Location via proxy:   [ UP ]  
[Report a bug]   [Manage cookies]                
1 Il concetto di tempo nelle Meditazioni cartesiane di Edmund Husserl di Nicola Zippel Mettere in rilievo l’importanza del concetto di tempo nelle Meditazioni cartesiane è di certo un’operazione inconsueta, dal momento che la questione della temporalità e del suo rapporto con la fenomenologia non rappresenta un tema specifico all’interno dell’opera. Il problema del tempo è stato oggetto di trattazione da parte di Husserl nelle Lezioni del 1905 e nelle relative aggiunte 1, dalle cui analisi emerge con chiarezza come la vita di coscienza sia strutturata secondo modalità eminentemente temporali; di tali analisi occorre senz’altro tenere conto anche in una ricerca che intenda considerare il ruolo svolto dalla dimensione del tempo nelle Meditazioni cartesiane. All’epoca delle Meditazioni, però, il pensiero di Husserl ha conseguito un grado di sviluppo e di consapevolezza notevole rispetto alle Vorlesungen, in primo luogo per quel che concerne il concetto cardine della fenomenologia, l’io nel suo essere coscienza intenzionale, il quale assume le forme di un’autentica soggettività trascendentale, fonte originaria di ogni costituzione di senso. Le Meditazioni, dunque, rappresentano il raggiungimento di una piena maturità da parte della filosofia husserliana e per questa ragione è importante vedere se e in quale misura il concetto di tempo abbia in esse una rilevanza particolare. Data l’intrinseca temporalità del soggetto, infatti, ad un’ulteriore e più approfondita elaborazione del concetto di soggettività fenomenologica dovrebbe corrispondere un’altrettanta profonda rivisitazione della nozione stessa di temporalità, che oltrepassi, e insieme conservi e arricchisca di significato, il pur importante concetto di tempo fenomenologico-immanente descritto sia nelle Lezioni sia, mantenuto sostanzialmente immutato, nelle Idee per una fenomenologia pura . Ampliandosi e consolidandosi lo spessore ontologico, oltre che teoretico, del soggetto, è possibile che possa parimenti emergere, ad un’attenta lettura di un’opera così importante nella storia della fenomenologia, un’inedita e interessante figura della temporalità. 1 E. Husserl, Zur Phänomenologie des Inneren Zeitbewusstseins: 1893-1917, in «Husserliana» X, M. Nijhoff, Den Haag 1966 (tr. it. Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, FrancoAngeli, Milano 1998). Il testo è stato curato ed edito nel 1928 da Martin Heidegger per quel che riguarda le lezioni del 1905 e le relative aggiunte; è stato ampliato per il resto dal curatore della «Husserliana», Rudolf Boehm. 2 Parallelamente all’elaborazione del concetto di soggettività trascendentale, il tempo, nell’ambito del discorso delle Meditazioni, acquisisce sempre maggiore solidità e importanza; nel descrivere l’intima articolazione dell’ego cogito, secondo la struttura noetico-noematica illustrata in Idee I, Husserl introduce nella Seconda Meditazione il concetto di sintesi e, in correlazione con esso, fa la sua comparsa, per la prima volta in forma rilevante nelle Meditazioni, la temporalità. La figura della sintesi emerge in correlazione alla duplicità strutturale della vita di coscienza, ossia al suo svolgersi secondo le due direzioni della noesi e del noema, le quali si presentano all’analisi come distinte e insieme parallele e convergenti; «il carattere bilaterale della ricerca della coscienza - scrive Husserl - è da determinare descrittivamente come una coesione inscindibile, la quale unifica i modi di connessione e una coscienza con un’altra; è il caso di una sintesi che appartiene esclusivamente in proprio alla coscienza» 2. La sintesi, pertanto, costituisce la forma specifica del vivere coscienziale egologico, sottesa al processo intenzionale articolato sui due livelli noeticonomeatici; grazie all’atto sintetico le datità parziali che si offrono di un oggetto confluiscono in una visione unitaria dello stesso, nella quale i singoli momenti dell’aspetto noetico giungono a concordare con quelli del lato noematico in un unico momento conoscitivo. L’attuazione della sintesi avviene secondo la modalità riflessiva, nella quale i molteplici atti intenzionali che si succedono nel processo continuo del vivere teoretico sono colti nella loro unità di fondo, senza di cui si avrebbe solo un caos di Erlebnisse disarticolati. «Così - spiega Husserl - ciascun cogito ha coscienza del suo cogitatum non in una vuota mancanza di distinzione ma in una struttura descrittiva di molteplicità appartenente alla ben determinata costruzione noetico-noematica che è essenzialmente propria di questo identico cogitatum (…) Questo qualcosa, l’oggetto intenzionale come tale di ciascuna coscienza, è consaputo come unità identica di mutevoli modi noetico-noematici di coscienza» 3, la quale unità gli è data, appunto, dalla proprietà sintetica connaturata all’ego cogito. Una volta scoperta questa proprietà fondamentale, «ci si aprono delle vere infinità di fatti che prima della fenomenologia non erano stati mai studiati, i quali possono essere designati come fatti della struttura sintetica; sono questi che danno l’unità noetico-noematica alle cogitationes singole (…) 2 E. Husserl, Cartesianische Meditationen und Pariser Vorträge, in «Husserliana» I, [cit. Hua I] M. Nijhoff, Den Haag 1963, p. 77 (tr. it., Meditazioni cartesiane con l’aggiunta dei Discorsi parigini [cit. MC], Bompiani, Milano 1997, p. 69). 3 Soltanto la chiarificazione del carattere proprio della sintesi rende fruttuosa l’indicazione del cogito, della coscienza intenzionale» 4. L’identificazione rappresenta la forma fondamentale dell’attività sintetica e si realizza nel flusso continuo della coscienza interna del tempo, dove ogni singolo vissuto si sviluppa nella propria temporalità; articolandosi secondo strutture temporali, comuni a ciascuna coscienza e a ciascun momento di coscienza, l’identificazione acquista «un dominio universale e procede passivamente» 5, poiché segue il corso naturale e spontaneo del formarsi temporale degli Erlebnisse. La forma temporale della coscienza, pertanto, determina un legame tra le cogitationes e le dota di un ordine definito, sul quale l’ego cogito applica la propria attività sintetica, mediante cui dà unità alle sue molteplici percezioni; il mondo insieme con le sue realtà particolari, ridotti a puri fenomeni di valore, sono contenuti nella coscienza in maniera irreale (irreell), come oggetti immanenti al vivere coscienziale colti e ordinati secondo una precisa struttura temporalesintetica. «Ogni coscienza - afferma Husserl - (per esempio ogni coscienza che noi possiamo avere d’una molteplicità, d’una relazione, ecc.) in cui qualcosa di non-identico viene consaputo come unità, anche in questo senso è sintesi, in quanto costituisce il suo cogitatum proprio (molteplicità, relazione) in modo sintetico (…) La sintesi non sta dunque solo in tutti i momenti singoli della vita di coscienza, e non si limita solo a unire il singolo; piuttosto - prosegue Husserl - tutto l’intero vivere della coscienza (…) è unificato sinteticamente»6. Il processo sintetico, dunque, si sviluppa attraversi i singoli Erlebnisse, i quali, a loro volta, vengono ricompresi – sinteticamente - nell’onnicomprensivo cogito universale; «tuttavia - precisa Husserl - il senso di questa fondazione non è quello di una costruzione nel tempo, quello di una successione o di una genesi temporale, giacché, piuttosto, ogni possibile Erlebnis singolo è solo un emergere alla coscienza totale, già sempre presupposta come unitaria» 7. La coscienza nella sua interezza è data a priori rispetto ai suoi singoli momenti, che ne costituiscono e alimentano il vivere, ma non per questo creano la coscienza stessa, bensì in essa si sviluppano in quanto la presuppongono come già data nella sua unità. Questa universale coscienza sintetica, che permea di sé l’eidos della soggettività trascendentale, rende 3 Hua I, p. 79 (MC , p. 70). Ibidem (MC, p. 71). 5 Ibidem (Ibidem). 6 Hua I, p. 80 (MC, p.72). 4 4 possibile ogni altra attività sintetica coscienziale e la sua «forma fondamentale (…) è l’onnicomprensiva coscienza interna del tempo. Il suo correlato è la stessa temporalità immanente, in conformità della quale tutti gli Erlebnisse dell’ego, riflessivamente reperibili, si debbono presentare come temporalmente ordinati, con un inizio e una fine nel tempo, contemporanei o successivi, ma sempre - ribadisce Husserl - entro l’orizzonte costantemente infinito del tempo immanente» 8. Poiché il tempo immanente si identifica con la temporalità fenomenologica, a sua volta presuppone l’universale coscienza interna del tempo, nella quale è da sempre e ogni volta di nuovo contenuto, secondo una sintesi continua e onnicomprensiva, che non è sintetica e quindi temporale, né è sintetica e temporale insieme, bensì è sintetica perché temporale, perché rappresenta l’attività primaria di una realtà - la coscienza - costituita essenzialmente secondo modalità temporali, ossia di una realtà temporale, che ha connaturati le forme e i modi della temporalità. Ed è proprio in quanto temporale che la coscienza risulta «già sempre presupposta», giacché il procedere sintetico le deriva naturalmente dal proprio vivere strutturato temporalmente. «La temporalità – scrive Paul Ricoeur - non è la coscienza immanente del tempo, ma il suo correlato; non è dunque la temporalità ma la coscienza di cui essa è il noema che Husserl chiama Grundform der Synthesis; così, il tempo è contemporaneamente una noesi ed una forma»; con estrema acutezza, Ricoeur rileva il sorgere di due problemi: «1) Come passare infatti, da questo o quel vissuto che scorre alla forma universale del vissuto, alla coscienza totale? 