Serena Bianchetti
Il valore del racconto di viaggio nell’opera geografica di Eratostene
In this paper, I analyse the first sphraghis-India in the map of
Eratosthenes with the aim to look at the importance of the
travel account in the first scientific attempt to describe the inhabited world. The reports of Nearchus, Patrokles, Daimachos, albeit fragmentary, allow us to evaluate the method of the
Alexandrine scientist, who adapted his input to his own geometric scheme of the world. The rhomboid shape of India,
drawn from Alexander’s historians and from the Indika of
Megasthenes (who relied extensively on local sources), reaches
proportions that are imposed by the basic framework. The
southern cape of India undergoes, in particular, a marked rotation eastward and is imagined at the same latitude as the
southern cape of Libya: it is the latitude of the latter, fixed north
of the equator, hence dictating an unreal analogy between East
and West, that makes it possible to construct a world map including large, completely unknown, areas, drawn by symmetry and analogy with known areas.
Gegenstand dieses Beitrags ist die erste Indien-sphraghis in
der Karte des Eratosthenes, da sich hieran seine Arbeitstechnik und Vorgehensweise gut beobachten lässt. Ganz offensichtlich griff er auf die Berichte des Nearchos, Patrokles und
Megasthenes zurück. Trotz des fragmentarischen Überlieferungszustands ihrer Schriften lässt sich die Methode des Eratosthenes ablesen, da er die von ihm gesammelten Nachrichten der bewohnten Welt für seinen jeweiligen Raum angleicht.
Das Grundgerüst eines Rhomboides für die Form Indiens
stammt aus der Indiká des Megasthenes (bei ihm sind wohl
reichlich Informationen aus Lokalquellen eingeflossen). Die
Gestalt des Landes bestimmt folglich das Ausmaß seiner Fläche. Zudem wandert die Südspitze Indiens somit nach Osten
und wird nördlich des Äquators auf der gleichen Breite wie Libyen positioniert. Auf diesem Weg gewinnt damit einen Vergleich zwischen Orient und Okzident. Dieser erlaubt es ferner,
eine Karte zu zeichnen, die im Geist von Symmetrie und Analogie die bekannten Erdteilen in eine zeichnerische Beziehung bringt, die zum Teil vorher unbekannt waren.
Questo contributo prende in esame la prima sphraghis-India
della carta di Eratostene per valutare l’importanza del racconto
di viaggio all’interno del primo tentativo di rappresentare
scientificamente l’ecumene. I resoconti di Nearco, Patrocle,
Daimaco, Megastene, giuntici in maniera frammentaria,
consentono di valutare il metodo dello scienziato, il quale
adatta le notizie raccolte al suo schema del mondo abitato. La
forma romboidale dell’India, ricavata dagli alessandrografi e
dagli Indikà di Megastene (il quale attingeva ampiamente a
fonti locali) assume proporzioni che sono imposte
dall’impianto di base della carta. La punta meridionale
dell’India subisce, in particolare, una forzata rotazione verso
est e viene immaginata alla stessa latitudine della punta
meridionale della Libye: è la latitudine di quest’ultima, fissata
comunque a nord dell’equatore, a dettare quella irreale
analogia tra Occidente e Oriente che rende possibile costruire
una carta comprensiva di ampie aree del tutto ignote e
disegnate per simmetria e analogia con quelle note.
In prospettiva di una ricostruzione della forma dell’intera ecumene e delle sue diverse parti, condotta su
base essenzialmente geometrica, la Geografia di Eratostene dedica ampi riferimenti a esperienze di viaggio selezionate in relazione alla possibilità di giustificare l’impianto generale, risultato a sua volta di una
matura e consolidata scienza astronomica (Fig. 1).
In questa sede si prenderà in esame la spraghis1 India per cercare di comprendere le modalità con le
quali lo scienziato utilizzò i racconti di viaggio (Fig. 2). La carta alessandrina costituisce, come noto, la
prima rappresentazione dell’ecumene su base geometrico-astronomica. Essa è di fatto il primo tentativo
di trasferire su una superficie piana il quarto di sfera nel quale risulta inscritto il mondo abitato.2
Si tratta di un procedimento che viene precisamente descritto da Strabone3 in passi che, pur non
riportando il nome di Eratostene, sono riconducibili allo scienziato per una serie di indizi: primo tra tutti
il riferimento alla clamide-mantello macedone alla quale era paragonata anche la pianta della città di
Alessandria.
Strabone riferisce il procedimento di astrazione attraverso il quale si arriva dalle misure generali
(circonferenza terrestre, misura dell’arco compreso tra equatore e polo ecc.) a definire il quadrilatero nel
quale andava inscritta l’ecumene. L’asse delle ordinate è costituito dalla linea del meridiano fondamen-
IL VALORE DEL RACCONTO DI VIAGGIO NELL'OPERA GEOGRAFICA DI ERATOSTENE
77
Abb. 1 | Ricostruzione della carta di Eratostene
tale, quello delle ascisse è costituito invece dal parallelo fondamentale, già individuato da Dicearco, ed è
tracciato da una linea che va dalle Colonne d’Eracle all’estremo orientale del Tauro e alle ultime propaggini dell’India. Su questi assi cartesiani l’alessandrino procede al disegno delle singole parti della clamide-ecumene, le sphraghides, con una definizione dei confini che è abbastanza precisa solo per due di
esse, l’India e l’Ariana.
