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Oblio e trasvalutazione / seminario st. filosofia moderna

Facoltà di Lettere e Filosofia Corso di laurea magistrale in Filosofia NIETZSCHE: Oblio e trasvalutazione a.a. 2012/2013 Seminario di storia della filosofia moderna Prof. E.Pasini Giulia Muroni 775805 1 INDICE INTRODUZIONE…………………………………………………………………………………. p.3 OBLIO……………………………………………………………………………………………..p.4 DOTTRINA DELL’ETERNO RITORNO DELL’IDENTICO……………………………….…p.10 TRASVALUTAZIONE DEI VALORI…………………………………………………………...p.16 CONCLUSIONI…………………………………………………………………………………..p.18 BIBLIOGRAFIA………………………………………………………………………………….p.20 2 INTRODUZIONE Questo piccolo lavoro si pone l’obiettivo di mostrare alcuni luoghi del testo di Friedrich Nietzsche nei quali emerga, in modo spesso problematico e tortuoso, il modo in cui l’autore percepisca la novità, in rapporto alla memoria. Trattandosi di un lavoro parziale e sintetico, le scelte di chi scrive, nella selezione dei testi, sono andate nella direzione di una visione ad ampio respiro della biografia del filosofo tedesco, nel tentativo di sottolineare, attraverso le parole dell’autore stesso, il nodo problematico tematico di questo seminario. L’edizione italiana dei testi di Nietzsche cui si fa riferimento è la seguente: OFN Opere di Friedrich Nietzsche, edizione italiana diretta da Giorgio Colli e Mazzino Montinari, testo critico stabilito da Giorgio Colli e Mazzino Montinari, Adelphi, Milano 1964 sgg. Opere di Nietzsche AC L’Anticristo EH Ecce Homo FW La gaia scienza GD Il crepuscolo degli idoli GM Genealogia della morale JGB Al di là del bene e del male UB Considerazioni inattuali (DS = David Strauss, l’uomo di fede e lo scrittore; HL = Sull’utilità e il danno della storia per la vita; SE = Schopenhauer come educatore; WB = Wagner a Bayreuth) Za Così parlò Zarathustra 3 OBLIO Nelle Considerazioni inattuali, scritte tra il 1873 e il 1876, il pensiero di Nietzsche si muove nella direzione di critica della cultura. Nietzsche le definirà guerre da capo a fondo1, opere che testimoniano come non avesse la testa tra le nuvole, ma fosse invece pronto a sguainare la spada. La prospettiva adottata fa appello alle forze sane e creative della cultura che, dentro la civiltà, siano in grado di interpretare un momento potentemente “critico”. “Inattuale” è come definisce il modo scelto per rapportarsi con il proprio tempo, poiché cerca di intendere “come danno, colpa o difetto dell’epoca, qualcosa di cui l’epoca va a buon diritto fiera”2, così da dissacrare e perturbare miti, idee e valori dominanti. Inattuale, cioè contro il tempo, sul tempo e a favore di un tempo venturo. In realtà Nietzsche tradisce con il suo atteggiamento una sottile contraddizione: se da un lato critica e si pone come inattuale rispetto al presente, dall’altro tuttavia non riesce a sottrarsi mai a esso, rivelando un’attenzione morbosa nel voler rappresentare ad ogni costo un problema dell’attualità. Nella fattispecie, è la Seconda Inattuale “Sull’utilità e il danno della storia per la vita” a suggerire degli aspetti interessanti per il nostro tema. Qui Nietzsche, fin dalla prefazione, delinea l’importanza del ruolo dell’oblio nella vita umana, in contrasto con l’eccesso di sapere storico tipico dell’Ottocento3. Il testo prende le mosse da una citazione di Goethe4, dalla quale l’autore mostra come possa esserci un sapere che infiacchisce la vita. Se il bisogno di storia, concepito come legittimo, deve servire la vita e l’azione, l’autore osserva come invece la cultura contemporanea sia pervasa da un sapere storico in cui la vita intristisce e degenera. Una virtù ipertrofica, al pari di un vizio, può causare la rovina di un popolo, e, in questo caso è il sapere storico ad essere corroso dal suo stesso sviluppo eccessivo. Nietzsche descrive l’origine di questo scritto polemico nei sentimenti tormentosi che ha vissuto con il contatto con il proprio tempo, attingendo agli insegnamenti delle epoche passate, specie della cultura greca, per giungere ad “esperienze così inattuali per un figlio dell’epoca moderna”5. 1 EH, p. 325 HL, p. 260 3 Non è chiaro chi sia nello specifico il bersaglio polemico di Nietzsche, fatta eccezione per von Hartmann. Anche Giorgio Colli e Mazzino Montinari rimangono nella vaghezza, affermando genericamente che Nietzsche si scaglia contro l’intera immane tendenza del mondo moderno al sapere storico. Cfr. Notizie e note, in HL, p. 323 Si può perciò dedurre che si tratti di un attacco nei confronti di quel vasto panorama che comprende le varie forme di storicismo tedesco (Novalis, Droysen, Niebuhr, Ranke, Dilthey), di centrale importanza nel XIX secolo. 