Location via proxy:   [ UP ]  
[Report a bug]   [Manage cookies]                

La IV Commissione antimafia 1992 1994

Scuola delle Scienze Umane e del Patrimonio Culturale Corso di Laurea Magistrale in Studi storici, antropologici e geografici La IV Commissione antimafia (1992-1994) di Antonino Cimino INDICE Introduzione ................................................................................................. 2 I. Mafia e politica tra gli anni Ottanta e la fine della prima Repubblica I.1 Il mondo di sopra ..................................................................................................... 5 I.2 Uno sguardo al sottosuolo...................................................................................... 12 I.3 Alla fine di una Repubblica ................................................................................... 18 II. La IV Commissione antimafia II.1 Antimafia: storia delle precedenti Commissioni parlamentari ............................. 26 II.2 Fisionomia della IV Commissione antimafia ....................................................... 35 II.3 Biografia di un presidente..................................................................................... 43 II.4 Una nuova fonte: i pentiti ..................................................................................... 49 III. Stesura della relazione mafia-politica: visioni differenti III.1 Discussioni sul testo ............................................................................................ 62 III.2 L‟approvazione della relazione ........................................................................... 74 III.3 La relazione missina ............................................................................................ 80 III.4 La relazione radicale ........................................................................................... 87 IV. La relazione di maggioranza IV.1 Azione-reazione .................................................................................................. 91 IV.2 La massoneria come trait d‟union tra mafia e politica ........................................ 99 IV.3 “Atto dovuto” .................................................................................................... 107 Bibliografia............................................................................................... 116 Fonti .......................................................................................................... 121 Giornali..................................................................................................... 126 Sitografia .................................................................................................. 129 1 Introduzione Per comprendere l‟operato della IV Commissione antimafia presieduta da Luciano Violante e il perché del documento più importante e più discusso nella sua storia - la relazione di maggioranza sui rapporti tra mafia e politica - ci si deve immergere nello spaccato di un biennio che rappresenta il capolinea della cosiddetta prima Repubblica italiana. Il documento presentato da Violante è stato considerato un testo di eccezionale valore sia politico che culturale. Esso rispecchia molto e deve essere considerato un figlio legittimo di quel periodo turbolento. Allo stesso modo l‟attività della Commissione deve oggi essere collocata e letta tenendo conto del contesto storico e politico in cui venne a insediarsi la stessa Commissione antimafia - un ambiente politico profondamente scosso dalle indagini di Mani pulite e dalle stragi di Capaci prima, e di via D‟Amelio dopo; un‟opinione pubblica stordita dal tritolo di quei due attentati e aizzata contro un ceto politico corrotto da media che riportavano in prima pagina gli arresti di centinaia di politici corrotti dalle tangenti e collusi col malaffare. Sul piano politico la costante più rilevante è rappresentata dalla preminenza dello scontro partitico tra il neo partito Pds, nato dalle ceneri del Pci, e la barcollante Dc, che viene presentata dagli avversari politici e da alcune testate giornalistiche come il simbolo di un potere corrotto che per circa mezzo secolo aveva guidato il paese sino all‟inevitabile deriva. I momenti di tensione sono presenti anche all‟interno della Commissione antimafia, che in quel frangente rispecchia, seppur in piccolo, la realtà del Parlamento italiano, come rivelano le discussioni per la stesura della relazione sui rapporti tra mafia e politica in cui veniva puntato l‟indice più o meno direttamente su Giulio Andreotti. In questo contesto va rivelata anche la sinergia tra politica e giustizia; cercando di coinvolgere individui e gruppi su obiettivi condivisi come la lotta alla mafia e la lotta alla corruzione si voleva ricompattare e riformare quell‟elettorato perso nel corso degli anni Ottanta - quando la disaffezione per la politica aveva toccato il culmine - per dare corpo a una seconda Repubblica con un volto politico decisamente nuovo. Attraverso la sua relazione Violante cercava di presentare e al tempo stesso legittimare, contrapponendoli ai meccanismi della vecchia politica, i progetti del suo gruppo; 2 l‟obiettivo era di proporsi quale espressione di una modernità politica e sociale e di presentarsi quindi come il pilastro per la nascente seconda Repubblica. Nel mio lavoro ho voluto tenere in considerazione questi elementi sociali, politici e culturali per cogliere nella sostanza l‟humus della IV Commissione antimafia e per analizzare sotto questa luce il documento più importante emerso in quella sede: la relazione sui rapporti tra mafia e politica. Questa ricerca si compone di quattro capitoli il cui obiettivo è quello - partendo da una descrizione generale del periodo preso in esame – di inquadrare, attraverso un progressivo restringimento di campo, il contesto nel quale nacque la relazione sui rapporti tra mafia e politica. Nel primo capitolo offro un excursus storico delle vicende politiche italiane degli anni Ottanta, sia dal punto di vista politico che dando un spaccato di un “mondo sommerso”, ovvero di un contesto di criminalità organizzata che in maniera sempre più strutturata instaura rapporti con il mondo politico; concludo il capitolo inquadrando l‟ultimo scorcio della prima Repubblica, dove la vittoria del centro-destra alle elezioni del ‟94 segna di fatto il passaggio alla seconda Repubblica. Il capitolo si basa prevalentemente su fonti bibliografiche incrementate, per completare il panorama della ricerca, dal richiamo ai periodici del tempo, dai quali emerge il rapporto dell'opinione pubblica con tutta quanto accadeva nel paese. Il raffronto con i periodici si ripresenterà e sarà fondamentale anche per i capitoli successivi. Il secondo capitolo descrive inizialmente l‟istituzione della Commissione parlamentare antimafia, per poi arrivare a trattare, nello specifico, della IV Commissione presieduta da Luciano Violante; di quest‟ultimo, sempre all‟interno del capitolo, ho voluto delinearne la biografia, attraverso sia informazioni prese all‟interno di siti internet, sia tramite articoli che ne delineano la figura - professionale e non. Il capitolo si conclude con un paragrafo che presenta quello che è stato indiscutibilmente il perno e la novità di questa Commissione: le audizioni dei pentiti. Questa nuova fonte rappresenta la base su cui Violante costruirà la relazione sui rapporti tra mafia e politica; qui, oltre a una base bibliografica utilizzata per descrivere l‟evoluzione della figura del collaboratore di giustizia, entrano in gioco i verbali della Commissione, utilizzati come fonte principale per cercare di ricostruire l‟andamento delle audizioni dei vari collaboratori; in relazione a ciò ho tentato di ricostruire sia il clima all‟interno della Commissione antimafia sia le reazioni dell‟opinione pubblica, colte attraverso i quotidiani. 3 Con il terzo capitolo si entra nel merito della nascita della relazione sui rapporti tra mafia e politica. In questo paragrafo l‟utilizzo massiccio dei verbali mi ha consentito di riportare il clima, le frizioni e le spaccature all‟interno della Commissione antimafia. Spaccature la cui concretizzazione più evidente sarà rappresentata dalle due relazioni di minoranza: quella missina, redatta dall‟onorevole Altero Matteoli e dal senatore Michele Florino, e quella radicale, presentata da Marco Taradash. Entrambe le relazioni rappresentano la visione di chi non concordava con il pensiero espresso nel testo di maggioranza, per cui si pongono l‟obiettivo di ricostruire i veri rapporti tra mafia e politica accusando Violante di essere sceso troppo a patti con la Dc pur di far approvare il suo testo. Concludo il mio lavoro con un capitolo dove, entrando più nello specifico del testo di maggioranza, delineo i punti strategici di quella relazione. Fondamentale mi è sembrato, innanzitutto, il messaggio che Violante lancia attraverso quel testo: egli è il portatore di una nuova e giusta mentalità di contrasto alla criminalità organizzata in grado di superare le gravissime pecche ante XI legislatura, quando l‟azione repressiva era descritta come una inefficace reazione a “fisarmonica”. Nel secondo paragrafo tratto poi il tema dei rapporti tra mafia e massoneria, cercando di trovare un riscontro tra quanto viene riportato nel testo e l‟effettivo svolgimento delle audizioni dei collaboratori di giustizia. L‟argomento veniva presentato come un qualcosa di innovativo perché nel corso delle precedenti Commissioni antimafia si era taciuto sul trait d’union che legava mafia, politica e massoneria. Infine, termino il lavoro analizzando il messaggio insito nella relazione di maggioranza, ovvero l‟accusa al grande vecchio della Dc, Giulio Andreotti. Anche qui le mie fonti di riferimento rimangono la relazione di maggioranza e i verbali dei collaboratori di giustizia, su cui la relazione basa l‟accusa su Salvo Lima e, a cascata, su Andreotti. Emerge qui la volontà di Violante di avvalorare il processo contro il senatore, volontà racchiusa nelle due parole “atto dovuto”, prima scritte e poi, per consentirne l‟approvazione, tolte dal testo. Gli 89 verbali della Commissione Violante costituiscono una fonte ampia. Il loro utilizzo, in questa ricerca, ha risentito di una selezione fatta per cogliere il cuore della questione che sta alla base del mio lavoro, ovvero il carattere politico della IV Commissione antimafia e i suoi intrecciatissimi legami con le vicende dell‟ultimo biennio della prima Repubblica. 4 Capitolo primo Mafia e politica tra gli anni Ottanta e la fine della prima Repubblica I.1 Il mondo di sopra Nato alle battute finali del governo Fanfani V, a ridosso del governo Craxi I, ho passato l‟infanzia sotto i governi Craxi II, Fanfani VI, Goria, De Mita, Andreotti VI, Andreotti VII. Ma questi, allora, per me erano soltanto dei nomi. Ero così preso dal mio essere bambino!1 Il decennio per gli italiani si aprì con gli auguri del presente della Repubblica Sandro Pertini impegnato a ricostruire, dopo esser subentrato al dimissionario Giovanni Leone, il rapporto fra la società civile e il sistema politico2. Era crescente tra gli italiani la disaffezione politica verso dei partiti interessati soltanto a occupare ogni spazio possibile all‟interno dell‟amministrazione pubblica e statale. Un decennio di cambiamenti: trasformazioni colossali investivano la mentalità del quotidiano, i modi d‟intendere il diritto e le norme, la cultura, l‟economia, la geografia sociale e l‟edificio politico istituzionale del paese3. Nel 1981 si verificarono due eventi che scossero la politica. Il primo fu il mandato di cattura che investiva Licio Gelli e di riflesso le conseguenti dimissioni del capo del governo Forlani dopo la pubblicazione degli elenchi degli iscritti alla P2 - sulle liste compariva anche il nome del ministro della Giustizia Adolfo Sarti; il secondo fatto vide la conferma, tramite referendum, sia della regolamentazione dell‟aborto approvata nel 19784, che dell‟ergastolo5. I referendum influiranno molto sulla Dc e mostreranno per la prima volta l‟allontanamento e lo scollamento di quel mondo cattolico che costituiva la base per i democristiani. I cambiamenti si manifestarono sin da subito sulla scena politica: si costituì una formula di governo pentapartitica, che vedeva la compresenza assieme al trio Dc, Psdi e Pri, di 1 P. Di Paolo, Dove eravate tutti, Feltrinelli, Milano, 2011, p.78. G. Crainz, Il paese reale, Donzelli, Roma, 2013, pp. 102-103. 3 Ivi, p. 105. 4 Per una ricostruzione complessiva cfr. G. Scirè, L’aborto in Italia. Storia di una legge, Mondadori, Milano, 2008. 5 Il referendum per l‟abolizione dell‟ergastolo raccolse infatti solo il 22,6% dei voti, in G. Crainz, Il paese reale, cit., p.109. 2 5 liberali e socialisti; si intravedevano segnali di cambiamento nella nomina a capo di governo di Giovanni Spadolini; si manifestava il segno di quell‟azione di moralizzazione della politica, favorita anche dalla presenza di un capo dello Stato come Sandro Pertini. Ma anche questa fiammella si spense presto. Già con le nuove nomine dei vertici dell‟Iri e dell‟Eni si vide come l‟invadenza dei partiti faceva da padrone. I segnali di rinnovamento furono presto dispersi in un immobilismo aggravato di per se da conflitti interni al neo-governo pentapartitico6. Nel 1982, dopo un primo tentativo di far cadere un governo che aveva solo creato polveroni, venne riformato nei fatti un governo identico con in sella lo stesso leader repubblicano; tuttavia durò poco e ben presto arrivarono le dimissioni dello stesso Spadolini, per cui il nuovo anno si aprì con un nuovo capo del governo. Sullo sfondo delle polemiche vi erano nodi di non poco conto: in particolare la volontà del ministro Andreatta di contenere l‟inflazione e il debito pubblico “raffreddando” la spesa negli investimenti e nei consumi pubblici e privati7 cozzava contro le volontà del socialista Formica. Lo scontro provocò anche reazioni negative sul ceto medio produttivo e su quelle professioni emergenti a cui il Psi rivolgeva le sue più care attenzioni. Il timone venne preso da Forlani, politico della vecchia Dc – quest‟ultima frattanto dava segnali di rinnovamento con l‟elezione di un nuovo segretario, Ciriaco De Mita. A porre subito fine al brevissimo governo democristiano ci pensò Bettino Craxi. Posto alla guida del Psi, intendeva candidarsi a capo del governo, dopo aver rivitalizzato un partito schiacciato dalla concorrenza del duo Dc-Pci; il Psi trovava così il suo leader. Uomo formatosi nella roccaforte socialista milanese, allievo di Nenni, mirava a far diventare il Psi la terza forza italiana. Il compito fu fin dall‟inizio molto arduo. Il Psi non possedeva né «la pratica e la spregiudicatezza e i mezzi finanziari di sottogoverno che tanti anni di potere avevano dato ai democristiani», né «gli strumenti selettivi dell‟organizzazione comunista per la creazione di intellettuali organici»8. Tuttavia, nelle elezioni del 1983 bastò che il Psi guadagnasse qualche piccola percentuale, la Dc subisse una rilevante flessione, e il Pci 6 Ivi, p 111. Cfr. E. Scalfari, Le spine di Andreatta, le rose di Formica, «la Repubblica», 25 settembre 1991, cit. in ivi, p. 111. 8 Cfr. F. Diaz, Gli intellettuali e l’organizzazione dei partiti, in «Mondoperaio», gennaio 1974, 1, pp. 659, e in particolare p. 68, cit. in S. Lupo, Antipartiti. Il mito della nuova politica nella storia della Repubbblica ( prima, seconda e terza), Donzelli, Roma, 2013, p. 105. 7 6 restasse stabile, per far occupare uno spazio centrale che avrebbe portato al socialista la nomina a capo di governo - il governo più lungo degli anni Ottanta. La manovra più importante di quegli anni fu data dai tagli della scala mobile che portò a un acceso scontro tra il governo Craxi e il movimento operaio. Un‟inflazione galoppante rendeva ormai necessario correggere l‟accordo siglato nel 19759 che vedeva l‟adeguamento automatico del salario al tasso dell‟inflazione e che secondo molti critici comportava un movimento perverso che faceva sì che si gonfiassero sia l‟uno che l‟altro10. A nulla servirono gli scioperi guidati dal Pci e il ricorso al referendum abrogativo per cancellare la manovra. Proprio il referendum si dimostrò distruttivo per lo stesso Partito comunista: con un‟affluenza che sfiorava il 78%, gli italiani si schierarono, con un 54,3% di voti favorevoli, dalla parte della manovra di governo11. La congiuntura economica favorevole permetteva di mascherare la dilagante evasione fiscale. Eugenio Scalfari osservava dalle pagine di “la Repubblica”: il Fisco ha colpito categorie sindacalmente forti ma politicamente deboli ed ha protetto categorie politicamente fortissime, esentandole di fatto dall‟adempimento del dovere tributario. Queste categorie, consapevoli di godere di un privilegio, hanno tollerato una classe dirigente corrotta, alla quale non conveniva chiedere il conto della sua corruzione. L‟essenza della questione morale in Italia è tutta qui. Fate che professionisti, commercianti, lavoratori autonomi, imprenditori, paghino le imposte con la stessa completezza dei lavoratori dipendenti, e vedrete che la classe politica non potrà continuare ancora per molto a trafficare la ricchezza pubblica per interessi privati. Questo è il nodo arrivato al pettine12. Il cambiamento e i modelli di modernità a cui attingere negli anni Ottanta avevano il volto di Margaret Thacher e Ronald Reagan. Infatti, mentre andavano in crisi le politiche keynesiane, e insieme a esse il Welfare State, il fordismo, le social democrazie e le identità collettive connesse, dilagavano le soluzioni liberiste13. Un altro passaggio legato alla modernità degli anni del governo Craxi riguardava il sistema televisivo. Molti italiani erano convinti che il monopolio delle teletrasmissioni fosse riservato per legge a un ente pubblico come la Rai. Ma la legge che regolamentava le trasmissioni televisive presentava dei coni d‟ombra che permisero la creazione di 9 G. Crainz, Il paese reale, cit., p. 137. S. Lupo, Il crepuscolo della Repubblica, in Lezioni sull’Italia repubblicana, Donzelli, Roma, 1994, pp. 73- 107, in particolare p. 100. 11 G. Crainz, Il paese reale, cit., p. 139. 12 E. Scalfari, I difficili destini del nodo Visentini, «la Repubblica», 11 novembre 1984. 13 S. Lupo, Antipartiti, cit., p.160. 10 7 televisioni locali private. È sfruttando queste pieghe legislative che il gruppo Fininvest, guidato da Silvio Berlusconi, iniziò la sua scalata14. Aggrappandosi a due sentenze della Corte costituzionale, del 1974 e del 1976, che prevedevano la regolare formazione di tv su scala locale, il gruppo Fininvest creò una società pubblicitaria di respiro nazionale, Publitalia, e una rete di dimensione nazionale15. La legge che proibiva la trasmissione in diretta su scala nazionale venne aggirata col metodo delle videocassette pre-registrate e inviate dalla sede milanese a quelle periferiche16. Uno dei maggiori manager della Fininvest, Fedele Confalonieri, commentò l‟accaduto con uno dei più classici argomenti liberali: «Qualcuno ritiene che una cosa non debba essere fatta a meno che non sia espressamente autorizzata, altri pensano che tutto quello che non è specificatamente proibito sia consentito. Berlusconi è tra questi ultimi»17. Nel 1984, dopo aver concluso l‟acquisto anche di Italia 1 e Retequattro, la televisione del gruppo Fininvest concorreva a livello nazionale con la Rai18. E dopo che alcuni pretori decisero di oscurare in alcune regioni i canali di Berlusconi, Bettino Craxi minacciò di abbandonare la guida del governo se il Parlamento non avesse consentito la ripresa delle trasmissioni19. La decisione di oscurare i canali ebbe ripercussioni anche da parte di cittadini che vedendosi oscurato il televisore tempestarono di telefonate Palazzo Chigi e anche i giornali20. Una legge per regolare l‟emittenza televisiva, la legge Mammì, giunse solo nel 199021. Sullo sfondo della ricostruzione fin qui fatta si delineava lo sgretolarsi di “due Chiese“22, ovvero il venir meno del contrasto che per tutta la durata della Repubblica italiana era stato sempre presente. In altre parole il partito guidato da Bettino Craxi era stato in grado di porsi tra i due grandi partiti di massa, offrendo una via di mezzo agli italiani. A fare da profeta era stato Berlinguer nell‟intervista rilasciata a Eugenio Scalfari, dove faceva seguito un‟aspra denuncia di quel mondo così degradato e vecchio qual‟era quello dei partiti: 14 Ibidem. Ibidem. 16 Ivi, p. 161. 17 A. Stille, Citizen Berlusconi. Vita e imprese, Garzanti, Milano, 2006, p. 82, cit. in S. Lupo, Antipartiti, cit., p. 161. 18 G. Crainz, Il paese reale, cit., p. 145. 19 Ibidem. 20 Si veda l‟articolo di P. Guzzanti, Migliaia di telefonate per sapere perché sono scomparsi i puffi, «la Repubblica», 18 ottobre 1984. 21 Per una ricostruzione della vicenda rimando a E. Menduni, Televisione e società italiana. 1875-2000, Bompiani, Milano, 2002, p. 13, cit. in G. Crainz, Il paese reale, cit., p. 146; Cfr. S. Lupo, Antipartiti, cit., p.161. 22 G. Crainz, Il paese reale, cit., p. 163. 15 8 I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai Tv, alcuni grandi giornali […]. Il risultato è drammatico. Tutte le operazioni che le diverse istituzioni e i loro attuali dirigenti sono chiamati a compiere vengono viste prevalentemente in funzione d‟interesse del partito o della corrente o del clan cui si deve la carica […]. La questione morale nell‟Italia di oggi fa tutt‟uno con l‟occupazione dello Stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt‟uno con la guerra per bande e con i metodi di governo di costoro23. Più in generale Berlinguer lamentava la trasformazione dei partiti in macchine incapaci di perseguire il bene comune, impegnati nella gestione d‟interessi i più disparati e i più contraddittori possibili, e talvolta anche loschi24. La drastica condanna di Berlinguer a quel sistema dei partiti verrà ripresa nei primi anni Novanta, quando la questione morale verrà tirata in causa per l‟abbattimento della prima Repubblica. Gli anni Ottanta mostrarono anche le due facce dell‟Italia; da una parte le regioni del Nord e del Centro Italia, dove la grande industria si era rinnovata in modo consistente; dall‟altra le regioni meridionali, bacino di voti per quei partiti che mantenevano uno stretto controllo sugli uffici pubblici e dove le assunzioni clientelari rappresentavano molto spesso un aspetto di una gestione politica strettamente intrecciata agli affari della criminalità organizzata25. Nelle regioni del Centro-Nord i nuovi borghesi si resero protagonisti, a partire dal periodo a cavallo tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta, di un boom economico. Il tessuto, in queste regioni, appariva ormai quasi omogeneo, con una classe media forte delle sue tendenze individualistiche e con tenori di vita che non facevano altro che aumentare i consumi. Ma oltre a trainare economicamente l‟Italia, in quegli stessi anni in regioni come Lombardia e Veneto iniziava a serpeggiare un certo malumore nei confronti sia del sistema politico che delle regioni del Sud ritenute il peso del paese. A raccogliere questi malumori di fronte a dei partiti che monopolizzavano tutto e che risultavano inefficienti e incapaci di misurarsi con le potenzialità dello sviluppo e al tempo stesso con la necessità di dare ad esso strutture e orientamenti adeguati, erano E. Scalfari, Che cos’è la questione morale, «la Repubblica», 28 luglio 1981, cit. in G. Crainz, Il paese reale, cit., pp. 163-64. 24 E. Berlinguer, Prefazione a P. Togliatti, Discorsi parlamentari, I, pp. XVI-XVII, cit. in S. Lupo, Antipartiti, cit., p. 164. 25 L. Mussella, Clientelismo. Tradizione e trasformazione della politica italiana 1975-1992, Guida, Napoli 2000, cit. in S. Colarizi M. Gervasoni, La tela di Penelope. Storia della seconda Repubblica, Laterza, Roma-Bari, 2012, p. 7. 23 9 state le Leghe26. Grazie alla loro capillare presenza in quei territori, questi movimenti raccolsero e fomentarono l‟insoddisfazione di molti cittadini, insoddisfazione che sfocerà nella questione settentrionale; le roccaforti democristiane del Nord stavano per far pagare il conto al partito. Una parte della questione venne lucidamente colta già dal 1985 da Mario Talamona che segnalava dalla pagine del “Corriere della Sera” come il modello di sviluppo padano che tanto aveva giovato allo sviluppo di quelle zone doveva essere da esempio per uno “sviluppo virtuoso” del Mezzogiorno27. Il rilevante aumento dei consumi che avvicinava il Mezzogiorno al Settentrione non era seguito dall‟aumento del reddito. Osservava Luciano Cafagna che l‟attenuarsi delle differenze sul piano dei consumi tra Nord e Sud era solo un illusione, e che invece andava maturando una frattura reale nel paese28. Effetti devastanti ebbe anche l‟enorme affluenza di denaro erogato nelle zone dell‟Irpinia colpite dal terremoto del 1980, che, con la quasi totale assenza di controllo dovuta alla legislazione dell‟emergenza, divenne preda delle organizzazioni criminali. Per molte vie, insomma, il Sud diventava progressivamente luogo simbolo del degrado nazionale e degli effetti perversi delle politiche pubbliche, con un salto di qualità nella percezione stessa del problema che veniva descritto, attraverso l‟utilizzo di una metafora, dallo stesso Cafagna: Sino ad allora sembrava che il foraggio destinato ai cavalli fosse conteso loro da topi famelici, da un certo punto in poi sembra versato direttamente a questi ultimi. E alla fine i topi si mangeranno i cavalli29. Un Italia a due volti quindi, che riusciva a mascherare bene le sue crisi interne grazie alla congiunture economiche mondiali favorevoli che la vedevano decollare tra le potenze economiche mondiali. I dati parlavano chiaro: l‟industria faceva segnare nel 1988 il +6%, il reddito aumentava del 20%, e anche l‟Ocse certificava all‟Italia la crescita del Pil del 3,5% - superiore a quello tedesca, assestato al +3%30. Malgrado si moltiplicassero i segnali della protesta popolare, gli italiani a ogni turno elettorale finivano per confermare il quadro politico esistente, col solo risultato di offrire una falsa rassicurazione alla classe politica, convinta di tenere ancora 26 G. Crainz, Il paese reale, cit., p.173. M. Talamona, La questione settentrionale, «Corriere della Sera», 25 febbraio 1985; Id., La questione settentrionale, ivi, 27 maggio 1985. 28 L. Cafagna, Nord e Sud. Non fare a pezzi l’unità d’Italia, Marsilio, Venezia, 1994, pp. 70-71. 29 Ivi, p. 70. 30 S. Colarizi M. Gervasoni, La tela di Penelope, cit., p. 3. 27 10 fermamente in mano le redini dell‟Italia e soprattutto di avere davanti a sé tutto il tempo necessario per risalire la china nell‟opinione pubblica31. Nel 1989 la questione morale non era ancora in cima all‟agenda degli italiani e la sconfitta di De Mita al congresso democristiano, che riportò al comando Andreotti, Gava e Forlani, ne fu la riprova. La grande vendetta dei vecchi Boiardi titolerà Scalfari dalle pagine del suo giornale32, denunciando la consueta prassi della spartizione delle cariche pubbliche. Ma gli anni Novanta erano ormai alle porte, e anche se l‟economia italiana godeva di un buon andamento, ciò non toglieva che il buco nero nella casse dello Stato metteva a rischio le grandi potenzialità di crescita. Alla fine del 1988 il debito pubblico incideva sul Pil per circa il 96%, un percentuale enorme se paragonata a quella di Inghilterra, Francia e Germania assestato su valori pari alla metà di quello italiano33. E anche se a parole tutti i partiti si proclamavano decisi a compiere passi necessari, sbandierando i loro principi comunitari, nei fatti evitavano poi quelle riforme indicate dalla comunità europea che avrebbero comportato una brusca frenata alla spesa pubblica e al welfare su cui poggiava l‟edificio già traballante dei consensi governativi34. Nel 1989 la caduta del muro di Berlino portò ripercussioni tanto per la Democrazia cristiana, che vide sparire il grande nemico di sempre che era servito, soprattutto nell‟ultimo periodo, a sedare in parte i malumori sbandierando lo spauracchio comunista, quanto sul versante del Pci dove la caduta del muro segnava la fine del regime sovietico. In un primo momento la fine del comunismo sovietico venne ampiamente sottovalutata dal partito italiano, ma ben presto essa colpirà tanto da provocare all‟inizio del nuovo decennio la morte del Pci, con la nascita, sotto la spinta di Achille Occhetto, del Pds – il Partito democratico della sinistra. L‟ottimismo non era bastato a coprire la realtà della disgregazione di un mondo che condurrà il Partito comunista italiano alla ricerca di una nuova identità. La caduta del muro seppelliva sotto le macerie non solo il modello di comunismo dittatoriale sovietico, come lo definiva Cossutta35, ma anche quello italiano ritenuto democratico. 31 Ivi, p. 9. E. Scalfari, La grande vendetta dei vecchi Boiardi, «la Repubblica», 21 febbraio 1989. 33 S. Colarizi M. Gervasoni, La tela di Penelope, cit., p. 17. 34 Ibidem. 35 Ivi, p. 12. 32 11 I.2 Uno sguardo al sottosuolo «Ho fatto delle ricerche su questo fatto nuovo: la mafia che uccide i potenti, che alza il mirino ai signori del Palazzo […]. Credo di aver capito la nuova regola del gioco, si uccide il potente quando è diventato troppo pericoloso ma si può ucciderlo perché è isolato»36. Era questo il pensiero del generale Dalla Chiesa inviato a Palermo per cercare di frenare l‟ondata mafiosa che stava soffocando la città e della quale invece cadde vittima. Il “fatto nuovo” era iniziato nel 1979 quando a cadere per primo era stato Boris Giuliano, vice questore di Palermo, da tempo sulle tracce dei traffici di droga che facevano la spola tra Sicilia e Stati Uniti 37. Stessa sorte nel medesimo anno toccò a Cesare Terranova, che aveva indagato sulle cosche e che era stato uno dei membri della prima Commissione parlamentare antimafia, come deputato comunista. La mafia aveva alzato “il mirino” e uno dopo l‟altro caddero tutti i componenti di quella classe dirigente siciliana schieratisi contro di essa. Fra il 1979 e il 1980 – ha scritto Saverio Lodato – a Palermo le istituzioni vennero decapitate38. Una svolta, come ha osservato Salvatore Lupo, influenzata forse anche dal terrorismo39, anche se bisogna considerare che Cosa nostra arrivava all‟appuntamento forte di una coscienza di sé e di una tradizione radicata nel tempo e nello spazio, e non aveva bisogno di usare ideologie disponibili sul mercato, tanto più se si trattava di ideologie di sinistra40. Infatti, non bisogna dimenticare né i numerosi sindacalisti uccisi dalla mafia, né l‟utilizzo della autobombe a partire già dagli anni Sessanta41. Nuovi assetti e nuove gerarchie si stavano disegnando all‟interno dell‟organigramma mafioso a cavallo tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta. È lo stesso Salvatore Lupo a fornirci l‟iter che portò la mafia, sotto la guida di Riina, non solo a usare la violenza ma a ostentarla42. Per prima cosa, dopo la seconda guerra di mafia (appellativo rigettato da G. Bocca, Quell’uomo solo contro la mafia, «la Repubblica», 10 agosto 1982. B. Tucci, Stava indagando su mafia e droga: ucciso il vice questore di Palermo, «Corriere della Sera», 22 luglio 1979, cit. in G. Crainz, Il paese reale, cit., p. 117. 38 S. Lodato, Venticinque anni di mafia, Rizzoli, Milano, 1999, p.43. 39 S. Lupo, Che cos’è la mafia: Sciascia e Andreotti, l’antimafia e la politica, Donzelli, Roma, 2007, p. 11. 40 Ibidem; Id., Antipartiti, cit., p. 173. 41 Cfr. S. Lupo, Storia della mafia, cit. 42 S. Lupo, Antipartiti, cit., p. 173. 36 37 12 Mutolo che non vedeva nessuna guerra bensì un “tradimento”43) la fazione corleonese acquisì il potere della commissione (o Cupola) di Cosa nostra, centralizzando l‟organizzazione e controllando e gestendo i traffici di droga, soprattutto eroina. Per Luciano Violante quest‟ultima funzionò da effetto moltiplicatore delle risorse; l‟enorme ricchezza prodotta dal traffico di droga costituì per la mafia un buon trampolino di lancio per inserirsi a pieno titolo nel mondo sia della finanza che della politica per poter così sistemare gli enormi proventi derivati dal traffico di droga44. In secondo luogo, le nuove traiettorie riguardavano gli esponenti del ”mondo di sopra” (magistrati, politici, poliziotti, uomini d‟affari), ed è proprio in relazione a questo aspetto che si può individuare il collegamento tra quegli omicidi e l‟atmosfera che regnava in un‟Italia che usciva dai laceranti anni di piombo. Il contagio, infatti, non è un elemento da sottovalutare: nessun mafioso infatti avrebbe mai pensato di sparare al presidente delle Regione o al prefetto di Palermo, se in altri luoghi d‟Italia e negli anni precedenti non si fosse sparato a personaggi di pari livello, o se non fosse stato ucciso prima Moro45. L‟ondata montante delle mafie andò insomma a sovrapporsi a quella terroristica nella sua fase calante, traendone suggestioni, strumenti e – sostiene Lupoqualche motivazione46. Infine, il terzo percorso: quello dei cosiddetti omicidi politici o di “terzo livello”- come li definiva Giovanni Falcone47. Il terzo livello di Falcone, accusato anche di tenere nei cassetti i nomi dei politici indagati per mafia48, non era altro che la classificazione data agli omicidi in base alla vittima designata; nell‟omicidio di terzo livello rientravano l‟omicidio di un prefetto, di un commissario di polizia o di un magistrato particolarmente impegnato nella lotta contro la mafia. Falcone ammoniva di tenersi ben lontani dal poter ipotizzare che dietro la mafia si nascondesse “il grande vecchio” o il “burattinaio”, che dall‟alto della sfera politica tirava le fila della mafia49. Sulla stessa lunghezza d‟onda Salvatore Lupo ha espresso la sua ipotesi, sottolineando che l‟omicidio di terzo livello colpiva quei personaggi che si erano qualificati come avversari della mafia. Così era stato, per esempio, per l‟omicidio di Piersanti Mattarella, Si veda Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XXV (audizione del collaboratore della giustizia Gaspare Mutolo), deposizione di G. Mutolo, p. 1231. 44 L. Violante, La mafia dell’eroina, Editori Riuniti, Roma,1987, pp. 61-62 45 S. Lupo, Antipartiti, cit., p.174. 46 Ivi, p. 170. 47 G. Falcone, Cose di Cosa nostra, in collaborazione con M. Padovani, Rizzoli, Milano, 1991, p.169. 48 Cfr. S. Lupo, Che cos’è la mafia, cit. p. 34. 49 Ibidem. 43 13 presidente della Regione, democristiano di sinistra, successore di una dinastia politica in passato chiacchierata, determinato a emanciparsi da quella cattiva fama, cercando di attuare una correzione di rotta; per quello di Pio La Torre, dirigente comunista, rimandato a Palermo da Roma per riprendere in mano un partito dimostratosi su scala regionale poco affine alla lotta alla mafia - aveva infatti proposto di istituire il reato di associazione mafiosa e di svolgere indagini patrimoniali sulle cosche. La morte di La Torre accelera l‟invio in Sicilia di Dalla Chiesa, generale dei carabinieri, a cui era stato affidato il ruolo di prefetto di Palermo e che era stato mandato per combattere la mafia con poteri poco definiti50. L‟assassinio del generale, antico nemico dei corleonesi, può esser visto come una sorta di affermazione territoriale di Cosa nostra. Dalla Chiesa venne fermato prima che potesse aprire un fronte di lotta, come se Cosa nostra volesse affermare: qui comandiamo noi51. Nell‟omelia funebre il cardinale Pappalardo esclamava: «mentre a Roma si discute sul da fare, la città di Sagunto viene espugnata dai nemici. E questa volta non è Sagunto ma Palermo. Povera Palermo!»52. Un anno dopo, la messa preparata dal cardinale all‟Ucciardone, in occasione della Pasqua, verrà disertata dai carcerati; la mafia mandava così un segnale di protesta nei confronti dell‟establishment ecclesiastico53. La politica condotta dalla fazione corleonese si mise in rotta di collisione con quella del mondo di sopra, finendo col pensare, magari, la loro organizzazione alla stregua di un contro-Stato54. Ma l‟offensiva mafiosa non rimaneva però senza risposte e all‟interno della società civile presero corpo delle mobilitazioni significative che si rifacevano all‟affioramento di una diffusa volontà di riscatto sia all‟interno della magistratura che dell‟opinione pubblica55. A Palermo in campo politico Leoluca Orlando assumeva il ruolo di sindaco “antimafia” e in ambito giudiziario Antonino Caponnetto dava vita al pool antimafia composto dai magistrati Falcone, Borsellino, Di Lello e Guarnotta. Inoltre dopo quella stagione di innumerevoli omicidi di stampo mafioso si iniziavano a scorgere i primi straordinari risultati nella lotta alla mafia. Nel 1984 le prime rivelazioni 50 S. Lupo, Antipartiti, cit., p. 174. G. Fiandaca, S. Lupo, La mafia non ha vinto. Il labirinto della trattativa, Laterza, Roma-Bari, 2014, p. 18. 52 U. Santino, Storia del movimento antimafia: dalla lotta di classe all’impegno civile, Editori Riuniti, Roma, 2000, pp. 263-64. 53 Cfr. A. Bolzoni, La mafia ha sfidato Pappalardo, «la Repubblica», 29 aprile 1983. 54 S. Lupo, Antipartiti, cit., p. 175. 55 Nel settembre 1983, a un anno dalla morte del generale, numerose persone daranno vita a una fiaccolata che attraversa Palermo, cfr. U. Santino, Storia del movimento antimafia, cit., pp. 251 sgg. 51 14 di Tommaso Buscetta squarciano l‟ombra che ricopriva Cosa nostra, seguite a ruota da quelle di Totuccio Contorno56. Le dichiarazioni dei pentiti portarono all‟incriminazione di ben 707 presunti affiliati a Cosa nostra. Parte la caccia all‟uomo affinché le gabbie non rimangano vuote nell‟aula di quello che verrà chiamato il maxiprocesso57. Molti, in quell‟occasione, furono accusati di giustizialismo; celebre, a tal proposito, l‟articolo pubblicato sul “Corriere della Sera” da Leonardo Sciascia intitolato ai Professionisti dell’antimafia58; dopo l‟articolo Sciascia fu preso in quell‟occasione di mira dal pool antimafia, al quale rispose definendolo «frangia fanatica e stupida di [un] costituendo potere» mascherato di antimafia, che odorava tanto di 192759: È chiaro che non da loro né da chi sta dietro loro – e ne è riconoscibile (si dice per dire) lo stile – verrà una lotta radicale alla mafia. Loro sono affezionati alla tensione, e si preoccupano che non cada. Ma le tensioni sono appunto destinate a cadere; e specialmente quando obbediscono a giochi di fazione e mirano al conseguimento di un potere60. Ma cos‟era questo soggetto che occupava spazi rilevanti nel frantumato spazio del potere in Italia? E su quali posizioni politiche era schierato? La magistratura, in quegli anni, interveniva in settori sempre più vasti e importanti della vita collettiva: ambiente, conflitti di lavoro, prestazioni della macchina burocratica, atti della pubblica amministrazione. In molti casi il controllo giudiziario era soltanto sostitutivo alle carenze di quello amministrativo, in altri finiva per apparire alternativo ad esso61. I magistrati rappresentavano una forma di potere diffuso sul territorio, istituzionalmente non controllabile dall‟esecutivo e ben stretto attorno al suo organo di autogoverno, il Consiglio superiore della magistratura (Csm), nel quale la sinistra era spesso partecipe della maggioranza. A volte, però, i magistrati si rivelavano non all‟altezza del loro compito, pavidi o corrotti, e numerosi esempi provenivano proprio dai processi di mafia, dove per lo più gli imputati venivano assolti. Tuttavia, nel complesso il compito fu svolto nei migliori dei modi, come risultò nel caso del pool antimafia palermitano. 56 G. Crainz, Il paese reale, cit., p. 124. S. Lupo, Storia della mafia, cit., p. 292. 58 Si veda l‟articolo scritto da Sciascia nel bel mezzo del maxiprocesso intitolato ai Professionisti dell’antimafia, «Corriere della sera», 10 gennaio 1987, in L. Sciascia, A futura memoria: se la memoria ha un futuro, Bompiani, Milano, 1989, pp. 123-30; articolo ripreso da Salvatore Lupo in Che cos’è la mafia,cit., pp. 28-30. 59 Ivi, p. 33. 60 L. Sciascia, A futura memoria, cit., p. 131, cit. in S. Lupo, Che cos’è la mafia, cit., p. 33. 61 S. Lupo, Il crepuscolo della repubblica, cit., p. 86. 