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CAPITOLO DECIMO CALCIO DI GUERRA (1914-1918) Sabato 25 luglio 1914 i rappresentanti delle società Pro Roma, Lazio, Audace e Juventus si riunirono alle sede della Pro Roma, in via dell’Umiltà 36, per stabilire il piano d’azione da tenere all’assemblea federale di Torino dei primi d’agosto. Vi erano diverse situazioni da raddrizzare e il “cahier de doleance” dei romani verteva su otto punti: 1) Protesta collettiva, da concertare con gli altri delegati meridionali, per la trascuratezza dei nordisti nei confronti del sud calcistico. Due casi su tutti: prima del match con lo Spes Livorno, la Lazio ha ricevuto la data il venerdì, e la domenica ha dovuto partire per Livorno; stessa storia col Casale. 2) Candidatura di Lazio, Roman e Audace alla prima categoria. Assurdo che il regolamento preveda l’ammissione alla prima categoria solo per le squadre vincenti il campionato di seconda, in modo da escludere le centromeridionali, tutte classificate di terza. 3) Nella passata stagione il campionato regionale laziale, come quello toscano, iniziò a novembre e terminò a febbraio. Risultato: nella finale a luglio la Lazio era l’ombra di se stessa. Occorre procrastinare l’avvio in maniera da far svolgere le semifinali di Lazio e Toscana in simultanea con quelle del nord. 4) Ammettere alle semifinali del centrosud non due ma quattro squadre. 5) E’ impossibile per le romane avere un campo recintato: il costo si aggira sulle duemila lire. E’ necessario anche per il 1914-15 non obbligare le squadre meridionali al campo recinto. 6) Tasse ridotte alla metà rispetto ai club settentrionali, che incassano molto di più. 7) Utilizzare i proventi dei match internazionali per aiutare le società meridionali impegnate nelle trasferte della fase finale. 8) Tenere anche a Roma un match internazionale, come propaganda. Alla riunione del 2 agosto, tenuta a Torino, parteciparono l’avvocato Tonetti per l’Audace e Giulio Corrado Corradini, delegato dalla Pro Roma. Naturalmente, le istanze dei sudisti non vennero prese in considerazione. Anzi, si stabilì che per i club iscritti ai tornei meridionali fosse obbligatorio svolgere una gara riserve immediatamente prima della gara di prima squadra. Notevole fu invece la riforma dei campionati, prevista in due fasi: nel 1914-15 campionato dell’Italia Settentrionale di prima categoria formato da sei gironi da sei squadre; nel 1915-16 le prime tre classificate d’ogni girone avrebbero dato vita alla “Divisione Nazionale A”, le seconde classificate alla “Divisione Nazionale B”; al di sotto delle due divisioni, la Promozione a carattere regionale. Questo significava che, nel giro di due anni, le società laziali si sarebbero ritrovate a disputare un girone regionale di Promozione, con la possibilità di arrivare alla Divisione Nazionale B, ed entrare finalmente nel giro alto. Nuove critiche dei cattolici La FIGC stava mettendo le basi per lo sviluppo di un campionato italiano a livello veramente nazionale. Ma a Roma non tutti erano contenti dell’indirizzo preso dal football negli ultimi tempi. Mentre nuove squadre sorgevano e s’inserivano nel circolo delle amichevoli, 1 il Comitato Regionale della FASCI annunciava la sua rinuncia all’organizzazione dei propri campionati. Il gioco stava diventando troppo duro per le motivazioni igieniche e morali dei suoi praticanti. Lo sport cattolico, secondo gli insegnamenti diffusi dal barnabita Giovanni Semeria, sottolineava l’importanza della palestra come fucina di “giovani cavalieri che combattono le nobili e generose battaglie degli ideali cristiani”; esso non prevedeva le aspre lotte del calcio, dominate più dalla “metis” (astuzia, voglia di vincere con tutti i mezzi) di Ulisse e del mondo classico greco piuttosto che da un ideale di fratellanza e condivisione di valori. I cattolici erano ben distanti dall’atteggiamento dei socialisti, che si ergevano ad “Arcadia” culturale di fronte alla “Beozia” sportiva. Tuttavia volevano prendere le distanze dagli eccessi che facevano uscire dal seminato. 1 A luglio era nata la S. S. Giovane Virtus, con sede in via della Penna 3. Presidente Italo Jonne, d. s. Cesare Brizzi. La società formò subito due squadre di football. A Piazza d’Armi iniziarono gli allenamenti anche i biancoviola della S. S. Flaminia, il C. S. Tripoli, la Laziale, la Vigor e la Tiberis. Altre squadre che sorsero durante la stagione furono la Stella Romana, la Juventus Albano e la “Vis e Virtus” Ariccia. Scriveva in proposito Cesare Ossicini, presidente dello sport cattolico laziale dopo l’uscita di scena di fratel Biagio Sonaglia, in un articolo pubblicato dalla rivista “Stadium” e intitolato “Pro e contro il calcio”: Il calcio, mi diceva un insegnante di ginnastica, quando entra fra gli sports di una società fa come il leone di esopiana memoria, s’impadronisce di tutto. Non appena i giovani cominciano a prendere a calci un povero pallone gonfiato di vento, abbandonano ogni altra forma di attività ginnica e sportiva. Non hanno che una sola preoccupazione, giocare, e quel che è peggio, vincere a qualunque costo, con qualunque mezzo, ma vincere (…) Ora, io ammetto che il calcio sia un bel giuoco, ma non potrò mai ammettere che dopo avere combattuto tante battaglie per l’educazione fisica, la gioventù debba chiudersi, inesorabilmente, nel suo ferreo cerchio footballistico, e che le falangi dei nostri giovani non abbiano altro obiettivo che giocare una partita di football! E questa, si badi bene, non è una esagerazione. Le società che hanno cominciato a giocare al football ormai non fanno altro; potrei citarne non una ma cento, e non della sola nostra Federazione, dove ancora le cose vanno abbastanza bene, ma di tutte le atre federazioni. Le statistiche e l’esperienza hanno dimostrato che il ciclismo è in piena decadenza; che il podismo, incerto ancora tra il diletto e la professione, cammina purtroppo a piedi; che gli sport atletici sono ormai in piena competenza dei caffè concerto; che l’aviazione, sport d’eccezione, è stata militarizzata; che il canottaggio e il nuoto, l’uno troppo aristocratico, l’altro