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Povegliano Veronese. Nuovi corredi celtici con armi Daniele Vitali, Nicola Bianca Fábry Abstract: he following paper presents a collection of metal and ceramic objects, certainly coming from burial contexts. hese findings, which have never been published, were discovered about thirty years ago, a few kilometers to the south of Povegliano Veronese (Corte Pignolà). Although their exact provenience is not sure, their discovery reveals the presence of a new site pertaining to the Cenomani, who lived in the Po plain to the south-east of Verona. hese objects can be compared to several grave goods coming from other necropoleis, of late La Tène age, which have already been edited. he huge amount of bronze vessels denotes the high social level of the community living in Corte Pignolà, which had used this cemetery between the end of the II and the beginning of the I centuries BC, while the weapons are related to the presence of warriors. Parole chiave: Celti, Cenomani, Veneto, necropoli, La Tène, armi, vasi in bronzo. Premessa A partire dagli anni Ottanta, le ricerche della Soprintendenza per i beni archeologici del Veneto nel territorio a sud e a sud-ovest di Verona hanno permesso di incrementare in quantità e qualità veramente notevoli il corpus di evidenze archeologiche relative alle fasi tardo-gallica e della prima romanizzazione. Le numerose pubblicazioni, le mostre e i convegni realizzati nel corso degli anni sottolineano l’importanza di tali scoperte 1. Nella pianura a sud di Verona, tra il Mincio, il Tartaro e l’Adige sono state constatate due aree relativamente compatte di evidenze funerarie di tipo tardo-lateniano 2: – la prima, ai piedi dell’aniteatro morenico del Garda, incentrata sulle necropoli di Povegliano Veronese 3, che si collegano a quelle di Valeggio sul Mincio e si spingono ino al territorio bresciano, con le vecchie scoperte di Remedello di Sotto e Ca’ di Marco di Fiesse 4; – la seconda concentrazione, più orientale e addossata al corso dell’Adige, vede le necropoli di Casalandri di Isola Rizza e i diversi nuclei di Santa Maria di Zevio 5 e oltre Adige, in direzione di Este, le scoperte di Gomoria, Megliadino S. Fidenzio e Arquà Petrarca 6. La documentazione raccolta ino ad ora in area cenomane è quasi esclusivamente di carattere funerario, costituita da alcuni sepolcreti molto cospicui, 1 Salzani 1985, 1995, 1996, 1998, 2004; De Marinis 1991, 1996; Bolla et alii 1993; Boube 1991; Castoldi, Feugère 1991; Feugère 1991; Les Celtes et le Nord de l’Italie 2014. 2 De Marinis 1997, p. 68, ig. 35. 3 Diverse località del comune di Povegliano Veronese: loc. Marinare; loc. S. Andrea; podere Crocetta; Ponte dei Mulinei; Madonna dell’Uva Secca/Ortaia; orto Novaglia; fondo Bertolaso. 4 Salzani 1995; Vannacci Lunazzi 1977; De Marinis 1997. Si vedano ora le novità di tipo lateniano nel territorio cremonese, tra Oglio, Adda e Po: Mete, Muscolino 2014. 5 Salzani 1996, 1998. 6 Vitali 1989, ig. 8; Voltolini 2012. da tombe isolate e da materiali sporadici, che sono indizi e residui di tombe distrutte. Rimangono ancora assenti e invisibili gli abitati, che necessariamente esistevano, in prossimità e in connessione con le diverse aree funerarie; la diicoltà di identiicarne le strutture deriva soprattutto dalla natura deperibile dei materiali che costituirono gli alzati degli ediici e delle aree accessorie. L’architettura di legno e terra già osservata da Polibio per i territori celtici cisalpini 7 – all’incirca nel periodo cui risalgono le necropoli sopra ricordate – non lascia le tracce archeologiche degli ediici in pietra o in laterizio, ben più permanenti e percepibili. Gli interventi dell’uomo nelle campagne e le secolari vicende idrogeologiche hanno