau rite de la semaine sainte", Cahiers Sioniens, 9 (1955) 337-341; P. Gianazza "La preghiera per gli ebrei nella liturgia di rito romano", Rivista Liturgica, 1 (2008) 155-176. Per una sintesi esauriente sulla storia della questione, si veda l'ottimo articolo di M. Paiano, "Il dibattito sui riflessi dell'antisemitismo nella liturgia cattolica", Studi Storici 41 (2000) 647-710. 4 L. Canet, " La prière 'pro Judaeis'…", 217-218. 5 Messalino del Popolo, ossia messe di tutte le domeniche e feste dell'anno, tradotte e brevemente commentate dal sac. Umberto Gaspardo, terza edizione aggiornata, Casa Editrice Marietti, 1939, p. 244. Questa motivazione ricalca quanto anticamente descritto da Amalario di Metz (775 - 850 ca): "In tutte le orazioni ci genuflettiamo, per indicare attraverso questo comportamento del corpo l’umiltà dell’anima. Eccetto quando preghiamo pro perfidis Iudaeis. Infatti questi (Giudei) hanno piegato le ginocchia davanti a Cristo facendo in modo cattivo un atto di per sé buono, perché lo hanno fatto per derisione. Noi evitiamo di genufletterci nell’orazione per i Giudei, per mostrare visibilmente che non dobbiamo fare ciò che essi hanno fatto per simulazione» (De ecclesiasticis officiis 1, 13)" 6 In particolare, a quanto si legge da un articolo del Bulletin Paroissial, la genuflessione avrebbe l'effetto di istigare all'odio antisemita (M. Paiano, "Il dibattito…", 662-663). Agli inizi del Novecento il Belgio era uno dei centri più attivi nella ricerca e nella divulgazione liturgiche. Il Bulletin Paroissial Liturgique ed il Bulletin des Missions, erano pubblicati dai benedettini dell'Abbazia di St. André-Lez-Bruges. Il primo, dal 1919 al 1945, diventò poi 'Paroisse et liturgie' ed il secondo, pubblicato dal 1920 al 1952, diventò 'Rythmes du Monde'. 3 Pio XI una lettera in cui si chiede la riforma della preghiera del Venerdì Santo con l’abolizione delle espressioni ‘perfidis/perfidia’, che suonavano odiose e che in traduzione non corrispondevano più al senso originale di ‘infedele/non credente’. Viene richiesta anche la reintroduzione della genuflessione. La lettera fu passata alla Congregazione per i Riti e da questa alla Commissione liturgica, che doveva esaminare la legittimità delle richieste. Il consultore incaricato dalla Commissione di presentare un parere, fu l’abate di San Paolo fuori le Mura, Ildefonso Schuster, che, espresse parere favorevole alla proposta7. La Commissione espresse parere positivo riguardo alla proposta ed alle motivazioni addotte, e acconsentì alla riforma. Come ultimo passo per avviare la riforma, occorreva il giudizio del Santo Uffizio ma si confidava che questo sarebbe stato ugualmente positivo, anche perché il segretario dell’Ufficio era il cardinale Rafael Merry Del Val, anch’egli aderente all’associazione. In realtà, del tutto imprevedibilmente, la proposta e con essa l’intera Opera caddero subito sotto giudizio. L’accusa ebbe proprio il cardinale Merry Del Val come sua anima. Questi era rimasto fortemente deluso dalla piega presa dall'associazione. Aveva inizialmente creduto si trattasse solo di una pia opera di preghiera per la conversione degli ebrei mentre secondo lui si era rivelata in realtà un’associazione filo-sionista. Non si poteva escludere, arriva ad affermare, che fossero stati addirittura gli stessi ebrei a servirsi di una tale organizzazione, facendone uno strumento nel quadro del loro più ampio complotto mondiale8. La questione si concluse con il Decreto di scioglimento dell’associazione, il 25 marzo 1928, a soli due anni dalla sua nascita. Venne comunque espressa l’avversione per l’antisemitismo: "La Chiesa cattolica … ha avuto sempre l'attitudine di pregare per il popolo ebraico, che è stato il depositario delle promesse di Dio fino a Gesù Cristo, nonostante il suo successivo accecamento, anzi proprio per questo accecamento. Spinta da questo amore la Sede Apostolica ha tutelato lo stesso popolo contro le ingiuste vessazioni e, come rifiuta tutte le invidie e le inimicizie tra i popoli, così nel modo più assoluto condanna l'odio contro il popolo anticamente eletto da Dio, proprio quell'odio che oggi suole essere indicato comunemente con il nome di 'antisemitismo'"9. La condanna, soprattutto tenuto conto del periodo storico, è degna di nota ed esprime senz'altro l'attenzione della Chiesa ad evitare di giustificare ulteriormente le crescenti violenze contro gli ebrei in Germania, ma va di pari passo con una certa legittimazione dell’antigiudaismo teologico, che continuava a permanere10. 2. Dagli 'Amici di Israele' alla riforma liturgica del 1955 Il Sant'Uffizio mise quindi definitivamente fine alle velleità degli "Amici". Ma intanto, gli studi condotti sulla terminologia della preghiera andavano avanti e mostravano con evidenza sempre maggiore come il significato dei termini 'perfides/perfidia' si fosse allontanato dall'originale 'increduli/incredulità' e come fossero ormai maturi i tempi in cui le traduzioni liturgiche dovessero essere adattate a questa mutata sensibilità. La questione del corretto approccio del cristianesimo all'ebraismo riparte, quindi, nel dopoguerra, quando ormai i danni provocati dall'insegnamento del disprezzo non potevano più essere ignorati. Vi si dedicarono la rivista Cahiers Sioniens dei religiosi di Nostra Signora di Sion11, lo storico francese Jules Isaac, 7 Lettera di Ildefonso Schuster ad Angelo Mariani, segretario della Congregazione dei Riti, del 20 gennaio 1928 citata da H. Wolf in “II. Perfidi giudei?...”, 102. 8 H. Wolf, "Il Papa e il diavolo…", 113 9 "Decretum de consociatione vulgo 'Amici Israel' abolenda", Acta Apostolice Sedis XX/XX (1928), 103-104. 10 Riguardo alla formula usata per la condanna dell’antisemitismo, e come mostrato dalle modificazioni allo Schema del Decreto, Wolf vede nel riferimento generico al solo 'antisemitismo' (senza la specificazione di ‘qualunque forma di antisemitismo’) la traccia di questa legittimazione che continuerà per decenni e costituirà il maggior ostacolo a tutte le riforme riguardanti il rapporto con l'ebraismo e il popolo ebraico fino al Concilio Vaticano II (“II. Perfidi giudei?...”, 118). 11 Nel 1922 i Religiosi di Sion avevano iniziato a pubblicare una rivista, La Question d'Israël, che ben presto si era distinta per la sua opera contro l'antisemitismo, indicato come un'attitudine chiaramente anti-cristiana, e per l'avvicinamento tra cristiani ed ebrei. Nel 1939, durate l'occupazione nazista di Parigi, la sede del bollettino fu ripetutamente visitata dalla Gestapo, che portò via i volumi della biblioteca e impose la cessazione delle pubblicazioni perché "era considerata il centro principale delle relazioni tra cristiani ed ebrei". La rivista ricominciò la sua attività nel 1947, con il nome di Cahiers Sioniens. Nella presentazione posta all'apertura nel n. 1, dalla quale sono tratte queste informazioni, troviamo un interessante passaggio sull'urgenza della nuova riflessione all'indomani dello sterminio nazista degli ebrei: "Riteniamo che il ricordo di queste milioni di vittime ebree 4 che aveva avuto la famiglia sterminata nei campi nazisti, nonché l'International Council of Christians and Jews (ICCJ) - che a partire dal Conferenza sull'antisemitismo di Seelisberg del 1947, si impegnò ad elaborare strategie di sensibilizzazione a largo raggio nei riguardi di tutte le istituzioni ed in tutti i campi per debellare una volta per tutte ogni attitudine, insegnamento, linguaggio che potessero istigare al disprezzo verso il popolo ebraico. La Conferenza aveva elaborato un documento e riassunto in 'Dieci Punti' l’azione messa in moto per combattere l’antisemitismo sul terreno religioso. I 'Dieci Punti' furono sottoposti alla Santa Sede con gli uffici dell’ambasciatore francese presso il Vaticano, Jacques Maritain12. Jules Isaac aveva preso parte alla riunione di Seelisberg, ed aveva particolarmente ammirato il messaggio che Jacques Maritain, aveva inviato all'assemblea perché impedito a partecipare di persona dai suoi numerosi impegni. In questo messaggio era contenuto, a suo avviso, anche se dal punto di vista cattolico, tutto ciò che egli stava elaborando per il suo libro di prossima pubblicazione: Jésus et Israël13. I suoi studi sulle motivazioni della separazione ostile tra ebraismo e cristianesimo possono essere considerati a pieno titolo il fondamento ideologico delle nuove relazioni ebraico-cristiane14. Egli addita principalmente la liturgia come luogo in cui i cristiani sono stati formati per secoli all'ostilità verso gli ebrei, al disprezzo verso di loro. Occorreva, quindi, partire proprio dalla liturgia per arrestare questa mentalità sempre potenzialmente gravida di pregiudizi e di violenze15. L'ICCJ, Jules Isaac e Jacques Maritain costituivano, per così dire, un fronte straordinariamente autorevole per diffondere la coscienza dei pericoli insiti nel rapporto scorretto riguardo agli ebrei, nei fatti come nelle parole16. Anche in Italia, tuttavia, un altro fronte si apre, forse meno conosciuto ma non meno agguerrito nel chiedere la riforma di quella parte della liturgia che fa riferimento agli ebrei. Nell'immediato dopoguerra, la necessità di ricostruire e rintracciare il destino dei numerosi deportati ebrei, induce l'Unione delle Comunità Israelitiche Italiane a creare un organismo ad hoc atto a fare questo tipo di ricerche. E' il 1944, e nasce il Comitato Ricerche Deportati Ebrei la cui presidenza viene affidata ad un aviatore distintosi in numerose occasioni nella Prima Guerra Mondiale e nelle campagne coloniali, il colonnello torinese Massimo Adolfo Vitale17. L'azione del colonnello Vitale, la cui madre e la cui sorella erano state deportate e assassinate in un campo di concentramento, fu rivolta anche a combattere in ogni modo l'antisemitismo dovunque esso si presentasse, e quindi anche presso la Chiesa cattolica. Con il Vaticano egli era in costante contatto anche per le questioni relative alle ricerche sui deportati18. La sua segretaria, Anna Ceccarelli Scotti, riferisce che "per anni tenne un'intensa corrispondenza con la Santa Sede al fine di ottenere la correzione di una frase nell'omelia (sic) del Venerdì Santo, ove era detto 'perfidi giudei' "19 e in una lettera ad Eucardio Momigliano del 24 aprile 1950, Vitale menziona questo come un suo successo personale: "uno si riferisce alla preghiera del Venerdì Santo nella quale gli ebrei sono chiamati 'perfidi Judaei' e si accenna anche alla 'judaica perfidia', nonostante che eminenti scrittori (fra i quali anche il Cardinale Schuster) avessero in loro pubblicazioni ben fatto noto come il significato condizioni ormai le riflessioni, i giudizi di coloro che studiano i problemi sollevati sul nostro pianeta dalla condizione degli ebrei…" (Cahiers Sioniens, 1 (1947) 2, traduzione dall'originale francese). 