2) E, cosa può, infine, significare questa coscienza totale come forma di cui la temporalità sarebbe il correlato? E’ strano – prosegue nella sua considerazione Ricoeur - che una forma in quanto totalità possa avere un correlato (…) Ciò comporta una grossa difficoltà, lo stesso Husserl lo confessa, ma non vi insiste e cerca piuttosto di cogliervi un aspetto del meraviglioso della coscienza» 9. Lo studio del flusso temporale-sintetico in cui si articola la vita egologica mostra che ogni Erlebnis attuale implica in sé un orizzonte di potenzialità, non ancora effettuate ma «provviste del carattere di dover essere realizzate dall’io» 10. Nel caso di una percezione di un oggetto, l’ego si protende continuamente verso gli aspetti non ancora attualizzati 7 Hua I, p. 81 (Ibidem, corsivo mio). Ibidem (MC, pp. 72-73). 9 P. Ricoeur, Studio sulle Meditazioni Cartesiane di Husserl, in Studi di fenomenologia, Sortino Editore, Messina 1979, p. 265. 10 Hua I, p. 82 (MC, p. 73). 8 5 «ma solo anticipati nel modo dell’aspettazione» 11; in una seconda direzione, l’ego può altresì volgersi ai lati dell’oggetto già percepiti e ormai consaputi con il carattere di ‘passato’, al fine di ri-attualizzarli per mezzo della rimemorazione, poiché «ogni percezione possiede sempre un suo orizzonte di passato come potenzialità di suscitare atti di rimemorazione e questa ha ancora un orizzonte costituito dall’intenzionalità mediata e continua di possibili rimemorazioni (possibili perché le posso effettivamente realizzare) che alla fine mi riportano al mio attuale presente percettivo» 12. Husserl delinea qui schematicamente il complicato processo della coscienza del tempo già descritto con cura nelle Lezioni del 1905; nell’ambito delle Meditazioni, la spiegazione della struttura temporale ritenzione-percezione-protenzione chiarisce e rende visibile il significato dell’importante concetto di orizzonte dell’io penso, che Husserl aveva introdotto nella Prima Meditazione. Nel suo tendere-verso, nel suo essere coscienza-di, l’ego non limita il proprio carattere intenzionale ai vissuti attuali, ma estende il campo di esperienza trascendentale nelle duplici direzioni, temporali-sintetiche, del futuro e del passato, procurandosi in tal modo un orizzonte di esperienze possibili infinito, perché sempre di nuovo rinnovantesi in altri orizzonti dati nell’attesa e nel ricordo. Ogni Erlebnis attuale contiene in sé l’apertura verso questo orizzonte universale e gli orizzonti relativi: «questo lasciar-aperto (Offenlassen) - spiega Husserl - è già, prima ancora delle effettive determinazioni ulteriori che forse non avranno mai luogo, un momento contenuto nel relativo Erlebnis in se stesso, ed è appunto ciò che costituisce l’orizzonte»13. La coscienza esplode fuori (hinaus) di sé attraverso due livelli, connessi e interdipendenti: mediante il primo, essa si supera in quanto coscienza intenzionale, nel secondo, con un «più d’intenzione» (Mehrmeinung) oltrepassa, conservandone il senso oggettivo, l’intenzione originaria e si apre a nuovi atti, infiniti nella loro possibilità di effettuazione. 11 Ibidem (Ibidem). Ibidem (MC, p. 74). Fa notare acutamente Gérard Granel, come nelle Lezioni sul tempo si acquisisca una nozione fenomenologica della temporalità che si presenta quale il frutto di un'analisi operata nella riduzione e di conseguenza senza riferimenti a nessuna delle tre dimensioni «psicologiche» che, dopo Agostino, formano la cornice di tutte le riflessioni sul tempo: la percezione, l’attesa e il ricordo; «la question de la perception – aggiunge Granel – est celle où la Phénomenologie pense son rapport à la Philosophie, rapport dans lequel est en question la signification de la Phénomenologie», G. Granel, Le Sens du Temps et de la Perception chez E.Husserl, Editions Gallimard, Paris 1968, pp. 70-71. 13 Hua I, p. κ3 (Ibidem). «Io ho l’orizzonte come pro-getto [Vor-wurf] delle possibilità [del percepito], delle possibili validità e di quelle che recano in sé la validità dell’accordo», così scrive Husserl in uno dei numerosi e per molti versi illuminanti inediti raccolti in G. Brand, Welt, Ich und Zeit. Nach unveröffentlichen Manuskripten Edmund Husserls, M. Nijhoff, Den Haag 1955 (tr. it. Mondo, Io e Tempo. Nei manoscritti inediti di Husserl, Bompiani, Milano 1960, pp. 50-51, Manoscritto C 13 I, p. 23). 12 6 L’intendere-oltre-di-sé (Über-sich-hinaus-meinen) comporta per la coscienza il costituire il mondo come oggettualità immanente attraverso le fasi continue e ordinate del flusso temporale interno, operante per mezzo dell’attività sintetica. E’, questo, un operare trascendentale, che, movendo dal piano d’essere trascendentale della soggettività assoluta, conferisce senso e valore d’essere alla realtà mondana, al piano d’essere naturale (real). Come spiega Gérard Granel, l’intenzionalità significa che le cose non sono da comprendere alla stregua di «pezzi di essere» giustapposti dentro un mondo concepito come una totalità di oggettività; al contrario, l’atto intenzionale penetra nella totalità dell’«essente presente», di ciò che è «alla mano», attraverso gli orizzonti delle «co-datità», le quali non sono semplici aggiunte al già dato, bensì rappresentano le condizioni del suo esser-dato, della possibilità del suo esser-presente come dato. Gli orizzonti, a loro volta, hanno essi stessi un loro orizzonte da cui sono penetrati, l’orizzonte degli orizzonti: il Mondo 14. Costituendosi il mondo all’interno della vita coscienziale, scrive Husserl, se «considerato secondo una direzione pura immanente dello sguardo, esso è l’intera vita della coscienza nella sua temporalità immanente» 15. Il rapporto che intercorre fra il soggetto e il tempo si riflette inevitabilmente sulla concezione husserliana della ‘verità’. Tra il soggetto e la verità si sviluppa infatti un processo temporale-sintetico continuamente mutevole, che ha nella costituzione temporale originaria della coscienza la sua fonte; Husserl scopre il nesso essenziale che lega evidenza e temporalità, o, più precisamente, lega l’evidenza e il suo correlato, la verità, alla dimensione diveniente del tempo, facendo della verità non un in sé immutabile, ma un tendere continuo verso una sempre maggiore perfettibilità. «La fenomenologia - scrive Husserl in un inedito - tende alla verità, ma a una verità in costante movimento, essa anticipa il fatto che ogni verità raggiunta è relativa in un orizzonte possibile e sistematico, e che in tutte le direzioni pre-tracciate di compimento, ciò che è già attualmente realizzato è più compiuto, è la vera verità, in cui però è compresa, quale approssimazione, quale grado imperfetto, quella precedente» 16. Il filosofo vietnamita Tran-Duc-Thao, in un analisi esemplare del concetto husserliano di G. Granel, Le Sens du Temps…, op. cit., p. 25κ. Granel, con un’immagine suggestiva, parla di «noeuds d’onde du grand réseau qui rayonne du fond de l’infini, où le Monde en reculant suscite le sensible et le tire à soi», ibidem. 15 Hua I, p. 83 (MC, p. 80). 16 G. Brand, Mondo, io e tempo…, tr. it. cit., p. 109, Manoscritto K III 6, p. 59. 14 7 evidenza, scrive che «l’evidenza esiste come tale unicamente nel suo effettivo vissuto, che a ogni istante si rinnova (…) La verità dunque si definisce unicamente nel suo divenire, che non si deve assumere come movimento intelligibile delle idee, ma come temporalità effettivamente vissuta (…) L’errore - prosegue Thao - non è un ostacolo o un limite per la conoscenza: esso deriva dalla realizzazione stessa del suo senso di verità (…) La verità (…) è assoluta solo in quanto si costituisce nel divenire eterno del presente vivente»17. Solo nella prospettiva husserliana, afferma Thao, l’errore trova giustificazione, perché, al contrario, «porre la verità come un assoluto, significa condannarsi a pretendere che la conoscenza sia assoluta in eguale misura, altrimenti non sarebbe in alcun modo conoscenza: conseguentemente l’errore diviene, in quanto tale, inspiegabile»18. Il processo temporale-sintetico non rappresenta una parte reale del flusso dei vissuti, ma lo percorre nella forma di una «immanenza ideale» 19, mediante cui posso sempre ritornare su evidenze acquisite e anticiparne di nuove, lasciando aperto un orizzonte di potenzialità infinite, giacchè «un’evidenza singola non ci procura un’esistenza stabile. Ogni cosa che esiste, è, in un senso amplissimo, in sé, e ha di contro a sé il casuale esserper-me del singolo atto»20, perciò rimanda di necessità ad una sintesi di conferma evidente che non è mai definitiva nella sua interezza. Questo carattere di esistenza appartiene al mondo e alle sue realtà particolari, legati all’evidenza dell’esperienza esterna, la quale nella sfera immanente è data come «un multiforme orizzonte di anticipazioni non riempite ma bisognose di riempimento (…) Questa incompletezza dell’evidenza viene meno nell’atto sintetico e realizzante del passare da evidenza a evidenza, ma - puntualizza Husserl - necessariamente in modo che nessuna immaginabile sintesi di questa specie si concluda con un’evidenza adeguata, ma porti sempre con sé ancora delle intenzioni precedenti e laterali non riempite»; il darsi dell’esperienza esterna nelle forme dell’immanenza coscienziale mostra «che il mondo reale e la trascendenza sono inseparabili dalla soggettività trascendentale» 21, la quale conferisce senso e realtà effettiva per mezzo della propria struttura temporale-sintetica. La correlazione 17 Tran-Duc-Thao, Phenomenologie et materialisme dialectique, Editions Minh-Tân, Paris 1951 (tr. it. Fenomenologia e materialismo dialettico, Lampugnani Nigri Editore, Milano 1970, pp. 106-107). 18 Ibidem p. 105. 19 Hua I, p. 95 (MC, p. 87). 20 Hua I, p. 96 (Ibidem, secondo corsivo mio). 21 Hua I, p. 97 (MC, p. 88). 