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U NIVERSITÀ D EGLI S TUDI D I N APOLI “FEDERICO II” D IPARTIMENTO DI S TUDI U MANISTICI Corso di Laurea in Filosofia TESI DI LAUREA in FILOSOFIA TEORETICA Mostrare il molteplice. A priori ed occasionalità in Husserl TUTOR: Ch.mo Prof. NICOLA RUSSO CANDIDATO: FRANCESCO PISANO Matr. N58/000823 A N N O A C C A D E M I C O 2014/2015 Se la coscienza sa qualcosa di sé prima di aver ridotto il suo mondo entro un proprio orizzonte di continuità e di “verità” immanente, allora la coscienza appare a sé stessa situata in un mondo in cui sorge a caso e a caso può anche sparire; intenzionalmente, però, la coscienza tende a invertire questo rapporto, e allora ciò che essa intenziona non può più essere qualcosa in cui essa debba imbattersi a caso, non può più essere una realtà “esterna”, un mondo in cui essa si sia semplicemente trovata a essere. La coscienza deve allora intenzionare possibilità di giudizi apodittici sul mondo, possibilità ideali di cui essa può vivere, ma che valgano a essa più che la sua stessa realtà, più che il suo “esserci”. È in funzione di queste possibilità che la nozione del tempo può cambiare di segno, cessando di essere quell'abisso che è per ogni pretesa di conoscenza razionale o “universale” in linea di principio. Andrea Vasa, Introduzione a L'idea della fenomenologia INTRODUZIONE Questa breve indagine si esaurisce nel tentativo di rilevare, in un luogo relativamente circoscritto dell'opera di Edmund Husserl, alcuni elementi utili per una riconsiderazione delle condizioni, dei limiti e delle pretese che oggi debbono caratterizzare il lavoro fenomenologico. Oggi (Heute) è, nel lessico di Martin Heidegger, un momento costitutivo di ciò a cui l'esserci è rimandato nel tentativo d'autocomprendersi, di farsi chiaro a sé stesso. Esso si fa visibile «come un carattere d'essere»1 dell'esserci che, quale Bewegtheit che ha da appropriarsi ogni volta del proprio essere, del proprio di-volta-in-volta-“Ci”2, fa filosofia soltanto nel momento in cui si prova nella radicalizzazione di tale autocomprensione in direzione della schiusura dell'esperienza effettiva della propria vita3. L'esserci che in questo modo è desto a sé stesso ed al proprio essere-nel-mondo «lavora nell'esser-adesso e non per l'eternità»4. Un tratto implicito, nelle considerazioni che seguono, è appunto l'assunzione preliminare di un concetto di filosofia quale gesto, sforzo d'autocomprensione, ed in senso ampio esercizio – nel modo in cui l'ha inteso Pierre Hadot5. Dunque non come dottrina applicata ad un'isolata teoria, o ad essa conseguente, ma quale prassi, quale «esperire conoscente»6, innervato da una teleologia immanente, reso fecondo dal suo «esserechiamato a una vita nell'apoditticità»7. L'eventuale emergere di elementi di interesse, nel corso di questa ricerca, dovrebbe verificarsi nell'orizzonte di un esame del nesso tra il vedere fenomenologico e questo modo d'intendere la filosofia; e, più specificamente, in direzione dell'affermazione dell'essenzialità, della costitutività di 1 2 3 4 5 6 7 Cfr. M. Heidegger, Ontologia. Ermeneutica della effettività, ed. it. a cura di E. Mazzarella, tr. di G. Auletta, Guida, Napoli 1992, p. 37. L'ed. or. è Ontologie. Hermeneutik der Faktizität, Gesamtausgabe Bd. 63, K. Bröcker-Oltmanns (hrsg.), Klostermann, Frankfurt am Main 1995. Altre traduzioni hanno reso Faktizität con fatticità; la scelta, teoreticamente rilevante, ha a che fare con il momento che il traduttore ritiene di dover enfatizzare in quella Faktizität che coinvolge, insieme e tuttavia in modi distinti, Dasein ed ente intramondano. Cfr. S. Lombardi, La nuova traduzione italiana di Essere e tempo di Alfredo Marini, in Giornale di filosofia, (settembre 2006), pp. 1-17, in part. p. 13, n. 51. Qui adotterò il suggerimento di E. Mazzarella e G. Auletta (cfr. G. Auletta, Nota del traduttore, M. Heidegger, Ontologia. Ermeneutica della effettività, cit., p. 113), rendendo Faktizität con effettività. Cfr. ivi, p. 37. Cfr. M. Heidegger, Introduzione alla fenomenologia della religione, in Id., Fenomenologia della vita religiosa, ed. it. a cura di F. Volpi, tr. di G. Gurisatti, Adelphi, Milano 2003, pp. 41-46. L'ed. or è Einleitung in die Phänomenologie der Religion, M. Jung, Th. Regehly (hrsg.), in Id., Phänomenologie des religiösen Lebens, Gesamtausgabe Bd. 60, M. Jung, Th. Regehly, C. Strube (hrsg.), Klostermann, Frankfurt am Main 1995. Cfr. E. Mazzarella, Ontologia come ermeneutica ed effettività dell'“Oggi”, in Id., Ermeneutica dell'effettività. Prospettive ontiche dell'ontologia heideggeriana, Guida, Napoli 1993, p. 51. Cfr. P. Hadot, La filosofia come modo di vivere. Conversazioni con Jeannie Carlier e Arnold I. Davidson, tr. it. di A. C. Peduzzi, L. Cremonesi, Einaudi, Torino 2008, pp. 119-122. Per una discussione più ampia circa il nesso tra esercizi spirituali e lavoro filosofico, cfr. Id., La filosofia come maniera di vivere, in Id., Esercizi spirituali e filosofia antica, ed. it. a cura di A. I. Davidson, tr. di A. M. Marietti, A. Taglia, Einaudi, Torino 2005. Cfr. M. Heidegger, Introduzione alla fenomenologia della religione, cit., p. 44. Cfr. E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, ed. it. a cura di E. Paci, tr. di E. Filippini, il Saggiatore, Milano 2008, p. 289. L'ed. or. è Die Krisis der europäischen Wissenschaften und die transzendentale Phänomenologie, in Philosophia, I (1936). 1 tale nesso. Che l'esercizio fenomenologico, proprio in quanto gesto dichiaratamente innaturale8, in quanto movimento esplicitamente riflessivo9, sia esercizio d'autocomprensione vivente; e che, come tale, sia viatico precipuo per la chiarificazione della condizione dell'uomo e per la rivitalizzazione dei suoi scopi più propri, secondo la traccia che Andrea Vasa descrive nel passo riportato in esergo: questa è la tesi qui suggerita, sebbene soltanto come direzione di un lavoro appena abbozzato in alcuni suoi tratti preliminari. Porsi oggi questo problema, anche indirettamente, significa anzitutto constatare che non ci è data una sola fenomenologia a cui fare riferimento: il corso del ventesimo secolo, in Europa e nel mondo, sembra quasi permeato da una cascata di rifrazioni e diffrazioni di un lavoro che, legandosi nei modi più diversi all'opera di Husserl, si autodefinisce fenomenologico – sicché è «piuttosto difficile reperire, nella storia della filosofia del Novecento, una corrente di pensiero che sia stata tanto diversificata e plurale quanto la fenomenologia»10. Volgendoci, all'inizio del ventunesimo secolo, a guardare alle meditazioni che sono fermentate e che ancora fermentano sotto questo nome, troviamo, insomma, una sorta di specchio ustorio, sul quale si concentrano e si dipanano i caratteri più importanti dell'ultimo secolo di storia del pensiero 11. Così, chi voglia interrogare la fenomenologia in rapporto ad una questione teoretica – quale è quella circa le sue condizioni di possibilità e le sue prerogative – dovrà tentare anzitutto di reperirne un nucleo operativo che possa riunire, come elemento comune, le svariate fenomenologie12. Tale peculiare spinta alla diversificazione è tanto forte da risalire la corrente dei successori sino ai diretti allievi di Husserl 13, e costitutiva di quest'esercizio al punto da rendere possibile che alcune tra le critiche più radicali ad esso mosse si definiscano comunque fenomenologiche – fino al caso di lettori decisamente eterodossi quali Heidegger14 e Derrida15. Il vedere fenomenologico, in quanto si propone anzitutto 8 9 10 11 12 13 14 15 Cfr. E. Husserl, L'idea della fenomenologia. Cinque lezioni [d'ora in poi, L'idea della fenomenologia] , ed. it. a cura di M. Rosso, tr. di A. Vasa, il Saggiatore, Milano 1988, p. 64. L'ed. or. è Die Idee der Phänomenologie. Fünf Vorlesungen, Husserliana Bd. 2, Nijhoff, Den Haag 1950. Cfr. ivi, p. 97. Cfr. A. Cimino, V. Costa, Introduzione, in A. Cimino, V. Costa (a cura di), Storia della fenomenologia, Carocci, Roma 2012, pp. 17-21, in part. pp. 17-19. Cfr. ivi, p. 17. Si tratta del complesso di tratti comuni che A.-T. Tymieniecka ha definito «fenomenologia autentica» o «fenomenologia in senso proprio». Su ciò, e rispetto al problema della “dispersione” della fenomenologia husserliana, cfr. A.-T. Tymieniecka, La fenomenologia come forza ispiratrice dei nostri tempi, tr. it. di D. Verducci, D. Mancini, in D. Verducci (a cura di), Disseminazioni fenomenologiche. A partire dalla fenomenologia della vita, eum, Macerata 2007, pp. 31-49. Cfr. A. Cimino, V. Costa (a cura di), Storia della fenomenologia, cit., p. 19. Cfr., ad es., la prima occasione nella quale Heidegger esplicita con tutta chiarezza e programmaticamente questo movimento rispetto al lavoro del maestro, in Ontologia. Ermeneutica della effettività, cit., p. 51: assunto che «ci si può appropriare della fenomenologia solo fenomenologicamente, cioè non ripetendo princìpi oppure credendo a dogmi scolastici, ma per mezzo della esibizione concreta», il risultato di quest'appropriazione mostrerebbe che la fenomenologia, per com'è intesa dagli allievi di Gottinga e finanche ormai dallo stesso Husserl, «è diventata la ruffiana del pubblico commercio dello spirito, fornicatio spiritus». Cfr., ad es., J. Derrida, J.-L. Marion, R. Kearney, On the gift. A discussion between Jacques Derrida and Jean-Luc Marion, in J. D. Caputo, M. J. Scanlon (ed. by), God, the Gift, and Postmodernism, Indiana University Press, Bloomington 1999, pp. 54-78, in part. p. 75: «ci sono molti luoghi nei quali [Levinas] afferma che dobbiamo andare fenomenologicamente al di là della fenomenologia. Questo è quello che anch'io cerco di fare. Io rimango e voglio 2 d'essere senza idee16, è in un certo senso vuoto, giacché disponibile ad accogliere impregiudicatamente ogni evidenza che ad esso dovesse presentarsi: troppo vuoto, soprattutto in Husserl, per contentarsi della cristallizzazione implicita nella pagina scritta 17; abbastanza vuoto, nel momento in cui riesce ad ottemperare alle sue pretese, da far ripetere l'esperienza di vita nuova che uno sguardo, a poco a poco liberatosi dalla coltre opaca che su di esso si è sedimentata, può garantire: l'esperienza della sorpresa implicata nella verità evidente, manifesta, che non trattiene nulla dietro di sé – l'esperienza ricercata in prima istanza dalla filosofia antica18. Se, con una certa prudenza, assumiamo preliminarmente che almeno il lavoro di Husserl possa far da base ad una chiarificazione del nucleo originario della fenomenologia, il carattere di vuotezza che abbiamo abbozzato si specificherà per noi, in prima istanza, nella forma di una costante emendabilità, di un reiterato esercizio di reinterpretazione, a partire dal quale Husserl rilegge costantemente sé stesso19. Numerosi lettori lato sensu interni alla fenomenologia hanno mosso le loro critiche al testo husserliano muovendo dalla stessa posizione – consegnandoci dunque varie e dissonanti autocomprensioni della fenomenologia e del suo rapporto con l'impostazione di pensiero del suo fondatore. Così dobbiamo osservare anzitutto che, domandandoci oggi della fecondità dell'esercizio teoretico di Husserl in rapporto alla questione prima rappresentata dall'autocomprensione dell'uomo, rispetto ad indagini più specifiche e più cariche di presupposti, essa ci si presenta per lo più come rinnegata, o perché superata da un'impostazione più radicale ed originaria, o perché risolta in molteplici operazioni critiche rispetto a regioni ben delimitate 16 17 18 19 rimanere un razionalista, un fenomenologo. […] Mi piacerebbe rimanere fenomenologico in quel che dico contro la fenomenologia». Nei limiti in cui è possibile avvicinare la figura del fenomenologo a quella, disegnata da F. Jullien, del saggio senza idee: «“Senza idee” significa che il saggio non è posseduto da nessuna, prigioniero di nessuna di esse. […] Non ne mette davanti nessuna. Ma si potrà evitare di farlo? Come potremmo avanzare senza avanzare niente? Eppure, non appena cominciamo ad avanzare una idea, ci dice la saggezza, è tutto il reale (o tutto il pensabile) ad arretrare di colpo […]. La prima idea avanzata ha rotto il fondo di evidenza che ci circondava; spuntando dall'una o dall'altra parte, ci ha fatto scivolare nell'arbitrario, ci ha inclinati da una parte, e l'altra è perduta, la caduta è irrimediabile» (cfr. F. Jullien, Il saggio è senza idee o l'altro della filosofia, tr. it. di M. Porro, Einaudi, Torino 2002, pp. 5-6). Cfr. A. Marini, Edith Stein e il «monogramma interiore» di Husserl, in E. Husserl, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo (1893-1917) [d'ora in poi, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo], ed. it. a cura di A. Marini, FrancoAngeli, Milano 2008, pp. 397-410. L'ed. or. è Zur Phänomenologie des Inneren Zeitbewusstseins: 1893-1917, Husserliana Bd. 10, R. Boehm (hrsg.), Nijhoff, Den Haag 1966. Cfr., a proposito di tutto ciò, il colloquio con A. Banfi ricordato da E. Paci in Diario fenomenologico, il Saggiatore, Milano 1961, pp. 84-88, ed il significativo rimando, circa la questione della vivezza dell'oralità contrapposta alla staticità della parola scritta, al platonico mito di Theut. Cfr. anche il commento che di questo passo fa V. Vitiello in Filosofia teoretica. Le domande fondamentali: percorsi e interpretazioni, Mondadori, Milano 1997, pp. 147-151. Si tratta di una caratteristica piuttosto nota del modo di lavoro di Husserl – ma forse, più di ogni altro rilievo testuale, vale la pena di ricordare, qui, un passo che, pur indirettamente, riesce a far emergere anche alcuni motivi psicologici relativi al rapporto di Husserl col proprio lavoro: «Di tanto in tanto, dopo lunghi sforzi, la chiarezza agognata ci fa segno, e noi crediamo i più splendidi risultati tanto vicini a noi da non aver che da tendere la mano. Tutte le aporie sembrano risolversi, il rasoio critico falcia le contraddizioni una dopo l'altra, nell'ordine, ed ecco che resta ancora un ultimo passo: tiriamo le somme e cominciamo con un “dunque” ben consapevole di sé. Ed ecco che scopriamo di colpo un punto nero, il quale diventa sempre più grande; cresce su sé stesso come un orribile mostro che ingoia tutti i nostri argomenti e richiama a nuova vita le contraddizioni appena falciate. I cadaveri si rizzano in piedi e ci guardano sghignazzando. Il lavoro e la lotta ricominciano da capo» (cfr. E. Husserl, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, cit., p. 368). 3 dell'esperienza umana – è il caso, rispettivamente, del modo in cui la fenomenologia ci è presentata all'interno della riappropriazione heideggeriana e della tradizione ermeneutica che da essa consegue20, e del modo in cui è praticata nell'ambito di una tradizione prima angloamericana, poi europea, come controproposta alle istanze scettiche nell'ambito della propedeutica teorica alle scienze positive21. L'ermeneutica, soprattutto in contesto francese, ha aperto fertili ed originali prospettive sull'esercizio fenomenologico, talvolta restituito al suo ruolo di abito operativo “forte”, capace d'affrontare e chiarire le più ampie e profonde questioni d'ambito teoretico 22. Ma tutto ciò s'è reso possibile a partire da una presa di distanza rispetto ad un punto decisivo dell'autocomprensione heideggeriana della fenomenologia23: cioè che la fenomenologia radicalizzata e trasparente a sé stessa debba fondarsi necessariamente sulla Seinsfrage, trovando in essa il suo problema ultimo24 e assegnandosi così il ruolo di metodo dell'ontologia 25. Com'è noto, il nesso tra fenomenologia e questione dell'essere è, in Heidegger, perno di una costruzione più ampia: sulla promessa mancata della fenomenologia, sul suo immiserirsi, dalle Logische Untersuchungen26 ad Ideen I – divenendo, 20 Cfr., ad es., E. Mazzarella, Ermeneutica e odologia. Ermeneutica fenomenologia storicità, in G. Cacciatore, P. Colonnello, D. Jervolino (a cura di), Ermeneutica Fenomenologia Storia, Liguori, Napoli 2001, pp. 145-158, pp. 145-158. In questo scritto, l'interpretazione heideggeriana del lavoro di Husserl, dispiegata nei suoi tratti critici, è altresì problematicamente ripresa all'interno di una più ampia distinzione tra una fenomenologia come metodologia fondazionale ed ipostatizzante il fenomeno in una presenza statica, ed una odologia fenomenologico-ermeneutica aperta all'«originario carattere di sorpresa dell'esperienza» (cfr. ivi, p. 152). La filosofia italiana, nello specifico, recepisce ed alimenta con forza quest'impostazione critica nei confronti della fenomenologia soprattutto a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, seguendo un percorso già disegnato da alcuni studiosi francesi (Lacan, LeviStrauss, poi Lyotard e Derrida) e sorretto da una vasta opera di traduzione dell'opera heideggeriana, attraverso gli studi dello stesso Mazzarella, come di Sini, Vattimo, Vitiello e Cacciari. Cfr., a questo proposito, C. Di Martino, Attualità della fenomenologia?, in Nóema, 3, 2012, pp. 30-37, in part. p. 30. 21 Cfr., ad es., tra i lavori di studiosi italiani, R. De Monticelli, Phenomenology today: a good travel mate for analytic philosophy?, in Phenomenology and mind, 1, 2011, pp. 20-32. Un'impostazione di questo tipo prosegue spunti emersi nel corso del primo grande assorbimento, da parte dell'accademia americana, del movimento fenomenologico europeo – a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, in un contesto dominato dal positivismo logico, dalle analisi linguistiche della scuola di Oxford e dal naturalismo filosofico (cfr. A.-T- Tymieniecka, The history of american phenomenology in-progress, in Analecta Husserliana. The yearbook of phenomenological research, XXVI (1989), pp. IX-XXVIII, in part. p. XII), fissandosi nel decennio successivo soprattutto sulla base del paradigma fenomenologico sistematico presentato in Ideen I (cfr. E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, I, Introduzione generale alla fenomenologia pura, ed. it. a cura di V. Costa, Einaudi, Torino 2002; l'ed. or. è Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen Philosophie. Erstes Buch: Allgemeine Einführung in die reine Phänomenologie, in Jahrbuch für Philosophie und phänomenologische Forschung, Niemeyer, Halle an der Saale 1913), e continuando, almeno fino alla fine del secolo, a fare da baluardo alle tradizioni filosofiche “non analitiche” – minoritarie, in quel contesto, rispetto alla combinazione rortyana di pragmatismo e scetticismo (cfr. D. Ihde, Consequences of phenomenology, State University of New York Press, New York 1986). Le tracce dell'importazione, in Europa, dell'anelito sistematico-trascendentale, volto alla pluralità delle scienze positive, che in qualche modo emerge da questo filone interpretativo, sono reperibili, ad esempio, nel già citato volume a cura di D. Verducci, Disseminazioni fenomenologiche. A partire dalla fenomenologia della vita. 22 C. Di Martino, Attualità della fenomenologia?, cit., pp. 33-34. 23 Cfr. M. Heidegger, Prolegomeni alla storia del concetto di tempo, ed. it. a cura di R. Cristin, A. Marini, il melangolo, Genova 1999, p. 99. L'ed. or. è Prolegomena zur Geschichte des Zeitbegriffs, Gesamtausgabe Bd. 20, P. Jaeger (hrsg.), Vittorio Klostermann, Frankfurt am Main 1994. 24 Cfr. ivi, pp. 165-168. 25 Cfr. Id., Essere e tempo, a cura di F. Volpi, Longanesi, Milano 2005, pp. 42-43. L'ed. or. è Id., Sein und Zeit. Erste Häfte, Niemeyer, Halle an der Saale 1927. 26 Cfr. E. Husserl, Ricerche logiche (2 voll.), a cura di G. Piana, il Saggiatore, Milano 2005. L'ed. or. è E. Husserl, Logische Untersuchungen. Erster Teil: Prolegomena zur reinen Logik, Niemeyer, Halle an der Saale 1900; Id., 4 da «Come dell'indagine» che ha in sé pretracciata la possibilità di sottrarre all'oblio il problema ontologico27, mera curiositas, «fornicatio spiritus» rovinata nel rassicurante da-fare mondano e dimentica del Vollzugsinn entro il quale ogni datità si offre nell'orizzonte dell'essere-nel-mondo 28 – egli costruisce la sua vasta visione critica della storia della filosofia, come storia della costruzione di «questo fantasma durissimo dell'Io teoretico»29; come storia, dunque, della metafisica, dell'oblio dell'essere30. Eppure, anche muovendo dalla stessa equazione – fenomenologia come apice della metafisica della presenza – un altro grande critico di Husserl ha visto nella fenomenologia una promessa ancora viva e determinante rispetto alla storia della metafisica, giacché proprio per via del fatto che con la fenomenologia saremmo giunti alla saturazione della metafisica, è possibile che essa faccia segno verso qualcosa d'altro31. Ma ciò a patto che essa sia restituita almeno per un momento a sé stessa, al di là della Seinsfrage32. La linea interpretativa che ha inteso la fenomenologia come teoria della scienza ha, dal canto suo, creato un nuovo linguaggio filosofico comune – almeno in Europa 33. E ciò in base al fatto che il compito che questa fenomenologia ha scelto per sé stessa consiste in una chiarificazione critica del linguaggio e dell'esperienza in funzione di sistemazioni scientifiche che la precedono – se non altro come definizione delle regioni rispetto alle quali discutere di una fenomenologia-di34 – e che, dal canto loro, costituiscono già un linguaggio comune. Sicché, ad esempio, una fenomenologia della mente non consisterebbe più nel tentativo di far comunicare fra loro i problemi dell'esercizio fenomenologico con quelli della teoria neuropsicologica della mente, svelando eventualmente un nuovo, comune percorso di ricerca: essa si risolverebbe, piuttosto, in un'analisi latamente “fenomenologica” dei risultati della scienza positiva di turno – sicché «la maggior parte delle sterili 27 28 29 30 31 32 33 34 Logische Untersuchungen. Zweiter Teil: Untersuchungen zur Phänomenologie und Theorie der Erkenntnis, Niemeyer, Halle an der Saale 1901. Cfr. M. Heidegger, Ontologia. Ermeneutica della effettività, cit., p. 76. Cfr. ivi, p. 51. Cfr. E. Mazzarella, Ermeneutica e odologia. Ermeneutica fenomenologia storicità, cit., p. 150. Cfr. M. Heidegger, Il lavoro di ricerca di Wilhelm Dilthey e l'attuale lotta per una visione storica del mondo , ed. it. a cura di F. Donadio, Guida, Napoli 2001, pp. 56-57. L'ed. or. è: Wilhelm Diltheys Forschungsarbeit und der gegenwärtige Kampf um eine historische Weltanschauung. 10 Vorträge (gehalten in Kassel vom 16-21 April 1925), Nachschrift von W. Bröcker, F. Rodi (hrsg.), in Dilthey-Jahrbuch, 8 (1992/93). Cfr. J. Derrida, La forma e il voler-dire, in Id., Margini della filosofia, ed. it. a cura di M. Iofrida, Einaudi, Torino 1977, pp. 209-231, in part. p. 230, n. 1. Cfr. anche V. Costa, Volerne sapere. Intenzionalità e produzione di significato, in J. Derrida, La voce e il fenomeno. Introduzione al problema del segno nella fenomenologia di Husserl, ed. it. a cura di G. Dalmasso, Jaca Book, Milano 2010, pp. 147-173, in part. pp. 152-153. Del resto, proprio un legame costitutivo tra fenomenologia e questione dell'essere potrebbe pregiudicare la libertà della prima rispetto alla metafisica – e proprio nei termini in cui questa è definita da Heidegger. Cfr. N. Russo, La cosa e l'ente. Verso l'ipotesi ontologica, Cronopio, Napoli 2012, pp. 42-43, n. 11: «L'atto noetico rimane, proprio in tal senso, strettamente ontologico, ossia inscindibilmente relato ad un essente come suo riferimento esterno, così come lo è ancora in Husserl. Proprio per tale ragione appare impossibile un'intenzione dell'essere quando esso sia posto enfaticamente come non-essente: a rigore, proprio heideggerianamente, voler “sensare l'essere” significa essere rimasti nell'oblio dell'essere, della differenza ontologica». Circa la struttura dell'intenzionalità in Husserl, in Heidegger e nell'interpretazione heideggeriana di Husserl, e su ciò che ne consegue riguardo le modalità della Sinngebung e dunque rispetto alla Seinsfrage, cfr. V. Vitiello, Alla radice dell'intenzionalità: Husserl e Heidegger, in Heidegger a Marburgo (1923-1928), a cura di E. Mazzarella, il melangolo, Genova 2006, pp. 127-154. Cfr. R. De Monticelli, Phenomenology today: a good travel mate for analytic philosophy?, cit., p. 28. Cfr. ivi, p. 29. 5 discussioni accademiche sul tipo di Weltanschauung compatibile con la fenomenologia»35 non avrebbero più motivo d'aver corso. E siccome ormai siamo coscienti, nel compiere un primo gesto d'attenzione nei confronti dei saperi positivi, che «nessuno ha bisogno della filosofia per riflettere su una cosa qualsiasi, […] perché né i matematici in quanto tali hanno mai atteso i filosofi per riflettere sulla matematica, né gli artisti sulla pittura o sulla musica» 36, a queste condizioni una fenomenologia, come tale, non ha cittadinanza alcuna, potendo la pratica critica essere affidata ai singoli specialisti che di volta in volta riflettano su linguaggi e strumenti del proprio lavoro. E tuttavia, in questo modo, delle possibili questioni rimarrebbero non indagate – tra le altre, ad esempio, proprio quella della Weltanschauung della fenomenologia; sicché chi volesse porsele dovrebbe comunque tentare d'esercitare, guardando ad esse, una visione impregiudicata rispetto al modello di rigore scientifico proposto dai saperi positivi37. Se «il fatto di dovere sempre di nuovo fare chiarezza sulla propria essenza costituisce un difetto per la filosofia solo se si assume come norma l'idea della scienza» 38, e se anzi quest'autocritica perpetua ed immanente alla prassi filosofica costituisce il principio d'identità della filosofia rispetto alle altre pratiche conoscitive esercitate dall'uomo, possiamo senz'altro tornare a considerare l'instancabile fatica di Husserl come appartenente al lavoro filosofico stricto sensu. Ma non soltanto: ora l'esperienza ricordata da Paci, quel vedere veramente un vaso, ritorna a noi con i tratti più propri della filosofia fenomenologica, quale esperienza viva, aperta, ripetibile, e-ducativa39. Questa consapevolezza ci spinge a riequilibrare, ridimensionandolo, il peso che scritti come Ideen I e Philosophie als strenge Wissenschaft40 si ritrovano assegnato nell'economia complessiva del progetto fenomenologico a partire dalle interpretazioni a cui s'è accennato – soprattutto rispetto ai momenti in cui Husserl sembra parlare quasi ex cathedra41, mosso da intenti programmatici più che dall'analisi concreta. La messa in rilievo di alcuni elementi del testo husserliano risponderà, nel corso di questo lavoro, proprio all'intento di reperire alcuni spunti problematici che, tendenzialmente aggirati da Husserl, tornano ad imporsi più volte al suo sguardo – da Espressione e significato42 fino agli ultimi appunti 35 Cfr. ibidem. 36 Cfr. G. Deleuze, F. Guattari, Che cos'è la filosofia?, ed. it. a cura di C. Arcuri, tr. di A. De Lorenzis, Einaudi, Torino 1996, p. XIV. 37 Cfr., ad es., la volontà di fuggire i «vicoli ciechi» in R. De Monticelli, Phenomenology today: a good travel mate for analytic philosophy?, cit., p. 29 e, all'opposto, l'attribuzione heideggeriana di una circolarità costitutiva all'idea di scienza originaria (cfr., ad es., M. Heidegger, L'idea della filosofia e il problema della visione del mondo, in Per la determinazione della filosofia, ed. it. a cura di G. Cantillo, tr. di G. Auletta, Guida, Napoli 1993, p. 28; l'ed. or. è Die Idee der Philosophie und das Weltanschauungsproblem, in Id., Zur Bestimmung der Philosophie, Gesamtausgabe Bd. 56/57, B. Heimbüchel (hrsg.), Klostermann, Frankfurt am Main 1987). 38 Cfr. M. Heidegger, Introduzione alla fenomenologia della religione, cit., p. 39. 39 Cfr. V. Vitiello, Filosofia teoretica. Le domande fondamentali: percorsi e interpretazioni, cit., p. 149. 40 Cfr. E. Husserl, La filosofia come scienza rigorosa, tr. it. di C. Sinigaglia, Laterza, Bari 2010. L'ed. or. è E. Husserl, Philosophie als strenge Wissenschaft, in Logos, I, 1910-11, pp. 289-341. 41 Cfr. E. Melandri, Logica e esperienza in Husserl, Il Mulino, Bologna 1960, pp. 3-4. 42 Cfr. E. Husserl, Espressione e significato, in Id., Ricerche logiche, I, cit., pp. 289-373. 6 legati alla questione della coscienza interna del tempo ed alla parte conclusiva delle Vorlesungen del Wintersemester 1904-1905, intitolate agli Hauptstücke aus der Phänomenologie und Theorie der Erkenntnis43; dunque a quelle note lezioni, tenute a Gottinga nel febbraio 1905, nel corso delle quali il tempo è per la prima volta esplicitamente tematizzato in ambito fenomenologico 44. Ho inteso circoscrivere l'ambito d'indagine ad un intervallo cronologico che termina a ridosso dell'ultima fase del lavoro husserliano a Gottinga, caratterizzata tanto dall'impegno per rispondere all'anelito sistematico espresso in Philosophie als Strenge Wissenschaft, ed alla fama che nell'ambiente accademico tedesco ne è conseguita45, quanto dalle prime discrepanze all'interno del gruppo di studiosi strettosi negli anni precedenti attorno a Husserl46. Dovrebbe risultarne la possibilità d'intravedere quasi una forza propulsiva ctonia, per così dire, che scorrendo al di sotto delle uraniche sistemazioni perseguite in quegli anni, non soltanto annuncia futuri rivolgimenti, ma smussa già la possibilità stessa di una fenomenologia trascendentale retta sullo schema contenuto apprensionale - apprensione47. Ho scelto di rilevare le tracce dissonanti rispetto a questa semplificazione a partire dall'inaggirabile contingenza delle espressioni essenzialmente occasionali (wesentlich okkasionelle Ausdrücke) nell'ambito del tentativo di definizione di strutture formali di relazione tra espressione e significato, per proseguire poi – attraverso una caratterizzazione della struttura dell'atto intenzionale e del problema dell'individuazione, che da questa stessa struttura è lasciato in sospeso, al termine delle Ricerche – verso la radicale, massima contingenza dell'ora (Jetzt), del tempo della percezione che, come tale, rimane uno problemi più profondi per una scienza delle essenze e non dei dati di fatto. Cercherò dunque di dimostrare, in modo auspicabilmente più cogente e dettagliato, due specifiche tesi: che fin dalle Ricerche logiche, la fenomenologia, ancorché statica, deve necessariamente farsi carico dell'infinita contingenza del fattuale, anche soltanto per ingegnarsi ad allontanarla da sé; che questo luogo problematico è un nucleo, e non una periferia, della definizione che la fenomenologia deve dare di sé stessa, poiché la decisione in esso presa decide, ad un tempo, dell'integrale statuto del vedere fenomenologico. Il rischio e la fecondità di un ripensamento radicale risulterebbero, così, vivi e presenti anche nel momento di maggiore cristallizzazione apparente del progetto della fenomenologia. 43 Edite in E. Husserl, Wahrnehmung und Aufmerksamkeit. Texte aus dem Nachlass (1893-1912), Husserliana Bd. 38, U. Melle (hrsg.), R. Bernet , Springer, Dordrecht 2004. 44 Lezioni che compongono una parte dei manoscritti riuniti nell'ed. it. sotto il titolo di Lezioni sulla fenomenologia della coscienza interna del tempo dell'anno 1905, in E. Husserl, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo (1893-1917), cit., pp. 43-121. Per un'esposizione della storia editoriale di questo testo, cfr. infra, p. 50, n. 42. 45 Cfr. W. Henckmann, La filosofia come scienza rigorosa, tr. it. di G. Rizzo, in Idee, 50/51 (2002), pp. 17-32. 46 Cfr. infra, p. 8, n. 1 e p. 46, n. 18. 47 Cfr. infra, p. 36. Per una critica all'interpretazione della fenomenologia che vede in essa un sistema basato sul conferimento di un significato a sensazioni pure, sulla messa in ordine di un'assoluta ὕλη da parte di una μορφή intenzionale, cfr. V. Vitiello, Alla radice dell'intenzionalità: Husserl e Heidegger, cit., pp. 128-129. 7 I. PROPOSTE E PROBLEMI NELLE RICERCHE LOGICHE § 1. Contesto e programma delle Ricerche logiche È forse opportuno accostarsi alle Ricerche logiche anzitutto attraverso alcuni accenni al contesto storico e problematico in cui questo lavoro viene alla luce. Nel semestre estivo del 1919 Martin Heidegger tiene, dopo il ritorno dal fronte, il suo secondo corso come libero docente a Friburgo. Collabora da pochi mesi con Edmund Husserl, da due anni ordinario in quell'ateneo nonché, per molti, già “maestro”1 ed iniziatore di un movimento di pensiero tanto fecondo quanto ancora impegnato – come, presumibilmente, sarà sempre – a definirsi e svilupparsi. In un appunto scritto per quelle lezioni, Heidegger si propone, come «autentica intenzione del corso», di impostare una «critica fenomenologica della filosofia trascendentale dei valori»2. Critica articolata in uno schema dicotomico: al nucleo problematico e teoretico è propedeutica, infatti, un'esposizione storica. Proprio nel dispiegarsi di quest'illustrazione – che vorrebbe mostrare l'emersione, tra l'Illuminismo e Rickert, della cosiddetta filosofia dei valori – Heidegger racconta dell'innovazione rappresentata dalla fenomenologia. Muovendo dai punti di contrasto che essa presenta rispetto al neokantismo del Baden, egli le attribuisce un ruolo rivoluzionario nella storia delle idee. E ciò mediante le Ricerche logiche: poiché è con quest'opera che, per Heidegger, Husserl entra nella storia della filosofia europea. Il giovane docente considera gli sviluppi più recenti e radicali del neocriticismo sulla base di un confronto tra la seconda e la terza edizione di Der Gegenstand der Erkenntnis di Rickert, suo primo maestro a Friburgo. L'influenza della fenomenologia su tali sviluppi sarebbe infatti avvertibile proprio nelle differenze tra queste due versioni – l'una del 1904, l'altra del 1915. Se una fondata 1 Così Husserl, fin dai tempi di Gottinga, era chiamato dai suoi allievi più vicini. Cfr. A. Marini, Edith Stein e il «monogramma interiore» di Husserl, cit. Marini ricorda alcuni passi, tratti dallo scambio epistolare tra Roman Ingarden ed Edith Stein, dai quali emerge tutta la complessità del rapporto di Husserl coi propri studenti. Cfr. E. Stein, Edith Stein on her activity as an assistant of Edmund Husserl (Extracts from the letters of Edith Stein with a commentary and introductory remarks), ed. by R. Ingarden, in Philosophy and phenomenological research, XXIII, 1962, p.164, in cui ad esempio si legge: «...perché è garantito che il Maestro, da solo, non pubblicherebbe più nulla di nulla...». In effetti, è con il consolidarsi del programma husserliano a Friburgo che, paradossalmente, la tenuta interna della scuola fenomenologica comincia a deteriorarsi: dalla coesione della cosiddetta München-Göttingen Phäenomenologie si giunge ad un esplicito distacco, da parte dei monacensi, dopo la pubblicazione di Ideen I (1913) nello stesso numero inaugurale dello Jahrbuch für Philosophie una phänomenologiche Forschung che Reinach, Geiger, Pfänder e Scheler avevano pensato come punto di convergenza per il lavoro comune condotto dai singoli fenomenologi. La scuola di Friburgo operò con modalità diverse rispetto a quella di Gottinga. Pur coesi da un tentativo di difesa dei nuovi sviluppi del percorso di Husserl, i singoli lavori procedettero in un'atmosfera di più marcato isolamento. La scuola di Monaco-Gottinga, dal canto suo, continuò a concentrarsi tanto su una “realistica” analisi eidetica delle essenze, quanto su temi di estetica e filosofia della natura. Cfr. A. Pinotti, I centri fenomenologici: Monaco, Gottinga e Friburgo in Brisgovia, in A. Cimino, V. Costa (a cura di), Storia della fenomenologia, cit., pp. 113-128. 2 M. Heidegger, Fenomenologia e filosofia trascendentale dei valori, in Id., Per la determinazione della filosofia, cit., pp. 121-202, in part. p. 128. L'ed. or. è Phänomenologie und transzendentale Wertphilosophie, in Id., Zur Bestimmung der Philosophie, Gesamtausgabe Bd. 56/57, B. Heimbüchel (hrsg.), Klostermann, Frankfurt am Main 1987. 8 cautela storiografica induce Heidegger a limitare gli influssi fenomenologici sul testo del '15 a quelli provenienti dalle Ricerche del 1900-1901, anche il successivo rilievo critico impiega strumenti teoretici ricavati soprattutto dai due volumi husserliani. La messa a problema del concetto rickertiano di verità come valore inerente al giudizio ha infatti la sua matrice, in buona sostanza, nelle posizioni esposte nei Prolegomeni ad una logica pura3. Il corso del '19, non dedicato tematicamente alla storia della fenomenologia, presenta consapevolmente le Ricerche logiche sotto una luce unilaterale. In realtà il rapporto col neokantismo innerva, anche fecondandolo, il lavoro lì condotto. Il senso complessivo di questo «inizio»4 va dunque ricercato nel punto d'incontro tra vie molteplici, più che lungo un solo tracciato. Vie disegnate all'interno di una fitta selva di insegnamenti e discepolati comuni 5. È ancora 3 Le due edizioni sono H. Rickert, Der Gegenstand der Erkenntnis: Einführung in die Transzendentalphilosophie, Mohr, Tübingen 1904; Id., Mohr, Tübingen 1915. Prima edizione era stata Der Gegenstand der Erkenntnis. Ein Beitrag zum Problem der Philosophischen Transzendenz, Wagner, Freiburg 1892. Sulla teoria rickertiana del giudizio, cfr. H. Rickert, Zwei wege der Erkenntnistheorie, in Kant-Studien, XIV, 1909, pp. 169-171, cit. in G. Gigliotti, Il neocriticismo tedesco, Loescher, Torino 1983, pp. 225-229. In questo passo leggiamo che, «rispetto alla verità, conoscere non è rappresentare, bensì affermare o negare […]. L'oggetto deve rivolgersi al soggetto che conosce come un'esigenza, cioè come qualcosa che chiede approvazione. Abbiamo ottenuto così il concetto più generale dell'oggetto della conoscenza. Ciò che è conosciuto, che è cioè affermato o riconosciuto nel giudizio, deve trovarsi nella sfera del dover essere». Cfr. E. Husserl, Prolegomeni a una logica pura, cap. VIII, § 49, in Id., Ricerche logiche, I, cit., pp. 188-189. Rileva il fatto che Heidegger, articolando questa critica, sia ben consapevole di come il neokantismo badense abbia guadagnato il più elevato confronto con la fenomenologia husserliana soltanto attraverso le opere di Emil Lask (si veda, ad es., M. Heidegger, Essere e tempo, cit., p. 264, n. 34). Quanto ampia sia l'influenza laskiana sul giovane Heidegger si comprende da Die Lehre vom Urteil im Psychologismus, Barth, Leipzig 1914 (ed.. it. a cura di A. Babolin, La dottrina del giudizio nello psicologismo, La Garangola, Padova 1972) – summa del retroterra filosofico neokantiano, a partire dal quale Heidegger ritorna ad Husserl dopo il primo, giovanile, incontro con Brentano – ma anche dallo scritto di abilitazione del 1916, Die Kategorien- und Bedeutungslehre des Duns Scotus, Mohr, Tübingen 1916 (ed. it. a cura di A. Babolin, La dottrina delle categorie e del significato in Duns Scoto, Laterza, Bari 1974). Lask è, in effetti, una guida per Heidegger sin dagli anni della formazione universitaria – dal 1909 al 1913 – a Friburgo, e tracce del suo magistero emergono chiaramente dai primi brevi scritti che il laureando comincia a pubblicare, dal 1912, su rivista: su quest'aspetto del rapporto LaskHeidegger cfr., in part., U. Iannicelli, Le Ricerche logiche di Martin Heidegger. Logica e verità tra fenomenologia e filosofia trascendentale [d'ora in poi, Le Ricerche Logiche di Martin Heidegger], Giannini, Napoli 2009, pp. 20-42. In T. Kisiel, The genesis of Heidegger's Being and Time, University of California Press, Berkeley 1995, p. 25, si legge un commento di Rickert allo scritto di abilitazione di Heidegger: «[Heidegger] è, in particolare, molto in debito con agli scritti di Lask tanto per il suo orientamento filosofico quanto per la sua terminologia, forse più di quanto egli stesso ne sia cosciente». Cfr., rispetto all'influenza di Lask su Heidegger e ai rilievi critici mossi da Heidegger a Lask, S. Galt Crowell, Husserl, Heidegger and the space of meaning, Northwestern University Press, Evanston 2001, pp. 78-89. Per una breve illustrazione dei rapporti tra Husserl e Lask – albeggianti fin dal 1902 e aventi corso a pieno regime almeno dal 1910 – e delle influenze di quest'ultimo su Rickert, cfr. ivi, p. 272, n. 2; K. Schumann, B. Smith, Two idealisms: Lask and Husserl, in Kant-Studien, 83, 1993, pp. 448-466. 