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Capitolo I I diritti inviolabili dell’uomo Sommario : 1. La nozione di diritto inviolabile e l’art. 2 della Costituzione italiana. – 2. Il catalogo dei diritti inviolabili. – 3. Un problema “multilivello”. – 4. Un problema di garanzie, di definizioni e di bilanciamenti. – 5. Un problema di tutela giurisdizionale. – 6. Un problema di gestione. – Bibliografia essenziale. 1. La nozione di diritto inviolabile e l’art. 2 della Costituzione italiana Le due caratteristiche più significative del costituzionalismo moderno sono compendiate emblematicamente nell’affermazione contenuta nell’art. 16 della Dichiarazione dei diritti dell’Uomo e del Cittadino, formulata nel corso della Rivoluzione francese, il 26 agosto 1789, in seno all’Assemblea Nazionale Costituente: «Toute Société dans laquelle la garantie des Droits n’est pas assurée, ni la séparation des Pouvoirs déterminée, n’a point de Constitution» [Ogni società nella quale la garanzia dei diritti non è assicurata, né la se- 2 Fulvio Cortese parazione dei poteri determinata, non ha Costituzione]. Non può dirsi, dunque, che l’ordinamento giuridico sia davvero costituzionale laddove non si proponga di proteggere i «diritti» e di limitare, a tal fine, il potere pubblico mediante l’assunzione di un principio organizzativo di «separazione» delle sue articolazioni concrete. È questa, del resto, la stessa impostazione seguita dalla Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America (1776), che in egual modo riferisce a «tutti gli uomini» la titolarità «di certi inalienabili diritti». Concentrandosi su questi «diritti», si ricava che loro tutela è elemento essenziale alla possibilità stessa di individuare una Costituzione: ne rappresenta, per così dire, l’intima e intrinseca ragione teleologica, la finalità nella cui prospettiva si giustificano sia l’esistenza del potere, sia il vincolo di “obbedienza” e di rispetto reciproco cui si legano tutti i soggetti dell’ordinamento. Diventa, quindi, altrettanto essenziale comprendere di quali «diritti» si tratti. A tale riguardo, nel Preambolo della medesima Dichiarazione del 1789 è reperibile un chiaro e univoco indizio, poiché si discute apertamente dei «droits naturels, inaliénables et sacrés de l’Homme» [diritti naturali, inalienabili e sacri dell’Uomo]. I «diritti» che giustificano l’esistenza del potere pubblico e che devono sempre essere rispettati sono quelli che appartengono ad ogni essere umano, che ne contraddistinguono in modo saliente l’umanità. L’UNIVERSALITÀ DEI DIRITTI DELL’UOMO La prospettiva di lettura ora brevemente descritta riflette la tradizionale e dominante vocazione universalistica – e illuministica – della teoria dei diritti umani, concepiti come situazioni soggettive di cui tutti sono titolari, indipendentemente dalla na- I diritti inviolabili dell’uomo 3 zionalità, dalle origini etniche, dalle condizioni sociali etc. In tempi recenti questa lezione è stata al centro di un certo dibattito, poiché alcuni autori hanno evidenziato una strutturale ambiguità nella nozione (così definita) dei diritti umani. Essa infatti imputerebbe prerogative e istanze di tutela e di realizzazione personale anche in capo a individui che, per le circostanze più disparate (povertà, guerre, regimi autoritari, calamità naturali…), possono riuscirne avvantaggiati solo teoricamente. Pertanto, in quest’ottica, una tutela dei diritti umani che sia disgiunta da un’azione concreta a favore della diffusione trasversale di specifici assetti politico-istituzionali (democratici) rischierebbe di avere un significato soltanto retorico. Altri autori, tuttavia, hanno contemporaneamente ribadito l’importanza della visione cosmopolitica dei diritti umani, poiché, proprio per la sua capacità critica nei confronti di situazioni fattuali con essa radicalmente contrastanti, produrrebbe fenomeni e processi cc.dd. “giusgenerativi”, idonei, cioè, a mutare quelle stesse situazioni mercé la diffusione e il consolidamento di una “cultura dei diritti” maggiormente effettiva. L’impostazione maggioritaria, di matrice storicamente liberale, viene accolta, in linea di massima, anche nella Costituzione italiana, allorché, all’art. 2, si afferma che la Repubblica «riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo». I «diritti inviolabili», infatti, altro non sono, innanzitutto, che i diritti che il costituzionalismo moderno ha voluto e vuole tuttora porre in un regime di indisponibilità da parte del potere, in quanto considerati alla stregua di porzioni costitutive di una dimensione irrinunciabile. È, poi, naturale che le Costituzioni del secondo dopoguerra abbiano spesso sentito l’esigenza di sintetizzare tali principi in una disposizione specifica (così è stato, ad esempio, anche nella Costituzione tedesca del 1949, all’art. 4 Fulvio Cortese 1, nella Costituzione spagnola del 1978, all’art. 10, o nella Costituzione portoghese del 1976, all’art. 2): la tradizione giuridica occidentale sentiva la necessità, dopo le tragiche esperienze dittatoriali e totalitarie esplose negli orrori del conflitto mondiale e della Shoah, di riaffermare in modo ancor più forte il paradigma di necessario rispetto della dignità umana e dei diritti che ne costituiscono il patrimonio fondamentale. In questo senso, però, può essere utile ricordare che la Costituzione italiana sviluppa e perfeziona la percezione relativa alla sfera di ciò che è fondamentale e intangibile, poiché il suo riferimento non è soltanto l’uomo: l’art. 2 dispone, certo, il riconoscimento e la garanzia dei diritti inviolabili «dell’uomo», ma precisa che questo viene preso in considerazione «sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità». Pertanto, il termine ultimo dell’attribuzione dei «diritti inviolabili» non è l’uomo inteso in senso astratto e atomistico, come titolare individuale di una relazione esclusiva con il potere pubblico, bensì la persona, come tale immersa in una rete di relazioni, di esperienze e di bisogni che contribuiscono a connotarne la concretezza e la realtà, e che, pertanto, partecipano del carattere dell’indisponibilità. Da questo punto di vista, ben si può sostenere, mutuando le parole utilizzate in Assemblea Costituente dall’On. La Pira, che quando si parla di diritti dell’uomo non ci si può riferire soltanto «ai diritti individuali di cui parlano le Carte costituzionali del 1789», ma anche «ai diritti sociali e delle comunità, attraverso le quali la persona umana si integra e si espande» (prima Sottocommissione della Commissione per la Costituzione, seduta del 9 settembre 1946). Facendo ricorso ad un’immagine usuale nel contesto del I diritti inviolabili dell’uomo 5 linguaggio matematico, i diritti inviolabili dell’art. 2 Cost. integrano un insieme più ampio di quello costituito dai diritti dell’uomo di cui all’art. 16 della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino. Essi sono lo specchio di un ordinamento costituzionale che non ha più, come scopo principale, tipico dello Stato liberale di diritto, la sola garanzia negativa di talune prerogative individuali definibili quali innate, e che si propone, anzi, come la maggioranza degli Stati democratici della tradizione continentale, di fare di più, di «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese» (art. 3, comma 2, Cost.). Esiste una corrispondenza, quindi, tra la mutata forma di Stato e l’individuazione dei diritti inviolabili; così come esiste un rapporto tra questa specifica corrispondenza e l’opzione relativa al carattere rigido e garantito della Costituzione. Nella Repubblica italiana, il «fine ultimo dell’organizzazione sociale» consiste nello «sviluppo di ogni singola persona umana» (così Corte cost., sent. n. 167/1999; è il c.d. “principio personalista”), e ciò anche quando tale sviluppo avviene nelle formazioni in cui si articola la società: sicché anche tali comunità o gruppi o associazioni, in quanto contribuiscano al raggiungimento di quella finalità, da un lato meritano tutela e promozione, dall’altro sono tenute a rispettare i diritti inviolabili di ogni singolo individuo (sono queste le due proiezioni del c.d. “principio pluralista”). Al contempo, se tutta la Repubblica e tutti i poteri, pubblici e privati, che in essa sono inscritti, sono impegnati in 6 Fulvio Cortese una coordinata e complessa azione di tutela dell’individuo e di garanzia del pluralismo sociale come elementi necessari per il libero sviluppo della persona, i diritti inviolabili che a questa sono connessi esigono che quell’azione sia coerente e che si traduca talvolta in prestazioni o in funzioni ben precise. In questo senso, i «diritti» di cui all’art. 2 Cost. – che si definiscono, usualmente, come assoluti, inalienabili, irrinunciabili e indisponibili, oltre che imprescrittibili – non coincidono con il classico numero dei diritti e delle libertà civili e politici, giacché comunque competono all’uomo, e quindi anche ai non cittadini (Corte cost., sent. n. 245/2011), né possono delimitarsi alle sole situazioni soggettive che la Costituzione definisce espressamente come inviolabili. Tra quei «diritti», cioè, possono annoverarsi anche pretese variamente definite come strumentali al raggiungimento degli obiettivi positivi di emancipazione che, come si è visto, la Costituzione stessa enuncia. Essi obbligano il potere ad esprimersi in senso ragionevolmente conforme, sia per fornire soddisfazione concreta ad un’istanza specifica, sia per tessere quelle condizioni di carattere materiale e morale senza le quali sarebbe del tutto frustrato anche il godimento dei “diritti di libertà” in senso proprio. In questo modo l’art. 2 Cost. si propone di riconoscere, garantire e promuovere anche un adeguato spazio di libera determinazione per ciascun individuo, senza che sia possibile imporre soluzioni di carattere identitario. Come hanno osservato alcuni interpreti, tramite questa formula non si tratta di comprendere (solo) quali siano i limiti all’azione pubblica di “definizione” dell’individuo e del suo ruolo, privato o sociale, bensì (soprattutto) di consentire che sia l’individuo ad esprimersi e a “dire” allo Stato quale sia la pro- I diritti inviolabili dell’uomo 7 pria identità. Il cambiamento di orizzonte rispetto alla precedente cornice costituzionale e, in modo ancor più forte, rispetto allo Stato fascista è veramente netto. Neppure il legislatore (ordinario o costituzionale) può limitare o annullare la tutela offerta ai diritti inviolabili, poiché essi, proprio perché posti a giustificazione del nuovo assetto repubblicano e delle sue finalità complessive, rientrano nel novero di quei «principi supremi che non possono essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale neppure da leggi di revisione costituzionale o da altre leggi costituzionali» (sui limiti alla revisione costituzionale v. soprattutto Corte cost., sent. n. 1146/1988; sui diritti inviolabili come limite v. Corte cost., sentt. nn. 336/1991, 35/1997). DIRITTI DI LIBERTÀ Quando ci si riferisce a situazioni giuridiche soggettive che nella disciplina costituzionale devono essere sempre riconosciute e tutelate, si utilizzano talvolta anche altre qualificazioni. In dottrina, ad esempio, è frequente il ricorso all’espressione “diritti di libertà” per identificare tutte quelle situazioni soggettive di natura attiva la cui attribuzione implica il libero svolgimento di comportamenti materiali o di attività giuridiche, e che richiedono, quindi, per realizzarsi, di essere semplicemente esercitate (così è, ad esempio, per il diritto di riunirsi, di cui all’art. 17 Cost., o per la libertà di circolare, di cui all’art. 16 Cost., o per la libertà di manifestare il proprio pensiero, di cui all’art. 21 Cost.). Come tali, questi “diritti” si differenzierebbero da altri diritti imputabili alla persona (come il diritto al nome, di cui all’art. 22 Cost.), che costituiscono attributi ineliminabili dell’uomo e che si realizzano all’atto della loro stessa attribuzione. 