8 trascendentale di mondo e soggetto svela così il suo fondamentale tratto temporale, visibile solo nella prospettiva fenomenologica apertasi con l’epoché. Nota giustamente Rudolf Bernet che il ritiro dal mondo (retrait du monde), operato dalla riduzione trascendentale, si rivela essere una deviazione necessaria sul cammino della scoperta del mondo; Husserl non intende rinunciare al mondo, bensì comprendere il modo autentico in cui il soggetto si rapporta al mondo e scoprire così l'ordine stesso del mondo, poiché quest'ordine appare solo ad un soggetto che si metta in rapporto con la realtà mondana senza sprofondare in essa (un sujet qui se rapporte aux choses sans s'y abîmer)22. L’intrinseca incompletezza dell’evidenza mondana fa sì che il mondo stesso costituisca «una idea correlativa a quella di una totale evidenza d’esperienza, ossia di una sintesi completa di evidenze possibili» 23, la quale può aver luogo solo nella sfera immanente e apodittica dell’ego cogito. L’esperienza si rivela essere, infine, dotata di una «implicita intenzionalità», poiché dagli Erlebnisse trascendentali della coscienza deriva il senso delle proprie oggettualità e, in ultimo, fa riferimento al «più basso fondamento oggettivo. La temporalità immanente ha sempre la funzione di un tale fondamento; essa è quel corso di vita che si costituisce in sé e per sé e la cui illustrazione costitutiva è il tema della teoria della coscienza originaria del tempo, la quale costituisce in sé i dati temporali» immanenti 24. Gli Erlebnisse temporali che compongono il flusso della temporalità fenomenologicoimmanente hanno, dunque, la loro origine dalla «coscienza originaria del tempo», ossia da quella «coscienza già sempre presupposta», la cui originarietà sembra coincidere con quella della soggettività trascendentale stessa; è, infatti, ad opera di entrambe che prende forma il processo costitutivo dell’esperienza trascendentale e delle correlate oggettività reale-mondane. Il tempo immanente, pur dipendendo nella sua genesi dalla temporalità originaria, rivela, nel proprio sviluppo, un’autonomia assoluta rispetto alle forme oggettive che in esso si costituiscono, costituendosi, per quel che lo riguarda, «in sé e per sé». Quel che non risulta chiaro, però, è in che modo il tempo fenomenologico-immanente si costituisca nella coscienza originaria del tempo; l’identificazione di quest’ultima con la soggettività trascendentale, se corretta, getta comunque una luce importante sulla 22 23 R. Bernet, La vie du sujet. Recherches sur l'interpretation de Husserl dans la phénoménologie, PUF, Paris 1994, pp. 95-96. Hua I, p. 97 (MC, pp. 88-89). 9 questione del tempo: ne deriverebbe, infatti, il sorgere del concetto di temporalità trascendentale, concetto non esplicitamente formulato da Husserl, ma emergente dalla stessa situazione fenomenologica descritta. Nel corso del libro Husserl istituisce un’importante differenza all’interno del concetto di ego trascendentale: «dall’io come polo identico e come sostrato delle abitualità noi distinguiamo l’ego preso nella sua piena concretezza (che noi con parola leibniziana vogliamo chiamare monade), in quanto aggiungiamo al primo io ciò senza cui l’io non potrebbe essere concreto» 25. L’io-polo identico viene a formarsi in corrispondenza delle abitualità delle proprie prese di posizione, ossia nel succedersi degli atti intenzionali e delle sintesi di conferma; sopra di esso si pone l’io-monade, il quale, in virtù della propria concretezza, «comprende l’intero vivere potenziale e attuale della coscienza» e lo studio della «esplicazione fenomenologica (…) deve comprendere in sé tutti i problemi costitutivi in generale. In uno sviluppo ulteriore – prosegue Husserl - si produce l’identificazione della fenomenologia di questa autocostituzione con la fenomenologia in generale»26. Attuando l’epoché, l’ego ha operato un’auto-esperienza trascendentale ponendosi come spettatore disinteressato dei propri vissuti intenzionali 27; in tal modo, l’io ha disvelato se stesso nella forma dell’abitualità, dell’identità con sé e con il suo agire eidetico, forma che si sviluppa nel processo sintetico-costitutivo della temporalità immanente, processo che si rivela, infine, con il carattere di genesi attiva. L’io abituale è, tuttavia, ricompreso nella sua interezza dal concetto di io monadico, che sembra ora rappresentare un livello superiore di auto-costituzione dell’io, tanto da potersi identificare con la problematica generale della fenomenologia. E’, questa, la dimostrazione della non originarietà della dimensione interna del tempo e dell’esistenza di un ulteriore grado di fondazione, definito in precedenza dal concetto significativo, ma non chiarito, di «coscienza originaria del tempo» e, ora, dal termine leibniziano di «io monade», il quale 24 Hua I, pp. 98-99 (MC, p.90, corsivi miei). Hua I, p. 102 (MC, p. 93). 26 Hua I, pp. 102-103 ( MC, p.94). «L’io completo, dunque, la concrezione dell’io, come dice Husserl, si presenta come un io polo identico, più i miei habitus, più il mio mondo. E’ questo il nesso della nozione di monade ripresa dal dinamismo leibniziano. Essa segna il trionfo totale della interiorità sulla esteriorità, del trascendentale sul trascendente. Al limite, fare fenomenologia dell’Ego significa semplicemente fare fenomenologia», P. Ricoeur, Studio sulle Meditazioni…, op. cit., pp. 280-281. 27 Bernet parla a questo proposito di «duplicità del soggetto trascendentale» (duplicité du sujet transcendental), in base alla quale il primo soggetto appare a se stesso attraverso l'opera che esso compie nel e per il mondo, mentre il secondo soggetto si mostra a se medesimo in un modo immediato, ossia traendosi al di fuori del mondo. E' nello svolgersi dell'epoché che il solo e unico soggetto trascendentale si scinde in soggetto costituente e in soggetto spettatore; questo significa, per Bernet, che la coscienza costituisce il mondo molto prima e indipendentemente da ogni riduzione fenomenologica. Cfr. La vie du sujet, op. cit., pp. 8-9, 12, 15. 25 10 schiude finalmente alla ricerca un orizzonte esplicitamente genetico. Quando l’analisi si volge al «compito ideale di scoprire in modo realmente sistematico l’io concreto in generale secondo le sue determinazioni essenziali» 28, Husserl comprende che, mentre la forma eidetica dell’universale a priori appartenente all’ego trascendentale contiene in sé un’infinità di tipi di atti potenziali e attuali, tuttavia «non tutti i singoli tipi possibili sono compossibili con l’unico ego possibile e identico» 29. Infatti, ad esempio, gli atti costituenti una teoria scientifica possono realizzarsi solo in un ego concreto che abbia raggiunto un grado elevato di razionalità, sebbene siano compresi come possibilità pure nell’orizzonte di esperienza dell’ego trascendentale. Il legame vigente tra lo sviluppo costitutivo dell’io e le sue capacità di sintesi intenzionali «ha il suo fondamento in una struttura a priori universale, nelle legalità universali essenziali, della coesistenza e della successione egologico-temporali. Poiché - chiarisce Husserl - qualunque cosa compaia nel mio ego in generale (…) ha la sua temporalità e partecipa sotto quest’aspetto al sistema di forme dell’universale temporalità (Formensystem der universalen Zeitlichkeit), per il quale (mit dem) ogni ego immaginabile si costituisce per se stesso» 30. Ogni ego, quindi, anche se soltanto immaginato, non può non costituirsi secondo le forme del tempo; l’infinito regno delle pure possibilità, disvelato dalla riduzione fenomenologica come il piano d’essere trascendentale che precede e fonda la realtà naturale nel suo senso e valore d’essere, si scopre dominato da una «universale legalità d’essenza (die universale Wesensgesetzlichkeit) che a ogni proposizione di fatto intorno al trascendentale prescrive il suo senso possibile» 31. L’universale legalità d’essenza rappresenta, infine, «quell’apriorità universale (das universale Apriori), senza la quale non si può pensare un io né l’io trascendentale in generale»32; rappresenta, dunque, un sistema di forme vincolanti e assolutamente valide «per il quale ogni ego immaginabile si costituisce per se stesso», ossia il sistema della «universale temporalità». Per usare le parole di Merleau-Ponty, «il soggetto, il quale non può essere una serie di eventi psichici, non può però essere eterno. Rimane il fatto che esso è temporale non per qualche 28 Hua I, pp. 107-108 (MC, p.99). Hua I, p.108 (Ibidem). 30 Ibidem (MC, pp. 99-100, corsivo mio). «Mi chiedo se Husserl abbia veramente superato, attraverso questa nozione un po’ artificiale della nozione della legge di compossibilità, il malessere della filosofia del tempo, nella quale il tempo è insieme l’orizzonte di un presente continuato e di una forma totale», P. Ricoeur, Studio sulle Meditazioni…, op. cit., p. 285. 31 Hua I, p. 106 (MC, p.97). 32 Ibidem (Ibidem, secondo corsivo mio). 29 11 capriccio della costituzione umana, ma in virtù di una necessità interiore. Noi siamo invitati a farci del soggetto e del tempo una concezione tale che essi comunichino dall’interno (telle qu’ils communiquent du dedans)»33. La soggettività trascendentale, ego originario da cui sviluppare in progressiva e inesorabile evidenza la nuova filosofia, si dà solo in una genesi temporale e autotemporalizzante; qui sembra trovare conferma la teoria, elaborata negli inediti, della lebendige Gegenwart, il «presente vivente» che Husserl ritiene sia la «‘assoluta realtà’, è la realtà più propria come originariamente temporalizzante. Come tale essa è ontificante nel modo del tempo, e, in quanto originariamente temporalizzante essa ha, come risultato ontico, l’essere temporale ‘l’essente nel tempo’» 34. Come spiega Klaus Held, la forma della lebendige Gegenwart svela l’interiore temporalità dell’io, il quale ha il modo d’essere della pre-temporalità, esso appare quindi come ‘vor-zeitlich’, dove il prefisso ‘vor’ ne indica l’originarietà rispetto alle trascendenze costituite e al loro posto nel tempo obiettivo35. σei Manoscritti, Husserl teorizza l’importante distinzione tra tempo immanente alla coscienza, che chiama «tempo in sé», e il tempo della lebendige Gegenwart, il quale si trascende nelle forme dei decorsi temporali immanenti, costituenti in seguito il tempo obiettivo-mondano. La temporalità immanente o fenomenologica, perciò, rappresenta un’espressione temporale secondaria, che rimanda al presente vivente come alla fonte originaria 36; il primo stadio da cui ha inizio l’auto-trascendimento della lebendige Gegenwart è la forma del passato, la quale è «il primo tempo obbiettivo, obbiettivo in un primo senso non mondano (cioè non obbiettivo nel senso usuale), un in sé soggettivo costituito a partire dal mio essere originariamente come presente vivente» 37. Il primo movimento della lebendige Gegenwart è, dunque, una de-presentificazione che avviene mediante il defluire del soggetto attraverso se stesso verso un già-stato, giacché, 33 M. Merleau-Ponty, Phénoménologie de la perception, Librairie Gallimard, Paris 1945 (tr. it. Fenomenologia della percezione, il Saggiatore, Firenze 1972, p. 526, corsivo mio). 