confuso, asportato o cancellato anche i depositi più cospicui formatisi nel corso della vita o dopo l’abbandono di tali architetture. Le evidenze negative di buche per palo o di trincee di fondazione, che talora si osservano – come ad esempio nei recenti e ancora inediti scavi di Ortaia/Povegliano Veronese – sono le parti profonde di elementi strutturali residui, purtroppo non più correlabili con suoli o con piani d’uso, manomessi dai lavori agricoli o da altri fattori 8. Le facies di tipo lateniano della maggioranza di queste realtà funerarie rispecchiano la cultura dei Galli Cenomani, che tra l’Oglio, il Po e l’Adige, o rimase inalterata ed omogenea sulla lunga durata o, al contrario, integrò elementi nuovi e soprattutto di cultura romana. Le evidenze di questo secondo tipo costituiscono i documenti fondamentali per analizzare e capire i processi di acculturazione dei 7 A proposito del termine di Polibio “kataskeué” (in Pol. II, 17, 10) si veda Peyre 1992, p. 37. Priva di qualsiasi base scientiica (e documentaria) è la “ricostruzione ideale di un villaggio” cenomane che correda l’articolo di Kruta 2007, p. 67. 8 Un altro tipo di evidenza archeologica è dato da tesoretti monetali, come quelli di Nogarole Rocca o di Valeggio, che sarebbero piuttosto da collegare a pratiche cultuali o di natura politico-ideologica. 170 STUDI ig. 1 – Siti con evidenze tardo-lateniane nel territorio a sud-ovest di Verona. Transpadani – e dei Cenomani in particolare – ad opera dell’espansionismo romano 9. Le fonti antiche riconoscono a tali popolazioni galliche due centri importanti: Brixia, deinita caput gentis 10 e Verona, il cui nome non è accompagnato da ulteriori speciicazioni 11. Per il rapporto di collaborazione e di solidarietà con Roma la situazione e le condizioni dei Cenomani rispetto agli altri gruppi celtici della Cisalpina furono molto particolari e privilegiate. L’attitudine iloromana delle loro élites, essenziale (assieme a quella dei Veneti) nelle vicende militari che impegnarono i consoli del III e degli inizi del II secolo a.C., favorì anche la realizzazione della via Postumia (148 a.C.) la quale, unendo Genova con Aquileia, tagliava da sud-ovest a nordest la Transpadana cenomane. Nel generale positivo clima politico-militare ed economico, l’incremento e l’estensione del territorio di questi Galli ino all’Adige furono una conseguenza quasi naturale 12. Le nuove evidenze archeologiche Il recupero, del tutto fortuito, di tre piccole casse da frutta contenenti frammenti di armi e di utensili 9 Un fenomeno che così è stato sintetizzato da R. De Marinis: «la romanizzazione della Transpadana fu prevalentemente un fenomeno politico e culturale ma non demograico o etnico» (De Marinis 1986, p. 134). 10 Liv. XXXII, 30. Secondo un’ottica romana di tipo urbano o secondo una realtà politico-culturale cenomane? Vitali 1996. 11 Pol. II, 17; Diod. XXIX, 14; Liv. V, 35; XXI, 55 ss.; Strabo V, 1. 12 La distribuzione e l’arco cronologico delle evidenze archeologiche mostrano che questo territorio cenomane così vasto fu il risultato di un’estensione progressiva verso est, ino al corso dell’Adige. L’entità e la capillarità delle scoperte di età più recente (II e I secolo a.C.) rispetto alle scoperte più rarefatte di epoca più antica (IV e III secolo a.C.) evidenziano questa dinamica. Per un bilancio generale circostanziato e tuttora valido, si veda De Marinis 1986 e 1997. di ferro, di vasellame ceramico e un certo numero di frammenti di vasi e di instrumentum in lamina di bronzo, consente di segnare un nuovo sito di interesse archeologico nel territorio a sud-ovest di Verona (ig. 1). Il gruppo di materiali è stato scoperto nella cantina del signor Giuseppe Scarazzato, fattore del barone Balladoro, nell’ala nord della Villa