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97 Vanessa Roghi GIUSEPPE DE LUCA EDITORE DI ARRIGO BUGIANI Storia della cultura non si fa […] senza fare storia dell’editoria, e non solo nella sua concreta organizzazione, ma nella trama sottile dei legami di vario tipo che stabilisce fra quanti concorrono alla nascita di un libro, di una rivista, del fascicolo di un periodico qualsiasi. D’altra parte neppure storia dell’editoria si fa senza fare storia della cultura. Eugenio Garin, Editori italiani tra Ottocento e Novecento, Laterza, Bari 1991, p. 45 «Mia nonna materna non sapeva leggere e scrivere. Sapeva governare una grande casa, sapeva ragionare, sapeva pregare. L’accompagnavo dai primissimi anni alla prima Messa avanti l’alba. Preludeva alla Messa una meditazione di quasi mezz’ora. Alla lunga, io apprendevo a memoria tutte quelle meditazioni. Nonna le sapeva tutte. Si trattava – me ne avvidi poi in seminario – di centinaia e centinaia di pagine, ed erano pagine per la massima parte di sant’Alfonso»1. Con queste parole don Giuseppe De Luca traccia la genealogia della propria vocazione religiosa, una vocazione che affonda le sue radici nella pratica quotidiana, una pratica quotidiana impregnata delle parole di sant’Alfonso de Liguori, per De Luca «primo maestro di vita cristiana»2. Non saper leggere né scrivere, ma saper ragionare. Non conoscere le fonti del proprio sapere, ma averne uno. Abbandonarsi all’incanto di bimbo verso il mistero della devozione, alla quale De Luca tornerà tutta la vita, per spiegare perché, lui, prete romano per definizione, fosse tanto legato alla pietà contadina. «Ero piccolo», scriverà, «e in campagna seguivo la notte col cuore in gola la guerra dei lupi che invadevano il vicino ovile: i cani, i lamenti, i colpi di fucile. O, nelle notti di pace, raramente non sentivo il gallo: lì 98 2. STUDI per lì mi svegliavo, sia pure per riaddormentarmi subito. La guerra delle anime e delle “potenze di queste tenebre”, già da allora, e come può un bambino, non nitidamente ma fortissimamente, io l’avvertivo; e avvertivo la nascita del giorno eterno nel colmo della notte temporale, la nascita della eternità nel tempo: avrei voluto cantarla io. Non mi sono fatto prete a caso, né ancora oggi resto prete per nulla»3. Nel 1911, a 13 anni Giuseppe De Luca giunge a Roma dalla Lucania per entrare in seminario. Sono quelli gli anni dell’attuazione della riforma dei seminari, voluta da Pio X in seguito alla crisi modernista. I giovani preti con velleità intellettuali sono guardati a vista, scrive De Luca: «un mondo ovattato [...] dove gli studi erano curati, controllatissimi, il diario dei corsi avvertiva “prima nix scholae vacant” come negli orari scolastici di cento anni prima. Può darsi che una biblioteca ci fosse, ma né in quell’anno né in quello dopo vi misi mai piede»4. Malgrado ciò De Luca riesce a ritagliarsi un suo spazio di studio, diventa anzi una calamita per gli altri studenti «Tutti erano curiosi di sentirlo parlare, raccontare; si sapeva che era in corrispondenza con Papini e Giuliotti; Croce gli aveva già scritto una cartolina postale e la mostrava e commentava critico ma deferente. Aveva avuto il permesso di frequentare la Biblioteca Vaticana anche fuori orario»5. Nelle ore di studio solitario si avvicina alla grande letteratura dei laici, legge tutto, come lui stesso ammette in una lettera a Giovanni Papini del 1931 «Leggo Voltaire. Sta bene [...] Non però per semplice sensualità letteraria, seppure non senza questa. Io tendo all’enfasi, e il periodo è rigido. Posso continuare, caro Papini, a leggere classici e Bossuet per curarmi? Miro a farmi leggere, e a non permettere, mai, che nessuno dei miei amici non credenti possa credere che io credo perché non ho letto». La sua è una missione in partibus