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di Veronica Fincati e di Anna Rita Barbuzzi (paragrafo 2.11). In Regione Veneto, Osservatorio Regionale sull'Immigrazione, Immigrazione straniera in Veneto. Dati demografici, dinamiche del lavoro e inserimento sociale. Rapporto 2006, Franco Angeli, Milano. 2. LA CASA E L’ALLOGGIO 2.1. L’analisi: strumenti e concetti di partenza Nella nostra società l’accesso alla casa e le caratteristiche della sistemazione abitativa costituiscono dei pilastri fondamentali della qualità della vita e dell’inserimento sociale. Al di là del suo significato come bene materiale, il concetto di casa racchiude dei valori simbolici, delle rappresentazioni di carattere culturale e psicologico che proiettano all’esterno le sfaccettature del mondo interno. Dal punto di vista del linguaggio, le parole casa, dimora, alloggio, abitazione fanno parte di una terminologia che, oltre a rappresentare l’oggetto materiale, rispecchiano la funzione e l’importanza che il concetto in questione riveste per la dimensione esistenziale delle persone. La casa, come alloggio o abitazione, non è solo una costruzione che alberga l’uomo, il suo riparo o rifugio, ma rappresenta anche il luogo dell’abitare. Come tale, seguendo il pensiero di Heidegger, “l’abitare sarebbe quindi in ogni caso il fine che sta alla base del costruire” e “ci appare in tutta la sua ampiezza quando pensiamo che nell’abitare risiede l’essere dell’uomo, inteso come soggiornare dei mortali sulla terra” (Heidegger, 1976: 96–97). Nell’esperienza migratoria, all’abbandono o alla perdita della casa di origine corrisponde la ricerca di un nuovo luogo dell’abitare. La casa diventa non solo essenziale per la sopravvivenza ma, essendo “uno straordinario contenitore in grado di coagulare affetti e rappresentazioni”, diviene anche il luogo fondamentale in cui le immagini trovano una sistemazione spazio-temporale, uno spazio attraverso cui la persona si definisce e si dà dei confini (Vigna e Alessandria, 1996: 9). Nel migrare i riferimenti rassicuranti lasciano spazio al non conosciuto e alle incertezze, spingendo il migrante a ridisegnare un luogo capace di riflettere la propria identità (Zanini, 1997). L’accesso alla casa e l’adeguatezza dell’alloggio alle proprie necessità, costituiscono degli elementi basilari per la ridefinizione del proprio habitat, per la qualità dell’esperienza migratoria e per l’esito del proprio progetto di vita. Assieme all’inserimento lavorativo, le caratteristiche delle sistemazioni abitative accompagnano tuttora l’evolversi dei flussi migratori nel nostro territorio. Considerata però l’anzianità della presenza degli immigrati nella nostra re69 gione, il presente capitolo si propone di soffermarsi sulle principali caratteristiche dell’inserimento abitativo della componente straniera; intesa quest’ultima, non come fenomeno a sé stante, ma come parte integrante dell’intera popolazione locale. L’analisi, quindi, ha focalizzato l’attenzione sull’individuazione dei diversi aspetti dell’inserimento abitativo (la ricerca, l’accesso, la sistemazione, le difficoltà, le politiche), tenendo presente le trasformazioni dei fabbisogni abitativi, intesi come la ricerca di una casa, luogo dell’abitare adatto al proprio vissuto. A tal fine, sono stati esaminati fattori di carattere quantitativo emersi dalle diverse e più recenti indagini nazionali e locali, nonché dal 14° Censimento della popolazione e delle abitazioni. Data la frammentarietà e la diversità delle informazioni statistiche e con l’obiettivo di completare l’analisi con l’esperienza di rappresentanti e operatori del territorio, sono state realizzate delle interviste in profondità a dei testimoni privilegiati. Al fine di cogliere le implicazioni sulla casa emerse dai più diversi ambiti di inserimento degli immigrati, sono stati individuati dei testimoni-chiave che operano nel territorio, non solo rappresentanti delle istituzioni del pubblico, ma anche delle esperienze maturate nel privato sociale1. 2.2. Il mercato residenziale e la questione della casa 2.2.1. I sintomi del disagio abitativo Il diritto e l’effettivo accesso ad un alloggio adatto alle proprie necessità sono spesso subordinati alle caratteristiche del mercato immobiliare. Inoltre, le particolarità di questo mercato dipendono, o sono parzialmente condizionati, da altri aspetti contestuali quali: gli andamenti generali dell’economia nazionale e locale, nonché le variazioni e le difficoltà di applicazione delle norme riguardanti l’accesso alla casa. Nel considerare quindi i diversi fattori che hanno delineato il mercato immobiliare degli ultimi anni, numerosi studiosi ed esperti del settore affermano che la questione abitativa in Italia assume ancor oggi le caratteristiche di una emergenza ricorrente (Martini e Toso, 2005). In altre parole, si tratterebbe di un problema strutturale che, così come in altri Paesi industrializzati, si è manifestato sin dagli anni ’70 sotto diverse forme di disagio abitativo (Tosi, 1993). 1 Le testimonianze raccolte derivano dall’esperienza diretta nell’ambito specifico dell’edilizia abitativa, del mercato immobiliare (agenzie, fondazioni bancarie, associazioni, cooperative), del lavoro, del sindacato, della chiesa cattolica, dell’associazionismo immigrato e di diverse realtà del privato sociale con servizi specifici riguardanti l’accesso alla casa da parte degli immigrati. Per l’elenco dei nomi, vedi Allegato. 70 Negli ultimi decenni, l’espansione del mercato privato, le difficoltà dell’edilizia residenziale pubblica e, tra altri fattori economici e congiunturali, le rapide trasformazioni del fabbisogno abitativo primario2, hanno fatto pressione sull’offerta; delineando così le caratteristiche dell’attuale situazione abitativa nel nostro paese. Come ben sintetizzato da uno studio che il Cresme ha realizzato nel 2004, per conto della Borsa Immobiliare di Roma3, la convergenza dei precedenti fattori si è tradotta in una sensibile pressione della domanda primaria e in un vertiginoso incremento delle compravendite, dei prezzi e dei canoni di affitto. La contrazione dei redditi reali, l’aumento dei valori immobiliari, la crisi dell’edilizia sociale, hanno ridotto l’offerta accessibile e hanno contribuito all’attuale “dimensione qualitativa del disagio, ovvero la crisi fra l’edilizia esistente e le trasformazioni demografiche e dei comportamenti e stili di vita della popolazione” (Martini e Toso, 2005: 9). Alla base dei conflitti abitativi che caratterizzano oggi la questione casa, si riscontra essenzialmente un rapporto contrastante tra i prezzi delle abitazioni e i redditi delle famiglie, sia in termini di canoni di locazione che riguardo alle rate dei mutui per l’acquisto dell’immobile. Anche se negli ultimi anni la dinamicità del settore residenziale dimostra una consistente crescita delle compravendite4, contemporaneamente, si registra anche un aumento dei prezzi delle abitazioni5, nonché dei canoni di affitto6. Recenti indagini stimano un calo, o almeno una stabilizzazione in alcune aree territoriali, dei prezzi degli immobili ad uso residenziale (Gabetti Group, 2006). Tuttavia, l’andamento del mercato nell’ultimo quinquennio si è contraddistinto per canoni di locazione elevati e per un aumento dei prezzi di acquisto che hanno contribuito, come accennato in precedenza, alla riduzione di un’offerta accessibile ed adeguata ai fabbisogni della domanda. 2 Dai primi anni ’90 l’entrata nel mercato abitativo di nuove famiglie delle generazioni nate a cavallo del boom delle nascite degli anni ’60, il cosiddetto “Baby boom”, ha alimentato una crescita sostenuta della domanda primaria di abitazioni e ha generato, assieme alle richieste di singoli che si sono staccati dal nucleo e assieme ai flussi migratori provenienti dall’estero, una domanda aggiuntiva che ha esercitato una forte pressione sull’offerta (Cresme Ricerche 2004b). 3 Cresme Ricerche (2004a). 4 Secondo gli ultimi dati del Cresme, tra il 2003 e il 2005, le dinamiche nel Veneto sono state leggermente superiori rispetto a quelle nazionali, registrando un aumento del numero di compravendite pari al 24,8%, quota superiore al 20,4% dell’Italia (Cresme 2006). 5 Nel periodo 2001-2004, si registra un tasso medio annuo di crescita dei prezzi delle abitazioni in Italia dell’8,95% e pari al 2,8% per i relativi volumi di scambio. Nel 2005, l’aumento rispetto all’anno precedente, è stato pari al 2,6% (Osservatorio Mercato Immobiliare 2006). 6 Nel periodo annuale tra il secondo semestre 2004 e quello del 2005, i canoni di locazioni delle case è aumentato dell’0,45%. Fonte: Osservatorio Immobiliare Fiaip in www.fiaip.it 71 2.2.2. La segmentazione della domanda Le diverse trasformazioni sociali, demografiche ed economiche vissute dalla società italiana negli ultimi tre decenni, hanno anche ridefinito e ridimensionato la domanda abitativa. L’approvazione della cosiddetta “legge di riforma della casa” (L. 865/71) e la convergenza di interessi pubblici e privati sono stati dei fattori decisivi nella caratterizzazione di una domanda abitativa espressa da soggetti di fascia media, volti ad acquistare la casa in proprietà. Dall’inizio degli anni ’70 fino alla fine degli anni ’90, si è assisto ad un progressivo passaggio dei nuclei familiari dall’affitto alla proprietà (Confindustria, 2006). I già citati autori Martini A. e Toso F., individuano accanto ad una domanda tradizionale, la presenza di “nuovi” soggetti che si trovano ad operare con i “vecchi”. Sul fronte della domanda tradizionale si riscontrano due tipologie di famiglie. Da una parte, le famiglie che hanno già un immobile in proprietà alimentano il mercato vendendo l’abitazione per un miglior acquisto e/o investendo in un nuovo immobile i risparmi accumulati in passato. Dall’altra parte, gli elevati canoni di locazione spingono verso la proprietà le famiglie in affitto con un reddito più alto. Dall’altra parte, negli anni ’90, soprattutto nella seconda metà del decennio, sono entrati nel mercato abitativo altri segmenti della popolazione che hanno affiancato la domanda classica delle famiglie italiane. Tra questi ultimi si collocano le nuove famiglie autoctone, gli immigrati stranieri, la domanda temporanea (city users) e la domanda sociale (l’emergenza dei “senza casa” o homelessness). La domanda delle nuove famiglie autoctone (nuovi nuclei, divisioni dei nuclei originari o separazioni di coppie) costituisce, come accennato in precedenza, una richiesta che fa una forte pressione sul mercato dell’acquisto della prima casa. In effetti, trattandosi nella maggior parte delle generazioni del Baby boom, queste ultime, spesso sostenute dalle proprie famiglie di origine, alimentano la domanda primaria del mercato residenziale. Tra la domanda delle famiglie autoctone e quella temporanea dei city users, si colloca la domanda degli immigrati stranieri. Contemporaneamente all’ingresso annuale di nuovi flussi per lavoro, l’evolversi dell’immigrazione in Italia e nella nostra regione, comporta anche la stabilizzazione di gran parte della componente straniera. I ricongiungimenti familiari e le nascite dei bambini nel paese di approdo, hanno contribuito all’ampliamento del fabbisogno abitativo dei migranti. In questo modo, alla domanda temporanea dei lavoratori, si è aggiunta quella sempre più pressante delle famiglie straniere; domanda che affianca quella dei nuovi gruppi familiari autoctoni. I migranti che, per l’instabilità del lavoro e/o per insufficienti risorse economiche, sono costretti alla coabitazione con altri lavoratori, affiancano la domanda espressa dai pendolari autoctoni; ovvero gli studenti o altri soggetti che vivono in due o più luoghi, tra la città del lavoro e la città della residenza. Que72 sto tipo di domanda si rivolge principalmente al mercato dell’affitto7, la cui accessibilità in termini di prezzi e di diffidenza dei proprietari nei confronti dei richiedenti, vede maggiormente sanzionati i lavoratori immigrati. In questo contesto di difficoltà economica nel sostenere un canone per l’abitazione, si inserisce la domanda sociale più vulnerabile, quella a rischio di restare “senza casa” o effettivamente senza dimora. La fragilità economica degli immigrati favorisce la presenza dei soggetti migranti più deboli all’interno della domanda sociale, anche se questi immigrati affiancano quella fascia di popolazione autoctona in condizioni di disagio abitativo. Si tratta spesso di soggetti monoreddito che si trovano sempre di più in serie difficoltà economiche di fronte ai canoni di affitto. Questa componente si colloca quindi in un’area critica dove l’estrema ristrettezza di un’offerta di affitto accessibile e la conseguente povertà abitativa, favoriscono fortemente il rischio di marginalizzazione o di esclusione sociale. In effetti, oltre alle trasformazioni della domanda, dei mercati e delle politiche abitative, il fenomeno del disagio abitativo è anche esito di nuove forme di povertà (Tosi, 1993). Basta pensare che, secondo le ultime rilevazioni dell’Istat, una famiglia su dieci vive al di sotto della soglia di povertà (Istat, 2006a). 2.3. La domanda e il fabbisogno abitativo degli immigrati 2.3.1. La specificità della domanda La richiesta di alloggi da parte degli immigrati si inserisce, come appena descritto, all’interno di un contesto generale in cui la domanda abitativa attuale, espressa da tutta la popolazione, subisce le conseguenze dei punti di criticità del mercato residenziale e cerca le soluzioni “meno sconvenienti”. La domanda abitativa delle persone migranti condivide gran parte delle difficoltà riscontrare dalle fasce più deboli della popolazione autoctona. Questa sovrapposizione spiega le cause per le quali la domanda degli immigrati si trova nei punti più difficili d’incrocio tra la domanda e l’offerta nel mercato residenziale. In parte perché la richiesta degli immigrati si rivolge ai mercati delle grandi città e alle tipologie abitative su cui la tensione è particolarmente forte; e in parte perché, ancor oggi, e soprattutto per gli immigrati in condizioni di maggior vulnerabilità (anche giuridica), parte della domanda si inserisce nelle aree di marginalità dove si generano forme di esclusione sociale (Tosi, 1993). 7 Tra l’altro, nei capoluoghi o nei comuni ad alta tensione abitativa la percentuale di famiglie in affitto è più elevata. Un recente studio del Cresme per l’Ance Veneto evidenzia questa forte differenziazione nel segnalare che mentre in un capoluogo la quota di famiglie in affitto corrisponde al 19% del totale, negli altri comuni della provincia questa percentuale è pari solo al 9% delle famiglie (Cresme 2006). 73 Per comprendere le caratteristiche del fabbisogno abitativo e, di conseguenza, il tipo di domanda delle persone migranti è di fondamentale importanza collocarsi all’interno del contesto generale del mercato residenziale. È, inoltre, altrettanto importante distinguere quali sono gli elementi specifici che condizionano e caratterizzano l’accesso alla casa dei cittadini immigrati. Innanzitutto, occorre ricordare che, per una numerosa serie di motivi legati all’inserimento in una nuova realtà, la componente immigrata presenta un livello di debolezza e di vulnerabilità socio-economica più intensa rispetto a quella degli autoctoni. Il primo e più importante fattore che distingue questo tipo di domanda è lo stretto vincolo tra l’idoneità abitativa rilasciata dalle autorità competenti e la possibilità o meno di soggiornare, lavorare e vivere con la propria famiglia in Italia8. La scelta di una casa diventa, così, condizionata dalla legislazione sulla immigrazione, definendo anche in questo modo le caratteristiche di base del tipo di domanda. Una domanda alla ricerca continua di trovare un equilibrio tra dimensioni, prezzo e ubicazione dell’alloggio. Oltre ai legami di carattere giuridico, si aggiungono quelli di ordine economico e sociale. Spesso il capitale disponibile per l’investimento nella abitazione, o in una soluzione abitativa migliore, è molto debole o risulta addirittura insufficiente. In numerose occasioni, a questa situazione corrisponde anche la mancanza o la fragilità di reti di familiari e di conoscenze che supportino (e garantiscano) il reperimento di una casa e l’inserimento abitativo. Tutti questi fattori orientano la domanda verso le abitazioni di livello medio-basso nei settori del mercato residenziale più economici o precari, nonché abbandonati o rifiutati dalle fasce sociali meno deboli della popolazione autoctona. Un’indagine di Scenari Immobiliari ha rilevato che quasi il 90% degli immigrati che hanno acquistato una casa nel corso del 2005, si è orientato verso case rustiche o popolari (Scenari Immobiliari, 2005a). Un altro aspetto che distingue la domanda degli immigrati è rappresentato dalla forte mobilità sul territorio9. Le motivazioni di questa forte mobilità risiedono nel fatto che i migranti si spostano alla ricerca di migliori condizioni – lavorative, professionali, alloggiative, di vita quotidiana – che consentano di ottimizzare le risorse in loro possesso rispetto a degli specifici obiettivi (ad esempio, l’aiuto economico ai propri familiari). L’incertezza tra la scelta di una 8 In base alla legislazione vigente sull’immigrazione (L. 189/2002) il contratto di soggiorno (art. 6 della succitata legge) deve contenere “la garanzia da parte del datore di lavoro della disponibilità di un alloggio per il lavoratore che rientri nei parametri minimi previsti dalla legge per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica” (art. 5 bis, comma 1, lett. a). Il contratto di soggiorno per lavoro che non contenga tale dichiarazione non costituisce titolo valido per il rilascio del permesso di soggiorno. 9 In termini di residenza, dei quasi 67mila cittadini stranieri che si sono iscritti come residenti nei confini regionali del Veneto nel corso del 2003, il 4% proveniva da altre province della stessa regione e l’8% da altre regioni italiane. Di coloro, invece, che si sono cancellati dai registri (18mila), il 14% si è trasferito all’interno dei confini regionali e il 13% in altre regioni italiane. Fonte: ns. Elaborazioni su dati Istat/Trasferimenti di residenza. Anno 2003 (demo.istat.it). 