omonima a Povegliano Veronese. È molto probabile che esso sia il frutto di una o di più scoperte avvenute trenta o quaranta anni fa, nel corso di lavori agricoli o di livellamento dei terreni a Corte Pignolà, a 3 km in linea d’aria a sud della necropoli gallica di Ortaia 13. La mancanza di riferimenti topograici più puntuali, non consente di localizzare sul terreno il punto di rinvenimento dei materiali e, ancora meno, di capire la situazione delle originarie associazioni, che furono selettivamente e solo in parte recuperate dagli anonimi scopritori. In questa sede ci limitiamo a presentare il catalogo degli oggetti, richiamando nella conclusione in modo sommario gli elementi di collegamento tipo-cronologico con altre evidenze più strutturate del territorio. I materiali Vasellame ceramico 1 – Brocca di impasto grigio scuro con chiazze rossicce, incompleta e fratturata; orlo appiattito, labbro svasato con una leggera insellatura a V all’opposto dell’ansa, che dà luogo a un piccolo becco; corpo globulare schiacciato, fondo piano; ansa verticale a nastro, impostata sull’orlo e sul corpo. Decorazione a unghiate abbastanza regolari su sei-sette ile, dalla spalla al fondo; leggere unghiate anche sullo spessore dell’ansa. Alt. 9,3 cm; diam. orlo 12 cm. Inv. VR 92675 (ig. 2.1). 2 – Vaso a trottola, in argilla depurata rosso-arancio, sabbiosa con inissimi inclusi micacei; ingobbio bruno marrone su tutta la supericie esterna; labbro a sezione ovoidale, collo breve troncoconico con risega interna per l’alloggiamento del tappo; del corpo, non conservato, resta la base a proilo convesso con piede a basso anello proilato. Alt. 2,5 cm; diam. max. orlo 3,3 cm; diam. max. piede 8,4 cm; alt. max. 2,3 cm. Inv. VR 92676 (ig. 2.2). 3 – Ciotola a vernice nera, con vernice bruna poco coprente; argilla di colore ocra, compatta; numerose zone 13 Le tre cassette sono state individuate da un componente dell’Associazione Balladoro nel corso del riordino dei locali della Villa avvenuto dopo il decesso del fattore. La scoperta è stata segnalata alla Soprintendenza per i beni archeologici del Veneto – Nucleo operativo di Verona, in data 03.07.2014, da parte di G. Squaranti, Presidente dell’Associazione Balladoro. Un’indicazione a matita («Pignolà») scritta su un foglietto di carta gialla inserito nel corpo della brocca tipo Gallarate porta a identiicare in Corte Pignolà l’area della scoperta o del recupero che probabilmente avvennero negli anni Ottanta. Desideriamo ringraziare G. de Zuccato per avere accolto la nostra proposta di pubblicare questa notizia. I disegni sono degli autori. NAVe 2/2013. NOTIZIE DI ARCHEOLOGIA DEL VENETO 171 di distacco della vernice, disco di impilamento al centro; lacunosa di gran parte della vasca; orlo arrotondato e assottigliato, vasca troncoconica profonda con bassa carena, piede ad anello troncoconico cavo. Alt. 6,4 cm; diam. max. ric. 16 cm; diam. piede 6,2 cm. Inv. VR 92677 (ig. 2.3). 4 – Ciotola acroma, lacunosa della parte superiore, in argilla depurata colore nocciola, friabile; piede ad anello troncoconico cavo, modanato, con ombelico al centro. Dimensioni del frammento: 8×5 cm; diam. piede 7,4 cm. Inv. VR 92678 (ig. 2.4). 5 – Vaso a pisside, di pasta depurata di colore arancio; manca la parte superiore; corpo a rocchetto con parete a proilo molto rientrante; piede arrotondato inferiormente cavo. Dimensioni: alt. 3 cm; diam. max. 8,2 cm. Inv. VR 92681 (ig. 2.5). 6 – Patera di argilla depurata friabile di colore arancio; orlo arrotondato, labbro a tesa curvilinea, vasca a proilo convesso, con accenno di carena. Manca la parte inferiore. Dimensioni: alt. 2,8 cm; diam. max. orlo 20,3 cm. Inv. VR 92679 (ig. 2.6). 