Eratostene, come noto, non divide l’ecumene in continenti e quindi mancano nella carta proprio
quelle scansioni sulle quali si era diversamente pronunciata la dottrina: in particolare la divisione AsiaLibye, segnata dal Nilo o dal Mar Rosso, aveva fatto discutere i predecessori. Si trattava, come ho già
avuto occasione di sottolineare4, di un confine particolarmente importante nella prospettiva tolemaica e
seleucide e Eratostene – forse non a caso – preferiva non affrontare questo prolema.
Non sono dunque i problemi di geografia politica quelli che interessano il geografo ma quelli di
geografia fisica. Egli suddivide geometricamente la sezione della sfera limitata dall’equatore e dal circolo
polare artico. Emerge chiaramente già da questo inizio il carattere fondamentale del procedimento eratostenico e il primo punto di cui tener conto: lo schematismo delle soluzioni, criticato da Ipparco perché
esso giunge a distorcere la realtà trasformando in linee rette i corsi dei fiumi, le catene dei monti, le
coste dei mari. Lo scopo della ricerca dell’alessandrino era infatti la messa a punto di parti di un puzzle
che doveva essere poi ricomposto in modo da restituire un disegno complessivo che integrasse ‘per congettura’ anche le parti sulle quali la documentazione fosse risultata carente in toto o in parte. È quanto
accade ad es. per la parte nord-orientale dell’Asia, la cui forma a lama di coltello è costruita più in base
a deduzioni di ordine geometrico che in base a informazioni ricavate da esperienze di viaggio, peraltro
assenti per quella parte di mondo.5
1
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Sul termine cfr. Marcotte (2005), 149ss.
Sulla carta di Eratostene cfr. Thalamas (1921), 190ss;
Aujac (2001), 41–124; Geus (2002), 260–288;
Olshausen (2007), 103–110.
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3
4
5
Strab. 2,5,5–7 C 112–113 = Frg. II B 27; II B 23; III A 39
Berger = Frg. 30 Roller (2010) e comm. 144–147; Frg.
34 e comm. 151–154.
Bianchetti (2007–2008), 25ss.
Strab. 11,11,7 C 519 su cui cfr. Bianchetti (2012), 155–171.
Abb. 2 | Ricostruzione della sphraghis-India di Eratostene
Conseguenza immediata di questa scelta metodologica, dettata peraltro dalla necessità di disegnare i
contorni dell’intera ecumene, è la distorsione che viene a subire il racconto di viaggio, disponibile solo
per alcune parti e comunque adattato a un disegno che, per essere complessivo, non poteva prescindere
da quei procedimenti teorici che consentivano di tratteggiare anche i contorni delle zone ignote.
La trasformazione di itinerari che, per ovvie ragioni, non potevano essere lineari in rette, destinate a
costituire i lati delle figure cui sono assimilate le diverse parti dell’ecumene, comporta di necessità una
consapevole alterazione del dato ricavato dal viaggiatore e trasformato, invece, in elemento di geometria
piana.
Un secondo punto di fondamentale importanza nella valutazione dell’opera di Eratostene è lo
stretto rapporto che doveva esistere tra la carta e il testo della Geografia. Queste due parti dovevano dialogare, forse per la prima volta nella storia del pensiero geografico antico, in un rapporto stretto e
interdipendente del quale noi, purtroppo, cogliamo solo i pochi echi che ci giungono dai Frammenti
dell’opera letteraria. Quest’ultima, a sua volta, risulta amputata di parti essenziali (v., ad es., quelle
relative all’estremo Nord e derivate anch’esse dai dati di un viaggiatore scienziato, Pitea) per la critica
alla quale fu sottoposta da parte di geografi-storici quali Polibio e Strabone. La conseguenza di tutto ciò
è una obiettiva difficoltà, da un lato, nel ricostruire fonti e parti dei procedimenti che portarono all’elaborazione del disegno nel suo complesso e, dall’altro, nel valutare l’effettiva importanza del racconto di
viaggio all’interno dell’impianto eratostenico.
In questa sede, nella quale si esamina la sphraghis India, il peso dei racconti di viaggio potrebbe
risultare particolarmente importante trattandosi di un territorio la cui conoscenza si era notevolmente
ampliata proprio grazie alle esplorazioni volute da Alessandro e dai suoi successori. Di conseguenza, il
rapporto tra la costruzione di Eratostene e i dati ricavati dai racconti di viaggio costituisce un argomento
rilevante anche per comprendere il metodo di lavoro dello scienziato. Strettamente legato a questo
aspetto è il problema della corrispondenza tra il resoconto utilizzato e la versione di esso conservata
nelle fonti tralatrici. La valutazione del rapporto tra testo riportato e testimone risulta perciò determi-
IL VALORE DEL RACCONTO DI VIAGGIO NELL'OPERA GEOGRAFICA DI ERATOSTENE
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nante perché dall’affidabilità del testimone dipende anche la possibilità di valutare l’effettivo peso del
racconto di viaggio nella costruzione della carta. Questo argomento risulta, tuttavia, fortemente condizionato dal doppio filtro al quale è sottoposto il racconto di viaggio, confluito nel testo di Eratostene,
riportato a sua volta da una fonte tralatrice (in prevalenza Strabone, la cui posizione non è in genere neutrale). Dice Eratostene nella testimonianza di Strabone6:
L’India è limitata a nord dalle estreme propaggini del Tauro che si estendono dall’Ariana al mare
Orientale (che le popolazioni locali chiamano nelle sue diverse parti Paropamiso, Emodo, Imeo e con
altri nomi, mentre i Macedoni lo chiamano Caucaso), a occidente dal fiume Indo. Il lato meridionale
e quello orientale, che sono molto più lunghi degli altri due, sono protesi sul mare Atlantico sicché la
forma del paese è romboidale, essendo ognuno dei due lati maggiori 3.000 stadi più lungo del lato
opposto: di questo numero di stadi la punta comune ai due lati orientale e meridionale sporge verso sudest, con un aggetto uguale da entrambi i lati rispetto al resto della costa. Il lato occidentale, dai monti del
Caucaso fino al mare Meridionale, è valutato 13.000 stadi lungo il fiume Indo e fino alle sue foci, sicché
il lato opposto – cioè quello orientale – con l’aggiunta dei 3.000 stadi della punta, misurerà 16.000 stadi.