74 collocazione definitiva e la necessità/volontà di un continuo movimento in cerca di migliorare le proprie condizioni di vita, caratterizzano, infatti, il dinamico fabbisogno e la domanda abitativa degli immigrati. La mobilità, inoltre, è spesso relazionata alla variabilità della domanda. In base ai diversi stadi del percorso d’insediamento che attraversano i migranti, la domanda può passare dalla richiesta del single a quella della famiglia. In questo ultimo caso, la ricerca della casa comporta, essenzialmente, lo spostamento sul territorio in cerca della soluzione più conveniente e, allo stesso tempo, più confortevole e adatta al nucleo familiare. Nel caso dei single la mobilità è strettamente legata al tipo di lavoro svolto: tra i lavoratori stagionali la domanda diventa fluttuante sia dal punto di vista temporale che territoriale10. Un altro aspetto specifico della domanda espressa dagli immigrati è la notevole eterogeneità dei fabbisogni abitativi correlabili alle diverse provenienze nazionali e quindi linguistico-culturali11. Quindi, alle diversità individuali corrispondono anche altri elementi che accomunano il tipo di domanda degli immigrati all’interno delle diverse comunità straniere. La casa, quale ambito identitario, riflette e, a sua volta, condiziona i diversi comportamenti sociali di un gruppo e della loro percezione del mondo (González Ruibal, 2001: 1). Di conseguenza, occorre ricordare che nell’esperienza migratoria, il concetto, la ricerca e le caratteristiche della casa, pur legata ai vissuti individuali, sono anche condizionati da fattori sociali e culturali che uniscono e differenziano le diverse comunità straniere. Per molte comunità la casa rappresenta anche il principale luogo di rapporti sociali, soprattutto nella prima fase d’insediamento in cui la rete di relazioni nella sfera pubblica è molto fragile o in via di costruzione. Quindi, il valore funzionale della casa, la natura dei progetti migratori, la presenza o meno di strategie etniche, gli eventuali meccanismi di rifiuto che colpiscono in modo differenziale i vari gruppi nazionali, condizionano e frammentano il tipo di domanda degli immigrati (Tosi, 2002). Nonostante alcuni di questi tratti distintivi si sovrappongano alle caratteristiche delle fasce deboli della popolazione autoctona (come anziani, giovani coppie, disabili, separati)12, “non si tratta – come dice Paolo Guidicini – di un rapporto per così dire “alla pari” tra situazioni aventi le stesse chance di riuscita e di impostazioni della propria autoreferenzialità. Di contro ad una cultura preesistente forte (…) sta una cultu- 10 Un’indagine sui fabbisogni di alloggi per lavoratori immigrati nella provincia di Verona, rileva come tutte le imprese intervistate che impiegano lavoratori avventizi richiedono unità abitative congiunte dotate di singoli posti letto e servizi comuni; mentre quelle che impiegano lavoratori fissi segnalano la necessità di unità abitative distinte adatte ad ospitare singoli nuclei familiari. Fonte: CCIAA di Verona (2003). 11 Per un esempio di queste differenze si rimanda ad un’indagine locale realizzata da Diakonia Onlus, Agenzia Sociale per la Casa della Caritas Vicentina (Ghiotto M.C., Zoccante C. e Zoccante A., 2004). 12 Censis (2004a). 75 ra di immigrazione debole. Frammentata al suo interno ed ancora profondamente incerta sul che fare” (Guidicini, 2003: 174). 2.3.2. L’evolversi del fabbisogno Nonostante la forte frammentazione di culture e di necessità abitative che distingue la componente straniera del Veneto, negli ultimi anni, l’immigrazione nella nostra regione attraversa un processo di stabilizzazione o di permanenza più duratura nei diversi contesti territoriali. Il miglioramento del reddito familiare, i ricongiungimenti di partner e di figli, le nuove nascite nel luogo di arrivo e il conseguente allargamento delle famiglie, sono alcuni tra i più importanti fattori di trasformazione del fabbisogno abitativo della popolazione immigrata. Dopo aver attraversato quelli che gli autori Castles S. e Miller M. J.13 definiscono il primo stadio delle migrazioni temporanee per lavoro e il secondo stadio dello sviluppo delle reti sociali necessarie per prolungare il soggiorno nel paese di approdo, l’anzianità della presenza degli immigrati nella nostra regione14 ha consentito di arrivare ad una fase in cui la crescita della coscienza di permanere nel paese di accoglienza a medio o lungo termine consente agli immigrati di orientarsi maggiormente verso la società ricevente (Ambrosini, 2005). Come emerso dalle interviste ai testimoni privilegiati, la necessità di alloggi, in concordanza con l’evolversi dell’immigrazione, è passata, in termini generali, da una fase di emergenza alloggiativa, cui si è trovato una prima soluzione, ad una fase di ricerca di migliori condizioni abitative: “(…) mentre due tre anni fa c’era un qualcosa di più drammatico nel cercare casa, adesso credo che molti hanno trovato una certa serenità abitativa (…). Io credo che l’emergenza è risolta, al limite ci sarà disagio abitativo perché tutti cercano il meglio, che sia economico e che sia il più possibile vicino al lavoro” (Int. 2.4). Soprattutto nell’ultimo triennio la ricerca di sistemazioni ad uso familiare caratterizza la tendenza della domanda abitativa degli immigrati. La richiesta di abitazioni adatte ad un nucleo familiare riguarda diversi tipi di famiglie migranti, distinti per la loro diversità culturale, ma anche per l’anzianità della loro presenza sul nostro territorio o per la fase del percorso migratorio. 13 Castles S. e Miller M.J. (1993), The Age of Migration: International Population Movements in the Modern , New York, Guildford Press. 14 In base alle ultime rilevazioni censuarie, nel 2001 più della metà dei cittadini stranieri presenti in Veneto era in Italia da almeno cinque anni. Si veda Osservatorio Regionale sull’Immigrazione (2006). 76 Tra le famiglie si riscontrano i gruppi familiari dei migranti pionieri, i quali hanno acquisito col tempo il capitale economico sufficiente per trovare soluzione abitative adatte per il ricongiungimento dei familiari. Da questo punto di vista, e in base anche alla comunità di appartenenza, si possono distinguere le famiglie per le quali questa fase si realizza in tempi più lunghi o più brevi. Nel primo caso si possono riscontare i vissuti di molti migranti maschi provenienti dal Maghreb o dall’Africa sub-sahariana, in quanto sono da più tempo presenti nella nostra regione; queste comunità però, dopo lunghe attese – derivate da motivi di carattere economico nonché culturale – attivano il ricongiungimento con i rispettivi familiari con tempi più dilatati rispetto ad altre comunità straniere (Tognetti Bordogna, 2004). Nel secondo caso, per altre collettività, come quelle provenienti dall’Europa dell’Est, la ricerca di una casa per il nucleo familiare risulta più immediato rispetto all’arrivo del primo membro della famiglia che è immigrato in Italia. La comunità romena, ad esempio, favorita anche da una maggior vicinanza geografica con il paese di origine, pur essendo di più recente arrivo, emersa sostanzialmente dopo l’ultima regolarizzazione (2002– 2003), dimostra, come notato da tutti gli intervistati, un crescente fabbisogno di sistemazioni abitative adatte al gruppo familiare: “(…) diciamo che nella modalità di ricerca abbiamo comunità dove ci si muove in termini autonomi, l’ex Jugoslavia, la Romania, il Marocco, queste persone si presentano autonomamente o con progetti di qualche gruppo di famiglia, ma non associativi o etnici” (Int.2.1). Il fabbisogno di abitazioni per la famiglia non riguarda solo l’accesso alla prima casa ad uso familiare, ma la ricerca di soluzioni più adatte alle nuove esigenze emerse con l’allargamento del nucleo o la crescita dei bambini (molte volte riguarda il passaggio dall’affitto alla proprietà). Da questo punto di vista, i nuovi fabbisogni nascono dalle difficoltà che i nuclei familiari “estesi” riscontrano vivendo in spazi abitativi ristretti. La necessità di alloggi più spaziosi però, può dipendere non solo dalla ricerca di maggior benessere, ma può derivare anche dalla non idoneità alloggiativa, divenuta tale – secondo la normativa corrente – nel momento in cui i figli minorenni superano i 14 anni di età15. Al di là della domanda espressa dalle famiglie, le trasformazioni del fabbisogno abitativo riguardano anche le richieste dei singoli lavoratori. La domanda di forza di lavoro immigrata alimenta ancora il fabbisogno di sistemazioni abitative di prima accoglienza, soluzioni temporanee e meno costose per il sin15 Secondo la legislazione vigente (art. 9, comma 3 della legge Regionale n. 10/96), i minori di 14 anni di età non vengono tenuti presenti nel conteggio del numero di residenti secondo i parametri di superficie utile degli alloggi in base ai numeri di residenti. I parametri di superficie concernono: 46 mq per una persona, 60 mq per due, 70 mq per tre, 85 mq per quattro, 95 mq per cinque e oltre 110 mq per più di cinque). Si rimanda anche all’Appendice giuridica del presente Rapporto. 77 golo lavoratore. Tuttavia, l’allargarsi e il consolidarsi delle reti di familiari e di connazionali ha contribuito sensibilmente all’attenuarsi di situazioni di emergenza legate alla prima sistemazione abitativa. “Normalmente l’immigrato di recente arrivo cerca un alloggio condiviso, un posto letto con compagni di lavoro, con amici, con connazionali, prendono in affitto degli alloggi da dividere (…). Mentre magari chi ha un percorso migratorio già più avanzato punta all’alloggio individuale, familiare o ad un alloggio diviso però, con un numero di persone inferiore che permetta una vita più confortevole” (Int. 2.5). Come già accennato, le richieste del singolo lavoratore in cerca del posto letto, e le situazioni di estremo disagio ed esclusione sociale, sono diminuite rispetto agli anni ’90. Il supporto delle reti di connazionali e, per alcune categorie di lavoratori (le assistenti familiari), l’ospitalità presso il datore di lavoro, hanno contribuito a questa diminuzione della richiesta. Tuttavia, rimane ancor oggi la domanda di soluzioni provvisorie. Si tratta però di una domanda di seconda accoglienza, di lavoratori che, magari ospiti da parenti, da amici o dal datore di lavoro, sono in cerca di soluzioni abitative autonome e più confortevoli. 2.4. Le sistemazioni abitative in proprietà e in affitto 2.4.1. La popolazione locale In Italia, come nel resto dei Paesi del Sud dell’Europa – la cui economia è stata contrassegnata, fino ad alcuni decenni addietro, da consistenti produzioni agricole – la priorità “mattone” rappresenta sensibilmente un fattore di benessere e stabilità (Tosi, 1980). L’Italia16, assieme ad altri Paesi mediterranei, si colloca tra gli stati dell’Unione Europea17 con la percentuale più alta di persone residenti in alloggi di proprietà (16,3 milioni di famiglie18, pari al 72% del totale). Contrariamente, e di conseguenza, la quota di residenti in alloggi in affitto (circa 4,2 milioni di famiglie, pari al 19% del totale) risulta nettamente inferiore e tra le più basse dei Paesi europei. Nel contesto nazionale, il Veneto presenta dei valori più alti rispetto alla media italiana. In termini di popolazione, nella nostra regione, e in base 16 I dati per l’Italia corrispondono all’anno 2005 (Istat, 2006b). Nell’ambito dei paesi UE, la Spagna (84%) e la Germania (42%) si trovano agli estremi della graduatoria con rispettivamente le quote più alte e quelle più basse dei residenti in abitazioni di proprietà. Secondo i dati Eurostat, tra entrambi i paesi e al quinto posto, si colloca l’Italia (72,8%), subito dopo, l’Irlanda, il Portogallo e la Grecia. (Fonte: Buisán A. e Restoy F., 2006). 18 Quota stimata in base al numero di famiglie pari a 22.582.000 unità secondo rilevazioni Istat. Fonte: Istat (2005c). 17 78 all’ultimo Censimento del 2001, la proporzione di residenti che vive in case di proprietà19 raggiunge circa otto persone su dieci20. Contrariamente, le persone in abitazioni in affitto rappresentano una minoranza, corrispondente, infatti, a circa il 15% del totale dei residenti censiti nel 2001. In base a queste proporzioni, nel 200521 la sistemazione abitativa delle famiglie in regione rimane così fortemente sbilanciata tra una grande maggioranza di famiglie che vive in case di proprietà (75 famiglie su cento) e una sempre più contenuta minoranza di esse che vive in affitto (16 famiglie su cento). Nell’esaminare nel dettaglio le caratteristiche della popolazione che usufruisce delle abitazioni in proprietà o in affitto, si osserva una significativa differenza tra le abitazioni occupate solo da italiani e quelle occupate solo da stranieri (Graf. 1). Si riscontra, inoltre, una netta antitesi tra la percentuale di cittadini italiani e quella di cittadini stranieri che vivono in abitazioni di proprietà o in affitto. Nella nostra regione e in termini di abitazioni, secondo le rilevazioni censuarie del 2001, il 77% (34mila unità) delle abitazioni occupate solo da stranieri è in affitto; mentre quelle in proprietà rappresentano poco meno del 16% (quasi 7mila unità) del rispettivo totale (pari a 44.300 abitazioni occupate solo da stranieri). Graf. 1 – Abitazioni occupate da persone residenti in Veneto per titolo di godimento e cittadinanza degli occupanti. Valori percentuali Proprietà Affitto Altri tipi 100 80 77,5 77,0 59,7 60 32,8 40 20 15,6 15,3 7,5 7,2 7,5 0 solo italiani solo stranieri italiani e stranieri Fonte: Elaborazioni Osservatorio Immigrazione Regione Veneto su dati Istat/Censimento 2001 19 Secondo l’indagine del Cresme per l’Ance Veneto, su un campione di 2.500 famiglie, la percentuale di proprietari rilevata è pari al 87% del totale, mentre quelli in affitto corrispondono al 11,6% del campione. Fonte: Cresme (2006). 20 In base all’ultimo Censimento della popolazione e delle abitazioni del 2001, 1.700.000 abitazioni (l’84% del totale) erano occupate da persone residenti. Nella maggior parte si tratta di immobili di proprietà (1.300.000) in cui le persone che risiedono (3.500.000) rappresentano il 78% del totale della popolazione residente. 21 Istat 2006b. 79 Pur con una grossa differenza quantitativa in termini di popolazione, le notevoli quote di sistemazioni in proprietà per gli italiani e in affitto per gli stranieri, si traducono in una forte incidenza degli stranieri sul totale delle abitazioni in affitto. In effetti, a conferma della presenza della componente immigrata nei settori di maggior tensione abitativa, secondo l’ultimo Censimento, le abitazioni occupate solo da stranieri ricoprono il 12% (34mila abitazioni) delle abitazioni complessive in affitto (290mila unità); mentre quelle in proprietà rappresentano solo l’0,5% (quasi 7mila abitazioni) del rispettivo totale (1,3 milioni di unità). Tuttavia, occorre considerare che la mobilità geografica interna delle persone, per ragioni di lavoro e di studio, alimentano anche una quota di persone che soggiornano in abitazioni in affitto o subaffitto. In questa “fetta” di persone in locazione, rientrerebbero anche coloro che non hanno un apposito contratto. Situazioni che si verificano ancor oggi, nonostante queste situazioni irregolari siano migliorate in conseguenza dell’emersione degli “affitti in nero” avvenuta con la riforma del 1998 (L. 431/98) relativa alla legge sull’equo canone (Confindustria, 2006). 2.4.2. La componente straniera Negli ultimi anni la dimensione dei cittadini stranieri presenti nel nostro territorio è notevolmente aumentata e, con la stabilizzazione dei nuclei familiari, si è anche verificata una forte tendenza da parte degli stessi all’acquisto della casa. Tuttavia la grande maggioranza dei cittadini stranieri vive ancora in abitazioni in affitto; mentre le persone che risiedono in case di proprietà, seppur in forte aumento, rappresentano un gruppo minoritario. Da una recente indagine dell’Iref, condotta su un campione di mille casi, emerge che l’88% dei nuclei familiari stranieri intervistati vive in abitazioni in affitto. La quota di famiglie che sono riuscite ad acquistare la casa corrisponde, invece, a poco meno del 12% del campione (Iref – Acli, 2006). A livello regionale, la percezione dei referenti intervistati, pur nella difficoltà di dover fare una stima del titolo di godimento dell’abitazione in cui effettivamente vivono gli immigrati, si dimostra in linea con le recenti indagini nazionali. In ogni modo, le testimonianze raccolte riflettono un’alta quota di persone che sono ancora in affitto, nonostante il graduale e sempre più visibile aumento di immigrati che hanno effettivamente acquistato la casa o che avviano le procedure per ottenere un mutuo a tal fine. In termini quantitativi, da numerose indagini condotte negli ultimi anni in diversi contesti territoriali22, anche se con diverse campionature e metodologie di rilevazione, emerge che le 22 Si veda Osservatorio Regionale sull’Immigrazione (2006). 80 abitazioni in affitto costituiscono ancora la prima e principale soluzione abitativa per più della metà degli immigrati nel nostro territorio. Quelle in proprietà, pur ancora una minoranza, rappresentano però una realtà non indifferente. Da due dei più recenti studi realizzati a livello regionale, una ricerca dell’Osservatorio Immigrazione della Regione Veneto nel 2004 (su 600 interviste)23 e l’indagine GEN2ITA24 (su 2.200 intervistati), la media di stranieri che vivono in abitazioni in affitto si aggira su circa sei intervistati su dieci. 2.5. Altri tipi di sistemazione abitativa 2.5.1. Le sistemazioni di passaggio Le differenze emerse dalle diverse indagini, e le difficoltà riscontrate dai referenti territoriali nel voler stimare il numero di stranieri in base al tipo di sistemazione abitativa, risultano più che naturali nel considerare l’evolversi e la dinamicità dei processi di trasformazione dei fabbisogni dei migranti. Nell’analizzare il tipo di godimento dell’abitazione da parte degli stranieri, a fianco delle due grandi e più stabili categorie di abitazioni, quella in proprietà o quella in affitto, si collocano sotto la tipologia “altri tipi” (cfr. ancora Graf. 1) tante altre soluzioni, quali: il comodato d’uso, l’ospitalità presso il datore di lavoro, il posto letto in subaffitto, la coabitazione o altre sistemazioni provvisorie (in pensioni o alberghi poco costosi). Questi tipi di sistemazioni non risultano soluzioni definitive, ma spesso rappresentano momenti di passaggio, in gran misura determinati dagli obiettivi e dalla durata del progetto migratorio, dalle culture dei Paesi di origine, dal tipo di lavoro svolto, dal reddito, dalle fasi che si stanno attraversando e dai contesti d’insediamento, dalle caratteristiche dei singoli e delle famiglie (uomini e donne lavoratori, studenti e studenti-lavoratori, coppie conviventi, famiglie monoparentali, nuclei con figli, eccetera). Come emerge dalla testimonianza dei referenti intervistati, la richiesta del posto letto provvisorio per il singolo è diminuita, in parte per via dello stabilizzarsi delle migrazioni, in parte perché, attualmente, si possono trovare più opportunità (dormitori, ostelli, affittacamere) rispetto ai primi anni dei grandi afflussi di immigrati per lavoro. In questo contesto s’inseriscono gli esempi di gruppi di connazionali, quali le assistenti familiari o i singoli lavoratori maschi, i quali, come percepito dagli intervistati, si riuniscono nella ricerca di una casa da affittare o acquistare, anche se l’uso dell’abitazione è temporaneo. 