4 Lettera di Goethe a Schiller del 19 dicembre 1798, cit. in HL, p.259 :“Del resto mi è odioso tutto ciò che mi istruisce soltanto, senza accrescere o vivificare immediatamente la mia attività” 5 HL, p. 265 2 4 “Il gregge pascola, ignaro di cosa sia ieri, oggi e salta, mangia, riposa e digerisce e così, sempre allo stesso modo dall’alba al tramonto, giorno dopo giorno, legato al piacere e al dolore di quell’istante, incatenato al presente, mai triste né annoiato. L’uomo si fregia della sua umanità, per sentirsi superiore ad esso, ma tuttavia osserva l’animale, né tediato né addolorato, e invidia la sua felicità spensierata. L’uomo una volta chiese all’animale: perché non mi parli della tua felicità e soltanto mi guardi? L’animale dal canto suo voleva rispondere e dire: ciò deriva dal fatto che dimentico subito quel che volevo dire – ma subito dimenticò anche questa risposta e tacque; sicché l’uomo se ne meravigliò”.6 Ma l’uomo soprattutto ebbe stupore di se stesso, della sua incapacità a dimenticare alcuna cosa e della sua condizione di schiavo rispetto al momento passato. Gli attimi si susseguono, e quell’istante presente subito si dissolve, diventando così uno spettro passato, pronto a turbare la quiete del nuovo presente. L’animale, che vive in modo non storico poiché dispiega la sua esistenza interamente nel presente, è degno dell’invidia degli esseri umani, che schiacciati sotto il peso ingente del passato, sono costretti a resistere, fingendo di ignorare il grave che li opprime. La felicità quindi si configura come il poter dimenticare, ossia la capacità di sentire in modo non storico. “Chi non sa mettersi a sedere sulla soglia dell’attimo dimenticando tutte le cose passate, chi non è capace di star ritto su un punto senza vertigini e paura come una dea della vittoria, non saprà mai che cosa sia la felicità, e ancora peggio, non farà mai alcunché che renda felici gli altri”7 Per ogni agire è dunque necessario l’oblio, e per sedersi sulla soglia dell’attimo bisogna smettere di ruminare il passato, di vivere come in uno stato di insonnia dato dal senso storico. La forza plastica, che permette di crescere a modo proprio su se stessi, di trasformare e incorporare cose passate ed estranee, è presente in coloro che hanno radici forti nel presente e che non si fanno schiacciare dal passato. Il bersaglio polemico fondamentale in quest’opera è Eduard Von Hartmann, filosofo tedesco schopenhaueriano, il quale aveva tentato l’elaborazione di una fondazione eudemonologica del pessimismo. Nell’opera Filosofia dell’inconscio, l’inconscio è descritto come l’essenza di tutto il reale, ciò che spinge il mondo verso una finalità precisa, il compimento della perfezione. Essendo il non-essere preferibile all’essere, la perfezione sarà il non-essere, e quindi il mondo tenderà ad annullarsi. Nietzsche si scaglierà contro questa teleologia storica, accusata di annichilire la vita. 6 7 Ivi, p.261, (riferimento a Canto notturno di un pastore errante dell’Asia di Leopardi) Ivi, p.264 5 Ma la storia è utile o dannosa per la vita? Di fronte al quesito centrale di questa breve opera Nietzsche si pone in modo inattuale: certamente la storia può essere utile per la vita, quando è al servizio di essa e aiuta a vivificare il presente. Ma, in questo rapporto di subordinazione, non dovrà mai tentare di costituirsi come scienza. La storia occorre all’individuo in tre modi: in quanto è attivo e ha aspirazioni, in quanto preserva e venera, in quanto soffre e ha bisogno di liberazione; a ciò corrispondono rispettivamente la storia monumentale, antiquaria e critica, ognuna delle quali presenta dei limiti e dei rischi8. La storiografia monumentale corrisponde all’atteggiamento di chi è attivo e ha aspirazioni e, come tale, si proietta nel futuro. Essa occorre all’individuo potente che combatte grandi battaglie, che ha bisogno di modelli e di maestri che non può trovare nel presente9. La meta di costui è una qualche felicità, se non la propria almeno quella dell’umanità intera, egli fugge dalla rassegnazione e usa la storia come mezzo per combatterla. La sola ricompensa cui aspira è la gloria per i postumi, è il divenire a propria volta maestro per i posteri. Dai grandi momenti della storia passata egli deduce che la grandezza fu comunque una volta possibile e perciò quando si accinge a compiere un’opera in modo coraggioso, l’insicurezza e la debolezza vengono spazzate via dalla certezza che già qualcuno percorse quella strada. In ciò consiste il giovamento di tale approccio. Tuttavia il rischio al quale soggiace è di appiattire le differenze con il passato, di falsarlo e mitizzarlo per renderlo degno di imitazione; è una storia che appare come una raccolta di avvenimenti che faranno effetto nel tempo. Essa inganna e seduce con le forzate analogie con il passato, eccitando il coraggioso alla temerarietà e l’entusiasta al fanatismo. Colui che venera e ama perseverare nella tradizione coltiva il passato, quasi come volesse ripagare con la fedeltà il debito della propria esistenza, è uno storico antiquario. La storiografia antiquaria appartiene a una specie umana conservatrice e veneratrice, la quale ha cura delle proprie origini e assume la tutela della tradizione come compito. Il punto più alto di questa storia risiede nella capacità di diffondere un sentimento di piacere e contentezza semplice riguardo alle condizioni modeste, rozze e talvolta misere di un popolo. Ma il senso antiquario implica un campo visivo molto limitato, concentrato com’è sulle singole cose rischia di venerare tutto ciò che è antico in quanto tale. In questo modo la storia serve la vita passata al punto da minare e inaridire il presente, degenera fino a smettere di ravvivare l’anima e finisce col mummificare la vita. La pietà iniziale rinsecchisce e lascia spazio ad una erudizione compiaciuta che gira perpetuamente intorno al proprio centro. Anche quando non giunge alla conseguenza estrema, la storia antiquaria ha il limite HL, p.279: “Ciascuna delle tre specie di storia che esistono è nel suo diritto su un solo terreno e in un solo clima: su ogni altro terreno cresce come erbaccia distruttiva”. Il concetto di degenerazione, per come è qui inteso, sembra riprendere la nota teoria della degenerazione ciclica delle forme di governo elaborata da Polibio. 