7 – Ciotola di pasta depurata di colore grigio-bruno; manca la parte superiore; vasca a proilo convesso, molto aperta, piede ad anello proilato. Dimensioni: alt. 3,4 cm; diam. piede 7,1 cm. Inv. VR 92680 (ig. 2.7). Vasellame in bronzo 8 – Brocca di lamina bronzea, tipo Gallarate. Corpo biconico e ampio labbro a tesa svasata e superiormente concava; la parte inferiore del fondo, staccato, presenta segni concentrici di tornitura e tre aree di brasatura per l’attacco dei piedi, che mancano. Dell’ansa, non conservata, restano tracce della saldatura all’attacco inferiore, poco sopra la carena. Dimensioni: Alt. 12 cm; diam. max. 9,5 cm; diam. orlo 8 cm. Inv. VR 92682 (ig. 3.8). 9 – Piccolo mestolo di bronzo tipo Pescate, in due elementi: il manico è di bronzo fuso rettilineo e sagomato in segmenti piatti (a remo) e in segmenti circolari con nodi; il bacino è di lamina a corpo globulare con orlo svasato e gola sottostante. Nella gola si realizzava il issaggio del manico. Lacune nella parte inferiore del corpo e sull’orlo. Manca l’estremità del manico. Lungh. max. 18,5 cm; diam. orlo bacino 4,8 cm; alt. conservata 3,5 cm. Inv. VR 92684 (ig. 3.9). 10 – Mestolo di bronzo tipo Pescate. Il manico è distaccato dal corpo. Il corpo emisferico, con collo a gola e labbro svasato, è schiacciato e perforato. Due incisioni concentriche da tornio si trovano alla base di esso. Il manico è costituito da una verga rettilinea a largo nastro strozzato (a remo); esso è superiormente percorso da due solcature e termina in due elementi iliformi che dovevano stringere il collo del mestolo. Del manico manca la parte a bastoncello con minuscoli nodi a rilievo e l’estremità prossimale a remo. Corpo: alt. 8 cm; diam. max. 9×7 cm. Manico: lungh. max. 9,7 cm; con le estremità 19,4 cm. Inv. VR 92685 (ig. 3.10). 11 – Calotta emisferica di lamina bronzea a proilo convesso continuo con bordo rettilineo internamente interessato da una incrostazione continua di saldatura a stagno. Questa calotta era probabilmente unita e saldata a un altro elemento incastrato al suo interno. La parte inferiore è fig. 2 – Corte Pignolà: vasellame ceramico (scala 1:6). schiacciata e presenta una perforazione antica rettilinea, dovuta a un utensile tipo cuspide di lancia oppure ascia. Diam. max. 23 cm; prof. 8 cm. Inv. VR 92687 (ig. 3.11). 12 – Padella di bronzo tipo Montefortino, con ampio bacino a pareti leggermente ricurve e rientranti e orlo ispessito, piatto ed obliquo, aggettante all’esterno. Il fondo, leggermente concavo, è distaccato. Il manico rettilineo con bordi rialzati presenta un leggero spigolo longitudinale nella parte superiore e una linea concava nella parte inferiore; esso termina con una dilatazione trapezoidale e un’appendice allungata ornitomorfa. Quest’ultima ha subito una deformazione ed è rivolta verso l’alto. Dimensioni: lungh. max. 45 cm; diam. orlo bacino 23 cm; prof. 6 cm; lungh. ansa 19,5 cm. Inv. VR 92686 (ig. 3.12). 13 – Ansa semicircolare di situla di lamina bronzea, con verga massiccia a sezione quadrangolare, con attacchi ripiegati verso l’alto. Uno con estremità ingrossata l’altro lacunoso. Si tratta di un’ansa mobile di situla, la quale non entrò a fare parte del gruppo di materiali recuperati. Diam. base 24,5 cm; spessore verga 0,9×0,7 cm. Inv. VR 92688 (ig. 3.13). 