23 Su un totale di circa 600 risposte da parte di donne straniere, il 58% del totale ha dichiarato di vivere in una casa o una camera in affitto (Osservatorio Regionale sull’Immigrazione 2004). 24 Si rimanda al capitolo “Giovani veneti vecchi e nuovi” del presente Rapporto. 81 Occorre ricordare che la percentuale di migranti che usufruiscono di questo tipo di sistemazioni provvisorie, seppur sia diminuita, è ancora elevata rispetto a quella della popolazione autoctona. Una recente indagine a livello nazionale condotta dal Censis per E-st@t Gruppo Delta25, su un campione di circa 800 immigrati, segnala che il 16% degli intervistati si trova in condizioni abitative precarie (sono ospiti, vivono in pensioni, in alberghi o nei centri di accoglienza). Quote simili emergono a livelli regionali26. Dalle rilevazioni annuali sulle condizioni abitative degli immigrati in Lombardia della Fondazione Ismu, la progressiva diminuzione degli stranieri in sistemazioni precarie o provvisorie27 è variata dal 21% nel 2001 al 16% nel 2004 (escludendo i senza fissa dimora calcolati in circa 0,6% nel 2004). Dalla già citata ricerca sulle donne straniere condotta dall’Osservatorio Immigrazione (2004) su un campione di 600 persone, circa due intervistate su dieci aveva dichiarato di essere ospite dal datore di lavoro (11%), da amici (7%) o di abitare in centri di accoglienza (1%). Le condizioni di provvisorietà abitativa risultano leggermente più alte per le donne nubili, separate o divorziate, e, soprattutto, per quelle vedove28. 2.5.2. L’ospitalità dal datore di lavoro Altri tipi di soluzioni vengono individuate nell’alloggio fornito dallo stesso datore di lavoro, trattandosi quasi esclusivamente di assistenti familiari che, anche per ovvie necessità di lavoro, condividono la casa con gli anziani assistiti e, a volte, con parte della famiglia di questi ultimi. Al riguardo, una rilevazione della Fondazione Ismu sulle “badanti” in Lombardia stimava che, nel 60% del totale di badanti ipotizzato a luglio del 2004 (tra 26,5mila e 47,3mila unità), l’alloggio per le assistenti familiari si trovava nel luogo di lavoro29. In Veneto, i referenti intervistati percepiscono circa le stesse quote che sono state stimate in Lombardia. Nel proiettare la precedente percentuale sul totale di collaboratrici 25 Censis (2006). Da un’indagine condotta in Veneto nel 1998, il 23,5% di 319 casi, corrisponde a stranieri che avevano dichiarato di vivere nel luogo di lavoro, in strutture di accoglienza o in sistemazioni fortuite (Zincone 2001). Nel 2004, invece, dalla già citata ricerca regionale sulle donne straniere, nel 19% di 600 casi, le donne hanno dichiarato di vivere in qualità di ospiti dal datore di lavoro, da amici o vivere in centri di accoglienza. Fonte: Osservatorio Regionale sull’Immigrazione (2004a). 27 Da parenti amici o conoscenti, albergo o pensione a pagamento, struttura di accoglienza, sul luogo di lavoro, occupazione abusiva, concessione gratuita, baracche o luoghi di fortuna (Fondazione Ismu 2002 e 2005). 28 Per le donne vedove, trattandosi in genere di donne originarie dell’Europa dell’Est che lavorano come assistenti familiari, più della metà di esse sono ospiti dal datore di lavoro (circa 3 su dieci) o da amici (altre 3 su dieci). Fonte: Osservatorio Regionale sull’Immigrazione della Regione Veneto. 29 Approfondimenti “Le badanti in Lombardia” del 12 luglio 2005, www.ismu.org. 26 82 familiari nella nostra regione iscritte all’Inps (pari al 27.730 unità nel 2003), il totale di queste lavoratrici presso il datore di lavoro ammonterebbe a circa 16.640 persone. Anche se lo stock di iscritti all’Inps è probabilmente sottostimato, nel considerare il precedente valore, le assistenti familiari ospiti dal datore di lavoro rappresenterebbero il 5% del totale di stranieri adulti residenti nella nostra regione (pari a 325mila residenti nel 2003). L’ospitalità presso il datore di lavoro rappresenta una prima soluzione abitativa. Probabilmente questo tipo di sistemazione, come nel caso delle assistenti familiari, diventa più conveniente dal punto di vista economico o della vicinanza alla sede di lavoro. Tuttavia, i vincoli che si vengono a creare tra vita privata e lavoro costituiscono spesso fonte di disagio. Per quel che riguarda le assistenti familiari, questa situazione si traduce nella necessità, e sempre più evidente tendenza, di cercare un altro alloggio. Le difficoltà, soprattutto economiche, risultano numerose e la quota di lavoratrici che effettivamente riescono a trovare altre soluzioni abitative è inferiore rispetto alla proporzione di quelle che desiderano cambiare casa, in particolare se questa scelta – come esprime un’intervistata, rappresentante di un’associazione d’immigrati – comporta la perdita di una certa stabilità del soggiorno: “(…) è difficile decidere, sto qua, ho da mangiare, da dormire, uno stipendio, un po’ garantita, se adesso vado via, dove vado? In Caritas vado solo per sei giorni, a trovare subito affitto o trovare qualcuno? Anche se trovo qualcuno, possibile, fuori con amici, quando cominciano a vivere assieme scoprono altri problemi, (la) convivenza è una cosa difficile. Diciamo, non (siamo) studenti, in questa età serve un po’ di più” (Int. 2.10). Per quel che riguarda invece i pochi casi di lavoratori subordinati il cui alloggio è stato fornito dal datore di lavoro, emergono altri fattori di difficoltà: sia quando viene trattenuta dal salario del lavoratore la quota dell’affitto, sia quando il dipendente fa uso gratuito dell’alloggio messo a disposizione del datore. In questi casi il vincolo tra lavoro e affitto può tradursi in una situazione problematica dal punto di vista del rapporto lavorativo. Dall’ottica del lavoratore subentra spesso il timore di perdere la garanzia dell’alloggio e di conseguenza possono crearsi situazioni in cui il lavoratore stesso può sentirsi sotto “ricatto morale”: “(…) anche tanti (lavoratori stranieri) evitano di prendere casa del datore di lavoro perché dopo è (come ricevere) una martellata sulla testa; sei costretto a seguire quello che ti dicono” (Int. 2.7). Dal punto di vista del datore, invece, subentra il timore di dover coprire la spesa dell’alloggio o di non poter disporre dell’immobile per un altro lavoratore quando il rapporto lavorativo con il dipendente e, al contempo ospite, si interrompe: 83 “Il problema per il datore di lavoro, che è un problema molto annoso, è quello di stabilire una relazione molto forte tra quella che è la conclusione del rapporto di lavoro con quella che è la conclusione del contratto d’affitto, anche perché le due cose non sono ovviamente sempre automatiche (…) Ci sono lavoratori che una volta che sono stati licenziati non pagavano più la pigione. Queste sono questioni che rimangono tuttora forti…” (Int. 2.11). 2.5.3. I senza fissa dimora La mobilità delle persone senza fissa dimora rende difficile la quantificazione del fenomeno. Nel 2001 la Commissione Governativa di indagine sull’esclusione sociale stimava in circa 17mila le persone senza fissa dimora30. Dalle ultime rilevazioni censuarie, i soggetti senza alloggio ammontavano a circa 13mila persone (di cui il 34% stranieri), escludendo quelle che al momento del Censimento erano presenti in alloggi non classificabili come abitazione31, pari a poco più di 58mila persone (di cui il 22% stranieri). Nonostante dal Censimento 2001 la presenza degli stranieri senza casa, seppur importante, risulti abbastanza contenuta32, in termini di popolazione di riferimento, l’incidenza dei senza dimora sul totale degli stranieri è numericamente più importante rispetto a quella degli autoctoni. Sul totale di stranieri presenti in Veneto nel 2001 (circa 153mila residenti), le persone senza fissa dimora, ovvero quelli senza nessun tipo di alloggio, rappresentavano lo 0,2% del totale (0,6% se si considerano quelli in alloggi precari33); mentre sulla popolazione complessiva (4,5 milioni di residenti) l’incidenza è dieci volte inferiore (0,02%). Diversi studi ed indagini rilevano che la presenza di immigrati, soprattutto di quelli privi dello status giuridico legale per la loro permanenza in Italia, rappresenta una parte maggioritaria delle persone senza fissa dimora. Nel 2003, il Rapporto nazionale su immigrazione e persone senza fissa dimora, stimava che per il 43% dei 90 servizi interpellati dedicati alle persone senza dimora, gli immigrati rappresentavano la metà della propria utenza (Fio.psd., 2003). Secondo il primo Rapporto Regionale sulla povertà in Veneto del 2005, i senza dimora nella nostra regione si possono stimare in poco più di 1.200 persone. In 30 Commissione di indagine sull’esclusione sociale (2001). Le roulotte, le tende, i caravan, i camper, i container; le baracche, le capanne, le casupole, le grotte, le rimesse, i garage, le soffitte, le cantine; gli alloggi contenuti in costruzioni che non sono edifici. Fonte: Istat. 32 Secondo le stesse rilevazioni dell’Istat per il Censimento 2001, nel Veneto si stimavano in poco più di 1.500 le persone senza alloggio (di cui il 15% stranieri) e in circa 4.200 quelle in sistemazioni non classificabili come alloggio (di cui il 16% stranieri). 33 Rispetto all’andamento del fenomeno per la popolazione immigrata, dal monitoraggio sull’inserimento abitativo in Lombardia, condotto dall’Ismu negli anni 2001-2004, emerge una leggera diminuzione dei senza dimora (dallo 0,9% allo 0,6%) e degli immigrati in baracche o luoghi d fortuna (dallo 0,7% allo 0,4%). Fonte: Fondazione Ismu (2002 e 2005). 31 84 base alle dichiarazioni di responsabili di dormitori pubblici e operatori di strada, una media del 56% delle persone è rappresentata da cittadini stranieri, per lo più provenienti dall’Africa e dall’Europa dell’Est. Tuttavia, come esplicitato nel Rapporto, considerando che alcune persone migranti sono sfuggite alle rilevazioni per via dell’irregolarità giuridica della loro presenza o per la richiesta esplicita di rispettare l’anonimato, la proporzione di stranieri, “sarebbe da correggere al rialzo” (Regione Veneto – Ulss 16, 2005). 2.6. L’acquisto della casa Il progressivo passaggio dei nuclei familiari dall’affitto alla proprietà è un fenomeno che ha contraddistinto il mercato abitativo italiano degli ultimi trenta anni. Il numero di famiglie che vive in alloggi in affitto diminuisce annualmente sia in termini relativi che di stock34. La percentuale di immigrati che ha acquistato casa è, ovviamente, ancora molto distante rispetto alle proporzioni di alloggi in proprietà della popolazione italiana. Ciononostante e, pur evidenziando sistemazioni abitative prevalentemente in affitto, dagli andamenti delle compravendite e da numerose indagini35 emerge la forte propensione all’acquisto della casa anche da parte di cittadini stranieri. L’aumento dell’immigrazione nel nostro paese e la maggiore stabilità della presenza straniera ha favorito la formazione di questa nuova e dinamica domanda del mercato immobiliare degli acquisti. Secondo una stima di Scenari Immobiliari36, basata su un’inchiesta a seicento agenzie immobiliari, nel corso del 2005, 116mila lavoratori immigrati hanno acquistato un’abitazione. Nell’arco di cinque anni l’acquisto di case da parte di immigrati si è più che quadruplicato e, nell’ultimo anno (2004–2005), l’incidenza di stranieri che hanno acquistato una casa è passata dal 12% al 14,4% del totale delle compravendite (Scenari Immobiliari, 2005b). In effetti, la disaggregazione geografica degli acquisti in Italia è in linea con la distribuzione territoriale della popolazione straniera residente nel nostro paese. Su circa cinquecento agenzie che hanno risposto all’indagine di Scenari Immobiliari, il 74% degli acquisti degli immigrati si è realizzato al Nord. Inoltre, per quel che riguarda lo stock delle compravendite regionali, i valori più elevati dell’incidenza degli immigrati sono stati registrati nella Lombardia (18,5%), seguiti dai valori del Veneto (16%) e dell’Emilia Romagna (15%). 34 Nel periodo 1997-2002 le famiglie che vivono in alloggi in affitto sono diminuite di 500mila unità, mentre la loro percentuale è passata dal 22% al 19% del totale di abitazioni occupate da residenti. Fonte: Ance (2004). 35 Si rimanda al capitolo 3.2.1 dell’edizione precedente del presente Rapporto. Cfr. Osservatorio Regionale sull’Immigrazione (2006). 36 Scenari Immobiliari (2005a). 85 Sempre dalle indagini condotte per Scenari Immobiliari, nella nostra regione, Vicenza (dopo Brescia e Roma), è una delle province con la quota più alta di acquisti di case da parte di cittadini stranieri, quasi il 20% del totale delle compravendite provinciali. Anche nel contesto territoriale di Verona la percentuale di acquisti da parte degli immigrati è elevata, ma a differenza di Vicenza, nell’arco dell’ultimo anno, l’aumento di questa quota è stato tra i più alti in Italia: dal 2004 al 2005 gli acquisti sono passati dal 9% al 12% del totale provinciale (Scenari Immobiliari, 2005a). 2.6.1. Le motivazioni alla base dell’acquisto Numerosi fattori concorrono a definire le caratteristiche della propensione all’acquisto della casa da parte degli immigrati. Quelli più evidenti riguardano i costi elevati degli affitti e il miglioramento abitativo in vista di una permanenza più lunga e/o una presenza più stabile nel nostro paese da parte dei nuclei familiari37. Gli elevati canoni di locazione e la loro forte incidenza sul proprio reddito, fanno sì che le famiglie immigrate o i gruppi di singoli lavoratori, vista la quasi equivalenza tra un canone di affitto e la rata mensile di un mutuo, cerchino di capitalizzare il costo della casa mediante l’acquisto. Altre articolate motivazioni legate alle caratteristiche e alla limitatezza dell’offerta abitativa in affitto spingono gli immigrati a comprare casa. Dalle testimonianze raccolte è stata sottolineata, soprattutto dai rappresentati delle associazioni di immigrati, la difficoltà a trovare appartamenti in affitto. Agli elevati costi si aggiunge la diffidenza e, a volte, riluttanza da parte dei proprietari, a concedere le abitazioni in locazione ai cittadini stranieri. L’acquisto diventa dunque un’alternativa all’affitto, sostenuta da una maggiore disponibilità degli istituti bancari a rilasciare dei mutui agli immigrati, anche perché ormai rappresentano un segmento del mercato consolidato. Negli ultimi anni, la maggior apertura delle fondazioni bancarie nei confronti di questa nuova domanda ha portato ad una specializzazione degli istituti di credito38. Le politiche di marketing, per attirare la nuova clientela, hanno favorito una maggior diffusione all’interno delle comunità straniere delle possibilità di credito per la casa. Dalla già citata ricerca del Censis per E-st@t Gruppo 37 Dallo studio di Scenari Immobiliari, nel 2005, il 57% delle agenzie (51% nel 2004) è emerso che l’elevato costo degli affitti elevati si riscontra tra le principali motivazioni di acquisto di casa degli immigrati. Quote inferiori, ma altrettanto importanti, sono state riscontrate per ragioni quali il miglioramento abitativo (27%), il ricongiungimento familiare (12%) e la mobilità per lavoro (12%). Fonte: Scenari Immobiliari (2005a). 38 Secondo l’Osservatorio di Assofin, Crif e Prometeia, nel 2004, il 6% dell’ammontare totale dei mutui erogati in Italia è stato destinato ad immigrati (De Battistini, 2006). Si veda anche Napolitano (2006). 86 Delta, emerge che l’11% delle 800 persone intervistate ha già fatto richiesta in passato di un mutuo casa, mentre il 18% prevede di richiederlo nel prossimo futuro (Censis, 2006). La tendenza all’acquisto non riguarda esclusivamente un investimento personale ai fini del proprio progetto migratorio. Tra le motivazioni all’acquisto da parte degli immigrati, Scenari Immobiliari rileva anche la tendenza all’acquisto con l’obiettivo ultimo di affittare l’immobile a connazionali. Una realtà anche questa percepita dai referenti territoriali intervistati, anche se non è possibile, ovviamente, quantificarla. Non sono da sottovalutare i casi in cui queste dinamiche, anche in virtù di principi di solidarietà interetnica, favoriscono certe forme di business; più o meno presenti, a seconda delle comunità di stranieri e dei settori lavorativi di inserimento che le caratterizzano. Queste soluzioni rappresentano, inoltre, delle alternative che sorgono di fronte alle difficoltà di accedere all’affitto o di trovare, tramite altri canali, un’abitazione concorde ai parametri di idoneità abitativa previsti dalla normativa sull’immigrazione, soprattutto in vista dei ricongiungimenti familiari. 2.6.2. Il profilo sociale degli acquirenti La formazione, la ricomposizione o l’allargamento della famiglia rappresentano delle fasi del progetto migratorio che condizionano spesso la scelta di “comprare casa”. Come già accennato, per molti immigrati, il ricongiungimento familiare, soggetto alle normative sull’idoneità abitativa, diventa anche una delle motivazioni principali per l’acquisto della casa39. Come emerso dalle interviste, la tendenza all’acquisto è maggiormente espressa dai lavoratori che si sono ricongiunti con i propri partner e/o figli, fase alla quale segue spesso l’allargamento della famiglia grazie alle nuove nascite. Dalla già citata ricerca regionale sulle donne straniere40 è possibile trovare un esempio di questa tendenza. In base all’analisi del campione si osserva che la presenza o meno di figli rappresenta un fattore altamente incisivo sulla percentuale di donne che hanno dichiarato di essere proprietarie dell’abitazione in cui vivono: due donne su dieci per quelle con figli (tre su dieci per quelle con figli nati in Italia), poco più di una donna su dieci per quelle senza figli. La scelta della proprietà riguarda anche quelle famiglie i cui figli sono già inseriti nel percorso scolastico e che, avendo una certa stabilità lavorativa, prospettano di allungare il soggiorno nel nostro paese. L’acquisto della casa rappresenta, quindi, una fase di stabilizzazione del progetto migratorio di tante famiglie che, spesso, hanno maturato una lunga esperienza insediativa nel nostro paese. Un 39 Secondo l’indagine di Scenari Immobiliari, nell’ultimo anno l’incidenza dei ricongiungimenti familiari quale motivazione è diminuita, passando dal 19% al 12% delle motivazioni elencate. Fonte: Scenari Immobiliari (2005a). 