9 HL, p. 275 :“Così essa occorreva a Schiller: il nostro tempo è infatti così cattivo , dice Goethe, che nella vita umana che lo attornia il poeta non incontra più nessuna natura realizzabile” 8 6 nell’assenza di capacità creativa, è capace soltanto di conservare la vita e non di generarla, “ostacola la forte risoluzione per il nuovo, quindi paralizza chi agisce, il quale sempre, come agente, violerà e deve violare qualche pietà”.10 Infine il terzo modo, quello della storiografia critica deve avere la forza di infrangere e dissolvere il passato per poter vivere. Per questo motivo istituisce un tribunale al passato11, e, dopo averlo interrogato, lo condanna. “È la vita che siede a giudizio, quella forza oscura, impellente, insaziabilmente avida di se stessa. Il suo verdetto è sempre inclemente, sempre ingiusto, poiché esso non è mai scaturito da una pura fonte di conoscenza: ma nella maggior parte dei casi il verdetto risulterebbe uguale, se fosse la giustizia a pronunciarlo. Ci vuole molta forza per poter vivere e per dimenticare, in quanto vivere ed essere ingiusti sono una cosa sola”12. Anche questo atteggiamento, aperto all’oblio e dunque alla vita, incappa in dei corto circuiti. Diventa infatti pericoloso affrancarsi dal proprio passato con una cesura netta, nel tentativo di darsi a posteriori un passato da cui si vorrebbe derivare, in contrasto con quello da cui in realtà si deriva. Solo se la vita sa porsi grandi compiti ha ancora un senso guardare nel passato. Soltanto chi esprime una potente volontà di futuro sa scoprire il futuro che vive nel passato stesso. Se il progetto per il futuro viene a crollare, allora tutto il sapere storico diventa un peso morto, anzi un pericolo per la vita stessa, la quale, svuotata da impulsi creativi, si rifugerà nel passato, nell’illusoria pienezza di una vita già vissuta. Esclusivamente una storia che conceda di essere trasformata in opera d’arte sarà in grado di mantenere e perfino suscitare nuovi istinti vitali e creativi. L’uomo moderno soffre di una “malattia storica”, di un eccesso di storia che intacca la forza plastica della vita, non più capace di trarre nutrimento dal passato. Tuttavia Nietzsche auspica una gioventù in grado di contrastare questo morbo con l’elemento antistorico, con il quale si designa la forza e l’arte di poter dimenticare e di rinchiudersi in un orizzonte limitato, e l’elemento sovrastorico, ossia le potenze che distolgono lo sguardo dal divenire, volgendolo a ciò che ha carattere di eterno e immutabile: l’arte e la religione. Come si arriverà a questa meta? Come i Greci, i quali si trovarono nella condizione di rischiare di morire, a causa del mescolarsi di cose straniere e passate, a causa della “storia” e riuscirono a organizzare il caos, concentrandosi, secondo l’insegnamento dell’oracolo delfico13, solo loro stessi, cioè su bisogni veri, riuscendo a espungere quelli apparenti. Questo esempio si deve tradurre in un simbolo per ognuno: bisogna organizzare il caos in sé, così da 10 HL, p.284 Sembra evidente lo scimmiottamento del motivo kantiano del tribunale della ragione nella Critica della ragion pura 12 HL, p. 285 13 “Conosci te stesso”, cit. in HL, p. 355 11 7 disvelare il concetto greco di cultura, come nuova physis, unanimità fra vivere, pensare, apparire e volere. È molto forte, sebbene non chiaramente esplicitata, l’influenza dell’amico e maestro Jacob Burckhardt nella valorizzazione della società greca come caratterizzata dall’agone e dalla pluralità di individui superiori. Nella Genealogia della morale. Uno scritto polemico, opera composta da tre dissertazioni scritte tra il 10 e il 30 luglio del 1887, viene ripreso il tema dell’oblio. Il termine “genealogia” presuppone la frattura operata dalla scienza darwiniana: la ricerca dell’origine della morale percorre il positivismo. Nietzsche, tuttavia, critica radicalmente le cattive «ipotesi genealogiche» del contemporaneo positivismo che ammette comunque una fondazione della morale ancora sotto il dominio dei valori dati. Si tratta invece, per Nietzsche, di indagare proprio ciò che, generalmente, viene utilizzato come spiegazione, come dato primitivo e naturale. La seconda dissertazione “Colpa, cattiva coscienza e simili” si apre con la descrizione del concetto di dimenticanza, che non corrisponde ad una vis inertiae14, bensì ad una facoltà attiva che permette di non sovraccaricare la coscienza di ricordi, così da lasciare posto a ciò che è nuovo. Si tratta di una Einverleibung, incorporazione, assimilazione.15 La volontà sana è quella che assimila il passato e lo trasforma nella linfa vitale del proprio corpo, perché è in grado di dimenticare e proseguire nel suo cammino. Ma la promessa impedisce questa incorporazione del passato, in quanto fissa il presente attuale nella memoria, invade con il suo peso lo spazio della volontà e inchioda l’azione al permanere del passato. In questo senso si spiega la costruzione della memoria da parte della cattiva coscienza, in contrasto con la tendenza attiva all’oblio. “Quando l’uomo ritenne necessario farsi una memoria non andò mai senza sangue, martiri e sacrifici: i sacrifici e pegni più spaventosi (in cui si ricomprendono i sacrifici dei primogeniti), le più ripugnanti mutilazioni (per esempio le castrazioni), le più crudeli forme rituali di tutti i culti religiosi (e tutte le religioni sono nel loro ultimo fondo, sistemi di crudeltà) – tutto ciò ha avuto origine in quell’istinto che colse nel dolore il coadiuvante più potente della mnemonica”.16 L’uomo moderno ha barattato una parte della felicità primordiale dello stato di natura con la sicurezza dello stato sociale. Il controllo avvenne attraverso l’imposizione di quella che Nietzsche definisce camicia sociale di forza. Attraverso regole, usi, costumi, leggi progettate per far diventare l’uomo calcolabile, regolare, necessario si rese mansueto l’animale umano. Con l’uso di 14 GdM, p.255 Ibidem 16 Ivi, p.259 15 8 mnemotecniche si forgiò una vera e propria memoria della volontà, giacché solo la memoria assicura la persistenza del comportamento docile. “Si incide a fuoco qualcosa affinché resti nella memoria: soltanto quel che non cessa di dolorare resta nella memoria”17 Responsabilità, promessa, senso di colpa sono esperienze che necessitano della capacità di ricordare e di mantenere nel futuro tale ricordo. Tali esperienze hanno potuto affermarsi solo attraverso pratiche di dolore e di crudeltà, perché sono le sole capaci di opporsi alla forza attiva dell’oblio e di costituire di contro un’altra forza, questa volta reattiva, poiché scaturita dal dolore, che è la memoria, centro focale della coscienza. Nello smascheramento dei presupposti psichici della costruzione della morale, attuato attraverso la pratica della genealogia, Nietzsche mostra l’origine artificiale della memoria, la quale, ben lungi dall’essere innata, è il frutto di un atto di violenza, che incatena l’umanità doppiamente al passato e al futuro. 17 Ibidem 9 DOTTRINA DELL’ETERNO RITORNO DELL’UGUALE Dopo aver tratteggiato i contorni del concetto di oblio, in due luoghi molto distanti cronologicamente dell’opera nietzscheana, sembra opportuno volgersi verso la dottrina dell’eterno ritorno. Prima però è necessario una minima introduzione, relativa alla temperie culturale che faceva da sfondo in quegli anni. Nell’estate del 1881 Nietzsche soggiornò per la prima volta a SilsMaria, in alta Engadina. Durante quella permanenza egli si imbatté nel volume La connessione di tutte le cose di Otto Caspari, storico e filosofo tedesco, il quale aveva tentato un’originale conciliazione di darwinismo e metafisica idealistica all’interno di una concezione etica della realtà. È un brano in particolare a colpire l’attenzione di Nietzsche: quello in cui Caspari avversa l’idea, all’epoca assai diffusa, di una definitiva cessazione del movimento dell’universo, sia nella forma fisica della morte termica, sia in quella metafisica di uno stato finale del processo del mondo. Si tratta del dibattito sulla morte termica dell’universo e sulla dissipazione dell’energia collegato alla formalizzazione dei due principi della termodinamica. In Germania, filosofi positivisti e neokantiani come Wilhelm Wundt, Karl W. Nägeli, Friedrich Zöllner, Otto Liebmann, Kurt Lasswitz discutevano in quel periodo dell’estensione cosmologica di questi principi alla luce delle antinomie cosmologiche contenute nella Critica della ragion pura di Kant, che anche Nietzsche aveva letto.18 Nelle pagine di Caspari è presente anche una critica del processo cosmico indicato da Eduard von Hartmann nell’opera che gli dette notevole fama, Filosofia dell’inconscio (1867). Il mondo, secondo Hartmann, non sarebbe altro che il risultato di una essenza cieca e stolta, l’inconscio, che, dopo aver dato origine al movimento, si accorge di aver fatto un passo falso e ritorna al nulla originario, in una sorta di suicidio cosmico.19 Ma, osservano Otto Caspari e Eugen Dühring, non esiste alcuna garanzia che l’uno originario non ricominci di nuovo il processo del mondo, anzi, dopo così infiniti passi falsi, è certo che lo stesso passo falso proseguirà nel futuro infinito. A partire da ciò i due autori definiscono la teoria hartmanniana del male nel mondo la più assurda, perché per avere tutto (attraverso l’eliminazione di ogni dispiacere, anche del più piccolo) getta via l’intero universo, senza guadagnare assolutamente niente20. 18 Cit. in G. Campioni, Profilo di Nietzsche, in http://www.omero.humnet.unipi.it 11 ... Materiali didattici 8.doc, p.27 19 M.Pancaldi, M.Trombino, M.Villani, Atlante della filosofia, Milano, Hoepli, voce Hartmann Eduard von, p.230 20 G.Campioni, op.cit., p.28 10 Inserendosi in questa discussione Nietzsche ha elaborato la dottrina dell’eterno ritorno che si può riassumere in un unico postulato: se il mondo è composto da un numero finito di elementi o centri di forza, dovrà in un tempo infinito ripetere le medesime combinazioni per un numero infinito di volte. La prima formulazione di questa dottrina è abbozzata in forma di parabola nell’aforisma 341, del quarto libro della Gaia Scienza (1882) “Questa vita, come tu ora la vivi e l’hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte; e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e ogni sospiro e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione”21 In questo frammento sembra prevalere l’idea morale dell’eterno ritorno. Se si potesse pensare alla possibilità che ogni attimo della nostra vita