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Conservatorio di Musica Alfredo Casella Istituto Superiore di Studi Musicali BIENNIO SPERIMENTALE DI II LIVELLO IN DISCIPLINE MUSICALI INDIRIZZO INTERPRETATIVO-COMPOSITIVO IN >/hdK LE PRIME INTAVOLATURE DI BASSO CONTINUO PER CHITARRONE: I MADRIGALI DI SALAMON ROSSI CANDIDATO RELATORE Prof. Sandro Rancitelli Fiorella Gallelli Matr. n° 375 /II ANNO ACCADEMICO 2013/2014 P.le Francesco Savini s.n.c. - 67100 L Aquila - Tel.: 0862.22122 - Fax: 0862.62325 - e-mail:segreteria@consaq.it Codice Fiscale 80007670666 A Monica Pustilnik, per la generosità con cui sa donare agli allievi la sua profonda sensibilità musicale A Francesco Luisi, per la stima e l'affetto con cui mi ha sempre sostenuta nel mio percorso musicale INDICE GENERALE INTRODUZIONE 1 1. NASCITA DEL BASSO CONTINUO E DELLE REALIZZAZIONI INTAVOLATE 4 1.1 Le origini della prassi del basso continuo 4 1.2 La prassi del continuo: dal liuto alla tiorba 18 1.3 La tiorba ed il suo uso come strumento di continuo 34 2. SALAMON ROSSI 65 2.1 Cenni biografici e contesto storico 65 2.2 Le opere 86 2.2.1 Musica vocale 87 2.2.2 Musica strumentale 93 2.2.3 Musica sacra 99 3. I MADRIGALI INTAVOLATI DAL LIBRO PRIMO DI SALAMON ROSSI 104 3.1 Considerazioni generali 104 3.2 Analisi dei madrigali e confronto con la versione polivocale 114 3.2.1 Criteri dell'analisi 114 3.2.2 Individuazione modale: Tonal Types 115 3.2.3 'Ohimè, se tanto amate' 118 3.2.4 'Cor mio, deh non languire' 125 3.2.5 'Anima del cor mio' 135 3.2.6 'Udite lacrimosi' 143 3.2.7 'Tirsi, mio caro Tirsi' 154 3.2.8 'Parlo misero o taccio' 161 4. CONCLUSIONI 168 APPENDICE: Trascrizione dei sei madrigali a voce sola dal Libro Primo 184 di madrigali di Salamon Rossi, integrata dalla partitura polifonica, con facsimile delle relative intavolature originali 'Ohimè, se tanto amate' 185 Facsimile intavolatura p. 14 189 'Cor mio, deh non languire' 190 Facsimile intavolatura p. 15 194 'Anima del cor mio' 195 Facsimile intavolatura p. 16 200 'Udite lacrimosi' 201 Facsimile intavolatura p. 17 207 'Tirsi, mio caro Tirsi' 208 Facsimile intavolatura p. 18 214 'Parlo misero o taccio' 215 Facsimile intavolatura p. 19 219 APPARATO CRITICO 220 BIBLIOGRAFIA 222 Lista delle figure Figura 1.1 Simone Verovio. Canzonette a 4 voci. Facsimile 10 Figura 1.2 Giulio Caccini. Dovrò dunque morire, da Le nuove musiche 14 Figura 1.3 Piero Della Francesca. Natività, 1470 (particolare) 18 Figura 1.4 Girolamo Montesardo. Alfabeto. Facsimile 31 Figura 1.5 Praetorius. Tav. V e XVI. Syntagma musicum 37 Figura 1.6 Ritratto di Lady Mary Sidney. attribuzione John De Critz 38 Figura 1.7 Maria Maddalena Portata in cielo. V. Marucelli. Dettaglio 45 Figura 1.8 Dietrich Buxtehude. Facsimile: parte per tiorba 64 Figura 2.1 Le Canzoni di Solomon. pubbl. Venezia 1622. p. 1 100 Figura 3.1 Frontespizio del Primo libro dei madrigali 104 Figura 3.2. Salamon Rossi Primo libro di madrigali. Impaginazione delle parti 105 Figura 4.1 Accordatura del Chitarrone a 11 cori 170 Figura 4.2 Salamon Rossi Primo libro di madrigali. Ed. Phalèse, 1618. Parte separata di continuo 172 Lista delle tabelle Tabella 2.1 Ordine cronologico delle opere di Salamon Rossi 86 Tabella 2.2 Autori dei testi dei Libri di madrigali 89 Tabella 3.1 Testi poetici dei madrigali per chitarrone dal Libro I 107 Tabella 3.2 Tonal types dei madrigali per chitarrone dal Libro I 117 Tabella 3.3 Ohimè, se tanto amate. Struttura musicale 119 Tabella 3.4 Cor mio, deh non languire. Struttura musicale 127 Tabella 3.5 Anima del cor mio. Struttura musicale 136 Tabella 3.6 Udite lacrimosi. Struttura musicale 145 Tabella 3.7 Tirsi mio, caro Tirsi. Struttura musicale 155 Tabella 3.8 Parlo misero o taccio. Struttura musicale 162 Tabella 4.8 Figure autonome all'interno dei madrigali 183 Lista degli esempi musicali Esempio 1.1 Girolamo Montesardo. Sistema accordale per chitarra barocca 31 Esempio 1.2 Girolamo Montesardo. 'Passacaglia'. Nvova inventione d intavolatura ... sopra la chitarra spagniuola senza numeri e note 31 Esempio 1.3 Giovanni Paolo Foscarini. 'Passacaglia sopra tutte le littere'. Li 5 libri della Chitarra alla Spagnola 32 Esempio 1.4 Giovanni Paolo Foscarini. 'Passacaglia passeggiata'. Li 5 libri della Chitarra alla Spagnola Esempio 1.5 Accordatura rientrante del Chitarrone 32 46 Esempio 3.1 E. de' Cavalieri, 'Godi, turba mortal'. Intermedio VI (1589) 106 Esempio 3.2 'Ohimè, se tanto amate', Rossi, Il primo libro de madrigali, bb. 8-9 121 Esempio 3.3 'Ohimè, se tanto amate', Rossi, Il primo libro de madrigali, b. 9 122 Esempio 3.4 'Ohimè, se tanto amate', Rossi, Il primo libro de madrigali, bb. 17-22 123 Esempio 3.5 'Cor mio, deh non languire', Rossi, Il primo libro de madrigali, bb. 1-3 129 Esempio 3.6 'Cor mio, deh non languire', Rossi, Il primo libro de madrigali, bb.11 130 Esempio 3.7 'Cor mio, deh non languire', Rossi, Il primo libro de madrigali, bb.22-23 132 Esempio 3.8 'Cor mio, deh non languire, Rossi, Il primo libro de madrigali, bb. 23 e 25 134 Esempio 3.9 'Anima del cor mio', Rossi, Il primo libro de madrigali, bb. 2-3 136 Esempio 3.10 'Anima del cor mio', Rossi, Il primo libro de madrigali, bb. 4 137 Esempio 3.11 'Anima del cor mio', Rossi, Il primo libro de madrigali, bb. 13 139 Esempio 3.12 'Anima del cor mio', Rossi, Il primo libro de madrigali, bb. 15-17 140 Esempio 3.13 'Anima del cor mio', Rossi, Il primo libro de madrigali, bb. 28-30 142 Esempio 3.14 'Udite lacrimosi', Rossi, Il primo libro de madrigali, b 7 146 Esempio 3.15 'Udite lacrimosi', Rossi, Il primo libro de madrigali, batt. 11 147 Esempio 3.16 'Udite lacrimosi', Rossi, Il primo libro de madrigali, batt. 13 148 Esempio 3.17 'Udite lacrimosi', Rossi, Il primo libro de madrigali, batt. 12-13 149 Esempio 3.18 'Udite lacrimosi', Rossi, Il primo libro de madrigali, batt. 16 150 Esempio 3.19 'Udite lacrimosi', Rossi, Il primo libro de madrigali, batt. 19 150 Esempio 3.20 'Udite lacrimosi', Rossi, Il primo libro de madrigali, batt. 26-27 152 Esempio 3.21 'Udite lacrimosi', Rossi, Il primo libro de madrigali, bb. 29-31 152 Esempio 3.22 'Udite lacrimosi', Rossi, Il primo libro de madrigali, b. 33 153 Esempio 3.23 'Tirsi mio, caro Tirsi', Rossi, Il primo libro de madrigali, b. 19 157 Esempio 3.24 'Tirsi mio, caro Tirsi', Rossi, Il primo libro de madrigali, b. 22 158 Esempio 3.25 'Tirsi mio, caro Tirsi', Rossi, Il primo libro de madrigali, b. 24 159 Esempio 3.26 'Parlo misero o taccio', Rossi, Il primo libro de madrigali, b. 5 163 Esempio 3.27 'Parlo misero o taccio', Rossi, Il primo libro de madrigali, b. 12 165 Esempio 3.28 'Parlo misero o taccio', Rossi, Il primo libro de madrigali, bb. 22-23 166 Esempio 3.29 'Parlo misero o taccio', Rossi, Il primo libro de madrigali, b. 26 166 Esempio 4.1 'Anima del cor mio', Rossi, Il primo libro de madrigali, b. 34 171 tr. d'Indy Esempio 4.2 'Cor mio, deh non languire' Rossi, Il primo libro de madrigali, bb. 1-4 174 tr. Kitsos Esempio 4.3 'Udite, lacrimosi spiriti d'Averno' Rossi, Il primo libro de madrigali, 175 bb. 29-34 tr. Don Harràn- Cantalupi Esempio 4.4 'Udite, lacrimosi spiriti d'Averno' Rossi, Il primo libro de madrigali, 177 bb. 29-34 tr. d'Indy Esempio 4.5 Accordo in quarta e sesta del Chitarrone 179 Introduzione Il Primo Libro di Madrigali a cinque voci di Salamon Rossi, pubblicato nel 1600, include Sei madrigali per voce sola con accompagnamento per 'Chittarrone' realizzato in intavolatura, unico nel suo genere nella storia dello strumento. L'importanza di tale documento è notevole, rappresentando il primo esempio a noi giunto dell'evoluzione del chitarrone come strumento di continuo. Obiettivo del presente lavoro è dimostrare, attraverso l'analisi dei madrigali con particolare riguardo alla intavolatura per chitarrone che, contrariamente alle opinioni generali, la realizzazione può essere definita un precoce esempio di basso continuo e non un basso seguente. Salamon Rossi è stato un importante musicista che ha svolto la sua opera presso il Ducato di Mantova negli anni 1580-1630, compositore di musica vocale, strumentale e religiosa, riconosciuto sotto molti aspetti come importante innovatore della musica del nuovo secolo. Gli anni in cui opera Rossi sono fecondi di un fermento musicale che vede affacciarsi il nuovo stile monodico, lo sviluppo del basso continuo e l'avvento del melodramma, nella maturazione della ricerca di nuovi modi espressivi che, superando la polifonia, portassero all'espressione del mondo degli affetti. Salamon Rossi nei Madrigali accompagnati riesce a farsi interprete del nuovo stile monodico, tra i primi ad inserire un accompagnamento che si avvale del basso continuo affidato al Chitarrone. Per la singolarità e la novità nell'uso di uno strumento quale il Chitarrone, che si affaccia nello scenario musicale solo tra il 1586 ed il 1589, si è ritenuto necessario uno sguardo retrospettivo sulle premesse storiche che hanno condotto allo sviluppo della pratica del basso continuo ed alla messa a punto del Chitarrone quale strumento più atto all'accompagnamento del nuovo stile monodico. A tale scopo nel Capitolo I vengono trattati la nascita del basso continuo e il suo sviluppo da pratica accordale improvvisativa alla codificazione in una specifica e rigorosa trattatistica; il ruolo del liuto sia nel processo delle intavolature che nella sostituzione 1 delle voci polifoniche che porteranno alla pratica di accompagnamento; la storia del Chitarrone relativamente alla sua comparsa, al suo primo utilizzo negli Intermedi ed alla sua progressiva diffusione in tutta Europa. Trattandosi di argomenti esaustivamente indagati, si è cercato di affrontare la materia dal punto di vista delle fonti storiografiche. Nel Capitolo II si cerca di delineare la figura del compositore Salamon Rossi, musicista a torto poco conosciuto che solo da poco è stato rivalutato. A causa delle scarse notizie biografiche a noi giunte è sembrato importante innanzitutto ricostruire l'ambiente storico e musicale nel quale ha operato, trattandosi di una Corte molto attiva e sensibile all'aspetto musicale quale quella di Mantova dove hanno lavorato i principali musicisti dell'epoca, tra cui Jacques de Wert e Claudio Monteverdi. Anche qui si è quindi ricorso alle testimonianze dell'epoca, talune raccolte da fonti dirette ed altre da autori che hanno analizzato tutto l'archivio Gonzaga. Dopo aver tracciato una possibile ricostruzione della vita del compositore, una vita difficile per la sua condizione di appartenenza alla comunità ebraica lavorando in un contesto cattolico, si descrive la sua opera musicale che comprende oltre la musica vocale numerose raccolte di musica strumentale, dall'evidente importanza innovativa, e la rivoluzionaria opera in ambito sacro che procurerà l'ostracismo del mondo rabbinico per la rottura dell'antica tradizione ebraica con l'introduzione della polifonia. Il capitolo III affronta specificamente la novità dei madrigali accompagnati di Rossi, in un confronto con la letteratura esistente, ed include l'analisi dettagliata dei sei madrigali corredata da esempi musicali. L'analisi, effettuata tenendo conto anche della versione vocale, è stata svolta nell'ottica della comparazione con essa al fine di verificare la presenza di discordanze rispetto una semplice verticalizzazione delle voci, valutando inoltre quanto fossero già in uso o meno le particolarità idiomatiche del Chitarrone. Nelle Conclusioni del capitolo IV sono state affrontate le problematiche che riguardano sostanzialmente le interpretazioni discordi dei vari studiosi circa la definizione della parte affidata al Chitarrone. Il fatto che Rossi abbia pubblicato contestualmente anche la versione dei madrigali a cinque voci ha suscitato opinioni contrastanti che verranno discusse alla luce dell'analisi, unitamente ai problemi sollevati dall'accordatura del Chitarrone, alle cosiddette voci spezzate ed alla talvolta esagerata discussione intorno gli 2 accordi di quarta e sesta generati dal suono rientrante. In ultimo, si è sostenuta la tesi che, contrariamente a quanto affermato in letteratura, la parte di Chitarrone possa rappresentare a tutti gli effetti una realizzazione di basso continuo e non sia quindi assimilabile ad un basso seguente o ad una riduzione polifonica di tipo rinascimentale. A tal scopo, in appendice, si allega la personale trascrizione dei sei brani (integrata dalla partitura polifonica) di cui in letteratura si trova qualche esempio non sempre ritenuto conforme alla intavolatura originale scritta da Salamon Rossi, come discusso nelle conclusioni. A corredo del lavoro è stato aggiunto un apparato critico per gli emendamenti apportati alla trascrizione nel riscontro di errori nelle parti originali. 3 1 NASCITA DEL BASSO CONTINUO E DELLE REALIZZAZIONI INTAVOLATE 1.1 Le origini del basso continuo La prassi del basso continuo è rintracciabile fin dal XVI secolo come pratica accordale improvvisativa, utilizzata per fornire progressioni armoniche sopra bassi ostinati (passacaglie), per accompagnare il canto o la recitazione di un poema epico. Anche altre funzioni di accompagnamento improvvisato erano ampiamente praticate, per mantenere l'intonazione dei cantanti o per rimpiazzare voci di strumenti mancanti. 1 'Basso continuo' è uno dei numerosi termini utilizzati dai compositori italiani dal 1600, che sia poi diventato il termine più utilizzato sembra dovuto al fatto di essere stato coniato da uno dei primi grandi esponenti di questa pratica, Tomaso Lodovico Grossi da Viadana, la cui opera 'Cento concerti ecclesiastici... con il basso continuo per sonar nell'organo' (Venezia, 1602) diventerà un fondamentale riferimento e guadagnerà all autore l attribuzione dell'invenzione del continuo. Il termine stesso di 'Continuo' riflette letteralmente la sua caratteristica nei Concerti di Viadana: non, come era uso, una parte bassa per organo derivata dal basso vocale, ma una parte indipendente che attraversava l'intera composizione, senza le pause caratteristiche di una linea vocale.2 In realtà il Viadana, il cui lavoro travalicherà nelle prime stesure di regole con Agazzari e Bianciardi, fu il primo a codificare una prassi già consolidata portando al superamento delle intavolature, anche se le fonti coeve lo eleggono ad 'Inventore'. Antimo Liberati, cantore, organista e maestro di cappella, che negli anni ottanta del '600 raggiunge fama di autorevole teorico, e che nei concorsi a maestro di cappella predilige chi più si avvicina alla scuola romana e tralascia volutamente autori di melodrammi e musica strumentale,3 scrive nel 1666: 1 2 Cyr, Mary. Performing baroque music. s.l. : Ashgate Publishing, 1992. p. 72. P. Williams, D. Ledbetter. Continuo, in The New Grove Dictionary of Music and Musicians. 2° ed. 2001 Rambotti, Fiorella. La musica è una mera opinione e di questa non si può dar certezza veruna - Vita e opere di Antimo Liberati. Perugia : Morlacchi University Press, 2008. p. 27. 3 4 Pochi anni dopo del Palestrina, e verso la fine di quel secolo, Ludovico Viadana... ardito quanto industre Compositore Musico, s'arrischiò di portare, et appoggiare il concerto del Canto figurato su gli organi della Lombardia, facilitando il suonare, e l'accompagnatura del concerto di più voci con una sola parte, o come si suol dire Basso continuo. Et ancorchè sino a quel tempo parve ciò impossibile, et impratticabile, nondimeno il Viadana riuscì con molta facilità. 4 Molto prima, nel 1609, Adriano Banchieri affermava: Ne gli concerti organici gratiosa inventione è stata quella di Lodovico Viadana... in far cantare una voce sola, dui, et tre, con stile recitativo, et consonante, in maniera, che sopra un Basso continoato si sentono le parole distinte; cosa in vero di comune soddisfattione... et che tale istile sia grato lo scorgiamo ne gli moderni compositori... 