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2022 •
This article focuses on Giles of Rome’s De regimine principum (ca. 1280) and on its oldest Italian version (Governamento dei re e dei principi, 1288), which is based on the Old French translation by Henri de Gauchy (1282). One of the most important themes of Giles’ speculum is the Aristotelian conception of man as a political animal; the present contribution analyses the differences in its reception in the vernacular translations, and then takes into account the treatment of related themes such as the problem of the regimen politicum in the original and vernacular De regimine.
Questo articolo raccoglie, in forma unitaria e coordinata, note, osservazioni e riflessioni che ho elaborato nel corso degli ultimi anni in merito alla validità euristica di una tipologia, quella di “divinità della natura”, abitualmente in uso negli studi di carattere accademico e presente non di meno nel pensiero diffuso e nel bagaglio culturale di molte persone. Gli spunti critici qui riportati, e che trovano in questa sede una prima redazione scritta, nascono in risposta alle perplessità in me sorte riguardo alle modalità di impiego di questa tipologia e alle concezioni teoriche, idee e preconcetti che a questa si trovano spesso strettamente associati. Nell’insieme, si tratta di un quadro da cui emergono dei veri e propri luoghi comuni che, nonostante le critiche di cui sono stati oggetto già in passato, continuano ad essere ampiamente presenti nella letteratura accademica e non, in maniera diversificata e quasi come un dato aprioristico obiettivo. Complessivamente, tutto ciò pone in discussione ai miei occhi la validità ultima della tipologia, anche solo quale convenzionale bussola di orientamento, perché, a mio giudizio e almeno per quanto riguarda le divinità dell’Antichità Classica, ci conduce nella maggior parte dei casi verso una semplificazione eccessiva delle figure divine e del loro articolato campo di azione, se non addirittura su posizioni completamente errate. Queste modalità di impiego possono essere così riassunte in breve secondo il seguente schema che ne focalizza i punti che ritengo problematici: 1) il processo di selezione all’interno di un pantheon di specifiche “divinità della natura”; 2) analizzare isolatamente le presunte “divinità della natura” al di là delle possibili connessioni con altre divinità o eventualmente solo in rapporto a quelle divinità che sono state annoverate nella medesima tipologia; 3) la proiezione consapevole o meno sull’area storico-culturale studiata di un concetto di “natura” ad essa estraneo se non addirittura in essa completamente non esistente in qualsiasi forma; 4) la riduzione della sfera d’azione di una specifica divinità al solo oggetto naturale con la quale la si ritiene strettamente correlata; 5) l’identificazione della divinità stessa con l’oggetto naturale con la quale la si ritiene strettamente associata; 6) la riduzione delle specificità storiche di una divinità alle astratte caratteristiche delle tipologie elaborate a tavolino dagli studiosi, come possono essere ad esempio i dema o dying and rising gods frazeriani. Si tratta di tipologie che sono spesso associate alle cosiddette “divinità della natura” quale chiave interpretativa. Le concezioni teoriche, le idee e preconcetti associati a questa tipologia, e di cui si accennava in precedenza, possono essere così riassunti in breve secondo la medesima impostazione: 1) ritenere quale presupposto che l’attività della presunta “divinità della natura” si riduca esclusivamente alla sola promozione della fertilità naturale e della fecondità umana e animale, o comunque ritenere che queste siano le sue funzioni cardine, originarie ed essenziali; 2) considerare le divinità femminili storicamente attestate nelle civiltà antiche, prevalentemente, ma non solo, quelle legate in maniera diversificata all’ambito naturale e al ciclo della fertilità agricola, animale e umana, come sviluppo di un aspetto o di una funzione di una presunta Grande Dea preistorica.
in Philosophy Kitchen, ottobre 2018 < http://philosophykitchen.com/2018/10/ermanno-castano-agamben-e-lanimale-la-politica-dalla-norma-alleccezione/>
Recensione a Ermanno Castanò, Agamben e l’animale. La politica dalla norma all’eccezione, Aprilia: Novalogos, 20182018 •
Una tra le presenze più sorprendenti nel poema dantesco è quella degli animali: una presenza continua e variatissima, che si esprime soprattutto nelle similitudini. Si va dalle tre immagini usate in Inferno V per le anime dei lussuriosi, storni, gru e colombe, e si arriva sino alle api cui sono paragonati gli angeli nell'Empireo (Paradiso XXXI), passando per decine di occorrenze nelle tre cantiche. Non bisogna pensare infatti che la similitudine animale svolga esclusivamente una funzione di degradazione bestiale dei dannati, in quanto tali immagini sono frequenti anche nel Purgatorio e perfino nel Pa-radiso. Del resto, la cultura medievale conosce una vasta letteratura naturalistica: nei bestiari e nelle enciclopedie si elencavano le caratteristiche, reali o immagi-narie, degli animali e se ne offriva poi un'interpretazione simbolica, morale e allegorica. Così, le similitudini animali dantesche non sono semplici qua-dretti naturalistici, come sostenuto a lungo dalla tradizione critica. In esse agiscono invece complesse e rivelatorie strategie di costruzione del significato, attraverso l'attivazione dei valori simbolici attribuiti agli animali nella cultura medievale e la ripresa dei riferimenti in diversi punti del poema.
2018 •
International Journal of Occupational Medicine and Environmental Health
Response to the letter of Dr. A. Nersesyan2012 •
Mediterranean Journal of Social Sciences
Bureaucracy Ethics Based in Public Service Local Wisdom in Gowa2015 •
2004 •
Recent Advances in Petrochemical Science
Resistivity Fractal Dimension for Characterizing Shajara Reservoirs of the Permo-Carboniferous Shajara Formation Saudi Arabia2018 •
Semnan university
Deviation in the Poetry of Mushfiq Kāshānī