diventi eterno e si ripeta all’infinito, si avrebbe un criterio di valutazione assai severo: solo un essere perfettamente felice potrebbe volere una tale ripetizione eterna. Bisognerebbe trovare una perfetta corrispondenza tra il senso degli eventi e il senso della propria vita; in questo risiederebbe la felicità nuova, appartenente alla nuova umanità. Nel brano “Della visione e dell’enigma”, presente nella quarta parte di “Così parlò Zarathustra” si riscontra una concezione più ampia, di tipo cosmologico della suddetta dottrina. Infatti soltanto in un mondo che non fosse già pensato nella cornice della temporalità lineare sarebbe possibile una felicità di tal tipo. “Guarda questa porta carraia! Nano! Continuai: essa ha due volti. Due sentieri convergono qui: nessuno li ha mai percorsi fino alla fine. Questa lunga via fino alla porta e all’indietro: dura un’eternità. E quella lunga via fuori dalla porta e in avanti: è un’altra eternità. Si contraddicono a vicenda, questi sentieri; sbattono la testa l’un contro l’altro: e qui, a questa porta carraia, essi convergono. In alto sta scritto il nome della porta: “attimo”. (…) E tutte le cose non sono forse annodate saldamente l’un l’altra, in modo tale che quest’attimo trae dietro di sé tutte le cose avvenire? Dunque anche se stesso? Infatti ognuna delle cose che possono camminare: anche in questa lunga via al di fuori deve camminare una volta!”22 Nell’attimo si concentrano eventi passati e futuri e esso trae dietro di sé anche se stesso. Ciò significa non solo che nell’attimo si percepisce l’incessante divenire, e quindi la radicale relatività di tutte le cose, ma anche che l’attimo stesso diviene, è relativo, instabile, precario. Esso allora non può presumere di porsi come momento privilegiato, come punto di rottura rispetto alle esperienze 21 22 GS, pp. 201-202 Za, pp. 191-192 11 normali del tempo lineare. Esso è nient’altro che passaggio. La temporalità lineare di tradizione platonico-agostiniana, articolata in passato, presente e futuro, implica che ognuno di questi tre momenti sia irripetibile e abbia senso solo in funzione degli altri sulla linea del tempo, in una tensione perenne verso un fine trascendente. In essa ogni attimo è un figlio che divora il padre, essendo anch’esso destinato ad essere a propria volta divorato.23 Questo è un errore della tradizione occidentale: l’aver creduto in un “mondo dietro al mondo”, proiettando in esso uno scopo, una meta, il culmine di una vetta. In questo caso non è possibile felicità perché nessun momento vissuto può avere davvero in sé una pienezza di senso: il passato grava in quanto irreversibile e il futuro si impone come un’incombenza inevitabile, che impedisce di assaporare il presente. Su un piano morale ciò comporta da una parte il senso di peso dovuto a ciò che si crede immodificabile, e quindi la nostalgia e il desiderio di vendetta, mentre dall’altra l’ansia nei confronti di tutto ciò che potrà accadere. Invece nell’attimo passato, presente e futuro sono intrecciati saldamente, ma questo non significa che scompaia la percezione della differenza tra eventi passati, presenti o futuri ma che essi cessino di far soffrire. Gli attimi pieni, intensi e eternamente ritornanti sono resi possibili soltanto da una radicale trasformazione che sopprima la distinzione tra mondo vero e mondo apparente e tutte le rispettive implicazioni.24 La visione e l’enigma della porta con le due strade e del pastore che morde il serpente devono dunque essere letti nel senso che l’eterno ritorno dell’uguale rappresenta l’insensatezza del divenire, che si traduce nella costruzione di un mondo dove il significato non trascende più l’esistenza. Questa coincidenza di esistenza e significato è anzitutto la creazione di un nuovo soggetto, capace di volere l’eterno ripetersi del suo presente. L’eterno ritorno può essere dunque voluto solo da un uomo felice, ma un uomo felice può darsi solo in un mondo radicalmente diverso da questo. L’uomo del passato è frammentato, si infrange sotto il peso di ciò che è stato e si vendica infliggendo a sé e agli altri ogni genere di sofferenze, quelle che costituiscono la crudeltà della morale, della religione, dell’ascesi. È la nuova umanità prefigurata ad essere la sola in grado di sopportare quello che Nietzsche stesso definisce il suo pensiero più abissale, per dispiegare in esso la propria volontà di potenza. Chi è capace di eterno ritorno non è solo colui che è in grado di comprenderlo, di afferrare il nucleo teorico e di ordinare le sue articolazioni concettuali, ma è chi, oltre a ciò, può esperirne l’essenza e le conseguenze. Difatti colui che rivendichi la propria forza, il proprio potere, non potrà vedersi e sentirsi come qualcosa di precario. L’esperienza dell’eterno ritorno come incessante divenire e tramontare consiste in una Ciò che Vattimo definisce “struttura edipica del tempo” in Il soggetto e la maschera, Milano, Bompiani, 19745 E. Fink, La filosofia di Nietzsche, ed. it., Venezia, Marsilio, p. 150: “Il pensiero del ritorno annulla il contrasto di passato e futuro, o, meglio, dà al passato il carattere di possibili aperture proprie del futuro e al futuro l’immobilità del passato. Entrambi trapassano straordinariamente l’uno nell’altro; il tempo è l’immobile e contemporaneamente l’aperto, il già stabilito e ciò che è ancora da decidere; il passato