40 Cfr. Osservatorio Regionale sull’Immigrazione (2004a). 87 recente studio sulle famiglie migranti, realizzato dall’Iref su un campione di mille interviste, stima le famiglie che hanno acquistato la propria abitazione in circa l’11,6% del totale. Di queste però, quelle con più di nove anni di permanenza in Italia, registrano una quota di proprietà più alta, pari al 18,4% del rispettivo totale (Iref–Acli, 2006). A livello regionale41, dalla succitata indagine sulle donne straniere, emerge anche una maggior quota percentuale di proprietari in base all’anzianità della loro presenza nel nostro territorio42 (Tab. 1). Oltre alle famiglie, l’acquisto della casa rappresenta un’alternativa per l’ottimizzazione delle proprie risorse economiche anche da parte di gruppi di singoli lavoratori. In genere, come accennato, i raggruppamenti dei singoli a fini abitativi sono strettamente collegati al tipo di lavoro, al comparto produttivo e alla comunità di appartenenza. L’inserimento lavorativo in una determinata nicchia del mercato tramite le reti migratorie di connazionali, la cosiddetta “specializzazione etnica”, è spesso accompagnata dalla ricerca di un’abitazione (Ambrosini, 2005). Tab. 1 – Donne straniere presenti in Veneto, con e senza figli, che vivono in abitazioni di proprietà per periodo di permanenza in Italia. Valori assoluti e percentuali Periodo di permanenza Percentuale donne in abitazioni di Totale donne Totale donne in Italia proprietà su totale donne intervistate in abitazioni intervistate di proprietà con figli senza figli v.a. v.a. meno di 4 anni 5,5% 7,3% 43 327 tra 5 e 9 anni più di 9 anni 19% 29% 4,6% 4,3% 34 40 142 117 Totale 34% 15% 117 Fonte: Elaborazioni Osservatorio Immigrazione Regione Veneto su dati Osservatorio Regionale sull’Immigrazione del Veneto (2004) 586 La tendenza all’acquisto della casa è in ogni modo rappresentata da quei migranti che effettivamente possono avviare un mutuo e destinare quella parte del reddito al debito sottoscritto. Come segnalato dai testimoni-chiave intervistati, la casa rientra tra le spese più elevate su cui si cerca di attuare un’ottimizzazione massima del reddito. La priorità dell’invio di rimesse ai propri familiari43, e il peso delle stesse sui propri guadagni, costituiscono un fattore 41 Da un’indagine condotta dall’Osiv su un campione di 150 casi nell’area vicentina, emerge come la quota di case di proprietà corrisponda al 4% degli immigrati all’inizio del percorso migratorio e al 9% su quelli con più di cinque anni di permanenza in Italia (Bragato S., 2005). 42 Si veda anche il cap. “Giovani veneti vecchi e nuovi” del presente Rapporto. 43 Dalla ricerca del Censis per Estat-Gruppo Delta, il 14% del budget delle famiglie immigrate interviste è destinato alle rimesse (Censis, 2006). 88 determinante nel delineare il profilo dei migranti che acquistano la casa. Gli immigrati con progetti temporanei cercano di ridurre il più possibile la spesa dell’alloggio ai fini di inviare gran parte dei guadagni ai propri parenti. Per i gruppi familiari con un reddito più alto, pur nell’eventuale destinazione di una quota di guadagni all’aiuto di familiari, la spesa per la casa diventa sinonimo di investimento per il miglioramento della propria qualità di vita: “(…) ci sono tanti casi che hanno tanta voglia di portare i loro cari però, non è facile per tutti perché uno non trova chi lo aiuta per avere la casa, quindi tanti sono bloccati per questo. Migliaia e migliaia di persone vogliono avere la casa, chi fa la domanda si sente già in grado di comprarla” (Int. .2.7). 2.7. La ricerca e la scelta della casa 2.7.1. I fattori decisionali Il prezzo dell’abitazione risulta fondamentale nella ricerca e nella scelta dell’abitazione, nonostante il tipo di lavoro e di progetto migratorio, nonché la comunità di appartenenza, possano in parte influire sulla tipologia e l’ubicazione geografico-territoriale della stessa. Anche se dalla distribuzione dei cittadini stranieri nella nostra regione si osservano delle forti concentrazioni di residenti nelle aree vicine ai distretti industriali, la vicinanza al lavoro costituisce un fattore secondario nella scelta della casa. Come segnalato dai testimoni intervistati, la distanza rispetto alla sede lavorativa è valutata in base all’effettiva accessibilità e sostenibilità della casa in termini economici; nonostante la scelta comporti un maggior impegno del migrante per raggiungere il luogo di lavoro. Inoltre, la temporaneità, la precarietà e le incertezze dei contratti lavorativi, escludono spesso l’idea di un investimento che potrebbe risultare oneroso di fronte alla perdita o al cambiamento del lavoro. Per la popolazione immigrata più stabile o per i gruppi familiari, soprattutto per i soggetti che scelgono l’acquisto, sono numerosi i fattori che determinano una scelta più accurata. Al proprio progetto di vita e al costo dell’abitazione devono corrispondere, tra altri aspetti, la metratura necessaria per l’idoneità alloggiativa, la vicinanza ai servizi, alla scuola dei figli ed al gruppo di connazionali o alla rete di familiari e amici. “(…) per acquistare devi cercare la zona proprio dove vuoi vivere, e lì è importante. Perché quando una persona è costretta a vivere lì per il lavoro, domani fallisce, cosa devi fare? sei costretto a vendere la casa; secondo, non hai più voglia di vivere lì. Allora devi scegliere: dentro il territorio dove ti piace, compro una casa; dove trova lavoro, vado a lavorare” (Int. 2.7). 89 La scelta della casa risulta altamente condizionata dall’offerta e le alternative si restringono a quello che effettivamente è il potere di acquisto. Come emerge ancora dall’indagine di Scenari Immobiliari (2005), i migranti cercano soprattutto nelle zone periferiche delle città, ma, non trovando soluzioni soddisfacenti, si spostano verso i centri minori. L’ubicazione della casa, può diventare per questa ragione, più lontana dal luogo di lavoro e quindi il servizio al quale si fa più riferimento è quello dei mezzi di trasporto. Dal confronto degli ultimi due anni di indagine (2004–2005), secondo le agenzie intervistate, si osserva un notevole aumento del numero di richieste di un’abitazione vicina alla fermata dell’autobus, tram o stazione (dal 36% al 60% dei richiedenti) e poco distante dalla scuola dei figli (dal 5% al 12%). 2.7.2. La tendenza alle concentrazioni territoriali Dagli ultimi anni la domanda residenziale degli autoctoni tende a spostarsi dai grandi centri urbani verso i comuni limitrofi dove c’è una maggiore disponibilità di nuove costruzioni, anche perché nei capoluoghi, il territorio è, in molti casi, saturo e scarseggiano le aree edificabili; e, non secondariamente, i prezzi sono più alti (Osservatorio Mercato Immobiliare, 2006). Le famiglie di immigrati spesso sono più numerose di quelle autoctone, e quindi la pratica della coabitazione di più persone nella stessa casa serve ad ammortizzare i costi; questi sono aspetti che definiscono sostanzialmente la necessità degli immigrati a cercare case più spaziose44. Questa caratteristica dell’alloggio è in stretto collegamento con la sua ubicazione, dato che si tratta di immobili più costosi o di strutture di vecchia costruzione e scarsa manutenzione presenti in determinati contesti abitativi. Da questa prospettiva è possibile dedurre che gli immigrati trovano risposta alle proprie necessità negli spazi urbani meno richiesti o “abbandonati” dagli autoctoni con maggior potere di acquisto. Spazi spesso caratterizzati da grossi condomini o case da ristrutturare, generalmente più capienti rispetto a quelle nuove. In Veneto, così come viene osservato nella Lombardia, i luoghi di maggior visibilità delle aggregazioni di immigrati si trovano principalmente nelle città: molti spazi commerciali e artigianali cittadini, altrimenti dimessi, vengono ricoperti dai migranti. Inoltre, in un processo di sostituzione, molti immigrati stranieri trovano posto anche nelle zone periferiche nate dalla pressione delle migrazioni interne provenienti dal sud del paese. Molti immigrati s’inseriscono 44 Secondo l’indagine di Scenari Immobiliari, bilocali (57%) e trilocali (27%) rappresentano le tipologie abitative maggiormente richieste; anche se, nell’ultimo anno, la richiesta di trilocali è fortemente calata (-36% dal 2004 al 2005) a favore di mono e bilocali. Fonte: Scenari Immobiliari (2005a). 90 di conseguenza nei comuni ad alta tensione abitativa45, ovvero nei comuni in cui vengono individuati alti livelli di disagio abitativo tra cui, principalmente, i capoluoghi di provincia. Il basso livello di accessibilità alla casa restringe quindi la varietà dell’offerta abitativa circoscrivendola alle aree in disuso delle città, in contesti caratterizzati dall’edilizia residenziale pubblica e dall’edilizia privata di tipo speculativo46. Nei territori di urbanizzazione diffusa, l’edificazione lungo le strade suburbane diventano anche luogo di concentrazione, nonché di attività commerciali (come ad esempio nelle vicinanze delle stazioni ferroviarie). Nei territori invece a minor densità abitativa, l’insieme delle case rurali (disperse sul territorio o concentrate in piccoli nuclei), rappresentano anche luoghi di maggior insediamento degli immigrati, in genere, delle componenti più stabili (Granata, Lanzini e Novak, 2005:183–198). Le significative differenziazioni territoriali che caratterizzano l’economia della nostra regione generano altrettante distinzioni per quel che riguarda la ricerca e la scelta della casa. In questo senso è plausibile trovare delle concentrazioni di immigrati nelle aree di certe circoscrizioni territoriali, sedi o zone limitrofe ai Sistemi Locali di Lavoro (SLL). In queste zone, si riscontrano, con maggiore disponibilità, case rurali, appartamenti datati o da ristrutturare che diventano soluzioni abitative per i lavoratori. Gli insediamenti abitativi in determinate aree sono inoltre collegati al carattere di temporaneità dei progetti migratori e/o dei rapporti lavorativi, come ad esempio nelle aree proprie e limitrofe del distretto conciario del vicentino47 o del settore ortofrutticolo o marmifero di Verona48. 45 In base alla Deliberazione della Giunta Regionale del Veneto n. 525 del 28 febbraio 2003, per l’individuazione dell’elenco dei Comuni ad alta tensione abitativa sono stati assunti quali indicatori di disagio abitativo: la popolazione residente, la percentuale di extracomunitari in rapporto alla popolazione, la percentuale di sfratti e la percentuale di domande di partecipazione al Fondo per il sostegno all’affitto in rapporto ai nuclei familiari. 46 Il complesso residenziale sito in via Anelli nel quartiere Stanga di Padova e i condomini di edilizia residenziale pubblica nel quartiere Veronetta di Verona, rappresentano delle concentrazioni nate da questi meccanismi di soluzioni abitative. Nel caso di via Anelli, però, aspetti legati alla devianza hanno trasformato l’area e dintorni in una zona d’intervento di sicurezza pubblica. Si veda Osservatorio Regionale sull’Immigrazione (2004b). 47 Per un approfondimento sul rapporto tra i lavoratori immigrati e il sistema produttivo nel contesto vicentino, si rimanda alla tesi di laurea di Frison Massimo, Sistema produttivo e immigrazione: tra apertura al mercato e chiusura sociale?, Tesi di laurea della Facoltà di Lettere e Filosofia, Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 2000-2001. 48 CCIAA di Verona (2003). 91 2.7.3. Il ruolo del datore di lavoro Con le ultime modifiche legislative in materia di immigrazione il datore di lavoro deve dichiarare la sussistenza da parte del lavoratore immigrato di una sistemazione alloggiativa idonea (art. 8 bis del d.p.r. 334/2004). Di conseguenza, dato che il datore non è tenuto alla ricerca dell’alloggio, bensì a dichiarare, sotto la propria responsabilità, che il lavoratore abita effettivamente in un alloggio idoneo, è di diretto interesse del lavoratore cercare e dimostrare la disponibilità di un’abitazione49. Come emerge da recenti studi condotti dall’Osservatorio Economico della Provincia di Treviso, nella maggior parte dei casi, le richieste di autorizzazioni al lavoro riguardano lavoratori “non conviventi” con il datore di lavoro50. In base alle richieste pervenute alla Direzione Provinciale di Lavoro nel 2005, l’alloggio per questi lavoratori non conviventi è stato messo a disposizione dallo stesso datore di lavoro solo nel 15% dei casi (circa 353 su 2.350 richieste). Nonostante il forte aumento di questa quota rispetto all’anno precedente (4,8% di 1.800 richieste nel 2004), la percentuale di datori di lavoro italiani che hanno messo a disposizione l’alloggio risulta più bassa rispetto a quella degli stranieri. D’altra parte però, come segnalato dai testimoni privilegiati, le concessioni di alloggio da parte del datore di lavoro dipendono anche dalla tipologia delle attività svolte dagli immigrati, dal tipo di rapporto contrattuale e dalle capacità reddituali dell’azienda: “È chiaro che l’azienda (…) che appartiene ad un settore nel quale vi sono buone capacità di reddito può avere una disponibilità maggiore rispetto, ad esempio, ad un’azienda del settore tessile-confezioni, dove non c’è materialmente possibilità da parte del datore di lavoro (…) di entrare nel merito delle questioni di carattere abitativo. Ma questa non è una questione di cattiveria intrinseca da parte del datore di lavoro, è un problema di generazione di reddito da parte della impresa” (Int. 2.11). Contrariamente a quanto emerso dalle aziende trevigiane in rapporto ai lavoratori non conviventi, nel caso dei lavoratori avventizi, impiegati nelle circoscrizioni ortofrutticola e marmifera della provincia di Verona, le modalità di reperimento dell’alloggio sono prevalentemente a cura dell’azienda (in media l’86% delle 50 aziende intervistate)51. 49 Abitazioni di proprietà o in affitto, ma anche la disponibilità dell’alloggio come ospite dal datore di lavoro, da un connazionale, da un parente, da un amico o da un semplice conoscente. 50 I lavoratori non conviventi (circa 2.350) rappresentano il 53% del totale di lavoratori richiesti (poco più di 4.500 nel 2005). Fonte: Osservatorio Economico della Provincia di Treviso (2006). 51 Nel settore marmifero la ricerca dell’alloggio da parte del lavoratore avventizio è più frequente (in media il 12,3%), soprattutto nei comuni con un maggior numero di aziende (ad esempio il 36% nel comune di Dolcè). Fonte: CCIAA di Verona (2003). 92 2.8. I canali e le difficoltà nell’accesso alla casa 2.8.1. I canali formali e informali La ricerca e l’accesso definitivo alla casa sono fortemente influenzati anche dalle reti di familiari e di connazionali che, come espresso da molti testimoni intervistati, fungono da supporto di fronte alle difficoltà di usufruire agevolmente di canali formali o ufficiali come le agenzie immobiliari o i servizi sostenuti dal pubblico: “(…) la rete familiare-etnica, per quel poco che esiste, è sicuramente usata. Poi c’è tutta la cintura solidale fatta dalle parrocchie, dai sindacati, dalle associazioni, dai colleghi di lavoro, dai genitori dei figli a scuola. Cioè, tutta questa cintura solidale che costituisce il vero salvagente” (Int. 2.14). Da quanto emerge dalle interviste, il livello di ricorso alle agenzie sembrerebbe più agevolato nella realtà padovana rispetto alle altre province52. E anche se nel resto del territorio sembra che le agenzie immobiliari comincino a riflettere una maggior flessibilità, i requisiti richiesti (maggiori garanzie, spese più onerose, più marcata diffidenza da parte dei proprietari) rappresentano ancora un forte ostacolo nell’utilizzo di questo canale. Contrariamente, le reti informali o “semi-informali” di familiari e di conoscenti, garantiscono una maggior diffusione dei nuovi fabbisogni attraverso il passaparola o il cosiddetto “tamtam”. In questo modo, inoltre, i nuovi flussi alimentano il costante ricambio delle sistemazioni abitative concentrate in determinate zone. Come emerso anche dai colloqui con i testimoni-chiave, queste reti fungono anche da fonte di segnalazione e da garanzia per alcuni enti che si mobilitano nella ricerca dell’alloggio53: “(…) essendo il mercato in mano alle agenzie, il canale è quello di rivolgersi alle agenzie. Ma si sta formando, secondo me, una rete di relazioni tra loro e il mercato, nel senso che funziona anche il passaparola. E un buon rapporto di locazione con gli immigrati crea le condizioni per segnalare, nel caso uno compri o vada via, 52 Da un’indagine condotta dalla Provincia di Padova sul disagio abitativo degli immigrati, cinque Comuni su dieci (su un totale di 72 comuni) si rivolge alle agenzie immobiliari per la ricerca degli alloggi richiesti dagli immigrati (sette comuni su dieci nell’area comunale di Padova). Fonte: Provincia di Padova (2004). 53 Il tipo di rapporto contrattuale determina spesso l’utilizzo dei diversi canali. Mentre nel settore ortofrutticolo dove i lavoratori sono prevalentemente stagionali, solo il 14% delle aziende si è rivolta alle agenzie immobiliari (l’85% ha utilizzato immobili propri); nel settore marmifero, con una percentuale più consistente di lavoratori fissi, questa percentuale raggiunge il 76% delle aziende intervistate (in ogni modo il 41% delle aziende ha utilizzato i propri immobili). Fonte: CCIAA di Verona (2003). 93 qualche persona conosciuta immigrata che possa andare in locazione in quell’alloggio” (Int. 2.9). Di conseguenza, la partecipazione a reti plurime (a base etnica, miste o a prevalenza autoctona) sembra rappresentare per gli immigrati fonte di significative opportunità per fuoriuscire dalle nicchie etniche più povere, per trovare casa e per migliorare la propria condizione. 