5 Contro gli storici che iniziano a mettere in dubbio la paternità di tale invenzione si erge nel 1865 Antonio Parazzi, arciprete di Viadana. Nella sua opera rivendica a tutti i costi l'attribuzione dell'invenzione al suo conterraneo, attaccando duramente chiunque argomenti in diverso modo e praticando una distinzione tra 'basso numerato' messo in pratica dal Caccini e dal Peri nelle musiche a stampa e 'basso continuo' che suona senza interruzioni colmando il difetto delle voci. L'arciprete argomenta che l'accompagnamento degli strumenti nel '500 si limitava al raddoppio delle parti vocali, che alla fine del secolo con l'avvento del recitativo strumenti quali spinetta, liuto e chitarroni accompagnavano sì in modo accordale ma sopra un basso a note lunghe con qualche cifra superiore per indicare le modulazioni come ad esempio ne L'Euridice, dove però nei cori madrigaleschi rivive la pratica di far suonare il basso all'unisono con il basso vocale e con le sue interruzioni, mentre il Viadana accompagnava le altre parti anche quando questo taceva. 4 Antimo Liberati. Epitome della Musica raccolta da Antimo Liberati da Foligno, musico della Cappella 5 Adriano Banchieri. Conclusioni del suono dell'organo. Bologna, 1609. p. 19 Pontificia. Alla Santità di N.ro Signore Alessandro Settimo . Bologna, 1666. Museo Internazionale e Biblioteca della Musica, MS D. 92/A, f.1r-48r 5 Verso gli studiosi poi che attribuivano la nascita del basso continuo alle regole di Agazzari e Bianciardi, arriva a ipotizzare regole non scritte del Viadana stesso: Se non si considerano come regole per suonare il basso continuo le istruzioni contenute nell'Avviso ai lettori premesso ai Cento Concerti del Viadana... potrebbe essere che ne scrivesse in quelle opere sue, che non pervennero finora a cognizione de' bibliografi: e però dobbiamo imparzialmente lasciare siffatto merito di averle pubblicate quelle cotali regole agli altri due musici prenominati. Certo è che non possiamo spiegarci il come potessero gli organisti contemporanei all'invenzione del basso continuo eseguire tali bassi, se non coll'ammettere che il Viadana stesso ne indicasse o a voce o in iscritto le norme, le quali da lui manifestate, com'egli assevera, a moltissimi suoi amici in Roma verso il 1596 o 1597, vennero poi pubblicate alcuni anni appresso dall'Agazzari e dal Bianciardi.6 La prima testimonianza documentata che condusse alla pratica del basso continuo fu il basso per organo. Il basso per organo diede una risposta pratica alla necessità di trovare una soluzione al problema di accompagnare la musica sacra. Tre fattori necessitavano di soluzioni: la crescente complessità della musica sacra vocale in cui solitamente vi erano due o più cori, la frequente necessità dell'organista di supplire a parti vocali mancanti, la difficoltà per l'organista di determinare le esatte armonie dalla sola parte separata del libro, che richiedeva un enorme dispendio di tempo per preparare una tablatura o qualche altra forma di scrittura d'accompagnamento. La prima linea di basso di cui abbiamo notizia fu inclusa nel mottetto a 40 voci in cinque cori di Alessandro Striggio, Ecce beatem lucem , eseguito alla corte di Monaco nel 1568 per il matrimonio del Duca William V di Baviera. Le annotazioni riportate nel manoscritto spiegano che il basso era derivato dalle parti vocali più basse al fine di supportare l'armonia, e che dovevano essere suonate sull'organo, liuto, cembalo o viola. 6 Antonio Parazzi. Della vita e delle opere musicali di Lodovico Grossi-Viadana : inventore del basso continuo nel secolo XVI. Editore Regio Stabilimento Ricordi. 1865. pp 25-41 6 Il basso d'organo appare in stampa solo alla fine del '500, con un nome descrittivo quale spartitura (riferito alla caratteristica di 'spartire', cioè usare stanghette di divisione in partitura), o anche con termini quali basso generale, basso seguente, e basso principale. La prima pubblicazione di una parte di basso per organo sembra riconducibile alla raccolta di Giovanni Croce Spartitura delli mottetti a otto voci , a cura dell editore Vincenti a Venezia nel 1594. Il basso di ogni coro è stampato su due pentagrammi separati con occasionali indicazioni di # o b per specificare triadi maggiori o minori, ma si tratta in realtà del basso seguente dei due cori a quattro voci che costituiscono l'organico dei mottetti. Un altra forma di basso per organo appare nei Concerti ecclesiastici di Adriano Banchieri (Venezia 1595). Qui una spartitura è estratta dal solo primo coro, con basso e superius stampati in pentagrammi separati, con accidenti annotati. Palestrina stesso avrebbe autorizzato un basso per organo per il suo mottetto in sei parti Dum complerentur già nel 1585; nel 1600 a Madrid e nel 1608 a Venezia venivano pubblicate con bassi per organo opere di Victoria e Palestrina, per 'Motettorum quinque vocibus ... addita parte infima pro pulsatoris comoditate Organi'.7 Molte altre parti di basso per organo vennero date alle stampe, ma l'idea di una parte composta come basso continuo appare solo nei Cento concerti ecclesiastici di Lodovico da Viadana. Nella prefazione Viadana usa la distinzione 'con il basso continuo' per la prima volta, asserendo che tale tecnica era una 'nova inventione'.8 Viadana non inventò il basso continuo, ne diede piuttosto una applicazione codificata e soprattutto definì un nome alla pratica già ampiamente in uso e che si stava sempre più sviluppando. Alla giustificazione addotta che in tal modo la parte di basso sarebbe stata meno 'fastidiosa' da scrivere rispetto una intavolatura completa, Agazzari aggiunse che si adattava al nuovo stile recitativo e che agli organisti sarebbe stata risparmiata una grande mole di trascrizioni: 9 7 P. Williams, D. Ledbetter. Op. cit. 8 George J. Buelow. A history of a baroque music. Indiana university press. Bloomington. 2004 p. 25 9 ibid. 7 ...se si avessero ad intavolare o spartire tutte l'opere che si cantano in fra l'anno in una sola Chiesa di Roma, bisognarebbe all'organista che avesse maggior libraria che qualsivoglia Dottor di legge. 10 Nell'ambito della musica secolare troviamo molte parti provviste di accompagnamento che raddoppiavano le linee vocali, a volte con aggiunte per riempire la trama e l'armonia. La musica secolare proveniva da tutte le classi sociali, dalle canzoni popolari alle nuove poesie in musica; la recitazione della poesia per musica rimase in auge dal medioevo fino al rinascimento, spesso con rime cantate su un accompagnamento improvvisato. Un precoce esempio di stile recitativo con accompagnamento per liuto è la lauda di Franciscus Bossinensis 'Se mai per meraviglia' della raccolta 'Tenori e contrabassi' (1509).11 La poesia era anche cantata su bassi ostinati popolari di moda quali Romanesca, Passemezzo antico, Folia, spesso accompagnata da strumenti accordali. Orlando di Lasso accompagna se stesso sul liuto nel cantare la canzone popolare di Azzaiolo 'Chi passa per questa strada' durante le feste del matrimonio del re di Baviera nel 1568;12 Ciro Spontone riporta, nel 1589, che la famosa melodia Girometta, che furoreggiò nel Cinquecento, era eseguita con accompagnamento di liuto, clavicembalo, viola. 13 Nella nuova estetica musicale del Rinascimento il repertorio per liuto solo e per canto occuperà un posto di particolare importanza, come testimoniano gli arrangiamenti per liuto dei madrigali di Verdelot ad opera di Willaert. Agostino Agazzari. Del sonare sopra'l basso: con tutti li stromenti e dell'uso loro nel conserto. Siena 1607. p. 12 10 11 Jach Ashworth- Paul O'Dette. Op. cit. p. 226 M.A. Katritzky. The Art of Commedia: A Study in the Commedia Dell'Arte 1560-1620. Ed. Rodopi, Amsterdam 2006. p.55 12 Marcello Conati. Teatro dell'udito: appunti su Orazio Vecchi e il suo tempo. Atti dell VIII convegno musicologico Seghizzi, Gorizia 1977-.ESO Edizioni Seghizzi Online . RiMSO maggio 2014, II 13 8 Intorno al 1570 Vincenzo Galilei scrisse parecchi arrangiamenti di madrigali con la linea di basso utilizzata come modello.14 Nel suo 'Dialogo della musica antica et della moderna' (1581) Galilei ha tracciato i principi fondamentali del nuovo stile musicale teorizzando i principi estetici della Camerata fiorentina quali l'affermazione della monodia sulla polifonia e il ritorno alla tragedia greca tramite la monodia accompagnata. Per Galilei la musica antica rispettava la forma e valorizzava il significato della parola, assicurandone la percepibilità e l'espressione compiuta delle virtù emotive e catartiche del canto, diventate impossibili per l'egemonia del contrappunto con le sue norme tecniche astratte, che 'lacera la forma ed oscura l'evidenza comunicativa delle parole'.15 Pietro De' Bardi, Conte di Vernio, in una lettera indirizzata a G. B. Doni nel 1634 scrive: ... Vincenzio Galilei... cercò egli di cavar il sugo de' Greci scrittori, de' Latini, e de' più moderni... Vedeva questo grande ingegno che uno dei principali scopi di questa accademia era, col ritrovare l'antica musica... di migliorare la musica moderna, e levarla in qualche parte dal misero stato... Perciò egli fu il primo a far sentire il canto in istile rappresentativo... detto Vincenzio grato a mio padre ne mostrò segno nel dotto suo libro della musica antica e moderna... Il Galileo seguitando sì bella impresa compose... Era allora nella camerata di mio padre Giulio Caccini, d'età molto giovane...il quale sentendosi inclinato a questa nuova musica, sotto la intera disciplina di mio padre, cominciò a cantare sopra un solo strumento varie ariette, sonetti e altre poesie, atte ad essere intese, con meraviglia di chi lo sentiva. Era ancora in Firenze allora Jacopo Peri, il quale, come primo scolaro di Cristofano Malvezzi, e nell'organo e stromenti di tasto e nel contrappunto sonava e componeva con molta sua lode... Costui a competenza di Giulio scoperse l'impresa dello stile rappresentativo, e sfuggendo una certa rozzezza e troppa antichità, che si sentiva nelle musiche del Galileo, addolcì insieme con Giulio questo stile, e lo resero atto a muovere raramente gli affetti... 16 14 Jach Ashworth- Paul O'Dette. Op. cit p.277 15 Claudio Gallico. L'età dell'Umanesimo e del Rinascimento. EDT Torino 1991 Vol. 4 p. 106 Angelo Solerti. Le origini del melodramma. Testimonianze dei contemporanei. Ed. F.lli Bocca Torino 1903 p 143-145 16 9 Che la pratica di improvvisare un basso fosse conosciuta almeno cinquanta anni prima del basso figurato di Peri, Caccini e Cavalieri o dei Cento concerti di Viadana, lo rivela il 'Tratado de glosas sopra clausolas y otro generos de puntos en la musica de violones' di Diego Ortiz, pubblicato a Roma nel 1553. I Ricercari, ad esempio, presentano una linea di basso dato.17 In molte versioni scritte di arie, villanelle e villotte del '500, oltre agli accordi ripetuti vi erano anche accompagnamenti formati da accordi lunghi, prerequisito indispensabile dello stile recitativo così come lo avrebbero poi inteso e portato a maturazione Peri e Caccini. Negli anni '90 del '500 cominciano ad apparire manoscritti con accompagnamenti liutistici intavolati per antiche monodie, opere composte originariamente ed esclusivamente per voce sola con accompagnamento accordale, che si avvicinano molto al carattere di realizzazione di parti di continuo. 18 Un esempio della prassi di accompagnamento che si va sempre più definendo ci viene dalla raccolta a stampa del 1591 di Simone Verovio, dal titolo Canzonette a 4 voci, che comprende brani di autori vari tra i quali Anerio, Palestrina, Nanino, Marenzio. Il frontespizio riporta 'Composte da diversi musici con l'intavolatura del cimbalo et del liuto' e riporta sulla pagina destra le prime due voci con sottostante intavolatura del cembalo, e sulla pagina sinistra le altre due voci con sottostante intavolatura del liuto. Figura 1.1 Simone Verovio. Canzonette a 4 voci. Facsimile 19 17 F. T. Arnold. The art of accompaniment from a thorough-bass. Dover publication 2003. Vol 2. p.5 John Walter Hill. L'accompagnamento rasgueado di chitarra: un possibile modello per il basso continuo dello stile recitativo? in Rime e suoni alla spagnola. Atti della giornata internazionale di studi sulla chitarra barocca. Biblioteca Riccardiana. Firenze. 2002 pp. 41-42 18 Simone Verovio. Canzonette a 4 voci. Roma. 1591. BO0310 Museo Internazionale e Biblioteca della Musica - Bologna 19 10 Un ulteriore esempio di transizione verso l'uso del basso continuo nella musica secolare fu l'inclusione di parti per continuo nel 5° libro di madrigali di Monteverdi (Venezia 1605). Nonostante una parte separata per l'esecutore, la linea del basso è però indipendente dalle voci solo in pochi brani; rispetto i lavori di Salamon Rossi in generale Monteverdi segue ancora una pratica di basso seguente, in cui la linea del basso è formata dalla parte vocale più bassa. L'introduzione del basso continuo si attesta parallelamente allo sviluppo del nuovo stile di canto sostenuto da Caccini nelle sue Nuove musiche (1602), che prevedeva una sola voce supportata dall'accompagnamento accordale di uno strumento da continuo (idealmente il chitarrone) su cui l'esecutore improvvisava sulla linea del basso. Caccini annotava solo poche figure, principalmente qualche alterazione o qualche cadenza di quarta e terza maggiore, indicando la distanza intervallare delle note sopra il basso. La struttura ed il ritmo dell'accompagnamento erano lasciati all'esecutore, istruito a lasciare libero il cantante di applicare una 'nobile negligenza del ritmo' significato del testo. per esprimere il La negligenza del ritmo e l'uso espressivo di dinamiche ed ornamentazioni si associano al nuovo stile rappresentativo che occupò una posizione centrale nei lavori drammatici quale l'Euridice dello stesso Caccini e che giungerà a compimento nella 'seconda prattica' di Monteverdi. Nella musica strumentale il basso continuo apparirà più tardi. La musica del primo barocco, dal 1600 al 1650 circa, era usualmente eseguita con un singolo strumento da continuo: clavicembalo, chitarrone od organo. Uno strumento basso di sostegno, come il cello o il fagotto, non era usualmente aggiunto tranne che in parti elaborate concepite appositamente per quello strumento. Solo dopo il 1680 prevalse il raddoppio della linea del basso con uno strumento di sostegno, sebbene ancora non obbligatorio. 20 In definitiva il basso continuo non era molto più che un nuovo metodo di annotare una pratica già esistente fin dal tardo 1400, cioè la pratica di provvedere un semplice accompagnamento ad una serie di brani in stili diversi. 20 M. Cyr. Op. cit., p. 72-73 11 La novità era scrivere l'accompagnamento fornendo solo una linea di basso, spesso con l'aggiunta di figurazioni atte ad indicare l'accordo da realizzare. Qualsiasi musicista del XVI secolo era in grado di accompagnare una linea di basso molto tempo prima che Viadana coniasse il termine di basso continuo, semplicemente applicando la propria conoscenza del contrappunto e le progressioni armoniche ordinarie.21 Nel periodo tra il 1580 ed il 1620 troviamo a confronto i vecchi madrigali polifonici e i madrigali ad una voce con accompagnamento di basso continuo. Molti compositori in questi anni devono scegliere tra contrappunto ed omofonia, tra polifonia e monodia. Sono anni caratterizzati inoltre da una larga produzione di canzonette a 3 o 4 voci in Italia e dalle più grandi collezioni di romanze in Spagna, che comprendono quasi i due terzi delle stampe di arie di corte la cui predominante trama omofonica appare in varie raccolte a 5 o 6 voci o in intavolature per liuto e voce sola.22 Il basso continuo vide la sua naturale evoluzione con l'avvento dello stile recitativo. La nascita dell'opera a Firenze tra il 1594 e il 1600 si basò sull'affermarsi dello stile recitativo usato per il dialogo cantato, che costituiva la caratteristica determinante del nuovo genere. Gli aspetti principali dello stile recitativo, anche se non del tutto nuovi, sono riassumibili nell'ambito vocale ristretto, nella ripetizione delle altezze sonore, nel disuso di schemi melodici e ritmici e soprattutto nell'accompagnamento puramente accordale, lento a definirsi ma tale da consentire al cantante completa libertà al fine di riprodurre più fedelmente i ritmi del discorso parlato. Le più recenti discussioni tra gli studiosi vertono sul dubbio se lo stile proto-recitativo sia realmente una innovazione generata dalle discussioni intellettuali della Camerata Fiorentina condotte da Giovanni de' Bardi durante gli anni '70 e '80 del Cinquecento o non piuttosto una naturale elaborazione di uno stile già esistente, con fissazione in forma di notazione musicale di precedenti tradizioni non scritte. 