12 Il testo completo della Conferenza si trova in: "A la Conférence de Seelisberg (Action sur le terrain religieux)", Cahiers Sioniens, 3 (1948) 41-43. 13 "L'assemblée judéo-chrétienne de Seelisberg", Sens, 7 (2004) 361, nota 5. Tanto era rimasto impressionato dalla relazione di Maritain che confidò a mons. Charles Journet, anch'egli presente a Seelisberg, che si sarebbe dovuto diffondere quel discorso il più possibile, il che accadde. Il discorso di Maritain apparve in diverse riviste ed in Italia anche su La Rassegna Mensile di Israel (maggio 1948), il periodico della Unione delle Comunità Israelitiche Italiane. 14 Tra tutti, Jésus et Israël, Paris, 1948, ma anche Genèse de l'antisémitisme. Essai historiqe, Paris Calmann-Lévy , 1956; L'Enseignement du mépris, 1962, con una nuova edizione di Grasset, Paris, 2004. 15 J. Isaac, Jésus et Israël, Paris, 1948. 16 La preoccupazione di Maritain riguardo all'antisemitismo ne fa un personaggio attivissimo su questo fronte. Molti sono anche i suoi interventi presso la Santa Sede, condotti soprattutto attraverso Montini: si veda: P. Cheneaux, "Paul VI et Maritain" in: Jacques Maritain et ses contemporains", DDB, Paris 1991 e, riguardo al rapporto tra Maritain e la questione ebraica: V. Possenti, "Maritain e la 'questione ebraica', Aggiornamenti Sociali, 43/3 (1992), 227-242. 17 Per una biografia di Massimo Adolfo Vitale, si veda: R. Bassi, "Ricordo di Massimo Adolfo Vitale. Dal Comitato Ricerche Deportati Ebrei al Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea", Rassegna Mensile di Israel, 45 (1979) 8-21. 18 Nel Fondo Vitale dell'archivio CRDE si trova diverso materiale a testimonianza di questa collaborazione. 19 R. Bassi, "Ricordo…", 12. 5 della parola latina 'perfidus' sia 'infedele'. Mio fratello già si era interessato della cosa e ne aveva anche scritto in Italia ed all'estero; si insistette pazientemente presso le più alte autorità vaticane, ci si indirizzò fino al Papa e finalmente nell'agosto 1948 la Sacra Congregazione dei Riti pubblicò negli Acta Apostolicae Sedis una 'pretesca' correzione"20. L'aggettivo 'pretesca' allude alla parzialità del provvedimento, che in realtà si manifestò inefficace, come evidenziarono diversi episodi di aperto antigiudaismo cristiano predicato dai pulpiti o espresso nelle pagine di libri scolastici, e come puntualmente Vitale non mancò di segnalare alle competenti autorità ecclesiastiche. Per questo, decise di intervenire anche in seguito presso la Santa Sede, chiedendo la pubblicazione di un vero e proprio 'decretum', che facesse diventare un obbligo quella che, di fatto, era solo una concessione21. L’indicazione dell’ attività di un organismo ebraico nella questione risulta di particolare rilievo per la ricostruzione non solo dei fatti, ma anche del clima e del laborioso 'dietro le quinte' che soggiace ad una riforma epocale e ad una questione che andrà avanti per decenni. Effettivamente il Vitale, insieme al fratello avvocato Enrico, portò avanti con tenacia instancabile questa sua opera, parallelamente all' International Council of Christians and Jews. In una lettera all'allora presidente dell'ICCJ, Pierre Visseur, Vitale accenna al fatto che "sin dal 1945 (ripeto 1945) traverso colloqui a Milano con S. E. il Cardinale Schuster e la mia con lui di seguito, con pubblicazioni su riviste estere, lettere a cardinali, istanze al Pontefice Pio XII, corrispondenza con S. E. l'Ambasciatore Maritain … tale opera ha raggiunto il suo fine…"22 I colloqui col cardinale Schuster erano stati motivati molto probabilmente dalla traduzione che egli aveva fatto della preghiera nel Liber Sacramentorum, in cui il termine perfidis viene tradotto nella prima parte con 'infedeli' nel senso di 'non credenti', mentre nella seconda parte viene addirittura tolto: "Preghiamo pure per gl'infedeli Giudei, affinché il Signore nostro Dio tolga il velo che copre i loro cuori e riconoscano con noi Gesù Cristo, nostro Signore. Dio onnipotente ed eterno, che nella tua misericordia non discacci neppur gli stessi giudei; esaudisci le preghiere che noi ti rivolgiamo a riguardo della cecità di questo popolo, affinché riconoscendo la luce della tua verità, che è il Cristo, essi siano liberati dalle loro tenebre"23. Enrico Vitale, pubblica egli stesso un articolo nel settembre del 1947 sulla rivista ‘Le Monde Juif’24. Nell’ottobre o novembre del 1947 Massimo Adolfo Vitale ha un colloquio con Mons. Michele Raffa, rettore della Chiesa di San Giovanni Battista dei Genovesi che, nel suo appartamento, nascose una famiglia ebrea per circa sette mesi, fra il gennaio e l'agosto del 194425. Di questo colloquio abbiamo tracce 20 Per il testo della correzione, si veda più avanti, alla nota 34. 21 Lettera ad Eucardio Momigliano del 24 aprile 1950 (Fondo CRDE 11, 1947/53, cartella 'Antisemitismo') 22 Lettera a Pierre Visseur del 7 ottobre 1948 (Fondo CRDE 11, 1947/53, cartella 'Antisemitismo'). 23 Ildefonso Schuster, Liber Sacramentorum. Note storiche e liturgiche sul Messale Romano, vol. III, Torino-Roma, Tipografia Pontificia e della S. Congregazione dei Riti, 1920, p. 221. Sfortunatamente Schuster non dà spiegazione della variazione. Una curiosità: l'edizione francese dello stesso Liber, (Bruxelles, Vromant, 1925-1933) continua a riportare il termine 'perfidis/perfidia'. E' facile pensare che neanche altre traduzioni fossero state adattate. 24 'Le Monde juif', rivista del Centre de Documentation Juive Contemporaine di Parigi, è nata nel 1946 come seguito del Bulletin du Centre de Documentation Juive Contemporaine e diventerà Revue d'Histoire de la Shoah nel 2005. L'articolo di Enrico Vitale apparve sul n. 12 del settembre 1947. 25 Si tratta di mons. Michele Maurizio Raffa, membro dal 1948 della Pontificia Commissione di Consulenza e di revisione Ecclesiastica dei films a soggetto religioso o morale, ed in seguito incaricato della S. Congregazione del Concilio. Morì nel 1957 a soli 51 anni. Nel 1947, anno dell'incontro con Vitale e della lettera, viveva a Roma presso la Confraternita di S. Giovanni Battista dei Genovesi a Trastevere, in Via Anicia 12. L'episodio dell'ospitalità offerta alla famiglia ebrea è raccontato da don Giovanni Cereti in un articoletto pubblicato sul Periodico della Confraternita, n. 25, consultabile su internet: http://www.confraternita-sgbg.it/Periodico/periodico-25.html. Don Cereti racconta di essere stato contattato dai fratelli Di Castro, che avevano l'intenzione di proporre mons. Raffa per il riconoscimento di Giusto fra le Nazioni: "Infatti il loro padre, ora deceduto, intendendo sottrarre alle ricerche dei tedeschi la propria famiglia (e cioè la moglie, tuttora vivente ma molto anziana, e i tre figli, allora di nove, sette e due anni), dopo un breve periodo in cui si nascosero in casa di una loro dipendente, e poi prendendo in affitto una casa da amici, chiese ed ottenne di essere nascosto con tutta la famiglia nell’appartamento di mons. Raffa. In esso vissero, formando tutti come un’unica famiglia, per circa sette mesi (secondo quanto mi hanno detto, il periodo sarebbe da calcolare fra il gennaio e l’agosto 1944: infatti dopo la liberazione di Roma restarono ancora due mesi in casa di mons. Raffa, non essendo più agibile la loro casa). Questi due fratelli mi avevano già descritto per telefono un rifugio segreto nel quale avrebbero potuto essere nascosti o dal quale avrebbero potuto fuggire: un passaggio che di fatto abbiamo ritrovato, anche se ora la botola è murata, con una scala a chiocciola che dall’appartamento allora abitato da mons. Raffa scende in una 6 in una successiva lettera che Vitale gli invia l’8 novembre per chiedergli di intervenire presso il vescovo di Cracovia, Adam Stefan Sapieha, riguardo all’episodio del pogrom nella cittadina polacca di Kielce26. Non è da escludere che Vitale abbia cercato gli uffici di Mons. Raffa perchè a conoscenza dell'episodio; sapeva di poter contare sulla sua disponibilità. Il 16 febbraio 1948, l’avvocato Enrico Vitale, che aveva prestato servizio presso il Consolato Generale d’Italia a Monaco di Baviera e aveva avuto modo di avvicinare Pacelli in varie occasioni, scrive al Pontefice per sollecitarne l’aiuto nel contrastare le cause di dissidio tra ebrei e cristiani, in particolare alludendo alla questione della preghiera del Venerdì Santo, per la quale aveva già conferito con ‘un illustre porporato’ (molto probabilmente Schuster) dal quale aveva anche ricevuto rassicurazioni di interessamento. Il Vitale riferisce al Papa di dichiarazioni antisemite del gesuita padre Lombardi trasmesse dalla Radio Vaticana il 17 marzo 1947 e descrive gli sforzi di suo fratello in merito alla richiesta di rimozione (già sollecitata al Primate di Polonia, Augusto Hlond) di due quadri raffiguranti un omicidio rituale esposti in una chiesa polacca. Alla lettera vengono allegati tutti i documenti, che già erano stati fatti pervenire al Papa mesi addietro tramite ‘un autorevole prelato il quale lasciò sperare un sollecito esame della questione in sede opportuna’. L’assenza di riscontri a queste azioni, spinge Vitale a chiedere “una benevola disposizione” che certamente “giungerebbe cara a tutti quelli che da tempo attendono fiduciosi per le assicurazioni da noi trasmesse”27. Ad oltre un mese da questa istanza, il 22 marzo, Massimo Adolfo Vitale scrive a Jacques Maritain. Aveva letto il suo messaggio inviato a Seelisberg e ne era rimasto anche lui favorevolmente impressionato28. Vitale segnala all'ambasciatore il problema dei due quadri rappresentanti l’omicidio rituale e la preghiera del Venerdì Santo (cui Vitale si riferisce erroneamente come ‘omelia’), “due fatti sui quali la Chiesa deve intervenire per ragioni evidenti di giustizia”. Sono passati mesi e non si sono avuti riscontri di alcun genere, nonostante la promessa di interessamento di un alto prelato, e prima di essere costretto ad informare la stampa internazionale per ottenere attenzione, Vitale chiede l’intervento a Maritain, nella speranza “che vostra Eccellenza possa riuscire lì dove noi non siamo riusciti”. Inizia così una corrispondenza che si protrarrà per diversi mesi. Nella sua risposta del 27 marzo, Maritain avverte Vitale della difficoltà di arrivare ad ottenere cambiamenti nella liturgia: “per ciò che riguarda la liturgia del Venerdì Santo, voi non potete ignorare quanto sia sempre difficile ottenere il cambiamento di un testo liturgico in uso da secoli. Ciò che si può e si deve sperare è che le traduzioni in lingua volgare cessino si costituire un odioso controsenso, dato che la parola perfidia usata nella liturgia del Venerdì Santo significa in realtà, come hanno già stabilito studiosi competenti, ‘incredulità’ e non ‘perfidia’”. Maritain offre anche un suo personale punto di vista: “non sarà tanto per una misura di autorità quanto per il lavoro di cattolici che illuminino l'opinione dei loro correligionari che un risultato potrà essere ottenuto”. Passano un paio di giorni e il 29 marzo Vitale invia una lettera al cardinal Clemente Micara. Vuole avere notizia della sua istanza a Pio XII, affidata al cardinale tramite autorevoli amici a lui vicini, ma che fino ad allora non aveva sortito alcun effetto. Vitale denuncia che i mancati adeguamenti delle traduzioni del ‘perfidis’ secondo quanto già autorevolmente proposto dal cardinal Schuster nel Liber Sacramentorum costituiscono una “violazione del dovere universale di amore verso il prossimo” . Emerge, da questa lettera, quasi un rimprovero al peccato contro la carità e, allo stesso tempo, un appello accorato che ha l’urgenza della giustizia. I fatti che vengono, ormai da anni, denunciati, hanno “un valore enorme per tutti gli uomini di buona volontà, data la loro malefica secolare forza di penetrazione, né ci può scuotere l’eventuale diverso parere di taluno che corazzato di inetta insensibilità continua un abito mentale di sopportazione, senza saperne misurare le tragiche conseguenze intercapedine da cui vi erano tre uscite, ancora in parte praticabili, una sull’oratorio, una sulla cappella di santa Caterina Fieschi Adorno ed una sul portone della chiesa. Infine essi mi hanno testimoniato che pur abitando negli appartamenti intorno al chiostro altre persone, ed essendoci all’ingresso del chiostro un custode che era al corrente della loro esistenza, il segreto fu rigorosamente mantenuto da tutti." 