14– Borraccia (cd. iasca da pellegrino) di lamina bronzea con corpo costituito da due calotte distinte, separate tra loro, che presentano abbondanti lacune. Le due calotte hanno un orlo diritto, preceduto da una cordonatura, creato per ottenere l’incastro dell’una nell’altra; sul bordo interno di una delle due calotte vi sono tracce della saldatura che le teneva unite e rendeva stagno il contenitore. Alla borraccia appartengono anche tre elementi di bronzo fuso: 172 STUDI ig. 4 – Corte Pignolà: borraccia di bronzo (scala 1:6). ig. 3 – Corte Pignolà: instrumentum e vasellame in bronzo (8-11, scala 1:3; 12-13, scala 1:4). il beccuccio con breve collo svasato e due elementi trilobati alla base, diametralmente opposti, uno dei quali deformato, creati per aderire alla parte superiore della borraccia; due elementi allungati con asola rettangolare a una estremità, originariamente saldati lungo il diametro massimo della borraccia e posizionati ai lati ed alla stessa distanza dal beccuccio. Di questi elementi di attacco, che servirono per issare una cinghia di sospensione della borraccia, non si vedono i punti di attacco sul diametro massimo. Dimensioni: beccuccio: base 6 cm; diam. imboccatura 3 cm; attacchi lungh. 4,5 cm; asole lungh. 1,8×1,4 cm; calotte: diam. 21 cm; profondità 3 cm. Inv. VR 92683 (ig. 4.14). Manufatti in ferro 15 – Lama di coltellaccio di ferro, deformata e incurvata in due punti nel senso longitudinale. Dorso ingrossato e piatto, lama appuntita, con estremità arricciata su se stessa; del codolo resta la parte iniziale con un foro per il passaggio di chiodi di issaggio a un manico. La supericie originaria della lama è perduta, ciò che resta è molto ossidato. Lungh. attuale 37,2 cm; originaria 39 cm; alt. max. lama 4,6 cm. Inv. VR 92689 (ig. 5.15). 16 – Lama di coltellaccio di ferro, ripiegata al centro e nuovamente ripiegata in direzione opposta, nel senso longitudinale. Dorso ingrossato e piatto, lama appuntita; del codolo resta il tratto iniziale con traccia di un chiodo ancora in posto. Lungh. max. 38 cm; lungh. originaria 42,5 cm; alt. max. lama 5,4 cm. Inv. VR 92690 (ig. 5.16). 17 – Spiedo di verga massiccia a sezione quadrata, testa semicircolare schiacciata e forata, privo dell’estremità distale. Lungh. 24,5 cm; diam. testa 2,7 cm. Inv. VR 92692 (ig. 5.17). 18 – Spiedo di verga massiccia a sezione quadrata, rastremato verso la punta, con testa semicircolare schiacciata e forata. L’estremità, che appare appuntita, potrebbe essere il risultato del riadattamento di uno spiedo che in origine era più lungo. Lungh. 42,5 cm; diam. testa 2,7 cm. Inv. VR 92691 (ig. 5.18). 19 – Cesoia di ferro, deformata nell’impugnatura, molto corrosa e con una lama distaccata; lama triangolare allungata, molla a verga sottile e proilo superiore con nastro a U. Lungh. totale 21 cm; lama 14,2×2,5 cm. Inv. VR 92693 (ig. 5.19). Armi 20 – Lama di spada di ferro, corrosa e priva della metà distale. Codolo rettilineo a sezione rettangolare; la lama presenta una lieve costolatura ed è incurvata su se stessa. Lungh. max. 39 cm; largh. max. 5,2 cm; codolo 8 cm. Inv. VR 92694 (ig. 6.20). 21 – Lama di spada di ferro, corrosa e priva della metà distale. I lati taglienti della lama sono tra loro paralleli; il codolo rettilineo ha sezione romboidale e termina all’estremità superiore con una ribaditura che blocca un anello per NAVe 2/2013. NOTIZIE DI ARCHEOLOGIA DEL VENETO 173 ig. 7 – Corte Pignolà: umbone di scudo e lance (scala 1:8). ig. 5 – Corte Pignolà: instrumentum in ferro (scala 1:8). ig. 6 – Corte Pignolà: lame di spada e frammenti di fodero (scala 1:8). il issaggio del manico; la lama presenta una costolatura non molto accentuata. Lungh. max. 66 cm; largh. max. 5,4 cm; codolo 16 cm. Inv. VR 92695 (ig. 6.21). 22 – Lama di spada di ferro, corrosa e priva della metà distale, incurvata circa a metà. I lati taglienti sono tra loro paralleli; il codolo rettilineo è massiccio, assume una forma trapezoidale e presenta una sezione rettangolare che si assottiglia ino all’estremità; la lama ha una nervatura non molto accentuata. Nel punto di contatto tra lama e manico si conserva la guardia di ferro a forma di cappello di gendarme, stretta e relativamente alta. Allo stato attuale, nella parte superiore della lama non si notano marchi o punzonature. Lungh. max. 52 cm; largh. max. 5,6 cm; codolo 13,5 cm. Inv. VR 92696 (ig. 6.22). 