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L'agguato di Hamae

S TU D I A ERU D I TA 14. C O ROLLA R I Scritti di antichità etrusche e italiche in omaggio all’opera di Giovanni Colonna promossi da gilda bartoloni, carmine ampolo, maria paola baglione, fr ancesco roncalli, giuseppe sassatelli a cur a di daniele f. mar as PISA · ROMA FABRIZ IO S E RRA E DITO RE MMX I Sono rigorosamente vietati la riproduzione, la traduzione, l’adattamento, anche parziale o per estratti, per qualsiasi uso e con qualsiasi mezzo efettuati, compresi la copia fotostatica, il microilm, la memorizzazione elettronica, ecc., senza la preventiva autorizzazione scritta della Fabrizio Serra editore®, Pisa · Roma. Ogni abuso sarà perseguito a norma di legge. Proprietà riservata · All rights reserved © Copyright 2011 by Fabrizio Serra editore®, Pisa · Roma Uici di Pisa: Via Santa Bibbiana 28, I 56127 Pisa, tel. +39 050 542332, fax +39 050 574888, fse@libraweb.net Uici di Roma: Via Carlo Emanuele I 48, I 00185 Roma, tel. +39 06 70493456, fax +39 06 70476605, fse.roma@libraweb.net www.libraweb.net issn 1828-8642 isbn 978-88-6227-235-3 isbn elettronico 978-88-6227-409-8 SOMMARI O storia e antichità Larissa Bonfante, Amber abroad Maria Bonghi Jovino, Ripensando Pompei arcaica Dominique Briquel, Lausus, ils de Mézence, et le Laucie Mezentie de l’inscription du Louvre Giovannangelo Camporeale, Maestri d’arte e mercanti d’arte ai primordi della storia etrusca Luigi Capogrossi Colognesi, Il diritto della città e le situazioni marginali Luca Cerchiai, L’agguato di Hamae Bruno d ’ Agostino, La tomba 722 di Capua loc. Le Fornaci e le premesse dell’Orientalizzante in Campania Daniele F. Maras, Laura M. Michetti, Un nome per più realtà: Tirrenia e Tirreni negli Ethniká di Stefano Bizantino Jorge Martínez-Pinna, Apuntes sobre la intervención de Porsenna en Roma Françoise-élène Massa-Pairault, Locus Ardea quondam dictus avis ou variations sur le sujet d’une histoire Anna Maria Moretti Sgubini, Un sito di frontiera della prima età del Ferro nel territorio di Tuscania Alessandro Naso, Manufatti etruschi e italici nell’Africa settentrionale (ix-ii sec. a.C.) Giovanna Rocca, I Libri di Numa Pompilio Elena Tassi Scandone, Il T˘ÚÚËÓÈÎeÓ öıÔ˜ di Dion. Hal. iii , 61, 2. Nuovi elementi sull’origine e la natura dell’imperium 1 4 14 19 24 29 33 46 56 61 70 75 84 87 religione Maria Paola Baglione, Funzione dei grandi donari attici di Veio-Portonaccio Gilda Bartoloni, Un rito di obliterazione a Populonia Marisa Bonamici, Un programma igurativo troiano a Volterra nel i sec. a.C. Stefano Bruni, Un nuovo santuario del territorio iesolano. Su un ritrovamento di età rinascimentale a San Casciano in Val di Pesa Ingrid Krauskopf, Seefahrergeschichten – Göttergeschichten oder der Hunger nach Bildern. Zur Faszination des griechischen Mythos in der etruskischen Kultur Adriano Maggiani, Tluschva, divinità ctonie Giuseppe Sassatelli, Città etrusca di Marzabotto: una fornace per il tempio di Tina Erika Simon, Zum Terrakotta-Giebel von der Via di San Gregorio Mario Torelli, Le amazzoni di Efeso e l’ittiomanzia di Sura. Appunti sulla decorazione pittorica del tempio di Portonaccio di Veio 95 102 111 121 133 138 150 159 163 lingua ed epigrafia Luciano Agostiniani, Feluskeś o £eluskeś sulla stele di Vetulonia? Giovanna Bagnasco Gianni, Lettere e immagini: esempi etruschi di parola ispirata Enrico Benelli, ‘Vornamengentilizia’. Anatomia di una chimera Carlo de Simone, I numerali etruschi e D. Steinbauer: ancora «L’origine degli Etruschi» Maria Pia Marchese, Aesernia: appunti per un’etimologia Aldo Luigi Prosdocimi, Anna Marinetti, Sul tipo atta ‘padre’ in alcune tradizioni indeuropee: tra lessico istituzionale e funzionalità onomastica Francesco Roncalli, Lo strano vaso di Cavios Frenaios Gian Luca Tagliamonte, Un bollo laterizio dal santuario del Monte San Nicola di Pietravairano (ce ) 177 185 193 199 206 210 223 232 L’ AGG UATO DI H AMAE Luca Cerchiai I n una relazione tenuta nel 1980 al congresso di Palermo G. Colonna imposta in modo memorabile la storia del mercenariato campano, con particolare riguardo alla Sicilia.1 Tale studio, contraddistinto dalla sapiente interazione tra dati archeologici e tradizione storica, ha inaugurato una feconda serie di ricerche tra le quali vanno innanzitutto annoverate quelle di G. Tagliamonte:2 nella stessa scia tenta di inserirsi il presente contributo. 