26 Il 4 luglio 1946 a Kielce, cittadina della Polonia, circa 40 - 50 ebrei polacchi (su 200 superstiti tornati dai campi nazisti) vennero uccisi in seguito ai disordini provocati dall'accusa di aver sacrificato bambini cristiani per usarne il sangue in riti ebraici. Resoconti su successivi colloqui che Vitale riuscì ad ottenere, sulla questione, con il card. Primate August Hlond ed il card. Adam Stefan Sapieha (che avevano richiamato la responsabilità degli ebrei nell'attirarsi addosso le ostilità dei cittadini polacchi) sono custoditi nel Fondo CRDE. 27 Lettera di Enrico Vitale e Pio XII del 16 febbraio 1948. Fondo CRDE 11 1947/53 (fascicolo 'Antisemitismo'). 28 Lettera a Jacques Maritain del 2 giugno 1948. Fondo CRDE 11 1947/53 (fascicolo 'Antisemitismo'). 7 traverso millenni. Gravissimo invece fuor d’ogni dubbio, appare il mancato accoglimento di queste ripetute fondatissime istanze e le mancate relative provvidenze sperate ed attese, come sincera e chiara condanna dell’antisemitismo; inqualificabile violazione del dovere universale di amore verso il prossimo, di bontà e di aiuto verso gli innocenti”. I provvedimenti invocati, invece,“verranno a placare anche i rarissimi superstiti delle orrende camere di tortura di Germania, di Polonia, di Slovacchia … verranno a favorire avvicinamenti e persuasioni in un campo di più facile messe che non le terre di missione lontane od anche vicinissime”29. Quasi un mese dopo, Maritain comunica a Vitale che la Segreteria di Stato gli ha assicurato le sue preoccupazioni per la soluzione delle questioni che le erano state sottoposte e che vi è fondata speranza per una soluzione favorevole30. Maritain aveva parlato con Montini sulla questione, forse il 5 aprile del 1948, e Montini gli aveva chiesto una nota, che gli venne successivamente inviata insieme ad una bibliografia sull'argomento, il 12 aprile. Il 3 giugno, in un nuovo incontro, Montini conferma a Maritain che "la questione della liturgia del Venerdì Santo è sulla buona strada. Saranno date istruzioni circa la traduzione. E nella prossima edizione del Messale, si è disposti a sostituire 'perfidis' con un'altra parola. Il cardinal Micara è favorevole"31. In assenza di ogni comunicazione, il 2 giugno Vitale riscrive a Maritain una lettera piena di sconforto e di sfiducia. Anche sul caso dei quadri antisemiti in Polonia nessuno ha risposto, e Vitale pronuncia un giudizio estremamente duro contro il Vaticano: “Il fatto che il Vaticano ed i suoi alti dignitari in Polonia non abbiano risposto alle numerose domande che io e mio fratello abbiamo loro indirizzato e la politica che ne è seguita quando sarebbe stato così facile e indispensabile (secondo i principi della morale cristiana) fare qualcosa in favore degli ebrei, basta a dimostrare la sua attitudine perfettamente antisemita. Allora il Papa Pio XI aveva pubblicato delle Encicliche che condannavano il razzismo, ma la politica degli Uffici del suo Governo non solo non si opponeva alle persecuzioni contro gli ebrei ma arrivava addirittura a giustificarle!!!!!!!!”32. Il 5 giugno arriva la risposta dell’Ambasciatore francese, con la quale Maritain rassicura ulteriormente Vitale sul buon esito della questione ricordandogli, al tempo stesso, il suo dovere di discrezione: “Voi capite come io sia tenuto a una grande discrezione, posso tuttavia assicurarvi che sono molto soddisfatto dei miei passi in Vaticano e io stesso sono certo che le questioni che mi sono state segnalate sia dalla Conferenza dei Christians and Jews sia da voi, e sulle quali ho attirato l’attenzione, sono state prese a cuore”. Ma non manca di indirizzargli anche un severo rimprovero per i giudizi espressigli nella sua lettera precedente: “Permettetemi di dirvi che è gravemente inesatto parlare dell’ ‘attitudine antisemita’ del Vaticano, come avete fatto nella vostra lettera in un modo che mi ha molto ferito. Il fatto che non sia stato risposto alle domande vostre e di vostro fratello non prova che non ci si sia interessati. Deplorerei vivamente che voi possiate pensare di adottare nei confronti del Vaticano un atteggiamento polemico che sarebbe tanto ingiusto quanto inopportuno”33. Finalmente, il 10 giugno 1948, la Congregazione dei Riti si esprime a proposito della traduzione delle espressioni contenute nella preghiera del Venerdì Santo. Tradurre le espressioni latine 'perfidis Judaeis' e 'perfidia judaica' con 'perfidi/ perfidia' non corrisponde al significato originale dei termini, e quindi le traduzioni significanti "infedeltà e infedele" in materia di fede (cioè: incredulità) non sono da riprovare: "Nelle due preghiere con le quali la Santa Madre Chiesa, nel corso delle preghiere solenni del Venerdì Santo, implora la misericordia di Dio anche per il popolo ebraico, si trovano le parole: perfidi Judaei e judaica perfidia. In seguito a ciò, è stata posta la questione del vero senso di questa espressione latina, tanto più che nelle diverse traduzioni in lingua volgare ad uso dei fedeli, queste parole sono state tradotte con delle locuzioni che sembrano offendere le orecchie del detto popolo. Interrogata sul problema, la Sacra Congregazione (dei Riti) ha giudicato cosa buona rispondere semplicemente ciò che 29 Lettera al card. Micara del 29 marzo 1948. Fondo CRDE 16 1947/53 (fascicolo 'Antisemitismo della Chiesa cattolica’). 30 Lettera di Jacques Maritain a Massimo Adolfo Vitale del 21 aprile 1948. Fondo CRDE 11 1947/53 (fascicolo 'Antisemitismo'). 31 Y. Chevalier, "Le combat de Jacques Maritain contre l'antisémitisme", Sens 8 (2004) 419-440; ivi, 436-437. Sulla richiesta di una bibliografia sulla questione della preghiera per gli ebrei, si veda M. Paiano, "Il dibattito….", 680. 32 Lettera di Massimo Adolfo Vitale a Jacques Maritain del 2 giugno 1948. Fondo CRDE 11 1947/53 (fascicolo 'Antisemitismo'). 33 Lettera di Jacques Maritain a Massimo Adolfo Vitale del 5 giugno 1948. Fondo CRDE 11 1947/53 (fascicolo 'Antisemitismo'). 8 segue: nelle traduzioni in lingue volgari, le espressioni che hanno il senso 'infedeltà, infedeli quanto alla fede' (non credenti) non sono da riprovare"34. E' facile intuire che l'interrogazione sia pervenuta alla Congregazione da più parti: dal Comitato per le questioni religiose della Conferenza di Seelisberg, dal Comitato Ricerche Deportati Ebrei, presieduto da Massimo Adolfo Vitale e, probabilmente, all'interno, da qualche 'alto prelato' di cui quest'ultimo fa menzione (ma senza nominarlo esplicitamente) nelle sue lettere. Non siamo in grado al momento di stabilire con certezza chi, all'interno della Santa Sede, abbia lavorato per questo decreto, ma possiamo ipotizzarne almeno uno, grazie ad una lettera di Jules Isaac: "Monsignor Raffa ha contribuito in larga misura ad ottenere l'atto apostolico", scrive a monsignor Maurice Vanikoff nel 1949, all'indomani del suo breve incontro con Pio XII35. Vitale, come già sappiamo, ha incontrato personalmente mons. Raffa e si è rivolto a lui nel 1947 riguardo al pogrom di Kielce. E' quindi probabile che, anche se forse non l'unico, sia stato certamente tra i maggiori sostenitori della risoluzione. Con una punta di orgoglio Massimo Adolfo Vitale rivendica una parte di merito nella 'conquista' del parere della Congregazione dei Riti. Sul Bollettino del'ICCJ n. 9 del settembre 1949, legge che la dichiarazione è stata dovuta "ai passi fatti presso le autorità della Santa Sede da un apposito Comitato dell'ICCJ"36. Scrive, allora, al presidente dell'ICCJ, Pierre Visseur, lamentando di essere rimasto stupito da questa affermazione, perché in tutto ciò vi è l'interessamento di suo fratello Enrico il quale "sin dal 1945 (ripeto 1945) traverso colloqui a Milano con S. E. il Cardinale Schuster e la mia con lui di seguito, con pubblicazioni su riviste estere, lettere a cardinali, istanze al Pontefice Pio XII, corrispondenza con S. E. l'Ambasciatore Maritain … tale opera ha raggiunto il suo fine sin dallo scorso mese di giugno; il Council nulla comunicò al riguardo, mentre mio fratello fin dal 10 giugno 1948 il giorno stesso della firma della nota 'declaratio' ne dava notizia alla Presidenza dell'Unione delle Comunità Israelitiche Italiane ed a lei, in data 26 giugno detto. Ella rispondendo a varie comunicazioni mie e di mio fratello, dopo quella data, mai accennò ad una favorevole risoluzione della pratica di cui si tratta e S. E. Maritain, con sua lettera indirizzatami il 27 marzo c.a. mi scriveva testualmente: '…mon avis personnel est que sur ce seconde point c'est moins par une mesure d'autorité que par le travail des catholiques éclairant l'opinion de leurs coreligionnaires qu'un résultat pourra être obtenu…' Ciò dimostrava che data la sua particolare situazione, Egli non era in grado di insistere presso le supreme autorità ecclesiastiche. Ritengo quindi che sarebbe stato opportuno che nel suo comunicato … venisse fatto cenno alla nostra fatica…"37. Circa un anno dopo, Jules Isaac trova verosimilmente un terreno già in qualche maniera preparato quando, il 16 ottobre 1949, anniversario della deportazione degli ebrei romani, viene ricevuto in udienza da Pio XII a Castel Gandolfo38. L'udienza gli viene accordata senza che egli l'avesse particolarmente 34 "In bina illa praecatione qua sancta Mater Ecclesia in orationibus solemnibus feriae sextae in Parasceve etiam pro populo ebraico Dei misericordiam implorat, haec verba occurrunt 'perfidi judaei' et 'judaica perfidia'. Porro quaesitum est de vero sensu istius locutionis latinae, praesertim cum in variis translationibus, ad usum fidelium in linguas vulgares factis illa verba espressa fuerint locutionibus quae auribus istius populi offensiva videantur. Sacra ahec congregatio, de re interrogata, haec tantum declamare censuit: 'Non improbari, in translationibus in linguas vulgares, locutiones quorum sensus sit: 'infidelitas, infideles in credendo' ". (Testo in Acta Apostolicae Sedis, X (1948) 34; "A propos d'une formule', Cahiers Sioniens 3/2 (1949) 90-91; La Documentation Catholique, 1047 del 17 luglio 1949, col. 937; La Documentation Catholique, 1307 del 5 luglio 1959, col. 842). 