4 E. Husserl, Prefazione alla seconda edizione in Id., Ricerche logiche, I, cit., pp. 6-14, in part. p. 6. 5 Emblematico, in questo senso, il comune magistero di Trendelenburg per Brentano e Dilthey; o, ancora, lo stretto contatto di Windelband tanto con Brentano quanto con Lotze, a sua volta allievo di Fechner, il cui concetto di vita psichica è oggetto principale dei rilievi critici esposti nelle Idee diltheyane del 1894; e, infine, il fatto che con Rickert abbiano studiato sia Lask che Heidegger – il quale da parte sua ricorderà, ancora nel 1968 (cfr. M. Heidegger, Il mio cammino di pensiero e la fenomenologia, ed. it. a cura di E. Mazzarella, in Id., Tempo ed essere, Guida, Napoli 1991, p. 190-191; l'ed. or. è Mein Weg in die Phänomenologie, in Id., Zur Sache des Denkens, Niemeyer, Tübingen 1969), come sia stata proprio la lettura della dissertazione di Franz Brentano, Von der mannigfachen Bedeutung des Seienden nach Aristoteles, Herder, Freiburg 1862 (ed. it. a cura di G. Reale, Sui molteplici significati dell'essere secondo Aristotele, EDUCatt, Milano 2012) a preparare il suo incontro con le Ricerche logiche. Sul rapporto del giovane Heidegger con Brentano, cfr. anche F. Volpi, Heidegger e Aristotele, Laterza, Bari 2010, pp. 19-29; sul rapporto del giovane Heidegger con Dilthey cfr. invece E. Mazzarella, Heidegger a Friburgo, in Id., Ermeneutica dell'effettività. Prospettive ontiche dell'ontologia heideggeriana, cit., pp. 19-45. La ricezione di Dilthey da parte dello Heidegger maturo è invece discussa in Id., Per una storia della metafisica tra 9 un'interpretazione heideggeriana6 a fornirci il necessario abbrivio: intese anzitutto nella loro opposizione al neokantismo, le Ricerche logiche risultano, in ultimo, la più pregnante obiezione al positivismo ottocentesco, che nella riduzione della filosofia kantiana a teoria dell'esperienza scientifica troverebbe il suo apice; sicché la loro genesi dovrà essere studiata a partire dai precedenti tentativi di resistenza al dominante paradigma naturalista. È muovendo da Brentano che possiamo cominciare a seguire il principale di questi tentativi. Principale in virtù della diretta e decisiva influenza brentaniana nella formazione di Husserl – che nel 1884, da poco addottoratosi in matematica, segue a Vienna le lezioni di Brentano ed i suoi seminari dedicati a filosofia, logica e psicologia7. La Psychologie vom empirischen Standpunkt, pubblicata nel 1874 come primo volume di un più ampio progetto, costituisce un riferimento ed un punto d'avvio per comprendere di cosa Brentano stia trattando in quegli anni. Ed è proprio l'incompletezza del progetto del maestro ad offrirci uno spunto chiarificatore sull'operato della sua scuola, nel cui ambiente – popolato da studiosi come Meinong, Stumpf e Twardowski – si sviluppano gli studi di Husserl sui problemi della matematica, poi volti in direzione della più ampia questione della logica. Dopo il volume del '74, di carattere metodologico, un secondo libro (Von der Klassifikation der psychischen Phänomene) è dato alle stampe nel 1911; delle altre quattro parti previste, e assegnate alla trattazione genetico-fisiologica dello psichico, v'è traccia solo in alcuni appunti pubblicati postumi, e destinati probabilmente al terzo volume. Già dagli anni '80 Brentano si sta impegnando nel tentativo di una morfologia descrittiva della vita psichica, spinto dalla necessità di una critica rigorosa dei modelli ottocenteschi di psicologia 8. Ad un discorso che fa della percezione interna una rappresentazione presente alla coscienza allo stesso modo in cui ci è presente la rappresentazione dell'oggetto esterno, dovrà essere opposta una Otto e Novecento: il paradigma diltheyano, in Id., Storia metafisica ontologia. Per una storia della metafisica tra Otto e Novecento, Morano, Napoli 1987, pp. 9-49, in part. pp. 38-41. Per una ricostruzione completa dei rapporti fra Husserl e Ditlhey, cfr. R. Cristin, Fenomeno storia. Fenomenologia e storicità nel giovane Dilthey, Guida, Napoli 1999; un confronto critico che tenga in particolare considerazione la questione che ad un tempo trattiene insieme e separa le due riflessioni – il rapporto tra ragione e vita – si trova in G. Cacciatore, Il fondamento dell'intersoggettività tra Dilthey e Husserl, in Id., Storicismo problematico e metodo critico, Guida, Napoli 1993, pp. 249-287. Rimane decisiva, nonostante la sua brevità, la corrispondenza che Husserl e Dilthey tengono nelle prime settimane dell'estate 1911: già nelle motivazioni che la iniziano – gli espliciti rilievi critici avanzati da Husserl in Philosophie als strenge Wissenschaft, ai quali ora Dilthey sente di voler rispondere – è chiara la ricchezza di tensioni ed affinità che intercorrono tra i due pensatori. L'ed. it. del carteggio (W. Dilthey, E. Husserl, Carteggio Dilthey-Husserl giugno-luglio 1911, in B. M. D'Ippolito, Il sogno del filosofo. Su Dilthey e Husserl, Morano, Napoli 1987, pp. 171-185) è preceduta da un saggio che segue gli echi dell'impegno diltheyano rispetto al carattere etico del legame tra uomo e storia, risuonanti in Husserl fino ai suoi ultimi scritti (cfr. ivi, pp. 1-170). 6 Interpretazione che permane come acquisizione costante anche nella maturità. Cfr. M. Heidegger, Il mio cammino di pensiero e la fenomenologia, cit., pp. 193-194 , e M. Heidegger, Zähringen 1973, ed. it. a cura di di F. Volpi, in Id., Seminari, Adelphi, Milano 2003, pp. 147-153. L'ed. or. è Zähringen 1973, in Id., Seminare, Gesamtausgabe 15, C. Ochwadt (hrsg.), Klostermann, Frankfurt am Main 1986. 7 Una cronologia della vita e dell'insegnamento di Husserl si trova in R. Bernet, I. Kern, E. Marbach, Edmund Husserl, ed. it. a cura di C. La Rocca, Il Mulino, Bologna 1992, pp. 303-314. Cfr., per un elenco completo delle lezioni di Brentano a cui Husserl prese parte, G. Iocco, Profili e densità temporali. Edmund Husserl e la forma della coscienza (1890-1918) [d'ora in poi, Profili e densità temporali], Mimesis, Milano 2013, pp. 15-16, n. 3. 8 Emblema di tale sforzo rimane appunto la celebre Psychologie vom empirischen Standpunkt, Felix Meiner Verlag, Hamburg 1874. 10 riflessione sulla peculiarità dello psichico; allo stesso discorso, se intende riferire il costituirsi di queste rappresentazioni ad un'esplicazione fisiologica, dovrà essere anteposta una descrizione dell'articolazione interna di questi fenomeni. Le ricerche di Brentano aprono, in effetti, la strada ad una serie di scritti accomunati tanto dalla polemica con la tradizione psicologica empirista, quanto dall'ambizione di delineare una psicologia descrittiva che mostri ciò che immediatamente è dato alla coscienza: è il caso, ad esempio, dei lavori di Bergson, James e Dilthey 9. L'oggetto psichico non può più essere colto in quanto ambiguamente presente in un contraddittorio “spazio di coscienza”; piuttosto, esso va inteso come manifestantesi a partire da ciò che è vissuto10 all'interno di una connessione temporale, nel cui sviluppo agisce un complesso di motivi vitali, intellettuali quanto patici e volitivi. Un decorso di momenti di cui dev'essere possibile un'ostensione analitica che non elida il profondo nesso tra i molteplici elementi che in essa si mostrano. Un decorso psichico i cui vissuti esibiscono oggetti organizzati in una morfologia esatta dovrà essere, conseguentemente, un decorso organizzato da leggi dell'esperienza toto caelo. Ed il corso dell'esperienza, a sua volta, non potrà più limitarsi a restituire immagini, rappresentazioni, idee 11: 9 Si pensi, ad es., a H. Bergson, Essai sur les données immédiates de la conscience, Alcan, Paris 1889; W. James, Principles of psychology, Holt, New York 1890; W. Dilthey, Ideen über eine beschreibende und zergliedernde Psychologie (1894), in Id., Gesammelte Schriften - Band 019, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1997. Molte sono le testimonianze di un intenso rapporto tra James e la scuola brentaniana: nel 1892, ad esempio, A. Marty recensisce approfonditamente i Principi. Cfr. S. Poggi, L'intenzionalità della coscienza dopo Brentano e prima di Husserl, in A. Cimino, V. Costa (a cura di), Storia della fenomenologia, Carocci, Roma 2012, pp. 37-55, in part. pp. 44-46. Per uno studio sulle fonti tedesche di Bergson e sulla diffusione del suo pensiero in Germania, cfr. C. Zanfi, Bergson e la filosofia tedesca. 1907-1932, Quodlibet, Macerata 2013. La prima diffusione della riflessione di Bergson nei principali atenei tedeschi è qui circoscritta tra il 1907 e il 1914. Accolta soprattutto dagli ambienti avversi al neokantismo, essa si declina, mediante interazioni differenti, come prossima all'idealismo e al misticismo (Jena), come filosofia della vita (Berlino), come visione naturalista della storia e della morale (Heidelberg e Gottinga, dove Scheler ne dà anche una lettura anticapitalista). Sul rapporto tra Husserl e Bergson, cfr. J. Hering, La phénoménologie d'Edmund Husserl il y a trente ans. Souvenirs et réflexions d'un étudiant de 1909, in Revue internationale de Philosophie, I/2, 1939, p. 368, n. 1: da questo breve ricordo si evince come Husserl non avesse quasi alcuna contezza della ricerca del pensatore francese fino al 1911, anno in cui ascoltò la dissertazione che A. Koyré presentò sull'argomento alla Società filosofica di Gottinga – dopo la quale dichiarò, riferendosi alla scuola fenomenologica di Monaco-Gottinga, che «i bergsoniani coerenti siamo noi!». 10 L'introduzione, nel lessico filosofico tedesco ed europeo, del termine Erlebnis – traducibile come “esperienza vissuta”, “vissuto” – si deve a Dilthey, ed in particolare al suo Esperienza vissuta e poesia (W. Dilthey, Das Erlebnis und die Dichtung, Teubner, Leipzig 1906; ed. it. a cura di di N. Accolti Gil Vitale, Esperienza vissuta e poesia, il melangolo, Genova 1999). La prima definizione di Erlebnis risale però al secondo dei tre Studi per la fondazione delle scienze dello spirito, presentato all'Accademia prussiana delle scienze il 23 marzo 1905. Qui si dice che «L'Erlebnis è anzitutto l'unità strutturale tra forme di atteggiamento e contenuti. Il mio atteggiamento di osservazione insieme alla sua relazione con l'oggetto è un Erlebnis, al pari del mio sentimento di qualcosa e del mio volere qualcosa. L'Erlebnis è sempre cosciente di sé stesso» (cit. in G. Cacciatore, Il fondamento dell'intersoggettività tra Dilthey e Husserl, cit., p. 277, dove subito dopo è detto che «l'oggettività di ogni apprendimento, di ogni manifestazione del volere, di ogni atteggiamento del sentimento, si misura e si definisce solo rispetto al für-mich-Dasein, che s'identifica sostanzialmente con l'intero processo dell'Erleben»). In A. Didier Contadini, Giustizia e felicità: nichilismo e messianismo nel pensiero etico-politico del giovane Benjamin , tesi di dottorato, corso di dottorato in Filosofia moderna e contemporanea, Università degli Studi di Napoli Federico II, XX ciclo, 2008, rel. G. Cantillo, pp. 15-16, si trova una ricognizione della fortuna del lemma: «Il termine ebbe subito una diffusione tale da non essere esclusivo del pensiero di Dilthey, pur mantenendone i tratti essenziali, e fu abbondantemente presente negli ambiti accademici e nei dibattiti culturali di quegli anni». In Benjamin, ad es., Erlebnis giunse a fungere da polo negativo, come esperienza impoverita, astrattamente individuale e forzatamente generalizzata, rispetto ad una Erfahrung radicalmente storica, critica ed aperta al futuro. 11 Idee nel senso inteso da Hume nelle Ricerche sull'intelletto umano, ed. it. a cura di M. Dal Pra, Laterza, Bari 1974 (ed. or.: An Enquiry concerning Human Understanding, Millar, London 1748). Cfr., in part., p. 21: «Ora, per 11 l'immediato vissuto di coscienza – già, come tale, membro di una continuità – è infatti costitutivamente rivolto ad oggetti, non a fantasmi. Escluso che l'oggetto sia, in qualche modo oscuro, presente nella coscienza, esso le è dato quale correlato all'interno di una relazione – come in-esistente intenzionalmente, cioè esistente in modo immanente in quanto percepito (o, ad esempio, desiderato) in un vissuto di coscienza. Sono, questi, presupposti essenziali della ricerca sui fondamenti della matematica poi sfociata nelle Ricerche logiche12. Solo a partire da un riferimento in qualche modo diretto ad oggettualità, infatti, assume senso porsi il problema dell'esattezza matematica, dei caratteri formali ed ideali tanto del numero quanto delle più generali forme dell'inferenza logica ad esso sottese. Ma la natura intenzionale dello psichico è condizione comunque non sufficiente, poiché il riferimento di volta in volta compiuto da molteplici atti di coscienza non sembra poter garantire quell'identità di riferimento, quella legalità che deve costituire l'oggettualità ideale. È sull'onda di questa discrepanza che Husserl ritrova il secondo apporto essenziale all'elaborazione dei due volumi: quello di Bernard Bolzano13. Il matematico e filosofo praghese consegna a Husserl, anzitutto, la possibilità di intendere il esprimermi in linguaggio filosofico, tutte le nostre idee o percezioni più deboli sono copie delle nostre impressioni o percezioni più vivaci». Poste queste premesse, il pensiero risulta essere un'attività associativa fra idee – cioè fra rappresentazioni, fra immagini sbiadite. Cfr., in proposito, anche ivi, pp. 27-29. 12 Cfr. E. Husserl, Ricerche logiche, I, cit. Si veda, in part., Prefazione alla prima edizione (1900), pp. 3-5. 13 In una nota di diario risalente al 25 settembre 1906, Husserl ricorda come, da giovane docente ancora legato all'insegnamento brentaniano, studiando le teorie di Bolzano si sforzasse di considerare insieme «i due mondi incomprensibilmente estranei, il mondo del puramente logico e il mondo della coscienza dell'atto ». «Non sapevo congiungerli, e tuttavia dovevano aver relazione l'un l'altro e formare un'intrinseca unità» (in W. Biemel (hrsg.), E. Husserl, Persönliche Aufzeichnungen, in Philosophy and Phenomenological Research, XVI (1956), p. 294, cit. e tr. in E. Melandri, I paradossi dell'infinito nell'orizzonte fenomenologico, in E. Paci (a cura di), Omaggio a Husserl, Il Saggiatore, Milano 1960, pp. 81-120, p. 108, n. 14). Lo stesso Brentano dedicò parte del corso del WS 1884-85 (dedicato a Die elementare Logik und die in ihr nötigen Reformen) al problema del continuo in riferimento a Bolzano; ed è proprio la questione del continuo a sollecitare le prime ricerche del giovane Husserl. Cfr. G. Iocco, Profili e densità temporali, cit., pp. 22-23. In D. Fisette, Husserl à Halle (1886-1901), in Philosophiques, XXXVI, n. 2 (2009), pp. 277-306) si dice di come il giovane docente, dopo le ricerche di orientamento brentaniano pubblicate in Über den Begriff der Zahl (1887) e nel primo volume di Philosophie der Arithmetik (1889), si fosse impegnato, almeno fino al 1894, in studi legati al progetto di un secondo volume che proseguisse l'opera del 1889. Nell'ambito di queste indagini, due scritti (Oggetti intenzionali, del 1894, e L'immaginario in matematica, del 1901) ci riferiscono di una particolare attenzione di Husserl per lo statuto dei numeri immaginari, che come tali pongono il problema di come si possa operare in matematica con oggettualità contraddittorie rispetto agli assiomi dello spazio matematico – e, più in generale, di come si possa parlare di rappresentazioni senza oggetto. La soluzione husserliana a tale questione, che fin dal 1891 era indirizzata alla formulazione di una morfologia pura delle molteplicità tanto formalizzata da consentire l'operabilità rispetto all'unità immaginaria, veniva elaborata in un momento in cui gli studi di diversi allievi di Brentano (quali Stumpf, Meinong, Twardowski) svelavano una potenziale ambiguità nella teoria brentaniana degli atti intenzionali, che non decideva esplicitamente se gli oggetti intenzionali avessero realtà esterna o esistessero solo nell'atto intenzionale. È in questo contesto che maturano gli interessi husserliani per la bolzaniana Wissenschaftlehre e per la Logik di Lotze, che, come riconosciuto esplicitamente dallo stesso filosofo, si risolveranno nel concetto di proposizione in sé dotata di un'unità ideale di senso. Ancora nel 1905, Husserl sente di dover spiegare al suo antico maestro l'influenza di queste due figure: «Quelle concezioni di Bolzano hanno esercitato una grande influenza su di me, proprio come l'interpretazione di Lotze della dottrina platonica delle idee. Detto ciò, non posso tuttavia considerarlo come il “maestro” e la “guida” rispetto a ciò che presento nelle Ricerche logiche. Ciò che propongo, sono dei frammenti di una teoria della conoscenza e di una fenomenologia della conoscenza, e queste ultime due [proposte] sono estranee a Bolzano» (27 marzo 1905, in E. Husserl, Briefwechsel, Bd. 1, p. 39, cit. e tr. in D. Fisette, cit., p. 293). Cfr. W. Künne, Bolzano et le (jeune) Husserl sur l'intentionnalité, in Philosophiques, XXXVI, n. 2 (2009), pp. 307-354. 12 carattere ideale dei significati, delle relazioni tra oggetti, in quanto distinto dal vissuto psicologico fattuale. Nella sua Wissenschaftslehre (1837) aveva notato come una proposizione vera, una relazione vera tra certe determinazioni, sia un'entità logica valida in sé, cioè a partire dalle sue stesse determinazioni – senza che in essa vi sia alcun rimando ad una coscienza reperita nell'atto di conoscenza, di credenza o d'espressione di quella relazione 14. Di questa stessa relazione possiamo, anzi, dire l'identità nei molteplici stati mentali in cui è intesa; e la sua idealità è appunto la condizione di possibilità di questa identità di riferimento. È accettando la validità di queste entità ideali che Husserl giunge ad una differente nozione di intenzionalità – la cui complessità, rispetto alla sistemazione brentaniana ancora limitata al fatto psichico, è tale da gettare le basi dell'intero suo percorso di pensiero. Le Ricerche logiche fanno appunto da culmine ad una riflessione volta ad elaborare questa nozione all'interno di un più ampio contesto programmatico; riflessione portata avanti negli anni da libero docente ad Halle (dal 1887, anno del suo Habilitationsschrift, fino alla pubblicazione del secondo volume ed alla chiamata a Gottinga, nel 1901), e profondamente ripensata negli anni di Gottinga. Suo punto di partenza è dunque il fatto che nel fenomeno vissuto si manifestino oggetti o stati di cose nel loro essere in sé. Sebbene, infatti, essi siano per noi solo nel modo e nei limiti in cui si manifestano, l'unità a cui molteplici atti reali si riferiscono intenzionalmente rimane intrinseca a tale manifestazione. Nell'immanenza di un vissuto si costituisce, così, la trascendenza dell'unitario oggetto in sé a cui di volta in volta mi riferisco effettivamente. Le Ricerche logiche domandano appunto come questa trascendenza possa darsi a noi – come giunga alla coscienza soggettiva e reale, che di fatto è soltanto un decorso di atti relazionanti 15. Da questa domanda si può forse intendere la loro peculiare unità 16. I titoli dei due volumi, Prolegomeni ad una logica pura e 14 Il concetto di an sich costituisce il fulcro delle ricerche bolzaniane in ambio logico. Introdotta nel §19 di B. Bolzano, Wissenschaftslehre. Erster band, Seidel, Sulzbach 1837, la nozione di una determinazione in sé permane come architrave nell'intero progetto della Dottrina della scienza. Distribuita in cinque volumi, la Wissenschaftslehre deve poterci mostrare «come possiamo esporre le scienze in manuali adatti a tale scopo»; compito solo apparentemente modesto, giacché una divisione di questo genere implica l'indagine di nessi e articolazioni interne al complesso di ciò che è indagabile scientificamente, oltre che la fondazione della ripartizione risultante. Un programma che Husserl eredita appieno, impostando in termini molto simili, nei Prolegomeni, la questione di una dottrina della scienza come indagine tanto sulla fondata separazione dei campi di ricerca, quanto sulle condizioni di possibilità di una scienza in quanto tale. A partire dal concetto di an sich, Bolzano può organizzare il percorso della Wissenschaftslehre da ciò che è più formale al particolare positivo della singola scienza, da riordinare organicamente all'interno di un più ampio campo di determinazioni. La trattazione delle proposizioni in sé, che, espresse, riescono nondimeno a non risolversi nella denotazione ma ad indicare un contenuto significativo che persiste nella sua identità, è condotta in particolare nella seconda sezione del secondo volume dell'opera, dedicato alla Dottrina degli elementi. Cfr. L. Guidetti, Lo spazio logico dell'espressione. Intorno a B. Bolzano, “Proposizione ed espressione”, in S. Besoli, L. Guidetti, V. Raspa (a cura di), Bernard Bolzano e la tradizione filosofica. Discipline filosofiche XXI 2, 2011. 15 Cfr. E. Husserl, Ricerche logiche, I, cit., pp. 273-274. 16 È questa una tesi che emerge dalla lettura dei Prolegomeni offerta da Natorp nel suo Sul problema del metodo logico. Con riferimento ai Prolegomeni a una logica pura di Edmund Husserl, in Id., Tra Kant e Husserl, a cura di M. Ferrari, G. Gigliotti, Le Lettere, Firenze 2011. Il percorso delle Ricerche logiche si muove, nel secondo volume, proprio nella direzione acutamente colta da Natorp – nella direzione, cioè, di un'analisi eidetica degli atti di coscienza che possa rendere conto di come le oggettive «relazioni di coincidenza tra contenuti di pensiero […] si verificano, ossia non avvengono nei vissuti della psiche pensante, bensì sussistono fuori dal tempo, come nel caso 13 Ricerche sulla fenomenologia e la teoria della conoscenza, indicano un decorso dal problema della «natura della forma della conoscenza rispetto alla sua materia» – proveniente dall'esigenza di chiarire l'esattezza matematica e sfociato in una «teoria generale dei sistemi formali deduttivi» – alla questione dell'unità e dell'interna complessità del sapere scientifico in base ad una logica universale, rinnovata e dunque liberata dalle suggestioni psicologiste e teleologiste; dal lavoro sulle «cose afferrate ed intuite immediatamente», sulle essenze regolate nelle loro determinazioni dalle leggi logiche, agli sforzi di elaborazione di un'articolazione a priori del vissuto intenzionale e, dunque, della conoscenza in generale17. Considerate brevemente la forza e la sistematicità di questa «opera di rottura» 18, non sorprende che, diciotto anni più tardi, Heidegger ritorni a questo programma; né che egli ritenga che le Ricerche bastino a mettere in crisi la nozione di un valore di verità fondante il giudizio come fatto trascendente, la cui presenza all'interno dello psichico non è però chiarita in alcun modo19. § 2. Le espressioni occasionali nell'unità delle Ricerche Il rapido tratteggio delle istanze animatrici della ricerca husserliana fino al biennio 1900-1901 ha mostrato l'emergere delle Ricerche logiche da un dibattito più ampio, in funzione del quale i due volumi husserliani appaiono animati da una tensione unitaria. Ben presto, tuttavia, tra i lettori contemporanei va diffondendosi la «grottesca accusa» di un'intrinseca eterogeneità dell'opera, divisa tra i Prolegomeni e le Ricerche sulla fenomenologia e la teoria della conoscenza, raccolte nel secondo volume – caratterizzato, secondo quest'ottica, da una «ricaduta nello psicologismo» rifiutato con forza nei Prolegomeni20. Un così marcato fraintendimento del programma husserliano, 17 18 19 20 della relazione 1+1=2. Certamente non sapremmo nulla di questo verificarsi sovratemporale se non vi fosse il vissuto temporale dell'evidenza, nel quale – in base alla terminologia di Husserl - “l'ideale si realizza per noi”; ma del carattere temporale di questo vissuto nulla penetra nel contenuto di ciò che noi intuiamo come tale nel tempo » (ivi, p. 103). Già nei Prolegomeni, infatti, è problematicamente colto come il sentimento fattuale di evidenza soggiaccia non soltanto a condizioni altrettanto fattuali, ma anche a condizioni puramente ideali – e cioè alla relazione ideale intrinseca agli oggetti intenzionali a cui di volta in volta ci si riferisce nell'atto. Occorre ammettere una qualche relazione di tra l'atto Real e la verità intemporale del contenuto intenzionalmente immanente alla coscienza. L'aspetto psicologico è dunque, per Natorp, qui inevitabile, nella misura in cui «la più penetrante indagine dei costituenti dell'oggettività non possa evitare di prendere in considerazione la soggettività» (ivi, p. 110), a patto di impiegarne l'apporto nella «formulazione di fatto e alla precisa delimitazione dei problemi, in nessun caso alla loro soluzione» (ivi, p. 108), e in particolare nella formulazione del problema trascendentale del riferimento (logico e non psicologico – cioè relativo al “realizzarsi” della verità) soggettivo all'oggettualità ideale. Questo è stato l'essenziale problema kantiano; e, in base ad esso, il recensore tende a rimarcare una vicinanza, da parte di Husserl, al programma del criticismo contemporaneo. Ciò contrasta significativamente con l'interpretazione heideggeriana delle Ricerche logiche. Cfr., rispettivamente: E. Husserl, Prefazione alla prima edizione, cit.; Id., Prolegomeni a una logica pura, cit.; Id., Prefazione alla seconda edizione, cit., pp. 7-8; Id., Sui vissuti intenzionali e i loro «contenuti» e Elementi di una chiarificazione fenomenologica della conoscenza, in Id., Ricerche logiche, II, cit., rispettivamente pp. 133-295 e pp. 297-548. Cfr. E. Husserl, Prefazione alla seconda edizione, cit., p. 6. Cfr. M. Heidegger, Fenomenologia e filosofia trascendentale dei valori, cit., p. 194. Cfr. E. Husserl, Prefazione alla «Sesta ricerca», in Id., Ricerche logiche, II, cit., pp. 15-19, in part. p.17. 14 constatato con stupore dallo stesso Husserl21, non può essere considerato soltanto come derivato da una circostanza estrinseca. Coerente nel suo interno sviluppo, il primo volume delle Ricerche logiche delinea una direzione ben precisa per la prosecuzione delle indagini. La critica analitica al complesso delle posizioni psicologiste22 apre infatti la strada, nell'ultimo capitolo, all'idea di una logica pura23 – di una dottrina, cioè, che come «teoria generale dei sistemi formali deduttivi» 24, delimiti le condizioni di possibilità di una teoria in quanto tale 25. È proprio la messa fuori gioco dei decorsi psichici effettivi a rivelare la permanenza di nessi obiettivi, tanto tra proposizioni quanto tra gli oggetti ai quali le 21 Cfr. E. Husserl, Entwurf einer “Vorrede” zu den “Logischen Untersuchungen” (1913), E. Fink (hrsg.), in Tijdschrift voor Philosophie, 1 (1939), cit. e tr. in G. Piana, Introduzione alle Ricerche logiche di Husserl, in E. Husserl, Ricerche logiche, I, cit., p. XLIII, n. 19: «[coloro che] parlano di ricaduta nello psicologismo non trovano nulla di strano nel fatto che lo stesso autore che nel primo volume manifesterebbe un acume da essi tanto lodato, nel secondo cercherebbe riparo in contraddizioni manifeste, anzi infantili». 22 Husserl definisce lo psicologismo come quell'indirizzo di pensiero «che proprio nel nostro tempo è dominante», caratterizzato da alcune tesi principali: «i fondamenti teoretici essenziali si trovano nella psicologia; al campo della psicologia teoretica appartengono, quanto al loro statuto teoretico, le proposizioni che danno alla logica la sua caratteristica impronta. La logica si riferisce alla psicologia come un ramo qualsiasi della tecnologia chimica si riferisce alla chimica, l'agrimensura alla geometria, ecc. Per questa corrente non vi è alcun motivo che richieda la delimitazione di una nuova scienza teoretica, e in particolare di una scienza che debba meritare il nome di logica in senso stretto e pregnante». Così in E. Husserl, Prolegomeni a una logica pura, cit., p. 69. Natorp commenta, in Id., Sul problema del metodo logico. Con riferimento ai Prolegomeni a una logica pura di Edmund Husserl, cit., p. 99, a proposito dello psicologismo: «Ciò che tuttavia lo rende inaccettabile agli occhi dell'autore è in primo luogo la sua conseguenza brutalmente empiristica. La psicologia è una scienza di fatti e dunque una scienza empirica; essa può mostrare solo regolarità approssimative nella coesistenza e nella successione, le quali non possono fondare le regole logiche nella loro pretesa di validità esatta. Una causalità peculiare deve fornire la correttezza al pensiero […] Ma la legalità logica per l'appunto non è causalità: la legge logica non compare mai come membro della causazione […]. Nessuna legge logica implica un fatto o una legge valida per i fatti». Nei Prolegomeni, aggiunge Natorp (a p. 98), Husserl «non si limita solo a mostrarla [l'opinione dello psicologismo] inattendibile per mezzo di una concisa deduzione che si rivolge direttamente al centro della questione, bensì non si esime dal rigirarla per così dire da tutte le parti, seguendola in tutti i recessi dei suoi tentativi di fondazione privandolo così di ogni possibilità di ritirata». Le argomentazioni husserliane hanno, nei Prolegomeni, quest'articolazione: degli undici capitoli complessivi, i capp. dall'Introduzione al terzo presentano il problema della fondazione e le posizioni essenziali dello psicologismo; nei capp. IV-VII Husserl argomenta per assurdo, per così dire, a partire dalle conseguenze della posizione psicologista sul piano epistemologico; nei capp. VIII-IX muove direttamente contro i pregiudizi che gravano su questa dottrina; nel cap. X espone alcuni momenti, a lui particolarmente vicini, della tradizione filosofica e psicologica in cui s'è avanzata la proposta di una logica pura; nel cap. XI illustra, infine, l'idea da lui intesa della logica pura. 23 Cfr. E. Husserl, Prolegomeni a una logica pura, cit., pp. 201-219. 24 Cfr. E. Husserl, Prefazione alla prima edizione, cit.., p. 3. 25 Cfr. E. Husserl, Prolegomeni a una logica pura, cit., in part. §§ 69-70, pp. 251-256. In queste pagine, il più alto fra i compiti affidati ad una logica pura è risolto in una più comprensiva «scienza della teoria», che non descriva soltanto le determinazioni costitutive dell'idea di teoria, ma indaghi la varietà di teorie possibili a priori. Definire le forme essenziali delle teorie e le leggi intrinsecamente regolanti le loro relazioni è il compito di una «dottrina pura delle varietà», che sveli come le singole specie di teorie, vincolate alla legalità a priori inerente al concetto di teoria come tale, entrino fra loro in relazione secondo nessi a priori. «La mirabile metodologia matematica», sottolinea Husserl, si è già assegnata questo compito attraverso i tentativi di generalizzazione della teoria geometrica (Grassmann, Rowan Hamilton), della teoria topologica (Lie) e di aspetti della logica matematica (Cantor). Almeno fino a Formale und transzendentale Logik, Husserl continuerà ad intendere la teoria di un certo campo di oggetti come la sua Mannigfaltigkeitslehre, dottrina pura delle varietà possibili in esso. Nella tr. it. di G. D. Neri (E. Husserl, Logica formale e trascendentale, Mimesis, Milano 2009, pp. 108-111) leggiamo infatti che «L'idea formale di “campo teoreticamente spiegabile” (campo di una scienza deduttiva), e quella di “sistema definito di assiomi” sono equivalenti». Un sistema di assiomi è «saturo» se descrive, appunto, una «definite Mannigfaltigkeit». Ricondotta al lavoro di Hilbert (su cui cfr. M. Kline, Mathematical thought from ancient to modern times III, Oxford University Press, New York 1972, pp. 1060-1070), la nozione di definite Mannigfaltigkeit è impiegata da Husserl fin dalla conferenza del 1891 su L'immaginario in matematica. Cfr. C. O. Hill, La Mannigfaltigkeitslehre de Husserl, in Philosophiques, XXXVI, 2 (2009), pp. 447-465. 15 stesse proposizioni si riferiscono intenzionalmente26. Come forma delle relazioni sistematiche tra verità, questi nessi sono descrivibili da una logica che ne esponga l'articolarsi in rapporti di fondazione tali da radunare enunciati molteplici in una più ampia unità – l'unità propria di una scienza nomologica27, «dalla cui consistenza teoretica le scienze concrete debbono attingere tutto ciò che le rende scienze, cioè la componente teoretica» 28. Una logica pura dovrà indagare proprio le condizioni di quest'unità, muovendo da una analisi del concetti in essa implicati, per indicarne tanto condizioni di validità, quanto possibili variazioni a priori. Le successive Ricerche disattendono questo progetto di sistemazione ultima, presentandosi esplicitamente, ancora una volta, come indagini preparatorie29. Esse seguono, così, una più profonda tensione che fin dall'inizio ha animato gli studi per il primo volume: nel considerare le Ricerche logiche come momento di un dibattito in corso, tale tensione si rivela appieno soltanto nella comprensione delle implicazioni gnoseologiche ed ontologiche coinvolte in quelle discussioni sulla natura della logica30 ravvivate dalla crisi del positivismo. Una logica pura che s'assuma il compito di esibire come fondate delle relazioni fra oggetti non può infatti ignorare come questi oggetti vengano colti in quanto tali: come, cioè, essi siano per la coscienza, facendo così valere determinate 26 Cfr. E. Husserl, Prolegomeni a una logica pura, cit.,p. 236. 27 Si tratta di una ripresa critica della distinzione introdotta pochi anni prima nel dibattito filosofico europeo da Windelband, in occasione del discorso rettorale tenuto nel 1894 presso l'ateneo di Strasburgo (Id., Geschichte und Naturwissenschaft, in Das Stiftungsfest der Kaiser-Wilhelms-Universität Strassburg am 1. Mai 1894, Universitätsbuchdr. v. J.H.E. Heitz, Stassburg 1894, tr. it. di S. Barbera e P. Rossi, Storia e scienza della natura, in P. Rossi (a cura di), Lo storicismo tedesco, UTET, Torino 1977, pp. 313-332). È la distinzione tra scienze della legge (nomotetiche) e scienze dell'avvenimento (idiografiche), illustrata in implicita polemica con la proposta diltheyana ribadita, in quello stesso anno, in Idee su una psicologia descrittiva e analitica (cfr. l'ed. it. a cura di A. Marini, Idee su una psicologia descrittiva e analitica, in Id., Per la fondazione delle scienze dello spirito. Scritti editi e inediti 1860-1896, FrancoAngeli, Milano 1985, pp. 351-444). Alla distinzione tra scienze della natura e scienze dello spirito, differenti per oggetto, Dilthey fa conseguire la collocazione della psicologia tra le scienze dello spirito, e con ruolo fondativo, giacché essa avrebbe per suo oggetto la percezione interna, a differenza delle scienze della natura, che si occuperebbero di oggetti appresi mediante percezione esterna. Nel discorso rettorale Windelband propone, sulla base della messa in dubbio dell'effettiva consistenza di una percezione interna, una distinzione per metodo e scopo: nel complesso delle scienze empiriche vi sono, da un lato, scienze nomotetiche ricercanti le leggi di natura; dall'altro, scienze idiografiche miranti a definire il contenuto singolo dell'accadere reale. Cfr. M. Ferrari, Introduzione al neocriticismo, Laterza, Bari 1997, pp. 81-84. Cfr. anche F. Bianco, Introduzione a Dilthey, Bari, Laterza 2005, pp. 93-99. A questa distinzione Husserl muove due tipi di critiche: una gnoseologica, l'altra epistemologica. Nella conferenza del 1894, criterio essenziale della distinzione tra i due gruppi di scienze è il tipo di predicazione che in esse ha luogo: le scienze nomologiche predicano appunto leggi; le scienze idiografiche determinazioni fattuali, relative ad elementi individuali. Ma, per la teoria gnoseologica husserliana, l'oggetto non si risolve in ciò che di esso si può predicare: «ogni espressione non vuole dire soltanto qualcosa, ma dice anche su qualche cosa […]. Ma in nessun caso l'oggetto coincide col significato», come si legge in E. Husserl, Espressione e significato, cit., p. 313. In base a quest'eccedenza, la fenomenologia avanza la pretesa di una «scienza generale dello spirito che non sia di ordine psicofisico, che non sia naturalistica» (cfr. E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura ed una filosofia fenomenologica, II, ed. it. a cura di V. Costa, Einaudi, Torino 2002, p. 177; l'ed. or. è Ideen zur einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen Philosophie. Zweites Buch: Phänomenologische Untersuchungen zur Konstitution, Husserliana Bd. 4, M. Biemel (hrsg.), Nijhoff, Den Haag 1952). La critica di ordine epistemologico è, articolata nel corso delle lezioni tenute nel SS 1927 su Natur und Geist: se la scienza è tale in relazione al mondo dell'esperienza, ogni distinzione ad essa interna dovrà fondarsi sui caratteri strutturali dell'esperienza possibile del mondo. Cfr. J. E. Jalbert, Husserl's position Between Dilthey and the WindelbandRickert School of Neo-kantianism, in Journal for the history of philosophy, XXVI, 2 (1988), pp. 279-296. 28 Cfr. E. Husserl, Prolegomeni a una logica pura, cit., p. 241. 29 Cfr. E. Husserl, Introduzione a Ricerche sulla fenomenologia...., in Ricerche logiche, I, cit., pp. 268-269, 30 Cfr. G. Piana, Introduzione alle Ricerche logiche di Husserl, cit., p. XIII. 16 relazioni. Intesi come esposti in sé stessi nel riferimento intenzionale, questi poli saranno altresì colti in sé stessi da una logica che ne mostri le relazioni, rendendoli esprimibili – da quel «nesso delle verità» quale dato a priori e inseparabilmente col «nesso delle cose», con «l'essere in sé» di cui è «verità in sé»31. Il carattere di sistematicità deduttiva di questo complesso di verità non può che tradursi nel ritorno all'aspirazione ad una mathesis universalis32, ad un'ontologia formale33 – già implicitamente assunto, del resto, nell'impostazione dell'unità teoretica come vera unità delle determinazioni empiriche indagate dalla singola scienza concreta. In questo senso, una teoria dell'oggetto in generale resta il necessario terreno comune tra l'ambito delle relazioni esatte e quello degli atti di coscienza, nel quale ogni volta il significato è costituito intenzionalmente: giacché tanto l'oggetto intenzionale quanto l'oggetto matematico sono, appunto, oggetti legali in relazione alla sfera delle leggi logiche in questo senso ampio34. Il tentativo di delineare una teoria della conoscenza risponderà dunque all'esigenza di indagare le modalità di implicazione reciproca tra «cose» e «verità». L'istituzione di una nuova logica dovrà tendere, dal canto suo, ad una «comprensione evidente dell'essenza dei modi conoscitivi che intervengono nell'effettuazione e nelle applicazioni idealmente possibili […], dell'essenza delle validità oggettive e dei conferimenti di senso che per essenza si costituiscono con questi modi» 35. Sia in quest'analisi che in quelle successive la questione della determinazione di condizioni a priori dell'atto di coscienza colto nella sua singolarità permane come sottotesto in una serie di dicotomie 31 Cfr. E. Husserl, Prolegomeni a una logica pura, cit., pp. 235-236. Va notato, comunque, che « i nessi di verità si distinguono dai nessi delle cose che in essi sono “in verità”; ciò si rivela immediatamente dal fatto che le verità che valgono per le verità non coincidono con quelle che valgono per le cose che in tali verità sono poste» . 