popolare ma limitatamente ad alcun centri, non possono giungere fino alle masse; e che da ultimo la ginnastica (che è ridotta a catechizzare i bambini dei ricreatori) si dibatte tra le scuole e il dovere militare, domandando aiuto al governo. L’unico sport che cammina è il football, e cammina nonostante l’incompetenza d’uomini e di consigli, copiando programmi, multando società, sclassificando giuocatori e intascando quattrini! Quale società ginnastica potrebbe vivere dopo avere pagato multe di migliaia di lire? Nessuna! Pure nel campo del football questo avviene, perché il football è uno sport ed uno spettacolo pubblico, è un divertimento ed è una professione, potrebbe essere un gran bene ed è purtroppo un gran male. Ossicini proponeva addirittura di vietare il calcio ai ragazzi sotto i diciotto anni. Ma, almeno per le squadre più forti, era veramente ardua l’impresa di bloccare gli empiti agonistici. Il campionato delle inondazioni A metà ottobre, il Comitato Regionale della FIGC si riunì al Caffè Grosso, in via delle Coppelle, per eleggere le cariche e decidere sull’iscrizione delle squadre al campionato di prima categoria. 2 La Pro Roma e la Fortitudo si candidarono, seguite da un altro sodalizio cattolico di recente costituzione: la S. S. Laziale. Si propose anche l’Alba di Farneti, che si era decisamente rinforzata. Il Comitato ammise sette squadre: Audace, Alba, Fortitudo, Juventus, Lazio, Pro Roma e Roman. Ma l’iscrizione rimaneva “sub sudice” alla disponibilità di un campo regolamentare. Il Roman aveva il terreno più bello: il Due Pini; la Pro Roma vantava la proprietà del recinto sportivo con pista podistica alla Piramide; la Lazio aveva il campo della Farnesina e quello alla Rondinella; la Fortitudo il campetto dell’Olmo a Viale Angelico; l’Audace aveva messo le mani su uno spiazzo argilloso alla Rondinella, di fianco al terreno recintato della Lazio; la Juventus, grazie alle conoscenze di Sidoti, poteva giocare allo Stadio (non sempre, però); l’Alba fu fregata dalla mancanza di un campo chiuso. Farneti aveva rimediato un prato sul lungotevere, dalle parti dell’attuale piazza Melozzo da Forlì, ma l’ispezione dell’ing. Mauro diede responso negativo. Giorgio Bonino, d. s. degli albini, protestò amaramente per l’esclusione dei biancoverdi dal campionato: “Qualcuno vedeva con apprensione l’iscrizione dell’Alba…c’è stato detto che noi non abbiamo fatto il torneo di promozione, ma nel Lazio nessuno l’ha fatto… avevamo anche dato l’assenso di recintare il campo in tempo utile… ma state tranquilli: non ci sfasceremo!”. La Commissione stabilì il calendario: dieci giornate dal 1° novembre al 10 gennaio; unica sosta: la domenica del 27 dicembre. Anche in quest’ultimo torneo anteguerra la Lazio partì come la grande 2 Le elezioni portarono al seguente organigramma. Presidente: Luigi Millo; segretario: Arnaldo Perugini; consiglieri: Felice Tonetti, Carlo Volpi, Ulderico Bellucci, Gilberto Comandini, Armando Rossini, Vincenzo Lombardo, Gino Gaucci. favorita. I biancocelesti avevano perso Fioranti e Moretti, l’uno tornato al Genoa e l’altro approdato all’Internazionale di Milano. Baccani aveva supplito alle defezione con due allievi, Granelli a Amici: il primo reduce dal Racing Club di Parigi, il secondo “cresciuto alla migliore scuola londinese”. In porta era arrivato Gino Rossini, dalla Fortitudo. Il problema per i laziali era dato dalla mancanza di un centravanti, essendosi Saraceni spostato nella linea mediana per ragioni anagrafiche. Il Roman si presentò potenziato dall’innesto a centrocampo dello juventino Buratti, con in porta il granatiere ligure Lissone; inoltre, l’anno di esperienza acquisito dai giovani garantiva il miglior amalgama. 3 La Juventus era la solita squadra dura e rognosa, capitanata da Cesare De Giuli; ma aveva perso Tomassini, passato alla Laziale. Convocati da “babbo Tonetti”, gli audaciani contavano sull’antico nucleo di scapestrati: Cerchia, Romani, Galassi, Caroncini, Pizzi, Marchesano, Chiesa, Pasquini; ragazzi cresciuti nell’Esperia e temprati dal vento di Piazza d’Armi e dalle lezioni dei maestri scozzesi. La Fortitudo aveva rimpiazzato Rossini con Mario Baldassarri, giunto dalle file dell’Alba dopo la notizia della mancata iscrizione dei biancoverdi. Notevoli pure gli arrivi del terzino Monti (ex Padova) e del centrattacco Conti (Pisa). La Pro Roma si era rinforzata Egisto Bernardini, un estremo di sicuro avvenire. Il nuovo direttore sportivo Amerigo De Berardinis aveva affidato la prima squadra alle cure di Sante Ancherani, ingaggiato come trainer e consigliere delle camicie bianconere. Scriveva in proposito Caniggia su “L’Italia Sportiva” (settembre 1914): E’ la prima volta che nelle squadre romane si avvera il fatto dell’assunzione di un vero e proprio allenatore. Il primo novembre le “ostilità calcistiche”, che già si erano aperte il 4 ottobre “lungo tutto il fronte del Po” (la terminologia risentiva della guerra in corso tra inglesi, francesi e tedeschi), si comunicarono alle valli dell’Arno e del Tevere. La pioggia e gli straripamenti del Tevere furono i protagonisti principi del campionato laziale, che si protrasse fino a marzo inoltrato a causa dei continui rinvii delle partite. I campi della Farnesina, Due Pini, Rondinella e Olmo si trovarono soggetti alle inondazioni del fiume: bastava qualche giorno di pioggia e le partite ufficiali saltavano come niente. Ci fu persino il caso di un ostinato footballer della Fortitudo, ripescato dai pontieri del Genio nei flutti dorati, le mani abbrancate al pallone come ad un salvagente. Inoltre, tutte le squadre avevano diversi giocatori impegnati sotto le armi. Il fortitudiano Gioacchino Saraceni, detto “Zi’ Gioacchino”, ogni mattina doveva fare il giro delle caserme per prelevare gli atleti delle partite domenicali; col beneplacito del colonnello, naturalmente. Già i risultati della prima giornata annunciarono le forze del campionato. La Lazio piegò a fatica (3-2) l’Audace, la Juventus fece lo stesso con la Fortitudo (4-2) e il Roman batté 6-2 la Pro Roma. Il Roman tuttavia si presentò in campo in otto uomini, riempiendo poi le file coi ritardatari; la Pro Roma allineò per una mezza ripresa nove elementi. Il secondo turno vide le nette affermazioni del Roman sulla Fortitudo (4-0), dell’Audace sulla Juventus (4-1) e della Lazio sulla Pro Roma (8-1). L’Audace giocò, per l’impraticabilità del suo campetto cretoso, allo Stadio, su un terreo tutto coperto di muschio. Per il difficile match Lazio-Juventus del terzo turno fu convocato l’arbitro Terzuolo di Milano. La partita si risolse in una passeggiata dei laziali (5-0), che si avvalsero dell’ottima vena di Grasselli (quaterna). All’Olmo, i ragazzi di fratel Porfirio piegarono 3-2 quelli di don Toncker, che ancora giocarono parte del primo tempo in nove uomini. 