infidelium, riprendendo il titolo dello studio di Luisa Mangoni dedicato, appunto, al prete romano. Diventa prete nel 1921. La sua curiosità intellettuale, tuttavia, lo ha già messo spesso di fronte a difficoltà e incomprensioni, anche gravi, da parte dei suoi superiori. De Luca reagisce rifiutando ogni incarico curiale per dedicarsi allo studio, nelle ore rubate al suo ruolo di semplice prete. Dal 1927 è cappellano delle Piccole Suore dei Poveri a piazza San Pietro in Vincoli, nel cuore dell’antico quartiere romano dei Monti, a due passi dal Colosseo. Vive con la famiglia, il padre la matrigna, due sorelle. V. ROGHI - GIUSEPPE DE LUCA EDITORE DI ARRIGO BUGIANI 99 Lì De Luca apprende, sul campo, la difficile vita del prete dei poveri, ma sperimenta anche l’ebbrezza della libertà negli studi e nelle relazioni intellettuali, che intesse, nei suoi venti anni, senza alcuno spirito di inferiorità o timore reverenziale come dimostra il suo ricco epistolario con il gruppo di scrittori legati a Giovanni Papini e Piero Bargellini. Inizia a collaborare con «Il frontespizio», sotto diversi pseudonimi, e il suo nome circola nel «non ampio circolo della cultura cattolica italiana»6. Sono gli anni del Concordato, anni di rinnovamento, dopo le secche degli anni venti. Anni nei quali i cattolici italiani, liberi dal sospetto di modernismo, possono tornare allo studio. Ha scritto Luisa Mangoni «Se si eccettuavano il gruppo milanese raccolto intorno a Gemelli, impegnato a tempo pieno dall’energico frate francescano nella miriade di iniziative dell’Università cattolica, e i fiorentini che andavano aggregandosi e facendosi strada accanto a Papini e Giuliotti, non molti erano in realtà i cattolici capaci di produrre una cultura di intervento nel mondo contemporaneo: i giovani fucini, che andavano crescendo sotto la tutela di Giovan Battista Montini e Igino Righetti […]; o qualche giovane a Roma. […] È di per sé significativo, per esempio, che i due centri più attivi, Milano e Firenze, avessero come animatori dei convertiti, formatisi culturalmente al di fuori del mondo cattolico: la campagna antimodernista aveva prodotto dei guasti irreparabili tra gli intellettuali, coloro che il modernismo aveva maggiormente animato e coinvolto»7. Non si capiscono Giuseppe De Luca, né Arrigo Bugiani, né alcun altro intellettuale cattolico del periodo entre deux guerres, se non si tiene in considerazione questo contesto di isolamento, diffidenza, solitudine, reso più ampio, profondo, dalla crescente cappa conformista imposta dal regime fascista sulle istituzioni culturali italiane. Ma c’è qualcosa in più, qualcosa che divide, proprio in questo volgere di decennio, nei primi anni Trenta, De Luca dal mondo dei grandi convertiti, ed è il fastidio verso la società contemporanea. De Luca si sente, è, profondamente inattuale. Da questo sentimento ricava una sorta di lucida coscienza su quanto lo circonda, specialmente entro la Chiesa, oltre Tevere ma non solo. In realtà Giuseppe De Luca sta maturando, proprio in questi anni, un lento e deciso distacco dalle posizioni del «Frontespizio». Contesta ai suoi amici il voler essere «intellettuali cattolici», mentre, a suo giudizio, si deve essere cattolici e intellettuali. 100 2. STUDI Inizia a collaborare con la casa editrice Morcelliana di Brescia. È finita per lui la fase della «polemica quotidiana», la confusione fra prete e scrittore su richiesta. Le due posizioni devono essere separate, pur rimandando ad una unità. Fare cultura da un lato, essere uomo di chiesa e di fede dall’altro, solo così la battaglia per un rinnovamento del cattolicesimo italiano può essere vinta. Nata a Brescia, nel 1925, la Morcelliana si rivolge a un pubblico nuovo, quello dei «movimenti intellettuali della Fuci e poi dei laureati cattolici e, in genere, con settori