57 15 Attribuire alla magistratura una tendenza a destra o a sinistra, come soprattutto accadde nei primi anni Novanta, risulta in molti casi forviante. Ad esempio, nonostante Falcone fosse più tendente a sinistra e Borsellino a destra, non ci fu all‟interno della magistratura palermitana, negli anni del maxiprocesso, un uso del potere che sfociò in una caccia alle streghe, anzi l‟impressione è che il senso dello Stato in quell‟occasione fu suggellato come suggerisce anche Salvato Lupo - sia dall‟uomo di destra che dall‟uomo di sinistra, in un più alto compromesso storico, dal sangue di entrambi62. Tornando all‟ underworld63, come lo identificano gli americani, dopo che la presa del potere da parte dei corleonesi aveva portato a una stabilizzazione del “governo mafioso” Cosa nostra, dopo il duro colpo inferto dalle condanne del maxiprocesso, puntò a un azione tesa a scardinarne i risultati. Si tentò in quell‟occasione persino di cambiare nuovi referenti politici; infatti una parte dei voti mafiosi alle elezioni del 1987, stando alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, si spostarono dalla Dc, rea di aver voltato le spalle, al Psi, che, con i suoi proclami di garantismo, avvicinava senza volerlo gli interessi mafiosi. Infatti, nel carcere palermitano dell‟Ucciardone si voterà completamente seguendo queste direttive64, e così anche in alcuni quartieri della città – quartieri popolari in testa; ma a livello cittadino, provinciale e regionale il successo dei socialisti rispecchiava l‟andamento nazionale del voto65. Tuttavia, in quelle elezioni, la Democrazia cristiana non accusò tanto il colpo. Sembrò che le presunte antiche minacce di cui fu fatto oggetto Andreotti dall‟allora boss di Santa Maria di Gesù, Stefano Bontate, di togliere i voti di tutta la Sicilia e di parte del meridione alla Dc, fossero vuote e prive di una qualche corrispondenza66. Ma il tentativo di avvicinare il Psi andò a vuoto e anzi finì per ritorcersi contro Cosa nostra quando in quello stesso anno a Palermo venne eletto Claudio Martelli, schierato su un versante garantista, e che successivamente, da ministro della Giustizia, conferirà l‟incarico romano più importante al massimo nemico di Cosa nostra: Giovanni Falcone67. A quel punto a Cosa nostra non restò che giocare la carta di screditare in tutti i modi sia i pentiti che lo stesso Falcone, l‟artefice di tutti i mali. Ad esempio, dopo il fallito attentato all‟Addaura del 21 giugno 1989, dove cinquanta candelotti di tritolo 62 Ivi, p. 87. Cfr. S. Lupo, Quando la mafia trovò l’America. Storia di un intreccio intercontinentale, 1988-2008, Einaudi, Torino, 2008. 64 Cfr. S. Lupo, Storia della mafia, cit., p. 304. 65 Ibidem. 66 Voglio qui segnalare il lucido ragionamento di Salvatore Lupo nel suo libro Storia della mafia, cit., precisamente a p. 305. 67 S. Lupo, Storia della mafia, cit., p. 305. 63 16 furono nascosti tra gli scogli a venti metri dalla casa dove il giudice trascorreva le vacanze68, iniziò una campagna di denigrazione, durante la quale si insinuò che fosse stato lo stesso Falcone a mettersi la bomba per manie di protagonismo e per tenere sempre alta la tensione69. Si arrivava così allo scontro vis a vis agli inizi degli anni Novanta. Falcone otteneva che la sentenza del maxiprocesso non passasse per la sezione della Corte di Cassazione presieduta dal giudice Corrado Carnevale – il giudice ammazza-sentenze – che in passato aveva annullato molto verdetti. Si poteva intuire la garanzia che dava questo giudice dall‟esclamazione riportata da Gaspare Mutolo davanti alla Commissione antimafia quando si sapeva che a presiedere una qualche sentenza ci sarebbe stato Carnevale: «C'è Carnevale. Sia lodato Gesù Cristo!»70. Il Csm aveva annunciato il principio secondo cui le assegnazioni dovessero essere decise in base a un criterio oggettivo di rotazione. Su questa base, il presidente della cassazione Antonino Brancaccio dispose che il collegio giudicante non venisse presieduto dal dottor Molinari, designato da Carnevale, ma dal dottor Arnaldo Valente, completamente estraneo «al partito del patriottismo della prima sezione»71. All‟inizio degli anni Novanta, in piena crisi della Repubblica italiana72, la controffensiva mafiosa giunse al culmine e, sentendosi accerchiata dopo la conferma da parte della Cassazione delle condanne del maxiprocesso, reagì violentemente. Il pendolo delle relazioni tra Stato e mafia, che fin dalla nascita dello Stato italiano aveva spesso oscillato verso la collaborazione, ora sembrava vertere decisamente verso il contrasto. Il risultato – come sostenuto da Salvatore Lupo – era di portata storica73. 68 G. Falcone, Cose di Cosa nostra, cit., p. 10. Cfr. G. Ayala, Chi ha paura muore ogni giorno. I miei anni con Falcone e Borsellino, Mondadori, Milano, 2008, p. 157; S. Lodato, M. Travaglio, Intoccabili, BUR, Milano, 2005. 70 Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XXV, cit., p. 1255. 71 L‟espressione fu usata da Vittorio Sgroi, allora procuratore generale presso la cassazione, nella sua deposizione del 30 marzo 1994, davanti alla procura di Palermo, nell‟ambito del procedimento penale contro Andreotti, cit. in M. Brutti, Cosa nostra nella crisi del sistema politico italiano, in Mafia e antimafia. Rapporto ’96, (a cura di L. Violante), Laterza, Roma-Bari, 1996, p. 52. 72 G. Crainz, Il paese reale, cit., p. 225. 73 G. Fiandaca, S. Lupo, La mafia non ha vinto, cit., p. 22. 69 17 I.3 Alla fine di una Repubblica Se questa prima repubblica, come dicono molti osservatori, è alla fine, finisce male, malissimo. Per chi come me appartiene alla generazione che ha assistito piena di speranza alla sua nascita, questa considerazione è molto amara. Ormai non ho altro desiderio che uscire di scena. La gestazione della seconda repubblica, se dovrà nascere, sarà lunga. Forse non avrò neppur il tempo di vederne la fine. Ma poiché, se nascerà, nascerà con gli stessi uomini che non solo sono falliti ma sono inconsapevoli del loro fallimento, non potrà che nascere male, malissimo, come male, malissimo è finita la prima74. È opinione comune che tra le elezioni del 5-6 aprile 1992 e quelle del 27-28 marzo 1994, che concludevano anticipatamente l‟undicesima legislatura della Repubblica, si sia consumata in Italia una crisi politica dirompente, tanto che da molti è stato utilizzato forse un termine assai impegnativo come quello di “rivoluzione”75; altri hanno parlato di fine di regime76; c‟è infine chi più semplicemente sottolineava una svolta, sostenendo come una discontinuità fattuale e ideale si verificò dopo le elezioni del 1994, che portarono alla rottura radicale del sistema politico fino ad allora conosciuto77. L‟esempio più classico lo forniva Luciano Cafagna, il quale ipotizzava una grande slavina, originatasi dal crollo del muro di Berlino, che andava a distruggere il sistema politico italiano formatosi nell‟immediato dopoguerra. Ad aumentarne la potenza e l‟effetto distruttivo avevano concorso, nel corso del tempo, sommandosi, crisi economica e malessere sociale, degrado istituzionale e crisi morale78. La crisi fiscale era resa evidente dagli accordi presi a Maastricht e dalla previsione di una moneta unica, i quali imponevano il rientro di quel debito pubblico che nel 1991 doppiava la ricchezza nazionale, mentre il disavanzo si attestava oltre i tredicimila miliardi79. Si calcolava che ogni italiano avesse sulle spalle un debito di oltre ventitré milioni di lire e in contemporanea si apriva una voragine nei conti del fisco a testimoniare che la gente, perduta ogni fiducia nel sistema, «ha deciso impropriamente, illegalmente, ma chiaramente di abrogarlo»80. L‟articolo è stato pubblicato venti anni dopo in Della stessa leva. Lettere (1942-1999), carteggio fra Norberto Bobbio ed Eugenio Garin, Aragno, Torino, 2011, cit. in G. Crainz, Il paese reale, cit., p.235. 75 Cfr. A. Mastropaolo, Antipolitica. All’origine della crisi italiana, L‟ancora del Mediterraneo, Napoli, 2000, p. 7. 76 Cfr. A. Blando, Italia 1992-1993: la retorica del regime, in Quando crollano i regimi (a cura di P. Viola e A. Blando), Palumbo, Palermo, 2004, 93-116. 77 S. Lupo, Antipartiti, cit., p. 3. 78 G. Crainz, Il paese reale, cit., p. 226. 79 S. Colarizi, M. Gervasoni, La tela di Penelope, cit., p. 20. 80 G. Tremonti, La Caporetto del fisco, «Corriere della Sera» 15 giugno 1991. 74 18 La crisi istituzionale, a sua volta, rendeva incapace la Repubblica di controllare e indirizzare il cambiamento. Infine c‟era una crisi morale che avanzava parallelamente alle inchieste giudiziarie di quegli anni, che rastrellavano giorno per giorno i politici seduti in parlamento e non, e che svelavano l‟ampio livello di corruzione politico-affaristica per cui l‟Italia appariva come il paese della tangente, Tangentopoli81. La caduta del muro di Berlino portò con sé per primo il Pci, irrimediabilmente chiamato in causa dal crollo del sistema comunista dell‟ex Urss. Il partito tentò dapprima di cambiare nome in Pds, Partito democratico della sinistra, tentando di avviare una politica di rinnovamento. Ma la fase discendente proseguiva incalzante e il Pds incassava una sconfitta alle elezioni del 1991 in Sicilia, dove a salire sul carro dei vincitori era stato Orlando con la sua Rete82. A tirar le somme dell‟ex Pci era stato Cafagna, che definì quella del Partito comunista un mera “strategia dell‟obesità”, un accumulazione di voti inutili per un alternativa al governo83. Ma va detto che la forza del Pci era stata quella di creare un minoranza messa a tutela dei diritti politici e civili nel paese in cui la borghesia aveva dimostrato col fascismo di poter negare gli uni e gli altri84. Fu questo spirito, come ha sostenuto Salvatore Lupo, a non far capitolare il partito, rendendolo abbastanza forte da affrontare il trauma del cambiamento, evitando al tempo stesso di mischiarsi con quel socialismo che si era personificato nella figura di Craxi, con cui essi erano in aperto contrasto, e tenendo testa alla scissione della parte tradizionalista, che con in testa Armando Cossutta andò a formare Rifondazione comunista85. Nel frattempo il presidente della Repubblica, abbandonando quel riserbo che lo aveva caratterizzato nel corso degli anni, iniziò a demolire a suon di “picconate”, come lui stesso le definì, l‟autorevolezza dello Stato86. Cossiga sottolineava il cambiamento avvenuto in quegli anni, consegnando agli italiani verità alquanto scomode. Era l‟autunno del 1990 quando rivelò l‟esistenza di un organizzazione paramilitare conosciuta come Gladio, clandestinamente approntata dallo Stato alla metà degli anni Cinquanta in funzione anticomunista (la stessa verrà confermata anche successivamente 81 Cfr. S. Lupo, Antipartiti, cit., p. 139. Cfr. S. Colarizi, M. Gervasoni, La tela di Penelope, cit., p. 22. 83 L. Cafagna, C’era una volta … Riflessioni sul comunismo italiano, Marsilio, Venezia, 1991, pp. 92 sgg, cit. in S. Lupo, Antipartiti, cit., p. 141. 84 Ibidem. 85 Cfr. S. Colarizi, M. Gervasoni, La tela di Penelope, cit., p 12. 86 S. Lupo, Antipartiti, cit., p. 142. 82 19 dal presidente del Consiglio Giulio Andreotti87). In un crescendo il presidente aumentò la portata della polemica contro il sistema politico e nei consueti auguri di fine anno del 1991 Cossiga pronunciava il suo discorso davanti a milioni d‟italiani, lasciandoli a bocca aperta. Infatti in quell‟occasione il presidente pronunciò forti critiche verso dei partiti degradati, rei di essere una delle cause del malessere del paese 88. Si arrivò allo scontro aperto tra il mondo politico e Cossiga, che forte del suo ruolo continuava nella sua azione. «Nessuno sa bene, forse nemmeno Cossiga, che cosa abbia in mente Cossiga», scriveva Indro Montanelli89. Arrivò perfino a presentarsi a una riunione del Csm alla testa di un reparto di carabinieri per ribadire il suo diritto a controllarne i lavori90. Ma l‟azione di Cossiga, sostenuta anche dal Consiglio di rappresentanza dei carabinieri - il Cocer - farà rivoltare anche la stampa più vicina alle istituzioni. Sempre Montanelli lanciava l‟Alt! al presidente, chiedendo di posare “il piccone”91. Intanto il partito di Occhetto avviava una procedura di impeachment, provocando le reazioni dello stesso presidente che minacciava di pubblicare un dossier in suo possesso sugli ex comunisti92. In quel tourbillon politico-istituzionale-finanziario si venne a creare un fronte unito che cercava di scardinare un sistema politico ritenuto immobile e paralizzante. Alla testa di questo movimento, che tendeva a far leva sull‟opinione pubblica puntando su nomi a effetto quali partitocrazia e regime, e contrapponendo il senso di vecchio - ritenuto portatore di errati valori - al nuovo - portatore di legalità e di benefici - si mise Mario Segni. Egli puntò su un‟arma come il referendum per tentare di spaccare il sistema politico-elettorale che aveva reso la logica della democrazia dei partiti irriconoscibile; fatto sottolineato anche da Pietro Scoppola in relazione all‟illogica presa del potere da parte del Psi, che pur non godendo di un forte consenso popolare, sfruttando l‟inserimento nello spazio rimasto vuoto tra Dc e Pci, riusciva, nonostante la sua modestia, ad avere un ruolo centrale esercitando un potere di gran lunga superiore a quello che i risultati elettorali gli avevano consegnato93. Il vero nemico da battere era il Caf, un‟alleanza stipulata nel 1989 tra Craxi, Andreotti e Forlani, che prevedeva un‟alternanza dei tre. L‟azione del Caf aveva portato Andreotti a 87 G. Crainz, Il paese reale, cit., p. 244-45. Ivi, p. 246. 89 I. Montanelli, Da quella pira, «Il Giornale», 26 marzo 1991. 90 S. Lupo, Antipartiti, cit., p. 143. 91 I. Montanelli, Alt!, «Il Giornale», 6 dicembre 1991. 92 G. Crainz, Il paese reale, cit., p. 248. 93 Cfr. P. Scoppola, La repubblica dei partiti. Evoluzione e crisi di un sistema politico, 1945-1996, il Mulino, Bologna, 1997, p. 426, cit. in S. Lupo, Antipartiti, p. 148. 88 20 rivestire per l‟ennesima volta la carica di presidente del Consiglio, Forlani ad avere la guida della Dc, e Craxi a restare in panchina in attesa del suo turno94 . A promuovere il referendum, in quell‟occasione, oltre al già citato Segni, erano stati il Pds e parte della Dc. Dal canto loro, Eugenio Scalfari e Indro Montanelli iniziarono una campagna pro-referendum sulle pagine dei loro giornali. Toni usati fino a quel momento solo da Marco Pannella e dal Partito radicale divennero l‟animus della campagna elettorale95. Gli elettori, alla ricerca di una soluzione, sancirono la vittoria del referendum; un vero e proprio plebiscito dei “Sì” sommerse quelle che erano state le dichiarazioni di Craxi, il quale aveva invitato la gente ad «andare a mare», invece che recarsi alle urne. Scalfari dalle pagine del suo giornale titolerà: Ha vinto l’Italia pulita96. Montanelli, dal canto suo, faceva notare come il paese avesse voglia di cambiamento; infatti, con il voto espresso, non aveva fatto altro che sconfessare quella classe politica e quei partiti incapaci di riformare il sistema97. Prendeva piede l‟antipolitica, o per meglio dire un antipartismo che coinvolgeva con un‟argomentazione populista l‟intero paese. Veniva esaltato il senso comune dell‟uomo di strada, la sua superiorità morale e la sua innata saggezza, sostenendo l‟esistenza di soluzioni semplici, puntando a mobilitare i rancori e la disponibilità alla protesta. Si trattava di un movimento populista di destra e di sinistra accomunato dall‟avversione per ogni classe dirigente, a cui contrapporre un popolo sovrano di cui romanticamente si esaltavano le virtù98. Il messaggio era chiaro: bisognava abbattere il regime. Ma si può davvero sostenere che la prima Repubblica fosse un regime? Si deve tener conto che in Italia quando si parla di regime avviene subito un raffronto col periodo fascista. Applicandolo al periodo successivo, anche con qualche forzatura, il termine consente un raffronto tra due realtà che finirà sempre e comunque per mettere in risalto e ribadire la natura politico-democratica della prima Repubblica. Tuttavia ciò che ha avvalorato l‟uso di quell‟appellativo fu la presenza in Italia in quegli anni di una situazione anomala che rifletteva gli scenari della guerra fredda. Infatti, la conventio ad excludendum, impediva al principale partito di opposizione di andare al governo e consentiva alla Dc di governare incontrastata per un cinquantennio attraverso instrumenta regni anomali, dai quali derivavano pratiche trasgressive, illegali e 94 S. Lupo, Antipartiti, cit., p. 151. G. Crainz, Il paese reale, cit., p.254. 96 «la Repubblica», 11 giugno 1991. 97 Cfr. I. Montanelli, Via col vento, «Il Giornale», 11 giugno 1991. 98 Cfr. A. Mastropaolo, Antipolitica, cit., p. 29-30. 95 21 occulte99. Appoggiando questa chiave di lettura si corre il rischio di ridurre l‟intera storia d‟Italia alla sola dimensione criminale, riconducendo il tutto a un ottica che, non dimentichiamolo, era pur sempre una visione di chi era marginalizzato dal quel “regime”. Il 1992 fu un “annus horribilis” per la Repubblica100; il 17 febbraio Mario Chiesa, elemento di medio livello della macchina politica socialista milanese, veniva beccato mentre intascava una tangente101. Craxi tentò di liquidare l‟accaduto attribuendolo a un isolato “mariuolo”102. Le rivelazioni fatte da Chiesa ai giudici diedero vita a un processo a catena che innescò l‟avvio dell‟inchiesta Mani pulite. L‟inchiesta colpì in pieno il mondo politico e «nei venticinque mesi successivi la lista si allungherà all‟infinito: 4525 persone arrestate, 25400 avvisi di garanzia. Tra questi 1100 parlamentari o uomini politici, coinvolti, avvisati o arrestati. E ci saranno anche dieci suicidi»103. Ci si è chiesto come mai prima di Mani pulite prevaleva la sensazione che le denunce dei vari difensori della questione morale non venissero considerate - era come se mancassero di incisività nel colpire le varie carriere politiche dei leader della maggioranza, da Giulio Andreotti a Bettino Craxi e a seguire i vari Sbardella, Gava e Lima. Quelli che denunciavano prima del 1992 erano marginalizzati e si dovette attendere che una sinergia di fattori coincidesse per giungere allo scardinamento del sistema. L‟ago della bilancia, a quel punto, pendette a favore di chi cavalcò le ali del populismo, scagliandosi contro quei vecchi sistemi che avevano causato il male del paese. Parole come Tangentopoli, Partitocrazia, Mani pulite, Mafiopoli, rientrarono nell‟immaginario comune supportando l‟idea che il vecchio era da cambiare. A dare un ulteriore scossone ci pensò l‟omicidio di Salvo Lima, che, durante la campagna elettorale del 1992 a Palermo, veniva ucciso dalla mafia, suscitando inquietudine e allarme. La mafia alle urne titolava il “Corriere della Sera”104, e Norberto Bobbio osservava: «Le prossime elezioni avranno un importanza decisiva perché la 99 Ibidem. Ivi, p. 14. 101 Cfr. S. Lupo, Antipartiti, cit., p. 153. 102 Cfr. G. Crainz, Il paese reale, cit. p. 269. 103 I. Diamanti, 1992, Tangentopoli, in Novecento italiano, Laterza («Lezioni di storia», 9), Roma-Bari, 2008, pp.215-37 e in particolare p. 220, cit. in S. Lupo, Antipartiti, cit., p. 154. 104 Cfr. G. Crainz, Il paese reale, cit. p. 270. 100 22 degradazione non solo economica ma anche morale è sotto gli occhi di tutti»105. E alle elezioni politiche del 5-6 aprile i partiti di governo perderanno quasi dieci punti percentuali, con la Dc che scenderà sotto il 30% per la prima volta nella storia della Repubblica. Ma la sorpresa maggiore fu rappresentata sia dalla sconfitta ancora una volta del Pds e di Rifondazione, che non riusciranno ad intercettare i voti persi dai democristiani, che dall‟emergere di quei protagonisti inediti come la Lega Nord che raggiungerà il 10% a livello nazionale – dato che rispecchia una percentuale molto elevata se rapportata all‟area regionale settentrionale dove la Lega raccoglieva i maggiori consensi106. In mezzo alle elezioni arrivava la bufera dell‟incalzante inchiesta di Mani pulite che, in questa prima fase milanese, coinvolgeva sia il Psi che la Dc. Dopo il voto espresso dagli italiani nella tornata elettorale di aprile si ebbero le dimissioni del presidente della Repubblica che aprì la disputa per il Quirinale. Così, mentre erano in corso le votazioni per eleggere il presidente della Repubblica, davanti ai giudici sedevano «come imputati gli uomini dei partiti che dovrebbero decidere chi rappresenterà il paese. Il presidente lo cercano ancora tra i loro capi, pensano ancora di averne il diritto e il potere»107. E tra risse e manette che spuntavano nelle aule108, iniziavano le votazioni per i candidati proposti. I protagonisti del Caf tentavano intanto di piazzare per primo la nomina di Forlani, rigettata per 29 voti 109; Craxi si autoescludeva puntando a Palazzo Chigi; Andreotti aspettava110. Giungeva a questo punto la notizia dell‟attentato a Giovanni Falcone che portava all‟elezione di Oscar Luigi Scalfaro e dunque all‟esclusione di Andreotti. Come ha sostenuto Lupo, quello che avvenne allora fu un passaggio straordinariamente traumatico della nostra storia, che ingigantì la spinta verso il nuovo, il bisogno di riscatto111. Scalfaro subito designava il socialista Amato alla guida di una coalizione quadripartita l‟esclusione di Craxi era pensata in vista di Mani pulite112 - che rispecchiava gli equilibri parlamentari, la quale si mise presto a lavoro preparando una stretta manovra 105 N. Bobbio, La disfatta, «La Stampa», 13 marzo 1992. La Lega raggiunse il 23% in Lombardia, il 18% in Veneto (a cui si deve aggiungere un 8% derivante da altre liste autonome), il 15% in Piemonte, Liguria e Friuli e il 10% persino nell‟Emila, da sempre considerata rossa. Cfr. G. Crainz, Il paese reale, cit., p. 270. 107 M. Fucillo, Watergate italiano, «la Repubblica», 20 maggio 1992. 108 S. Mazzocchi, Tam tam di manette dentro l’aula, «la Repubblica», 14 maggio 1992. 109 G. Crainz, Il paese reale, cit., p. 274. 110 Ibidem. 111 S. Lupo, Antipartiti, cit., p.154. 112 Ivi, p. 155. 106 23 finanziaria che il peggioramento della situazione economica renderà rigorosa. Il deficit dell‟Italia aveva superato i centosessanta miliardi, e il 20 maggio la CEE aveva lanciato un ultimatum chiedendo tagli per trenta miliardi113. Pochi cercavano di spiegare che il paese aveva in realtà vissuto, durante gli anni precedenti, al di sopra delle sue possibilità; assai più semplice fu trovare un capro espiatorio nei partiti accusati di aver rubato114. In questo clima di incertezze, di marasma politico-istituzionale, si insediava la IV Commissione antimafia, la cui presidenza venne affidata a Luciano Violante, uomo di sinistra ed ex-magistrato, che inizierà i lavori sulle relazioni tra mafia e politica a partire dall‟ottobre del 1992. Sfruttando il momento favorevole, cavalcando l‟onda del rinnovamento, Violante prospetterà una lettura inquietante di mezzo secolo passato sotto il “regime della Dc”; un regime che aveva favorito la coabitazione con la mafia e spesso in combutta con essa. Il clima incandescente favorirà anche l‟approvazione della relazione sui rapporti tra mafia e politica in Parlamento, persino con i voti dei democristiani, dando credito alla tesi di colpevolezza del senatore Andreotti e supportando il processo che ne seguì; lo stesso Violante interpretò quel segnale come l‟inizio di una “nuova democrazia”115, tentando con la sua relazione su mafia e politica di abbattere il pilastro portante della prima Repubblica. Le inchieste sulla mafia convogliarono nell‟incriminazione di Andreotti; quelle di Mani pulite con l‟incriminazione di Craxi: la questione morale si era trasformata in questione penale116 e Palermo e Milano si trasformavano rispettivamente in ”Mafiopoli” e “Tangentopoli”117, luoghi idonei al malaffare, ma anche luoghi in cui si sviluppò un forte sostegno di massa all‟azione della magistratura118. Il 1993 sembrò l‟anno di consacrazione per il Pds che si poneva «sulla cresta dell‟onda»119. Fu l‟anno che sancì la fine del Psi; nell‟aprile erano arrivate le dimissioni del presidente del Consiglio Amato, dopo che il tentativo di risolvere Tangentopoli con un colpo di spugna – come venne definito - andò a male. In quello stesso aprile giungeva anche un plebiscito referendario che spianava la strada al nuovo sistema 113 S. Colarizi, M. Gervasoni, La tela di Penelope, cit., p. 26. Ivi, p. 28. 115 L. Violante, Il nuovo c’è, «l‟Unità» 7 aprile 1993; cfr. O. Barrese (a cura di), Mafia politica pentiti: la relazione del presidente Luciano Violante, Rubbettino, Soveria Mannelli, 1993. 116 S. Lupo, Antipartiti, cit., p. 177. 117 Ivi, p. 190. 118 Ivi, p. 191. 119 Ivi, p. 214. 114 24 elettorale maggioritario120, il Mattarellum, che si basava su un metodo misto, in prevalenza uninominale maggioritario con una quota proporzionale. Con la legge elettorale pronta non restava che andare alle elezioni. E nel marzo 1994 giunsero le elezioni che premiarono a sorpresa il polo berlusconiano (Forza Italia, An, Msi e Lega), sancendo la sconfitta sia del polo di sinistra facente capo al Pds e che comprendeva Rifondazione, la Rete e Alleanza democratica, che del terzo polo formato dal Partito popolare, nato dalle ceneri della Dc, e il Patto Segni, gruppo che ruotava attorno al leader referendario Mario Segni121. Forza Italia era il primo partito italiano. La grande slavina aveva distrutto davvero l‟Antico Regime122. 120 G. Crainz, Il paese reale, cit., p. 295. Ivi, p. 304. 122 S. Lupo, Antipartiti, cit., p. 218. 121 25 Capitolo secondo La IV Commissione antimafia II.1 Antimafia: storia delle precedenti Commissioni parlamentari Maturò attraverso un lungo periodo di dibattito, durato ben tre legislature, l'esigenza di aprire un'inchiesta parlamentare sul fenomeno della mafia che, procedendo da uno studio analitico della sua genesi e delle sue caratteristiche, sfociasse nella proposta di un'articolata serie di misure atte a reprimerne le manifestazioni e a eliminarne le cause. Il dibattito parlamentare iniziò per la prima volta il 27 luglio 1948 allorché il deputato Berti, svolgendo alla Camera dei deputati una interpellanza, chiedeva conto al Governo della politica che si intendeva condurre per porre fine ai soprusi verificatisi contro il movimento operaio e contadino e ai delitti di mafia che avevano insanguinato la Sicilia123. La strage di Portella della Ginestra, l'attentato all‟onorevole Li Causi, gli assassinii dei sindacalisti Li Puma, Rizzotto e Cangelosi mostravano come la mafia, «forza delittuosa permanente e in un certo senso dominante della Sicilia»124, e il banditismo avessero assunto il ruolo di «avanguardia armata»125 contro operai e contadini a difesa degli interessi dei latifondisti e delle loro clientele politiche. Berti denunciava il blocco compatto venutosi a creare e che ruotava attorno a mafia, banditismo, latifondisti e ambienti politici siciliani. Il deputato denunciava che questi ultimi, dall‟interno del Governo regionale, avvalendosi anche di relazioni internazionali 123 Una ricostruzione del dibattito sviluppatosi intorno alla richiesta di istituire una Commissione antimafia si trova in Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia, Relazione conclusiva, relatore Luigi Carraro, VI legislatura, doc. XXIII, n.2, Roma, 1976, pp. 3-36. Cfr. anche O. Barrese, I complici. Gli anni dell’Antimafia, Rubbettino, Soveria Mannelli, 1988, pp. 7-55; V. Coco (a cura di), L’Antimafia dei comunisti. Pio La Torre e la relazione di minoranza, nota introduttiva di Emanuele Macaluso, Istituto Poligrafico Europeo, Palermo, 2013, pp. 22-24; U. Santino, Storia del movimento antimafia, cit.; N. Tranfaglia, Mafia politica e affari 1943-2008, Laterza, Roma-Bari, 2008, pp. 5-13. Ulteriori passaggi relativi alla Commissione Antimafia sono presenti in G. Di Lello,Giudici. Cinquant’anni di processi di mafia, Sellerio, Palermo, 1994; G. C. Marino, Storia della mafia, Newton Compton, Roma, 1997 ;A. Blando, Percorsi dell’antimafia, in «Meridiana», n. 25, 1996; R. Mangiameli, La mafia tra stereotipo e storia, Salvatore Sciascia Editore, Caltanissetta, 2000; J. Dickie, Cosa Nostra. Storia della mafia siciliana, Mondolibri, Milano, 2005. 124 Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia, Relazione conclusiva, relatore Luigi Carraro, cit., p. 3. 125 Ibidem. 26 soprattutto per il tramite della malavita americana, utilizzavano il malaffare per mantenere quella struttura di potere che, con il favore del Governo nazionale, dominava la Sicilia ed era responsabile della «ondata di terrorismo contro i comunisti e contro le organizzazioni operaie»126. Dal canto suo il ministro Scelba respingeva l'ipotesi di collegamenti e rapporti internazionali tenuti dal Governo regionale e negava che il Governo nazionale avesse «qualsiasi responsabilità su fatti o su delitti politici della mafia o non della mafia accaduti in Sicilia»127. La mafia, aggiungeva, essendo un fenomeno secolare, non era imputabile ad una determinata linea politica «certamente la mafia trova[va] protezione in sfere molto elevate che essa protegge[va] a sua volta»128 e nelle recenti elezioni tutti i partiti - affermava Scelba - «compresi quelli dell'estrema sinistra hanno approfittato, in quella zona della Sicilia, della mafia, anche se per le dimensioni che la lotta elettorale ha raggiunto non è la protezione di un capo mafia locale che può determinare la vittoria di un partito»129. Il fenomeno mafioso, ribadiva il deputato Berti, dichiarando la propria insoddisfazione per la risposta ricevuta, doveva essere risolto «colpendo la classe di latifondisti reazionari»130 e le attività mafiose nelle zone di Piana dei Greci, di S. Giuseppe Jato, di Corleone e di Petralia, che avrebbero reso possibile il controllo dell'intera provincia di Palermo. Così la prima richiesta d‟inchiesta giungeva alla Camera il 14 settembre dello stesso anno, presentata dai deputati comunisti Berti, Failla, Pino e dal socialista Sansone131. Ma la richiesta venne respinta perché fu vista come una “bruciante” e “immeritata”132 offesa per la Sicilia. La questione fu più volte riproposta nel corso degli anni Cinquanta, ma la situazione parlamentare, con una Dc fermamente al governo, non permise la sua attuazione. E mentre dall‟altra parte dell‟Atlantico l‟esistenza stessa della mafia veniva sbattuta in prima pagina con le inchieste di una Commissione d‟inchiesta sulla criminalità organizzata creata ad hoc per combattere la mafia, diretta dal senatore democratico 126 Ibidem. Ibidem. 128 Ibidem. 129 Ivi, pp. 3-4. 130 Ivi, p 4. 131 O. Barrese (a cura di), Relazione della Commissione parlamentare sul fenomeno della mafia, Relatore Abdon Alinovi, Rubbettino, Soveria Mannelli, 1986, p. XVIII. 132 Ibidem. 127 27 Estes Kefauver133, in Italia si dovranno attendere gli anni Sessanta per la nascita di una Commissione per certi aspetti simile. Dopo i tanti tentativi di insabbiamento si pervenne, infatti, all‟istituzione della prima Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia. Il tutto partì sulla base di un ordine del giorno presentato il 5 luglio del 1960 da Ferruccio Parri, Giuseppe Berti e Simone Gatto134. Non fu un caso che la decisone di istituire una Commissione che indagasse sulla mafia in Sicilia veniva approvata proprio agli inizi degli anni Sessanta135. L‟Italia era in un periodo politicamente delicato dopo i fatti di Genova. In quell‟occasione erano scoppiate rivolte social-comuniste di protesta, con successivi scontri con le forze di polizia, dopo che il ministro Tambroni aveva autorizzato il Movimento sociale italiano ad organizzare nella città, che tanto aveva subito durante la guerra gli eccidi e le torture compiute dai fascisti, il loro congresso nazionale. Ben presto la protesta si estese in altre città d‟Italia e seguirono altri scontri che provocarono morti e feriti; il ministro fu costretto a presentare le dimissioni, mentre una parte della Dc si era orientata a istituire un governo di centro-sinistra aprendosi a una partecipazione di governo col Psi di Nenni136. Si pervenne così nel dicembre ‟62 alla legge che istituiva la prima Commissione parlamentare antimafia del nostro paese. Tuttavia la neonata Commissione antimafia guidata dal socialdemocratico Paolo Rossi non si riunirà nemmeno una volta, complice lo scioglimento anticipato delle camere. Nonostante la prima guerra di mafia che imperversava a Palermo 137 passarono circa sette mesi prima che una nuova Commissione antimafia venisse nuovamente instituita. L‟inerzia fu bruscamente interrotta dalla strage di Ciaculli - roccaforte della potente famiglia mafiosa dei Greco - che costò la vita a sette uomini delle forze dell‟ordine. L‟eccidio diede l‟input per insediare un‟altra Commissione, ma questa volta la nomina di presidente ricadde sul senatore democristiano Donato Pafundi, ex procuratore generale della Corte di Cassazione, con vicepresidenti i deputati Girolamo Li Causi, comunista, e il democristiano Oscar Luigi Scalfaro. Presto però resterà solamente Li Cfr. S. Lupo, Storia della mafia, cit., p. 204; Id, Quando la mafia trovò l’America, cit. Resoconto stenografico della seduta del 5 luglio 1960, Atti Parlamentari – Senato della Repubblica, III, pp. 13083 sgg.; in particolare l‟approvazione dell‟ordine del giorno alla p. 13091, cit. in V. Coco (a cura di), L’Antimafia dei comunisti, cit., p. 23; cfr. anche O. Barrese (a cura di), Relazione della Commissione parlamentare sul fenomeno della mafia, cit., p. IX. 135 V. Coco (a cura di), L’Antimafia dei comunisti, cit., p. 23. 136 S. Lupo, Antipartiti, cit., p. 63. 137 Cfr. S. Lupo, Storia della mafia, cit., p. 246. 133 134 28 Causi a battersi per indagini approfondite e a tutto campo; Scalfaro, infatti, sarà costretto alle dimissioni non volendo accettare il ruolo di freno e di “cane da guardia” 138 che il suo partito voleva affibbiargli. Quanto a Pafundi, si rese protagonista, dopo un apprezzabile esordio, di un gran voltafaccia. Infatti, dopo aver rilevato, oltre alla consistenza, anche l‟alta qualità del materiale custodito negli archivi della Commissione, paragonandoli a una “polveriera”, a una “santabarbara”139, alla fine della IV legislatura e dopo quei proclami, Pafundi consegnò l‟8 marzo 1968 ai presidenti delle due Camere uno striminzito rapporto sullo stato dei lavori della Commissione antimafia che annullava del tutto il lavoro fin lì svolto: «Nel corso dei suoi lavori la Commissione ha fermato il proprio esame anche sul rapporto tra mafia e politica, senza pervenite – allo stato - a conclusioni»140. La delusione fu grande, chi aveva per anni visto nella Commissione uno strumento per combattere e sconfiggere la mafia si vide costretto a fare i conti con la triste realtà dei fatti; e il pamphlet di Pantaleone intitolato Antimafia occasione mancata141 sarà l‟emblema dello smacco subito. La mafia riapparve sulla scena con prepotenza e l‟escalation di terrore che si registrò a partire dal 1969, quando ritornavano dal carcere o dal confino i vecchi boss usciti indenni dalle sentenze di Catanzaro e Bari, fu senza paragoni. Ciò che accadde dopo le due sentenze lo racconterà il collaboratore di giustizia Antonino Calderone, descrivendo con un certo cinismo, davanti alla Commissione antimafia presieduta da Violante, la reazione mafiosa di quegl‟anni: Una volta usciti dal processo di Catanzaro, quando nel 1963 la mafia era stata messa in ginocchio, ma veramente, erano morti di fame dopo cinque anni di latitanza o di galera. Erano morti di fame. Stefano Bontade142 diceva che per fortuna Masino Spadaro faceva un poco di contrabbando e gli dava una parte, perché erano morti di fame. Dopo che sono usciti e si sono un po' organizzati Gaetano Badalamenti disse: "Dobbiamo far sentire che siamo di nuovo qua". Disse che dovevamo buttare a mare i carabinieri. Qualcuno ci ha riso in faccia. 138 O. Barrese (a cura di), Mafia politica pentiti: la relazione del presidente Luciano Violante e le deposizioni di Antonino Calderone, Tommaso Buscetta, Leonardo Messina, Gaspare Mutolo, Rubbettino, Soveria Mannelli, 1993, p. 11. 139 Cfr. W. Semeraro, Lo scandalo di Agrigento impallidisce dinanzi ai fatti che abbiamo in archivio, «Il Giornale di Sicilia», 6 agosto 1966. 140 Commissione parlamentare sul fenomeno della mafia in Sicilia, Rapporto sullo stato dei lavori al termine della IV legislatura presentato dal presidente Donato Pafundi, cit. in V. Coco (a cura di), L’Antimafia dei comunisti,cit., p. 25; Cfr. anche O. Barrese (a cura di), Mafia politica pentiti, cit., p. 11; E. Biagi, La Commissione Antimafia è riuscita a non sapere e a non dire proprio niente, «La Stampa», 26 marzo 1968. 141 M. Pantaleone, Antimafia occasione mancata, Einaudi, Torino, 1969. 142 Stefano Bontate. 29 Per fare un certo effetto dovevano far fuori qualcuno e hanno ucciso Mauro De Mauro e il giudice Scaglione …143 È con una siffatta situazione che si dovette misurare la Commissione d‟inchiesta della V legislatura, presieduta dal deputato democristiano Francesco Cattanei, vicepresidenti il comunista Girolamo Li Causi e il socialista Libero Della Briotta. Il presidente dichiarò che fin da subito uno dei compiti più importanti della Commissione era quello di rendere noto il consistente materiale relativo alle indagini svolte negli anni precedenti144. Si istaurò così un tandem felice, di fervida e leale collaborazione, che approdò a notevoli risultati. Furono pubblicate le indagini sul comune di Palermo, sulle strutture scolastiche, sui mercati all‟ingrosso e quella sui rapporti tra mafia e banditismo145. Molto importante risultò anche la parte finale del documento presentato da Cattanei dove veniva messa in evidenza la straordinaria «duttilità della mafia»146, grazie alla quale si era saputa adattare a ogni tipo di «trasformazioni sociali, economiche e politiche»147. La relazione di Cattanei suscitò molte proteste in seno al suo stesso partito che gli costeranno la rimozione dall‟incarico durante la VI legislatura. Con il reinsediamento della Commissione, dopo le elezioni anticipate del 1972, avvenne la nomina del nuovo presidente, Luigi Carraro. Le frizioni all‟interno della Commissione aumentarono considerevolmente, l‟atmosfera cambiò radicalmente, come dimostrarono sia le differenze di impostazione e di tono che si riscontrano tra la relazione generale firmata dallo stesso Carraro e quella settoriale a cura del senatore Zuccalà, sia per l‟esigenza dei due gruppi di destra e di sinistra di presentare due relazioni di minoranza contenenti critiche a quella di Carraro e indicazioni di lettura degli allegati assai diverse148. La Commissione Carraro verrà ricordata anche per lo scontro che si ebbe tra i democristiani che volevano come membro l‟onorevole Matta, ex assessore al comune di Palermo già oggetto di indagini da parte della Commissione nel corso della precedente Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XI (audizione del collaboratore di giustizia Antonino Calderone), intervento di A. Calderone, p.298. 144 V. Coco (a cura di), L’Antimafia dei comunisti, cit., p. 26. 145 Ibidem. 146 Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia, Relazione dell’on. Francesco Cattanei, V legislatura, doc. XXIII, n.2-septies, Roma, 1972, p.153. 147 Ibidem. 148 Per questo aspetto cfr. N. Tranfaglia, La mafia come metodo, Laterza, Roma-Bari, 1991, pp. 48 sgg. 143 30 legislatura, e i comunisti che invece si opponevano alla sua candidatura. Il motivo era evidente: l‟inquisito sarebbe diventato il giudice di se stesso. Il lungo braccio di ferro vedrà però la sconfitta della fazione democristiana che voleva mantenere Matta come membro della Commissione149. L‟abbaglio preso dalla relazione finale del presidente Carraro appare molto evidente se si constata quello che avvenne negli anni a seguire, con il salto di qualità compiuto dalla mafia alla fine degli anni Settanta e con l‟inizio di quella sequela di omicidi politicomafiosi di Mattarella, Terranova, La Torre e Dalla Chiesa. Altro che mafia fortemente indebolita, come veniva riportato sulla relazione Carraro; la realtà appariva del tutto diversa: una mafia riorganizzata, che estendeva i propri rapporti con le altre associazioni criminali dell‟Italia meridionale e non, che aveva rinsaldato la propria presenza nel mondo politico, sociale ed economico della penisola150. Passarono parecchi anni prima che venisse compiuta una nuova indagine parlamentare e la mancanza di un‟adeguata e tempestiva risposta era da attribuire – a parere di Orazio Barrese - a una reazione del tutto assente da parte dell‟opposizione comunista, impegnata nell‟esperienza del “compromesso storico”151. La risposta fu lenta e tardiva e solo a seguito dell‟omicidio di Dalla Chiesa, il 3 settembre 1982, venne istituita una nuova Commissione antimafia. La seconda Commissione parlamentare antimafia, presieduta prima dal senatore La Penta, poi sostituito dall'onorevole Alinovi, fu istituita con la legge 13 settembre 1982, n. 646 (legge Rognoni - La Torre). La Commissione Alinovi si differenziava dalla prima perché non si trattava più di una Commissione d‟inchiesta, come la precedente, ma di vigilanza, con competenze da un lato non limitate alla sola Sicilia, dall‟altro con poteri e funzioni dimezzate, in quanto i suoi compiti rientravano nell‟ambito della legge (per la verifica della sua attuazione, per la vigilanza sull‟applicazione e per formulare proposte idonee a combattere mafia, „ndrangheta e camorra152). La relazione finale, approvata a maggioranza dalla Commissione, non ricalcava gli schemi di relazioni della precedente, perché diverse erano le fisionomie e in una certa misura anche le finalità dei due organismi: nella prima bisognava indagare e evidenziare i risultati dell‟inchiesta che, nonostante forti resistenze e sia pure settorialmente, 149 Cfr. O. Barrese (a cura di), Mafia politica pentiti, cit., p. 20. Ivi, pp. 51-54. 