32 La nozione di mathesis universalis entra nel lessico filosofico europeo attraverso gli scritti del matematico belga Adriaan van Roomen, che poco dopo il 1600 pubblica uno scritto titolato in questo modo; dai suoi appunti emerge un lavoro sul concetto protratto fin dal 1597, a partire dal commentario di Proclo al primo libro degli elementi di Euclide (cfr. P. Bockstaele, Between Viète and Descartes: Adrian van Roomen and the Mathesis Universalis, Spinger-Verlag, 2009). Il concetto conosce, tuttavia, una diffusione ampia soltanto a partire da Cartesio, che, concludendo la quarta delle Regulae ad directionem ingenii, parla di una disciplina contenente quei rudimenti della ragione umana atti a impostare l'indagine su qualunque oggetto, e dunque a trattare l'oggettualità in generale: l'insieme di idee innate e regole di induzione e deduzione mediante il quale l'unitaria ragione strutturalmente esplica sé stessa, ed a partire dal quale soltanto si offrono le scienze particolari. 33 Cfr. V. Costa, E. Franzini, P. Spinicci, La fenomenologia, Einaudi, Torino 2002, pp. 72-81, in part. p. 78: «la logica è ontologia formale e abbraccia la sfera degli oggetti in quanto tale», contrapponendosi dunque alle ontologie materiali di determinate regioni di oggetti, che devono tenere conto delle loro proprietà essenziali. 34 G. Piana pone tale teoria dell'oggetto in generale, accanto all'apofantica formale, nel più ampio orizzonte della mathesis universalis per com'è intesa da Husserl. Cfr. Id., Introduzione alle Ricerche logiche di Husserl, cit., p. XXXIV. Limitandoci al concetto di oggetto in generale esposto da A. Meinong in Über Gegenstände höherer Ordnung und deren Verhältniss zur inneren Wahrnehmung (1889), assimilabile a quello di un'oggettualità del tutto indeterminata, possiamo notare che l'ontologia formale intesa da Husserl non può essere assimilata ad una teoria dell'oggetto in generale. In un'annotazione alla seconda ricerca (Husserl, L'unità ideale della specie e le teorie moderne dell'astrazione, in Id., Ricerche logiche, I, cit., pp. 375-494, in part. 473-474), Husserl sottolinea come la specie debba essere intesa a pieno titolo come un oggetto, e non come risultato di un'operazione comparativa tra oggetti somiglianti sotto qualche aspetto. Nella misura in cui Meinong ha inteso l'evidenza del contenuto oggettuale come derivata dalla rappresentazione che ad esso corrisponde nell'orizzonte di coscienza, egli non ha tenuto conto della componente intenzionale necessariamente coinvolta nel sussistere dell'identità ideale dell'oggetto di cui colgo l'evidenza. Un'ontologia formale dell'oggettualità inesistente intenzionalmente consisterebbe appunto nella descrizione della struttura eidetica del riferimento intenzionale in quanto tale. 35 Cfr. E. Husserl, Introduzione a Ricerche sulla fenomenologia..., cit., pp. 268-269. 17 ereditate dalla tradizione, o emerse nel corso della stessa ricerca: uno - molteplice, ideale empirico, formale - materiale, atto articolato - contenuti rappresentanti, ora - tempo obiettivo. Il centro attorno al quale si dispongono i singoli momenti delle Ricerche è individuabile, in quest'ottica, nella terza ricerca: dedicato alla formulazione di una teoria del rapporto tra intero e parte36, questo studio, introducendo esplicitamente il concetto di ontologia formale, ne mette alla prova la tenuta attraverso un'analisi fenomenologica del percepito nei modi in cui esso è costituito nell'atto di percezione, mostrando come si costituiscano, in uno con questi oggetti, dei rapporti di non-indipendenza materiale la cui forma è quella della fondazione37, e come a partire da questo a priori materiale – l'intero (Ganz) essenzialmente differente tanto dalle forme sensibili di unità quanto dagli insiemi (Inbegriffen) tenuti insieme da «una certa unità della intentio», da una attività concettuale a posteriori38 – si possa formulare un teoria delle relazioni fra le categorie oggettuali in questione. La possibilità di delineare una sintassi a priori di oggetti implica che tale legalità debba mostrarsi anche nell'espressione riferita intenzionalmente ad oggetti. Mostrandosi, essa preclude sia il controsenso materiale, sia il controsenso formale. E tuttavia, giacché ogni esibizione di oggetti nell'espressione avviene mediante il significare dell'espressione, occorre anzitutto che questa si costituisca, pena il nonsenso, in interi di significato la cui condizione di possibilità – il carattere di fondazione che lega una pluralità di segni ad un'unità fondante di riferimento – è l'oggetto di studio della quarta ricerca, dedicata all'idea di una grammatica pura39. È il disegno di queste forme universali, colte nel loro rendere possibile l'esperienza vissuta, ad aprire, in ultimo, quei problemi che animano la fenomenologia pensata da Husserl. È muovendo da qui che si pone, infatti, la domanda su come delle oggettualità costituite a partire da relazioni ideali si manifestino ad una coscienza intesa come «trama dei vissuti psichici nell'unità della corrente dei vissuti»40, come tale esaurita in un decorso strutturato di atti di riferimento incapaci di “avere” 36 Cfr. E. Husserl, Sulla teoria degli interi e delle parti in Id., Ricerche logiche, I, cit., pp. 297-526. 37 Cfr. G. Piana, La tematica husserliana dell'intero e della parte, in E. Husserl, L'intero e la parte. Terza e quarta ricerca logica, Il Saggiatore, Milano 1988, pp. 15-84, in part. p. 23: «il passaggio al terreno formale è già contrassegnato dal fatto che la nozione di intero qui in gioco viene istituita definitoriamente sulla base della relazione di non-indipendenza, che riceve ora la denominazione di relazione di fondazione. Quest’ultima sarà da intendere come relazione primitiva e il termine di fondazione, dunque, come un termine non definito. Nella “definizione” proposta non si fa altro che introdurre il termine di fondazione rinviando alla nozione di nonindipendenza, della quale si dovrà comunque rendere conto attraverso elucidazioni “informali”. Che Husserl intenda la nozione di fondazione come nozione primitiva […] diventa infine chiaro nel § 21, dove si dichiara che la nozione di intero fino a quel punto presupposta può, e in realtà deve, essere introdotta “per mezzo del concetto di fondazione”». 38 Cfr. E. Husserl, Sulla teoria degli interi e delle parti, in Ricerche logiche, II, cit., pp. 22-23. 39 Cfr. E. Husserl, La differenza tra significati dipendenti e non-indipendenti e l'idea di una grammatica pura [d'ora in poi, L'idea di una grammatica pura], in Ricerche logiche, II, cit., pp. 85-132. 40 L'inizio della quinta ricerca intende notare, anzitutto, una plurivocità caratteristica del termine “coscienza”, indicante talvolta, appunto, la trama complessiva ed unitaria dei vissuti immanenti costituiti, tal altra il rendersi conto dei propri vissuti psichici e, infine, la caratteristica generale degli atti psichici, dei vissuti intenzionali in quanto tali. Nel corso delle Ricerche, Husserl si limita ad usare “coscienza” nel primo significato; ma un certo spostamento semantico caratterizzerà alcuni momenti successivi del suo percorso. Cfr. E. Husserl, Sui vissuti intenzionali e i loro “contenuti”, cit., pp. 138-149. 18 semplicemente l'oggetto presente. L'oggettualità organizzata a priori dovrà essere costituita in base alla struttura altrettanto formale degli atti di riferimento intenzionale, in quanto soltanto in essi si costituisce, per noi, qualcosa come un oggetto. A delineare una teoria dei vissuti intenzionali e dei loro contenuti – e, dunque, della verità che in essi si mostra, coinvolgendo necessariamente oggetti formali non sensibili, ma nondimeno intuibili – concorrono la quinta e la sesta ricerca41. A loro volta, le prime due indagini non possono essere relegate ad un ruolo propedeutico in senso deteriore. In quanto detto è infatti implicito il carattere di originalità e di profondità della falsa deviazione successiva ai Prolegomeni: il progetto di una mathesis universalis non può far altro, in quel momento, che imporsi come una logica nuova, riformata; e cioè riportata, una volta strappata la coltre del positivismo ingenuo, ad una nuova comprensione evidente, poiché chiarita partendo dall'esperienza. Esigenza prima della ricerca è, dunque, d'assicurarsi un nuovo modo di vedere l'esperienza – rispetto al quale le prime due ricerche costituiscono una specifica pedagogia42. E, se la seconda ricerca insegna a vedere le idee come unità di specie persistenti nell'autoidentità, la prima mostra anzitutto «molti difficili problemi della coscienza del significato» 43 di carattere preliminare: la questione dell'inesistenza intenzionale dell'oggettualità nella coscienza; il differire di questa oggettualità dal significato che la intende nell'espressione; l'unità ideale del significato ed il suo rapporto con le fluttuazioni del riferimento in base ai mutevoli contesti sensibili di riempimento. Quest'ultima questione è un punto delicato, tanto per Espressione e significato quanto per le più approfondite esplorazioni successive. Rileva che lo spunto per una discussione radicale circa l'inerenza delle unità formali nei molteplici decorsi di coscienza appaia per la prima volta nelle poche pagine dedicate alle espressioni occasionali. È qui, infatti, che la dicotomia tra sensibile ed ideale, inizialmente aggirata mediante una selezione dei problemi da affrontare, torna ad imporsi come ostacolo al tentativo di impostare una grammatica pura. Nella Prefazione del 191344, Husserl vede in questa particolare trattazione «una forzatura», laddove tutto il resto delle Ricerche lo trova, dopo un decennio, ancora concorde – tranne, naturalmente, per quegli aspetti della quinta e sesta ricerca che hanno impegnato integralmente gli anni di lavoro trascorsi nel frattempo. Sulle espressioni occasionali Husserl si trattiene brevemente nel terzo capitolo dell'indagine 45, dopo aver circoscritto il problema ed aver impostato una prima descrizione degli atti conferenti significato. L'analisi di questi vissuti costituisce, in effetti, il nodo problematico della ricerca nel suo complesso, giacché sin da subito un ulteriore complesso di oggetti 46 è escluso dal campo di ricerca: si tratta dei segnali che, a differenza delle espressioni, indicano e non significano47. In quanto segni, 41 42 43 44 45 46 47 Cfr. ibidem e Id., Elementi di una chiarificazione fenomenologica della conoscenza, cit. Cfr. E. Husserl, Prefazione alla seconda edizione, cit., pp. 6-14. Cfr. ivi, p. 12. Cfr. ibidem. Cfr. E. Husserl, Espressione e significato, cit., pp. 346-364. Cfr. ivi, p. 291. Cfr. ivi, p. 294. 19 i segnali rimandano ad altro, ma non esprimono nulla: il rimando avviene sulla base di un carattere di causalità certa o probabile inclusa nel segnale dato, dal quale consegue che «certe cose [non date] possono o debbono esistere»48. Carattere di quest'unità di rimando è di non essere intrinsecamente implicata dalla datità stessa del segnale: a costituirla intervengono piuttosto, sul piano psichico, delle convinzioni tanto fattuali quanto estrinseche sul fatto che l'essere dei segnali implichi l'essere degli indicati49. Tutto ciò comporta un necessario ricorso al contesto vissuto (di apporti sensibili, di convinzioni, di abiti, di ragioni indiziarie) entro il quale il segnale si manifesta. Questa ingerenza del fatto giustifica la restrizione dell'indagine: nonostante, infatti, nel decorso medio della vita la parola venga impiegata prevalentemente per annunciare qualcosa a qualcuno – e, in generale, non sia mai indipendente da un certo evento reale, da un'effettiva attualizzazione della coscienza – la sua essenza non è nella funzione di trasmettere ciò che annuncia; anche nel caso limite del discorso tra sé a sé le parole continuano infatti a permanere tali, esponendo oggetti intesi in significati. Queste parole, pur dicendo qualcosa, non annunceranno: all'annuncio (Kundgabe) è infatti connesso essenzialmente un mostrare, un rendere partecipe in cui qualcosa è fatto presente attraverso una prestazione segnaletica di ciò che si esprime – attraverso, cioè, un farsi sensibile, un farsi segnale del vissuto espressivo. La problematicità qui implicita si chiarisce se consideriamo «come sempre le parole fungono da segni; e noi possiamo sempre parlare di un rinviare» 50, poiché l'articolazione discorsiva è coessenziale al significato costituito: in altre parole, ad ogni intenzione significativa occorre un veicolo sensibile che ci permetta di discernerla dalle altre. Se la peculiare determinatezza sensibile e l'effettività della parola parlata sono messe da parte, è possibile descrivere l'unità fenomenologica dell'atto intenzionale d'espressione; questa, nondimeno, intende dire anche su qualcosa, riferendosi ad oggetti eccedenti il significato – il quale, come condicio sine qua non dell'espressione significante, indica soltanto ciò che dell'oggetto è propriamente inteso, la sua determinazione che l'espressione lascia di volta in volta emergere51. È chiaro, a questo punto, in che termini le espressioni occasionali rappresentino, per Husserl, un problema decisivo. Se in un primo momento la Kundgabe è relegata alla sfera dell'effettività psichica, è proprio la considerazione delle espressioni occasionali – tali da essere sì significanti, ma riferendosi di volta in volta ad un significato differente nella sua determinazione completa – che pone in crisi l'idea di un significato idealmente unitario in quanto permanentemente identico a sé, e dunque scevro da variazioni contestuali. L'impiego di deittici 52 all'interno dell'articolazione 48 49 50 51 52 Cfr. ivi, p. 293. Cfr. ibidem e p. 295. Cfr. ivi, p. 302. Cfr. ivi, p.313. I deittici costituiscono «un insieme eterogeneo di forme linguistiche – avverbi, pronomi, verbi – per interpretare le quali occorre necessariamente fare riferimento ad alcune componenti della situazione in cui sono prodotti. I deittici coinvolgono dunque due realtà diverse: una realtà linguistica, interna alle frasi, e una extralinguistica, esterna alle frasi» (in A. M. De Cesare, Deittici, in Enciclopedia dell'italiano, Treccani, Roma 2010). 20 discorsiva si mostra, infatti, caratteristica intrinseca anche alla situazione di significazione non annunciativa presa in considerazione dall'indagine fenomenologica; caratteristica strutturale, perfino, se tali riferimenti risultano inemendabili, non rimpiazzabili in alcun modo da perifrasi di sorta53. Queste espressioni non possono essere assorbite né nella coincidenza fra significati denominanti e contenuti mostrati, né nel più ampio gruppo dei termini plurivoci, rispetto ai quali l'accidentalità della componente sensibile ambigua si dimostra a partire dalla sua sostituibilità mediante convenzione54. Loro cifra è il riferirsi di un generale significato indicante, funzionale, ad un significato indicato completamente riferito a riempimenti contestuali – sicché ad essere “preso” dal contesto non è un momento dell'informazione complessiva, non esaurito dagli oggetti esibiti internamente all'espressione (come accade, appunto, nell'impiego segnaletico delle espressioni), quanto piuttosto l'intero qualcosa detto in questo nodo dell'articolazione discorsiva. Queste plurivocità dei deittici, in quanto «non possono essere sottratti alle lingue con mezzi tecnici e convenzioni»55, sono inevitabili; costituiscono, cioè, «espressioni essenzialmente oggettive ed occasionali»56, contrapposte alle espressioni obiettive, essenzialmente riferite a relazioni esatte, quali ad esempio le implicazioni matematiche. Ma la stessa attività scientifica, tanto nella sua genesi, quanto nella comunicazione dei suoi risultati, rimane legata alla deissi57. Il riferimento alla determinatezza del significato indicante consente, comunque, una gradazione di progressiva distanza delle intenzioni occasionali dal «contenuto di un discorso effettivamente espresso – un contenuto cioè che sia strutturato e caratterizzato dalle funzioni significative, sempre dello stesso genere, delle parole corrispondenti» 58: dal pronome personale “io”, che «non ha in sé la forza di suscitare direttamente la particolare rappresentazione egologica che determina il suo significato in un certo discorso», al “questo” nel suo uso pronominale; dagli avverbi di tempo e luogo nelle loro gradazioni di specificità, ad argomentazioni lacunose, da integrare, nelle ragioni del loro procedere, da un apporto soggettivo essenzialmente fluttuante; fino a quelle espressioni tanto abbreviate «da non essere in grado di dare espressione ad un'idea compiuta», da costituire cioè un non-senso, «senza il ricorso accidentale da cui trarre un ausilio alla comprensione»: imprecazioni, interiezioni, interrogazioni o comandi. In generale, tutte le espressioni vaghe, non esattamente determinate nelle loro intenzioni e dunque riempibili da un certo spettro esteso di datità, sono parzialmente occasionali59 – considerazione che, più delle altre, chiarisce la misura dell'impiego, nel discorso quotidiano, di questa peculiare struttura di riferimento. Di fronte al quesito posto dalla presenza pervasiva dell'occasionalità a vari livelli espressivi, 53 54 55 56 57 58 59 Cfr. E. Husserl, Espressione e significato, cit., p. 351. Cfr. ivi, p. 349. Cfr. ibidem. Cfr. ibidem. Cfr. ivi, p. 352. Cfr. ivi, p. 355. Cfr. ibidem e p. 356. 21 Husserl non può che respingere, in base alla sua nozione di significato, l'idea che il deittico intenda un qualcosa perpetuamente fluttuante – giacché non vi sarebbero, allora, ragioni dell'identità di questo qualcosa. Ma l'esigenza di unità del significato è posta tanto dal discorso quotidiano, quanto «dallo scopo che guida le nostre analisi» 60. Essa dev'essere soddisfatta, se nell'espressione deve emergere ciò che è in sé, ed in sé è conoscibile 61: l'oggetto o lo stato di cose, costituito nel riferimento in quanto già pienamente determinato nelle sue relazioni, e dunque illimitatamente conoscibile ed esprimibile in queste relazioni oggettive. «Ma da questo ideale siamo infinitamente lontani», giacché la complessità di quest'intreccio di rapporto è, per noi, intraducibile in oggetti – sicché, possibile in linea di principio, la sostituibilità dei deittici con espressioni oggettive capaci di esaurirne la portata di senso «è di fatto in gran parte ineseguibile e tale resterà per sempre» 62. Questi significati oggettivi, colti solo parzialmente, sono piuttosto intesi in un «fluttuare del significare»; in una contingenza riportata, dunque, alle intenzioni soggettive, intrinsecamente mobili verso altri atti di riempimento63. L'identità del significato vale, platonicamente64, come l'unità della specie che raccoglie il molteplice e lo definisce come tale – come il molteplice differire di uno stesso; senza, tuttavia, che se ne ricavi un dato extrasemantico, giacché i molteplici, qui, non sono altro che i plurali atti significanti nel loro riferirsi ad un medesimo significato. § 3. Le espressioni lacunose nel loro rapporto con l'idea di grammatica pura Sottili tensioni animano il rapporto tra la prima e la seconda edizione delle Ricerche; una fra queste, più che il dettato delle indagini, può dirci altro di questa problematica dicotomia. Abbiamo già visto65 come Husserl, nel motivare la scelta di una riedizione 66, distribuisca le sue riserve soprattutto tra prima, quinta e sesta ricerca – scegliendo poi di rielaborare estesamente soltanto le ultime due e lasciando ad Espressione e significato il suo carattere «semplicemente preliminare»67. Termine di confronto è il primo libro delle Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen Philosophie68, che – insieme agli altri due libri che di lì a poco avrebbero 60 61 62 63 64 65 66 67 68 Cfr. ivi, p.359. Cfr. ivi, p. 358. Cfr. ibidem. Cfr. ivi, p. 359. Cfr. V. Costa, E. Franzini, P. Spinicci, La fenomenologia, cit., pp. 86-87. Cfr. supra, p. 19. Cfr. E. Husserl, Prefazione alla seconda edizione, cit, pp. 6-14. Cfr. ivi, p. 11. Cfr. ivi, p. 7, dove Husserl ricorda: «dopo aver messo allo scoperto e sottoposto ad indagine la problematica radicale della fenomenologia pura e della filosofia fenomenologica, nutrivo in un primo tempo la speranza di poter presentare un complesso di esposizioni sistematiche che avrebbero reso indispensabile una riedizione della mia vecchia opera [le Ricerche logiche] […]. Ma nel passare all'esecuzione sorsero serie difficoltà. […] Risolsi così di dedicarmi innanzitutto alla progettazione delle Idee». Secondo M. Biemel, curatore dell'edizione originale del secondo e del terzo libro di Ideen, alle Ricerche seguì, «per E. Husserl, un periodo di dubbi e di lavoro, scarse le pubblicazioni. In questo periodo avvenne una delle maggiori svolte del suo pensiero, caratterizzata dalla scoperta della “riduzione fenomenologica” […] Soltanto nel 1913 Husserl si decise, dietro l'insistenza di colleghi e allievi, a 22 dovuto essere pubblicati – in quel momento rappresenta, agli occhi di Husserl, la rigorosa unità di misura a cui comparare ogni indagine che voglia dirsi fenomenologica 69. Criterio di questo confronto sarà quel «lavoro rivolto ai fondamenti (Fundamentalarbeit) che viene effettivamente eseguito sulle cose afferrate ed intuite immediatamente»70, giacché in esso, più che in «uno dei programmi sublimi di cui tanto abbonda la filosofia», va ricercata l'utilità delle Ricerche logiche per chi abbia interessi fenomenologici. Rispetto agli anni immediatamente successivi alla pubblicazione, e a dispetto dei critici di allora, queste dichiarazioni sbilanciano esplicitamente il valore dell'opera verso la sua ultima parte, in cui si raggiunge «nella sostanza il livello delle Idee»71. La tonalità complessiva delle rielaborazioni di Husserl comporta dunque lo spostamento da una descrizione, in termini di peculiari relazioni logiche, di oggettualità costituite, ad un'indagine sulla costituzione di queste oggettualità nel riferimento intenzionale, nell'atto di coscienza di carattere conoscitivo. Se il riferimento husserliano alla Fundamentalarbeit può essere inteso in questo senso, pubblicare il risultato di questo sviluppo in un'opera sistematica, la quale doveva essere anche il vero e proprio programma della fenomenologia: Idee per una fenomenologia...» (in M. Biemel, Introduzione del curatore dell'edizione originale, in E. Husserl, V. Costa (a cura di), Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, I, cit., p. XI). Nella stessa introduzione e in una nota di V. Costa al primo volume (V. Costa, Sulla storia editoriale di Idee I e sui criteri di questa edizione, in E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, I, cit., pp. LIII-LVII) si può leggere della tormentata storia editoriale dei tre libri di Ideen. Come già detto sopra, le Idee furono pubblicate nel 1913 sul primo numero dello Jahrbuch (Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen Philosophie. Erstes Buch: Allgemeine Einführung in die reine Phänomenologie, Niemeyer, Halle 1913) e ristampate, Husserl vivente, nel 1922 e nel 1928. Il testo, riedito senza grandi modifiche, esercitò il suo determinante influsso sul movimento fenomenologico (cfr. A. Cimino, V. costa (a cura di), Storia della fenomenologia, cit., pp. 123 e ss.) in questa forma “di prima mano”; ma dal 1950 fu l'edizione della Husserliana, curata in quell'anno da W. Biemel, ad affermarsi, presentandosi con l'aggiunta degli appunti autografi sulle copie d'uso dell'autore fino al 1930, comportando una significativa compromissione nella cronologia dei testi husserliani. Fu J. Gaos a scegliere di seguire, nel 1962, un'impostazione che restituisse allo scritto la sua forma originale – forma che l'attuale edizione italiana conserva. Qui compaiono, compresi nel secondo volume, gli altri due libri di Ideen. Questi due libri corrispondevano ad un unico manoscritto del 1912, che, dovendosi occupare inizialmente di Ricerche fenomenologiche sopra la costituzione, finì per allargarsi ad una «teoria della scienza» per poi sostituire l'idea, risalente al 1912, di un terzo libro dedicato «all'idea della filosofia». Le sezioni dedicate alla costituzione e alla scienza furono poi divise, dopo due elaborazioni (datate 1915 e 1918) del manoscritto da parte di E. Stein, in due libri nell'elaborazione del 1924-1925 da parte di L. Landgrebe. In questa forma furono pubblicate, postume, nel 1952. 69 Come M. Biemel (ivi, p. XI), E. Franzini mette in rilievo (in E. Franzini, Introduzione a V. Costa (a cura di), E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, I, cit., pp. XI-LI, in part. pp. XIXVII) la coerenza di Ideen I con il percorso husserliano fino al 1913 – fino a far di questa sistemazione uno snodo pregnante tanto dal punto di vista teoretico quanto dal punto di vista programmatico, vista la sua ricchezza diacronica (con il concretizzarsi e l'ordinarsi di riflessioni che proseguivano sin dall'introduzione al corso del 1907 su L'idea della fenomenologia) e la sua complessità sincronica (data la collocazione del saggio sullo Jahrbuch in un momento in cui sembrava poter prendere il via un vero e proprio movimento fenomenologico, e in cui invece s'avviò la sua prima dissoluzione). Husserl dovette sentire con forza lo sforzo sistematico ed etico che questa pubblicazione comportava: occorreva fornire «un'immagine generale, e tuttavia ricca di contenuto» della ricerca fenomenologica – la stessa esigenza che, partendo da Philosophie als strenge Wissenschaft, doveva terminare nella Krisis. Cfr. A. Ales Bello, Introduzione a E. Husserl, Il destino della filosofia, Castelvecchi, Roma 2014, pp. 7-22. E. Melandri sostiene non soltanto la coerenza, ma anche la necessità teoretica di un passaggio alla fenomenologia trascendentale, intesa come «fenomenologia della fenomenologia» che faccia emergere una soggettività trascendentale fungente da «principio di analogia entis limitativo dell'equivocità dell'essere» (in E. Melandri, Logica e esperienza in Husserl, cit., pp. 68 e ss.). La possibilità di una Selbstbezogenheit der Phänomenologie è stata indagata da E. Fink (cfr. VI. Cartestianische Mediation I. Die Idee einer transzendentalen Methodenlehre, H. Ebeling, J. Holl, G. Van Kerckhoven (hrsg.), Kluwer, Dordrecht 1998, in part. pp. 14-21). L'interpretazione di Melandri è certo consapevolmente rimontante all'impostazione finkiana. 70 Cfr. E. Husserl, Prefazione alla seconda edizione, cit., pp. 6-14. 71 Cfr. E. Husserl, Prefazione alla seconda edizione, cit., pp. 9-14. 23 ne risultano alcuni elementi d'interesse per una riconsiderazione della quarta ricerca72. Nella prefazione del 1913, a L'idea di una grammatica pura sono riservate soltanto poche parole73. Husserl afferma di non aver mutato il proprio punto di vista rispetto a quanto sostenuto dodici anni prima, essendosi limitato ad arricchire e migliorare i contenuti dell'indagine con quanto guadagnato nell'ambito delle sue successive lezioni di logica 74. Quest'inchiesta sulla forma pura delle unità di significato sembra qui legata alla terza ricerca non più soltanto da un decisiva consequenzialità teoretica75: entrambe risultano essere, pur come «vecchia dottrina dei contenuti indipendenti e nonindipendenti»76, la parte più valida della prima pubblicazione. Husserl si ritrova, nel 1913, grossomodo concorde con le due tesi principali lì discusse: rispettivamente, che nei contenuti oggettuali a cui l'atto di coscienza si riferisce intenzionalmente s'esibiscano intrinseci rapporti di fondazione, da intendere come leggi a priori fondate nella determinatezza generica pura dei contenuti in questione77; che tali rapporti si mostrino anche in quella determinata oggettualità che è il significato in quanto tale, definendo così «l'impalcatura ideale» di ogni lingua storica, se ciascuna deve veicolare – nell'espressione linguistica, fattuale – complessioni unitarie di significato78. «Tutti i tipi di significato messi in luce dalla morfologia pura e indagati sistematicamente nelle loro articolazioni e strutture […] [sono] entità assolutamente a priori, che si fondano nell'essenza ideale dei significati come tali […]. Rispetto alle espressioni empirico-grammaticali, esse sono quindi ciò che è in sé primo e sono perciò di fatto simili ad una “impalcatura ideale” assolutamente fissa, che si manifesta più o meno compiutamente nel rivestimento empirico» 79. Proprio in quanto empiricamente funzionale, una lingua dovrà mostrare, nelle sue complessioni grammaticali specifiche, significati unitari e articolati, di cui il linguista dovrà tener conto; essa dovrà esibire “la” proposizione, “il” non, “la” antecedente all'ipotetica – ed insomma il «sistema puro delle forme», nella misura in cui è di volta in volta declinato nella singola lingua. «Ogni studioso della lingua opera, se ne renda conto o meno, con concetti derivanti da questo campo» 80. Ma questo aspetto di ogni possibile linguistica empirica va rimarcato, giacché, se una ricerca sulla “grammatica 72 Cfr. E. Husserl, L'idea di una grammatica pura, cit., pp. 85-132. 73 Cfr. E. Husserl, Prefazione alla seconda edizione, cit., pp. 9-14. 74 Negli anni compresi tra la pubblicazione del secondo volume delle Ricerche e la prima edizione di Ideen I, Husserl insegna a Gottinga, dove tiene corsi sin dal WS 1901/02. In questo periodo, i corsi intitolati alla logica sono: Logica: teoria generale della conoscenza (WS 1902/03); Introduzione alla logica e critica della conoscenza (WS 1906/07); Vecchia e nuova logica (WS 1908/09); Logica come teoria della conoscenza (WS 1910/11); Logica e introduzione alla teoria della scienza (WS 1912/13). Cfr. R. Bernet, I. Kern, E. Marbach, Edmund Husserl, cit., pp. 307-309. 75 Cfr. G. Piana, La tematica husserliana dell'intero e della parte, cit. Husserl lega fin dalle prime righe l'attenzione alla questione del significato con la «distinzione generale tra oggetti indipendenti e non-indipendenti» (cfr.E. Husserl. La differenza tra significati indipendenti..., cit., p. 87). 76 Cfr. E. Husserl, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, cit., p. 274. 77 Cfr. E. Husserl, Sulla teoria degli interi e delle parti, cit., p. 72. 78 Cfr. E. Husserl, L'idea di una grammatica pura, cit., pp.126-127. 79 Cfr. ivi, p. 127. 80 Cfr. ivi, p. 126. 24 universale” ha ancora corso, nell'epoca di positivismo 81 che va concludendosi mentre Husserl scrive, essa mira soltanto a delineare caratteri fattuali della natura umana sui quali fondare una grammatica altrettanto empiricamente generalizzata. E se questa sfera può fornirci «conoscenze ampie e sufficientemente determinate», non potrà mai assicurarci, in quanto generalizzazione di fatti, la fondazione di quell'a priori «che si radica puramente nell'essenza generale del significato come tale»82, e che si mostra in essa in quanto determina il senso di una certa complessione di elementi significanti83. Questo a priori sarà una grammatica universale84 in quanto pura, cioè posta esplicitamente, rispetto alla grammatica generalizzata empirica, in un rapporto analogo a quello in cui, nei Prolegomeni a una logica pura, stanno appunto la logica pura e la logica come tecnologia pratica, guida applicata, in forma probabilistica, agli oggetti empirici indagati dalle scienze ontologiche (unificabili, come tali, solo attraverso «le leggi inferiori delle scienze nomologiche»)85. 81 Nell'appendice dedicata alla Cronologia della riflessione linguistica, a p. 370 e ss. in S. Auroux, La filosofia del linguaggio, ed. it. a cura di I. Tani, Editori Riuniti, Roma 2001, l'autore scrive che «Il XIX secolo è caratterizzato innanzitutto dallo sviluppo, poi dalla elaborazione scientifica, quasi egemonica, della grammatica comparata, che raggiunge il suo apogeo verso il 1880 con i neogrammatici […]. Per il resto, si può osservare tra i linguisti “professionalizzati” un rifiuto abbastanza sistematico della speculazione filosofica. Il XIX secolo è caratterizzato, inoltre, dalla matematizzazione della logica […] Inoltre, con lo sviluppo delle università assistiamo a una specializzazione disciplinare: anche la filosofia si specializza e il filosofo abbandona la linguistica ai linguisti, così come ha abbandonato la matematica ai matematici e la fisica ai fisici. Da Bernhardi a Marty, sono molti i filosofi professionisti, soprattutto in Germania, che apportano contributi spesso interessanti. Vengono però emarginati, da una parte, all'interno degli studi linguistici, perché si interessano alla grammatica generale, mentre la tendenza metodologica inclina alle minuziose analisi storiche; dall'altra, tra i filosofi, orientati verso i grandi sistemi metafisici». Nel cinquantennio precedente le Ricerche logiche andavano affermandosi tesi come quelle di P. Broca e C. Wernicke sulla riduzione della mente al cervello, insieme a quelle di A. Schleicher, che proponeva una sistematica della grammatica comparata con schema ad albero, basata sull'evoluzionismo darwiniano. 82 Cfr. E. Husserl, L'idea della grammatica pura, cit., p. 125. 83 Cfr. ivi, pp. 122-124. Cursoriamente, si può notare come la distinzione tra “controsenso” e “nonsenso”, offrendo la possibilità di una morfologia pura dei significati, segni una decisiva differenza tra Husserl e Kant. Husserl, osservando come l'esempio classico del cerchio quadrato costituisca un'unità di riferimento intenzionale e dunque un oggetto, per quanto controsenso, esplicita le differenze tra il suo impiego e quello kantiano di “analitico” e “sintetico” (la contraddizione interna, ricavabile per Kant su un piano analitico a priori, è qui sintetica in quanto non puramente formalizzabile per oggettualità in generale), ed il rifiuto dell'idea kantiana di pensiero come attività ordinatrice di rappresentazioni (in quanto il riferimento intenzionale al cerchio quadrato è possibile anche senza che se ne possa avere rappresentazione). La prima differenza serve a Husserl per poter parlare di sintesi costituite senza un'attività soggettiva costituente (cfr. V. Costa, E. Franzini, P. Spinicci, La fenomenologia, cit., p. 28). Sul legame pensiero-rappresentazione in Kant, cfr. ad es. I. Kant, Critica della ragion pura, ed. it. a cura di P. Chiodi, UTET, Torino 2013, in part. pp. 73-74. L'ed. or. è Kritik der reinen Vernunft, Hartknoch, Riga 1781 (I ed.); Kritik der reinen Vernunft, Hartknoch, Riga 1787 (II ed.). È interessante notare come, nella Critica della ragion pura, il cerchio quadrato costituisca proprio l'esempio di nihil negativum, di «oggetto vuoto senza concetto» in quanto oggetto di un concetto che contraddice se stesso – contraddizione sul piano analitico che rende l'oggetto impossibile (cfr. ivi, pp. 299-300). 84 A proposito dell'idea di una grammatica generale o universale, in S. Auroux, La filosofia del linguaggio, cit., p. 395, n. 5, leggiamo che, nonostante questo intento sia solitamente fatto risalire ai secoli XVII e XVIII, ed in particolare alla Grammaire générale et raisonnée (1660) di A. Arnauld e C. Lancelot, in realtà nasce dalla moltiplicazione delle grammatiche di lingue particolari, ed ha il suo apice in ambito illuminista, con l'opera di N. Beauzée. Sotto l'influenza dell'idealismo tedesco, la grammatica generale ottiene poi un'impostazione trascendentale all'inizio del XIX secolo, con diversi tentativi di deduzione delle sue categorie dalla struttura dell'intelletto; subissato dalla reazione dei linguisti specializzati e dei postivisti, questo progetto trova nuova linfa proprio con l'opera di Husserl. 