23 Jach Ashworth- Paul O'Dette. Proto-continuo. In A Performer's Guide to Renaissance Music a cura di Jeffery T. Kite-Powell. Indiana University Press. 2007. p. 225 21 Margaret Murata. Image and eloquence: the secular song. In The Cambridge History of SeventeenthCentury Music. A cura di Tim Carter, John Butt. Cambridge University press. 2005 p.378 22 23 J. W. Hill. Op. cit., pp. 35-37 12 Nino Pirrotta fu il primo a rivedere la comune nozione sul ruolo della Camerata nella creazione dell'opera, sostenendo che parecchi esperimenti musicali e teatrali della fine del '500 erano più significativi per la nascita dell'opera che non le discussioni all'interno della Camerata dei Bardi. Il suo saggio 'Li due Orfei', in cui dimostra che in vari luoghi d'Italia a partire dal tardo '400 fino a tutto il '500 si praticava uno stile 'mezzo tra cantare e recitare...' ,24 sembra risolvere la questione dello stile del canto, ma la maggior parte degli autori continua a enfatizzare il ruolo della camerata Bardi con una interpretazione letterale del messaggio propagandistico 'A lettori ' che introduce le Musiche sopra l'Euridice del Peri nel 1600. 25 ...farvi noto quello che m'ha indotto a ritrovare questa nuova maniera di canto... veduto che si tratava di poesia dramatica e che però si doveva imitar col canto chi parla... stimai che gli antichi Greci e Romani... usassero un'armonia... E per ciò, tralasciata qualunque altra maniera di canto udita fin qui, mi diedi tutto a ricercare l'imitazione che si debbe a questi poemi; e considerai che quella sorte di voce, che dagli antichi al canto fu assegnata... potesse in parte affrettarsi, e prender temperato corso tra i movimenti del canto sospesi e lenti... feci muovere il basso al tempo di quegli, or più or meno secondo gli affetti, e lo tenni fermo tra le false e le buone proporzioni, finchè, scorrendo per varie note, la voce di chi ragiona arrivasse a quello che nel parlare ordinario intonandosi, apre la via a nuovo concerto. E questo non solo perchè il corso del ragionare non ferisse l'orecchio (quasi intoppando negli incontri delle ripercosse corde, dalle consonanze più spesse) o non paresse in un certo modo ballare al moto del basso...26 Come osserva Hill, Peri non avrebbe potuto intendere che nessun altro autore prima del '600 avesse tenuto il basso 'fermo per evitare le ripercosse corde', perchè Caccini lo aveva già fatto più di quindici anni prima in Perfidissimo volto, Vedrò 'l mio sol e Dovrò dunque 24 Nino Pirrotta, Elena Polovedo. Li due Orfei. Ed. Einaudi, Torini. 1975 p. 220 25 P. Williams, D. Ledbetter. Op. cit. 26 Jacopo Peri. Euridice. Prefazione A' lettori. Ed. Mariscotti. Firenze. 1600 13 morire, poi pubblicate ne 'Le nuove musiche'.27 ... In essa ella riconoscerà quello stile usato da me altre volte, molti anni sono, come sa V. S. Illustrissima, nell'ecloga del Sanazzaro Itene all' ombra degli ameni faggi ... in altri miei madrigali di quei tempi: Perfidissimo volto; Vedrò il mio sol; Dovrò dunque morire e simili. E questa è quella maniera altresì, la quale negli anni che fioriva la Camerata sua in Firenze, discorrendo ella, diceva... essere stata usata dagli antichi Greci nel rappresentare le loro tragedie... Reggesi, adunque, l'armonia delle parti che recitano nella presente Euridice, sopra un basso continuato, nel quale ho io segnato le quarte, seste e settime, terze maggiori e minori più necessarie, rimettendo nel rimanente lo adattare le parti di mezzo a' lor luoghi nel giudizio e nell'arte di chi suona; avendo legato alcune volte le corde del basso, affine che nel trapassare delle molte dissonanze ch'entro vi sono, non si ripercuota la corda e l'udito ne venga offeso. Nella qual maniera di canto ho io usata una certa sprezzatura... e con la nuova maniera de' passaggi e raddoppiate inventate da me... riportando io, per ora, questa sola soddisfazione di essere stato il primo a dare alla stampa simile sorte di canti, e lo stile e la maniera di essi... 28 Senza entrare nel merito di chi fosse l'inventore di quella pratica di 'tenere fermo il basso', quello che si evince dalle parole del Caccini è che quella pratica non solo cominciava ad essere praticata con l'inizio della monodia, ma portava con sè anche la prerogativa di essere un ' basso continuato', e questo due anni prima della pubblicazione di Viadana e dell'ufficiale battesimo del termine 'basso continuo'. In più, le sue parole ' ho io segnato le quarte, seste e settime, terze maggiori e minori più necessarie' sembrano condurre direttamente verso la pratica della cifratura. Figura 1.2 Giulio Caccini. Dovrò dunque morire. da Le nuove musiche. battute 26-27 27 J. W. Hill. Op. cit., p. 38 28 Giulio Caccini. L'Euridice. Prefazione. Ed, Mariscotti. Firenze 1600 14 In ogni caso l'uso della numerazione non era certo invenzione di Caccini, in alcuni trattati di contrappunto del XVI secolo gli intervalli erano segnati con i numeri; quindi il passo per utilizzare i numeri per indicare gli accordi sopra il basso era veramente breve. La maggior parte dei segni o figure che appaiono sopra i primi bassi sono diesis o bemolle; le cifre sono state poi aggiunte con parsimonia, soprattutto 6 e 4 per chiarire i passaggi particolarmente ambigui. Sia Cavalieri che Monteverdi (nell'Orfeo, pubblicato nel 1609) sono stati attenti nello specificare progressioni quali 3-4-4-3, anche se le loro partiture sono per lo più senza figure. 29 Caccini è stato comunque a lungo considerato l'inventore del nuovo stile di canto, apparentemente senza alcuna influenza o ascendenza stilistica. Secondo gli ultimi studi (Claude Palisca, Tim Carter, John Walter Hill, Howard Brown) i lavori di Caccini in realtà erano strettamente connessi a precedenti tradizioni musicali, quali le tecniche improvvisative, la tradizione italiana di arrangiamento polifonico dei madrigali per voce e liuto, il repertorio di villanelle e canzonette, il che indicherebbe come le prime monodie accompagnate non dipendevano esclusivamente dai lavori di Caccini come modello e che le sue 'Nuove musiche' rappresenterebbero una ratifica di pratiche coltivate in gran parte del XVI secolo, e legittimate attraverso la posizione di corte di Caccini e il suo rango musicale alla corte dei Medici.30 L'interessante indagine storiografica di Coelho parte dalla stessa ammissione di Caccini riguardo i brani composti già nel 1585 per risalire alla ricerca delle fonti e delle tappe che hanno portato alla creazione de Le Nuove Musiche, quindi della monodia con il passaggio al cosiddetto stile barocco. L'indagine individua, quali fonti, una serie di manoscritti per liuto del tardo Cinquecento che hanno in comune la presenza di intavolature d'accompagnamento a parti soliste, che rappresentano sia la modalità di polifonia vocale per voce sola e liuto, sia, nelle fonti 29 P. Williams, D. Ledbetter. Op. cit. 30 Victor Anand Coelho. The Players of Florentine Monody in Context and in History, and a Newly Recognized Source for Le nuove musiche. In Journal of seventeenth-century music. Vol 9, n° 1. 2003 15 dal 1590 in poi, intavolature di realizzazioni di basso continuo, di solito contenenti il testo della parte vocale ma senza la melodia. Gli accompagnamenti, grazie all'intavolatura, possono essere letti i in senso evolutivo come semi dello sviluppo del basso continuo e dell'armonia funzionale, e come testimonianza della tradizione improvvisativa e delle pratiche del XVI secolo di organizzazione della polifonia vocale; di fatto riassumono informazioni precise di prassi esecutiva. Coelho prende in esame soprattutto due manoscritti: il cosiddetto Cavalcanti Lute Book (Brussels, Bibliothèque Royale de Belgique, MS II 275 D), copiato alla corte dei Medici una decina di anni prima della pubblicazione di Caccini e che rappresenta una delle più importanti raccolte di liuto del XVI secolo, e un manoscritto di recente scoperta della Bibliothèque Nationale de France (Paris, Bibliothèque Nationale de France, Vm 7 135.305). Mentre il primo include varie fonti riprodotte da intavolature didattiche di Vincenzo Galilei e manoscritti professionali della corte medicea, rivelando i metodi utilizzati dai musicisti del Rinascimento nel trasformare la polifonia in accompagnamento per liuto solo, il secondo contiene accompagnamenti intavolati di opere di Caccini, Peri e altri autori. Il confronto di quest'ultimo con le cinque canzoni di Caccini concordanti con Le nuove musiche mostra numerose differenze tra la versione manoscritta di Parigi e la versione stampata, indicando quale fosse la circolarità delle musiche in voga all'epoca. Le opere della Nuove musiche risultano quindi ampiamente diffuse nei manoscritti di vari formati (con e senza intavolature, con e senza una melodia notata), per diversi strumenti (liuto, cetra, tiorba), e per un varietà di contesti (didattica, professionale e musica domestica). Il brano di Caccini 'Dovrò dunque morire' che risale al 1585 è un esempio emblematico del fatto che, all'epoca del manoscritto di Parigi, era diffuso e interpretato da oltre vent'anni. L'accompagnamento puramente accordale delle intavolature ed il frequente raddoppio della parte vocale suggerisce inoltre che le versioni manoscritte siano più vicine allo stile del canto 'pre-monodico' che non allo stile di corte elaborato da Caccini o dal suo allievo Francesco Rasi, rappresentato dalla versione stampata. 16 Queste versioni sconvolgono i tradizionali fondamenti storici che hanno sostenuto la stampa di Caccini come punto di svolta cruciale nella musica agli inizi del XVII secolo, e sostengono, invece, l'integrazione continua di questa grande tradizione manoscritta nella evoluzione dell'epoca e nel passaggio dalla intavolatura alla realizzazione del basso continuo.31 31 V. A. Coelho. Op. cit., Il riferimento a Francesco Rasi riguarda 'Schiera d aspri martir', f. 14v 17 1.2 La prassi del continuo: dal liuto alla tiorba Il liuto e gli strumenti a pizzico (chitarra barocca, vihuela in Spagna) hanno avuto un ruolo di primo piano nel percorso che, a partire dalla polifonia vocale, consoliderà la pratica del basso continuo. L ampia diffusione, testimoniata da una stima di circa 30.000 opere sopravvissute e dalla gran mole di tiratura di libri a stampa e di produzione degli strumenti, offre la misura della forte domanda dell'epoca legata ad un vero e proprio mercato.32 L abbandono dell uso del plettro intorno la fine del 400, con l introduzione della tecnica dei soli polpastrelli, ha permesso nel liuto l esecuzione dei primi brani polifonici a due, tre e quattro voci, dando inizio al periodo d oro dello strumento nel Rinascimento; la ricca iconografia mostra fin dalle origini l abitudine di accompagnare il canto con il liuto. Fig. 1.3 Piero Della Francesca, Natività, 1470 (particolare) Londra, National Gallery Il progresso della tecnica della mano destra conseguente all'abbandono del plettro oltre a costituire un impulso verso la musica polifonica ha dato l'avvio ad un nuovo sistema di notazione: l'intavolatura, che consentendo ai dilettanti una formazione musicale anche senza specifiche conoscenze e mettendo a disposizione del liutista le opere dei principali polifonisti del tempo ha svolto un ruolo fondamentale nella diffusione dello strumento.33 32 John Griffiths. The lute and the polifonist. Studi musicali 31. 2002. p. 89 33 Arthur J. Ness. Sources of lute music in The New Grove Dictionary of Music and Musicians. 2° ed. 2001 18 Dalla pratica di cantare le poesie, il 'cantar al liuto' svilupperà le tecniche di improvvisazione usate da musicisti del XV secolo quali Pietrobono e Serafino dall'Aquila, che probabilmente hanno le loro radici nei perduti schemi delle prime poesie in ottava rima del XIV secolo.34 Tali tecniche fin dal XVI secolo andranno coagulandosi in un considerevole repertorio di formule accordali già abbastanza standardizzate. 35 Difficile stabilire la data di comparsa dei primi lute-book in Europa, ovvero di quei manoscritti che contenevano una miscellanea di brani per liuto che potevano comprendere composizioni originali o copie di esse, arrangiamenti dell'epoca di arie alla moda o musica sacra. Spesso risulta arduo stabilirne la provenienza ed attribuzione, in quanto potevano appartenere all'autore stesso o a studenti e dilettanti che appuntavano i brani circolanti tra una corte e l'altra.36 Un manoscritto italiano risalente ai primi anni del '500 mostra precoci esempi di accompagnamento con liuto di due chansons francesi composte nel 1480, 'Amors amors? di Hayne van Ghizeghem e 'Ge ne fay plus' di Antoine de Busnois. Il confronto della realizzazione per liuto con la versione vocale originale a tre voci mostra uno stile coerente ad un accompagnamento scritto nello stesso periodo di composizione delle chansons.37 Un altro fondamentale documento che testimonia la nuova prassi è il manoscritto di Capirola compilato nel 1517. 38 Il codice contiene molte composizioni originali di Vincenzo Capirola (13 Ricercari, 5 Frottole, 7 Danze) e varie sue trascrizioni di Mottetti e Messe di Albrecht, Agricola, Obrecht, Josquin.39 34 ottava rima: metro usato nei cantari trecenteschi. Howard Mayer Brown. Vincenzo Galilei in Rome: his first book of lute music (1563) and its cultural context. in Music and Science in the Age of Galileo. Ed. Coelho. The Western Ontario Series in Philosophy of Science (Book 51). 1993. pp. 164-165 35 36 Diana Poulton. John Dowland. University of California Press. Los Angeles. 1982. p. 183 37 ivi p. 183 38 Chicago, Newberry Library, VAULT Case MS minus VM 140. C25 39 Paolo Guerini. Miscellanea Bresciana di studi, appunti e documenti. Brescia 1953. pp. 140-142 19 Oltre 500 manoscritti, alcuni di dimensioni immense, comprendono appunti a malapena leggibili di adolescenti, repertori di cantanti e attori professionisti, lezioni di liutisti illustri per gli alunni aristocratici e, più frequentemente, i comuni libri di dilettanti che non erano altri che professionisti e membri dell'élite del tempo, e che spesso inserivano i loro brani preferiti senza titolo e senza il nome del compositore. L'invenzione della stampa e la prima pubblicazione di musica ad opera di Petrucci nel 1501 cambierà la storia della diffusione della musica. Le fonti a stampa, di cui sono sopravvissuti oltre 360 titoli, vanno da musica didattica a libri atti anche a preservare la paternità delle composizioni; altre, alcune edite per dilettanti qualificati, sono antologie cosmopolite con centinaia di brani di rinomati liutisti: gli editori, al fine di espandere il mercato, ingaggiavano arrangiatori per intavolare pezzi per liuto da miscellanee di brani musicali. La musica italiana per liuto sopravvive in circa 170 fonti, molte delle quali pubblicate a Venezia e dedicate alle opere di singoli compositori.40 Al 1507 risale la stampa delle prime intavolature per liuto: il libro primo e secondo di Francesco Spinacino, pubblicati a Venezia da Ottaviano Petrucci. Nella prima raccolta Spinacino inserisce una serie di intavolature di lavori vocali già pubblicati da Petrucci, nella seconda espande la gamma delle composizioni e più di un terzo rappresenta brani mai pubblicati prima. Entrambi i libri terminano con una serie di Ricercari di Spinacino stesso.41 Le opere vocali originali appartengono, tra gli altri, a Josquin, Agricola, Ockeghem, Busnois. Altri importanti libri a stampa contenenti brani con accompagnamento di liuto sono 'Tenori e contrabassi intabulati col sopran in canto figurato per cantar e sonar col lauto' di Franciscus Bossinensis, stampato da Petrucci nel 1509 e 1511 e le successive 'Frottole de Misser Bartolomio Tromboncino et de Misser Marcheto Cara con Tenori e bassi tabulati con soprani in canto figurato per cantar e sonar col lauto' del 1521.42 40 A. J. Ness. op. cit., 41 Stanley Boorman. Ottaviano Petrucci : A Catalogue Raisonne . Oxford Univ. Press. New York. 2006. p. 295 42 Frottole : con tenori et bassi tabultai et con soprani in canto figurato per cantar et sonar col lauto / de misser Bartolomio Tromboncino et de misser Marchetto Cara, 1520, Amato, Venezia: RISM I 1520-7; Franciscus Bossinensis Libro Primo 1509, Petrucci, Venezia, RISM: Recueils I, 1509/3; Libro secondo 1511, Antico, Venezia: RISM A/I 1511. 