35 Jules Isaac, "Lettres à Maurice Vanikoff". Lettre III, 11 février 1949 in: Sens 7 (2004) 372. Isaac incontra mons. Raffa in occasione del suo viaggio a Roma per l'udienza con il Papa. Come già visto, mons. Raffa si trovava, però, in Via Anicia, non 'Amicis' come risulta dall'articolo. 36 Nel luglio del 1948 durante il Congresso Internazionale Ebraico-Cristiano tenuto in Svizzera, a Friburgo, si fa riferimento alla concretezza ed utilità del lavoro svolto dalla Commissione religiosa dell'ICCJ, che facilmente allude al successo della dichiarazione. Un lavoro concreto "favorito forse dalla predominanza di rappresentanti delle autentiche tradizioni spirituali europee, decise a non accontentarsi di un nobile ma vago ed inoperante 'umanitarismo'" ("3° Congrès de chrétiens et de juifs à Fribourg", La Documentation Catholique, 1046 (1949) col. 940). 37 Lettera a Pierre Visseur del 7 ottobre 1948 (già citata). Il sottolineato è nel testo della lettera. 38 R. A. Graham "Seelisberg Anniversary: Postscript " in: SIDIC, X/2 (1977) The Pharisees ; M. Morselli, "Jules Isaac e le origini di Nostra Aetate", in: Il Dialogo - Periodico di Monteforte Irpino in <www.ildialogo.org> e A. Melloni, "Nostra Aetate, 1965-2005" in: N. Lamdan - A. Melloni (eds.) Nostra Aetate: Origins, Promulgation, Impact on Jewish-Catholic Relations, LIT, Berlin, 2007, p. 26. 9 sollecitata, come spiega in una sua Gli era stata consigliata da alcuni amici religiosi cattolici, p. Marie-Benoît, allora direttore spirituale dei Cappuccini e p. Calliste Lopinot, presidente della Commissione per i rapporti con le Chiese per la Conferenza di Seelisberg. "Io non ci avevo pensato", scrive sempre nella lettera, "non giudicandomi qualificato per chiedere ed ottenere un'udienza pontificia". Isaac ricevette dal Papa una "Accoglienza molto incoraggiante, di una perfetta semplicità, il che mi ha consentito di dire tutto quello che avevo da dire". Il breve tempo a disposizione fa concentrare Isaac su una questione precisa: i Dieci Punti di Seelisberg: "Ho fatto presente la mia ardente e profonda convinzione che se il Santo Padre avesse accettato di esaminarli e di farli esaminare, raccomandandone la riflessione alle autorità ecclesiastiche di tutte le nazioni, si farebbe un grande passo nella via certamente gradita a Dio. (…) Il Santo Padre, che mi aveva ascoltato con benevolente attenzione, mi ha promesso di esaminarli". Isaac lascia a Pio XII due copie del Bollettino dell'Amitié Judéo-Chrétienne, il n. 1 e il n. 2. Quest'ultimo riporta il Decreto relativo alla preghiera 'Pro perfidis Judaeis' "e a questo proposito ho potuto notare che la soppressione della genuflessione per l'Oremus, era - forse - più grave ancora della traduzione 'perfidi' ". Questo avvenimento, tuttavia, non gli lascia facili illusioni. "Non mi lascio andare a speranze troppo grandi. Mi auguro ardentemente che se ne abbia qualche risultato positivo, ma ciò non dipende più da me. Che qualcun altro mi dia il cambio! E impiegando tutta l'influenza di cui può disporre (…) I RR.PP. Marie-Benoît e Calliste sono rimasti molto soddisfatti dei miei passi, e la loro soddisfazione è la mia prima ricompensa". Questa relativizzazione dell'incontro, o, se vogliamo, questo apparente distacco, è dovuto - com'ebbe lui stesso a dire in un altro dattiloscritto - alla vastità del suo campo d'azione, che imponeva innanzitutto di rivolgersi alla base, piuttosto che ai vertici cattolici: "dove concentrare gli sforzi? Al vertice o alla base? Riguardo alla cattolicità, tutto quello che sapevo delle abitudini vaticane mi inclinava a scegliere la base; l'udienza pontificia del 1949 doveva essere considerata, in questa prima fase, solo come un episodio secondario, incidentale"40. lettera39. A nessuno di coloro che avevano lungamente studiato la questione terminologica del 'perfidis/perfidia' né di coloro che si erano attivati presso le autorità ecclesiastiche, poteva sfuggire il valore della dichiarazione del 1948, che però, come presto notò anche il colonnello Vitale, aveva il limite di non costituire un obbligo per nessuno, ma solo una concessione alle traduzioni. Molto interessante, a questo proposito, è il rapporto che il religioso redentorista Joseph Löw, vice Relatore Generale della sezione storica della Congregazione per i Riti, fa in occasione di una Settimana teologica nel 1953 parlando della traduzione in francese della Preghiera: "…Ma mentre i fedeli leggono così (= secondo la Dichiarazione del 1948) nel loro Messale, il prete, lui, continua a cantare 'perfidi Judaei' e 'perfidia judaica'. Si è allora proposto recentemente di sostituire anche queste parole ufficiali con 'increduli' e 'incredulitas'"41. La traduzione, quindi, non era sufficiente ad arrestare quella che, sempre Löw, definisce una diffamazione "contraria alla carità che Cristo ha predicato; se si prega per gli ebrei, che non si inizi con l'insultarli". Occorreva intervenire alla fonte, sullo stesso testo latino. Il decreto sulle traduzioni non arrestava neanche lo stillicidio di affermazioni ed omelie apertamente antisemite, come neanche le traduzioni chiaramente in contrasto con quanto riconosciuto dalla Congregazione dei Riti. I pochissimi adeguamenti procedevano a ritmo lento e la loro incidenza sulla mentalità era ovviamente scarsissima42. Il colonnello Vitale raccoglie di volta in volta la documentazione degli episodi in contraddizione con la Dichiarazione, per denunciarli alle autorità ecclesiastiche competenti. Questo costituisce il passo successivo cui si impegna il Vitale, che da questo momento in poi inizia ad invocare dalla Santa Sede un vero e proprio ''decretum'' con il quale la risoluzione del 1948 doveva diventare un obbligo cui tutti i cattolici avrebbero dovuto attenersi. In questo periodo, una cospicua mole di corrispondenza è finalizzata ad ottenere questo risultato. Nel dicembre del 1952 Vitale scrive a Pio XII proprio per denunciare l'inattuazione della dichiarazione del 1948: "Malauguratamente, però, il consiglio espresso nella succitata 'Declaratio' non è stato seguito da nessuno, almeno per quanto ci consta in Italia ove più di una recente edizione del Messale Romano ha riprodotta identica lezione delle frasi di cui si tratta" ed invoca il provvedimento di 39 La lettera è datata solo 'jeudì 3 novembre' e senza riferimenti alla destinataria, che nell'intestazione appare come 'ma soeur'. Fotocopia della lettera autografa presso la Documentazione SIDIC n. 409. 40 J. Isaac, "Survol de ma vie. Extraits (texte inédit)", presso la Documentazione SIDIC n. 405, terza pagina. 41 P. Démann (?) "A propos de la prière …", 66. 42 Tra i pochi casi, P. Gianazza, ("La preghiera…", 161) riporta quello del messalino bilingue a cura del liturgista domenicano C. Pera, Liber missalis. Il libro per la messa secondo il Rito Romano, Marietti, Torino-Roma, 1959. 10 un La fitta corrispondenza sulla questione è questa volta indirizzata soprattutto a mons. Angelo Dell'Acqua, Sostituto alla Segreteria di Stato. Di questo periodo (l'ultimo scritto sarà del 1957) abbiamo non solo le lettere indirizzategli da Vitale, ma anche trascrizioni di incontri e di telefonate. ''decretum''43. L'11 marzo del 1953 Vitale scrive all'Arcivescovo Giovanni Battista Montini e all'arcivescovo Domenico Tardini, ambedue incaricati presso la Segreteria di Stato vaticana. Comunica loro di aver inviato una lettera a Pio XII e chiede il loro interessamento per lanciare un pubblico biasimo per un episodio di propaganda antisemita occorso in una parrocchia di Piossasco, presso Torino. Il 31 marzo, Vitale riceve dalla Segreteria un invito a conferire con Monsignor Dell'Acqua. L'incontro si svolge il primo di aprile ed il 14 Vitale scrive a Dell'Acqua menzionando il contenuto della discussione (c'era stata anche una conversazione telefonica il 10 aprile). Ribadisce la necessità di un ''decretum'' e menziona per la prima volta la questione della genuflessione: "Resterebbe ancora la questione del 'genua flectant' che nel ricordato Oremus appare tralasciato (…) ma a questa modifica si vorrebbe, pur con rammarico, rinunziare per ora, se ciò valesse a sollecitare una misura attesa ormai da dieci anni, essendosi avanzata istanza per la correzione della traduzione (…) fin dal 1944; rinunziare, per ora, si ripete, pur di non ritardare oltre detta misura". In una riunione della Commissione Piana sulla riforma della Settimana Santa tenutasi agli inizi del 1953, Agostino Bea, gesuita e rettore del Pontificio Istituto Biblico, propone il ripristino della genuflessione44 ed il francescano Ferdinando Antonelli, membro della sezione storica della Congregazione per i Riti, propone la sostituzione dei termini 'perfidis/perfidia', in quanto il suo uso ormai suonava male. La proposta di Antonelli fu però molto contrastata, anche se aveva due sostenitori autorevoli in mons. Annibale Bugnini, vincenziano, direttore della rivista 'Ephemerides Liturgicae' e Segretario della Commissione per la riforma generale della liturgia dal 194845, e in Joseph Löw, allora membro della sezione storica della Congregazione dei Riti. Non mancarono sollecitazioni provenienti dal di fuori della Santa Sede. Jules Isaac, come visto, considerava la rimozione della genuflessione anche peggiore dell'appellativo di 'perfidi' e per la sua reintroduzione aveva già esplicitamente conferito con Pio XII, ma non si aspettava miracoli.46 Vitale è di diverso avviso: è sua profonda convinzione, forse un po’ ingenua, che la voce autorevole della Chiesa, espressa attraverso un decreto che imponesse come tradurre 'perfidis/perfidia', avrebbe messo in riga tutti i cattolici, fatto cessare tutte le omelie di contenuto antigiudaico e antisemita e imposto di stampare nuove edizioni di tutte le traduzioni dei messali, nel senso imposto dal decreto. Questa era la sua priorità. La forza di questa convinzione il Vitale la dimostra ampiamente in anni ed anni di tentativi spesso frustranti ma intrisi di una tenacia a tutta prova. Chi dei due, tra Isaac e Vitale, aveva ragione? Quale dei due elementi della preghiera era maggiormente dannoso nella sua influenza sulle menti dei cristiani riguardo agli ebrei? Siamo naturalmente inclini a giudicarli sullo stesso piano, ma alle ansie del colonnello Vitale va incontro il fatto che mentre nel 1955, come vedremo, la questione della genuflessione è stata risolta, solo nel 1959 viene decisa l'abolizione di 'perfidis/perfidia', mostrando la Chiesa, su questo fronte, una ben più acuta resistenza. Evidentemente il 43 Questa lettera è registrata in un biglietto del 19 dicembre 1952 indirizzato alla 'Signorina Anna' (la segretaria Anna Ceccarelli Scotti) con la segnatura '1028' e datata al 13 dicembre, mentre la copia effettiva della lettera riporta la data dell'11 (il messaggio alla sig.na Anna si trova nel Fondo CRDE presso il Centro Bibliografico di Roma: CRDE 11, 1947/53; la copia della lettera si trova nel Fondo Vitale custodito presso Il Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano - CDEC - cartella 15 C "Chiesa ed Ebrei"). 