85 Cfr. E. Husserl, Prolegomeni ad una logica pura, cit., pp. 54-55 e 241-242. Husserl esplicita l'analogia in Id., Sull'idea di grammatica pura, cit., p. 125: «Come nella sfera propriamente logica si distingue il campo dell'a priori come “logica pura” dalla logicità empirica e pratica, così anche nella sfera grammaticale si distingue dalla sfera empirica il campo grammaticale, per così dire “puro”, cioè appunto l'a priori». Rileva notare come uno dei luoghi centrali della vasta ricerca heideggeriana sia proprio l'indagine sul concetto grammatica logico-speculativa, da Die 25 Husserl è, insomma, ancora sostanzialmente d'accordo con le due sezioni delle Ricerche in cui più chiaramente è delineata una teoria formale dell'oggetto in generale86, e di quel determinato oggetto che è il significato. Egli può cioè accettare, anzitutto programmaticamente, la possibilità di una descrizione sistematica delle leggi a priori che le oggettualità intenzionate esibiscono, concentrando piuttosto la sua attenzione su una teoria fenomenologica della conoscenza, e cioè dei modi in cui si struttura il riferimento intenzionale all'oggetto. Ma è una breve osservazione aggiunta alla quarta ricerca a darci conto di un dissenso latente che, solo apparentemente periferico, emerge quasi come una spaccatura conseguente all'azione carsica esercitata dall'ambiguità tra contingenza dell'empiria e riferimento ad oggettualità in sé. «Nella prima edizione dicevo “grammatica pura”, un termine che era stato pensato ed espressamente indicato come l'analogon della “scienza pura della natura” di Kant 87»88. Cioè come una morfologia pura89 delle relazioni costitutive delle oggettualità di volta in volta intenzionate nei molteplici atti semantici, in quanto «esse dovrebbero essermi date prima perché io ne traessi queste determinazioni»90. Con questo riferimento, Husserl richiama la questione della possibilità di una 86 87 88 89 90 Kategorien- und Bedeutungslehre des Duns Scotus a Unterwegs zur Sprache (Neske, Pfullingen 1959; ed. it. a cura di A. Caracciolo, In cammino verso il linguaggio, Mursia, Milano 1973). In un passo di Da un colloquio nell'ascolto del linguaggio (ivi, pp. 83-125, in part. p. 87) Heidegger ricorda esplicitamente lo scritto del 1916, ritrovando in esso una riflessione, seppur inconsapevole, «sul linguaggio nel suo rapporto con l'essere» . Tra l'altro, come noto, lo scritto analizzato da Heidegger per il suo commento alla Bedeutunglehre di Scoto è, in realtà, il Tractatus de modi significandi seu Grammatica speculativa del modista Tommaso di Erfurt, Cfr. E. Husserl, Sulla teoria degli interi e delle parti, cit., pp. 77-82. “Reine Naturwissenschaft” è espressione che compare in Kant soltanto nei Prolegomena zu einer jeden künftigen Metaphysik del 1783 (Prolegomena zu einer jeden kunftigen Metaphysik, die als Wissenschaft wird auftreten konnen, Hartknoch, Riga 1783). Nel §5 (a p. 57 di I. Kant, Prolegomeni ad ogni futura metafisica, tr. it. di P. Carabellese, H. Hohenegger, Laterza, Bari 1996), la scienza pura della natura è il fatto reale che, insieme alla matematica pura, mostra la realtà di fatto anche delle proposizioni sintetiche a priori – realtà da cui il metodo analitico dei Prolegomena intende partire, per poi domandarsi delle sue condizioni di possibilità. Questa domanda rispetto alla scienza della natura percorre l'intera estensione compresa tra la Dissertatio del 1770 (La forma e i principi del mondo sensibile e intelligibile, in I. Kant, Scritti precritici, ed. it. a cura di R. Assunto, R. Hohenemser, A. Pupi, Laterza, Bari, 1982, pp. 419-461; l'ed. or. è De mundi sensibilis atque intelligibilis forma et principiis, Kanter, Königsberg 1770) ed il progetto di uno scritto sul Passaggio dai principi della scienza della natura alla fisica poi confluito nei manoscritti dell'Opus postumum (ed it. a cura di V. Mathieu, Laterza, Bari 2004; l'ed. or. è Opus postumum, R. Reicke, A. Arnoldt (hrsg.), in Altpreußische Monatsschrift, 1882-1884), nel contesto di un profondo interesse per la scienza della natura, già evidente dalla Monadologia physica (Monadologia fisica, in I. Kant, Scritti precritici, cit., pp. 55-76; l'ed. or. è Metaphysicae cum geometria iunctae usus in philosophia naturali, cuius specimen i. continet monadologiam physicam, Hartung, Königsberg 1756). Nello sviluppo dei Prolegomena Kant intende la reine Naturwissenschaft come «propedeutica alla dottrina della natura che, sotto il titolo di scienza universale della natura, precede ogni fisica» (ivi, p. 97), la quale, giacché dalla percezione deve nascere l'esperienza (ivi, p. 109.) – che, a sua volta, può aver luogo soltanto se l'intuizione è sussunta sotto concetti puri dell'intelletto – descrive analiticamente le regole a priori di questa sussunzione (ivi, p. 121): è dunque un'analitica dei principi. Questa scienza pura non è la metafisica della scienza della natura, che si occupa della definizione contenutistica dei suoi oggetti. Cfr. P. Pecere, La filosofia della natura in Kant, Edizioni di Pagina, Bari 2009. Cfr. E. Husserl, Sull'idea di grammatica pura, cit., pp. 128-129. La prima edizione della Critica della ragion pura (citata in I. Kant, Critica della ragion pura, cit., p. 89, n. 38) asseriva che «pura si chiama ogni conoscenza che non è mista a nulla d'estraneo: ma in particolare si chiama pura una conoscenza, nella quale non sia mescolata nessuna esperienza o sensazione, e che perciò è possibile del tutto a priori». Qui Kant imposta un nuovo uso di reinen, giacché, dopo aver indicato l'usuale senso del termine sin da Anassagora e Platone, che usavano καθαρός nel senso di “non mescolato”, egli usa reinen come equivalente a “possibile del tutto a priori”. Nell'usare il lemma, Husserl segue quest'impostazione kantiana. Cfr. N. Abbagnano, G. Fornero et al., Dizionario di filosofia, UTET, Torino 1998, pp. 883-884. Cfr. I. Kant, Prolegomeni ad ogni futura metafisica, cit., p. 95. 26 conoscenza di leggi apodittiche di una natura esistente «fuori del mio concetto» e dunque a posteriori91. «Ma poiché non si può affatto asserire che la morfologia pura dei significati abbracci l'intero a priori grammatical-generale – ad esempio, ai rapporti di comprensione reciproca tra soggetti psichici, che influiscono in modo così ampio sulla grammatica, appartiene un a priori autonomo – si è preferito parlare di una grammatica puramente logica». Ecco dunque che, se Husserl intende sostenere, in un passaggio programmatico quale è la Prefazione alla seconda edizione, il suo accordo con la teoria formale dell'oggetto delineata tra la terza e la quarta indagine, può farlo solo con riserva – escludendo proprio il riferimento a quella componente real, data sempre a posteriori, che se in Kant costituisce il problema del passo dei Prolegomena in cui si parla di «scienza pura della natura», è, in questo momento, l'intravista criticità che frena Husserl nella sua trattazione dell'a priori (tanto nella discussione sul significato quanto nel progetto, delineato nella conclusione della terza ricerca e poi non più concretizzatosi, di un'ontologia formale della natura fattuale in generale92). «In base agli sviluppi precedenti, nessuno ci attribuirà l'idea che noi riterremmo possibile una grammatica “universale” nel senso di una scienza universale che abbracci in sé tutte le grammatiche particolari come casi particolari accidentali»93. Una annotazione, questa, a cui l'autore dà la forma di una precisazione e di una difesa, viste le critiche all'idea di una grammatica pura e universale e, più in generale, all'idea di una morfologia a priori degli oggetti intenzionali mosse da buona parte dei contemporanei94, e visto forse l'andamento degli studi linguistici del tempo, da diversi decenni quasi del tutto accentrati su un'impostazione comparativista 95. Del resto, stante l'efficace analogia con il gesto kantiano, possiamo ritenere che fin dall'inizio Husserl non intenda esaurire la linguistica empirica nella teoria formale del significato, così come Kant non intese mai esaurire la fisica 91 92 93 94 Cfr. ivi, pp. 95-105. Cfr. E. Husserl, Sulla teoria degli interi e delle parti, cit., p. 79. Cfr. E. Husserl, L'idea di una grammatica pura, cit., p. 128. Cfr. J. N. Mohanty, The concept of psychologism in Frege and Husserl, in D. Jaquette (a cura di), Philosophy, Psychology and psychologism, Kluwer, Dordrecht 2003, pp. 271-290. Qui si descrivono diversi livelli di reazione critica all'antipsicologismo husserliano. Le riserve più pregnanti sul tema sono quelle di W. Wundt, che rigetta la logica pura come un vuoto tentativo di staccare completamente verità e atto psichico; di C. Sigwart, che sostiene che la separazione husserliana derivi da un concetto di psicologia limitato soltanto a rapporti causali, tale da non poter giocoforza spiegare il coglimento delle proposizioni in sé; di P. Natorp, su cui cfr. supra, p. 13, n. 16, o anche Id., Allgemeine Psychologie nach kritischer Methode, VIII, 1-2, pp. 189-193, cit. in G. Gigliotti, Il neocriticismo tedesco, Loescher, Torino 1983, pp. 163-166, in cui leggiamo (alle pp. 163-164) che «la descrizione è mediazione […] È dunque un allontanamento dall'immediatezza dell'esperienza vissuta. […] Ma com'è possibile concepire ciò che è in sé assolutamente privo di determinazione senza determinarlo e quindi senza oggettivarlo? Questo solo è chiaro: non si può arrivare immediatamente al soggettivo ultimo della coscienza. L'immediato della coscienza non si può neppur cogliere e osservare immediatamente. A buon diritto perciò si chiama “riflessione” il solo modo in cui possiamo avere coscienza del soggettivo della coscienza, cioè come osservare un'immagine allo specchio». 95 S. Auroux, in La filosofia del linguaggio, cit., p. 376, parla del 1876 come dell'anno del turning point, con l'affermazione, in Europa, degli studi della scuola di Lipsia, caratterizzata dalla grande attenzione per la grammatica comparata e delle leggi fonetiche; affermazione che ha luogo in una disciplina specializzata, ormai decisamente isolata dalla filosofia, che prosegue da sé, per ritrovare soltanto a metà degli anni trenta un interesse per i linguaggi formali, che in ultimo sfocerà nella teoria strutturalista – ricongiunta solo alla fine degli anni cinquanta con il complesso delle scienze umane (cfr. ivi, p. 378). 27 matematica nella fisica razionale96. Ma l'effettivo passo indietro da una prima risoluzione del rapporto teoria-applicazione nel binomio “grammatica pura universale-grammatica umana generalizzata” ad una riduzione alla relazione “grammatica puramente logica-parziale fondazione di «teorie generali che possono precedere le scienze di determinate lingue» 97”, nonché la risposta alle critiche di Marty, fanno pensare che Husserl non ritenesse superfluo chiarirsi su questo punto. La scelta di offrire una pur breve risposta alle tesi esposte da Anton Marty nella sua Untersuchung zur Grundlegung der allgemeinen Grammatik und Sprachphilosophie (1908) è infatti indizio di una certa pregnanza delle critiche mosse dall'antico compagno di studi all'idea di grammatica pura 98. Loro centro è, in estrema sintesi, proprio il problematico rapporto tra verità a priori ed esperienza fattuale, immersa nel sensibile – che Marty vede collegata in modo più diretto con la situazione comunicativa. Questa critica99 ha verosimilmente costituito la base della concessione di Husserl ai «rapporti di comprensione reciproca tra soggetti psichici, [...] [a cui] appartiene un a priori autonomo», giacché l'idea di una possibile scienza pura dello psichico reale è martyana, e soltanto in seguito sarà in qualche misura accettata da Husserl. È a questo punto che la componente comunicativa dell'espressione risalta anche nella quarta ricerca in tutta la sua ambiguità. Ambiguità manifesta in quei casi limite che giocano tuttavia un ruolo non di poco conto nel decorso medio del discorso parlato – cioè in quelle espressioni abbreviate in modo anomalo o 96 Cfr. I. Kant, Principi metafisici della scienza della natura, ed. it. a cura di P. Pecere, Bompiani, Milano 2003, in part. pp. 121-125. L'ed. or. è Metaphysische Anfangsgründe der Naturwissenschaft, Hartknoch, Riga 1786. 97 Cfr. E. Husserl, L'idea di una grammatica pura, cit., p. 128. 98 Un uso di Husserl era infatti quello di rispondere rigorosamente soltanto a critiche altrettanto rigorose (cioè tali da non fraintendere gli elementi basilari delle tesi esposte nei suoi scritti). Cfr. la breve prefazione scritta da Husserl all'articolo di E.Fink, The phenomenological philosophy of Edmund Husserl and contemporary criticism, in R. Bernet, D. Welton, G. Zavota (a cura di), Edmund Husserl. Critical assessments of leading philosophers, Rutledge, New York 2005. Nello stesso scritto, Fink sostiene che i punti essenziali delle critica mossa dal neocriticismo al pensiero husserliano nel periodo compreso tra la pubblicazione delle Ricerche logiche e quella delle Idee, non cogliendo la maturazione che differenziava lo scritto del 1913 dai due volumi del 1900-01, consistessero in imputazioni di «intuizionismo» e «ontologismo» – cioè di una forzatura che raggruppava in maniera semplificata conoscenza di determinazioni ideali e conoscenza di fatti, sì da poter sostenere la possibilità di una sistematica statica degli oggetti ideali che potesse aggirare il problema del coglimento reale di queste determinazioni. 99 Untersuchung zur Grundlegung der allgemeinen Grammatik und Sprachphilosophie, Niemeyer, Halle and der Saale 1908. Un'esposizione più specificamente dedicata alla critica martyana alla quarta ricerca è contenuta in D. Seron, Marty and the 4th Logical Investigation: what is the disagreement really about?, proceedings of Meaning and Intentionality in Anton Marty: Debates and Influences, Einsidieln, 11-13 December 2014, ed. by K. Mulligan, L. Cesalli, G. Fréchette, H. Leblanc, H. Taieb. L'autore, a partire dalla più esplicita differenza tra i due allievi di Brentano – l'opposizione dell'husserliana grammatica puramente logica all'idea martyana di una grammatica generale come parte di una psicologia descrittiva –, delinea due motivi di contrasto attraverso tre momenti di discussione (1901, 1908, 1913): il primo relativo all'ontologia del significato a partire dal suo legame con lo stato di cose riferito nell'espressione significante; il secondo relativo alle modalità in cui sono colte verità logiche a priori. Da un lato, Marty ritiene che i contenuti del giudizio debbano essere visti come esistenti fattualmente e nel tempo piuttosto che come riferimenti inesistenti intenzionalmente: essi “producono” la loro verità, non la “portano” in quanto esibiscono, al di là della pienezza fattuale, un certo nucleo di inseità; dall'altro, egli sostiene che le relazioni a priori esibite in oggetti determinati possano essere conosciute solo mediante un atto psicologico reale di riflessione sulle rappresentazioni che ci sono offerte (giacché nemmeno di scorcio o per astrazione è possibile cogliere qualcosa come uno stato di cose in sé). Secondo Seron, la pregnanza della polemica è da ricercarsi soprattutto sul piano epistemologico, poiché se è vero che Husserl mai intese separare del tutto l'inseità dall'atto psichico, è chiaro che le due impostazioni portano a differenti delimitazioni dei campi della psicologia e della logica – ciò su cui Husserl rimarca, appunto, il suo disaccordo anche nel 1913. 28 comunque lacunose, che, pur non esibendo di per sé alcun riferimento ad un significato, risultano «completabili nelle circostanze del discorso»100. Nel tentativo di descrivere tale morfologia formale, Husserl distingue anzitutto tra categoremi e sincategoremi101. Suo intento è dimostrare come espressioni complete ed incomplete esibiscano, nella loro correlazione, una differenza fondata dapprima logicamente, e solo in seconda istanza di carattere linguistico-grammaticale. Perno dell'espressione è infatti l'oggettualità a cui l'atto espressivo si riferisce intenzionalmente: «la differenza in questione va caratterizzata come differenza tra significati indipendenti e nonindipendenti», in quanto riferentisi, rispettivamente, ad oggetti indipendenti e non-indipendenti 102. La possibilità di ritrovare rapporti a priori di dipendenza e non-indipendenza tra significati apre un ambito di «unità di senso», nel quale, «sulla base della forma pura dell'unità possibile dell'oggetto», più significati differenti possano articolarsi in una unità significativa, piuttosto che in un «nonsenso caotico». Queste leggi «logico-grammaticali pure» costituiranno appunto la grammatica pura103. I significati esibiti in queste unità articolate saranno composti, se divisibili in atti significativi autonomi; semplici, se non più scomponibili, come “qualcosa”104, giacché la complessità fonetica e grafica di questo lemma, se divisa, non dà origine ad altre espressioni: “qu-” e “-alcosa” non significano niente, poiché «le sillabe, i suoni, le lettere alfabetiche sono generalmente prive di significato, […] non sono parti dell'espressione come espressione, cioè parti significanti, ma soltanto parti dell'espressione come manifestazione sensibile»105. Questo carattere di insignificanza differenzia tali complessi sensibili da quelle espressioni sincategorematiche, come “del padre” o “più grande di una casa”, che significano qualcosa di non-indipendente106. «Non a caso o per capriccio la lingua si serve, ad esempio, di nomi formati da più parole per esprimere una rappresentazione, ma per dare espressione adeguata ad una pluralità di rappresentazioni parziali reciprocamente inerenti e di forme non-indipendenti di rappresentazione all'interno dell'unità rappresentazionale conclusa ed indipendente» 107. Il nucleo dell'oggettualità intenzionata costituisce dunque ciò che permane “sotto” il rivestimento sensibile ed empiricamente contingente. Questo rivestimento significa per via dei diversi “raggi” che da esso si dipartono verso 100 Cfr. E, Husserl, L'idea di una grammatica pura, cit., p. 100. 101 Cfr. G. Chiurazzi, Modalità ed esistenza. Dalla critica della ragion pura alla critica della ragione ermeneutica: Kant, Husserl, Heidegger, Aracne, Roma 2009, pp. 27 e ss., dove si racconta come il nodo problematico del rapporto categorematico-sincategorematico risalga alla Poetica di Aristotele, nelle cui pagine congiunzione e preposizione sono definite φωνή ἄσημος, in opposizione a verbi e sostantivi (φωνή σημαντική). A partire da Prisciano, grammatico romano vissuto tra V e VI secolo, i due termini ricorrono per tutto lo spazio del Medioevo – sebbene sia stato Abelardo a porre per primo, in maniera esplicita, il problema su un piano concettuale e non grammaticale. Pietro Ispano e Guglielmo d'Ockham trattarono poi la questione in forma sistematica in due opere: rispettivamente, Syncategoreumata (1240 circa) e Syncategoremata (1240-1270 circa). 102 Cfr. E. Husserl, L'idea di una grammatica pura, cit., p. 87. 103 Cfr. ibidem e p. 88. 104 Cfr. ibidem e p. 89. 105 Cfr. ivi, p. 97. [“Manifestazione sensibile” è corsivo mio]. 106 Cfr. ibidem. 107 Cfr. ivi, p. 97. 29 altrettante determinazioni dell'oggetto – sicché l'unità dell'oggetto determinato si riflette nell'unità del significato determinato, prevenendo il controsenso108; e l'unità inerente alla forma del significato in generale si riflette nell'unità della pluralità di raggi così direzionati verso una medesima destinazione, prevenendo il nonsenso. È possibile, in questo modo, interpretare la non-indipendenza dei sincategoremi mediante gli strumenti offertici da Sulla teoria degli interi e delle parti: la nonindipendenza di un'espressione come “del padre” va intesa come fondabilità a partire da determinate specie di categoremi fondanti, tali in quanto esibiscono «determinate specie di contenuti» che siano in relazione di fondazione rispetto al contenuto espresso da “del padre”109. Questa duplice separazione – tra sincategoremi e complessi sensibili, tra significazione intenzionale e rivestimento sensibile – torna a patire l'ambiguità della dicotomia tra materialità e formalità. Tale impostazione implica, infatti, che alle oggettualità inesistenti intenzionalmente nell'atto di espressione corrisponda una componente sensibile che deve «rispecchiare fedelmente, nella sfera delle intenzioni significanti […] ogni forma della parte della rappresentazione» 110. Situazione che Husserl, più o meno implicitamente, intende come subordinazione della formulazione sensibile alla rappresentazione da rispecchiare – ma che evidenzia, in effetti, proprio la necessità del momento sensibile nell'osservazione che «la lingua […] deve anche disporre di forme grammaticali che consentano di conferire a tutte le forme distinguibili dei significati un'“espressione” distinguibile, cioè, per il momento, una “segnatura” (Signatur) sensibilmente distinguibile». Delle determinazioni oggettuali possono essere, cioè, significate in un'intenzione significante soltanto nella misura in cui un'attività fattuale e contingente costituisca una distinzione adatta tra complessioni sensibili, una Signatur. L'espressione dev'essere distinguibile in quanto rivolta ad un interlocutore che possa appunto distinguerla mediante opportune modificazioni del contesto sensibile costitutivo della situazione comunicativa. L'introduzione di questo momento sensibile ne mostra il ruolo non estrinseco nel contesto dell'indagine sul significato. Un'espressione come “del padre” 111 è un sincategorema significativo, da integrare anzitutto sul piano logico relativo alla fondazione della oggettualità non-indipendente esibita. Essa è intesa come strettamente differente da una sillaba, come ad esempio “bi-”, che può essere integrata soltanto sul piano sensibile, non esibendo, in quanto parte isolata di una complessione sensibile, alcun riferimento ad un significato 112: “bi-” non dice nulla del bianco e del biliardo. Indagando il sincategorema, invece, Husserl richiama la terza ricerca per mostrare come “del padre” esibisca un'oggettualità «della specie α»113 da integrare in una determinata specie G di 108 Cfr. ivi, p. 116. 109 Cfr. ivi, p. 102. 110 Cfr. ivi, p. 96. 111 Cfr. ivi, p. 98. 112 Cfr. ivi, p. 102. 113 Cfr. ibidem. 30 intero. Rileva come in questo passaggio la singolarità dell'espressione sensibile venga risolta senz'altro nella specie, neutralizzando, di fatto, proprio quella malleabilità dei complessi sensibili che rende non del tutto piana l'assimilazione dei significati sincategorematici alla teoria dell'intero e della parte. Data, ad esempio, una preposizione semplice come “del”, abbiamo un'espressione sincategorematica dal significato sincategorematico (a differenza di “padre”, espressione categorematica, esibente un significato di per sé sincategorematico, nella misura in cui implica un rimando ad un'integrazione non data). Per Husserl, l'indeterminatezza di “del” dev'essere integrata dalla fondazione in un contenuto indipendente. Del contenuto non-indipendente infatti sappiamo che «è legato ad altri contenuti, non può essere se insieme ad esso non sono dati al tempo stesso altri contenuti […]. Noi non possiamo pensare un attributo, una forma di connessione e simili, come essenti in sé e per sé, come separati da ogni altra cosa, e quindi come semplicemente esistenti». Ma è un fatto che qualcosa come “del” sia pensabile, pronunciabile e comprensibile, almeno in prima istanza, come espressione isolata. Husserl, chiaramente consapevole di questa difficoltà, riconduce quest'esprimibilità dei sincategoremi isolati all'unitario «contesto di un intero significante più comprensivo», di un tacito atto di intuizione che riempia le vuote indeterminatezze del sincategorema. Occorre, insomma, una peculiare «integrazione di significato»114. Ma proprio tale esigenza segna un'importante differenza rispetto ad un rapporto di fondazione più ortodosso, come ad esempio quello fra colore ed estensione. Il colore è stricto sensu non pensabile se non distribuito su un'estensione. “Del”, invece, è di fatto pronunciabile tacendo la sua integrazione, la quale, pur effettivamente fondante il sincategorema, può dunque mancare nel momento sensibile – il quale, come abbiamo visto, non può essere considerato completamente estrinseco rispetto all'atto espressivo. Il vincolo operativo risulta comunque determinante, in qualche modo, rispetto a quale significato la significazione possa di volta in volta esibire: data ancora la sillaba “bi-”, ad esempio, qualunque altra complessione fonetica o grafica aggiunta potrà esibire soltanto alcuni oggetti (bianco, biglietto, ambizione, ecc.) e non altri115. Un'ulteriore possibile obiezione, stavolta anticipata da Husserl, riguarda la possibilità di una suppositio materialis. L'autore la riconduce ad una modificazione di significato: il materiale supposto non esibisce più il suo significato normale, riferendosi, in effetti, a quella peculiare oggettualità che è il suo ruolo all'interno della comunicazione: «se diciamo “e” è una congiunzione, non abbiamo messo al posto del soggetto il momento di significato che normalmente corrisponde alla parola “è”. In questo significato anomalo “è” […] denomina sé stessa come parola». La possibilità di questa modificazione appartiene «alla struttura grammaticale di ogni lingua»: nella grammatica pura si fonda la possibilità che ogni espressione possa «presentarsi come nome di sé 114 Cfr. ivi, p. 106. 115 Cfr. ibidem e p. 99. 31 stessa»116, cioè denominare sé stessa come elemento grammaticale o come rappresentazione del proprio significato normale. Affinché ciò sia possibile, tuttavia, Husserl deve ammettere una caratterizzabilità delle espressioni mediante «predicati modificanti» che traslino il significato senza determinarlo ulteriormente. Predicati segnalati da mezzi espressivi peculiari, che Husserl definisce eterogrammaticali – come, ad esempio, le virgolette sul piano grafico, od una particolare enfasi nel parlato. Ora, Husserl vede un «nucleo identico» tra significato originario e nominalizzato, racchiusi in «forme nucleari diverse» tra loro e ricoperte da forme sintattiche che presuppongono già un nucleo semantico composto di abstractum identico e forma nucleare. Sicché, quando la forma sintattica diventa nucleo semantico – come accade nella suppositio materialis – occorre, per dir così, una nuova grammaticalizzazione della grammatica, una nuova codificazione sotto forme sintattiche eterogrammaticali. Non possiamo dunque parlare propriamente di ciò con cui parliamo: nella metagrammatica permane ogni volta un margine di componenti materiali ad essa irriducibili. Irriducibilità che emerge anche nelle espressioni recise, lacunose, inconcluse. Husserl non può che riconoscere l'insignificanza di interiezioni, locuzioni improprie, formulazioni abbreviate in modo non regolato: queste «non sono propriamente neppure espressioni, ma frammenti di espressioni» 117. A differenza di un sincategorema, parafrasabile entro certi limiti, non v'è parafrasabilità di sorta per tali espressioni, nelle quali i «punti esterni di riferimento» costituiscono un apporto essenziale al riempimento intuitivo dell'intenzione significante. Come i deittici, esse risultano irriducibili ad un'unità di significato; d'altro canto, l'elisione completa di qualsiasi intenzione significante appare quantomeno problematica. Sembra difficile scorgere l'unità di un riferimento formale in delle grida lontane, laddove il riempimento di questa significazione è quasi del tutto contestuale; più difficile ancora sarebbe, tuttavia, tentare di negare che queste interiezioni, queste modificazioni del contesto sensibile siano, in effetti, momenti di intenzioni significanti. § 4. La teoria dell'atto intenzionale Nella «radicalmente rielaborata»118 Introduzione al secondo volume delle Ricerche logiche, Husserl dedica un intero paragrafo all'aspetto grammaticale degli atti vissuti d'espressione. Questo privilegio, pur propedeutico alla successiva ricerca, è installato in una considerazione generale sullo scopo e sui modi del passaggio dai Prolegomeni alla «fenomenologia pura dei vissuti del pensiero e della conoscenza, […] [che], come la fenomenologia pura dei vissuti in generale da cui è inclusa, si occupa esclusivamente dei vissuti afferrabili ed analizzabili nell'intuizione»119. 116 117 118 119 Cfr. ivi, p. 112. Cfr. ivi, pp.100-101. Cfr. E. Husserl, Prefazione alla seconda edizione, cit., pp. 6-14. Cfr. E. Husserl, Introduzione a Ricerche sulla fenomenologia e la teoria della conoscenza, cit., p. 277. 32 Nelle righe di questa rielaborazione, Husserl osserva che «tutti sappiamo che le parole significano qualcosa e che in linea generale parole diverse esprimono significati diversi», e che dunque nel discorso si mostra «un certo parallelismo tra pensiero e parola»; parallelismo che, se fosse completo, comporterebbe la coincidenza di analisi dei significati e analisi grammaticale. Ma in effetti gli «scopi pratici», inevitabilmente coinvolti nella formulazione verbale fattuale, mescolano ciò che sul piano del significato è, invece, rigorosamente distinto in essenziale ed accidentale120. «Assume», dunque, «particolare importanza, dal punto di vista logico, portare a chiarezza analitica il rapporto tra espressione e significato»: distinzione che può aver luogo solo mediante la chiarificazione dell'intuizione nella quale il significato, mondato da eventuali vaghezze espressive, trova la propria saturazione121. È in questo riferimento al riempimento dell'atto di riferimento intenzionale che si rende possibile l'«autentica analisi dei significati»; autentica, come fenomenologia pura, in quanto appunto «si occupa esclusivamente dei vissuti afferrabili ed analizzabili nell'intuizione, nella loro pura generalità essenziale, e non dei vissuti appercepiti empiricamente come fatti reali, come vissuti degli uomini e degli animali che hanno esperienze vissute nel mondo fenomenico, nel mondo posto come fatto empirico» 122. I Prolegomeni hanno legittimato il movimento dello studioso di logica che, volgendosi a descrivere le essenze direttamente afferrate nell'intuizione, rimane indipendente dalle ricerche dello psicologo, interessato dal canto suo ai meccanismi causali che innervano l'aspetto psicofisiologico dei vissuti. Piuttosto, la fenomenologia è «il fondamento necessario di ogni psicologia […] così come la matematica pura […] è il fondamento necessario di ogni scienza naturale esatta» 123. Le relazioni formali sono dunque vere anche per i corrispondenti stati empirici, così come le relazioni geometriche sono vere anche nello spazio effettivo dell'esperienza; giacché la macchina calcolatrice dei decorsi causali intrapsichici, in quanto tale, dovrà sempre procedere secondo quella “matematica” che è la morfologia pura degli oggetti intenzionali in sé 124. Torna ad istituirsi una problematica e peculiare interazione tra l'ambito logico e l'ambito real – relazione scissa, in un primo momento, proprio dalla confutazione dello psicologismo (che appunto sostiene una relazione tra una psicologia fondante ed una logica fondata) argomentata nei Prolegomeni. L'inaggirabilità di tale ambiguità ne fa l'elemento di una serie concentrica di dicotomie, fra le quali palese è quella che nei punti iniziali 125 e finali126 della Introduzione al secondo volume delle Ricerche, comporta da un lato, implicitamente, un movimento contro Bolzano, o comunque contro ciò che Bolzano rappresenta agli occhi di Husserl; dall'altro, una critica esplicita a Brentano. Se Bolzano, infatti, ha saputo sviluppare l'idea di una 120 Cfr. E. Husserl, ivi, p. 278. 121 Cfr. ivi, p. 279. 122 Cfr. ivi, p. 268 [“non dei vissuti appercepiti empiricamente come fatti reali” è corsivo mio]. 123 Cfr. ivi, p. 283. 124 Cfr. l'esempio di Husserl nei Prolegomeni ad una logica pura, cit., pp. 85-86. 125 Cfr. E. Husserl, Introduzione a Ricerche sulla fenomenologia e la teoria della conoscenza, cit., p. 268. 126 Cfr. ivi, p. 279. 33 logica pura, egli non è comunque riuscito ad intenderla come «disciplina filosofica», presentandola piuttosto, «nella sua validità ingenuamente positiva», come una sorta di matematica, senza un'opportuna meditazione sull'essenza dei modi conoscitivi costituenti l'accesso a queste determinazioni ideali – come Husserl ribadisce, riferendosi esplicitamente al matematico, in una missiva a Brentano di pochi anni successiva127. L'antico maestro, dal canto suo, è incorso nel «dannoso radicalismo» che, avendo di mira la formulazione di una teoria dell'attività conoscitiva, «riduce in modo eccessivo la sfera delle forme logiche» per privilegiare piuttosto l'aspetto soggettivo-grammaticale. Una dicotomia ulteriore risulta ancora ad ogni tentativo d'accentramento: dal confronto tra Bolzano e Brentano a quello tra momento logico e ambito real del vissuto; da questo, a quello tra espressione e significato. Nell'intrinseca sistematicità delle Ricerche la stessa questione assume il ruolo di nucleo problematico della proposta fenomenologica lì delineata e, una volta ammessa un'interpretazione unitaria del pensiero husserliano nel suo complesso, della fenomenologia per come l'ha intesa il suo fondatore. «Si tratta di far vedere la connessione che fenomenologicamente sussiste tra logica ed esperienza. Se si riesce a chiarire questo punto, tutti gli altri problemi […] trovano una soluzione analoga»128. La possibilità di uno slargo che, a questo punto, si apra sui tratti complessivi della proposta fenomenologica di Husserl, si palesa soltanto nell'intendere il rapporto tra occasionalità ed a priori come un caso particolare del più generale rapporto tra logica ed esperienza – come una delle diadi che questa problematica relazione sembra dover costantemente istituire nel corso delle Ricerche logiche. Non è difficile ritrovare questa cifra nella teoria del vissuto (o atto 129) intenzionale, nel cui contesto giunge infine ad esposizione articolata il carattere strutturale del significato del 127 Cfr. supra, p. 12, n. 13. 128 Cfr. E. Melandri, Logica e esperienza in Husserl, cit., p. 16. In questo passo è possibile ritrovare il carattere essenziale della pregnante interpretazione melandriana del pensiero di Husserl nel suo complesso. L'impostazione generale degli studi miranti a fissare tratti unitari nello sviluppo della ricerca husserliana, al di là dei grandi tentativi critici, ha inteso la fenomenologia come un modo di pensare genericamente platonizzante ed avverso all'empirismo. Secondo Melandri (ivi., pp. 3-4), i momenti in cui Husserl offre il fianco a questa critica sono momenti di emergenza di una sua «anima metafisica» che, parlando «ex cathedra», presenta «soluzioni già in partenza scontate», o comunque caratterizzate dal loro carattere «inoperante». Egli afferma chiaramente che non occorre «prender sul serio» questo lato del pensiero husserliano; non occorre, cioè, intenderlo come principale esito dell'impegno fenomenologico. Piuttosto, la fenomenologia va considerata «come una proposta di metodo descrittivo, largamente empirico e teoricamente impregiudicato» – ed è questo il tentativo portato avanti in Logica e esperienza in Husserl. Sotto questo aspetto, lo studio di Melandri costituisce un contromovimento rispetto alle due grandi posizioni critiche convinte del carattere essenzialmente metafisico del pensiero husserliano: quelle di Heidegger e Derrida (che del resto, intesero il tema della storia della metafisica – troppo vasto per essere approfondito in queste righe – in maniera piuttosto diversa, se non altro perché Derrida includeva anche la determinazione ultima della differenza come «differenza ontico-ontologica», differenza tra ente ed essere dell'ente, «ancora, in qualche strano modo, all'interno della metafisica», come si legge in J. Derrida, Positions, Minuit, Paris 1972, nel colloquio con H. Ronse citato da C. Sini nella sua Prefazione a J. Derrida, La voce e il fenomeno, Jaca Book, Milano 2010). 129 Cfr. G. Piana (a cura di), Nota terminologica, in Ricerche logiche, II, cit., pp. 549-559, in part. p. 554. Qui Erlebnis, Akt e Akterlebnis sono intesi come sinonimi, laddove in Akterlebnis sono posti accanto i due accenti: il primo sul carattere intenzionale, appunto, del riferimento intenzionale; il secondo sulla contestualizzazione di questo riferimento all'interno della vita di coscienza. Nei momenti successivi del presente lavoro mi atterrò a queste indicazioni. 34 trascendente130 nell'orizzonte dell'immanente vita di coscienza – ciò che rende possibile, in ultimo, l'esibizione di oggetti in sé. Questo lavoro, ed i temi di teoria della conoscenza che ne derivano, sono esposti, rispettivamente, nella quinta e nella sesta ricerca; le quali, tentando «una comprensione evidente dell'essenza dei modi conoscitivi»131, rispondono al progetto più strettamente filosofico delle Ricerche – gettando questa luce, allo stesso tempo, sul concatenarsi delle precedenti indagini, giacché solo «il filosofo chiede che cosa sia la scienza della teoria, che cosa renda possibile la teoria in generale, ecc. Soltanto la ricerca filosofica integra le operazioni scientifiche degli scienziati […] in modo da completare la conoscenza pura e la conoscenza teoretica autentica»132. Sui vissuti intenzionali e i loro “contenuti” è soggetta, nell'edizione del 1913 in cui è inclusa, a numerose modifiche ed aggiunte 133. Elementi di una chiarificazione fenomenologica della conoscenza è, nel 1913, ancora «in corso di stampa»: dapprima destinata a costituire, come «radicale rielaborazione», la seconda parte del secondo volume, sarà poi pubblicata solo nel 1921, quasi in un gesto di resa dello stesso Husserl, che si risolve a licenziare l'indagine senza una sua approfondita rivisitazione134. 130 La radicale presenza del pensiero di Bolzano nella maturazione della critica husserliana a Brentano (cfr. supra, pp. 12-13) ci consente di estendere retroattivamente quanto Husserl scrive, tra 1906 e 1907, in alcuni appunti per la preparazione delle cinque lezioni su Die Idee der Phänomenologie, tenute nella primavera del 1907 per introdurre il corso del semestre estivo di quell'anno, Hauptstücke aus der Phäenomenologie und Kritik der Vernunft (cfr. R. Bernet, I. Kern, E. Marbach, Edmund Husserl, Il Mulino, Bologna 1992, p. 308). Nella tr. it. di quegli appunti (E. Husserl, L'idea della fenomenologia, cit.), a p. 50, leggiamo, a proposito del concetto di riduzione fenomenologica, che esso dev'essere «non già esclusione di ciò che è materialmente trascendente (forse addirittura in senso empiricopsicologico), ma esclusione del trascendente in assoluto, come di un'esistenza da accettare, ovvero esclusione di tutto ciò che non è evidente datità in senso schietto, assoluta datità del puro guardare». La riduzione, dunque, esclude in duplice senso la trascendenza: da un lato, la trascendenza “materiale”; dall'altro, il trascendente, non dato in maniera evidente, che è componente strutturale, come Abschattung, dell'atto intenzionale. In ultimo, è quest'ultimo concetto di trascendenza a risultare davvero pregnante dal punto di vista delle fenomenologia; il secondo, del tutto assimilabile alla teoria brentaniana dell'atto psichico, può passare invece in secondo piano. Cfr., a questo proposito, anche il secondo punto dell'appendice ai §§ 11 e 20 della quinta ricerca (cit., pp. 208-209). 131 Cfr. E. Husserl, Introduzione a Ricerche sulla fenomenologia e la teoria della conoscenza, cit., p. 268. 132 Cfr. E. Husserl, Prolegomeni a una logica pura, cit., p. 258. Sul ruolo della filosofia secondo lo Husserl delle Ricerche logiche, cfr. anche G. Piana, Introduzione alle Ricerche logiche di Husserl, cit., pp. XI-XLVII. 133 Cfr. E. Husserl, Prefazione alla seconda edizione, cit., p. 13. Cfr. anche J. J. Drummond, The structure of intentionality, in R. Bernet, D. Welton e G. Zavota (a cura di), Edmund Husserl. Critical assessments of leading philosophers, cit., p. 56, n. 16, dove si dice che un fulcro di questa modifica è nella nozione di atto intenzionale: nel 1913, la materia d'atto è intesa in maniera più marcata come una componente dell'intenzionalità dell'atto, giacché ora la componente noetica (cfr. E. Husserl, Idee per una fenomenologia..., I, cit., p. 224) può essere soggetta ad una descrizione fenomenologica tanto quanto la componente noematica. Un'altra rielaborazione di grande rilevanza riguarda il concetto di io puro: se nella prima edizione delle Ricerche «ciò che è adeguatamente percepito […] costituisce il dominio gnoseologicamente primo ed assolutamente certo di ciò che risulta dalla riduzione dell'io empirico fenomenale al suo statuto afferrabile in modo puramente fenomenologico […]; nel giudizio io sono, con l'io si intende l'adeguatamente percepito che costituisce il nucleo che fonda e rende anzitutto possibile l'evidenza» (in E. Husserl, Ricerche logiche, I, cit., p. 148), con la seconda edizione troviamo che «se la messa fuori gioco di questa trascendenza e la riduzione alla datità puramente fenomenologica non mantiene infine come residuum un io puro, non può esserci neppure l'evidenza effettiva (adeguata) dell'”io sono”» (ivi, p. 154). L'intensità della rielaborazione si nota anche dalla copiosa quantità di aggiunte che Husserl acclude al testo proprio a proposito dell'io puro e dell'atteggiamento fenomenologico: tra le altre, troviamo l'aggiunta a p. 153, le note 7 e 11 a pp. 154155, le note 7 e 12 a pp. 210-211, la n. 27 a p. 212. 