151 O. Barrese (a cura di), Mafia politica pentiti, cit., p. 21. 152 Cfr. O. Barrese (a cura di), Relazione della Commissione parlamentare sul fenomeno della mafia, relatore Abdon Alinovi, cit., p. V. 150 31 affrontava anche il nodo del rapporto mafia-politica, soprattutto nelle due relazioni di minoranza; stavolta, invece, il compito istituzionale consisteva nella stesura di una sorta di relazione di bilancio con entrare e uscite, con attivi e passivi, ovviamente con un‟ottica e una metodologia di carattere politico. L'organismo parlamentare analizzò i cambiamenti che si realizzarono in Cosa nostra dopo la sua entrata nel mercato degli stupefacenti, denunciandone la trasformazione eversiva, eseguì le prime applicazioni della legge Rognoni-La Torre, effettuò numerose visite in territori particolarmente esposti al problema del fenomeno mafioso e, infine, individuò i primi segnali dell'evoluzione del fenomeno mafioso in Puglia153. Tuttavia il documento presentato da Alinovi offrì anche qualche spunto di critica. Quella più interessante avvenne da parte del missino Alfredo Pazzaglia, che lamentava l‟assenza dell‟analisi del fenomeno mafioso, la mancata analisi del periodo post-bellico e le lacune sul tema della penetrazione della mafia dentro le istituzioni. Per quanto riguardava i primi due punti le obiezioni del missino appaiono irrilevanti, in quanto la precedente Commissione aveva già rilevato sia l‟analisi del fenomeno che la situazione del dopoguerra, mentre il terzo punto va considerato con un certo interesse. Qui la contestazione appariva più politica; a parere del missino si rivelava, infatti, l‟ottica politica figlia del compromesso storico tra Pci e Dc, per cui si verificò un allentamento della morsa da parte dei comunisti nei confronti dei democristiani154. La terza Commissione antimafia venne istituita nel marzo 1988; la scelta del presidente ricadde sulla figura di Gerardo Chiaromonte. Nel 1988 il Parlamento aveva approvato una legge che ampliava fortemente i poteri della Commissione antimafia, e il 28 luglio dello stesso anno si riunì per la prima volta per iniziare quei lavori che porteranno all‟adeguamento dell‟impianto legislativo dopo la modernizzazione del fenomeno mafioso. Vennero presentate in quattro anni di attività ben trentasei relazioni, sollecitando in tal modo il Parlamento ad approvare leggi più moderne ed efficaci. Fu un periodo molto difficile quello in cui si insediò la Commissione Chiaromonte, come ricordava lo stesso presidente nel suo libro I miei anni all’Antimafia155. Erano gli anni dei veleni del Palazzo di giustizia di Palermo, con l‟intento di smantellare quello che era stato il pool antimafia guidato da Coponnetto156 prima e Falcone poi157. La prima 153 Ibidem. Ibidem. 155 G. Chiaromonte, I miei anni all’Antimafia 1988-1992, Calice Editori, Rionero in Vulture, 1996. 156 A tal proposito rimando ad A. Caponnetto, S. Lodato, I miei giorni a Palermo, Garzanti, Milano, 1992. 154 32 “grana”158 da affrontare fu quella della pubblicazione delle schede nominative. Queste schede consistevano in una serie di annotazioni informali con cui erano state via via riassunte, a cura degli uffici delle precedenti Commissioni antimafia, tutte le notizie risultanti da atti, documenti o carte comunque pervenute in mano alla Commissione, che facessero riferimento a funzionari amministrativi o a uomini politici o a organizzazioni di partito operanti in Sicilia159. Al presidente fu subito chiaro il clima di aspettativa che c‟era nei confronti di questa nuova Commissione. Già durante la decima seduta del 6 dicembre 1988, dove si doveva decidere sulla richiesta di pubblicare o meno le schede, come si può vedere dalla lettura dei testi stenografati, si aprì una discussione che vide opposti due schieramenti. Dalla parte democristiana c‟era tutta l‟intenzione di non rendere pubbliche le schede, dall‟altra, capitanata dal capogruppo Pci Luciano Violante, le intenzioni andavano nel senso opposto160. Le schede alla fine vennero pubblicate e Chiaromonte, che in prima battuta si era opposto, si decise in senso opposto per evitare che venissero portate accuse di «una qualche reticenza o addirittura omertà»161 nei confronti del Parlamento e dei suoi organi. La Commissione operò anche in modo incisivo su questioni specifiche, come nel caso degli appalti per la costruzione della centrale di Gioia Tauro162. Quello che però contraddistinse la Commissione Chiaromonte dalle precedenti fu la forte intraprendenza nel proporre agli organi competenti le misure da attuare: le nuove misure sul riciclaggio (decreto-legge 3 maggio 1991, n.143, convertito, con modificazioni, nella legge 5 luglio 1991, n. 197), sulla tutela delle vittime delle estorsioni (decreto-legge 31 dicembre 1991 n. 419, convertito, con modificazioni, nella legge 8 febbraio 1992, n. 172), sulla Direzione investigativa antimafia (DIA) (decreto legge 29 ottobre 1991, n. 345, convertito, con modificazioni, nella legge 30 dicembre 1991, n. 410), sulle direzioni distrettuali e sulla Direzione nazionale antimafia (DNA) (decreto-legge 20 novembre 1991, n. 367, convertito, con modificazioni, nella legge 20 gennaio 1992, n. 8), sullo scioglimento dei consigli comunali inquinati (decreto- legge 157 O. Barrese (a cura di), Relazione della Commissione parlamentare sul fenomeno della mafia, relatore Abdon Alinovi, cit., p. 11. 158 Ivi, p. 23. 159 Ibidem. 160 Cfr. Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, presidenza G. Chiaromonte, Verbale X (Comunicazione del presidente in ordine ai criteri di pubblicazione delle «schede nominative» e susseguente dibattito), pp. 322-52. 161 G. Chiaromonte, I miei anni all’Antimafia, cit., p. 31. 162 Cfr. Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, presidenza G.Chiaromonte, Verbale LI (Audizione del presidente dell’ENEL), pp. 335 sgg. 33 31 maggio 1991, n. 164, convertito, con modificazioni, nella legge 22 luglio 1991, n. 221), sulla sospensione degli amministratori inquisiti (legge 19 marzo 1990, n. 55), sulla riforma dei subappalti (legge citata n. 55 del 1990), sulla protezione dei collaboratori della giustizia (decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, nella legge 15 marzo 1991, n. 82)163. Tutte queste proposte, poi tramutate in legge, nasceranno dal lavoro di questa Commissione e troveranno in essa un decisivo sostegno per la lotta alla mafia. Tuttavia è da ricordare che molte delle leggi proposte nel corso della X legislatura saranno attuate solo nel corso della successiva, dopo le stragi di Capaci e di Via Mariano D‟Amelio, le quali daranno il via a una nuova stagione della Commissione antimafia affidata a Luciano Violante. Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Prima relazione annuale, relatore on. Luciano Violante, doc. XXIII, n. 9, Roma, 1993, p. 11. 163 34 II.2 Fisionomia della IV Commissione antimafia La IV Commissione antimafia venne istituita con il decreto legge dell‟8 giugno 1992, n. 306, convertito successivamente nella legge del 7 agosto 1992, n. 356, subito dopo le stragi di Capaci e via D‟Amelio. La IV Commissione parlamentare antimafia, presieduta dall'onorevole Luciano Violante, era composta da venticinque senatori e venticinque deputati. Nella prima seduta di Commissione vennero scelti i vicepresidenti - dalle urne uscirono i nomi del senatore democristiano Paolo Cabras e del deputato del Psi Carlo D‟Amato, sostituito il 20 maggio del 1993 dal senatore dello stesso partito Maurizio Calvi. Il ruolo di segretari fu affidato invece, ai deputati: Francesco Cafarelli della Dc – dimessosi il 16 marzo 1993 -, Girolamo Tripodi di Rifondazione comunista e Vincenzo Sorice della Dc164. Complici anche le innumerevoli inchieste che per tutto il periodo investirono in pieno quasi tutto il mondo politico, la Commissione subì delle modifiche all‟interno del suo organico, con la sostituzione di molti suoi componenti. Il caso più clamoroso si ebbe in seguito alle dimissioni presentate dal segretario di Commissione Cafarelli, a seguito di un avviso di garanzia per una tangente ricevuta per dei lavori pubblici dell‟ANAS165. Le dimissioni furono presentate anche da Vincenzo Scotti, ex-ministro dell‟Interno, il 31 marzo 1993, per indagini che la magistratura stava svolgendo su di lui a seguito di alcune dichiarazioni, poi rivelatesi false, che lo vedevano implicato in fatti di camorra166. A ogni modo venne sempre mantenuta la rappresentanza di ogni singolo partito, rispecchiando così la composizione del parlamento: a ogni membro dimissionario ne subentrava un altro della stessa fazione politica. Si ebbero infatti sempre 16 componenti del gruppo Dc, 10 per il Pds, 7 per il Psi, 4 rappresentati della Lega, 3 di Rifondazione, 2 rappresentanti per Pri, Misto e Msi e un componente per Pli, Verdi, Psdi, Radicali e per la Rete. Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale I (Votazione per l'elezione di due vicepresidenti e di due segretari), pp. 3-4. 165 Cfr. Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XXX (Sulle dimissioni dell'onorevole Cafarelli da segretario della Commissione), pp. 1451-52. Si veda anche F. Haver, ANAS:Prandini e 25 miliardi di tangenti, «Corriere della Sera», 4 aprile 1993. 166 Rimando alla lettera di dimissioni inviata da Vincenzo Scotti alla Commissione antimafia in Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XXXIV (Seguito dell'esame della relazione sui problemi connessi allo scioglimento dei consigli comunali), p. 1634. 164 35 La Commissione si avvalse anche di alcuni consulenti esterni per svolgere compiti sia nuovi, come per esempio l‟informatizzazione dell'archivio, che vecchi, come la verifica dell'attuazione della legislazione esistente; ed erano sempre consulenti esterni quelli che svolgevano un lavoro sui controlli amministrativi e sul versante sociale, sull‟organizzazione di forum e sulla gestione dei rapporti con l'estero. Del nutrito gruppo dei collaboratori esterni c‟era chi svolgeva un lavoro a tempo pieno, come il dottor Pocci, il dottor Di Lello e il tenente Pizzurro (a questo gruppetto si aggiunse successivamente anche Fernanda Torres, con il compito di organizzare i forum); chi a tempo parziale come il dottor Mandoi, il dottor Rossi, il dottor Pennisi, il dottor Berrione della Banca d‟Italia e il dottor Colombo. Quest‟ultimo, essendo il Sostituto Procuratore della Repubblica di Milano e conducendo in prima persona le indagini sulle tangenti di Milano, creò qualche perplessità all‟interno della Commissione antimafia, tanto da far pervenire una lettera, da parte del senatore Frasca del Psi, all‟indirizzo del presidente Violante per chiedere spiegazioni in merito alla sua nomina167. Si palesava come uno spettro la paura che incuteva la magistratura in particolare all‟interno quei partiti - socialista e democristiano in primis - che nel biennio „92-„94 vennero investiti dal ciclone Tangentopoli. C‟erano anche consulenti che offrivano una collaborazione part-time: in questo gruppo erano compresi il dottor Pietro De Franciscis e il dottor Giuseppe Cogliando della Corte dei conti. Per quanto riguardava invece la collaborazione di personale esterno che collaborava ai vari gruppi di lavoro, erano stati nominati, sempre con una collaborazione part-time, per il gruppo coordinato dal deputato Riggio i professori Sabino Cassese, Guido Corso, Ignazio Portelli; per il gruppo di lavoro coordinato dal deputato D'Amato i professori Luciano Sommella e Francesco Sidoti; per il gruppo di lavoro coordinato dal senatore Calvi il professor Crescenzo Fiore; e infine, per il gruppo di lavoro coordinato dal deputato Scotti il generale Ramponi, ex comandante generale della Guardia di finanza. Chiudevano il quadro dei consulenti e dei collaboratori il prefetto Guido Nardone, il dottor Carlo Notaro, il dottor Pietro Grasso e il dottor Giannicola Sinisi, che collaborando direttamente con la Commissione antimafia erano Cfr. Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XXVII (Esame della relazione sulle risultanze del Forum con le direzioni distrettuali antimafia, alla presenza del ministro di grazia e giustizia, professor Giovanni Conso), p. 1358. 167 36 stati nominati dal ministro dell'interno i primi due, e dal ministro di grazia e giustizia i secondi168. In diciassette mesi di attività la Commissione Violante produsse dodici relazioni, realizzò tre forum, si adoperò per la creazione di uno spazio internazionale antimafia e, come aveva già fatto la Commissione Chiaromonte in precedenza, avanzò proposte legislative ed amministrative. Tuttavia l'incisivo lavoro per l'adeguamento delle leggi alle specifiche caratteristiche del fenomeno mafioso svolto dalla precedente Commissione durante la X legislatura, consentiva alla Commissione presieduta da Violante di non considerare più la questione legislativa come assolutamente prioritaria nella determinazione dei mezzi idonei a contrastare le organizzazioni mafiose. Da questo punto di vista prioritari apparivano invece la completa applicazione delle leggi antimafia e il coerente funzionamento della pubblica amministrazione. Per questi motivi la Commissione si preoccupò più di razionalizzare un sistema legislativo che si evolveva giorno dopo giorno disordinatamente e che produsse nel giro di dieci anni più di 160 leggi in materia penale - 20 delle quali specificamente destinate alla criminalità mafiosa169. A volte però la proposta di nuove leggi, formulata senza aver approfondito le ragioni per le quali non avevano funzionato le precedenti, faceva derivare alcuni gravi inconvenienti: non sempre la nuova legge riusciva a conseguire gli effetti per i quali era stata progettata. Tutto questo portò la IV Commissione antimafia a occuparsi principalmente del controllo e del funzionamento delle leggi esistenti, proponendo, dove si avvertiva il bisogno, quelle correzioni opportune per il corretto funzionamento della legge, riprendendo per alcuni versi alcune caratteristiche proprie della Commissione Alinovi. Come nel caso della proposta dell‟istituzione dei tribunali distrettuali antimafia, o dell‟allargamento dell‟ipotesi di reato di riciclaggio170. Un‟iniziativa del tutto nuova rispetto alle precedenti Commissioni antimafia riguardò invece i forum. Si trattava di colloqui con specialisti e con operatori dei diversi settori, con lo scopo di approfondire temi specifici di particolare rilievo. Il primo forum svolto il 20 novembre del 1992, introdotto dal presidente del Senato Spadolini, vide il confronto tra il capo della polizia Vincenzo Parisi, il presidente del Bundeskriminalamt 168 Sul resoconto dei vari collaboratori si veda ivi, pp. 1358-60. Per un approfondimento di tutte le proposte di legge o di modifica delle norme che regolano la giustizia proposte dalla Commissione antimafia rimando a Prima relazione annuale, relatore onorevole Luciano Violante, cit., pp. 12 sgg. 170 Ibidem.. 169 37 Hans Ludwing Zachert, il capo della polizia spagnola Manuel Reverte de Montagud e il responsabile della polizia francese Jacques Poinas171. Il secondo forum si tenne il 5 febbraio del 1993, in quest‟occasione il confronto fu tra i magistrati della Procura nazionale antimafia, della procure distrettuali e componenti del gruppo di lavoro del Consiglio superiore della magistratura. L‟incontro fu incentrato sullo stato della criminalità organizzata, sui risultati conseguiti dalla lotta al crimine organizzato, dei rapporti tra i vari organismi giudiziari e tra questi e la polizia giudiziaria172. Il terzo ed ultimo forum svoltosi tra il 14 e il 15 maggio fu destinato all‟esame dei rapporti tra economia e criminalità. In quest‟occasione parteciparono autorità ed esperti in materia sia italiani che stranieri173. Come già accennato in precedenza, la Commissione approvò dodici relazioni, alcune erano una sorta di raccolta dei lavori svolti all‟interno dei vari forum, come nel caso della relazione Indicazioni per un’economia libera dal crimine, altre furono frutto di sopralluoghi, di indagini settoriali, di accertamenti diretti ottenuti tramite le deposizioni dei vari pentiti, fatto nuovo se confrontato alle attività delle precedenti relazioni. Infatti era la prima volta che una Commissione antimafia ascoltava dei collaboratori di giustizia e li utilizzava come fonte per le proprie relazioni. Aspetto, questo, che mostra la distanza che separava la Commissione Violante da quella presieduta appena una legislatura prima da Chiaromonte. Quest‟ultimo si oppose sempre all‟utilizzo dei collaboratori di giustizia per non sconfinare in campi dove già operava un‟altra istituzione; risultava altresì chiaro il rifiuto di fare della Commissione un organo Per un approfondimento dei temi discussi sul forum rimando a Indicazioni per un’economia libera dal crimine, relatore onorevole Luciano Violante, XI legislatura, doc. XXIII, n. 4, Roma, Stabilimenti tipografici Colombo, 1993. 172 Cfr. Relazione sulle risultanze del forum promosso il 5 febbraio dalla commissione parlamentare antimafia con la direzione nazionale antimafia, con le direzioni distrettuali e con il gruppo di lavoro per gli interventi del CSM nelle zone colpite dalla criminalità, relatore senatore Massimo Brutti, X legislatura, doc. XXIII, n. 1, Roma,Stabilimenti tipografici Colombo, 1993 . 173 Il forum venne suddiviso in tre sessioni di intervento. Per la prima sessione, Mafia e dinamiche economiche, parteciparono: Armando D‟Alterio (Sostituto Procuratore della Repubblica di Napoli), Alda Becchi ( università di Venezia), Mauro Cappelli (DIA), Sabino Cassese (Università di Roma), Luigi Marini (Sostituto Procuratore della Repubblica di Torino), Vittorio Coda (Università Bocconi), Giovanni Maria Flick ( Università Luiss), Stefano Zamagni (Università di Bologna). Per la seconda sessione, Analisi ed esperienze di settori: Fabrizio Barca (Banca d‟Italia), Mario Bessone (Consob), Alberto Pera (Antitrust), Mario Mori (Ros), Alessandro Pansa (Sco), Luca Pistorelli (Sostituto Procuratore della Repubblica di Trapani), Ernesto Savona (Università di Trento), Hans Blommestein (Ocse), Raniero Vanni d‟Archirafi (Cee), Gunter Klaus Haendly ( Amasciata RFT), Andrea Malusardi (Gafi), Gianni Billia (Ministero delle Finanze), Salvatore Chiri (Banca d‟Italia), Pierantonio Ciampicali (Uic), Francesco Petrarca ( Guardia di finanza). Per la terza sessione, Regole ed indirizzi: Amartya K. Sen ( Università di Harvard), Paolo Bernasconi (Università di Zurigo), Michael De Feo (Ambasciata USA), Mark Findlay (Università di Sidney), Luigi Abete (Presidente di Confindustria), Donatella Turtura (Cnel). 171 38 inquirente, sostitutivo o concorrenziale alla magistratura174 - pensiero distante anni luce da quello del suo successore alla guida della Commissione antimafia. Oltre alla relazione sui rapporti tra mafia e politica, che verrà analizzata nei successivi capitoli, molto interessante appare, senza con questo voler sminuire i restanti lavori della Commissione, la relazione sulla camorra, approvata dalla Commissione antimafia in data 21 dicembre 1993175. La relazione sulla camorra, come in precedenza quella su mafia e politica, non si limitò a indagare su manifestazioni criminose; sul documento infatti veniva affrontato anche il problema del comportamento dei vari poteri pubblici, e di quello politico anzitutto. A un nutrito gruppo di commissari del gruppo Dc della Commissione parlamentare antimafia non piacque la relazione presentata da Violante. Il voto contrario veniva motivato, nella seduta del 21 dicembre 1993, dal deputato Vincenzo Sorice che sosteneva che l‟indagine svolta su fatti all‟attenzione della magistratura e l‟utilizzo per la relazione di documenti, forniti appunto dalla magistratura, attinenti a procedimenti ancora nella fase delle indagini preliminari, portavano la Commissione sul terreno giudiziario, con la conseguente influenza che ne poteva derivare atta a influenzare procedimenti in corso176. La Dc faceva quadrato attorno alla figura di Antonio Gava, con una difesa molto più massiccia di quella dispiegata a favore di Giulio Andreotti quando venne discussa la relazione sui rapporti tra mafia e politica177. Tuttavia anche in questo caso il fronte Dc in seno alla Commissione, come già in precedenza per Andreotti, non rimase compatto, e al gruppo dei contrari alla relazione si contrappose la fazione dei favorevoli e degli astenuti. 174 Per una panoramica del pensiero di Gerardo Chiaromonte rimando a G. Chiaromonte, I miei anni all’Antimafia, cit. 175 Cfr. Relazione sulla camorra, relatore onorevole Luciano Violante, XI legislatura, doc. XXIII, n. 12, Roma, stabilimenti tipografici Colombo, 1993. Si veda anche O. Barrese (a cura di), Camorra, politica, pentiti: atti della Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia, la relazione del presidente Luciano Violante, le deposizioni di Pasquale Galasso e Salvatore Migliorino, le accuse della magistratura contro otto parlamentari, prefazione di Antonio Riboldi, Rubettino, Soveria Mannelli, 1994. 176 Cfr. Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale LXXXI (Seguito della discussione e approvazione della relazione sulla camorra), intervento di V. Sorice, pp. 3330-33. 177 Per seguire il dibattito che si generò sulla posizione del senatore Antonio Gava rimando ai verbali della Commissione antimafia sulla Discussione della relazione sulla camorra: LXXV, LXXVI, LXXVII, LXXIX e LXXXI. 39 Il senatore Paolo Cabras, vicepresidente della Commissione antimafia, pur manifestando alcune perplessità sulle parti relative alla questione del Mezzogiorno, votò a favore, tirando una stoccata alle critiche sollevate dal suo stesso partito: Dichiaro che voterò a favore della relazione perché condivido l'analisi e la descrizione della natura, dell'evoluzione e dell'influenza della camorra a Napoli e in Campania. Credo sia questo il nucleo sostanziale del documento oggi sottoposto al nostro giudizio. Condivido altresì l'intensità, direi drammatica, dell'allarme lanciato nella relazione e riferito a quella che ho definito come degenerazione sistemica. Credo, infatti, che tale definizione sia sufficientemente rappresentativa del livello di pericolo, che è pari alla vastità e all'invadenza della camorra nella vita sociale, economica e delle istituzioni in genere, quindi non solo di quelle politiche178. Inoltre Cabras ribadiva che per una Commissione d‟inchiesta fosse inevitabile il riferimento a vicende oggetto di indagine giudiziaria, anche in ragione della lunga durata dei processi179. Un altro membro della Dc, il senatore Alberto Robol, non espresse il voto; con la sua astensione il senatore intendeva dare un segnale esplicito di cambiamento180. Per motivi diametralmente opposti alla Dc, la relazione ebbe anche il voto contrario dei commissari del Msi. Il senatore Michele Florino sosteneva che la proposta di relazione non trattava in modo adeguato l‟inquinamento di alcuni settori, escludendo volutamente le responsabilità della magistratura che pure si era resa responsabile181. Oltre alle relazioni sulla mafia e sulla camorra, la Commissione presentò dei lavori sulla diffusione della criminalità organizzata in altre parti d‟Italia. In questo caso l‟intento era quello di iniziare una lotta a tutto campo verso quelle forme di mafia concentrate in zone non tradizionali182. Infatti, era un fatto risaputo la presenza delle organizzazioni mafiose, camorristiche e della „ndrangheta anche in zone del Centro-Nord e i vari collaboratori lo confermavano. L‟intento della Commissione era quello di evitare che comunque l‟attacco delle istituzioni fosse rivolto solamente verso quei punti caldi, come Sicilia, Campania, Calabria e Puglia, sfatando sia il falso mito delle “isole felici”, che la Cfr. Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale LXXXI (Seguito della discussione e approvazione della relazione sulla camorra), intervento di P. Cabras, p 3344. 179 Ibidem. 180 Ivi, intervento di, A. Robol, pp. 3344-45. 181 Ivi, intervento di M. Florino, pp. 3337-39. 182 A tal proposito si veda Relazione sulle risultanze delle attività del gruppo di lavoro incaricato di svolgere accertamenti su insediamenti e infiltrazioni di soggetti ed organizzazioni di tipo mafioso in aree non tradizionali, relatore senatore Carlo Smuraglia, XI legislatura, doc. XXIII, n. 11, Roma, stabilimenti tipografici Colombo, 1994. 178 40 convinzione che la mafia al Nord non esisteva essendo un sottoprodotto del Mezzogiorno. Anche per la Calabria183 e la Puglia184 furono pubblicati dei lavori, anche se il risultato non è paragonabile alle relazioni su mafia e camorra - infatti, tesero a inquadrare il problema solo a livello generale. La Commissione svolse anche dei lavori più settoriali come quello sulle amministrazioni comunali disciolte nelle regioni meridionali185 o quella sull‟edilizia scolastica di Palermo186. Quest‟ultima appariva ben impostata e mostrava uno spaccato molto inquietante su quello che era la realtà cittadina, con strutture scolastiche fatiscenti e che spesso erano di proprietà di mafiosi. La Commissione antimafia dava prova di grande abilità nel proporre uno sviluppo di repressione che coinvolgesse tanto la repressione delle organizzazioni criminali quanto un‟antimafia diretta a riallacciare un rapporto di fiducia con lo Stato. Il motto portato avanti da Violante era: «l‟antimafia dei delitti deve essere accompagnata permanentemente dall‟antimafia dei diritti»187. Vennero anche presentate due relazioni su due città siciliane, Barcellona Pozzo di Gotto188 e Gela189, a seguito della visita che una delegazione della Commissione antimafia aveva svolto nelle due cittadine dopo gli omicidi del giornalista Giuseppe Alfano, insegnante e corrispondente per la città di Barcellona del quotidiano «La Sicilia», e del commerciante Gaetano Giordano, che aveva denunciato le estorsioni subite e l‟imposizione del “pizzo” da parte dei gruppi mafiosi di Gela190. Si tende spesso a dimenticare tutto il lavoro svolto dalla Commissione in quei diciassette mesi di attività, periodo nel quale la Commissione si riunì ben ottantanove volte, visitando quarantatre località191, ascoltando complessivamente quasi duemila 183 Cfr. Relazione sulla situazione della criminalità in Calabria, relatore senatore Paolo Cabras, XI legislatura, doc. XXIII, n. 8, Roma, stabilimenti tipografici Colombo,1993. 184 Cfr. Relazione sulla situazione della criminalità organizzata in Puglia, relatore senatore Alberto Robol, XI legislatura, doc. XXIII, n. 7, Roma, stabilimenti tipografici Colombo, 1993. 185 Cfr. Relazione sulle amministrazioni comunali disciolte in Campania, Puglia, Calabria e Sicilia, relatore senatore Paolo Cabras, XI legislatura, doc. XXIII, n. 5, Roma, stabilimenti tipografici Colombo, 1993. 186 Cfr. Relazione sullo stato dell’edilizia scolastica a Palermo, relatore onorevole Luciano Violante, XI legislatura, doc. XXIII, n. 6, Roma, stabilimenti tipografici Colombo,1993. 187 Ivi, p. 6. 188 Cfr. Relazione sulla visita effettuata dalla commissione parlamentare sul fenomeno della mafia a Barcellona Pozzo di Gotto in data 23 gennaio 1993, relatore onorevole Luciano Violante, XI legislatura, doc. XXIII, n. 3, Roma, stabilimenti tipografici Colombo, 1993. 189 Cfr. Relazione sulla visita effettuata a Gela dalla commissione parlamentare sul fenomeno della mafia in data 13 novembre 1992, relatore onorevole Luciano Violante, XI legislatura, doc. XXIII, n. 10, Roma, stabilimenti tipografici Colombo, 1993. 190 Ivi, p. 9. 191 Per l‟elenco delle località si veda Relazione conclusiva, relatori onorevole Luciano Violante,senatore Paolo Cabras, senatore Maurizio Calvi, senatore Giovanni Carlo Acciaro, onorevole Gaetano Grasso, 41 persone – 1810 per l‟esattezza. Il tutto avvenne in un contesto carico di tensione e di mutamenti, che accentuò la risonanza dei lavori di questa Commissione, facendo discutere molto sui giornali, coinvolgendo tanto il mondo politico quanto l‟opinione pubblica, specie con le seguitissime audizioni dei collaboratori di giustizia192. Queste ultime forniranno la base per la relazione sui rapporti tra mafia e politica il documento più discusso e controverso figlio di una Commissione antimafia immersa nel marasma politico-istituzionale degli ultimi anni prima Repubblica. senatore Ivo Buttini, onorevole Antonio Borgone, XI legislatura, doc. XXIII, n. 14, Roma, stabilimenti tipografici Colombo, 1994, p. 14. 192 Per un riscontro delle dichiarazione dei vari collaboratori di giustizia rimando ai verbali della Commissione antimafia e nello specifico: Verbale XI, Audizione del collaboratore di giustizia Antonino Calderone; Verbale XII, Audizione del collaboratore di giustizia Tommaso Buscetta; Verbale XV, Audizione del collaboratore di giustizia Leonardo Messina; Verbale XXV, Audizione del collaboratore di giustizia Gaspare Mutolo; Verbale LI, Audizione del collaboratore di giustizia Pasquale Galasso; Verbale LVI, Audizione del collaboratore di giustizia Salvatore Annacondia. 42 II.3 Biografia di un presidente Luciano Violante è nato nel 1941 a Dire Daua, in Etiopia, in un campo di concentramento inglese. Il padre era un giornalista comunista confinato in Africa dal regime fascista, la madre, un donna ebraica milanese, lo portò a conoscere il padre dopo la sua scarcerazione: «Mio padre l‟ho conosciuto quando avevo cinque anni, me lo presentarono il giorno di Pasqua del 1946. Alla stazione»193. Violante trascorse la giovinezza in Puglia, tra Rutigliano e Bari; qui intraprese gli studi universitari alla facoltà di giurisprudenza e furono questi gli anni in cui conobbe e divenne assistente di Aldo Moro. Poi giunse l‟entrata in magistratura, e in Magistratura democratica – corrente di sinistra dell‟Anm194. Agli anni Sessanta risale il trasferimento a Torino, assieme alla moglie - «con mia moglie, nel 1968 eravamo la prima coppia di magistrati sposati»195; proprio quella città vide nascere il Violante magistrato: la prima condanna fu inflitta a un giovane che «aveva detto piciu (fesso) a un vigile»196. Il 1974 è un anno cruciale nella biografia di Violante magistrato, poiché si concludeva proprio allora l‟inchiesta sul cosiddetto “Golpe bianco”197 - un tentativo di colpo di Stato tramato da Edgardo Sogno, partigiano, monarchico, diplomatico, antifascista e anticomunista. Violante, in quell‟occasione, fece arrestare Sogno, assieme Randolfo Pacciardi, ex partigiano e politico repubblicano, e Luigi Cavallo, giornalista ed ex partigiano, ritenuto da Violante la mente del golpe198. Tuttavia l‟istruttoria si concluse col proscioglimento degli imputati – nel 2000 lo stesso Sogno affermò che il complotto c‟era stato eccome, ma sarebbe scattato solo se i comunisti avessero preso il potere199. Da quell‟inchiesta iniziò l‟avvicinamento alla politica di Violante: La segreteria provinciale di Torino mi propose di candidarmi nel 1976, subito dopo il processo a Edgardo Sogno. Io ero incerto, ma un 193 http://cinquantamila.corriere.it/storyTellerThread.php?threadId=VIOLANTE+Luciano, ultima consultazione 5 giugno 2014. 194 M. Palombi e M. Travaglio, Carriera e mutazioni di un participio presente, in «MicroMega», n. 7, 2013, pp. 15-38, precisamente p. 17. 195 http://cinquantamila.corriere.it/storyTellerThread.php?threadId=VIOLANTE+Luciano, ultima consultazione 5 giugno 2014. 196 M. Palombi e M. Travaglio, Carriera e mutazioni di un participio presente, cit., p. 17. 197 http://cinquantamila.corriere.it/storyTellerThread.php?threadId=VIOLANTE+Luciano, ultima consultazione 5 giugno 2014. 198 Ibidem. 199 M. Palombi e M. Travaglio, Carriera e mutazioni di un participio presente, cit., p. 17. 43 giorno, mentre ero a casa, squillò il telefono. Era Enrico Berlinguer, che mi chiese cosa avessi intenzione di fare. Io esposi i miei dubbi e gli dissi di propendere per il no. Bene, mi rispose, se mi avesse detto il contrario l‟avrei invitata a ripensarci, perché il consenso acquisito con il processo avrebbe potuto essere strumentalizzato200. Ma il momento venne solo posticipato di tre anni, e nel 1979 prese la tessera del Partito comunista sotto l‟ala di uno dei padri del Pci torinese, Ugo Pecchioli, il “ministro ombra” dell‟Interno di Berlinguer201. In quegli anni Violante iniziò a occuparsi di terrorismo prima, e mafia poi, sotto la supervisione di Pecchioli, lavorando alla sezione Problemi dello Stato del Pci. Sul finire degli anni Ottanta, seguì le decisioni del suo partito, partecipando a quella guerriglia mediatica contro il pool antimafia di Palermo, e contro Giovanni Falcone in primis. E quando Antonino Caponnetto, nel marzo 1988, lasciò l‟incarico, sicuro che il posto sarebbe spettato a Falcone, arrivò la decisione del Csm che virò su Antonino Meli, membro più anziano ma esterno al pool. In quell‟occasione si disse che fu determinante il no delle correnti di sinistra in seno alla magistratura202; la mancata nomina di Giovanni Falcone a giudice istruttore fu il primo colpo sferrato dal Pci, la “guerra” la proseguì poi il suo alterego, il Pds. Il partito di Achille Occhetto vedeva, in quel momento, la possibilità di mettere alle strette la Dc, con Andreotti in testa, proprio per i suoi presunti rapporti con la mafia. Violante in seguito alle dichiarazioni rilasciate dal collaboratore di giustizia Pellegriti al Pm di Bologna Libero Mancuso commentava: «siamo vicini a una verità pericolosa che può squarciare il sipario che sino ha nascosto gli assassinii di Palermo»203. Pellegriti, infatti, aveva reso delle dichiarazioni pesanti contro Andreotti e Lima, rei di essere i mandanti dell‟omicidio di Piersanti Mattarella. Tuttavia l‟intervento del giudice Falcone, che dopo aver interrogato il pentito intuì che le sue dichiarazioni erano risultate false204, smontò la tesi accusatoria della sinistra nei confronti del massimo esponente Dc. 200 http://cinquantamila.corriere.it/storyTellerThread.php?threadId=VIOLANTE+Luciano, ultima consultazione 5 giugno 2014. 201 P. Graldi, Pecchioli: inefficienti nella prevenzione, «Corriere della Sera», 29 maggio 1993. 202 Cfr. G. Chiaromonte, I miei anni all’Antimafia, cit., pp. 77-89. 203 Intervista di Luciano Violante in «L‟Unità», agosto 1989; cit. in M. Palombi e M. Travaglio, Carriera e mutazioni di un participio presente, cit., p. 19. 204 G. Falcone, Cose di Cosa nostra, cit., p. 69. 44 In tal modo Falcone si era tirato addosso le accuse di un intero partito 205, con Violante in testa, a cui si aggiunsero le pesanti critiche di Leoluca Orlando, che accusava il giudice di tenere i nomi nel cassetto206. Dopo una prima parentesi all‟antimafia sotto la presidenza Chiaromonte, durante la X legislatura, nell‟XI legislatura Violante venne eletto presidente della stessa. L‟affidamento della presidenza della Commissione parlamentare antimafia, istituita nel luglio „92 dopo le stragi di Capaci e via D‟Amelio, a Violante generò più di una perplessità. Chiaromonte, che per motivi di salute dovette lasciare, si disse contrario, riservatamente e all‟interno del suo partito207. Violante era stato il coordinatore della politica giudiziaria del Pci, ora divenuto Pds, ed era stato assai critico con Falcone, prima per la scelta di spostarsi al ministero e in seguito, nell‟ultimissima fase della vita del giudice, a proposito della creazione della figura del procuratore nazionale Antimafia, ruolo a cui Falcone era candidato208. Luciano Violante gestì il compito di guidare la Commissione antimafia con grande determinazione e indubbie capacità. Sotto la sua presidenza ci fu una novità clamorosa: l‟audizione di alcuni pentiti. La questione aveva un profilo non trascurabile ma sostanzialmente di forma. Un mafioso, come tale condannato, per la prima volta prendeva la parola in un‟aula parlamentare. A molti parve un‟innovazione discutibile, a qualcuno un fatto inaudito. Ma forse non fu questo il problema principale. Con audizioni di questo tipo la Commissione antimafia diventava simile, di fatto, a un‟aula di giustizia, e se questo era un rischio insito in ogni commissione d‟inchiesta con poteri di autorità giudiziaria, in quel caso la possibilità di uno slittamento di quel tipo si accentuava. Nel caso delle audizioni dei pentiti scelti da Violante ci fu però un ulteriore aggravante: il presidente pretese l‟esclusiva dell‟interrogatorio che naturalmente rimase vincolato dalle esigenze dei pubblici ministeri che disponevano per primi delle dichiarazioni dei pentiti per le loro indagini209. G. Chiaromonte, I miei anni all’Antimafia, cit., p. 83. Ibidem. 207 M. Bordin, L’Antimafia delle nebbie, «Il Foglio Quotidiano», 27 ottobre 2013. 208 M. Palombi e M. Travaglio, Carriera e mutazioni di un participio presente, cit., p. 19. 209 Per un riscontro sulle modalità con cui furono tenute le audizioni dei vari collaboratori di giustizia rimando ai verbali della Commissione antimafia: Verbale XI, Audizione del collaboratore di giustizia Antonino Calderone; Verbale XII, Audizione del collaboratore di giustizia Tommaso Buscetta; Verbale XV, Audizione del collaboratore di giustizia Leonardo Messina; Verbale XXV, Audizione del collaboratore di giustizia Gaspare Mutolo; Verbale LI, Audizione del collaboratore di giustizia Pasquale Galasso; Verbale LVI, Audizione del collaboratore di giustizia Salvatore Annacondia. 205 206 45 Ai membri della Commissione, in seguito alle proteste del radicale Taradash210, Violante concesse al massimo di procedere col vecchio rito di udienza: i commissari ponevano a lui le domande e dopo, se lo riteneva opportuno e se le domande non erano compromettenti ai fini dell‟inchiesta in corso, venivano rivolte al suo interlocutore, riservandosi un ruolo di totale controllo dell‟interrogatorio. L‟audizione chiave fu quella di Buscetta, tornato appositamente dall‟America per deporre davanti ai magistrati siciliani sul rapporto fra mafia e politica. Buscetta dopo essersi rifiutato di farlo negli anni Ottanta, rivelava scenari politici suggestivi, coinvolgendo Salvo Lima e chi stava sopra Lima, Giulio Andreotti. Il pentito parlerà di entità riferendosi al senatore, anticipando lo scoop a un giornalista, Francesco La Licata, che raccontava in premessa al lettore quanto l‟intervista fosse stata casuale. Mentre era in un ristorante gli era capitato di notare quanto somigliasse a Buscetta un tizio che mangiava a un altro tavolo. Scoperto che era proprio lui, gli aveva proposto un‟intervista, prontamente accettata dal pentito211. I commissari, già seccati dal duplicato giornalistico, poterono notare come nel lessico del pentito fosse comparso un nuovo misterioso termine: “l‟entità”, una sorta di ombra misteriosa, chiamata a rappresentare l‟interfaccia politica di Cosa nostra. Durante l‟audizione fu Cafarelli a rompere gli indugi, subito sedato da Violante, ma in quell‟occasione Buscetta glissò sull‟argomento: Cafarelli:. Possiamo capire "l'entità"? A cosa si riferisce, nella scala gerarchica, quando parla dell'entità che prima aveva deciso e poi aveva deciso di non farlo? Presidente:. Soprassiederei a questa domanda. Buscetta:Forse l'onorevole Cafarelli vuole sapere l'entità di Cosa nostra che aveva deciso questo? L'entità politica no! Però, se parliamo di entità di Cosa nostra, posso dirlo benissimo: la commissione212. Se non proprio il famoso “terzo livello”, qualcosa che gli si avvicinava molto. Durante l‟audizione, anche grazie alle domande del presidente Violante, si poteva facilmente comprendere che “l‟entità” aveva un nome e un cognome. Il nome era Giulio e il cognome Andreotti. Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XII (audizione del collaboratore della giustizia Tommaso Buscetta) intervento di Marco Taradash, passim. 211 M. Bordin, L’Antimafia delle nebbie, cit. 212 Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XII, cit., p. 358. 210 46 Il processo all‟uomo più influente della Dc era ormai lanciato e se proprio non si può dire che il via sia stato dato nell‟aula di Palazzo San Macuto, si può certamente affermare che la volontà della Commissione, o per meglio dire di Violante, fu quella di dare un pieno sostegno all‟inchiesta di Caselli213. La carriera politica di Violante partita dal 1979 proseguì con un crescendo; fu eletto e riconfermato più volte alla Camera (nel 1979, 1983, 1987, 1992, 1994, 1996, 2001, 2006) passando dal Pci al Pds e ai Ds. L‟esperienza da presidente della Commissione antimafia si concluse dopo alcune presunte dichiarazioni di Violante che svelavano un‟indagine a carico di Marcello Dell‟Utri da parte della Procura di Catania. La notizia riportata sui giornali dette l‟impressione di una utilizzazione decisamente impropria del ruolo di presidente da parte di Violante, il quale pur continuando a smentire l‟accaduto decise di dimettersi per fugare ogni dubbio sul suo comportamento214. Gli anni di Mani pulite lo videro schierato sul fronte dell‟inchiesta, ma rimase deluso per come si concluse la pulizia politica che aveva quasi spianato la strada al successo del Pds, e che invece favorì Berlusconi e il suo centro-destra: «Quando scoppiò Mani pulite, noi del Pds pensavamo che il problema riguardasse solo gli altri, che non toccasse anche noi e che bastasse attendere e il frutto maturo sarebbe caduto. In realtà il frutto maturò e cadde, ma a coglierlo fu Berlusconi»215. Tuttavia con l‟affidamento del timone della Commissione antimafia aveva ottenuto finalmente un posto in prima fila nella politica che contava, e sfruttando l‟onda di notorietà venne eletto presidente della Camera durante la XIII legislatura., dal ‟96 al 2001. Nel 2002 sembrò quasi cambiare rotta, complice uno sconcertante discorso alla Camera durante il quale Violante rispondeva all‟accusa del berlusconiano Anedda di voler espropriare Berlusconi: Io sono d‟accordo con Massimo D‟Alema: non c‟è un regime sulla base dei nostri criteri. Però, amici e colleghi, se dovessi applicare i vostri criteri, quelli che avete applicato voi nella scorsa legislatura Per seguire il ragionamento su cui si basò l‟accusa si veda S. Montanaro, S. Ruotolo (a cura di), La vera storia d’Italia: interrogatori, testimonianze, riscontri, analisi: Giancarlo Caselli e i suoi sostituti ricostruiscono gli ultimi vent’anni di storia italiana, Tullio Pironti, Napoli, 1995. 214 Cfr. G. D‟Avanzo, Violante si è dimesso “Non cado nel tranello”, «la Repubblica», 23 marzo 1994; F. Verderami, Violante, dimissioni al veleno, «Corriere della Sera», 24 marzo 1994; A. Sciacca, da Catania si insiste sul “no comment”, «Corriere della Sera», 24 marzo 1994. 215 http://cinquantamila.corriere.it/storyTellerThread.php?threadId=VIOLANTE+Luciano, ultima consultazione 5 giugno 2014. 213 47 contro di noi, che non avevamo fatto una legge sul conflitto di interessi, non avevamo tolto le televisioni all‟onorevole Berlusconi … Onorevole Anedda, la invito a consultare l‟onorevole Berlusconi perché lui sa per certo che gli è stata data la garanzia piena, non adesso, nel 1994, quando ci fu il cambio di governo, che non sarebbero state toccate le televisioni. Lo sa lui e lo sa l‟onorevole Letta... Voi ci avete accusato di regime nonostante non avessimo fatto il conflitto d‟interessi e avessimo dichiarato eleggibile Berlusconi nonostante le concessioni... Durante i governi di centrosinistra il fatturato di Mediaset è aumentato di 25 volte!216 Dal discorso tenuto il 28 febbraio 2002 alla Camera sembrò quasi che Violante fosse passato dall‟inquisizione a fare da garantista. Apparivano ormai distanti gli anni della Commissione antimafia. La carriera politica infine si concludeva, dopo aver aderito al Pd, nel 2008, quando prese la decisione di non candidarsi più: «Lascio il Parlamento dopo 29 anni, mi sembrano tanti. L‟ho detto: sono durato qui dentro più di quanto durò il fascismo»217. Il 30 marzo 2013 Luciano Violante è stato nominato da Giorgio Napolitano tra i dieci componenti dei due gruppi di lavoro incaricati di definire «proposte programmatiche» utili alla formazione di un nuovo governo, entrando a far parte del gruppo di “saggi” al lavoro sulle riforme istituzionali218. 216 http://www.youtube.com/watch?v=RSPs85eKP6o, ultima consultazione 5 giugno 2014. http://cinquantamila.corriere.it/storyTellerThread.php?threadId=VIOLANTE+Luciano, ultima consultazione 5 giugno 2014. 218 Ibidem; cfr. M. Palombi e M. Travaglio, Carriera e mutazioni di un participio presente, cit., p. 28. 217 48 II.4 Una nuova fonte: i pentiti Le confessioni rese in sede di Commissione antimafia da parte dei collaboratori di giustizia furono una delle fonti primarie su cui si basò la relazione sui rapporti tra mafia e politica. Questa visione, tuttavia, era declinata dai diversi partiti in maniera diametralmente opposta: se i gruppi di sinistra sottolineavano l‟utilizzo equilibrato di queste dichiarazioni, l‟apporto delle testimonianze dei pentiti suscitò, del resto, non poche polemiche in primis da parte democristiana219, secondo cui il documento si basava in modo eccessivo sulle deposizioni dei collaboratori di giustizia. L‟attacco era rivolto principalmente verso quei “teoremi”220 che minavano la credibilità dei partiti e, più in generale, molte delle discussioni relative all‟approvazione del documento finale ruotarono attorno all‟utilizzo di quanto era stato dichiarato dai collaboratori di giustizia: fino a che punto era lecito far sì che le conclusioni a cui doveva giungere la IV Commissione antimafia fossero influenzate dalle “valutazioni politiche dei pentiti”221? Come valutarne l‟attendibilità? Come scongiurare la tendenza all‟assunzione acritica di quanto veniva udito? Questi erano alcuni degli interrogativi che andavano affrontati dal momento che, per la prima volta, una Commissione antimafia si serviva dei pentiti (l‟unico precedente risaliva alla Commissione d‟inchiesta sul caso Moro e sul terrorismo). Per molti rappresentavano i portatori di quelle verità che per diversi anni erano rimaste celate e che ora mettevano in evidenza i rapporti che legavano i due mondi: quello legale e quello illegale; per altri non erano altro che “pupi” nelle mani di alcuni magistrati con manie di protagonismo; altri ancora li vedevano come i continuatori di quel meccanismo iniziato tra la fine degli anni Settanta e gli inizi degli anni Ottanta del 219 Si vedano le sedute di approvazione del testo di relazione, in particolare quella di mercoledì 31 marzo 1993 Verbale XXXV (Esame e votazione della relazione sui rapporti tra mafia e politica). 220 Si veda L. Sciascia, Prefazione a L. Jannuzzi, Così parlo Buscetta, Sugarco, Milano, 1986. 221 Rimando all‟intervento di Vincenzo Sorice già inserito all‟interno del paragrafo Discussioni sul testo; il democristiano si esprimeva contro l‟utilizzo dei collaboratori di giustizia «Non entro nel merito dell'attendibilità o meno dei pentiti, essendo la nostra una Commissione politica; sarà la magistratura a dover definire l'attendibilità, la nostra è una valutazione politica. Tuttavia, non mi sento (è questo il rischio che corre la relazione) di recepire acriticamente le valutazioni politiche e i teoremi dei pentiti, perché senza accorgercene, rischiamo di farli nostri. Non credo che la Commissione possa farsi influenzare politicamente dalle valutazioni politiche dei pentiti» in Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XXXV, cit., intervento di V. Sorice, p. 1649. 49 secolo scorso, che si ricollegava all‟esperienza del terrorismo politico e alla collaborazione con la magistratura di alcuni appartenenti alla Brigate rosse222. Il termine pentito teoricamente rimandava a una dimensione morale e ideologica, al compimento di un percorso interiore che si realizzava attraverso la confessione e l‟assunzione di responsabilità223, ma in realtà la collaborazione con le autorità non comportava anche un corrispettivo pentimento sul piano interiore e morale. Ha scritto Giovanna Montanaro: «La figura del pentito di mafia è stata a volte soggetta a vere e proprie forme di rigetto sociale»224. Al contrario del pentitismo mafioso, il pentimento dei brigatisti rossi e dei terroristi in generale era stato maggiormente compreso perché ricollegato al rifiuto ideologico di un progetto politico eversivo225. «Le enfatizzazioni dei media – ha sostenuto Salvatore Lupo – e la scarsa conoscenza della storia della mafia non aiutano a comprendere il fenomeno del pentitismo»226. Non sempre i risultati ottenuti dalle norme premiali227 vennero accettate, e si aprì un grosso dibattito sulla loro moralità228. Le polemiche si rinnovarono in occasione del maxiprocesso apertosi a Palermo nel febbraio del 1986, che vide portati in giudizio centinaia di mafiosi. Fu in quel periodo che nel capoluogo siciliano si diffuse un clima di ostilità generale verso i collaboratori di giustizia; a iniziare dai giornali, primo fra tutti il maggiore quotidiano cittadino “Il Giornale di Sicilia”229, e proseguendo con una parte del mondo accademico palermitano - Giovanni Tranchina, preside della facoltà di Giurisprudenza, trattò i pentiti alla stregua di “spie e delatori” mettendo in discussione la legittimità stessa di quel maxiprocesso230. 222 Cfr. S. Lupo, Alle origini del pentitismo: politica e mafia, in A. Dino (a cura di), Pentiti, Donzelli, Roma, 2006, pp. 191-214; G. Montanaro, Pentitismo e pentiti, in Nuovo dizionario di mafia e antimafia (a cura di M. Mareso e L.Pepino), EGA, Torino, 2008, p. 402. 223 V. Coco e M. Patti, Relazioni Mafiose. La mafia ai tempi del fascismo, XL, Roma, 2010, pp. 20-21. 224 G. Montanaro, Pentitismo e pentiti,cit., p. 403. 225 Ibidem. 226 S. Lupo, Storia della mafia, cit., p.296. 227 Il 29 maggio 1982 fu approvata la legge n. 304 (definita all‟epoca “legge per i pentiti”) che prevedeva una serie di casi di non punibilità per varie forme di recesso da associazioni terroristiche, attenuanti di pena per altri casi, benefici vari (libertà provvisoria, sospensione condizionale della pena etc.). In particolare era prevista la riduzione di un terzo della pena per gli autori di reati di terrorismo che si fossero dissociati e avessero reso piena confessione. A tal proposito rimando a G. Montanaro, Pentitismo e pentiti, cit., pp. 402-13. 228 G. Montanaro, Pentitismo e pentiti, cit., p. 402. 229 Entra la Corte, silenzio, «Il Giornale di Sicilia», 10 febbraio 1986; Cfr. S. Lupo, Che cos’è la mafia, cit., p. 19. 230 Ibidem.. 50 A tal proposito va ricordato anche l‟intervento “di sapore antropologico”231 di Mauro Mellini, avvocato e dirigente del Partito radicale, che si schierò contro il fenomeno del pentitismo: Non c‟è dubbio che nel codice d‟onore del mafioso il silenzio è d‟obbligo e la collaborazione con le forze di polizia, con i giudici, con la giustizia è semplicemente «infamia», che mette ogni individuo al bando, fuori dal «patto» sociale mafioso. […] Oggi una legge dello Stato, nel dare la definizione dell‟associazione di tipo mafioso (la legge Rognoni-La Torre), inserisce, in un breve compendio di luoghi comuni pseudo sociologici, più che giuridici, anche l‟affermazione che l‟omertà «deriva» dal vincolo associativo. Essa riesce così solo a dare la misura dell‟assurdità di voler definire per legge fenomeni naturali, sociali, extragiuridici. In realtà l‟omertà non «deriva» dalla mafia e dalle associazioni mafiose, ma semmai costituisce uno dei fenomeni presenti nella società e negli ambienti in cui la mafia alligna232. Al di là delle varie prese di posizione pro e contro i pentiti, la figura del collaboratore di giustizia era da sempre esistita nella storia della mafia, anche se, nel corso del tempo, assunse caratteristiche, ruoli e nomi differenti (informatori, confidenti, testimoni, pentiti)233. «Che i mafiosi non parlino – sosteneva Pezzino – è poi uno dei miti derivanti dalla diffusione del paradigma dell‟omertà e dall‟immagine di una mafia con rigide regole morali: in realtà tutti i grossi processi di mafia, fin dall‟Ottocento, si sono basati su testimonianze e denunce di mafiosi»234. Era infatti sufficiente leggere una sentenza ottocentesca o dei primi anni del Novecento235 per ritrovare ampie tracce di informazioni, nei rapporti di polizia, attribuite a «fonti attendibili, degne di piena fiducia ma di cui non voglio né posso rivelare la natura»236. Si ritrovavano, poi, importanti descrizioni della struttura organizzativa interna della mafia già a partire dal Rapporto Sangiorgi, nel quale, grazie a informazioni confidenziali ricevute, vennero raccolti 231 Ivi, p.20. M. Mellini, Il giudice e il pentito. Dalla giustizia dell’emergenza all’emergenza della giustizia, Sugarco, Milano, 1986, p. 78, in S. Lupo, Che cos’è la mafia, cit., p. 20. 233 Gruppo Abele (a cura di), Dalla mafia allo Stato. I pentiti: analisi e storie, EGA Editore, Torino, 2006, p.33-34. 234 P. Pezzino, Una certa reciprocità di favori. Mafia e modernizzazione violenta nella Sicilia postunitaria, Franco Angeli, Milano, 1990, pp. 152-53. 235 Fra i più noti: la setta degli Stuppagghiari a Monreale, la Fratellanza a Favara e nella provincia di Agrigento, i Fratuzzi a Bagheria, l‟Oblonica a Girgenti, la Scattatiora di Sciacca, la Fontana Nuova di Misilmeri, quella dello Zubbio di Villabate, dei Pugnalatori di Palermo, gli Sparatori a Messina e la setta dello Scaglione a Castrogiovanni, in Gruppo Abele (a cura di), Dalla mafia allo Stato, cit., pp. 33-47. 236 S. Lupo, Andreotti la mafia, la storia d’Italia, Donzelli, Roma, 1996, pp. 69-70. 232 51 elementi necessari per portare in giudizio gli esponenti mafiosi dell‟agro palermitano, a cominciare dal gruppo Giammona237. Anche in epoca fascista si trovava traccia dei collaboratori di giustizia; in un verbale del 1938, redatto dall‟Ispettorato interprovinciale di Pubblica sicurezza per la Sicilia238, si potevano leggere le ricostruzioni dell‟organizzazione mafiosa con uno sguardo “dal di dentro”239. Infatti, le dichiarazioni dei pentiti degli anni Trenta sembravano quasi anticipare di mezzo secolo le dichiarazioni rese dai vari collaboratori di giustizia del maxiprocesso palermitano; veniva descritta sia la struttura dell‟organizzazione che oggi conosciamo col nome di Cosa nostra, sia il rituale di affiliazione, anche se già quest‟ultimo era conosciuto fin dal 1876240. Nei primi anni Sessanta comparve sulla scena, sulla sponda statunitense, il primo grande pentito della mafia americana: Joe Valachi241. Quando l‟ex-soldato di Cosa nostra americana si decise a parlare, nel 1963, aveva 59 anni, 35 dei quali vissuti come affiliato242. La testimonianza di Valachi contro Cosa nostra americana non fu dovuta tanto a un pentimento interiore che lo aveva portato alla confessione, quanto alla convinzione che il boss Vito Genovese avesse decretato la sua sentenza di morte243. Sulla sponda italiana, in particolare siciliana, il primo collaboratore di giustizia del dopoguerra fu Leonardo Vitale. Travagliato da una crisi mistica e di coscienza, il 30 marzo 1973 decise di rivolgersi spontaneamente alla squadra mobile di Palermo e confessare tutto244. Dalle parole scritte da Vitale nel suo memoriale emergeva chiaramente sia lo stato di profonda crisi personale che il totale ripudio della mafia e 237 Sulla famiglia Giammona cfr. S. Lupo, Storia della mafia, cit. Sull‟Ispettorato di Pubblica sicurezza per la Sicilia si veda V. Coco e M. Patti, Relazioni mafiose, cit. 239 V. Coco e M. Patti, Relazioni mafiose, cit., p. 20. 240 Per la prima volta veniva descritto il rituale di affiliazione; ne dava notizia il questore Rastelli che nella sua relazione del 1876, sulla cosca della borgata palermitana dell‟Uditore, guidata da Antonino Giammona, descriveva così l‟atto:«Qualche puntura nel braccio e nella mano per fargli uscir sangue; questo sanguie verrebbe asciugato con una immagine di Santo su carta che indi sarebbe abbrusciata nello atto stesso che il nuovo ammesso giurerebbe rigoroso osservanza di fede. La cenere dell‟immagine sarebbe poscia gettata in aria e dispersa quasi a simboleggiare lo annichilimento del traditore», Il Questore Rastelli al Procuratore del Re, Palermo 29 febbraio s.a. (ma 1876), in Asp, PG serie I (18601905), b.35, fascicolo 10, 1876, Denuncia Galati – Malfattori all‟Uditore – cit. in V. Coco e M. Patti, Relazioni mafiose, cit. p. 26. 241 Sulla figura di Joe Valachi si veda S. Lupo, Quando la mafia trovò l’America, cit. 242 Si veda Gruppo Abele, Dalla mafia allo Stato, cit., pp. 58-59. 243 Alla domanda di John McClellan sui motivi che lo avevano indotto a parlare Valachi rispose:«Per distruggerli. Sono stati molto ingiusti con i soldati e hanno pensato solo a se stessi, in tutti questi anni» (S. Fox, Potere e sangue, Il crimine organizzato nell’America del XX secolo, Marco Tropea Editore, Milano, 1996, p. 368), in Gruppo Abele, Dalla mafia allo Stato, cit., p. 59. Si veda anche S. Lupo, Quando la mafia trovò l’America, cit., p. 175-76. 244 Cfr. Gruppo Abele, Dalla mafia allo Stato, cit. p. 64-66; S. Lupo, Storia della mafia, cit., p. 249-51. 238 52 delle sue regole. Vitale può oggi essere considerato un pentito nell‟eccezione più vera245: Io sono stato preso in giro dalla vita, dal male che mi è piovuto addosso si da bambino. Poi è venuta la mafia, con le sue false leggi, con i suoi falsi ideali:combattere i ladri, aiutare i deboli e, però, uccidere; pazzi![…]. Bisogna essere mafiosi per avere successo. Questo mi hanno insegnato e io ho obbedito […]. La mia colpa più grande è di essere nato, di essere vissuto in una famiglia di tradizioni mafiose e di essere vissuto in una società dove tutti sono mafiosi e per questo rispettati, mentre quelli che non lo sono vengono disprezzati.[…] La mafia in sé stessa è il male; un male che non dà scampo per colui che viene preso in questa morsa […]. Il mafioso non ha via di scelta perché mafioso non si nasce, ma ci si diventa, glielo fanno diventare246. Ma non erano stati soltanto i cosiddetti soldati a rendere rivelazioni di grande importanza. Meno nota, ma altrettanto importante, fu la vicenda legata a Giuseppe Di Cristina, boss di Riesi. Cinque anni dopo le confessioni rese da Vitale, presentandosi presso un comando dei carabinieri, Di Cristina rese delle dichiarazioni spontanee, anticipando sia la guerra di mafia, che portò i corleonesi al comando, sia l‟omicidio di Cesare Terranova. Nelle sue confessioni il boss mafioso aveva anche identificato nella famiglia Brusca di San Giuseppe Jato una tra le più pericolose alleate dei corleonesi. Di Cristina aveva rivelato informazioni nuove sia sull‟organigramma delle famiglie mafiose sia sul traffico degli stupefacenti247. Ma anche in questo caso la confessione non portò a nulla. Si arriva così allo spartiacque degli anni Ottanta, dove per la prima volta i pentiti entrano a far parte della storia giudiziaria più recente della mafia, ponendo fine a quella sequela di processi conclusisi perlopiù con l‟assoluzione per insufficienza di prove248. La mafia recepì prontamente le potenzialità del pentitismo e mise in atto una serie di vendette che costarono la vita a numerosi familiari, amici o semplicemente persone vicine al collaboratore di giustizia249. 245 Gruppo Abele, Dalla mafia allo Stato, cit., p. 65. C. Stajano (a cura di), Mafia. L’atto di accusa dei giudici di Palermo, Editori Riuniti, Roma, 1986, p. 14, in Gruppo Abele, Dalla mafia allo Stato, cit., p. 65. 247 Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Relazione sui rapporti tra mafia e politica, relatore on. Luciano Violante, XI legislatura, doc. XXIII, n. 2, Roma, 1993, p. 56. 248 Gruppo Abele, Dalla mafia allo Stato, cit., p. 71. 249 Furono uccisi 12 parenti di Contorno; 11 parenti di Buscetta, tra questi due figli; la madre, la sorella e la zia di Marino Mannoia. Cfr. Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle 246 53 Sostenendo l‟esigenza di una legislazione favorevole al fenomeno del pentitismo mafioso, Giovanni Falcone ne evidenziava le lacune vigenti fino a quel momento. Un primo passo lo si ebbe con la legge del 1988250 che attribuiva all‟Alto Commissario per il coordinamento della lotta contro la delinquenza mafiosa un potere generico di adozione di misure di protezione e di tutela dell‟incolumità di coloro che, per le dichiarazioni rese in processi di mafia, fossero esposti a grave pericolo251. Eppure si dovette attendere il 1991 per arrivare a una normativa specifica che prevedesse la protezione e l‟assistenza di coloro che collaboravano con la giustizia252. E sempre nel 1991, in un successivo intervento normativo, venne introdotto il meccanismo che portava a incentivare la collaborazione per i cosiddetti reati di mafia253. Ma torniamo alla relazione di maggioranza. Nel cercare di delineare l‟utilizzo di questa nuova fonte ai fini della stesura finale del documento dobbiamo considerare, innanzitutto, quale fu l‟andamento delle audizioni dei collaboratori di giustizia, che tanto daranno di che discutere sia all‟interno che all‟esterno della Commissione antimafia. Il grado di permeabilità, alla fine e dopo lunghe mediazioni, venne fissato proprio nella relazione di maggioranza, dove si legge: I collaboratori provenienti dalla mafia hanno consentito la cattura di pericolosi criminali (tra i quali, da ultimo, Salvatore Riina), hanno contribuito a comprendere gli organigrammi mafiosi, hanno fornito criteri per migliorare la comprensione delle modalità di azione di Cosa nostra. […] Tuttavia occorre evitare tanto l'adesione acritica alle dichiarazioni di un collaboratore, quanto l'utilizzazione strumentale di quelle dichiarazioni ai fini della lotta politica254. A ben guardare, tuttavia, nel corso delle audizioni l‟atteggiamento critico e prudente cui si fa cenno era spesso soppiantato dalla tendenza opposta, ovvero quella di dare per buono tutto quello che veniva confessato dai collaboratori di giustizia. Valutazioni simili suscitarono, per esempio, le reazioni di alcuni componenti della Commissione antimafia, primo fra tutti Marco Taradash, già a partire dal secondo interrogatorio di altre associazioni criminale similari, Relazione sui rapporti tra mafia e politica, relatore on. Luciano Violante, cit., p. 21. 250 Legge del 15 novembre 1988, n. 486. 251 Cfr. Gruppo Abele, Dalla mafia allo Stato, cit., p. 109. 252 Legge del 15 marzo 1991, n. 82 (conversione del DL 15 gennaio 1991, n.8). 253 Legge 12 luglio 1991, n. 203 ( di conversione del DL 13 maggio 1991, n. 152). 254 Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Relazione sui rapporti tra mafia e politica, relatore on. Luciano Violante, cit., p. 21. 54 Tommaso Buscetta. Il fatto che eventuali dichiarazioni false rese dai collaboratori di fronte ad un organo parlamentare non avessero ripercussioni penali, come invece avveniva negli Stati Uniti, rappresentò un grosso problema in vista anche di future pubblicazioni dei verbali di Commissione. Tra il novembre 1992 e il febbraio 1993 vennero ascoltati quattro collaboratori di giustizia facenti parte dell‟organizzazione Cosa nostra. Il primo fu Antonino Calderone in data 11 novembre del 1992, seguì, a distanza di cinque giorni, l‟interrogatorio di Tommaso Buscetta. Il 4 dicembre dello stesso anno fu la volta di Leonardo Messina. Infine il 9 febbraio 1993 vi fu l‟audizione di Gaspare Mutolo. Le domande spesso rivolte dai componenti della Commissione antimafia ai vari pentiti non furono tanto indirizzate a far luce sugli autori di specifici reati, ma rivolte all‟ambito politico, al fine di individuare le relazioni che intercorrevano tra i due mondi. In ogni audizione veniva deciso, a seguito di una votazione interna alla Commissione antimafia, se rendere pubblico o meno il testo delle confessioni rese dai vari collaboratori di giustizia. Il criterio seguito, alla fine, fu quello di rendere pubblici i testi delle audizioni cancellando nomi e fatti conosciuti per la prima volta; infatti, molto spesso le sedute proseguirono con il circuito audio visivo disattivato per evitare che venissero trascritti fatti su cui ancora la magistratura stava indagando255. Dai verbali si può notare come Luciano Violante, che svolgeva il ruolo di mediatore tra i componenti della Commissione e i vari teste, volendo trovare il capro espiatorio di turno, incalzava con interrogativi mirati, cercando di inserire all‟interno della domanda posta anche la possibile risposta. In questo caso il bersaglio era facile da individuare: Lima rappresentava il prototipo di quel malaffare politico figlio della prima Repubblica. Tornando alle deposizioni rese da i vari collaboratori di giustizia, quella di Antonino Calderone fu la prima. Subito dopo una breve presentazione, dove veniva indicata la data di affiliazione dell‟ex-componente della mafia - nel caso di Calderone risalente al 1962 - le domande che seguirono vennero incentrate sulla struttura e sul funzionamento di Cosa nostra, sull‟ascesa dei corleonesi e sulle differenze che intercorrevano tra la mafia catanese - di cui Calderone era il rappresentante - e quella palermitana. Calderone descrisse la struttura di Cosa nostra, ricalcando il modello già appreso in precedenza dalle rivelazioni fornite dai collaboratori al tempo del maxiprocesso e ancor prima dai vari Vitale, Di Cristina e Valachi. Aggiunse una dettaglio: era stato il fratello Giuseppe 255 Per seguire le dinamiche degli interrogatori dei collaboratori di giustizia rimando ai verbali di Commissione XI, XII, XV e XXV. 55 a volere la commissione regionale, per evitare che fatti come quelli accaduti durante la prima guerra di mafia si ripresentassero. La commissione regionale doveva ospitare un rappresentante per ogni provincia, sei per l‟esattezza; infatti Calderone precisò che: «ai miei tempi la mafia era presente soltanto a Palermo, Trapani, Agrigento, Caltanissetta, Enna e Catania»256. Calderone, dunque, ci descrive, già a partire dagli anni Sessanta, una mafia presente in sei delle nove province siciliane. Il racconto che l‟ex-aderente a Cosa nostra fece dell‟ascesa dei corleonesi ai vertici della cupola mafiosa ricalca la descrizione che ne faranno tutti quelli che facevano parte della cosiddetta “mafia perdente”. Lo schema prevedeva, intanto, la perdita dei valori causata dall‟ascesa dei corleonesi - ritenuti “scaltri” e seminatori di “zizzania”- ai vertici dell‟organizzazione. Lo schema illustrato da Calderone risultava molto fazioso, non tanto nella descrizione dell‟iter storico della scalata dei corleonesi al vertice della “cupola”, quanto nell‟attribuzione di moralità e valori positivi alla cosiddetta vecchia mafia, uscita perdente dalla scontro257. Sorprende constatare come queste dichiarazioni non suscitassero nessuna reazione da parte né di Violante né di chi era presente durante la deposizione del pentito. Evidentemente, consciamente o inconsciamente, si dava per buona e corretta questa visione, quando invece andrebbe sempre tenuto presente che qualsiasi contrapposizione tra una mafia buona - la vecchia mafia coi suoi principi e i suoi valori - e una mafia cattiva - nuova, sanguinaria, prepotente e arrogante – risulta inopportuna da un punto di vista tanto pubblico quanto ai fini dell‟analisi storica258. Le domande proseguivano illustrando un spaccato di quello che era l‟imprenditoria catanese, con i cavalieri del lavoro di Catania, Graci, Rendo e Costanzo, coinvolti nella spartizione dei lavori. Calderone sosteneva che Costanzo, godendo di una protezione mafiosa che lo stesso Calderone garantiva, era in forte competizione con Rendo, il quale a sua volta godeva di agganci politici forti; rivalità che si ripercorse anche al momento della nomina di cavaliere del lavoro: Costanzo contando sull‟appoggio della mafia riuscirà a diventare cavaliere del lavoro dell‟industria al contrario del rivale che si dovrà accontentare del titolo di cavaliere del lavoro, ma dell‟agricoltura259. Nonostante l‟indirizzo dato da Violante alle domande sulla politica, in particolare sul ruolo di Lima, il collaboratore, che evidentemente non era informato sulle dinamiche Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XI, cit., deposizione di A. Calderone, p. 279. 257 Ibidem e passim. 258 A tal proposito rimando a S. Lupo, Storia della mafia, cit. 259 Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XI, cit., deposizione di A. Calderone, p. 290. 256 56 che agivano su Palermo, non rispose positivamente, smorzando le aspettative del presidente di Commissione. Infatti, le successive domande che vennero poste sull‟ambiente palermitano furono indirizzate sul ruolo della massoneria. Ma anche qui non si ebbero dichiarazioni decisive; Violante voleva avere risposte che l‟interlocutore non era in grado di dare. O non voleva dare, come quando, rimarcando il ricordo di una precedente deposizione in cui il collaboratore avrebbe affermato che Cosa nostra aveva già stabilito alleanze con nuovi referenti politici, fu chiesto a Calderone se sapesse se la mafia dopo l‟omicidio di Salvo Lima avesse altri referenti politici. Ma anche questa volta il pentito rispose che non sapeva nulla di tutto ciò. A questo punto al presidente di Commissione sorse un dubbio: il collaboratore stava dicendo tutto? La domanda fu posta in modo abbastanza diretto: Presidente: Signor Calderone, questa Commissione non è un'autorità giudiziaria ma un'autorità del Parlamento, anche se agisce con i poteri dell'autorità giudiziaria. Un commissario mi ha chiesto di chiederle se lei ha detto tutto quello che sapeva o se ha ritenuto opportuno di non riferire su alcune cose. Calderone: No, no, ho detto tutto, tranne qualcosa che posso aver dimenticato. Dissi al giudice Falcone che volevo svuotarmi di tutto, per poter ... se un giorno potrò emergere. Ma devo dire tutto, non mi tengo niente. Presidente: Dico questo perché, come sa, Masino Buscetta disse che di questioni politiche non voleva parlare perché sarebbe successo un quarantotto. Questo lei non lo ha mai pensato? Calderone: No. Proprio il successivo pentito ad essere ascoltato fu Tommaso Buscetta. Prima della sua deposizione in aula si aprì un dibattito a seguito dell‟intervento di Taradash, che faceva notare che nella precedente audizione si era dato per scontato che la parola del pentito fosse uguale alla verità: Signor presidente, prendo la parola per porre la questione della pubblicità dell'audizione del collaboratore della giustizia Buscetta, riguardo alla quale mi sembra che si sia creata all'esterno un'aspettativa, maturata anche dopo l'audizione di Calderone, che credo non giovi ai lavori della Commissione, il cui compito è quello di investigare anche sui rapporti tra mafia e politica. La magistratura, o almeno la parte più corretta di questa, ha sempre avuto una gestione dei pentiti ben sapendo che tra quello che dice il pentito e la verità c'è almeno lo spazio del riscontro; invece, se le nostre audizioni continuano ad essere come quella di Calderone, in realtà non vi è alcuna gestione da parte della Commissione delle posizioni assunte dai pentiti. Credo che questo sia il nostro problema. E' molto 57 importante ascoltare personaggi ritenuti di grande attendibilità ma non possiamo dare per scontato che tutto ciò che viene detto sia vero né possiamo eccedere nello zelo e trasformare in fatti concreti quelle che sono soltanto cose sentite260. La premessa con la quale Buscetta aprì le danze faceva intendere che non avrebbe fatto i nomi dei politici a una Commissione parlamentare - seppur dell‟antimafia - ma che intendeva farli ai giudici istruttori. Tuttavia durante l‟audizione Buscetta accennò a “un‟entità” misteriosa senza però approfondire l‟argomento261. Non si presentò come pentito ma come un uomo libero, perché il conto con la giustizia era stato pagato262. Le domande iniziali seguirono la solita routine, nella quale il collaboratore descriveva l‟organigramma di Cosa nostra, con la struttura in famiglie, la sua cupola e le varie commissioni provinciali e regionali (Buscetta indicò anche la valenza che ogni singola provincia aveva all‟interno della regione: «da uno a dieci: Palermo 10, Agrigento 8, Trapani 8, Caltanissetta 6, Catania 4»263). Quando fu posta la domanda di datare l‟inizio del traffico degli stupefacenti da parte di Cosa nostra, Buscetta, quasi per volersi tirare fuori da un giro che si voleva affibbiare quasi completamente ai corleonesi, lo datò intorno al 1978, anno in cui lui si trovava in prigione. Buscetta affermava che quando nel 1980 uscì di prigione aveva notato come la droga avesse causato la perdita di quei valori tanto cari, e un po‟ stizzito ammoniva la commissione: «Non ridete, per favore. Sono nato così e difficilmente si può cambiare. Io credevo in quella cosa»264. Sul rigetto delle accuse che lo vedevano coinvolto in traffici di droga è lo stesso pentito a smentirsi nel corso della sua deposizione. Infatti, durante la precedente presentazione, avvenuta mediante la lettura di una lettera scritta in occasione dell‟incontro, ribadì chiaramente che coloro che lo consegnarono a Falcone nel 1984 furono degli agenti della DEA265. C‟è da domandarsi come mai era stata proprio la DEA, il dipartimento antidroga degli Stati Uniti, ad averlo avuto in custodia, e non l‟FBI. Evidentemente Buscetta proprio estraneo ai traffici di droga non doveva essere. Il fatto che non venne Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XII, cit., intervento di Marco Taradash, p. 343. 261 Cfr. Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XII, cit., p. 358. 262 Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XII, cit., deposizione di T. Buscetta, p. 351. 263 Ivi, p. 355. 264 Ivi, p. 363. 265 Cfr. ivi, p. 352. 260 58 fatta una qualche contestazione da parte del presidente Violante alle dichiarazioni rese dal “boss dei due mondi”266 – soprannome che tradiva, appunto, un passato in traffici di droga – è un ulteriore indizio della volontà di occuparsi delle relazioni politiche, piuttosto che - in questo caso - di droga. Anche per Leonardo Messina la decisione di staccarsi da Cosa nostra era da imputare a un problema morale. Come prima Buscetta, che dopo i traffici di droga non riconosceva più i valori interni a Cosa nostra, l‟ex-membro della famiglia di San Cataldo, aiutato in questo caso da amicizie che stavano al di fuori dell‟organizzazione, si preparò la strada verso il pentimento. Le domande iniziali seguivano una routine incontrata nelle precedenti audizioni: la fase di pre-affiliazione, il rituale e l‟organigramma della famiglia. Leonardo Messina mostrava una struttura mafiosa non solo regionale, ma addirittura mondiale. Si passava quindi a delineare i livelli di tale organizzazione; si partiva dal livello più basso che era quello provinciale, si passava a quello regionale, seguiva quello nazionale e si finiva con una commissione mondiale. Sulle domande di ambito politico è da ritenere in questo caso poco incisiva la veemenza di Violante, forse perché riteneva il teste poco addentro a quella politica siciliana che contava - quella che orbitava intorno a Palermo - oppure non poté approfondire l‟argomento visto le parallele indagini in corso della magistratura palermitana dopo che le inattese dichiarazioni dello stesso pentito avevano tirato per la prima volta in causa Andreotti267. Sta di fatto che le domande poste furono incentrate maggiormente sull‟asse mafia-appalti, limitandosi, per il resto, a far dire al collaboratore di giustizia che Lima era il referente di Cosa nostra268. Sull‟asse mafia-imprenditoria Messina spiegava la prassi da seguire per vincere un appalto o per essere sicuri di non ricevere danni all‟impresa: «A voi può sembrare strano, ma da noi prima che si posi un oggetto sul territorio ci vuole l'ordine del paese. Non si può posare neppure una "uglia"»269. Le altre domande che seguirono riguardavano la massoneria e soprattutto la presenza di Sindona in Sicilia, alla quale Messina non seppe dare molte spiegazioni, oltre che a rispondere con un si o con un no alle domande per identificare l‟appartenenza ad entrambe le associazioni di personaggi come Riina, Bontate e Liggio. Cfr. S. Lupo, Quando la mafia trovò l’America, cit., pp. 232-38. Cfr. Mafie e antimafia. Rapporto ’96, (a cura di L. Violante), cit., pp. 72-79. 268 Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XV, cit., deposizione di L. Messina, p. 559. 269 Ivi, p. 523. 266 267 59 L‟ultimo collaboratore di giustizia ad essere ascoltato fu Gaspare Mutolo. All‟inizio della sua deposizione davanti alla Commissione si verificò nuovamente la riproposizione della mafia buona e della mafia cattiva: Le faccio un piccolo esempio: se un giovane litigava con la fidanzata, lui o sua madre non andavano a parlare del problema con il maresciallo, ma si rivolgevano alla persona di quella borgata che poteva essere il mafioso. Secondo la cultura che c'era a Palermo... Certo, se uno guarda oggi alla mafia, dopo quello che ha fatto, la vede in maniera diversa, ma la mafia, fino agli anni Settanta, per come la ricordo e per come era la mia fantasia, era tutta diversa: i mafiosi erano le persone che comandavano, i saggi. Non si pensava mai alla violenza...270 Il cambiamento e la perdita dei valori era da imputare ai corleonesi, che pian piano, come descriveva Mutolo, si erano impadroniti del potere271. Alle domande sul maxiprocesso e sull‟interessamento di Salvo Lima il pentito rispose senza riserve: Lima si era interessato al processo e l‟omicidio era da ricondurre alle mancate promesse272. Supposizioni ben distanti da quelle rese da Buscetta che aveva riferito che Salvo Lima fosse stato ucciso per “denigrare Andreotti”273. Le rivelazioni che sembrano essere più interessanti erano quelle legate al traffico di droga, in quanto Mutolo essendo in prima persona inficiato nel traffico degli stupefanti poteva dare delle informazioni non mediate, dando uno spaccato su quello che erano i traffici con le famiglie americane, soprattutto dopo la morte di Inzerillo ritenuto l‟anello di congiunzione tra la Sicilia e gli Stati Uniti per quella parentela che lo legava alla “famiglia” americana dei Gambino274. Finiscono con Mutolo le audizioni dei pentiti di mafia; figure molto controverse che si ergono a protagonisti già a partire dal maxiprocesso di Palermo. Dunque quattro pentiti ascoltati: una nuova fonte da gestire in un momento politico e giudiziario estremamente delicato. Rapportandosi, per la prima volta in sede di Commissione parlamentare antimafia, alla figura del collaboratore di giustizia e al suo utilizzo, si dovette fare i Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XXV, cit., deposizione di G. Mutolo, p. 1222. 271 Ivi, pp. 1230-33. 272 Ivi, passim. 273 Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XII, cit., deposizione di T. Buscetta, p. 372. 274 Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XXV, cit., deposizione di G. Mutolo, pp. 1272-74. 270 60 conti con una stagione – quella del pentitismo – di recente maturazione e che richiedeva un approccio ancora da costruire. Nasceva con questi presupposti un documento politico che avrebbe influenzato gli ultimi mesi della prima Repubblica. 