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Giuseppe Clemente CERAMISTI A PISA NEL XVI SECOLO ATTRAVERSO LE FONTI STORICHE. NUOVI DATI PER LO STUDIO DELLA CERAMICA PISANA. produzione cittadina e la crescita delle esportazioni nel corso del XIV sec. si traducono anche nel progressivo aumento del numero dei ceramisti che giunge a superare le cinquanta unità attive contemporaneamente nell’ultimo quarto del secolo. Nel XV sec. si assiste, invece, dopo un picco assoluto di attestazioni, alla progressiva diminuzione del numero delle maestranze a causa della conquista fiorentina e dei forti dazi imposti alle merci, compresa la ceramica3. Da 66 ceramisti censiti all’inizio del secolo si passa a 18 alla fine dello stesso (fig. 1). Introduzione Grazie al più che trentennale lavoro di Liana Tongiorgi e Graziella Berti è stato possibile ricostruire la storia dei ceramisti pisani dal XIII al XV secolo1. Dalle fonti scritte emerge che in quest’arco cronologico i ceramisti attivi a Pisa sono stati 284 (26 nel XIII sec., 114 nel XIV sec., 144 nel XV sec.). Tra questi, i primi artigiani specializzati nell’arte ceramica vengono elencati solo a partire dal XIII sec. a seguito dell’inizio della fabbricazione della maiolica arcaica2. L’aumento della Fig. 1 - Ceramisti pisani attestati nelle fonti scritte dal XIII al XVI secolo divisi per quarto di secolo. 1 Si rimanda a CLEMENTE 2013 per una sintesi della bibliografia di riferimento. 2 3 165 BERTI, RENZI RIZZO 2000. TONGIORGI 1979, pp. 18-19. 2) ed un’alta concentrazione di artigiani intorno ai luoghi di estrazione dell’argilla nella cappella di S. Giovanni al Gatano e di S. Paolo a Ripa d’Arno (fig. 2, n. 1-2). Allo stesso modo un numero altrettanto consistente di ceramisti dimora a nord dell’Arno intorno all’area del Ponte Nuovo (ovvero tra le cappelle di S. Niccolò, S. Donato, S. Eufrasia, S. Iacopo degli Speronai e S. Giorgio: fig. 2, n. 7-12)11. Sempre a nord del fiume molti artigiani si trasferiscono anche nella cappella S. Pietro a Ischia (fig. 2, n. 14) mentre negli anni ’20 del Cinquecento, a causa dell’ampliamento della ‘Fortezza Nuova’, viene abbandonata la zona di S. Marco12 (fig. 2, n. 6). I ceramisti del XVI secolo Nel corso del Cinquecento i ceramisti citati nelle fonti sono 54 (fig. 1). Un numero non molto elevato se confrontato a quello dei periodi precedenti perché condizionato dallo stato ancora parziale delle ricerche e pertanto da ritenersi preliminare e suscettibile di futuri aggiornamenti. Si tratta per la maggior parte di artigiani residenti in città da una o più generazioni (in alcuni casi ceramisti discendenti da famiglie pisane attive già nella seconda metà del XV sec.4), mentre altri appartengono a nuclei familiari trasferitisi a Pisa nella prima metà del XVI secolo5. Operano, infatti, in città almeno 21 ceramisti (40% circa del totale) provenienti prevalentemente dall’area basso-valdarnese e in minor misura da altre zone della Toscana. In particolare, nove sono originari di S. Giovanni alla Vena6, 4 di Samminiatello7, 2 rispettivamente di Castelfiorentino e Montelupo8, gli altri di Noce (PI), S. Miniato, Lastra a Signa e dal Mugello9. La città torna così ad attrarre maestranze anche da altri centri produttivi invertendo una tendenza iniziata nel corso del XV sec. per la quale molti lavoratori del settore erano emigrati in altre aree della Toscana o fuori regione10. Le fonti documentano un’attività produttiva diffusa in tutto il centro cittadino (fig. Luoghi di produzione e approvvigionamento delle materie prime Al momento sono soltanto 5 le fornaci citate nei documenti. Due si trovavano in via della Sapienza di proprietà della famiglia Bitozzi13 (fig. 2, n. 13), un’altra definita da ‘stovigliaio’, appartenuta