134 Nell'introduzione di C. H. Peters, P. J. Bossert a E. Husserl, Introduction to the Logical Investigations, Nijhoff, Den Haag, Nederland 1975, alle pp. XII-XIX, è ricostruita la storia editoriale delle Ricerche logiche. Delle Logische Untersuchungen comparvero, Husserl vivente, quattro edizioni: oltre alla prima degli anni 1900-01 ed all'edizione del 1913, priva della sesta ricerca, comparvero una terza edizione nel 1922 (l'anno precedente fu pubblicata l'ultima 35 Un passo della quinta ricerca ci mostra fino a che punto il problema scorto in Espressione e significato venga ricompreso dallo stesso autore nella questione generale della struttura dell'atto di coscienza. «Supponiamo che qualcuno ascolti attentamente una parola, a lui del tutto estranea, come un puro complesso fonico, senza nemmeno sospettare che si tratta di una parola; e paragoniamo questa situazione con quella in cui la stessa persona, durante un colloquio, ode questa parola in un secondo tempo, quando il suo senso le è ormai divenuto familiare, e la comprende anche se essa non è accompagnata da traduzioni intuitive. In che cosa consiste in generale l'eccedenza dell'espressione che viene compresa, pur avendo una funzione meramente simbolica, rispetto al complesso fonetico vuoto di pensiero? […] In questi casi ed in innumerevoli altri analoghi la modificazione consiste nei caratteri d'atto»135. Ciò che, su un certo piano astratto, può essere inteso come lo stesso accadimento, come lo stesso precipitarsi di materia sensibile su un soggetto, è in realtà, nei due casi, caratterizzato da una differenza, da un'eccedenza del secondo ascolto sul primo, la quale permette al suono di significare, di esibire un'oggettualità come suo significato. In entrambi i casi, determinate sensazioni sono vissute in un'orizzonte di coscienza, senza che ciò implichi immediatamente, come mostra il primo caso, la manifestazione di un'oggettualità; nel secondo caso ha tuttavia luogo un riferimento ad un'oggettualità che si manifesta in modo tale che la complessione di sensazioni vissute si risolva in essa. L'eccedenza che genera questa differenza è, secondo Husserl, momento intenzionale dell'atto di coscienza nel suo complesso. «L'appercezione è per noi l'eccedenza che sussiste nel vissuto stesso, nel suo contenuto descrittivo, di fronte all'informe esserci della sensazione; si tratta del carattere che, per così dire, anima la sensazione e per sua essenza fa sì che noi percepiamo questa o quella oggettualità»136. L'affidamento della determinante differenza ad una diversa μορφή intenzionale, di fronte ad una medesima ὕλη sensibile inerte, costituisce ciò che Rudolf Boehm chiama, basandosi su un'espressione dello stesso Husserl, «schema contenuto apprensionale - apprensione»137, e che possiamo intendere come esoscheletro della struttura dell'intenzionalità per come è esposta nelle ultime due ricerche. Ma l'ancora aperta problematicità della relazione tra espressione e significato implica proprio che questa relazione non riesca ad integrarsi completamente nello schema proposto da Husserl, e che l'enigmaticità peculiare dell'atto d'espressione non si risolva del tutto nel problema generale rivisitazione dell'ultima indagine) ed una quarta edizione nel 1928, senza significativi cambiamenti. L'intento di rivedere la prima edizione si palesa già nel seminario tenuto nel SS 1908, Esercitazioni filosofiche su problemi fondamentali della dottrina del significato e del giudizio – a pochi mesi di distanza, dunque, dalle fondamentali lezioni su L'idea della fenomenologia. Quest'esigenza condusse Husserl a progettare una nuova serie di ricerche nel contesto della fenomenologia pura. Programma che perdurò fino al semestre estivo del 1912, quando una serie di lezioni sulla teoria del giudizio (eventuale fulcro di nuove ricerche sistematiche) fu sostituita da un corso d'introduzione generale a tematiche fenomenologiche, dai cui lavori sarebbe poi emerso il manoscritto di Ideen I. Si rese necessaria, a questo punto, la ripubblicazione delle prime Ricerche, ed in tempi tanto brevi da spingere Husserl a rimandare la pubblicazione della Sesta ricerca, per garantirle l'opportuna rielaborazione. 135 Cfr. E. Husserl, Sui vissuti intenzionali e i loro “contenuti”[d'ora in poi, Sui vissuti intenzionali], cit., p. 173. 136 Cfr. ivi, p. 174 [“informe” è corsivo mio]. 137 Cfr. R. Boehm, Introduzione a E. Husserl, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, cit., pp. 13-36. 36 dell'intenzionalità. La particolare attenzione con la quale Jacques Derrida ha guardato alla questione del significato, trovando in essa il privilegiato luogo d'accesso per una critica radicale della fenomenologia husserliana138, è per noi il necessario abbrivio per poter discutere l'ipotesi che questa dicotomia apparentemente irriducibile caratterizzi, come problema e come orizzonte fecondo, il progetto fenomenologico nel suo complesso. Nel saggio su La forma e il voler-dire, al termine di un serrato confronto con la tradizione fenomenologica 139, Derrida ritiene di ritrovare, a partire da un passo di Ideen I, un tratto che caratterizzerebbe la nozione di espressione lungo l'intero percorso husserliano, da lui interpretato come un'unità sostanzialmente coesa e coerente 140. Essa si stratificherebbe, caratteristicamente, in una serie di piani separati – laddove a separarsi sono l'intenzione, il voler-dire (Bedeutung), ed il contenuto a cui ci si riferisce intenzionalmente, ciò che si vuole dire, il senso (Sinn), riproducendo così lo schema contenuto apprensionale - apprensione. Nello sforzarsi di vedere nel piano espressivo-verbale soltanto uno specchio del piano preespressivo, ed assumendo così la trasparenza come ideale della verbalizzazione, Husserl metterebbe fra parentesi la necessità operativa «che l'ordine sistematico del voler-dire imponga in qualche modo il suo senso al senso, gli detti la sua forma, lo obblighi ad esprimersi secondo questa o quella regola, sintattica o altro». Questa messa fra parentesi è «un gesto acritico»141, volto alla salvaguardia di una forma pura dell'oggettualità, quantomeno sul piano del Sinn; è un gesto che, per Derrida, colloca l'intera fenomenologia nell'orizzonte del pensiero metafisico, cioè del pensiero dell'essere come presenza (giacché «la forma è la presenza stessa» 142). Ma proprio la metafisica, in quanto 138 V. Costa nota, nelle prime righe di La fenomenologia della contaminazione, in J. Derrida, Il problema della genesi nella filosofia di Husserl, ed. it. a cura di V. Costa, Jaca Book, Milano 1992, che «Husserl è forse il pensatore su cui Derrida ha scritto di più», ed acclude in nota una cronologia dell'opera derridiana sul padre della fenomenologia: Le probleme de la genèse dans la philosophie de Husserl (1953-1954), "Genèse et structure" et la phénoménologie (1959), Introduction à "L'origine de la géométrie" de Edmund Husserl (1962), Sur «Phänomenologische Psychologie» de E. Husserl (1963), Sur «E. Husserl's theory of meaning» de J. N. Mohanty (1964), La phénoménologie et la clôture de la metaphysique (1966), La voix et le phénomène (1967), La forme et le vouloirdire. Note sur la phénomènologie du langage (1967). Per un elenco completo delle opere pubblicate da Derrida, cfr. M. Ferraris, Introduzione a Derrida, Laterza, Roma-Bari 2008, pp. 152-154. Per un'esposizione ed una discussione critica del rapporto fra Derrida e Husserl, cfr. ad esempio V. Costa, Volerne sapere. Intenzionalità e produzione di significato, cit.; Id., Jacques Derrida, in A. Cimino, V. Costa (a cura di), Storia della fenomenologia, cit., pp. 287297. É proprio Costa a sottolineare l'intima complessità del movimento problematico derridiano verso la fenomenologia di Husserl, la quale è insieme estremo tentativo di determinazione dell'essere come presenza e più feconda traccia di quell'anticipazione di senso, di quella sintesi originaria, di quel sistema differenziale in cui s'inscrive tutto ciò che appare come presente. Questa duplicità, completamente esplicitata in La voce e il fenomeno, trova in La forma e il voler-dire (cfr. infra, n. 139) una sua appendice. Va dunque abbandonata, continua Costa, la lettura che vede in Derrida semplicemente un avversario – in maniera più o meno rigorosa – della fenomenologia, come quella che cerca invece di immetterlo tout court tra gli epigoni di Husserl. 139 Cfr. J. Derrida, La forma e il voler-dire, cit.. Pubblicato come articolo, nel 1967 (cfr. supra, p. 37, n. 138), sulla Revue internationale de philosophie, III, n. 81, il saggio fu poi incluso dallo stesso Derrida nella raccolta Marges – de la philosophie, Les Éditions de Minuit, Paris 1972. 140 Cfr. ivi, p. 213: «...valendoci della certezza che non solamente Idee I non contraddice le Ricerche logiche su questo punto e anzi le esplicita continuamente, ma anche che nessun altro testo al di là di Idee I ha mai espressamente rimesso in questione queste analisi». V. Costa nota, in Volerne sapere..., cit., che Derrida pone questa «ipotesi di continuità, fin dalla prima pagina del suo testo, alla base del suo lavoro», e tuttavia «che il pensiero di Husserl si sviluppi senza rotture non è così ovvio». 141 Cfr. ivi, p. 221. 142 Cfr. ivi, p. 212. 37 esclude la non-presenza, si inscrive in essa organicamente, la annuncia e la richiama; sicché proprio dalla fenomenologia, dalla più raffinata autocorrezione della metafisica, «è possibile che», in maniera feconda, «in un modo forse mai udito, la morphé, l'arché e il telos facciano ancora segno»143. Rileva che lo stesso Heidegger, nell'ultimo tentativo pubblico di meditazione sull'opera del maestro, tenga a sottolineare come la fondamentale tematica dell'intuizione categoriale, essenziale scoperta della fenomenologia e luogo in cui essa si avvicinerebbe alla Seinsfrage, sia emersa in Husserl dal contesto di una riflessione sul «rapporto analogico tra la facoltà di conoscere per concetti e la sensibilità»144, e dunque all'interno di una teoria dell'esperienza145. La teoria dell'atto intenzionale esposta nella quinta ricerca si risolve in un'analitica descrizione dei modi in cui una coscienza coglie qualcosa in generale. Per una coscienza, anzitutto, «vivere eventi esterni significa: avere certi atti di percezione, di conoscenza (comunque definita) ecc., rivolti a questi eventi»146. Nemmeno su un piano di senso comune si potrebbe dire che io ho in me, in modo effettivo, il qualcosa a cui mi riferisco; io non ho in me questa sedia, quanto piuttosto l'atto del mio riferimento ad essa: giacché quest'atto è vissuto, Akterlebnis147. Per coscienza possiamo intendere proprio la «compagine complessiva fenomenologica reale (reell)»148 degli atti psichici che costituiscono la fluente trama di tutto ciò che si vive in senso empirico, fattuale; giacché fattualmente, in effettivi accadimenti reali (real)149, io colgo qualcosa. Ma in quanto vivo il riferimento a qualcosa e non qualcosa come tale, il manifestarsi di qualcosa come tale nell'orizzonte della mia coscienza dev'essere indagato al di là degli strumenti della psicofisiologia. «Noi “viviamo” le manifestazioni come appartenenti al nesso della coscienza, mentre le cose ci si manifestano come appartenenti al mondo fenomenale. Le manifestazioni stesse non si manifestano, esse vengono vissute»150. Seguendo l'esempio proposto da Husserl151, poniamo di guardare ad una sfera rossa e, in particolare, al suo colore: ciò che in questo caso è reell, vissuto, è in effetti la 143 Cfr. ivi, p. 230, n. 17. 144 Cfr. M. Heidegger, Zähringen 1973, cit., p. 156 [“concetti” e “sensibilità” sono corsivi miei]. 145 Del resto, è proprio nel legame tra la prima e l'ultima delle Ricerche logiche rispetto al rapporto fra segno e intenzione di significato che V. Costa ritrova «l'unico orizzonte» che lega Husserl, Heidegger e Derrida – appunto, il problema del significato, considerato «ben oltre gli interessi gnoseologici», come annotato da Heidegger sul manoscritto husserliano M III 2 I, 14, nelle sue implicazioni relative alle questioni ontologiche del trascendentale e del tempo. È a partire da questo interrogativo comune che possiamo evitare di ritenere separati i problemi della fenomenologia intesi da Heidegger e Derrida soltanto in base ad un'attenzione peculiare mostrata verso testi differenti (ma, come abbiamo visto, profondamente legati tra loro): rispettivamente, la Sesta ricerca e la Prima. Cfr. V. Costa, La generazione della forma, Jaca Book, Milano 1996, p. 166 e in part. la n. 28. 146 Cfr. E. Husserl, Sui vissuti intenzionali, cit., p. 143. 147 Cfr. E. Husserl, ivi, pp. 143-144. 148 Cfr. ivi, p. 138. 149 La distinzione tra real e reell, introdotta da Husserl nelle Ricerche logiche, distingue tra ciò che è, rispettivamente, effettivamente fattuale, esterno (real) e ciò che è effettivamente vissuto dalla coscienza (reell). Cfr. G. Piana, Nota terminologica, cit., in part. p. 557. 150 Cfr. E. Husserl, Sui vissuti intenzionali, cit., p. 142, 151 Cfr. ivi, p. 141. 38 sensazione di colore, da intendersi astrattamente come una certa complessione sensibile; né la sfera né il suo rosso sono vissuti, come risulta evidente dal fatto che dalla peculiare complessione vissuta è escluso il retro della superficie sferica, con tutto il suo colore – come anche il rapporto di inerenza del rosso all'estensione sferica, irreperibile nel complesso sensibile effettivamente dato. Non possiamo considerare come due fenomeni analoghi il contenuto vissuto e l'oggetto esterno, come vissuti rispettivamente da un punto di vista “interno” e da un punto di vista “esterno” 152. Il secondo, infatti, potrà soltanto essere percepito – manifestandosi in questa percezione –, mai essere vissuto. La manifestatività del qualcosa come tale eccede, dunque, i limiti dell'atto psichico. Essa, nondimeno, può essere analiticamente descritta, ed il primo passo di questa descrizione è nell'osservazione che ogni determinato qualcosa si manifesta come qualcosa a cui ci si riferisce, poiché si palesa per una coscienza che ad esso, in qualche modo, è rivolta. «Ai significati in specie corrispondono gli atti del significare, ed i primi non sono altro che momenti, intesi idealmente, dei secondi»153. L'identità del significato in cui si esibisce l'oggettualità a cui mi riferisco non può, come dimostrato dai Prolegomeni, fondarsi su caratteri generali della psicofisiologia degli atti: ecco dunque che questa componente del vissuto di coscienza per la quale io mi riferisco, di volta in volta, a qualcosa come tale, appartiene strutturalmente all'atto di coscienza come sua intenzionalità. Seguendo Brentano, «geniale autore» della riscoperta moderna di questo carattere formale dell'atto di coscienza, Husserl asserisce che «vi sono diverse modalità specifiche essenziali del riferimento intenzionale o, in breve, dell'intenzione»154. Si tratta di differenze irriducibili che costituiscono un a priori della fattualità psicologica. Se l'atto di coscienza che si riferisce ad un'oggettualità è intrinsecamente caratterizzato da un'intenzione-verso, ciò non significa che tutti i momenti del vissuto siano ipso facto intenzionali: ad esempio, frazioni del campo visivo costituente lo sfondo del mio percepire possono non risolversi nel riferimento ad un oggetto 155. «I contenuti veramente immanenti, che appartengono alla compagine reale dei vissuti intenzionali, non sono intenzionali: essi costituiscono l'atto, rendono possibile l'intenzione come sostegni necessari, ma non sono poi essi stessi intenzionati, non sono gli oggetti rappresentati nell'atto»156. L'atto intenzionale dev'essere dunque integrato da una componente passiva, recepita a partire dall'ambito della ricettività sensoriale. «L'idea dell'attività», infatti, «deve assolutamente restare esclusa»157 dall'Akterlebnis. Il rapporto intenzionale non può essere descritto, qui, altrimenti che come un rapporto già costituito tra momenti di un'articolazione statica. Un primo momento di quest'articolazione si mostra nelle relazioni tra intenzioni e atti di 152 Cfr. ibidem. 153 Cfr. ivi, p. 135. 154 Cfr. ivi, p. 159. 155 Cfr. ivi, p. 160. 156 Cfr. ivi, p. 164. 157 Cfr. ivi, p. 169. 39 riempimento: rigirando tra le mani la sfera rossa riempiamo intuitivamente l'atto che l'aveva intesa nonostante alcuni momenti della sua estensione mancassero nel complesso reell. Se «sono atti anche i riempimenti, e quindi anch'essi sono “intenzioni”» 158 in senso lato – poiché, pur non rimandando ad ulteriore riempimento, sono legati da un riferimento all'intenzione corrispondente – l'apporto sensibile è ricollocato appunto sul piano dell'intenzionalità. Una descrizione eidetica di determinate oggettualità può avvenire, infatti, solo a partire dall'analisi dell'intenzionalità nella quale l'oggettualità in questione si manifesta come riferimento intenzionale159. Soltanto nella sesta ricerca l'architettonica dell'intenzionalità si completa nella più generale descrizione della forma dell'atto intenzionale in quanto tale. «Ogni atto oggettivante concretamente completo», scrive Husserl, «ha tre componenti: la qualità, la materia e il contenuto rappresentante. Questo contenuto può fungere come rappresentante puramente signitivo o puramente intuitivo, e come rappresentante signitivo ed intuitivo insieme» 160. Si tratta di componenti asimmetriche rispetto ad una prima distinzione tra materia d'atto e qualità d'atto161, tra l'oggettualità costituita a cui mi riferisco nell'atto e la modalità con la quale mi riferisco ad essa – cioè il grado di credenza nell'esistenza real con cui essa mi si offre, o eventualmente, la condizione di volizione, di dubbio, di interrogazione caratterizzante il mio rivolgermi ad essa 162. Entrambi i momenti dell'atto possono andare incontro a modificazioni senza che il correlato debba necessariamente modificarsi anch'esso: l'affermazione “vi sono degli esseri intelligenti su Marte” esibisce la medesima oggettualità della domanda “vi sono degli esseri intelligenti su Marte?” e dell'augurio “se almeno vi fossero esseri intelligenti su Marte!”; la stessa modalità affermativa si potrà rivolgere al libro che è nella stanza, all'albero che è nel parco e così via 163. Il binomio, inteso nella sua unità, costituisce l'essenza intenzionale dell'atto164 – la sua, per così dire, impalcatura costitutiva, che tuttavia è «solo una parte dell'atto completo». Giacché infatti la materia d'atto, in quanto «conferisce in primo luogo» all'atto «il riferimento ad un'oggettualità e con una tale determinatezza, che dalla materia non viene soltanto nettamente fissata l'oggettualità in genere […], ma anche il modo in cui esso la intende» 165, è già al di là dell'indeterminata interazione tra ricettività sensibile ed intenzionalità, comprendendo in sé, in ogni atto effettivo di riferimento, un'ulteriore serie di determinazioni possibili relative a quest'indeterminatezza iniziale. «Di fronte all'informe esserci della sensazione», nell'esempio della parola udita 166, «l'eccedenza» 158 Cfr. ibidem. 159 Cfr. ivi, pp. 188-191. 160 Cfr. E. Husserl, Elementi di una chiarificazione..., cit., p. 390. 161 Cfr. E. Husserl, Sui vissuti intenzionali, cit., p. 197. 162 Cfr. E. Husserl, Elementi di una chiarificazione..., cit., p. 394. 163 Cfr. E. Husserl, Sui vissuti intenzionali, cit., pp. 198-199. 164 Cfr. ivi, p. 202. 165 Cfr. ivi, p. 201. 166 Cfr. E. Husserl, Sui vissuti intenzionali, cit., p. 173. 40 che permette la manifestazione dell'oggettualità significata è Apperzeption. Tale appercezione ci appare ora più chiaramente come atto intenzionale oggettivante – tale cioè da far emergere dalla ricettività sensibile, per così dire, un'ostensione rappresentante l'oggetto colto come riferimento intenzionale. «Ogni vissuto intenzionale è un atto oggettivante oppure ha un atto di questo genere al proprio “fondamento”»167. Di fronte alla complessione sensibile udita, dunque, non possiamo assumere la qualità d'atto come mera Apperzeption applicata ad un insieme caotico di sensazioni: la materia d'atto, in quanto riferimento costituito, ha già in sé la componente oggettivante dell'atto. Essa si staglia come oggettualità di fronte ad un'ostensione sensibile rappresentante, ancora passiva, non-oggettuale, e tuttavia già immessa, in quanto complesso intuitivo che assume il ruolo di rappresentante «intessendosi appunto con questa essenza intenzionale», in un atto di Apprehension168. È questo il limite che, sulla soglia della sensibilità, la teoria dell'atto intenzionale non può, in questo momento della ricerca husserliana, oltrepassare. La tripartizione tra qualità, materia e contenuto rappresentante si specifica ulteriormente nell'articolarsi della materia d'atto in una forma apprensionale ed in una materia apprensionale costituenti un'unica rappresentanza, insieme con i contenuti ostensivi rappresentanti, di fronte alla qualità d'atto; dall'elemento repräsentant di base la materia apprensionale fa emergere le determinazioni mediante le quali ci si riferisce all'oggetto, mentre la forma apprensionale definisce le modalità della rappresentazione – se essa sia signitiva, cioè rimandante ad altro, oppure intuitiva, o ancora mista; e se sia «rappresentazione percettiva, rappresentazione fantastica, ecc.». Ne risulta una rappresentanza in una determinata modalità di credenza, di volizione e così via, cioè in una qualità dell'atto169. Husserl non riesce, insomma, a toccare la sensibilità senza porsi almeno un freno che salvaguardi l'idea di logica strenuamente difesa nei Prolegomeni. Nell'espressione essenzialmente occasionale, rappresentante rimane quella contingenza infinitamente indeterminata 170 per noi ancora enigmatica. Proprio questo limite implica il reiterato tentativo di delimitazione dell'intenzionalità del vissuto rispetto al flusso sensibile che sembra stare alla base della vita di coscienza. Ciò non significa che nelle indagini delle Ricerche non si apra uno spiraglio su una trattazione positiva del problema 171. Nel paragonare il concetto di coscienza come compagine reell dei vissuti al concetto di coscienza interna, Husserl nota che «è innegabile che il secondo concetto di coscienza sia “più originario”: esso è il concetto “in sé primo”», poiché, sebbene ricavabile soltanto dalla riflessione e dunque non immediatamente funzionale per una teoria dell'esperienza, riesce ad esibire percezioni interne immediatamente adeguate, non emendabili dalla riduzione dell'io empirico all'io fenomenologico. Tra queste evidenze, ve n'è una nella quale si mostra «l'unità del flusso della coscienza»: quella del 167 Cfr. ivi, p. 279. 168 Cfr. E. Husserl, Elementi di una chiarificazione..., cit., p. 389. 169 Cfr. ivi, p. 394. 170 Cfr. ivi, p. 12. 171 Cfr. E. Husserl, Sui vissuti intenzionali, cit. p. 148. 41 «tempo immanente, appartenente al flusso della coscienza in quanto unità che si manifesta temporalmente». La forma identica che abbraccia i proteiformi contenuti della vita di coscienza è dunque quella dell'«orizzonte temporale del flusso»172. 172 Cfr. ivi, p. 149. 42 II. OCCASIONE E COSCIENZA INTERNA DEL TEMPO § 5. La questione del tempo È significativo che, nonostante gli scritti ad oggi noti di Husserl testimonino un impegno profondo, radicale e reiterato attorno ai problemi del tempo e della temporalità, i primi passi sistematicamente volti in questa direzione si compiano soltanto nel momento in cui la fenomenologia può dirsi, in una certa misura, già matura; matura, quantomeno, in quanto la proposta teoretica offerta nelle Ricerche logiche è, nel 1905, già motivo di dibattito e d'attrazione per il contesto accademico tedesco1. Lo sforzo iniziato con il corso su Hauptstücke aus der Phänomenologie und Theorie der Erkenntnis, tenutosi nel semestre invernale 1904/19052, perdurerà in sostanza fino alla tarda maturità di Husserl – appunto dalle Vorlesungen zur Phänomenologie des inneren Zeitbewusstseins, ultima parte delle lezioni su fenomenologia e critica della conoscenza, ai cosiddetti Späte Texte über Zeitkonstitution (1929-1934)3, passando per i centrali Bernauer Manuskripte (1917-1918)4; tre punti fermi attorno ai quali orbita un variegato gruppo di tentativi d'analisi, collocati sia in opere pubblicate (dagli accenni sparsi nelle Ricerche logiche alle Cartesianische Meditationen del 1929) sia nella messe di appunti sparsi che costituisce il Nachlaß. Se Husserl ha in qualche modo indugiato nel volgersi esplicitamente alla questione del tempo, dunque, ciò non consegue da un eventuale carattere accessorio o periferico del problema rispetto al 1 Il trasferimento di Husserl dall'ateneo di Halle a quello di Gottinga, a seguito della nomina a professore straordinario (settembre 1901), può essere inteso come l'inizio di una prima stabilizzazione del progetto fenomenologico – concretizzatosi, in effetti, in quello che H. Spiegelberg ha designato come movimento fenomenologico (cfr. H. Spiegelberg, The phenomenological movement: a historical introduction, Kluwer, Dordrecht 1994). Prima traccia del dinamismo da cui il movimento prese corpo è costituita dai sempre più intensi rapporti tra Husserl e l'università di Monaco dal 1902 (anno del primo incontro con J. Daubert) al 1905, anno dei primi trasferimenti a Gottinga da parte di studiosi monacensi, fino ad allora formatisi con Theodor Lipps. Il trasferimento, nel 1907, di tre fra i maggiori esponenti degli studi di Monaco (Daubert, Reinach, Conrad) diede poi inizio al sodalizio della cosiddetta München-Gottingen Phänomenologie, strettosi attorno ad un sincero favore di Husserl per la «disposizione tradizionalmente greca al confilosofare» (cfr. A. Pinotti, I centri fenomenologici: Monaco, Gottinga e Friburgo in Brisgovia, in A. Cimino, V. Costa (a cura di), Storia della fenomenologia, cit., pp. 113-128). Va notato che ciò poté avvenire anche in base alla già avvenuta pubblicazione, da parte di allievi di Lipps, di scritti (Phänomenologie des Wollens di A. Pfänder e Zur Grundlegung eine Aesthetik des Rhytmus di M. Ettlinger, entrambi del 1899) inerenti all'ambito lessicale e semantico orbitante attorno al termine “fenomenologia” – ambito da cui anche Husserl prese le mosse nelle sue Ricerche logiche; sicché i gottinghesi «guardavano ai monacensi come a filosofi che rispetto a loro si trovavano a uno stadio più avanzato nella comprensione del metodo fenomenologico e delle sue possibili applicazioni». E tuttavia, proprio dal 1907, la direzione della ricerca husserliana cominciò a deviare sempre più dal progetto di una sistematica analisi eidetica delle essenze, assumendo toni che furono intesi dai contemporanei come sempre più affini alla filosofia trascendentale. Così, un manifesto quale La filosofia come scienza rigorosa veniva pubblicato proprio nel mezzo della dissoluzione della München-Gottingen Phänomenologie. Cfr. ivi, pp. 120-124. 2 Cfr. R. Bernet, I. Kern, E. Marbach, Edmund Husserl, cit., p. 308. 3 Cfr. E. Husserl, Späte Texte über Zeitkonstitution (1929-1934): Die C-Manuskripte, Husserliana: Edmund Husserl Materialienband 8, D. Lohmar (hrsg.), Springer, New York 2006. 4 Cfr. E. Husserl, Die “Bernauer Manuskripte” über das Zeibewusstsein (1917-1918), Husserliana Bd. 33, R. Bernet, D. Lohmar (hrsg.), Kluwer, Berlin 2001. 43 progetto fenomenologico5. Si tratta, nondimeno, di un ritardo consapevolmente sottinteso nel dispiegarsi delle Ricerche. Proposito delle sei indagini è infatti «di portare le idee logiche, i concetti e le leggi, alla chiarezza e distinzione, dal punto di vista gnoseologico»6; ne risulta sin da subito la coimplicazione con la questione della nostra possibilità di cognizione dell'idealità – cognizione che non può che avvenire nel tempo, secondo un'impostazione problematica classica nella tradizione occidentale7. Lo stesso Husserl ci offre esplicita conferma di una viva consapevolezza del problema già al tempo delle Ricerche. «Scorrendo ancora una volta i miei vecchi appunti, ritrovo certe sequenze di pensieri di cui nelle mie Ricerche logiche non sono venuto a capo; certe difficoltà che già allora avevo discusso, non sono state neppure toccate, nonché approfondite in quella mia pubblicazione. Così tutta la sfera del ricordo, e quindi anche tutti i problemi di una fenomenologia dell'intuizione originaria del tempo vi sono stati, per così dire, sepolti nel silenzio. Le straordinarie difficoltà che qui si nascondono, forse le più grandi di tutta la fenomenologia, io non ero in grado di dominarle e, poiché non volevo compromettermi innanzitempo, preferii tacerne del tutto» 8. Così Husserl introduce il tema del corso gottinghese – il primo, tra l'altro, ad introdurre fin dal titolo il concetto di fenomenologia9. La ricostruzione del corso sugli Hauptstücke attraverso i manoscritti del Nachlaß presenta un'interessante peculiarità10. Dei quattro capitoli previsti dal piano delle lezioni – Sulla percezione, Sull'attenzione, intenzione specifica ecc., Fantasia e coscienza d'immagine, Per la fenomenologia del tempo – soltanto i primi tre sono redatti in forma organica e ordinati in un'unica numerazione progressiva. Del capitolo sul tempo, invece, abbiamo solo fogli sparsi, rinvenuti in un unico fascicolo11, insieme con appunti variamente collocabili tra 1905 e 1911: si tratta di appendici, integrazioni, sostituzioni di parti elise dal manoscritto originario; testimonianze tanto di 5 6 7 8 9 10 11 Anzi, «si può dire con sicurezza che nessun altro filosofo sia stato tanto determinato o tanto prolifico nella ricerca della natura della temporalità» (in J. B. Brough, Notes on the absolute time-constituting flow of consciousness, in D. Lohmar, I. Yamaguchi (ed. by), On time – New Contributions to the Husserlian Phenomenology of Time, Springer, Dordrecht 2010, p. 22). Cfr. E. Husserl, Introduzione a Ricerche sulla fenomenologia e sulla teoria della conoscenza, cit., pp. 265-288. Un esempio su tutti ci è offerto dallo schematismo dei concetti puri dell'intelletto, esposto da Kant nelle pagine iniziali dell'Analitica dei principi (in I. Kant, Critica della ragion pura, cit., pp. 190-196). Ivi, p. 137, leggiamo che «una determinazione trascendentale di tempo è omogenea alla categoria (che ne costituisce l'unità), in quanto è generale, e poggia sopra una regola a priori. Ma, dall'altro lato, è omogenea al fenomeno, in quanto il tempo è contenuto in ciascuna rappresentazione empirica del molteplice. Quindi un'applicazione delle categorie a fenomeni sarà possibile mediante la determinazione trascendentale del tempo». I concetti puri dell'intelletto, in quanto soggetti ad uso empirico (cioè in quanto riferiti a priori soltanto a fenomeni), non possono che riferirsi ad un oggetto, che in ultimo è una modificazione della nostra sensibilità; sicché questi concetti «debbono pure contenere a priori condizioni formali della sensibilità […] che costituiscono la condizione generale secondo la quale soltanto una categoria può essere applicata ad un oggetto qualunque». Cfr. il manoscritto di E. Husserl, F I 9/4a-b, Husserl Archives Leuven, cit. in R. Boehm, Introduzione a E. Husserl, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, cit., pp. 13-36, in part. pp.15-16. Cfr. R. Bernet, I. Kern, E. Marbach, Edmund Husserl, cit., pp. 304-308. Su cui cfr. R. Boehm, Introduzione a E. Husserl, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, cit., pp. 14-17. Si tratta del fascicolo F I 6. Singoli fogli di Per la fenomenologia del tempo sono in F I 8/90-96. Cfr., a questo proposito, R. Boehm, Introduzione a E. Husserl, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, cit., p. 14, n. 5. 44 un'incompletezza del discorso esposto nel 1905, quanto di un'esigenza d'integrazione sentita almeno fino al 1911. La concentrazione, in questo lavoro di rielaborazione, soltanto sul capitolo dedicato alla fenomenologia del tempo, testimonia, del resto, un allascarsi del legame tra tempo, percezione e fantasia – ancora inteso, in una nota di diario del settembre 1906, come il nucleo meglio definito di una nuova «trattazione fenomenologica della ragione», che funga da base ad «un effettivo chiarimento della ragione logica ed etica»12. Tra il 1905 ed il 1906 la ricerca sul tempo rientra, insomma, nel lavoro, «nel senso più serio della parola, fondamentale, da un lato per la critica della conoscenza, dall'altro per la critica della psicologia» 13, di definizione di un sostrato sistematico per la teoria degli «atti intellettivi superiori» presentata nelle Ricerche logiche. La tensione della ricerca muove verso l'articolazione di un sistema: persino la fenomenologia del significato, esposta nei suoi tratti fondamentali nelle Ricerche logiche, sembra ora troppo poco sistematica14. «Dapprima avevo pensato», continua Husserl nell'introduzione agli Hauptstücke, «in particolare soltanto agli atti intellettivi superiori, alla sfera della cosiddetta “teoria del giudizio”. Lavorando con i miei allievi facevo conto di studiarne i problemi, per larga parte neppure formulati, di questo campo complesso e ancora poco conosciuto, di tentare soluzioni o almeno di sviscerare, insieme con loro, qualche possibilità di soluzione. Ma nello studio preparatorio delle materie relative mi sono accorto ben presto che non erano soltanto ragioni pedagogiche, ma soprattutto una necessità obiettiva, a richiedere una trattazione particolareggiata degli atti intellettivi sottostanti. Intendo naturalmente riferirmi a quei fenomeni […] [quali] percezione, sensazione, rappresentazione di fantasia, rappresentazione di immagine, ricordo […] che scientificamente sono stati assai poco approfonditi»15. Il primo tentativo d'indagine sul tempo rimane coerente a questa dichiarata sistematicità: proprio quello stretto nesso con percezione, fantasia e ricordo sembra installare il carattere temporale dell'oggetto intenzionale tra le modificazioni possibili della qualità d'atto, in un consapevole movimento d'obiezione a Brentano16 e, ad un tempo, in una ricomprensione del problema all'interno dello schema contenuto apprensionale - apprensione. Un anelito sistematico fa dunque tutt'uno con il contesto effettivo di studio e ricerca in cui Husserl 12 13 14 15 16 Cfr. W. Biemel (Hrsg.), E. Husserl, Persönliche Aufzeichnungen, cit., pp. 298-299. Cfr. ibidem. Cfr. W. Biemel (Hrsg.), E. Husserl, Persönliche Aufzeichnungen, cit., p. 298. Cfr. E. Husserl, F I 9/4a-b, cit., p. 15 [“necessità obiettiva” è corsivo mio]. Cfr. E. Husserl, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, cit., pp. 49-56. Per una cronologia delle diverse teorie brentaniane sul tempo, cfr. M. Libardi, Franz Brentano (1838-1917), in L. Albertazzi, M. Libardi, R. Poli (ed. by), The school of Franz Brentano, Kluwer, Dordrecht 1996, pp. 25-80, in part., pp. 65-67. Per una ricognizione più vasta e particolareggiata degli studi di Brentano sulla coscienza del tempo, cfr. F. Costa, La théorie du temps chez Brentano, in Revue de Métaphysique et de Morale, LXVII année (1962), 4, Presses Universitaires de France, pp. 450-474. Perno della critica husserliana al maestro è la tesi, da questi sostenuta nella tarda maturità, che le oggettualità passate siano presenti alla coscienza (appunto in quanto passate, e dunque in modo essenzialmente peculiare) come rappresentazioni prodotte dalla fantasia, dotate intrinsecamente di una caratterizzazione temporale e di volta in volta volta trattenute in questa loro specificità nell'atto presente; nella misura in cui in ogni atto di coscienza la fantasia entra in rapporti peculiari con la sensazione presente (con la sensazione, cioè, a cui ora corrisponde uno stimolo esterno ed un mio patire), possiamo parlare di «associazione originaria». Allo stesso modo, l'aspettazione è possibile per via dell'azione modificante della fantasia basata ogni volta sull'affezione presente. 45 intraprende il lavoro fondamentale sul tempo. La comunità che va formandosi attorno al progetto fenomenologico17 è un incentivo a definirne al meglio le linee programmatiche e, insieme, un primo accesso a nuovi apporti. Dal 1902 al 1916 i più capaci fra gli allievi acquisiscono sempre maggiore rilevanza nell'autointerpretazione del compito fenomenologico, influenzando – anche nella forma polemica dell'opposizione – lo stesso percorso personale di Husserl. Il corso del 1904-1905 prende corpo proprio in questo clima: subito dopo la prima visita di Husserl a Monaco 18, nel maggio 1904, durante la quale il fenomenologo ha modo di confrontarsi con Theodor Lipps e con i suoi studenti 19; subito prima della villeggiatura a Seefeld, dove, nell'estate del 1905, Husserl s'impegna in un serrato confronto con due tra i maggiori allievi di Lipps, Alexander Pfänder e Johannes Daubert20 – intitolando poi ad entrambi, in una nota a margine, la «difficoltà» che lo spinge, in quelle settimane, a redigere un importante manoscritto sul problema dell'individuazione. Proprio in Daubert, del resto, è stato poi riconosciuto «il vero architetto del movimento fenomenologico»21, nonché uno dei più brillanti (e meno noti) teorici dei primi momenti della München-Gottingen Phänomenologie. Considerato il carattere delle precedenti ricerche dei due studiosi monacensi – attenti soprattutto alla descrizione di aspetti psichici “ordinari”, quali il sentimento, l'attenzione, l'appercezione 22 –, 17 Per una vivida descrizione dell'impegno etico che andava unendo quel gruppo di studiosi, cfr. E. Stein, Life in a jewish family. 1891-1916, Washington Province of Discalced Carmelites, Washington 1986, pp. 239-367. Questo capitolo dell'incompiuta autobiografia si apre così: «Cara Gottinga! Credo proprio che soltanto qualcuno che abbia studiato lì tra il 1905 ed il 1914, il breve tempo della fioritura della Scuola Fenomenologica di Gottinga, possa apprezzare tutto ciò che quel nome evoca dentro di noi». Cfr. anche J. Hering, La phénoménologie d'Edmund Husserl il y a trente ans. Souvenirs et réflexions d'un étudiant de 1909, cit., pp. 366-373. In questa breve memoria Hering si concentra soprattutto sui motivi di disaccordo tra Husserl e Reinach, che entro il 1913 aveva già trasformato la München-Gottingen Phänomenologie da cerchio accentrato su Husserl, ad elisse, con sé stesso come secondo fuoco. Fu proprio Reinach ad introdurre i nuovi allievi – tra cui Stein – al confronto col Maestro, che intanto stava ultimando la pubblicazione di Ideen I. 18 Nell'ateneo monacense si riuniva l'Akademischer Verein für Psychologie, fondato da T. Lipps nel 1895. La ricognizione della fenomenologia da parte di questo nucleo della scuola lippsiana ebbe probabilmente un effetto determinante sulle Ricerche logiche, ed in particolare sull'autocritica di Husserl rispetto ad una prima installazione delle sei ricerche nell'ambito della psicologia descrittiva. Viceversa, la lettura delle Ricerche condusse gli allievi di Lipps a collocare il suo insegnamento nell'ambito contraddittorio dello psicologismo, preludendo alle “fughe” verso Gottinga degli anni 1905-1907 ed alla riconsiderazione, da parte di Husserl, della solida teoria del giudizio esposta nelle Ricerche, come si evince dal corso sulla Urteilstheorie del SS 1905, a cui molti monacensi assistettero. Cfr. G. Fréchette, Phenomenology as descriptive psychology: the Munich interpretation, in Symposium, XVI/2 (2012), pp. 150-170. Qui si sottolinea come uno dei punti centrali della critica husserliana a Lipps riguardasse il rifiuto di un io inteso come substrato puro degli atti di coscienza, in favore de concetto di io come oggetto empirico difeso nella prima edizione delle Ricerche logiche – e, come noto, poi rifiutato da Husserl proprio nel ritorno ad un io trascendentale puro. L'acquisizione del concetto di fenomenologia come descrizione di essenze spingeva i monacensi a restringere sempre più il ruolo della componente real (e dunque dell'io) nella descrizione fenomenologica; sicché, mentre nel 1906 si esplicitava infine un vero e proprio conflitto tra Lipps ed i suoi studenti, lo stesso Husserl era ormai prossimo ad introdurre l'idea di riduzione trascendentale nella ricerca fenomenologica, attraverso le note lezioni del WS 1906-1907 raccolte in Die Idee der Phänomenologie. 