4 Il Roman ebbe partita vinta 2-0 per forfait dell’Audace, il cui nuovo campo non aveva avuto il tempo di rassodarsi a causa degli acquazzoni. Il 22 novembre la pioggia rese impraticabili i terreni di gioco. Si disputò solo il big match RomanLazio, al Due Pini. I biancocelesti, privi di Rossini (assenza recidiva e non giustificata) sostituito da Forlivesi, e con le due colonne Maranghi e Faccani in precarie condizioni, subirono una sconfitta per 5-2. Cesare De Giuli portò in vantaggio i padroni di casa al 4’, ma il pareggio degli ospiti seguiva dopo trenta secondi. Alla mezzora, De Giuli e Tomassina marcarono altri due gol. Nella ripresa Donati al 21’ e Consiglio all’89’ fissarono il punteggio finale. Mario Spetia, firmando i 3 La società dei Parioli si iscrisse al campionato col nome di “Football Club di Roma”. Un giocatore della Fortitudo si presentò in campo senza costume sociale. La C. R., nella seduta settimanale del 18 novembre, lo multò di cinquanta centesimi. Le multe dovevano essere pagate presso l’Hotel Royal in via XX Settembre, dove risiedeva il conte Millo. 4 resoconti delle partite sulla “Gazzetta” titolò: “Roman batte Lazio 5-2: il tramonto dei campioni assoluti dell’Italia Centrale?”. Il quesito non era retorico, in quanto la supremazia dei giallorossi era risultata abbastanza netta. Già in passato la Lazio aveva saputo vincere un campionato dopo una grave sconfitta (nel 1912 con l’Audace), ma questa volta le cose sembravano complicate dalla rinascita atletica degli antichi rivali del Roman. Nell’ultimo turno del girone d’andata la Lazio, con Serventi in porta e Di Napoli a centrosostegno, superò 4-0 la Fortitudo; il Roman rifilò tre reti alla Juventus; alla Piramide, i bianchi della Pro impattarono 1-1 coi biancorossi audaciani. Il 6 dicembre il Roman, sempre trascinato dai gol di De Giuli, faceva 7-3 alla Pro Roma; la Fortitudo, giocando sul terreno dello Stadio, ingaggiava una battaglia vincente (3-2) con la Juventus; nell’occasione, per un pugilato a metà ripresa, Igino Comandini e Santinelli vennero mandati anzitempo negli spogliatoi dall’arbitro, l’ex ginnasta e apprendista pugilatore Carlo Volpi. Audace-Lazio fu rinviata per il cattivo stato della Rondinella. 5 Il 13 dicembre la Lazio, con Riccardi in difesa e Vernaleone in attacco, batté 5-2 la Pro Roma, in una partita contrassegnata da tre rigori concessi e trasformati. L’Audace poté finalmente inaugurare la “sua” Rondinella, superando 5-0 la Juventus . Il match ebbe l’onore d’avere come referee il conte Millo, che scese sul terreno pantanoso con un vestito borghese blu e calzando scarpine di vernice. Escalar, l’improvvisato portiere audaciano, segnò una rete su rigore. Il Roman seppellì al Due Pini sotto cinque gol l’onore dei fortitudiani, in una partita caratterizzata da grandi “caracche” (spintoni) nelle pozzanghere. Protagonista dell’incontro fu il terzino romanista Luigi Cosimi, che per la sua mole era giustamente soprannominato “ippopotamo”. Importante fu l’esordio del sedicenne Pierino Rovida, che sostituì Meille in attacco. Rovida, tredici anni dopo, sarebbe entrato nei ranghi della AS Roma. La settimana successiva, il Roman superò 3-1 l’Audace, la Pro Roma si prese la sua rivincita alla Piramide con la Fortitudo e la Lazio si fece bloccare sull’1-1 dalla Juventus. La partita, disputata allo Stadio sotto la direzione del torinese Armano, fu assai fiacca da parte dei laziali. Maranghi e compagni risentivano della mancanza d’allenamento, dovuta all’impraticabilità dei campi della Rondinella e della Farnesina. Con questo pareggio, il campionato per i biancocelesti era praticamente compromesso. Il Roman campione regionale Sotto le feste si giocò la Coppa di Natale, vinta dalla Juventus davanti all’Audace e alla Pro Roma. Il 3 gennaio 1915, quando ancora non si era del tutto spenta l’eco delle campane e svanito il vapore dei vini spumanti, il campionato riaprì i battenti con l’attesa sfida tra la Lazio e il Roman. I giallorossi, pronosticati come i trionfatori del girone, ricevettero sull’aristocratico Campo dei Due Pini l’urto dell’undici laziale. Rispetto all’andata, la situazione però era capovolta: i romanisti accusavano le assenze di Lissone e Meille, i laziali erano al completo; mancava, è vero, Di Napoli, squalificato per ingiurie, ma al suo posto era tornato da Genova l’antico capitano Fioranti. Il match, diretto dal milanese Scamoni, fu assai elettrico in campo e sugli spalti. La Lazio lo vinse 4-0, profittando della debolezza del portiere di riserva Talamone e andando a segno con Saraceni, Consiglio e Maranghi. Attilio Buratti fallì un rigore e, subito dopo, abbandonò il campo per dare manforte al fratello, che si stava azzuffando in tribuna con Mario Di Napoli. Nella storia dei derby ante litteram tra giallorossi e biancocelesti, questa del 1915 fu senz’altro una partita da dimenticare in quanto a fair play. La domenica successiva il Roman, schierando l’allampanato Grassi in porta, ritornò alla vittoria (4-1) contro la Juventus. Il match fu interrotto al 28’ del secondo tempo per un pugilato tra Pedrelli e Tomassina, che s’allargò ai restanti giocatori. Il 17 gennaio i romanisti scesero sul campo della Rondinella, 6 attesi dai ragazzi di Tonetti. L’Audace non disponeva del portiere Chiesa, chiamato a prestare la sua opera di soldato fra le rovine del terremoto di Avezzano. 