Sono dunque queste la larghezza minima e quella massima della regione: la lunghezza va da occidente a
oriente e di essa il tratto che va fino a Palibothra7 può essere indicato con più sicurezza: è stato misurato
infatti in scheni8 e c’è una strada regale di 10.000 stadi. Le misure oltre Palibothra sono ricavate per
congettura, in base alle navigazioni compiute dal mare risalendo il Gange fino a Palibothra: dovrebbero
essere circa 6.000 stadi. Il totale sarà, al minimo, 16.000 stadi, in base al Registro delle tappe9, considerato il più attendibile secondo quanto dice di aver ricavato Eratostene. Aggiunta a questa misura quella
della punta che aggetta un bel pò verso oriente, cioè 3.000 stadi, si otterrà la lunghezza massima: è
questa dunque la distanza dalle foci dell’Indo lungo la costa compresa da lì fino alla punta sopra detta e
fino ai confini orientali dell’India (abitano qui quelli chiamati Coniaci).
Queste misure dell’India riportano a un’idea della regione che gli studiosi moderni riconducono in gran
parte agli storici di Alessandro, in particolare a Aristobulo, a Onesicrito e a Nearco.10 Va detto tuttavia
che Arriano (Ind. 3,1–8) distingue nettamente la descrizione di Eratostene da quella degli storici precedenti, considerati meno attendibili per l’estensione del’India: tra questi cita Onesicrito, secondo il quale
l’India è un terzo dell’intera superficie terrestre, e Nearco che dichiara che il viaggio attraverso la pianura dell’India richiede quattro mesi. Si tratta di informazioni che evidentemente i due alessandrografi
avevano ricavato da fonti locali più che da esperienza diretta e che in alcun modo lasciano intravedere
una problematica sulla forma dell’intera India.
Il problema del rapporto tra misure ricavate dai racconti di viaggio e il disegno dei contorni dell’
India comincia a emergere solo con Megastene. Questi, come noto, aveva svolto attività diplomatica alla
corte di Chandragupta maurya per conto di Seleuco Nicatore11 ed era giunto fino al Gange arrivando perciò a comprendere per la prima volta l’effettiva estensione del continente indiano.
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8
80
Strab. 15,1,11 C 689 = Frg. III B 6 Berger = Frg. 69
Roller e comm. 176–177. Sull’India di Eratostene cfr.
Cunningham (1871), tav. II; Karttunen (1997), 105.
Cfr. su questo tratto Pal (2006), 80–86.
Cfr. Plin. nat. 12,52 = Frg. II B 43 Berger = Frg. 27
Roller e comm. 142, sul valore dello scheno che per
Erodoto (2,6) era, in Egitto, 60 stadi e 2 parasanghe. La
misura dello scheno era tuttavia variabile e l’equivalenza
1 scheno = 60 stadi sembra adattarsi precipuamente alla
Tebaide: cfr. Strab. 17,1,24 C 804. Cfr. Schlott (1969),
144ss; 156; lelgemann (2010), 79–80. Cfr. anche Biffi
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(2000), 212 su Arr. Ind. 3,4 sulla variabilità del valore
dello scheno in Egitto.
Cfr. anche Strab. 2,1,7 C 69 con il riferimento all’opera
di Betone bematista (FGrHist 712 F 3) quale fonte di Eratostene.
Brown (1955), 18–33; Zambrini (1985), 828; cfr.
Thonke (1913), 41ss.
Per la possibilità che l’attività politica di Megastene sia
da porre il relazione con Sibirtio, satrapo dell’Aracosia,
piuttosto che con Seleuco e che pertanto tale attività
possa essere fissata agli anni 320–318 cfr. Brown (1957),
Se infatti i bematisti e gli storici di Alessandro avevano misurato singoli tratti e raccontato esperienze di viaggio che lasciavano intravedere l’eccezionalità di un mondo assai diverso da quello greco,
questi stessi racconti potevano fornire solo brevi segmenti all’indagine di Eratostene il cui scopo era
invece quello di definire, con quelli dell’India, i confini dell’ecumene.