8 Fulvio Cortese La distinzione viene praticata soprattutto allo scopo di chiarire che i “diritti di libertà”, esprimendosi innanzitutto in un paradigma di libero agire, hanno matrice individualistica, sono attribuiti, cioè, al singolo per il perseguimento di fini liberamente prescelti, e possono conoscere, quindi, limitazioni puntuali solo in forza di particolari disposizioni costituzionali che le giustifichino. Come si vedrà, però, le classificazioni astratte offrono soltanto riferimenti tendenziali (v. in partt. parr. 4, 5 e 6), poiché la dimensione effettiva dei diritti e delle libertà, anche inviolabili o fondamentali, si deve misurare nel risultato del difficile equilibrio tra legislatore, giudice costituzionale, giudici ordinari e amministrativi, amministrazione. 2. Il catalogo dei diritti inviolabili Se la cornice concettuale in cui si inscrive la nozione costituzionale di diritti inviolabili appare abbastanza condivisa, non è molto semplice effettuare una rassegna di quali siano effettivamente le sue manifestazioni. Facendo tesoro dell’approccio ora brevemente descritto, e ricorrendo alla lettura diretta della Costituzione, si può constatare che, in primo luogo, possono qualificarsi senz’altro come inviolabili tutte le posizioni soggettive che vengono esplicitamente definite in tal modo. Così è per la libertà personale (art. 13), la libertà del domicilio (art. 14), la libertà e la segretezza della corrispondenza (art. 15), il diritto alla difesa (art. 24; ma quest’ultimo deve essere letto, oggi, anche unitamente all’art. 111 Cost., poiché entrambi riconoscono «un nucleo minimo di garanzie»: v., ad es., Corte cost., sent. n. 341/2006, con riferimento ai diritti dei detenuti). I diritti inviolabili dell’uomo 9 In secondo luogo, però, la Corte costituzionale ha affermato che sono parimenti inviolabili anche altri “diritti”, disciplinati sempre dalla Costituzione, ma sforniti della relativa “qualificazione” di “inviolabile” (libertà religiosa, ex art. 19: ad es. sentt. nn. 14/1973 e 467/1991; libertà di manifestazione del pensiero, ex art. 21: ad es. sentt. nn. 122/1970, 168/1971, 368/1992) o testualmente riferiti ai soli cittadini (diritto di associarsi, inteso come libertà di adesione, ex art. 18: ad es. sent. n. 239/1984). Non v’è dubbio, del resto, che questi “diritti” possano pacificamente considerarsi ricompresi nella nozione in esame, se non altro perché partecipano, tradizionalmente, della stessa cultura (liberale) da cui è storicamente derivata anche l’affermazione dell’inviolabilità delle situazioni soggettive che vengono espressamente definite in questo modo. La medesima constatazione può farsi, a maggior ragione, per l’inviolabilità del diritto alla vita (Corte cost., sentt. nn. 54/1979 e 223/1996) o del diritto al nome (e all’identità personale: Corte cost., n. 13/1994). La Corte costituzionale, tuttavia, coerentemente con la prospettiva personalista dell’art. 2 Cost., ha riferito l’inviolabilità anche ad ulteriori posizioni soggettive, perché tipiche della situazione di appartenenza ad elementari aggregazioni sociali e del favor che la Repubblica dimostra nei loro specifici riguardi (diritto all’unità familiare, arg. anche ex art. 29: sentt. nn. 28/1995, 376/2000; diritto a contrarre matrimonio, arg. anche ex artt. 31 e 37: sent. n. 27/1969) o perché concernenti prestazioni che, nel quadro dello scopo di miglioramento progressivo dei presupposti dell’esistenza di ogni individuo, anche la Costituzione ritiene irrinunciabili e attinenti a pretese di natura fondamentale (diritto alla salute, arg. ex art. 32: ad es. sentt. nn. 88/1979, 1011/1988, 10 Fulvio Cortese 414/1991, 252/2001, 432/2005; ma anche diritto all’istruzione: ad es., sent. n. 13/2004; e anche i diritti previdenziali, arg. ex art. 38: ad es. sent. n. 64/1975). Questa operazione di progressiva ottimizzazione del catalogo dei diritti inviolabili è stata oggetto di grandi e vivaci discussioni dottrinali, soprattutto in relazione alla possibilità, sostenuta da alcuni autori, di interpretare l’art. 2 Cost. come “fattispecie aperta”. A che cosa ci si riferisce quando si utilizza questa espressione? Sostenere che l’art. 2 sia una “fattispecie aperta” significa pensare che il riconoscimento, in esso contenuto, circa l’inviolabilità di taluni diritti non sia una formula riassuntiva o “di chiusura”, e quindi riferibile alle sole ipotesi di diritti e/o di libertà contemplate esplicitamente nel testo costituzionale, bensì rappresenti una clausola generale, capace di essere implementata assecondando, in via interpretativa, tutte le nuove ed eventuali domande che in tal senso emergano gradualmente nella società e che, come tali, vengano riconosciute dalla giurisprudenza o dal legislatore ordinario. La nozione di diritto inviolabile, quindi, potrebbe considerarsi come un concetto giuridico indeterminato, suscettibile di essere di volta in volta specificato, in uno con l’evoluzione del contesto socio-culturale di riferimento. Tale impostazione, inoltre, consentirebbe di attribuire alla formulazione verbale utilizzata dalla stessa Costituzione (la Repubblica «riconosce» i diritti inviolabili) il significato di un rinvio ad una dimensione che non è extragiuridica (o naturale), ma che trae le proprie ragioni dal coevo riconoscimento del pluralismo sociale e delle sue innegabili caratteristiche di mutevolezza e di flessibilità. Senza voler prendere posizione sulla plausibilità di simile lettura, è incontestabile che il diritto vivente, soprattutto a I diritti inviolabili dell’uomo 11 partire dagli anni Settanta del Secolo scorso, vi ha fatto ricorso e vi ricorre ancora, in molti casi supplendo ai ritardi o alle manchevolezze del legislatore e arricchendo così il menzionato catalogo dei diritti inviolabili. La Costituzione rappresenterebbe, in questa prospettiva, un organismo capace di un respiro costante, una valvola regolatrice del rapporto inevitabilmente osmotico tra comunità e ordinamento giuridico. È stata la Corte di cassazione, ad esempio, ad affermare per la prima volta, in assenza di una specifica ricognizione normativa, l’esistenza di un diritto inviolabile alla privacy, anche al di fuori della sfera della c.d. “intimità domestica” (sent. n. 2129/1975); e ciò il giudice civile ha fatto proprio mediante il richiamo dell’art. 2 Cost. e derivando, dallo stesso, un più generale diritto all’autodeterminazione personale. Anche la Corte costituzionale, pur esprimendosi, inizialmente, in senso opposto a simile indirizzo interpretativo, non è stata estranea a questa prassi. Non solo si è pronunciata, anch’essa, con riguardo al diritto alla privacy (sent. n. 139/1990). Hanno formato oggetto di riconoscimento numerosi altri e importanti diritti, quali il diritto alla libertà sessuale (sent. n. 561/1987), il diritto all’identità personale (sent. n. 13/1994), i diritti fondamentali attinenti allo status o alla identità biologica (sentt. nn. 50/2006, 226/2006). Il più delle volte, però, la Corte costituzionale ha affermato l’inviolabilità di nuovi diritti non solo in ragione di una supposta valenza “elastica” dell’art. 2 Cost., quanto, piuttosto, in forza di un’interpretazione sistematica della Costituzione e delle altre fonti, di diritto interno o di diritto internazionale, che si potevano effettivamente invocare nel 12 Fulvio Cortese caso concreto (cfr. ad. es. per il diritto all’abitazione, sentt. nn. 404/1988, 252/1989, 310/1989, 419/1991; per il diritto degli inabili all’accompagnamento, sent. n. 246/1989; per il diritto ad abbandonare il proprio Paese, sent. n. 278/1992). D’altra parte, anche chi ritiene che l’art. 2 Cost. sia una “fattispecie chiusa” tende talvolta a considerare comunque l’esistenza di nuove situazioni soggettive, giungendo, anche servendosi dell’interpretazione sistematica, ad una lettura estensiva dei diritti esplicitamente contemplati dalla Carta. Recentemente, inoltre, la Corte ha dimostrato di rivolgere, sia pur in un caso specifico, una particolare attenzione anche ad una sorta di “interpretazione storico-culturale”, che, da un certo punto di vista, tende a svolgere, mediante una lettura di stampo quasi originalista, un’azione uguale e contraria a quella potenzialmente effettuabile sulla scorta del ricorso alla teoria della “fattispecie aperta” e, con esso, della constatazione delle evoluzioni intellettuali, pratiche e comportamentali della società civile. Si tratta della discussa sentenza (n. 138/2010) in cui la Corte, pur annoverando le unioni omosessuali tra le formazioni sociali di cui all’art. 2 Cost. (v. anche la successiva sent. n. 170/2014), ha escluso che «il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia» si debba tradurre automaticamente nel riconoscimento di una equiparazione con il matrimonio. In proposito, tra gli argomenti utilizzati dalla Corte, vi è stato quello per cui i Costituenti, nello scrivere l’art. 29, avevano senz’altro presente «la nozione di matrimonio definita dal codice civile entrato in vigore nel 1942, che […] stabiliva (e tuttora stabilisce) che i coniugi dovessero essere persone di sesso diverso». I diritti inviolabili dell’uomo ORIGINALISMO? L’originalismo è una specifica corrente interpretativa che non è propria dell’esperienza italiana e che è, invece, diffusa nella dottrina costituzionalistica nordamericana, in particolare in quella di estrazione conservatrice. Pur essendo declinabile mediante diverse accezioni e con differenti possibilità applicative, l’approccio originalista si propone di privilegiare, nell’interpretazione della Costituzione, le possibilità che più si avvicinano al suo obbiettivo e ragionevole significato originario (original meaning) ovvero, in un’altra formulazione più forte, all’intenzione storica di coloro che ne hanno redatto il testo (original intent). Alcuni studiosi giustificano l’utilizzo di questo metodo interpretativo riconducendone la ratio alla sovranità popolare; altri ne sostengono la coerenza con il principio della certezza del diritto; altri ancora ritengono che esso sia corrispondente alla giustizia intrinseca della singola disposizione da interpretare. Il punto debole dell’originalismo - in tutte le sue versioni consiste nel fatto che, anche a voler ammettere che si possa identificare, dal punto di vista storico, un univoco e condiviso significato oggettivo di talune espressioni linguistiche contenute nella Costituzione, spesso è assai difficile dedurne l’esistenza di principi, nozioni o teorie che siano altrettanto chiare. In altri termini, l’originalismo comporta sempre la necessità di immaginare ex novo (e quindi, paradossalmente, di creare) una dottrina del tutto coerente. A differenza di quanto accade oltreoceano, nel contesto europeo, e continentale in particolare, è molto diffusa la consapevolezza che i significati attribuibili alle disposizioni della Costituzione possono mutare con il passare del tempo, e che questo è un fenomeno del tutto fisiologico, in quanto proporzionale all’interpretazione