61 Capitolo terzo Stesura della relazione mafia-politica: visioni differenti III.1 Discussioni sul testo La relazione sui rapporti tra mafia e politica fu il documento più importante che la Commissione antimafia presentò, in data 28 maggio 1993, alle presidenze di Camera e Senato, presiedute rispettivamente dall‟onorevole Giorgio Napolitano e dal senatore Giovanni Spadolini. Seppure il documento finale fu approvato in larghissima maggioranza dalla Commissione, la sua stesura non fu un atto pacifico. Dopo che Violante ebbe presentato ai membri della Commissione antimafia la bozza di relazione, si aprì in seno all‟assemblea un lungo dibattito che generò polemiche e strascichi che si protrassero per giorni. Infatti, prima di pervenire al testo ultimo, la Commissione si riunì ben quattro volte nel giro di poco meno di una settimana275. Fu un dibattito che da un punto di vista tanto giudiziario quanto politico assunse il valore di prova generale di quanto successivamente sarebbe accaduto alla Giunta delle Elezioni, che avrebbe deciso di spogliare dell'immunità parlamentare Giulio Andreotti276. Fu infatti intorno al nome del senatore e ai suoi legami con Salvo Lima - punto di riferimento di Cosa nostra nel mondo politico - che una parte del gruppo Dc guidata dall‟onorevole Ombretta Fumagalli Carulli e dai senatori Umberto Cappuzzo e Saverio D' Amelio dette battaglia: minacciando le dimissioni; costringendo il vicepresidente Dc della Commissione antimafia, Paolo Cabras, a intiepidire il suo consenso alla relazione; obbligando il segretario del partito Mino Martinazzoli a tentare la strada del rinvio pur di non approvare il documento prima della soluzione del "caso Andreotti"277. 275 La commissione si riunì mercoledì 31 marzo, giovedì 1 aprile, venerdì 2 aprile e nella seduta finale di martedì 6 aprile. 276 Il senatore Andreotti venne ascoltato dalla giunta presieduta dal senatore Pellegrino il 14, 15 e 21 aprile 1993. La giunta emanò l‟autorizzazione a procedere contro Giulio Andreotti il 6 maggio 1993. Si veda il documento del Senato della repubblica, Domanda di autorizzazione a procedere contro il senatore Giulio Andreotti, relatore sen. Pellegrino, XI legislatura, doc. IV, n. 102-A, Roma, 1993, pp. 1-14; S. Lupo, Che cos’è la mafia,cit. 277 G. D‟Avanzo, All’antimafia il braccio di ferro fra Violante e Dc, «la Repubblica», 6 aprile 1993. 62 Come detto in precedenza, anche se approvato in maggioranza, il testo della relazione fu revisionato; diverse parti furono modificate, altre inserite, alcune eliminate. L‟obiettivo di questi aggiustamenti fu quello di evitare di prestare il fianco a critiche, e di conseguenze a votazioni contrarie, da parte di gruppi che potevano essere maggiormente esposti alla gogna pubblica, in quello che si configurava come un momento estremamente delicato. Districandosi tra critiche e consigli proposti dai vari componenti della Commissione e opponendosi ai tentativi della Democrazia cristiana di far slittare il tutto, il presidente della Commissione, nonché relatore del documento, procedette a rifinire la relazione. C‟erano da soddisfare alcune richieste dei socialisti che, pur dichiarandosi soddisfatti, ritenevano tuttavia che, data l‟“estrema rilevanza”278 del documento in questione, era fondamentale che si colmassero alcune lacune. Il senatore socialista Achille Cutrera affermò, ad esempio, che la relazione era carente in merito all‟apporto che Giovanni Falcone aveva dato alla lotta contro la mafia279. C‟è da menzionare anche l‟intervento di Antonino Buttitta280. Il deputato socialista siciliano faceva notare che il testo necessitava di una precisazione. La relazione, in molti suoi punti, si basava sulle rivelazioni dei collaboratori di giustizia, ad esempio quando riportava che a Palermo, durante le elezioni che si tennero nel 1987, il Psi e il Partito radicale avevano raccolto i voti della mafia281. Buttitta, sottolineando che si dovessero assumere con qualche cautela le dichiarazioni dei pentiti, voleva che nel testo si sostituisse all‟espressione “nella città” - considerata generica - la parola “in alcuni quartieri”282. Il deputato denunciava inoltre la mancanza, all‟interno della relazione, di quella distinzione tra organizzazione mafiosa e società mafiosa, asserendo che la prima era la manifestazione strutturata e criminale della seconda. Quest‟ultima, affermava il Buttitta da buon antropologo, era una cultura con i propri valori e le sue regole, un Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XXXVII (Seguito dell'esame della relazione sui rapporti tra mafia e politica) intervento di R. Olivo, p. 1753. 279 Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XXXVII, cit., intervento di A. Cutrera, p.1747 280 Intervento tenutosi nella seduta del 2 aprile 1993. 281 La relazione della Commissione Antimafia si rifaceva alle dichiarazioni di F. M. Mannoia, in «processo Andreotti» p. 110, B. Di Maggio in «verbale di spontanee dichiarazioni ai Carabinieri 9 gennaio 1993», e in «interrogatorio al P.M. del 18 gennaio 1993», e in G. Caselli, S. Montanaro, S. Ruotolo, La vera storia d’Italia, cit., p. 49, e G. Mutolo in Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XXV, cit., deposizione di G. Mutolo, p. 1286. 282 Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XXXVII, cit., intervento di A. Buttitta, p. 1713. 278 63 sistema di segni ampiamente partecipato da vasti strati della società siciliana, un fatto criminale ma anche una realtà sociale e culturale283. Tale aspetto della mafia non era di per se una novità; la teoria culturale della mafia, era stata sostenuta da Giuseppe Pitrè fin dalla fine degli anni Settanta dell‟Ottocento. Per l‟etnologo palermitano la mafia «non è setta né associazione, non ha regolamenti né statuti, […] il mafioso non è un ladro, non è un malandrino […]; la mafia è la coscienza del proprio essere, l‟esagerato concetto della propria forza individuale, […] donde la insofferenza della superiorità e, peggio ancora, della prepotenza altrui»284. Tale teoria la ritroviamo anche agli inizi del Novecento, nell‟inchiesta parlamentare sui contadini meridionali, nella quale veniva sostenuto che la mafia non fosse un‟associazione e, in principio, neppure un fenomeno criminoso. Si trattava invece di una «esagerazione del sentimento di sé, del principio di non tollerare offese, della deliberata volontà di ripararle a qualunque costo e in modo e in modo terribile senza ricorrer mai alla giustizia pubblica»285. A un secolo di distanza, le spiegazioni di tipo culturaliste, vennero riprese da Henner Hess. Il sociologo tedesco riteneva che la mafia fosse non una forma di criminalità organizzata, ma una forma di comportamento rispondente alla specifica subcultura della società locale, che si traduce in una conformità assoluta alle norme dell‟omertà286. Osservando il punto di vista di Hess risulta però difficile riuscire a cogliere la dimensione organizzativa della mafia se si riduce a mero dato culturale ed etnico. Non sarebbe nemmeno corretto adottare il metodo opposto a quello culturalista, nel quale la mafia veniva ridotta a un fenomeno puramente organizzativo287, come sostenuto nella relazione di maggioranza, dove si affermava che «Cosa nostra non è un fenomeno sociale o una pura degenerazione di portamenti individuali e collettivi, come la corruzione. È un‟organizzazione formale, dotata di regole e di capi, di un esercito 283 Ivi, p. 1714. A tal proposito rimando a S. Lupo, Storia della Mafia, cit., pp. 163-74; R. Sciarrone, Mafie vecchie mafie nuove, Donzelli, Roma, 1998, pp. 19-51. 284 G. Pitrè, Usi, costumi, credenze e pregiudizi del popolo siciliano, Palermo, 1978, II, rispettivamente pp. 292 e 294, in S. Lupo, Storia della mafia cit., p.17. 285 G. Lorenzoni, Inchiesta parlamentare sulle condizioni dei contadini nelle province meridionali e in Sicilia, Roma, 1910, in R. Sciarrone, Mafie vecchie mafie nuove, cit., p. 4. 286 H. Hess, Mafia, Laterza, Roma-Bari, 1984, cit. in R. Sciarrone, Mafie vecchie mafie nuove, cit., p. 19. 287 La caratteristica della prospettiva organizzativa non è quella di negare le relazioni con i caratteri della cultura, ma piuttosto di ritenerli non determinanti nella definizione del fenomeno. Su questi aspetti rimando a P. Pezzino, Una certa reciprocità di favori, citi., p. 200; R. Sciarrone, Mafie vecchie mafie nuove, cit., p.20. 64 armato e di potenti circuiti finanziari»288. Tuttavia, accanto a Cosa nostra, che presenta una struttura unitaria, centralizzata e gerarchizzata, esistono nella stessa Sicilia altre organizzazioni mafiose indipendenti, che molto spesso si pongono in diretta concorrenza con Cosa nostra: le “Stidde”289. Peraltro, anche all‟interno della stessa organizzazione, singole famiglie godevano di una relativa autonomia, seppure circoscritta al proprio territorio di competenza. In definitiva si può affermare che il fenomeno mafioso non può essere ricondotto a un modello omogeneo290, come affermato dallo stesso Sciarrone «ciascuna delle caratteristiche indicate nelle diverse prospettive analitiche può avere un sua rilevanza teorica ed empirica»291. Leggendo i verbali della Commissione inerenti alla discussione sull‟approvazione del testo della relazione di maggioranza sui rapporti mafia-politica, si nota come i rappresentati Dc, imbrigliati nella decisione di dover approvare o meno il testo, per uscire dall‟impasse cercarono di cambiare i termini della questione. Essi tentarono di far assumere come filone di inchiesta principale non l‟asse mafia-politica, bensì quello relativo alle relazioni mafia-istituzioni. Sostenevano, infatti, che dare un peso rilevante a tali relazioni, rispetto al connubio mafia-politica, avrebbe portato alla Commissione maggior prestigio nella lotta alla mafia. In realtà appare palese il tentativo di distogliere l‟attenzione pubblica dai rapporti compromettenti che coinvolgevano malavita e partiti, per porre l‟accento su delle istituzioni logorate dalla corruzione. A tal proposito, così si esprimeva il deputato Dc Vincenzo Sorice: Partirei dalla decisione del 15 ottobre 1992, con la quale stabilimmo di affrontare il problema del rapporto tra mafia e politica. In questa impostazione credo vi sia un errore di fondo in quanto sarebbe stato più esauriente e forse più corretto, per interpretare il fenomeno nella sua complessità, parlare di rapporto tra mafia, istituzioni e politica. Proprio questo errore di fondo, di partenza, rischia di non offrire un quadro veritiero o comunque più aderente alla realtà e di vanificare l‟obiettivo che si propone questa commissione e per il quale siamo lealmente impegnati. Un fatto è certo: alla mafia (almeno all‟ultima mafia) interessano non i politici o gli imprenditori ma soprattutto le Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Relazione sui rapporti tra mafia e politica, relatore on. Luciano Violante, cit., p. 20. 289 Cfr. Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XV, cit., deposizione di L. Messina, p. 542. 290 R. Sciarrone, Mafie vecchie mafie nuove, cit., p 21. 291 Ivi, p. 22. 288 65 istituzioni, perché il rapporto con esse rappresenta un veicolo indispensabile per poter raggiungere gli obiettivi che si prefigge292. Un altro obiettivo democristiano fu quello di attaccare uno dei perni della relazione: le rivelazioni dei collaboratori di giustizia293. Fu sempre Sorice a far notare alla Commissione che, a parere suo e del partito, la parola dei pentiti veniva assunta acriticamente dalla Commissione. Questa volta era la pagina 59 della bozza di relazione a fare inasprire la discussione e a spingere Sorice verso ulteriori critiche: Da appartenenti alla commissione è stato chiesto ai collaboratori della giustizia quale dovesse essere il comportamento ufficiale dei loro amici nei confronti di cosa nostra. La risposta è avvenuta con l‟abituale cinismo degli uomini d‟onore: il politico può anche partecipare a manifestazioni antimafia, fare discorsi contro la mafia, l‟importante è che poi nella sostanza protegga gli interessi di cosa nostra. Un politico può anche proporre e far approvare leggi contro la mafia, se questo è necessario a dargli un alibi. Importante è che quelle leggi non vengano applicate e che i processi si possano aggiustare294. A giudizio del parlamentare democristiano questo passo “pericolosissimo”295 non alterava il rapporto tra mafia e politica, ma metteva in discussione il comportamento dei singoli. E aggiungeva: Con molta sincerità devo dire di avere l‟impressione che senza accorgersene, involontariamente, la relazione si sia costruita sulle dichiarazioni dei pentiti, senza (sia pure involontariamente) un disegno preciso[...]. Non mi sento (è questo il rischio che corre la relazione) di recepire acriticamente le valutazioni politiche e i teoremi dei pentiti, perché senza accorgercene, rischiamo di farli nostri. Non credo che la commissione possa farsi influenzare politicamente dalle valutazioni politiche dei pentiti. Questo è il pericolo che vedo all‟interno della relazione, che risente di un‟impostazione del genere296. Subito dopo le critiche scottanti di Sorice, vi fu il tentativo democristiano, messo in atto dell‟onorevole Ombretta Fumagalli Carulli, di far slittare la seduta della Commissione. L‟onorevole, comunicando al presidente Violante che i deputati avrebbero dovuto Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XXXV (Esame e votazione della relazione sui rapporti tra mafia e politica) intervento di V. Sorice, p. 1647. 293 Sui collaboratori di giustizia si veda A. Dino, Pentiti, cit., 2006. 294 Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XXV, cit., intervento di V. Sorice, p. 1648. 295 Ibidem. 296 Ivi, p. 1649. 292 66 partecipare ad una seduta di votazioni in Parlamento, tentò di far rinviare la seduta. Il tentativo però si scontrò con la ferma opposizione di Violante. Ribadendo le regole interne alla Commissione, egli comunicò alla Fumagalli e agli altri membri della Dc che la seduta sarebbe stata sciolta solo su esplicita richiesta da parte di uno dei presidenti della Camera o del Senato. Costretta con le spalle al muro, la deputata democristiana si rimise alle volontà del presidente e la seduta continuò297. Il dibattito proseguì con la parola data al rappresentante in Commissione antimafia del gruppo dei Verdi, l‟onorevole Massimo Scalia. Condividendo in linea generale l‟impianto della relazione, Scalia definì troppo “siciliocentrica”298 la linea seguita per la stesura del testo. Affermò che i lavori, pur nascendo con l‟obiettivo di indagare sui rapporti mafia-politica, fossero stati trattati all‟insegna dei rapporto Cosa nostrapolitica, riducendo il discorso a una sola organizzazione. Scalia era inoltre in completo disaccordo con quanto affermato dal democristiano Sorice sui collaboratori di giustizia: Non condivido neanche l‟opinione del collega Sorice per cui questa relazione è costruita sulle dichiarazioni dei pentiti […]. Se così fosse credo che non potremmo far altro che buttarla via. Il ricorso ai collaboratori di giustizia ha inevitabilmente fornito un quadro che spero nessuno di noi potesse avere per conoscenza diretta, interna alla mafia, quindi va tenuta nel giusto conto una serie di informazioni preziose che essi hanno fornito sul modo in cui si organizza la mafia sul territorio, sul suo ruolo a livello locale e nazionale299. Concludeva poi sostenendo che la relazione si fosse fermata sul più bello e sollecitando quindi il presidente ad inserire un finale diverso e a tirare le somme della discussione. Queste le sue considerazioni sulla parte finale della bozza: L‟impunità è la principale preoccupazione di cosa nostra; la prima domanda che sorge spontanea è quali fossero i garanti di questa impunità. La relazione costruisce una serie di elementi per fornire la risposta ma si ferma nel momento in cui dovrebbe darla: questo è il maggiore elemento di sorpresa. Il presidente mi consenta di dire che le conclusioni mi sembrano abbastanza low profile, un po‟ timide, 297 Si veda il resoconto stenografico della seduta del 31 marzo 1993, Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XXXV, cit., interventi di O. Fumagalli Carulli e L. Violante, pp. 1653-54. 298 Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari , Verbale XXXV, cit., intervento di M. Scalia, p. 1655. 299 Ivi, p.1656. 67 quasi che questa commissione possa nascondersi dietro decisioni che la magistratura ha preso300. A parere dello Scalia si trattava di andare ad affermare quella responsabilità politica - e non penale – che Violante aveva sapientemente dato all‟indirizzo della propria relazione. Sosteneva che non serviva essere a conoscenza dell‟avviso di garanzia inviato dalla Procura di Palermo nei confronti di Andreotti o dalla Procura di Napoli nei confronti del senatore Gava; non serviva perché la relazione conteneva quegli elementi che le consentivano di essere già in grado di determinare la responsabilità politica del senatore Andreotti e di altre personalità politiche. Del resto spettava alla Commissione antimafia, a suo dire, fornire un giudizio non di carattere giudiziario ma di carattere politico301. Questa distinzione è uno dei capisaldi dell‟intera impalcatura della relazione su mafia e politica e, in generale, è un punto in cui si rischia spesso di scivolare. La materia in questione, infatti, si situava al confine con l‟attività giudiziaria, come era già emerso in precedenza per altre commissioni d‟inchiesta, come per esempio quella per il sequestro e l‟omicidio di Aldo Moro, quella relativa alla vicenda di Michela Sindona, la commissione sulla loggia massonica P2, quelle sulle stragi. In contesti simili, le critiche da parte di fazioni iper-garantiste rischiavano di essere altrettanto astratte e moraliste di quei giustizialismi che esse stesse rifiutavano. E fu per evitare simili discussioni che Violante effettuò una distinzione preliminare tra responsabilità penale e responsabilità politica in relazione a manifestazioni di illegalità che avevano comunque un incidenza sul sistema politico. Ebbene, il primo tipo di responsabilità, essendo di esclusiva competenza dell‟autorità giudiziaria, era accertata dalla magistratura attraverso le regole formali e certe del processo e si concretizzava in sanzioni giuridiche prestabilite. La responsabilità politica, invece, si caratterizzava per un giudizio di incompatibilità tra una persona che rivestiva funzioni politiche e quelle funzioni, sulla base di determinati fatti, rigorosamente accertati, che non necessariamente costituivano reato, ma che tuttavia erano ritenuti tali da indurre a quel giudizio di incompatibilità. Secondo questo giudizio, le funzioni politiche, fondandosi su un principio di fiducia e dignità, addossavano a ciascun politico una responsabilità aggiuntiva rispetto ad altri cittadini perché veniva coinvolta la credibilità delle 300 301 Ibidem. Ibidem. 68 istituzioni in cui la persona operava302. Per fare un esempio storicamente verificatosi più di una volta, se un ministro della Repubblica, in una cerimonia matrimoniale, aveva fatto da testimone all‟esponente della famiglia mafiosa, non ci troviamo di fronte a un reato ma senza dubbio di fronte a un‟ipotesi di incompatibilità tra le funzioni pubbliche del politico e i suoi comportamenti sociali303. Tornando alla fase dibattimentale, i repubblicani contestarono, come già in precedenza aveva fatto la fazione democristiana, la frase ”atto dovuto”304contenuta nel testo. Il loro portavoce, Giovanni Ferrara Salute, affermò che l‟interesse della Commissione antimafia doveva concentrarsi più sulle responsabilità politiche che su quelle penali e giudiziarie che vedevano coinvolto l‟allora senatore Giulio Andreotti. Cosi si esprimeva Ferrara Salute nei confronti di Violante: Al presidente vorrei far notare, per esempio, che nella proposta di relazione da lui redatta è contenuta un espressione poco chiara, o, almeno, suscettibile di prestare il fianco ad obiezioni. Quando con riferimento alla vicenda del senatore Andreotti, si afferma che le risultanze della vicenda stessa portano ad un ”atto dovuto”, cioè all‟approfondimento in sede penale, concordo con tale affermazione, ma non vorrei che si obiettasse che tale esigenza, nella forma in cui è stata espressa, rappresenti un invito all‟Assemblea a votare per l‟autorizzazione a procedere305.. Pur approvando la relazione a nome del gruppo che rappresentava, l‟onorevole invitava a far emergere il giudizio politico dagli eventi giudiziari ma senza legarsi univocamente a essi: Quanto al discorso relativo al momento giudiziario ed a quello politico delle responsabilità, credo –mi rivolgo in particolare al collega Scalia - che sia necessario procedere con particolare attenzione. […] Indubbiamente vi è una suggestione molto forte del momento giudiziario: la giustizia evoca nomi e situazioni e tutto questo, ovviamente, induce all‟attenzione politica. […] Pertanto, il giudizio politico deve emergere anche in considerazione degli eventi giudiziari, ma deve avere una formazione molto più complessa e, soprattutto, non deve legarsi in modo immediato a tali eventi306. Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Relazione sui rapporti tra mafia e politica, relatore on. Luciano Violante, cit., pp. 21-22. Si veda anche la prefazione di Tranfaglia in Mafia e politica. Relazione del 6 aprile 1993, prefazione di Nicola Tranfaglia, Laterza, Roma-Bari, 1993, p. XI. 303 Ibidem. 304 Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XXXV, cit., intervento di G. Ferrara Salute, p. 1661. 305 Ibidem. 306 Ivi, pp. 1660-1661. 302 69 La Lega Nord, condividendo in generale il testo della relazione, aveva richiesto all‟onorevole Violante che vi fosse inserita la distinzione tra il "separatismo antistorico e mafioso del dopoguerra siciliano" e una "sana autonomia regionale e federalista"307. Ad affermare ciò era stato, in rappresentanza del gruppo leghista, Mario Borghezio che era rimasto allarmato dalla penetrazione, sia nell' ambiente bancario e finanziario sia nelle zone del Nord, dell‟organizzazione mafiosa308. A detta di Borghezio, non si poteva di certo paragonare un‟autonomia “antistorica e mafiosa”309 siciliana a “una sana autonomia regionale e federalista”310. Da queste affermazioni si intravedevano quelle idee sostenute dalla Lega. Figlio degli anni Ottanta, proveniente dal Nord Italia, Veneto e Lombardia in primis, questo nuovo movimento dava sbocco a molteplici umori. La Lega si basava su un‟enfatica esclusione dell‟altro: il meridionale fannullone, l‟immigrato criminale, l‟islamico infedele, Roma ladrona, l‟Europa dei tecnocrati 311. Per questa via la Lega rifletteva le pulsioni xenofobe, etno-nazionaliste312, rappresentava il simbolo di quell‟antimeridionalismo che andava dilagando nelle regioni settentrionali, si poneva contro il sistema dei partiti, ma finì per farne parte. Lasciò cadere i cappi con cui aveva minacciato di impiccarli313 già all‟indomani delle elezioni del 1994 che la videro trionfare al fianco di Silvio Berlusconi. Propagandava l‟immagine dei cittadini delle sane regioni del nord impoveriti e oppressi da quell‟Italia dei partiti che foraggiava quel sud dove il clientelismo la faceva da padrone314. Lo Stato diventava così «il primo nemico, grande madre cattiva, scatolaio di tutte le tensioni»315. Aldo Bonomi coglieva bene il tessuto sociale a cui si rivolgeva la Lega. Indagando con attenzione in Lombardia a partire dai primi anni Ottanta, tentava di rintracciare la radice del problema descrivendo la paura di quei lavoratori delle ex-grandi fabbriche milanesi sempre più marginali e accerchiati nella nuova Milano del terziario. Soffermandosi sulla chiusura a catena delle piccole aziende familiari e sulla crisi di quel capitalismo familiare, perveniva alla conclusione che «piuttosto che prendersela con se stessi e con Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XXXV, cit., intervento di M. Borghezio, p 1646. 308 Ibidem. 309 Ibidem. 310 Ibidem. 311 S. Lupo, Antipartiti, cit., p.202. 312 Ibidem. 313 Ivi, p. 224. 314 Cfr. S. Colarizzi, M. Gervasoni, La tela di Penelope, cit., p. 7. 315 L. Tornabuoni, L’Italia s’è rotta, intervista a Giuseppe De Rita, «La Stampa», 11 giugno 1991, cit. in G. Crainz, Il paese reale, cit., p 260. 307 70 il loro capitalismo familiare […] preferirono credere al pifferaio magico che offriva loro un capro espiatorio “Roma ladrona” e le sue tasse»316. «Bisogna portare l‟attacco al quartiere generale della mafia»317. Si esprimeva in questi termini il gruppo Msi capeggiato dal senatore Michele Florino, contrapponendo tale idea a quella portata avanti dal presidente Violante, il quale, nella bozza di relazione, aveva parlato di “attacco” da portare al gruppo armato della mafia318. Durante la fase di discussione sul testo, dopo un altro intervento missino, questa volta di Matteoli, ne venne fuori un dibattito tra la frangia democristiana e lo stesso Matteoli. L‟onorevole sosteneva che la proposta di relazione si fosse soffermata su un aspetto che mandava al macero tutta la pubblicistica affermatasi negli ultimi decenni in relazione al fascismo319. Il testo, osteggiato dal missino, ribadiva il concetto che il fascismo solo in un primo momento contrastò la mafia per poi accordarsi con i boss più importanti320. Per confutare tale affermazioni Matteoli citava un grande sociologo ed esperto in materia come Pino Arlacchi. Arlacchi, nell‟intervista citata da Matteoli321, sosteneva l‟idea che Cosa nostra era stata notevolmente indebolita dal regime fascista, sia tramite l‟operato del prefetto Mori in Sicilia sia per via di quella generale rivendicazione da parte dello Stato fascista del monopolio della violenza. Essendo un regime totalitario, il fascismo non permise mai una grande concorrenza sul piano della violenza, legale o anche illegale. Continuando nell‟analisi del fenomeno mafioso, l‟autore sosteneva inoltre che la mafia aiutò gli americani opponendosi al regime322; infatti, essa aveva tutto l‟interesse a far cadere il regime, tanto più che, dopo la caduta del fascismo, ci fu un momento di ripresa 316 A. Bonomi, Il rancore. Alle radici del malessere del nord, Feltrinelli, Milano, 2008, in ivi., p. 261. Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XXXV, cit., intervento di M. Florino, p 1662. 318 Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari , Verbale XXXV,cit., intervento di L. Violante, p. 1643. 319 Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XXXVI (Sostituzione di un membro della Commissione e Seguito dell'esame della relazione sui rapporti tra mafia e politica), intervento di Altero Matteoli, p. 1694. 320 Su fascismo e mafia rimando a Mafia e fascismo, in «Meridiana. Rivista di storia e scienze sociali», n.63, 2008; S. Lupo, Il fascismo. La politica in un regime totalitario, Donzelli, Roma, 2005; V. Coco e M. Patti, Relazioni Mafiose, cit. 321 Intervista rilasciata da Pino Arlacchi ad Antonino Carlucci, in Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XXXVI, cit., intervento di Altero Matteoli, p. 1694. 322 Sul presunto aiuto della mafia allo sbarco alleato in Sicilia si veda S. Lupo, Quando la mafia trovò l’America, cit., pp.138-48; Idem, Gli Alleati e la mafia:un patto scellerato?, in «Meridiana. Rivista di storia e scienze sociali», n.49, 2004, pp. 193-206; R. Mangiameli, La mafia tra stereotipo e storia, cit., pp. 19-24; Idem, La regione in guerra (1943-50), in Storia d‟Italia. Le regioni dall‟Unità ad oggi. La Sicilia, Einaudi, Torino, 1987, p. 502; 317 71 dell‟attività mafiosa fino alla ricostruzione del potere delle famiglie intorno agli anni Cinquanta e Sessanta323. Devo qui fare notare come l‟analisi che Matteoli attribuiva a Pino Arlacchi sia errata. In primo luogo dopo la repressione attuata da Mori la mafia non venne debellata, ne danno prova i diversi processi contro la mafia che si tennero durante gli anni Trenta 324. Alle porte della Seconda guerra mondiale, la mafia era lì, quasi come l‟aveva trovata Mori, con tutti i suoi riti e con i suoi codici, vitale e pervasiva, sempre attenta a proteggere la sua continuità, seppure in una fase di riassetto325. In secondo luogo gli Alleati non furono aiutati dalla mafia per sconfiggere il fascismo. Come ha affermato Salvatore Lupo appariva poco credibile «la congiura degli americani che, a base di aerei e carri armati arrivano a Villalba recando foulards ricamati con una L (come Lucky Luciano), con la conseguenza inverosimile di una mobilitazione mafiosa guidata da don Calò per neutralizzare le amate italo-tedesche»326. E infine, le famiglie continuarono a esistere anche dopo il rastrellamento fascista; ne dà prova il verbale redatto nel 1938 dall‟Ispettorato interprovinciale di Pubblica sicurezza per la Sicilia327. In esso veniva riportata l‟intensa attività della mafia palermitana degli anni Trenta, confutando, una volta per tutte, la sconfitta mafiosa della tanto decantata operazione Mori. Le affermazioni di Matteoli turbarono non poco l‟ala democristiana. Si ebbe difatti lo scontro verbale tra il senatore democristiano Cabras e lo stesso missino. Il primo batté subito colpo affermando che uno storico che portava avanti delle simili affermazioni non era da prendere come “maestro”328. Immediata fu anche la risposta del missino, che portando dapprima l‟esempio sul milazzismo, per affermare l‟idea di come un governo potesse staccarsi dal monopolio democristiano mandandolo all‟opposizione, rincarava la dose denunciando ai colleghi presenti il tentativo democristiano di far slittare la seduta. A suo dire i democristiani, terminata la prima seduta, erano andati di corsa da “papà Martinazzoli”329 per prendere istruzioni sul comportamento da tenere. Lo scambio di Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, XXXVI, cit., intervento di Altero Matteoli, p. 1694. 324 A tal propositivo si veda V. Coco M. Patti, Relazioni mafiose, cit. 325 Ivi., p. 33. 326 S. Lupo, Storia della mafia, cit., p..225. 327 Fascicolo: n. 228 allegati al verbale n. 99 del 16 luglio 1938 relativo all‟associazione per delinquere di 175 individui scoperta nell‟agro palermitano, in V. Coco M. Patti, Relazioni mafiose, cit., pp.55-211. 328 Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XXXVI, cit., intervento di P. Cabras, p 1695. 329 Espressione utilizzata per definire il segretario della Dc Mino Martinazzoli, eletto il 12 ottobre 1992 dopo che la Dc era stata travolta dall‟onda di tangentopoli, in Commissione parlamentare d‟inchiesta sul 323 72 battute proseguì e dovette intervenire il presidente Violante per far continuare la seduta rimettendola sui giusti binari. Il gruppo Pds, dal canto suo, condivise appieno il testo della relazione approvandolo in tutte le sue parti. Con il suo intervento, Massimo Brutti accusava, come altri prima di lui, i colleghi democristiani di voler posticipare la votazione della relazione a dopo Pasqua; a dopo il referendum. Il senatore apostrofava così il tentativo democristiano: Voglio dirlo con franchezza: non riesco a vedere ragioni serie per condividere ed accettare la proposta di rinvio che è stata avanzata qui dall‟onorevole Sorice, nei termini in cui egli l‟ha avanzata, per le motivazioni e per i tempi che egli propone. Cosa significa un rinvio a dopo Pasqua? Il rinvio rischia di non tenere conto della domanda e delle attese dell‟opinione pubblica del paese; rischia di non tenere conto della necessità che un‟istituzione come la nostra si pronunzi formulando una valutazione. Voglio riferirmi […] ai colleghi del gruppo Dc: volete proporre un rinvio a dopo Pasqua, a dopo il referendum? Fatelo! Volete votarlo? Provate a votarlo: è possibile che vi sia una maggioranza favorevole, ma è anche possibile che non vi sia330. Era del tutto negativo, invece, il parere sulla relazione da parte del gruppo radicale rappresentato da Marco Taradash. Dal punto di vista radicale il testo della relazione risultava “superato dagli eventi”331 che si stavano succedendo giorno dopo giorno in quelle settimane convulse per la politica italiana. Infatti, il deputato radicale presenterà in seguito una relazione di minoranza - la seconda e ultima dopo quella missina – dove proporrà una sua visione sul reale andamento delle cose. Questi scambi di battute, punzecchiature e screzi tra i diversi raggruppamenti politici facevano da cornice a un particolare momento di crisi istituzionale in cui, tra le lunghe liste degli avvisi di garanzia del “ciclone tangentopoli”332 e l‟imminente referendum definito un autentico cambio di regime dallo stesso Amato333, si respirava un‟aria carica di tensione. fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XXXVI, cit., intervento di A. Matteoli, p. 1695. 330 Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XXXV, cit., intervento di M. Brutti, p. 1669. 331 Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XXXV, cit., intervento di M. Taradash, p. 1673. 332 S. Lupo, Storia della mafia, cit., p. 303. 333 Atti parlamentari, Camera di deputati, Discussioni, aprile-maggio 1993, p. 12841, in G. Crainz, Il paese reale, cit., p. 295. 73 III.2 L’approvazione della relazione Si arrivò così, tra diverse spinte e vari umori, al giorno fatidico: il 6 aprile 1993. La votazione si svolse dopo l‟intervento del presidente Violante che, durante i giorni addietro, era rimasto ad ascoltare quanto le parti avevano da dire, intervenendo grosso modo solo per scandire i tempi d‟intervento e per placare le discussioni più accese. La seduta si svolse in maniera pacifica al contrario di quanto era avvenuto nei giorni precedenti. Violante acconsentì a quasi tutte le modifiche e integrazioni richieste di volta in volta dai vari gruppi. Il gruppo della Democrazia cristiana, adesso, appariva ingentilito; e a buon diritto. Violante, infatti, aveva acconsentito ad attuare gran parte delle loro richieste. Così, anche se erano stati sconfitti nel tentativo di rinviare la seduta di votazione della relazione, i democristiani ottenevano una vittoria ben più importante. Dapprima si videro togliere dal testo la parola “atto dovuto” - volontà espressa anche dal gruppo repubblicano - poiché si trattava di un termine che poteva far apparire l‟indagine su Andreotti svolta dalla Procura di Palermo come un fatto positivo, anticipando di fatto la colpevolezza del senatore. In secondo luogo venne dato spazio alle responsabilità di settori della magistratura e di altro tipo di istituzioni, facendo prevalere al binomio mafia-politica quello meno dirompente di mafia-istituzioni. Infine fu diminuita la valenza delle testimonianze dei pentiti. Ciò comportò una modifica dell‟ordine espositivo del testo della relazione, nel senso che prima si diede spazio ai dati di carattere oggettivo e solo successivamente si fece rifermento a quanto dichiarato dai collaboratori di giustizia. La discussione finale sull‟approvazione della relazione sui rapporti mafia politica iniziò con l‟intervento del senatore Massimo Calvi che esprimeva un giudizio positivo sulla stesura finale a nome del Partito socialista. Il senatore evidenziò il punto di grande equilibrio che Violante volle dare al testo, definendo la relazione “ovattata”334. Evidentemente Violante, nei giorni che seguirono la discussione sul documento, preoccupato soprattutto di far approvare la relazione, fu più morbido nella sua stesura finale. La relazione fu votata favorevolmente anche dal gruppo della Rete, rappresentato Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XXXVIII (Seguito dell'esame e votazione della relazione sui rapporti tra mafia e politica), intervento di M. Calvi, p. 1763. 334 74 da Alfredo Galasso. Veniva apprezzata soprattutto la concezione che la mafia venisse intesa come “un sistema vero e proprio di potere criminale, economico e politico”335. Che il lavoro di Violante aveva dato i suoi frutti lo si poteva intuire dall‟intervento di Mario Clemente Mastella. Il deputato democristiano esprimeva la sua adesione “convinta” alla relazione: Io spero che con la nostra adesione, la nostra adesione convinta - i contributi dei tanti colleghi della Democrazia cristiana hanno evidenziato alcuni aspetti, operato una serie di sottolineature - alla relazione Violante, si possa far finalmente giustizia di quella stupida equazione per cui l‟interfaccia della mafia si è fatto apparire o si vorrebbe far apparire strumentalmente raffigurato dalla Democrazia cristiana336. L‟adesione fu confermata anche dagli onorevoli Ferrauto, facente parte del Partito socialista democratico italiano, Ferrara Salute dei repubblicani e Scalia capogruppo dei Verdi337. Quest‟ultimo però si riservò il piacere di ammonire il comportamento del presidente, reo a parere dello Scalia, di essersi fatto trasportare un po‟ troppo dalla posizione democristiana. Il deputato insisteva su quella responsabilità politica che la relazione si era fatta scivolare un po‟ troppo in fretta dalle sue pagine, ritenendo che il lavoro svolto in Commissione avrebbe consentito di fare maggiore chiarezza sulla responsabilità di alcuni personaggi di cui lo Scalia senza troppi problemi ne indicava il referente nella figura di Giulio Andreotti: Noi avevamo quella vista in più che ci avrebbe potuto tranquillamente consentire di attribuire - e lo dico con chiarezza - responsabilità politica al senatore Andreotti. L‟ho ascoltato con grande attenzione in questi giorni in cui si è pronunciato attraverso la telediffusione ed ho sentito eminentemente due argomentazioni fatte da lui. La prima è che un uomo che si trova a vivere una così lunga vita politica sicuramente nelle sue frequentazioni potrà incontrare Calvi, Sindona, Ciancimino, perché troppa gente ha incontrato e quindi non è questo un aspetto puntuale su cui costruire un castello accusatorio. L‟altra riflessione proposta dal senatore Andreotti è il suo forte impegno sulla battaglia contro la mafia338. Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XXXVIII, cit., intervento di A. Galasso, p. 1763. 336 Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XXXVIII, cit., intervento di M. C. Mastella, p. 1765. 337 Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XXXVIII, cit., interventi di R. Ferrauto, G. Ferrara Salute, M. Scalia, pp. 1768-72. 338 Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XXXVIII, cit., intervento di M. Scalia, p. 1769. 335 75 Scalia continuava il suo atto di accusa contro Andreotti criticando non tanto la prima delle affermazioni rilasciate dal senatore alla televisione, ma la seconda, ritenendo “commisurato” il suo impegno contro la mafia: Penso che i tempi nei quali il senatore Andreotti, come presidente del consiglio, ha preso provvedimenti contro la mafia siano commisurati […] in questo modo: da quanti anni era latitante Totò Riina quando sono stati presi provvedimenti? Nel ventesimo anno della latitanza, nel ventunesimo anno della latitanza! Questo forse ci fa capire […] perché noi abbiamo insistito su questa posizione: un eminente esponente della Democrazia cristiana, capo di sette Governi, presente in tutti i Ministeri o quasi della Repubblica italiana, non può non essersi accorto del degrado e dell‟infiltrazione mafiosa che permeava le istituzioni339. In questa seduta del 6 aprile 1993 ad andare per primo contro il testo della relazione fu il gruppo Msi. Altero Matteoli, confermando il voto contrario del suo partito, contestava al presidente di aver presentato un documento “ovattato”340, riprendendo un‟espressione utilizzata dal senatore Calvi nel precedente intervento, osservando inoltre che la relazione fosse stata non di poco modificata dallo stesso relatore: Una relazione scritta a più mani, nella quale ognuno ha ritenuto di poter disporre di una o più pagine per scrivere ciò che voleva in funzione del partito di appartenenza. La proposta presentata dall‟onorevole Violante la scorsa settimana partiva da un presupposto di fondo: le dichiarazioni dei pentiti; noi non abbiamo condiviso tale proposta, ma riconosciamo che essa aveva una sua logica. Oggi viene meno anche questa logica. […] Evidentemente, nella fretta di accontentare tutti per far votare la relazione si è arrivati anche a scrivere cose di questo genere341. La critica al documento continuava, e questa volta il missino insisteva sul punto in cui la relazione affrontava il problema di alcuni politici collusi con la mafia; a parere di Matteoli, infatti, nel testo venivano adottati due pesi e due misure: Mentre su Maira, Occhipinti e Culicchia, […] personaggi politici minori, si spara a zero e si citano punto per punto i motivi della 339 Ibidem. Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XXXVIII, cit., intervento di A. Matteoli, p.1771. 341 Ibidem. 