44 M. Paiano, "Il dibattito…", 685-686. 45 Bugnini, nel 1954, pubblicò anche uno studio, "Una particolarità del Messale da rivedere: la preghiera 'pro Judaeis' al Venerdì Santo" in: Miscellanea Giulio Belvedere, Roma, 1954, 117-132 ed ampia bibliografia. Qui egli espone ampiamente i motivi a favore della riforma, fondandoli essenzialmente sulla maggiore antichità della tradizione della genuflessione e sul significato negativo che i termini avevano acquisito. 46 Per Isaac la gravità della mancanza della genuflessione sorge dalla motivazione che vi era addotta. Egli ritiene che l'usanza non era tanto l'espressione di un antisemitismo di matrice popolare, ma era stata introdotta deliberatamente dalla Chiesa per suscitare sentimenti antiebraici (cf. J. Isaac, Genèse de l'antisémitisme, Paris, 1956, 304). Per questo, il primo passo verso una nuova e più giusta attitudine verso il popolo ebraico era quello di rimuovere questo mezzo con cui la Chiesa insegnava il disprezzo verso di esso. 11 colonnello non aveva tutti i torti a richiamare l'attenzione sulla necessità di regolamentare in primo luogo l'uso della terminologia. Così i suoi sforzi continuano nella direzione dell'emanazione del ''decretum''. I suoi contatti con la Segreteria di Stato si intensificano e in una nuova lettera a Dell'Acqua, Vitale ribadisce come "soltanto una affermazione chiara e precisa, varrà a porre rimedio a tanto male, con la rapidità che il lungo danno ormai impone e con la benevolenza che sarà profondamente apprezzata"47. Finalmente il 12 maggio arriva una telefonata da parte della Segreteria di Stato, raccolta e trascritta dalla Sig.na Ada Levi Mortara, segretaria dell'Unione delle Comunità Israelitiche Italiane (UCII): "Pregasi comunicare al col. Vitale che S. E. Monsignore Dell'Acqua ha ricevuta la sua lettera e tiene presente la cosa". Nel mese di luglio, non avendo avuto altre notizie, Vitale sollecita nuovamente Dell'Acqua48 e il 16 luglio riceve una nuova telefonata dalla Segreteria di Stato: "Segretario: Telefona il Segretario di S. E. Monsignor Montini, incaricato di dirle, in risposta a sua lettera di giorni addietro indirizzata a Monsignore Dell'Acqua, che la cosa è tenuta presente qui in Ufficio; non deve avere preoccupazioni perché la pratica è seguita colla dovuta attenzione. Occorrerà un po’ di tempo perché deve venire trattata dai vari uffici competenti che non sono la Segreteria di Stato; ma stia tranquillo che la cosa, ripeto, è trattata con particolare cura" Vitale: Ringrazio vivamente Lei per la sua cortese ambasciata e le LL.EE. Montini e Dell'Acqua per la comunicazione e rinnovo l'espressione del desiderio o meglio della necessità di una sollecita favorevole decisione data l'importanza dell'argomento e il danno che ne deriva da ulteriori attese Segretario: Dirò che lei rimane in attesa di una risposta favorevole"49. Arriva il mese di ottobre e ancora nessuna notizia. Il giorno 6 Vitale scrive a Dell'Acqua un nuovo sollecito per il 'decretum'50, e dopo due giorni, l'8, la Segreteria di Stato telefona: "Qui parla il Vaticano. Monsignore Dell'Acqua prega di avvertire il col. Vitale di pazientare ancora un poco"51. Passano i mesi e intanto la propaganda antigiudaica torna a farsi sentire. A dicembre Vitale scrive a mons. Dell'Acqua segnalandogli l'episodio occorso in una parrocchia di Orbetello, in cui il parroco nell'omelia si è riferito agli ebrei come al "vile popolo ebreo". Invoca ancora una volta "un cenno delle superiori autorità" e chiede se non avrebbe dato maggior frutto inoltrare una preghiera sull'argomento direttamente al S. Padre. Vitale rivolge la sua preghiera al Pontefice l'11 maggio del 1954. Dalle righe dello scritto traspare l'ansia di chi conta i giorni in attesa di un segnale, di una comunicazione, di una notizia. Si rammarica per la continua inosservanza della famosa 'declaratio' del 1948 e riferisce, quasi facendone un elenco, i contatti epistolari e telefonici con la Segreteria di Stato, tutti i passi fatti e l'incontro con mons. Dell'Acqua che aveva avuto luogo il 1 aprile dell'anno prima. I sette mesi trascorsi dalla telefonata che lo pregava di 'pazientare ancora un poco', i cinque mesi dall'ultima comunicazione (quella del 10 dicembre) e torna ad invocare il 'decretum' che corregga l'errore di traduzione di 'perfidis/perfidia', ricordando che "Tale errore ha certamente contribuito, e contribuisce ogni giorno, ogni ora, a seminare odio e disprezzo, là dove la Santità Vostra predica perdono, persuasione e speranza". Il 21 giugno, il col. Vitale riceve la telefonata del segretario di Mons. Dell'Acqua che lo invita a colloquio per il 23 (colloquio poi spostato al 24). Vitale annota il contenuto di questa conversazione52. "Dell'Acqua: Che cosa ha da dirmi? 47 Lettera a mons. Dell'Acqua del 10 maggio 1953. Fondo Vitale CDEC, 15 - C, 'Chiesa ed Ebrei'. 48 Lettera a mons. Dell'Acqua del 2 luglio 1953, Fondo Vitale CDEC, 15 - C, 'Chiesa ed Ebrei'. 49 Biglietto con trascrizione del messaggio telefonico del 16 luglio 1953, ore 10,40, Fondo Vitale CDEC, 15 - C, 'Chiesa ed Ebrei'. 50 Lettera a Mons. Dell'Acqua del 6 ottobre 1953. Fondo Vitale CDEC, 15 - C, 'Chiesa ed Ebrei'. 51 Biglietto con trascrizione della telefonata dell'8 ottobre 1953, ore 11.10. Fondo Vitale CDEC, 15 - C, 'Chiesa ed Ebrei'. 52 "Nota relativa alla conversazione tenuta negli uffici della segreteria di Stato al Vaticano dallo scrivente con S. E. monsignore Angelo Dell'Acqua della Segreteria stessa. A seguito di invito rivoltogli per conferire in merito alla nota questione della preghiera del Venerdì Santo e della lettera dallo scrivente stessa indirizzata a Sua Santità su detto argomento in data 11 maggio 1954", 24 giugno 1954 (Fondo Vitale CDEC, 15 - C, 'Chiesa ed Ebrei') 12 Vitale: E' da Lei, Eccellenza, che attendo notizie Dell'Acqua: Non vi è alcun fatto nuovo Vitale: Le ho segnalato le nuove edizioni del Missale Romanum, nelle quali è ripetuto l'errore che Lei conosce Dell'Acqua: Non si tratta di nuove edizioni, ma bensì di ristampe per le quali non occorre nessuna autorizzazione. Per le nuove edizioni occorre tempo; come già Le dissi bisogna avere pazienza, non sono cose che si possano fare con premura (in nota: 'La correzione del breviario di Milano venne iniziata nel 1930 e sarà solo prossimamente finita') Vitale: Ma sono ormai cinque anni dalla pubblicazione della 'Declaratio' che è del giugno 1948 Dell'Acqua: Non è soltanto il mio Ufficio che interviene nella questione, ma anche molti altri Uffici; sono varie le questioni liturgiche da correggere e si vorrà fare una sola correzione Vitale: Io preferirei che mi si dicesse che loro non desiderano provvedere come richiesto Dell'Acqua: Non potrei dirLe cosa del genere che non risponde a verità perché è nostro intendimento di provvedere Vitale: Dopo il luglio scorso, allorché Ella cortesemente mi comunicò di 'non avere preoccupazioni, che la cosa veniva seguita colla massima cura e che occorreva attendere qualche tempo', io fui molto soddisfatto e tenni una conferenza stampa alla quale intervennero anche varii corrispondenti esteri e particolarmente gli Americani ed i Francesi si interessarono della cosa che sembrava dovesse avere molto prossima definizione. Poi ne parlai in Francia con S. E. il vescovo mons. De Provenchères53 e con il prof. Jules Isaac. Ora questa ulteriore attesa turba quanto si riteneva definito. Dell'Acqua: Le ripeto, occorre del tempo; occorre tener presente la loro richiesta e l’opportunità di non troncare bruscamente col passato. La cosa già venne studiata ed esistono pubblicazioni che la confermano Vitale: Ma non valgono allo scopo di non lasciar continuare delle espressioni offensive che incitano al disprezzo ed all’odio. Sono i giovani che sin dai primi tempi sentono di continuo le frasi incriminate e ne traggono ciò che è logico trarne Dell'Acqua: Non è preghiera che venga di continuo ripetuta, ma solo una volta all’anno dal sacerdote Vitale: Ma comunque è un errore ed è un’offesa grave. Quanto dolorosamente è avvenuto dovrebbe spingere a cercare di mutare tutto ciò che è possibile mutare, mentre tanti sacerdoti continuano dal pulpito a incitare i credenti contro gli Ebrei o scrivono su pubblicazioni che vanno nelle mani del popolo minuto e sono esiziali Dell'Acqua: Ma lei mi segnali tutte le volte che si verificano cose del genere e noi interverremo subito come siamo intervenuti quando lei ci ha segnalato Vitale: In tutti e due i casi? In quello dell’Isola del Giglio54quando venne detto dal sacerdote durante la predica “il vile popolo ebreo” e quello della pubblicazione del parroco di Piossasco55 ove si invitavano i fedeli a “non ricevere in casa protestanti ed ebrei…”? Dell'Acqua: In tutti e due i casi. Occorre tener presente anche quale sia stato il comportamento di certe famiglie ebree; non volevo neppure dirle questo, ma glielo dico unicamente perché Lei si possa convincere che abbiamo provveduto e che ci è stato risposto Vitale: Non penso neppure a dubitare della Sua parola. Ma il fatto che vi siano state delle persone ineducate o peggio (cosa che si incontra purtroppo tra ogni genere di persone ogni giorno) non autorizza a scrivere od a dire quanto quel Sacerdote ha scritto Dell'Acqua: Ed è per questo che siamo intervenuti. Le ripeto, ogni volta che Lei rileverà fatti del genere, me lo segnali e provvederemo. Vitale: Ma trattandosi di una questione così particolare che non riguarda questioni ‘tecniche’ liturgiche, ma è un errore ed un’offesa, rivolta a uomini che hanno sofferta ogni ingiustizia, non si potrebbe riuscire a far prendere sollecite decisioni? Sua Santità può tutto 53 Vitale fu in corrispondenza anche con Mons. Charles de Provenchères, arcivescovo di Aix-en-Provence dal 1946 al 1979. La corrispondenza iniziò il 1953 e continuò almeno fino al 1958. In una lettera del 10 maggio 1953 gli parla della rimozione delle traduzioni scorrette di perfidis/perfidia e accenna all'esempio concreto di una edizione in lingua francese. L'arcivescovo risponde il 23 maggio manifestando al Vitale tutta la sua sensibilità al riguardo e promettendo di provvedere per la traduzione. "Potrete sempre contare su di me per un'azione in favore delle idee che ho esposto nella prefazione alla quale lei fa allusione (si riferisce alla brochure pubblicata da P. Démann: Les juifs dans la catéchèse Chrétienne cui Vitale aveva accennato poco prima. Il testo della prefazione si trova anche nei Cahiers Sioniens, 6/1 del 1952, 168-169) e che parrebbe essere del resto la posizione della gerarchia cattolica. Ciò presuppone un'azione perseverante, molta comprensione da una parte e dall'altra, una volontà comune di raggiungere l'unità dell'amore e della verità". (Fondo Vitale CDEC , 15 - C, Chiesa ed Ebrei). Mons. De Provenchères ebbe contatti ripetuti anche con Jules Isaac, che ricorda i suoi consigli 'infinitamente preziosi' (cf. "Lettre de Jules Isaac à Mgr Charles de Provenchères, Archevêque d'Aix-enProvence", Sens 7 (2004) 389-390. Sulla corrispondenza tra de Provenchères, P. Démann e Jules Isaac si veda anche Sens 7/8 (2003) 370-377). 