2.8.2. La rete di connazionali e le comunità straniere Le reti di familiari e di connazionali diventano un canale più che importante per l’accesso alla casa, sostenuto non solo da un principio di solidarietà interetnica, ma anche da una loro maggior conoscenza del territorio, delle persone e delle dinamiche per il reperimento dell’alloggio. Dal citato studio dell’Osservatorio Economico della Provincia di Treviso54 emerge, infatti, che il 57% dei 2.350 lavoratori non conviventi ha trovato una sistemazione abitativa presso l’alloggio di un altro immigrato o, nel 5% dei casi, è stato lo stesso lavoratore straniero a procurarselo. Gli aspetti di carattere culturale e quelli relativi alla tipologia di progetto migratorio permettono di distinguere diversi livelli di autonomia delle comunità straniere per quel che riguarda le modalità di ricerca, sostegno e accesso alla casa. Di conseguenza, mentre alcuni gruppi nazionali fanno maggiormente ricorso ai canali esterni e formali, altri si affidano a sistemi di aiuto e sostegno della propria comunità. Da questo punto di vista, le comunità che si dimostrano più autonome, si rivolgono ai servizi o utilizzano i canali solo a titolo informativo (tra cui gruppi dell’Europa dell’Est ed anche la comunità marocchina). Altre comunità si affidano, invece, ad intermediari, generalmente propri rappresentati che interagiscono per conto di terzi (ad esempio i migranti senegalesi e nigeriani); mentre altri gruppi si presentano “più auto-referenziali” o con una maggior organizzazione e risoluzione di problemi al loro interno (come i lavoratori del Bangladesh, dell’India e della Cina). Da quanto percepito dai testimoni intervistati, anche in termini di accesso economico all’abitazione si riscontrano meccanismi di finanziamento all’interno delle comunità. In particolare, per quel che riguarda l’acquisto della casa, molti immigrati si affidano al proprio gruppo nazionale di appartenenza per l’ottenimento di crediti e per il reperimento dell’alloggio. Queste dinamiche, maggiormente percepite per le comunità asiatiche, spiegherebbero in parte il loro uso sporadico, o addirittura inesistente, dei servizi sulla casa offerti dai comuni o dal terzo settore. Nell’area milanese, ad esempio, già nel 2000 si percepiva la propensione all’acquisto di case in proprietà da parte delle famiglie 54 Cfr. Osservatorio Economico della Provincia di Treviso (2006). 94 cinesi, le quali, grazie all’intermediazione di società finanziarie cinesi, accedevano ai mutui. Si trattava, tra l’altro, di iniziative promosse da consorzi di famiglie che acquistavano spazi ben circoscrivibili rispetto all’ambiente circostante (Palidda, 2000: 51). Dalla citata ricerca del Censis per E-st@t Gruppo Delta sul consumo e accesso al credito da parte degli stranieri, emerge, infatti, che il 40% degli immigrati intervistati fa ricorso alle reti amicali o parentali; ovvero a sistemi informali di credito e di sostegno materiale. Tuttavia, il tasso di ricorso ai canali formali e istituzionali (38% su un campione di 800 interviste), quali le banche e le società finanziarie, “sembra oramai assumere pari importanza, ad indicare la rapida evoluzione dei comportamenti di spesa e di quelli finanziari degli stranieri in Italia” (Censis, 2006: 10). 2.8.3. Le difficoltà riscontrate L’accesso ad una casa adatta ai propri fabbisogni rappresenta ancor oggi una delle principali difficoltà espresse dagli immigrati. Nell’evoluzione complessiva delle condizioni di vita dei migranti, la ricerca di migliori condizioni abitative diventa fondamentale per il processo di inserimento nella società di insediamento. La recente ricerca sulle famiglie immigrate condotta dall’Iref (2006), rileva come la difficoltà a trovare casa, prima ancora del lavoro, rappresenti tuttora uno degli ostacoli più grandi incontrati nella vita quotidiana dei migranti55. In base ai fabbisogni e tra i principali servizi richiesti, appare pertanto comprensibile che la richiesta di assistenza alla casa risulti al primo posto. Tuttavia, come illustrato dal Graf. 2, dai risultati ricavati dall’Iref–Acli, l’assistenza alla casa da parte delle famiglie migranti residenti nel Nord-Est, emerge in modo sensibilmente alto rispetto agli altri territori regionali. L’importanza dei servizi richiesti per l’assistenza alla casa nel Nord-Est, si dimostra in linea con le interviste ai testimoni privilegiati raccolte nella nostra regione. Le difficoltà di accesso alla casa, per la quale viene maggiormente richiesta l’assistenza, riguardano soprattutto degli ostacoli nel trovare delle soluzioni adeguate ai propri fabbisogni. In effetti, dalla citata indagine su un campione di 600 interviste a donne straniere risalente al 200456, la difficoltà di trovare alloggio è stata segnalata dal 14% del totale, ma il 30% delle donne dichiara di vivere in una casa non adeguata ai propri bisogni. 55 Tra le prime difficoltà nella vita quotidiana segnalate dai migranti, si rincontrano quelle di trovare casa (22% delle risposte), trovare lavoro o un lavoro migliore (18%) e la lontananza delle amicizie e gli affetti (13,5%). Fonte: Iref-Acli (2006). 56 Cfr. Osservatorio Regionale sull’Immigrazione (2004a). 95 Graf. 2 – Richiesta di servizi delle famiglie migranti per ripartizione geografica. Valori percentuali Assistenza alla casa Sportello lavoro Tutela legale Nessuno 23,4 25 20 15,5 12,6 15 9,7 10 5 0 Nord-ovest Nord-est Centro Sud e isole Fonte: Elaborazioni Osservatorio Immigrazione Regione Veneto su dati IREF–Patronato Acli 2006 Come emerso dai colloqui con i referenti, se da una parte le difficoltà di accesso alla casa riguardano aspetti concreti legati alla sostenibilità economica, agli strumenti o ai canali che facilitano la buona riuscita della ricerca; d’altra parte, sussistono, ancor oggi, forti ostacoli di carattere sociale, sia la fragilità delle reti familiari di supporto sia la diffidenza e la conseguente segregazione dei potenziali inquilini immigrati da parte dei proprietari autoctoni: “(…) abbiamo appunto famiglie, spesso famiglie con minori e monoreddito – tanto più se straniere perché sono in difficoltà ad avere una rete sociale e ad utilizzare gli strumenti di welfare in quest’ambito – che sono in difficoltà e non è facile pensare a percorsi di soluzione” (Int. 2.1). L’anzianità delle migrazioni nella nostra regione e la più allargata presenza di famiglie hanno contribuito ad una maggior apertura da parte dei proprietari delle abitazioni nei confronti dei cittadini stranieri. Nonostante ciò, la diffidenza rappresenta ancora una forte barriera al momento di accedere alla casa: “(…) appena entri in agenzia, appena capiscono che sei straniera ti dicono «No, no, no, signora non abbiamo niente». Una mia amica che cercava un affitto, ha imparato queste cose, andava in agenzia e diceva «Buongiorno signora, sono straniera c’è qualcosa per me?», per evitare lunghi disagi” (Int. 2.10). Le ragioni che sottostanno alla diffidenza dei proprietari delle abitazioni, trasmessa poi dai soggetti che fungono da canale tra entrambi le parti, riguardano spesso la diffusione di stereotipi sul mancato pagamento, l’utilizzo o lo scarso stato di manutenzione dell’alloggio da parte dei migranti. Alcuni episodi 96 che hanno avuto grande risonanza pubblica, a volte relazionati a situazioni di marginalità; o, semplicemente, le paure sociali in territori più coesi e meno dispersivi, generano, a priori, meccanismi di segregazione dei migranti. La garanzia finanziaria e/o verbale del datore di lavoro, a volte anche di un familiare o di un conoscente, diventano fondamentali nell’accesso alla casa. Come accennato in merito ai canali utilizzati, l’affidamento alle reti familiari e di connazionali per il reperimento dell’alloggio, non solo risponde ad una dinamica propria all’esperienza sociale delle migrazioni, ma nascono anche da ostacoli e barriere di diversa natura incontrare dagli immigrati nell’utilizzo degli stessi canali (Ambrosini, 2006). 2.9. Le problematiche dell’inserimento abitativo L’evolversi delle migrazioni nel nostro territorio ha favorito il miglioramento complessivo dell’inserimento abitativo degli immigrati. Come emerso dalle interviste, l’aumento dei nuclei familiari, soprattutto dopo l’ultima regolarizzazione del 2002, ha contribuito alla diminuzione di situazioni di emergenza abitativa collegate a forme vistose di marginalità dei “senza casa” o degli immigrati sfrattati. Nonostante ciò, le problematiche abitative del mercato residenziale della popolazione locale (cittadini italiani e stranieri) concorrono, assieme ad altri elementi propri della debolezza socio-economica della componente immigrata, al perdurare e alla nascita di situazioni di disagio abitativo. Ancor oggi si possono segnalare alcuni aspetti che evidenziano il forte svantaggio degli immigrati nei confronti degli autoctoni, sia in termini economici (la spesa della casa in rapporto al reddito) che sociali (situazioni di segregazione e tensione di vicinato). Tuttavia, come emerso dalle interviste, oggi le principali problematiche riguardano l’aspetto economico e le derivanti difficoltà delle condizioni abitative e della sostenibilità della casa. 2.9.1. Le condizioni abitative Pur nel miglioramento medio delle complessive condizioni di vita dei migranti, il basso livello del potere di spesa investe soprattutto l’aspetto abitativo. Come già illustrato, per quel che riguarda la ricerca della casa, il mercato immobiliare al quale attinge maggiormente la richiesta immigrata, si caratterizza per il ricorso ad abitazioni da ristrutturare. Oltre alle condizioni degli immobili, la necessità di ridurre i costi o di trovare una prima sistemazione abitativa (ospitalità da parte di connazionali), porta spesso a convivenze multiple e al conseguente permanere di situazioni di sovraffollamento. Nel 2001, da un’indagine condotta da Sunia Ancab–Lega Coop. su un campione di mille interviste, il 77% degli immigrati coabitanti (poco più della metà del campione) viveva in 97 condizioni di sovraffollamento (42% in sovraffollamento estremo). Nel 2006, secondo il recente studio del Censis per E-st@t Gruppo Delta sui consumi degli immigrati, il 19,6% degli intervistati in affitto (sette stranieri su dieci) vive ancora in condizioni di sovraffollamento. Secondo le stime del Censis, però, l’area di disagio è molto più ampia e coinvolge complessivamente almeno 860mila stranieri (35,7% degli immigrati presenti sul territorio) (CaritasMigrantes, 2006). In base alle ultime rilevazioni censuarie del 2001, le condizioni di sovraffollamento grave57 investono in Veneto meno di uno straniero su dieci (6% della popolazione straniera residente)58. Tuttavia, come emerge da diversi studi e dalle interviste ai testimoni privilegiati che operano sul territorio, la coabitazione è ancor oggi una soluzione necessariamente adottata di fronte ai costi della casa. Dalla indagine sulle donne straniere dell’Osservatorio Immigrazione, emerge che, per quel che riguarda le donne che convivono con persone non appartenenti alla famiglia (tre donne su dieci), nel 40% dei casi il gruppo coabitante è formato da più di quattro persone59. Come risulta anche dai colloqui con i testimoni – chiave intervistati, le situazioni di disagio derivate dall’affollamento nelle abitazioni è anche dovuta all’ospitalità presso la propria dimora di amici o parenti: “(…) se mi chiama amica e mi dice «sono senza casa, mi puoi ospitare per un mese, due mesi, tre mesi, finché trovo lavoro», sicuro che non puoi dire di no. E ogni tanto, anche spesso, queste case che prendiamo in affitto diventano come un albergo, che disturba vicini (…). C’è problema che qualcuno approfitta anche questa situazione, ma adesso ultimamente, proprio ultimi tre quattro mesi, ho visto che situazione sta cambiando e molto. Già tanti non vogliono vivere in compagnia, in gruppo, cercano affitto per sé” (Int. 2.10). Queste situazioni, non solo sono favorite dal senso di ospitalità di alcune comunità o da un principio di solidarietà, ma spesso sono motivate dalla necessità di un alloggio idoneo per la dichiarazione di disponibilità del datore di lavoro ai fini del contratto di soggiorno e, di conseguenza, del rilascio del permesso di soggiorno. 57 Si intende la condizione in cui la persona occupa un’abitazione per la quale il rapporto tra il numero di residenti e il numero delle stanze è maggiore di 2. 58 A livello nazionale l’analisi del sovraffollamento grave per la popolazione residente in abitazione rivela, ancora una volta, una forte differenza tra le situazioni abitative degli stranieri e quelle degli italiani. La percentuale di persone che vivono in questa condizione è per i primi del 6,5% e per i secondi dello 0,9% (Fonte: Istat, Censimento, 2001). Al 2005, il sovraffollamento in regione per l’intera popolazione può essere calcolato in 3,5% sul totale delle famiglie (circa 63.600 unità). Fonte: Cresme (2006). 59 Cfr. Osservatorio Regionale sull’Immigrazione (2004a). 98 2.9.2. La sostenibilità della casa La tendenza all’acquisto e la percezione generalizzata, da parte dei testimoni intervistati, di una certa serenità abitativa per quel che riguarda la prima accoglienza, fanno pensare ad una maggior risoluzione delle problematiche legate alla reperibilità dell’alloggio come prima e più immediata sistemazione. In ogni modo, da quanto emerso dai colloqui, in questa fase delle migrazioni nel Veneto, il maggior disagio da parte della popolazione straniera deriva dalle problematiche inerenti alla sostenibilità economica dell’alloggio, sia in termini di canoni di locazione che di mutui per l’acquisto. Il problema della sostenibilità della casa riguarda la popolazione in generale. Tuttavia, per la maggior debolezza di carattere sociale ed economico degli immigrati, l’insostenibilità della casa comporta tutta una serie di problemi di ordine giuridico, familiare e sociale che possono, potenzialmente, determinare il fallimento definitivo del progetto migratorio. Nel 2005, in base alle ultime rilevazioni Istat sui consumi delle famiglie, la percentuale di spesa per l’abitazione (25,8%, circa 619 euro) e gli alimenti (19%, circa 456 euro) rappresentano quasi il 45% della spesa mensile delle famiglie in Italia (una media di 2.400 euro al mese)60. Nel considerare solo le famiglie immigrate, dalla indagine sui consumi condotta dal Censis, la spesa per l’alloggio e il vitto corrisponde al 47% del budget mensile (Censis, 2006). Dal confronto dei precedenti studi, la spesa per gli alimenti e l’alloggio sul reddito mensile delle famiglie, non evidenzia particolari differenze a sfavore degli stranieri. Ciononostante, nel considerare la retribuzione media mensile degli immigrati in rapporto ai canoni di affitto, si osserva la forte difficoltà dei lavoratori monoreddito di accedere o di sostenere la spesa dell’abitazione. Da un altro studio condotto dalla società ISI–Angelo Costa, per conto del portale Stranieri in Italia, nel 2005, la retribuzione media dei lavoratori immigrati in Italia, pur molto diversificata in base al settore lavorativo, oscilla attorno ai 980 euro mensili (Tab. 2). Secondo questa ricerca la maggior parte degli immigrati paga un affitto tra i 200 e i 400 euro mensili, cioè tra il 24% e il 48% del proprio reddito mensile (ISI–Angelo Costa, 2005). Come si osserva dalla Tab. 2, nel proiettare le retribuzioni medie stimate dalla Società ISI–Angelo Costa sui canoni di locazioni nelle diverse zone dei capoluoghi del Veneto (Gabetti Holding S.p.A, 2004), il quadro emergente dimostra l’impossibilità per il lavoratore monoreddito di accedere agli alloggi situati nelle zone centrali delle città venete. In effetti, la retribuzione è inferiore al canone di affitto. 60 Naturalmente, il numero di componenti delle famiglie plurireddito, permettono di attenuare il costo dell’abitazione: mentre la spesa dell’abitazione per famiglie di un solo individuo si aggira attorno al 33%, quella per le famiglie di cinque componenti è pari al 19,9% (Istat, 2006b). 99 Tab. 2 – Percentuale dei canoni di locazione dei capoluoghi del Veneto su una stima della retribuzione pro-capite mensile degli immigrati per settore lavorativo Zona dei capoluoghi Pregio Centro Semicentro Periferia del Veneto /Settore lavorativo Retribuzione pro-capite mensile degli immigrati Agricoltura 140,4 110,8 70,5 53,8 893 Industria 110,6 87,2 55,5 42,4 1.134 1.076 Servizi 116,5 92,0 58,5 44,7 Colf e badanti 167,1 131,9 83,9 64,0 750 Attività non determinata 116,7 92,1 58,6 44,7 1.074 Media lavoratori immigrati 128,3 101,3 64,4 49,2 977 Canone medio mensile(1) 1.254 989 629 480 (1) Media regionale calcolata sui canoni di locazione rilevati dall’Ufficio studio Gabetti per il 2004 (Gabetti Holding S.p.A (2004) Fonte: Elaborazioni Osservatorio Immigrazione Regione Veneto su dati Centro Studi Gabetti (2004) per i canoni di locazione e su dati Società ISI Angelo Costa per Stranieri in Italia (2005) per la stima della retribuzione pro-capite mensile Da quanto emerso dalle interviste, le difficoltà di sostenibilità dell’alloggio riguardano anche le abitazioni in proprietà. Secondo le rilevazioni dell’Istat, la rata media relativa ai mutui delle famiglie, si aggira nel Nord del paese attorno ai 450 euro mensili (Istat, 2006b). Come già accennato, l’instabilità dei contratti lavorativi degli immigrati, e i diversi fattori sociali che influiscono sull’esito del progetto migratorio, possono anche provocare dei conflitti in merito alla sostenibilità di una spesa a lungo termine quale la rata del mutuo per la casa: “(…) da un certo punto di vista, la propensione o l’acquisto o pure la necessità di acquistare la casa per risolvere il problema abitativo, ha sicuramente degli aspetti postivi perché la gente si impegna di più, ecc. (…). Se però, comincia a saltare il lavoro, il matrimonio, i figli che non si integrano, ecc., quell’elemento di rigidità diventa un ostacolo in più da affrontare” (Int. 2.14). Seppur vero che la rata per l’acquisto della casa è leggermente più alta rispetto al canone di locazione, molti immigrati hanno dei mutui del 100%, ma anche del 110%. Questi finanziamenti, erogati da alcuni istituti bancari, innalzano, di conseguenza, la spesa media mensile per la casa e, assieme a questa, crescono le potenziali difficoltà di sostenibilità. Tra i fattori che sottostanno a queste difficoltà si rincontrano situazioni derivate dalla “strumentalità” dell’acquisto della casa. Ad esempio, la sottoscrizione di un mutuo ai fini del ricongiungimento familiare o dell’idoneità abitativa da estendere ad altri connazionali, comporta delle spese non previste, dei disaccordi nella convivenza o 100 negli impegni assunti che mutano in situazioni di conflitto tra le persone (familiari e non) appartenenti al gruppo coabitante. 