5 La gara Fortitudo-Juventus non avrebbe dovuto aver luogo, avendo il Comitato Regionale deciso di sospenderla per mancanza dell’arbitro, invano richiesto alla Federazione; il rinvio del match Audace-Lazio ne permise la disputa, mettendo a disposizione l’avvocato Carlo Volpi, dirigente del Roman e arbitro ufficiale del comitato laziale. 6 Così, dalle pagine de “L’Italia Sportiva”, Caniggia descriveva le condizioni del terreno audaciano alla Rondinella: Quando, dopo mezzo chilometro di cross country, entriamo nel Campo della Rondinella, posto tra lo Stadio, il viale dell’Acquacetosa, il Campo della Lazio, una casa colonica, Villa Glori, fossati e muri, ci troviamo davanti anche a una visione di terremoto: il muro di cinta è crollato per largo tratto (…). Fu un 5-1 maturato tutto nella ripresa, che garantì ai giallorossi la vittoria del campionato. Restavano da recuperare varie partite, ma la sostanza non cambiava. Dopo otto anni di dominio laziale, quelli del Roman avevano infranto la regola: i campioni erano loro. Dei tanti inglesi d’un tempo, solo un paio d’elementi (Meille, Bowden) giocavano con costanza nelle file dei pariolini. Il trionfo del Roman coincise con la resurrezione della prima squadra di calcio comparsa nella Capitale: la Ginnastica Roma. Erano trascorsi quasi tre lustri da quando la “Roma” aveva abbandonato il calcio per dedicarsi esclusivamente agli altri giochi ginnici. La scelta l’aveva fatta Tifi, da sempre convinto assertore della ginnastica pura. Ora, sia Tifi che Guerra, i due pionieri del calcio ginnastico, facevano parte del Comitato Olimpico Nazionale Italiano 7 e del Comitato Romano delle Istituzioni Ginnastiche e Sportive. 8 A capo del sodalizio c’era invece il deputato Gesualdo Libertini, mentre tra i consiglieri figurava Carlo Volpi, membro del Comitato Regionale della FIGC. La “Roma” aveva passato un periodo di crisi, con la perdita della prestigiosa sede in via Genova e il trasferimento in via dei Lucchesi; come palestra, usava quella del Liceo Ginnasio Torquato Tasso, in via Basilicata. La decisione di riformare la sezione calcio era maturata circa sette mesi prima, sulla scorta di quanto aveva fatto l’altra medagliatissima società ginnastica d’allora: l’Enotria. Volpi e Piero Caccialupi furono gli artefici dell’operazione che portò la SGR ad iscriversi, nel gennaio 1915, al campionato laziale di terza categoria. 9 Il Comitato Regionale decise di opporre ai biancostellati i biancoverdi dell’Alba, in una sfida andata e ritorno che avrebbe funzionato da spareggio per l’ammissione al campionato 1915-16. La prima partita si svolse alla Piramide il 31 gennaio. I ginnasti e sprinter della ”Roma” se l’aggiudicarono 4-2. 10 Nel ritorno, giocato in marzo alla Farnesina, le due squadre pareggiarono 1-1. Tra febbraio e marzo, il campionato si concluse faticosamente, 11 con la Lazio che ritornò a tre punti di distanza dal Roman, cedendo 3-0 all’Audace. Nell’occasione, gli audaciani si schierarono al completo, con la prima linea rinforzata da un nuovo elemento, De Martino, già del Novara FC. La Lazio giocò il primo tempo in otto e la ripresa in undici, con elementi di seconda e terza squadra, due dei quali appartenenti alla sezione dei “Ragazzi Esploratori”. I biancocelesti riuscirono comunque a difendersi dal ritorno dell’Audace e ad agguantare la seconda posizione, utile per la qualificazione alla fase interregionale. Il Roman, che intanto aveva perduto il centravanti Beniamino Tomassina, mandato in servizio militare a Genova, si recò a Napoli e perse in amichevole con l’Internazionale 2-0. Sul finire del campionato si registrò anche il primo pasticcio, o imbroglio, del calcio capitolino, perpetrato in maniera un po’ furba e un po’ingenua da Lissone, il portiere romanista. A inizio stagione Lissone si era fatto, all’insaputa di tutti, due tessere: una per il Roman e l’altra per il Genoa. La prima valevole per il tempo in cui egli si trovava sotto le armi; l’altra per quando, cessato il servizio militare, sarebbe ritornato a Genova. E così accadde. Svestita la divisa, l’ex granatiere se ne andò nella città della Lanterna e riprese a frequentare la squadra rossoblu. Tuttavia, in due riprese (con la Fortitudo e con l’Audace), fece altrettante capatine nella Capitale e difese la rete indossando la vecchia casacca romanista. Fortitudo e Audace presentarono ricorso e scoppiò così il “caso Lissone”. La Lazio, naturalmente, era interessata agli sviluppi, in quanto con le sconfitte a tavolino del Roman avrebbe recuperato i tre punti di svantaggio e vinto il campionato. A capo del Comitato Regionale c’era, però, un certo Luigi Millo, presidente del Roman. Il conte agì diplomaticamente e il “caso Lissone” si ridusse a una bolla di sapone. I giallorossi vennero ammessi, insieme ai biancazzurri, al girone di finale, che riuniva anche Pisa e 7 Costituito nel 1908, il CONI aveva la sua sede in via Colonna 32. Il marchese e deputato Carlo Compans lo presiedeva, il prof. Carlo Montù ed il tenente generale Ernesto Bertinatti erano i vice; Guerra e Tifi svolgevano il ruolo di segretario generale e segretario semplice. 8 Fondato nel 1913, con sede in via S. Nicolò da Tolentino 45. Aveva per fine di ottenere che lo Stadio Nazionale fosse portato a compimento e messo a disposizione delle società locali per la loro preparazione tecnica e le manifestazioni ginnastiche e sportive. 9 In questo periodo s’iscrissero alla Federcalcio anche la Cristoforo Colombo e la S. S. Testaccio. 