1. Nel 215 a.C. Tiberio Sempronio Gracco inligge una durissima sconitta ai Campani di Capua presso il santuario di Hamae (Liv. xxiii, 35). La vittoria non è conseguita con una battaglia in campo aperto, ma attraverso l’agguato: l’esercito romano colpisce nel cuore della notte, dopo una marcia notturna, e sbaraglia i nemici sorprendendone una parte addormentata nell’accampamento e l’altra disarmata di ritorno dalla celebrazione del sacriicium. Livio giustiica questa strategia come reazione alle trame dei Campani che, passati ad Annibale dopo Canne, mirano a tradire Cuma, attirandone il senato in un tranello durante la festa connessa al nomen federale. Per non lasciare dubbi, Livio cita la preparazione del meddix tuticus Mario Alio, impegnato instruendae fraudi più che a proteggere l’accampamento. Anche se con un’ottica di parte, lo storico inserisce le modalità dello scontro in una prospettiva antropologica di lunga durata: nella struttura topica con cui la tradizione antica innanzitutto conigura le conquiste campane di Capua (423 a.C.) e Cuma (421 a.C.) nei termini di un’aggressione a tradimento. Come ha sottolineato G. Tagliamonte, le coordinate di questo topos prevedono il “tradimento della iducia … con conseguente attacco notturno a sorpresa, talora portato a compimento in un giorno di festa (tanto per sottolineare ulteriormente la nefandezza del paraspondema)”:3 ciò signiica che i Romani sul campo di Hamae hanno sconitto i Campani con le loro armi, in una sorta di nemesi storica in cui la vittoria del più forte segna la conferma di una discriminazione etnica. Ma le origini della peridia campana rimontano indietro nel tempo, come indirettamente può ricavarsi dallo stesso racconto di Hamae: per un attacco simile ad un agguato, i Romani utilizzano un esercito particolare, composto da schiavi volontari (volones) arruolati per reintegrare i ranghi falcidiati dai Cartaginesi; come evidenzia Livio, le reclute sono spinte ad un comportamento “generoso e onesto” per emulare i compagni liberi. L’arruolamento di schiavi liberati e prigionieri di guerra ricorre in un altro momento cruciale della storia campana: nella formazione della guardia del corpo di Aristodemo 1 Colonna 2005. 2 Tagliamonte 1994; Id. 1999; Id. 2006. 3 Tagliamonte 1999, p. 556; importanti considerazioni sulla logica di questo modello storiograico sono sviluppate in Moggi 2003. 4 A. Mele, Aristodemo, Cuma e il Lazio, in M. Cristofani (a cura di), Etruria e Lazio arcaico, Atti incontro di studio, (Roma, 1986), «Quadaei», 15, 1987, pp. 155-77, spec. p. 160, nota 79. che, a sua volta, è abbattuto dai igli degli aristocratici uccisi o esiliati, ridotti al ruolo di schiavi di campagna. La tirannide, che inizia con il putsch all’interno della boule, si conclude con lo sterminio della famiglia di Aristodemo grazie all’astuzia di un assalto notturno e, come nel caso di Hamae, l’assassinio del tiranno assume il signiicato di una vendetta riparatrice.4 Il il rouge da Aristodemo ad Hamae trova conferma nelle tappe intermedie della conquista campana di Capua e Cuma: nella prima Livio (iv, 37, 2) narra che i Samnites novi coloni sterminano nel sonno gli incolae veteres storditi dal vino in un giorno di festa, come accade ad Aristodemo e alla sua famiglia; a Cuma, secondo Strabone (v, 4, 4), i Campani, eliminati i maschi, si impadroniscono delle case e delle donne, come fanno i phylakes di Aristodemo nella tradizione riportata da Dionigi di Alicarnasso (vii, 8, 4; 9, 2-3).5 L’episodio di Hamae serve, dunque, a risarcire una ferita storica: la vittoria sui Campani, che duecento anni prima hanno tradito ed espulso i legittimi abitanti, violando le regole ospitali, nasce dalla capacità dei comandanti romani di amalgamare soldati di origine e condizione sociale diversa, instillando la disciplina e la concordia inter ordines: tra liberi e schiavi, veteres milites e tirones. Da questa chiave di lettura deriva che la storia campana è interpretata secondo un paradigma ciclico che omologa la conquista dei Campani alla tirannide: entrambe scandiscono le tappe di una progressiva anomia che aligge la regione e per più generazioni destruttura l’ordine politico e le regole civili, inine ripristinati dall’intervento di Roma. Per debellare Aristodemo e i barbaroi non si può