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I paesaggi carsici nel Reggiano

Speleologia e geositi carsici in Emilia-Romagna I paesaggi carsici nel Reggiano Mauro Chiesi I gessi messiniani nella collina reggiana Nel territorio reggiano la Formazione dei Gessi messiniani si caratterizza in una assai sottile dorsale sviluppata in direzione appenninica NW-SE, con una serie di affioramenti gessosi discontinui disposti tra il torrente Campola e il torrente Tresinaro. L’attuale fisionomia paesaggistica, la rarefazione insediativa, la consistenza dei boschi è stata qui condizionata positivamente da diverse cause concomitanti: la proprietà agricola da sempre estesa su grandi superfici, la prevalente esposizione a nord dei terreni, il particolare substrato geologico e, non da ultimo, il governo territoriale quale grande riserva di caccia padronale. Incastonati in matrici fortemente argillose e complessivamente a giacitura verticalizzata, le bancate gessose raramente emergono dal profilo addolcito della pedecollina reggiana, tanto che è solamente in corrispondenza di importanti incisioni torrentizie, del Campola, Crostolo e del Lodola, che la presenza dei gessi può essere percepita a larga scala. Il Crostolo, a Vezzano, ha inciso e denudato il fianco dell’affioramento per un dislivello di 200 m. Nel Reggiano non esiste quindi una “linea dei gessi” paesaggisticamente distinguibile né dalla pianura, né tantomeno dalle soprastanti dorsali marnose. Tuttavia, con un attento sguardo, si percepisce nettamente che la copertura boschiva di queste aree segue un andamento congruente a quello di alcuni rilievi intracollinari, contribuendo in definitiva ad enfatizzarne la modesta altitudine. Sono i rilievi dei tre Monte del Gesso, uno per ognuno dei territori comunali di Vezzano sul Crostolo, Albinea e Scandiano che li includono. Solo quello di Albinea, il più alto, supera di poco i 400 m sul livello del mare. Altre incisioni torrentizie minori, il cui bacino prende origine dalla dorsale marnosa di Ca’ del Vento, isolano altri spuntoni gessosi ma sempre ad una quota inferiore rispetto ai rilievi e ai crinali circostanti, come nel caso della rupe del Castello di San Giovanni di Borzano (310 m) o di Ca’ del Gesso Castellone (303 m). È questa una fascia climaticamente felice, protetta alle spalle dai venti invernali e perennemente al di sopra della “linea delle nebbie”, che non subisce il fastidioso effetto dell’inversione termica al suolo che caratterizza gli inverni della sottostante pianura [1]. Grazie alla particolare aridità del terreno e alla esposizione dei versanti vi si sviluppano piante di orizzonti spiccatamente mediterranei (l’asparago selvatico) tra cui molte specie naturalizzatesi qui a seguito di introduzione antropica in epoca tardo-medievale (l’olivo) o più recente, a scopo ornamentale (il leccio). La colonizzazione protostorica delle aree collinari, con la diffusione dell’agricoltura e della pastorizia attraverso la deforestazione, ha certamente determinato profonde trasformazioni paesaggistiche e ambientali. Tuttavia si può 67 4 Paesaggi carsici assumere che queste si sono esplicate maggiormente al di fuori degli affioramenti gessosi, dove le sistemazioni agrarie sono sempre state costrette a fermarsi sia per l’acclività sia per l’estrema riduzione, se non la totale assenza, dei suoli. La copertura arborea si è conseguentemente conservata proprio in corrispondenza degli affioramenti gessosi, nascondendo per lo più le morfologie carsiche di superficie che la caratterizzano: doline e valli cieche di notevole ampiezza in raffronto all’estensione areale dei gessi. Una ulteriore azione di obliterazione delle forme carsiche superficiali si deve attribuire tuttora alla conduzione agricola, in particolare di quei