ha il carattere del futuro e il futuro quello del passato. La volontà può ora volere non solamente nel futuro, e mentre vuole nel futuro vuole anche nel passato; il tempo perde la sua univoca direzione; si agitano gli immutabili confini dell’usuale comprensione del tempo” 23 24 12 particolare disposizione psicofisica che consente di vivere bene nel “trapasso”. Trapasso che Zarathustra utilizza per andare oltre i valori dati e perfino oltre se stesso, perciò egli ama nell’uomo il superuomo, la sua capacità di superare e superarsi. Propriamente Zarathustra predilige il suffisso “Über” in quanto indica un’attività, la sovrabbondanza della virtù che dona, la capacità di oltrepassare. In un mondo caratterizzato dall’eterno ritorno dell’uguale l’individuo può esistere solo come superuomo, cioè come colui che sa assumere la responsabilità di progettare il mondo, per cui l’amor fati non è un’accettazione rassegnata, bensì un’assunzione consapevole di una legge che trasforma il caso in una necessità voluta. Ogni attimo dell’esistenza possiede dunque tutto intero il senso, meritando di essere vissuto come se dovesse tornare all’infinito: l’unità dell’attimo comprende in sé la totalità del tempo, poiché in essa eternamente ritorna la totalità del divenire. La creazione di valori nuovi non si delinea quindi come un arbitrio, ma come necessità, destino a cui è connessa in modo inscindibile la nozione di volontà di potenza. Essa è dominio su di sé e sugli altri, volontà che vuole se stessa, desiderio dell’individuo di affermare la propria prospettiva sul mondo, di dire sì alla vita, rendendo creativo un istinto, trasformandolo in tendenza affermativa e impulso continuo a oltrepassare se stessi.25 I Greci hanno tramandato la fondamentale lezione che non esiste vita senza un istinto alla potenza, istinto che assuma le forme della forza creativa. L’artista creatore costruisce e dà forma alla materia, e il modello della volontà di potenza risiede nell’arte tragica, che esalta i valori di colui che accetta di vivere nell’eterno ritorno. “Goethe non comprese i Greci. Giacché soltanto nei misteri dionisiaci, nella psicologia dello stato dionisiaco si esprime il fatto fondamentale dell’istinto ellenico – la sua volontà di vivere. Che cosa si garantivano i Greci con questi misteri? La vita eterna, l’eterno ritorno della vita; l’avvenire promesso e consacrato nel passato; il trionfante sì alla vita oltre la morte e la trasmutazione; la vita vera, come prosecuzione totale della vita mercé la generazione, mercé i misteri della sessualità.(…) La psicologia dell’orgiasmo concepito come uno straripante senso di vita e di forza, all’interno del quale persino il dolore agisce come uno stimolante, mi dette la chiave per intendere il sentimento tragico, il quale è stato frainteso sia da Aristotele che in particolare dai nostri pessimisti. La tragedia è così lontana dal dimostrare qualcosa in ordine al pessimismo dei Greci nel senso di Schopenhauer, che deve essere considerata, al contrario, come il suo decisivo rifiuto e la sua istanza contraria. Il dire sì alla vita persino nei suoi problemi più oscuri e più aspri, la volontà di vivere rallegrantesi, nel sacrificio dei suoi tipi più elevati, della propria inesauribilità, questo io ho chiamato dionisiaco, questo io divinai come il ponte verso la psicologia del poeta Recentemente numerosi studi hanno mostrato l’influenza che ha avuto la lettura di Theoria philosophiae naturalis (1759) del fisico gesuita Ruggero Giuseppe Boscovich, la cui concezione dinamica del tutto sarebbe stata fonte di ispirazione per la formazione del concetto di Wille zur Macht. Cfr. T.Andina Alle origini dell’ontologia nietzscheana. Sulle tracce di Roger Boscovich, in http://www.hypernietzsche.org/static/tandina-1/1/ 25 13 tragico. Non per affrancarsi dal terrore e dalla compassione, non per purificarsi da una pericolosa passione mediante un veemente sgravarsi della medesima - come pensava Aristotele - ; ma per essere noi stessi, al di là del terrore e della compassione, l’eterno piacere del divenire – quel piacere che comprende in sé anche il piacere dell’annientamento. E così io torno a toccare il punto da cui una volta presi le mosse – la Nascita della tragedia è stata la mia prima trasvalutazione di tutti i valori: così torno a collocarmi ancora una volta sul terreno da cui cresce il mio volere, il mio potere – io, l’ultimo discepolo del filosofo Dioniso, - io, il maestro dell’eterno ritorno…”26 Questo brano è un estratto dell’opera ”Crepuscolo degli idoli. Come si filosofa con il martello” composta in pochi giorni nel turbolento 1888. In Ecce Homo, la sua biografia, Nietzsche sosterrà che non esiste opera più sostanziosa, indipendente, ribaltante di questa. Prima del suo arrivo tutto era capovolto e quelli che nel titolo chiama “idoli” prima di lui erano verità che con questo scritto ha rivoltato. In quest’opera, dai toni accesi e dalla polemica violenta, Nietzsche dichiara, anzi grida, il suo disprezzo verso il presente, la sua umanità, i suoi valori, la distinzione che ha costruito tra due mondi. Fin dalla prefazione annuncia i suoi intenti: conservare la serenità tramite la propria sovrabbondanza di forza, per attuare una trasvalutazione di tutti i valori, un compito cupo e enorme. Ogni mezzo si rivela buono a tale scopo, ma quello senz’altro più adeguato è la