19 Cfr. A. Pinotti, I centri fenomenologici: Monaco, Gottinga e Friburgo in Brisgovia, cit., p. 119. 20 Cfr. K. Schumann, Structuring the Phenomenological Field: Reflections on a Daubert Manuscript, in W. S. Hamrick (ed. by), Phenomenology in practice and theory, Nijhoff, Dordrecht 1985. 21 Cfr. ivi e K. Schumann, B. Smith, Against idealism. Johannes Daubert vs Husserl's Ideas I, in Review of Metphysics, 39 (1985), pp. 763-793. 22 Su Pfänder, cfr. K. Schumann (Hrsg.), A. Pfänder, Psychologische Vörtrage (1895-1900), North American Society For Early Phenomenology, 2012. Su Daubert, cfr. J. Daubert, A I 4/1-17 (July 1902), in K. Schumann (hrsg.), Daubert-Chronik, in Id., Selected papers on phenomenology, Kluwer, Dordrecht 2004, p. 288. 46 s'intravede come proprio la questione dell'individuazione abbia aperto l'accesso ai problemi indagati negli Hauptstücke e, soprattutto, alla questione del tempo. Se le lezioni del 1905 intendono rispondere a problemi più o meno impliciti nelle Ricerche, luogo della prima esplicazione di questi ultimi è appunto il manoscritto di Seefeld. Gli articolati appunti di Husserl sono stati ritrovati in un unico fascicolo, sotto il titolo di Manoscritti di Seefeld e anteriori sull'individuazione23. Tranne uno scritto risalente agli anni di Halle, i quattro documenti lì compresi sono stilati tra il 1905 ed il 190924. Ma il primo25, su cui è apposta la nota relativa alla «difficoltà Pfänder-Daubert», è stato certamente scritto durante l'estate trascorsa a Seefeld. La difficoltà a cui Husserl si riferisce, ricavabile dagli appunti di Daubert, consiste, in ultimo, in una domanda: «l'haecceitas si dà oggettualmente?»26. Come colgo un'oggettualità come un quale, e dunque come un individuo autoidentico, a fronte di tutto ciò che di altro mi si manifesta nell'atto di riferimento intenzionale? Secondo l'impostazione consegnataci dalle Ricerche logiche, il senso di una percezione, ciò che di essa è esprimibile in un enunciato, risiede in un atto intermedio, in un intendere-questo che media, appunto, tra percezione ed espressione; sicché la base intuitiva, il contenuto repräsentant – costitutivamente fattuale, contingente, occasionale – può variare senza intaccare l'identità del Sinn a cui di volta in volta mi riferisco27. Se lo stesso a cui mi riferisco è in sé lo stesso, in quanto lo colgo come tale, questa stessità dovrà perdurare attraverso molteplici occasioni di apprensione intuitiva. Un'oggettualità già costituita – quale è quella che Husserl intende come materia d'atto28 – sembra avere già in sé quest'unità, poiché di volta in volta la troviamo già identica a sé. L'unità dell'oggetto apparterrà allora ad una sua trascendenza, ad una componente non descrivibile fenomenologicamente? Husserl muove, nel manoscritto del 1905, proprio da questa domanda. «Vedo una bottiglia di birra, che è bruna, mi attengo al “bruno” della 23 Cfr. E. Husserl, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, cit., p. 249, n. 97. 24 È questa l'ipotesi di datazione proposta da R. Boehm, come si legge ivi, p. 249, note 97 e 98. Un'importante obiezione a questo proposito è stata avanzata da R. Bernet, che, curando una nuova edizione dei testi sulla coscienza interna del tempo (R. Bernet (hrsg.), E. Husserl, Texte zur Phänomenologie des inneren Zeitbewusstseins, Meiner, Hamburg, 1985), ha proposto una nuova cronologia per i testi integrativi (sez. B dell'ed. it. cit., pp. 163-366). Per i risultati di questa risistemazione, cfr. l'Einleitung di Bernet all'ed. cit., pp. XV-LXVII. L'emendazione più rilevante riguarda proprio i manoscritti 36, 37 e 38, presenti nel fascicolo intitolato ai Manoscritti di Seefeld, ma privi di datazione (a differenza del 35, datato esplicitamente «Seefeld, ferie estive 1905»). Essi sono stati postdatati dal 1909 al 1917 (cfr. R. Bernet, Einleitung, cit., p. XXXV). Per quanto riguarda le altre emendazioni, il testo n. 18 è postdatato dal 1901 al 1904; i testi 48-50 dal 1908 al 1909. La modifica più rilevante rimane dunque quella relativa ai Seefelder Manuskripte, resi coevi ai Bernauer Manuskripte. Nondimeno, proponendoci di descrivere uno sviluppo cronologico nel pensiero di Husserl, dovremo cercare di riferirci, di volta in volta, a manoscritti dalla datazione non ambigua – o comunque di segnalare il pendente disaccordo sulla datazione. D'ora in poi, parlando di datazione Boehm e datazione Bernet mi riferirò alle due proposte di sistemazione, come esposte rispettivamente in R. Boehm, Costituzione del testo, pp. 163-164 dell'ed. it. cit. ed in R. Bernet, Einleitung, cit. 25 Cfr. ivi, pp. 249-250. 26 Cfr. J. Daubert, Pfänderiana B 11 1/7 (20/02/1906), in K. Schumann (hrsg.), Daubert-Chronik, cit., p. 288. Cfr. anche, per la ricostruzione dello sviluppo del problema, le altre annotazioni di Daubert alle pp. 299 (A I 8/74) e 305 (Pfänderiana B 11 1/8). Un'indagine più dettagliata del problema dell'individuale in Husserl – muovendo appunto dalla difficoltà Pfänder-Daubert – si trova in F. Masi, La necessità dell'individuo. Logica della conoscenza naturale, in Id., L'arte della misura. Contributi su fenomenologia e conoscenza naturale, Giannini, Napoli 2012, pp. 15-78. 27 Cfr. E. Husserl, Elementi di una chiarificazione fenomenologica della conoscenza, cit., pp. 315-325. 28 Cfr. supra, pp. 40-41. 47 sua estensione “così come è realmente dato” ed escludo tutto ciò che nel fenomeno non è dato, ma soltanto intenzionato»29. Osservo così che, in effetti, reell non è la bottiglia di birra, né il bruno della bottiglia di birra: per ciascun atto, reell è l'apparizione della bottiglia di birra. La bottiglia di birra appare in ciascuna apparizione: «quelle sono diverse, la bottiglia è la stessa» 30. Mentre infatti il riferimento intenzionale alla bottiglia può essere ulteriormente determinato, presentando momenti vuoti rispetto a determinati riempimenti, «la percezione immanente non contiene nulla che sia “mera intenzione”, la sua “coscienza d'oggetto” è continuamente riempita» 31, ed in questo riempimento il contenuto immanente dura continuativamente. «Questo bruno dura ed io distinguo delle fasi nella sua durata. […] Distinguo, nel senso più proprio, segmenti, durate parziali; in ciascuna dura il “bruno” che si estende attraverso tutte le parti dell'estensione». In quanto vi distinguo delle fasi, dunque, questo bruno hic et nunc non può essere inteso come la puntuale, ultima e più determinata differenziazione di una specie come il bruno. Anche isolando questo bruno dal suo essere bruno-di-questa-bottiglia e bruno-percepito-da-me, esso rimane «pregiudizialmente un “questo qui” percepito ed ha il suo “ora”, senza naturalmente che ciò – ossia, che esso è ora – sia nell'intenzione»32. L'apparizione di questo bruno, dunque, dura: «è un'apparizione estesa nella quale c'è un oggetto esteso», inteso in quanto tale – l'intenzione è, cioè, riferita al bruno che dura e non alla durata del bruno. Sicché l'estensione temporale non dura: sono gli oggetti a durare in essa. Ciò che rende possibile questa durata è un'identità dell'oggetto-bruno; se questo bruno muta, esso dev'essere pur sempre, nel mutamento, questo bruno: dev'essere, cioè, di volta in volta riconducibile, mediante astrazione ideante, alla specie autoidentica “bruno”. Il bruno che nella durata è identico è dunque «inteso in identità e medesimezza» 33. Noi constatiamo in qualche modo la sua identità, ma «constatare, naturalmente, non significa trovare un contenuto». Il tentativo di descrizione non vede nell'elemento repräsentant, coerentemente con l'impostazione delineata nelle Ricerche logiche, alcun elemento che possa implicare l'identità dell'oggettualità nel mutamento. «Là dove percepiamo un mutamento continuo, noi supponiamo l'identità di ciò che muta, dell'oggetto, non della qualità» – vale a dire, del riferimento intenzionale e non della base intuitiva. Anzi, «nella rappresentazione intuitiva l'individuale non è reperibile»; l'haecceitas è una tratto imposto al contenuto apprensionale dall'apprensione obiettivante, capace di tradurre il perpetuo mutamento in un continuo ripetersi di momenti che si differenziano – nel quale si ripetono, altresì, quei caratteri omogenei che, riempiendo «incessantemente il segmento temporale», vengono intesi in un secondo continuum: quello dell'individuum, dell'unità reale che dura nel tempo. Ed il tempo stesso, in quanto costituito di punti costantemente riempiti, può essere 29 30 31 32 33 Cfr. E. Husserl, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, cit., p. 249. Cfr. ibidem. Cfr. ivi, p. 250. Cfr. ivi, p. 251. Cfr. ibidem. 48 inteso come un terzo continuum. Su ciascuno dei tre livelli «nessuna fase può essere trattenuta» 34, nessun momento puntuale o comunque piccolo a piacere può essere astratto ed analizzato come tale; la riflessione può cogliere, nella manifestazione del bruno, soltanto un plenum temporale, riempito da un decorso di durata e mutamento di questo colore. Possiamo così distinguere «1) il colore come plenum temporale […] 2) il colore che dura»35: da un lato, le incessantemente mutevoli apparizioni del colore; dall'altro, un momento essenziale «che si allunga nel tempo». Separati questi due momenti, Husserl può descrivere sia la durata caratterizzata dal non-mutamento (nella quale tutte le variabili determinazioni del momento 1 sono comprese nel momento 2), sia quella caratterizzata dal mutamento, nella quale l'individuum permane attraverso la molteplicità di apparizioni differentemente determinate. «L'individuale è», appunto, «ciò che è identico nel tempo» 36. Il rapporto tra pienezza e tempo riempito è, in ultimo, interpretabile in maniera analoga a quello tra un substrato e la sua impalcatura formale: molteplici substrati istantanei si installano nella forma e, «se adempiono le condizioni di una certa continuità di contenuto (quindi, di substrato) entro una sequenza continua di tempo, costituiscono un substrato» che dura nella sua impalcatura temporale. Sembra riproporsi, qui, quella «metafora geologica» 37 che Derrida ha visto come momento chiave dell'indagine sul significato e che possiamo ricondurre alla più generale forma dello schema contenuto apprensionale - apprensione. La tensione tra pensiero, scrittura personale e scrittura pubblica, vissuta da Husserl in una maniera in certo modo drammatica38, tocca anche, naturalmente, lo scritto di Seefeld – del quale gli altri fogli presenti nel fascicolo costituiscono un commento redatto a più riprese. Uno tra questi, intitolato ad una Obbiezione contro tutto il modo di questa considerazione di Seefeld 39, si conclude così: «Si possono pensare degli oggetti costruiti di “momenti”? Come se un collegamento o una fusione di momenti restasse non-indipendente fino al sopraggiungere di un momento ultimo. Bisogna procedere in base a questo schema, per cui in sostanza ogni momento “ultimo” di questo genere sarebbe individualizzante, o non si tratta di uno schema sbagliato? Indipendente sarebbe ciò che può essere per sé […] senza integrazione da parte di qualche altro. In che misura questo modo di vedere è sensato? La durata temporale è un momento, del quale io possa chiedere se può o non può essere per sé?». Fin dalla redazione del 1905, del resto, Husserl è probabilmente consapevole di un'effettiva parzialità dello schema descritto a Seefeld. La teoria degli interi e delle parti, delineata cinque anni prima nella terza ricerca, poteva descrivere soltanto morfologie già date, già offrentisi 34 Cfr. l'appunto del settembre 1904 in E. Husserl, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, cit., pp. 216-218. 35 Cfr. ivi, p. 256. 36 Cfr. ivi, p. 259. 37 Cfr. J. Derrida, La forma e il voler-dire, cit., pp. 214-215. 38 Su quest'aspetto della ricerca husserliana si veda, ad es., A. Marini, Edith Stein e il «monogramma interiore» di Husserl, cit., pp. 397-410. Cfr. anche supra, p. 8, n. 1. 39 Cfr. E. Husserl, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, pp. 272-274. 49 all'interno di una riflessione astraente che ne potesse sperimentare le variazioni possibili 40. Tale variabilità, proprio in quanto illimitata in alcuni suoi momenti, deve inerire ad un'oggettualità puntuale nella sua manifestatività, ad un già costituito campo di variazioni possibili, se un'analisi eidetica dev'essere possibile. Coerentemente, l'atto intenzionale può soltanto esibire, nei suoi momenti, contenuti già in qualche modo irregimentati in strutture intenzionali. Messa in rapporto al tempo, insomma, l'apparizione dell'oggettualità, per com'è intesa nelle Ricerche, potrebbe essere considerata istantanea. L'esposizione di Seefeld rimane in quest'alveo nella misura in cui i molteplici substrati sono ancora intesi come puntualità istantanee integrate in un continuo da un sovrimposto atto intenzionale – dato che le omologie manifeste nelle varie fasi, pur costituendo il fondamento dell'atto di continuizzazione-obiettivazione, non comportano alcuna identità ed, ipso facto, alcuna durata. D'altra parte, la stessa possibilità di un coglimento riflessivo di un'apparizione puntuale dev'essere rimessa in discussione, a fronte dell'offrirmisi, nella continuità temporale, soltanto di tratti, di pienezze ininterrotte – mai di fasi. Quest'ambiguità implica una riconsiderazione del «concetto di forma»: vale a dire, sia della mereologia descritta nelle Ricerche, sia della formatempo che s'installa sul substrato. È possibile leggere le Vorlesungen del 1905 proprio sulla scia di un tentativo di descrizione della forma del «tempo che appare»41, della durata nella sua datità assoluta, nella quale oggettualità colte intenzionalmente esibiscono il loro durare. A questa traccia s'aggiunge il lungo processo d'autocritica e messa in questione dello schema contenuto apprensionale - apprensione, la cui complessa cronologia42 può essere seguita forse soprattutto in quello che potremmo chiamare 40 Cfr. E. Husserl, Sulla teoria degli interi e delle parti, cit., pp. 17-84. 41 Cfr. E. Husserl, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, cit., p. 44. 42 La storia editoriale di Zur Phänomenologie des Inneren Zeitbuwusstseins (1893-1917) è di difficile ricostruzione. Il testo tedesco (R. Boehm (hrsg.),Nihjoff, Den Haag 1966), come quello italiano, è composto da due parti: la prima riproduce le Vorlesungen zur phänomenologie des inneren zeitbewusstseins curate da M. Heidegger e comparse nel 1928 sullo Jahrbuch (M. Heidegger (hrsg.), E. Husserl, Vorlesungen zur Phänomenologie des inneren Zeitbewusstseins, in Jahrbuch für Philosophie und phänomenologische Forschung, Bd. IX. Halle an der Saale 1928, pp. 367-498); la seconda parte comprende cinquantaquattro appunti integrativi alle lezioni, contenenti i risultati più organici dell'indagine husserliana sul tempo dal 1893 al 1911 – vale a dire, dal giovanile impegno come Privatdozent ad Halle agli anni del declino della München-Gottingen Phänomenologie. Quasi tutti i documenti contenuti nel fascicolo F I 6 dell'Archivio Husserl di Lovanio sono inseriti nella prima parte. Alcuni, meno coesi ma pur stesi in vista delle Vorlesungen del 1905, sono collocati nella seconda parte. Quest'ultima è composta anche da fogli provenienti dai fascicoli K I 55 (da cui viene l'appunto più antico), A VII 25 (da cui vengono i manoscritti di Seefeld), F I 7 (1907), F I 17 (1909). Questa sistemazione cronologica si fonda su fattori esterni ed interni al testo (sviluppi teoretici così come datazioni a margine, rimandi ad opere pubblicate), ma, visto il carattere cursorio della scrittura personale di Husserl, non può considerarsi definitiva. Il testo pubblicato nel 1928 comprendeva a sua volta due parti: da un lato, le presunte lezioni del 1905; dall'altro, tredici Aggiunte e integrazioni datate 1905-1910, delle quali ci è rimasta soltanto la decima. Per quanto riguarda le lezioni, è quasi certo che Heidegger si sia attenuto, nel pubblicare il testo, ad un'elaborazione incompleta degli appunti di Husserl condotta da E. Stein tra l'estate del 1917 e l'autunno del 1918. A E. Stein Husserl aveva consegnato un fascicolo contenente gli appunti per le lezioni del 1905 e successive annotazioni – connesse tematicamente, ma non testualmente – risalenti agli anni 1905-1911. Proprio mentre Husserl redigeva, in villeggiatura a Bernau, nuovi manoscritti sul tempo, Stein alloggiò presso di lui per illustrargli il suo lavoro sul fascicolo. Non è chiaro in che misura Husserl abbia prestato attenzione all'operato della Stein, che nello sforzo d'integrazione giunse anche ad arricchire e rielaborare concettualmente alcuni momenti del testo husserliano. Ad ogni modo, nell'aprile 1926 Husserl consegnò ad Heidegger, che gli stava intanto mostrando le bozze di Essere e tempo, l'incompleta rielaborazione della Stein, affinché la rendesse adatta alla pubblicazione. 50 “lavoro a margine” di Husserl – nel complesso di note, aggiunte, correzioni e suggestioni circa il tempo stilate dal 1893 al 1911 e dunque, pur in sottotraccia, parallele all'anelito sistematico, la cui stretta coesione con la riflessione sull'io puro trova la sua più ricca esplicitazione nelle Ideen del 191343. Negli anni successivi il lavoro sul tempo andrà incontro ad un confronto sempre più diretto con la dinamica impressa da questo scritto all'indagine fenomenologica nel suo complesso44. Introducendo l'ultima parte del suo corso sugli Hauptstücke aus der Phänomenologie und Theorie der Erkenntnis, Husserl si riferisce ad un esempio analogo a quello della bottiglia di birra. «Guardiamo un pezzo di gesso; chiudiamo ed apriamo gli occhi. Abbiamo così due percezioni. Diciamo allora che vediamo lo stesso gesso due volte. Abbiamo qui contenuti temporalmente separati, avvertiamo bensì uno stacco, una separazione […], ma nell'oggetto non c'è alcuna separazione, è sempre lo stesso: nell'oggetto durata, nel fenomeno cambiamento»45. L'oggetto dura nella sua obiettività, e, insieme a tutti gli altri oggetti, è una componente di un mondo obiettivo in cui decorre un tempo obiettivo. È questo il mondo dell'esperienza naturale. Ma «spazio obbiettivo, tempo obiettivo e, con essi, il mondo obbiettivo delle cose e degli eventi reali – queste sono tutte trascendenze. Sia ben chiaro, trascendenti sono lo spazio e la realtà, non già in un qualche senso mistico, come “cose in sé”, ma proprio come spazio fenomenale e come realtà spazio-temporale fenomenale: la figura spaziale che appare, la figura temporale che appare. Tutte cose che non sono dei vissuti»46. In altre parole, posto un oggetto che dura, io non posso dire di vivere la sua durata obiettiva, scandita dal cronometro, dell'unico tempo del mondo, quanto piuttosto un certo decorso di durata nel «tempo immanente nel flusso di coscienza». La messa fuori causa di ciò che non è immediatamente dato ci mostra un tempo diverso da quello che viviamo «nel contesto dell'oggettualità d'esperienza». Questa differenza è lo spazio dell'analisi fenomenologica: le commisurazioni, le obiettività e gli ordini vissuti nell'esperienza devono essere fondati su elementi apprensionali che strutturano l'orizzonte ricettivo della sensibilità. Giacché «non è nei contenuti 43 44 45 46 Heidegger vi riuscì nel 1928, senza apportare, come già detto, eccessive modifiche alla composizione (e provocando così, in qualche misura, la delusione di Husserl). L'attuale versione della prima parte consta dunque del testo del '28, emendato attraverso altri appunti ritrovati nel Nachlaß (ma senza l'elaborazione Stein a fare da riferimento intermedio). Cfr. R. Boehm, Introduzione a E. Husserl, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, cit. Ma si tratta di un nesso che Husserl vive con profonda coscienza almeno fin dal 1906. Cfr., ad esempio, la già citata nota di diario del 25 settembre 1906, in W. Biemel (hrsg.), E. Husserl, Persönliche Aufzeichnungen, cit., p. 297. «Al primo posto», comincia Husserl, «voglio menzionare il compito generale che devo assolvere per me stesso, se devo potermi chiamare filosofo. Intendo una critica della ragione. Una critica della ragione logica e pratica, della ragione valutante in genere. Senza venire in chiaro per me stesso, nelle linee generali, del senso e dell'essenza, dei metodi e dei principali punti di vista di una critica della ragione, senza aver escogitato, abbozzato, stabilito e fondato un piano generale per essa, io non posso veramente e veracemente vivere»; cfr. l'Introduzione di A. Vasa a E. Husserl, L'idea della fenomenologia, cit., pp. 9-40. Cfr., inoltre, E. Husserl, A I 36, p. 193b, cit. in R. Bernet, I. Kern, E. Marbach, Edmund Husserl, cit., p. 87: «La coscienza […] non è un vissuto psichico, un plesso di vissuti psichici, una cosa, un'appendice (stato, attività) di un oggetto naturale. Chi ci salva dalla reificazione della coscienza? Costui sarebbe il salvatore, anzi il creatore [corsivo mio] della filosofia». Cfr. G. Iocco, Profili e densità temporali, cit., pp. 173-208. Cfr. E. Husserl, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, cit., p. 47. Cfr. ivi, p. 44-45. 51 “primari” che si costituisce l'obbiettività, ma nei caratteri apprensionali e nelle legalità d'essenza ad essi inerenti. Sviscerare e comprendere tutto ciò è, appunto, il compito di una fenomenologia della conoscenza»47. § 6. L'a priori dell'ora ed il tentativo di un'impostazione statica del problema La riconsiderazione della nozione di innere Bewusstseins, di coscienza interna48, lasciata da parte nella quinta ricerca, è un passo necessario per iniziare un'indagine sulla temporalità immanente. Una qualsiasi presupposta obiettività di quest'ultima, infatti, rischierebbe di far scadere l'analisi fenomenologica in una petitio principii. La critica a Brentano da cui prendono le mosse, nelle Vorlesungen del 1905, le prime distinzioni in ambito fenomenologico49, presuppone, del resto, proprio l'innovatrice riflessione del maestro sul tema della coscienza interna, nel suo stretto legame con la teoria delle rappresentazioni esposta nella Psicologia dal punto di vista empirico. Secondo Brentano, l'immediata consapevolezza interna di un vissuto di coscienza si articola in uno con lo stesso vissuto, come cognizione in esso implicita; un'interpretazione che dichiaratamente s'oppone ai vari tentativi di riduzione della coscienza interna a meta-coscienza, ad atto psichico rivolto ad un altro fra i propri vissuti psicofisici 50. Sembra, piuttosto, che tale cognizione sia immanente anche a 47 Cfr. ivi, pp. 46-47. 48 È utile, a questo proposito, ricordare una nota apposta da Kant al § 4 della sua Antropologie in pragmatischer Insicht (cfr. l'ed. it. a cura di P. Chiodi, Antropologia dal punto di vista pragmatico, in I. Kant, Critica della ragion pratica e altri scritti morali, UTET, Torino 2014, pp. 535-757, in part. pp. 554-555; l'ed. or. è Anthropologie in pragmatischer Hinsicht, Nicolovius, Königsberg 1798). Lì, la differenza tra facoltà di pensare e facoltà di percepire comporta una differenza interna alla generica coscienza di sé (apperceptio): l'appercezione del concetto è una coscienza dell'intelletto, riflessiva e pura; soltanto l'altra appercezione, di carattere empirico, potrà essere detta senso interno. Fra i moderni, Leibniz è il primo ad indicare un nesso essenziale tra coscienza umana, riflessione ed appercezione: dalle semplici entelechie alle anime e fino agli spiriti, posta la comune caratteristica della percezione, v'è un grado sempre maggiore di distinzione. A differenza delle semplici entelechie, analoghe a quelle dell'animale addormentato, gli animali hanno un sentimento ed una memoria della percezione; gli spiriti, che pure per lo più basano conoscenze ed aspettazioni sull'empirica rilevazione di percezioni ripetute, possono giungere a scoprire verità necessarie mediante atti di riflessione, cioè atti d'autocoscienza riflessiva che nello spirito ritrovano l'eterno e l'astratto (cfr. G. W. Leibniz, Monadologia, ed. it. a cura di C. Calabi, Mondadori, Milano 1995, pp. 33-41). Cionondimeno, tracce di questo legame si ritrovano anche nei Principes de la philosophie (1640) di Descartes (cfr. Première partie, 9: Ce que c'est que penser) e in Locke, An essay on human understanding (1688) (cfr. Book II, Chapter I, 9). N. Abbagnano riconduce questo legame profondo fino al neoplatonismo ed al primo cristianesimo. La grecità classica non avrebbe, infatti, inteso questa consapevolezza come immediata: il dialogo dell'anima con sé stessa nel Teeteto platonico manterrebbe, in effetti, un'essenziale componente dianoetica e linguistica. Qualcosa come una coscienza interna inizia a profilarsi nel tema stoico del ritorno in sé come sorgente, ad un tempo, di equilibrio morale e di una conoscenza privilegiata. Il cristianesimo eredita il nesso da questa stessa sorgente (attraverso Paolo, cfr. ad esempio Rom 2,15) e dall'antico testamento (cfr. Ec 10, 20). Ma è con la συναίσίθησις introdotta da Plotino (Enneadi, V, 3) che per la prima volta, in Occidente, s'avanza la possibilità di considerare l'operare della propria coscienza come oggetto di contemplazione, come oggetto di riflessione (cfr. N. Abbagnano, Dizionario di filosofia, cit., pp. 225-226). Se, dopo Kant, primo esito di questo percorso è l'io puro dell'idealismo, nondimeno la nozione brentaniana di coscienza interna come cognizione immediata del proprio atto riprende l'altro fra i due aspetti della apperceptio che vanno definendosi da Leibniz in poi. 49 Cfr. E. Husserl, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, cit., pp. 53-56. 50 Cfr. M. Textor, Brentano (and Some Neo-Brentanians) on Inner Consciousness, in dialectica, LX, 4 (2006), pp. 411-432. La posizione di Brentano è qui intesa soprattutto nel suo rapporto critico con le teorie che vedono la coscienza interna un ordine superiore intenzionalmente rivolto verso il complesso dei restanti atti di coscienza. 52 quelle affezioni passive costituenti le rappresentazioni – le quali, pur riferendosi intenzionalmente ad un oggetto, non sono volte verso la loro causa effettiva: lo stimolo real della ricettività sensibile del soggetto, che trattiene la rappresentazione come presente solo finché ha corso 51. Ciascuna rappresentazione è dunque separabile, su un piano analitico-descrittivo, in due riferimenti intenzionali: un primo riferimento volto all'oggetto rappresentato e, come tale, primario; un secondo riferimento volto – obliquamente, cioè senza tematizzarlo – al mio rappresentare, che risulta così, per sé stesso, una sorta di oggetto secondario52. Lo spazio di questo riferimento secondario è quello della durata: coscienza interna del tempo è dunque coscienza immanente del durare di atti psichici, e non di sensazioni53. Infatti «durata della sensazione e sensazione della durata sono due cose diverse»54: l'eventuale prolungarsi real dello stimolo non implica la continuità del decorso di sensazione, poiché questa potrebbe anche riempire l'atto di coscienza senza riferirsi ad un riempimento passato od atteso. Nel caso la sensazione passata dipendesse dal prolungarsi dell'affezione dello stimolo passato sulla nostra coscienza 55, avremmo poi un assurdo accumularsi di sensazioni presenti attraverso ogni singolo momento del decorso temporale. Il fondamento della possibilità di avere rappresentazioni passate dovrà dunque trovarsi nella componente psichicointenzionale dell'atto. È, questo, un punto a cui Brentano non rinuncia in nessuna delle sue diverse esposizioni sul problema del tempo56, e che anche Husserl, come abbiamo visto57, riprende quantomeno fino all'estate di Seefeld. In effetti, la percezione passata mostra un oggetto proprio in quanto non più presente, e dunque in quanto alterato, in qualche modo, rispetto al suo precedente carattere di presenza. Quest'implicazione si traduce, per Brentano, nel problema di come un oggetto possa esibirsi in una rappresentazione passata nel momento in cui lo stimolo è cessato. «Se cessa lo stimolo anche la sensazione dilegua. Ma, a questo punto, è la sensazione stessa che diventa creativa: e si fabbrica una rappresentazione di fantasia di uguale o quasi uguale contenuto, arricchita dal carattere di temporalità»58. È appunto un'attività spontanea della fantasia, l'associazione originaria o proterestesi, a generare, in un nesso strutturale alla rappresentazione di volta in volta presente, una serie continua di rappresentazioni degli oggetti secondari delle rappresentazioni non più presenti, di 51 Per un'esposizione di quest'aspetto delle considerazioni di Brentano sulla rappresentazione, cfr. L. Albertazzi, Immanent Realism: An Introduction to Brentano, Springer, Dordrecht 2006, pp. 337-338. 52 Cfr. D. Zahavi, Inner (Time-)Consciousness, in D. Lohmar, I. Yamaguchi (ed. by), On Time – New Contributions to the Husserlian Phenomenology of Time, Springer, Dordrecht 2010, pp. 319-339, in part. p. 238. 53 Cfr. M. Libardi, Franz Brentano (1838-1917), pp. 64-65, in L. Albertazzi, M. Libardi, R. Poli (ed. by), The school of Franz Brentano, Kluwer, Dordrecht 1996. 54 Cfr. E. Husserl, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, cit., p. 50. 55 Cfr. ivi, p. 51. 56 Una breve ma sistematica ricognizione del percorso brentaniano rispetto alla questione del tempo si trova in F. Volpi, Coscienza del tempo e temporalità della coscienza da Brentano a Husserl, in Magazzino di filosofia, 2 (2001), pp. 45-71, in part. pp. 46-57. 57 Cfr. supra, p. 50.. 58 Cfr. E. Husserl, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, cit., p. 51. 53 volta in volta rappresentati come oggetti primari delle rappresentazioni che intendo come più o meno passate: io ricordo non il rumore del mare, ma di aver sentito il rumore del mare – che obliquamente, per così dire, mi si mostra come oggetto passato59. L'associazione originaria è appunto il nodo della sistemazione brentaniana su cui Husserl sceglie di imperniare il suo primo gesto critico. Messa da parte la questione dello stimolo esterno, come tale trascendente gli atti di coscienza 60, la proposta di Brentano ha un'effettiva portata gnoseologica, nella misura in cui descrive le condizioni di possibilità della nostra cognizione del tempo obiettivo. Posto che, con tutta evidenza, «durata, successione, mutamento appaiono», Brentano ritiene che appaiano come rappresentazioni fantastiche, e dunque «nel modo della fantasia» 61. Ciò vale per l'associazione originaria, come nesso strutturale del decorso psichico; ma anche, osserva Husserl, per «l'intuizione allargata del tempo», per la fantasia del tempo come per la sua percezione – sicché rimane inspiegata «la distinzione in base alla quale si dice di percepire una successione e di ricordare una successione precedentemente percepita»62. Viene infatti meno, così, la chiara distinzione tra la mia costante percezione di una durata nelle oggettualità che durano ed il mio presentificare una certa successione continuativamente durevole, anche molto lontana nel tempo. Nessuna associazione originaria unifica a priori quest'ultima successione con il mio vissuto presente. La successione stessa si presenta, anzi, «come un continuo di fantasie originariamente associate»63: sicché la presentificazione sarebbe fantasia di fantasie, presentificazione di presentificazioni. Ma l'ipotesi di un'associazione originaria intende descrivere proprio come possa innanzitutto costituirsi un'unità da poter poi presentificare: in quanto ricordo qualcosa, nel mio ripresentificare il riferimento è già obiettivato. Ricordo la melodia sentita ieri come quella determinata melodia; è tuttavia problematico come durante l'ascolto, durante ogni ascolto, essa si manifesti come un decorso durevole e continuo, nel quale ciascun suono percepito mostra altezza, volume e tonalità solo in relazione all'appena-stato, come fase di un continuum64. Di fronte alla continuità di apparizioni di un'oggettualità va anzitutto messo «in chiaro sul conto di che cosa vada posto il momento temporale»65. All'indagine fenomenologica compete, in altre parole, di indagare entro quale momento costitutivo dell'atto intenzionale la temporalità del decorso obiettivo trovi la sua condizione di possibilità. Dal canto suo, descrivendo l'appena-stato come una sequenza di rappresentazioni fantastiche, Brentano lo ha inteso come presenza non ulteriormente 59 Cfr. W. Baumgartner, Act, content and object, in L. Albertazzi, M. Libardi, R. Poli (ed. by), The school of Franz Brentano, cit., p. 243; cfr. anche F. Volpi, Coscienza del tempo..., cit., p. 49. 60 Cfr. E. Husserl, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, p. 53. 61 Cfr. ibidem. 62 Cfr. ivi, p. 54. 63 Cfr. ibidem. 64 Cfr. ivi, 78-80. 65 Cfr. ivi, p. 54. 54 riducibile66. Se dunque la rappresentazione «non comporta differenziazioni»67, l'unica differenza reell tra apparizione presente ed apparizione appena-stata è nell'intensità e nella ricchezza della manifestazione, con la cifra temporale aggiunta alla seconda dall'intenzione fantastica. Tuttavia, nota Husserl, «noi non troviamo caratteri temporali, successione e durata, soltanto nei contenuti primari, ma anche negli oggetti appresi e negli atti apprensionali. Un'analisi del tempo […] deve percorrere tutti gli strati […] della costituzione»68. Nel 1905, insomma, Husserl comprende il ruolo di una fenomenologia della coscienza interna del tempo nell'orizzonte dell'analisi delle stratificazioni dei riferimenti intenzionali costituiti 69, considerati nel loro durare. Riferendosi alle indagini condotte sulla base di questo programma, lo Husserl di Ideen I dirà che i propri sforzi per dirimere «gli enigmi della coscienza del tempo» si sono conclusi appunto, «nell'essenziale, nel 1905, e i risultati vennero comunicati nelle lezioni tenute nell'Università di Gottinga»70. Eppure, nel paragrafo a cui questa notazione è apposta leggiamo che «si vedrà come la nostra esposizione abbia in certo modo fin qui taciuto una intera dimensione»71. Come, cioè, l'intento di una chiarificazione sistematica 72 della fenomenologia abbia dovuto tralasciare la «sfera di problemi perfettamente delimitata e di eccezionale difficoltà» costituita dalla questione del tempo. Anzi, proprio in quanto sistematica e preparatoria, l'analisi di Idee «doveva necessariamente tacerla, per evitare la confusione in quella parte che, in un primo tempo, è la sola accessibile all'atteggiamento fenomenologico e che, indipendentemente dalla nuova dimensione, costituisce un campo di ricerche in sé concluso»73. Nel rammentare lo stato di fatto della propria ricerca Husserl commette, tuttavia, un errore prospettico. Il carattere disorganico del lavoro del 1905 e la ricchezza della riflessione sul tempo 66 Per Brentano, la più estesa differenza che si possa tracciare nell'ambito di una psicologia descrittiva è proprio quella tra giudizio e rappresentazione, da intendersi come Grundklassen, classi fondamentali di fenomeni psichici distinte per essenza. Un giudizio non ha oggetto se non nella misura in cui è fondato su una o più rappresentazioni riferite al medesimo oggetto. La rappresentazione è appunto l'unico modo in cui una coscienza può riferirsi immediatamente ad un oggetto. Sicché quest'ultima è essenzialmente immediata, mentre il giudizio è essenzialmente mediato. Nel giudizio possiamo dunque distinguere una qualità d'atto (giudizio, desiderio, e così via) ed una materia d'atto a cui l'intenzionalità modalizzata mira; la materia, dal canto suo, è integralmente rappresentativa – e viceversa la rappresentazione è soltanto materia, presenza immediata di un contenuto, non modalizzata e dunque non ulteriormente analizzabile. Per una considerazione più ampia su quest'aspetto, messo altresì a confronto con la quinta ricerca, cfr. D. Seron, Objet et signification. Matériaux phénoménologiques pour la théorie du jugement, Vrin, Paris 2003, pp. 170-180. 67 Cfr. E. Husserl, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, cit., p. 54. 68 Cfr. ivi, p. 55. 69 Cfr. G. Iocco, Profili e densità temporali, cit., pp. 9-13. 70 Cfr. E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, I, cit., p. 204, n. 1. 71 Cfr. ivi, p. 203 [“taciuto” è corsivo mio]. 72 Lo stesso titolo del primo libro delle Idee, Introduzione generale alla fenomenologia pura, esplicita chiaramente l'intento sistematico dell'opera, del resto chiaro in una visione prospettica che comprenda La filosofia come scienza rigorosa (in cui l'imperfezione attuale della filosofia è caratterizzata dal fatto che «essa non dispone semplicemente di un sistema dottrinale incompleto e imperfetto nei particolari, bensì ne è del tutto priva», in E. Husserl, La filosofia come scienza rigorosa, cit., p. 7) e la precedente storia della fenomenologia. Cfr., ad es., Id., Idee per una fenomenologia..., I, cit., p. 3: «è certo che anche la fenomenologia comprende tutti questi “fenomeni” [delle singole scienze positive] e secondo tutti i significati del termine “fenomeno”». 73 Cfr. ivi, p. 203. 55 condotta negli anni immediatamente successivi ci mostrano un lavoro del tutto in fieri almeno fino al 190974; fino all'anno, cioè, in cui riflessione sul trascendentale e tensione sistematica iniziano ad esibire esplicitamente il loro nesso essenziale. Durante il corso sulla Einführung in die Phänomenologie des Erkenntnis, tenuto nel semestre estivo di quell'anno, Husserl afferma, a proposito di eventuali «enunciati obiettivamente validi» in riferimento alla coscienza interna del tempo, che «certo […] essi non si possono dare all'inizio di una fenomenologia» 75. Se in queste lezioni germoglia quanto poi è esposto in Ideen I76, ne risulta che una sistemazione della fenomenologia, almeno per come essa è intesa da Husserl fino al 1913, non possa intrinsecamente ammettere un'analisi della coscienza del tempo. Del resto, una relazione essenziale tra tempo e sistema è forse esplicitata dallo stesso Husserl quando nel 1913 afferma di vedere ancora, in quelle che nel 1905 definiva «le più grandi difficoltà di tutta la fenomenologia» 77, l'accesso ad «un ultimo e vero assoluto» in cui possa costituirsi il secondo, per così dire, «“assoluto” trascendentale» 78. La sfera di tali enigmi racchiude la coerente radicalizzazione del problematico rapporto tra logica ed esperienza che sembra attraversare, come abbiamo visto, l'intera ampiezza delle Ricerche logiche: se la fenomenologia è animata da un'istanza gnoseologica 79, centrale è per lei il problema dell'apparente irriducibilità, per un'indagine analitica, tra tempo real dell'atto di cognizione – contingente, fattuale, occasionale – ed oggettualità ideale, autoidentica a priori80. Schematizzando, possiamo scandire tre momenti nella cronologia della riflessione husserliana sulla coscienza interna del tempo: un primo momento legato al corso del 1905; un secondo momento relativo agli appunti stilati tra 1907 e 1909; un terzo momento, infine, corrispondente al periodo che va dal 1909 al 1911. Una ricognizione che segua questa traccia diacronica potrebbe 74 Cfr. R. Boehm, Introduzione a E. Husserl, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, cit., p. 27. 