elastica e funzionale tipica del diritto scritto (la dottrina tedesca utilizza, per segnalare questa attitudine, il termine 13 14 Fulvio Cortese Entfremdung, che rappresenta, per l’appunto, il “divenire estraneo a sé stesso”, il cambiamento della norma in quanto derivante da una successiva interpretazione della medesima disposizione). Occorre avvertire che le cautele del giudice costituzionale si spiegano per due differenti ordini di ragioni. Per un verso, infatti, si tratta di preservare la discrezionalità del legislatore e il margine di scelta che in tal modo è riconosciuto, in uno Stato democratico, agli organi rappresentativi quali sedi privilegiate delle delicate e inevitabili operazioni di bilanciamento che il riconoscimento di un diritto comporta in relazione ad altre convergenti aspirazioni o rispetto ad altri diritti eventualmente confliggenti. Come si vedrà (par. 5), la Corte costituzionale non è estranea a questo particolare “campo di battaglia”, ma è normale che essa, in quanto giudice, manifesti, di regola, un certo self restraint. Per altro verso, poi, si tratta anche di considerare che l’operazione di individuazione di un diritto inviolabile non è cosa mai semplice, non tanto, o non solo, per il fatto che esiste, in materia, una tensione molto forte tra il riconoscimento positivo di talune prerogative e le mutevoli ambizioni diffuse nel corpo sociale. Il dato davvero importante è che tra la Costituzione e la società non vi è uno spazio vuoto e che tale spazio non comprende soltanto la legge e gli atti aventi forza di legge, ma tante altre fonti, molte delle quali provengono da esperienze giuridiche sovranazionali e hanno quale oggetto, anch’esse, la garanzia di diritti e di libertà. I diritti inviolabili dell’uomo 15 3. Un problema “multilivello” Il tema dei diritti inviolabili e della loro definizione si intreccia inevitabilmente con il c.d. “sistema multilivello di tutela”. Da molto tempo, infatti, esistono accordi o convenzioni internazionali che si propongono di obbligare gli Stati che vi aderiscono a proteggere un determinato catalogo di diritti, il più delle volte definiti come umani o fondamentali. Ma è anche la Costituzione stessa, in alcuni casi, a rinviare espressamente al diritto internazionale: così è, ad esempio, per la definizione della «condizione giuridica dello straniero», che, per l’art. 10, comma 2, «è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali». Pertanto, anche nell’ordinamento italiano, i pubblici poteri sono tenuti ad osservare prescrizioni che, sia pur a vario modo, definiscono per specifici diritti o per specifiche libertà determinati standard di tutela, di volta in volta diversi, ma spesso anche sovrapposti, rispetto a quelli già previsti dalla Costituzione. Il prototipo dei testi sovranazionali in esame è costituito dalla Dichiarazione universale dei diritti umani, approvata e proclamata dall’Assemblea Generale dell’ONU il 10 dicembre 1948, che tuttavia, nel suo contenuto testuale, non è vincolante. Ma si pensi soprattutto alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), elaborata nel contesto del Consiglio d’Europa, firmata a Roma il 4 novembre 1950, entrata in vigore il 3 settembre 1953 e ratificata dall’Italia con legge 4 agosto 1955, n. 848, o ai due Patti internazionali, uno sui diritti civili e politici, l’altro sui diritti economici, sociali e cutu- 16 Fulvio Cortese rali, adottati nell’ambito dell’ONU, siglati a New York il 16 dicembre 1966, entrati in vigore il 23 marzo 1976 e ratificati dall’Italia con legge 25 ottobre 1977, n. 881. Essi, anche perché facenti formalmente parte dell’ordinamento italiano, sono giuridicamente vincolanti. È problematico comprendere, tuttavia, quale sia il loro rapporto, oltre che con le altre fonti di diritto interno, anche con le disposizioni costituzionali e con la garanzia, sopra descritta, dell’art. 2 Cost. Appare chiaro che, in molte occasioni, le formule di garanzia di talune situazioni giuridiche soggettive tendono a svolgere una funzione lato sensu sinergica e che esse, provengano dalla Costituzione o da altre fonti, «si integrano, completandosi reciprocamente nella interpretazione» (Corte cost., sent. n. 388/1999). In altre occasioni, però, può sorgere il dubbio che vi sia una frizione costante tra le garanzie interne e quelle richieste da parametri altri. Il caso della CEDU, in particolare, ha offerto e continua ad offrire ampi spunti di riflessione. L’interesse per questa singolare Convenzione (e per i suoi diversi Protocolli) deriva in larga parte da tre fattori. In primo luogo, essa contempla davvero una molteplicità di diritti e di libertà che “convergono” con quelli già previsti dalla Costituzione italiana e che, in molti casi, ne potenziano o ne indirizzano la fisionomia secondo coordinate ben precise, anche al di fuori del novero dei cc.dd. “diritti inviolabili”. Ad esempio, la CEDU (con i suoi Protocolli) detta disposizioni importanti con riferimento alla tutela del diritto alla vita, del diritto alla libertà e alla sicurezza, del diritto a un equo processo e a forme effettive di ricorso, del diritto al rispetto della propria vita familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza, della libertà di pensiero, di I diritti inviolabili dell’uomo 17 coscienza e di religione, della libertà di espressione, di riunione e di associazione, del diritto al matrimonio o, ancora, del diritto di proprietà, del diritto all’istruzione, della libertà di circolazione, etc. In secondo luogo, il rispetto effettivo dei vincoli posti agli Stati è garantito, in quel contesto, da un giudice, la Corte europea dei diritti dell’uomo, con sede a Strasburgo, alla quale si possono rivolgere direttamente tutti i cittadini degli Stati del Consiglio d’Europa una volta che essi abbiano inutilmente esaurito tutti i rimedi disponibili nell’ambito del loro diritto nazionale. Sicché questa forma ulteriore di tutela giurisdizionale, intrapresa con frequenza anche dai cittadini italiani, funge da stimolo rafforzato per provocare mutazioni di orientamenti, anche consolidati, nati e sviluppatisi nel contesto statale. In terzo luogo, poi, la Convenzione medesima e le interpretazioni che della stessa sono fatte ad opera della Corte europea dei diritti dell’uomo tendono ad assumere, sul piano del sistema delle fonti di diritto interno, una posizione privilegiata. Non solo, infatti, la Corte costituzionale ha da tempo riconosciuto che la CEDU, anche se introdotta nel nostro ordinamento con un atto avente la forza della legge ordinaria, sarebbe qualificabile come «fonte riconducibile ad una competenza atipica», le cui norme sarebbero «insuscettibili di abrogazione o di modificazione da parte di disposizioni di legge ordinaria» (sent. n. 10/1993). In tempi più recenti, la Corte ha preso atto della modifica dell’art. 117, comma 1, Cost., che, nella sua attuale versione, obbliga il legislatore italiano a rispettare, oltre alla Costituzione, anche i vincoli derivanti, tra l’altro, «dagli obblighi internazionali». Questo profilo merita un piccolo approfondimento, anche perché alcuni autorevoli organi giurisdizionali, hanno 18 Fulvio Cortese episodicamente, ma in modo forse affrettato e non del tutto corretto, affermato la possibilità di applicare direttamente le norme ricavabili dalla CEDU. In verità, il giudice costituzionale ha qualificato tali norme, così come risultanti dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, quale parametro interposto di legittimità costituzionale: a certe condizioni, cioè, la legge italiana che non offra, per i diritti e le libertà garantite dalla CEDU, uno standard adeguato di tutela – in quanto, cioè, non corrispondente a quello definito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo – può essere dichiarata costituzionalmente illegittima; in sostanza, la legge, violando la CEDU, violerebbe l’art. 117, comma 1, Cost., che richiama, come si è detto, il rispetto degli obblighi internazionali (v. sentt. nn. 348 e 349/2007). Tuttavia, da un punto di vista teorico, i diritti inviolabili di cui all’art. 2 Cost. fungono, in tale frangente, da vero e proprio sbarramento rispetto ad eventuali interpretazioni che, anche se corrispondenti alla CEDU e alla lettura offerta dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, si rivelino lesive del «livello di tutela garantito dalla Costituzione italiana» (ibidem). In questo caso, infatti, la Corte costituzionale potrebbe impedire l’ingresso di quelle ricostruzioni dichiarando l’illegittimità costituzionale della legge che ha ratificato e che ha dato esecuzione alla CEDU, nella parte in cui si pone in conflitto con il rispetto dell’art. 2 Cost. e con la tutela da questa offerta ai diritti inviolabili. CEDU E COSTITUZIONE: CHE COSA DEVE FARE IL GIUDICE ITALIANO? I diritti inviolabili dell’uomo Nelle sentt. nn. 348 e 349/2007 (note anche come “sentenze gemelle”), la Corte costituzionale ha fornito un vero e proprio vademecum delle valutazioni che deve compiere essa stessa e che deve tuttavia compiere anche il giudice che, nell’ordinamento interno, si trovi a dover affrontare, in una specifica controversia, l’ipotetica questione del mancato rispetto, da parte della legislazione italiana, degli standard sovranazionali di tutela (la Corte è poi tornata sul punto in molte altre pronunce: v. ad esempio le sentt. nn. 311 e 317/2009, 93, 187 e 196/2010, 80, 113, 236 e 338/2011, 40 e 202/2013). In particolare: a) il giudice a quo deve verificare, in via preliminare, se il conflitto tra norma interna e CEDU (così come interpretata dalla Corte di Strasburgo) sia reale o non sia, piuttosto, componibile mediante l’interpretazione della norma interna in senso conforme a quello operante nell’ambito della CEDU; b) se tale verifica non va a buon fine, ossia se il conflitto non è componibile in via interpretativa, allora il giudice italiano non può applicare direttamente la norma sovranazionale, ma deve sollevare la questione di costituzionalità della norma interna di fronte alla Corte costituzionale, per violazione dell’art. 117, comma 1, Cost.; c) la Corte costituzionale, così investita dello scrutinio di costituzionalità, dapprima dovrà verificare che il segnalato contrasto sussista effettivamente e non sia superabile mediante un’interpretazione sistematica, quindi, se il contrasto sussiste, dovrà verificare se la norma CEDU sia o meno contrastante con la Costituzione, infine, in caso negativo, dovrà dichiarare l’illegittimità costituzionale della norma interna per violazione dell’art. 117, comma 1, Cost. Facendo applicazione di questo sindacato plurifasico la Corte ha, ad esempio, dichiarato (sent. n. 348 cit.) l’illegittimità costituzionale della disciplina relativa al calcolo dell’indennità di esproprio, per la quale, nella pratica, tale somma oscillava soltanto tra il 50 e il 30 per cento del valore di mercato del bene; ciò, infatti, costituiva una violazione di quanto prescritto nel Protocollo n. 1 della CEDU, che, nell’interpretazione della Corte di Strasburgo, impone che i criteri di calcolo stabiliti per la determinazione dell’indennizzo dovuto ai proprietari per 19 20 Fulvio Cortese l’espropriazione di aree edificabili conducano alla corresponsione di una somma proporzionalmente congrua al valore del bene oggetto dell’ablazione. In un altro caso (sent. 202/2013), la Corte ha dichiarato l’incostituzionalità di alcune disposizioni in materia di immigrazione che disponevano il diniego automatico del permesso di