a Matteo di Giovanni Borghesi, era situata nella cappella di S. Paolo a Ripa d’Arno nei pressi della Porta a Mare (fig. 2, n. 2). Un’altra fornace, invece, dove si produceva maiorica si trovava presso l’odierna Piazza Mazzini (fig. 2, n. 15), mentre quella di proprietà di Bastiano di Antonio da Castelfiorentino era collocata in Via delle Conce nella cappella di San Silvestro, vici- 4 Famiglie Borghesi, Arrighetto, Berto, Lupo. 5 La famiglia di Bartolomeo da Samminiatello e la famiglia Payti o Paichi da San Giovanni alla Vena. 6 Alla già citata famiglia Payti di 6 elementi si aggiungono: Vincenzo di Ulivo Battaglia e Rinaldo di Jacopo Noncini e Antonio. 7 Alla già citata famiglia di Bartolomeo composta da tre elementi si unisce Clemente di Benedetto. 8 Matteo di Stefano Teti e Bastiano di Antonio da Castelfiorentino mentre Domenico e Francesco da Montelupo. 9 Michelangelo di Bartolomeo da Noce, Michele di Andrea da S. Miniato, Leonardo Bitozzi da Lastra a Signa e Maso di Niccolò dal Mugello. 10 TONGIORGI 1979, p. 19. I primi arrivi sono segnalati già nell’ultimo quarto del XV sec. ma si fanno più consistenti a partire dagli anni ’10 e ’20 del Cinquecento per poi aumentare significativamente alla metà del secolo. 11 CLEMENTE 2013, p. 35. 12 CLEMENTE 2013, p. 35. 13 ALBERTI, GIORGIO 2013, pp. 153-233. 166 Fig. 2 - Carta della distribuzione delle fornaci da ceramica (triangoli) e dei luoghi di residenza dei ceramisti (punti) a Pisa nel XVI secolo. cuni casi si fa riferimento a ‘cavi o cavati’ nelle cappelle di S. Marco e di S. Giovanni al Gatano e S. Michele degli Scalzi16. Intorno alla metà del XVI sec. viene vietata la raccolta dell’argilla ad un miglio dalle mura della città e dal centro urbano fino al mare17. Tale divieto causa un cambiamento dei bacini di approvvigionamento talvolta riscontrabile anche nei diversi impasti delle ceramiche18. Poche informazioni sono per ora disponibili sui combustibili utilizzati per cuocere le ceramiche. Forse veniva adoperata la paglia19 o molto più probabil- na alla Porta a Piagge (fig. 2, n.16)14. Nella documentazione c’è un ulteriore e frequente riferimento a fornaci, di non ben specificata tipologia, definite come ‘dirute’. In molti casi, forse, si tratta di strutture abbandonate nel corso del XV sec. a causa del calo della produzione, in altri ci si riferisce a fornaci distrutte durante l’assedio fiorentino15. Per quanto riguarda, invece, l’approvvigionamento dell’argilla è probabile che avvenisse lungo le sponde dell’Arno o nelle cave utilizzate precedentemente anche per la produzione di mattoni. In al- 14 CLEMENTE 2013, p. 36. 15 TONGIORGI 1979, p. 17. 16 CLEMENTE 2013, p.36. 17 BERTI 2005, p. 143. CLEMENTE 2013, p. 36. 18 CAPELLI 2013. 19 BERTI, RENZI RIZZO 1997, pp. 497-498. 167 ressante esaminare la terminologia utilizzata per denominare le varie maestranze perché può fornire informazioni anche sui prodotti realizzati e commercializzati. Rispetto al numero totale dei ceramisti, sono elencati 9 vasai, 21 broccai e 25 stovigliai, uno soltanto è definito maestro di maiolica. Totalmente in disuso appaiono i termini barattolaio, scodellaio e orciolaio. Le denominazioni maggiormente utilizzate sono, quindi, quelle di Vasaio (nelle accezioni di vasearius, vagellaio, vasellaio o vagellario), di Broccaio (nel latino broccarii) e di Stovigliaio (stovigliaius o stovigliarius, stovigliajo)24. Benché non vi sia una terminologia prevalente sembrerebbero riscontrarsi alcune differenze nell’arco cronologico analizzato. I termini vasaio e broccaio sembrano essere diffusi prevalentemente nella prima metà del secolo, quello di stovigliaio, invece, solo a partire seconda metà. Non si conoscono, al momento, compagnie e società di ceramisti. Caso