75 Cfr. E. Husserl, F I 17/52a, cit. in R. Boehm, Introduzione a Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo (1893-1917), cit., p. 28. 76 Cfr. ivi, p. 28. Ma anche J. Hering, La phénoménologie d'Edmund Husserl il y a trente ans. Souvenirs et réflexions d'un étudiant de 1909, cit. A p. 369 Hering ricorda come, proprio nel 1909, la radicalizzazione dell'ontologia a priori di oggetti ideali, promossa da Reinach e dagli studiosi a lui più affini, fosse in qualche modo già stata sorpassata da Husserl, per così dire, in direzione della fenomenologia pura e trascendentale: «ma la fenomenologia, secondo Husserl, mirava più in alto: ella si proponeva di esplorare la struttura essenziale della coscienza (egli diceva volentieri Bewusstseins, senza articolo, usando il termine come un nome proprio), facendo astrazione dal Mondo, nonché dall'Io come essere intramondano, come esistenza troppo “problematica” per servire da punto di partenza ad una filosofia assoluta». 77 Cfr. E. Husserl, F I 9/4a-b, cit., p. 16. 78 Cfr. E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, I, cit., p 203. 79 Cfr. supra, p. 44. 80 La rilevata centralità del problema ci permette di ricollocarlo nella sterminata tradizione di pensiero sgorgata dal fondamentale problema platonico della μέθεξις. Lo stesso profondo ruolo che la questione ha avuto, come participatio e come Teilhabe, fa sì che sia impossibile renderne nota in queste righe. Una riflessione sulla fecondità (e la problematicità) di questo «essere-insieme» e «appartenersi-insieme» è offerta da G. Gadamer in Platon als Porträtist, Verein der Freunde und Förderer der Glyptothek und der Antikensammlungen, München, 1988; eng. tr. by J. Findling, S. Gabova, Plato as Portraitist, in R. E. Palmer (ed. by), G. Gadamer, The Gadamer Reader. A Bouquet of the Late Writings, Northwestern University Press, Evanston 2007, pp. 293-321, in part. pp. 311-318. Una proposta interpretativa che tenga conto della pregnanza della questione della μέθεξις nella proposta ontologica di Platone, a fronte della critica aristotelica ed in rapporto alla storia dell'ontologia, è contenuta in N. Russo, La cosa e l'ente. Verso l'ipotesi ontologica, cit., pp. 59-156. 56 mostrarci, da un lato, con quale intensità Husserl abbia proseguito, dopo le Vorlesungen del 1905, le sue indagini sul tempo; dall'altro, cosa implichi davvero l'elisione del tema da Ideen I81. Introducendo le lezioni del 1905, Husserl evidenzia l'esigenza di descrivere i modi in cui una durata s'esibisce anche negli oggetti appresi e negli atti apprensionali, anziché soltanto nei contenuti primari dell'apprensione. Brentano ha infatti ereditato – a partire da una convinzione diffusa in ambito scientifico, fatta derivare da Herbart e Lotze – la convinzione che ogni cognizione di una successione di rappresentazioni si fondi sulla perfetta simultaneità di queste ultime e, di conseguenza, sull'istantaneità dell'atto che le mette in relazione come poli: per abbracciare due oggetti in questo modo, la cognizione può essere collocata nel tempo soltanto puntualmente – pena il succedere ad una delle due rappresentazioni, perdendone la presenza. L'obiezione di William Stern82 non sembra cogliere il punto: se il permanere di differenti rappresentazioni in una simultaneità puntuale è «ipotesi artificiosa», l'ipotesi di un tempo esteso della presenza (Presenzzeit) in cui una successione di apparizioni possa obiettivarsi mediante un'apprensione unificante lascia ancora indistinte la durata della successione di apparizioni e quella degli oggetti temporali trascendenti che in essa si esibiscono83. In quanto io odo una melodia, mi riferisco ad essa come ad un'oggettualità individuata, pur non apprendendo tutte le fasi della sua durata in un'unica percezione acustica. «In verità, dunque, non è la melodia che odo, ma solo il singolo suono presente; che la parte trascorsa della melodia sia oggettuale lo devo – si starebbe per dire – al ricordo; e che io, arrivato a ciascun singolo suono, non presupponga che sia tutto qui, lo devo all'aspettazione antemirante»84. Dato un suono piccolo a piacere, troviamo che il suo costituirsi come questa fase di suono presuppone la medesima estensione verso qualcosa di non presente. Quando un suono piccolo a piacere «attacca, io lo odo come un'“ora”, mentre continua a risuonare ha però un'“ora” sempre nuovo, e quello che via via precede si muta in un “passato”. Dunque, io odo sempre solo la fase attuale del suono, e l'obiettività dell'intero suono che dura si costituisce in una continuità d'atto che è, per una parte, ricordo, per un'altra parte, piccolissima e puntuale, percezione, per una terza, aspettazione»85. Ne risultano due differenti durate: una prima durata della melodia che s'estende nel tempo come individualità; una seconda durata delle apparizioni, cioè il continuo concatenarsi di passato, ora ed aspettazione. La temporalità stessa della percezione dura tuttavia anch'essa, come risulta evidente dal fatto che la durata della concatenazione di apparizioni A-B si esibisce, mentre percepisco B, soltanto se A è già passato 86 – proprio in quanto A-B dura, anzi, A è già passato e dunque non può essere simultaneo a B. «La percezione di una successione presuppone, quindi, che 81 Fatta salva la costante attenzione alla proposta critica di Bernet rispetto alla datazione Boehm, su cui cfr. supra, p. 47, n. 24. 82 Cfr. E. Husserl, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, cit., p. 58. 83 Cfr. ivi, p. 59. 84 Cfr. ivi, p. 60. 85 Cfr. ibidem. 86 Cfr. ivi, p. 209-211. Si tratta di un manoscritto redatto nel 1904, come riporta la n. 39 a p. 209. 57 i punti di relazione, che essa riunisce, “non” siano ambedue “percepiti” (percezione nel senso di percezione-d'“ora”) nell'atto relazionante (più esattamente, nel vissuto completo della percezione di successione)»87. Nelle Ricerche logiche la percezione, pur non essendo assimilabile alla mera rappresentazione brentaniana – poiché implicante, quantomeno, la complessa relazione tra qualità d'atto e materia d'atto – ha come peculiare carattere d'atto il belief che esibisce l'oggetto intenzionale come presente «in carne ed ossa». Ora, «un'obiettività del genere di una melodia non può essere “percepita”, data in sé stessa originariamente, altrimenti che in questa forma» 88, nella quale una sua componente appena-stata è essenzialmente non più presente; ma, se percepito è soltanto il punto-“ora”, si pone il problema di come io possa trattenere nel riferimento intenzionale un elemento già precipitato dall'essere-ora all'essere-non-più-ora. Questo essere-non-più ora è ogni volta, in qualche modo, ritenuto come tale, sicché «l'unità della coscienza ritenzionale “tiene saldi” ancora nella coscienza i suoni decorsi stessi, e produce via via l'unità della coscienza relativa all'oggetto temporale unitario, alla melodia»89. L'atto di percepire l'ora e, ad un tempo, aver coscienza ritenzionale del non-più-ora, in quanto esibisce già questo legame fra le apparizioni della melodia e, in esso, esibisce la melodia già obiettivata, è un «atto costituito», una «percezione adeguata dell'oggetto temporale»90. Se l'inesistenza intenzionale di un A appena-stato è intrinsecamente diversa da quella di un B che si mostra nel punto-“ora”, l'atto di percezione è una struttura costituita da intenzioni di base tra loro essenzialmente differenti. «Un atto, che pretende di dare un oggetto temporale come “sé stesso”, deve contenere in sé “apprensioni di ora”, “apprensioni di passato”, ecc. e, precisamente, nel modo di costituenti originari»91. Di costituenti, cioè, in cui l'oggetto di riferimento si mostra in ciascun caso come dato in sé stesso. Se osserviamo che questo carattere intrinseco di ciò che s'esibisce nella coscienza ritenzionale differenzia costitutivamente quest'ultima dal ricordo presentificante – giacché posso ricordare la sinfonia ascoltata ieri senza per questo ritenere che essa risuoni effettivamente – possiamo parlare della ritenzione come di un «ricordo primario»; si stabilisce così una corrispondenza biunivoca tra le due coppie “percezione-ricordo primario” e “presente orapassato”92. Una corrispondenza a priori, nella percezione del decorso durevole, breve a piacere, di un'oggettualità nel tempo. Ciascun suono «si costituisce», ad esempio, «in una continuità di dati di suono, dove solo una fase puntuale è via via come presente adesso, mentre le altre vi si allacciano come una coda ritenzionale»93. Percezione e non percezione trapassano continuativamente l'una 87 Cfr. ibidem. 88 Cfr. E. Husserl, Sui vissuti intenzionali, cit., pp. 226-231. 89 Cfr. E. Husserl, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, cit., p. 72. Il paragrafo è tratto dalle lezioni del 1905 (cfr. ibidem, n. 30). 90 Cfr. ibidem [“costituto” è corsivo mio]. 91 Cfr. ivi, p. 73. 92 Cfr. ibidem. 93 Cfr. ibidem. 58 nell'altra; ciò che pur si mostra come originariamente presente in un'ora è in realtà esibito attraverso una serie continua di apprensioni ritenzionali convergente in un limite ideale – l'ora nel quale qualcosa mi si dà in carne ed ossa94. Intendere l'ora come limite in un continuum significa, secondo la definizione di Weierstrass95, affermare che, per ogni intervallo piccolo a piacere ε, tra la posizione temporale in cui si mostra l'appena stato nella coscienza ritenzionale ed il punto-ora, è sempre possibile ritrovare un intervallo meno esteso tra un'altra apprensione ritenzionale ed il medesimo punto-ora che tuttavia non sia un intervallo inesteso, cioè istantaneo – e che sia dunque δ, tale che 0 <δ<ε. L'estensione della struttura presente ora-passato ritenuto mette «in questione un concetto del tutto diverso di percezione. Percezione è, qui, […] l'atto che costituisce originariamente l'oggetto. Al contrario, la presentificazione è rappresentanza, cioè un atto che non pone sott'occhio l'oggetto in sé stesso, ma appunto lo rende presente, quasi ce lo propone in immagine» 96. Il ricordo primario risulta essere – in quanto espone in modo quasi-presentativo, come un non-essere-più-in-carne-ed-ossa, il passato di cui l'ora della percezione attuale è limite ideale – un momento costituente a priori della percezione come tale, una sua condizione di possibilità, un tratto strutturale non soltanto pertinente ai contenuti esposti in modo ripresentativo mediante un atto volontario, com'è invece la rimemorazione o ricordo secondario97. Proprio la rimemorazione, tuttavia, può forse offrirci un viatico per studiare più attentamente le modalità a priori del decorso di ciò che percepiamo. Ascoltiamo dunque una melodia. Essa defluisce in quattro momenti: A-B-C-D. Io percepisco un suono A come presente-ora. Mi appare poi un suono B, che a sua volta è ora, e tuttavia io trattengo ancora, in qualche modo, il suono A non più presente. Se simbolicamente indicassimo questa peculiare assenza di A con un apice, avremmo, rispetto ai 94 Cfr. ibidem. 95 Karl Weierstrass fu, tra l'altro, guida del giovane Husserl durante il suo apprendistato matematico presso l'Università di Berlino. Giunto lì nel 1878, dopo due anni di studio nell'ateneo di Lipsia (seguendo corsi di astronomia, fisica, matematica e filosofia), il ventenne Husserl poté approfondire i suoi interessi con due fra i più importanti pionieri dell'analisi matematica: Leopold Kronecker e, appunto, Karl Weierstrass – di cui fu, dopo ulteriori studi a Vienna, assistente privato nel semestre estivo nel 1883 e dal quale avrebbe ricevuto «l'ethos della sua tensione scientifica» (cfr., su questi aspetti della biografia di Husserl, R. Bernet, I. Kern, E. Marbach, Edmund Husserl, cit., p. 303 e K. Schuhmann (hrsg.), M. Husserl, Skizze eines Lebensbildes von Edmund Husserl, in Husserl Studies, 5 (1988), pp. 105-125). Husserl seguì i corsi di Weierstrass dal SS 1878 al WS 1880-1881; l'elenco degli argomenti affrontati è riportato in G. Iocco, Profili e densità temporali, cit., p. 15, n. 2. Di certo qui egli intende, parlando di idealen Grenze, riferirsi al concetto weierstrassiano di limite, che è, del resto, il primo concetto rigoroso – cioè privo di termini vaghi – di limite nella storia del pensiero matematico occidentale. La definizione di limite matematico studiata da Bolzano e Cauchy e diffusa negli anni centrali del secolo XIX implicava, infatti, l'idea di un “avvicinamento” non meglio specificato di f(x) ad L per x che si “avvicina” ad a. Nell'intento di donare nuovo rigore ai concetti matematici purificandoli da eventuali implicazioni intuitive, Weierstrass elaborò una definizione statica di limite, utilizzando solo numeri reali. Possiamo formularla in questo modo: lim f(x) = L per x→a significa che, per ogni ε>0, esiste un δ>0 tale che│f(x)-L│< ε se │x-a│< δ. Cfr., per una ricognizione ad un tempo storica e teorica del lavoro di Weierstrass sul concetto di limite, M. Kline, Mathematical thought from ancient to modern times, III, Oxford University Press, New York 1972, p. 952. 96 Cfr. E. Husserl, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, cit., p. 74. Anche il paragrafo 17 è tratto dal manoscritto per le lezioni del 1905: cfr. p. 72, n. 30. 97 Cfr. ivi, p. 75. 59 quattro momenti, questo decorso98: 1. A 2. A'-B 3. A''-B'-C 4. A'''-B''-C'-D «Questi quattro punti temporali della coscienza si leggono così: 1) Ora è A, 2) Ora è B, e A è appena passato, ecc. A questi enunciati corrispondono obiettività di specie temporale»99. Soltanto in quanto abbiamo già costituito dei suoni come unità obiettive possiamo infatti parlare di momenti della melodia, poiché essa, nel suo essere immanente, è un continuum infinitamente denso. La rimemorazione di questa stessa melodia mostra, dal canto suo, un'oggettualità trascendente duratura: io non posso ricordare la melodia che nel suo procedere. «Nessuna fase può essere trattenuta» nell'ambito riflessivo della rimemorazione: ma ciò significa che l'assenza dell'appena stato inerisce anche alle oggettualità presentificate. «Troviamo in una fase dell'attività fantastica la rappresentazione fantastica della fase precedente?» e, analogamente, «troviamo in una fase del dato di tempo l'apparizione percettiva delle fasi precedenti? In entrambi i casi una sola risposta sembra possibile : non troviamo nulla di tutto questo»100. Il nesso tra percezione e ricordo primario sembra dunque fondarsi sulla materia d'atto, piuttosto che sul particolare belief che ne caratterizza la qualità. Gli oggetti esibiti nell'intenzione appaiono, così, intrinsecamente strutturati secondo questo a priori dell'apprensione percettiva. I rapporti di fondazione tra i singoli momenti dell'oggettualità intenzionale percepita trovano una delle loro condizioni di possibilità proprio nella temporalità della percezione. «La coscienza [di un'obiettività] che, in quanto unitaria, appartiene all'ultimo passo [del decorso percettivo], può per essenza costruirsi così, deve essere cresciuta così, ed è ciò che è solo per mezzo o in base alla ritenzione delle intenzioni appartenenti ai passi precedenti […]. Propriamente, l'ultima fase non è la percezione della battuta, ma, appunto, il suo compimento, ed è qualcosa di non-indipendente. Ma una percezione non è qualcosa di non-indipendente, bensì un vissuto concreto»101. Proprio l'atto della percezione mostra uno stretto legame con i rapporti di fondazione intrinseci al decorso delle apparenze. Ogni percezione, in quanto effettiva, avviene in un tempo: nel suo ora. Diciamo dunque che la percezione P avviene nel tempo i. In essa si percepisce un x che è ora: P i(x) è percezione originaria di un contenuto presente. Ma, ad un tempo, essa si riferisce a momenti appena-stati, per giunta caratterizzati da posizioni temporali differenti. Pi[(a, b, c...)x] è la sua forma più generale. I pedici, che contrassegnano momenti esibiti in determinate posizioni temporali, 98 Cfr. ivi, p. 217. Il manoscritto è del settembre 1904: cfr. p. 216, n. 47. 99 Cfr. ibidem. 100 Cfr. E. Husserl, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, cit., p. 217. 101 Cfr. ivi, p. 218. 60 esibiscono già delle oggettualità nel loro durare. Cosa significa questo durare sul piano del tempo della percezione? «Percepire continuamente A significa […] che A dura e in tale durata è presente, cioè che continuamente A appare come “ora”, nel punto più elevato del tempo, mentre insieme, nella coscienza, hanno indugiato degli “ora” precedenti. […] Alla percezione A si associano frattanto sempre nuove percezioni con sempre nuovi t e sempre ancora percezioni del contenuto A»102. Se questa associazione giunge al t dell'attuale percezione, A continua a durare in essa; se essa giunge solo fino al t di una percezione passata ne risulterà, nell'ambito della coscienza ritentiva, una «coscienza attuale della percezione durativa appena passata» 103. Uno schema della percezione durativa di A potrebbe assumere questa forma: At t1 Uno schema della ritenzione, in un tempo t 1, di una percezione appena passata – durata, poniamo, da t0 a t' –, risulterebbe invece nell'uguaglianza (At0-t')t'-t1 = At0-t1 Sicché il retrocedere dell'intervallo di durata rispetto al t presente non comporterebbe alcuna modificazione a ciò che s'esibisce in A 104. Non ha alcun senso, secondo Husserl, dire che A, durando, di per sé abbia tempo; è piuttosto la durata immanente di P(A), connessa «in maniera non descrivibile col contenuto reale (la materia del tempo)» a conferire durata ad A, «così che questo contenuto, proprio grazie a tale carattere ha il tempo, è ora»105. In un appunto del 1904 in cui tenta di riassumere le conclusioni maturate fino a quel punto 106, Husserl assimila la continuità del tempo al «digradare continuo del modo d'apprensione» 107. Ciò che è presente in sé stesso nella percezione originaria digrada continuativamente in un «appena-statopresente». La continuità di questo digradare genera una frangia, uno sfondo di fusione dei singoli momenti. Abbiamo dunque degli atti effettivi di percezione, attuati in un certo tempo continuo (com'è il segmento t-t1); questi atti colgono, nel caso dell'ascolto di una melodia, «1) consecuzione dei suoni A, B..., rispettivamente, consecuzione delle fasi temporali entro ogni suono, per es. A. Anche consecuzione delle battute nella melodia; 2) consecuzione delle sensazioni A, B, C... (o, in A, delle parti), delle percezioni di A, di B..., dei suoni o anche delle battute; 3) consecuzione delle fasi percettive istantanee della sequenza A-B...»108. Disponendo il tempo degli atti percettivi sull'asse delle ascisse e la posizione temporale delle apparenze sull'asse delle ordinate, Husserl 102 Cfr. ivi, p. 222. Nella n. 48 a p. 218 questo manoscritto è fatto risalire al 1904. 103 Cfr. ivi, p. 221. 104 Cfr. ivi, p. 225. 105 Cfr. ivi, p. 223. 106 Cfr. ivi, p. 225. 107 Cfr. ivi, p. 226. 108 Cfr. ibidem. 61 disegna questo schema: In una nota a margine, egli spiega che «le fasi istantanee sono limiti ideali. Concretamente, sono strisce che hanno un certo spessore»109. Il continuum del decorso temporale comporta necessariamente che qualsiasi determinazione puntuale debba rimanere limite ideale. Eppure, l'ora non può semplicemente risolversi nello sfondo della durata che procede. Se qualcosa si presenta in carne ed ossa, infatti, non può farlo che mediante un'apparizione il cui tempo si esibisca come il medesimo di quello dell'atto con il quale mi riferisco ad essa intenzionalmente. «Come si rapporta l'“ora” al “presente-in-se-stesso”? […] L'intuitivo “presente-in-se-stesso” e l'“ora” intuitivo (dato adeguatamente) coincidono»110. Essi coincidono nel luogo della massima contingenza, nell'ora che si dà soltanto come punto di convergenza di una serie di contenuti sprofondanti nel passato. Ad un peculiare momento dell'atto percettivo è nondimeno affidata «la determinazione temporale “ora” del tempo primo e immodificato». Se infatti l'ora «continua ad essere il punto di riferimento dell'apprensione temporale»111, è sin da subito evidente che la possibilità di cogliere in modo immediato «le fondamentali evidenze temporali»112 che permettano di fondare delle leggi temporali a priori, dovrà basarsi, anzitutto, sull'esplicitazione analitica dei momenti essenziali di un a priori dell'ora – già scorto, nel 1905, nell'essenziale implicazione tra la presenza originaria e la ritenzione. § 7. L'immagine del flusso Cosa implica l'impostazione della questione della temporalità a partire dallo Jetzt? Abbiamo, finora, inteso l'ora come limite ideale di una successione di ricordi primari, i quali, esponendo l'assenza di un contenuto, la sua non-presentazione, lo esibiscono come non-più-ora. Nel continuum della durata delle apparizioni di una determinata oggettualità, l'ora è – è pensabile, è manifesto113 – in quanto nella Wahrnehmung io colgo qualcosa come datomi in carne ed ossa, come attualmente 109 Cfr. ibidem. 110 Cfr. ivi, p. 227. 111 Cfr. ivi, p. 222. 112 Cfr. ivi, p. 99. 113 Cfr. E. Husserl, Sulla teoria degli interi e delle parti, cit., p. 30: «Ciò che noi non possiamo pensare, non può essere, ciò che non può essere noi non lo possiamo pensare: questa equivalenza definisce la differenza tra il concetto pregnante del pensare e quello del pensare e del rappresentare in senso comune e soggettivo». 62 presente nel tempo t del mio atto percettivo. Ciò fa dell'ora, afferrabile solo astrattamente poiché già sempre precipitato nel suo annullamento, ed insieme pensabile come condizione fondamentale di coglimento dell'oggetto trascendente, il massimamente contingente114 fra le oggettualità essenziali che la fenomenologia può descrivere. Seguendo le premesse poste nei momenti introduttivi delle sue Vorlesungen, Husserl intende commisurare questa radicale contingenza non soltanto con i momenti strutturali dell'atto di percezione115, ma anche con la sterminata estensione del tempo obiettivo116, con il tempo cosmico117 del contesto dell'oggettualità d'esperienza. In un paragrafo dell'edizione del 1928 delle Vorlesungen zur Phänomenologie des inneren Zeitbewusstseins, dedicato ad Impressione originaria e modificazione ritenzionale 118, troviamo aggregati due capoversi redatti in momenti differenti. «Il “punto d'origine” con cui inizia la “produzione” dell'oggetto che dura è un'impressione originaria». L'impressione originaria immediatamente si modifica in un già stato; ma «questa ritenzione è a sua volta un “ora”, qualcosa che c'è attualmente». La presentazione di un'oggettualità in carne ed ossa è, cioè, ogni volta implicata nello schema percezione originaria - ricordo primario; ed a sua volta il ricordo primario è appunto l'ora del non ora. Ne risulta che, se questo vissuto, che è ora, sprofonda in un non-più-ora ritenuto, anche l'attuale ritenzione sprofonda con esso: questa è la legge della modificazione a cui sottostà ogni ora attuale della coscienza; sicché la quasi-presentazione della ritenzione sprofondata sprofonda ogni volta ancora nella prospettiva del nuovo Jetzt della coscienza. «Non è che ogni precedente ritenzione venga sostituita da una nuova solo nella direzione longitudinale del flusso, sia 114 Aristotele vede in τὸ ἐνδεχόμενον un termine plurivoco (Primi analitici, 25a 40, a p. 94 dell'ed. it., a cura di G. Colli, in Organon, Adelphi, Milano 2003, pp. 91-274). Esso può essere impiegato omonimicamente per denominare una relazione necessaria (32a 20-21, a p. 121 dell'ed. cit.); per denominare qualcosa che non è necessario che sia predicato o non predicato di una determinata sostanza (25b 4-14, p. 95); per denominare una relazione tale che, non essendo necessaria, è posta senza che da ciò risulti nulla di impossibile (32a 18-20, p. 121). Relazioni di quest'ultimo tipo possono dunque convertirsi in base ad un'antitesi (ivi, 32a 34). Da questa proprietà deriva la definizione di contingente come ciò che è, ma può non essere (Dell'espressione, 19a 10-12, a p. 68 dell'ed. cit., pp. 58-87). Colli riporta ἐνδεχόμενον ad ἐνδέχεται, “può accadere” (cfr. l'Indice terminologico accluso all'ed. cit., pp. 1043-1050, in part. p. 1046); è altresì chiara, tuttavia, l'affinità etimologica con ἐνδεχομαι, che può essere reso, letteralmente, come “accogliere in”, sicché «τά ἐνδεχομένα εἶναι καί μή ειναι» (Riproduzione degli animali, 731b, tradotto, a p. 878 dell'ed. it. a cura di D. Lanza, in D. Lanza, M. Vegetti (a cura di), Opere biologiche, UTET, Torino 1971, pp. 776-1042, con «[cose che] possono essere o non essere») potrebbe dirsi come “le cose che accolgono in sé essere e non essere”. Ora, tale sfumatura semantica non del tutto risolvibile nella nozione di possibilità rileva in misura particolare alla luce dell'integrazione tardoantica di ἐνδεχόμενον nel lessico filosofico latino. N. Abbagnano (cfr. Dizionario di filosofia, cit., pp. 206-207) ha sostenuto la rilevanza, nella successiva tradizione scolastica, della distinzione tra possibilis e contingens delineatasi tra Boezio e Avicenna: contingente, in modo coerente rispetto ad alcuni passi aristotelici (ad es., Primi analitici 34a, pp. 128-129), viene ad indicare ciò la cui posizione è possibile, ma dipendente da altro – da un altro dalla cui posizione la sua posizione consegue, sicché, data la sua causa, si pone necessariamente. In Leibniz, contingente è il fatto che non è necessario che ex hypothesi (cfr. G. W. Leibniz, Discorso di metafisica, in Id., Scritti filosofici I. Scritti di metafisica, ed. it. a cura di D. O. Bianca, UTET, Torino 1967, pp. 63-110, in part. p. 76). È chiaro, così, entro quali termini la fenomenologia possa intendere il Faktum, nella sua contiguità con una molteplicità infinita, come essenzialmente Kontingent. 115 Cfr. E. Husserl, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, cit., p. 59. 116 Cfr. ivi, pp. 44-47. 117 Cfr. E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, I, cit., p. 202. 118 Si tratta del § 11, pp. 64-66 di E. Husserl, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, cit. Per le informazioni sulla datazione, cfr. n. 21 a p. 64. 63 pure ininterrottamente. Piuttosto, ogni ritenzione successiva non è soltanto una modificazione continua scaturita dall'impressione originaria, ma una continua modificazione di tutte le precedenti ininterrotte modificazioni dello stesso punto d'attacco» 119. Il regresso all'infinito derivante da un'eventuale impostazione lineare – che avrebbe implicato la paradossale ritenzione di infiniti contenuti oggettuali – cede il passo ad un continuum caratterizzato da momenti coesi all'interno della forma della coscienza interna del tempo. Il secondo capoverso, tratto dal manoscritto per le Vorlesungen del 1905, lascia emergere un primo tentativo di descrizione di questa retrocessione dell'ora. «Mentre viene percepito un movimento, si ha, di momento in momento, un cogliere-come-“ora” e, in esso, si costituisce la fase ora attuale del movimento stesso. Ma questa apprensione di “ora” è come il nucleo di una coda di cometa di ritenzioni, rispetto ai precedenti punti-“ora” del movimento» 120. Qualora il movimento cessasse, in ciò che di volta in volta è percepito-ora smetterebbe di presentarsi l'apparizione riempiente l'intenzione corrispondente; la durata del movimento, retrocedendo, risulterebbe «mera fase di un ricordo fresco»121. Nello stesso manoscritto122, Husserl tenta una schematizzazione grafica di tale decorso: A AB B C C' E Ex C'E AC AE Sull'asse delle ascisse troviamo il continuo decorso degli ora di percezione (A, B, C, C', E, E X); sull'asse delle ordinate, invece, lo sprofondare verticale di ciascun ora in un non ora sempre più passato rispetto all'ora di volta in volta attuale. Husserl ipotizza che un'oggettualità duri da A a C'. Essa continuerà, dunque, a presentarsi nei punti-ora compresi nel segmento AC'. A partire dalla fase successiva di decorso, «la continuità d'apprensione che sussisteva nella fase C' non riceve alcuna apprensione nuova»; e tuttavia, seguendo la legge di modificazione, AC' sprofonderà parallelamente nella sua proiezione AEC'E, fase di ricordo primario in E in cui si esibisce l'oggettualità originariamente durevole in AC'. L'ipotenusa del triangolo AA EE non sarà altro, in questo caso, che la coscienza ritentiva in cui, in E, si espone l'assenza di A. 119 Cfr. ivi, p. 65. 120 Cfr. ivi, p. 66. 121 Cfr. ibidem. 122 Cfr. ivi, p. 378-379. Si tratta di una delle varianti estratte dal Textkritischen Anhang curato da R. Boehm, pp. 383475 dell'ed. cit. di R. Boehm (hrsg.), E. Husserl, Zur Phänomenologie des Inneren Zeitbewusstseins. 64 Ma come intendere quest'assenza? L'eventuale prolungamento di EA E sembrerebbe poter intersecarsi con tutti gli sprofondamenti precedenti – sul piano dell'obiettività costituita, giacché la densità di un continuum implicherebbe, a rigore, infiniti sprofondamenti –, potendo così coglierne una determinata non-presenza. Ma un dubbio di Husserl, annotato poco sotto il paragrafo, ci fornisce un'altra interpretazione. «In EX forse AB non è più affatto intuibile»123: l'intervallo scelto – il più arretrato rispetto ad Ex – sembrerebbe indicare un progressivo indebolimento della manifestazione ritenuta, nel cui spegnersi si dissolverebbe, altresì, il contenuto intuibile di AB. «Sul conto di che cosa» 124 va posto questo problematico dissolvimento 125? Descritto in questo modo, l'adombramento ritentivo si caratterizza come il defluire di una quantità intensiva – e dunque come una modificazione impressionale, come un'alterazione dei contenuti di sensazione. È una tesi che, talvolta, Husserl sembra accogliere126; e tuttavia, una riduzione dello sprofondamento nel tempo ad una «mera modificazione di contenuto» è respinta esplicitamente almeno fin dal 1901 127, ed anzi è vista come l'errore capitale di Brentano rispetto alla discussione sul tempo 128 nelle lezioni del 1905. Possiamo dunque descrivere l'adombramento come una modificazione apprensionaleintenzionale? Husserl si muove, in alcuni momenti, in questa direzione 129. E tuttavia il contenuto non presente pure non può esibirsi in un'intenzione vuota, in una rappresentanza meramente 123 Cfr. ibidem. 124 Cfr. ivi, p. 54. 125 Il problema della relazione tra una determinata quantità intensiva gradualmente decrescente ed il suo possibile dissolversi in una quantità nulla (0) è riconducibile, in termini schematici, alla riflessione leibniziana sulla legge di continuità, essenziale nel definire i termini in cui ad un'unica sostanza semplice possano inerire una pluralità di affezioni e rapporti (cfr. il § 13 di G. W. von Leibniz, Monadologia, cit., p. 27). Secondo Leibniz, ogni divenire – sensibile e, per analogia, sovrasensibile – è caratterizzato da una gradualità continua (cfr. Id., Nuovi saggi sull'intelletto umano, p. 614, in Id., Scritti filosofici II, ed. it. a cura di D. O. Bianca, UTET, Torino 1968, pp. 166676). È qui possibile soltanto un accenno al tema; per evidenziarne la problematicità, basti ricordare come a partire da esso, e raccogliendo appieno l'eredità leibniziana, Kant imposti la sua discussione sulle Anticipazioni della percezione (cfr. I. Kant, Critica della ragion pura, cit., pp. 209-216). 126 Cfr., ad es., E. Husserl, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, cit., p. 361: «per contro, noi non chiamiamo mai la coscienza di passato, coscienza di passato della precedente sensazione originaria (coscienza d'“ora”), bensì ritenzione di essa, se si tratta di una coscienza nel flusso originario delle modificazioni di sensazione, altrimenti, riproduzione di essa. Ciò va tenuto presente con tutte le sue implicazioni». 127 Cfr. ivi, pp. 192-194. 128 Cfr. ivi, pp. 54-55: «Secondo la dottrina di Brentano […] non resterebbe altro se non che ai contenuti primari della percezione si allaccino continuamente fantasmi e ancora fantasmi, di contenuto qualitativamente identico, soltanto di intensità e ricchezza via via decrescente. Parallelamente, la fantasia vi aggiungerebbe un nuovo momento, quello temporale. Queste tesi sono, per varie ragioni, insoddisfacenti». 129 Cfr., ad es., ivi, pp. 244-246.: «Ai contenuti d'apprensione digradanti corrisponde la graduazione delle apprensioni entro una fase; e nell'unità di tali graduazioni, che è un'unità intenzionale, si costituisce il passato originario nel continuo riallacciarsi all'“ora” percepito». Si tratta di un manoscritto stilato, sia secondo Boehm che secondo Bernet, tra 1904 e 1905. Boehm ritiene altresì che Husserl stesso avesse integrato questi paragrafi, dopo la loro redazione separata, nelle Vorlesungen del 1905 (cfr. n. 93 ivi, p. 244). Cfr. anche la più tarda Appendice IX, aggiunta all'edizione del 1928 secondo l'elaborazione condotta da E. Stein nell'estate del 1917, la quale allegava agli appunti per le Lezioni un gruppo di tredici Aggiunte e integrazioni per l'analisi della coscienza del tempo, fatte risalire al lustro 1905-1910. La loro stesura, probabilmente, è avvenuta in effetti tra 1910 e 1917; non avendo noi a disposizione – tranne che per l'Appendice X – i manoscritti originali utili ad un eventuale raffronto, possiamo, del resto, soltanto ipotizzare la cronologia di questi scritti, attraverso confronti con note e appunti più fondatamente databili. Nelle prime righe dell'Appendice IX, ivi, p. 143, si legge appunto che «la ritenzione non è già una modificazione nella quale i dati impressionali vengano conservati, sia pure in forma modificata, nella loro effettività: essa è invece un'intenzionalità, e un'intenzionalità sui generis». 65 simbolica: mediante questo «ricordo puramente verbale» posso infatti riferirmi soltanto ad un generico «passato remoto»; nella ritenzione, al contrario, «l'oggetto passato è dato come tale in sé stesso»130. Né possiamo ritenere, infine, che a riempire la peculiare intenzione ritentiva sia il medesimo contenuto originariamente percepito, e soltanto scorto, nel ricordo primario, secondo una diversa qualità dell'atto d'apprensione131. Questo breve confronto tra riferimenti testuali cronologicamente disparati lascia emergere un'oscillazione irrisolta rispetto a forma e significato della ritenzione; un'oscillazione che caratterizza problematicamente la riflessione husserliana almeno fino ai Manoscritti di Bernau132. Anzi, le meditazioni sullo statuto della ritenzione, nella loro relazione con la questione del tempo obiettivo – e dunque, in ultimo, con il problema dell'individuazione –, costituiscono forse l'aspetto più fecondo delle riflessioni sul tempo condotte da Husserl fino al 1909. Si tratterebbe, per comprovarlo, di ritrovare in questo sviluppo problematico le ragioni del sorgere di due concetti centrali – Fluss e Vor-Zugleich, flusso e pre-insieme –, assurti a questa posizione a partire dal 1909 e rimasti focali negli anni immediatamente successivi. Nel loro emergere si scorge forse un primo accesso fenomenologico ad una dimensione fattuale-sensibile radicalmente intesa. In una nota scritta tra 1908 e 1909, poi inclusa nelle Lezioni, Husserl parla del trapassare della percezione originaria in una ritenzione ancora nei termini di «uno svanire, impallidire ecc. dei contenuti di sensazione»133. Nota, tuttavia, che se pensiamo al decorso di un'apparizione di suono, al suo risuonare ed al successivo spegnersi, tale svanire è «autentica sensazione di suono» 134. L'ultima eco di una nota di violino è per noi ancora presente. Dobbiamo distinguere questo impallidire dal momento sonoro non-presente, trattenuto nella ritenzione. A ben guardare, del resto, le oggettualità inesistenti intenzionalmente si manifestano come diverse «di principio» 135: se nella debole eco presente continua a manifestarsi effettivamente un suono, nel ricordo primario non risuona nulla. «Il ricordato, ovviamente, non è adesso – altrimenti non sarebbe un passato ma un presente, e nel ricordo (ritenzione) non è come dato ora, altrimenti il ricordo, o ritenzione, non sarebbe appunto ricordo, ma percezione (o impressione originaria)»136. L'articolazione del rapporto percezione 130 Cfr. ivi, p. 195. Questo appunto è datato esattamente al giorno 20 dicembre 1901 (cfr. p. 194, n. 20). 131 Cfr. ivi, p. 310: «come un suono di fantasia non è un suono, ma la fantasia di un suono, o come la fantasia di un suono e la sensazione di un suono sono due cose per principio diverse, e non già la stessa cosa solo diversamente interpretata, appresa (o come altrimenti si voglia dire): allo stesso modo, un suono ricordato in modo intuitivo primario è di principio altra cosa da uno percepito, rispettivamente, un ricordo primario di suono è altro che sensazione di suono». Questo brano risale, sia secondo Boehm che secondo Bernet, al triennio 1907-1909; il primo, in particolare, ritiene che esso sia «difficilmente databile a dopo l'autunno del 1908 (cfr. n. 157 a p. 309). 132 Questo tracciato è ricostruito – nell'ampio arco che va dalla Philosophie der Arithmetik ai Bernauer Manuskripte – nel già citato lavoro di G. Iocco, Profili e densità temporali, in una prospettiva che ha fin dall'inizio assunto la costitutiva centralità dei problemi relativi alla coscienza del tempo per il dispiegarsi del lavoro fenomenologico. 133 Cfr. E. Husserl, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, cit., pp. 66-68. Per la datazione, cfr. p. 66, n. 24: nonostante a ricordo dello stesso Husserl la nota fosse stata redatta a «Silvaplana o dopo» (dunque nel 1909 o più tardi), Boehm la colloca «al più tardi, nell'autunno del 1908». 134 Cfr. ivi, p. 67. 135 Cfr. ivi, p. 68. 136 Cfr. ivi, p. 69. Per la datazione di questo manoscritto (1908-1909) si veda ancora ivi, p. 66, n. 24. 66 originaria-ricordo primario fa sì che nell'ora la ritenzione sia assente e, ad un tempo, profondamente implicata in esso. Essa è descrivibile, in tale implicazione, come «coscienza dell'appena stato»: non, cioè, come coscienza del suono che è stato (come risuonare del suono a cui si aggiunge, per così dire, la proprietà dell'essere-stato), quanto piuttosto come coscienza dell'essente-stato di quel suono (come coscienza che quel suono è stato percepito, e dunque è stato presente). Un riferimento essenzialmente diverso, e tuttavia omeomorfo al suono percepito T 0, da cui decorre «nella dovuta continuità» mentre è consaputo nel successivo T1. «È sbagliato alla radice argomentare come segue: come posso nell'“ora” sapere di un “non-ora”, dato che non posso confrontare il “non-ora”, che non è più, con l'“ora”(e cioè con l'immagine memorativa presente nell'“ora”)?». Nell'ora, infatti, non è presente alcuna immagine memorativa, nessuna eco. Il non-ora non è un'immagine, ma un momento a priori dell'ora, ineludibile in quanto tale. «Orbene, sussiste la legge per la quale il ricordo primario è possibile solo in collegamento continuo con una sensazione o una percezione precedente? Per la quale ogni fase ritenzionale è pensabile solo come fase, cioè non è estendibile in un tratto unico che sarebbe identico in tutte le fasi? Diremo senz'altro che ciò è assolutamente evidente»137. È su questa assoluta evidenza che s'impernia la peculiarità dell'analisi fenomenologica rispetto ad un'indagine psicologica: sul piano degli atti effettivi, a rigore, percezione originaria e ricordo primario sono costantemente tutt'uno, né mi è dato di cogliere, in essi, un'effettiva relazione di precedenza. «Contrariamente a questo modo di pensare, noi professiamo la necessità a priori che la ritenzione sia preceduta da una corrispondente percezione o impressione originaria»138. Un tentativo di descrizione rivolto alle modalità immanenti139 del decorso durativo di una percezione reell ha lasciato emergere lo Jetzt 137 Cfr. ivi, p. 68 [“solo come fase” e “assolutamente evidente” sono corsivi miei]. 