Strabone (2,1,5 C 69) all’inizio del II libro, dove descrive la critica di Eratostene ai predecessori e
dove riferisce le tappe della costruzione della carta del mondo, lascia intravedere due distinti filoni di
notizie che avrebbero contribuito a fissare il limite meridionale dell’ecumene: il primo, costituito dalle
osservazioni compiute sul meridiano fondamentale che passava da Alessandria e Meroe da parte di
esploratori inviati dai Lagidi, il secondo costituito dai resoconti degli esploratori che avevano viaggiato in
Oriente. Strabone si chiede chi siano coloro che avevano trasmesso a Eratostene l’idea che le punte meridionali dell’India erano alla stessa altezza di Meroe e sembra riecheggiare le critiche di Ipparco, il quale
contestava proprio il carattere geometrico della ricostruzione eratostenica e metteva in dubbio le conclusioni dell’alessandrino. Il passo raccoglie varie testimonianze utilizzate da Eratostene in favore del
suo disegno e, nelle parole del geografo, si percepisce il carattere probatorio attribuito dall’alessandrino
alle testimonianze autoptiche che, in ogni caso, valgono a dimostrare una tesi dedotta dalla scansione
geometrica dello spazio geografico, preliminarmente posta alla base della carta. La contestazione di
Ipparco, che utilizza anch’essa argomentazioni di ordine geometrico, lascia intendere come l’impianto
eratostenico fosse attacabile proprio per la sua connotazione prioritariamente geometrica e quindi per
lo scarso rilievo dato agli elementi autoptici che avrebbero almeno attenuato lo schematismo oggetto di
critica. Stanti queste considerazioni è anche legittimo ipotizzare che la collocazione delle punte meridionali dell’India alla stessa latitudine di Meroe fosse una deduzione dello stesso Eratostene12, ricavata dai
due filoni di racconti sopra citati e posti a confronto. Abbiamo infatti testimonianze, ancora una volta
sparse e selettive, sulle osservazioni astronomiche riportate da Filone e da altri esploratori inviati dai
Lagidi13 a sud e che si riferivano a latitudini effettivamente raggiunte. Da queste osservazioni compiute a
Siene e a Meroe Eratostene stesso aveva ricavato, come noto, i dati per la misurazione del meridiano terrestre.
Per quanto riguarda le esplorazioni in Oriente abbiamo alcune testimonianze di Nearco14, il quale
aveva navigato dalla foce dell’Indo verso occidente, lungo la costa di quella che per Eratostene era la
seconda sphraghis, l’Ariana – mentre l’India della prima sphraghis si estendeva – a differenza di quanto
immaginato dagli alessandrografi – a partire dal corso dell’Indo verso oriente.
Anche le osservazioni astronomiche di Nearco, relative a luoghi molto più a sud di quelli effettivamente raggiunti e evidentemente ricavate da informatori locali, devono essere state valutate da Eratostene per la loro attendibilità e coerenza con le leggi della sphairopoiia; quando l’alessandrino arriva a disegnare la carta, tutta la sezione sud-orientale dell’ecumene, che comprende il lato meridionale
dell’Ariana e dell’India è fissata a una latitudine che è rapportata, in via prioritaria, alla latitudine meridionale della Libye. Afferma Arriano (Ind. 25,7):
12
12–24; Bosworth (1996), 113–127. Su Arr. an. 5,6,2, su
cui si fonda essenzialmente la tesi di una datazione
più alta dell’attività megastenica, cfr. Bosworth (1995),
242–244; Zambrini (2004), 470. Sulla misurazione di
Megastene cfr. Dihle (1964), 15–23; Zambrini (1982),
139; Zambrini (1985), 829; Bruno Sunseri (2001),
203–205.
Berger (1880), 176 pensava al contrario che dalle parole
di Strabone si ricavasse che Eratostene aveva attinto
questa analogia da fonti precedenti.
13
14
Strab. 16,4,14 C 773–774. Cfr. Berger (1903), 385ss;
Kortenbeutel (1931), 27ss. Cfr. anche Desanges
(1978a), 295ss; (1978b), 83ss, sulla possibilità che si trattasse di esplorazioni marine piuttosto che terrestri.
FGrHist 133 F 1 = Arr. Ind. 25,5–6; FGrHist 133 F 16 =
Strab. 2,1,20 C 77. Su questi passi cfr. Von SchulzeGävernitz (1927), 24ss; Pearson (1960), 119ss;
Badian (1975), 14–170; PÉdech (1984), 200–201;
Karttunen (1989), 90. Sulla personalità di Nearco cfr.
di recente Gadaleta (2008), 63–94.
IL VALORE DEL RACCONTO DI VIAGGIO NELL'OPERA GEOGRAFICA DI ERATOSTENE
81
Questi fenomeni che Nearco riferisce non mi sembrano inverosimili dal momento che a Siene, in
Egitto, quando c’è il solstizio d’estate, viene mostrato un pozzo che a mezzogiorno non proietta alcuna
ombra. È dunque probabile che presso gli Indiani, visto che abitano un territorio meridionale, si verifichino gli stessi fenomeni, tanto più che il loro mare volge particolarmente a sud.
Il filtro di Eratostene nella restituzione della testimonianza di Nearco appare chiaramente deducibile
dall’osservazione relativa a Siene, dove l’alessandrino aveva compiuto osservazioni sulla culminazione
del sole nel solstizio estivo, rapportate al fenomeno quale si verificava a Meroe nello stesso momento.