23 – Fodero di lamina di ferro fortemente lacunoso; in tre frammenti non combacianti. Si conserva la parte prossimale della placca posteriore, il cui proilo superiore segue perfettamente il disegno della guardia della lama precedente (n. 22). L’elemento massiccio col ponticello per la sospensione al cinturone è issato alla placca del fodero per mezzo di due rivetti. Mancando la placca frontale non possiamo dire quale sia stata la soluzione di chiusura dei due rivetti frontali. Il vero e proprio ponticello è solidale e tutt’uno con l’elemento orizzontale di rinforzo, nella versione a T. Il passante è rettangolare schiacciato con le linguette di issaggio cordiformi. Lungh. frammenti: 12 cm; 10 cm; 19 cm; 10,5 cm. Inv. VR 92697 (ig. 6.23). 24 – Fodero di lamina di ferro del quale si conserva l’estremità distale con un frammento del puntale massiccio a proilo semicircolare rastremato alle estremità che proseguivano con una gouttière rettilinea, che si conserva solo su un lato; due piccoli frammenti delle placche frontale e posteriore sono incastrate nella gola interna del puntale. Lungh. 10,5 cm; largh. max. 4,2 cm. Inv. VR 92702 (ig. 6.24). 25 – Umbone di scudo ad alette rettangolari coi lati leggermente aperti ad ali di farfalla; angoli acuti; l’umbone è assai deformato, asimmetrico e disassato. Resta un grande chiodo con capocchia emisferica e lungo gambo piegato a Elle e ulteriormente ripiegato in punta, nella lamina dell’aletta. Su ciascuna delle due alette sono presenti altri due fori di issaggio alla piastra dello scudo, probabilmente chiodi di riparazione. I due bordi del guscio a botticella sono martellati e riiniti con una solcatura. Lungh. max. 27 cm; largh. max. 13,5 cm; guscio 13×7,5/10 cm; prof. 6 cm. Inv. VR 92698 (ig. 7.25). 26 – Cuspide di lancia con iamma stretta e allungata, con costolatura; immanicatura a cannone, che conserva legno mineralizzato. Lacune sulla supericie, lungo i bordi e nel cannone. Lungh. max. 32 cm; largh. max. lama 3,2 cm. Inv. VR 92699 (ig. 7.26). 27 – Cuspide di lancia con iamma larga alla base, con costolatura longitudinale piuttosto alta; è lacunosa nella parte superiore che probabilmente proseguiva più stretta ino al termine. Immanicatura a cannone larga, lacunosa. Lacune generalizzate. Lungh. max. 19,5 cm; largh. max. lama 4,2 cm (in origine 5 cm). Inv. VR 92700 (ig. 7.27). 174 STUDI Considerazioni generali Il complesso di materiali qui presentato costituisce un documento rilevante del popolamento di età tardo gallica nel territorio tra Verona e Mantova e contribuisce a ridurre le discontinuità che ancora esistono tra queste due aree. Non essendovi informazioni più dettagliate relative alla scoperta, non possiamo dire nulla sulle caratteristiche della tomba o delle tombe che furono intercettate. L’alto numero dei vasi di bronzo e la varietà delle loro forme richiama la tomba n. 7 della necropoli veronese di Santa Maria di Zevio-Lazisetta 14, il corredo della tomba n. 4 di Valeggio sul Mincio 15 o quello della tomba 225 della necropoli di Povegliano-Ortaia 16. Tuttavia, in queste eccezionali deposizioni non vi è mai la totalità delle forme che sono state recuperate a Corte Pignolà: la situla della quale si è raccolto solo il manico, la padella, i due mestoli, la brocca, la iasca da pellegrino e un altro vaso di forma non canonica. Questa ridondanza di esemplari dà peso all’ipotesi di una tomba eccezionale (come quella più antica di Castiglione delle Stiviere) oppure a quella di una pluralità di deposizioni e quindi a una necropoli. Il numero di lame di spada e di foderi, che rimandano ad almeno tre corredi di guerriero, non è un elemento suiciente per sostenere l’una o l’altra delle due ipotesi. Ad