20 Nel 1536 compaiono a Venezia, Milano e Napoli le opere di Francesco da Milano, il liutista più influente della seconda generazione, ed una importante antologia stampata da Giovanni Antonio Castiglione che comprende le opere dei liutisti più influenti della generazione di Francesco (tra cui Pietro Borrono e Marco dall'Aquila). Queste stampe segnano il primo passo di ciò che un decennio più tardi divenne un diluvio di musica per liuto, la maggior parte stampata a Venezia alle presse di Scotto e Gardane: durante un arco di quattro anni, 1546-9, vennero pubblicati circa 600 pezzi, un numero che supera la totalità delle stampe degli ultimi 40 anni, con ampia diffusione in tutta Europa.43 Con la comparsa nel 1553 a Louvain del secondo volume dell'Hortus musarum di Pierre Phalèse, in cui sono arrangiati in intavolatura 24 brani di musica, la canzone per liuto (lute-song) si può dire affermata definitivamente in tutto il continente.44 L'intavolatura palesava una serie di vantaggi: la musica precedentemente edita in libri separati poteva essere condensata in una singola parte (che riduceva i costi di acquisto del libro) ed era scritta in una forma di notazione che poteva essere letta anche da chi non conoscesse la notazione mensurale. Editori quali Attaignant (ca 1494-1551), Gardano (1509-1569), Phalèse (ca 1510 - ca 1575), Susato (ca 1510 -1570), inserivano istruzioni all'interno dei libri su come usare l'intavolatura, rendendoli accessibili anche ad un pubblico non necessariamente aristocratico. 45 Il numero delle stampe per voce e liuto di popolari antologie, il numero delle ristampe (specialmente le serie relative agli anni 1545-1547) indicano il successo dei lute-book nel desiderio popolare di semplici arrangiamenti. Susato e Phalèse erano consapevoli che il grande mercato non era interessato alla complessa polifonia, e la richiesta del mercato influiva sia sulla scelta del repertorio che sulle modalità di intavolatura. Lo studio delle intavolature dei lavori di Josquin Desprez nelle pubblicazioni di Phalèse ha ben evidenziato il processo di intavolatura della polifonia.46 43 A. J. Ness. op. cit., 44 D. Poulton. John Dowland. cit., p. 184 Christopher M. Bocchinfuso. Intabulations of Music by Josquin des Prez in Lute Books Published by Pierre Phalèse, 1547-1574. Degree of Master of Arts in Musicology. University of Canterbury. 2009. p.31 45 46 ivi p. 33 21 Alcune linee guida tracciate da Silvestro di Ganassi nella sua Lettione seconda del 1543 stabiliscono di includere tutte le parti del modello vocale originale e, laddove il modello presentasse più di 4 voci, di omettere le parti meno importanti.47 Un approccio letterale significava quindi trattare tutte le voci ed omettere solo quelle non necessarie, modesti abbellimenti erano previsti soprattutto nelle cadenze o nel mantenimento di note a larghi valori delle parti vocali. 48 Tutti i brani di Hortus musarum sono costruiti nello stesso modo. La parte vocale riproduce il superius del modello originale, le altre voci sono ricostruite nel liuto. Le modificazioni per adattare le altre parti vocali sono modeste e rappresentano la comune procedura di intavolatura con riduzione vocale ed omissione di qualche nota nel rimanere più letterali possibile.49 La varietà di approcci all'intavolatura è notevole. Un modello vocale poteva essere arrangiato per voce e liuto, come nelle trascrizioni dei madrigali di Verdelot ad opera di Willaert, ma se il lavoro era particolarmente grande poteva essere utilizzata una trascrizione per due strumenti. Erano possibili anche altre soluzioni: Galilei, sulla base della sua conoscenza della pratica improvvisativa rinascimentale, raccomandava ai cantanti di cantare la propria linea del modello vocale intavolando le altre parti, una pratica ibrida usata anche nel manoscritto fiorentino Cavalcanti. La più comune specie di intavolatura era comunque la varietà puramente strumentale in cui le parti di un modello vocale erano ridisposte in intavolatura per liuto o vihuela. Nella prima raccolta pubblicata da Petrucci le intavolature erano principalmente di Canzoni e Frottole, seguite da Ricercari e Danze, mentre dal 1530 cominciarono ad essere arrangiati per liuto Mottetti di Josquin e Compère. In Francia, le pubblicazioni di Attaignant erano basate principalmente su canzoni di Sermisy e dei suoi contemporanei; in Spagna, Luis de Narvaez iniziò una tradizione di trascrizioni di musica di Josquin che culminò nelle sue intere otto messe arrangiate per vihuela da Diego Pisador (Libro de musica de vihuela, Salamanca 1552): Josquin risulterà il compositore più trascritto. Silvestro di Ganassi. Lettione seconda. cap. VII. Regola de tabulatura del violone e liuto. 1543. Bibliotheca musica Bononiensis. Sez. 2 ; 18b 47 48 C. M. Bocchinfuso. cit., p.33 49 ivi p. 65 22 La principale attività di liutisti e vihuelisti del XVI secolo consisteva quindi nell'intavolare musica vocale per esibizioni, studio e composizione, non per suonare una semplice Pavana, tanto che con il fiorire e il diffondersi delle pubblicazioni a stampa essi elevarono il loro stato di liutista a 'musico'. 50 Un trattato importante, e assolutamente esaustivo, è 'Fronimo. Dialogo di Vincentio Galilei nobile fiorentino, sopra l'arte del bene intavolare, et rettamente sonare la musica Negli strumenti artificiali si di corde come di fiato, & in particolare nel Liuto. Nuovamente ristampato, & dall'Autore istesso arrichito, & ornato di nouità di concetti, & d'essempi ' in cui il teorico, anche in considerazione delle nuove idee musicali che andavano prendendo forma, espone tutte le regole per una buona condotta delle parti e fornisce precetti per ben intavolare: Lo intavolar la musica ne gl'instrumenti è intesa da molti diversamente; nodimeno io la tengo (ancora, che da pochi sia conosciuta l'ascosa sua difficultà) un'arte giuditiosissima, oltre alla quale si ricerchi, non solo d'essere buon cantore, e ragionevole contrapuntista; ma di esser ancora ragionevol Musico, o Theorico che ci vogliamo dire... 51 I brani per liuto solo che Galilei inserisce nel Fronimo, e che comprendono molte danze e variazioni, sono basati su progressioni accordali standard ormai definite, motivo per cui Palisca nei suoi studi associa Galilei con quella che chiama pseudo-monodia, ovvero la pratica del XVI secolo di canto solista che prefigura lo stile retorico sul basso di Peri e Caccini del primo XVII secolo; in più, secondo Palisca, la reazione di Galilei contro la polifonia nel Dialogo era principalmente il risultato di una devozione all'idioma omoritmico della musica popolare italiana, piuttosto che un entusiasmo umanistico verso gli antichi greci . 52 Victor Coelho. Revisiting the workshop of Howard Mayer Brown. in La musique de tous les passetemps le plus beau : Hommage à Jean-Michel Vaccaro, ed. Klincksieck. Paris. 1998. p. 48-49 50 Vincenzo Galilei. Fronimo. Ed. Scotto. Venezia. 1584. Bibliotheca musica Bononiensis. Sez. 2 ; 22. p.9 (ampliamento della precedente edizione del 1568, Fronimo. Dialogo di Vincentio Galilei Fiorentino. Nel quale si contengono le vere et necessarie regole del Intavolare la Musica nel Liuto .) 51 Claude V. Palisca. Vincenzo Galilei and some links between Pseudo-monody and Monody. in Musical Quaterly, 46. 1960. pp. 347-348 52 23 Se Galilei nella stesura del Dialogo utilizzò quasi interamente le argomentazioni esposte dal grecista ed erudito Girolamo Mei a proposito della monodia, in seguito se ne allontana ammettendo l uso delle consonanze nella musica antica per accompagnare il canto, arrivando ad affermare nelle opere successive che non è possibile concepire una melodia privata delle consonanze verticali di un accompagnamento, perché sarebbe come 'privare la pittura della vaghezza de colori '.53 Nel 1563 Galilei aveva pubblicato a Roma una sua raccolta di brani per liuto: 'Intavolatvre de lavto di Vincenzo Galileo [sic] fiorentino, madrigali, e ricercate, libro primo'. I madrigali di cui sono stati trovati i modelli vocali in coeve antologie a stampa sono solo otto su ventiquattro, composizioni ben conosciute degli anni intorno il 1550, ben diversi dai madrigali espressivi che si iniziavano a scrivere nelle corti di Ferrara, Mantova e Venezia. I madrigali scritti da Galilei richiamano i più semplici madrigali dei compositori di Roma e Napoli dallo stile più declamatorio, 54 i cui modelli di progressioni accordali verranno inclusi nelle nascenti Arie italiane delle antologie di Antonio Barrè del 1555 .55 Galilei offre una trascrizione letterale della polifonia vocale seppur entro i limiti del liuto, e aggiunge vari ornamenti secondo la prassi liutistica del XVI secolo, o almeno di coloro che non ostentavano un 'virtuosismo esibizionista'. Nei suoi brani Galilei ha anticipato le stesse linee guida che pubblicherà successivamente nel trattato di intavolatura di liuto, linee guida che sembrano essere servite come ideale per tutti i liutisti dell'epoca anche prima che Galilei le esplicitasse: gli strumentisti, inclusi liutisti e clavicembalisti, dovevano includere tutte le note di un brano vocale. Nel 'Discorso intorno all uso dell Enharmonio' Galilei affermerà che una melodia non può coesistere senza le consonanze verticali dell'accompagnamento. 56 Una personalità musicale molto significativa sfuggita a precedenti indagini (evidentemente perché non citata con la qualifica di musico) è quella di Luigi Dentice 53 Giuseppe Fiorentino. Il «Secondo modo di cantare all unisono»: Vincenzo Galilei e l emancipazione della consonanza. in Studi musicali. n°2. 2012 54 H. M. Brown. cit., pp. 157-158 55 ivi p. 167 56 ivi pp. 157-158 24 'napoletano', registrata nelle liste di pagamento della corte di Parma nel 1553. Questa figura di musico a cui fa capo un intera famiglia di musicisti, padre del più noto liutista Fabrizio Dentice e nonno di Scipione Dentice, è compositore, cantore (sopranista falsettista), liutista e trattatista. Come teorico fu molto apprezzato per i suoi 'Duo dialoghi della musica' (Napoli, 1552) dedicati uno alla teoria e l altro alla pratica. A quest ultima riservò particolare attenzione, trattando la prassi dell accompagnamento delle melodie secondo principi che anticipavano le future risoluzioni dei cantanti fiorentini sostenitori del 'recitar cantando' nell area del melodramma. Luigi Dentice rinnova il modello umanistico di 'cantore alla lira', affermando a metà del Cinquecento il modello di 'cantore a liuto' contrapposto alla forma imperante della polifonia contrappuntistica franco-fiamminga che in Italia, oltre la musica sacra, coinvolgeva anche la musica profana producendo il genere del madrigale. 57 Tra il 1580 ed il 1610 viene compilata una importante antologia considerata uno dei più significativi documenti relativi al liuto della fine del XVI secolo a Napoli, chiave dell'interscambio musicale tra Roma, Parma e la Spagna. Si tratta del Manoscritto Barbarino, conservato nella Biblioteka Jagiellonska di Cracovia, Mss. Mus., 40032 (olim Berlino, Preussische Staatsbibliothek), una delle principali fonti delle opere dei napoletani Fabrizio Dentice e Giulio Severino, Santino Garsi da Parma, e il maestro romano Lorenzino. Tra le intavolature contenute nel Krakow 40032 si trova il madrigale 'Da poi ch' io vidi vostra falsa fede' di Giovanni Palestrina intavolato da Giulio Severino, probabilmente redatto dall'originale romano a stampa del 1562 edito da Antonio Barrè, editore che aveva stretti legami con Orlando di Lasso e il cerchio dei napoletani esiliati in Roma incluso Dentice. Giulio Severino, elencato da Scipione Cerreto tra i più famosi liutisti di Napoli, era anche un compositore di polifonia vocale e ritroviamo sue composizioni nel Libro Primo di Madrigali di Pietro Vinci (Venezia, 1561) e in altre collezioni. La sua reputazione sia come liutista che come polifonista permette di prendere la sua realizzazione come esempio di un rapporto bidirezionale: una composizione fatta da un polifonista-liutista intavolata da un liutista-polifonista. Francesco Luisi. La musica al tempo dei Farnese da Pier Luigi a Ranuccio I. in Storia di Parma. vol. X : musica e teatro. MUP Editore. 2013. p. 78 57 25 Confrontando il modello vocale e l'intavolatura di Severino di 'Da poi ch' io vidi vostra falsa fede' risulta chiaramente come l'intenzione del liutista fosse di produrre un arrangiamento disadorno, una breve partitura intavolata, che dimostra l'esattezza con cui i liutisti realizzavano le intavolature. L'intavolatura di Severino utilizza un vocabolario comune di posizioni accordali confortevoli sulla tastiera, e utilizza un buon numero di cori liberi in modo da ridurre l'onere per la mano sinistra dello strumentista e permettere una prestazione fluida. Nella trascrizione letterale del madrigale di Palestrina, la scelta traspositiva di Severino ha escluso la necessità di accordi in quarta e sesta o altri compromessi dovuti alle limitazioni dello strumento. Le modifiche della musica originale appaiono essere solo minori, e riflettono la preoccupazione di Severino, non rara tra i liutisti, di preservare l'integrità del modello nella creazione di una versione strumentale. Il suo arrangiamento esemplifica l'abilità di realizzare intavolature strumentali per trasmettere polifonia vocale.58 Il metodo utilizzato dal Severino si accorda con il metodo proposto nel trattato napoletano di Bartolomeo Lieto59 e con la pratica spagnola trovata nel repertorio per vihuela e codificata da Bermudo.60 In quanto strumento accordale, l'analisi del repertorio mostra chiaramente che i liutisti utilizzavano accordi ovunque potevano, e che avevano capito la funzione armonica delle progressioni molto prima che queste venissero descritte o formulate in teoria. Risulta evidente dalle raccomandazioni di Bermudo che lo scopo dell'intavolatura era di imparare le progressioni armoniche per le 'golpeada', così come le Villancicos di Juan Vasquez servivano ad imparare le progressioni armoniche fondamentali.61 Il ruolo del liuto, presente dal XVI secolo in ogni sfera della musica colta, dal mondo dei dilettanti alle corti, si può considerare particolarmente centrale nello sviluppo del 58 J. Griffiths. cit., pp. 99-105 Bartolomeo Lieto. Dialogo quarto di musica, dove si ragiona sotto un piacevole discorso delle cose pertinenti per intavolare le opere di musica et esercitarle con la viola a mano over liuto con sue tavole ordinate per diversi gradi alti e bassi [Napoli 1559]. Cancer. Napoli. 