unico al momento è quello del maestro maioricaro Cappucci che alla fine del XVI sec. è in ‘compagnia’ del pittore Giustino di Casteldurante che dipinge maioliche25. Questa è anche l’unica menzione finora conosciuta di artigiano/artista specializzato nella decorazione delle ceramiche ed è anche la prima citazione di persona chiamata in città per eseguire questa attività. Forse tale esempio è da considerarsi eccezionale nel panorama cittadino e andrebbe meglio collegato ad una mani- mente la legna da ardere. Intorno alla metà del secolo, infatti, viene vietato il taglio di qualsiasi arbusto in città e nelle aree limitrofe e sono diversi i casi di ceramisti multati per il taglio o per il trasporto di legna non autorizzato20. Nessuna notizia, invece, è stata rintracciata riguardo l’uso dei minerali per l’impermeabilizzazione dei manufatti e la produzione dei colori, pertanto è ipotizzabile che si sia mantenuto inalterato il sistema adottato precedentemente21. L’organizzazione del lavoro L’organizzazione produttiva all’interno delle fornaci doveva essere alquanto articolata e interessare molteplici lavoratori. In molti casi è stato possibile individuare diverse ‘imprese’ a conduzione familiare, alcune delle quali attive in città da più generazioni oppure trasferitesi a Pisa per impiantare una nuova attività. Generalmente la bottega viene tramandata di padre in figlio o al massimo viene ereditata dai parenti più prossimi. Ogni componente della famiglia svolge funzioni diverse ma complementari ed è per questo che i vari membri vengono definiti nei documenti con terminologie differenti22. Più significativo appare, invece, l’utilizzo dell’epiteto Maestro che serve a connotare il nome di un solo ceramista a famiglia e che potrebbe servire ad indicare il titolare dell’impresa o l’artigiano più anziano con una funzione apicale all’interno della bottega23. Da questo punto di vista è molto inte- 20 BERTI 2005, p. 143, CLEMENTE 2013, pp. 36-37. 21 BERTI, RENZI RIZZO 2000, p. 137. 22 È il caso dei Payti o Paichi in cui Luca il capo famiglia, insieme ai suoi figli Antonio e Giuliano sono indicati come broccai, mentre l’altro figlio Bastiano è stovigliaio, infine il nipote Giuseppe di Giuliano è indicato come vasaio. 23 Come maestri vengono indicati solo quattro ceramisti: Antonio di Bartolomeo Cappucci, Jacopo di Salino, Pagolo di Niccolò e Zaccaria di Francesco Arrighetti. 24 RENZI RIZZO 1997. In quest’articolo viene spiegata la derivazione, l’uso e la diffusione della terminologia nella documentazione storica pisana. 25 CLEMENTE 2013, p. 38, 40. 168 con alcune comunità religiose28. Probabilmente, come in precedenza, alcuni operatori erano soltanto rivenditori mentre altri come i Bitozzi erano sia produttori che rivenditori. Non sappiamo neppure se l’attività di rivendita fosse concentrata in uno specifico luogo della città o fosse ormai distribuita in più settori del tessuto urbano. Informazioni più esaustive in merito potranno arrivare con il proseguimento e l’approfondimento delle ricerche storico-archeologiche. fattura artistica granducale più che ad una piccola attività artigianale26. Per quanto riguarda, infine, la vendita e la circolazione dei prodotti, sappiamo dalla fonti come i manufatti pisani fossero venduti e circolassero diffusamente in Toscana e nel Mediterraneo27. Al momento non si conoscono le quantità esportate, né le modalità di vendita e i relativi prezzi. Poche informazioni riguardano il vasaio Matteo di Giovanni Borghesi che tra gli anni ‘30 e ‘40 commercia 26 BERTI 2005, p. 144. 27 BERTI 2005, pp. 145-178. 28 BERTI 2005, p. 142. BIBLIOGRAFIA ALBERTI A., GIORGIO M. 2013, Vasai e vasellame a Pisa tra Cinque e Seicento. 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