34 G. Brand, Mondo, io e tempo…, tr. it. cit., p. 235, Manoscritto C 17 I, p. 42. 35 K. Held, Lebendige Gegenwart, M. Nijhoff, Den Haag 1966, p. 97. «Das vor-zeitliche letztfungierende Ich ist auch noch’vor’ der jeweiligen Zeitstellengegenwart», ibidem, p. 117. Il non essere nel tempo dell’io è ciò che Husserl chiama la «seiner ursprünglichsten Ursprünglichkeit», la cui oscura equivocità è però rilevata con precisione da Held: «in ihrer ‘ursprünglichsten Ursprünglichkeit’, die aber, wie inzwischen deutlich wurde, nicht sichtbar wird, ist sie nicht einmal sich gerade-zeitigende, sondern schlechthin ausserhalb der Zeitlichkeit, d. h. ‘nicht in der Zeit’. Dass die ursprünglichsten Ursprünglichkeit unsichtbar bleibt (…); dies erklärt andererseits den hochgeschraubten Ausdruck ‘ursprünglichste Ursprünglichkeit’», ibidem. 36 Con la consueta acutezza, Tran-Duc-Thao descrive il presente vivente come «il movimento della coscienza originaria», il quale, insieme cona la temporalità costituita, sta «nella relazione del temporalizzante rispetto al temporalizzato, in quanto si costituisce in un movimento esso stesso temporale», Fenomenologia e materialismo…, tr. it. cit., p. 107, nota 7. 37 G. Brand, Mondo, io e tempo…, tr. it. cit., p. 176, Manoscritto C 3 I, p. 5. 12 come spiega Held, «gibt es kein Gegenwärtigen, das nicht in sich Entgegenwärtigen wäre»38. L’ordine e la coordinazione dei molteplici Erlebnisse di coscienza non sono perciò dovuti alla forma della temporalità immanente, nella quale si articolano i vissuti intenzionali, ma derivano dalla «legalità formale di una genesi universale, in conformità alla quale si costituiscono assieme, ogni volta di nuovo, passato, presente e futuro in una certa struttura formale noetico-noematica di modi fluenti di datità» 39. La costituzione originaria dell’ego nelle forme della temporalità determina che esso si sviluppi «per così dire, nell’unità di una storia» e i suoi sistemi costitutivi risultano, perciò, «legati dalla universale forma genetica che rende possibile l’ego concreto come unità, come compossibile nel suo particolare valor d’essere»40. Tuttavia, il grado di originarietà dell’auto-costituzione soggettivo-trascendentale appena descritta, si dà realmente come l’ultimo e il più autentico all’interno del processo fenomenologicogenetico? Sembra di no. «E’ molto difficile - constata Husserl - accedere all’universalità ultima (zu der letzten Allgemeinheit) della problematica eidetico-fenomenologica e quindi anche alla genesi ultima (einer letzten Genesis)»41, perché il fenomenologo ha assunto come stadio iniziale delle ricerche se stesso e il proprio ego, sebbene ridotto al suo essere trascendentale. «Egli si trova trascendentalmente come l’ego, quindi come un ego in generale, che ha già nella coscienza un mondo, un mondo del bel nostro tipo ontologico, con una natura, una cultura e civiltà (…) La fenomenologia così costituita - spiega Husserl - è meramente statica, le sue descrizioni sono analoghe a quelle che fa il naturalista»42. Le ricerche fin qui condotte si sono mosse, pertanto, su uno sfondo genetico solo presupposto e non indagato, mantenendosi ad un livello statico di analisi, ossia essenzialmente derivato e, quindi, non originario. Il discorso sembra doversi riferire anche all’interessante concetto di «coscienza originaria del tempo», dal momento che, 38 K. Held, Lebendige Gegenwart, op. cit., p. 172. Hua I, p. 109 (MC, p.100). Il § 37 si intitola significativamente «Il tempo come forma universale di ogni genesi egologica». E’ assente il tema genetico nelle Lezioni del 1905, dove Husserl «rimane a una temporalità noematica, il cui senso è già costituito e conosciuto. Il tempo obiettivo è già conosciuto come tale, e il suo significato, essendo già ‘tematico’, può essere situato e messo tra parentesi. Allo stesso modo il tempo dell’immanenza vissuta ha già un senso per me; esso è costituito da una temporalità più profonda che non appare ancora», J. Derrida, Le problème de la genèse dans la philosophie de Husserl, PUF, Paris 1990 (tr. it., Il problema della genesi nella filosofia di Husserl, Jaca Book, Milano 1992, p.147). 40 Hua I, p. 109 (MC, p. 100). 41 Hua I, p. 110 (MC, p.101). 39 13 come afferma Husserl, «rimangono ancora estranei i problemi della genesi universale ed estranea (fern) rimane la struttura genetica dell’io preso nella sua universalità, struttura che va oltre la formazione temporale; tutto ciò appartiene a un livello superiore»43. In effetti, Husserl ha solo accennato alla legalità genetica essenziale appartenente alla soggettività trascendentale, configurando tale legalità nelle forme del tempo; che questo sia il tempo originario e, tuttavia, non si identifichi né con il tempo immanente né, presumibilmente, con la lebendige Gegenwart, se si fa coincidere quest’ultima con la soggettività trascendentale, credo sia chiaro. Sembra lecito, pertanto, parlare di un livello superiore (höherstufige), il cui andare oltre la formazione temporale (über die Zeitformung hinausgehenden) credo sia giusto intenderlo come un andare oltre la formazione temporale costituita; d’altra parte, pensare la genesi come un processo «intemporale» o «atemporale» è, prima di tutto, un controsenso logico, oltre a non essere giustificato nell’ambito del discorso husserliano. E’ importante notare, con Ricoeur, che la costituzione temporale «non è integralmente opera della coscienza, nonostante essa rimanga sempre una genesi delle cose. Il pregio di questa analisi è di aver posto allo stesso livello l’io ed il tempo, poiché il tempo non è solamente come presso Kant una intuizione priori, cioè un modo della rappresentazione ma uno stile di esistenza. Husserl – prosegue in modo illuminante Ricoeur - è così posto all’origine di una nuova interpretazione del tempo come anticipazione stessa di me in quanto esistente. Mediante il tema della ‘genesi egologica’ della costituzione temporale del sé, Husserl ci conduce dal tempo rappresentato al tempo originario» 44. Tuttavia, la descrizione approfondita della dimensione genetica ultima rimane estranea alla ricerca, la quale resta ancorata allo stadio dell’ego trascendentale in generale, con cui è già dato, sebbene in forma eidetica, un mondo già costituito. «Anche questo è però un livello necessario - sostiene Husserl - in base al quale, evidenziando le forme di legalità ad esso proprio, si potranno originariamente intuire le possibilità proprie della universalissima fenomenologia eidetica (eidetische allgemeinste Phänomenologie). La libertà di variazione di cui l’ego gode in quest’ultima fenomenologia (in ihr variiert sich das ego so frei) è tale che esso non ammette nemmeno il presupposto ideale, ma 42 Ibidem (Ibidem, primi due corsivi miei). Ibidem (Ibidem, corsivi miei). 44 P. Ricoeur, Studio sulle Meditazioni…op. cit., p. 286 (corsivo mio). 43 14 vincolante, di un mondo dotato di struttura ontologica per noi ovvia» 45. Lo studio accurato della struttura genetica dell’ego cogito permetterà solo di «intuire» (erschauen) le possibilità del campo trascendentale originario, quanto basta, però, per immaginarlo dotato di una libertà assoluta, privo di qualsiasi rapporto con una realtà fenomenica immanente. L’analisi, ora, si concentra sui princìpi universali genetici, propri di una soggettività che si riferisce al mondo, propri, dunque, di una genesi costitutiva fondata e non ancora originariamente fondante. Tali princìpi «si distinguono nelle due forme fondamentali di principi della genesi attiva e della genesi passiva. σella prima l’io funge come costitutivo e produttivo secondo specifici atti d’io. Si trovano qui tutte le operazioni della ragione pratica nel senso più ampio. In tal senso anche la ragione logica è pratica»46. La ragion pratica, dunque, è quell’insieme di atti intenzionali, mediante cui l’ego si costituisce come il sostrato identico di abitualità, sviluppando «l’habitus (eine Habitualität) del continuo porre in valore» 47 sempre nuove oggettualità, che si collegano alle precedenti e anticipano le nuove. L’operare attivo della soggettività rappresenta un livello della vita del cogito superiore che, come tale, agendo su un campo di oggettualità già date, «presuppone necessariamente come grado inferiore una passività che determina la datità, seguendo la quale noi ci imbattiamo nella costituzione secondo genesi passiva»48. Questa, agendo sempre attraverso operazioni sintetiche, offre all’ego della ragion pratica la materia su cui sviluppare la propria attività genetica; nell’esperienza passiva si forma il «dato nell’originarietà del se stesso»49, ossia in evidenza, al fine di inserirsi nel campo sterminato della vita coscienziale attiva 50. La genesi passiva, continuamente operante sotto la superficie dell’attività egologica visibile, ne rappresenta, in quanto sempre presupposta, la storia nella quale l’io si inscrive con la sua vita attiva e in base alla quale costruisce la propria abitualità di io identico. «L’io meditante - scrive Husserl - può, penetrando il contenuto intenzionale degli stessi fenomeni dell’esperienza (…) trovare i rimandi intenzionali che conducono a una storia, e quindi riconoscere questi fenomeni siccome formazioni posteriori ad altre essenzialmente precedenti (…) C’imbattiamo dunque nella genesi passiva delle appercezioni molteplici come formazioni 45 Hua I, pp. 110-111 (MC, p. 101, primo corsivo mio). Hua I, p.111 (MC, p. 102). 