138 Cfr. ibidem. 139 Va ricordato che l'idea di una riduzione al «puro guardare», in quanto metodo di una fenomenologia come radicale critica della conoscenza, era già stata delineata, nei suoi tratti essenziali, nel corso delle cinque lezioni del 1907 su Die Idee der Phänomenologie (cfr., in part., Lezione I e Lezione II). Il tema della riduzione è, in effetti, a tal punto centrale nell'ambito della ricerca fenomenologica da costituire non soltanto uno degli orizzonti più frequentati degli studi critici sulla fenomenologia husserliana, ma anche uno dei principali nodi della comprensione che lo stesso Husserl aveva del suo compito fenomenologico; un nodo su cui tornò più volte, almeno a partire da Philosophie als strenge Wissenschaft e certamente fino alla Krisis. Tra gli studi sul tema, ha particolare rilevanza l'articolo di I. Kern, The three ways to the trascendental phenomenological reduction in the philosophy of Edmund Husserl, in R. Bernet, D. Welton, G. Zavota (ed. by), Edmund Husserl. Critical assessments of leading philosophers, cit., pp. 56-94 (nell'ed. originale Die drei Wege zur transzendental-phaenomenologischen Reduktion in der Philosophie Edmund Husserls, in Tijdschrift voor Filosofie, XXIV, 2 (Juni 1962), pp. 303-349). In quello scritto Kern intese delineare tre differenti vie, descritte dallo stesso Husserl, per giungere al puro guardare fenomenologico. Possiamo qui riassumerle soltanto schematicamente: una prima via “cartesiana”, praticata attraverso un atteggiamento di dubbio radicale, di sospensione della credenza nell'obiettività trascendente, tale da far scorgere la datità assoluta nel contesto di un io puro “residuale” rispetto alla riduzione – la via che Kern vede anticipata nel principio dell'assenza di presupposti evocato già nel secondo volume delle Ricerche logiche, e poi proseguita con L'idea della fenomenologia ed Idee I, fino almeno alle Meditazioni cartesiane; una seconda via riferita all'idea di una psicologia pura, che riferendosi al puramente psichico possa considerare gli oggetti dell'esperienza mondana in un atteggiamento di astrazione e disinteresse, come fenomeni nel contesto di un'esperienza impregiudicata – posizione che Kern rintraccia nella seconda parte delle lezioni tenute nel semestre invernale '23/'24 sulla Erste Philosophie (R. Boehm (hrsg.), E. Husserl, Erste Philosophie (1923/24). Zweiter Teil. Theorie der phanomenologischen Reduktion, Nijhoff, Den Haag 1956) e poi nello scritto del 1928 per l'Encyclopaedia Britannica (in W. Biemel (hrsg.), E. 67 come tempo della percezione originaria attraverso la quale colgo qualcosa in carne ed ossa; questo tempo è risultato pensabile soltanto come fase inestesa. «E la fase dell'ora è pensabile solo come limite di una continuità di ritenzioni, così come ogni fase ritenzionale stessa è pensabile solo come punto di un tale continuum, e ciò per ogni ora della coscienza del tempo»140. Se proviamo a figurarci il decorso dei tempi T di percezione come una successione di punti T 1, T2... Tn, possiamo rappresentare la coscienza ritenzionale in T n come un intorno (sinistro) di punti, intesi come fasi ritenzionali inestese. Ne risulta che le fasi ritenzionali, in quanto fasi, sono esse stesse dei limiti; e che esse, come ritenzioni, sono in relazione di coimplicazione con il punto-ora di cui sono intorno. «Ma allora, neppure un'intera serie completa di ritenzioni deve essere pensabile senza una corrispondente percezione anteriore […]. La serie di ritenzioni che appartiene a un ora è, essa stessa, un limite e necessariamente si modifica; il ricordato “sprofonda sempre più nel passato”, ma non solo: esso è necessariamente qualcosa di sprofondato, qualcosa che necessariamente permette una rimemorazione evidente, la quale lo riconduce a un “ora” dato di nuovo» 141. Parlando di sprofondamento, insomma, indichiamo mediante un'immagine l'aspetto di esclusione reciproca implicito nel rapporto di coimplicazione tra passato e ora. Una ritenzione non seguita ad una coscienza impressionale è infatti impensabile, autocontraddittoria, poiché la ritenzione, in quanto tale, esibisce l'essente-stato di una coscienza impressionale (fino al caso limite di una coscienza del presentificato, cioè di una ritenzione di ricordo). Essa non può che rimandare ad un'impressione non più presente, escludendola in maniera peculiare. «Una stessa identica cosa può bensì essere ora ed esser passata, ma solo in quanto è durata tra l'ora e il passato»142. Questa «stessa identica cosa» trascende, nella sua identità cosale, l'immanenza del reell: è infatti esposta mediante una percezione, intesa appunto come esponente143 un'obiettività individuale Husserl, Phänomenologische Psychologie, Nijhoff, Den Haag 1968, pp. 277-301; tr. it. in R. Cristin (a cura di), E. Husserl, M. Heidegger, Fenomenologia, Unicopli, Milano 1999, pp. 149-172); una terza via, infine, a partire da una radicale critica diretta, di volta in volta all'ontologia formale, alle ontologie regionali e all'ontologia del mondo della vita nella loro impostazione classica – e, dal punto di vista husserliano, ingenuamente appiattita su una positività astratta, che non rende conto della “profondità” costituente della soggettività – rispetto alla quale qualsiasi a priori obiettivo è polo di una relazione. Kern riconduce quest'ultima via anzitutto al corso del semestre invernale del 1910/11 (I. Kern (hrsg.), E. Husserl, Grundprobleme der Phänomenologie (1910/11), Felix Meiner, Hamburg 1992; tr. it. a cura di V. Costa, I problemi fondamentali della fenomenologia, Quodlibet, Macerata 2008) ma anche nelle Ideen II ed in alcuni passaggi delle cinque lezioni del 1905. A partire dal nostro discorso, rileva notare soprattutto come Kern veda nella questione della temporalità l'essenziale accesso ai limiti della via “cartesiana”, la quale, a rigore, non saprebbe descrivere il decorso temporale immanente senza presupporre già un'impostazione che muova dal tempo obiettivo. 140 Cfr. E. Husserl, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, cit., p. 68. 141 Cfr. ibidem. 142 Cfr. ibidem. 143 Cfr. ivi, p. 275. Boehm afferma di aver estratto il brano (il cui titolo autografo è Il tempo nella percezione) dal manoscritto approntato da Husserl per il corso del WS 1906/07 a Gottinga (Introduzione alla logica e critica della conoscenza). Il manoscritto, conservato presso lo Husserl-Archive di Leuven, è costituito di due parti: la prima divisa tra le segnature F I 25, F I 16, F I 10; la seconda tra F I 17 e F I 7. Questi appunti furono riletti da Husserl nel 1909, nell'ambito del corso del semestre estivo (Introduzione alla fenomenologia della conoscenza). Boehm ritiene che questa rivisitazione non abbia comportato sostanziali modifiche del testo del 1907. 68 trascendente. Quest'individuale è «un'unità, unità rispetto ad una molteplicità»144. Individuale e dunque unitario, l'oggetto trascendente ci appare esposto in molteplici apparizioni; una molteplicità che è, se ogni apparizione presentante appare in un'ora, molteplicità di limiti ideali in un continuum. A rigore, giacché parliamo di una molteplicità di fasi inestese, dovremmo intendere questa molteplicità come indefinitamente grande ed infinitamente accrescibile; ma come può un'unità manifestarsi in essa e raccogliere tale molteplicità nei momenti della sua esposizione? «L'individuale è necessario, sia esso “cosa” individuale o “processo” individuale. È una cosa, una cosa che dura e riempie col suo contenuto cosale la durata temporale, la sua durata […]. È secondo questi essenziali fatti temporali che noi consideriamo il percepito come tale, senza di che esso non è pensabile come un individuale percepito»145. Potremmo dire che già il fatto che nell'ora si manifesti un oggetto costituito individualmente implica che questa manifestazione duri, radunando il molteplice esposto nell'alone ritenzionale costitutivo dell'ora. «Unità rispetto alla molteplicità significa qui dunque quest'identità coglibile nella percezione dell'individuale, che noi indichiamo in via generale come identità della cosa rispetto alla continua molteplicità temporale delle fasi cosali»146. La cosa non è una somma d'apparizioni puntuali, un'unità d'aggregazione; piuttosto, essa è un polo d'identità riconosciuto, di volta in volta, in ogni manifestazione, che dura continuativamente nella misura in cui questa identità continua ad essere colta attraverso le fasi d'ora. Durare significa dunque manifestarsi in una continuità d'identità a sé. «Questa continuità può a sua volta essere fatta oggetto di attenzione, di intenzione, e in tal senso può essere colta; essa è unità in un senso che non è quello della cosa, perché è unità della continuità delle fasi e, in particolare, è durata o mutamento della cosa, il tempo stesso concretamente riempito attraverso il quale si distende la cosa come l'identico di tutte le fasi, nel quale, cioè, essa giace in un modo suo proprio e dalla cui datità può essere desunta con evidenza»147. La relazione tra unità e molteplicità è insomma descrivibile, sul piano della cosa trascendente, secondo questo doppio decorso durativo. Ma, muovendo da essa, possiamo descrivere anche la datità immanente. «Non si parla quindi soltanto di oggetti cosali nel senso abituale di oggetti naturali. Se passiamo ad una più specifica considerazione della situazione relativa alle percezioni effettivamente immanenti […], ci accorgeremo altresì che l'opposizione di unità e molteplicità assume un senso nuovo che ci riporterà a uno strato più profondo di fatti di coscienza costitutivi» 148. Ogni cogitatio data assolutamente è infatti, come tale, anch'essa un'unità. L'analisi fenomenologica ritrova, nella percezione, un «complesso dei contenuti fisici esponenti, i dati cromatici, acustici, tattili ecc., di sensazione», i quali, pur prescindendo dalla loro relazione intenzionale con 144 Cfr. ibidem. 145 Cfr. ivi, pp. 275-276. 146 Cfr. ivi, p. 276. 147 Cfr. ibidem. 148 Cfr. ivi, pp. 276-277. 69 un'obiettività trascendente, sono già distinguibili ed articolabili nell'unità del campo di ricettività sensibile149. L'analisi della coscienza interna del tempo s'è mossa proprio dal durare di queste unità immanenti. «Quindi è chiaro che dobbiamo dire: nella percezione effettivamente immanente, nella quale questo suono ci viene dato, esso è un'unità nel flusso delle sue fasi temporali»150. La molteplicità che la riflessione ritrova nella più radicale immanenza scorre dunque come un flusso (Fluss): il decorso continuo in cui essa si scorge è descrivibile attraverso quest'immagine 151. Cosa significa dire che il flusso è un'immagine (Bild)152? Esso – scriverà poi Husserl – «non è nulla di temporalmente “obiettivo”»153; e tuttavia attraverso esso, in immagine, scorgiamo qualcosa. Siamo giunti al Fluss nel tentativo di descrivere la forma unitaria della corrente (Strom) di coscienza, colta riflessivamente nella sua datità immanente. Gli appunti stilati tra 1907 e 1911 lasciano emergere spesso la domanda su tale datità e sulla determinabilità di questa forma. Percorrendo i tempi e i modi di quest'interrogazione dovremmo ritrovarci di fronte a quell'«ultimo e vero assoluto» escluso da Ideen, a quell'«assoluta soggettività» in cui le unità temporali sono, in ultimo, costituite, e per la quale «ci mancano i nomi»154. Torniamo allora alla Strom. Consideriamo riflessivamente un suono udito nel suo essere sensazione immanente. In questa sensazione dataci assolutamente non ritroviamo soltanto l'unità che il suono è. Localizziamo, infatti, anche delle proprietà di questo suono: intensità, timbro e 149 Cfr. E. Husserl, Sulla teoria degli interi e delle parti, cit., pp. 19-20. 150 Cfr. E. Husserl. Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, cit., p. 277. 151 Tralasciando i riferimenti in Eraclito (ad. es. DK22 B12, in A. Lami (a cura di), in I Presocratici, BUR, Milano 2012, p. 205) e Platone (ad es., i riferimenti ad Eraclito in Cratilo, 402a, a p. 135 dell'ed. it. a cura di C. Lucciardi, tr. di E. Martini, Cratilo, BUR, Milano 2000), va qui ricordato come il lemma latino fluxus sia entrato nel lessico filosofico medievale con la traduzione del Commento di Simplicio alla Fisica di Aristotele ad opera di Guglielmo di Moerbecke (cfr. E. Gilson, La filosofia nel Medioevo. Dalle origini patristiche alla fine del XIV secolo, BUR, Milano 2012, p. 445), che tra gli anni '60 e '70 del XIII sec. lavorò su opere aristoteliche e sui commenti a queste redatti da platonici come Simplicio. Guglielmo rese appunto ῥύσις e ῥέω rispettivamente con fluxus e fluo. L'uso del lemma aveva già cominciato a profilarsi nel secolo precedente, con la resa di fāḍa e inbi'āth, in Averroé e Avicenna, come fluxus (cfr. L. G. Kelly, The mirror of grammar. Theology, philosophy and the Modistae, John Benjamin, Amsterdam 2002, p. 109). Il termine giungeva nella tradizione europea da un retroterra neoplatonico, carico di suggestioni legate al concetto di προϊὼν, processione. Ritroviamo questa commistione, ad es., nei concetti di Spontanzeugung e Urzeugung, utilizzati da Schelling nella Philosophie der Offenbarung del 1841/42 per descrivere l'emanazione del tempo del Figlio. Anche nel Commento di Simplicio fluxus è strettamente legato a tempus e motus. 152 Non può essere condotta, qui, una ricognizione esauriente della varietà di significati affidati ad un lemma come Bild. Cionondimeno, possiamo indicarne due radici fondamentali. La prima giunge fino al centrale tema platonico dell'εἴδωλον (si pensi ad es. al Sofista, 235d – 236e, in Platone, Sofista, ed. it. a cura di F. Fronterotta,, BUR, Milano 2007, pp. 297-305). La seconda rimanda all'ebraico Œ•Ž•‫( צ‬letto ṣèlèm), reso appunto con Bild nella traduzione luterana della Bibbia (1522-1534); cfr., ad es., Genesi 1,27 e Colossesi 1,15. È figura ad incorporare, nel latino della tarda repubblica romana, la peculiarità semantica che indusse Aristotele ad indicare σχῆμα, aspetto sensibile, come distinto da εἶδος e μορφή (definita proprio come σχῆμα τῆσ ἰδέασ); figura che indica una pienezza sensibile che manca a forma pur garantendosi dal carattere di falsificazione implicito nell'imitazione data dall'imago. Figura diventerà poi uno dei perni dell'operazione d'assorbimento della cultura classica compiuta dal primo cristianesimo istituzionalizzato; cfr. E. Auerbach, Figura, in Id., Studi su Dante, ed. it. a cura di D. Della Terza, Feltrinelli, Milano 2007, pp. 176-226. Fu Eckhart ad introdurre il termine nel lessico filosofico tedesco, aprendo rispetto ad esso una problematica dualità tra l'immagine come riferita al suo modello (e dunque Urbild, Abbild, Gleichbild: rispettivamente paradigma, copia in quanto prodotta e copia in quanto somigliante) e l'immagine come frutto di una facoltà produttiva corrispondente (Einbildungskraft). A questo proposito cfr. P. David, Bild, in B. Cassin, E. Apter, J. Lezra, M. Wood, Untranslatables: a philosophical lexicon, Princeton University Press, Princeton 2014, pp. 107-112. 153 Cfr. E. Husserl, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, cit., p. 102. 154 Cfr. ibidem. 70 frequenza saranno dunque, a loro volta, «unità nel tempo, analogamente alla cosa stessa che, dal canto suo, ha delle proprietà»155. Queste proprietà, dateci su un piano immanente, ineriscono ad un'unità cosale che è essa stessa data assolutamente; quest'assoluto dura in quanto è «l'identico in ogni punto della durata». Anche il suo decorso durativo è dato in immanenza: come tale, nella durata, è lo stesso processo che dura. «Ma il processo ha una durata in un senso diverso da quello dell'unità cosale, esso è durata riempita»156 da un identico. Una durata peculiare, dunque: nel suo continuum «ogni punto contribuisce al processo, lo costruisce, ma un punto non aggiunge nulla alla cosa, in esso c'è puramente e semplicemente la cosa, solo, la cosa in questo istante». Ma se la manifestatività originaria della cosa è possibile soltanto nell'ora, essa eccede la quidditas157 della cosa: ciò che è predicabile rispetto al decorso del mutare di un'oggettualità è essenzialmente diverso rispetto a ciò che possiamo predicare dell'identico che dura in questo mutare. Non inerendo alla peculiare determinatezza della cosa, «il tempo è la forma ineliminabile delle realtà individuali»158 in quanto tali. È in questa associazione di tempo e forma che lo schema contenuto apprensionaleapprensione non trova, infine, più alcuna cittadinanza: se il tempo è la forma costituente, non è più possibile pensare ad una materia d'atto già costituita, poiché ciascuno degli strati dell'oggettualità statica è tale, nella sua coesione, a partire dal fluire del momento costituente. Questo fluire è quello del vivere, inteso «come quella unità del flusso in cui si costituisce il tempo fansiologico159 originario, con la costituzione dei vissuti in quanto unità temporali-fansiologiche»160. Impegnandoci a percepire la percezione di suono nei modi in cui ci si offre, vi ritroviamo una «coda memorativa» irriducibile ad un'aggiunta di carattere apprensionale: «la cosa immanente non potrebbe affatto esser data nella sua unità, se la coscienza percettiva […] non abbracciasse anche la continuità delle fasi calanti delle sensazioni degli “ora” precedenti. L'evento passato non sarebbe nulla per la coscienza dell'ora se non trovasse rappresentanza nell'“ora”, e l'“ora” non sarebbe tale […] se non abitasse in essa come limite di un essere passato»161. In quella che infine sembra la vera legge a priori della nostra coscienza del tempo – «l'intuizione del tempo è davvero essenzialmente, in ogni punto della sua durata, […] coscienza dell'appenastato»162 – sappiamo ora scorgere la componente vivente. Nell'unità della coscienza costituente ritroviamo complessivamente «da parte a parte coscienza, e da parte a parte un flusso di fluenze, e ciascuna di tali fluenze appartiene a un'unità»163. Finora abbiamo inteso l'unità soltanto come unità 155 Cfr. ivi, p. 277. 156 Cfr. ivi, p. 278. 157 Sulla quidditas come esser-questo, cfr. N. Russo, La cosa e l'ente. Verso l'ipotesi ontologica, cit., p. 49, n. 19. 158 Cfr. E. Husserl, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, cit., p. 279. 159 In questi appunti Husserl usa phansiologischen come sinonimo di assolutamente dato. Cfr. ad es. ivi, pp. 296-297. 160 Cfr. ivi, p. 292. 161 Cfr. ivi, pp. 283-284. 162 Cfr. ivi, p. 309. Il brano è per Boehm «difficilmente databile dopo l'autunno del 1908» (cfr. p. 309, n. 157). 163 Cfr. ivi, p. 293. 71 costituita, trascendente o immanente che fosse; ma, se la coscienza è un flusso peculiarmente unitario e rigido nel suo scorrere, i contenuti immanenti fluiranno in essa; non più ridotti ad un caos, essi si esibiranno nella sua stessa forma fluente. L'unità costituita non può essere, così, che una strutturazione appercettiva di questo fluire assoluto che è la coscienza. Sicché è in essa che dobbiamo cercare una coesione iniziale del molteplice indeterminato verso un determinato fluire, su cui poi opera, nei suoi vari livelli, l'unificazione appercettiva. Le unità esibite in questa coesione, «defluendo in determinate varietà di apparizione loro proprie, producono una coscienza d'unità nel secondo senso», nell'uso dell'unità costituita. «L'essenziale è questo: ogni contenuto può diventare qualcosa di intenzionato e di posto come un “questo”, per possibilità ideale». Nell'atto di riferirmi ad un contenuto, lo ritrovo già come unità. «L'intenzionare, inteso come contenuto, a sua volta non è una coscienza in senso originario, ma lo è il relativo flusso. L'intenzionare è un “atto” (un atto è già unità), e questa è la coscienza in un senso nuovo»164. La terza sezione delle Vorlesungen comincia con alcuni paragrafi stilati tra il 1909 ed il 1910 165. A queste righe, poste subito dopo il brano in cui era progettata la descrizione di «alcune leggi temporali a priori» per il tempo costituito166, Husserl affida la radicalizzazione della profonda riconsiderazione della temporalità che abbiamo ritrovato negli appunti del triennio precedente. «Innanzitutto, va ora esaminata un po' più da vicino questa coscienza assoluta che precede ogni costituzione […]. Se consideriamo ora i fenomeni costitutivi, troviamo un flusso, e ogni fase di questo flusso è una continuità di adombramenti. Ma, per principio, nessuna fase di questo flusso va dispiegata in una serie continua»167. Non c'è qui alcuna pluralità che possa distribuirsi in una serie. Troviamo invece un mutare, ma non di qualcosa né di un quale: «un flusso di costante “mutamento”, e tale mutamento ha questo di assurdo, che scorre esattamente come scorre, e non può scorrere “più veloce”, né “più lento”». Esso è una totalità rigida, poiché non ha qualcosa rispetto a cui mutare. Quest'unità fluente può essere vista soltanto in immagine, poiché su questo piano in cui non c'è nulla di statico, a rigore, non c'è nemmeno qualcosa che muta168. «È l'assoluta soggettività ed ha le proprietà assolute di qualcosa che si può indicare, con un'immagine, come flusso». Possiamo dunque, anche se solo attraverso un'immagine, volgerci ad un'oggettualità la cui temporalità non è ancora costituita. «Ciò che nelle Ricerche logiche abbiamo chiamato “atto” o “vissuto intenzionale” è quindi sempre un flusso, nel quale si costituisce un'unità temporale immanente […] che ha la sua durata immanente e può muoversi più o meno velocemente» 169. La fenomenologia, volendosi far carico dell'ora, del massimamente contingente, deve ipso facto farsi 164 Cfr. ivi, p. 294. 165 Cfr. ivi, pp. 100-121.Sulla datazione, cfr. ivi, p. 101, n. 60. 166 Cfr. ivi, pp. 99-100. 167 Cfr. ivi, pp. 101-102. 168 Ciò a partire da un concetto di mutamento consegnato alla tradizione occidentale da Aristotele. Cfr., ad es., La Metafisica, VIII, 5, ed. it. a cura di A. Carlini, Laterza, Bari 1959, pp. 288-289. 169 Cfr. ivi, p. 103. 72 carico dell'infinita molteplicità dell'esperienza a cui la coscienza vivente sempre partecipa. Se questo carico è per lei sostenibile in assoluto, un primo accostamento ad esso è dato dalla nozione di Vor-Zugleich, di pre-insieme, la quale adesso giunge a noi in tutta la sua pregnanza. Preinsieme è la corrente acquatica che scorre coesa nel costante e più ampio flusso della coscienza vivente; una coesione ritrovata, non costituita intenzionalmente, ma non estrinseca alla coscienza – anzi, ad essa del tutto manifesta, in quanto omogenea alla suo carattere più originario. Nell'unità del flusso «di flussi ne troviamo molti, in quanto molte sono le serie di sensazioni originarie che cominciano e finiscono. Ma troviamo una forma che li collega, non solo perché per ciascuno di essi si verifica la legge della trasformazione di “ora” in “non più” […], ma anche e soprattutto perché nel modo del flusso c'è qualcosa come una forma comune dell'“ora”, un carattere di uguaglianza in generale»170. Flussi costituiti da gruppi di sensazioni originarie diverse sono scanditi lungo la durata comune, in ritmi intrinsecamente dipendenti dalle peculiari datità che in essi vanno offrendosi originariamente – o, meglio, è scandendosi secondo lo stesso ritmo che momenti dell'infinita molteplicità delle sensazioni vanno raggruppandosi in un flusso coeso. La rigidità del mutamento costituente fa sì che «ciò che è un “insieme” come “insieme” di sensazione originaria resti un “insieme” nel modo dell'essere defluito»171. Gli elementi di questo insieme sono identici quanto alla forma, se forma è il ritmo del decorso; esso precede qualsiasi organizzazione intenzionale che trattenga contenuti mutevoli nella forma ed autoidentici nella durata. Cifra del pre-insieme è proprio la differenza rispetto a qualunque «“insieme” impressionale di flussioni»172. Sul piano del flusso costituente non ritroviamo più il tempo. Le sensazioni originarie componenti il pre-insieme non possono essere considerate simultanee. Potremmo dire, forse, che il lavoro fenomenologico ha attraversato l'intera questione del tempo, giungendo dall'intemporalità implicita delle Ricerche logiche all'intemporalità esplicita della coscienza vivente costituente – a prezzo, però, di poter scorgere quest'esplicitazione soltanto attraverso la mediazione di un'immagine metaforica. Se davvero essa ha guadagnato questa posizione, tuttavia, lo ha fatto solo per ritornare al suo oggetto – il tempo, appunto – con la rinnovata consapevolezza della sua problematicità. In questo ritornare, essa corrisponde al suo carattere più proprio; in questo corrispondere a sé, essa si apre sull'infinita vastità del sensibile. 170 Cfr. E. Husserl, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, p. 104. 171 Cfr. ibidem. 172 Cfr. ivi, p. 105. 73 CONCLUSIONE È opportuno notare, al termine di questo lavoro, che ciò che più volte abbiamo indicato come sensibile, fattuale, contingente, non è stato da noi, in effetti, mai visto: cioè mai portato ad un'evidenza diretta, entro la quale, eventualmente, ci si sarebbero potute offrire le sue determinazioni eminenti e caratterizzanti. Quest'immagine del sensibile ha funto, piuttosto, da soggetto di una predicazione costantemente negativa, quale elemento rispetto a cui marcare ogni volta una differenza, discutendo tanto della materia d'atto, quanto dell'immagine del flusso. Ma, soprattutto, discutendo della coscienza vivente, e tentando d'aprire il problema – simmetrico rispetto a quello delle condizioni della fenomenologia, a cui accennavo nell'introduzione, giacché in esso coimplicato – dello statuto della coscienza: se essa cioè sia real, se sia un fatto ed, in ultimo, una modificazione psicofisiologica, o se l'immanenza del piano reell non ci induca a conclusioni diverse – ed entro quali termini si possa, così, parlare di una lacerazione interna alla συμπάθεια che sembra coinvolgere la vita di coscienza e le trascendenze che essa intenziona. Abbiamo inteso, tuttavia, che decidersi positivamente circa tale questione avrebbe significato, in ultimo, decidere altresì il compito precipuo del lavoro fenomenologico; dunque, com'era prevedibile, nemmeno su quest'ultimo punto possiamo giungere ad una conclusione complessiva. Volendo tuttavia riepilogare gli elementi raccolti a questo proposito, possiamo dire che: le Ricerche logiche presentano un progetto del tutto coerente nel suo sviluppo interno, comprensibile nella sua originale unità soltanto a partire dal dibattito europeo ad esse contemporaneo; un'interna dicotomia percorre, in maniera solo apparentemente paradossale, tale unità, delineando in essa, da un lato, un'istanza di di sistemazione, e dall'altro un anelito di inesausta fedeltà al costante rinnovarsi dello sguardo fenomenologico; quest'unità articolata è già implicita nel rapporto tra i problemi presentati in Espressione e significato ed i presupposti delineati nei Prolegomeni a una logica pura; il problema dell'addomesticamento delle espressioni essenzialmente occasionali è emblematico rispetto agli elementi conflittuali che emergono in tale rapporto e che, attraverso L'idea di una grammatica pura, giocano un ruolo fondamentale nella formulazione della teoria dell'atto intenzionale, perno dell'intero gruppo di ricerche; il problema dell'individuazione è, almeno fino al 1905, la foce verso la quale confluiscono tutti gli spunti problematici relativi a quanto di irrisolto rimane, rispetto a questo conflitto, dopo la redazione delle Ricerche; si rende necessaria, di conseguenza, una «teoria degli atti intellettivi elementari»1, come tale legata a doppio filo alla questione di ciò che precede il categoriale e, ipso facto, al problema della coscienza interna del tempo; all'interno di tale questione l'ora, la cifra temporale della percezione, è insieme luogo decisivo del progetto di una fenomenologia della coscienza interna del tempo e momento del 1 Cfr. E. Husserl, F I 9/4a-b, cit., p. 15. 74 riemergere più forte e radicale del problema della contingenza; il tentativo di delineare leggi a priori circa l'ora apre la via maestra per un lavoro, condotto soprattutto in appunti manoscritti, relativamente libero dal gesto sistematizzante che in quegli anni va assumendo un ruolo sempre più centrale nel percorso di Husserl, e forse adatto a far da base ad un'interpretazione nuova – rispetto ai paradigmi interpretativi di cui dicevo nell'introduzione – della pratica fenomenologica, a partire dagli effettivi intenti del suo fondatore. Eccoci dunque di nuovo alla prima domanda che ci siamo posti: come fare fenomenologia oggi? Tale quesito rimane, per noi e per ora, senza risposta. A tale conclusione vorrei aggiungere, tuttavia, un'osservazione meno vincolata a riferimenti testuali puntuali. Del resto, se abbiamo seguito attentamente dei testi, lo abbiamo fatto assumendo innanzitutto che «ciò che è autentico è sempre nuovo, perché l'antico è diventato sempre, in un certo senso, inautentico per noi. Io trovo ciò che è autentico solo se l'antico è presente, se, per una certa parte del cammino, procedo ritornando ad esso. Per una necessità esistenziale, esso è sempre lì, in qualche modo, come motivo attuativo, nel filosofare»2; sicché ogni nucleo semantico seguito nelle parole di Husserl è stato per noi soprattutto la promessa di un'esperienza vivente, di un vedere effettivo ed effettivamente percorso nei nodi del suo darsi a noi. Tale esperienza s'è costituita nell'orizzonte di un esperiente: sarebbe dunque davvero difficile trovare anche un solo passaggio di quest'interpretazione completamente scevro dalla traccia dell'individualità dell'interprete. Ma, se questo è un tratto strutturale di ogni esperienza e dunque di ogni tentativo di comprensione, a fortiori dobbiamo prestare attenzione all'esperito – giacché esso dovrà trattenere in sé, come tale, tutta la determinatezza dell'orizzonte entro il quale è dato, tutta la peculiarità di quest'accadimento nel decorso della singola vita di coscienza3. Ebbene, mi sembra che, riflettendo sulla domanda circa l'odierna prassi fenomenologica, sia anzitutto da rifiutare la messa in ordine, per così dire, di quest'esercizio all'interno di un paradigma rigido, e ancor di più il ritorno ad un'idea di fenomenologia come esplicazione del sistema di relazioni fondative dell'esperienza umana4. Ed è probabile che un ripensamento dell'esercizio 2 Cfr. M. Heidegger, Fenomenologia dell'intuizione e dell'espressione. Teoria della formazione del concetto filosofico, ed. it. a cura di V. Costa, tr. di A. Canzonieri, Quodlibet, Macerata 2012. L'ed. or. è Phänomenologie der Anschauung und des Ausdrucks. Theorie der philosophischen Begriffsbildung, Gesamtausgabe Bd. 59, C. Strube (hrsg.), Klostermann, Frankfurt am Main 1993. 3 Cfr. V. Vitiello, Filosofia teoretica. Le domande fondamentali: percorsi e interpretazioni, cit., pp. 163 e 171: «non è in questione il fatto che la coscienza trascendentale, l'“io-orizzonte” vive nei molteplici io empirici, negli “io-corpo” degli indefiniti uomini che costituiscono l'umanità storica – e dove altrimenti? Altro è il problema. È che la coscienza trascendentale è come tale singola, individua. Che l'orizzonte in quanto orizzonte, e cioè in quanto onnicomprendente, è particolare. Solo così, infatti, si dà unità vera di universale e singolare, e non semplice congiunzione o sovrapposizione. […] Il problema va posto, perché proprio la reciprocità del riconoscimento mette in evidenza questo, che se gli “io” sono molti, l'orizzonte è però uno e medesimo […]. D'altra parte, come già sopra s'avvertiva, non si possono separare trascendentalità e singolarità dell'io. Il trascendentale come tale è singolare: questa e solo questa è la vera esperienza del riconoscimento tra autocoscienze singole e diverse». Per la teoria ermeneutica coimplicata in quest'impostazione problematica, legata alla relazione tra la dinamicità produttiva dei topoi, dell'orizzonte di senso entro il quale si palesa un testo, e la singolarità di quest'ultimo, cfr. Id., Elogio dello spazio. Ermeneutica e topologia, Bompiani, Milano 1994, ed in part. pp. 54-55. 4 Cfr., ad es., A.-T. Tymieniecka, La fenomenologia come forza ispiratrice dei nostri tempi, cit., pp. 33 e 48: «Così 75 fenomenologico, al di là di ciò che soltanto genericamente possiamo indicare come paradigma ermeneutico e paradigma analitico dell'interpretazione dell'opera di Husserl, non debba risolversi necessariamente in tale impostazione “reazionaria”. Se la ricerca dell'autocomprensione consiste in una domanda che l'uomo pone circa sé stesso, al di là dell'indagine analitica relativa ai termini coinvolti in quest'interrogazione, rimane l'interrogante che, in un costante scambio con ciò che è ogni volta nuovo, vivo (l'esperienza), e con ciò che è antico e morto (la tradizione)5, «ricongiunge in sé tutto quanto»6: entro lo spazio che così si apre, in un modo qui non meglio definibile, è possibile, tra le altre cose, entrare in una relazione con il lavoro husserliano che tenga fermo il suo carattere di vivezza, d'apertura, così da rimanere essa stessa fenomenologica, cioè vuota, disponibile ad accogliere la sorpresa ed il mutamento – pur non rinunciando a fissare i propri momentanei risultati nella forma della parola parlata o scritta. Se torniamo, per farla rivivere, alla visione del vaso raccontata da Enzo Paci nel suo Diario fenomenologico, scopriamo che le cose «viste bene, ben “vissute”, descritte senza farle cadere, per quanto possibile, nell'oblio, mi costringono continuamente a correggere le mie impressioni, a non fidarmi di esse incondizionatamente, a rivederle di nuovo, rivivendole nel ricordo. […] Ogni cosa individuale ha, anche se nella sua individualità non si ripete (nessun fiore è lo stesso fiore, nessuna esperienza è la stessa esperienza), un'essenza permanente, uno stile, nonostante l'oblio, nonostante le correzioni. […] Ma gli individui analoghi hanno una loro essenza, e le varie essenze sono tutte collegate l'una all'altra, permanenti ed emergenti, antiche e nuove, tutte in me come io sono negli altri che sono stati, che sono, che saranno». Ne risulta che la fenomenologia è «una scienza dello stile della vita e, come lo stile, modula sé stessa in una continua e rinnovata descrizione di tutto ciò che si rivela nel fluire delle mie esperienze, nella mia soggettività, nella soggettività altrui»7. Scienza dello stile della vita, scienza dei tratti costanti del darsi infinitamente vario e sorprendente dell'esperienza: dunque «scienza delle modalità del darsi, scienza dei “come”»8. E se la strutturalità di tali modalità, il loro venire prima rispetto alla contingenza del singolo dato nel vissuto, ne farà delle idealità, dovremo tener fermo che «in sé il Wesen non è in Husserl un concetto descrittivo, ma operativo»9, funzionale al costante esercizio di mediazione fra logica ed esperienza, di 5 6 7 8 9 [attraverso la fenomenologia], l'intero orizzonte di umana interrogazione e riflessione sul mondo, sulla vita e sulla posizione e ruolo dell'uomo in essa, può trovare legittimo fondamento e concatenazione. […] Nella sua continuità discreta ma necessaria, il progetto di Husserl dipana l'ordine dell'esistenza nel suo commercio con la mente umana». Cfr. M. Bloch, Apologia della storia o mestiere di storico, ed. it. a cura di G. Arnaldi, Einaudi, Torino 1969, pp. 4857. Sul compito di rivitalizzare la tradizione «decadente» mediante una riappropriazione che ricollochi i suoi elementi presso i rispettivi «motivi originari e generatori di senso, “storico-spirituali” nell'accezione specifica del termine», cfr. M. Heidegger, Note sulla “Psicologia delle visioni del mondo” di Karl Jaspers, in Id., Segnavia, ed. it. a cura di F. Volpi, Adelphi, Milano 2008, pp. 431-471, in part. pp. 433-434. L'ed. or. è Anmerkungen zu Karl Jaspers “Psychologie der Weltanschauungen”, in Id., Wegmarken, Gesamtausgabe Bd. 9, F.-W von Herrmann (hrsg.), Klostermann, Frankfurt am Main 1976. Cfr. M. Bloch, Apologia della storia o mestiere di storico, cit., p. 132. Cfr. E. Paci, Diario fenomenologico, cit., pp. 86-87. Cfr. ivi, p. 86. Cfr. E. Melandri, Logica e esperienza in Husserl, cit., p. 57. 76 chiarificazione e ristrutturazione della loro mescolanza – nella prassi, ogni volta da rinnovare, di una fenomenologia come schematismo fenomenologico10. A tale icastica indicazione di un compito generico, ancora tutto da determinare nel suo peso specifico all'interno della complessità della condizione umana, si può forse aggiungere, infine, un tratto ulteriore: e cioè che, seguendo Aron Gurwitsch11, il fenomenologo “schematista” dovrebbe trovare la più folta messe di problemi ed il più fertile terreno di lavoro nella questione dell'intenzionalità, cioè nella domanda sullo statuto di quella relazione che permette all'infinita molteplicità del dato, esperito in una corrispondente moltitudine di vissuti, di mostrarsi come un qualcosa di visibile e descrivibile: come un'autoidentità la cui trascendenza rispetto al vissuto reell costituisce il vero e più profondo mistero12 di una fenomenologia che voglia essere teoria dell'esperienza. 10 Cfr. ivi, pp. 48-73. 11 Cfr. A. Gurwitsch, Outlines of the Theory of Intentionality, in Id., The collected works of Aron Gurwitsch (19011973) I. Constitutive phenomenology in historical perspective, J. García-Gómez (ed. by), Springer, Heidelberg 2009, pp. 367-381. 12 Cfr. E. Husserl, L'idea della fenomenologia, cit., pp. 71-75. 77 BIBLIOGRAFIA Bibliografia primaria ARISTOTELE, Primi analitici, in Id., Organon, ed. it. a cura di G. Colli, Adelphi, Milano 2003. ID., La metafisica, ed. it. a cura di A. Carlini, Laterza, Bari 1959. ID., Riproduzione degli animali, tr. it. di D. Lanza, in Id., Opere biologiche, ed. it. a cura di M. Vegetti, D. Lanza, UTET, Torino 1971. AUERBACH, E., Figura, in Id., Studi su Dante, ed. it. a cura di D. Della Terza, Feltrinelli, Milano 2007. BLOCH, M., Apologia della storia o mestiere di storico, ed. it. a cura di G. Arnaldi, Einaudi, Torino 1969. BOLZANO, B., Wissenschaftslehre. Erster Band, Seidel, Sulzbach 1837. BRENTANO, F., Sui molteplici significati dell'essere secondo Aristotele, ed. it. a cura di G. Reale, EDUCatt, Milano 2012. DAUBERT, J., A I 4/1-17 (July 1902), in K. 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Le espressioni lacunose nel loro rapporto con l'idea di grammatica pura p. 22 § 4. La teoria dell'atto intenzionale p. 32 II. OCCASIONE E COSCIENZA INTERNA DEL TEMPO p. 43 § 5. La questione del tempo p. 43 § 6. L'a priori dell'ora ed il tentativo di un'impostazione statica del problema p. 52 § 7. L'immagine del flusso p. 62 CONCLUSIONE p. 74 BIBLIOGRAFIA p. 78 86