Come già detto, Nearco sembra costituire l’autorevole referente al quale Eratostene si rifà per le
osservazioni di ordine astronomico e atmosferico relative alla costa esplorata e che si limita al tratto a
occidente dell’Indo, mentre l’alessandrino le trasferisce alla linea che prosegue a est della foce del fiume.
Strabone parla, riferendo le argomentazioni di Eratostene, di ‘punte dell’India’ al plurale (2,1,2 C 67)
richiamando, verosimilmente, la descrizione dell’ammiraglio di Alessandro che aveva menzionato i
diversi luoghi della costa intesi come estremi meridionali del continente indiano. Quando Eratostene
tratteggia, poi, lo schema dell’India nel suo complesso, il vertice meridionale del quadrilatero-romboide
cui è assimilata la regione è costituito naturalmente da una sola punta sicché ‘le punte’ dell’India, che
dovevano comparire nel resoconto nearcheo, si riducono a quella che è l’unica punta importante all’interno della carta e che segna davvero il confine meridionale dell’ecumene.
Sempre da Strabone (2,1,2 C 67) si ricava che Eratostene utilizzava la testimonianza di un altro viaggiatore, Patrocle, considerato degno di fede perché “non privo di competenze geografiche”, per negare
l’inclinazione verso nord-est della catena del Tauro, presente nelle ‘antiche carte’.15 Lo scienziato trovava una prova di ciò nel fatto che l’estensione nord-sud dell’India era valutata da Patrocle 15.000 stadi,
quanto misurava la distanza da Meroe a Atene. Lo stesso Patrocle, che valutava 12.000 stadi la larghezza
minima dell’India, attribuiva poi alla catena del Tauro una larghezza di 3.000 stadi, uguale alla distanza
tra il Golfo di Isso e Amiso-Sinope. La misura divergeva dunque poco da quella di Eratostene, che valutava 13.000 stadi lungo il corso dell’Indo. A questi andavano aggiunti infatti gli stadi (fino a 3.000) corrispondenti alla larghezza del Tauro.16
Anche in questo caso il ricorso al racconto di Patrocle, contestato da Ipparco secondo quanto riportato da Strabone e cioè in termini verosimilmente non completi, è selettivo e dettato dalla possibilità di
avvalorare la tesi – già presente in Dicearco – che voleva la catena del Tauro correre lungo una linea retta
dalle Colonne d’Eracle ai confini orientali dell’India. Ancora una volta, qui, il confronto tra la lunghezza
dell’India e quella del tratto Meroe-Atene ha tutta l’aria di essere eratostenico: inteso in questa prospettiva, esso costituisce un ulteriore elemento per comprendere come funzionava il reticolo della carta
alessandrina, costruito su analogie dedotte da singole parti di racconti di viaggio selezionate per suffragare un ragionamento già determinato nella sua struttura portante.
Entrando nel merito della lunghezza dell’India misurata sulla linea del Tauro (2,1,7 C 69) risulta
che Eratostene prende atto del disaccordo esistente tra Patrocle e Megastene (il quale parlava di 16.000
stadi contro i 15.000 di Patrocle) e considera entrambe le testimonianze inaffidabili (Ν). Preferisce
a questo punto il dato neutro, ricavato dal Registro delle tappe, evidentemente consultato indipendentemente dai due racconti di viaggio di Patrocle e di Megastene.
15
16
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Sulla collocazione del Tauro nelle “antiche carte” cfr.
Prontera (2001), 1061–1064.
Su Patrocle cfr. Bunbury (1879), 573; Neumann (1884),
165–185; Berger (1880), 94; Berger (1903), 72;
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Gisinger (1949), 2263–2273; Cary/ Warmington
(1929), 151–152; Hennig (1936), 182–186; Karttunen
(1989), 93; Gómez Espelosín (2000), 220; Aujac
(2001), 185.
Eratostene dice, sempre nella testimonianza di Strabone (2,1,5 C 69), di aver utilizzato molte testimonianze e il suo metodo di lavoro emerge dalle parole dello stesso Strabone, il quale afferma:
̣ ² #E « ³« λ μ « « .
Aggiunge che Eratostene aveva consultato molti resoconti scritti di cui era ricca la biblioteca di Alessandria e lascia intendere che lo scienziato aveva cercato nei documenti la conferma a un’idea globale
dell’ecumene, derivata dall’indagine astronomico-geometrica.
Il Registro delle tappe, considerato da Eratostene il documento più affidabile ( )17 costituisce dunque la prova attraverso la quale viene attribuita credibilità a Megastene, il
quale aveva autonomamente affermato che l’India era lunga 16.000 stadi, contro i 15.000 di Patrocle.
Il fatto che il testo dica che anche Megastene concordava su questa misura lascia supporre che
il dato non provenisse dall’ambasciatore seleucide, il quale si trovava a riferire poi la stessa misura,
mentre Patrocle contava mille stadi in meno. La provenienza megastenica pare invece ipotizzabile per la
distanza Pātaliputra–Oceano orientale: essa è computata all’incirca in 6.000 stadi e ottenuta “per congettura, grazie alla risalita del Gange”.