ricorrere ad un confronto in campo aperto, ma si devono applicare le armi dell’insidia e del tradimento da essi utilizzate per ottenere il potere: occorre tramutare la guerra in un agguato e in una caccia all’uomo e magari profanare una cerimonia sacra proprio come avrebbe fatto un tiranno.6 2. La connessione tra Campani e tirannide diviene più trasparente in rapporto al fenomeno del mercenariato, da Dionigi i ai Mamertini, e all’episodio, per tanti versi correlato, della legio campana a Reggio:7 la contiguità si fonda non solo su una concreta convergenza di interessi ma su una ainità più profonda, sulla condivisione di una dimensione antropologica costruita in opposizione all’universo della polis in quanto sistema regolato di cittadinanza e cooperazione. In questa prospettiva può essere interessante riconoscere nella tradizione storica il funzionamento di un modello interpretativo che accomuna i mercenari campani al tiranno attraverso il ricorso ad una logica di connotazione che li omologa alla igura del lupo. Il punto di partenza è costituito dallo studio, ormai clas5 La contiguità istituita dalla storiograia tra i Campani e Aristodemo è valorizzata da B. d ’ Agostino, Cuma, in Museo Archeologico dei Campi Flegrei. Catalogo generale. Cuma, a cura di F. Zevi, F. Demma, E. Nuzzo, C. Rescigno, C. Valeri, Napoli, 2008, p. 79. 6 Ad es. Policrate di Samo, secondo la tradizione storica approfondita da Detienne, Svembro 1979, pp. 232-233. 7 Cfr., ad es., Tagliamonte 1994, pp. 199-201. 30 luca cerchiai sico, di M. Detienne e J. Svembro sull’immaginario del lupo in quanto specchio del lato oscuro dell’ethos umano.8 Se si confronta il comportamento dell’animale durante la caccia e nella vita di branco con l’immagine dei mercenari campani in rapporto alla guerra e all’attività politica, si possono ottenere risultati sorprendenti. 2. 1. Si può iniziare con la sfera della caccia. In quanto dotati di una metis naturale, i lupi cacciano sfruttando le doti del branco:9 si lanciano in muta come le schiere di guerrieri che nell’epos omerico si scontrano, corpo a corpo, in attacchi all’ultimo sangue:10 la loro azione collettiva è simile a quella di una falange, ma per la capacità di aggirare le difese e sorprendere la preda con agguati e diversioni, sono da Senofonte additati ad esempio per la tattica della cavalleria.11 I mercenari sanno battersi con coraggio,12 grazie ad una competenza di cui sono consapevoli13 e che è loro riconosciuta;14 possono afrontare i nemici in combattimenti senza quartiere dove è diicile distinguere i compagni dagli avversari,15 in scontri frontali a ranghi serrati,16 ma, come conviene a corpi di cavalieri,17 utilizzano soprattutto le armi della velocità e della sorpresa,18 sapendo sfruttare l’occasione opportuna.19 La forza dei lupi è costituita dalla capacità di cooperazione della banda che consente di superare diicoltà altrimenti insormontabili come, ad es., il guado di un iume impetuoso;20 in un apologo di Esopo il cane greco eletto strategos per vincere la guerra contro i lupi, indugia ad attaccare i nemici, opponendo l’asymphonia causata dal particolarismo dei suoi alla compattezza del branco selvaggio unito da genos e chroia.21 S. Péré-Noguès ha ultimamente ribadito come la tradizione antica insista sulla coesione dei mercenari, cementata dalla solidarietà del comune servizio militare;22 tale spirito di corpo può concretarsi nella complicità di azioni delittuose,23 ma anche nella pratica politica di assumere decisioni collettive in assemblee militari, come nelle due ekklesiai notturne convocate dai Campani a Siracusa sotto l’urgenza 08 Detienne, Svembro 1979. 09 Emblematica a tale proposito la descrizione in Ael. nat. anim. viii, 14 delle modalità di caccia escogitate dai lupi per catturare un bovino caduto nella palude o un vitello recalcitrante. 10 Detienne, Svembro 1979, pp. 216-218. 11 Xen. Eq. Mag. iv, 18-20. Indicative sono anche le osservazioni di Ael. nat. anim. v, 19, a proposito della caccia del lupo al toro: anche se non teme di afrontarlo kata prosopon, preferisce vincerlo grazie all’astuzia innata (sophia physike), saltandogli in groppa con una inta. 12 Diod. Sic. xiii, 55, 7: epiphanes ti praxai; xvi, 12, 3: andragathia, arete; xvi, 18, 3: prothymia; Plut. Dio xxx, 5: thrasos kai thorybos. 13 Diod. Sic. xiii, 62, 5: atiotatoi ton euemerematon. 