2.10 Alcune risposte ai fabbisogni abitativi 2.10.1. L’edilizia residenziale pubblica Tra le risposte ai fabbisogni abitativi delle popolazioni più deboli si trovano spesso diversi sistemi e approcci che variano, non solo a livello provinciale, ma anche nell’articolato universo delle realtà comunali. In un insieme di sostegni economici alla persona, alla costruzione e di aiuti all’affitto o alla proprietà, le risposte si possono riscontrare sotto varie forme quali gli alloggi di proprietà di cooperative, di privati del terzo settore o attraverso convenzioni tra pubblico e privato. Gli alloggi di Edilizia residenziale pubblica (Erp) rappresentano uno strumento fondamentale delle risorse a disposizione delle regioni ai fini di assicurare, ai cittadini con livelli di reddito modesto, un’abitazione a condizione di favore rispetto a quelle di mercato. La legislazione in materia risale agli inizi del secolo scorso ed è nata con la finalità di coprire la domanda di abitazioni dei ceti meno abbienti (L. 277/10 o “Legge Luzzati”). Nel corso del tempo però, nonostante i numerosi interventi legislativi che si sono succeduti, svariati fattori contestuali di carattere economico e sociale hanno contribuito a rendere l’accesso all’edilizia popolare un punto di incrocio tra interessi in conflitto61. La domanda di alloggi pubblici da parte degli immigrati s’inserisce proprio in questo ambito di tensione. L’aumento delle famiglie in condizioni di povertà62 e la contenuta incidenza degli alloggi sociali in Italia63, rappresentano due dei principali fattori per i quali la domanda degli immigrati per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica64 entra in competizione con quella dei cittadini italiani, creando numerose situazioni di acceso dibattito pubblico. 61 Nel '98 sono stati eliminati i fondi Gescal con i quali era finanziata l’edilizia residenziale pubblica (prelevamento di circa l’1% sul monte salari). In virtù del d.p.r. 112/98 e delle successive applicazioni regionali, le competenze di settore sono passate dallo Stato alle Regioni. 62 Nel 2005 il 4,5% delle famiglie in Veneto vive in condizioni di povertà e, pur con una leggera differenza percentuale rispetto al 2004 (pari al 4,7%), l’incidenza mostra come la povertà in questi ultimi anni si sia mantenuta sostanzialmente stabile (Istat, 2006a). 63 In Italia, nell’anno 2000, la percentuale di alloggi sociali in affitto corrispondeva al 4,5% del totale di alloggi e al 23% sul totale di alloggi in affitto. Rispetto agli altri paesi dell’UE, l’Italia, dopo il Belgio, evidenza le quote più basse. Al contrario, l’Olanda presenta le quote più alte di alloggi sociali, corrispondente al 36% sul totale degli alloggi e al 75% sul totale delle abitazioni in affitto. Fonte: dati Federcasa, si veda Pozzo A. M. (2002). 64 A livello legislativo, la sostanziale parità di trattamento tra italiani e stranieri, già presente nella legge “Turco-Napolitano” (d.lgs. 286/98), è mantenuta, con alcune modifiche in termini di durata minima del permesso di soggiorno, dalla legislazione vigente 189/2002. A livello regionale, la parità di trattamento è regolamentata dall’art.6 della L.r. 9/1990. 101 In base alle ultime rilevazioni censuarie, nella nostra regione, le abitazioni di proprietà pubblica usufruite in affitto da persone residenti (Stato, Regione, Provincia o Comune), rappresentavano il 5,5% del totale65. Nello specifico, lo stesso anno del Censimento 2001, la consistenza di alloggi Erp in gestione alle sette Ater del Veneto (35.260 alloggi propri e 9.140 di enti pubblici)66 incideva con il 3% sul totale di abitazioni occupate da persone residenti. Negli anni successivi, pur con un aumento del proprio patrimonio Erp gestito dalle Ater, il numero complessivo di unità abitative sono leggermente diminuite67. In termini quantitativi, il rapporto tra il numero di domande ammesse alla richiesta di alloggi pubblici gestiti dalle Ater (Graf. 3) e la popolazione complessiva di riferimento (italiana e straniera), riflette una proporzione di soggetti richiedenti abbastanza contenuta in termini percentuali (0,3% dei 288mila residenti in Veneto nel 2004). Tuttavia, nel distinguere la domanda dei cittadini immigrati, l’incidenza dei soggetti richiedenti sul totale della popolazione straniera residente (pari all’1,6% nel 2004) risulta nettamente superiore rispetto a quella complessiva ed anche, nello specifico, rispetto a quella italiana (0,2%)68. Con la vigente legge sull’immigrazione (L. 189/02) sono stati ridefiniti i requisiti di accesso agli alloggi pubblici da parte degli stranieri. In questo modo, con l’entrata in vigore del nuovo regolamento di attuazione del Testo Unico sull’Immigrazione (d.lgs. 286/98), la possibilità di richiesta di alloggi da parte degli stranieri regolarmente soggiornanti è stata circoscritta ai soggetti con permesso di soggiorno di durata biennale o in possesso della carta di soggiorno69. È probabile quindi che l’entrata in vigore della normativa sia una delle principali cause della diminuzione delle domande di alloggi pubblici presentate dagli immigrati e ammesse dalle Ater. Contrariamente al progressivo aumento degli ultimi anni, nell’ultimo periodo esaminato in base alle graduatorie Ater, la percentuale degli stranieri sul totale complessivo di domande ammesse è passata dal 31% di 16.600 domande nel 2003 al 30% di circa 15.500 nel 2004. La diminuzione delle domande ammesse da parte degli stranieri (-12%) − accompagnata da una leggera flessione di quelle relative agli italiani − è stata pari, in termini assoluti, a circa 630 domande; determinando così, infatti, una flessione del totale complessivo di domande ammesse (Graf. 3). 65 Pari a 16mila unità su un totale di 290mila abitazioni in affitto (1,1% sul totale di abitazioni censite pari a 1.699mila abitazioni occupate da persone residenti). Fonte: Censimento Istat 2001. 66 Corte dei Conti (2006). 67 Da 44.400 nel 2001 a 43.196 nel 2004. Fonte: Indagine Corte dei Conti- Sezione regionale di Controllo per il Veneto per i dati del 2001 (Corte dei Conti 2006) e Ater Verona per i dati del 2004. 68 Si rimanda al capitolo “L’alloggio”, Osservatorio Regionale sull’Immigrazione (2006:145149). 69 Si rimanda a Osservatorio Regionale sull’Immigrazione (2006: 260-261). 102 Graf. 3 – Domande ammesse (Graf. 3.1.) e alloggi assegnati (Graf. 3.2.) di Edilizia residenziale pubblica per cittadinanza. Graduatoria definitiva per il Veneto. Serie storica 2002–2004 Graf. 3.1. – Domande ammesse Graf. 3.2. – Alloggi assegnati 18.000 16.000 14.000 12.000 10.000 8.000 6.000 4.000 2.000 0 15.760 16.592 989 1000 11.130 11.383 1.080 1200 15.505 10.475 816 800 890 813 600 4.630 5.209 400 4.580 636 289 176 190 2003 2004 200 0 2002 2003 2002 2004(*) (*) Ai fini di completare i dati provinciali forniti per il 2004 dalla Direzione per l’Edilizia Abitativa, è stato utilizzato per il totale regionale i dati corrispondenti alla provincia di Treviso relativi alla graduatoria del 2005 (e in mancanza 2004) fornita dall’Ater di Treviso. Fonte: Elaborazioni Osservatorio Immigrazione Regione Veneto su dati Direzione per l’Edilizia Abitativa – Regione Veneto e su dati Ater Treviso per il 2004 L’andamento in crescita o la stabilizzazione delle domande di alloggi pubblici, pur considerando solo quelle effettivamente ammesse, rispecchiano il fabbisogno di abitazioni a prezzi abbordabili rispetto al proprio reddito. Nonostante una leggera ripresa nel 2003, circa una domanda su dieci viene effettivamente soddisfatta, mentre le domande restanti rimangono in attesa di assegnazione. Tra l’altro, i tempi di attesa, oltrepassano spesso l’intervallo superiore all’anno, derivato dalle procedure necessarie per la formazione della graduatoria (circa dieci mesi) e la formalizzazione della assegnazione (circa cinque o sei mesi)70. Per quel che riguarda i cittadini stranieri, si osserva un leggero aumento dell’incidenza degli alloggi assegnati sul rispettivo ammontare di domande che sono state ammesse; totale variato, nel periodo 2003–2004, dal 3,5% (pari a 176 alloggi) al 4,1% (pari a 190 alloggi) delle domande. Tuttavia, nonostante questa leggera crescita, in questo stesso periodo la posizione degli stranieri si dimostra ancora in svantaggio rispetto a quella degli italiani per i quali la quota di alloggi assegnati sul totale delle rispettive domande ammesse è passato dal 7,1% (pari a 813 alloggi) all’8,5% (pari a 890 alloggi). 70 Barbiani E., Bragato S., Canu R., Pedenzini C. e Zanon V. (2003:94). 103 Tab. 3 – Domande di assegnazione di alloggio di Edilizia residenziale pubblica. Graduatoria definitiva per provincia del Veneto – Serie storica 2002–2004. Valori assoluti e percentuali Tipologia Anno Belluno Padova Rovigo Treviso Venezia Verona Vicenza Veneto (a) n. totale 2004 474 2.993 846 730 4.316 2.112 3.584 15.055 di domande 2003 474 3.326 847 2.236 4.114 2.252 3.343 16.592 ammesse 2002 469 3.088 900 2.226 3.968 1.940 3.169 15.760 (b) n. domande ammesse 2004 141 952 238 319 871 712 1.347 4.580 presentate da 2003 142 1143 180 764 948 783 1.249 5.209 stranieri 2002 121 1025 176 758 700 724 1.126 4.630 ammesse: 2004 29,7 31,8 28,1 43,7 20,2 33,7 37,6 30,4 % stranieri 2003 su totale 2002 30,0 25,8 34,4 33,2 21,3 19,6 34,2 34,1 23,0 17,6 34,8 37,3 37,4 35,5 31,4 29,4 2004 28,6 28,3 16,2 18,2 3,6 28,7 19,8 17,6 2003 2002 33,3 22,8 26,1 27,2 17,1 26,7 7,7 9,3 6,0 14,2 35,0 35,1 15,8 22,5 17,8 22,1 a stranieri: % 2004 7,1 5,4 6,7 2,5 1,5 9,3 1,9 4,1 su totale domande 2003 ammesse (b) 2002 9,9 10,7 5,1 4,5 3,3 6,8 0,9 1,2 1,5 2,6 4,5 3,7 3,4 4,9 3,4 3,9 (c) domande (d) alloggi assegnati: % stranieri su totale (e) alloggi assegnati (*) Ai fini di risalire al totale regionale per il 2004, i dati della provincia di Treviso sono stati stimati in base alla graduatoria del 2005 fornita dall’Ater di Treviso. Fonte: Elaborazioni Osservatorio Immigrazione Regione Veneto su dati Direzione per l’Edilizia Abitativa – Regione Veneto e su dati Ater Treviso per il 2004 Come si può dedurre dai dati riportati sulla Tab. 3, occorre ricordare che, in linea con la presenza di immigrati residenti nei diversi territori del Veneto, le percentuali più alte di domande di cittadini stranieri su totale di quelle ammesse rispecchiano la più numerosa presenza di immigrati nei territori di Treviso, Vicenza e Verona. A livello di assegnazione di alloggi, le diverse realtà territoriali delineano, a eccezione di Verona, una situazione diversa rispetto alle domande che sono state accolte. Per quel che riguarda le richieste dei cittadini stranieri, 104 le Ater di Venezia71, Vicenza e Treviso evidenziano le quote più basse di assegnazioni di alloggi sulle rispettive domande ammesse; questo nonostante gli ultimi due territori abbiano una consistente presenza numerica di immigrati. Dall’altra parte, Verona, Belluno e Padova superano anche la media regionale, nonostante il bellunese sia il territorio della regione con la presenza più ridotta di stranieri (punto “e” della Tab. 3). 2.10.2. Gli aspetti critici evidenziati dai testimoni intervistati Dalle interviste ai testimoni privilegiati che operano sul territorio, le soluzioni intraviste per il miglioramento dell’inserimento abitativo degli immigrati sono emerse in termini di interventi generali, così come le relative problematiche sono state inserite in un contesto di complessivo disagio abitativo che coinvolge l’intera popolazione locale. Anche se i testimoni intervistati appartengono ad ambiti territoriali e d’intervento diversi, le riflessioni espresse in merito alle possibili soluzioni che si potrebbero attuare in merito si possono accomunare sotto due linee o profili principali riguardanti: da una parte, la programmazione e gestione delle case popolari o alloggi sociali; e, dall’altra, le azioni di accompagnamento intese come mediazione sociale e formazione per una completa autonomia del cittadino straniero. La prima si colloca a livello d’intervento generale e riflette, in questo modo, l’individuazione della popolazione immigrata nelle fasce in difficoltà dell’intera popolazione. La richiesta di riprogrammazione mira, infatti, alla necessità di un maggior protagonismo dell’edilizia residenziale pubblica di fronte all’esigenza di un maggior numero di alloggi, tra cui, il rilancio sul mercato delle abitazioni sfitte. In ogni modo, un rinnovato protagonismo è necessario, in primo luogo, per calmierare i prezzi dei canoni di locazione; e, in secondo luogo, per poter accedere ad un patrimonio abitativo a basso costo, di alloggi ad uso strumentale che facilitino l’inserimento e l’integrazione delle componenti straniere in condizioni di bisogno. In sintesi, un accesso programmato e definito in base alle diverse esigenze e con obiettivi specifici: “(…) l’edilizia pubblica dovrebbe dare delle assegnazioni a progetto. Per cui se tu hai bisogno, definiamo assieme un progetto per due, tre, cinque, dieci anni. Dopo dieci anni, se le tue situazioni di bisogno sono soddisfatte, ti porto ad un canone di mercato” (Int. 2.1). 71 L’Ater di Venezia, inoltre, detiene un patrimonio abitativo complessivo (soprattutto proprio e dello Stato) nettamente superiore alle Ater delle altre province e pari circa il 30% di quello relativo al Veneto (12.344 alloggi di cui 77% propri e 13% dello Stato). A contrario, l’Ater di Belluno detiene, il patrimonio Erp in gestione più basso della regione, trattandosi quasi esclusivamente di unità proprie. Fonte: ns. elaborazioni da dati forniti dall’Ater di Verona. 105 La seconda linea riguarda, invece, un tipo di intervento specifico rivolto principalmente agli immigrati. Questo profilo si presenta però come uno strumento di passaggio, di costruzione delle basi per un inserimento completo nel sistema: “(…) il problema vero che sottostà al problema dell’inserimento degli immigrati e che, allo stesso tempo, sottostà al problema abitativo è il modello d’integrazione che vogliamo. In questo caso ci dev’essere un modello d’integrazione che può derivare in un meccanismo di inserimento sociale e in una soluzione a carattere abitativo” (Int. 2.11). Occorre sottolineare che, sotto questo aspetto, la lettura dell’accompagnamento è emersa, per alcuni referenti, più orientata verso la fase/servizio di mediazione sociale; mentre per altri questa linea d’intervento è maggiormente intesa come un processo di informazione/formazione. In ogni modo, l’accompagnamento all’inserimento abitativo, all’affitto, all’acquisto, viene visto come un momento di passaggio in cui, anche se il principale protagonista è il cittadino immigrato, l’obiettivo è anche la società ricevente che, di conseguenza, viene anche essa ridiscussa. 2.11. Gli strumenti e le politiche abitative in ordine ai fabbisogni alloggiativi72 Fra le politiche e gli strumenti che garantiscono risposte alle necessità di accoglienza, accesso e sostegno all’abitare degli stranieri nella nostra regione, si possono distinguere quelli ordinari predisposti con risorse pubbliche, da tutti gli altri strumenti che sovente vanno ad integrare le politiche abitative pubbliche di base. Nell’insieme questi ultimi interventi si caratterizzano per la loro capacità di risposta a specifici bisogni dei contesti territoriali, per la loro flessibilità e audacia sperimentale, per il grado di coinvolgimento attivo di più soggetti e per la possibilità di coniugare azioni e iniziative differenziate; l’ottica è quella di sostenere il complessivo processo di integrazione sociale/abitativa dei cittadini stranieri. Allo scopo di favorire un rapido inquadramento di tali politiche, vengono riportati di seguito alcuni degli strumenti operativi maggiormente utilizzati e le loro specifiche caratterizzazioni. 72 Il presente paragrafo è il prodotto di una micro-indagine realizzata nel periodo compreso tra giugno-novembre 2006 dall’Osservatorio IMM sul problema della casa che interessa le collettività straniere. 106 2.11.1. Le politiche abitative e gli strumenti di intervento ordinari Gli strumenti pubblici che ordinariamente a livello territoriale garantiscono risposte alle necessità di accoglienza abitative degli stranieri, consistono, in prevalenza, nell’accesso ad alloggi di edilizia residenziale pubblica e nelle forme di contribuzione per affitti onerosi o di contribuzione per accesso a mutui prima casa, oltre alla predisposizione e gestione di forme di prima accoglienza. L’edilizia residenziale pubblica Il riferimento legislativo attuale a livello regionale in materia di Erp è la L.r. 10/96 che all’articolo 2 stabilisce i seguenti criteri di assegnazione degli alloggi Erp (Censis, 2005: 131): a) i richiedenti devono avere la cittadinanza italiana o di uno Stato aderente all’Unione Europea. Per i cittadini di altri Stati il diritto all’accesso agli alloggi Erp è garantito, quando è previsto in condizioni di reciprocità da convenzioni o trattati internazionali e quando il soggetto è iscritto nelle liste degli uffici provinciali del lavoro. Il requisito della reciprocità non è necessario nel caso in cui il cittadino di altri Stati svolge o abbia svolto nell’anno precedente la data di scadenza del bando di concorso, attività lavorativa in conformità alla normativa vigente; b) i richiedenti l’alloggio devono essere residenti o prestare attività lavorativa nel Comune cui si riferisce il bando; devono possedere un reddito da lavoro non superiore a certi limiti fissati; non devono essere titolari di altre abitazioni; non devono aver beneficiato di contributi Erp o di precedenti finanziamenti agevolati, concessi in altra forma dallo Stato o da altri Enti pubblici. Per i cittadini extracomunitari, l’art. 27 della legge 30 del luglio 2002 (legge “Bossi-Fini”) aggiunge ancora le seguenti condizioni di accesso all’edilizia residenziale pubblica: c) il possesso della carta di soggiorno; oppure un permesso di soggiorno almeno biennale; d) lo svolgimento di regolare attività di lavoro. L’Ente Locale indice annualmente i bandi di concorso per l’assegnazione degli alloggi Erp, raccoglie le domande, procede all’istruttoria e all’assegnazione degli alloggi in virtù di una graduatoria che viene annualmente aggiornata. Tutta la gestione del patrimonio di edilizia residenziale, fa invece capo alle Ater (Aziende Territoriali per l’Edilizia Residenziale pubblica), ex Iacp (Istituti Autonomi Case Popolari). 107 Rilevante e sempre più in aumento è il numero di immigrati che partecipano ai bandi di assegnazione degli alloggi pubblici, raggiungendo percentuali consistenti, soprattutto in alcune realtà territoriali73. Ma l’Italia rimane uno dei Paesi d’Europa con il più basso stock di abitazioni in locazione a canone sociale: secondo una ricerca del Cecodhas “mediamente in Europa, le abitazioni primarie in affitto costituiscono il 34% dello stock complessivo e, mentre in alcuni Paesi, come Germania e Olanda, superano ampiamente il 50%, in Italia, solo il 20% del patrimonio complessivo costituisce lo stock primario in affitto. Nell’ambito di questa offerta complessiva di abitazioni in affitto, si evidenzia una bassa dotazione di abitazioni in locazione a canone sociale, che coprirebbe meno del 20% dell’offerta locativa totale, mentre la media europea costituisce poco meno del 43%. In Italia la dotazione di abitazioni sociali in affitto non supera le 5 unità ogni 100 famiglie mentre in Europa, mediamente, ogni 100 famiglie si contano 19 abitazioni sociali in affitto”74. Inoltre, dal 2002 al 2004, “si può inoltre osservare che i fondi destinati alle Regioni da parte dello Stato per l’Edilizia Residenziale sono passati da 1,5 miliardi di euro a 808 milioni, segnalando una riduzione significativa del 55%”75. Secondo Federsolidarietà, citata dal Cnel (2006), sono 600mila le domande inevase degli aventi diritto all’assegnazione di un alloggio popolare a livello nazionale (comprensive di italiani e stranieri). Questi dati, nel loro complesso, evidenziano lo scarso investimento complessivo di risorse pubbliche in termini di politiche abitative, non in grado di sopperire alle necessità più critiche della stessa domanda manifesta. A questo si aggiunge poi la considerazione che lo stesso meccanismo di analisi e selezione adottato non sempre consente di far emergere le situazioni di grave disagio abitative. Ad esempio, considerati i requisiti sopra accennati di accesso all’alloggio, molti stranieri che vivono in condizioni di disagio abitativo grave (in quanto senza casa o posizionati in strutture di prima accoglienza o in situazioni di ospitalità e convivenze domestiche), non ricevono attribuzione di alcun punteggio, in fase di compilazione domanda alloggio Erp (Censis, 2005). 