Anche Arriano (Ind. 3,4) riporta la lunghezza dell’India computata da Eratostene 16.000 stadi ma
precisa che la distanza fino a Palimbothra è attendibile perché misurata in scheni lungo la strada reale,
mentre al di là di Palimbothra (Palibothra di Strabone) i dati non sono così precisi.18 Strabone e Arriano
lasciano dunque intravedere il modo con cui Eratostene aveva utilizzato il racconto di Megastene: si trattava verosimilmente di una conferma dei dati ricavati da un documento ufficiale come il Registro delle
tappe e, al contempo, di una necessaria integrazione di esso relativamente al tratto di navigazione sul
Gange, dove solo ‘per congettura’ si potevano ricavare 6.000 stadi.
Un atteggiamento apertamente critico nei confronti di Megastene Eratostene lo mostra quando rifiuta
quella misura nord-sud valutata, nel punto più stretto dell’India, 22.300 stadi secondo Arriano19, 20.000
secondo Strabone20. Megastene, che chiamava « la lunghezza da oriente a occidente e ! « la larghezza da nord a sud21, lascia intravedere, con la sua valutazione della grande ampiezza dell’India (in effetti
più vicina al vero di quella eratostenica) un’idea diversa da quella accolta dall’alessandrino22, il quale è
responsabile di un disegno la cui fortuna è comunque ancora visibile nella Tabula Peutingeriana.
Per Eratostene era poi l’isola di Taprobane dalle discutibili dimensioni23 a segnare il limite meridionale dell’ecumene. Anche in questo caso la latitudine dell’isola risulta correlata a quella dell’estremo
17
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22
Strab. 15,1,11 C 689. Per la possibilità che si tratti di
Betone (FGrHist 119 T 1–3) cfr. Aujac (1969), 126;
Biffi (2005), 156.
La diversa lunghezza dell’India di Eratostene in Strabone (15,1,11 C 689: 19000 stadi) e in Arriano (Ind. 3,5:
20.000 stadi) è difficilmente spiegabile se non con un
semplice arrotondamento da parte di quest’ultimo. Non
risulta di aiuto per dirimere la discrepanza la misura
di Plinio (nat. 6,56), che attribuisce a Eratostene 19.800
stadi, convertiti in 2475 miglia. Cfr. Biffi (2000), 122.
Arr. Ind. 3,8 = FGrHist 715 F 6b.
Strab. 2,1,4 C 69; cfr. 15,1,12 C 690. Cfr. anche le distanze di Daimaco di Platea, negli stessi passi di Strabone, che pensava a 30.000 stadi. Su Daimaco inviato da
Antioco I a Palimbothra da Amitrochate, figlio di Sandracotto: Karttunen (1997), 93–93; 103–105; 263–264.
FGrHist 715 F 6b = Arr. Ind. 3,7.
Cfr. Diod. 2,35; 37,2 che parla di una misura est-ovest di
28.000 stadi e nord-sud di 30.000 stadi. Immagina
23
inoltre il corso del Gange in direzione nord-sud e dà una
misura della sua estensione (30 stadi) diversa da quella di
Megastene (FGrHist 715 F 9b = Strab. 15,1,35 C 702),
riprodotta da Mela, 3,68 e da Plin. nat. 6,65: tutti elementi
che sembrano mettere in dubbio la dipendenza di
Diodoro da Megastene, ipotizzata da Jacoby (FGrHist 715
F 4) e sostenuta ancora da Karttunen (1997), 104 n. 55.
Frg. III B 12 Berger = Frg. 74 Roller e comm., 180 =
Strab. 15,1,13–14 C 690. Cfr. anche Frg. III B 18 Berger
= Frg. 76 Roller = Plin. nat. 6,81 che sembra derivare
da fonti dell’età di Claudio. Sulla prima menzione di
Taprobane-Sri Lanka da parte di Onesicrito cfr. Pédech
(1984), 152; Faller (2000), 28, il quale ritiene che l’isola
fosse già menzionata da Scilace di Carianda; cfr. anche
44ss per le fonti di Strab. 2,5,14 C 119, considerato da
Berger (1880) un passo di provenienza eratostenica
(III A 12) ma nel quale sarebbero presenti, per Faller,
informazioni risalenti a mercanti. Cfr. anche Strab. 1,4,2
C 63; 2,1,14 C 72; 2,1,17 C 74; 2,5,35 C 32.
IL VALORE DEL RACCONTO DI VIAGGIO NELL'OPERA GEOGRAFICA DI ERATOSTENE
83
sud della Libye24 in una scansione degli spazi centrata sulla sezione occidentale della carta, considerata
imprescindibile punto di riferimento per quella orientale.
La contestazione di Megastene registra anche il fatto, sopra accennato, che l’ambasciatore seleucide
chiamasse ! « la larghezza e « la lunghezza. La critica moderna ha semplicemente registrato
questa anomalia che può tuttavia avere un certo rilievo proprio in relazione alle misure riportate da
Megastene: in effetti, il fatto che l’ambasciatore descriva il territorio percorso nel suo viaggio verso
Pātaliputra, con una direzione ovest-est e che sembri dunque orientare a est la sua rappresentazione
dell’India maurya potrebbe giustificare l’anomala definizione di larghezza e lunghezza.
Questo orientamento, che non trova riscontro nella carta alessandrina e che sembra rispondere alla
dimensione odologica dell’esposizione magastenica, potrebbe trovare qualche riscontro in tradizioni
locali alle quali si deve, con ogni verisimiglianza, la notizia della grande ampiezza dell’India verso sud.