1159. facsimile P. Barbieri. Ed. Lim. Lucca. 1993 59 Juan Bermudo. El libro llamado Declaración de instrumentos musicales. Osuna. 1555. Ed. elettronica http://www.ums3323.paris-sorbonne.fr/LMR/multimedia/fichierstexte/BermudoArte.xml 60 61 J. Griffiths. cit., p. 94 26 pensiero musicale della polifonia vocale. Oltre il ricco repertorio dedicato, l'enorme quantità di intavolature sopravvissute di madrigali, mottetti e messe forniscono il legame più evidente e diretto tra il liutista e il polifonista e possono aiutare a rintracciare molte correlazioni e paralleli di prassi esecutiva.62 Colpisce il fatto che il liuto venisse utilizzato anche nelle trascrizioni di musica liturgica e fosse coltivato dai compositori di musica sacra polifonica, nonostante in ambito ecclesiale fosse precluso per motivi religiosi.63 Una preziosa testimonianza è fornita dai manoscritti conservati presso la biblioteca dell'Università di Uppsala. In uno di essi (Vok. Mus. Hs. 76b) compare la firma del liutista francese Guillaume Morlaye, gli altri tre (Instr. mus. hs. 412, Vok. Mus. Hs. 76c e Vok. Mus. Hs. 87) presentano la stessa scrittura e il manoscritto Vok. Mus. Hs. 87 sembra fosse appartenuto allo stesso autore. Non si sa nulla circa la provenienza dei manoscritti nè come siano giunti in Svezia, è stato ipotizzato che Morlaye Guillaume sia fuggito in Svezia dopo il 1577 a causa di persecuzioni religiose. 64 Il manoscritto corale in questione, sulla cui copertina è apposta la firma di Morlaye, contiene Messe polifoniche, Mottetti e Chansons di compositori francesi dei primi anni del XVI secolo, a cui sono stati aggiunti vari brani per liuto in intavolatura francese copiati intorno il 1560-70.65 I manoscritti 76b e 76c costituiscono un caso assai particolare di intavolatura francese contenente un ampio repertorio di musica vocale. In totale, queste due fonti contengono 17 Messe, 30 Mottetti e 46 Canzoni dove si rilevano i nomi di Josquin des Prez, Jean Mouton, Verdelot, Claudin de Sermisy, musicisti vicini alla corte nei primi anni del XVI secolo. Si suppone che le intavolature di liuto al centro dei brani vocali (tra cui alcune dello stesso Morlaye) vennero intercalate molto più tardi, i due repertori vocale e strumentale non hanno alcun rapporto tra loro e le intavolature inserite tra Messe e Mottetti sono totalmente indipendenti. 62 63 L'esame delle concordanze di tali intavolature J. Griffiths. cit., p. 89-90 ibid. Kenneth Sparr. French Lutenists and French Lute Music in Sweden. in Le luth et sa musique. Paris 1984. pp. 59-67 64 65 Frank Dobbins. Guillaume Morlaye. in The New Grove Dictionary of Music and Musicians. 2° ed. 2001 27 mostra che furono tutte redatte a partire da raccolte vocali pubblicate a Parigi da Adrian Le Roy e Robert Ballard tra il 1570 e il 1577.66 Un esempio ancor più paradigmatico lo troviamo in Giovanni Palestrina, che componeva in stile polifonico seguendo una concezione orizzontale e utilizzava il liuto per verificare l'efficacia delle concordanze verticali. In una lettera indirizzata al Duca Guglielmo di Gonzaga nel 1578 Capello Annibale scrive: Mando l'hinno fatto da monsignor Moretto et insieme una lettera a vostra altezza havendo scritto l'uno e l'altra di sua mano con havermi detto che spera esser[---] lasciato intendere, et che inteso sia per sodesfare conforme al suo gran desiderio di farle grato servitio. Messer Giovanni da Palestina non servendogli per l'indispositione grave havuta di fresco la testa, né la vista, per essercitar la gran voluntà di servir in quel modo che può vostra altezza ha cominciato a porre sul leuto le Chirie et la Gloria della prima messa et me le ha fatti sentire, pieni veramente di gran suavità et leggiadrie. Et quando con buona gratia di lei potesse farlo hora che nostro signore (4) in San Pietro ha comandato che si canti con due chori di XII per choro come ha trovato che ordinò Giulio II qu[ando] lasciò per tale effetto intrade bastanti a quel capitolo, et ha per questo ancho fatto mandar via tutti i cantori coniugati salvo lui per privilegio spetiale. Vorebbe far anche le seconde parti et servirsene nella detta chiesa in molte solennità in luogo dell'organo, poiché afferma che nel vero vostra altezza ha purgati quei canti fermi di tutti i barbarismi et di tutte l'imperfettioni che vi erano. Il che però non farà senza sua licenza, ma quanto prima dalla debolezza gli sarà permesso, spiegarà ciò ch'ha fatto col liuto con tutto il suo studio. 67 Jean Michel Vaccaro. Les tablatures francaises de luth des manuscrits 76b et 76c de la Bibliothèque universitaire d'Uppsala. in Musica Franca. Pendragon Press. 1996. pp. 490-497 66 lettera di Capello Annibale a Gonzaga Guglielmo, duca di Mantova. Corrispondenza Gonzaga 18.10.1578. ASMn, AG, b. 923, f. II/3, cc. 437-438 (C) 67 28 Tale testimonianza mostra come Palestrina adottasse il metodo 'di porre sul leuto' anche per le Messe: nel caso specifico si parla della prima delle dieci messe scritte per il duca di Mantova su canti fermi della cappella di Santa Barbara rivisti dallo stesso principe. 68 Il ruolo del liuto nel panorama più ampio del XVI secolo diventa più chiaro se spiegato in termini delle varie funzioni che ricopriva nella vita musicale. Nel suo ruolo simbolico era la reincarnazione della lira orfica, nella pratica musicale è servito in diversi contesti sociali che oltre al privato lo colloca come strumento di didattica, laboratorio di teoria e composizione, veicolo per la trasmissione musicale. I liutisti, in quanto polifonisti, possedevano una conoscenza della dimensione armonica della polifonia lineare, sicuramente derivata dalla loro esperienza pratica con lo strumento. Di fatto, i liutisti praticavano una forma di basso continuo o basso seguente molto prima dell'invenzione di tali termini.69 Va sottolineato come l'adattamento della polifonia consentito dal sistema dell'intavolatura implicava la verticalizzazione delle linee polifoniche, e ne delineava quel tessuto armonico che tanta parte avrà nei secoli successivi. Non si può infine trascurare l'importanza, nella storia del basso continuo, della chitarra barocca: Emilio De cavalieri per gli Intermedi del 1589 ordinò da Napoli tre 'chitarre alla spagnola', e ripropose lo strumento nella sua 'Rappresentazione di anima et corpo' del 1600.70 Le origini dell'accompagnamento sono altrettanto importanti quanto le origini dello stile del canto recitante, ma come osserva Hill l'attenzione degli studiosi si è concentrata sull'aspetto vocale dello stile recitativo, nonostante le speciali caratteristiche dell'accompagnamento siano necessarie per una resa del testo libera da costrizioni ritmiche.71 La lettera contiene un errore imputabile a distrazione: il papa citato non è Giulio II (della Rovere) ma Giulio III (dal Monte), che volle Palestrina tra i cantori pontifici nonostante fosse ammogliato. 68 69 J. Griffiths. cit., p. 94 Dinko Fabris. Le notti a Firenze i giorni a Napoli: gli esordi della chitarra spagnola nell'Italia del '600. in Rime e suoni alla spagnola. Atti della giornata internazionale di studi sulla chitarra barocca.Biblioteca Riccardiana. Firenze 2002. pp. 23-25 70 71 J. W. Hill. cit., p. 26-27 29 Come detto precedentemente gli elementi vocali essenziali dello stile recitativo italiano (intonazione sillabica, ambito ristretto, ripetizione su una stessa nota, esclusione di schemi ritmici o melodici e 'canto in sprezzatura... senza osservanza di misura' )72 erano già noti a partire almeno dalla metà del '500, se non già dal tardo '400. Un accompagnamento su strumenti tastati in grado di eseguire accordi lunghi sulle sillabe vocali si affaccia in Italia intorno agli anni 1555-1589, andando a sostituire lo stile più antico di accompagnamento con liuto che usava accordi rapidamente ripetuti. Il canto recitante accompagnato da accordi di chitarra lunghi, invece che ripetuti, era noto alla musica spagnola almeno dalla metà del '500, periodo in cui il canto spagnolo con chitarra si era già affermato a Napoli. E' presumibile che Scipione del Palla, il quale conosceva questa pratica prima di arrivare a Firenze nel 1665, insegnò a Caccini tale 'nobile maniera di cantare' (come Caccini stesso riporta nella nota Ai lettori de Le nuove musiche). Risulta pertanto verosimile che il tipico accompagnamento rasgueado di chitarra sia stato un possibile modello per il basso continuo dello stile recitativo fiorentino.73 Come la musica per liuto, la chitarra rinascimentale ed in seguito quella barocca a 5 cori utilizzava l'intavolatura come sistema di notazione. Il primo trattato conosciuto per chitarra barocca,' Guitarra Española', fu scritto da Juan Carlos Amat nel 1596, ed oltre alle istruzioni su come formare gli accordi contiene una importante novità: l'assegnazione di un numero ad ogni accordo 74. Fu l'italiano Girolamo Montesardo nella sua 'Nvova inventione d intavolatura per sonare li balletti sopra la chitarra spagniuola senza numeri e note' a introdurre nel 1606 l'alfabeto, assegnando ad ogni accordo una lettera dalla A alla Z. 75 J. W.r Hill. cit., p. 40. Citazione della lettera di Giulio Caccini del 6 settembre 1614 a Virginio Orsini da W. Kirkendale, The court musicians in Florence during the principate of the Medici. Olschki. Firenze, 1993. p. 157 72 73 ivi pp. 56-57 Juan Carlos Amat. Guitarra Española. edizione del 1626. (Newberry Library, Chicago). Disponibile online URL: http://www.lutesociety.org/pages/baroque-guitar 74 Girolamo Montesardo. Nvova inventione d intavolatura per sonare li balletti sopra la chitarra spagniuola senza numeri e note. Ed. Marescotti. Firenze. 1606. RISM A/I: M-3437 75 30 Fig. 1.4 Girolamo Montesardo. Alfabeto. Facsimile Ma la sua vera nuova invenzione, in considerazione del fatto che già Amat aveva avuto l'idea di semplificare la sequenza accordale con un simbolo numerico, è stata quella di riassumere in simboli la durata e la direzione del 'colpo': Es.1.1 Girolamo Montesardo. Sistema accordale per chitarra barocca. Nuova invenzione. p. iv Con questo sistema una Passacaglia poteva essere riassunta come nell esempio seguente: Es.1.2 Girolamo Montesardo. Passacaglia. Nuova invenzione. p. ix 31 Giovanni Paolo Foscarini nella 'Intavolatura di chitarra spagnola. Libro secondo' del 1629 perfezionò tale sistema sostituendo le lettere con un semplice segno 'su e giù' per indicare la direzione dei colpi, e una Passacaglia poteva essere scritta con una struttura molto più immediata: Es. 1.3 Giovanni Paolo Foscarini. 'Passacaglia sopra tutte le littere'. Li 5 libri della Chitarra alla Spagnola. p. 2 Inoltre, combinando lo stile rasgueado e punteado, Foscarini diede vita ad intavolature complesse costruite sulla precedente intavolatura liutistica che, oltre la direzione delle strappate, in su o in giù, e le lettere degli accordi, consentiva ornamentazioni ed altri passaggi.76 Es. 1.4 Giovanni Paolo Foscarini. Passacaglia passeggiata. Li 5 libri della Chitarra alla Spagnola. p.76 Tale sistema si rivelerà molto popolare a giudicare dalle numerose fonti a stampa e dal numero di manoscritti, e la comparsa delle lettere costituisce di per sè un basso continuo realizzato. 76 Giovanni Paolo Foscarini. Li 5 libri della chitarra spagnola. Roma. 1640. MUS.Col.i.55.20 32 Come strumento di continuo la chitarra barocca verrà usata nella musica da camera, nei balli di corte, nelle opere (ne furono impiegate due nell' Orfeo di Luigi Rossi del 1647) e persino negli oratori. I tiorbisti suonavano anche la Chitarra barocca, d'altra parte i due strumenti hanno accordatura e tecnica similari.77 Probabilmente la chitarra conquistò i primi monodisti perché era in grado di soddisfare molte delle esigenze del nuovo stile. Lo stile monodico richiedeva uno strumento la cui tecnica permettesse di accompagnare un cantante in modo che le parole potessero essere comprese senza difficoltà, con la sua evoluzione si iniziarono a sperimentare spostamenti armonici insoliti e inaspettati in un accompagnamento, utilizzando le armonie anche come sfumature di colore. Ciò richiedeva uno strumento accordale abbastanza flessibile per quanto riguardava l'armatura di chiave: gli strumenti a tastiera con il loro temperamento non potevano assicurare l'intonazione di accordi troppo lontani dalla chiave iniziale, mentre gli strumenti a pizzico quali liuto e tiorba, con i loro tasti di budello, utilizzavano un temperamento equabile ed erano pertanto in grado di riprodurre la maggior parte degli accordi senza dover riadattare i tasti. In tali strumenti però alcune chiavi tendono ad essere tecnicamente molto più difficili per la minore disponibilità di corde vuote, con perdita della tipica risonanza. La chitarra, con i suoi soli cinque cori, presentava meno difficoltà rispetto un liuto o una tiorba, potendo assicurare passaggi accordali che risultavano più facili anche in chiavi distanti tra loro.78 James Tyler. The guitar and its performance from the Fifteenth to Eighteenth Centuries. in Performance Practice Review. Vol 10 N. 1. 1997 p. 67 77 James Tyler. The role of the guitar in the rise of the monody: the earliest manuscript. in Journal of Seventeenth-Century Music. Vol. 9. N.1. 2003 <http://www.sscm-jscm.org/v9/no1/tyler.html>, par. 1.4, 1.5. 78 33 1.3 La Tiorba ed il suo uso come strumento di continuo La prima menzione del chitarrone si trova nella descrizione fatta da Bastiano de 'Rossi dei famosi sei Intermedi de 'La Pellegrina' 79 eseguiti a Firenze durante la celebrazione del matrimonio di Ferdinando I de 'Medici e Christine di Lorena, pubblicati immediatamente dopo l'evento nel 1589.80 Descrivendo l'aspetto dell' Armonia Doria (cantata dal celebre soprano Vittoria Archilei) nel preludio al primo intermezzo, Rossi scrive: Si rappresentò in questo intermedio le Serene celesti, guidate dall'Armonia... Cadute le cortine si vide immantenente apparir nel cielo una nugola... in essa nugola una donna, che se ne veniva pian piano in terra, suonando un liuto, e cantando, oltre a quel del liuto, ch'ella sonava, al suono di gravicembali, chitarroni, e arpi, che eran dentro alla prospettiva, il madrigal sottoscritto.81 La stessa scena è descritta da Cristofaro Malvezzi nella prefazione della sua edizione della musica per gli Intermezzi: Questo Madrigale cantò sola Vittoria moglie d'Antonio Archilei, che gratissimi servono il Serenissimo Gran Duca sonando ella un Leuto grosso accompagnata da due Chitarroni sonati uno dal detto suo marito, e l'altro da Antonio Naldi anch'esso servitore stipendiato della medesima Altezza. 82 Commissionata a Girolamo Bargagli, contiene i Sei Intermedi organizzati da Giovanni Bardi. Il soggetto allegorico del Primo Intermedio 'L'Armonia delle Sfere' era rappresentato dall'Armonia dorica. La stampa delle musiche ha permesso non solo di conoscere autori ed esecutori, ma soprattutto la ricca compagine strumentale: gravicembalo, leuto piccolo, leuto, leuto grosso, chitarrone, cetera, chitarra spagnola, chitarra napoletana, salterio, arpa, violino, lira da braccio, sotto basso viola, archiviolata lira, flauto diritto, traverso, cornetto, trombone, fagotto, cembalino, tamburio. 79 Douglas Alton Smith. Sulle origini del chitarrone. Journal of the american musicological society. Vol. 32, No. 3. 1979. p. 441 80 81 Bastiano de Rossi. Descrizione dell'apparato e degli intermedi fatti per la commedia rappresentata in Firenze. Padovani. Firenze. 1689. p. 18 (ed. digitale) 82 Cristofano Malvezzi. Intermedii et concerti, fatti per la commedia rappresentata in Firenze nelle nozze del serenissimo Don Ferdinando Medici, e Madama Christiana di Lorena gran duchi di Toscana. Venice. 1591. cit. in Musique des intermides de "La pellegrina" ed. D. P. Walker. Paris. 1963. p. xxxvii. 