10 Le formazioni. S. G. Roma: Carpi, Roncan, Barbacane, Mayer, Degli Albizzi, Rossi, Alegiani, Tarretti, Parenti, Bini, Caccialupi. S. S. Alba: Reguzzoni, Saldarini, Galli, Muzzioli, Peroni I, Peroni II, Bressan, Foce, Calducci, Lazzaroni, Peroni III. 11 Il record dei rinvii fu quello del match Fortitudo-Audace, annullato cinque volte. Lucca. La vincente avrebbe sfidato la squadra campione del girone sud, da definirsi tra Naples e Internazionale Napoli. La dichiarazione di guerra all’Austria ferma la Lazio La Lazio preparò meglio l’impegno, con una serie di amichevoli delle quali la più importante fu quella del 14 marzo allo Stadio, contro l’Internazionale di Napoli. I biancocelesti inserirono nella terza linea Terrile, già dell’Andrea Doria, e all’ala Zoppi, al posto di Consiglio che aveva lasciato la Capitale per la leva militare. I laziali s’imposero 2-1. Il 5 aprile, lunedì dell’Angelo, si svolsero a Roma due tornei in contemporanea. L’uno, la “Coppa Lazio”, organizzato dalla Podistica e vinto dalla medesima sulla Fortitudo e l’Audace II. L’altro, la Coppa “Noli Da Costa”, indetto dal Roman e vinto dall’Audace, che precedette la Pro Roma, l’Internazionale Napoli e il Roman. L’11 aprile la Pro Roma inaugurò il suo secondo terreno sportivo: il Campo Flaminio. Toncker, eletto a nuovo presidente della società, lo aveva inserito dentro una villa al Lungotevere Flaminio, acquistata di fronte ai Polverini. La principessina Clotilde Antici Mattei battezzò il campo con una bottiglia di champagne, prima di una riunione polisportiva che incluse gare di ciclismo, podismo e una partita di football. L’impianto, progettato dal direttore sportivo ing. De Berardinis, occupava un angolo del parco e comprendeva il terreno da calcio, 12 una pista leggermente rialzata che sviluppava 370 metri, lo stanzone per gli attrezzi, due spogliatoi e una terrazza che serviva da tribuna agli spettatori. L’11 aprile si effettuarono anche le prime due partite del girone di finale dell’Italia Centrale. Sul Campo dell’Abetone, lo Sporting Pisa regolò la Lazio con due reti per tempo. I laziali, avvisati dalla Federazione solo il venerdì precedente l’incontro, erano stati obbligati a partire con una formazione incompleta, e a difesa della rete avevano dovuto mettere il portiere della terza squadra. Al Due Pini, il Roman batté 3-0 i rossoneri del Lucca FC. La settimana dopo la Lazio ospitò il Roman alla Rondinella e vinse 2-1. La partita, molto equilibrata, fu decisa nel primo tempo dai gol di Grasselli e Faccani, Meille accorciò nella ripresa. I biancocelesti fecero esordire Alfredo Cella all’ala destra e ripresentarono Gino Donati in difesa. I giallorossi stavano ormai alla frutta, avendo perso per strada Lissone, Cenedese, Bowden e Tomassina; cioè i due difensori e i due attaccanti più validi. Nella stessa giornata, il Pisa superava il Lucca 3-2 e si portava al comando. La situazione non era facile per le rappresentanti capitoline: il Roman aveva un difetto di condizione e giocava con una formazione infarcita di riserve; la Lazio perdeva e riprendeva di volta in volta giocatori in tutte le linee, mancando di quella omogeneità che era una sua tradizione. Il 25 aprile, a dispetto dei pronostici, il Roman e la Lazio ristabilirono la supremazia sulle toscane. I giallorossi diedero sette gol al Pisa, privo di alcuni dei suoi uomini migliori. Ugo Meille e Cesare De Giuli segnarono una doppietta a testa. A Lucca, sul Campo di S. Anna, la Lazio passò 2-1, rete iniziale di Cella al 4’ e raddoppio di Zucchi al 24’ del secondo tempo. L’arbitro livornese Meani non concesse un rigore per fallo di mani nell’area laziale e fischiò la fine con un minuto d’anticipo, scatenando le ire della folla. Il 2 maggio Lucca-Roman fu rinviata. La Lazio ospitò e batté 4-2 il Pisa, grazie ai gol di Fioranti, Donati e Saraceni. Nel secondo tempo, sul 3-2 per i biancocelesti, i nerazzurri nel tentativo di recuperare iniziarono un gioco violento, che l’avv. Volpi così descrisse ai lettori de “L’Italia Sportiva”: Si assiste ad una vera cinematografia di capitomboli. L’erculeo Faccani abbandona anche lui ogni ritegno e fa… piazza pulita. Fioccano i calci di punizione da parte dell’arbitro, le proteste, le recriminazioni e i reciproci improperi tra i giuocatori. Un incidente tragicomico capita a Fioranti, che durante una mischia si piglia un formidabile pugno sul naso dal compagno Zucchi; fraterno sangue bagna le zolle del campo di Villa Glori (…). A quel punto, la classifica vedeva la Lazio con sei con punti, il Roman e il Pisa a quattro. Decisiva diventava la sfida al Due Pini tra le romane. La partita si disputò il 9 maggio su un campo troppo erboso che ostacolò non poco le manovre. Dopo un botta e risposta tra il quinto e l’ottavo minuto 12 Il campo, che sorgeva nell’area corrispondente oggi a Piazza Apollodoro, aveva la misura regolamentare di metri 100 x 50, secondo gli ultimi dettami della Federcalcio. Era stato preparato da Andreani, che si era occupato anche del terreno della Lazio alla Rondinella. (gol di Consiglio, pareggio di Meille, nuovo vantaggio firmato da Saraceni), tutto si risolse in un monologo laziale. Il pur poderoso Ulderico Bellucci, chiamato febbricitante a dirigere il match per via dell’assenza dell’arbitro ufficiale, non riuscì ad evitare zuffe e colpi proibiti, come si rileva da questo godibilissimo brano di cronaca, tratto sempre da “L’Italia Sportiva”: Nel primo tempo l’angoloso Zucchi ha lasciato andare un calcio nel di dietro del grosso Cosimi, per un perché veramente non troppo spiegabile. Il pesante terzino si getta allora inaspettatamente all’inseguimento dell’avversario, fuggitivo per il campo ad evitare l’aggravarsi d’un incidente che avrebbe potuto richiedere un serio provvedimento a danno della Lazio. La corsa e la rincorsa trovano finalmente il loro naturale traguardo tra le braccia degli immancabili pacieri. L’arbitro, visto che la cosa non era troppo allarmante, non espelle dal campo i due turbolenti giuocatori e, dopo un’altra breve attesa per permettere a Marchesi di meditare sulle sorti di un suo ginocchio malamente offeso da un calcio e provvedere di conseguenza, fa riprendere il giuoco (…) A pochi minuti dalla fine, sul 5-1, Saraceni in un urto con Cosimi rimaneva contuso; in segno di protesta, il laziale rispondeva con un pugno. Contro protesta di Cosimi per mezzo di altri pugni; intervento dei giuocatori delle due parti; torneo di pugilato. Il bellicoso spettacolo extra programma eccita il pubblico, il campo è invaso da una folla accorrente, e un parapiglia diabolico succede; mani, pugni e qualche bastone si alzano e si abbassano a picchiare. Il picchiamento dura parecchio, ma chi le pigli o le dia non si viene a capire. Faccani non è però della partita, e poco dopo lo sentiamo dire che se li è “segnati