STORIA
di Oreste Sergi
Il complesso conventuale dei
Padri Minimi o Paolotti. Un
“monumento di fede” al
compatrono della città di
Catanzaro: S. Francesco
di Paola
Francesco il glorioso
santo traumaturgo
C
atanzaro, come si evince da alcune fonti archivistiche locali, ha eletto, storicamente, Francesco, il
glorioso santo taumaturgo di
Paola, a compatrono della città. Un santo nei confronti del
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quale il popolo catanzarese ha
nutrito, ancor prima della sua
canonizzazione, una devozione
molto forte, tanto da superare
a volte quella verso il patrono
principale S.Vitaliano. L’amore nei confronti del fondatore
dell’Ordine dei Minimi, fu da
sempre acceso da una fede profonda, tanto da spingere «la
Università, & uomini di Catanzaro», il 26 dicembre del 1517,
- come riportato nella “Vita”
di P. Isidoro Toscano O.M. e
nelle “Memorie Historiche” di
Vincenzo D’amato - a scrivere
al Papa per la canonizzazione
dell’allora Beato Francesco da
Paola. Il complesso conventuale rappresenta ancora oggi un
simbolo di amore e devozione
nei confronti del «Beato Francesco da Paola di Nation Calabrese» da parte di una città e di
una intera provincia che, come
scritto nella suddetta lettera
«per favor del Signore co’ i suoi
miracoli è illustrata sanando infermi e altri miracolosi fatti operando, i quali senza special gratia non possono da gli huomini
operarsi».
Incerte le date di costruzione
intorno il complesso conventuale dei PP. Minimi di Catanzaro, attestate da alcuni storici,
come Vincenzo D’Amato, al
1572, da altri, come Luise Gariano e il P. Giovanni Fiore, tra
il 1577 e il 1581 date quest’ultime che, come afferma lo storico padre cappuccino, sono da
intendersi: «nel ‘77 designata, e
nell’81 principiata la fabrica».
Questa versione appare la più
probabile se si fa riferimento
agli “Acta Capitulorum Generalium Ordinis Minimorum”, dai
quali si evince che, nel 1581, il
convento catanzarese viene uficialmente accettato dall’Ordine
nel Capitolo di Barcellona. Il
dato più interessante, riguardo
la fondazione del convento di
Catanzaro, si ricava da alcune
fonti storiche dell’Ordine dei
Minimi le quali riportano che
un primo impianto conventuale sarebbe stato costruito fuori
le mura della città nel luogo
chiamato S. Francesco Vecchio
o S. Biase, la cui identiicazione
topograica, oggi, potrebbe attestarsi nella zona denominata
“Stratò”.
La chiesa e il convento sorgono sull’estrema propaggine del
colle denominato anticamenNella pagina a sinistra:
Chiesa di S. Francesco di Paola.
Navata centrale
Chiesa di S. Francesco di Paola e palazzo Ruggiero-Raffaelli
già convento dei Padri Minimi
te di S. Trifone mutato poi in
S. Rocco dopo la costruzione,
nel 1565, dell’omonimo convento delle suore Claustrali del
Terz’Ordine di S. Domenico, in
quello che in epoca medievale
era l’antico ristretto di S. Tecla,
quest’ultimo posto tra i ristretti
“latini” di S. Nicola Malacinadi
e di S. Biagio del quartiere del
Vescovato e i ristretti “greci” di
S. Maria di Cataro e di S. Barbara. Quest’ultima risulta essere,
come attesta il Gariano, la terza
chiesa greca, poco distante dalla chiesa di S. Nicola di Pitinto,
costruita, secondo gli storici,
all’indomani della fondazione
della città tra l’antico quartiere
“Greca”, il burrone di “Tubolo”
seu Vallotta e quello di S. Barbara. L’antica parrocchia, distrutta dal terremoto del 1783
non fu ricostruita e i ruderi,
l’otto maggio 1827, con Regio
Decreto furono venduti dal
vescovo Matteo Franco afinché potesse impiegare il prezzo
della medesima per le spese di
ricostruzione della Cattedrale.
Il titolo della parrocchia fu, pertanto, trasferito nella chiesa dei
Paolotti all’interno della quale fu eretto, a destra dell’altare
maggiore, un altare, oggi non
più esistente. Il palazzo Ruggero-Raffaelli è il rifacimento ottocentesco, del cinquecentesco
convento dei PP. Minimi di S.