34 Bastiano de 'Rossi non menziona il chitarrone nella descrizione dei precedenti festeggiamenti nuziali fiorentini per Virginia de 'Medici e Cesare d'Este del febbraio 1586: sei Intermedi simili a quelli che verranno eseguiti nel 1589, composti sotto la direzione di Giovanni de 'Bardi, con ampio utilizzo di strumenti a corda tra cui liuti, arpe, viole e clavicembali, in particolare per accompagnare il canto solista. Questo dettaglio assume notevole rilevanza permettendo di collocare la data di nascita dello strumento: se il chitarrone fosse stato già conosciuto a Firenze nel 1586, sarebbe ovviamente stato utilizzato, e descritto, anche in questi intermezzi. A giudicare dalla misura del suo utilizzo negli intermezzi solo tre anni dopo, la sua assenza appare di una evidenza singolare. Si può quindi dedurre che lo strumento sia stato inventato tra il 1586 e il 1589: probabilmente il chitarrone fu concepito e costruito verso la fine del 1588 o all'inizio del 1589, soprattutto per gli intermezzi fiorentini dello stesso anno. Gli sforzi per trovare un riferimento in documenti precedenti non hanno portato ad alcun risultato. Lo strumento non viene menzionato da Vincenzo Galilei nè nel Dialogo del 1581 nè nel Fronimo del 1584, nonostante la sua ampia discussione su strumenti contemporanei quali liuto, arpa, cetra, viola da gamba. Diverse lettere di Alessandro Striggio, scritte nel 1584, contengono riferimenti alla recente pratica musicale di Giulio Caccini, uno del fautori del chitarrone, ma nessuno al nuovo strumento.83 Di fatto si può affermare che la Tiorba nasce insieme al progetto di monodia accompagnata della Camerata fiorentina. La Tiorba era ritenuto lo strumento principale per accompagnare tale repertorio, e dai musicisti ci si aspettava fin dall'inizio che costruissero la propria parte sopra la linea del basso, con o senza indicazioni numeriche.84 Robert Spencer, che ha esaminato una enorme quantità di materiale originale, riguardo le origini della tiorba non può far altro che speculare che il chitarrone sia stato 83 D. Alton Smith. cit., p. 442 Matthew Spring. The Lute in Britain: A History of the Instrument and Its Music. Oxford University Press. 2006. p. 369 84 35 probabilmente sviluppato intorno al 1580 da un membro della Camerata di Firenze come un complemento necessario del nuovo stile di musica recitativa. 85 Come giustamente ha osservato Coelho, con i cambiamenti stilistici che ebbero luogo nel '600 i liutisti dovevano imparare nuove regole, come suonare il continuo e diversi strumenti.86 E proprio i nuovi stili emergenti porteranno ai cambiamenti che, a partire dal liuto basso, condurranno alla messa a punto del nuovo strumento; dal 1600 i liutai cominceranno a costruirlo su larga scala, in vari modelli, fino al suo perfezionamento. L'organologia dello strumento mostra considerevoli varianti per forma e dimensione, in base alle tiorbe italiane sopravvissute dai primi del '600. Dopo vari esperimenti costruttivi, la tiorba tipica si stabilizzerà in 14 cori, accordatura in La, tastiera fino a 93 cm e bassi di bordone fino a 170 cm, con le prime due corde rientranti abbassate di una ottava e cori singoli.87 Praetorius illustra il nuovo strumento sotto il nome di 'Lang Romanische Tiorba: Chitarron' e 'Paduanische Tiorba'. Il primo presenta una tratta per i bordoni notevolmente sviluppata ed ha tre rosette centrali, il secondo presenta 16 cori, di cui otto tastati, una tratta più corta, una rosa centrale e una piccola rosa sotto le corde dei bassi vicino il ponte. Dall'illustrazione riportata nel 'Syntagma musicum' si vede chiaramente il numero dei piroli, che indica la montatura di cori singoli. L'incisione mostra anche come già nel 1619 Praetorius fosse consapevole dei differenti tipi di tiorbe italiane. I liuti con estensione del manico senza accordatura rientrante erano chiamati arciliuto o liuto attiorbato, termine che implicava la forma di una tiorba.88 85 Robert Spencer. Chitarrone, Theorbo and Archlute. in Early Music. Oxford Journal. 1976. 4 (4). p. 408. Victor Anand Coelho. Authority, autonomy, and interpretation in Seventeenth-century Itallian lute music. in Performance on Lute, Guitar and Vihuela. Cambridge University Press. 2005. p. 120 86 87 M. Spring. cit., p. 369 88 R. Spencer. cit., p. 409 36 Fig. 1.5 Praetorius. Syntagma musicum. Tav. V e XVI Una delle caratteristiche distintive dei diversi tipi di liuti, arciliuti e tiorbe è la particolare accordatura, anzi, per distinguere tra i tipi di liuto, è spesso necessario conoscere come lo strumento era accordato. Le opere d'arte sono estremamente ricche di immagini di liuti, ma la messa a punto di uno strumento raffigurato è, nella maggior parte dei casi, impossibile da realizzare. Di conseguenza risulta spesso molto difficile, sulla base delle sole prove iconografiche, identificare con precisione il particolare tipo di liuto rappresentato. In più vi è ancora una certa confusione tra le fonti musicologiche primarie e secondarie sulla corretta denominazione dei singoli tipi di liuti. Gli stessi studiosi moderni a volte non sono d'accordo sul significato di termini come "arciliuto", "tiorba", "chitarrone", "tiorba liuto" e simili. Le fonti originali spesso assegnano lo stesso nome a diversi tipi di liuti e, viceversa, nomi diversi per lo stesso strumento. È comunque possibile distinguere tra alcuni tipi principali di liuti facilmente riconoscibili nelle fonti iconografiche, pur lasciando aperta la possibilità di definizioni più precise. 89 89 Maria Grazia Carlone. Lutes, archlutes, theorboes in iconography. in Music in art. Vol. 30. N. 1/2. 2005 37 Una fonte iconografica interessante è il ritratto di Lady Mary Sidney attribuito a John De Critz, datato 1620 (non si conoscono riproduzioni precedenti di Tiorbe). Il dipinto mostra uno strumento che richiama la descrizione di Praetorius del 'Lang Romanische Tiorba' per quanto riguarda lo sviluppo della tratta e della 'Paduanische Tiorba' per la disposizione delle rose sulla tavola armonica, a testimoniare secondo un'opinione personale come non fosse codificata una precisa tipologia dello strumento, costruito in vario modo sia secondo le richieste degli stessi liutisti sia secondo le diverse scuole di liuteria. Gli stessi strumenti sopravvissuti non convalidano il resoconto di Praetorius sui due differenti strumenti, sebbene indubbiamente furono fatte molte sperimentazioni su corpo, dimensioni, accordatura e paletta dello strumento, risulta evidente che veniva usato il termine chitarrone e tiorba per lo stesso strumento.90 Fig 1.6 Ritratto di Lady Mary Sidney. attribuzione John De Critz, circa 1620, olio su tela, Penshurst (Kent) Anche riguardo il nome dello strumento, che tanta confusione ha generato per anni tra gli studiosi portandoli a considerare Chitarrone e Tiorba due strumenti affini ma diversi, sembra presumibile supporre che lo stesso strumento venisse chiamato in modi diversi secondo il luogo, Chitarrone a Roma e Napoli, Tiorba nelle corti del nord. Jach Ashworth- Paul O'Dette. Proto-continuo. In A Performer's Guide to Renaissance Music a cura di Jeffery T. Kite-Powell. Indiana University Press. 2007. p. 181-2 90 38 Secondo Robert Spencer i termini Chitarrone e Tiorba erano sinonimi, il primo era il nome comune dall'invenzione dello strumento nel 1580 fino al 1640, il secondo un termine usato dal 1600 in poi.91 Le testimonianze sembrano inequivocabili: Alessandro Guidotti nella sua prefazione a 'Rappresentatione di anima et corpo' del 1600 di Emilio Cavalieri, scrive: 'un chitarrone, o Tiorba che si dica'.92 Adriano Banchieri nel 1609, nella sua opera 'Conclusioni nel suono dell'organo', cita la copia di una lettera inviata da Agostino Agazzari ad un virtuoso senese in cui illustra: 'Il Chittarrone, ò Tiorba, che dire la vogliamo...' 93 Anche Agazzari, Barbarino, Piccinini e Kapsberger useranno i termini come sinonimi. 94 Se il termine Chitarrone si può far risalire da una parte alla prassi di accompagnamento della chitarra barocca e dall'altra alle velleità classiciste del circolo fiorentino con l assunzione simbolica della Kithara greca, nulla si sa circa le origini del termine Tiorba. Tale locuzione sembra apparire per la prima volta nel dizionario The worlde of Wordes di John Florio nel 1598, ma riferito all Organistrum medievale, o ghironda, descritta come strumento popolare suonato dalle genti di campagna.95 Nell edizione del 1611 John Florio, sempre sotto la voce Tiorba, cambia la dicitura in A musical instrument that blind men play upon called a Theorba , cioè uno strumento suonato da uomini ciechi chiamato Theorba, dove non si può escludere una inglesizzazione del termine.96 La ghironda era anche chiamata viola da orbo in quanto molto spesso suonata da musicisti girovaghi ciechi. Riguardo il problema dell etimologia della parola sono state fatte molte ipotesi, tra 91 R. Spencer. cit., p. 408 Angelo Solerti. Le origini del melodramma. Testimonianze dei contemporanei. Ed. F.lli Bocca Torino 1903 p. 6 92 Adriano Banchieri. Conclusioni nel suono dell'organo. Bologna. 1609. facsimile online: <http://imslp.org/> . p. 68-69. URL consultato il 2 dicembre 2014. 93 94 D. Alton Smith. cit., p. 461-462 John Florio. Queen Anna's New World of Words. Italian/English Dictionary 1611. Ed. Online <http://www.pbm.com/~lindahl/florio1598/444small.html > p. 421. URL consultato il 20.11.2014 95 John Florio. Queen Anna's New World of Words. Italian/English Dictionary 1611. Ed. Online <http://www.pbm.com/~lindahl/florio/579.html> p. 564. URL consultato il 20.11.2014 96 39 cui la derivazione da un termine slavo o turco torba che, attraverso Venezia e i suoi dittonghi dialettali, si sarebbe trasformata in tiorba. 97 Poiché la parola torba indicherebbe un sacco usato dai mendicanti, l accostamento alla viola da orbo suonata da ciechi girovaghi come descritta da Florio appare suggestiva, così come l assonanza con il termine inglesizzato. Il problema non è da poco se anche Attanasius Kircher nel 1650 se ne occupa in modo curioso nel suo 'Musurgia universalis',98 dove l immagine del circumforaneo napoletano che inventa la tiorba prima degli altri, in assenza di altri riferimenti, sembra poter essere assimilabile alla figura di un giullare che per scherzo nomina la tiorba, magari riportando nelle piazze gli avvenimenti strabilianti delle corti. Un'immagine che evoca personaggi quali Foriano Pico, un cantimbanco fiorentino attivo a Napoli il cui nome in lingua napoletana secentesca indica "qualcuno che viene da fuori", come circumforaneo in lingua latina: una pubblicazione del 1661 per chitarra barocca costerà a Pietro Milioni un'accusa di plagio per una edizione antecedente del Pico, datata 1608, che non ha riscontro nell'esistenza della casa editrice nella data riportata, e la cui data può riferirsi ad errore tipografico o ad un'opera di contraffazione.99 Alessandro Guidotti (bolognese) e Agazzari (senese) nell'assimilare la Tiorba al Chitarrone usano la medesima elocuzione 'un chitarrone, o Tiorba che si dica...' e ciò sembra indicare come il Chitarrone, di ambiente romano, subisca la nuova designazione con la sua diffusione; ma per quali strade o per quali errori il termine Tiorba sia entrato in uso non è dato sapere, e non si può che restare nel campo delle ipotesi. A metà del XVI secolo il termine Chitarrone cade in disuso e lo strumento viene indicato come Tiorba, il Chitarrone rappresenterebbe solo il termine più antico.100 97 D. Alton Smith. cit., p. 460 'La tiorba deve il suo nome ad un tale girovago napoletano, il quale, prima tra gli altri, raddoppiò il manico al liuto, gli aggiunse numerose corde - poichè prima non poteva essere utilizzato se non nel registro di baritono - e, per scherzo, chiamò questo strumento tiorba...' citazione in Diego Cantalupi. La tiorba ed il suo uso in Italia come strumento per basso continuo. Tesi di dottorato, Università di Pavia, Scuola di Paleografia e Filologia Musicale di Cremona, a.a. 1995-1996. p. 24 98 Dinko Fabris. Le notti a Firenze i giorni a Napoli: gli esordi della chitarra spagnola nell'Italia del '600. in Rime e suoni alla spagnola. cit,. pp. 19-22 99 100 D. Alton Smith. cit., p. 462 40 Per quanto concerne l'inventore del Chitarrone le fonti sembrano identificare con certezza Antonio Naldi detto il Bardella, un liutista della corte medicea che secondo i resoconti di Malvezzi ha partecipato agli Intermezzi del 1589. Mersenne a proposito della Tiorba scriverà in una lettera nel 1634: '...se voi desiderate sapere chi è l'inventore, è un certo Bardella che lo ha suonato per primo a Firenze poche decine di anni fa.' 101 , notizia quasi sicuramente appresa attraverso la corrispondenza con Giovanni Battista Doni.102 Una testimonianza che sembra essere conclusiva è costituita da una lettera datata 31 ottobre 1592 di Emilio de 'Cavalieri a Luzzasco Luzzaschi, in cui Cavalieri narra di una recente visita a Ferrara di Giulio Caccini: Mi [ha] anche detto [Caccini] che a S.A. [Alfonso II d'Este] ha sadisfatto molto il suo Chitarone, et il modo de la Cordatura, del quale S.A. ne ha voluto il ritratto et veramente se V.S. sentisse Antonio Naldi detto il Bardella musico di questa... il quale lui lo hà inventato, et lo suona in tutta ecc.za crederei che sodisfacesse 103 infinitamente a V.S., et particolarmente per cantarvi sopra. Cavalieri nel mese di settembre 1588 si trovava a Firenze con l'incarico di soprintendere la musica da Chiesa e da Camera e di sorvegliare le attività musicali e teatrali per il matrimonio tra il Granduca di Toscana e Cristina di Lorena del 1589. Nella sua qualità di soprintendente deve essere stato uno dei primi a vedere e sentir suonare il nuovo strumento di Naldi, per cui la sua parola può difficilmente essere messa in dubbio. La lettera di Cavalieri non solo identifica in modo sicuro Naldi come l'inventore del chitarrone, ma aiuta anche a precisare la data dell'invenzione e l aspetto dello strumento. Dalla natura delle osservazioni di Cavalieri, il chitarrone era ovviamente ancora una novità nella Ferrara del 1592. Questo porta a confermare l'ipotesi avanzata che il Chitarrone sia stato inventato nel 1589 o poco prima. Inoltre, la lettera rivela che l accordatura Marin Mersenne. Correspondance du P. Marin Mersenne: 1634. Paul Tannery et al. Ed. G. Beauchesne. 1933-88. Paris. p. 230 101 102 D. Cantalupi. cit., p. 33 103 D. Alton. Smith. cit., p. 447- documento conservato in Modena, Archivio Estense, Musica Busta seconda (Sonatori e Cantori). 41 rappresenta l'elemento di distinzione del Chitarrone rispetto il liuto, altrimenti il duca Alfonso non ne avrebbe richiesto uno schema. Caccini, come si evince dalla lettera di Cavalieri, ha mostrato il suo Chitarrone a Ferrara qualche anno prima della rivendicazione del liutista Alessandro Piccinini di essere l'inventore, almeno indirettamente, dell estensione del manico e dei contrabbassi.104 Antonio Naldi, nato intorno alla metà del XVI secolo, lavorò fino alla morte a Firenze come salariato della corte dei Medici e venne soprannominato 'il Bardella'. A corte oltre a prestare servizio come suonatore di strumenti a corde venne nominato dal granduca Ferdinando I nel ruolo di guardaroba della musica (ossia responsabile della raccolta di strumenti musicali). Vari documenti della corte medicea attestano gli strumenti che prese in prestito, il privilegio ricevuto di 'mangiare in tinello' (ossia a spese della corte) e la paga mensile che dai 6 scudi del 1588 fu aumentata sino ai 16 scudi del 1609. L importanza storica di Naldi consiste nell aver inventato quello strumento che avrebbe avuto particolare fortuna sino ai primi decenni del Settecento, in particolare per l accompagnamento della voce e per la realizzazione del basso continuo; oltre che inventore del chitarrone, ne fu anche celebrato suonatore: nella lettera citata Cavalieri attesta che 'lo suona in tutta eccellenza'; nella prefazione alla prima edizione delle 'Nuove musiche', Giulio Caccini lo indica come 'reputato da tutti per lo più eccellente che sino a nostri tempi abbia mai sonato di tale strumento'.105 Nel 1589 prese parte, sia come strumentista sia come cantante, all allestimento dei sei Intermedi per la commedia 'La pellegrina' di Girolamo Bargagli, e si hanno notizie ben documentate circa la partecipazione a vari altri avvenimenti musicali di rilievo. Morì a Firenze il 25 gennaio 1621. La rivendicazione tanto discussa di Alessandro Piccinini, che lo contrappone al Naldi, non sembra in realtà riguardare l'invenzione della Tiorba. Nella prefazione al Libro I di 'Intavolatura di liuto et di chitarrone' del 1623, nel capitolo 'Dell'Arciliuto, e dell'Inventore 104 D. Alton Smith. cit., p. 447 Warren Kirkendale. The court musicians in Florence during the principate of the Medici. Ed. Olschki. Firenze. 