minoritari, tendenzialmente anti-conformisti, del cattolicesimo italiano»8. A Brescia già esiste la casa editrice La Scuola che pubblica guide, testi di insegnamento, la rivista «Scuola italiana moderna». Ma la missione della Morcelliana è diversa, si propone infatti di «dar voce ad un’originalità cristiana nella riflessione e nella celebrazione di tutte le dimensioni dell’umano»9. Negli anni della chiusura di ogni giornale e rivista di opposizione, dello smantellamento del sistema liberale dei partiti, del progressivo allontanamento dall’Italia di ogni voce dissenziente, la Morcelliana mette in circolazione linfa vitale alla quale attingere. Traduzioni, soprattutto. La casa editrice bresciana traduce Maritain e Chesterton, pubblica, fra gli altri, il testo di Igino Giordani Crisi protestante e unità della Chiesa e Cattolicità, che sarà censurato, in anni di guerra, per i giudizi negativi sul paganesimo tedesco. Dal 1931 Giuseppe De Luca è fra i suoi più stretti collaboratori. Rilancia l’idea della formazione di una nuova leva di intellettuali. Punta sui giovani, sul loro lavoro, scrive a Fausto Minelli, che della Morcelliana è il direttore editoriale: «Dopo la iniqua espulsione dal Frontespizio dei giovani che fanno capo a Bo, e sono intelligentissimi, io praticamente mi sono messo a loro disposizione. Penso cioè alla generazione ventura. Non mi pare che possiamo sottrarci a questo compito di amici loro. Tu sei disposto ad aiutarmi? [...] credimi, Fausto. Mai come ora, pingue ma agilissimo ragno crociato, mai come ora teso fili lucenti e vibranti intorno alle anime; creo cerchi, immersioni turbamenti. Se tu mi aiuti, aiuti (oso dire) l’anima tua e Cristo»10. «Fare il giro delle idee moderne e non tremarne», scrive De Luca a Papini. Una questione da prendere interamente in mano poiché nulla c’è da attendersi dal clero alto o basso «fuorché l’ordinaria amministrazione: e queste non son cose da ordinaria amministrazione»11. Nei primi anni Trenta anche Arrigo Bugiani inizia a collaborare al V. ROGHI - GIUSEPPE DE LUCA EDITORE DI ARRIGO BUGIANI 101 «Frontespizio». Fa parte di quella schiera di giovani sui quali si è soffermato, fra gli altri, Luigi Fallacara nell’antologia della rivista del 1961: «Questi giovani acquistavano consapevolezza dei proprio mezzi e del compito ad essi affidato, di far nascere un’idea di letteratura cattolica che fosse più aderente alla vita reale e vissuta. Si trattava innanzitutto di essere artisti i quali poi essendo cattolici, avrebbero espresso nelle loro opere la fede che li animava». Proprio secondo la lezione di De Luca che firmando con lo pseudonimo Ireneo Speranza aveva scritto «cattolici ce né tanti, scrittori, per fortuna, pochi». I due non si incontrano ma intensa è la consonanza di temi e di stile. Scrive Bugiani «Possedere da vent’anni a questa parte una fede e coprirla con uno strato massiccio di protervia. Amare Cristo e vituperarlo con pervicace peccato. Questa è miseria che mi fa miserabile. E l’attributo mi calza a pennello». Parole che sembrano uscite dalla penna di De Luca. Li unisce, poi, un cristianesimo legato alla terra, alle stagioni, ai mutamenti della vita dell’uomo: nel 1936 Arrigo Bugiani pubblica La festa dell’omo inutile che racchiude tutta la sua poetica di questo periodo. In seguito alla pubblicazione del volume i due iniziano una corrispondenza che durerà fino alla morte del prete. Delle lettere di Bugiani a De Luca solo quelle pubblicate sono conosciute, le altre sono ora riposte, in attesa di una sistemazione, nell’archivio della Biblioteca vaticana, alla quale De Luca ha voluto fosse donata la sua corrispondenza. Appaiono evidenti i motivi che legano la scrittura dei due uomini: ma il primo e più profondo ha a che vedere con altro dalla letteratura, e riguarda i turbamenti, un