tutti e che doppo li va a trova’ a casa uno per uno… “. Basta, lo spettacolo cessa, il pubblico torna dietro le staccionate e i due undici si rimettono in linea. Però al Roman mancano, espulsi dall’arbitro, Cosimi e Buratti, e poco dopo viene a mancare per crampi anche De Lellis; alla Lazio manca Saraceni. Ma la fine è prossima e nel breve spazio di cinque minuti il risultato non cambia. Nella stessa domenica del match-far west di Roma, il Pisa superò il Lucca 4-0. Sabato 15 maggio il Lucca diede forfait per le restanti sue partite. La Lazio saliva così a dieci punti, il Roman a sei, insieme al Pisa. Rimaneva da giocare Pisa-Roman: una partita inutile, in quanto nessuna delle due poteva raggiungere la capolista. Domenica 16, lo Sporting attese invano all’Abetone l’arrivo dei romanisti. Neppure l’arbitro designato si fece vivo. Il Pisa chiese lumi alla FIGC e questa, come suo solito, non rispose. Per il campionato meridionale, i “blues” dell’Internazionale si erano intanto qualificati superando in un doppio confronto il Naples. Anche al nord, il girone di finale comprendente Inter, Milan, Torino e Genoa si stava concludendo tra enormi impacci. Da diverse settimane si capiva che la guerra, per l’Italia “interventista”, era ormai alle porte. Le squadre avevano continuato ad allenarsi e a disputare partite con la preoccupazione delle continue defezioni; non era trascorso giorno senza che un giocatore non avesse fatto la “cassetta”, con la cartolina rosa della precettazione in tasca. Sabato 22 maggio 1915 si diffuse la notizia dell’ormai prossima dichiarazione di guerra all’Austria. I dirigenti della Federcalcio si riunirono d’urgenza a Torino e, in nottata, deliberarono di non far giocare l’ultimo turno del campionato settentrionale. L’annuncio venne dato alle società durante la mattinata della domenica con questo sibillino telegramma: “In seguito mobilitazione per criteri opportunità sospendesi ogni gara”. Artefice dell’imprevedibile iniziativa era stato Carlo Montù, che già alcun mesi avanti, alla notizia dello scoppio della guerra, si era lasciato prendere dal panico annullando sconsideratamente i campionati nazionali di canottaggio. Montù, in qualità di presidente del Royal Rowing Club Italiano, non si limitò a stoppare il campionato di calcio a novanta minuti dalla fine: egli mandò un minaccioso telegramma al Rowing di Pavia, diffidandolo dal mettere in acqua le tradizionali regate. Per fortuna, non tutti i presidenti federali si chiamavano Montù, e il blocco dello sport non diventò totale. Ciclisti, podisti, trottatori sulle piste e negli ippodromi non si fermarono affatto; rimasero inattivi solo canottieri e calciatori, vittime dello stato orgasmico del loro presidente. 13 Fu un provvedimento molto intempestivo. La prima giornata di mobilitazione generale non aveva il potere di allargare, più di quanto le precettazioni personali non avessero già fatto, i vuoti nelle fila delle compagini in lizza. 13 Un orgasmo di natura patriottica. Montù anelava le glorie marinettiane della guerra “sola igiene del mondo e meraviglioso sport sintetico”, dove si metterà in luce come uno dei più spericolati aviatori. Tanto è vero che il Milan decise comunque di andare in campo, organizzando al Velodromo Sempione un incontro tra la prima e la seconda squadra. Il mercoledì successivo, il braccio destro e portavoce del prof. Montù, il dott. Tonino Scamoni, cercò di mettere una pezza alla gaffe della Federazione, dando come motivazione ufficiale l’impossibilità da parte del Torino di raggiungere, nella giornata di domenica 23, la città di Genova; giocoforza, si era deciso di annullare anche l’altro match di Milano. Una giustifica fiacca, che naturalmente non convinse nessuno; e tanto meno i genoani del presidente Geo Davidson, che si dissero subito defraudati del “sicuro” titolo, esprimendo un malumore molto più accentuato rispetto alle altre squadre. Sabato 29 maggio, a una settimana dal pasticciaccio, Piccoli, Biondetti, Levi e Scamoni – gli esponenti del Comitato Direttivo – risolsero di rinviare l’esame della classifica del campionato alla chiusura delle ostilità belliche. Infatti, nel dopoguerra la FIGC diede il titolo di campione d’Italia 1914-15 al Genoa, calpestando i diritti dell’Internazionale di Milano e del Torino, che pure avevano le loro chance di vittoria, e non tenendo in alcuna considerazione la Lazio e l’Internazionale di Napoli, appartenenti al “terzo mondo” calcistico del meridione. Si parte per il fronte Nel quadriennio 1915-18 moltissimi furono i footballer tiberini che partirono e parecchi quelli che non tornarono. Alla prima ondata, la Podistica Lazio rimase con quattro elementi della squadra titolare. 14 La Pro Roma, nelle cui file si mise in luce Alberto Cinti come arbitro e organizzatore, ebbe subito cinquantotto soci chiamati; alla fine del conflitto assommarono a circa trecento, con ventiquattro caduti al fronte. Sulla stessa linea anche l’Audace. Il Roman perse al completo il consiglio direttivo e si sciolse. Il club dei Parioli concesse il Campo dei Due Pini alla Juventus; nelle file bianconere entrarono alcuni scampati o reduci dal fronte, come gli attaccanti Ugo Meille e Cesare De Giuli. 