14 Diod. Sic. xiii, 80, 4: chreia … megala symballomene. 15 Cfr. ad es. Plut. Dio xli, 6; xlvi, 5. 16 Diod. Sic. xvi, 12, 2-5: il combattimento si svolge all’interno delle mura di Siracusa come in uno stadio e, al termine dell’agone vittorioso, i Siracusani erigono il trofeo. 17 Sul tema cfr., da ultimo, Tagliamonte 2006, cui si rimanda per l’ampia bibliograia. 18 Diod. Sic. xiii, 44, 4: aprodoketos e ephodos; xiii, 55, 8: tacheos eispiptein; xiv, 9, 3: aprodoketos epiphanein; xvi, 19, 1: paradoxos prospiptein; Plut. Dio xxx, 6: prosbole anelpistos; xxx, 11: te prote rhume ten polin katexein. 19 Polyb. i, 7, 2: labein kairon; i, 4: paranomias kairos; Plut. Dio xli, 5: to kairo chresamenos. È interessante notare come la capacità di cogliere il kairos caratterizzi anche il comportamento del lupo: Aesop. Fab. 229 (ed. Chambry, 20025 ). 20 Ael. nat. anim. iii, 6: la tecnica di attaccarsi alla coda del compagno è la stessa utilizzata per recuperare la carcassa del bue annegato nella palude, cit., supra, nota 9. 21 Aesop. Fab. 215, valorizzato da Detienne, Svembro 1979, pp. 218-219. 22 Péré-Noguès 2006, p. 487. Il motivo della “dimensione etnica e ‘na- dell’assedio di Dione e in seguito all’arrivo di Nipsio.24 Secondo una non dissimile procedura Decio convoca a Reggio un synedrion segreto dei comandanti e delle truppe scelte per deliberare il tradimento contro la città.25 Il lupo è agrios26 e spinto da una fame insaziabile che Eliano paragona all’avidità di denaro da parte dei kakoi;27 lo stesso autore ricorda l’abitudine dei pescatori peri to Konopion di condividere parte del pescato con i lupi, per stipulare una sorta di armistizio (eirenaia kai ensponda).28 Il topos del lupo famelico è, comunque, più antico: l’immagine del branco sporco di sangue, dopo avere divorato la vittima, ricorre gia in Omero,29 mentre Esopo designa l’azione predatrice dell’animale con il verbo arpazein.30 I mercenari in combattimento esprimono una bie31 che li rende apegriomenoi:32 il loro statuto, marcato da abebaiotes,33 è evocato dall’immagine di guerrieri selvaggi che vanno all’assalto riempiti di vino puro.34 Il rischio di essere presi per fame a causa della mancanza di sitos è, d’altra parte, sempre incombente per i mercenari:35 le bande armate si muovono sotto le promesse di ricompensa36 e la garanzia del saccheggio consentito in una guerra di rapina:37 la loro avidità è omologata alla rapacità del lupo attraverso l’uso di termini come diarpazein e (di)arpage.38 Il lupo è l’animale dotato della vista più acuta, in grado di penetrare il buio più itto:39 questo dono naturale costituisce un’arma eicace per la sua attività di predatore.40 La tradizione sulla conquista mamertina di Messina e su quella campana di Reggio evidenzia esplicitamente il ruolo della vista, in quanto collega il tradimento alla visione dell’eudaimonia delle due città: è proprio l’atto del vedere – reso con il verbo ophthalmiao per i Mamertini41 e con horao per Decio42 – che scatena lo phthonos e innesca il delitto. Che il senso della vista rappresenti un elemento chiave nei due episodi è confermato dal seguito della storia di Decio che si ammala agli occhi, deiniti ta kyriotata tou zen nella più ampia versione di Dionigi di Alicarnasso.43 La malattia apre la strada alla punizione inlitta dal medico Dexicrate che, per vendicare la sua città, brucia gli occhi di Decio con un kaustikon pharmakon, facendo inta di curarlo: evidente zionale’ della presenza campana in Sicilia” è valorizzato anche da Moggi 2003, p. 980. 23 Come, ad es., nella relazione tra Campani e Mamertini (Diod. Sic. xxii, 2: synergein; Polyb. i, 7, 8: synergoi; Dion. Hal. xx, 4, 8: symmachia). 24 Diod. Sic. xvi, 18, 2-3. 25 Dion. Hal. xx, 4, 4. 26 Agrios per Arist. hist. anim. i, 1, 488 b e addirittura agriotatos per Ael. nat. anim. vi, 65. 27 Ael. nat. anim. vii, 20. 28 Ael. nat. anim. vi, 65. In iv, 15, lo stesso autore ricorda che il lupo, quando è sazio, cessa di essere pericoloso, ma poi “torna ad essere un lupo”. 29 Il. xvi, 156-63. 30 Aesop. Fab. 313, 315. 31 Per designare l’azione dei mercenari Diodoro ricorre al verbo (eis)biazesthai: xiii, 55, 8, e xiv, 9, 3; l’esercizio della bie suscita spavento (kataplessein: xiii, 55, 8; kataplexis: xvi, 12, 1) e paura (ta … phobera: Plut. Dio xlvi, 3). 32 Plut. Dio xlv, 3. 