1993. pp. 276-80 105 42 d'esso' Piccinini rivendica l'invenzione dell'Arciliuto e deplora il termine Liuto 'attiorbato' in quanto sembra sminuire la sua invenzione e renderla secondaria e conseguente a quella della tiorba. Quello che casomai rivendica, vero o meno che fosse, è che il suo Arciliuto ha contribuito a dar vita alla Tiorba: Doue hò nominato il Liuto, hò voluto intendere ancor dell'Arciliuto per non dire, come molti dicono, Liuto Attiorbato, come se l'inuentione fosse cauata dalla Tiorba, à Chitarrone, per dir meglio, il che è falso, e lo so io, come quello, che sono stato l'Inuentore di questi Arciliuti: anzi hauend'io fatto fare li primi come se detta inueutione per all'hora fosse poco stimata, per ispatio di due anni non si vide abbracciata da nissuno, ne si vedeua alcun simile stromento fuor, che quelli, ch'io faceuo fare. Pure e stata poi vltima perfettione al Liuto, & ha dato vita al Chitarrone. 106 Piccinini prosegue descrivendo i vari tentativi fatti per realizzare lo strumento presso il liutaio Christofano Heberle di Padova, fino alla realizzazione di strumenti che riuscirono 'isquisiti' e che tanto piacquero anche al Principe di Venosa che si trovava a Ferrara.107 Alton Smith ed altri studiosi ritengono che Piccinini si possa essere confuso riguardo il liutaio, in quanto non risulterebbe nessun Christofano Heberle attivo a Padova. Sembra un po' inverosimile che Piccinini possa aver commesso un simile errore: un Christofano Heberle, nipote di Wendelin Tieffebrucker, ha continuato la bottega di Wendelin dopo la sua morte.108 Una lettera di Lorenzo Pignoria da Padova indirizzata a Galileo, datata 12 Ottobre 1612, dà notizia che: 'Messer Christoforo Vendelino è morto; pure sono rimasti i suoi giovani, et io metter`o studio accioch´e V. S. resti servita del liuto' , 109 dove probabilmente Vendelino 106 Alessandro Piccinini. Intavolatura di liuto et di chitarrone. Libro I. Bologna 1623 facsimile cap. XXXIIII p.8 107 ivi cap. XXVIII p. 5 Ian Harwood, Giulio Ongaro. Tieffenbrucker. in The New Grove Dictionary of Music and Musicians. 2° ed. 2001 108 Lettera Autografa di Pignoria a Galileo. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VIII, car. 163. risorsa on-line: <http://moro.imss.fi.it/lettura/LetturaWEB.DLL?AZIONE=UNITA&TESTO=EaA&PARAM=331-32213723813&VOL=11 > URL consultato il 20.11.2014 109 43 indica non il cognome ma il legame familiare di Christofano Heberle con Wendelio Venere e questo documento rivela la data della sua morte, che era sconosciuta. 110 D'altra parte la storia di Wendelin Tieffenbrucker è molto intricata. Luisa Cervelli ne tenta una ricostruzione delineando la figura di Wendelin, genero di Leonardo Tieffenbrucker, costretto a firmarsi con il famoso nome della famiglia di liutai finchè si sarebbe sottratto a tale imposizione cambiando le iniziali da W. T. a W. E., ed usando il soprannome Vendelino Venere (genero di Leonardo Tieffenbrucker).111 Gli studi più recenti di Francesco Liguori sulle fonti archivistiche lo accreditano invece come il figlio del famoso costruttore Leonardo. 112 Riguardo invece la Tiorba, nel capitolo 'Dell'origine del Chitarrone, et della Pandora' dopo aver spiegato il sistema dell'accordatura Piccinini aggiunge: Già molti anni sono che in Bologna, si facevano liuti di bontà molto eccellenti... è questo fu il principio della Tiorba, ò vero Chitarrone; e di poco tempo inanzi ch io facessi fare la tratta ai contrabbassi, era venuto a Ferrara, il Signor Giulio Caccini, detto Romano huomo Eccellentissimo nel bel cantare chiamato da quelle Altezze Sereniss. il quale aveva un Chitarrone d Avorio accomodato in quella maniera medesima ch io detto di sopra, della quale si serviva, per 113 accompagnamento della voce. Piccinini riferisce, secondo Smith, che Caccini aveva mostrato sì un chitarrone precedentemente, ma implicando che era semplicemente un grande liuto accordato con i primi due cori abbassati di un'ottava, e non fa menzione di contrabbassi.114 Riguardo l'affermazione che il Chitarrone era conosciuto almeno due decenni prima dell'invenzione di Naldi, 115 affermazione corroborata dallo strumento tenuto in mano da Dinko Fabris. Galileo and music: A family affair. Convegno The inspiration of Astronomical Phenomena. Venezia. Ottobre 2009. nota 44. p. 67 110 Luisa Cervelli. Brevi note sui liutai tedeschi attivi in Italia dal secolo XVI al XVIII. in Studien zur italienischdeutschen Musikgeschichte. 1968. pp. 332-4 111 112 113 114 115 Francesco Liguori. L'arte del liuto - Le botteghe dei Tieffenbrucker tra 500 e 600. Ed. Il prato, 2010. p.17 A. Piccinini. cit., cap. XXVIII. p. 5 D. Alton Smith. cit., p. 453 ibid. nota 45 44 un angelo nel dipinto 'Maria Maddalena Portata in cielo', va precisato che il dipinto in questione, che sembra che si trovasse nella Galleria degli Uffizi nel 1637, era stato erroneamente attribuito al pittore Taddeo Zuccari fiorentino di recente ha attribuito (1529-1566). Il Polo museale il dipinto, conservato a Palazzo Pitti, a Valerio Marucelli (1563 - 1627), e pur non fornendo una datazione certa indica una possibile collocazione tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento, spostando in avanti gli elementi su cui si basava Smith. Fig. 1.7 Maria Maddalena Portata in cielo. V. Marucelli. Dettaglio. Palazzo Pitti. Firenze Alton Smith rileva gravi incongruenze nel racconto di Piccinini e nella sua pretesa di aver inventato l'estensione della tratta, ma parte dal presupposto che per accettare la storia di Piccinini lo strumento inventato da Naldi avrebbe dovuto essere qualcosa di differente dal Chitarrone del XVII secolo, e che la lunga estensione dei contrabbassi avrebbe dovuto essere realizzata qualche tempo dopo il 1595. In più, l'esistenza di un chitarrone sopravvissuto (Museum of Fine Arts, Boston) con l'etichetta 'Magno Diffobruchar a Venetia 1589' (ipotizzato poter essere il chitarrone originale di Naldi) rappresenterebbe un ulteriore motivo per dubitare delle parole di Piccinini. Secondo Smith, nel suo resoconto degli eventi quasi tre decenni dopo, Piccinini avrebbe commesso un errore riguardo lo strumento di Caccini, sia per scarsa memoria o per vanità. Come però poi rileva lo studioso, è mantenuta una netta distinzione tra chitarrone, liuto grosso e liuto piccolo sia nella descrizione degli Intermedi del 1589 di Malvezzi che nell'inventario degli strumenti della corte estense a Ferrara del 1600. 116 116 D. Alton Smith. cit., pp. 453-7 45 Ad una rilettura attenta dei documenti, di fatto ciò che Piccinini scrive nel 1623 può essere sintetizzato in questo modo: - che a Bologna si facevano ottimi liuti, tanto che i francesi ne compravano in quantità senza badare al costo - che si facevano liuti grandissimi, che insieme ai liuti piccoli venivano suonati in concerto - che i liuti così grandi non potevano reggere l'accordatura del cantino tanto da doverla abbassare di un'ottava - che quei liuti grandi avevano un suono così dolce che, cominciando la fioritura del bel canto, risultavano particolarmente indicati all'accompagnamento; trovandosi però più bassi del necessario vennero forniti di corde più sottili 'tirandoli in tuono commodo alla voce', cioè portando l'accordatura da Re (basso) a Sol o La (tenore). In questo modo però, come nella fase precedente per il cantino, non reggeva più la seconda corda, che parimenti venne abbassata di una ottava. E questo 'fu il principio della Tiorba', e va ricordato che il capitolo si intitola 'Delle origini'. Fin qui sembra di assistere semplicemente ad un resoconto storico dettagliato di come venne a formarsi l'accordatura rientrante del Chitarrone: Es. 1.5 Accordatura rientrante del Chitarrone Piccinini prosegue riferendo che, poco prima che lui facesse fare la tratta ai contrabbassi (presumibilmente dell'arciliuto, quindi poco prima che lui perfezionasse il liuto per andare incontro alle nuove esigenze dello stile di accompagnamento), trovandosi a Ferrara ebbe modo di ascoltare Caccini che aveva un Chitarrone d'avorio, del quale si serviva per l'accompagnamento della voce, 'accomodato' nella maniera da lui già spiegata. Ma al di fuori del canto nessuno suonava il Chitarrone, e sebbene lui avesse fatto fare la tratta ai contrabbassi (ampliando quindi le potenzialità dell'arciliuto) molti virtuosi ormai invaghiti dell'armonia della tiorba cercarono il modo di suonarla da sola 46 nonostante " l'imperfezione delle prime due corde abbassate di un'ottava", tanto da diventare molto eccellenti e portare il Chitarrone al 'suo grido'. Quello che segue negli scritti di Piccinini, oltre l'apprezzamento del suono soave del Chitarrone e dopo il vanto di aver costruito la Pandora, è la considerazione che il Chitarrone ha spodestato il liuto; lui stesso ne intraprende lo studio e scriverà per lo strumento bellissima musica tanto da porgere le sue scuse per i passaggi difficili presenti nelle sue opere per Chitarrone per chi non 'sarà padrone d'adoperare tutte due le mani con quella agilità che fa bisogno'. 117 Se la fortuna del chitarrone ha inizio nell'ambito dell' accompagnamento, in ambito solistico lo stesso Piccinini gli dedicherà un repertorio di primaria importanza. Non sembra di rilevare che Piccinini abbia menzionato lo strumento di Caccini descrivendolo privo della tratta dei bordoni, e sicuramente in quel caso lo avrebbe definito Liuto grosso e non propriamente Chitarrone, appellativo riservato unicamente allo strumento con la tratta dei bassi. L'impressione rilevata dagli scritti di Piccinini è quella di un uomo amareggiato che si sia sentito messo da parte, e ciononostante senza pregiudizi abbia apprezzato ed esplorato lo strumento fino a lasciare un repertorio che eguaglia Kapsberger e De Visèe, per nulla interessato ad attribuire a se stesso invenzioni diverse da quelle di cui chiedeva il riconoscimento e di cui non sembra rivendichi la paternità, come troppo spesso riportato in letteratura. La tiorba, per le sue caratteristiche, risponde come visto alle nuove esigenze di accompagnare la monodia. La nascita del melodramma è storicamente attribuita al lavoro della Camerata fiorentina, una compagine di intellettuali di cui facevano parte Giovanni Bardi, Vincenzo Galilei, Piero Strozzi, Jacopo Peri, Giulio Caccini e Ottavio Rinuccini. La loro ideologia si fondava sulla dottrina grecista di Girolamo Mei, e il loro manifesto fu 'Il dialogo della musica antica e della moderna' di Galilei, che teorizzava la supremazia della musica antica perchè rispettava, oltre la forma, il significato e l'espressività della parola. Si afferma quindi la monodia, o canto a voce sola con accompagnamento, contrapposta alle tecniche astratte del contrappunto; monodia preesistente fin dalle 117 A. Piccinini. cit., p. 5 47 intavolature di frottole per canto e liuto come prassi non ufficiale rispetto la preponderante dottrina polifonica. Il punto di svolta si ha con lo sviluppo della pratica del basso continuo, che definirà il ruolo del basso d'accompagnamento. L'invenzione del "continuo", come già visto, ne stabilisce solo la formalizzazione.118 Dagli Intermedi de La pellegrina all'Euridice di Peri, la tiorba ebbe una immediata diffusione come strumento d'accompagnamento del nuovo stile monodico. Nel 1589, lo stesso anno della prima apparizione documentata del nuovo strumento, il cardinal Francesco Maria Del Monte andò a vivere a Roma e arredò Palazzo Madama con la collaborazione di Ferdinando de' Medici, Granduca di Toscana e proprietario del palazzo. In una stanza egli già possedeva 'cimbali, chitarre, il chitarone e altri strumenti' a cui provvide il Cardinal Alessandro Montalto, amante della musica.119 Che il Chitarrone rappresenti uno dei più importanti strumenti musicali del XVII secolo lo attestano le più di 250 fonti musicali sopravvissute che menzionano lo strumento. Il nome Chitarrone, dal greco kithara, riflette l'idea, forte nella mente degli artefici dello strumento, che fosse una valida controparte della kithara usata dai poeti per accompagnarsi nell'antichità classica. Nel primo riferimento al Chitarrone dei sei Intermedi de 'La Pellegrina' del 1589, Peri si accompagnò con il Chitarrone in un madrigale del quinto intermedio. 120 L' intermedio rappresentava 'Arion Citaredo', e Malvezzi riferisce come Peri interpretasse il moderno Arion: 'Questo Ecco fu cantato da Jacopo Peri detto il Zazzarino con maravigliosa arte sopra del chitarrone, & con mirabile attentione de gli ascoltanti.'121 118 C. Gallico. cit., pp. 106-8 Arnaldo Morelli. Spaces for musical performances in seventeenth-century Roman residences. in The music room in early modern France and Italy. a cura di Deborah Howard e Laura Mauretti. Oxford University Press. 2012. p. 311. Lettera del Cardinal Francesco M. Del Monte a Ferdinando de Medici (Roma, 22 119 Nov. 1589) Kevin Mason. The Chitarrone and Its Repertoire in Early Seventeenth-Century Italy. Boethius Press. 1991. p.18 120 121 C. Malvezzi. cit,. Libro Nono. p. 12 48 Uno o due chitarroni parteciparono all'accompagnamento di oltre la metà dei numeri dei sei Intermedi, e in tutti quelli per il canto solista, per rappresentare lo stile antico. In due di questi, il solo di Peri e quello del castrato Honofrio Gualfreducci del sesto intermezzo, era l'unico strumento di accompagnamento.122 Sembra certo che il chitarrone fosse destinato a servire negli Intermedi nel ruolo simbolico di antica cetra. Gli intermedi sono stati tutti pensati in relazione all'antichità classica ed i fiorentini erano ben consapevoli del fatto che gli antichi greci accompagnavano il canto con la cetra; anche se il manifesto di Galilei del 1581 non menziona il Chitarrone, contiene una estesa discussione dell'antica cetra ed utilizzo da parte di musicisti greci e negli esperimenti delle varie accordature di Galilei la grande cetra nella sua fase finale di sviluppo è stato accordata in un modo che ripropone in parte i bordoni diatonici del Chitarrone. Il termine Chitarrone ("grande cetra") potrebbe essere stato scelto perché il nuovo strumento rappresentava la versione più grande di quello vecchio, e / o perché il chitarrone in sé era abbastanza grande, e senza dubbio anche per distinguerlo dalla cittern e dalla chitarra. 123 Il successo del Chitarrone del primo XVII secolo lo pone come uno dei più importanti strumenti non solo dello stile monodico ma anche dell'opera, espressamente richiesto nei lavori dei principali esponenti della seconda pratica: Caccini, Peri, d'India, Cavalieri, Monteverdi, Gagliano; e rimane in uso in Italia nella musica da Chiesa e nella musica da camera tedesca fino il XVIII secolo.124 Nella prima decade del '600 divenne comune come strumento da continuo in tutta Europa per l'intero periodo barocco, con piccole differenze secondo i paesi. Portato in Inghilterra dall'architetto Inigo Jones, intorno il 1605, venne utilizzato inizialmente per accompagnare canzoni nelle Masques di corte, mentre intorno gli anni 30 alcuni compositori inglesi imitarono lo stile recitativo italiano. 