340 76 richiesta di autorizzazione a procedere, per Andreotti tutto diventa sfumato, soft342. Voto favorevole veniva invece dato da Salvatore Crocetta rappresentante del gruppo di Rifondazione comunista, e Antonio Bargone, capogruppo Pds. Entrambi i gruppi si ritenevano soddisfatti del lavoro svolto dalla Commissione antimafia e confermavano il valore del testo. Le parole, quelle di Mastella, suonavano come una sconfitta amara da digerire per il radicale Taradash, che, confermando il suo voto contrario alla relazione aveva sottolineato come la Democrazia cristiana ne fosse uscita ripulita: Comprendo benissimo l‟adesione – manifestata dall‟onorevole Mastella - della Democrazia cristiana alla relazione. In effetti, rappresenta una dilagante vittoria della Democrazia cristiana il fatto che sull‟ultimo punto sul quale si era creato un conflitto asperrimo in Commissione, sui giornali e nella società civile, essa abbia potuto imporre il proprio punto di vista: il fatto che le responsabilità politiche identificate appartengono ad una sfera della Democrazia cristiana che è stata abbandonata dal partito oltre che dagli eventuali, supposti alleati di un tempo343. Opposta invece la valutazione che la Lega Nord, rappresentata dall‟onorevole Mario Borghezio, dava alla relazione. Infatti, il leghista valutava favorevolmente il lavoro svolto, e oltre ad apprezzare l‟inserimento nel testo della parte riguardante la penetrazione dell‟organizzazione mafiosa nel sistema bancario e finanziario, in particolar modo nelle zone del Nord Italia, si compiaceva con il presidente Violante per aver sottolineato nel testo che il rapporto di Cosa nostra con il sistema politico non si fosse esaurito nell‟attività di garante degli interessi mafiosi che sarebbe stata svolta da Salvo Lima344. Si schierava dalla parte dei favorevoli al testo di relazione anche il Partito liberale italiano. Il suo rappresentate, Alfredo Biondi, apprezzando il lavoro svolto dalla Commissione era stato critico, invece, in merito alle vicende della fuoriuscita di notizie che aveva preceduto la votazione del testo di relazione345. 342 Ivi, p. 1772. Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XXXVIII, cit., intervento di M. Taradash, p. 1775. 344 Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XXXVIII, cit., intervento di M. Borghezio, p. 1777. 345 Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XXXVIII, cit., intervento di A. Biondi, p. 1779. 343 77 Infine la relazione riceveva un altro giudizio positivo anche da parte del gruppo Misto guidato da Luigi Biscardi. Anche in questo caso però non mancarono le stoccate rivolte al presidente Violante, reo di aver “stemperato”346 le dichiarazioni contenute nel testo. Dopo che le valutazioni sul documento ebbero fine, il presidente Luciano Violante comunicò le modalità di presentazione delle eventuali relazioni di minoranza e note integrative che i vari gruppi o singoli commissari avrebbero potuto presentare. Tali testi dovevano essere presentati entro e non oltre i trenta giorni, rispettando così il regolamento interno che la Commissione antimafia si era data all‟inizio dei suoi lavori347. Quanto alle note integrative sui rapporti tra mafia e politica, ne vennero presentate due, rispettivamente da parte dell‟onorevole Alfredo Galasso rappresentate della Rete, e del senatore Massimo Brutti del gruppo Pds. Le note furono inserite all‟interno della stessa relazione di maggioranza e andarono a incrementare il lavoro principale presentato da Violante. La prima delle due verteva più sulle relazioni del sistema di potere mafioso, dimostrando il suo essere articolato, mettendo in luce i suoi referenti nelle imprese, nelle professioni, nelle istituzioni e nei partiti politici. Un sistema, quello mafioso, che, intrecciandosi con il sistema della corruzione, determinò un profondo inquinamento della vita politica e istituzionale oltre che di quella economica348. La seconda nota integrativa puntava più l‟obiettivo sui rapporti tra servizi segreti e antimafia, con la costituzione in Sicilia di un centro di addestramento speciale, Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XXXVIII, cit., intervento di L. Biscardi, p. 1781. 347 Si fa riferimento all‟articolo 22 del regolamento interno di cui la commissione si predispose già dalla seconda seduta. Articolo 22: 1.Gli atti, le delibere e la documentazione completa raccolta dalla Commissione sono depositati in apposito archivio riservato. Il presidente sovrintende all'archivio, ne cura la funzionalità e adotta le misure di sicurezza che ritenga opportune, d'intesa con i Presidenti delle due Camere. 2. Gli atti depositati in archivio possono essere consultati dai commissari e dai collaboratori della Commissione. 3 Nel caso di atti, delibere e documenti segreti, ai sensi dei commi 1 e 3 dell'articolo 13 del presente regolamento o dell'articolo 25-octies comma 3 del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 1992, n. 356, non è consentita in nessun caso la possibilità di estrarne copia. Tale limite si applica anche per gli scritti anonimi. Comma 1 Qualunque atto o documento che perviene alla Commissione è immediatamente protocollato a cura dell'ufficio di segreteria, in Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, in Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale II (Esame del regolamento interno della Commissione) intervento di L. Violante, pp. 21-22. 348 Cfr. Nota integrativa alla relazione sui rapporti tra mafia e politica, relatore onorevole Alfredo Galasso, in Relazione sui rapporti tra mafia e politica, relatore Luciano Violante, cit., pp. 83-117. 346 78 denominato Scorpione, diretto da due esponenti dell‟organizzazione Gladio: il tenente colonnello Paolo Fornaro e il maresciallo Vincenzo Li Causi349. La relazione, come già anticipato all‟inizio di questo capitolo, ebbe un largo consenso e fu votata favorevolmente da quasi tutti i gruppi in seno alla Commissione, con l‟eccezione del Movimento sociale italiano e del Partito radicale, che presentarono successivamente le loro relazioni di minoranza350 approvate anch‟esse dalla Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali similari. 349 Cfr. Nota integrativa alla relazione sui rapporti tra mafia e politica, relatore senatore Massimo Brutti, in Relazione sui rapporti tra mafia e politica, relatore Luciano Violante, cit., pp. 119-142. 350 Le due relazioni di minoranza quella del Movimento Sociale Italiano e quella del Partito Radicale verranno approvate rispettivamente dalla commissione antimafia in data 28 aprile 1993 e in data 6 maggio 1993. 79 III.3 La relazione missina In data 28 aprile 1993 fu presentata al presidente Violante da parte dei commissari Matteoli e Florino una relazione di minoranza sui rapporti tra mafia e politica. Il documento, scritto dai due rappresentanti del Movimento sociale italiano, venne trasmesso, unitamente alla relazione approvata dalla Commissione in data 6 aprile 1993, ai presidenti dei due rami del parlamento. Il testo di relazione era figlio di un dissenso già manifestato in seno alla Commissione durante le riunioni che si susseguirono per l‟approvazione del testo di relazione di maggioranza. I due firmatari, fin dalle prime pagine, volendo screditare il lavoro proposto da Luciano Violante, diedero un taglio provocatorio al proprio testo in modo tale da evidenziarne la netta opposizione con la relazione di maggioranza. La relazione missina si apriva con una citazione del discorso che Leonardo Sciascia tenne davanti alla Camera dei Deputati il 26 febbraio del 1980: Non voglio dire con questo che i lavori della Commissione antimafia siano del tutto inutili; anzi poco fa mi è stato chiesto di riconoscere quello che avevo detto alla televisione francese, cioè che la relazione di minoranza dell‟onorevole Giuseppe Niccolai è una cosa molto seria; […] non esito a ribadirlo qui. Ci sono cose utili; si evince, per esempio, che i marescialli dei carabinieri ed i marescialli di pubblica sicurezza quasi sempre hanno fatto il loro dovere, ma è più in alto che non si è fatto quello che si doveva fare351. Tale accenno alla relazione missina del 1976 serviva ad avvalorare il profondo contrasto che il testo redatto da Florino e Matteoli esprimeva nei confronti di una maggioranza, che a giudizio dei due relatori, si era piegata alle volontà dei partiti. E per avvalorare ciò si faceva riferimento a un‟altra relazione di minoranza di destra, una relazione che già in passato, al pari della relazione di minoranza di sinistra352, si era schierata in profondo contrasto nei confronti della relazione di maggioranza dell‟allora presidente Carraro. Al tempo tutti aspettavano l‟esplosione di quella “Santa Barbara” anticipata da Donato Pafundi, che al momento del suo insediamento aveva preannunciato che negli archivi 351 Discorso tenuto da Leonardo Sciascia davanti la Camera dei Deputati il 26 febbraio 1980, in Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali similari, Relazione di minoranza sui rapporti tra mafia e politica, relatori on. Altero Matteoli e sen. Michele Florino, XI legislatura, doc. XXIII, n.2-bis, Roma, 1993, p. 6. 352 Cfr. V. Coco (a cura di), L’Antimafia dei comunisti, cit. 80 della Commissione si andava accumulando una “polveriera”353, ma poi tardò a farla esplodere, e alla fine la montagna partorì un topolino354. Si parlò all‟epoca di un “Antimafia” come un‟“occasione mancata”355. Tornando alla citazione di apertura, il riferimento a Sciascia serviva ad accentuare un effetto di contrasto, verso un antimafia che aveva presentato un testo di relazione dai toni smorzati. Anni prima, infatti, Sciascia aveva scritto di “professionisti dell‟antimafia”356 stigmatizzando molto il comportamento sia di politici sia di quei magistrati che gravitavano nell‟orbita del pool antimafia, i quali sfruttavano la lotta contro la mafia ai fine della loro carriera. In quell‟occasione Sciascia si scagliò in particolare contro Paolo Borsellino reo, a suo dire, di carrierismo. Borsellino, vincitore del concorso per l‟assegnazione del posto di Procuratore della Repubblica di Marsala, aveva ottenuto quella qualifica non tanto per ragioni di anzianità ma per particolari competenze professionali nel settore della malavita organizzata, maturate sul campo e che gli valsero il superamento della graduatoria di altri magistrati. Il credere che in Italia non ci fosse un vero Stato, il non accettare l‟idea che il paese si trovasse in uno stato di difficoltà, la polemica che lo vide opposto a Giorgio Amendola, quando lo scrittore si rifiutò di condannare i cittadini di Torino datisi malati per non fare i giurati in un processo contro le Brigate rosse, aveva fatto maturare nello scrittore siciliano l‟atteggiamento di chi si rifiutava di accreditare la repressione 357. Si pensi per esempio al blitz napoletano del 1983, che demolì l‟ala cutoliana della camorra, ma portò anche alla carcerazione di Enzo Tortora - che ne sarebbe poi uscito pulito, ma dopo un lungo percorso giudiziario358. Fu tutto questo a provocare in Sciascia una rottura col Pci e il conseguente avvicinamento ai radicali. La relazione di minoranza del „76 era stata scritta a tre mani; oltre alla parte del già citato Niccolai, constava di altre due relazioni: una prima scritta dal deputato Nicosia e 353 S. Lupo, Storia della mafia, cit., p. 243. Ibidem; Per una storia della Commissione antimafia cfr. O. Barrese, I complici, cit.; F. Renda, Storia della mafia, Sigma, Palermo, 1997, pp. 360-95; U. Santino, Storia del movimento antimafia, cit.; N. Tranfaglia , Mafia, politica e affari, cit.; 355 È il titolo del volume di M. Pantaleone, Antimafia occasione mancata,cit. 356 Si veda l‟articolo scritto da Sciascia nel bel mezzo del maxiprocesso intitolato ai Professionisti dell’antimafia, «Corriere della sera», 10 gennaio 1987, in Sciascia, A futura memoria, cit., pp. 123-30. Articolo ripreso da Salvatore Lupo in Che cos’è la mafia, cit., pp. 28-30. 357 Ivi, p. 7-12; G. Fiandaca S. Lupo, La mafia non ha vinto, cit., p.46. 358 S. Lupo, Che cos’è la mafia, cit., p. 10. 354 81 una seconda dal senatore Pisanò. Oltre all‟elemento di contrasto che le opponeva alle relazioni di maggioranza, uno dei punti di contatto tra le due relazioni, a distanza di ventisette anni, era la reale convinzione che la mafia nel periodo fascista fosse stata debellata. Nella prima parte scritta da Nicosia, per esempio, si legge chiaramente che il «cosiddetto fenomeno mafioso fu soffocato e reso inoffensivo dal 1927 al 1943»359, e che «Mori distrusse la mafia»360. Oggi, alla luce di nuovi e più recenti studi sembra ormai del tutto errato continuare ad affermare e sostenere tale ipotesi361. Guardando più da vicino l‟ampio seguito propagandistico dato all‟operazione Mori, si può notare come esso trasse anche in inganno quella letteratura che, dal secondo dopoguerra in poi, studiando il fenomeno mafioso, aveva ritenuto che Mori avesse dato un bel colpo di spugna all‟isola ripulendola dalla mafia. Questa lettura, però, non teneva conto dell‟esistenza di una seconda repressione messa in atto dal regime. Infatti, una nuova recrudescenza della criminalità mafiosa aveva costretto i fascisti a rimetter mano alla questione mafia nell‟isola 362, solo che questa seconda ondata repressiva non fu per nulla pubblicizzata, dal momento che ciò avrebbe comportato una chiara sconfessione della precedente minandone l‟efficacia tanto decantata dal regime. La storiografia, dunque, ignorò quasi del tutto quello che erano stati gli anni Trenta per la questione dei rapporti tra mafia e fascismo. Si prenda ad esempio il caso di Michele Pantaleone che in Mafia e politica363 indirizzò sì l‟attenzione dell‟opinione pubblica nazionale sulla questione della mafia, ma facendosi altresì condizionare dagli aspetti politici figli del suo tempo; così risulta del tutto inverosimile sia la ricostruzione storica sulla rinascita mafiosa legata allo sbarco anglo-americano, sia l‟aver ritenuto che durante gli anni Trenta la mafia come organizzazione scomparve»364. Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia, Relazione del deputato Nicosia, VI legislatura, doc. XXIII, Roma, p. 960. 360 Ivi, p. 965. 361 A tal proposito rimando ai lavori di. S. Lupo, Storia della mafia cit.; R. Mangiameli, La mafia tra stereotipo e storia, cit.; P. Pezzino, Una certa reciprocità di favori, cit.; G. Raffaele, L’ambigua tessitura. Mafia e fascismo nella Sicilia egli anni Venti, Franco Angeli, Milano, 1993; Mafia e fascismo, in «Meridiana. Rivista di storia e scienze sociali», n. 63, 2008; A. Recupero, Ceti medi e “homines novi”. Alle origini della mafia, in «Polis», n.2, 1987, pp.307-28; V. Coco M. Patti, Relazioni Mafiose. La mafia ai tempi del fascismo, XL edizioni, Roma, 2010. 362 V. Coco M. Patti, Relazioni Mafiose, cit., p. 14. 363 M. Pantaleone, Mafia e politica (1943-1962), Einaudi, Torino, 1962. 364 Ivi, p. 46. 359 82 La questione tra mafia e fascismo negli anni Trenta non venne affrontata neanche dai primi lavori in cui si faceva sistematico ricorso alle fonti archivistiche. Si prenda ad esempio il lavoro di Salvatore Porto che formalizzando una tripartizione cronologica, comprendeva in un unico blocco il periodo tra i primi anni Trenta e lo sbarco degli alleati in Sicilia, durante il quale la mafia, fortemente depotenziata dalla precedente repressione, sarebbe stata sostanzialmente ignorata dal regime365. Tornando al testo missino, secondo la relazione di minoranza del 1993 - composta da undici capitoli e da alcune considerazioni finali che appaiono critiche sulle conclusioni del testo di maggioranza - il tratto caratterizzante della mafia sarebbe lo stretto rapporto con la politica. Partendo dalle origini della mafia i due relatori descrivevano i rapporti con la politica approfondendo talune figure come quella del senatore Giulio Andreotti; affrontavano temi come la cultura dei pentiti e il loro utilizzo. Sulla relazione si dedicava un capitolo anche alla camorra, accusando la relazione di maggioranza di essere stata «totalmente carente sui fenomeni della altre associazioni mafiose»366, - a onor del vero Luciano Violante scrisse successivamente una relazione incentrata solo sulla camorra367. Veniva ripreso anche il tema dell‟espansione della mafia nelle regioni del Centro-Nord368; nell‟ottavo capitolo veniva messo in luce il coinvolgimento di alcuni agenti dei servizi segreti, particolare attenzione ricevette la questione del questore Bruno Contrada. Quest‟ultima vicenda veniva posta per dimostrare come le ramificazioni di Cosa nostra erano radicate così in profondità da intaccare oltre all‟organigramma politico, quello imprenditoriale arrivando sino a uomini dei servizi segreti e funzionari dello Stato. Il numero tre del Sisde prima di essere arrestato il 24 dicembre del 1992, per concorso esterno in associazione di tipo mafioso, ricoprì in Sicilia per oltre venti anni cariche di grande importanza come quella di Capo di Gabinetto del super Prefetto, nonché Alto Commissario per la lotta alla mafia, dottor Emanuele De Francesco. Venne indicato da collaboratori di giustizia come uomo ”a disposizione di Cosa nostra”369. 365 S. Porto, Mafia e fascismo. Il prefetto Mori in Sicilia, Armando Siciliano, Messina, 2001(1977), cit. in V. Coco M. Patti, Relazioni Mafiose cit., p. 10. 366 Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali similari, Relazione di minoranza sui rapporti tra mafia e politica, relatori on. Altero Matteoli e sen. Michele Florino, cit., p. 54. 367 La relazione verrà prima presentata in commissione il 21dicembre del 1993 e successivamente trasmessa ai presidenti delle due camere in data 15 febbraio 1994. 368 Anche qui c‟è da ricordare la relazione scritta dal senatore Carlo Smuraglia approvata in commissione il 13 gennaio 1994 e trasmessa ai presidenti delle due camere in data 19 gennaio 1994. 369 Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali similari, Relazione di minoranza sui rapporti tra mafia e politica, relatori on. Altero Matteoli e sen. 83 Il testo missino mirava a screditare tutti quei partiti che tradizionalmente avevano tirato le fila del potere sino a quel preciso momento. Venivano citate e riportate testimonianze nel tentativo di dimostrare che in realtà l‟unico partito non colluso con la mafia fosse appunto quello del Movimento sociale italiano. Si partiva innanzitutto dall‟aggiustare il tiro di certe dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, che, affermando che i voti della mafia ricadevano su tutti i partiti tranne Pci e Msi370, non coinvolgevano il Partito comunista. Veniva così impostato, già a partire dalle prime pagine del secondo capitolo, l‟atto di accusa contro l‟ex Pci371, elencando i misfatti a cui i comunisti avevano compartecipato. Per avvalorare tale tesi venivano presi in esame, oltre ad alcune dichiarazioni rilasciate da Vito Ciancimino, alcuni articoli del “Giornale di Sicilia”, come quello comparso il 26 ottobre 1984, nel quale si descriveva la spartizione degli appalti che coinvolse tanto gli ex-sindaci democristiani Elda Pucci e Giuseppe Insalaco, quanto il Partito comunista, che partecipò, al pari degli altri partiti, alla spartizione della “torta degli appalti”372. Un altro punto interessante di suddetta relazione appare quello affrontato nel sesto capitolo, l‟argomento “Andreotti e la ideologia dell‟omertà”. A partire dalla prima pagina veniva stilato un lungo elenco di nomi di politici accusati dai collaboratori di giustizia e sospettati di essere collusi con Cosa nostra. Erano davvero parecchi i nomi di senatori e deputati chiamati direttamente in causa dai pentiti e nella maggior parte dei casi gli onorevoli coinvolti facevano capo ad un partito in particolare, la Democrazia cristiana. Nel momento in cui la Dc venne messa sotto processo e la magistratura chiese l‟autorizzazione a procedere nei confronti del suo massimo esponente, il senatore Giulio Andreotti, la stessa ebbe un atteggiamento alquanto “schizofrenico” 373 : da una parte accantonò l‟ex-presidente del consiglio, dall‟altra inasprì lo scontro contro la Michele Florino cit., pp. 60-61; Si veda anche A. Dino (a cura di) Pentiti, cit.; su Bruno Contrada si veda la dichiarazione del collaboratore di giustizia Gaspare Mutolo in Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XXV, cit., deposizione di G. Mutolo, p. 1247. 370 Si vedano le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia in Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, T. Buscetta, Verbale cit., passim.; A. Calderone, Verbale XI, cit., passim.; L. Messina, Verbale XV, cit., passim.; G. Mutolo, Verbale XXV, cit., passim. 371 Nel 1991 dopo il congresso ci fu la nascita del Pds voluta da Achille Occhetto. Si veda G. Crainz, Il paese reale, cit., pp. 251-53. 372 A. Vaccarella, Eccolo la lista degli appalti rossi, «Il Giornale di Sicilia», 26 ottobre 1984. 373 Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali similari, Relazione di minoranza sui rapporti tra mafia e politica, relatori on. Altero Matteoli e sen. Michele Florino, cit., p.44. 84 magistratura presentando un esposto alla magistratura di Roma. All‟interno dello stesso partito si creò una spaccatura: mentre per bocca di Martinazzoli veniva confermata la fiducia verso un organo così importante dello Stato, d‟altro canto c‟era chi, come Gerardo Bianco, accusava il tentativo di destabilizzare i poteri dello Stato374. La relazione proseguiva descrivendo la carriera del senatore, elencando quei misfatti di cui, in tutta la sua lunga carriera di politico, si era macchiato. La demolizione della figura di Andreotti iniziava dall‟accusa di aver portato avanti il tentativo di far scattare il “golpe” Borghese per parare, sempre a detta dei due relatori, l‟ondata che stava per travolgere Sindona. Veniva ricostruita, nella fattispecie, l‟intera vicenda nel tentativo di dimostrare come ambienti più disparati come la massoneria - nello specifico la loggia P2 - la mafia, l‟ambiente bancario, quello politico e anche il massimo vertice del Governo avevano fatto quadrato intorno al bancarottiere Michele Sindona375. La relazione, poi, puntava l‟obiettivo sul connubio Andreotti-Lima che vedeva in quest‟ultimo, ritenuto il braccio destro del senatore, il primo referente politico che la mafia aveva a disposizione. Infatti, Lima era stato da sempre “chiacchierato” all‟interno dell‟ambiente della magistratura, come dimostrano vari documenti e soprattutto la sentenza del giudice Terranova del 23 giugno 1964, dove veniva messa in luce l‟antica amicizia che legava Salvo Lima ai fratelli La Barbera, Angelo e Salvatore 376. Per la relazione missina appariva chiaro: «Lima era amico dei mafiosi e ad Andreotti non dispiaceva starci accanto»377. Sempre il senatore veniva poi inserito nella vicenda che aveva portato all‟assassinio del generale Dalla Chiesa. Si citava, così, il famoso incontro del 5 aprile 1982 annotato sul diario del generale378, si ripercorrevano le fasi del processo e si menzionavano le dichiarazioni di alcuni pentiti che lo accusavano per gli omicidi sia del generale Dalla Chiesa che del giornalista Pecorelli379. A conclusione del paragrafo, che concludeva la relazione missina, si palesava la speranza che il boss mafioso Gaetano Badalamenti, chiamato in causa dai pentiti, Si veda l‟artico di G. Luzi, La crociata per Giulio ha spaccato la DC, «la Repubblica», 6 aprile 1993. Su Michele Sindona si veda S. Lupo, Che cos’è la mafia, cit., pp. 48-53; Idem, Storia della mafia, cit., pp. 308-312. 376 Sulla storia dei fratelli La Barbera si veda S. Lupo, Storia della mafia, cit., pp.258-59. 377 Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali similari, Relazione di minoranza sui rapporti tra mafia e politica, relatori on. Altero Matteoli e sen. Michele Florino, cit., p.45. 378 S. Lupo, Che cos’è la mafia, cit., p.62; Idem, Storia della mafia, cit. p.308. 379 Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali similari, Relazione di minoranza sui rapporti tra mafia e politica, relatori on. Altero Matteoli e sen. Michele Florino, cit., p. 52. Cfr. S. Lupo, Storia della mafia, cit., p.303. 374 375 85 potesse, in un futuro alquanto prossimo, confermare tale tesi, esortando il Parlamento ad attuare controlli più severi, affinché il Badalamenti non finisse, come Sindona e Pisciotta, ucciso in carcere da un caffè omicida380. Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali similari, Relazione di minoranza sui rapporti tra mafia e politica, relatori on. Altero Matteoli e sen. Michele Florino, cit., p. 52. 380 86 III.4 La relazione radicale Con la relazione sui rapporti fra mafia e politica (mafia e politica in Sicilia, per dire meglio) approvata a larghissima maggioranza, con i voti favorevoli di DC, PDS, PSI, Lega Nord, PSDI, PRI, PLI, Verdi, Misto, la Commissione antimafia ha perso una grande occasione di pulizia, piegandosi ad uno degli ultimi - è da augurarsi- compromessi possibili del regime partitocratico e consociativo381. Si apre con queste dichiarazioni al veleno la seconda e ultima relazione di minoranza presentata alla Commissione antimafia dal Partito radicale. La relazione radicale rappresenta quasi un manifesto del partito. Nei vari paragrafi che si susseguono nel testo vengono elencati ad uno ad uno i punti del pensiero radicale. Per Taradash la Commissione antimafia non aveva voluto intraprendere il difficile cammino verso la verità, e fu per questo che egli presentò il suo punto di vista. Più che una relazione che esaurisce il punto sui rapporti tra mafia e politica, il documento appare come «una simulazione di laboratorio»382, per tracciare la strada per una futura relazione su di un tema tanto difficile come quello sui rapporti tra mafia e politica. Dopo aver posto una serie di domande retoriche nei primi paragrafi del testo a partire dal secondo capitolo iniziava l‟atto di accusa verso quell‟opposizione di sinistra che nel corso degli anni era stata del tutto assente e/o compiacente. Dal secondo dopoguerra in poi, a giudizio del radicale, era completamente mancata quella parte di opposizione tanto decantata dalla sinistra, col Pci in testa. Gli accordi politici e di sottogoverno tra partiti di maggioranza, Dc in primo luogo, e Pci erano state una sorta di costante della storia della Repubblica In Sicilia il consociativismo assunse infatti caratteri particolari, influenzando tutti gli aspetti della vita economica e civile della regione, già a partire dal lontano 1958 quando il presidente della regione era Silvio Milazzo, il “democristiano dissidente”383. Infatti, il milazzismo rappresentava, a detta del radicale, un caso clamoroso di consociativismo. Al suo interno orbitavano i gruppi più disparati: da alcuni democristiani, in rotta con Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali similari, Relazione di minoranza sui rapporti tra mafia e politica, relatore on. Marco Taradash, XI legislatura, doc XXIII, n. 2-ter, Roma, 1993, p 1. 382 Espressione utilizzata da Taradash in ivi, p.12. 383 Ivi, p. 13. 381 87 Roma, ai monarchici, missini, socialisti e comunisti - quest‟ultimi a dare il loro appoggio dall‟esterno. Secondo la ricostruzione radicale il Governo Milazzo avrebbe influenzato la vita politica in Sicilia per gli anni a venire. La Sicilia aveva ereditato infatti il definitivo degrado dell‟idea di autonomia e la consuetudine all‟intrigo politico, al trasformismo e all‟affarismo. Era sicuramente nella gestione dei finanziamenti pubblici che si ritrovava la più durevole influenza del milazzismo sulla successiva storia politica, economica e sociale dell‟isola. Per avvalorare tale idea veniva presa ad esempio la costituzione della Sofis384. Attraverso i crediti partecipati, la Sofis acquisiva quote ed azioni di società nate già fuori da logiche di mercato. Si trattava, in particolare, di aziende in difficoltà economiche che venivano finanziate dalla Sofis stessa, che, invece di richiedere nuovamente indietro le somme prestate, acquisiva le quote delle suddette società. Ad amministrare il tutto c‟erano alcuni personaggi che condizionarono la vita della regione per oltre un trentennio: l‟avvocato Vito Guarasi385, il professor Francesco Pignatone, l‟avvocato Francesco Morgante e l‟ingegner Domenico La Cavera386. La Sofis interpretò, sotto il profilo economico e imprenditoriale, una perfetta forma di consociativismo fra i poteri, che trovò la perfetta corrispondenza in campo politico. Due facce della stessa medaglia insomma che al di là degli apparenti scontri tra maggioranza e opposizione, esprimeva, in realtà, una totale convergenza di scelte e d‟interessi387. A parere del radicale, la sinistra, con Pci in testa, fu pienamente corresponsabile delle degenerazioni partitocratiche e della parallela crescita mafiosa. Questo punto di vista appare completamente all‟opposto di quello presentato dalla relazione di maggioranza dove veniva espresso, su un binario parallelo a quello delle indagini giudiziarie in corso in quel periodo, un atto di accusa verso la sola Dc, o meglio verso quel settore della Democrazia cristiana gravitante lungo l‟asse LimaCiancimino-Andreotti. Nella terza e ultima parte la relazione analizzava il tema del narcotraffico. Taradash iniziava un‟analisi molto lucida su quello che era stato il falso mito della mafia Cfr. Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia, Relazione dell’on. Niccolai, VI legislatura, doc. XXIII, Roma, p. 1106. 385 Ivi, p. 1089-94. 386 Su La Cavera si veda Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia, Relazione dell’on. Niccolai, cit., p. 1096. 387 Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali similari, Relazione di minoranza sui rapporti tra mafia e politica, relatore on. Marco Taradash, cit., p. 14. 384 88 tradizionale che per ragioni morali o di costume rifiutava di occuparsi del traffico di droga388. Infatti, andavano estirpati due stereotipi persistenti – che i mafiosi alla don Corleone nel “Il Padrino” fossero riluttanti a imbattersi nel commercio di droga e che in Sicilia essi si occupavano esclusivamente di faccende rurali fino agli anni ‟60. I mafiosi erano implicati in traffici di droga da moltissimo tempo. Persino prima della guerra, nel 1935, Serafino Mancuso fu condannato da un tribunale degli Stati Uniti a quarant‟anni di carcere per spaccio di stupefacenti. Espulso nel 1947, tornò ad Alcamo dove riprese insieme con il fratello ciò che doveva essere un‟attività di lungo periodo389. Il Mancuso ovviamente non era il solo che in quest‟ambiente trafficava in stupefacenti. Lo scambio transoceanico tra la Sicilia e gli Stati Uniti fin dagli anni Venti rappresentò il canale principale per il contrabbando di droga. Nascosti nelle casse d agrumi, oppio e morfina, viaggiavano da Palermo a New York in quantità tali da provocare per rappresaglia una serie di restrizioni commerciali da parte americana390. Calogero Orlando, nato a Terrasini, partito per Detroit nel ‟22 con quattrocento dollari, tornò nel ‟28 con ottocento dollari; nel corso di un continuo viavai tra America e Sicilia e Spagna si arricchì con l‟import-export di olio e formaggi, con la fabbricazione e il commercio di sardine e acciughe salate - almeno a suo dire. Infatti secondo la polizia la merce che trattava era la droga391. L‟elenco continua con Jimmy l‟americano, alias Pietro Davì, ritornato dal ritornato dagli Stati Uniti nel ‟34,viene arrestato nel ‟35 a Milano per traffico di droga392. L‟analisi di Taradash continuava con la stima dei profitti legati al traffico di droga e i traffici del riciclaggio di denaro sporco. Veniva stimato che all‟epoca, secondo i dati rilasciati dal GAFI (gruppo di azione finanziaria internazionale), venivano riciclati una somma proveniente dal traffico di droga, oscillante tra i centoventi e i centocinquanta miliardi di dollari. In Italia l‟ISTAT stimava cifre più prudenti, parlando di un mercato A tal proposito rimando a S. Lupo, Quando la mafia trovò l’America, cit., pp. 232-34. Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali similari, Relazione di minoranza sui rapporti tra mafia e politica, relatore on. Marco Taradash, cit., p.22. 390 S. Lupo, Storia della mafia, cit., p. 260; Per l’esportazione agrumaria, in «Sicilia Nuova», 19 marzo 1926, in S. Lupo, Storia della mafia, cit. p. 260; Si veda anche la cronaca del sequestro di 100 kg di morfina in partenza per New York, «Giornale di Sicilia», 24 luglio 1926, cit. in S. Lupo, Storia della mafia, cit., p. 260. 391 Tribunale di Palermo. Sentenza contro F. Garofalo e altri, 31 gennaio 1966, in Antimafia, Doc., XIV, t. XIV, cit. in S. Lupo, Storia della mafia, cit., p. 260. 392 S. Lupo, Storia della mafia, cit., p. 160; Cfr. Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia, Relazione sul traffico mafioso di tabacchi e stupefacenti nonché sui rapporti tra mafia e gangsterismo italo-americano, relatore senatore Michele Zuccalà, VI legislatura, doc. XXIII, Roma, pp. 333-34. 388 389 89 che oscillava tra i novemilacinquecento e i tredicimila miliardi, di cui settemila per la sola eroina393. Taradash chiudeva la sua relazione sia sottolineando l‟abisso che la distanziava dall‟analisi fatta nella relazione di maggioranza sia introducendo una serie di proposte. Prima fra tutte la riforma elettorale. Una riforma del meccanismo elettorale in senso uninominale maggioritario ad un turno avrebbe ridotto, a parer suo, le possibilità d‟influenza dei gruppi mafiosi. Il radicale giudicava anche necessaria la riforma di quel sistema imperniato sulla strategia proibizionista rilevatosi impotente dinanzi alla diffusione della droga e al suo consumo, e che aveva favorito l‟espansione e il consolidamento delle organizzazioni criminali, sempre più potenti sia economicamente che politicamente, con effetti devastanti nel tessuto civile del paese394. Per Taradash alla Commissione antimafia era mancato il coraggio di compiere quegli atti di verità e di chiarezza che sarebbero serviti a costruire un futuro migliore. E il fatto che il testo di maggioranza fosse stato approvato alla quasi unanimità parlava chiaro. Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali similari, Relazione di minoranza sui rapporti tra mafia e politica, relatore on. Marco Taradash, cit., pp. 26-27; Cfr. L. Violante, La mafia dell’eroina, cit., pp. 127-61. 394 Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali similari, Relazione di minoranza sui rapporti tra mafia e politica, relatore on. Marco Taradash, cit., p. 31. 393 90 Capitolo quarto La relazione di maggioranza IV.1 Azione-reazione Finora siete stati a guardare, ora state facendo qualche passo importante […]. Se si molla, Cosa nostra avrà il tempo di riorganizzarsi. Non dobbiamo attaccare sempre lo Stato facendo il gioco di Cosa nostra. No, in questo momento lo Stato va aiutato nel suo sforzo395. Con queste parole Leonardo Messina, durante l‟audizione del 4 dicembre del 1992 davanti ai membri della Commissione antimafia, ben sintetizzava l‟animo di sfiducia che seguì le stragi di quello stesso anno. Inquadrando la relazione di maggioranza in quel piccolo lasso di tempo, appena un biennio - dal 1992 al 1993 -, si può scorgere in essa la risposta alla necessità che si era insinuata in gran parte dell‟opinione pubblica italiana di una moralizzazione tanto politica quanto istituzionale, in particolare per quel che concerneva la lotta alla mafia. Si voleva confidare in un intervento salvifico della magistratura, la quale avrebbe traghettato la Repubblica verso una seconda fase, chiudendo repentinamente coi misfatti della prima. La testimonianza di Leonardo Messina era emblema di quel messaggio fatto passare dallo stesso Violante che, nel documento finale, sintetizzava lo statu quo che per molti anni aveva visto le istituzioni italiane inermi di fronte al dilagare del fenomeno mafioso, con cenni di reazione in occasione di qualche clamoroso omicidio di stampo mafioso396. Partendo da questi presupposti, Violante si poneva come il portatore di un risanamento morale e il condottiero di un‟azione duratura e di una lotta alla mafia non più limitata «da esigenze di politica internazionale e interna, negoziazione istituzionale e tendenze isolazioniste in Sicilia»397. Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XV, cit., deposizione di L. Messina, pp. 531-32. 396 Lo stessa visione è riproposta da Violante in. L. Violante (a cura di), Mafie e antimafia. Rapporto ’96, cit., pp. VII-XV;Id., Il ciclo mafioso, Laterza, Roma-Bari, 2002. 397 Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Relazione sui rapporti tra mafia e politica, relatore on. Luciano Violante, cit., p. 53. 395 91 Da qui la denuncia di tutto ciò che concorse a creare un clima di “coabitazione”, nel quale si erano sviluppate le connessioni tra mafia e politica. Violante, tanto per cominciare, sosteneva polemicamente che non era un caso che anche stavolta l‟azione repressiva delle istituzioni aveva iniziato a muoversi dopo gli sconcertanti attentati del 1992398, superando i forti ritardi e i rimandi che si erano profilati all‟orizzonte prima di quei fatti. La relazione di maggioranza descriveva quella paralisi a cui era approdata la lotta alla mafia attraverso un‟analisi storica dello sviluppo delle connessioni tra mafia, politica e istituzioni a partire dal secondo dopoguerra in poi. L‟accusa era diretta in primis ai vertici della Dc regionale, con Salvatore Lima in testa, poiché si segnalava come avessero favorito, o in ogni caso come non avessero osteggiato, la connivenza tra istituzioni e mafia399. Nel testo si affermava che l‟azione repressiva procedeva a “fisarmonica”400, nel senso che prevedeva un reazione all‟organizzazione mafiosa solo quando quest‟ultima attaccava, per poi tornare subito dopo allo stato precedente di tacita coabitazione tra istituzioni e mafia. Il direttore del Sisde Angelo Finocchiaro, nel corso dell‟audizione davanti alla Commissione401, iniziava la sua deposizione sottolineando come gli stessi servizi erano tirati in causa solo in ”momenti particolari”: A tal fine ricordo pure che la competenza dei servizi in tema di criminalità organizzata[…] può essere suddivisa in due tempi e che lo spartiacque è rappresentato dalla legge n. 410 del 30 dicembre 1991. Prima di tale data i servizi non avevano competenza istituzionale nei confronti della criminalità e soltanto in momenti particolari, soprattutto allorquando l'attività criminale si è espressa con manifestazioni eclatanti […] hanno svolto un'attività saltuaria in materia402. Anche l‟onorevole Ayala durante la fase dibattimentale sul testo di relazione valorizzava il fatto che, nel documento, Violante si fosse soffermato su un punto di 398 Ivi, p. 73. Ivi, p.67. 400 Ivi, p. 54. 401 L‟audizione davanti alla Commissione antimafia si svolse il 12 gennaio 1993. 402 Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XIX (audizione del prefetto Angelo Finocchiaro, direttore del Sisde), deposizione di A. Finocchiaro, p. 697. Si veda anche L. Violante, Il ciclo mafioso, cit., pp. 71-74. 399 92 estrema importanza, ricostruendo nella fattispecie la risposta dello ”Stato”403 al fenomeno mafioso. Ayala, che non a caso aveva lavorato per parecchi anni al fianco di Falcone e Borsellino, svolgendo anche il ruolo di pubblico ministero durante il primo maxiprocesso, giudicava la riposta istituzionale basata sulla logica dell‟”emergenza emergenziale”404: Io l'ho sempre definita basata sulla logica dell'emergenza, emergenziale. Ed ho sempre ritenuto che questo sia stato il grande limite perché accostare il termine emergenza […] ad un fenomeno che è più vecchio dello Stato italiano, poiché la mafia esisteva già prima del 1861, è la più grande contraddizione in termini che si possa immaginare. Parlare di emergenza terroristica va benissimo: il terrorismo non c'era, è esploso, ha avvilito la qualità della vita democratica del paese; quell'emergenza andava affrontata in termini emergenziali, perché tale era. Ma è stato un limite l'aver affrontato o tentato di affrontare la mafia con una risposta emergenziale; perché è vera un'altra affermazione, cioè che la forza della mafia è tutta derivata dalla debolezza dello Stato, non è una forza autonoma: è ovvio, scontato ma è giusto, a scanso di equivoci, che sia chiarito405. La tesi portata avanti, insomma, era quella che la mafia in passato non aveva ricevuto particolari attenzioni se non per atti veramente scellerati. Si pensi alla strage di Ciaculli del 1963 che costò la vita ai cinque carabinieri e ai due militari intervenuti per disinnescare l‟esplosivo406; a seguito di quell‟eccidio si ruppe lo stallo in cui giaceva la nomina della nuova Commissione antimafia, dopo lo scioglimento anticipato delle Camere nel ‟63407; infatti, di fronte al clamore suscitato dalla strage di Ciaculli si insediò la Commissione presieduta dal democristiano Pafundi408. Violante faceva emergere l‟azione a “fisarmonica” dello Stato sottolineando come tutte quelle leggi che erano nate per contrastare la mafia venivano approvate solo dopo e in conseguenza di gravi delitti. Ne erano un esempio la legge sulle misure preventive del 31 maggio 1965, provvedimento figlio della reazione delle istituzioni dopo l‟eccidio di Ciaculli; la proposta di legge presentata dal deputato comunista Pio La Torre409 il 31 Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XXXV, cit., intervento di G. M. Ayala, p. 1719. 