33 Diod. Sic. xiv, 9, 8. Nel caso dei Campani di Reggio, Diod. Sic. xxii, 3 usa il concetto di omotes. 34 Plut. Dio xxx, 5. 35 Diod. Sic. xiii, 88, 2; xvi, 18, 2; Plut. Dio l, 2. Sul tema del sitos, cfr. Tagliamonte 1994, pp. 160-161. 36 Designate attraverso il verbo epangellein (Diod. Sic. xiii, 55, 5; xiv, 8, 3; xiv, 61, 4 ) o il sostantivo epangeliai (Diod. Sic. xiv, 9, 2; xvi, 12, 2). 37 Eloquente è, ad es., l’ordine di Nipsio in Plut. Dio xli, 4. 38 Diod. Sic. xvi, 20, 3-4; Plut. Dio xliv, 5 (diarpazein); Diod. Sic. xiii, 55, 5 (diarpage); xvi, 20, 4 (harpagai). La connessione tra il lupo e la guerra di rapina è valorizzata da Detienne, Svembro, p. 221. 39 Ael. nat. anim. x, 26. 40 Emblematica, a tale proposito, è la igura di Dolone che “rivestito di una pelle di lupo, va a caccia, solitario, di notte”: Detienne, Svembro 1979, p. 230. Cfr. anche Aen. ii, 355-356: lupi … raptores in atra nebula). 41 Polyb. i, 7, 2. 42 Dion. Hal. xx, 4, 3. 43 Diod. Sic. xxii, 1-2 (ophthalmia); Dion. Hal. xx, 5, 2-3. l ’ agguato di hamae è il contrappunto per il quale contro il comandante della legio campana si ritorcono le armi che lo hanno portato al potere: prima la vista, poi l’inganno.44 I lupi sgozzano (sphazein) le vittime grazie ai denti ailati come una machaira; animali-coltello, con la forza dell’istinto sanno tagliare la preda e ripartire (diairesthai) le parti.45 I mercenari sgozzano i maschi adulti delle città di cui si impadroniscono a tradimento;46 nel caso di Messina e Reggio, le fonti insistono sulla successiva diairesis dei kleroi, dei igli e delle donne dei cittadini assassinati.47 2. 2. I lupi e i mercenari condividono la vita feroce delle bande e sperimentano il conine ambiguo tra la guerra e la caccia, in un’esistenza di rapina dove, per sopravvivere, è necessaria la metis del predatore. La stessa ainità uomini e animali sperimentano nel campo delle relazioni politiche: nel confronto con gli altri gruppi, come pure nelle dinamiche interne, non possono sfuggire ad una logica di soprafazione. Per quanto riguarda il lupo, di particolare interesse appare la tradizione di Esopo. Nella favola Lykoi kai kynes (pros autous katallagentes) si narra dell’espediente con cui i lupi ingannano i cani, facendosi ammettere nelle stalle: il trucco risiede nel rivendicare una condizione di homoioi e impegnarsi ad “andare d’accordo come fratelli” (homophronein hos adelphoi) al patto di mettere il gregge in comune. I cani abboccano e la conclusione è inevitabile: come misthos, essi sono messi a morte.48 La stessa trama del dolos ricorre in due apologhi dove gli ambasciatori dei lupi mirano a convincere le pecore a sbarazzarsi dei cani, ofrendo in cambio la pace;49 in un terzo è un ingenuo pastore che scambia il lupo per un phylax e gli aida il gregge come a un cane da guardia.50 Le storie sono chiosate da una morale che omologa i nemici (echthroi, anche quando parlano di eirene e orkoi) agli avidi philargyroi: prestare iducia agli uni o agli altri conduce ad una rovina certa. Il topos della violazione dei patti e dell’attacco a tradimento (paraspondema) marca in modo costante l’immagine dei mercenari campani nella tradizione antica: negli episodi strutturalmente correlati della conquista di Entella, Messina e Reggio assume un particolare rilievo il ricorso di parole chiave che rinviano al sistema semantico delineato per il lupo. Ad Entella i Campani “persuadono” (peithein) i cittadini ad accoglierli come synoikoi;51 a Messina i Mamertini si inseriscono come philoi e symmachoi in una città che li ospita philophronos;52 a Reggio Decio è inviato da Roma in quanto phylax53 e, all’inizio, è meritevole di pistis.54 Non meno signiicativo è il richiamo al vincolo dell’ho44 Tale logica è esplicitata da Dionigi di Alicarnasso che attribuisce la malattia di Decio all’intervento di una tou daimoniou pronoia. Anche il ricorso all’ustione per accecare Decio appare signiicativa se si ricorda che il lupo è connesso alla iamma come una sorta di ‘porta-fuoco’ naturale (Detienne, Svembro, pp. 224-225) e che in Plut. Dio xliv, 8 i mercenari di Nipsio, in una parossistica battaglia notturna, appiccano le iamme a Siracusa con torce e frecce incendiarie. 45 Detienne, Svembro 1979, p. 225. 46 Sphazein: Diod. Sic. xxii, 2; aposphazein: xiv, 9, 9; Polyb. i, 7, 3; sphagas: Cass. Dio ix, fr. 40, 8. Anche i Campani di Decio uccidono i Reggini sgozzandoli: Polyb. i, 7, 8 (aposphazein); Diod. Sic. xxii, 2; Dion. Hal. xx, 4, 6 (katasphazein). 