soggiorno allo straniero condannato per determinati reati, anche in presenza di rapporti familiari nel territorio; per il tramite dell’art. 117 Cost. la Corte ha richiamato come parametro di costituzionalità anche l’art. 8 CEDU, ai sensi del quale i provvedimenti che incidono sulla vita privata e familiare della persona devono essere proporzionati e richiedono un bilanciamento tra l’interesse pubblico alla tutela della sicurezza e il diritto della persona alla conservazione dell’unità familiare (bilanciamento che in questo caso appariva precluso dall’automatismo disposto dal legislatore). La tutela “multilivello” dei diritti non si esaurisce, però, in questi soli termini. Circa la necessità che vengano rispettati determinati diritti o determinate libertà, anche oltre a quelli previsti dal diritto nazionale, od anche indipendentemente da essi, si deve rammentare l’importanza progressivamente assunta dalle fonti dell’Unione europea. Per molto tempo le Istituzioni europee e, tra esse, la Corte di giustizia non si sono occupate con frequenza di quelle situazioni soggettive che nelle Carte costituzionali degli Stati membri vengono riferite all’uomo o alla persona in quanto tali. D’altra parte, il nucleo forte delle situazioni soggettive tutelate dal diritto comunitario è sempre stato caratterizzato dalle cc.dd. “libertà fondamentali”, ossia dalla libertà di circolazione dei lavoratori, delle merci, dei servizi e dei capitali, dalla libertà di soggiorno, nonché dal diritto di stabili- I diritti inviolabili dell’uomo 21 mento delle imprese. Tuttavia, la complessa gestione delle situazioni di concreto e ricorrente contrasto tra l’esigenza di tutela effettiva delle suddette “libertà fondamentali” e le resistenze anche indirettamente frapposte dalle peculiarità delle legislazioni nazionali ha fatto sì che la Corte di giustizia venisse ben presto a contatto con la categoria dei diritti fondamentali e con le particolari garanzie che le Costituzioni degli Stati membri apprestano usualmente in loro favore. La Corte di giustizia, segnatamente, si è impegnata, ormai da tempo, a considerare come facenti parte integrante dei principi generali del diritto europeo anche i diritti fondamentali, e ciò «conformemente alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri nonché agli atti internazionali cui gli Stati membri hanno cooperato o aderito» (C-97/87, 98/87, 99/87, Dow Chemical Ibérica SA; ma v. già C-4/73, Nold, e, ancor prima, C-29/69, Stauder). Ad esempio, la Corte di giustizia ha riconosciuto come diritti fondamentali, del cui rispetto essa stessa si pone quale garante nei confronti dello scrutinio sulla legittimità degli atti adottati dalle istituzioni, il diritto ad un equo processo (C-305/05, Ordre des barreaux francophones et germanophones), il diritto al ricongiungimento familiare (C-540/03, Parlamento europeo), il diritto al rispetto della vita privata (C-465/00, Rechnungshof ), il diritto all’integrità della persona (rispetto alle invenzioni biotecnologiche: C-377/98, Regno dei Paesi Bassi), la libertà di espressione (C-100/88, Oyowe), l’inviolabilità del domicilio (ma in modo diverso tra imprese e altri soggetti privati: C-97/87, 98/87, 99/87, Dow Chemical Ibérica SA), la parità di trattamento fra uomini e donne (C-149/77, Defrenne), la libertà religiosa (C-130/75, Prais). Occorre dire che, in molti di questi casi, le affermazioni 22 Fulvio Cortese della Corte non possono essere considerate come assolute, poiché si tratta, spesso, sulla scorta dei Trattati, di riconoscere, in un diritto fondamentale o in un principio considerato parimenti tale nel diritto nazionale, un limite adeguato e ragionevole alla piena espansione di regole, principi o situazioni soggettive di formulazione europea (così è, in modo emblematico, in C-36/02, Omega, con riferimento al rispetto della dignità umana). Tuttavia, è innegabile che, con questa interessante prassi interpretativa e applicativa, il giudice comunitario si è proposto come attore di assoluto rilievo nell’ambito del cennato “sistema multilivello”. A ciò la Corte di giustizia è quasi naturalmente o strutturalmente portata, poiché il meccanismo giurisdizionale mediante il quale simili questioni di tutela le giungono frequentemente dinanzi è soprattutto il rinvio pregiudiziale stabilito dai Trattati. Mediante simile istituto, i giudici nazionali, anche non costituzionali, possono – o, a seconda dei casi, devono – interrogare la Corte sull’interpretazione dei Trattati o sulla validità e sull’interpretazione degli atti delle istituzioni europee ogni qual volta una simile questione gli sia posta di fronte in seno alla controversia che devono decidere (v. art. 267, Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, TFUE). LA CORTE DI GIUSTIZIA E IL CASO KADI Gli atti delle Istituzioni europee – anche quelli regolamentari – possono essere contestati, quanto al rispetto dei diritti fondamentali, anche direttamente, in base a quanto dispone l’art. 263 TFUE. Così è accaduto in diverse circostanze, ma merita una segnala- I diritti inviolabili dell’uomo zione particolare il caso che ha coinvolto il signor Kadi, un cittadino saudita che, in quanto sospetto di contiguità con la formazione terroristica Al-Quaida, si era visto “congelare” i propri beni in esecuzione di misure anti-terrorismo adottate sulla base di alcuni regolamenti del Consiglio, approvati, in seno all’Unione europea, per dare corrispondente attuazione alle risoluzioni elaborate dall’ONU dopo i tragici eventi dell’11 settembre 2001. Il signor Kadi ha impugnato i regolamenti in esame, dal un lato, lamentando la lesione del proprio diritto di proprietà, dall’altro, la lesione del diritto di essere previamente ascoltato e del diritto ad avere un controllo giurisdizionale effettivo. In una prima pronuncia (21 settembre 2005), il Tribunale, giudice comunitario di primo grado, ha manifestato una particolare deferenza rispetto alle decisioni assunte in sede ONU, sostenendo di non poterne sindacare il tenore, non essendo atti dell’Unione e, comunque, non avendo esse violato diritti fondamentali considerabili, sul piano del diritto internazionale, alla stregua di jus cogens. La Corte di giustizia, però, chiamata a giudicare in appello, ha riconosciuto che le prescrizioni ONU non possono comunque predeterminare le competenze dell’Unione e, passando all’esame dei regolamenti impugnati, ne ha dichiarato l’illegittimità, per violazione del diritto fondamentale ad essere previamente ascoltato e ad avere un controllo giurisdizionale effettivo (3 settembre 2008). La Commissione europea non ha eseguito questa pronuncia, confermando nuovamente il “congelamento” dei beni del signor Kadi. Questi si è così rivolto nuovamente al Tribunale, il quale, con una nuova sentenza (30 settembre 2010), ha stabilito che, almeno fino a quando in sede ONU non vengono offerte determinate garanzie, l’Unione, anche se esegue prescrizioni sorte in quel contesto, deve rispettare i diritti fondamentali e deve quindi garantire un’effettiva tutela giurisdizionale. La Commissione, così, ha appellato la sentenza alla Corte, che, tuttavia, nella sua composizione più alta (la “Grande Sezione”), ha respinto l’impugnazione (18 luglio 2013). Si è così confermato che i diritti del signor Kadi erano stati violati. 23 24 Fulvio Cortese È evidente, poi, che, almeno di fatto, si crea in questo modo un canale di diretta comunicazione e, per così dire, di cooperazione tra autorità giurisdizionali nazionali e giudice comunitario, e che, per ciò solo, si possono porre delicate questioni di bilanciamento, se non di compatibilità, tra le soluzioni interpretative di matrice europea e quelle offerte dai giudici costituzionali. Anche la Corte costituzionale, peraltro, si è qualificata nel novero di quei giudici nazionali che sono abilitati ad avvalersi del rinvio pregiudiziale in questione (Corte cost., ordd.. nn. 103/2008, 207/2013). Essa, però, ha sempre precisato che, anche per quanto riguarda i diritti inviolabili di cui all’art. 2 Cost., così come per tutti i principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale, in caso di contrasto tra la soluzione europea e quella costituzionale, la prima potrà essere dichiarata costituzionalmente illegittima (in particolare, mediante la dichiarazione di illegittimità costituzionale parziale della legge di ratifica e di esecuzione dei Trattati). Vale, cioè, anche in tale contesto, la virtuale applicabilità della c.d. “teoria dei controlimiti”, che, pur riconoscendo il generale principio della prevalenza del diritto europeo che sia direttamente efficace (principio che vale per il diritto dell’Unione, ma, come si è visto, non per la CEDU: Corte cost., sentt. nn. 348 e 349/2007), ritiene che essa non si possa estendere fino al punto di violare alcuni principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale, intesi come elementi profondi e caratterizzanti della Costituzione repubblicana (Corte cost., sentt. nn. 183/1973, 176/1981, 170/1984, 232/1989; v. da ultimo anche Corte cost., n. 238/2014, in cui i medesimi limiti vengono considerati come applicabili anche I diritti inviolabili dell’uomo 25 all’ingresso nel diritto italiano delle norme internazionali consuetudinarie di cui all’art. 10, comma 1, Cost.). Tra questi figura in primis la tutela dei diritti inalienabili della persona umana. “SOLANGE” Un orientamento simile a quello seguito dalla Corte costituzionale italiana, ma forse anche più forte, è stato assunto dal Bundesverfassungsgericht (il giudice costituzionale tedesco), sin dal 1974, dalla celebre sentenza c.d. “Solange” (avverbio che in tedesco significa “finché”). Esso, in quell’occasione, si è riservato la competenza di verificare, nel caso di applicazione di norme comunitarie da parte dei giudici nazionali, se vi siano dubbi rispetto alla conformità con il diritto costituzionale, e ciò almeno finché (solange) non esista ancora un catalogo comunitario dei diritti umani. Questa posizione è stata oggetto, con variazioni progressive, di ulteriori pronunce, in particolare della sentenza Solange II (1986, in cui la Corte tedesca ha confermato la “riserva”, ma in modo diverso, ossia ha confermato di “non” compiere alcuna verifica “finché” la Corte di giustizia sarà in grado di assicurare una tutela sostanzialmente equivalente a quella offerta dalla Costituzione tedesca) e della sentenza Maastricht (1993, in cui la Corte tedesca ha confermato, con precisazioni, la sua posizione, con toni simili a quelli del 1974). Più recentemente (2009, in una sentenza definita anche come Solange III), la Corte tedesca, pronunciandosi sull’adesione della Germania al Trattato di Lisbona (la sentenza è nota pure come Lissabon Urteil), non ha soltanto confermato la possibilità di verificare la “costituzionalità” del processo di integrazione nel senso anzidetto. Essa ha aggiunto: a) che vi sono alcuni principi e alcuni diritti, propri dell’identità costituzionale tedesca, che non potrebbero mai essere violati; b) che al giudice costituzionale è sempre consentito svolgere un controllo sugli atti istituzionali dell’Unione laddove vadano al di là delle competenze 26 Fulvio Cortese stabilite dai Trattati (ossia nell’ipotesi in cui vengano adottati ultra vires). Così, in una successiva pronuncia (del 2010, sul caso Honeywell) il giudice costituzionale tedesco, sviluppando queste ultime premesse, ha anche ammesso, sia pur con molte cautele, la possibilità di estendere il proprio sindacato rispetto ai