404 Ibidem. 405 Ibidem. 406 Cfr. S. Lupo, Storia della mafia, cit., p. 272; Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia, Relazione conclusiva, relatore Luigi Carraro, cit., p.195. 407 S. Lupo, Antipartiti, cit., p.65. 408 Cfr. V. Coco, L’antimafia dei comunisti, cit., p. 24. 409 La legge passata alla storia come Rognoni-La Torre (Legge del 13 settembre 1982, n. 646.) rivoluzionò la giurisprudenza in materia di lotta alla criminalità organizzata, istituendo l‟associazione di tipo mafioso e definendone la fattispecie:«L‟associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno 403 93 marzo del 1980 che sino al 1982 aveva visto l‟approvazione di un solo articolo e che venne approvata nel giro di dieci giorni dopo lo sgomento provocato dalla morte del generale Dalla Chiesa410; le integrazioni alla legge La Torre e la concessione di più incisivi poteri all‟Alto Commissario Antimafia411 volute subito dopo l‟omicidio del presidente di sezione della Corse d‟Assise d‟Appello di Palermo Antonino Saetta, avvenuto nel settembre 1988. La morte del giudice Saetta era legata a due processi contro la mafia dei quali il giudice si stava occupando in quel periodo: quello sull‟omicidio del giudice Chinnici che vedeva imputati i Greco di Ciaculli412 e quello relativo all‟uccisione del capitano dei carabinieri Basile, che incolpava i boss Puccio, Bonanno e Madonia413come esecutori del delitto. La ricostruzione che si evinceva dal testo era che le leggi che gravitavano attorno all‟azione antimafia erano sempre dettate da omicidi eccellenti o eclatanti che colpivano straordinariamente l‟opinione pubblica, come avvenne anche per l‟omicidio del giovane magistrato Rosario Livatino (la sua morte, avvenuta il 21 settembre del 1990, non fu voluta da Cosa nostra ma da un organizzazione rivale, la” Stidda” di Agrigento414). Non era casuale, poi, che Violante proseguisse la sua analisi valorizzando tutte quelle leggi approvate nei primi anni novanta. Il punto era che si voleva collocare in quel parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri ovvero al fine di impedire o ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali». 410 Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Relazione sui rapporti tra mafia e politica, relatore Violante, cit., p. 54. 411 Ivi, p. 55. 412 La sentenza del processo per l‟omicidio del giudice Chinnici venne emessa nel dicembre 1988, i fratelli Greco furono assolti dall‟accusa di strage e condannati per associazione mafiosa a pochi anni di carcere. Si veda anche F. De Pasquale E. Iannelli, Così non si può vivere. Rocco Chinnici: la storia mai raccontata del giudice che sfidò gli intoccabili, Castelvecchi, Roma, 2013. 413 II processo Basile ha una storia assai particolare. Il 23 febbraio 1987 la prima sezione penale della Cassazione annullò le condanne inflitte per l'omicidio del capitano Basile, sostenendo, con una brusca innovazione giurisprudenziale (con un solo precedente: sez. I, 30 gennaio 1980, Muscovich), che l'omissione dell'avviso agli avvocati del giorno dell'estrazione a sorte dei giurati comportava nullità assoluta. Quattro mesi dopo, il 27 giugno 1987, La Rocca e le sezioni unite ristabilirono la precedente giurisprudenza, ma ormai l'annullamento era stato pronunciato. Gli sviluppi furono tragici. La Corte d'Assise d'Appello, presieduta dal dottor Saetta, ricondannò gli imputati. Il presidente Saetta venne ucciso il 25 settembre 1988, mentre cominciò a circolare il suo nome come probabile presidente per l'appello relativo al maxiprocesso. La prima sezione della Cassazione annullò di nuovo il 7 marzo 1989 la sentenza di condanna, questa volta per difetto di motivazione. Alla fine gli imputati furono condannati con sentenza divenuta definitiva. Cfr. Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Relazione sui rapporti tra mafia e politica, cit., p. 33. 414 Dell‟esistenza delle “stidde” fu il collaboratore di giustizia Leonardo Messina a parlarne; alla domanda posta da Violante su cosa fossero esattamente, il Messina rispondeva: «Le "stidde" sono un'espressione di Cosa nostra. Un uomo messo fuori confidenza che punge altri uomini diventa "stidda". Si comporta precisamente come i mafiosi» in Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XV, cit., deposizione di L. Messina, p. 542. 94 frangente una svolta e a riprova di ciò il relatore citava le leggi in materia di sequestri di persona e di protezione dei collaboratori di giustizia415; i provvedimenti di buon andamento dell‟attività amministrativa416; le leggi relative allo scioglimento dei consigli comunali inquinati417; quelle sull‟irrigidimento del processo penale, sulla trasparenza degli appalti e sull‟attività amministrativa418; le leggi di coordinamento dell‟attività antimafia della polizia419; le norme sulla limitazione dell‟elettorato passivo per gli imputati di reati di mafia420; il decreto legge anti-racket421. Ma anche questi interventi, sottolineava a rigor di cronaca Violante, erano stati preceduti o accompagnati da un forte clima di tensione dovuto a un eccezionale numero di omicidi in quelle regioni tradizionalmente infestate dalla mafia422. Il decreto-legge anti-racket, ad esempio, venne presentato il 31 dicembre del 1991 solo dopo l‟omicidio a Palermo dell‟imprenditore Libero Grassi avvenuto il 29 agosto del 1991. Ma si pensi anche alla reazione che si ebbe dopo la morte del giudice Falcone - avvenuta il 23 maggio del 1992 - e quella, a distanza di due mesi, del giudice Paolo Borsellino - il 19 luglio. I due eccidi scatenarono tanto nella società civile quanto nelle istituzioni una reazione senza precedenti. In quel contesto ci fu una repressione dei livelli militari della mafia che portò all‟arresto di boss latitanti da anni, primo tra tutti Totò Riina, riconosciuto da molti come il capo dei capi423. Retoricamente la relazione si interrogava anche sul perché di tutte quelle occasioni perse per eliminare una pericolosa “coabitazione”. Violante ricordava, ad esempio, le confessioni rese negli anni Settanta da Leonardo Vitale424 e dal boss Giuseppe Di 415 Legge del 15 marzo 1991, n. 197. Legge del 12 luglio 1991, n. 203. 417 Legge del 22 luglio 1991, n. 221. 418 Legge del 13 maggio 1991, n. 152. 419 Legge del 30 dicembre 1991, n. 410 ; Legge del 20 gennaio 1992, n. 8. 420 Legge del 18 gennaio 1992, n. 16 421 Decreto-legge del 31 dicembre 1991, n. 419. 422 Gli omicidi di mafia furono 226 nel 1988, 377 nel 1989, 557 nel 1990, 718 nel 1991. Dati desunti dai dossiere «Andamento della criminalità. Situazione aggiornata», relativi agli anni 1989, 1990, 1991, redatti dal Ministero dell'interno, in Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Relazione sui rapporti tra mafia e politica, relatore Violante, cit., p. 55. 423 L‟arresto del boss mafioso avvenne il 15 gennaio 1993. La vicenda del suo arresto rimane ancora oggi avvolta nel mistero. Tra i fautori della trattativa stato-mafia si sostiene che fu Provenzano a svelare il nascondiglio del boss, negando quello che fin‟ora era stata la versione ufficiale che legavano l‟arresto del boss avvenuto dopo le rivelazioni del collaboratore di giustizia Baldassarre Di Maggio. Sulla presunta trattativa si veda G. Fiandaca S. Lupo, La mafia non ha vinto, cit. 424 Il mafioso Leonardo Vitale che il 30 marzo 1973 si presentò spontaneamente alla squadra mobile di Palermo, confessò delitti da lui stesso commessi, riferì notizie di eccezionale rilievo su Cosa Nostra; nel giudizio, venne ritenuto attendibile e condannato solo per le accuse che riguardavano se stesso; venne invece ritenuto seminfermo di mente e non attendibile per le accuse rivolte agli altri componenti di Cosa 416 95 Cristina425 che non furono sfruttate adeguatamente da delle autorità associate a quel malaffare statale che aveva caratterizzato il periodo precedente; la reazione, si sottolineava ancora una volta, si arenava quando le acque si erano del tutto calmate. L‟esempio più clamoroso fu dato dal periodo successivo alla prima guerra di mafia, che vide un‟iniziale grande mobilitazione - fecero seguito numerosi arresti, invii al confino, le inchieste del giudice Terranova, le inchieste della Commissione antimafia- e un conclusivo nulla di fatto. Sembrò quasi di rivedere la prassi descritta da Sciascia nella sua novella Filologia dove i mafiosi, ascoltando i consigli dei notabili, scelsero il ritorno alle prudenze antiche426. Le testimonianze dei pentiti descrivevano una mafia al collasso: «Cosa nostra non è più esistita nel palermitano dopo il 1963 – affermava Antonino Calderone – Era K.O. […] sembrò andare allo sbando. Basta pensare che il capo della commissione provinciale di Palermo, Totò Greco “Cicchiteddu”427, abbandonò la carica ed emigrò in Venezuela»428. La tesi era avvalorata anche dalle dichiarazioni di Buscetta, il quale affermava che nel 1963 le famiglie mafiose si erano sciolte a causa della repressione: «La polizia a quell‟epoca fece sul serio, veramente. Mandò in galera tutto il fior fiore e disturbò gli altri mandandoli al confino […]. La commissione che era stata costituita da Salvatore Greco, detto Cicchiteddu, si sbandò. Allora si sciolsero tutte le famiglie»429. Ma dopo la prima reazione si ebbe la frenata. Così dai processi di Catanzaro prima e Bari poi430, i nostra; uscì dal carcere nel giugno 1984, fu ferito gravemente in un agguato il 2 dicembre dello stesso anno e morì cinque giorni dopo. Si veda S. Lupo, Storia della mafia, cit. p. 249-52. 425 Il 25 agosto 1978 i carabinieri di Palermo presentarono alla Procura di quella città un rapporto giudiziario scaturente dalle confessioni spontaneamente rese da Giuseppe Di Cristina, boss di Riesi, e dalle indagini conseguenti. Di Cristina aveva anticipato la guerra di mafia che porterà i corleonesi ai vertici di Cosa Nostra; aveva annunciato l'omicidio di Cesare Terranova (che verrà ucciso il 25 settembre 1979); aveva indicato la famiglia dei Brusca di San Giuseppe Jato come una tra le più pericolose alleate dei corleonesi; aveva svelato l'organigramma delle famiglie mafiose; aveva fornito informazioni nuove ed assai rilevanti sul traffico di stupefacenti. Ma sulla base di quel rapporto non venne compiuta alcuna indagine. Si veda S. Lupo, Storia della mafia, cit. p. 296. 426 L. Sciascia, Filologia, in Id., Il mare colore del vino, Einaudi, Torino, 1973, pp. 88-96, cit. in G. Fiandaca e S. Lupo, La mafia non ha vinto, cit., pp. 12-15. 427 Sulla famiglia Greco si veda S. Lupo. Storia della mafia, cit., pp. 235-37. 428 Cfr. P. Arlacchi, La mafia imprenditrice: l’etica mafiosa e lo spirito del capitalismo, Il Mulino, Bologna, 1994. p. 89-90, in A. Silj, Malpaese: criminalità, corruzione e politica nell’Italia della prima Repubblica, 1943-1994, Donzelli, Roma, 1994, p. 362; P. Arlacchi, Gli uomini del disonore: la mafia siciliana nella vita del grande pentito Antonino Calderone, Mondadori, Milano, 1992; S. Lupo, Storia della mafia, cit., p. 272. 429 Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XII, cit., deposizione di T. Buscetta, p.356. 430 Cfr. Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Relazione sui rapporti tra mafia e politica, relatore Violante, cit., p.91; S. Lupo, Storia della mafia, cit., p. 272; V. Coco, L’antimafia dei comunisti,cit., p. 26. 96 boss e gli esponenti dell‟organizzazione, protagonisti della prima guerra di mafia431, ne uscirono indenni. Infatti, la corte di Catanzaro emise una mite sentenza e soltanto un numero limitato di mafiosi riportò condanne pesanti, mentre la stragrande maggioranza degli imputati riuscì a cavarsela con pene miti e con l‟assoluzione, a testimonianza di come il sistema penale fosse, nei confronti dei contesti criminosi organizzati, fragile, impotente, corrotto secondo molti; infatti tutto ciò fu visto come il simbolo dello stato di coabitazione che regnava tra istituzioni - o parte di esse - e mafia. C‟è da dire che all‟epoca non si ebbe la capacità di vedere nella sua interezza il fenomeno mafioso; non era condivisa l‟esistenza reale di una sola organizzazione piramidale e di norme e criteri comuni segreti posti a regolare i comportamenti delittuosi. C‟era chi nemmeno credeva all‟esistenza della mafia. Ad esempio, l‟idea dei giudici di Catanzaro era quella dell‟esistenza di una galassia di molti gruppi criminali indipendenti che si muovevano sullo sfondo di una cultura individualista e assai negativamente reattiva nei confronti dello Stato: la generale illegalità del tessuto sociale siciliano tendeva a coprire l‟occulta struttura mafiosa che finiva per restare del tutto incomprensibile con gli strumenti interpretativi del tempo. Oggi è impossibile negare la mancata reazione come anche la copertura data in gran parte dalla Democrazia cristiana. Ma va anche rilevata l‟insufficienza e l‟impossibilita giuridica di contestualizzare singoli delitti in un quadro così complesso con il solo ausilio di fonti confidenziali che finivano per rivelarsi pressoché inutili, viste le reiterate procedure minatorie esperite contro i testimoni, che spesso si rifiutavano di testimoniare e ritrattavano tutto, e che dettero così una mano agli imputati, i quali vedevano cadere i capi di accusa uno dopo l‟altro. Questa sostanziale incapacità a comprendere l‟unità sostanziale del fenomeno spiegava il perché non si fosse riusciti a mettere in campo sino alla fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta, ovvero tra inizio e fine del maxiprocesso, un‟azione di contrasto più sinergica e realmente efficace. Se questo era il quadro offerto dalla relazione, non bisogna tuttavia dimenticare che si trattava pur sempre di un documento politico. Esso deve essere letto alla luce della volontà di scardinare una parte di quel sistema politico nato alla fine della guerra e che mai aveva lasciato il timone del comando. Assumendo quest‟ottica, è necessario rapportarsi alla struttura di un testo approvato quasi all‟unanimità da quei membri della 431 Cfr. S. Lupo, Storia della mafia, cit., pp. 270-72. 97 IV Commissione antimafia con un atteggiamento smaliziato, tenendo conto che la pressione esercitata su essi da parte dell‟opinione pubblica alimentò un clima di cesura che accompagnerà i lavori di questa Commissione, i quali diedero ad alcuni la possibilità di sfruttare quanto stava accadendo come trampolino politico, in vista del rivolgimento del 1994. 98 IV.2 La massoneria come trait d’union tra mafia e politica La relazione di maggioranza inquadrò il problema di come le organizzazioni criminali, in particolar modo Cosa nostra, si fossero pian piano inserite nei gangli del potere intrecciando i propri interessi a quelli di altri gruppi. Dalle dichiarazioni dei pentiti estrapolate dai verbali di Commissione sembra risulti essere assodato che la mafia siciliana venne in contatto con logge massoniche, e che alcuni tra i più importanti boss fossero massoni. Tuttavia, nella relazione, Violante, nel descrivere il nesso che univa la massoneria a Cosa nostra, poneva l‟attenzione sulla capacità dell‟organizzazione mafiosa di muoversi in completa autonomia: «Cosa nostra ha una propria strategia politica […]. La strategia politica di Cosa nostra non è mutata da altri»432. La relazione tracciava le linee storiche di questo sodalizio raccogliendo le testimonianze dei collaboratori di giustizia. L‟esempio più calzante sembra quello dell‟incontro tra alcuni boss mafiosi e Junio Valerio Borghese nel dicembre del 1970, con lo scopo di coinvolgere la mafia nel tentativo di colpo di stato. A fare da mediatori furono esponenti della massoneria. Tale scenario era stato svelato da Tommaso Buscetta che, rievocando la precedente confessione resa nel 1984, aveva riproposto il fatto davanti alla Commissione antimafia: Chi parlò di Borghese a Cosa nostra sono i massoni. Pippo Calderone o Giuseppe Di Cristina non conoscevano Borghese. Quindi l'appuntamento viene dato dal fratello di Carlo Morana a Pippo Calderone e a Giuseppe Di Cristina. […] Quando poi vanno a Roma, si vanno ad incontrare personalmente con Borghese e nasce quel fatto433. Da qui, stando alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia, prese piede l‟azione eversiva della mafia che tese a “scassare la credibilità dello Governo italiano”434 attraverso una serie di attentati per favorire il golpe. A confermare tale scenario fu Antonino Calderone, che ricordava come il fratello Pippo in quell‟occasione ricevette le informazioni sul piano dallo stesso Borghese, il quale invitava i membri Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Relazione sui rapporti tra mafia e politica, relatore on. Luciano Violante, cit., p. 40. 433 Cfr. Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XII, cit., deposizione di T. Buscetta, p. 392. 434 Ivi, p. 396. 432 99 dell‟organizzazione a tenersi pronti nel caso in cui a “Roma sentiste sparare qualche colpo”435. Seguendo lo schema proposto dalla Commissione antimafia, Cosa nostra avrebbe condotto una guerra non ortodossa che mirava ad aumentare il disordine nel paese; a ciò era dovuta la partecipazione al progetto Borghese, che si avvalse anche dell‟appoggio sia dei servizi segreti che di Gelli. La ragnatela complessa di interessi e rapporti tra le diverse forze eversive cominciò a emergere già nell‟ambito dell‟attività di due Commissioni parlamentari d‟inchiesta, quella sul caso Sindona e quella sulla loggia massonica P2. Nella prima veniva esaminato il finto rapimento del bancarottiere, che aveva portato Michele Sindona a compiere un viaggio in Sicilia con destinazione Palermo. Il bancarottiere fu prima accompagnato da Antony Caruso, figlioccio del mafioso Joseph Macaluso, e poi dallo stesso boss italo-americano in persona. Sindona non fece tappa direttamente in Sicilia, infatti soggiornò prima per qualche giorno a Vienna e ad Atene436. Proprio nella capitale greca si aggregò ai due un terzo elemento che accompagnerà Sindona sino al termine del suo soggiorno palermitano: Joseph Miceli Crimi. Il medico massone, legato al boss John Gambino, era stato l‟artefice della preparazione del rientro di Sindona in Italia mettendosi in contatto con Giacomo Vitale, massone e cognato di Stefano Bontate, e Michele Barresi, anch‟esso massone437. Nella seconda inchiesta parlamentare veniva ripercorsa, oltre alla nascita della loggia Propaganda 2, la vicenda che legava Licio Gelli all‟ambiente mafioso438. Fin qui il testo di Violante evidenziava come le relazioni che intercorrevano tra le due organizzazioni erano poste come una sorta di cooperazione. Le richieste sollecitate dalla massoneria erano talora accolte da Cosa nostra in una logica utilitaristica. La mafia, ribadiva il presidente della Commissione antimafia, «conservò sempre la sua autonomia Cfr. Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XI, cit., deposizione di A. Calderone, p. 300. 436 Cfr. G. Cipriani, I mandanti. Il Patto strategico tra massoneria mafia e poteri politici, Editori Riuniti, Roma, 1993, pp. 23-25. 437 Ibidem. 438 Sulla vicenda P2 oltre alla Relazione della Commissione parlamentare d‟inchiesta sulla loggia massonica P2 (legge 23 settembre 1981, n. 527) Roma, Camera dei Deputati – Senato della Repubblica, 1984, Cfr. G. Rossi e F. Lombrassa, In nome della “Loggia”, Napoleone, Roma, 1981; AA. VV., La vicenda della P2: poteri occulti e Stato democratico, De Donato, Bari, 1983; A. Cecchi, Storia della P2, Editori Riuniti, Roma, 1985. Una diversa analisi in M. Teodori, P2:la contro storia, SugarCo, Milano, 1985 (Teodori fu uno degli autori della Relazione di minoranza). Anche Gelli propose una propria versione dei fatti: Cfr. L. Gelli, Lettera aperta al presidente della Repubblica italiana, testo ripreso in Id., La verità, Demetra, Lugano 1989. 435 100 decisionale e non si pose mai in uno stato subalterno alla massoneria»439. E le numerose testimonianze dei collaboratori di giustizia sembravano ribadire tale tesi. Esiste però un problema di fondo legato alle fonti utilizzate da Violante per avvalorare le sue congetture; queste connessioni, infatti, emergevano dalle dichiarazioni dei pentiti. E tutti i quattro collaboratori ascoltati dalla Commissione non riportavano notizie di prima mano. Analizzando i verbali si può avere qualche perplessità in merito alle domande poste da Violante; ancora una volta si ha l‟impressione che le domande siano poste in modo tale da indirizzare le risposte. Spesso il pentito si limitava a citare qualche nome che per conoscenza diretta o per sentito dire faceva parte della massoneria. Il problema, però, sorgeva non per quel che concerneva l‟appartenenza o meno di Stefano Bontate o di suo cognato Giacomo Vitale o ancora di Michele Greco, nella gerarchia massonica, ma quando si cercava di capire cosa, questi personaggi, inseriti all‟interno di queste logge, facessero. Infatti, a questo punto, i verbali riportano quasi esclusivamente delle voci, delle congetture, o il riferimento a logge coperte e a elenchi segreti. L‟esempio era dato dal pentito Calderone; a suo dire, una loggia coperta avrebbe chiesto fin dal 1977 ai vertici di Cosa nostra di far affiliare due uomini d‟onore per ciascuna provincia. La proposta, accettata, avrebbe visto l‟ingresso in massoneria di Michele Greco e Stefano Bontate per la provincia di Palermo; Giuseppe Calderone e un altro uomo d‟onore per la provincia di Catania; Bongiovino per quella di Enna e Totò Minore per quella di Trapani440. Il collaboratore di giustizia precisava il ruolo degli uomini d‟onore iscritti alla muratoria. Cosa nostra, attraverso loro, poteva servirsi della massoneria per svolgere un ruolo importante ai fini di aggiustare i processi avvicinando i magistrati massoni441. Ma anche in questo caso non si trattava di una testimonianza di primo mano perché la loggia segreta non si era rivolta direttamente a Calderone, ma al fratello. Per cui, Calderone non era neppure a conoscenza del modo in cui si aggiustavano i processi - o almeno fece finta di non saperlo e si limitò a riportare quanto riferitogli dal fratello Giuseppe. Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Relazione sui rapporti tra mafia e politica, relatore Violante, cit., p. 62. 440 I personaggi citati rappresentavano all‟epoca i vertici di Cosa Nostra siciliana Cfr. Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XI, cit., deposizione di A. Calderone, pp. 294-95. 441 Ivi, p. 300. 439 101 Buscetta, dal canto suo, dichiarò che alcuni massoni si erano interessati al cosiddetto «processo dei 114»442. Ma alla domanda se lui si intendesse o meno di massoneria la risposta fu negativa443. Leonardo Messina riferì alla Commissione che l‟intero vertice di Cosa nostra fosse massone e, a suo giudizio, il rapporto mafia-politica si concretizzava attraverso gli appalti e la massoneria - quest‟ultima definita come “un punto d‟incontro per tutti”444. Gaspare Mutolo confermava quanto detto in precedenza dagli altri collaboratori di giustizia ed evidenziava come la massoneria fosse importante per l‟organizzazione mafiosa in quanto «tutti i punti chiave, sia commercialmente, sia nelle istituzioni si sa che sono occupati per la maggior parte da massoni»445. Il fatto che i quattro teste, pur non essendo addentro a tali dinamiche, ritenessero di sapere tutto, o quasi, di una società segreta fa ipotizzare da una parte che l‟importanza della massoneria, i suoi membri e gli interessi curati da questi uomini con doppia affiliazione fossero risaputi all‟interno dell‟organizzazione mafiosa; dall‟altra si ha difficoltà nell‟assumere come completamente vere le dichiarazioni di non affiliati alla muratoria, i quali pur sfruttando nella loro attività un reticolo di relazioni, che si estendeva da Palermo verso la sua vasta provincia e che si allargava fino a racchiudere l‟intera regione, come una sorta di catena che legava tutti questi personaggi, non potevano comunque contare su conoscenze dirette. Una cosa sembra certa: la cooperazione tra mafia e massoneria andava al di là dell‟occasionale presenza di qualche boss mafioso tra i liberi muratori. Si possono far risalire nel tempo molte somiglianze tra queste due organizzazioni. Si pensi alla funzione della solidarietà massonica tra professionisti e uomini d‟affari, che risultava essere molto simile alla solidarietà mafiosa tra personaggi legati a gruppi diversi o anche avversi, situati in diversi continenti. La creazione di un campo di comunicazione, di conoscenze e di influenze rappresentava un vantaggio comparativo per questo tipo di criminalità rispetto alle altre; e, come ha sostenuto Salvatore Lupo, soprattutto conservò saldo il legame tra Sicilia e Stati Uniti446. 442 Processo contro Angelo La Barbera ed altri svoltosi presso la Corte d'Assise di Catanzaro nel 1968 (sentenza del 22 dicembre 1968). 443 Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XII, cit., deposizione di T. Buscetta, pp. 393-94.. 444 Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XV, cit., deposizione di L. Messina, p. 554. 445 Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XXV, cit., deposizione di G. Mutolo, p. 1298. 446 S. Lupo, Storia della mafia, cit., p.42. 102 Tra mafia e massoneria c‟era peraltro un legame storico, oltre che funzionale. Rituali e giuramenti di mafia esprimevano non solo la generica simbologia del sangue presente in diverse esperienze di crimine organizzato, ma anche l‟impressionante testimonianza della continuità più che secolare di un tipo di organizzazione segreta ricavato dal modello fornito dalla massoneria e dalla carboneria che fu del tutto disponibile nella Sicilia di metà Ottocento447. E la diffusione di logge “atipiche”448 nell‟isola, e più ancora il fatto che dall‟età liberale in poi la Sicilia rimase la regione italiana con più elevata presenza massonica, rappresentava un elemento contestuale da tenere presente449. Molti nomi, infatti, vennero fuori quando nel marzo del 1986, un mese dopo l‟inizio del maxiprocesso, a Palermo, in via Roma 391, venne alla luce camuffata da “Centro studi sociologici italiani” la loggia massonica Armando Diaz insieme ad altre logge massoniche siciliane, vecchie e nuove, che comprendevano circa duemila iscritti, tra cui mafiosi, magistrati, imprenditori, politici e giornalisti450. Alla scoperta del covo si era arrivati a seguito del pedinamento di un uomo d‟onore, Giovanni Lo Cascio, capo di una gang che esportava eroina dall‟Europa agli Stati Uniti451. L‟affiliazione di esponenti mafiosi in logge massoniche e l‟esistenza di logge coperte in Sicilia emersero anche nel corso delle indagini della magistratura di Trapani, che diedero vita al procedimento contro Giovanni Grimaudo452. Tutto era cominciato con una lettera anonima pervenuta alla questura di Trapani nella quale si avanzavano pesanti accuse nei confronti di chi aveva gestito il concorso per l‟assunzione di vigili urbani nel comune della città siciliana453. Procedendo alla perquisizione del Centro Studi Scontrino di cui era presidente Giovanni Grimaudo, il quale contava già precedenti penali per truffa, usurpazione di titolo, falsità in scrittura privata e concussione, vennero fuori risultati clamorosi, oltre a una valanga di lettere di raccomandazione, e furono scoperti 447 Ibidem. Ivi, p. 41. 449 Ibidem. 450 Alcuni personaggi di altissimo livello comparivano nell‟elenco della loggia A. Diaz. i cugini Nino e Ignazio Salvo, Federico Ardizzone (editore del Giornale di Sicilia), i fratelli Salvatore e Michele Greco (detti rispettivamente “il senatore” e il “Papa”), Giacomo Vitale (cognato di Stefano Bontate), l‟avvocato Vito Guarrasi e Giuseppe Mandalari. 451 Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Relazione sui rapporti tra mafia e politica, relatore Violante, cit., p. 99. 452 Ibidem. 453 Cfr. G. Cipriani, I mandanti, cit., p. 35. 448 103 documenti che riguardavano sei logge454, di cui una con carattere di assoluta segretezza. L'esistenza di un'altra loggia segreta trovò una prima conferma nel rinvenimento in un'agenda sequestrata al Grimaudo. Alla lettura degli elenchi e delle agende spuntarono fuori nomi altisonanti non solo del gotha mafioso trapanese ma di personaggi di rilievo della vita politica italiana e siciliana. Nell‟elenco di nominativi annotati sotto la dicitura “Loggia C”455 figurava quello di Natale L'Ala, capomafia di Campobello di Mazara. Nella loggia Ciullo d'Alcamo risultavano essere stati affiliati Pietro Fundarò, che operava in stretti rapporti con il boss mafioso Natale Rimi; Giovanni Pioggia, della famiglia mafiosa di Alcamo; Mariano Asaro, imputato nel procedimento relativo all'attentato al giudice Carlo Palermo456. Lo stesso magistrato, miracolosamente scampato all‟attentato, nel libro Il quarto livello ha sostenuto la tesi che la loggia C fosse in qualche modo collegata direttamente alla P2, e che lo stesso Gelli avrebbe partecipato all‟inaugurazione del Tempio. Infatti, la loggia C entrò in funzione l‟8 maggio 1981, subito dopo, cioè, la scoperta, avvenuta il 17 aprile del 1981, della lista degli appartenenti alla Propaganda 2, nella villa Wanda di Castiglion Fibocchi 457. Dai verbali d‟inchiesta citati da Violante nel testo di relazione si affermava che nel procedimento trapanese contro Grimaudo vari testimoni ribadivano l'appartenenza alla massoneria di Mariano Agate458. Dagli appunti rinvenuti nelle agende che furono sequestrate al Grimaudo risultavano poi anche collegamenti con i boss mafiosi Calogero Minore e Gioacchino Calabrò, peraltro suffragati dai rapporti che alcuni iscritti alle logge intrattenevano con gli stessi459. Alle sei logge trapanesi ed alla “loggia C” erano affiliati amministratori pubblici, pubblici dipendenti - comune, provincia, regione, prefettura - uomini politici460, commercialisti, imprenditori, impiegati di banca. Gli affiliati a questo sodalizio massonico interferivano sul funzionamento di uffici pubblici, si occupavano di appalti e di procacciamento di voti in occasione delle competizioni elettorali, tentavano di favorire posizioni giudiziarie e di corrompere appartenenti alle Le sei logge che facevano riferimento al circolo Scontrino erano: Iside, Iside 2, Ciullo d‟Alcamo, Hiram, Cafiero e Osiride. 455 Sulla “Loggia C” si veda C. Palermo, Il quarto livello. Integralismo islamico massoneria e mafia. Dalla rete nera del crimine agli attentati al Papa nel nome di Fatima, Editori Riuniti, Roma, 1996, pp. 93-98. 456 Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Relazione sui rapporti tra mafia e politica, relatore Violante, cit., pp. 99-100. 457 C. Palermo, Il quarto livello, cit., pp. 95-96. 458 Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Relazione sui rapporti tra mafia e politica, relatore Violante, cit., p. 61. 459 Ibidem. 460 L'onorevole Canino aveva ammesso l'appartenenza a quelle logge, pur non figurando il suo nome negli elenchi sequestrati. 454 104 forze dell'ordine461. Risultava che lo stesso Grimaudo aveva chiesto soldi agli onorevoli Canino e Blunda, rispettivamente appartenenti alla Democrazia cristiana e al Partito repubblicano, per sostenerne la campagna elettorale462; la moglie di Natale L'Ala affermò che, su richiesta del Grimaudo, il marito si era attivato per favorire l'elezione del democristiano Nicolò Nicolosi e del repubblicano Aristide Gunnella463. All‟interno del circolo venne anche ritrovata una lettera inviata nell‟ottobre del 1982 dall‟onorevole Calogero Mannino al maestro venerabile Giovanni Grimaudo, con la quale si comunicava la concessione da parte dell‟Assemblea regionale siciliana di un contributo di due milioni al circolo Scontrino464. Dal quadro complessivo delle due inchieste di Palermo e Trapani emergeva anche il collegamento tra la loggia trapanese Iside e la loggia palermitana Diaz, diretta da Giuseppe Mandalari465. Una figura di primordine, quella di Giuseppe Mandalari; ritenuto dal consigliere istruttore, Rocco Chinnici, “tributarista e consulente della mafia”466, arrestato un prima volta nel 1974 per favoreggiamento personale nei confronti di Totò Riina e di Leoluca Bagarella, candidato non eletto tra le fila del Msi alle politiche del 1972, finì nuovamente arrestato nel 1983 con l‟accusa di associazione per delinquere di stampo mafioso nell‟ambito dell‟inchiesta sulle attività economiche della cosca di Rosario Riccobono467. Mandalari svolse un‟intensa attività massonica nell‟ambito della Gran Loggia nazionale degli Alam468. Risultava legato a Totò Riina e socio fondatore nel 1974, con il mafioso Giuseppe Di Stefano, della società Stella D‟Oriente di Mazara del Vallo, della quale faceva parte dal 1975 Mariano Agate. Della società facevano parte parenti del boss camorristico Nuvoletta, membro di Cosa nostra469. Peccato che dopo tutta una serie di indagini che portarono a far luce su un Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Relazione sui rapporti tra mafia e politica, relatore Violante, cit., p. 61. 462 Ibidem. 463 Ibidem.. 464 G. Cipriani, I mandanti, cit., p. 36. 465 C. Palermo, Il quarto livello, cit., p. 94. 466 Diario del dottor Rocco Chinnici, l‟Espresso, agosto 1983, in C. Palermo, Il quarto livello, cit., p. 94. 467 G. Cipriani, I mandanti, cit., p. 39. 468 Giuseppe Mandalari fu anche Gran Maestro della loggia di piazza del Gesù oltre che Sovrano della loggia di Palermo di via Cordova. 469 Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Relazione sui rapporti tra mafia e politica, relatore Violante,cit., p. 62. Stando alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia i boss camorristici come Nuvoletta e Zaza erano uomini d‟onore affiliati a Cosa nostra. Dirà Calderone:«Zaza era uomo d'onore. Nuvoletta era uomo d'onore. Era una famiglia di Napoli. Una decina dei Nuvoletta dipendeva da Michele Greco, perché non andavano d'accordo e si era un po' distaccata dalla famiglia originaria. Tutti e due i fratelli Zaza erano uomini d'onore e ce ne erano anche tanti altri», in Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XI, cit., deposizione di A. Calderone, p. 316. 461 105 mondo inabissato l‟indagine venne stoppata. Violante ne dà una sua spiegazione asserendo che l‟indagine era andata troppo in alto e ventitré giorni dopo la perquisizione che aveva permesso la scoperta delle logge segrete, il dirigente della squadra mobile di Trapani, Saverio Montalbano, venne trasferito per presunto uso scorretto dell‟auto di servizio470. Prendendo a riferimento le due istruttorie sembra quasi che l‟apporto di notizie fornito da collaboratori di giustizia sia quasi nullo. Stefano Bontate, i Greco e altri boss di Cosa nostra hanno sfruttato un terreno d‟incontro, offerto loro dalle logge massoniche, per tessere legami con i loro partner del mondo della politica, dell‟imprenditoria e dell‟economia in generale. Le dichiarazioni in questo caso non furono in grado di ricostruire quei reticoli fluidi e vari che andavano a sovrapporsi all‟organizzazione che collegava i mafiosi tra loro. Essendo smorzato questo apporto, i richiami contenuti nella relazione in merito a mafia e massoneria risultano aridi, e si ha l‟impressione che limitino la loro portata a richiamare l‟attenzione pubblica sullo spettro di un grande e unico complotto. Cfr. Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Relazione sui rapporti tra mafia e politica, relatore Violante, cit., p.100; G. Cipriani, I mandanti, cit., p. 36. 470 106 IV.3 “Atto dovuto” La decisione da parte della Commissione antimafia di scrivere una relazione che indagasse sulle connessioni politiche di Cosa nostra fu dettata da esigenze nate dopo che il g.i.p. del Tribunale di Palermo aveva diramato i mandati di cattura per l‟omicidio, ritenuto di stampo mafioso, dell‟eurodeputato democristiano Salvo Lima471. Sul verbale venivano indicati alcuni elementi che denunciavano una stabile relazione tra la vittima e gli esecutori dell‟assassinio, appartenenti all‟organizzazione mafiosa. Tale relazione era imperniata sullo scambio di favori tra Lima e l‟ambiente mafioso, che portava il primo ad ottenere voti e consenso politico e i secondi a ricevere in cambio favori di carattere giudiziario e di altro tipo472. Queste le basi da cui prese piede il lavoro che avrebbe condotto il presidente della IV Commissione antimafia a stilare il suo documento più controverso e più discusso. Certo, non era la prima volta che il nome di Salvo Lima veniva fatto in qualche relazione parlamentare o indagine giudiziaria, anzi nelle indagini riguardanti i rapporti tra mafia e politica il nome del democristiano era sempre stata una costante. Il sodalizio che legava il democristiano all‟onorata società veniva fatto risalire agli anni Cinquanta, quando Palermo venne investita da quel processo di urbanizzazione che si concluderà con il famoso “sacco di Palermo”473, vicenda legata indissolubilmente al duo Lima-Ciancimino. Infatti, dal 1959 al 1964, con Lima sindaco e Ciancimino assessore ai lavori pubblici, si avviò un connubio di interessi tra mafia, amministrazione pubblica e costruttori che diventò un trampolino di lancio per la creazione di cordate e alleanze verticali tra mafiosi, imprenditori e politici che condizionarono le vicende della spesa pubblica, gli equilibri politici e i rapporti di forza tra i vari gruppi di Cosa nostra. Nel corso di quegli anni, con Salvo Lima vicino alla famiglia mafiosa dei Bontate e Vito Ciancimino legato invece ai corleonesi, nacque una sorta di sistema integrato di competenze, di funzioni e di poteri che ruotava attorno a Cosa nostra: gli uomini politici che contavano avevano ciascuno i propri imprenditori, i propri professionisti e il proprio capomafia474. Cfr. Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Relazione sui rapporti tra mafia e politica, relatore Violante, cit., p. 9. 472 Ibidem. 473 Si veda Il sacco di Palermo, «L‟Ora», 22 giugno, 1961. 474 Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Relazione sui rapporti tra mafia e politica, relatore Violante, cit., p. 58. 471 107 L‟entrata sulla scena politica di Lima risaliva all‟anno 1949 quando, appena ventunenne, si apprestava a diventare consigliere comunale di Palermo per la lista democristiana, partito al quale si era iscritto già all‟indomani della guerra475. Intanto, nel corso degli anni Cinquanta, si assisteva a un mutamento all‟interno dei gruppi dirigenti del comune di Palermo: la vittoria di Fanfani al congresso nazionale democristiano del 1954 portava al cambio della guardia nel capoluogo siciliano476. Il timone fu preso da Giovanni Gioia e Salvatore Lima477. Negli anni che lo videro sindaco di Palermo, il democristiano fu fatto oggetto di feroci critiche da parte del giornale locale “L‟Ora” che denunciava il sodalizio politicomafioso che intercorreva a quei tempi a Palermo tra il sopracitato e ambienti malavitosi478. Nel 1968 Lima divenne capo della corrente andreottiana, dopo la rottura con l‟ala fanfaniana e con Giovanni Gioia. Malumori erano sorti anche all‟interno della istituzioni ecclesiastiche; l‟arcivescovo di Palermo aveva pubblicamente espresso il suo parere contrario nei confronti della scelta della Democrazia cristiana di candidare «personaggi al centro di troppi scandali»479. Ma le critiche e gli screzi che serpeggiavano anche in seno al proprio partito non frenarono la sua ascesa politica; così dal 1972 al 1976 svolse dapprima il ruolo di sottosegretario alle Finanze sotto il governo Andreotti e in seguito, con Moro, di sottosegretario al Bilancio480. Quest‟ultima nomina del 1974 suscitò le obiezioni di Paolo Sylos Labini che si dimise per protesta481. Le polemiche contro la figura di Salvo Lima non placarono durante il decennio successivo, e, alla morte del generale Dalla Chiesa, il figlio Nando chiamava direttamente in causa Lima e i dirigenti della Dc siciliana482. 475 Sulla biografia politica di Lima cfr. V. Vasile, Salvo Lima, in N. Tranfaglia (a cura di), Cirillo, Ligato e Lima. Tre storie di mafia e politica, Laterza, Roma-Bari, 1994, pp. 185-267. 476 Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Relazione sui rapporti tra mafia e politica, relatore Violante, cit., p. 58. 