47 Sui Mamertini: Polyb. i, 7, 5 (bious kai … choran … dielomenoi); su Decio e la legio campana: Diod. Sic. xxii, 2-3; Dion. Hal. xx, 4, 4 e 7. 48 Aesop. Fab. 216. 49 Aesop. Fab. 217-218. 31 mophylia avanzato dai Mamertini nei confronti di Roma al momento della deditio del 264 a.C.55 Sia per i lupi che per i mercenari la tendenza all’avidità e al tradimento costituisce un carattere connaturato che avvelena i rapporti anche all’interno della banda: l’istinto incontrollabile alla prevaricazione scopre le ainità con il tiranno. M. Detienne e J. Svembro hanno esplorato la contraddizione del lupo, in grado di diventare mageiros ma non nomoteta, di spartire la preda ma non di perseguire l’isomoiria indispensabile al politikos aner: l’animale non può superare la soglia ferina perché, al momento della ripartizione che fonda la comunità politica, è vittima della pleonexia, del desiderio di volere di più della sua parte.56 Al lupo si omologa il tiranno che disprezza le regole della divisione egalitaria e divora i beni della comunità come un cannibale portato a “cibarsi di carne umana e bere il sangue dei suoi simili”: solitario e vorace come un animale feroce, egli si colloca al di fuori del consorzio umano.57 Una relazione tra il lupo e Dionigi ii è indirettamente istituita nell’episodio, riportato da Plutarco, del furto da parte dell’animale della borsa contenente il messaggio di Timocrate al tiranno: il furto è suscitato dall’odore della carne che, porzione (moira) di un sacriicio, è incautamente riposta insieme al dispaccio.58 In maniera più esplicita la tradizione deinisce Decio un tiranno,59 marchiandolo con caratteri inequivocabili: il chiliarchos è afetto da pleonexia, si macchia di asebeia contro i Reggini e tradisce i compagni, suoi complici, proprio nella spartizione del bottino (ten diairesin adikon poiesamenos). Ancora una volta la ine scontata è l’espulsione dal corpo civico e la via dell’esilio.60 2. 3. La parabola di Decio conclude con eicacia paradigmatica il sistema: da misthophoroi per tiranni e barbaroi come i Cartaginesi, i Campani divengono essi stessi tiranni, svelando la loro vera natura celata sotto il travestimento di una guarnigione di soccorso. Se il ilo della dimostrazione è accettabile, il signiicato dell’operazione di propaganda attuata dalla storiograia è lampante: attraverso la connessione con il lupo, la iera più pericolosa perché dotata dell’istinto di branco più simile a quello dell’uomo, si intende respingere ai margini del mondo civile il sistema dei mercenari, discriminandolo, per ragioni di manifesta inferiorità etnica e antropologica, proprio nell’aspirazione a condividere lo statuto di cittadinanza.61 L’obiettivo dei misthophoroi di essere integrati nella polis è destinato a fallire perché contro natura, proprio come il sogno dei lupi di fondare una “città impossibile”. 3. Il ricorso all’immaginario del lupo come categoria semantica per connotare la sauvagerie dei mercenari può esse50 Aesop. Fab. 229. 51 Diod. Sic. xiv, 9, 9. 52 Diod. Sic. xxi, 2-3; xxii, 3. Polyb. i, 7, 3. La phylophrosyne degli ospiti è ricordata da Dion. Hal. xx, 4, 3. 53 Diod. Sic. xxii, 2. Phylakes sono anche i Campani al servizio dei Cartaginesi in Diod. Sic. xiv, 8, 5. 54 Polyb. i, 7, 7. 55 Polyb. i, 10, 2. 56 Detienne, Svembro 1979, pp. 229-230 e p. 230, note 1 e 3. 57 Detienne, Svembro 1979, pp. 228-229. 58 Plut. Dio xxvi, 7-10. 59 Dion. Hal. xx, 4, 8. 60 Diod. Sic. xxii, 2-3. 61 Moggi 2003, p. 980, che opportunamente ricorda come alla base del fenomeno mamertino esista il riiuto da parte dei Siracusani di riconoscere ai mercenari il diritto di voto (Diod. Sic. xxi, 18, 1). Sul valore cruciale del tema dello statuto di cittadinanza, cfr. anche Colonna 2005, p. 176, Tagliamonte 1994, p. 191. 