54 Si riferisce al caso di Orbetello (sopra, p. 11) 55 Si riferisce al caso della parrocchia nel torinese (sopra, p. 10) 13 Dell'Acqua: Cercherò di insistere con S. E. Monsignore Montini al riguardo e sia certo che con un poco di pazienza e di comprensione da una parte e dall’altra e coll’aiuto di Dio, ci si arriverà." Passano sedici mesi senza più comunicazioni e Vitale torna a scrivere a Mons. Dell’Acqua nell’ottobre del 1955, sollecitando nuovamente una risposta sul ‘'decretum'’. Lo fa elencando per data tutte le comunicazioni “scritte, verbali, telefoniche, da parte della S. E. R. e di questo Comitato” e concludendo: “Ora nessuna parola può aggiungersi, ma solo apparirebbe dover agire la reale ….’bona intentio’ dei competenti Uffici”. Il 16 novembre 1955 ha finalmente termine la discussione sulla riforma della Settimana Santa, nel più ampio quadro del progetto di riforma della liturgia sollecitato da Pio XII, ma sulla preghiera per gli ebrei la questione è solo risolta a metà. Viene, cioè, ripristinata la genuflessione, ma la formula "pro perfidis Judeis" resta invariata56. Neanche la questione delle traduzioni viene ripresa. Illuminante sulla discussione è la Nota che mons. Annibale Bugnini inserisce a piè di pagina del suo commento alla nuova disposizione: "In questa preghiera si trovava una duplice difficoltà: la comunità cristiana, all'invito del celebrante per gli ebrei non si genufletteva; in un testo di esortazione e di preghiera, le parole 'perfidi' e 'perfidia' risuonavano male. Nel testo rinnovato, la prima difficoltà è stata risolta, e la genuflessione è ristabilita; la seconda, in realtà, no. Le parole 'perfidi' e 'perfidia' sono rimaste nel testo. Per errore, tuttavia. La storia e la filologia hanno un orientamento del tutto opposto… Si aggiunge un motivo di opportunità: quelle parole secondo l'odierna evoluzione della lingua hanno un significato offensivo: la Chiesa, mentre prega per gli ebrei, li offenderebbe con parole dure. Nella nuova traduzione dei Salmi si evitano accuratamente espressioni che nelle lingue moderne hanno acquisito un significato diverso. La stessa SRC nelle versioni moderne del nostro testo e di testi simili nel rito battesimale, di recente ha stabilito 'Non sono da riprovare le locuzioni il cui senso sia 'infidelitas-infideles in materia di fede'… Ma poiché nei riti rinnovati e nel rinnovamento progressivo della liturgia tutta la materia, anche nel dettaglio, è stata ordinata e sottoposta a revisione e lo sarà e viene rinnovata giorno per giorno con il progresso degli studi, non pochi avrebbero preferito che il nostro nella sua forma concreta e nel suo significato fosse corretto; cosa che ci auguriamo una buona volta accada." 57 Mons. Bugnini, più tardi vera anima della Riforma Liturgica del Concilio Vaticano II, lascia trasparire, da questa annotazione, la perplessità piuttosto marcata davanti ad una decisione insoddisfacente e non in linea con i validi motivi evidenziati in anni di studi sulla materia, e l'auspicio di un adeguamento che sarebbe giunto tanto più opportuno in quanto la questione si trascinava da troppo tempo. 3. Dal ristabilimento della genuflessione all'abolizione del 'Perfidis' Con la dichiarazione del 1948 si apre quindi la porta alla lunga discussione che, nel 1955, viene risolta solo 'a metà'. Qui non solo le espressioni 'perfidi' e 'perfidia' non vengono abolite, ma neanche viene fatto cenno alla loro traduzione. Nessun pronunciamento di tipo vincolante si riuscì ad ottenere. Il colonnello Vitale appare tanto indifferente alla reintroduzione della genuflessione, quanto sempre più preoccupato per gli effetti di un mancato decreto che imponga di evitare di riferirsi agli ebrei come 'perfidi'. Il 9 aprile 1956, quindi diversi mesi dopo il Decreto sulla riforma della Preghiera, Vitale si rivolge nuovamente a mons. Dell'Acqua per denunciare che la nuova traduzione della 'Nuova Liturgia della Settimana Santa' pubblicata a Milano il 10 febbraio del 1956 riporta ancora "l'ingiuriosa dizione"58, alla quale 56 Decreto Maxima Redemptoris nostri Mysteria del 16 novembre 1955. 57 A. Bugnini – C. Braga, “Ordo Hebdomadae Sanctae instauratus”, Bibliotheca ‘Ephemerides Liturgicae’, Sectio Historica, 25, Edizioni Liturgiche, Roma, 1956, p.115, nota n. 114: “In hac oratione duplex exstabat difficultas: communitas cristiana ad invitationem celebrantis pro Iudaeis, non genuflectabant; in textu adhortationis et orationis verba ‘perfidi’ et ‘perfidia’ male sonabat. Prima difficultas in texto instaurato soluta est, et genuflexio restituitur; altera vero non. Verba ‘perfidi’ et ‘perfidia’ manserunt in textu. Perperam tamen. Historia et philologia contrarium absolute sentiunt (qui cita tre studi, tra cui uno suo) Accedit ratio convenientiae: Verba illa iuxta hodiernam evolutionem linguae habent sensum offensivum: Ecclesia, dum pro Iudaeis orat, illos acri bus verbis argueret. In nova psalmorum interpretazione accurate vitantur expressiones quae in modernis linguis alium sensum acquisivere. Ipsa SRC, in versioni bus vernaculis nostri textus et textuum similium in ritu baptismali, recenter statuit ‘non improbari…locutiones quarum sensus sit: ‘infidelitas, infedele in credendo’ (AAS, 40 [1948] 342; EL, 63 [1949] 89-90). Quia autem in instauratis ritibus et in progressiva instauratione liturgiae tota materia etiam in minimis ordinata et revisa est et erit atque ad diem producitur quoad acquisitiones studiorum, non pauci maluissent et nostrum textum in sua concreta re et significazione corrigi; quod optamus ut aliquando fiat”. 58 Lettera ad Angelo Dell'Acqua del 9 aprile 1956 (Fondo Vitale CDEC, 15 - C, 'Chiesa ed Ebrei'). 14 Dell'Acqua risponde assicurando di aver sottoposto la questione alla Congregazione per i Ma una successiva lettera che Dell'Acqua invia a Vitale in risposta alla sua richiesta di rimuovere dei quadri raffiguranti assassinii rituali ebraici nella chiesa di Lienz, non nasconde un certo disappunto. Dell'Acqua risponde che la presenza di tali quadri non risulta, mentre nella chiesa di Rinn, nel Tirolo, vi sono quelli che raffigurano il martirio del beato Andrea, un giovane 'morto per mano di alcuni israeliti'. Su questi ultimi Dell'Acqua si esprime così: "Si assicura però che tali quadri non suscitano alcun sentimento antisemita, allo stesso modo che non ne suscita quello del Duomo di S. Stefano a Vienna che raffigura il Santo in atto di essere lapidato dai giudei"60. "E' fantastico questo appunto!!!", annota in calce Vitale. Seguono altre segnalazioni di episodi antisemiti, cui sempre viene aggiunto il sollecito del 'decretum', fino al 23 novembre 1958, data in cui il col. Vitale scrive al nuovo Pontefice, Giovanni XXIII61 per inoltrare l'istanza riguardante la preghiera. "i voti che le Comunità Ebraiche hanno indirizzato al Soglio Pontificio per l'elevazione di Vostra Santità sono certamente animati dalla fiducia di vedere finalmente realizzata una aspirazione di giustizia che circostanze avverse hanno finora soffocata. … Dopo un così orribile e doloroso passato, si confida venga finalmente cancellato dalla paterna benevolenza di Vostra Santità l'insulto umiliante che risulta continuo attraverso una ecumenica inevitabile propaganda capillare di vari testi liturgici cattolici e, più diffusamente, dalla falsa traduzione dell'Oremus del Venerdì Santo con la conclamata 'judaica perfidia' ed i 'perfidi Judaei'". All'istanza segue, l'11 dicembre, un breve messaggio da parte della Segreteria di Stato, col quale viene comunicato a Vitale "che la sua istanza del 23 novembre u. s. è stata trasmessa, per competenza, alla Sacra Congregazione per i Riti"62. Riti59. Finalmente, il 17 marzo del 1959 Giovanni XXIII comunica la decisione di abolire la terminologia in discussione da cinquant'anni63. In questa comunicazione, la prima in assoluto, e quindi verosimilmente fatta pervenire alla Congregazione per i Riti, si ordina di correggere la preghiera e si dà il nuovo testo, che sarà quello in uso fino al 1962, con qualche correzione. Si può intuire che ciò fu fatto in via prudenziale, per evitare intempestivi fraintendimenti che avrebbero ostacolato la disposizione. Successivamente, in una Nota alla presidenza dell'UCII il 13 giugno 1964, Vitale parla di un suo colloquio con mons. Galavotti, della Congregazione per i Riti64. Questi lo aveva invitato a seguito di una comunicazione che Vitale aveva inviato a Papa Paolo VI il 29 aprile 196465. Galavotti da tempo avrebbe desiderato conoscerlo di persona, conoscendo già la lunga pratica per la preghiera del Venerdì Santo. In quei giorni la pratica era stata riesumata per i lavori conciliari "circa quanto già fatto e quanto è da fare". Nel cordiale colloquio di un'ora che si svolse tra i due, Galavotti riferì in via confidenziale interessanti dettagli a Vitale "in merito al corso di quella importantissima questione secolare che aveva (me lo disse con aperta franchezza) i più tenaci avversari 'in noi della Sacra Congregazione dei Riti', eccezionalmente tradizionalisti, e poi scossi dalla volontà del nuovo Pontefice Giovanni XXIII". E a proposito dei documenti con cui si comunica la riforma, Vitale scrive: "Ebbe la compiacenza di mostrarmi i documenti ufficiali relativi all'ordine di Papa Giovanni XXIII sull'argomento, ove è anche accennato (ed è storicamente oltre ogni modo interessante) il dettaglio segnato dal Papa Giovanni XXIII, che il suo predecessore, Papa Pio XII, non era nel suo spirito contrario alla correzione, tanto che (questo appare stupefacente al nostro spirito, ma… non è raro negli accomodamenti spirituali della Chiesa) nella sua preghiera privata già aveva mutato la dizione liturgica abolendo le parole perfidi e perfidia, sostituendole colle semplici parole: '… oremus etiam pro Judaeis'66. Ma non… si sentì (me lo disse 59 Lettera di Angelo Dell'Acqua a M. A. Vitale del 14 aprile 1956, n. prot. 372148 (Fondo Vitale CDEC, 15 - C, 'Chiesa ed Ebrei'). 