dialogo quotidiano, costante con Dio sulla propria natura di peccatori. Scriverà Arrigo Bugiani nel volume che raccoglie i ricordi e le testimonianze su Giuseppe De Luca: Tra don Giuseppe De Luca e me, corse, un giorno, il patto d’andare insieme prima a Pisa poi a Siena e poi a Lucca, tanto per dare soddisfazione all’ansia nostra della bellezza e secondo l’ordine fissato dal suo animo geniale. Poi, al ritorno, io avrei dovuto scrivere senza indugio «Il mare di Siena», una sorta d’elogio di quella malinconica terra di Siena che anelava al mare ed ebbe limite al castello di Pietra. Era stato don Giuseppe a comandare ch’io scrivessi del mare di Siena, cogliendo a volo una mia immaginazione; perché lui faceva presto a comandare nelle cose dello scrivere. Io a sforzarmi di contraddire che lo scrivere è una 102 2. STUDI dura sofferenza, e lui a proclamare, consapevole e contento, che dono redditizio, proficuo e ricco, Iddio, più di quello della sofferenza non fa. Non arrivavo, in verità, a capacitarmi del tutto bene di una sovversione di tal genere: essere la sofferenza un magnifico regalo e laconico messaggio. Restavo dinanzi a lui perplesso, e don Giuseppe, allora, specificava con ragioni brevissime e assolute, che la sofferenza è una restituzione abbondevole e basta. «Se Dio ti dà, è segno che si compiace». L’autorità, in questi argomenti, era sua. Egli la rappresentava, infallibile com’era di giudizio, e dignitoso e pieno di saggezza: tutto per via dell’ordine che lo differiva dal prossimo comune, e la proposta assumeva, perciò, un’aria unica di dolcezza e bellavita e destava un’avidità più strana che ragionevole. Il ricordo di Bugiani richiama alla mente un’altra figura eccezionale di cristiano e prete, Giuseppe Sandri, di cui De Luca scriverà, in una lettera a Romana Guarnieri: «È un santo ma (come diceva don Abbondio) che tormento». La santità tormenta, «essere la sofferenza un magnifico regalo e laconico messaggio», per riprendere le parole di Bugiani. Una convinzione sofferta, ragionata al lume di infinite notti passate a discutere con Sandri sulla necessità di abbandonare ogni impegno terreno per dedicarsi solo a Dio. Scrive De Luca: «Amare Lui, sta bene. Ma Lui, non è un’arida formola, tanto meno un’astrazione: così sento io. Amo Lui, in tutto e tutto in Lui. Così ci ha insegnato, quando diceva che lo avevamo consolato in carcere, sul letto, ammalato, nei cenci, affamato. Così lo amo nel lavoro e amo il lavoro (furiosamente) in Lui. [...] E poi, per ora, finché viviamo, abbiamo bisogno di riconoscerlo e amarlo nelle cose sensibili, mi pare: per trascenderle sì, ma senza poterne però astrarre». E scrive Bugiani «Quant’è doviziosa la santità, mio è costante il pensiero e il rimorso»12, in un gioco di rimandi che mette in luce la filigrana di un sentimento in divenire, di un cristianesimo senza censure, che cresce proprio in questi anni. A metà degli anni Trenta De Luca è sempre più intento a tessere «fili lucenti» intorno alle anime. Il suo lavoro culturale è instancabile. Scrive De Luca a Fausto Minelli il 27 aprile del 1935: «Tu non vuoi vedere tutta la tragica bellezza del tuo lavoro: puoi far più cristiani tu che non il Papa, il quale non ne fa mai uno nuovo, e solo sgomenta i vecchi». Così presto la Morcelliana allarga il suo impegno editoriale anche V. ROGHI - GIUSEPPE DE LUCA EDITORE DI ARRIGO BUGIANI 103 alla letteratura. Nella collana «Confidenziali», voluta fortemente da De Luca, vengono pubblicati Vittore Branca, Giorgio Petrocchi, Angelo Romanò, Corrado Alvaro, Corrado Govoni, Marino Moretti, Giovanni Papini, Piero Bargellini. E Arrigo Bugiani. Con il volume La stella, che uscirà nel 1946. Un anno dopo la fine della guerra, e, con la guerra, del regime fascista. Il 1946 non è certo un anno facile nella vita di nessuno. Non