versanti che sovrastano altimetricamente la linea dei gessi. Con la distruzione della storica sistemazione a “piantata”, viti maritate a tutori arborei vivi (in collina acero campestre), caratterizzante il paesaggio antropizzato per oltre cinque secoli e conservatasi qui sino agli anni ’70 del secolo scorso, da un lato si sono velocemente innescati processi di erosione e scivolamenti in massa del suolo dei campi lavorati meccanicamente, dall’altro lato si assiste viceversa al rapido espandersi della macchia arbustiva in quelle porzioni dove le macchine trovano difficoltà di manovra. Tra gli anni ‘30 e la fine del secolo scorso la superficie a piantata, anche nel cuore degli affioramenti gessosi messiniani del Reggiano, dove assommava a circa un terzo della superficie complessiva, è stata sostituita prevalentemente (70%) dal bosco e solo in parte da coltivi (seminativi in rotazione). Questo particolare tipo di sistemazione agraria consentiva la contemporanea coltivazione della vite con il prato stabile o piccole porzioni a seminativo, in ragione del variare dell’acclività dei versanti, conferendo grazie alla presenza degli alberi una maggiore resistenza agli scivolamenti e all’erosione del suolo [2]. Le principali aree di affioramento, nel territorio di Albinea, costituiscono così piccoli bacini endoreici dove la scorrimento idrico di superficie è limitato alle sole valli cieche, provenendo da versanti a copertura argillosa delle doline. Queste depressioni hanno quindi modesto sviluppo e regimi temporanei in dipendenza delle precipitazioni; spesso i loro inghiottitoi risultano occlusi dall’accumularsi di colate di fango. La valle cieca di maggiore estensione, afferente alla dolina delle Budrie, presenta un’asse maggiore di poco superiore ai 600 m. In ultima analisi, dunque, le macroforme di superficie che contraddistinguono il paesaggio carsico si limitano qui a doline, a volte allungate in valli cieche, per lo più coperte dal bosco di roverella. È solamente inoltrandosi a piedi dentro questa stretta fascia gessosa che, quasi d’incanto, si incontrano sprofondamenti e inghiottitoi, piccole sorgenti, ingressi di grotte inaspettatamente ampi: si percepisce l’esistenza di un paesaggio celato, profondo [3]. Tornandoci più volte, nel corso delle stagioni, sarà possibile avvertirne la vastità considerando la particolare potenza di alcune sorgenti temporanee. La stretta relazione esistente tra le fratturazioni tettoniche e la giacitura degli strati con lo sviluppo di un reticolo di drenaggio carsico è qui più che dimostrata: le grotte, inizialmente inghiottitoi con andamento sub-verticale, alimentano condotte di drenaggio carsico disposte parallelamente al rilievo della dorsale gessosa riuscendo così a svilupparsi in senso appenninico sino al livello di base, costituito dalle principali incisioni torrentizie laterali ai gessi. 68 [1] Sperone gessoso del Castello di Borzano (Albinea) che si erge al centro della vallata del torrente Lodola. foto Mauro Chiesi [2] Relitto di sistemazione a piantata dei versanti nella vallata a carsismo coperto del Rio Groppo (Albinea), definitivamente distrutto alla fine degli anni ‘90 del secolo scorso. foto Mauro Chiesi [3] Ingresso della Tana della Mussina di Borzano (Albinea), grotta di interesse paletnologico. foto Mauro Chiesi 4. I paesaggi carsici nel Reggiano 69 Paesaggi carsici La Valle fluvio-carsica del Secchia Al centro della zona di media montagna del territorio di Reggio Emilia si scopre una cosa assai semplice e, per questo, bellissima: una valle pressoché incontaminata. È l’ampia valle carsica percorsa dal fiume Secchia, incassata tra ripide pareti gessose intagliate a loro volta da rari ruscelli laterali. La morfologia valliva, poco a valle della stretta ed erta forra