60 Appunto inviato a M. A. Vitale il 26 novembre 1956 (Fondo Vitale CDEC, 15 - C, 'Chiesa ed Ebrei'). 61 Fondo Vitale CDEC, 15 - C, 'Chiesa ed Ebrei'. Non sarà l'ultima lettera che il Vitale scrive a Giovanni XXIII. Ve ne sarà un'altra, datata al 21 luglio 1963, purtroppo non ritrovata. 62 Messaggio n. 2734 (Fondo Vitale CDEC, 15 - C, 'Chiesa ed Ebrei'). 63 Il col. Vitale fa riferimento a questa data in una Nota all'UCII del 24 giugno 1964 (Fondo Vitale CDEC, 15, '1963/67'). 64 Purtroppo mancano altre informazioni su mons. Galavotti. 65 La Nota riferiva all'UCII sul colloquio avvenuto l'11 giugno. La lettera a Paolo VI non è stata trovata negli archivi consultati, ma da quanto si desume dalla Nota, contiene la denuncia della tradizione della commemorazione del presunto martirio del Beato Andrea a Rinn (Fondo Vitale CDEC, 15 - C, 'Chiesa ed Ebrei') 66 La comunicazione è probabilmente quella riportata in: Giovanni XXIII, Lettere 1958-1963, a cura di L. F. Capovilla, Roma, 1978, p. 484: "Da vario tempo veniamo interessati circa il 'pro perfidis Iudaeis' nella liturgia del Venerdì Santo. Ci risulta da testimonianza sicura che il nostro Predecessore Pio XII di s. m. personalmente aveva già tolto tale aggettivo nella preghiera sua, accontentandosi di dire: 'Oremus…. Etiam pro Judaeis'. Essendo questo anche il nostro pensiero, disponiamo che colla prossima Settimana Santa la duplice supplicazione [venga così ridotta]". 15 monsignore Galavotti stesso) di opporsi al tradizionalismo della roccaforte rappresentata dalla Sacra Congregazione dei Riti"67. Tra coloro che opposero maggiore resistenza, prosegue Vitale, vi era il Cardinale Domenico Tardini che però fu costretto ad obbedire al Papa "e fu poi sollecito di segnalare a Giovanni XXIII una molto opportuna correzione, sfuggita in detto ordine. Il Papa Giovanni XXIII aveva corretto la preghiera dicendo: 'Oremus pro… et pro… et pro… et etiam pro Judaeis'; non aveva rilevato il profondo significato discriminatorio che questo etiam rappresentava. Il Cardinale Tardini lo fece sommessamente (tale è l'avverbio usato nello stile della chiesa, corrispondente al subordinatamente usato nello stile militare) noto e venne corretto con et soltanto, come per le altre orazioni. Ben interessanti storiche sfumature!"68. Il 21 marzo 1959 la disposizione riguardante l’abolizione dei termini viene comunicata con una lettera indirizzata all'allora cardinale vicario di Roma e pro Prefetto della Congregazione per i Riti, Mons. Clemente Micara, a firma del card. Cicognani, affinché le disposizioni fossero rese operative per la Settimana Santa di quell'anno nella diocesi romana. Procedendo in questo modo, per piccoli passi, Papa Giovanni ha mostrato grande prudenza, ben sapendo di rischiare la frapposizione di nuovi ostacoli da parte dei più recalcitranti. Dopo aver comunicato la modifica alla Congregazione (17 marzo), egli applica la disposizione dapprima alla sua Diocesi (21 marzo), come Vescovo di Roma, per poi allargare il provvedimento alla Chiesa universale. Il passo seguente è consistito nel porre personalmente in atto la disposizione, un gesto da vescovo di Roma che però al tempo stesso, una volta fatto, non poteva essere più contestato senza mettere in discussione una disposizione Papale. Così il 27 marzo del 1959, Venerdì Santo, Papa Giovanni si reca alla celebrazione della liturgia della Croce presso la basilica romana di Santa Croce in Gerusalemme. Qui la famosa formula "Oremus et pro perfidis Iudaeis" diventa definitivamente e pubblicamente "Oremus et pro Iudaeis". A questi atti di Papa Giovanni XXIII seguono i due decreti del 19 maggio e del 27 novembre. Il decreto del 19 maggio fu inviato dalla Congregazione dei Riti ai Nunzi Apostolici e ai Rappresentanti Pontifici con lettera circolare, ma non immediatamente pubblicato. Lo fu in seguito, insieme al decreto di novembre69. Nella notula esplicativa del Decreto del 19 maggio 1959 Annibale Bugnini riferisce che "La questione dell'abolizione delle parole 'perfidi' e 'perfidia' nell'orazione per gli ebrei del Venerdì della Passione e Morte del Signore è già da lungo tempo matura. In occasione della riforma della Settimana Santa (nel 1955) il problema era stato sollevato e risolto per metà: fu restituita la genuflessione ma restarono inalterate le parole il cui senso originario era esattissimo, ma oggi sono offensive. Allora, commentando il punto, ci auguravamo che sarebbe venuto il momento che quelle parole potessero essere cambiate o abolite… Con sapiente decisione questo è stato fatto, e di questo molti plaudono con gratitudine al Sommo Pontefice Giovanni XXIII"70. 67 Dall’insieme dei suoi scritti emerge che Vitale riserva giudizi molto severi nei riguardi del pontificato di Pio XII in riferimento agli ebrei, come anche a proposito della riforma della preghiera. In una Nota inviata all’UCII il 13 giugno 1964 critica la notizia, riportata nella stampa quotidiana, di questo desiderio espresso da Pio XII. “E’ assolutamente falsa tale opinione” commenta Vitale, ed a riprova di questa ipotizzata falsità da parte del predecessore di Giovanni XXIII adduce la pubblicazione della 'Nuova Liturgia della Settimana Santa' a Milano il 10 febbraio del 1956 con l’imprimatur delle autorità ecclesiastiche locali che riporta ancora la traduzione ‘perfidi’ (cf. sopra, p. 15). La mancata promulgazione di un decreto che avrebbe dovuto imporre la traduzione semplicemente permessa nel 1948, è per lui un chiaro segno di cattiva volontà. In questo colloquio con mons. Galavotti, alla rivelazione della preghiera personale del Papa non sembra molto incline a cambiare idea, quanto piuttosto a dare, tra le righe, un severo giudizio di pavidità ("non era contrario" ma "non si sentì…"). (Nota per la presidenza della Unione delle Comunità Israelitiche Italiane del 14 giugno 1964, Fondo Vitale CDEC, 15 - C, 'Chiesa ed Ebrei'). Sottolineature di M. A. Vitale. 68 Sottolineature di M. A. Vitale. 69 S. Rituum Congregatio, Prot. U. 4/959 e Prot H. 10/959, ambedue riportati in Ephemerides Liturgicae, 74 (1960) 133-134. 70 1) Quaestio de abolendis verbis 'perfidi' et 'perfidia' in oratione pro Iudaeis, feria VI in Passione et Morte Domini iam diu matura est. Occasione instaurationis Hebdomadae sanctae (a. 1955) res agitata est et per dimidium soluta: restituta fuit genuflexio, sed intacta manserunt verba illa, quae sensu originario exactissima erant, nunc autem 'aurium offensiva' sunt. Tunc, rem commentantes, vota promimus tandem aliquando etiam verba illa posse mutari vel aboleri … Sapienti consilio hoc factum est; de quo plures Summo Pontifici Ioanni XXIII grato animo plaudent." (Ephemerides Liturgicae 74 (1960) 133-134). 16 Lo stesso mons. Bugnini annota, per il secondo Decreto, quello relativo alla modifica del rito del Battesimo dei Catecumeni, che "la seconda omissione è la logica conseguenza del primo cambiamento". Effettivamente, all'abolizione del 'perfidis' della preghiera non poteva non conseguire l'abolizione dell'espressione Iudaicam perfidiam e Hebraicam superstitionem dalla formula di rinnegamento dei propri vecchi costumi, così come delle formule relative alle altre provenienze dei Catecumeni. Così infatti recitava la formula: "Si ex Hebreis, dicat: Horresce Iudaicam perfidiam, respue Hebraicam superstitionem". La motivazione di questa seconda riforma appare così spiegata: "Degli adulti che in buona fede per tanti anni sono vissuti nella loro religione, quando abbracciano la milizia cristiana hanno difficoltà ad accettare di dover pronunciare espressioni tanto crude sulla religione dei loro padri" e aggiunge: "Quelle formule, del resto, non pertengono al più antico patrimonio del rito del Battesimo, e non hanno particolare importanza. La pura e semplice omissione è stata la migliore soluzione al problema"71. Il colonnello Massimo Adolfo Vitale ebbe con mons. Galavotti un altro colloquio, a circa una settimana dal primo, del quale purtroppo non è stata trovata trascrizione negli archivi consultati. Gli incontri confermano il clima decisamente mutato nella Chiesa e la sua maggior disponibilità ad ascoltare le ragioni della Comunità ebraica nel momento in cui il Concilio stava preparando il documento che avrebbe trattato in maniera specifica anche la questione dei rapporti tra la Chiesa e il popolo ebraico. In occasione del secondo incontro, Galavotti, con un gesto carico di stima e di riconoscimento per la fatica e la tenacia sostenute dal Vitale, gli consegna le fotografie dei documenti (purtroppo non trovate negli archivi) con cui il Papa ha comunicato la storica disposizione, gesto significativo di un riconoscimento espresso altrove anche a parole, testualmente riportate dal Vitale in una successiva Nota alla Presidenza dell’UCII72 “…Io ho per lei una profonda ammirazione per la sua iniziativa, la costanza, la tenacia, la brillante presentazione nel raggiungere lo scopo che si era prefisso. Ed insieme, glielo dico con un senso di fraternità, ho anche la più viva gratitudine perché la sua opera ha concorso ad un grande bene per l’umanità. L’alto spirito di Sua Santità Giovanni XXIII ha trovato nel terreno da lei preparato attraverso anni di intelligente insistenza, la possibilità di dare immediato reale inizio senza più richieste, esami, ricerche, discussioni, giudizi, alla Crociata (cui Egli anelava) per richiamare gli uomini di tutte le fedi ad una libera fraterna comprensione ed intesa. Fu quello il Suo primo grande passo…”. La lunga strada dell'abolizione del 'perfidis' è il frutto maturo di una discussione che ha radici lontane e, al tempo stesso, l'iniziativa sovrana di Papa Giovanni XXIII, che ha voluto completare quella riforma iniziata nel 1955 e allora terminata con una 'soluzione a metà'. Guardando indietro agli inizi del secolo XX, non si può non concordare con il giudizio espresso da Wolf su Papa Giovanni XXIII, come un ‘Amico di Israele’ postumo. Egli, infatti, ha di fatto accolto le richieste che gli Amici avevano rivolto a Pio XI ben cinquant’anni prima e che erano state ad un passo dall’essere ascoltate anche allora. Così, da una riforma della liturgia, dalla revisione del linguaggio liturgico, nata dalla coscienza della Shoah, prende il via la ridefinizione teologica e pastorale del rapporto tra la Chiesa cattolica ed Israele, inaugurata dalla Dichiarazione Nostra Aetate n. 4. 