47 Ibidem (Ibidem). 48 Hua I, p. 112 (MC, p. 102). 49 Ibidem (MC, p. 103). 50 «Der urpassive Wandel liegt jeder Aktivität zugrunde», K. Held, Lebendige Gegenwart, op. cit., p. 97. 46 15 persistenti in una abitualità propria, le quali si mostrano all’io centrale come datità formate e, quando divengono attuali affettano l’io e ne motivano le attività» 51. Che l’ego trascendentale in generale risulti dotato di un mondo come campo di oggetti e che la sua attività intenzionale si risolva in un’appercezione di oggettualità nella forma del conferimento di senso, ha perciò origine dal piano genetico passivo, cui bisogna ritornare come «a un originario conoscere per la prima volta», giacchè «quel che diciamo ignoto ha pur una sua forma strutturale di notorietà» 52, che rimanda all’originaria storicità dell’ego53. L’essere storico delle datità egologiche coincide con il loro essere temporali, che, sia nella forma immanente sia in quella trascendente, deriva da una costituzione sintetica passiva, la quale riguarda, come spiega Husserl, «tanto quella dei vissuti come oggetti temporali immanenti, quanto quella di tutti gli oggetti reali naturali del mondo spaziotemporale oggettivo»54. Il principio universale della genesi passiva «porta il titolo di ‘associazione’», la cui versione psicologista elaborata da Hume «è solo una deformazione naturalistica del corrispondente concetto intenzionale vero e proprio»55. L’associazione esprime la «legalità intenzionale essenziale della costituzione dell’ego puro, il regno dello a priori innato (eingeborenen), senza del quale perciò non è pensabile un ego come tale»56; la fenomenologia genetica rende accessibile l’analisi dell’ego in generale e ne scopre la struttura di connessione infinita (das ego als ein unendlicher) di atti sintetici interdipendenti. «Ma tutto ciò - aggiunge Husserl in un passo di importanza capitale - ha luogo mediante gradi che debbono necessariamente adattarsi alla forma universale permanente della temporalità (sich durchaus der universalen verharrenden Form der Zeitlichkeit fügen müssen), poiché quest’ultima si costituisce in una genesi costantemente 51 Hua I, p. 113 (Ibidem). Anche in Formale und transzendentale Logik Husserl parla di «costituzione genetica a priori», il cui studio permette di comprendere come «in ciò che l’analisi svela come implicato intenzionale della vivente costituzione di senso, sia presente una ‘storia’ sedimentata», E. Husserl, Formale und transzendentale Logik, M. Niemeyer, Halle 1929, p. 221 (tr. it. Logica formale e trascendentale, Laterza, Bari 1966, p. 308). 52 Hua I, p. 113 (MC, p. 104). 53 Come spiega ottimamente Iso Kern, mentre «la fenomenologia statica illumina soltanto sistemi costitutivi ‘finiti’, già formati, descrivendo secondo leggi d’essenza i deflussi regolati di vissuti intenzionali nei quali vengono a datità oggetti di una certa specie, la fenomenologia genetica si interroga sull’origine di questi stessi sistemi, in essa è in questione la genesi di questa stessa costituzione e con ciò allo stesso tempo la genesi della specie di oggetti in essa costituiti. L’oggetto non è più un filo conduttore fisso come nella fenomenologia statica, ma qualcosa di divenuto (…) Qui non è in questione però la storia fattuale delle singole appercezioni, ma la forma generale o apriori o un’essenza», R. Bernet, I. Kern, E. Marbach, Edmund Husserl. Darstellung seines Denkens, Felix Meiner Verlag GmbH, Hamburg 1989 (tr. it. Edmund Husserl, il Mulino, Bologna 1992, p. 259). 54 Hua I, p. 113 (MC, p. 104). 55 Hua I, p. 114 (Ibidem). 56 Ibidem (MC, p.105). 16 passiva (beständige passiven) e interamente universale comprendente in maniera essenziale ogni elemento nuovo. Questa gradualità si mantiene nell’ego, sviluppato (…) come sistema di un universo oggettivo a salda struttura ontologica; questo mantenersi è anch’esso soltanto una forma di genesi»57. L’ego si sviluppa in operazioni temporali-sintetiche sulla base del dualismo a-simmetrico di genesi attiva e passiva; in tal modo si dota di un campo di esperienza trascendentale, che si muove nelle due direzioni, anch’esse a-simmetriche, dell’immanenza e della trascendenza. L’ego cogito, centro del piano d’essere trascendentale, è l’evidenza cartesiana da cui le riflessioni di Husserl hanno avuto inizio, fondamento certo e indubitabile delle nuove Meditationes. Tuttavia, la centralità dell’ego non ne significa l’originarietà; l’insieme della vita intenzionale di coscienza, infatti, che conferisce senso e valor d’essere al mondo oggettivo, sorge gradualmente in un processo genetico che nel suo sviluppo deve adattarsi (fügen müssen) a una forma temporale permanente, la quale si costituisce in una genesi sempre passiva, ossia senza soggetto, ovvero priva di una soggettività costituente. «E’ manifesto – si può affermare di nuovo con Merleau-Ponty che io non sono l’autore del tempo, così come non lo sono dei battiti del mio cuore, e che non sono io ad assumere l’iniziativa della temporalizzazione; io non ho scelto di nascere e, una volta che sono nato, il tempo defluisce attraverso di me (le temps fuse à traverse moi), qualsiasi cosa io faccia» 58. Emerge allora l’originaria a-simmetria della filosofia husserliana: quella fra la soggettività trascendentale e la temporalità trascendentale, dove il tempo, nel suo essere trascendentale, fonda originariamente e permanentemente il soggetto; ovvero il tempo costituisce il soggetto in quanto conferisce senso all’essere del soggetto, o, meglio, il soggetto trae senso dal proprio essere e costituirsi come temporale, secondo l’autentico significato che Husserl dà al concetto di trascendentale. E’ quel «livello superiore» in cui l’ego non scompare, ma è dotato di una tale libertà di variazione che lo fa apparire vuoto, del tutto indeterminato, perché privo anche di un mondo ontologico dato in immanenza, ovvero privo di un cogitatum seppur ideale. Da questo regno delle pure possibilità, l’ego ridiscende con un percorso storico-genetico verso le forme concrete dell’intenzionalità e si costituisce in io monade con il suo sistema mondano-oggettivo «a salda struttura ontologica», restando sempre compreso nella forma 57 58 Ibidem (Ibidem, corsivi miei). M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, tr. it. cit., p. 545. 17 della temporalità permanente e trascendentale. D'altra parte, già alcuni anni precedenti la stesura delle Meditazioni, Husserl aveva messo in rilievo la trascendentalità del tempo e la sua connessione con la vita del soggetto: «Ich, das transzendentale Ich, lebe ein transzendentales Leben, das sich in kontinuierlicher transzendentaler Erfharung in einer eigenen transzendentalen Zeitform darstellt»59. «Il cuore del problema – sostiene Hans-Georg Gadamer - risiede esclusivamente nell’autocostituzione della temporalità nella fonte originaria del presente - dunque in quello strato più profondo della problematica costitutiva, per il quale anche l’ego trascendentale e la corrente di coscienza, origine ultima di ogni operazione costitutiva, sono trascesi, nel senso che il fluire del presente vivente in quanto autentico fenomeno originario sta alla base anche della costituzione del flusso di coscienza. Solo in questo caso - conclude Gadamer - dove si tratta dell’autocostituzione, ci si può chiedere infatti se costituzione non significhi anche creazione (Kreation)»60. L’originarietà della lebendige Gegenwart è tale solo se il suo essere la forma originaria dell’ego trascendentale comporti anche la sua anteriorità, non solo rispetto al flusso di coscienza, ma anche rispetto all’ego stesso. Tuttavia, non intendo con ciò dire che nell’ambito del pensiero husserliano sia lecito concepire un tempo senza l’io o una qualunque dimensione, fosse anche la più originaria, priva dell’io. A questo proposito, infatti, non si può non tener conto di ciò che sostenne Leo van Breda: «Alla precisa domanda sollevata da Hyppolite a Royaumont – ricorda Gadamer - se cioè in Husserl vi sia uno strato fondamentale privo di ‘io’, ha risposto correttamente van Breda: ‘Per Husserl questa soluzione è impensabile’»61. Eppure, se si dà una forma temporale permanente alla quale l’ego deve adattarsi nell’autocostituirsi come temporalità originaria, mi sembra difficile non scorgere una a-simmetria tra il tempo e il soggetto, che non significa la scomparsa dell’io, ma rende quantomeno arduo comprendere in che senso l’io possa dirsi ancora originario62. «Evidentemente - scrive ancora Gadamer - si deve però ammettere in questo strato più profondo dell’autocostituzione della temporalità, dove si tratta della fonte 59 E. Husserl, Erste Philosophie (1923/24). II. Teil, Hua VIII, M. Nijhoff, Den Haag 1959, p. 86. Corsivo mio, sebbene anche nell'edizione tedesca lo stesso passo sia spaziato. 60 H.-G. Gadamer, Die phänomenologische Bewegung, in Kleine Schriften III. Platon, Husserl, Heidegger, J. C. B. Mohr (Paul Siebeck), Tübingen 1972 ( tr. it. Il movimento fenomenologico, Laterza, Bari 1994, p. 65). 61 Cfr. Ibidem, p. 71. 