contenuti e agli effetti di una sentenza, ipoteticamente ultra vires, della Corte di giustizia. Occorre segnalare, ad ogni modo, che il Bundesverfassungsgericht ha dimostrato di avvalersi di queste opzioni con estrema parsimonia: da ultimo (2014), in un caso in cui si paventava che ciò potesse realmente accadere con riguardo agli atti di un’altra e fondamentale istituzione europea (la BCE), il giudice costituzionale tedesco ha attivato il rinvio pregiudiziale di cui all’art. 267 TFUE, coinvolgendo la Corte di giustizia. Ad ogni modo, l’attivismo della Corte di giustizia è oggi potenzialmente rinforzato dal fatto che, soprattutto a decorrere dalle innovazioni introdotte dal Trattato di Amsterdam (1997), anche il diritto primario dell’Unione ha gradualmente contemplato in modo esplicito la tutela dei diritti fondamentali. Il Trattato sull’Unione europea (TUE), all’art. 2, sancisce espressamente che l’Unione europea «si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti alle minoranze», e che questi «valori» sono «comuni agli Stati membri in 2. una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini». Più specificamente, il successivo art. 6.1 chiarisce che l’Unione «riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea I diritti inviolabili dell’uomo 27 del 7 dicembre 2000, adottata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei Trattati». In questo modo, rientra nel diritto primario anche la c.d. “Carta di Nizza”, che contiene un articolato catalogo di diritti e di libertà fondamentali, non sempre coincidenti con quelli contenuti nelle Costituzioni degli Stati membri, ma utilizzabili anche dalla Corte di giustizia per affermare il carattere vincolante, erga omnes, di specifiche garanzie individuali (cfr., ad esempio, il caso recente della sentenza Google, in tema di protezione del cd. “diritto all’oblio” nei confronti dell’uso aggregato, da parte dei motori di ricerca, di dati e informazioni reperibili on line ma concernenti «contenuti non più rilevanti»: cfr. C-131/12, in cui il riferimento agli artt. 7 e 8 della Carta di Nizza – Rispetto della vita privata e familiare e Protezione dei dati di carattere personale è servito a veicolare una specifica interpretazione della direttiva adottata in materia). Inoltre, l’art. 6.2 stabilisce che l’Unione aderisca «alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali», con ciò prefigurando un ulteriore ed endemico momento di potenziale sovrapposizione tra standard di protezione diversi. In verità, almeno “allo stato dell’arte”, la promozione della Carta di Nizza nell’ambito dei Trattati e l’adesione alla CEDU (a quest’ultimo riguardo, i negoziati sono stati avviati nel 2010 e sono ancora in corso) non vanno eccessivamente sopravvalutati. È lo stesso Trattato (art. 6.2 TUE) a precisare che, quanto alla prima, i diritti, le libertà e i principi da essa sanciti si applicano sempre nel rispetto delle competenze dell’Unione, e che i diritti fondamentali vanno sempre interpretati «in armonia» con le tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri (v. art. 52.4 della Carta 28 Fulvio Cortese di Nizza); quanto alla seconda, si ribadisce (art. 6.3) che i diritti fondamentali «fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali», secondo l’indicazione interpretativa già emersa nella giurisprudenza della Corte di giustizia. UNIONE EUROPEA, DIRITTI E CRISI ECONOMICA Circa la necessaria tutela di alcuni diritti costituzionalmente rilevanti, il rapporto tra gli Stati membri e le Istituzioni europee si è fatto da ultimo più complesso, specialmente nel momento in cui alcuni degli ordinamenti tra i più colpiti dalla crisi economica avviata tra il 2007 e il 2008 sono stati indotti a negoziare con Bruxelles (segnatamente, con la Commissione e la BCE) e con altri organismi sopranazionali (su tutti, il Fondo Monetario Internazionale) il rigoroso rispetto di alcuni limiti per la spesa pubblica e conseguenti – e stringenti – piani di risanamento. La Corte di giustizia, infatti, ha statuito che le misure che gli Stati membri concordano per garantire l’osservanza di alcuni vincoli di natura finanziaria – e tra queste il cd. “meccanismo europeo di stabilità” – non sono diritto dell’Unione, né si pongono in diretta attuazione del diritto dell’Unione, bensì in esecuzione di un accordo di natura internazionale tout court: sicché a dette misure non si applicherebbero le garanzie stabilite dai Trattati e dalla Carta di Nizza (v. caso Pringle, C370/12). Tale orientamento ha contribuito, in qualche modo, a “stimolare” la reazione delle cornici costituzionali di diritto interno: il giudice costituzionale portoghese, ad esempio, ha ripetutamente sindacato la proporzionalità e l’adeguatezza delle azioni che il legislatore interno ha adottato per ottemperare alle indicazioni negoziate dall’Esecutivo sul piano sopranazionale, riaffermando la preminenza di talune garanzie dettate dal diritto costituzionale nazionale e ponendo con ciò in essere una particolare rivisitazione della teoria dei controlimiti (v. specialmente le sentenze del Tribunal Constitucional nn. 187/2013, 474/2013, 602/2013, 862/2013 e 413/2014). Più in generale, poi, l’acquisizione della consapevolezza sull’esigenza di sop- I diritti inviolabili dell’uomo 29 pesare obiettivi di bilancio (talvolta oggetto di corrispondenti previsioni costituzionali: v., nel caso italiano, l’art. 81 Cost.) con standard di tutela costituzionalmente rilevanti ha spinto parte degli interpreti ad immaginare o che il giudice costituzionale possa anche sindacare la complessiva ragionevolezza delle scelte con cui il legislatore nazionale decida di dedicare determinate voci di spesa alla soddisfazione di determinati diritti, o che il legislatore costituzionale possa quantificare a priori la percentuale di spesa che a questi fini dovrebbe sempre essere imputata. 4. Un problema di garanzie, di definizioni e di bilanciamenti Circa la protezione dei diritti inviolabili, il ruolo della Costituzione e, come si è visto finora, della Corte costituzionale ha importanti proiezioni non solo con riguardo al delicato rapporto che si instaura con altri ordinamenti che pure si occupino di consimili esigenze. La Costituzione, infatti, prima di ogni altra cosa, appresta un’articolata rete di garanzie nei confronti dei poteri pubblici “interni”, in particolare di quelli amministrativi, affidando, di conseguenza, funzioni e ruoli specifici al legislatore e ai giudici. Si tratta di garanzie che non rispondono ad un regime disciplinare del tutto uniforme, ma che, pur avendo come punto focale l’esigenza di tutela la libertà della persona lato sensu intesa, si articolano in modo analitico, a seconda delle direzioni e delle espressioni che quella libertà può conoscere, oltre che dei limiti che ad essa possono essere apposti. Con riguardo ai “diritti” che sono previsti agli artt. 13 ss. Cost., e con peculiare attenzione al nucleo, che già in 30 Fulvio Cortese precedenza si è definito come “classico”, dei diritti e delle libertà civili, la prima garanzia che la Costituzione pone è la riserva di legge assoluta, e quindi non contempla la possibilità che, ai fini della disciplina della situazione soggettiva in questione e delle sue limitazioni, vi sia un intervento di fonti diverse da quelle aventi forza di legge. Così è, ad esempio, per la libertà personale (art. 13, comma 2), per l’inviolabilità del domicilio (art. 14, comma 2), per la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione (art. 15, comma 2), per la libertà di manifestazione del pensiero (art. 21, comma 3 e comma 4). In alcuni di questi casi, peraltro, la riserva di legge è anche rinforzata per contenuto, e ciò significa che il legislatore può dettare prescrizioni, ma solo per disciplinare gli aspetti tassativamente previsti dalla Costituzione. Così avviene, ad esempio, per quanto riguarda l’inviolabilità del domicilio (art. 14, comma 3), la libertà di circolare e soggiornare liberamente sul territorio nazionale (art. 16, comma 1), la libertà di manifestazione del pensiero (art. 21, comma 5). Vi sono libertà, come quella religiosa (art. 19), che, pur appartenendo a questo corpus tradizionale di “diritti”, non trovano, nella Costituzione, la menzione espressa della riserva assoluta di legge, anche se sono molti e autorevoli gli interpreti che ne ribadiscono l’implicita sussistenza. In proposito, si può notare che questa conclusione può confermarsi anche indirettamente, poiché gli artt. 7 e 8, occupandosi della Chiesa cattolica e delle confessioni religiose, si preoccupano di affidare a specifiche fonti la definizione dei rapporti tra le diverse comunità religiose e lo Stato: non vi è dubbio, infatti, che molti dei modi attraverso i quali la libertà religiosa può sperimentare momenti di frizione con il potere pubblico devono essere preferenzialmente regolati in quelle I diritti inviolabili dell’uomo 31 sedi. L’importanza della riserva di legge deve intendersi in due distinti ma essenziali significati. Da un lato, essa significa che solo la “legge”, come espressione del processo democratico e del circuito politico-rappresentativo, può occuparsi delle limitazioni dei diritti e della libertà, e ciò può avvenire sempre e soltanto nei modi, per i motivi ed entro i confini previsti dalla Costituzione. Il potere esecutivo è escluso da queste decisioni. Per altro verso, poi, la riserva di legge significa anche che è la “legge”, come espressione della volontà popolare, ad essere responsabile del corretto equilibrio, sempre controllabile dalla Corte costituzionale, tra le aspirazioni della maggioranza e l’esigenza di tutelare i diritti delle minoranze e (di più) dei singoli individui che siano titolari di diritti o libertà fondamentali che, come tali, spettano all’uomo e non soltanto a chi aderisca ad una prevalente concezione culturale o politica. Si può citare, a tale riguardo, il caso dell’obiezione di coscienza, come espressione della tutela offerta dall’art. 21 Cost. e dal riconoscimento, in essa espresso, della libertà di manifestazione del pensiero e, quindi, di avere determinate convinzioni che impediscono il compimento di taluni atti. Il rifiuto di agire in un determinato modo, proprio perché assai “sensibile”, è disciplinato, in molte occasioni, dalla legge (ad. es. nel contesto della disciplina relativa all’aborto, legge n. 194/1978; nel conteso della normativa sulla sperimentazione animale, legge n. 413/1993; nel contesto, ancora, della regolamentazione delle pratiche di procreazione medicalmente assistita, legge n. 40/2004). Eppure, anche il ruolo del giudice costituzionale è fondamentale, poiché in taluni casi, pur riconoscendo l’importanza della libertà di coscienza, ne ha limitato 32 Fulvio Cortese l’estensione a taluni soggetti (così è stato, ad es., nell’ambito della succitata disciplina dell’aborto e con riguardo alla figura del giudice tutelare incaricato dalla legge medesima di autorizzare l’interruzione di gravidanza da parte della minore di età in sostituzione del consenso dei genitori: sent. n. 196/1987). IL CASO DEL CROCEFISSO NELLE AULE SCOLASTICHE Un caso di particolare attrito tra le garanzie fissate dalla Costituzione per talune libertà e l’esistenza di norme che sembrano contraddirvi è quello relativo all’esposizione del Crocefisso nelle aule scolastiche. Posti dai genitori di alcuni alunni di fronte alla necessità di comprendere se le risalenti disposizioni, di natura regolamentare, che prevedono l’ostensione obbligatoria di questo