4. Una tensione non ancora risolta La preghiera viene riformulata da Paolo VI nel 1970. Rimossi tutti i termini offensivi per gli ebrei, si pone l'accento sul progresso nell'amore e nella fedeltà all'Alleanza, verso la pienezza della redenzione: "Preghiamo per gli ebrei: Il Signore Dio nostro, che li scelse primi fra tutti gli uomini ad accogliere la sua parola, li aiuti a progredire sempre nell'amore del suo nome e nella fedeltà alla sua alleanza. Dio onnipotente ed eterno, che hai fatto le tue promesse ad Abramo e alla sua discendenza, ascolta la preghiera della tua Chiesa, perché il popolo primogenito della tua alleanza possa giungere alla pienezza della redenzione"73. 71 2) Altera omissio est logica consequentia prioris mutationis. Adulti, qui bona fide per tot annos in propria religione vixerunt, christianam militia amplectentes aegre ferunt de paterna religione tam cruda verba sibi esse proferendo. Formulae illae, de cetero, non pertinent ad antiquissimum patrimonium ritus baptismi, nec peculiare habent momentum. Simplex ac pura omissio fuit optima solutio quaestionis" (Ephemerides Liturgicae 74 (1960) 133-134). 72 Nota confidenziale del 24 giugno 1964 (CRDE 15, 1963-67 e, in copia, Fondo Vitale CDEC, 15 - C, 'Chiesa ed Ebrei') 73 "Oremus et pro Iudaeis, ut, ad quos prius locutus est Dominus Deus noster, eis tribuat in sui nominis amore et in sui foederis fidelitate proficere. Omnipotens sempiterne Deus, qui promissiones tuas Abrahae eiusque semini contulisti, Ecclesiae tuae preces clementer exaudi, ut populus acquisitionis prioris ad redemptionis mereatur plenitudinem pervenire". (Missale Romanum ex decreto Sacrosancti Oecumenici Concilii Vaticani II instauratum, auctoritate […] promulgatum, Editio Typica tertia, Typis Polyglottis Vaticanis 2002). 17 Essa torna inaspettatamente di attualità nel luglio 2007, allorché Papa Benedetto XVI, col Motu Proprio "Summorum Pontificum", liberalizza l'uso del Messale del 196274 riammettendo - come rito straordinario - l'uso della vecchia preghiera che, anche se già non riporta più i termini 'perfidi/perfidia', fa ancora riferimento al velo sui cuori degli ebrei, alla loro cecità ed al loro vagare nelle tenebre: "Preghiamo anche per gli ebrei, affinché il Signore Dio nostro tolga il velo dai loro cuori ed essi pure, con noi, riconoscano Gesù Cristo nostro Signore. Dio onnipotente ed eterno, che non rigetti nella tua misericordia neppure gli ebrei, esaudisci le preghiere che ti rivolgiamo per questo popolo accecato perché, riconoscendo la luce della tua verità, che è Cristo, sia strappato dalle sue tenebre"75. La misura, adottata per facilitare agli scismatici lefebriani (fedeli alla celebrazione liturgica nella forma del vecchio Messale) il ritorno nel seno della Chiesa cattolica, ha suscitato un'ondata di proteste sia da parte ebraica che da parte dei cristiani impegnati nel dialogo ebraico-cristiano76. Dopo mesi di polemiche, anche aspre, in cui si è auspicata la sostituzione della vecchia preghiera con quella del 1970, il 4 febbraio 2008 la Segreteria di Stato pubblica con una Nota un ulteriore riadattamento del testo, un compromesso tra la considerazione per la sensibilità ebraica, da una parte, e quella per gli scismatici lefebriani, dall'altra: “Preghiamo per gli Ebrei. Il Signore Dio Nostro illumini i loro cuori perché riconoscano Gesù Cristo Salvatore di tutti gli uomini. Dio Onnipotente ed eterno, Tu che vuoi che tutti gli uomini si salvino e giungano alla conoscenza della verità, concedi propizio che, entrando la pienezza dei popoli nella tua Chiesa, tutto Israele sia salvo”. Torna la preghiera per la 'illuminazione' e per una 'conversione' da comprendersi, però, in prospettiva escatologica77. Pare però anche evidente il ritorno ad una tensione teologica di fondo, espressa nella coesistenza - nell'ambito della liturgia cattolica - delle due formulazioni, quella del 1970 e quella del 2008, sostanzialmente diverse78. Mettendo da parte giudizi di opportunità che solo con il tempo potranno adeguatamente essere emessi, non si può evitare di richiamare l'attenzione sulla saggezza delle motivazioni di coloro che hanno lavorato con tanta energia per riformare una preghiera così controversa ed evocatrice di tante dolorose memorie. Già nel lontano 1928 gli Amici di Israele (pur se con intenti apertamente conversionistici) affermavano che per inaugurare una vera pace con il popolo ebraico si dovesse iniziare con l'evitare di offenderlo. Ancora più fortemente, Joseph Löw, parlando alla Settimana teologica del 1953, ammoniva: "se si prega per gli ebrei, che non si inizi con l'insultarli" e mons. Annibale Bugnini, nella comunicazione delle Variazioni alle preghiere solenni del Venerdì Santo sulle pagine dell'Osservatore Romano del 19 marzo 1965, esprimeva la difficoltà, anche affettiva, di dover "ritoccare dei testi tanto venerabili che nel corso dei secoli hanno alimentato la pietà cristiana con tanta efficacia… non è facile ritoccare dei capolavori letterari la cui forma ed espressione possono difficilmente essere superate". Ma rilanciava, con convinzione, 74 Una riedizione del Messale di san Pio V con alcune variazioni apportate da Giovanni XXIII, cf. A. Melloni, "Et pro Iudæis…", 135. 75 "Oremus et pro Iudeis: ut Deus et Dominus noster auferat velamen de cordibus eorum; ut et ipsi agnoscant Iesum Christum Dominum nostrum. Omnipotens sempiterne Deus, qui Iudaeos etiam a tua misericordia non repellis; exaudi preces nostras, quas pro illius populi obcaecatione deferimus; ut, agnita veritatis tuae luce, quae Christus est, a suis tenebris eruantur" (Missale Romanum ex decreto SS. Concilii tridentinis restitutum summorum pontificum cura recognitum, editio typica 1962. Edizione anastatica e introduzione a cura di Manlio Sodi ed Alessandro Toniolo, Monumenta Liturgica Piana, 1, LEV, Città del Vaticano, 2007). 76 Per maggiori rilievi sulla questione, si rimanda alla sezione conclusiva del contributo di Wolf, “II. Perfidi giudei? …”, 128133 ed al recente lavoro di A. Melloni, "Et pro Iudæis. Il discusso oremus di Benedetto XVI", Concilium, 2 (2009) 133-146. 77 "Oremus et pro Iudaeis: ut Deus et Dominus noster illuminet corda eorum, ut agnoscant Iesum Christum salvatorem omnium hominum.. Omnipotens sempiterne Deus, qui vis ut omnes homines salvi fiant et ad agnitionem veritatis veniant, concede propitius, ut plenitudine gentium in Ecclesiam Tuam intrante omnis Israel salvus fiat". La prospettiva escatologica, già chiarita dal card. Walter Kasper in un articolo pubblicato sull'Osservatore Romano del 10 aprile 2008 ("Il cardinale Kasper e la missione verso gli ebrei"; testo reperibile in internet: http://www.zenit.org/article-14018?l=italian) è ribadita dal Segretario di Stato Tarcisio Bertone il 14 maggio 2008, in risposta ad una richiesta di chiarificazione da parte del rabbino Oded Wiener, direttore generale del Rabbinato di Israele, in questi termini: "come il cardinal Kasper spiega chiaramente, il nuovo Oremus et pro Judaeis non intende promuovere alcun proselitismo verso gli ebrei ed apre ad una prospettiva escatologica. I cristiani, ad ogni modo, non possono non testimoniare la loro fede, nel pieno e totale rispetto dell'altrui libertà, il che li porta anche a pregare che tutti riconoscano Cristo" ("Letter of Card. Tarcisio Bertone in Response to Concerns on the revised Good Friday prayer", testo originale in inglese disponibile in internet su: http://www.sidic.org/it/docOnLineView.asp?class=Doc00604.) 78 H. Wolf, Il Papa e il diavolo, 133. 18 affermando che si trattava di una fatica che andava affrontata perché "la preghiera della Chiesa non fosse motivo di malessere spirituale per nessuno", nel richiamo al primato eccellente della carità. Una saggia attitudine, specialmente riguardo alla pubblica preghiera per 'gli altri'. O. P. 19 ABSTRACT L'articolo muove i passi dagli studi condotti sulla storia dell'abolizione della formula "perfidis Judaeis" dalla preghiera per gli ebrei del venerdì Santo. Questi studi hanno evidenziato la progressiva sensibilizzazione sulla questione avviata già nel corso dei primi anni del ventesimo secolo ed espressa nella nascita e nell'opera dell'associazione 'Pax super Israel', disciolta con decreto del Sant'Uffizio nel 1928. L'avvento della Seconda Guerra Mondiale con gli orrori della Shoah, ha ulteriormente portato alla ribalta la problematica. In particolare, oltre alla conosciuta opera dello storico Jules Isaac e di Jacques Maritain, che hanno sensibilizzato le chiese e le istituzioni internazionali sull'antisemitismo e l'antigiudaismo di matrice religiosa, si delinea l'azione discreta e sconosciuta di altri personaggi. Sulla scena appare anche una istituzione ebraica italiana, il Comitato Ricerche Deportati Ebrei (CRDE) che, nella persona del suo presidente, Massimo Adolfo Vitale, portò avanti una fitta e tenace corrispondenza con il Vaticano che contribuì, con circostanziata documentazione e solide motivazioni, alla decisione di papa Giovanni XXIII di abolire le formulazioni controverse dalla preghiera, il 17 marzo del 1959. Il presente lavoro, riporta alcune testimonianze di questa corrispondenza, arricchita da trascrizioni di colloqui, custodita nei fondi del CRDE di Roma e di Milano. The article starts from previous studies on the history of the abolition of the formula "perfidis Judaeis" from the text of the prayer for the Jews in the Good Friday liturgy. These studies pointed out the progressive awareness on the question, which began already in the early Twentieth century. Such awareness found its expression with the birth and the work of the association ‘Pax super Israel’, which was soon after broken up by the Sant’Uffizio in 1928. The coming of the Second World War with the abomination of the Shoah crimes, highlighted the problem more strongly. The work of people like Jules Isaac and Jacques Maritain came out, to awaken the churches and the main international organizations about the religious roots of anti‐Semitism and anti‐Judaism, as well as the more unknown efforts of other people. Among these, col. Massimo Adolfo Vitale, chair of a Jewish Italian institution, the Committee for the Search of the Deported Jews (CRDE), closely corresponded with the Vatican along two decades providing detailed documentation as well as strong motivations and contributed markedly, in fact, to the decision of pope John XXIII to remove the controversial formulas from the prayer, in March 17th 1959. This study reports on this correspondence, kept in the historical archives of the CRDE, in Rome and Milan, enriched with the transcription of some of the private meetings between col. Vitale and some Vatican officials, from 1945 till 1964.