477 Cfr. V. Coco, L’Antimafia dei comunisti, cit. 478 Si vedano gli articoli contro l‟ex-sindaco democristiano: Il sacco di Palermo, «L‟Ora», 22 giugno 1961; Il sindaco dei violenti, «L‟Ora», 25 gennaio 1963; Politica e violenza a Palermo, «L‟Ora», 8 luglio 1963 479 V. Vasile, Salvo Lima, cit. p. 227. 480 Cfr. J.L. Briquet, Mafia, justice et politique en Italie. L’affaire Andreotti dans la crise de la Republique (1992-2004), Edition Karthala, Paris, 2007, p. 100. 481 Cfr. La discussa nomina di Sottosegretario al Bilancio. Sylos Labini si dimette per protesta contro Lima, «Corriere della Sera», 21 dicembre 1974, cit. in J. L. Briquet, Mafia, justice et politique en Italie, cit. p.100. 482 Cfr. I mandanti dell’omicidio sono nella DC di Palermo, intervista con Nando Dalla Chiesa, «la Repubblica», 8 settembre 1982. 108 Le fonti primarie su cui si basò il documento stilato da Luciano Violante furono le dichiarazioni rese da vari collaboratori di giustizia, in particolare quelle di Tommaso Buscetta, dalle quali emergeva quanto Lima, pur non essendo mafioso, fosse addentro alle dinamiche di Cosa nostra in quanto figlio di un uomo d‟onore483. Oltre alla dichiarazioni dei collaboratori di giustizia il fatto era accertato da diverse sentenze, una fra tutte quella del 23 giugno 1964 redatta dal giudice istruttore Cesare Terranova, dove si scorgevano i fitti i rapporti che intercorrevano tra Lima e i La Barbera: È certo che Angelo e Salvatore La Barbera, nonostante il primo abbia negato, conoscevano l‟ex-sindaco Lima ed erano con lui in rapporti tali da chiedergli favori. Basti considerare che Vincenzo D‟Accardi, il mafioso del Capo, ucciso nell‟aprile ‟63, non si sarebbe certo rivolto a La Barbera per una raccomandazione al sindaco, se non fosse stato sicuro che Angelo o Salvatore La Barbera potevano in qualche modo influire su Salvatore Lima484. Ma erano ben note anche altre “amicizie”, come quella con i due cugini Nino e Ignazio Salvo, che per lungo tempo erano stati titolari delle esattorie siciliane e che, secondo quanto detto dai pentiti, avrebbero mediato insieme a Lima i rapporti tra la politica romana e i vertici di Cosa nostra485. Dipinti da Salvatore Lupo come «i maggiori rappresentanti di un ambiguo mondo finanziario siciliano che si collocava vicinissimo ai vertici della politica regionale»486, i Salvo erano grandi finanziatori della corrente andreottiana in Sicilia, di cui Lima era il noto rappresentante487. Secondo quanto scritto nella relazione, il rapporto che intercorreva tra Lima e le famiglie mafiose metteva in luce una prassi consolidata, un circuito di favori che riguardavano essenzialmente due questioni alle quali l‟organizzazione mafiosa attribuiva un particolare rilievo ai fini della propria salvaguardia d‟interessi e per Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XII, cit., p. 389. 484 Lo stralcio della sentenza del giudice Terranova in P. Menghini, M. Nese, La discesa cominciò con i pentiti, «Corriere della Sera», 13 marzo 1992. 485 Si vedano le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia in Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XII, cit., deposizione di Tommaso Buscetta, passim.; Verbale XI, cit., deposizione Antonino Calderone, passim.; Verbale XV, cit., deposizione di Leonardo Messina, passim.; Verbale XXV, cit., deposizione di Gaspare Mutolo, passim. 486 S. Lupo. Che cos’è la mafia, cit. p. 54. 487 Ibidem. 483 109 sottrarsi alle sentenze e guadagnare quell‟impunità tanto cara alla mafia 488. Anzitutto Cosa nostra chiedeva l‟intervento politico per il trasferimento di funzionari scomodi, che magari svolgevano fin troppo bene il loro lavoro. Sulla relazione Violante citava il caso di Antonino Calderone che, parlando del vicequestore di Catania, il dottor Cipolla, raccontava di aver chiesto l‟intervento di Salvo Lima, tramite i cugini Salvo, per far trasferire il funzionario di polizia489. Il presunto favore però - dimenticava di aggiungere Violante – in quel caso non si concretizzò per via dell‟intervento di Lima, ma per una richiesta di trasferimento fatta dalla moglie del vicequestore, che faceva l‟insegnante, e che a sua volta e a prescindere dai desideri di Cosa nostra aveva fatto richiesta di trasferimento490. In secondo luogo, l‟aiuto dell‟esponente politico, che aveva collegamenti e amicizie importanti a Roma, era richiesto in occasione dei grandi processi, con l‟intento di aggiustarli e, se possibile, annullarli del tutto. Numerosi collaboratori di giustizia si erano espressi in tal senso, individuando nella figura di Salvo Lima il referente principale di Cosa Nostra491; ad esempio Tommaso Buscetta, che dopo essersi a lungo rifiutato di parlare dei rapporti fra mafia e politica, aveva alla fine dichiarato davanti alla Commissione che Salvo Lima era effettivamente l'uomo politico a cui principalmente Cosa Nostra si rivolgeva per le questioni di interesse dell'organizzazione che dovevano trovare una soluzione a Roma492: Presidente: Quali erano i referenti palermitani di Lima? Buscetta: Principalmente i Salvo. Presidente: Lima era parlamentare europeo ed era uomo anche abbastanza importante nella vita politica per cui non poteva occuparsi di tutto. Buscetta: Ma mica gli dicevano: vammi a fare la spesa tutti i giorni! Chiedevano un favore oggi e un altro dopo un mese. Quindi erano impegni che poteva ... Presidente: … mantenere493. Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Relazione sui rapporti tra mafia e politica, relatore Violante, cit., p.70. 489 Ibidem. 490 Cfr. Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XI, cit., deposizione di Antonino Calderone, p. 310. 491 Si vedano le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia in Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XII, cit., deposizione di Tommaso Buscetta, passim.; Verbale XI, cit., deposizione Antonino Calderone, passim.; Verbale XV, cit., deposizione di Leonardo Messina, passim.; Verbale XXV, cit., deposizione di Gaspare Mutolo, passim. 492 Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Relazione sui rapporti tra mafia e politica, relatore Violante, cit., p.69. 493 T. Buscetta in Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XII, cit., deposizione di Tommaso Buscetta, p. 373. 488 110 Del resto tutti i collaboratori di giustizia, ascoltati in Commissione antimafia, descrivevano Salvo Lima come il referente per le questioni romane. Ma nessuno davanti alla Commissione fece il nome di questi interlocutori romani. Tuttavia nell‟estate del ‟92, dopo le morti di Falcone e Borsellino, si aprirono scenari molto compromettenti e il nome venne fuori. Le rivelazioni fatte da Leonardo Messina ai magistrati accusavano Giulio Andreotti - forse l‟uomo più potente della Dc – di essere sceso a patti con la mafia proteggendone gli interessi. Il tramite per Leonardo Messina era costituito dall‟ex-sindaco di Palermo, capo corrente andreottiano in Sicilia494. Ampio seguito fu dato dalla testate giornalistiche alle indagini sui salotti romani coinvolti nel malaffare. Infatti, quando la Procura di Palermo fece intendere che le indagini che erano in corso si sarebbero protratte e allargate, fu chiaro che l‟onda avrebbe investito anche gli “amici romani di Lima”495, in primis Andreotti. Violante espresse nel testo di relazione un commento molto insinuante nei confronti del senatore: Risultano certi alla Commissione i collegamenti di Salvo Lima con uomini di Cosa nostra. Egli era il massimo esponente in Sicilia della corrente democristiana che fa capo a Giulio Andreotti. Sulla eventuale responsabilità politica del senatore Andreotti, derivante dai suoi rapporti con Salvo Lima, dovrà pronunciarsi il Parlamento496. Sulle pagine della relazione, riprendendo il filone dell‟inchiesta aperta dalla procura di Palermo in quel frangente, veniva avvalorata l‟accusa contro Andreotti. Si deve ricordare come l‟inchiesta, nella bozza di relazione, fu definita in prima battuta da Violante “atto dovuto”; e proprio in relazione a questa definizione si ebbero feroci discussioni che portarono, a seguito di una mediazione tra i diversi gruppi, alla sua cancellazione e a quella che fu percepita come una vittoria da parte democristiana497. Rimane, comunque, a prescindere dalla sua cancellazione, un‟espressione che manifesta un intento ed è su questo che dobbiamo soffermarci. L‟atteggiamento di Violante rispecchiava il volere del partito guidato da Achille Occhetto, che vedeva in quei fatti la 494 Si veda la memoria depositata da pm di Palermo nel procedimento penale 3538/94, § 1, pp.6-13, cit. in L. Violante (a cura di), Mafie e antimafia. Rapporto ’96, cit., p. 73. 495 Si veda Inchiesta sugli amici romani di Lima, «Corriere della Sera», 23 ottobre 1992. 496 Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Relazione sui rapporti tra mafia e politica, relatore Violante, cit., p. 71. 497 Si vedano i verbali della Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Esame e votazione della relazione sui rapporti tra mafia e politica, dal Verbale XXXV al Verbale XXXVIII. 111 possibilità di mettere in crisi la Democrazia cristiana – e Andreotti in particolare. A quel punto non bisognava più accontentarsi di pesci relativamente piccoli, fossero essi Ciancimino, Lima o i cugini Salvo. Si puntava alla “balena”498. Questo approccio si manifestò chiaramente, ad esempio, in alcune audizioni condotte con tono estremamente incalzante, come nel caso delle domande rivolte a Mutolo: Presidente: Quando ha parlato di Lima, lei ha detto che Lima si rivolgeva a persone della sua stessa corrente politica. Vuole chiarire questo concetto alla Commissione? Mutolo: Vado per logica e per quello che avevo sentito dire. Non so se è giusto... Lui si rivolgeva a personaggi a Roma che erano onorevoli non so chi, della sua stessa corrente. Lui era nella corrente andreottiana. Non so a chi si rivolgesse. Presidente: Ma si rivolgeva a uomini politici siciliani o non siciliani? Mutolo: No, penso che, anche se c'era qualche siciliano, il discorso valeva... Presidente: Non erano uomini politici siciliani della sua corrente. In Cosa nostra si facevano dei nomi di uomini politici non siciliani ai quali si poteva fare riferimento tramite Lima? Mutolo: Guardi, non ricordo e non lo posso dire, perché non sono sicuro. Qualche nome c'era, però... Presidente: Quali erano questi nomi che si facevano? Mutolo:Non me li ricordo Presidente: Lei non si ricorda o non intende dirli? Sono due concetti diversi. Mutolo: Siccome non sono sicuro, potrei cadere in qualche errore e quindi non ritengo giusto dire una cosa di cui non sono sicuro. Presidente: Comunque un nome si è fatto, questo è il punto, nel vostro giro? Mutolo: Di nomi uno se ne faceva sicuramente, ma non è che posso ricordarmi ora quale fosse. Presidente: Non se lo ricorda! Lei può anche rispondere dicendo: non intendo dirlo. Sono due concetti diversi. Mutolo:Non intendo dirlo, perché non ritengo sia giusto... Presidente: Va bene, questa è una risposta499. I sospetti su Andreotti, come era accaduto nell‟ottobre dell‟anno precedente, non facevano che alimentare quel clima di accusa, che porterà a presentare il processo al senatore come il momento in cui si scopriva la vera storia d‟Italia, da quelle aule di tribunale doveva emergere una vicenda composta tutta di una materia sotterranea, fangosa, che sommergeva e vanificava il piano legale di questo paese. In realtà conosciamo fin troppo bene gli sviluppi successivi per lasciarci ammaliare da quel clima di cambiamento. Andreotti venne assolto, non essendo stata dimostrata la 498 M. Palombi e M. Travaglio, Carriera e mutazioni di un participio presente, cit., p. 19. Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminale similari, Verbale XXV, cit., deposizione di G. Mutolo, pp. 1286-87. 499 112 tesi per cui la corrente politica comprendente l‟imputato, Lima e i Salvo rappresentava un struttura di servizio dell‟organizzazione mafiosa500. Ma questo era prevedibile se si pensava che anche dalle dichiarazioni dei vari pentiti al cospetto della Commissione parlamentare antimafia non emerse mai alcun elemento inedito che autorizzerà la messa in accusa del senatore. Le dichiarazioni dei collaboratori si mantennero sempre sul vago e fecero emergere più che altro uno schema che mostrava in che modo le richieste di favori giungessero ai politici; due erano solitamente gli iter seguiti: la richiesta poteva essere mediata o da personaggi che ruotavano intorno alla politica, come i cugini Salvo, o dal politico locale stesso che, contattato dal boss col quale aveva un rapporto privilegiato, gli garantiva di fare il possibile per adempiere al favore richiesto, tirando in ballo personaggi più altolocati se la richiesta richiedeva interventi più “potenti”. Non si andò al di là di questo schema vago e di un frustrante rincorrersi di voci. Anche quando si discusse la stesura del testo finale e iniziarono a comparire i primi nomi degli “amici romani”, come quello di Giulio Andreotti, si aprì un fronte di protesta e si ebbero diversi scontri in seno alla Commissione, e non solo. Sul coinvolgimento di Giulio Andreotti in fatti di mafia si crearono due fazioni: quella degli innocentisti e quella dei colpevolisti. Anche nella stessa Democrazia cristiana si ebbero delle spaccature. Il democristiano Cabras, vicepresidente della Commissione antimafia, si esprimeva così sulle pagine del quotidiano nazionale del “Corriere della Sera”: C' e' un vero indizio grave a carico di Giulio Andreotti ed e' il suo rapporto con Salvo Lima". Lo afferma Paolo Cabras, democristiano, vicepresidente della Commissione parlamentare antimafia, in una intervista a L'Espresso. "Di Andreotti mi e' sempre apparsa incomprensibile questa tenacia nel difendere i rapporti con Lima quando un distacco da quel personaggio lo avrebbe certamente avvantaggiato". Secondo Cabras ad Andreotti può essere contestata la convinzione da lui sempre manifestata con grande fermezza della innocenza di Lima e riguardo ai legami con i mafiosi di Cosa nostra501. Si aprì una scissione in seno al partito che si “tormentava sul caso Andreotti”502 tra chi lo difendeva, chi in disaccordo su certe amicizie e chi faceva intendere di non averlo S. Lupo, Che cos’è la mafia, cit., p. 71. Lima indizio contro Giulio, «Corriere della Sera», 17 aprile 1993. 502 G. A. Stella, La DC si tormenta sul caso Andreotti, «Corriere della Sera», 8 aprile 1993. 500 501 113 scaricato, ma che intanto dava il voto favorevole alla relazione della Commissione parlamentare antimafia dando credito alla sua colpevolezza503. Nel frattempo Martinazzoli, esprimendosi in merito alla richiesta a procedere nei confronti del senatore, cercava di buttare acqua sul fuoco affermando che ognuno avrebbe votato «in piena autonomia senza diktat di partito»504. La vicenda del coinvolgimento di Andreotti tenne banco sui giornali nazionali ancor prima delle rivelazioni dei pentiti rese alla Commissione antimafia. L‟indignazione fu palesata in un pesante articolo apparso su “la Repubblica” a firma di Eugenio Scalfari. In occasione dell‟ordine di arresto diramato dai giudici inquirenti del Tribunale di Palermo, il fondatore di “la Repubblica”, titolava “Quel patto tra cosche e politica”, schierandosi dalla parte di quell‟indignazione morale popolare che ancor prima dell‟omicidio Lima condannava la decennale connivenza tra la mafia e la “nomenklatura governante”505. Oggi che il processo all‟«uomo politico italiano più accusato, ma anche il più assolto»506 è terminato, c‟è una presa d‟atto delle relazioni di Andreotti con personaggi che a loro volta mantenevano relazioni privilegiate con la mafia. Vennero individuati contatti ma non prove di suoi interventi in favore di Cosa nostra, anche se, per tutto il periodo precedente il 1980, la Corte, ribaltando il giudizio espresso in primo grado, accertò la partecipazione alla associazione per delinquere dell‟imputato. Tuttavia Andreotti venne assolto per decorrenza dei termini: il reato era ormai caduto in prescrizione507. Il senatore mantenne sempre la condotta di chi era estraneo ai fatti; e persino a sentenza emanata, quando gli fu richiesto di esprimere un giudizio generale dei rapporti intercorsi tra mafia e Democrazia cristiana, l‟imputato dichiarava: «non ne so molto […]. Un esperienza diretta c‟è l‟ha chi ha fatto politica lì. Bisognerebbe chiedere a loro»508. Una delle poche volte in cui parlò di mafia fu in una della prime interviste rilasciate alla stampa dopo l‟incriminazione, dove propose una sintesi storica del fenomeno mafioso: schierata dapprima con gli alleati, la mafia aveva appoggiato in seguito il separatismo. 503 Ibidem. M. Manno, Martinazzoli: “Su Giulio non do indicazioni. La DC non vota come un partito totalitario”, «Corriere della Sera», 21 aprile 1993. 505 E. Scalfari, Quel patto tra cosche e politica, «la Repubblica», 22 ottobre 1992. 506 L. Violante, I corleonesi: mafia e sistema eversivo, L‟Unità, Roma, 1993, p. 39. 507 Cfr. S. Lupo, Che cos’è la mafia, cit., p. 74. 508 Intervista ad Andreotti in «Corriere della Sera», 17 maggio 2000, cit. in S. Lupo, Che cos’è la mafia, cit., p. 72. 504 114 Il senatore taceva, tuttavia, sul successivo periodo, quello che l‟ha vista schierata con la Democrazia cristiana509. «Andreotti - afferma Salvatore Lupo- si riferiva alla mafia con la stessa nonchalance con cui scriveva sui papi, rispondeva ai giornalisti e alle Commissioni parlamentari»510. Egli negò sempre di aver conosciuto i cugini Salvo e affermò di non sapere che cosa facessero Lima e Ciancimino - cosa che non solo apparve inverosimile a chi allora era schierato sul fronte dei colpevolisti, ma anche a chi, come Napoleone Colajanni, era schierato su fronte opposto: «Andreotti non è nato ieri per non sapere chi erano Lima e Ciancimino. Lo sapevo io, lo sapevano tutti, figuriamoci se non lo sapeva lui»511. Fino alla fine il senatore continuerà a difendere il suo rapporto con Salvo Lima, ritenendo che le voci che lo vedevano colluso con la mafia non fossero altro che un effetto di un metodo perverso di lotta politica diffuso in Sicilia dopo il 1950, basato su accuse reciproche di “mafiosità” sia all‟interno dello stesso partito che tra partiti avversi512. Ma si sa che «dal palazzo del principe si scorge evidentemente un panorama diverso rispetto a quello che possiamo osservare noi comuni mortali»513. 509 S. Bonsanti, Io Giulio Andreotti, «la Repubblica», 17 dicembre 1993. S. Lupo, Che cos’è la mafia, cit., p. 48. 511 Intervista a Colajanni in «Corriere della Sera», 17 maggio 2000, cit. in S. Lupo, Che cos’è la mafia, cit., p. 72. 512 Cfr. G. Andreotti, Cosa loro. Mai visti da vicino, Rizzoli, Milano, 1995, pp. 29-30. 513 S. Lupo, Che cos’è la mafia, cit., p. 47. 510 115 Bibliografia G. Andreotti, Cosa loro. Mai visti da vicino, Rizzoli, Milano, 1995. P. Arlacchi, Gli uomini del disonore: la mafia siciliana nella vita del grande pentito Antonino Calderone, Mondadori, Milano, 1992. P. Arlacchi, La mafia imprenditrice: l’etica mafiosa e lo spirito del capitalismo, Il Mulino, Bologna, 1994. G. Ayala, Chi ha paura muore ogni giorno. I miei anni con Falcone e Borsellino, Mondadori, Milano, 2008. O. Barrese (a cura di), Relazione della Commissione parlamentare sul fenomeno della mafia, Relatore Abdon Alinovi, Rubbettino, Soveria Mannelli, 1986. O. Barrese, I complici. Gli anni dell’Antimafia, Rubbettino, Soveria Mannelli, 1988. O.Barrese (a cura di), Mafia politica pentiti: la relazione del presidente Luciano Violante e le deposizioni di Antonino Calderone, Tommaso Buscetta, Leonardo Messina, Gaspare Mutolo, Rubbettino, Soveria Mannelli, 1993. O. Barrese (a cura di), Camorra, politica, pentiti: atti della Commissione parlamentare d‟inchiesta sul fenomeno della mafia, la relazione del presidente Luciano Violante, le deposizioni di Pasquale Galasso e Salvatore Migliorino, le accuse della magistratura contro otto parlamentari, prefazione di Antonio Riboldi, Rubettino, Soveria Mannelli, 1994. A. Blando, Percorsi dell’antimafia, in «Meridiana», n. 25, 1996. A. Blando, P. Viola (a cura di), Quando crollano i regimi, Palumbo, Palermo, 2004. A. Bonomi, Il rancore. Alle radici del malessere del nord, Feltrinelli, Milano, 2008. J.L. Briquet, Mafia, justice et politique en Italie. L’affaire Andreotti dans la crise de la Republique (1992-2004), Edition Karthala, Paris, 2007. L. Cafagna, C’era una volta … Riflessioni sul comunismo italiano, Marsilio, Venezia, 1991. L. Cafagna, Nord e Sud. Non fare a pezzi l’unità d’Italia, Marsilio, Venezia, 1994. A. Caponnetto, S. Lodato, I miei giorni a Palermo, Garzanti, Milano, 1992. A. Cecchi, Storia della P2, Editori Riuniti, Roma, 1985. G. Chiaromonte, I miei anni all’Antimafia 1988-1992, Calice Editori, Rionero in Vulture, 1996. 116 G. Cipriani, I mandanti. Il Patto strategico tra massoneria mafia e poteri politici, Editori Riuniti, Roma, 1993. V. Coco, M. Patti, Relazioni Mafiose. La mafia ai tempi del fascismo, XL, Roma, 2010. V. Coco (a cura di), L’Antimafia dei comunisti. Pio La Torre e la relazione di minoranza, nota introduttiva di Emanuele Macaluso, Istituto Poligrafico Europeo, Palermo, 2013. S. Colarizi M. Gervasoni, La tela di Penelope. Storia della seconda Repubblica, Laterza, Roma-Bari, 2012. G. Crainz, Il paese reale, Donzelli, Roma, 2013. F. De Pasquale, E. Iannelli, Così non si può vivere. Rocco Chinnici: la storia mai raccontata del giudice che sfidò gli intoccabili, Castelvecchi, Roma, 2013. G. Di Lello,Giudici. Cinquant’anni di processi di mafia, Sellerio, Palermo, 1994. P. Di Paolo, Dove eravate tutti, Feltrinelli, Milano, 2011. I. Diamanti, 1992, Tangentopoli, in Novecento italiano, Laterza («Lezioni di storia», 9), Roma-Bari, 2008. F. Diaz, Gli intellettuali e l’organizzazione dei partiti, in «Mondoperaio», gennaio 1974, n. 1. J. Dickie, Cosa Nostra. Storia della mafia siciliana, Mondolibri, Milano, 2005. A. Dino (a cura di), Pentiti. I collaboratori di giustizia, le istituzioni, l’opinione pubblica, Donzelli, Roma, 2006. G. Falcone, Cose di Cosa nostra, in collaborazione con M. Padovani, Rizzoli, Milano, 1991. G. Fiandaca, S. Lupo, La mafia non ha vinto. Il labirinto della trattativa, Laterza, Roma-Bari, 2014. S. Fox, Potere e sangue, Il crimine organizzato nell’America del XX secolo, Marco Tropea Editore, Milano, 1996. E. Garin, Della stessa leva. Lettere (1942-1999), carteggio fra Norberto Bobbio ed Eugenio Garin, Aragno, Torino, 2011. L. Gelli, La verità, Demetra, Lugano 1989. Gruppo Abele (a cura di), Dalla mafia allo Stato. I pentiti: analisi e storie, EGA Editore, Torino, 2006. 117 H. Hess, Mafia, Laterza, Roma-Bari, 1984. L. Jannuzzi, Così parlo Buscetta, Sugarco, Milano, 1986. S. Lodato, Venticinque anni di mafia, Rizzoli, Milano, 1999. S. Lodato, M. Travaglio, Intoccabili, BUR, Milano, 2005. S. Lupo, Il crepuscolo della Repubblica, in Lezioni sull’Italia repubblicana, Donzelli, Roma, 1994. S. Lupo, Andreotti la mafia, la storia d’Italia, Donzelli, Roma, 1996. S. Lupo, Gli Alleati e la mafia:un patto scellerato?, in «Meridiana. Rivista di storia e scienze sociali», n.49, 2004. S. Lupo, Storia della Mafia: dalle origini ai giorni nostri, (1993), Donzelli, Roma, 2004. S. Lupo, Il fascismo. La politica in un regime totalitario, Donzelli, Roma, 2005. S. Lupo, Che cos’è la mafia: Sciascia e Andreotti, l’antimafia e la politica, Donzelli, Roma, 2007. S. Lupo, Quando la mafia trovò l’America. Storia di un intreccio intercontinentale, 1988-2008, Einaudi, Torino, 2008. S. Lupo, Antipartiti. Il mito della nuova politica nella storia della Repubblica ( prima, seconda e terza), Donzelli, Roma, 2013. Mafia e fascismo, in «Meridiana. Rivista di storia e scienze sociali», n. 63, 2008. R. Mangiamenli, La regione in guerra (1943-50), in Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità ad oggi. La Sicilia, Einaudi, Torino, 1987. R. Mangiameli, La mafia tra stereotipo e storia, Salvatore Sciascia, Caltanissetta-Roma, 2000. M. Mareso e L. Pepino (a cura di), Nuovo dizionario di mafia e antimafia, EGA, Torino, 2008. G. C. Marino, Storia della mafia, Newton Compton, Roma, 1997. A. Mastropaolo, Antipolitica. All’origine della crisi italiana, L‟ancora del Mediterraneo, Napoli, 2000. M. Mellini, Il giudice e il pentito. Dalla giustizia dell’emergenza all’emergenza della giustizia, Sugarco, Milano, 1986. E. Menduni, Televisione e società italiana. 1875-2000, Bompiani, Milano, 2002. 118 S. Montanaro, S. Ruotolo (a cura di), La vera storia d’Italia: interrogatori, testimonianze, riscontri, analisi: Giancarlo Caselli e i suoi sostituti ricostruiscono gli ultimi vent’anni di storia italiana, Tullio Pironti, Napoli, 1995. L. Mussella, Clientelismo. Tradizione e trasformazione della politica italiana 19751992, Guida, Napoli 2000. C. Palermo, Il quarto livello. Integralismo islamico massoneria e mafia. Dalla rete nera del crimine agli attentati al Papa nel nome di Fatima, Editori Riuniti, Roma, 1996. M. Palombi e M. Travaglio, Carriera e mutazioni di un participio presente, in «MicroMega», n. 7, 2013. M. Pantaleone, Mafia e politica (1943-1962), Einaudi, Torino, 1962. M. Pantaleone, Antimafia occasione mancata, Einaudi, Torino, 1969. P. Pezzino, Una certa reciprocità di favori. Mafia e modernizzazione violenta nella Sicilia postunitaria, Franco Angeli, Milano, 1990. G. Pitrè, Usi, costumi, credenze e pregiudizi del popolo siciliano, Palermo, 1978. S. Porto, Mafia e fascismo. Il prefetto Mori in Sicilia, Armando Siciliano, Messina, 2001(1977). G. Raffaele, L’ambigua tessitura. Mafia e fascismo nella Sicilia egli anni Venti, Franco Angeli, Milano, 1993. A. Recupero, Ceti medi e “homines novi”. Alle origini della mafia, in «Polis», n.2, 1987. F. Renda, Storia della mafia. Come, dove, quando, Sigma Edizioni, Palermo, 1997. G. Rossi e F. Lombrassa, In nome della “Loggia”, Napoleone, Roma, 1981. U. Santino, Storia del movimento antimafia: dalla lotta di classe all’impegno civile, Editori Riuniti, Roma, 2000. R. Sciarrone, Mafie vecchie mafie nuove:radicamento ed espansione, Donzelli, Roma, 1998. L. Sciascia, Il mare colore del vino, Einaudi, Torino, 1973. L. Sciascia, A futura memoria: se la memoria ha un futuro, Bompiani, Milano, 1989. G. Scirè, L’aborto in Italia. Storia di una legge, Mondadori, Milano, 2008. P. Scoppola, La repubblica dei partiti. Evoluzione e crisi di un sistema politico, 19451996, il Mulino, Bologna, 1997. 119 A. Silj, Malpaese: criminalità, corruzione e politica nell’Italia della prima Repubblica, 1943-1994, Donzelli, Roma, 1994. C. Stajano (a cura di), Mafia. L’atto di accusa dei giudici di Palermo, Editori Riuniti, Roma, 1986. A. Stille, Citizen Berlusconi. Vita e imprese, Garzanti, Milano, 2006. M. Teodori, P2:la contro storia, SugarCo, Milano, 1985. N. Tranfaglia, La mafia come metodo, Laterza, Roma-Bari, 1991. N. Tranfaglia (a cura di), Mafia e politica. Relazione del 6 aprile 1993, Laterza, RomaBari, 1993. N. Tranfaglia (a cura di), Cirillo, Ligato e Lima. Tre storie di mafia e politica, Laterza, Roma-Bari, 1994. N. Tranfaglia, Mafia politica e affari 1943-2008, Laterza, Roma-Bari, 2008. L. Violante, La mafia dell’eroina, Editori Riuniti, Roma,1987. L. Violante, I corleonesi: mafia e sistema eversivo, L‟Unità, Roma, 1993. L. Violante, Mafie e antimafia. Rapporto ’96, Laterza, Roma-Bari, 1996. L. Violante, Il ciclo mafioso, Laterza, Roma-Bari, 2002. 120 Fonti Relazioni: Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia, V legislatura:  Relazio e dell’o . Fra es o Catta ei, relatore Francesco Cattanei, V legislatura, doc. XXIII, n. 2-septies, Roma, 1972. Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia, VI legislatura:    Relazione conclusiva, relatore Luigi Carraro, VI legislatura, doc. XXIII, n. 2, Roma, 1976. Relazione conclusiva di minoranza, relatori Niccolai, Nicosia, Pisanò,VI legislatura, doc. XXIII, n. 2, Roma, 1976. Relazione di minoranza dei deputati La Torre, Benedetti, Malagugini e dei senatori Adamoli, Chiaromonte, Lugnano, Maffioletti nonché del deputato Terranova, relatori senatori Adamoli, Chiaromonte, Lugnano, Maffioletti e deputati La Torre, Bnenedetti, Malaguini, Terranova, VI legislatura, doc. XXIII, n. 2, Roma, 1976. Commissione parlamentare sul fenomeno della mafia, IX legislatura:  Relazione della commissione parlamentare sul fenomeno della mafia, relatore Abdon Alinovi, IX legislatura, doc. XXIII, n. 3, Roma, 1985. 121 Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre 514 associazioni criminali similari, XI legislatura :  Relazione sulle risultanze del forum promosso il 5 febbraio dalla commissione parlamentare antimafia con la direzione nazionale antimafia, con le direzioni distrettuali e con il gruppo di lavoro per gli interventi del CSM nelle zone colpite dalla criminalità, relatore senatore Massimo Brutti, X legislatura, doc. XXIII, n.   1, Roma,Stabilimenti tipografici Colombo, 1993. Relazione sui rapporti tra mafia e politica, rel atore onorevole Luciano Violante, XI legislatura, doc. XXIII, n. 2, Roma, stabilimenti tipografici Colombo, 1993. Relazione di minoranza sui rapporti tra mafia e politica, relatori onorevole Altero Matteoli e senatore Michele Florino, XI legislatura, doc. XXIII, n. 2-bis,  Roma, stabilimenti tipografici Colombo, 1993. Relazione di minoranza sui rapporti tra mafia e politica, relatore Marco Taradash, XI legislatura, doc. XXIII, n. 2-ter, Roma, stabilimenti tipografici  Colombo, 1993. Relazione sulla visita effettuata dalla commissione parlamentare sul fenomeno della mafia a Barcellona Pozzo di Gotto in data 23 gennaio 1993, relatore onorevole Luciano Violante, XI legislatura, doc. XXIII, n. 3, Roma, stabilimenti  tipografici Colombo, 1993. I di azio i per u ’e o o ia li era dal ri i e, relatore onorevole Luciano Violante, XI legislatura, doc. XXIII, n. 4, Roma, Stabilimenti tipografici Colombo,  1993. Relazione sulle amministrazioni comunali disciolte in Campania, Puglia, Calabria e Sicilia, relatore senatore Paolo Cabras, XI legislatura, doc. XXIII, n. 5, Roma,  stabilimenti tipografici Colombo, 1993. Relazio e sullo stato dell’edilizia s olasti a a Paler o, relatore onorevole Luciano Violante, XI legislatura, doc. XXIII, n. 6, Roma, stabilimenti tipografici Colombo, 1993. Le relazioni dell‟XI legislatura sono disponibile online all‟indirizzo: http://legislature.camera.it/chiosco.asp?content=/documenti/documentiParlamentari/ElencoDOC_1_12.as p?IdLegislatura=11%7C1379&source=/altre_sezionism/10221/10233/10402/documentoxml.asp, ultima consultazione 10 giugno 2014. 514 122  Relazione sulla situazione della criminalità organizzata in Puglia, relatore senatore Alberto Robol, XI legislatura, doc. XXIII, n. 7, Roma, stabilimenti  tipografici Colombo, 1993. Relazione sulla situazione della criminalità in Calabria, relatore senatore Paolo Cabras, XI legislatura, doc. XXIII, n. 8, Roma, stabilimenti tipografici Colombo,   1993. Prima relazione annuale, relatore onorevole Luciano Violante, XI legislatura, doc. XXIII, n. 9, Roma, stabilimenti tipografici Colombo, 1993. Prima relazione annuale di minoranza, relatori onorevole Altero Matteoli e senatore Michele Florino, XI legislatura, doc. XXIII, n. 9-bis, Roma, stabilimenti  tipografici Colombo, 1993. Relazione sulla visita effettuata a Gela dalla commissione parlamentare sul fenomeno della mafia in data 13 novembre 1992, relatore onorevole Luciano Violante, XI legislatura, doc. XXIII, n. 10, Roma, stabilimenti tipografici Colombo,  1993. Relazione sulle risultanze delle attività del gruppo di lavoro incaricato di svolgere accertamenti su insediamenti e infiltrazioni di soggetti ed organizzazioni di tipo mafioso in aree non tradizionali, relatore senatore Carlo Smuraglia, XI legislatura, doc. XXIII, n. 11, Roma, stabilimenti tipografici   Colombo, 1994. Relazione sulla camorra, relatore onorevole Luciano Violante, XI legislatura, doc. XXIII, n. 12, Roma, stabilimenti tipografici Colombo, 1993. Relazione conclusiva, relatori onorevole Luciano Violante,senatore Paolo Cabras, senatore Maurizio Calvi, senatore Giovanni Carlo Acciaro, onorevole Gaetano Grasso, senatore Ivo Buttini, onorevole Antonio Borgone, XI legislatura, doc. XXIII, n. 14, Roma, stabilimenti tipografici Colombo, 1994. 123 Verbali: X legislatura515:   Verbale X, Comunicazioni del presidente in ordine ai criteri di pubblicazione delle «schede nominative» e susseguente dibattito. Verbale LI, Audizione del presidente dell’ENEL. XI legislatura  516 :  Verbale I, Votazione per l'elezione di due vicepresidenti e di due segretari.  Verbale XI, Audizione del collaboratore di giustizia Antonino Calderone.  Verbale II, Esame del regolamento interno della Commissione.  Verbale XII, Audizione del collaboratore di giustizia Tommaso Buscetta.  Verbale XIV, Audizione del Direttore Generale Giuseppe Tavarmina e del Vicedirettore Vicario della DIA dottor Giovanni De Gennaro.  Verbale XV, Audizione del collaboratore di giustizia Leonardo Messina.  Verbale XXV, Audizione del collaboratore di giustizia Gaspare Mutolo.  Verbale XIX, Audizione del Prefetto Angelo Finocchiaro, direttore del SISDE. Verbale XXVII, Esame della relazione sulle risultanze del forum con le direzioni distrettuali antimafia, alla presenza del ministro di Grazia e Giustizia,  professor Giovanni Conso. Verbale XXIX, Seguito della discussione ed eventuale votazione sulle risultanze del forum con le direzioni distrettuali antimafia, alla presenza del ministro di  Grazia e Giustizia, professor Giovanni Conso. Verbale XXX, Audizione dei rappresentanti dei sindacati SIULP e SAP della polizia di Stato. 515 I verbali del resoconto stenografico di ogni singola seduta della X legislatura sono stati presi dal CDRom allegato al libro Senato della Repubblica Archivio Storico, Gerardo Chiaromonte. Discorsi parlamentari, il Mulino, Bologna, 2004. 516 I verbali del resoconto stenografico di ogni singola seduta dell‟XI legislatura sono disponibili online all‟indirizzo: http://www.senato.it/static/bgt/listastencomm/4/53/s/11/1992/index.html?static=true, per le sedute tenutesi nel 1992; http://www.senato.it/static/bgt/listastencomm/4/53/s/11/1993/index.html?static=true, per le sedute tenutesi nell‟anno 1993; http://www.senato.it/static/bgt/listastencomm/4/53/s/11/1994/index.html?static=true, per le sedute tenutesi nell‟anno 1994; ultima consultazione 10 giugno 2014. 124       Verbale XXXV, Esame e votazione della relazione sui rapporti tra mafia e politica. Verbale XXXVI, Seguito dell’esame e votazione della relazione sui rapporti tra mafia e politica. Verbale XXXVII, Seguito dell’esame e votazione della relazione sui rapporti tra mafia e politica. Verbale XXXVIII, Seguito e votazione dell’esame e votazione della relazione sui rapporti tra mafia e politica. Verbale LI, Audizione del collaboratore di giustizia Pasquale Galasso.  Verbale LVI, Audizione del collaboratore di giustizia Salvatore Annacondia.  Verbale LXXVI, Seguito della discussione della relazione sulla camorra.     Verbale LXXV, Discussione della relazione sulla camorra. Verbale LXXVII, Seguito della discussione della relazione sulla camorra. Verbale LXXVIII, Audizione del Generale Mario De Sena e Audizione del Senatore Antonio Gava. Verbale LXXIX, Seguito della discussione della relazione sulla camorra. Verbale LXXX, Discussione della relazione sulle risultanze dell'attività del gruppo di lavoro incaricato di svolgere accertamenti su insediamenti e infiltrazioni di soggetti ed organizzazioni di tipo mafioso in aree non  tradizionali. Verbale LXXXI, Seguito e approvazione della discussione della relazione sulla camorra. 125 Giornali Corriere della Sera: La discussa nomina di Sottosegretario al Bilancio. Sylos Labini si dimette per protesta contro Lima, «Corriere della Sera», 21 dicembre 1974. B. Tucci, Stava indagando su mafia e droga: ucciso il vice questore di Palermo, «Corriere della Sera», 22 luglio 1979. M. Talamona, La questione settentrionale, «Corriere della Sera», 25 febbraio 1985. M. Talamona, La questione settentrionale, «Corriere della Sera», 27 maggio 1985. L. Sciascia, I professionisti dell’antimafia, «Corriere della sera», 10 gennaio 1987. G. Tremonti, La Caporetto del fisco, «Corriere della Sera» 15 giugno 1991. P. Menghini e M. Nese, La discesa cominciò con i pentiti, «Corriere della Sera», 13 marzo 1992. Inchiesta sugli amici romani di Lima, «Corriere della Sera», 23 ottobre 1992. G. A. Stella, La DC si tormenta sul caso Andreotti, «Corriere della Sera», 8 aprile 1993. Lima indizio contro Giulio, «Corriere della Sera», 17 aprile 1993. M. Manno, Martinazzoli: “Su Giulio non do indicazioni. La DC non vota come un partito totalitario”, «Corriere della Sera», 21 aprile 1993. P. Graldi, Pecchioli: inefficienti nella prevenzione, «Corriere della Sera», 29 maggio 1993. F. Verderami, Violante, dimissioni al veleno, «Corriere della Sera», 24 marzo 1994. Sciacca, da Catania si insiste sul “no comment”, «Corriere della Sera», 24 marzo 1994. Intervista a Giulio Andreotti, «Corriere della Sera», 17 maggio 2000. Intervista a Colajanni, «Corriere della Sera», 17 maggio 2000. Il Foglio Quotidiano: M. Bordin, L’Antimafia delle nebbie, «Il Foglio Quotidiano», 27 ottobre 2013. Il Giornale: I. Montanelli, Da quella pira, «Il Giornale», 26 marzo 1991. 126 I. Montanelli, Via col vento, «Il Giornale», 11 giugno 1991. I. Montanelli, Alt!, «Il Giornale», 6 dicembre 1991. la Repubblica: E. Scalfari, Che cos’è la questione morale, «la Repubblica», 28 luglio 1981. G. Bocca, Quell’uomo solo contro la mafia, «la Repubblica», 10 agosto 1982. I mandanti dell’omicidio sono nella DC di Palermo, intervista con Nando Dalla Chiesa, «la Repubblica», 8 settembre 1982. A. Bolzoni, La mafia ha sfidato Pappalardo, «la Repubblica», 29 aprile 1983. P. Guzzanti, Migliaia di telefonate per sapere perché sono scomparsi i puffi, «la Repubblica», 18 ottobre 1984. E. Scalfari, I difficili destini del nodo Visentini, «la Repubblica», 11 novembre 1984. E. Scalfari, La grande vendetta dei vecchi Boiardi, «la Repubblica», 21 febbraio 1989. E. Scalfari, Ha vinto l’Italia pulita, «la Repubblica», 11 giugno 1991. E. Scalfari, Le spine di Andretta, le rose di Formica, «la Repubblica», 25 settembre 1991. S. Mazzocchi, Tam tam di manette dentro l’aula, «la Repubblica», 14 maggio 1992. M. Fucillo, Watergate italiano, «la Repubblica», 20 maggio 1992. E. Scalfari, Quel patto tra cosche e politica, «la Repubblica», 22 ottobre 1992. G. D‟Avanzo, All’antimafia il braccio di ferro fra Violante e Dc, «la Repubblica», 6 aprile 1993. G. Luzi, La crociata per Giulio ha spaccato la DC, «la Repubblica», 6 aprile 1993. S. Bonsanti, Io Giulio Andreotti, «la Repubblica», 17 dicembre 1993. 127 G. D‟Avanzo, Violante si è dimesso “Non cado nel tranello”, «la Repubblica», 23 marzo 1994. Il Giornale di Sicilia: W. Semeraro, Lo scandalo di Agrigento impallidisce dinanzi ai fatti che abbiamo in archivio, «Il Giornale di Sicilia», 6 agosto 1966. A. Vaccarella, Eccolo la lista degli appalti rossi, «Il Giornale di Sicilia», 26 ottobre 1984. Entra la Corte, silenzio, «Il Giornale di Sicilia», 10 febbraio 1986. L’Ora: Il sacco di Palermo, «L‟Ora», 22 giugno, 1961. Il sindaco dei violenti, «L‟Ora», 25 gennaio 1963. Politica e violenza a Palermo, «L‟Ora», 8 luglio 1963. L’Unità: L. Violante, Il nuovo c’è, «l‟Unità» 7 aprile 1993. La Stampa: E. Biagi, La Commissione Antimafia è riuscita a non sapere e a non dire proprio niente, «La Stampa», 26 marzo 1968. L. Tornabuoni, L’Italia s’è rotta, intervista a Giuseppe De Rita, «La Stampa», 11 giugno 1991. N. Bobbio, La disfatta, «La Stampa», 13 marzo 1992. 128 Sitografia http://cinquantamila.corriere.it/storyTellerThread.php?threadId=VIOLANTE+L uciano, ultima consultazione 10 giugno 2014. http://www.youtube.com/watch?v=RSPs85eKP6o, ultima consultazione 10 giugno 2014. http://www.senato.it/static/bgt/listastencomm/4/53/s/11/1992/index.html?static=t rue, ultima consultazione 10 giugno 2014. http://www.senato.it/static/bgt/listastencomm/4/53/s/11/1993/index.html?static=t rue, ultima consultazione 10 giugno 2014. http://www.senato.it/static/bgt/listastencomm/4/53/s/11/1994/index.html?static=t rue, ultima consultazione 10 giugno 2014. http://legislature.camera.it/chiosco.asp?content=/documenti/documentiParlament ari/ElencoDOC_1_12.asp?IdLegislatura=11%7C1379&source=/altre_sezionism/ 10221/10233/10402/documentoxml.asp, ultima consultazione 10 giugno 2014. 129