15 Pur con le società decimate dalla mobilitazione, il calcio non fu bandito completamente dal proscenio romano. Altre squadre salirono a rimpiazzare le vecchie. Così i neri dell’Esquilia, campioni di seconda categoria, e la Laziale, 16 vincitrice della terza categoria della FASCI. E poi i rossoblu della Tiberis, la Flaminia, la Testaccio, la Fortior 17, la Vigor ed altre squadre composte da ragazzi non ancora soggetti agli obblighi di leva. Fiorirono i campionati “boys” e “primi calci”. I più piccoli non dovevano più accontentarsi dell’Alberata, specie di piazzale a conca situato a Villa Borghese fra il Giardino del lago e l’Istituto Internazionale d’Agricoltura. Ora si aprivano anche per loro campi da calcio regolari. I più grandi disputarono vari tornei per la conquista di targhe e coppe, spesso con gli introiti a beneficio della Croce Rossa. Il primo di questi, a fine giugno del 1915, fu organizzato dalla Juventus all’Olmo e allo Stadio, con la partecipazione delle società Fortitudo, Esquilia, Lazio e Laziale. A luglio, nell’ambito di una polisportiva, Roman, Juventus, Fortitudo e Pro Roma diedero vita a Piazza di Siena ad un torneo di calcio a sei: l’esperimento riprendeva quanto già si stava facendo al nord, per ovviare alla mancanza di giocatori. A settembre si disputò la finale del “Torneo Italia”, sempre a sei giocatori, vinta dalla Laziale sulla Flaminia. Sotto Natale si riunì il Comitato Regionale e venne formato un nuovo organigramma: Francesco Mauro presidente, Guido Baccani vice, Dante Ciriaci segretario, Toncker cassiere, Sidoti e Benedetti consiglieri. Il comitato deliberò di far disputare un campionato regionale per le tre categorie, uno per i “boys” e numerose challenge, fra cui la Coppa di Natale e un’altra 14 La lista dei giocatori che vestirono la maglia della Lazio nel periodo 1915-18: Arioni, Baldacci, Beniamini II, Bona, Cella I, Cella II, Dosio, De Chiara, De Marco, Felicani, Maneschi, Maranghi, Menghy, Molinari, Orazi, Perugini, Raffo, Ragusi, Riberi, Saraceni, Scaramucci, Varini. 15 La lista dei giocatori che vestirono la maglia della Juventus nel periodo 1915-18: Lalli, Talamone, Bernardini, Cavalli I, Cavalli II, Berti I, Zuppone, Tomassini, Buratti, De Gasperi, Ferrari, De Romanis, Sidoti, Gasperoni, Costantino, Gerli II, Fraschetti, Anselmi, Schiavelli, Dragoni, Orazi, Valenti, Panosetti, Masetti, Bruno, Nunzi, Natale, Guidotti, Benincasa, Paolini, Contini, De Giuli I, De Giuli II, Santinelli, Fanti, Turi, Berti II, Michettone, Guanciarossa, Canobbio, Petrrelli II, Bechis, Muzioli, Rovida, Parenti, Garofoli, Garuti, Ricci, Mariglia, Cappello,Lunari. 16 Una formazione tipo della Laziale: Alderighi, Castellani, Curi, Civitella, Floritta, Benedetti, Ceresi II, Ceresi I, Zacutti, Rossi, Martinelli. 17 Una formazione della Fortior: Liberati, Belardelli III, Conti, Gabrielli, Sansoni III, Babricci, Donati, Sideri, Chiesi I, Valce III, Mazzarini II. coppa offerta dal neo presidente della Ginnastica Roma, l’on. Luigi Medici del Vascello. La Juventus si aggiudicò la Coppa di Natale, battendo la Fortitudo. Proprio i rossoblu di fratel Porfirio stavano emergendo come la squadra più compatta. La SGS Fortitudo aveva la fortuna di poter disporre sempre degli stessi uomini. 18 Eccellente nella prima linea, con Degni, Genova, Sensi e Gastinelli, appariva fortissima nella seconda linea, dove giostravano Mariano Alessandroni, Angelo Sansoni e il centrosostegno Giuli; qualche problema lo aveva nei terzini Malfatti e Benedetti, mentre il tallone d’Achille era costituito dal portiere Liberati. La Fortitudo si aggiudicò la Coppa Medici del Vascello edizioni 1915 e 1916, la Coppa di Natale 1916 19 e il campionato romano di prima categoria 1916 e 1917, disputato con partite di andata e ritorno da cinque squadre: Fortitudo, Pro Roma, Lazio, Juventus e Tiberis. Il campionato si svolse dal 7 gennaio al 25 marzo 1917, al Due Pini e al Flaminio. Sidoti, Perugini, il milanese Resegotti e il piemontese Morutto funsero da arbitri; contemporaneamente, si disputò anche un campionato riserve. Dal punto di vista tecnico e organizzativo, il livello del torneo fu piuttosto basso. La Tiberis si ritirò al termine del girone d’andata. Spesso le formazioni si presentarono sul terreno di gioco in sette, otto uomini, coi vari elementi che andavano e venivano dal fronte profittando delle brevi licenze. Non mancarono violenze, incidenti e i classici ritiri per protesta contro l’operato arbitrale. La Pro Roma, rinforzata da Silvio Sensi, 20 riuscì a impattare 0-0 con la Fortitudo e a vincere il ritorno 1-0. Terminando le due rivali il campionato in parità, fu necessario uno spareggio. La partita si svolse il primo aprile al Campo Flaminio; la vinsero i rossoblu con un gol di Genova a 7’ dalla fine. 21 I proromani si rifecero aggiudicandosi la Coppa Laziale, giocata dalle stesse quattro squadre e chiusa il 29 aprile. 22 Tra aprile e maggio, si disputò anche un campionato di terza categoria, cui parteciparono (in ordine di classifica): Pro Roma, Vigor, Juventus, Tiberis, Libertas, Fortitudo e Lazio. 23 Il Campo Aurelio alla Madonna del Riposo A maggio del 1917 la Fortitudo organizzò la Coppa Medici del Vascello sul suo nuovo campo alla Madonna del Riposo, fuori Porta Cavalleggeri. Si trattava di un terreno situato sul Colle Vaticano e di proprietà del cavalier Staderini. L’inaugurazione avvenne il pomeriggio del 20 maggio, madrina la signora Fitzgerald. Alle parole del conte di Carpegna fecero eco quelle di Staderini, che come pubblico amministratore portò il saluto del Comune alla Fortitudo. Il Campo Aurelio prendeva il posto dell’angusto Campo dell’Olmo. Esso si presentava con la bella facciata bianca in muratura della chiesa, in stile coloniale, dove campeggiava la scritta “Fortitudo”. Era recintato da staccionate e aveva misure regolamentari. Considerata l’epoca, anzi era proprio spazioso: una sciccheria che 18 La lista dei giocatori che vestirono la maglia della Fortitudo nel periodo 1915-18: Andolfato I, Andolfato II, Corbyons, Delle Piane, Pantrè, Mona, Alfieri, Pavon, Provani, Liberati, Diamanti, Seracchi, Lommi, Zezza, Conti, Comandini, Vespasiani, Tirone, Sansoni I, Sansoni II, Sansoni III, Ferraris I, Ferraris II, Ferraris IV, Alfieri, Valci, Alessandroni, Pelliccioni, Zanatta, Belardelli, Gabrielli, Galassi III, Sensi, Degni, Chiesa, Meda, Baroncini, De Martino, Ceresi I, Ceresi II, Clerici, Orioli, Genova, Giuli, 19 Poi andata alla Lazio per la presenza tra le file fortitudiane di un giocatore non in regola col tesseramento. 20 La lista dei giocatori che vestirono la maglia della Pro Roma nel periodo 1915-18: Ancherani, Antoni, Bedogni, E. Bernardini, Bertelli, Carosso, Cerretti, Cornolti, Cuzzetti, De Martino, Di Rocco, Franchi, Galassi, Grillo, Mancini, Marchettini, Maretta, Margari, Mariani, Maroni, Mastroiacono, Mattei Mondellini, Monti, Novello, Parboni, Perfetti, Pulga, Peroni, Rastelli, Rea, Rossetti, Sagona, Santi, Scioscia, Sensi, Sicari, Superi, Tantignoni, Tasso, Vittori. Vittori. Va inoltre aggiunto il grande Cevenini III, che vestì la maglia durante un periodo da militare a Roma. 21 Le formazioni. Pro Roma: Sagona, Antoni, Cuzzetti, Perfetti, Pulga, Novello, Marchettini, Carosso, Bertelli, Sensi, De Martino. Fortitudo: Corbyons, Benedetti, Malfatti, Sansoni III, Sansoni II, Alessandroni, Valci, Ceresi, Degni, Genova, Gastinelli. 