lo è per De Luca, né per la Morcelliana, non lo è per l’Italia intera, presa a risollevarsi dalla guerra e a ricostruire le sue istituzioni. Con la fine del fascismo la Morcelliana intraprende una strada nuova di intervento più esplicito nella vita politica del paese. Motivo questo di forte discussione fra Minelli e De Luca che continua a vedere nello studio dei testi, nella loro traduzione e diffusione l’unico modo per far ripartire in Italia una vera discussione sulla cultura. Ha scritto Carlo Dionisotti: «Non era chiaro come si potesse uscire in Italia dalla crisi; ma era chiaro che non ne saremmo usciti per virtù di ciarle accademiche. Letteratura e storia erano in crisi entrambe, al tempo stesso, perché la crisi era si di una dottrina e di un metodo, ma anche era del linguaggio nella sua interezza, superficialmente contaminato da una grossa retorica nazionalistica, cui ancora si poteva opporre, individualmente, la educazione del buon tempo antico, e più profondamente contaminato da un generale disinteresse, disperato e superbo, degli uomini e delle cose, degli oggetti altri da noi, del gran cerchio d’ombra intorno a noi, di tutto quel che non fosse il poco lume oscillante sul peculio dei nostri individuali pensieri, gusti e capricci. Si spiega che in tali condizioni, al limite di frattura, poesia e prosa volgessero all’ermetismo, critica e storia alla filologia»13. E all’ermetismo volge La stella, il volume di Arrigo Bugiani che Giuseppe De Luca propone a Minelli e che suscita nell’editore bresciano qualche perplessità. Intanto, scrive Minelli «il libretto è un po’ smilzerello», e poi, insiste «lo sarà ancora di più dovendoci levare una delle cose migliori “Il figliolo”: ma purtroppo non pubblicabile: almeno questo è l’avviso nostro e non credo sarà dissimile il tuo quando l’avrai letto. Bisognerebbe poi che ci fosse un’introduzione, una prefazione, qualche cosa che legasse i raccontini»14. E in una lettera di poco seguente insiste: «Bada bene che non ho avuto la lettera di Bugiani. Già ti dissi come “Il figliolo” sia per me la prosa migliore. Ha una sua forza schietta e casta che a me fa bene leg- 104 2. STUDI gerlo ma non si può credi, vararlo. Forse con qualche espunzione ma temo non sia sufficiente. Col testo in mano se tu me lo rimandi presto, vedrò se possibile fare qualche proposta»15. Al di là degli esiti della vicenda editoriale, preme osservare che anche la genesi di questo libro si inserisce nel distacco che matura ormai irreversibile fra Giuseppe De Luca e Fausto Minelli. Arrigo Bugiani è motivo di disaccordo, di scontro, uno dei tanti eppure sintomatico di quella strada divergente che i due collaboratori, e ormai amici, hanno intrapreso. Aveva scritto Minelli nel maggio del 1943: «Dato il carattere dei Confidenziali – confidenze di autori già arrivati – a volte mi viene il dubbio se Bugiani vi sia a posto». Ma De Luca è irremovibile e il libro di Bugiani alla fine uscirà, salvo poi ricevere dopo poco tempo una lettera dalla casa editrice che gli ripropone di acquistare a prezzo scontato le copie invendute. L’editoria italiana a cavallo fra anni Quaranta e Cinquanta è stata mirabilmente raccontata da Luisa Mangoni nel suo saggio sulla generazione della crisi contenuta nella storia dell’Italia contemporanea Einaudi16. Sfuggono ovviamente alla sintesi alcuni episodi legati al mondo della piccola editoria, quella per capirci nella quale possiamo collocare i libretti di Mal’aria che Arrigo Bugiani inizia a pubblicare nel 1961. Ambito d’azione solo in apparenza circoscritto, come è stato notato da Luti, in realtà presa di coscienza di una maturità artistica e letteraria che non ha più bisogno della retorica del localismo per accreditarsi in un panorama segnato, per riprendere Dionisotti, da «ciarle accademiche». De Luca e