73 Secondo un referente intervistato (Int. 2.21), la percentuale di assegnazioni di alloggi a stranieri nella sola realtà di Padova e provincia si stima in circa il 30% sul totale complessivo delle assegnazioni relative all’anno 2005. 74 Dati espressi negli Atti del Convegno, European benchmarking and exchanges on the integration policies and actions for immigrants between the Regional Government of Veneto and the United Kingdom, France, Germany and Spain (a cura di Italia Lavoro), Bruxelles, 25 ottobre 2006. 75 Ibidem. 108 La contribuzione per affitti onerosi In questi ultimi venti anni si è assistito ad un intervento sulla casa a livello statale, regionale e locale, che ha avuto un particolare spostamento di asse: si è passati dall’“aiuto al mattone” all’“aiuto alla persona” (Censis, 2005). Piuttosto che incentivare nuove politiche di costruzione di alloggi, estremamente necessarie ma richiedenti un impegno economico molto ingente, si è cercata una modalità integrativa attraverso il Fondo Nazionale per il sostegno all’accesso alle abitazioni in locazione. Il Fondo è stato istituito dalla L. 431/98 ed ha lo scopo di supportare i nuclei abitativi meno abbienti dal punto di vista economico, con uno specifico contributo erogato in base alla valutazione dell’incidenza del canone di affitto sul reddito familiare. Al riguardo, però, occorre evidenziare che il Fondo stesso è stato oggetto di riduzione progressiva. Infatti, il Fondo “è passato dallo stanziamento di 440 milioni di euro nel 2000 a soli 236 milioni nel 2005” (Brigo, 2006)76, con il risultato di un restringimento, conseguente, delle possibilità di sostegno alle famiglie meno abbienti, anche quelle di origine straniera. La Regione Veneto, in particolare, con Deliberazione di giunta n. 1230 del 18 marzo 2005, ha fissato i criteri per la ripartizione del Fondo Affitti – anno 2004, ammontante complessivamente a 25 milioni di euro, di cui 5 milioni provenienti dal Bilancio Regionale (Censis, 2005: 132). 2.11.2. Gli “altri” strumenti a sostegno dell’abitare L’inquadramento generale Da un rapporto del Censis 2005 sulle attività di monitoraggio delle politiche abitative realizzate o in corso di realizzazione in favore degli immigrati nelle regioni del Centro Nord77, si evidenziano numerose iniziative attivate, seppur diverse fra loro per tipo di soggetto promotore e gestore, per tipologie abitative e finanziamenti utilizzati. Le iniziative consistono in azioni specifiche e, a volte, si caratterizzano come veri e propri percorsi articolati che non appaiono equamente diffusi nelle diverse realtà territoriali, ma rispecchiano una diversa concentrazione, sia in base alla storia delle politiche di welfare attive nei diver- 76 Dati comunicati durante il suo intervento in ordine alle “Buone prassi in ambito di inserimento e integrazione abitativa”, al Convegno European benchmarking and exchanges on the integration policies and actions for immigrants between the Regional Government of Veneto and the United Kingdom, France, Germany and Spain (a cura di Italia Lavoro), Bruxelles, 25 ottobre 2006. 77 Il rapporto finale relativo alle attività di monitoraggio fa riferimento d iniziative attive alla data del 30 giugno 2005. 109 si contesti territoriali, sia alle peculiarità dei bisogni relativi al disagio abitativo. Importante è a proposito la presenza in questi luoghi di particolari soggetti promotori e gestori delle iniziative di sostegno abitativo. Ovviamente, non avendo una caratterizzazione di ordinarietà in ambito di policy regionale, tali iniziative sono considerate più come opportunità di integrazione delle politiche abitative pubbliche e risultano altresì utili, anche per stimolare indirizzi e strategie da intraprendere per soddisfare i fabbisogni abitativi. Le regioni dove è stato rilevato il maggior numero di iniziative sono la Toscana e l’Emilia Romagna (15 in ciascuna), seguite proprio dal Veneto (13) Piemonte (10) e Lombardia (10). Le azioni individuate hanno prevalentemente una estensione e una ricaduta sul piano comunale, o al massimo provinciale. In qualche caso sporadico, come ad esempio quelle promosse e sviluppate in questi ultimi anni dal Consorzio Villaggio Solidale con sede a Padova, evidenziano un impatto più estensivo: sia sul versante dell’attivazione di reti interistituzionali, sia degli sviluppi progettuali per far fronte alle domande di alloggio da parte delle componenti straniere. La maggior parte di queste iniziative evidenziano la loro dimensione fondativa all’interno del mondo associativo e cooperativo, manifestando l’attenzione del Terzo settore alla lettura dei problemi di carattere pubblico e alla conseguente promozione di percorsi flessibili e innovativi per meglio rispondere alle specifiche necessità individuate. Un numero minore di iniziative sono state direttamente promosse da soggetti pubblici (in particolare dagli Enti Locali), soprattutto negli ultimi anni, evidenziando una cresciuta operosità di tali Enti a sperimentare percorsi mirati a sostegno dei processi di integrazione abitativa dei cittadini extracomunitari. Questi interventi spesso tendono ad implementare al meglio la capacità di risposta degli Enti Locali in funzione delle esigue risorse ordinarie. Sovente, il soggetto pubblico promotore dell’iniziativa tende a delegare la gestione diretta del servizio a operatori del privato sociale in rapporto di sussidiarietà; in pochi casi si rileva la consuetudine ad una gestione mista pubblico–privato (utilizzando lo strumento del convenzionamento) e ancora meno diffusa appare la consuetudine ad una gestione diretta delle iniziative da parte dello stesso Ente pubblico. Quanto alla tipologia dei soggetti coinvolti e partecipanti alle varie iniziative, sempre secondo i dati del monitoraggio del Censis, si osserva che la rete attivata può avere una connotazione orientata maggiormente verso il pubblico (Regione, Provincia, Comuni) o verso il privato sociale; anche se è importante rilevare il ruolo di reti territoriali più ampie e trasversali. Queste reti vedono la partecipazione del mondo imprenditoriale (associazioni datoriali, associazioni imprenditoriali di categoria, Camere di Commercio e Fondazioni), del sistema bancario, dell’associazionismo e delle organizzazioni sindacali. In Veneto, ad esempio, come in Lombardia, in Emilia Romagna, in Toscana e in Friuli, si riscontra la costituzione di Tavoli territoriali e/o cabine di pilotaggio che possono essere indicativi di un maggior livello di radicamento e sostenibilità dei per110 corsi e degli interventi da attivare. Dalla rielaborazione effettuata dal Censis la tipologia delle iniziative attivate nel settore alloggiativo appare diversificata all’interno di una dimensione progettuale in cui coesistono più interventi legati fra loro (Censis, 2005: 38–43). Complessivamente, dai dati della nostra esplorazione, si rilevano anche sul territorio regionale una serie di servizi raggruppabili in alcune aree di riferimento, come proposto dal già citato studio del Censis. Le attività di intermediazione Le attività di intermediazione sono fra le prestazioni maggiormente erogate dai servizi territoriali e sono quelle più diffuse e utili a facilitare l’accesso degli immigrati ad un alloggio, soprattutto per coloro che si trovano in situazioni di disagio linguistico/culturale; oppure nei casi in cui, pur avendo le possibilità economiche, si registrano difficoltà a causa di atteggiamenti di reticenza o di discriminazione da parte dei proprietari di case/appartamenti ed immobili in generale. Il servizio è caratterizzato concretamente dalla presenza di un soggetto intermediario (pubblico o privato) che funziona come una sorta di immobiliare sociale, offrendo interventi di ricerca di alloggi sul mercato privato in affitto o in proprietà; oppure servizi di intermediazione e sostegno per tutte le operazioni necessarie per la concretizzazione dell’apertura di un contratto di locazione o acquisto dell’immobile. Più nel dettaglio, i servizi di intermediazione possono essere “in” (quando permettono l’entrata dell’inquilino) e si caratterizzano per gli interventi volti a ricercare l’alloggio, a facilitare le operazioni di conclusione del contratto di locazione o di acquisto, ad accompagnare gli affittuari all’ingresso nella casa/appartamento o immobile commerciale; ma si possono anche caratterizzare per interventi mirati ad addestrare gli inquilini stranieri all’uso dell’alloggio, a favorire l’acquisizione del credito fiduciario al proprietario, ad attivare i servizi finanziari (ad esempio, assicurazioni, microprestiti, garanzie, fideiussioni e assicurazioni, accompagnamento a strumenti finanziari adeguati); oppure possono essere “out” (quando trattano l’uscita dell’inquilino). In questo ultimo caso consistono in servizi finanziari (ad esempio, il risparmio vincolato), crediti fiduciari per l’inquilino, ed ulteriore ricerca attiva per la casa o l’alloggio. A livello regionale si può ad esempio citare l’esperienza di AISA – Agenzia di Intermediazione Sociale per l’Abitare di Padova che propone un Modello Veneto di Accoglienza, incentrato sul servizio di intermediazione oltre che di gestione immobiliare integrata (Int. 2.14). In certi casi, si può osservare come il servizio di intermediazione comporti che il soggetto intermediario si assuma la responsabilità della intestazione diretta del contratto di affitto, diventando il referente unico di fronte al proprietario dell’alloggio: sia per il pagamento del canone che per il mantenimento dell’appartamento almeno per un tempo breve; 111 cioè fino all’avvenuta integrazione e autonomia piena del cittadino straniero all’interno dell’abitazione stessa. Questa situazione è più facile rilevarla nel caso in cui si siano sperimentate forme di gestione diretta del servizio da parte dell’Ente pubblico, come nel caso del Progetto “Operazione Casa Buona” attivato e realizzato dal Comune di Padova. L’Ente Locale assume in locazione, in qualità di conduttore, alloggi privati per due anni, concessi in forma transitoria a chi si trova in situazioni di difficoltà. I proprietari ottengono degli sgravi fiscali nel concedere al Comune l’alloggio e si sentono rassicurati rispetto ai rischi di morosità o danneggiamenti dell’immobile; mentre gli inquilini sostengono un canone di locazione a prezzi contenuti, poiché spesso è il Comune che versa la differenza al proprietario. “Si tratta di una esperienza significativa e interessante che ha stimolato l’adesione di molti dei proprietari di case autoctoni” (Int. 2.18). La gestione del patrimonio immobiliare e l’acquisto di alloggi La gestione del patrimonio immobiliare o la gestione delle operazioni finalizzate all’acquisto di alloggi sono servizi volti all’acquisto in proprietà, alla locazione o al comodato gratuito di alloggi, da assegnare in affitto a cittadini che versano in situazioni di bisogno. Diversi possono essere i soggetti attuatori di tale servizio: gli Enti locali, le cooperative sociali, le associazioni di volontariato e le organizzazioni del Terzo settore (negli ultimi anni hanno espresso interessanti forme di compartecipazione con il settore pubblico). Il Terzo settore – inteso in senso ampio – nel tempo si è attrezzato per gestire a vario titolo una serie di immobili da rendere disponibili a coloro che, pur non potendo per condizioni economiche usufruire di risposte dall’edilizia residenziale pubblica, faticano ad accedere ai prezzi del mercato privato. Gli alloggi sono stati acquisiti direttamente e affittati nel mercato libero, o, come in diversi casi, è stata sperimentata l’assegnazione, da parte degli enti pubblici, di alloggi in affitto o in comodato per un periodo temporale transitorio (15 o 20 anni) a fronte dell’impegno dell’operatore affidatario di garantire la ristrutturazione, la manutenzione e la gestione (Censis, 2005). Questa ultima soluzione produce i vantaggi di contenere i costi diretti di un acquisto di immobili per l’operatore privato e di poter rimetter in circolazione alloggi pubblici altrimenti non utilizzati. I soggetti gestori di tali servizi dispongono variamente di un patrimonio da gestire da un minimo di 10 alloggi − ed è il caso di chi svolge attività di intermediazione e affianca a tale servizio un gruppo di alloggi di diretta gestione − fino, in qualche caso, a più di 50 alloggi. In altri casi si sono costituite vere e proprie Agenzie per la Casa che garantiscono una serie diversificata e integrata di attività: dalla gestione immobiliare attraverso azioni di facility management (pulizia, portierato, manutenzione ordinaria, gestione spazi comuni) e azioni di property management (amministra112 zione condominiale, allacciamento e gestione utenze, riscossioni affitti, manutenzione straordinaria), alla gestione sociale (mediazione e prevenzione dei conflitti, mediazione interculturale, animazione condominiale). Non mancano attività di orientamento e inserimento (ai servizi territoriali, al lavoro) o di assistenza e cura della persona (attivazione della rete dei servizi territoriali); nonché attività di intermediazione sociale (come sopra dettagliato). L’Agenzia diviene un soggetto in grado, non solo di garantire l’offerta diretta dei servizi sopraccitati, ma anche di attivazione di reti territoriali in un’ottica di integrazione pubblico–privato e di stimolazione alla programmazione e sviluppo delle politiche abitative. L’accompagnamento e la mediazione sociale Le attività di accompagnamento e mediazione sociale sono volte a sostenere il processo dell’integrazione abitativa o alcuni momenti di esso. Generalmente sono gestite con il supporto di educatori, mediatori culturali e figure di mediatori sociali che garantiscono un supporto specifico durante le fasi di passaggio da una situazione abitativa all’altra; ad esempio, da una situazione di prima accoglienza ad una successiva di ricerca alloggio per medi periodi in strutture protette o piccole strutture (appartamenti gestiti da realtà del privato sociale o gestiti dalla combinazione pubblico–privato, come sopra accennato) fino al sostegno di un passaggio, a volte difficile, di ricerca di una soluzione nel mercato privato in locazione o acquisto. Inoltre, le attività di accompagnamento sociale presuppongono il sostegno nella conduzione responsabile della casa, interventi di mediazione fra inquilino e proprietario o fra inquilini stessi, con i condomini e il vicinato, il monitoraggio costante sull’andamento dell’integrazione abitativa. Questa tipologia di servizio, ritenuta molto utile in diverse realtà territoriali, di fatto presta attenzione agli aspetti relazionali, sociali e culturali del disagio abitativo ed è orientata a sostenere reali processi di convivenza e di integrazione territoriale. Il servizio di accompagnamento sociale, come avviene per altre situazioni di disagio specifico (nel campo della marginalità sociale, ad esempio), è attribuito, attraverso forme di convenzionamento, a cooperative sociali o associazioni che hanno competenza specifica in tale ambito; strutture cioè che si muovono a livello territoriale in stretto collegamento con i servizi sociali e con le comunità straniere. In genere non appare usuale l’articolazione di azioni di presa in carico per singoli o nuclei familiari costanti e prolungati nel tempo, a meno che non si tratti di situazioni problematiche che necessitano, invece, di dispositivi di presa in carico assistenziale più organizzata. Il percorso sociale di ricerca attiva di alloggio consiste comunque nell’offerta di un supporto individualizzato (in certi casi a piccoli gruppi di stranieri), attraverso una serie di azioni diversi- 113 ficate a seconda delle situazioni, finalizzate all’inserimento sociale/abitativo nel contesto urbano78. L’informazione e l’orientamento L’informazione e l’orientamento si caratterizzano con tutte quelle attività che vengono svolte per la ricerca della casa in base ad un’analisi della situazione socio-economica dell’interessato e del suo progetto di vita. Attività queste che si concretizzano per garantire la prima accoglienza, attraverso l’accesso all’edilizia residenziale pubblica, in strutture transitorie in termini di posto letto, in piccole strutture gestite da terzi, o nella fruizione diretta di opportunità che emergono dal mercato immobiliare (locazioni e acquisto). Le attività di informazione e orientamento sono svolte anche per fornire familiarità e conoscenza degli strumenti ordinari di sostegno all’abitare (ad esempio, nella compilazione e presentazione di domande per il contributo di affitto, di agevolazioni Ici per i proprietari che affittano con contratto convenzionato). Le attività di informazione e orientamento vengono generalmente organizzate attraverso il dispositivo dello “sportello” territoriale, che può essere decentrato e specifico rispetto ad altri servizi, ma più spesso collegato ad altre strutture o servizi (nell’ambito dello stesso Servizio Politiche abitative, presso circuiti associativi o religiosi, presso Centri Servizi). Da un inquadramento generale in territorio Veneto, ed in linea con quanto emerso dal rapporto 2005 del Censis sulle realtà del Centro-Nord, i servizi più diffusi risultano essere proprio quelli di intermediazione, di gestione del patrimonio immobiliare, di accompagnamento sociale. I fondi di garanzia e l’erogazione di prestiti e contributi I fondi di garanzia sono delle provvidenze economiche finalizzate a coprire i proprietari di case che affittano agli stranieri, in caso di inadempimento contrattuale per morosità o danneggiamento di un immobile o per danni recati a terzi. L’attivazione dei fondi è accostata spesso ad attività di intermediazione sociale che ne risultano maggiormente sostenute e rese legittime agli occhi del locatario. Per questo, sapere che in caso di qualsiasi inadempienza o danno – volontario o involontario – la cui responsabilità è attribuibile allo straniero, il 78 A riguardo si può segnalare, l’esperienza realizzata dalla Cooperativa Sociale “Il Sestante” incaricata dal Comune di Padova per sostenere in termini di accompagnamento le fasi di trasferimento di numerosi nuclei di stranieri residenti e domiciliati nei civici in corso di chiusura, per ordinanza del sindaco, all’interno del programma di riqualificazione dell’area urbana degradata Complesso “La Serenissima”. 