22 Anche la Coppa Laziale fu macchiata da diverse violenze. Stralciamo dalla “Gazzetta dello Sport” del 7 maggio 1917: “Il Comitato Regionale Laziale in seguito agli incidenti verificatesi nelle ultime partite della Coppa Federale ha ammonito i giuocatori Valenti e Tomassini della Juventus per contegno scorretto verso l’arbitro e sospeso a tutto il 31 maggio Sensi Silvio della Pro Roma, e a tutto il 30 giugno Benedetti della Fortitudo per giuoco scorretto e per essere trasceso a vie di fatto verso un avversario”. 23 In un match valevole per questo campionato la Fortitudo batté la Tiberis 21-0: probabilmente è il record assoluto di marcature per gare ufficiali a Roma. consentiva alla Fortitudo di alimentare il prodigioso vivaio che, di lì a pochi anni, avrebbe fatto grandi le sorti dei rossoblu. Fu su questo campo, infatti, che nell’estate del 1917 Attilio Ferraris superò una specie di provino ed entrò nelle file del sodalizio borghigiano. Le pecche principali dell’”Aurelio” erano due: 1) non disponeva di spogliatoi; 2) risultava un po’ fuori mano e vi si accedeva solo per una stradina piena di fango d’inverno e spazzata da un turbinio di polvere d’estate. Il campo alla Madonna del Riposo, comunque, diventò subito la tana rossoblu, conosciuta e temuta come “la fossa dei leoni”. La Coppa Medici del Vascello, disputata in due riprese, fu vinta dalla Fortitudo, in una finale giocata il primo luglio contro la Pro. Le due finaliste beneficiarono del ritiro della Juventus, falcidiata dalla chiamata al fronte dei ”ragazzi del ‘99”. A luglio del 1917 partì il Torneo Savoia, che aveva in palio una grande medaglia d’oro donata dal re. Pro Roma, Fortitudo, Juventus e una mista Lazio-Tiberis se la disputarono al Campo Flaminio; vinse la Pro Roma. A novembre la stagione ufficiale riprese con la quarta edizione della Coppa Medici del Vascello. Il 17 dicembre la “Gazzetta dello Sport” diede notizia della morte in un combattimento aereo di Mario Mignani, della Pro Roma. Si era nel periodo più duro del conflitto, a poco meno di due mesi dalla disfatta di Caporetto. Alla Coppa di Natale s’iscrissero solo due squadre: la Juventus e la Pro Roma. Il 1918 si aprì con la disputa, il 14 gennaio, della prima giornata del Campionato Romano FIGC. Vi parteciparono la Pro Roma, la Juventus, la Fortitudo e l’Unione Sportiva Romana, rimpolpata dagli ex della disciolta Flaminia. 24 Dopo due sconfitte sonanti con la Pro e la Juventus, i biancoverdi si ritirarono e il campionato fu vinto dalla Fortitudo. I rossoblu si aggiudicarono definitivamente anche la Coppa Medici del Vascello. I suoi “boys” stravinsero in aprile un trofeo messo in palio dal “Giornale d’Italia”. Il quotidiano, commentando i risultati del torneo, scrisse: Abbiamo assistito a dei matches veramente interessanti per la classe di alcuni dei più minuscoli giocatori. Primo fra tutti Attilio Ferraris della Fortitudo. 25 La US Romana vinse il campionato di terza categoria. Il resto della stagione registrò la nascita di due nuove associazioni calcistiche: l’A. C. Ludis in Armis e il Sokol F. C. La prima raccoglieva diversi elementi usciti dalle migliori squadre (De Giuli, Tomassini, Maranghi, Sensi, Santini, Scioscia, Cimino) e occupati come operai militarizzati in una fabbrica d’Armi al Flaminio: l’Officina “Roma”; la seconda era interamente formata da rifugiati serbi e, a giugno, aveva mostrato un buon calcio in una festa sportiva a Piazza di Siena. Ad ottobre del 1918 le verdi pelouses delle società maggiori, quali la Pro Roma, la Fortitudo e la Lazio, tornarono a popolarsi di calciatori, per la maggior parte giovanissimi elementi che si addestravano per rimpiazzare i consoci assenti. La Romana ottenne dal Roman l’uso del Due Pini, lasciando così la Juventus senza terreno di gioco. Il 4 novembre finiva ufficialmente la guerra. Due settimane dopo, il calcio capitolino non dava segni di risveglio. Don Guido Toncker, che dopo la crisi federale d’ottobre aveva preso in mano le redini del Comitato Regionale (ed era praticamente l’unico presidente federale in carica su tutto il territorio nazionale), faceva quello che poteva, ma sembrava proprio che gli atleti romani preferissero dedicarsi alle vecchie discipline ciclistiche e podistiche piuttosto che al calcio. Il conte Spetia, dalle pagine della “Gazzetta”, commentò così la situazione: Quest’anno il football romano sembra deciso a non svegliarsi. Si è assopito l’altra stagione finita sotto la canicola estiva e, ad eccezione di qualche guizzo di volenterosi, non si è più mosso. (…) I pochi match si sono giuocati a squadre miste e a tempi ridotti. I giuocatori sono qualcosa di pietoso. Anche i migliori naufragano in mezzo alla assoluta mancanza di coesione fra giuocatore e giuocatore, fra linea e linea. Il Comitato Regionale? Morto. Il Commissario per il Lazio ha buona volontà, ma da solo non può fare. Quelli che lo dovrebbero aiutare, o fanno parte delle molteplici giurie delle più volte lodate gare e “giornate sportive”, o pensano ai casi loro. Le società dormono. (…) E’ possibile che non vi sia una società romana che abbia il coraggio di bandire un torneo? (…) La Coppa di Natale dovrà essere il primo stiracchiamento del football romano 24 L’Unione Sportiva Romana era stata rifondata il 16 febbraio 1916. La formazione vincente della Fortitudo: Bartoli, Coccia, Mona, Silvestri, Ferraris IV, Ferracin, Turchi, Angelini, Saraceni, Romitelli. 25 dormiente? La Federazione è in crisi, il suo presidente si è anche dimesso. Ebbene, si faccia una specie di Comitato provvisorio, un Consiglio nazionale, un… Soviet, quello che insomma si vuole, ma non si permetta che il football, qui in Roma, ove tanti bei campi attendono il ritorno dei loro giocatori, ritorni ad essere la Cenerentola degli sports.