L’importanza delle fonti locali era di fatto già sottolineata da Stein25, che riteneva tuttavia che
Megastene conoscesse assai poco per esperienza autoptica e riferisse invece, come per il tratto dal Gange
all’Oceano orientale, notizie raccolte nel suo soggiorno nella capitale maurya. L’estensione attribuita
alla regione indiana potrebbe costituire, dunque, l’eco di una realtà conosciuta al tempo dell’espansione
maurya verso sud.
È noto come il testo degli Indikà sfugga a una precisa datazione, nonostante Bosworth26 abbia
tentato di riportare la missione di Megastene agli anni immediatamente successivi alla morte di Alessandro, quando l’impero maurya non si era ancora espanso in direzione meridionale. Mancano, in
effetti, nei frammenti degli Indikà riferimenti alla forma dell’India e a quel quadrilatero/romboide che
invece Eratostene così tratteggia nella testimonianza di Strabone (2,1,31 C 84 = Frg. III B 7):
λ " « π ξ #I&κ ( «· λ ̣ ) λ )
λ 9
λ
+λ , ³« +μ« . «· — λ « , « λ / &0«.
Della parte meridionale (scil. dell’ecumene divisa in due dal Tauro), l’India risulta definita da
molteplici elementi: da una catena montuosa, da un fiume, da un mare e da un unico nome come
dal nome di un unico popolo. Sicché è rettamente detta sia quadrilatero sia romboide.
Rispetto a 15,1,11 C 689 citato in partenza e rispetto a 2,1,22 C 78 dove si parla solo di forma romboidale
e di linee di costa pressoché rette27, qui si parla sia di quadrilatero che di romboide e la definizione è data
in relazione a quell’identità indiana che è sottolineata dall’ethnos. Si tratta dunque di un concetto che
risulta da elementi di geografia fisica (monte, fiume, mare) e politica. Il quadrilatero e/o romboide sono
intesi dalla critica moderna come un’ unica e originale costruzione di Eratostene, il quale non avrebbe
trovato in Megastene o in altre fonti alcuna indicazione del genere.28
È pur vero che Megastene non fa cenno, nei Frammenti della sua opera pervenutici, alle figure geometriche che sono invece i punti di riferimento della carta alessandrina, ma le misure riportate prefigu24
25
84
Cfr. Karttunen (1997), 338ss.
Stein (1931), 326. Cfr. anche Stein (1921) 119ss, sul
rapporto Megastene-Kauţilya, ministro di Chandragupta
e possibile autore dell’Arthaśāstra. Sul peso delle fonti
indiane nella trattazione megastenica e sull’atteggiamento della storiografia moderna cfr. Zambrini (1982),
90ss; (1985), 817ss; Karttunen (1997), 88–93 sulla distanza cronologica che separa l’Arthaśāstra dall’impero
maurya descritto da Megastene.
SERENA BIANCHETTI
26
27
28
Bosworth (1996), 113ss.
Strab. 2,1,22 C 78 parla dei lati segnati dalla costa marina
come linee pressoché rette, senza insenature. La definizione in parte contrasta con l’esistenza delle punte (al
plurale) già evidenziata sopra.
Stein (1931), 249. Cfr. Berger (1880), 230 per la possibilità di risalire ad Aristotele dei Meteorologica e del De
caelo, nonché a Dicearco per la definizione dei confini
orientali dell’India.
rano comunque un quadrilatero con il quale la diversa immagine eratostenica doveva rapportarsi. Rispetto alle descrizioni degli alessandrografi, quella di Megastene risultava – come già detto – arricchita
dei dati ricavati da informazioni relative alla piana gangetica, cioè a un’area non raggiunta dall’esplorazione di Alessandro.29
E’ pressoché impossibile tentare di rintracciare in fonti indiane i segni di uno schema del territorio
rapportabile a quello che emerge dal resoconto megastenico, soprattutto tenendo conto dell’assenza di
documenti correlabili all’esperienza di Megastene. Un testo, ad es., come Il trattato di Manu sulla norma
(Mānavadharmaśāstra)30, che sembra contenere interessanti dati di geografia fisica, presenta grossi
problemi di datazione e rende precari ipotetici raffronti.
In questo testo di carattere normativo, che ricorre alla figura dell’antico progenitore Manu, si trova
questa definizione di Āryāvarta (la Terra degli Ārya)31: “La regione compresa fra l’Himålaya (a nord) e
la catena dei Vindhya (a sud), che è (a est) del Vinaśana e (a ovest) di Prayāga è chiamata ‘Regione di
mezzo’ [Madhyadeśa]. La regione compresa fra queste due catene montuose e che si estende dal mare
orientale al mare occidentale i sapienti la chiamano terra degli Ārya [Āryāvarta]. Là dove l’antilope nera
vaga naturalmente, quella è conosciuta come la ‘regione idonea ai sacrifici’: al di là di essa, vi è la
‘Regione dei barbari’(mleccha)”.