guerra, è battere con il martello gli idoli che pullulano in questo mondo. Perciò ricostruisce, attraverso le tappe fondamentali che gradualmente hanno portato al suo Zarathustra, una storia della filosofia come storia dell’errore metafisico della distinzione tra mondo vero e mondo apparente. In primo luogo il mondo vero, attingibile dal saggio, come delineato da Platone. L’idea del mondo vero si fa più capziosa, più sottile con il cristianesimo: il mondo può venire soltanto dal pio e dal virtuoso, il quale con le buone azioni potrà giungervi dopo la morte. In seguito il mondo vero si è fatto inattingibile, indimostrabile, impromettibile ma in quanto pensato già un obbligo (questa è l’idea pallida, nordica, konisbergica). Limitando la conoscenza all’ambito dell’esperienza, il positivismo riduce il mondo vero a una semplice opzione metafisica. Riconoscendo quest’ultimo come inattingibile e destinato a rimanere sconosciuto, il positivismo è il primo, ancorché incerto, segno di rinascita dalla decadenza. Con la filosofia del mattino avviene la definitiva eliminazione dell’idea di mondo vero, ormai inutile e perciò confutata. Sconfitta di Platone, trionfo degli Spiriti liberi. È la fase in cui ci si libera dalle strutture metafisiche, dalla cosa in sé, da Dio. “(Giorno chiaro; prima colazione; ritorno del bon sens e della serenità; Platone rosso di vergogna; baccano indiavolato di tutti gli spiriti liberi). 6. Abbiamo tolto di mezzo il mondo vero: quale mondo ci è rimasto? forse quello apparente?... Ma no! col mondo vero abbiamo eliminato 26 GD, p. 161 14 anche quello apparente! Mezzogiorno; momento dell’ombra più corta; fine del lunghissimo errore; apogeo dell’umanità”27 Ma qual è il presente cui appartengono gli idoli che Nietzsche denuncia? Per decifrare, e quindi disvelare, le concrezioni storiche del presente, appare necessario il riferimento al passato, alla memoria, pur tanto denigrata finora. La memoria delle concrezioni storiche passate, che hanno costruito quell’orrendo passato, che Nietzsche ha descritto con efferata solerzia, permette di riconoscere di quale presente si sta parlando e di smascherare gli idoli che dominano questa cultura. Il declino degli idoli, benché sia presentato come una novità di portata radicale, sembra tuttavia avere bisogno di una memoria, dove e per mezzo della quale, compiere questa operazione. 27 Ivi, p.75 15 TRASVALUTAZIONE DEI VALORI Negli ultimi scritti (Genealogia della morale, Crepuscolo degli idoli, Anticristo) Nietzsche si sente investito in maniera totalizzante di una missione epocale, quella di gettare il fondamento per una nuova umanità attraverso la trasvalutazione dei valori, che si declina come una liberazione della qualità attiva della vita, un’invenzione di nuove forme di esistenza e nuovi valori. Nel novero di queste opere, l’Anticristo (terminato il 30 settembre 1888 con il significativo sottotitolo Maledizione del Cristianesimo) rappresenta uno momento fondamentale, un vero e proprio manifesto filosofico-politico indirizzato al futuro della civiltà europea e al tentativo di trasvalutazione di tutti i valori, per sottrarla ad un destino epocale di décadence nichilistica apparentemente ineludibile. Questo attacco radicale alla modernità e alla catastrofe di cui essa è portatrice rappresenta, quarant’anni dopo, una sorta di contraltare aristocratico e anti-egualitario del Manifesto del partito comunista di Karl Marx e Friedrich Engels. Dopo avere abbandonato i progetti dedicati alla redazione di un’opera capitale sulla Volontà di potenza (i cui frammenti saranno pubblicati postumi in un’edizione controversa, a cura di Peter Gast e della sorella Elisabeth FörsterNietzsche), l’autore condensa nelle opere del 1888 il vasto materiale di pensiero a quel fine raccolto, arrivando in particolare ad identificare nell’Anticristo non semplicemente il primo di quattro libri, come inizialmente previsto e asserito, ma addirittura il compimento della Trasvalutazione di tutti i valori, vale a dire l’ Hauptwerk, l’opera fondamentale sognata negli ultimi mesi di vita cosciente. L’inattuale Nietzsche, il filosofo venuto in anticipo sui tempi, nato postumo, crede davvero in questo breve momento, prima del trapasso nel delirio della follia, che a partire da lui ci sarà sulla terra una grande politica28, e dunque sarà possibile imprimere il suo segno e tradurre in realtà concreta un pensiero titanico e solitario, tra le masse irretite nella deriva nichilistica della modernità. Addirittura, Nietzsche prevede in alcune sue lettere scritte negli ultimi mesi del 1888 che la pubblicazione dell’Anticristo costituirà uno spartiacque decisivo nella storia dell’umanità, dall’effetto dirompente ed esplosivo, paragonabile ad un vulcano, quindi tale da gettare “il globo intero in convulsioni nel giro di due anni”29, anche grazie al progetto di tradurre nelle più importanti lingue europee un milione di copie per lingua. Eppure, nella prefazione dell’opera, il filosofo afferma che questo libro si conviene ai pochissimi, forse addirittura coloro che saranno in grado di comprenderlo non sono ancora nati. Si tratterà allora, astutamente, di incoraggiare i 28 EH, p.376 F.Nietzsche, Lettere da Torino, a cura di G.Campioni, tr. di V.Vivarelli, Milano, Piccola biblioteca Adelphi, 2008, p.183 29 16 moltissimi ad abbattere il cristianesimo attraverso un libro