Bugiani sono, ancora una volta, accomunati su diversa scala dalla passione per la circolazione dei testi, dalla condivisione di saperi, dalla creazione di una comunità di eccellenze fondata sul comune lavoro culturale. E non è un caso se tutti i libri successivi di Bugiani saranno pubblicati da case editrici vicine a De Luca, Storia e Letteratura appunto, o la casa editrice del fratello Luigi, tipografo, che sostiene sul nascere tutte le imprese editoriali del prete romano. Se c’è un aspetto della produzione di Bugiani che è stato studiato, questo è fuori dubbio la produzione dei libretti. Non mi cimenterò dunque anche io in una variante sul classico. Vorrei invece mettere in luce un elemento meno noto ma a mio parere interessante che ancora una volta evidenzia i legami profondi che continuano a unire Giuseppe De Luca a Arrigo Bugiani anche nel dopoguerra. A partire dal 1954 De Luca avvia un’opera all’apparenza minore ma V. ROGHI - GIUSEPPE DE LUCA EDITORE DI ARRIGO BUGIANI 105 alla quale dedicherà gran parte del suo tempo e del suo impegno fino a poco tempo prima della sua morte. È «Mater dei». Pochi fogli, pensati come bollettino dell’opera omonima. Pochi fogli che in realtà si trasformano presto, alla maniera di De Luca, in un intervento culturale di altissimo profilo all’interno di un contesto troppo spesso spicciolo se non sciatto, come quello della pubblicistica religiosa per le parrocchie. Una «antologia di brani di autori vari, noti e ignoti, prosatori e poeti, santi e peccatori, antichi e moderni, che han trattato con ogni libertà, il tema della Madonna»17. Il richiamo ai libretti di Bugiani appare evidente: uno strumento piccolo, all’apparenza di interesse circoscritto, in realtà precipitato di decenni di studi e relazioni personali. Di lavoro insomma. Arrigo Bugiani interviene due volte su «Mater Dei», a modo suo, suggerendo testi, scrivendone anche. Invia a De Luca una lode per Maria del XVIII secolo che dice così: «Io sono innamorato di Gesù e d’una donna che ha nome Maria / Che porta in capo un manto celestino / E tiene in braccio un vago fanciullino». L’altro intervento nel 1962, per un numero rimasto in bozze, in seguito alla morte di don Giuseppe, inedito fino alla sua pubblicazione nella raccolta dedicata alla rivista dalle Edizioni di Storia e Letteratura nel 1972. In quell’ultimo numero, in un’antologia di sette poesie sulla Madonna ne appare una di Bugiani che suona triste presagio, ma anche consolazione, per la dimestichezza che i due hanno e hanno sempre avuto nel parlare della morte. La poesia, scritta da Bugiani, si intitola Istruzione alla Moglie e dice: «Se il placido sonno / O l’insonnia corrucciata / A un tratto mi si tramutassero in sempiternale luce / Un momento: amerei dire / l fuggevole addio a quelli di casa / E con la mia voce umana / a grata lode al Signore / concludendo A Lucia, a te, ai figli all’amico prete, agli altri che mi stanno nell’amore saranno caparra, a loro sopraggiunta di gloria e maestà / o ci guadagnerò la pazienza per l’attesa». Pochi mesi dopo Arrigo Bugiani si troverà a scrivere un altro testo, ricordo questa volta di Giuseppe De Luca, l’amico prete, l’editore: «In ogni messa ogni prete per me diviene lui, presente e mansueto e violento figliolo del tuono; alzato nella consacrazione, su di un piede solo per secondare meglio – come faceva da vivo – il corpo del suo signore. Io gli rivolgo il discorso per mezzo di Maria; ave marie ave marie, umili semplici povere, lungo un viaggio già nella mente intrapreso. Questo mi fa credere che egli acconsentirà ad accompagnarmi, allorché sarà arrivato il momento giusto»18. 106 2. STUDI NOTE 1 G. De Luca, Sant’Alfonso, il mio maestro di vita cristiana, a cura di O. Gregorio, Alba, Edizioni Paoline, 1963. 