62 Come nota Ricoeur, riguardo al rapporto fra il tempo fenomenologico e l’ego puro si presenta «un ‘enigma’, nella stessa misura in cui l’io trascendentale è un assoluto solo da un certo punto di vista (in rapporto all trascendenza) e richiede ancora una protocostituzione piena di difficoltà», Husserl e il senso della storia, in Studi di fenomenologia, op. cit., p. 84, corsivo mio. 18 originaria del presente fluente, un’autoreferenzialità (eine Selbstbezüglichkeit) che non contiene alcuna distinzione tra ciò che dà e ciò che è dato (più precisamente ricevuto), ma è una sorta di ‘com-prensione’ reciproca, che come tale spetta strutturalmente alla vita, all’αυ ο νουν di Platone. Ma sono qui confermate anche le dottrine classiche della νοή ς νοή εως e dell’intellectus agens»63. Tuttavia, con il concetto di «autoreferenzialità», c’è il rischio di occultare la fondamentale diacronia che percorre e determina la relazione tra il tempo e l’ego. L’io, nel movimento originario dell’autocostituzione come lebendige Gegenwart, assume la forma temporale e in essa, solo in essa e in virtù di essa, acquista la propria irriducibile unicità trascendentale. L’intenzionalità fungente del soggetto si fonda, dunque, sul gesto originario dell’autotemporalizzazione, il quale è un Ur-Faktum64 precedente qualsiasi costituzione, sorgente ultima di ogni senso e significato. L’enigma della lebendige Gegenwart, come lo definisce correttamente Held 65, trae alimento dall’ambigua relazione che si sviluppa nell’orizzonte fenomenologico tra soggetto e tempo; una situazione sì enigmatica, dove, tuttavia, appare chiaro che il soggetto, nel darsi originariamente come temporale, si inscrive in un processo genetico dominato da una diacronia che non riesce a determinare ma alla quale, al contrario, «deve adattarsi». Le conseguenze di questa a-simmetria diacronica possono risultare, però, estremamente serie per la fenomenologia e in particolare per il presupposto teoretico e metodologico che la fonda, ovvero l’eidetismo, in forza del quale si origina l’apriorità del soggetto fenomenologico. Premessa della fenomenologia è che alla soggettività sia connaturata l’idealità a-storica del senso, attraverso cui costituisce tutto ciò che è altro da sé. E tuttavia, dalle Meditazioni emerge non più come premessa teorica, bensì come realtà ontologica, che il soggetto è per essenza temporale e, nel suo svilupparsi originario, si muove nella temporalità che trascende il soggetto stesso in senso trascendentale, ossia costituente-fondante. L’essere temporale del soggetto ne significa l’innata storicità, la quale mal si concilia con l’istanza essenzialista della fenomenologia; non più l’eidos irreale immobile, bensì la dimensione eternamente diveniente del tempo e della storia 63 H.-G. Gadamer, Il movimento fenomenologico, tr. it. cit., p. 70. Husserl, nel Manoscritto C I, p. 4, parla di «absolutes Faktum», volendo indicare, come spiega Held, che l’io «hat nicht den Charakter des Zufälligen und Singulären gegenüber der absoluten Wesensnotwendigkeit und Allgemeinheit des Eidos, sondern als absoluter Ausgangspunkt alles Fungierens, als apodiktisches Ziel der phänomenologischen Rückfrage muss es selbst ‘absolutes Faktum’ genannt werden», K. Held, Lebendige Gegenwart, op. cit., p. 148. 65 K. Held, Ibidem, pp. 94-122. 64 19 sembra essere l’apriori nel quale si muove, ab initio, la soggettività e che la riduzione trascendentale si limita a svelare, ma non a determinare. Il tempo, nella forma originaria della genesi passiva, è la storia trascendentale in cui la soggettività si trova già sempre, e giacchè «in Husserl la storicità si rende tematica come storicità della coscienza intenzionale fluente (…) il problema della storicità si pone come problema della storicità della soggettività», secondo le parole di Ludwig Landgrebe 66. Come storia trascendentale il tempo è genesi ultima, è la dimensione oltre la quale non se ne dà nessun’altra, in cui ogni realtà si costituisce e trova il suo senso, perché in primo luogo è il soggetto, la realtà primaria, a costituirsi nel suo essere e nel suo avere senso all’interno del paradigma temporale storico-genetico. Comprendere l’originarietà del soggetto comporta il rendersi consapevoli della sua strutturale temporalità e le Meditazioni rappresentano il culmine di tale consapevolezza da parte di Husserl; altrimenti non poteva essere dal momento che, come spiega limpidamente Jacques Derrida, «attraverso il suo rifiuto al sistema e alla chiusura speculativa, Husserl è già, nel suo stile di pensiero, più attento alla storicità del senso, alla possibilità del suo divenire, più rispettoso di quello che nella struttura rimane aperto»67. Il concetto di tempo, pertanto, nel mettere in crisi l’assunto del primato del soggetto e l’eidetismo che ne è alla base68, sviluppa altresì le più autentiche potenzialità del pensiero fenomenologico, poiché la temporalità è infine l’origine e insieme la struttura del soggetto, il quale rappresenta pur sempre l’ente che opera la svolta fenomenologicotrascendentale, divenendone così il fulcro teoretico e ontologico 69. Nella Quinta Meditazione Husserl ritorna sulla dimensione particolare dell’ego monade, spiegando come essa si inscriva nello strato più ampio dell’ego trascendentale, di cui rappresenta una derivazione secondaria, nella forma specifica di «una autoappercezione 66 L. Landgrebe, Phänomenologie und Geschichte, Gütersloher Verlagshaus Gerd Mohn, Gütersloh 1968 (tr. it., Fenomenologia e storia, il Mulino, Bologna 1972, pp. 13 e 16). 67 J. Derrida, «Génese et structure» et la phénoménologie, in L’écriture et la différence, Editions du Seuil 1967 (tr. it. «Genesi e struttura» e la fenomenologia, in La scrittura e la differenza, Einaudi, Torino 1990, p. 200). 68 «Il cominciamento assoluto della filosofia deve essere essenzialista. Questa legge, nella misura in cui è ‘metodologica’, nella misura in cui non è fondata sul movimento effettivo della genesi che costituisce e precede le essenze e in cui regge ogni chiarificazione filosofica, fa del formalismo e dell’idealismo o, se si vuole, dell’eidetismo, il momento inaugurale di ogni filosofia attuale o possibile», J. Derrida, Il problema della genesi…, tr. it. cit., p. 237. 69 Scrive Granel che lo stesso Husserl ha indicato, lungo tutto lo svolgimento della fenomenologia, che le ragioni ultime che questo svolgimento lascia ancora dietro di sé sono contenute dentro quelle della temporalità. G. Granel, Le Sens du Temps…, op. cit., p. 123. 20 mondanizzante (eine verweltlichende Selbstapperzeption) in sintesi costitutive corrispondenti, che io mantengo costantemente in valore e formazioni ulteriori. Ogni trascendentalità appartenente a me come quest’ego ultimo – spiega Husserl – compare nella mia psiche (in meine Seele) come alcunché di psichico in virtù di questa mondanizzazione»70; come osserva Bernet, se il mondo circostante, quale mondo del significato delle cose, è costituito da un ego puro, bisogna allora aggiungere che tale costituzione mondana va di pari passo con una «mondanizzazione» (Verweltlichung) dello stesso soggetto costituente 71. Il carattere peculiare della appercezione mondanizzante è che non si tratta di una mondanizzazione trascendente, bensì trascendentale, poiché legata direttamente all’ego operante l’epoché originaria, «solo che però – precisa Husserl – come componente della mia appercezione del mondo, essa è qualcosa di trascendentalmente secondario (transzendental Sekundäres)»72. All’ego trascendentale, pertanto, appartiene «la divisione del suo intero campo trascendentale di esperienza, nella sfera della sua proprietà da un canto – insieme allo strato coerente della esperienza del mondo, in cui ogni estraneità è messa in ombra (abgeblenden) – e nella sfera dell’estraneo dall’altro (…) Dentro e per mezzo (Innerhalb und mit den Mitteln) di questo esser-proprio l’ego costituisce però il mondo oggettivo come universo di un essere a lui estraneo e in primo luogo l’estraneo del modo ‘alter ego’» 73. La concretezza della dimensione costitutiva dell’ego monade mette in risalto, per contrasto, il campo dell’ego trascendentale come regno delle infinite possibilità che, in quanto tale, è trascendentalmente primario rispetto al piano d’essere schiusosi con l’appercezione mondanizzante. La stessa esperienza dell’estraneo, a questo punto però, rappresenta una semplice realizzazione di una delle possibilità contenute nella sfera dell’essere dell’ego trascendentale, realizzazione, quindi, che risulterà necessaria nel formarsi dell’ego monade concreto, ma forse non altrettanto rispetto al campo trascendentale della soggettività assoluta. L’epoché tematica, compiuta dalla soggettività trascendentale, assume le forme di un’autoesplicazione originale, dal momento che schiude l’ambito della sfera appartentiva egologica, nella quale si costituiscono in immanenza tutte le oggettualità trascendenti e immanenti «dalle quali esso [l’ego monade] non e’ 70 Hua I, p.130 (MC, pp. 121-122). R. Bernet, La vie du sujet, op. cit., pp. 102-103. 72 Hua I, p.131 (MC, p.122). 73 Ibidem (Ibidem). 71 21 concretamente separabile (von ihnen selbst konkret unabtrennbar konstituiert ist)»74. In questa sfera appartentiva, dunque, «sta l’intero mondo (…) come possesso concreto definitivo e positivo dell’ego o anzi come proprietà (als Eigenes) dell’ego stesso», in virtù della «esclusione delle componenti di senso dell’estraneo» 75. Questa esclusione, però, al contrario dell’appercezione appartentiva, non è mai qualcosa di definitivo se non a livello metodologico, poiché, di fatto, l’ego monade è sempre conscio della possibilità di entrare in rapporto con «un altro che io non sono» 76; tuttavia, già la sola «possibilità del più vuoto presumere l’estraneo è problematica», poiché nel conferire senso a ciò che esso non è, «l’ego stesso trascende interamente (ganz und gar) il suo proprio essere»77. Eppure, anche l’intenzionalità comporta l’oltrepassamento del proprio essere, un uscire fuori da sé, appunto un trascendere; perché, allora, solo nel caso dell’esperienza dell’estraneo la proprietà fondamentale del trascendersi diviene per l’ego un problema? La risposta è di certo in quel ganz und gar, in quel trascendersi del tutto che avviene soltanto in relazione all’alter ego, il quale non si riesce a contenere per intero nella propria intenzionalità. «Come può un essere reale ed effettivo che è per me (e appunto in quanto tale) - si chiede Husserl - esser non solo qualcosa di intenzionato da me, ma proprio qualcosa che, verificandosi in me con la sua coerenza propria, risulti tuttavia essere altro dal punto di intersezione, per così dire, delle mie sintesi costitutive? (anderes sein als sozusagen Schnittpunkt meiner konstitutiven Synthesis?)»78. La Fremderfahrung mette in crisi, perciò, la sincronia delle fasi temporali-sintetiche in cui si sviluppa costantemente la vita di coscienza, poiché, a differenza delle oggettualità appartenenti alla sfera di proprietà dell’ego monade, l’altro io è innanzitutto un non-io, un io che appartiene a me solo in parte, ossia per quel che riguarda il suo senso di essere-perme-altro-da-me. Intenzionato in modo indiretto, ossia attraverso il filtro del mio esserproprio, l’altro si rappresenta come il momento della presenza secondaria (Mit-da), ossia non è propriamente presente, bensì è reso-com-presente (mit-gegenwärtig-gemacht) nella specie d’atto che Husserl chiama appresentazione (Appräsentation). Egli nega, pertanto, la possibilità che l’altro possa rendersi presente da sé, possa darsi al presente in un 74 Hua I, p. 134 (MC, p. 125). Ibidem (Ibidem). 