arenacea degli “Schiocchi” cambia repentinamente: i corsi d’acqua perdono velocità e pendenza depositando in ampi alvei enormi quantità di ghiaie in cui meandreggiano liberamente e, a volte, vengono completamente assorbiti. Il fiume si dispone in un greto largo fino a 500 m e la sua vallata, incassata tra ripide scarpate e vere e proprie pareti, alte fino a oltre 300 m, assume una singolare sezione ad U. Il fiume Secchia e più a monte il suo tributario di destra, il torrente Ozola, incidono per 15 chilometri una dorsale, disposta a quarto di cerchio e dai margini addolciti, che ostenta caratteri nettamente distinti dal paesaggio circostante. Nel complesso delle rocce affioranti, la percentuale di gesso saccaroide, in microcristalli, si può considerare attorno al 50% del totale. Questo determina un’altissima solubilità della dorsale e di conseguenza sono i fenomeni di dissoluzione carsica a predominare nel modellamento e nell’evoluzione del paesaggio, a grande come a piccola scala. Osservando quest’area dall’alto, in distanza, anche l’occhio meno esperto percepisce immediatamente il prevalere della naturalità sui segni impressi dall’uomo: i rari borghi vi si attestano rispettosamente ai margini senza affacciarsi su un profondo, e al contempo sproporzionatamente ampio, fondovalle [4]. Case sparse, paesi e vie di comunicazione hanno da sempre responsabilmente evitato questo tratto del corso del fiume, quasi che l’uomo non abbia mai osato spingersi a inseguirne il percorso: l’ha incrociato solo una volta, costruendo un ponte proprio nel punto esatto in cui le due rive sono più distanti. Il riposante paesaggio dell’Appennino, dominato dall’inconfondibile tavolato calcarenitico della Pietra di Bismantova, incorniciata a meridione dalla cavalcata di groppe e dorsali del crinale, in questo luogo presenta una profonda e ampia fenditura da cui sembra fuoriuscire plasticamente una materia che il fiume intaglia per tutta la sua lunghezza. I versanti argillosi che discendono dolcemente dai crinali meno erodibili, storicamente sfruttati per l’insediamento e la viabilità di valico, si trovano sbarrati, quasi sorretti, da una successione di dorsali boscate allineate e arrotondate alla sommità. Quando le incisioni dei piccoli corsi d’acqua affluenti nel Secchia li separano, si formano bizzarri cocuzzoli isolati da valli laterali profonde e ripide [5]. E, a ben guardare, è facile accorgersi che molti di questi ruscelli generati da modeste conche argillose, a contatto con questa particolare roccia, si nascondono rapidamente alla vista. Le acque fingono di smarrirsi nel sotterraneo, preferiscono aprire il mondo delle grotte, nascondersi per costruirsi tragitti che non sempre riusciremo a comprendere, per ricomparire più a valle “come se niente fosse” «[…] corsi d’acqua che penetrano all’interno delle bancate evaporitiche per ritornare, dopo un percorso più o meno esteso, nel proprio naturale alveo epigeo […]» (Fernando Malavolti, 1949). 70 [4] La “chiusura” strutturale della formazione evaporitica triassica con, a monte, la vallata di spianamento carsico del Secchia. foto Giovanni Bertolini [5] Coltivazioni a campi aperti “sbarrate” dalle dorsali boscate dei gessi triassici. foto Giovanni Bertolini 4. I paesaggi carsici nel Reggiano 71 Paesaggi carsici Da una di queste risorgenti nasce un brevissimo torrente salato di cui nulla si sapeva prima della visita di un eclettico musicista agli inizi del ’600: «[…] m’occorre primieramente che la strada che m’era stata significata per si aspra e cattiva, ho trovato bonissima, e senza qualsivoglia minimo cattivo passo; dove subito gionto, andai a visitar quella maravigliosa fonte, et origine, di dove scaturisce, quell’acqua abbondantissima salata, che con si gran vehemenza fà macinar