Francesco di Paola. Quest’ultimo, alienato successivamente a
privati, fu interessato dai lavori
di rettiicazione dell’allora Corso Vittorio Emanuele.
Nel 1881 la parte di fabbricato
prospiciente il corso Mazzini,
denominata “Casa Ruggiero”,
fu interessata da alcuni lavori di
ristrutturazione attuati su progetto di Michele Manfredi che
causarono il taglio dell’intera
facciata e il suo allineamento
con il prospetto della chiesa,
nonché la sistemazione degli
ambienti residui su tutti i piani.
Fu durante tali lavori e l’abbattimento parziale del fabbricato
che vennero rinvenute alcune
strutture dell’antica fabbrica
conventuale con la presenza, al
Obiettivo Calabria - 49
Chiesa di S. Francesco di Paola e palazzo Ruggiero-Raffaelli
già convento dei Padri Minimi in una cartolina d’epoca
piano terreno, di volte a botte e
a crociera e di una cisterna.
Tutto ciò trova riscontro in alcune fonti storiche dell’ordine
dei Minimi, riportate dal Padre
Pandulfo O.M. il quale scrive,
in alcune memorie, come il
convento aveva «un dormitorio
grandissimo e doppio, nel quale
oltre al comune ambulacro ogni
cella aveva il suo ligello. Ma poiché nel 1638 nel sesto giorno delle
Calende di Aprile la terra tremò
fortemente e moltissimi luoghi
di questa provincia crollarono,
sebbene questa Città, per intercessione del S. Padre (si riferisce
a S. Francesco) e di S. Vitaliano
suo protettore, non fu soggetta
ad alcun danno doloroso: poiché
però gli ediici del Convento furono alquanto di strutti, allora
ai Padri sembrò opportuno abbassare lo stesso Convento e così
abbassato di tenerlo totalmente a
freno con delle catene e di ridurlo
alla forma che si vede».
Successivamente su iniziativa
del P. Paolo Gaspa nel 1715 e su
progetto di un architetto messinese «fu costruita una grande
cisterna in mezzo al chiostro, che
rese molto noto il convento e fu
di grande vantaggio e utilità per
tutti i cittadini di Catanzaro;
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adornato in modo nuovo il refettorio e spostato in un luogo più
comodo, ricondotti il chiostro
e le celle dei frati ad una forma
più bella; ricostruì e ingrandì
lo stesso Convento in modo tale
che i suoi ediici non sembrassero
quelli che c’erano dapprima ma
(sembrassero) del tutto diversi».
Il 5 febbraio del 1783, tutta la
città di Catanzaro fu danneggiata dal disastroso terremoto
che, nella sola provincia della
Calabria Ulteriore, aveva colpito 397 centri abitati, tra i quali,
82 furono inesorabilmente rasi
al suolo; anche il complesso
conventuale dei Minimi non
uscì indenne da questo tragico
evento.
Narrano le cronache del tempo
che del cinquecentesco monastero dei “Paolotti” esistevano i
muri laterali gravemente danneggiati e che ogni tipo di opera in legno, dai solai alle capriate del tetto, era distrutta. Con
l’istituzione della Cassa Sacra,
l’ediicio fu, insieme ad altri
undici conventi della città e ad
altre 236 case religiose maschili
e femminili della sola Calabria
Ulteriore, soppresso e con esso
venduti e dispersi molti dei
beni immobili e mobili, tra i
quali va ricordata la
ricchissima ed importante biblioteca. I
Padri Minimi furono
costretti così a lasciare la struttura e dopo
alterne vicende ritornarono in città nel
1796 ma, nel periodo
murattiano, il decreto del 7 agosto 1809
deliberò la deinitiva soppressione del
convento ed il conseguente risolutivo abbandono della città
da parte dei “Paolotti”. Il comprensorio
dell’antico Convento
con l’annesso orto,
come si evince dal
manoscritto di Giacomo Frangipane, fu, in seguito all’alienazione, occupato dai
fabbricati posseduti a ponente
dal Sig. Annibale Rivoiro, e dai
lati di mezzogiorno, oriente e
tramontana dai Sig.ri Cristallo,
Raffaelli ed altri. Ma le cronache del tempo riportano che la
vendita ed il successivo acquisto degli ex locali conventuali
causarono parecchi danni alla
famiglia Ruggiero, Suriano e
Folino, tant’è vero che l’ultimo
occupatore dei locali, Tommaso Pudia, «cedendo a scrupolo di
coscienza credette rinfrancarsi
con rinnovarne le fabbriche e decoro della Chiesa annessa».