114 proprietario riceverà il corrispettivo economico dal fondo di garanzia, rende più propensi a locare. In genere, l’ente gestore riesce a far confluire nel fondo contributi di vari soggetti (aziende, associazioni di categoria, ente locale, sindacati, fondazioni bancarie) e lo alimenta con le quote di iscrizione, contributi a fondo perduto, depositi cauzionali, donazioni, prestiti speciali. Le erogazioni di prestiti e contributi per l’affitto sono finalizzati al pagamento del deposito cauzionale e delle prime mensilità o all’acquisto della prima casa; a volte si tratta di contributi a fondo perduto, altre di prestiti agevolati, alimentati con la costituzione di fondi di rotazione o con l’attivazione di progetti di microcredito. Sono diverse le realtà territoriali venete (area di Padova– Rovigo, Vicenza, Venezia) (Int. 2.15 e 2.19), in cui risultano attive tali esperienze, anche se con specifiche proprie. La restituzione progressiva dei finanziamenti consentirà al fondo di garanzia messo a disposizione di autoalimentarsi, ampliando, conseguentemente, il numero di potenziali beneficiari. Le ristrutturazioni, la costruzione di nuovi alloggi e l’auto-recupero Le ristrutturazioni e le costruzioni di alloggi, sono finalizzate a ripristinare abitazioni dismesse; spesso queste attività vengono promosse in cambio della gestione in comodato gratuito degli immobili per un periodo: in genere non è inferiore ai 15 anni; oppure si tratta di attività di acquisto di aree edificabili dove sarà possibile successivamente la costruzione di nuovi alloggi. Generalmente sono operazioni di edilizia che vengono promosse e gestite da Cooperative Edilizie collocate sul mercato privato che possono offrire il vantaggio di rendere disponibile un certo numero di alloggi per la locazione a canone moderato o l’acquisto dell’immobile a prezzi più convenienti. A titolo di esempio si può citare il caso del Consorzio Cerv, le cui cooperative edilizie, “hanno realizzato in territorio veneto, negli ultimi trent’anni di attività, più di 100 programmi di costruzione di abitazioni nelle sette province del Veneto, per un totale di quasi 2000 alloggi; alloggi in cui negli ultimi anni vi accedono anche famiglie straniere per una quota parte del 20%, allo scopo di favorire un più naturale processo di integrazione” (Int. 2.17). Con le attività di auto-costruzione o auto-recupero di immobili, invece, si fa riferimento alle iniziative, con cui, attraverso lo strumento dell’associazione in cooperativa, cittadini italiani e stranieri in cerca di casa, intraprendono un percorso di protagonismo e di responsabilità diretta per soddisfare il proprio bisogno alloggiativo. Le esperienze dell’auto-costruzione, di fatto molto rare, si sono sviluppate nel nostro paese di recente importando modelli di interventi avviati in altri Paesi europei (Inghilterra, Germania, Olanda e Danimarca). In Italia sono stati sperimentati alcuni cantieri di auto-costruzione che si caratterizzano per le capacità di favorire dal punto di vista gestionale e dinamico forme di integrazione anti115 discriminatorie fin dalle fasi di avvio del processo di costruzione (ad esempio, in Umbria, in Emilia e in Lombardia). In Veneto tale esperienza è stata promossa e realizzata in forma di costruzione e co-abitazione in alloggi misti di italiani e stranieri, che hanno realizzato una interessante esperienza di responsabilità, di crescita e di vivace integrazione, costituendosi soci della Cooperativa Coralli (situata a Padova). In tal modo hanno partecipato attivamente alle fasi di pianificazione, programmazione e condivisione di tutte le scelte legate al processo costruttivo gestito dalla Cooperativa e ottenuto alloggi da utilizzare secondo la formula della “proprietà condivisa” e non della proprietà diretta (Int. 2.19). Gli studi, la ricerca e la consulenza in merito all’abitare Gli studi, la ricerca e la consulenza in merito all’abitare sono attività realizzate generalmente per gli Enti locali ed altri soggetti che intervengono sul tema del disagio abitativo. Diverse sono le realtà territoriali che manifestano questo tipo di attenzione. Ad esempio, la Fondazione La Casa, prevede oltre a servizi immobiliari e finanziari, nonché servizi alla persona, attività di networking e comunicazione delle esperienze più significative. Lo scopo è quello di incentivare momenti di coordinamento tra i diversi soggetti impegnati nel settore e di fornire consulenza sulle strategie abitative; ossia attività di consulenza e formazione per imprese, per operatori economici che promuovono percorsi alloggiativi mirati all’integrazione sociale. Inoltre, si promuove ricerca e sviluppo per facilitare la convivenza urbana. 2.11.3 Verso il rilancio delle politiche abitative, l’uso combinato di strumenti, lo sviluppo di nuovi progetti Dall’analisi documentale realizzata e dai colloqui ed interviste avute con alcuni referenti territoriali che intervengono nel settore, emerge che le politiche in ordine all’abitare sono da considerarsi piuttosto complesse. Da una parte si rileva un’articolazione significativa degli interventi che si attuano; dall’altra non si può nascondere la sensazione che nell’insieme si registra, comunque, una rilevante inadeguatezza delle politiche di sostegno alla residenzialità per stranieri. Questo si evince soprattutto dal fatto che i finanziamenti pubblici non sono sufficienti e, al contempo, si registra un’altrettanto insufficienza del quadro normativo fermo agli anni ’90. Aspetti che si sono tradotti in una evidente diminuzione dell’offerta pubblica abitativa che ha determinato una conseguente riduzione degli interventi destinati all’edilizia residenziale sovvenzionata ed un graduale esaurimento degli interventi sulle residenze convenzionate o agevolate. Contemporaneamente, però, “la domanda abitativa ha registrato una tenden116 za alla mutazione e crescita del fabbisogno abitativo. Sul fronte economico, se strutturalmente il patrimonio immobiliare residenziale in Italia è in proprietà, la compressione dei redditi e l’incremento dei valori immobiliari (oltre il 40% nell’ultimo quinquennio sul piano nazionale) ha elevato l’incidenza media del costo della locazione sul reddito medio familiare al 44,4% (…). Si manifesta quindi la necessità di riformulare le tradizionali politiche a sostegno della residenza privilegiando e rinforzando innanzitutto l’offerta locativa” (Di Piazza, 2006)79. In riferimento a questa necessità occorre fortemente rilanciare le politiche abitative attraverso una incentivazione degli interventi in favore delle famiglie con un reddito basso o medio-basso, per le quali la soluzione del problema abitativo non può essere affidata al solo mercato privato, ma deve essere collocata nell’ambito di un rilancio dell’edilizia sociale. Le possibili prospettive in ordine alle politiche e strumenti a sostegno, possono essere sintetizzate come segue: ̇ consolidare e allargare il patrimonio Erp, “stimolando i processi di riforma e di riqualificazione già avviati in molte regioni, che andrebbero maggiormente coordinati a livello nazionale attraverso una normativa quadro contenente anche la definizione di standard di riferimento tesi ad assicurare una gestione più efficiente” (Cnel, 2006: 8); con particolare riferimento ai livelli manutentivi, ai servizi resi, ai canoni ed alla morosità, nonché ai processi di entrata ed uscita dall’Erp; ̇ superare il problema dell’esaurimento di aree di espansione e sviluppo dell’Erp, in relazione alla L. 167/6280. A tale scopo, potrebbero individuarsi, nelle diverse realtà territoriali, aree di trasformazione in una precisa ottica sociale; ossia aree che, avendo perso una loro originaria funzione, potrebbero essere destinate a nuove funzioni. “Su tali aree (analogamente a quanto avviene in altre città europee, ed anche in alcuni Comuni italiani), si potrebbe prescrivere all’operatore privato di realizzare, accanto all’investimento immobiliare a rendimento, anche quote di edilizia convenzionata, preferibilmente in locazione. Una norma nazionale di indirizzo potrebbe spingere Regioni e Comuni ad inserire questa previsione nei piani urbanistici e nei regolamenti comunali” (Cnel, 2006: 8). Contemporaneamente, si ritengono importanti sia l’introduzione di un sistema più efficace di incentivi e disincentivi fiscali per le piccole proprietà al fine di rafforzare il ricorso all’applicazione del canone concordato sull’affitto; sia la promozione di un programma di sviluppo di edilizia agevolata in locazio- 79 Di Piazza F. (INU Veneto), “Nuove Politiche per la casa: un quadro interpretativo”, comunicazione al Convegno UrbanPromo 2006: Città Trasformazioni Investimenti, Venezia, 8 novembre 2006 80 Legge 18 aprile 1962 n. 167 – Disposizioni per favorire l’acquisizione di aree per l’edilizia economica e popolare. 117 ne, anche riprendendo modelli sperimentali pregressi, come quelli previsti dalla L. 21/0181, potenziandone così gli effetti con nuovi indirizzi strategici e sperimentali. Sarebbe utile ed efficace che alla realizzazione dei programmi di edilizia agevolata in affitto possano partecipare tutti i soggetti interessati, come i Comuni, le Cooperative, le imprese private e le associazioni di volontariato, in modo da offrire risorse, capacità tecnica di costruzione e/o di recupero ed esperienze in attività di gestione. Importante risulta, perciò, il rinforzo di iniziative progettuali, realizzate o in via di partenza: ad esempio, le forme di housing sociale che si stanno sviluppando in alcune realtà territoriali come Venezia e a volte con il coinvolgimento stesso della Regione Veneto su un piano più estensivo; iniziative che vedono la costituzione di partenariati pubblico-privato orientati a sperimentare nuovi strumenti a sostegno dell’offerta residenziale in termini di locazione sostenibile da parte di gruppi sociali più vulnerabili. Interessanti, infatti, come emerso nell’ultimo Convegno UrbanPromo citato, risultano gli strumenti market based promossi dal Terzo settore o da Società partecipate pubbliche, che oltre alle direzioni di pianificazione urbanistica territoriale per il potenziamento dell’offerta residenziale, prevedono l’utilizzo di un nuovo dispositivo mutuato dal mercato finanziario – come i fondi immobiliari di investimento – in grado di contribuire in modo significativo al potenziamento delle stesse politiche abitative. “L’istituzione di un fondo immobiliare di social housing per la costruzione di nuovi alloggi a canone agevolato, implica il coinvolgimento di almeno tre gruppi di operatori: gli enti pubblici (la Regione, o gli enti provinciali e locali ovvero altri enti pubblici o partecipati) che conferiscono al fondo le aree di sviluppo ed ottengono la valorizzazione del proprio patrimonio anche con il rendimento derivato dalla gestione del fondo; gli investitori spesso rappresentati dagli istituti di credito e da imprese portatori di risorse materiali (Banche, Istituti di Credito) ed altri soggetti che elevano la governance dell’iniziativa (con il coinvolgimento dei gestori sociali) e trasparenza dell’azione” (Di Piazza, 2006). “Il fondo immobiliare per la residenza sociale non rappresenta un dispositivo autonomo per la promozione di politiche abitative, bensì uno strumento di natura finanziaria la cui operatività è connessa, da un lato, alla sua integrazione con strumenti di pianificazione in grado di contenere il costo dei suoli apportati dalle amministrazioni al fondo; e dall’altro al perseguimento di un efficiente processo di montaggio dell’operazione (idem)”, in cui risorse materiali (aspetto finanziario) e immateriali (aspetto etico-sociale) si integrano a vicenda. Le più avanzate esperienze suggeriscono che per compiere un passaggio da risposte a breve termine – costruire per l’emergenza abitativa – a strumenti di 81 Legge 8 febbraio 2001 n. 21 – Misure per ridurre il disagio abitativo ed interventi per aumentare l’offerta di alloggi in locazione. 118 pianificazione volti a garantire un’offerta di alloggi a lungo termine e a prezzi calmierati, si debba perseguire una traiettoria che preveda l’integrazione di strumenti diversi dentro a un sistema partenariale significativo82. Inoltre, occorre promuovere e ricercare il coinvolgimento di soggetti afferenti a realtà variegate, legate allo sviluppo del territorio (pubbliche, private e private no profit). Questa ultima dimensione, unita al recupero del coinvolgimento di forme di protagonismo e crescita compartecipata degli stessi stranieri, potrebbe favorire un esercizio virtuoso verso percorsi maggiormente articolati e integrati; nell’ottica di superare le forme di frammentarietà e di scarso coordinamento nell’ambito delle politiche pubbliche (Tosi, 2002). 2.12. Osservazioni conclusive L’inserimento abitativo rappresenta uno degli ambiti centrali della esperienza vissuta dai migranti nella società di approdo. L’accesso alla casa diventa quindi una realtà che va cercata e vissuta, da una parte, come il diritto al bene materiale, al rifugio o al riparo; e, dall’altra, come il simbolo di costruzione o ricostruzione della propria identità e, di conseguenza, di affermazione della dignità individuale e collettiva nel contesto sociale della comunità di approdo. Per poter risalire ai fattori che determinano e, al contempo, delineano l’inserimento abitativo degli immigrati, è di fondamentale importanza sia collocare questa realtà all’interno del contesto generale che lo contiene, sia evidenziare le peculiarità specifiche che lo distinguono. Da questo punto di vista e, in base all’anzianità che l’immigrazione ha maturato nella nostra regione, gli immigrati rappresentano uno dei segmenti della domanda abitativa del mercato residenziale attuale. Tuttavia, la maggior fragilità economica e sociale inerente all’esperienza migratoria, soprattutto nelle sue prime fasi, circoscrive la domanda degli immigrati ai settori di maggior tensione, quali il mercato degli affitti e dell’alloggio sociale. La crisi strutturale del mercato abitativo italiano, centrata nello sbilanciato rapporto tra gli alti costi dell’abitazione e il reddito disponibile dei singoli e delle famiglie, contribuisce ad intensificare le condizione di disagio in cui vivono i soggetti economicamente e socialmente più deboli, tra cui la popolazione immigrata. In questo senso, nonostante il fabbisogno abitativo degli immigrati continui ad evolversi dalla richiesta temporanea dei singoli lavoratori verso una domanda più strutturata e stabile dei nuclei familiari, permangono ancora significativi margini di disagio. Tra questi, si riscontrano, in primis, le difficoltà nella sostenibilità della casa, sia per le abitazioni in affitto che per quelle in proprietà. In stretto rapporto con questo aspetto, esteso a tutta la popolazione locale, altri e- 82 Convinzione emersa da tutti i referenti territoriali intervistati. 119 lementi di carattere giuridico – nello specifico i vincoli tra l’idoneità alloggiativa, il lavoro e il soggiorno in Italia – rendono, la risoluzione o meno di queste difficoltà, del tutto decisive per l’esito del progetto migratorio e per la qualità della vita. Tra l’altro, seppur vero che certe situazioni di emergenza abitativa si sono ridotte col maturarsi dell’insediamento delle comunità straniere nel nostro territorio, la combinazione di difficoltà di carattere economico, giuridico, sociale e culturale possono creare o prolungare situazioni di conflittualità. L’innescarsi di fattori che mettono in collegamento i precedenti aspetti, favoriscono la circoscrizione della popolazione immigrata in zone abitative a maggior rischio di marginalizzazione sociale, contribuendo a situazioni di conflitto che possono variare da contenuti problemi tra vicini di casa (tra autoctoni e stranieri o tra immigrati), a veri e propri insediamenti in cui si verificano fenomeni di microcriminalità e di conflitto sociale. Di conseguenza, anche se la tendenza all’acquisto dell’abitazione da parte degli immigrati sembra proiettare un andamento in crescita, è di fondamentale importanza leggere i meccanismi che sottostanno a questa propensione. La rincorsa alla proprietà, che ha contraddistinto negli ultimi decenni la domanda delle famiglie italiane, sembrerebbe oggi coinvolgere sempre di più la domanda dei gruppi familiari migranti. In base alle caratteristiche del mercato abitativo nazionale e regionale, è giusto domandarsi se questa tendenza non risponda, in realtà, all’inaccessibilità di un mercato delle locazioni: insostenibile dal punto di vista dei lavoratori monoreddito e, fragile, dal punto di vista di famiglie plurireddito. In ogni modo, pur con il permanere di difficoltà legate all’inserimento economico e sociale della popolazione straniera, l’evolversi della domanda abitativa lascia anche intravedere la forte volontà degli immigrati a migliorare la qualità della vita. Da questo punto di vista, l’investimento nella casa, nello specifico la ricerca di migliori condizioni abitative, rappresenta il primo grande salto di qualità. E anche se la stabilizzazione definitiva della loro presenza nella nostra regione non rappresenti necessariamente il fine ultimo di questo investimento, questo passo comporta senz’altro una propensione ad un soggiorno più lungo e ad una maggiore all’integrazione nella società di approdo. 120 Bibliografia Ambrosini M. (2006), Delle reti e oltre: processi migratori, legami sociali e istituzioni, Working Papers del Dipartimento di studi sociali e politici, Università degli Studi di Milano, www.sociol.unimi.it. Ambrosini M. (2005), Sociologia delle migrazioni, Il Mulino, Bologna. Ance (2004), Politica della casa. Risposte ad un problema sociale, Conferenza Stampa. Barbiani E., Bragato S., Canu R., Pedenzini C. e Zanon V. (2003), Una rassegna sull’evoluzione dell’immigrazione in provincia di Venezia, Osiv, Venezia. Bragato S. (2005), “Immigrati e bisogni abitativi. I termini della questione”, Notiziario Osiv, n.3, Venezia. Buisán A. e Restoy F. 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