2 Sull’influenza di Sant’Alfonso nell’educazione sentimentale di Giuseppe De Luca cfr. L. Mangoni, In partibus infidelium. Don Giuseppe De Luca: il mondo cattolico e la cultura italiana del Novecento, Torino, Einaudi 1989. Più in generale su Giuseppe De Luca cfr. R. Guarnieri, Una singolare amicizia: ricordando don Giuseppe De Luca, Genova, Marietti, 1998; G. Antonazzi, Don Giuseppe De Luca, uomo cristiano e prete (1898-1962), prefazione di Loris F. Capovilla, Brescia, Morcelliana, 1992; R. Guarnieri, Don Giuseppe De Luca fra cronaca e storia, Bologna, Il Mulino, 1974. Da qualche anno è uscita finalmente una esaustiva bibliografia degli scritti del sacerdote: M. Picchi-D. Rotundo, Bibliografia di don Giuseppe De Luca, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2005. Fra i carteggi pubblicati ricordiamo: G. De Luca- R. Guarnieri, Fra le stelle e il profondo. Carteggio 1938-1945, a cura di V. Roghi, Brescia, Morcelliana, 2010; gli altri sono pubblicati tutti dalle Edizioni di Storia e Letteratura, casa editrice fondata dal “prete romano”: G. De Luca-G. Prezzolini, Carteggio 1925-1962, a cura di G. Prezzolini, Roma 1975; G. De Luca-G. Papini, Carteggio I: 1922-1929, a cura di M. Picchi, Roma 1985; G. Bottaido-G. De Luca, Carteggio 1940-1957, a cura di R. De Felice e R. Moro, Roma 1989; A. BaldiniG. De Luca, Carteggio 1929-1961, a cura di E. Giordano, prefazione di C. Di Biase, Roma 1992;G. De Luca-G.B. Montini, Carteggio 1930-1962, a cura di P. Vian, Roma 1992; G. De Luca-F. Minelli, Carteggio (1930-1946), III vol., a cura di M. Roncalli, Roma 1999-2000-2001. 3 A. Bugiani, Festa dell’omo inutile, Firenze, Vallecchi, 1936, p. 81. 4 L. Sandri, Ripetitore nel seminario romano minore, in Don Giuseppe De Luca. Ricordi e testimonianze, a cura di M. Picchi, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1963, pp. 310-11. 5 Sandri, Ripetitore cit., p. 312. 6 Mangoni, In partibus infidelium cit., p. 4. 7 Mangoni, In partibus infidelium cit., p. 6. 8 N. Tranfaglia-A. Vittoria, Storia degli editori italiani, Roma-Bari, Laterza, p. 399. 9 Tranfaglia-Vittoria, Storia degli editori cit., p. 399 10 De Luca-Minelli, Carteggio cit., pp. 441-42. 11 27 ottobre 1931, citato da Mangoni, In partibus infedelium cit., p. 71. 12 A. Bugiani, Annata felice, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1958, p. 75 13 C. Dionisotti, Il filologo e l’erudita, Don Giuseppe De Luca cit., p. 41. Di una «vasta riscossa filologico-erudita e “antifilosofica”, in cui si cercava una via di superamento dello storicismo» parla anche R. Pertici in Marino Berengo storico della cultura ottocentesca, in M. Berengo, Cultura e istituzioni nell’Ottocento italiano, Bologna, Il Mulino, 2004, p. 19. 14 Minelli a De Luca, p. 230, v. III 15 Minelli a De Luca, p. 234, v. III 16 L. Mangoni, Pensare i libri. La casa editrice Einaudi dagli anni trenta agli anni sessanta, Torino, Bollati Boringhieri, 1999. 17 Il bollettino continuò le sue pubblicazioni fino al 1960, anche se nel 1962 De Luca preparò due numeri. Nel 1972 uscì a cura di Domenico Dottarelli l’intera raccolta per le Edizioni di Storia e Letteratura. Purtroppo mancò a quel volume la consueta V. ROGHI - GIUSEPPE DE LUCA EDITORE DI ARRIGO BUGIANI 107 cura filologica che la casa editrice riservava a tutte le sue pubblicazioni. Rimane così una ristampa, senza alcuna guida storico letteraria, da sottolineare inoltre l’omissione nella nota a cura del fondatore dell’Opera Dottarelli appunti del legame di amicizia spirituale che legò De Luca a Maria Bordoni anch’essa fondatrice dell’ordine. Cfr. Mater Dei. Bollettino dell’Opera “Mater Dei” diretto da don Giuseppe De Luca, con una nota di Domenico Dottarelli, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura,1972. 18 A. Bugiani, Patetica storia di un viaggio, in Don Giuseppe De Luca cit., pp. 69-70. 108 2. STUDI