La chiesa, come riporta ancora
una volta Padre Pandulfo, fu
fregiata dai padri Minimi «col
sacratissimo titolo della SS. Trinità» e, nonostante i ripetuti
rimaneggiamenti, si presenta
mantenendo intatte le sue caratteristiche di ediicio sacro
conventuale della ine del secolo XVI e della piena controriforma.
I primi restauri alla fabbrica avvennero all’indomani del terremoto del 1638 allorquando
il catanzarese P. Paolo Gaspa si
preoccupò che la chiesa venisse
«portata a termine e decorata»,
in quanto i lavori di ultimazione della chiesa trovarono ostacolo da parte delle monache
domenicane che costrinsero i
padri a lasciare l’ediicio sacro
dimezzato e coperto. Superati
tutti gli ostacoli la chiesa, con
atto pubblico del 1715, fu elevata di dodici palmi in comune
accordo con le vicine monache
e il padre Gaspa fece arrivare da
Messina un architetto che realizzò il progetto per il quale: nel
1720 fu stipulato un contratto
con Gregorio Pilò di Borgia
per caricare nel iume Corace il
marmo necessario per la chiesa
del convento; nel 1722 furono
chiamate maestranze napoletane per realizzare gli stucchi; e inalmente nel 1727, dopo spese
ingenti e tra non pochi problemi, la chiesa fu solennemente
consacrata - come ricorda la lapide posta a destra dell’ingresso
principale - dal vescovo di Oppido Fr. Giuseppe Maria Perrimezzi del’Ordine dei Minimi.
La facciata della chiesa, con
molta probabilità, risale alla
ine del ‘700, epoca in cui
tutta la chiesa fu restaurata in
seguito al sisma del 1783. Un
documento del 1784 della Segreteria Pagana, riguardante gli
«Inventarij dé mobili ed altro de
luoghi pij di Catanzaro», ci restituisce un’immagine inedita
della chiesa conventuale all’indomani del suddetto terremoto e al foglio 44v. l’estensore
del documento, D. Francesco
Gattoleo, annota che «passati
quindi nella Chiesa, nella quale
attrovasi per cagion del tremuoto rovinata tutta nella crociera,
abbiamo in essa ritrovato un
Pulpito, e Cattedra di legname
dipinto. Due orchestri di legno
dipinti verdi, ed indorati a mistura. E nel coro vi sono li Sedili
di castagna dipinti a color noce,
colle balaustrate. Ed un’organo
di altezza palmi quattro, e mezzo dipinto rosso, e con iori, e di
sopra la Stemma colle lettere Caritas. Due confessionali di casta-
gna dipinti a color di noce».
Oggi la chiesa si presenta nel
suo rifacimento sette-ottocentesco e con le modiiche apportate al presbiterio e agli altari
laterali tra gli inizi e gli anni
‘70 del ‘900. L’ampio coro è
attualmente la parte architettonicamente ed artisticamente più importante, rispetto al
resto della chiesa, in quanto
oggetto, tra il 1901 ed 1903,
di “abbellimenti” ad opera
dell’industriale Tommaso Pudia, proprietario di una parte
dell’ex convento, e del comm.
Filippo Catanzaro che, secondo il gusto dell’epoca, fece
costruire in stile neogotico, il
nuovo altare maggiore con fastigio in marmi policromi al
centro del quale spicca la settecentesca statua processionale
in legno del santo paolano. Il
tabernacolo dell’altare maggiore, inoltre, conserva il portellino proveniente dalla soppressa
chiesa di S. Caterina Vergine
e Martire dei Teatini, rafigurante una rara iconograia dei
“Sacri Cuori” di Gesù, Maria
e Giuseppe, recante in basso al
centro lo stemma del suddetto
ordine. Tra le opere d’arte custodite all’interno si ricordano
una pregevole tela settecentesca della “Madonna della Lettera“ (importante testimonianza di un culto che si riscontra in
Calabria nella città di Palmi e
in Sicilia nella città di Messina,
titolo con il quale la Vergine è
proclamata primaria patrona),
ed una seicentesca tela rafigurante “Gesù nell’orto del Getsemani”.
Chiesa di S. Francesco di Paola. Altare maggiore
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