76 «Non si dimentichi: lo scopo della riduzione al proprio è di ritrovare, alla fine, ciò che ho messo tra parentesi come estraneo», E. Paci, Tempo e verità nella fenomenologia di Husserl, Laterza, Bari 1961, p. 131. 77 Hua I, p. 135 (MC, p. 126). 78 Ibidem (Ibidem, corsivo mio). 75 22 autentico darsi-da-sé; eppure, si ha l’impressione che in tal modo Husserl neghi al contempo il senso originale dell’esperienza dell’estraneo, ovvero lo ‘scandalo’ per cui essa trascende ganz und gar la mia intenzionalità e rompe, per così dire, gli schemi consolidati del procedere temporale-sintetico della mia coscienza, quello scandalo che rende problematico il solo presumere l’eventualità della Fremderfahrung. Husserl non sembra più preoccupato dell’irrompere di un non-io nella sfera dell’io, proprio perché riduce questa irruzione ad una com-presenza secondaria che nella sfera appartentiva egologica ha la sua origine. Egli istituisce un’importante differenza di significato tra la nozione di «estraneo» e quella di «altro»; infatti, è solo il primo a configurarsi come il non-io, ossia come qualcosa che in sé non comporta la presenza dell’io, se non negativamente a livello terminologico; del secondo, invece, si può parlare a partire da una «elevazione di senso» sul fondamento dell’esser-proprio, in virtù della quale il non-io diviene un altro-io. Questi non è solo un non-io, ma è precisamente «il non-io nella forma di un altro io (Nicht-Ich in der Form: anderes Ich)»79. Perciò, l’esperienza dell’altro si inserisce naturalmente nei processi costitutivi intenzionali della sintesi temporale della vita di coscienza, senza che alcuna diacronia investa il «punto di intersezione» della mia sintesi costitutiva, ciò che avviene, invece, con la Fremderfahrung. Eppure, il problema della trascendenza totale dell’estraneo rispetto alla sfera egologica primordinale, in quanto non contenibile nei limiti della temporalità immanente, Husserl più che risolverlo, sembra averlo misconosciuto attraverso il passaggio dall’esperienza dell’estraneo all’esperienza dell’altro, in quella che appare una petitio principii e non una reale e legittima dimostrazione. σella relazione con l’alter ego non emerge la questione dell’esperienza della temporalità dell’altro, perché anche essa è un «mero momento costitutivo di me stesso»; non è così, invece, nel caso della Fremderfahrung, dove, al contrario, la struttura temporale-sintetica delle mie intenzionalità costitutive non basta, da sola, a giustificare la presenza dell’estraneo e, di conseguenza, della temporalità estranea. Si offre quindi una situazione intenzionale di particolare interesse: la mia sfera percettiva che ‘ospita’ la presenza dell’estraneo, è, per quel che mi riguarda, dotata di una propria originalità, la quale, però, non coinvolge per intero anche la dimensione estranea, del non-io, con cui inevitabilmente si intreccia. «L’appresentazione che mi dà l’altro nella sua 79 Hua I, p. 136 (MC, p. 127). 23 irraggiungibile originalità è frammista (ist verflochten) a una presentazione originale (quella del corpo altrui come parte della natura datami in modo appartentivo)» 80. Emerge di nuovo quello scarto fra il punto di intersezione delle mie sintesi costitutive e il momento del darsi dell’estraneo, scarto che è di carattere eminentemente temporale, perché legato alla costituzione temporale-sintetica del vivere coscienziale. E di nuovo, ogni volta che le riflessioni husserliane si incontrano con il concetto di tempo, i termini adottati per una spiegazione tradiscono la loro inadeguatezza. Riesce difficile, infatti, comprendere come l’originalità della sfera appartentiva possa trarre un senso compiuto dalla inaccessibilità originale (das originaliter Unzugängliche) - e, forse, originaria dell’estraneo e mutare così quest’ultimo in alter ego, ossia in un altro-per-me. Inoltre, il contatto con la Fremderfahrung avviene, al suo livello primo e più basso, con il corpo organico (der fremde Leibkörper) dell’estraneo e con «l’io estraneo che vi domina», i quali entrambi «mi sono dati nel modo d’una esperienza unitaria trascendente» 81. Da dove, però, l’ego monade trae la certezza della presenza della realtà psichica nel corpo altrui? «Il processo di riempimento e verifica - spiega Husserl - non può aver successo che mediante nuove appresentazioni trascorrenti in concordanza sintetica»82, eppure, proprio tale concordanza sembra essere scardinata dalla diacronia temporale che la sola possibilità dell’estraneo rappresenta per le articolazioni coscienziali dell’ego monade. E’ questa diacronia che rende irraggiungibile l’estraneo nella sua originalità, e ciò è tanto più vero se si ammette «che la temporalità - qualunque essa sia - implica sempre uno scarto, una discontinuità, una differenza, un imprevisto o un après-coup che sono altrettante forme dell’alterità», come scrive Rudolf Bernet, il quale rievoca, a sua volta, le analisi di Lévinas83. Tuttavia, Husserl nega che questa irraggiungibilità pregiudichi la realizzazione dell’esperienza dell’estraneo: «il corpo organico estraneo, di cui ho esperienza, si rende noto progressivamente come vero corpo organico solo nel suo comportamento esteriore mutevole ma sempre concordante, che è tale da mostrare sempre il suo aspetto psichico alludente appresentativamente alla psichicità che deve ora comparire nella pienezza di 80 Hua I, p. 143 (MC, p. 134). Hua I, pp. 143-144 (Ibidem). 82 Hua I, p. 144 (Ibidem). 83 R. Bernet, Il mio tempo e il tempo dell’altro, in L. Ruggiu (a cura di), Filosofia del Tempo, B. Mondadori, Milano 1998, p. 196. «La natura di quest’alterità - aggiunge poi Bernet - rimane cionondimeno ambigua (…) il tempo è l’orizzonte primo che sovrasta ogni comparsa dell’alterità oppure, al contrario, è l’apparire dell’altro che conferisce senso al tempo?», ibidem, pp. 196-197. 81 24 una esperienza originale (…) Il carattere d’essere dell’estraneo - prosegue Husserl - si fonda su questo processo in cui l’originalmente irraggiungibile è raggiunto confermativamente (bewährbarer Zugänglichkeit des original Unzugänglichen)»84. Ciò non significa però che l’estraneo sia conosciuto nella sua originalità, ma solo consaputo nel modo del mio divenire certo di quel che mi si offre appercettivamente; il non esser dato mai in piena originalità è quello che denota il carattere essenziale della Fremderfahrung, ovvero il suo nucleo rappresentato dal non-io. «Ciò che mediante me stesso e la mia appartenenza è esperito nel modo derivato (fundierten) d’una esperienza che non può soddisfarsi primordinalmente e non si dà da sé in modo originale ma è indiziato da conferme conseguenti, è estraneo»85. Lo scarto temporale tra il non-io e il flusso costitutivo temporale-sintetico dell’io, non è quindi colmato. L’estraneo non diviene mai parte integrante della mia sfera appartentiva, ma «è pensabile solo come analogo della appartentività» 86, ossia come ego, che nell’ego viene a costituirsi secondo il senso di una modificazione intenzionale del mio mondo primordinale. Solo obliando il carattere del non-io nell’altro-io, e rendendo quest’ultimo, perciò, non più un estraneo in sé, ma solo un altro-me stesso, è possibile giustificare la relazione ego - alter ego. Il mio esser proprio può finalmente concepire in sé l’eventualità della formazione del senso altrui, come senso mai del tutto separato dal mio, con il quale infatti istituisce una «comunità funzionale»; posto nell’alveo della percezione, il senso dell’estraneo è ormai inserito entro la mia sfera di appartenenza e l’abisso è definitivamente colmato, o piuttosto, non ha ragione di essere. Questo non vuol dire, però, che l’altro si riduca a una mia immagine, poiché «non esclude che la sua intenzionalità trascenda la sfera della mia proprietà e quindi che il mio ego costituisca in sé un altro ego, anzi come effettivamente esistente (als seiendes)»87. L’enigma dell’altro-io è così dissolto, ma non può dirsi altrettanto dell’enigma dell’estraneo, del non-io, cui coincide il problema della temporalità del non-io, in forza della sua irriducibilità al flusso coscienziale egologico. Tuttavia, a questo punto della 84 Hua I, p. 144 (MC, p. 134, corsivo mio). Hua I, p. 144 (MC, pp. 134-135). Spiega Stefano Catucci che la nozione di Einfühlung è «fondamentale per la comprensione di ciò che in generale non è ‘originariamente accessibile’ alla coscienza pura, dunque per l’esperienza di ciò che è trascendente e che giunge al pensiero solo mediatamente, attraverso la sensibilità e l’empiria. Per Husserl l’Einfühlung è precisamente il principio che regola ogni forma di esperienza mediata», S. Catucci, La filosofia critica di Husserl, Guerini, Milano 1999, p. 155. 86 Hua I, p. 144 (MC, p. 135). 87 Hua I, pp. 152-153 (MC, p. 143). 