simbolo siano ancora vigenti o siano legittime, nonostante il riconoscimento costituzionale espresso della libertà religiosa e il principio supremo, e sia pur complesso, di laicità dello Stato (definito come tale dalla Corte costituzionale: sent. n. 203/1989), i giudici amministrativi hanno ritenuto tuttora vigente l’obbligo. Essi hanno qualificato il Crocefisso come simbolo confermativo e affermativo della laicità repubblicana, perché riferito ad una “cultura” di solidarietà e uguaglianza che sarebbe sottesa anche agli artt. 2 e 3 Cost. (TAR Veneto, n. 1110/2005; Consiglio di Stato, n. 556/2006). I genitori si sono rivolti alla Corte europea dei diritti dell’uomo (caso Lautsi), che in un primo momento (Seconda Sezione, 3 novembre 2009) ha “condannato” lo Stato italiano per aver leso il diritto dei genitori ad educare i propri figli secondo le proprie convinzioni, quindi (Grande Camera, 18 marzo 2011) è tornata sui suoi passi, sostenendo, in particolare, che lo Stato ha un certo margine di discrezionalità in tale materia e che nella maggioranza degli Stati aderenti al Consiglio d’Europa la semplice ostensione del simbolo non sarebbe univocamente consi- I diritti inviolabili dell’uomo 33 derata come lesiva dei diritti fondamentali degli alunni e dei genitori. A prescindere dal profilo critico relativo alla tenuta costituzionale interna di una disciplina che è posta da una fonte solo regolamentare (v. quanto precisato supra in merito alla riserva di legge assoluta), è bene osservare che l’intervento della “legge” propriamente detta è davvero auspicabile, non solo in questo caso, ma anche in tutte le ipotesi in cui si debba definire in modo ragionevole il “contenuto essenziale” di alcuni diritti o di alcune libertà. Così è, del resto, in altri ordinamenti; sul punto v. l’art. 19.2 della Grundgesetz tedesca o l’art. 53.I della Costituzione spagnola. Il secondo ordine di garanzie per molti dei “diritti” di cui agli artt. 13 ss. Cost. è, poi, caratterizzato dalla previsione della riserva di giurisdizione, ossia della necessità che le limitazioni, pur necessariamente previste, come si è ora descritto, dalla sola legge, vengano eseguite sotto il controllo di un’autorità giudiziaria. Così è, ad esempio, per la libertà personale (art. 13, comma 2 e comma 3), per l’inviolabilità del domicilio (art. 14, comma 1 e comma 2), per la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione (art. 15), per la libertà di manifestazione del pensiero (art. 21, comma 3 e comma 4). Si deve osservare, poi, che, sempre con riguardo a questa categoria di “diritti”, la Costituzione non solo pone questo genere di limiti, ma utilizza determinati termini, i quali sono oggetto di interpretazione e trovano, per questo, nelle precisazioni della Corte costituzionale importanti chiarimenti. Essi, del resto, devono essere letti nel contesto e con la finalità rispetto ai quali vengono utilizzati. Ad esempio, è la Corte costituzionale a farci capire che 34 Fulvio Cortese cosa si debba intendere correttamente per «domicilio». È evidente che con tale concetto non ci si può riferire, semplicemente, alla nozione che è definita nel codice civile (art. 43 c.c.: «Il domicilio di una persona è nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi»). Quest’ultima è funzionale alla determinazione di molti dei tipici effetti che si riconducono all’attività giuridicamente rilevante dei soggetti di diritto (può essere fondamentale per individuare il luogo in cui adempiere ad un obbligo di pagare una determinata somma di denaro: art. 1182, comma 2, c.c.); essa, però, non esaurisce l’ambito di ciò che può necessitare la tutela consistente nell’inviolabilità dell’art. 14 Cost. (cfr. Corte cost., sent. n. 88/1987, che, ad esempio, ha chiarito che anche l’autovettura o la roulotte possono considerarsi domicilio, e che, invece, tutti i contenitori portatili che sono abitualmente portati sulla persona o in immediato contatto con essa, quali portafogli, portamonete, borse, borselli, borsette, godono delle garanzie dell’art. 13). I menzionati profili terminologici sono interessanti anche laddove si riferiscono all’individuazione “elastica” di determinati limiti, come nel caso, assai sintomatico, della libertà di manifestazione del pensiero e della prescrizione, stabilita all’ultimo comma dell’art. 21, per cui risultano «vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume». Esiste, forse, un concetto più mutevole del buon costume? Tuttavia, questa mutevolezza può costituire un indubbio punto di forza, poiché lascia al giudice la possibilità di adeguare l’interpretazione del limite in esame in modo coerente con gli sviluppi della sensibilità sociale. I diritti inviolabili dell’uomo L’ART. 23 COST. E LA QUESTIONE DELLE “ORDINANZE PAZZE” Recentemente è tornata in auge la discussione sul significato e sull’ambito di applicazione della riserva di legge di cui all’art. 23 Cost., il quale dispone: «Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge». È certo che questa riserva di legge è relativa e che, pertanto, l’amministrazione potrebbe intervenire laddove la legge le attribuisse il potere di farlo, lasciandole lo spazio di stabilire specifici obblighi. Ma fino a che punto la legge può, in questo contesto, lasciare libero il potere amministrativo? Può riconoscergli una piena discrezionalità e conferirgli, mediante una “clausola in bianco”, il potere di apporre divieti o di prevedere limitazioni? Il tema è stato sollecitato dalle innovazioni apportate nel corso del 2008 all’art. 54 del Testo Unico sugli enti locali (d.lgs. n. 267/2000), il quale finiva per attribuire ai Sindaci, quali Ufficiali del Governo, il potere di adottare provvedimenti a contenuto normativo ed efficacia a tempo indeterminato, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minaccino la sicurezza urbana, anche al di fuori da casi riscontrati di contingibilità e urgenza. Ne era nata una varia rassegna di “ordinanze pazze”, capaci di imporre divieti del tutto singolari e nuovi (ad esempio, di sedersi in un certo numero di persone su di una panchina, o di frequentare determinati luoghi pubblici oltre determinati orari) ovvero finalizzati a limitare attività di per sé non vietate dalla legge (come, ad esempio, l’accattonaggio non molesto, la prostituzione su strada, l’utilizzazione di taluni abiti, come il burqua). La Corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla costituzionalità di un simile assetto normativo, ha precisato che il tenore testuale dell’art. 54 cit. violava proprio l’art. 23 Cost., «in quanto non prevede una qualunque delimitazione della discrezionalità amministrativa in un ambito, quello della imposizione di comportamenti, che rientra nella generale sfera di libertà dei 35 36 Fulvio Cortese consociati». Questi ultimi, infatti, «sono tenuti, secondo un principio supremo dello Stato di diritto, a sottostare soltanto agli obblighi di fare, di non fare o di dare previsti in via generale dalla legge» (sent. n. 115/2011). Tecniche di garanzia e di definizione in parte analoghe ma, sempre in parte, paradossalmente attenuate rispetto a quelle così descritte riguardano, in modo ancor più articolato e differenziato, anche altre tipologie di situazioni soggettive suscettibili di essere considerate come inviolabili. È questo il caso, ad esempio, dei “nuovi” diritti che il mutamento della forma di Stato e la cornice repubblicana hanno comunque posto sotto l’ombrello dell’art. 2 Cost. (v. par. 1). L’esempio della salute è davvero significativo (art. 32). Essa è tutelata «come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività» (comma 1). In tal modo, si pone subito l’esigenza di un bilanciamento tra aspirazioni potenzialmente assai contrapposte. Tuttavia, si ha anche l’accortezza di stabilire che, in ogni caso, a prescindere dall’interesse della collettività, nessuno «può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge» e che sempre la legge (riserva rinforzata per contenuto) «non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana» (comma 2). Il tenore delle garanzie è evidentemente più sfumato rispetto a quello degli artt. 13 ss. Eppure, esso non è meno significativo, poiché onera il legislatore a operare valutazioni assai complesse, potenzialmente soggette al sindacato di legittimità costituzionale, sul contenuto effettivo delle pretese individuali e sul modo con il quale esse possono essere implementate o limitate. I diritti inviolabili dell’uomo 37 In primo luogo, si deve rilevare che la pretesa del singolo può contrastare con altre istanze, e che le “dialettiche” potenzialmente in gioco sono assai delicate. Così è stato, ad esempio, per il caso dell’aborto, rispetto al quale la Corte costituzionale ha sempre cercato di ponderare l’esigenza relativa alla tutela del diritto alla salute della madre con l’esigenza connessa alla prosecuzione della gravidanza e ai “diritti” (pure definiti come inviolabili) del concepito (v. ad es., sentt. nn. 27/1975, 109/1981). Ma così è stato anche in altri contesti, in cui si è precisato che, proprio per garantire che il raggiungimento di un punto di equilibrio sia il più possibile concreto, obbiettivo e adeguato rispetto alle conoscenze scientifiche e tecnologiche, il legislatore non potrebbe mai escludere l’ineludibile spazio di autonomia della scienza medica, la cui funzione è sempre essenziale, se non determinante (sentt. n. 282/2002; ma v. anche nn. 338/2003 e 151/2009). Da ultimo, l’esigenza di soppesare, confrontare e bilanciare ragionevolmente libertà fondamentali, diritti inviolabili e altri interessi è emersa in modo molto specifico nell’ipotesi in cui la Corte costituzionale ha sancito l’illegittimità costituzionale del divieto di fecondazione eterologa originariamente previsto dalla l. 40/2004, ma soltanto in riferimento al caso in cui sia stata accertata l’esistenza di una patologia che sia causa irreversibile di sterilità o infertilità assolute. Il giudice costituzionale è giunto a tale conclusione sulla base di un’equilibrata modulazione degli spazi da riconoscere alla libertà di autodeterminazione personale, ricavata ex artt. 2, 3 e 31 Cost., e alla tutela del diritto alla salute (sent. n. 162/2014). Occorre considerare, inoltre, che tutti i diritti sociali sono “diritti che costano” (o, come è stato parimenti detto, “diritti finanziariamente condizionati”) e che, pertanto, al 38 Fulvio Cortese di là della dizione espressa (art. 32, comma 1) secondo cui la Repubblica «garantisce cure gratuite agli indigenti», si pone il problema di identificare i limiti dell’impegno pubblico o, meglio, le modalità attraverso le quali esso si possa svolgere secondo principi di universalità e non discriminazione, così come è richiesto per ogni servizio pubblico. Non è un caso, a tale proposito, che, in seguito alle importanti modifiche apportate dalla l. cost. n. 3/2001 al Titolo V della Seconda Parte della Costituzione (in tema di rapporti tra Stato e autonomie territoriali), l’art. 117, comma 2, lett. m), abbia affidato al solo legislatore statale la «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale». Del resto, in sede di interpretazione di questa clausola attributiva allo Stato di una potestà legislativa esclusiva, è emersa una tendenza diffusa, traguardata anche da parte della giurisprudenza amministrativa e della dottrina, oltre che dalla Corte costituzionale (ad. es., sentt. nn. 282/2002, cit., e 10/2010), a considerare i livelli essenziali (LEP) fissati dallo