quel Molino; quale più volte gustai, e trovai tanto salata che mi parve un miracolo; oltre che restai anco, più capace, che mediante tal così grande e continua abbondanza, faria correr’un fiume, e miracolo anco, per ciascun luogo dove era bagnata la terra da tal’acqua, vi si scorreva una specie di siffatta candidezza, che appariva, come coperta stata fosse da un bianco velo: la qual bianchezza volsi similmente gustare e la trovai non altrim.ti, ch’un denso, e schietto sale […]». Così scriveva Cosimo Bottegari al Duca di Modena, nel 1612, delle Fonti di Poiano (anticamente Fontana Salsa), la risorgente carsica più copiosa dell’Appennino settentrionale, con una portata media di oltre 450 l/s, che sgorgano all’estremo orientale della Formazione evaporitica gessoso-calcarea al piede di un suggestivo anfiteatro naturale. Come spesso avviene qui, una vasta frana del versante ha ricoperto caoticamente di massi le condotte carsiche, costringendo le acque a fuoriuscire con una certa pressione da più bocche disposte a ventaglio. Seppure la vallata sia stata percorsa nei secoli precedenti da illustri viaggiatori e studiosi, è singolare che lo scritto di Bottegari rappresenti la prima notizia storica disponibile di una tale evidente fonte [6]. Come è altrettanto singolare che la frequenza con cui è possibile incontrare doline, inghiottitoi, risorgenti e scaturigini di altre acque salse, anse ipogee e grandi cavità di crollo non possieda parimenti descrizioni, né leggende o qualsivoglia folklore locale. Qui solamente gli anziani sapranno indicare, comunque mai precisamente, la presenza di “tane”, un unico generico indicatore locale per qualunque apertura di grotta. E qui grotta è sinonimo comunque di pericolo, come tramandato dal racconto della tragica fine di due sventurati giovani cacciatori sepolti dal crollo di un “grotto” (così viene indicata una ripida parete) a seguito di un improvvido “sparo alla volpe”. Luoghi ostili all’uomo, destinati solamente, in un tempo ormai passato, alle castagne. Dunque tra questi “gessi” gli unici insediamenti “stabili” che si trovano sono soltanto avanzi, diroccati e irriconoscibili, dei metati per l’essiccazione e dei mulini per macinarle. L’impianto del castagneto, di origine medievale, è stato in definitiva l’unica grande opera di trasformazione del paesaggio delle dorsali evaporitiche, sino al limite della praticabilità dovuta alla pendenza dei versanti. L’impianto avveniva “per sostituzione” del bosco originario, attraverso il debbio. La Formazione evaporitica “delle Anidriti di Burano” è contraddistinta da un’alternanza di strati bianchissimi (anidrite e gesso secondario saccaroide) e neri (calcari magnesiaci). Qui, nel loro affioramento più settentrionale del- 72 4. I paesaggi carsici nel Reggiano [6] Una delle bocche principali delle Fonti di Poiano. foto Davide Valenti l’Appennino, gli strati si presentano straordinariamente piegati, spezzati, addirittura circonvoluti [7]. Avvicinandosi all’affioramento, la scala di osservazione si modifica; perdendo la percezione delle convoluzioni della stratificazione, si viene attratti dalle numerosissime piccole forme di dissoluzione semplice, con velocità di sviluppo di un ordine superiore a quelle sui calcari, che decorano finemente le rocce, sino al limite della percettibilità dell’occhio umano [8]. Forme, sculture arabescate o in altre parole “vuoti”, risultato del fenomeno della dissoluzione che su questa litologia evaporitica costituita da gesso, anidrite, dolomia, calcare, calcare magnesiaco e, solo in profondità, da salgemma, risulta particolarmente intensa. Merito della speleologia, con memorabili campagne di studio interdisciplinare a partire dall’immediato ultimo dopoguerra, è l’avere compiutamente documentato l’importanza