85 25 Quinta meditazione, la differenza tra «estraneo» e «alter ego» è, nelle analisi di Husserl, solo nominale e i due termini sono sostanzialmente sinonimi. Caduta così la sottile distinzione concettuale tra «estraneo» e «altro» posta inizialmente da Husserl, distinzione che aveva nel concetto di temporalità estranea il punto di discrimine, la relazione fra ego e alter ego trova infine proprio nella dimensione temporale l’intimo anello di raccordo. Attraverso l’analogia con il processo che lega il passato al presente, Husserl afferma ora l’esistenza di una connessione «tra l’esperienza di sé da un lato che si svolge nell’attualità vivente senza interruzioni dell’io concreto (esperienza di sé che è manifestazione di sé originale e passiva) come sua sfera primordinale, e dall’altro lato la sfera dell’estraneo presentificata (vergegenwärtigten) in quella primordinale» 88. Lo stesso processo si ripete specularmente nella sfera primordinale dell’altro rispetto all’esperienza che esso ha della mia; in tal modo, Husserl mostra come la consapevolezza della comune appartenenza ad un unico mondo oggettivo passi attraverso l’intrecciarsi delle diverse temporalità egologiche l’una alle altre, ciascuna essendo «un modo originale e soggettivo-individuale di apparizione della temporalità oggettiva. Si vede qui - aggiunge Husserl - come la comunità temporale (die zeitliche Gemeinschaft) delle monadi, riferite costitutivamente l’una all’altra, sia indissolubile (untrennbar), perché è essenzialmente connessa alla costituzione del mondo e del tempo mondano» 89. La Fremderfahrung, così, non testimonia più la diacronia originaria fra io e non-io, poiché è diventata «una specie di empatia rivolta all’umanità culturale estranea e alla sua cultura» 90, dove la questione lasciata irrisolta da Husserl - dell’irrompere del non-io nella temporalità dell’io è messa da parte. «Questo perché – come spiega Derrida – la costituzione dell’altro e del tempo rinviano la fenomenologia ad una zona nella quale il suo ‘principio dei princìpi’ (secondo noi, il suo principio metafisico: l’evidenza originaria e la presenza della cosa stessa in persona) è radicalmente messa in discussione» 91. La Fremderfahrung, tuttavia, rimane il presupposto inindagato della teoria fenomenologica dell’intersoggettività, giacchè il momento originario dello schiudersi dell’orizzonte intermonadico è nel passaggio dalla presenza problematica dell’estraneo alla comprensione intenzionale dell’alter ego. 88 Hua I, p. 156 (MC, p. 146). Ibidem (Ibidem). Cfr. K. Held, Lebendige Gegenwart, op. cit., pp. 151-156. 90 Hua I, p. 162 (MC, p. 151). «Fin dall’epoca delle Meditazioni cartesiane, Husserl ha colto la portata della sua teoria dell’Einfühlung per una teoria della cultura e della vita sociale», P. Ricoeur, Husserl e il senso…, op. cit., p. 123. 91 J. Derrida, «Genesi e struttura»…, tr. it. cit., p. 212. 89 26 La comunità intersoggettiva trascendente-obiettiva si realizza così nella forma universale della temporalità mondana, la quale si costituisce nel suo valor d’essere all’interno del flusso temporale immanente di ogni singola coscienza. Il tempo immanente, a sua volta, si inscrive nella dimensione onnicomprensiva della temporalità trascendentale, dove si costituisce nella forma primaria del presente vivente. Pertanto, la questione del superamento del solipsismo trascendentale nel livello superiore dell’intersoggettività anch’essa trascendentale, non può prescindere dalla problematica fondamentale insita nella connotazione originariamente temporale della trascendentalità stessa, quale è emersa in particolare dalla lettura delle Meditazioni. La teoria dell’intersoggettività che Husserl elabora nell’ultima meditazione è del tutto priva della fondamentale tematica genetica in cui da ultimo si è sviluppata la fenomenologia delle Meditazioni. L’abbandono della prospettiva genetica e, quindi, dell’orizzonte temporale dove originariamente si colloca la soggettività nel suo essere trascendentale, comporta che la dimensione intersoggettiva determinatasi in relazione all’ego monadico - e solo indirettamente, perciò, all’ego trascendentale - non è in alcun modo originaria. In quanto costituzione di senso la Fremderfahrung rappresenta il grado più basso dell’esplicazione intenzionale del mondo oggettivo, in particolare «il grado di costituzione dell’altro o degli altri in generale che è il piano dell’ego escluso dal mio concreto esser proprio (ossia da me come ego primordinale)»92. Pertanto, il passaggio dall’estraneo all’alter ego avviene per mezzo di un’elevazione di senso compiuta sul fondamento dell’ego monade, e non dell'ego trascendentale, e si configura come il passaggio dal non-io primordinale all’altro-io primordinale, non potendo parlare mai, a rigore, di un non-io trascendentale. In una prospettiva fenomenologica, dunque, il carattere di estraneità che distingue l’altro dall’io, non si determina sulla base di un concetto di alterità radicale perché rientra pur sempre nell’ambito di un orizzonte intenzionale, ossia di un orizzonte di senso, secondo il quale l’altro è ciò che si costituisce come altro-per-un-io e non mai semplicemente altro-in-sé. σonostante ciò, o forse proprio per questo, l’estraneo non si dà mai nella sua originalità, ma solo nella forma, per così dire secondaria, dell’appresentazione presentificata entro la mia sfera – intenzionale - di appartenenza. Quindi, le mie sintesi costitutive riescono a dare senso e significato alla Fremderfahrung, al prezzo, però, di non comprenderla 27 originalmente. Questo vuol dire, allora, che lo scarto temporale caratterizzante originariamente l’esperienza dell'estraneo non può essere colmato mai del tutto, e preserva perciò la sfera originaria-soggettiva dell’altro rispetto al mio piano egologico primordinale. La relazione, che è di carattere essenzialmente intenzionale - e di altro genere non se ne potrebbe avere al livello fenomenologico – fa tuttavia dell’ego il termine costituente e dunque privilegiato dell’esperienza dell’altro, il quale resta pur sempre il prodotto delle mie operazioni temporali-sintetiche costitutive. Inoltre, la dimensione intersoggettiva, che si configura nella forma della intermonadicità ha sì origine, nel percorso temporale-genetico, dalla soggettività trascendentale, ma non si identifica perciò con essa. Intendo dire che la soggettività trascendentale, considerata in se stessa, ossia nell’originarietà della forma trascendentale del tempo, non giustifica né legittima alcuna possibilità di una «presenza» estranea e, pertanto, sembra non potersi configurare altrimenti che come un solipsismo trascendentale. D’altra parte, la soggettività fenomenologica si configura come «assoluta», ovvero esistente a prescindere dalle ‘cose’, come è emerso fin da Idee I (nulla ‘re’ indiget ad existendum)93, ma altresì a prescindere anche dall’alterità dell’altro, come si evince dalla Quinta meditazione. Il campo dell’esperienza dell’estraneo è parte del piano d’essere trascendentale-temporale del soggetto, da cui dipende secondo la relazione del conferimento di senso. Questa situazione appare coerente alla natura della coscienza in generale, anche da un punto di vista fenomenologico: seguendo Emmanuel Lévinas, si nota infatti che «inglobando il tutto nella sua universalità, la ragione si ritrova a sua volta nella solitudine. Il solipsismo non è né un’aberrazione, né un sofisma: è la struttura stessa della ragione. σon a causa del carattere ‘soggettivo’ delle sensazioni ch’essa combina, ma a causa dell’universalità della conoscenza, cioè del carattere illimitato della luce e dell’impossibilità per qualsiasi cosa di essere al di fuori» 94. Solo ridiscendendo ad un livello secondario, non originario, fondato, mediante la «autoappercezione mondanizzante» che dà l’ego monade concreto, si scorge la possibilità e in seguito la realizzazione dell’esperienza dell’estraneo e, infine, la formazione della comunità intermonadica, la cui struttura è eminentemente temporale. 92 Hua I, p. 137 (MC, p. 127). Cfr. E. Husserl, Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen Philosophie. I Buch, in «Husserliana» III, M. Nijhoff, Den Haag 1976, p. 115 (tr. it. Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, Libro primo, Einaudi, Torino 2002, p. 121). 94 E. Lévinas, Le Temps et l’Autre, Fata Morgana, Montpellier 1979 (tr. it., Il Tempo e l’Altro, il melangolo, Genova 1997, p. 37). 93 28 Un’attenta riconsiderazione della struttura originariamente temporale della soggettività, potrebbe offrire la possibilità di un ulteriore approfondimento della filosofia di Husserl e dei suoi punti più controversi. Dalle Meditazioni, infatti, emerge con chiarezza il fondamento temporale genetico della fenomenologia, che ne risulta investita in tutte le sue articolazioni principali, a partire dalla dimensione originaria della soggettività trascendentale fino a giungere al piano d’essere dell’intersoggettività. Il tempo, nella sua figura fondamentale della temporalità trascendentale - il cui rapporto con la lebendige Gegenwart rimane altamente problematico - e nelle figure fondate del tempo fenomenologico-immanente e del tempo obiettivo-trascendente, appare come un filo rosso che collega i diversi piani nei quali si sviluppa la riflessione fenomenologica, compresa la questione dell’alterità, giacché come il tempo è altro rispetto al soggetto trascendentale, così l’estraneo è temporalmente altro rispetto all’ego monade. «La coscienza trascendentale – scrive Bernet - è una vita in divenire il cui compimento è un evento temporale (…) L’essere della vita trascendentale è il movimento incessante della sua autotemporalizzazione» 95. In questo suo essere una struttura fondamentale della fenomenologia, perciò, ritengo che il tempo rappresenti il presupposto inindagato inindagato nelle sue profondità ultime - della filosofia husserliana, poiché in esso si inscrive il movimento originario della fenomenologia, ovvero l’autocostituzione della soggettività trascendentale. Penso si possa affermare, pertanto, che la relazione tra il soggetto e il tempo, quale è emersa in particolare dalla lettura che ho cercato di dare delle Meditazioni cartesiane, fondi originariamente la problematica fenomenologica, in cui la comprensione del soggetto è legata indissolubilmente alla comprensione del suo essere temporale. 95 R. Bernet, Il mio tempo…, op. cit., p. 185. 29