destinato ai pochissimi, in quanto un tale bersaglio, chiaramente identificabile e comprensibile per le grandi masse, riassume in sé l’intero spettro dei valori del mondo moderno, dalla morale alla metafisica, dall’eguaglianza tra gli uomini alla democrazia; come sostiene Giorgio Colli30, la distruzione del cristianesimo, per tale ragione, è davvero secondo Nietzsche una trasvalutazione di tutti i valori. “Questa eterna accusa al cristianesimo voglio scriverla su tutti i muri, ovunque esistano muri – posseggo caratteri per far vedere anche i ciechi…Definisco il cristianesimo l’unica grande maledizione, l’unica grande e più intima depravazione, l’unico grande istinto della vendetta, per il quale nessun mezzo è abbastanza velenoso, furtivo, sotterraneo, meschino – lo definisco l’unica immortale macchia d’infamia dell’umanità. Computiamo il tempo da quel dies nefastus con cui ebbe inizio questa fatalità – dal primo giorno del cristianesimo! – E perché non invece dal suo ultimo giorno? – Da oggi? – Trasvalutazione di tutti i valori!...”31 30 31 AC, Nota introduttiva, p. XXIII AC, p.261 17 CONCLUSIONI La seconda considerazione inattuale sviluppa una critica serrata al concetto di storia come continuità dello spirito, tipica del suo tempo. Ad essa viene contrapposta la forza vitale data dall’oblio, capacità necessaria per affrontare il presente in modo creativo. In questo senso il problema della memoria sembra configurarsi in una maniera effettivamente originale: non tutto sembra avere dignità di rimanere in essa, e quindi di rivivere nel presente. Ciò che dal passato viene esaltato in vari momenti dell’opera nietzscheana è lo spirito tragico, dionisiaco, che ha senso rievocare perché in grado di dare forza plastica al tempo presente e a quello che verrà. Vis in grado di generare il nuovo, forza creativa necessaria per il proseguimento della vita. La memoria poi, negli estratti selezionati dalla Genealogia della morale, appare come una costruzione della morale volta ad incatenare l’umanità a obbligazioni e trascinare nella décadence dell’uomo moderno, infiacchito dalla vita. In questa sede si evidenzia la costruzione artificiale di una facoltà spesso considerata innata e la violenza con cui viene imposta per normalizzare e normare le coscienze. Nei confronti di ciò che è stato e parimenti della sua contemporaneità, Nietzsche ama definirsi un distruttore par excellence, il primo immoralista, termine con cui si mette in contrapposizione al tipo di umanità che finora è stata considerata più alta e alla morale dominante. Gli uomini buoni, quelli che Zarathustra chiama ultimi uomini32 o principio della fine, sono la specie più dannosa perché realizzano la loro esistenza a spese sia della verità, sia dell’avvenire. Ma lo scenario in cui si staglia il pensiero di Nietzsche nelle inattuali è ancora quello di una temporalità lineare, impostata su un’idea definita di futuro da costituire. A partire dallo Zarathustra, ma con già dei precedenti nella Gaia scienza, viene annunciata la dottrina dell’eterno ritorno dell’identico. Con esso si ha una svolta radicale del pensiero di Nietzsche. Il perpetuo ritornare di ogni attimo come condizione possibile soltanto per un’umanità che sa vivere il trapasso, ridefinisce la portata della novità e della memoria. Infatti tale umanità è quella in grado di tramontare, di avere piedi leggeri e danzare sulle cose, senza più doversi riferire ad una trascendenza, senza ruminare sul passato, per questo essa stessa è molto più che innovativa, è profetica, è quella che saprà attuare la trasvalutazione dei valori. Questo compito, che assume una portata violentissima negli ultimi scritti, è accompagnato dalla percezione di Nietzsche di essere latore di una novità che si configura come la scoperta, G.Campioni, op.cit., p.10 : “Nel tratteggiare questa figura Nietzsche si riferisce a una corrente della riflessione morale del positivismo che aveva fondato l’etica sugli affetti simpatetici, sulla compassione e sull’amore del prossimo (John Stuart Mill, Auguste Comte, Alfred Fouillée, Jean-Marie Guyau) e che si congiungeva alle ricerche di etnologi e sociologi come Herbert Spencer e Alfred Espinas, secondo cui il singolo deve trovare la propria realizzazione nel sentirsi un utile membro e strumento della totalità” 32 18 tremenda e drammaticamente destabilizzante della falsità di tutto quel sistema di valori sul quale era si retto fino a quel momento lo sviluppo della civiltà. Questa rivelazione lo fa sentire un lieto messaggero, l’unico a partire dal quale possono nascere nuovi valori e nuove speranze. In conclusione, la novità che Nietzsche ritiene di avere portato è l’ultima possibile, perché dopo di essa nulla sarà più come prima, ogni cosa sarà ridefinita e ricollocata, e soltanto qualcosa riuscirà a sopravvivere. Si può vivere prima di lui o dopo di lui…il fulmine della verità ha colpito proprio ciò che stava in cima a tutto: chi comprende che cosa esso abbia distrutto, guardi se gli resta ancora qualcosa fra le mani. 33 33 EH, p.383 19 BIBLIOGRAFIA  Cioffi Fabio, Gallo Franco, Luppi Giorgio, Vigorelli Amedeo, Zanette Emilio, 1993, Il testo filosofico, L’età contemporanea: l’Ottocento, vol.3/1, Milano, Bruno Mondadori  Fink Eugen, 1993, La filosofia di Nietzsche, ed.it., Venezia, Marsilio, ed.or. . 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