naturalistica, l’interesse scientifico e, sopra ogni altra cosa, l’estrema bellezza paesaggistica di questi luoghi. La incredibile velocità di sviluppo di questi fenomeni carsici ha permesso, pur fra notevoli pericoli, di studiare e interpretare al meglio le dinamiche di sviluppo del drenaggio sotterraneo. Attraverso le grotte si accede a paesaggi inimmaginati: percorrendo le fenditure della massa rocciosa si può interpretare la peculiarità del paesaggio carsico, nelle sue tre dimensioni, confermando l’importanza delle fratture conseguenti, la tettonica dei geologi, quali ordinatori dello sviluppo contemporaneo delle morfologie di superficie (le vallate), e ipogee (le grotte). Attraverso l’analisi delle planimetrie di sviluppo delle grotte esplorate è possibile riconoscere due grandi famiglie di fratture entro le quali si sviluppano i sistemi carsici: le prime parallele all’asta del fiume Secchia, le altre ai suoi af- 73 Paesaggi carsici fluenti, in pratica quasi perpendicolari alle prime. Poiché si sviluppano sempre in prossimità del margine esterno della massa rocciosa, spesso vengono in luce come inghiottitoi dei corsi d’acqua o come risorgenti degli stessi. La possibilità di accedere alle “anse ipogee” dagli inghiottitoi è rara per la continua copertura alluvionale; solo in alcune valli laterali, dove l’acclività è maggiore e le forme di inghiottimento si verticalizzano, a volte è possibile entrarvi direttamente. Ma tale opportunità può essere di breve durata: a volte è sufficiente un forte temporale estivo a richiudere di ghiaia l’accesso; allora non resta che attendere che il sistema smaltisca da solo il “tappo”, come è avvenuto per il sistema carsico di Monte Caldina, la più profonda grotta mai esplorata in rocce evaporitiche, con un dislivello di 265 m e uno sviluppo di oltre 1000 m. A volte le fratture, allargate dal carsismo, si spingono talmente vicine all’esterno da venire alla luce nel fianco della montagna: si sono così formate grandi doline di crollo ma anche più modeste “finestre tettoniche” che permettono di accedere alle sottostanti anse ipogee. Il caso più spettacolare, il Tanone Grande della Gacciolina, permette di raggiungere il tratto sotterraneo del Rio di Sologno e di risalirlo per 500 m. Affluente di destra del Secchia, il Rio di Sologno origina la più estesa ansa ipogea conosciuta in questi affioramenti: inghiottitoio e risorgente distano quasi 4 km. Il torrente sotterraneo è perenne e può presentare una portata notevole (fino ad oltre 300 l/s) in stretta correlazione alle piene del Rio di Sologno, solo in parte attutite dallo spesso materasso di ghiaie che ricopre, occultandoli, gli inghiottitoi. La protezione e la conservazione della eccezionale naturalità di questo paesaggio, che preserva il massimo grado di biodiversità, di endemismi e rarità sia animali sia vegetali per unità di territorio dell’Emilia-Romagna, è la logica conseguenza degli sforzi di divulgazione e di documentazione profusi qui in ogni disciplina naturalistica. 74 [7] Porzione centrale della parete di Monte Rosso ripresa dall’alveo temporaneo del Rio di Sologno. foto Stefano Bergianti [8] Microforme di dissoluzione su massi gessosi recentemente precipitati al fondovalle. foto Mauro Chiesi 4. I paesaggi carsici nel Reggiano 75 Paesaggi carsici Riferimenti bibliografici AA.VV. (1988) - L’area carsica dell’Alta Val di Secchia. Grafiche Zanini, Bologna. Benassi E. & Serventi C. (a cura di) (2010) - Le colline di Albinea. Strenna del Pio Istituto Artigianelli XIX, 1, Reggio Emilia. Chiesi M. (a cura di) (2001) - L’area carsica di Borzano (Albinea - Reggio Emilia). Mem. Ist. Ital. Spel., s. II, 11, s.l. Chiesi M. & Forti P. (a cura di) (2009) - Il progetto Trias. Mem. Ist. Ital. Spel., s. II, 22, Litosei, Bologna. 76