Stato (anche in via regolamentare, stando alla possibilità chiaramente offerta dal comma 6 dell’art. 117) quale contenuto del c.d. “nucleo essenziale” del diritto alla salute, ossia di ciò che dovrebbe essere sempre e comunque garantito (è da notare, peraltro, che la Corte sembra talvolta avvicinare questo “nucleo essenziale” a ciò che si definisce come “nucleo irriducibile” dei diritti fondamentali, e quindi a ciò che, in quanto strettamente connesso alla dignità della persona, non può essere rifiutato: v. sempre sent. n. 10/2010, con riferimento, ad es., alle prestazioni di assistenza o di sostegno sociale). Può notarsi, comunque, che l’idea, accolta testualmente I diritti inviolabili dell’uomo 39 nella citata lett. m) del comma 2 dell’art. 117 Cost., secondo cui vi sono anche diritti sociali che devono essere garantiti in modo uniforme, è una prova, per così dire ex post, della volontà, già insita nell’art. 2 Cost. e nella peculiare interpretazione che di esso è stata fatta, di considerare anche questa “nuova” tipologia di diritti come potenzialmente ascrivibili alla categoria dei diritti inviolabili. Difatti, è insegnamento tradizionale e incontestato quello per il quale il godimento delle libertà fondamentali non può essere diversificato per ragioni territoriali, trovando nella possibilità di intervento esclusivo del legislatore statale un concreto baluardo. DI QUALI DIRITTI GODONO GLI STRANIERI? Si è già precisato (par. 3) che la condizione giuridica dello straniero è disciplinata dalla legge, in conformità a quanto previsto dal diritto internazionale (art. 10, comma 2, Cost.). Questa sola puntualizzazione rende comprensibile la ragione dell’estensione che, anche sulla base dell’art. 2 e dell’art. 3 Cost., la Corte costituzionale ha da tempo fatto, nei confronti degli stranieri, circa il godimento dei diritti inviolabili. Si è visto, infatti, che il diritto internazionale contempla molte ipotesi di “diritti” che devono essere garantiti a tutti, ossia all’uomo in quanto tale. In generale, però, premessa questa tendenziale estensione, può dirsi che la Corte costituzionale tiene un atteggiamento ragionevolmente differenziato. Ad esempio, rispetto a “diritti” o a “libertà” che la Costituzione riconosce a “tutti”, l’estensione è automatica (è il caso del diritto di difesa o della libertà di manifestazione del pensiero). Analogo risultato si ha per quelle libertà fondamentali “classiche” che non vengono testualmente riferite ai soli “cittadini” (v. la libertà personale o il diritto all’unità familiare o il diritto a contrarre matrimonio; cosa di- 40 Fulvio Cortese versa, naturalmente, è per il diritto di voto). Viceversa, laddove la Costituzione si riferisce ai “cittadini”, la Corte distingue caso per caso (salva però l’estensione pacifica delle pretese connesse al principio di uguaglianza); in particolare, la Corte tende sempre a favorire l’estensione agli stranieri anche in questi casi, ma ammette talvolta la possibilità di restrizioni o di distinzioni circa il godimento effettivo della situazione soggettiva (così è per la libertà di circolazione). In ogni caso, la Corte considera sempre esteso agli stranieri il godimento del nucleo irriducibile dei diritti inviolabili (sent. n. 252/2001). E ciò è significativo soprattutto per i diritti inviolabili che richiedono prestazioni pubbliche. In proposito, si segnala che il legislatore (d.lgs. n. 286/1998) riconosce allo straniero, comunque presente sul territorio o alla frontiera, anche se irregolare, «i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti» (art. 2). In particolare, allo straniero, anche se irregolare, sono garantite «le cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o comunque essenziali, ancorché continuative, per malattia ed infortunio e sono estesi i programmi di medicina preventiva a salvaguardia della salute individuale e collettiva» (art. 35, comma 2; v. ancora Corte cost., sent. n. 252/2001). Deve rammentarsi che lo straniero gode, per espressa previsione costituzionale (art. 10, comma 3) del diritto d’asilo, e ciò laddove dimostri che nel suo Paese gli venga «impedito (…) l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana». 5. Un problema di tutela giurisdizionale Affermare l’inviolabilità di un diritto non significa averne disciplinato in modo univoco le possibilità di tutela. Queste I diritti inviolabili dell’uomo 41 dipendono, in larga parte, dal modo con il quale quel diritto si può portare all’attenzione di un organo giurisdizionale, per ottenerne una protezione rispetto ad aggressioni altrui o per conseguirne un effettivo rispetto da parte di chi vi sia tenuto. Si è visto, certo, che per molte libertà fondamentali, quali la libertà personale o quella del domicilio, esiste una riserva di giurisdizione, di identificazione abbastanza facile. Ciò dipende anche dal fatto che, essendoci in quei contesti anche la previsione di una riserva assoluta di legge, è quest’ultima fonte ad occuparsi specificamente del problema, cercando di dare attuazione a quanto prevede analiticamente la Costituzione stessa. Ma si può dare anche l’eventualità che alcuni diritti richiedano una tutela diversa da quella cui alludono le specifiche disposizioni di garanzia dettate dalla Costituzione, oppure che essi siano “sforniti”, per così dire, di previsioni costituzionali capaci di individuare, caso per caso, il luogo e la tipologia della tutela giurisdizionale. Soccorrono, quindi, principi e regole generali. Nell’ordinamento italiano, la possibilità di rivolgersi ad un giudice (che, come si è visto, è di per sé stessa un diritto inviolabile) è differenziata a seconda che si agisca a tutela di un diritto soggettivo ovvero di un interesse legittimo (artt. 24 e 103 Cost.): nel primo caso, l’ordinamento riconosce il godimento diretto di determinate utilità sostanziali, nel secondo caso, invece, l’aspirazione ad un determinato bene della vita è mediata dall’esercizio legittimo del potere pubblico; ancora, nel primo caso l’autorità giurisdizionale cui rivolgersi, per ottenere garanzia della propria pretesa, è il giudice ordinario, nel secondo caso la giurisdizione è del giudice amministrativo. A questo secondo giudice, speciale, spetta poi la cognizione anche dei diritti soggettivi in talune particolari materie, 42 Fulvio Cortese laddove lo stabilisca il legislatore in ragione della concreta difficoltà di distinguere, in quegli ambiti, tra diritti e interessi, e, soprattutto, per la diffusa presenza del potere pubblico (si tratta della c.d. “giurisdizione esclusiva”: v. sempre art. 103 Cost.; cfr. anche Corte cost., sent. n. 204/2004). La distinzione è rilevante anche nel contesto dei diritti inviolabili, poiché, se da un lato è vero che la giurisdizione del giudice ordinario (civile o penale) è comunque sempre salva per tutti i diritti civili o politici (art. 2, legge n. 2248/1865, all. E) e che essi, per lo più, sono configurabili come diritti soggettivi (o, meglio, come diritti soggettivi pieni o perfetti, secondo un noto orientamento della Corte di cassazione), dall’altro lato è altrettanto vero che vi sono contesti in cui anche situazioni di diritti e di libertà fondamentali possono trovarsi declinate in situazioni di interessi vario modo condizionati da un certo esercizio del potere pubblico. Questa circostanza è diffusa nel contesto dei diritti sociali. Ad esempio, non c’è dubbio che il diritto all’abitazione sia configurabile, anche alla stregua di quanto definito dalla Corte costituzionale, come diritto inviolabile. Tuttavia, è parimenti indubitabile che il fabbisogno abitativo è una questione di interesse pubblico, come tale gestita dalla pubblica amministrazione, la quale, nei limiti delle disponibilità, stabilisce modi, termini e criteri per l’assegnazione di alloggi costruiti ad hoc o destinati a tale scopo. L’interessato che venga escluso o che venga postergato ad altri nel godimento di questa utilità è titolare senz’altro di un interesse legittimo e potrà, come tale, rivolgersi al giudice amministrativo affinché, sempre stando all’esempio, annulli la graduatoria stabilita dall’amministrazione o il bando pubblico sulla base del quale tutti i soggetti che aspiravano all’alloggio potevano presentare la propria domanda. I diritti inviolabili dell’uomo 43 Sul punto è opportuno segnalare che, specialmente con riferimento alla situazione degli stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio nazionale, si è diffuso - e inizialmente proprio con riguardo al diritto all’abitazione - il ricorso ad una forma originale di tutela, quella contro la discriminazione, che consente di far valere una sorta di autonomo “diritto a non essere discriminati” di fronte al giudice ordinario (v. art. 44 del d.lgs. n. 286/1998, rubricato, per l’appunto, «Azione civile contro la discriminazione», che disciplina peraltro un procedimento semplificato e accelerato). Ma si può aggiungere che questo peculiare strumento – che si ritrova, potenziato, nel contesto delle misure di trasposizione della direttiva 2000/43/CE del Consiglio, del 29 giugno 2000, sull’attuazione del principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica: v. art. 4, d.lgs. 9 luglio 2003, n. 215) – è stato utilizzato anche per promuovere, dal punto di vista della tutela giurisdizionale, interessi legittimi al rango di diritti soggettivi. Vi sono, cioè, casi, anche molto significativi, in cui la giurisprudenza ha riconosciuto la possibilità di azionare il “diritto” a non essere discriminati indipendentemente dalla natura (di diritto o di interesse) dell’aspirazione materiale rispetto alla quale vi è stata la discriminazione. A CHI SPETTA IL “BONUS BEBÈ”? Una nota applicazione della tutela “forte” che il “diritto” a non essere discriminati può garantire è avvenuta con riguardo alle provvidenze che nel 2008 il Comune di Brescia aveva destinato a favore dei nuovi nati. In particolare, il Comune aveva previsto di assegnare la somma di 1.000 Euro, ma a condizione che i genitori non superassero determinate soglie reddituali e che al- 44 Fulvio Cortese meno uno di essi avesse la cittadinanza italiana. Il Tribunale di Brescia, cui si sono rivolti alcuni cittadini stranieri residenti nel Comune, ha condannato, sia pur in via cautelare, l’amministrazione locale, e ciò proprio sulla base del particolare strumento di garanzia disciplinato dal diritto nazionale e dal diritto europeo. Il Tribunale, precisamente, ha ritenuto discriminatoria e quindi illegittima la condizione relativa alla titolarità della cittadinanza italiana, e ha ordinato al Comune di ammettere al “bonus bebè” anche i nuovi nati i cui genitori fossero entrambi stranieri, salvo il rispetto del limite di reddito. Il Comune, a fronte di questa pronuncia, ha deciso di revocare in toto la decisione di assegnare questo tipo di provvidenza. Ma il Tribunale di Brescia, nuovamente chiamato in causa in sede cautelare dai cittadini stranieri, che si sono considerati come vittime di un comportamento sostanzialmente ritorsivo, ha ritenuto che anche questa seconda determinazione fosse discriminatoria. E tale è stata anche la conclusione al termine del giudizio di primo grado. È opportuno rammentare, per quanto interessa in questa sede, che l’amministrazione comunale si era difesa anche sostenendo che non si potesse riconoscere la giurisdizione del giudice ordinario. Tuttavia, le Sezioni Unite della Corte di cassazione, chiamate a dirimere specificamente tale questione, hanno confermato la giurisdizione