Ortaia di Povegliano Veronese, si hanno infatti alcune tombe eccezionali, ancora inedite (oppure edite come la t. 225 già citata) che contengono più panoplie per più individui dei quali si hanno i corrispondenti resti incinerati. Una parte signiicativa del deposito funebre presenta anche qualche utensile per il banchetto: i coltelli per tagliare le carni e due spiedi incompleti. La presenza di una cesoia si concilia con quanto si riscontra in altri corredi cenomani. Così come le lame di spada ed i foderi, anche i coltellacci e le cesoie hanno subito una manomissione intenzionale. Per quanto concerne gli elementi di cronologia, anche se il vasellame di bronzo costituisce una categoria di manufatti che per il suo valore intrinseco ha una durata temporale teoricamente più ampia di quella della sua data di produzione 17, il panorama individuato da forme come la brocca tipo Gallarate, il mestolo tipo Pescate, versione normale e piccola del Salzani 2004. Salzani 1995. 16 Bolla, Cavalieri Manasse, Salzani 1993. 17 Il vasellame di bronzo non viene necessariamente deposto in una tomba all’epoca della sua fabbricazione e i casi di residualità sono visibili in un certo numero si situazioni: tra gli esempi possibili si veda la tomba 46 della necropoli di Casalandri a Isola Rizza (Salzani 1998, pp. 91-93, igg. 7, 11, con 2 e 15a/b). 14 15 tipo A 18, la iasca da Pellegrino 19 orientano concordemente verso un orizzonte di II secolo a.C. (seconda metà-scorcio del secolo). La padella tipo Montefortino invece costituirebbe l’elemento più antico della serie dei nostri bronzi, come ha illustrato R. De Marinis a proposito della tomba aristocratica di Castiglione delle Stiviere 20. I corredi capisaldi che abbiamo già citato sopra possono essere invocati anche per inquadrare questo complesso tra la ine del LT C2 e il corso del LT D1: la tomba di Castiglione delle Stiviere, edita in modo esemplare da R. De Marinis, e le già ricordate tombe n. 4 di Valeggio Sul Mincio (datata al LT D1), n. 7 (a carro) della necropoli di S. Maria di Zevio-Lazisetta e n. 225 della stessa necropoli Ortaia di Povegliano Veronese. Anche la ceramica, della quale sono stati recuperati malamente solo alcuni esemplari, rientra senza diicoltà in questo medesimo arco cronologico ed appartiene al repertorio di ceramiche attestate in modo corrente nei corredi cenomani e più latamente transpadani dalla seconda metà del II secolo a.C. in poi. Si dovrà osservare la presenza di un vaso a trottola, che, per quanto lacunoso, è sicura; esso conferma un rituale di deposizione del vino meno difuso in area cenomane che in quella insubre 21, coerentemente con la facies, l’epoca e il territorio transpadano di questa fascia territoriale. La coppa a vernice nera di forma Lamboglia 28/Morel 2651 costituisce un’importazione mentre la pisside con ingobbio totalmente distaccato Castoldi, Feugère 1991, p. 64. La iasca da pellegrino della seconda età del ferro ha una difusione quasi esclusivamente transpadana (De Marinis 1997, pp. 148-153, ig. 23). Alla foggia sostanzialmente costante del corpo a due bacini uniti ad incastro per sovrapposizione dell’orlo di uno dei due su quello dell’altro, si contrappone la varietà delle anse ed anche delle placchette dell’imboccatura (vedi De Marinis 1997, ig. 24). All’esemplare più antico di Castiglione delle Stiviere (seconda metà del IV secolo a.C.), seguono esemplari analoghi a quelli di Corte Pignolà, datati al LT C2, e altri che continuano ad essere prodotti ino al LT D1 (De Marinis 1997, pp. 151-153, ig. 24). Da sottolineare l’osservazione di De Marinis, che in area cenomane «le iasche da pellegrino sembrano riservate alle tombe maschili dove fungono da contenitori per vino alla stregua dei vasi a trottola di ambito leponzio e insubre» (ibid. p. 153). Una iasca da Pellegrino si trova anche nella t. 32 di S. Maria di Zevio loc. Mirandola, unico esemplare di tale vasta necropoli (168 tombe) (Salzani 1996, p. 37, tav. XIII, D, 4a-c). 