32 luca cerchiai re investigato anche in rapporto ad un ilone di tradizioni in cui l’animale (o il suo nome) si connette all’origine delle popolazioni italiche: dagli Hirpi Sorani agli Irpini, dai Dauni ai Lucani.62 La critica storica ha sottolineato come questa relazione possa sottendere un modello rituale proprio del mondo italico, in cui l’animale totemico è posto a fondamento del mito delle origini: la connessione con il lupo non si carica solo del segno negativo della discriminazione, ma si associa al processo di autocoscienza etnica. Appare signiicativa la tradizione sui Lucani attribuita ad Eraclide Lembo (Excerpta politiarum, p. 28 Dilts = Arist. fr. 611, 48 Rose) dove il rapporto con l’animale, istituito attraverso il piede da lupo del basileus Lamisco, è inserito nel quadro di un giudizio positivo sull’ethnos: i Lucani sono philoxenoi kai dikaioi con una inversione rispetto alla proverbiale caratterizzazione negativa della bestia. Ci si può allora domandare se una simile dialettica non possa celarsi dietro alla connotazione dei mercenari campani come lupi: se la prospettiva negativa adottata dalle fonti non possa caratterizzarsi anche come il rovesciamento di un modello di autorappresentazione radicato nel patrimonio culturale dei misthophoroi in rapporto al tema della conquista dell’identità politica. Tale ipotesi incontra una diicoltà che è necessario esplicitare per chiarezza di metodo: che all’ethnos dei Campani in quanto tale non è riconducibile una tradizione delle origini connessa alla igura del lupo. Si può, tuttavia, ricordare come la critica storica abbia sottolineato che l’etnico “campano” con cui sono designati i mercenari in Sicilia sia utilizzato dalle fonti in un’accezione ampia, estesa a rappresentare complessivamente i misthophoroi italici di iv sec. a.C.:63 la percezione delle poleis siceliote rilette un’ottica uniicante che omologa il nemico e non ricerca distinzioni tra le speciiche tradizioni etnogenetiche. Del resto, già G. Colonna ha richiamato le origini composite dei mercenari campani, attribuendo una funzione di bacino di approvvigionamento al distretto della Campania meridionale popolato dai Tyrrhenoi di Ps.-Scilace.64 Se si accetta questo punto di vista, è possibile valorizzare la tradizione sui Mamertini.65 La conquista di Messina da parte dei campani è rappresentata sotto la forma di ver sacrum: se il rituale nella versione di Alio è dedicato ad Apollo,66 esso è ugualmente riconducibile al modello italico della consacrazione militare a Marte mediante la connessione tra l’etnico e il nome del dio.67 È importante sottolineare come Marte ed Apollo vantino un rapporto privilegiato con il lupo: nella tradizione latina l’animale è Martius (Aen. ix, 566; Liv. x, 27, 9; Sil. vii, 717- 718) o posto in tutela Martis (Hor. ep. ii, 2, 28)68; nella tradizione greca è connesso con l’Apollo delico ed, in particolare, con l’aspetto ‘nero’ del suo culto legato al sacriicio umano.69 La relazione tra il lupo ed Apollo consente di mettere a fuoco la pertinenza signiicativa della tradizione ilomamertina di Alio: come riferisce anche Zonara (viii, 8), la presa di Messina si conigura nei termini di una apoikia promossa da un gruppo militare che si richiama all’animale sacro al dio di Deli.70 Come nel caso dei Lucani in Eraclide Lembo, i Mamertini si contraddistinguono in Alio per la giustizia e il rispetto delle relazioni ospitali: dopo essere intervenuti in aiuto dei cittadini di Messina, da loro sono integrati nella costruzione di un unico corpo civico che condivide il nome e le terre.71 Il concetto chiave è quello del meritum militare: un concetto che rimanda all’ideologia della charis bellica che informa anche l’immaginario dei Pitanati72 e da ultimo rinvia al modello eroico dell’ethos dei guerrieri che nell’Iliade combattono feroci e compatti come lupi. 62 Cfr., ad es., la sintesi di A. Carandini, La nascita di Roma. Dei, Lari, eroi e uomini all’alba di una civiltà, Torino, 1997, pp. 186-187 nota 21; sul piano iconograico cfr. S. Bruni, Nugae de Etruscorum fabulis, «Ostraka», xi, 1, 2002, pp. 7-28 (Hirpi Sorani); W. Johannowsky, L’Irpinia, in Studi sull’Italia dei Sanniti, Milano, 2000, p. 27 (Irpini); L. Cappelletti, Le monete “lupine” dei Lucani, «Tyche», 20, 2005, pp. 11-21 (Lucani). 63 Cfr., ad es., Pére-Nogués 2006, p. 484. 64 Colonna 2005, pp. 177-178; Tagliamonte 1994, p. 159. 65 Tagliamonte 1994, pp. 191-198. 66 Fest., p. 150 L., s.v. Mamertini. Una nuova edizione del passo è stata presentata da A. La Regina, Ver Sacrum, in Valerio Cianfarani e le culture medioadriatiche, Atti convegno internazionale (Chieti, 2008), in corso di stampa: ringrazio l’amico Gianluca Tagliamonte che mi ha fatto conoscere il testo. 67 Tagliamonte 1994, pp. 62-66. 68 A. Mastrocinque, Romolo (la fondazione tra storia e legenda), Este, 1993, p. 173, nota 703. 