del giudice civile (sent. n. 3670/2011). Sembra utile, inoltre, segnalare la circostanza che alcuni diritti inviolabili sono, quanto a tutela giurisdizionale, materialmente “scomposti” in situazioni soggettive di diritto o di interesse, a seconda dei casi. Ad esempio, nel caso del diritto alla salute, non c’è dubbio che il soggetto che intenda vantare simile posizione abbia un diritto soggettivo da tutelarsi di fronte al giudice ordinario ogni qual volta si tratti di esigere l’adempimento delle prestazioni atte a garantirne il “nucleo essenziale”. Così è anche laddove il soggetto privato chieda il rimborso del- I diritti inviolabili dell’uomo 45 le spese mediche sostenute all’estero e questo gli venga illegittimamente negato. Tuttavia, laddove si intenda ottenere la visione di cartelle cliniche di un proprio parente, per comprendere di quali patologia si tratti e per prevenire il rischio che essa si manifesti anche nella propria persona, il diniego dell’accesso a simile documentazione è certamente sindacabile dal giudice amministrativo. Questa “dissociazione” non deve, di per sé, stupire. Anche nel contesto delle più evolute acquisizioni della teoria generale delle situazioni giuridiche soggettive, è chiaro che le situazioni di “diritto” non costituiscono dei monoliti e che, anzi, esse si declinano in un fascio di ulteriori situazioni soggettive elementari, comprendendo facoltà, poteri, immunità, doveri, oneri, etc. di differente natura e intensità. Simile fenomeno, peraltro, spiega le forme di occasionale ma ricorrente contatto tra diritti inviolabili (e situazioni soggettive, come si è detto, loro strettamente correlate) e interessi collettivi (come possono essere quelli dei consumatori), diffusi (ad esempio, alla tutela dell’ambiente salubre) o generali (così definiti dall’art. 118, comma 4, Cost., come centro attorno al quale devono essere favorite esperienze di sussidiarietà orizzontale e, con ciò, di “cittadinanza attiva”). Non è un caso che, con riferimento agli interessi diffusi e a quelli collettivi, la legge tenda a riconoscere alle associazioni che ne siano rappresentative (e che abbiano talune caratteristiche) il potere di agire in giudizio a tutela di tutta la comunità e di porsi quali interlocutori privilegiati in seno a tutti i procedimenti amministrativi che di volta in volta possano incidere su quegli stessi interessi. Peraltro, la legge ha anche riconosciuto ai soggetti «titolari di interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei per una pluralità di utenti 46 Fulvio Cortese e consumatori» la possibilità di attivare un apposito «ricorso per l’efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici» (v. l’art. 1, d.lgs. n. 198/2009). Occorre anche evidenziare, ad ogni modo, che buona parte delle possibilità effettive di soddisfazione di molti diritti (in particolare di quelli sociali) sono connesse al coinvolgimento strategico di volontari e/o di risorse umane provenienti da azioni sinergiche della società civile organizzata (espressione, d’altra parte, del pluralismo sociale che proprio l’art. 2 Cost. vuole tutelare e incentivare). Tornando ai temi della tutela giurisdizionale in senso stretto, l’importanza, soprattutto storica, della distinzione tra la giurisdizione del giudice ordinario e quella del giudice amministrativo si spiega con il fatto che le forme e i tempi della tutela ottenibile nei due casi sono tendenzialmente diverse. I diritti soggettivi, infatti, possono tradizionalmente accedere a forme di protezione (ad esempio, di accertamento e/o di condanna) che il modello classico, impugnatorio, del giudizio amministrativo non poteva garantire. Recentemente, però, anche in occasione dell’adozione di una nuova disciplina sistematica del processo amministrativo (d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, noto come “codice del processo amministrativo”, c.p.a.), TAR e Consiglio di Stato sono stati dotati di poteri e di prerogative tali da poter offrire una tutela maggiormente articolata e di adottare, in specifiche ipotesi, anche pronunce che obblighino l’amministrazione all’emanazione un certo provvedimento. In ogni caso, tutte le situazioni soggettive che vengano indebitamente violate dal potere pubblico devono essere sempre ristorate: «I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leg- I diritti inviolabili dell’uomo 47 gi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione dei diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici» (art. 28 Cost.; ciò vale non solo per i “diritti”, ma anche per gli “interessi legittimi”, soprattutto a decorrere dall’importante sentenza della Corte di cassazione, n. 500/1999; v., oggi, l’art. 30 c.p.a.). 6. Un problema di gestione I diritti fondamentali pongono problemi non solo con riferimento alla loro tutela giurisdizionale, ma anche con riferimento a ciò che viene prima di questa peculiare reazione. In molti casi, infatti, essi sono soggetti a dinamiche istituzionali che li vedono coinvolti in questioni procedimentali od organizzative capaci di delimitarne l’ambito applicativo o di definirne concretamente le potenzialità espressive. Non si tratta di un aspetto negativo, in quanto potenzialmente foriero di innegabili pericoli circa una sostanziale compressione delle prerogative anche essenziali in cui si articola il diritto inviolabile. Si tratta, in qualche modo, del riconoscimento di una onnipresente questione di bilanciamento, che non può essere risolta sempre e soltanto dal giudice. Valgano, in questo contesto, due differenti esemplificazioni. La prima riguarda il diritto alla privacy, di cui si è riferito anche in precedenza, che è senza dubbio un diritto fondamentale e inviolabile. Eppure esiste da tempo una complessa disciplina legislativa che si occupa della tutela dati personali (oggi raccolta nel d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196) e che affida a un’autorità amministrativa indipendente (il Garan- 48 Fulvio Cortese te per la protezione dei dati personali) la regolazione dell’utilizzo ragionevole e proporzionale di quei dati. Si potrebbe anche affermare che, in determinate situazioni, il diritto alla privacy non è identificabile come tale, bensì nei limiti del rispetto, da parte di altri soggetti, pubblici o privati, delle regole poste dalla legge e dall’autorità amministrativa indipendente chiamata a farle rispettare, a chiarirle e ad implementarle. Un diverso esempio ci dimostra che la gestione dei diritti inviolabili non è solo una possibilità che si manifesta episodicamente e che, anzi, essa può costituire un’esigenza quasi strutturale. Si pensi a tutte le complesse problematiche che emergono con riguardo alle tematiche del c.d. “fine vita”, nonché alle complicate e difficili decisioni che medici, pazienti e parenti devono compiere di volta in volta. Non è forse vero che la relazione tra tutti questi soggetti sembra richiedere luoghi e procedimenti in cui articolarsi in modo compiuto e non conflittuale? Tale esigenza sembra essere dimostrata, materialmente, anche dal modo con cui il giudice civile (Cass. Civ., Sez. I, n. 21748/2007) ha risolto uno dei casi più conosciuti e drammatici (il noto “caso Englaro”): la decisione di interrompere una serie di trattamenti terapeutici finalizzati a mantenere artificialmente in vita una donna rimasta per ben 17 anni in stato vegetativo è stata giustificata sulla base di una serie di accertamenti e di valutazioni per i quali non solo erano necessarie le conoscenze di tutti i predetti soggetti, ma queste dovevano essere messe tra loro in correlazione, allo scopo di comprendere, in modo circostanziato e in quel particolare frangente, quale fosse la scelta più corrispondente al valore supremo della dignità umana. Con riferimento ad entrambi gli esempi, il ruolo del le- I diritti inviolabili dell’uomo 49 gislatore è davvero importante, poiché è evidente che i problemi di gestione così segnalati sono spesso “governati” da un’autorità amministrativa, la cui azione non può che sottostare al principio di legalità e non può che rispettare quel principio di autodeterminazione individuale che, come si è precisato, costituisce il “perno” delle garanzie dell’art. 2 Cost. Questi spunti possono essere molto utili per rammentare quali risorse la disposizione in esame abbia anche nell’ambito della risoluzione sistematica e organizzata dei possibili conflitti che il multiculturalismo può diffondere in numerosi ambiti della vita pubblica e quotidiana. MULTICULTURALISMO A SCUOLA Alcuni interpreti hanno implicitamente abbracciato simile impostazione allorché hanno ipotizzato che le complesse questioni concernenti l’esposizione dei simboli religiosi nelle aule scolastiche (v. anche supra, per quanto riguarda il già riferito “caso” del Crocefisso) possano essere risolte mediante i processi di partecipazione cui è informata la vita di ogni comunità all’interno delle scuole, oggi dotate di autonomia costituzionalmente tutelata (v. art. 117, comma 3, Cost.). Fatto salvo, infatti, un basilare diritto di opting out per tutti coloro che non concordino con le soluzioni condivise eventualmente adottate, nulla vieterebbe, secondo questa tesi, che, anche a seconda di ogni singola classe, siano i soggetti interessati (alunni e docenti, ma anche con l’audizione dei genitori) a trovare l’opzione maggiormente corrispondente ai convincimenti individuali (e questa potrebbe consistere, pertanto, vuoi nella “parete bianca”, vuoi nell’esposizione di tanti simboli quante possono concretamente essere le culture religiose degli alunni della classe, vuoi nell’esposizione “esplicata” del Crocefisso come simbolo di natura prevalentemente culturale, vuoi, ancora, 50 Fulvio Cortese nell’adozione di un simbolo neutro, analogamente a quanto fatto dalla Croce rossa internazionale). Ma nulla vieterebbe, sempre in quest’ottica, che ciascuna di queste soluzioni sia accompagnata dalla decisione della scuola di creare, ad esempio, uno spazio apposito, anche molto limitato, per la preghiera individuale. Nonostante queste proposte sembrino animate dalla volontà di “anestetizzare” molti conflitti, depotenziandone l’inconciliabilità ideologica e rendendoli, anzi, occasione per un’azione anche didattica, è evidente l’attrito che simili letture generano con la tradizionale e consolidata lezione per la quale le libertà fondamentali devono essere garantite in modo omogeneo e uniforme, rispondendo ad un paradigma di carattere universalistico. In conclusione, ciò che emerge in modo interessante dalle osservazioni ora espresse è un profilo originale: in tutti i casi, le situazioni soggettive coinvolte e dotate del crisma dell’inviolabilità risultano bene e proporzionalmente garantite in tale loro specifico status laddove esse vengano riguardate con particolare attenzione ai soggetti che concretamente ne sono titolari. Ne deriva, cioè, una peculiare eventualità di differenziazione virtuosa nel rispetto, e non solo nella tutela, di alcuni diritti inviolabili; un tema ancora tutto da esplorare. Bibliografia essenziale A. BALDASSARRE, Libertà (problemi generali), in Enc. giur., XIX, Roma, 1990, ad vocem; A. BARBERA, Art. 2, in G. BRANCA (a cura di), Commentario della Costituzione, Art. 1-12, Bologna-Roma, 1975, 50 ss.; A. BARBERA, F. COCOZZA, G. CORSO, Le situazioni soggetti- I diritti inviolabili dell’uomo 51 ve. Le libertà dei singoli e delle formazioni sociali. Il principio di eguaglianza, in G. AMATO, A. 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