20 De Marinis 1997, pp. 138-146: secondo quarto/ine del III secolo a.C. La padella bronzea tipo Monterfortino rappresenta la foggia più antica tra quelle documentate in Cisalpina; datata nell’ambito del III secolo a.C. essa può essere ancora in uso nei decenni successivi, quando fanno la loro comparsa anche altri tipi: il “tipo Povegliano”, largamente difuso in epoca medio-La Tène (LTC2) e quello Aylesford/Eggers 130, che ebbe inizio dall’ultimo quarto del II secolo a.C. (LT D1) (ibid., pp. 141-143, ig. 20). Ma una padella è un terminus post quem. 21 Tizzoni 1991, p. 158, ig. 3. 18 19 NAVe 2/2013. NOTIZIE DI ARCHEOLOGIA DEL VENETO sembrerebbe un’imitazione locale delle fogge a vernice nera (Lamboglia 3). L’unico frammento superiore di fodero classiicabile con una certa precisione (n. 23) – probabilmente pertinente alla lama di spada n. 22 – conferma l’orizzonte ancora del LT Medio (LTC2) 22. Questo fodero è contemporaneo a un umbone di scudo trasversale, con alette rettangolari, come il n. 25, che in ambiente cenomane e taurisco tende a cedere il posto agli umboni tipo Mokronog-Arquà alla ine del LT C2 23. Queste nuove fogge di umboni, largamente presenti nelle necropoli cenomani, sono talvolta ancora in associazione con scudi che hanno umboni trasversali ad alette (vedi S. Maria di Zevio-Mirandola, t. 135); tuttavia, a partire dall’ultimo quarto del II secolo a.C. esse diventano esclusive ed assumono una grande difusione. Il frammento distale di un secondo fodero, con puntale massiccio (24) rimanda ai puntali del gruppo di Ludwigshafen, tipico del LTD1 24 e costituisce un elemento raro se non un unicum nel quadro delle necropoli cenomani. Si deve infine osservare che né elementi di parure come le ibule, normalmente presenti nei corredi cenomani, né monete igurano nel gruppo di oggetti trovati a Villa Balladoro. Malgrado l’assenza di tali signiicativi marcatori cronologici possiamo concludere che il complesso scoperto nelle cantine di Villa Balladoro è coerente con la facies cenomane delle necropoli della seconda metà-ultimi decenni del II-inizi del I secolo a.C. Il rito funerario adottato nella deposizione dei guerrieri tardo-cenomani è molto probabilmente l’incinerazione; il passaggio al rogo è documentato sull’umbone ad alette, e probabilmente anche dalla situla della quale si è recuperato unicamente il manico. La deformazione volontaria di molti materiali metallici corrisponde al rituale del sacriicio e della mutilazione che troviamo frequentemente nelle incinerazioni del territorio. A conclusione di questa breve nota, si osserva che varrebbe la pena di tentare l’individuazione sul terreno della scoperta di Corte Pignolà non solo per veriicare ciò che eventualmente ancora resta sul terreno ma anche per accertare la consistenza e le caratteristiche di ciò che eventualmente può essere ancora portato in luce. Lejars 2013, p. 93. Guštin 2002; Lejars 2014, p. 411. 24 Pernet 2010, pp. 88-94. Sul gruppo di Ludwigshafen si veda l’intervento di h. Lejars al colloquio di Ribemont sur Ancre (Lejars 1996, p. 158) e la nuova discussione con bilancio critico e rettiiche da parte di L. Pernet che fornisce una datazione tra l’estrema ine del LT C2 e il corso del LT D1 (Pernet 2010, p. 89-94, ig. 56). 22 23 175 Bibliografia Boube C. 1991, Les cruches, in La vaisselle tardo-républicaine en bronze, Actes de la table ronde CNRS, Lattes, 26-28 avril 1990, a cura di M. Feugère e Cl. Rolley, Dijon, pp. 23-45. Bolla M., Cavalieri Manasse G., Salzani L. 1993, Tomba 225. 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