Questa definizione di un’area storicamente importante nella tradizione indiana costituisce un dato
interessante in relazione alla delimitazione dello spazio geografico mediante elementi di geografia fisica
e antropologica. Una correlazione tra questo testo e il testo degli Indikà, dove non compare alcun riferimento alla Regione di mezzo32, è difficilmente ipotizzabile; qualche analogia, come il riferimento alla
durata dell’ascesi brahmanica (37 anni in Megastene: FGrHist 715 Frg. 33 = Strab. 15,1,59 C 712, equivalente ai 36+1 finale del Trattato di Manu, III, 1)33 suscita tuttavia interrogativi sulla trasmissione di una
notizia come questa che si trova in forma leggermente diversa, in Aristobulo (FGrHist 139 Frg. 41 =
Strab. 15,1,61 C 714, che parla di 40 anni).
Nell’opera di Megastene si trovano invece le prime notizie di parte greca sulla regione del Magadha,
nella piana gangetica, che aveva assunto un ruolo centrale nell’impero Nanda e poi in quello Maurya. In
particolare Megastene menziona i Prasioi34 in relazione alla capitale, Pātaliputhra, dove aveva raccolto
gran parte delle notizie relative all’organizzazione del territorio.
Se è dunque tangibile la presenza di molteplici informazioni di provenienza indiana nell’opera di
Megastene, si deve anche osservare che Eratostene, il quale attingeva a Megastene, doveva cercare di
conciliare i dati più recenti (quelli megastenici) con quelli che più facilmente salvavano la proporzione
tra lo spazio dell’India e quello dell’intera ecumene. Uno dei segni più evidenti di questo tentativo di salvataggio era costituito dalla collocazione della punta meridionale dell’India e di quella della Libye sullo
stesso parallelo.
Eratostene si trovava in sostanza obbligato a rispettare per la prima sphraghis (come poi per le altre)
un sistema di rapporti proporzionali, che imponeva di tagliare l’estensione dell’India verso sud e, al con-
29
30
31
32
33
Cfr. Tarn (1948), 275–285; contra Karttunen (1997),
119.
Cfr. ora l’edizione di Squarcini (2010) che propone
una datazione del Mānavadharmaśāstra intorno alla
metà del II sec. a. C.
2,21.
Cfr. in questo senso le riserve di Karttunen (1997), 92.
Cfr. Hansen (1965), 361; Biffi (2005), 227.
34
FGrHist 715 F 18b = Strab. 15,1,36 C 702. Cfr. Arr. Ind.
10,5; Plin. nat. 5,69; Curt. 9,2,3; Ael. nat. an. 16,21; 17,39.
Cfr. anche Plut. Alex. 62. I Prasioi derivano il loro nome
da Prācya (abitante dell’Est) o da Pasāla/ Parāsa, nome
con cui veniva chiamato il Magadha: cfr. tarn (1948),
281; Dognini (2000), 89. Sul passo megastenico cfr.
Biffi (2000) ad loc.; Biffi (2005), ad loc.
IL VALORE DEL RACCONTO DI VIAGGIO NELL'OPERA GEOGRAFICA DI ERATOSTENE
85
tempo, costringeva a ruotarne la punta meridionale verso oriente con il risultato di una figura che corrispondeva, prima che alla realtà, all’impianto teorico della carta.35
La specularità tra la latitudine delle punte dell’India e Meroe, tra Taprobane e il Paese della cannella
(Strab. 2,5,36 C 133; 2,1,20 C 77), da un lato, la raffigurazione della catena del Tauro che seguiva la linea
retta del parallelo fondamentale, dall’altro, sono in sostanza i due cardini entro cui si inserisce la raffigurazione dell’India eratostenica. Il ricorso al quadrilatero in un sistema che si basa sulla triangolazione
non è unico nella definizione degli spazi da parte dell’alessandrino e si inscrive nei tradizionali procedimenti greci che ricorrono, ad es., alla simmetria per leggere l’ignoto tramite il noto e creare analogie tra
parti diversamente note dell’ecumene.
In conclusione, l’uso dei racconti di viaggio da parte di Eratostene appare selettivo e parziale se, in
base a quanto fin qui argomentato, dei racconti utilizzati per rappresentare l’India risultano scelte solo
le parti funzionali all’impianto generale. In particolare il racconto di viaggio di Nearco, al quale l’alessandrino attribuisce una affidabilità che è proporzionale alla corrispondenza tra le misure dell’ammiraglio e lo schema della carta, risulta essenziale per tratteggiare il lato meridionale dell’Ariana – cioè della
seconda sphragis – ma di scarsa utilità per quello dell’India. Il geografo tratteggia questo secondo segmento pressoché in continuazione del primo e in parallelo con la linea del Tauro: ciò che ne risulta è
una figura costruita su due linee di costa pressoché ignote ma disegnate in modo da risultare verisimili perché in continuità, l’una, con la costa dell’Ariana e in simmetria, l’altra con il corso dell’Indo.
La geometrizzazione, necessaria a costruire il reticolo delle coordinate e a colmare i vuoti dell’informazione, risulta in conclusione il principio guida della carta alessandrina e assolve, in ultima analisi,
anche la funzione di legittimare ‘scientificamente’ i dati ricavati dai racconti di viaggio considerati
omogenei con l’impianto di base.
Abbildungsnachweis: Abb. 1: Engels (2007), 130; Abb. 2: Geus (2007), 115.
35
86
Sull’importanza della geometrizzazione nella rappresentazione dell’ecumene cfr. Gehrke (1998), 163ss;
Gehrke (2007), 17ss.
SERENA BIANCHETTI