69 Cfr., ad es., la recente messa a punto di A. Mastrocinque, Inluenze deliche su Soranus Apollo, dio dei Falisci, in Stranieri e non cittadini nei santuari greci, Atti convegno internazionale (Udine, 2003), a cura di A. Naso, Firenze, 2006, pp. 85-97. 70 Il concetto di ‘colonizzazione’ è richiamato da Tagliamonte 2006, p. 466. Sulla prospettiva del culto di Apollo, cfr. anche il modello di lettura applicato nel caso di Halaesa da A. M. Prestianni Giallombardo, Divinità e culti in Halaesa Archonidea tra identità etnica e interazione culturale, in Atti delle quarte giornate internazionali di studi sull’area elima (Erice, 1-4 dicembre 2000), Pisa, 2003, pp. 1080-1081. 71 L’esistenza di tradizioni discriminanti contro l’elemento campano è stata valorizzata anche a proposito della conquista romana di Crotone nel 277 a.C.: A. Mele, Crotone greca negli ultimi due secoli della sua storia, in Crotone e la sua storia tra iv e iii sec. a.C., Atti Seminario Internazionale (Napoli, 1987), Napoli, 1993, pp. 282-285. 72 Il motivo della charis in rapporto all’impresa militare è esplicitamente richiamato dai Campani in polemica con i Cartaginesi dopo la distruzione di Selinunte: Diod. Sic. xiii, 62, 5. Sui Pitanati cfr., da ultimo, L. Cerchiai, Pitanatai Peripoloi, «aion ArchStAnt», n.s., 9-10, 2002-03, pp. 159-161. Abbreviazioni bibliografiche Colonna 2005 = G. Colonna, La Sicilia e il Tirreno nel v e iv sec. a.C., in Italia ante romanum imperum. Studi di antichità etrusche, italiche e romane (1958-1998), i, Pisa-Roma, 2005, pp. 161-180 (ediz. orig. in: Atti del v congresso internazionale di studi sulla Sicilia antica [Palermo, 1980], «Kokalos», xxvi-xxvii, 1980-1981, pp. 157-183). Detienne, Svembro 1979 = M. Detienne, J. Svembro, Les loups au festin ou la Cité impossible, in La cuisine du sacriice en pays grec, a cura di M. Detienne e J.-P. Vernant, Paris, 1979, pp. 215-237. Guerra e pace 2006 = Guerra e pace in Sicilia e nel Mediterraneo antico (viii-iii sec. a.C.): arte, prassi e teoria nella pace e della guerra, Atti delle quinte giornate internazionali di studi sull’area elima e la Sicilia occidentale (Erice, 12-15 ottobre 2003), Pisa, 2006. Moggi 2003 = M. Moggi, I Campani: da mercenari a cittadini, in Atti delle quarte Giornate Internazionali di Studi sull’area elima (Erice, 1-4 dicembre 2000), Pisa, 2003, pp. 973-986. Péré-Noguès 2006 = S. Péré-Noguès, Mercenaires et mercenariat en Sicilie: l’exemple campanienne et ses enseignements, in Guerra e pace 2006, pp. 483-490. Tagliamonte 1994 = G. Tagliamonte, I igli di Marte. Mobilità, mercenari e mercenariato italici in Magna Grecia e in Sicilia, Roma, 1994. Tagliamonte 1999 = G. Tagliamonte, Rapporti tra società di immigrazione e mercenari italici nella Sicilia greca del iv sec. a.C., in Conini e frontiera nella Grecità di Occidente, Atti del xxxvii Convegno di studi sulla Magna Grecia (Taranto, 1997), Taranto, 1999, pp. 547-572. Tagliamonte 2006 = G. Tagliamonte, Tra Campania e Sicilia: cavalieri e cavalli campani, in Guerra e pace 2006, pp. 463-481. com p o sto in ca r attere dant e monotype dalla fa b r izio se rr a editore, pisa · roma. sta m pato e rilegato nella tip o g r a fia di agnano, agnano pisano (pisa). * Luglio 2011 (cz 3 · fg 22) Tutte le riviste Online e le pubblicazioni delle nostre case editrici (riviste, collane, varia, ecc.) possono essere ricercate bibliograicamente e richieste (sottoscrizioni di abbonamenti, ordini di volumi, ecc.) presso il sito Internet: www.libraweb.net Per ricevere, tramite E-mail, periodicamente, la nostra newsletter/alert con l’elenco delle novità e delle opere in preparazione, Vi invitiamo a sottoscriverla presso il nostro sito Internet o a trasmettere i Vostri dati (Nominativo e indirizzo E-mail) all’indirizzo: newsletter@libraweb.net * Computerized search operations allow bibliographical retrieval of the Publishers’ works (Online journals, journals subscriptions, orders for individual issues, series, books, etc.) through the Internet website: www.libraweb.net If you wish to receive, by E-mail, our newsletter/alert with periodic information on the list of new and forthcoming publications, you are kindly invited to subscribe it at our web-site or to send your details (Name and E-mail address) to the following address: newsletter@libraweb.net