122 D. Alton Smith. cit., p. 443 123 ivi p. 443-5 124 ivi p. 440 49 In Francia la tiorba prende piede più tardi, verso la metà del secolo: fino al 1643 venivano pubblicati libri di Airs de cour per voce sola e liuto, dopo tale data comparvero pubblicazioni anche con basso che poteva essere realizzato dalla tiorba. Fu solo dopo il 1660 che comparvero i primi trattati francesi per tiorba, e che nacque il repertorio solistico.125 Tutte le evidenze mostrano che intorno il 1620 la tiorba aveva sorpassato il liuto come strumento favorito dei musicisti e, con la rapidissima popolarità raggiunta dalla chitarra, i chitarristi suonavano anche la tiorba e viceversa. Tra il 1620 ed il 1669 si concentra la maggior parte delle pubblicazioni per tiorba, e la maggior parte dei manoscritti sono riferibili a questo periodo.126 Nel 1628 Vincenzo Giustiniani riporta che il liuto è quasi completamente abbandonato da quando è stata introdotta la Tiorba: Era anche per il passato molto in uso il suonare di Liuto; ma questo stromento resta quasi abbandonato affatto, doppoichè s'introdusse l'uso della Tiorba, la quale essendo più atta al cantare anche mediocremente e con cattiva voce, è stata accettata volentieri generalmente, per schivare la gran difficoltà, che ricerca il saper sonar bene di Liuto. Tanto più che nell'istesso tempo s'introdusse la Chitarra alla spagnola per tutta Italia, massime in Napoli, che unita con la Tiorba, pare che abbiano congiurato di sbandire affatto il Liuto... 127 Nel 1634 Jean Jacques Bouchard, in una lettera a Mersenne, scrive che a causa della tiorba 'liuto e viola sono quasi fuori uso a Roma'.128 Matthew Spring. The Lute in Britain: A History of the Instrument and Its Music. Oxford University Press. 2001. pp. 371-376 125 126 V. A. Coelho. cit., p. 122 Vincenzo Giustiniani. Discorso sopra la musica de suoi tempi ( c.1628). in A. Solerti, Le origini del melodramma. Torino. F.lli Bocca. 1903. pp 125-6 127 Victor Anand Coelho. Kapsberger in Rome. in Journal of the Lute Society of America. Vol. XVI. 1983. p. 129 128 50 La trattatistica dello strumento è più tarda e si concentra nella seconda metà del XVI secolo, con la pubblicazione di vari metodi compilati dai tiorbisti Fleury ('Methode pour apprendre facilement a toucher le theorbe sur le basse continue' 1660), Bartolotti ('Table pour apprendre facilement à toucher le théorbe sur La Basse', 1669), Grénerin ('Livre de Thèorbe' c. 1670), Delayr ( 'Traitè d'acompagnament pour le Theorbe et le Clavessin', 1690). Questi trattati consistono sostanzialmente nell'esposizione e nell'applicazione delle regole del basso cifrato, ed illustrano in intavolatura francese le posizioni per realizzare gli accordi e le cadenze complesse. Un esempio importante di trattatistica è fornito dal Manoscritto Estense G 239 databile intorno il 1670, contenente 27 composizioni per soprano e basso continuo e una parte finale di cadenze e passaggi intavolati per Tiorba in cui la realizzazione, rispetto soluzioni essenzialmente armoniche, predilige procedimenti di diminuzione del basso e comodità esecutiva, e comprende gran parte degli stilemi compositivi tiorbistici della prima metà del '600.129 Altro esempio estremamente esplicativo è il recente ritrovamento del Manoscritto New York 93-2, considerato il più esauriente metodo per il continuo sulla Tiorba, di provenienza italiana ed intavolatura relativa. Senza nè copertina nè titolo, il manoscritto contiene abbellimenti sopra note di cadenze, risoluzioni di dissonanze, passeggi sopra le note e sopra le cadenze, e tavole di accordi 'sopra qualsivoglia note con ogni accidenti, et in quante forme, modi e maniere possino trovarsi e formarsi sopra la tastatura di Tiorba' unica nel suo genere ed incredibilmente esauriente nella sua completezza.130 L'esperienza nella pratica del continuo porta i liutisti del primo '600 a gestire sempre meglio gli accordi rispetto il contesto musicale; con l'introduzione di nuovi modelli di arpeggio e l'appropriazione di alcune tecniche chitarristiche come il rasgueado, i musicisti trovarono spontaneamente varie possibilità nel suonare gli accordi. Anonimo. Cadenze e passaggi diversi intavolati per tiorba, dal manoscritto estense G239. a cura Tiziano Bagnati. Società italiana del liuto. Ed. Ut Orpheus. 1995. pp. ii-vi 129 Theodoros Kitsos. Continuo practice for the theorbo as indicated in seventeenth-century italian printed and manuscript sources. PhD in Music, University of York, Department of Music. 2005. Vol. I pp. 123-126 130 51 Coelho, nel confrontare lo stesso brano riportato nel manoscritto Modena B (datato 1619) e Paris 30 (datato 1626) rileva come in molte occasioni nel secondo vengano usati accordi più diluiti, bassi soppressi o aggiunti, cambiamenti di posizione dello stesso accordo, che offrono una diversa qualità timbrica. 131 Da una soggettiva autonomia ed abilità interpretativa si va così delineando una prassi tiorbistica che troverà la propria codificazione e definizione nel nascente repertorio solistico, che avrà la massima espressione in autori quali Kapsberger, Piccinini, De Visèe. Non si ritiene questo il luogo per una analisi dei manoscritti e delle pubblicazioni per tiorba, quasi tutti successivi al 1600 e che contemplano perlopiù brani solistici variamente riportati e spesso adattati dal repertorio liutistico, almeno fino alla stesura delle prime opere dedicate e comunque successive al periodo in esame. Ciò che qui interessa è uno sguardo sulle fonti che richiedono in modo esplicito il Chitarrone come strumento di continuo dopo la sua apparizione negli Intermedi del 1589, prendendo in esame il decennio successivo ed escludendo le pur numerose fonti che arrivano fino al '700 inoltrato.132 In tale elenco si è preferito evidenziare il nome di Salamon Rossi, tra i primi a distinguersi nell'utilizzo dello strumento. Dal riepilogo delle fonti accertate risulta come, dopo le prime pubblicazioni, intorno il 1605 il Chitarrone vada sempre più consolidandosi come strumento di continuo tra i compositori. V. A. Coelho. Authority, autonomy, and interpretation in Seventeenth-century Itallian lute music. cit., p. 139 131 Lista delle fonti on-line: < http://applications.library.appstate.edu/music/lute/continuo.html#d1610> : Boetticher, Wolfgang. "Zur inhaltichen Bestimmung des für Laute intavolierten Handschriftenbestands." 132 Acta Musicologica 51:2 (Jul.-Dec., 1979): 193-203; Coelho, Victor. The Manuscript Sources of SeventeenthCentury Italian Lute Music. (New York: Garland, 1995); Marx, H. J. Die Überlieferung der Werke Arcangelo Corellis: catalogue raisonné. (Köln: Arno Volk Verlag, 1980): The New Grove Dictionary of Music and Musicians (New York: Grove, 2001); [RISM A] Einzeldrucke vor 1800 (Kassel: Bärenreiter-Verlag, 1971): [RISM B] Recueils imprimés: XVIe-XVIIe siècles (München: G. Henle, 1960- ); Boetticher, Wolfgang. Handschriftlich Überlieferte Lauten- und Gitarrentabulaturen des 15. bis 18. Jahrhunderts (Munich: G. Henle, 1978); Sources manuscrites en tablature: Luth et théorbe (c.1500-c.1800), Christian Meyer, ed. (Baden-Baden & Bouxwiller, Valentin Koerner, 1991; Spring, Matthew. The Lute in Britain: A History of the Instrument and Its Music (Oxfored: Oxford University Press, 2001). Gary R. Boye. Music Librarian. Appalachian State University. NC USA. URL consultato il 6.12.2014 52 1600 • • Cavalieri, Emilio de'. 'Rappresentatione di anima, et di corpo. Roma. sn Rossi, Salamone. Il primo libro de madrigali a cinque voci . . . con alcuni di detti madrigali per cantar nel chittarrone, con la sua intavolatura, posta nel soprano. Venezia. Amadino 1601 • Peri, Jacopo. Marescotti133 • • 1602 Le musiche . . . sopra l'Euridice del Sig. Ottavio Rinuccini. Firenze. Caccini, Giulio. Le nuove musiche. Firenze. Marescotti [1601-1632] A-KR Ms. L 64. Roma (per liuto a 7 cori con alcuni brani vocali con accompagnamento di chitarrone in intavolatura italiana) • Melli [Megli], Domenico Maria. Musiche . . . composte sopra alcuni madrigali di diversi, • Melli [Megli], Domenico Maria. Le seconde musiche . . . nelle quali si contengono per cantare nel chittarone, clavicembalo, & altri instromenti. Venezia. Vincenti. madrigali, canzonette, arie, & dialoghi, a una & due voci, per cantare nel chittarone, clavicembalo, & altri instromenti, si in soprano, come in tenore, & transportate, comode 1603 • per qual parte più piace. Venezia. Vincenti. Melli [Megli], Domenico Maria. Le prime musiche . . . nelle quali si contengono madrigali, et arie a una & due voci, per cantare nel chittarone, clavicembalo, & altri instromenti, novamente ristampate & corette. Venezia. Vincenti. • Rossi, Salamone. Il primo libro de madrigali a cinque voci . . . con alcuni di detti madrigali per cantar nel chittarrone, con la sua intavolatura, posta nel soprano . . . novamente corretto e ristampato. Venezia. Amadino. Si è preferito inserire il lavoro di Peri secondo lo stile moderno nell'anno 1601 in quanto il luogo di edizione utilizzava il calendario 'ab conceptione' 133 53 1605 • Franzoni, Amante. I nuovi fioretti a tre voci . . . co'l suo basso generale per il clavicimbalo, • Monteverdi, Claudio. Il quinto libro de madrigali a cinque voci . . . con basso continuo per il chitarrone, et altri simili stromenti. Venezia. Amadino. clavicembalo, chittarone od altro simile istromento, fatto particolarmente per li sei ultimi, et per li altri a beneplacito. Venezia. Amadino. • 1606 • Radesca (di Foggia), Enrico Antonio. Canzonette, madrigali et arie alla romana a due voci, per cantare, et sonare con il chitarone, o spinetta . . . libro primo. Milano. Tini & Lomazzo. Barbarino, Bartolomeo. Madrigali di diversi autori . . . per cantare sopra il chitarrone, clavicembalo, o altri stromenti da una voce sola, con un'aria da cantarsi da due tenori, novamente ristampati. Venezia. Amadino. • Brunetti, Domenico. L'Euterpe . . . opera musicale di madrigali, canzonette, arie, stanze, e scherzi diversi, in dialoghi, e echo, a una, due, tre, et quattro voci, da cantarsi in theorba, arpicordo, & altri stromenti. Venezia. Amadino. • Monteverdi, Claudio. Il quinto libro de madrigali a cinque voci . . . con basso continuo per il clavicembalo, chittarone od altro simile istromento, fatto particolarmente per li sei ultimi, et per li altri a beneplacito . . . di nuovo ricorretto et ristampato. Venezia. Amadino. • 1607 • Radesca (di Foggia), Enrico Antonio. Il secondo libro delle canzonette, madrigali, & arie alla romana a due voci, per cantare, & suonare con il chitarone, o spinetta . . . con due corrente nel fine per ballate. Milano. Tini & Lomazzo. Barbarino, Bartolomeo. Il secondo libro de madrigali de diversi auttori . . . per cantare sopra il chitarrone ò tiorba, clavicembalo, ò altri stromenti da una voce sola, con un dialogo di Anima e Caronte. Venezia. Amadino. • Bellanda, Lodovico. Musiche . . . per cantare sopra il chitarrone, et clavicimbalo. Venezia. • Bonini, Severo. Madrigali, e canzonette spirituali . . . per cantare a una voce sola, sopra il • Caccini, Giulio. Le nuove musiche. Venezia. Raverii. • Vincenti. chitarrone, o spinetta, o altri stromenti. Firenze. Marescotti. Franzoni, Amante. I nuovi fioretti a tre voci . . . co'l suo basso generale per il clavicimbalo, chitarrone, et altri simili stromenti. Venezia. Amadino. 54 • Franzoni, Amante. Il secondo libro delli fioretti musicali a tre voci . . . co'l suo basso • Negri, Giulio Santo Pietro de. Gl'amorosi pensieri. Canzonette, villanelle et arie napolitane generale per il clavicimbalo, chitarrone, et altri simili stromenti. Venezia. Amadino. a tre voci, da sonare, & cantare su'l chitarone, clavecimbalo, & altri stormenti . . . libro secondo, raccolte da Marcellino Sanarega. Venezia. Gardano. • Negri, Giulio Santo Pietro deâ ™. Il terzo libro dell'amorose canzonette, villanelle, & arie napolitane a tre voci, da sonare, & cantare su'l chitarrone, clavecimbalo & altri stromenti . . . [op. 4] Venezia. Raverii. • Rossi, Salamone. Il primo libro de madrigali a cinque voci . . . con alcuni di detti madrigali per cantar nel chittarrone, con la sua intavolatura, posta nel soprano . . . novamente corretto e ristampato. Venezia. Amadino. • Rossi, Salamone. Il primo libro delle sinfonie et gagliarde a tre, quatro, & a cinque voci . . . per sonar due viole, overo doi cornetti, & un chittarrone o altro istromento da corpo. Venezia. Amadino. • 1608 Scaletta, Orazio. Partitura della Cetra temporale, madrigali a due voci et canzonette a tre per cantare nel chiterone [sic], leuto et clavicembalo. Milano. Tini & Lomazzo. • Bonini, Severo. Madrigali, e canzonette spirituali . . . per cantare a una voce sola, sopra il • Cagnazzi, Maffeo. Passatempi a due voci . . . per cantare, et sonare con il chitarrone, o altri • Monteverdi, Claudio. Il quinto libro de madrigali a cinque voci . . . con basso continuo per il chitarrone, o spinetta, o altri stromenti. Firenze. Raverii. instromenti. Firenze. Raverii. clavicembalo, chittarone od altro simile istromento, fatto particolarmente per li sei ultimi, et per li altri a beneplacito . . . di novo ristampato. Venezia. Amadino. • • Peri, Jacopo. Le musiche . . . sopra l'Euridice del Sig. Ottavio Rinuccini. Venezia. Raverii. Radesca (di Foggia), Enrico Antonio. Il terzo libro delle canzonette, madrigali, et arie alla romana, a due voci per cantare, et sonare con la spinetta, chitarrone, et altri simili strumenti. Venezia. Vincenti. Perduto • Rossi, Salamone. Il secondo libro delle sinfonie et gagliarde a tre voci, per sonar due viole, at un chittarrone, con alcune delle dette a quattro, & a cinque, & alcune canzoni per sonar a quattro nel fine. Venezia. Amadino. 55 1609 • Barbarino, Bartolomeo. Madrigali di diversi autori . . . per cantare sopra il chitarrone, clavicembalo, o altri stromenti da una voce sola, con un'aria da cantarsi da due tenori, novamente ristampati. Venezia. Amadino. • Bonini, Severo. Il secondo libro de madrigali, e mottetti a una voce sola per cantare sopra • D'India, Sigismondo. Le musiche . . . da cantar solo nel clavicordo, chitarone, arpa doppia • Ghizzolo, Giovanni. Madrigali et arie per sonare et cantare nel chitarone, liuto, o gravicembalo, chitarroni, et organi, con passaggi, e senza. Firenze. Marescotti. et altri istromenti simili. Milano. Tini & Lomazzo. clavicembalo, a una, et due voci . . . col gioco della cieca, et una mascherata de pescatori, libro primo. Venezia. Raverii. • Melli [Megli], Domenico Maria. Le prime musiche . . . nelle quali si contengono madrigali, et arie a una & due voci, per cantare nel chittarone, clavicembalo, & altri instromenti, novamente ristampate & corette. Venezia. Vincenti. • Melli [Megli], Domenico Maria. Le seconde musiche . . . nelle quali si contengono madrigali, canzonette, arie, & dialoghi, a una & due voci, per cantare nel chittarone, clavicembalo, & altri instromenti, si in soprano, come in tenore, & transportate, comode per qual parte più piace . . . nuovamente ristampate et corrette. Venezia. Vincenti. • Melli [Megli], Domenico Maria. Le terze musiche . . . nelle quali si contengono madrigali, arie, scherzi, sonetti, dialoghi, & altre, per cantare nel chittarone, clavicembalo, & altri instromento per una, & due voci. Venezia. Vincenti. • Nantermi, Michelangelo. Il primo libro de madrigali a cinque voci . . . co'l basso continuo per il clavicembalo, chittarone od altro simile istromento. Venezia. Amadino. • Peri, Jacopo. Le varie musiche . . . a una, due e tre voci con alcune spirituali in ultimo per cantare nel clavicembalo, il chitarrone, et ancora la maggior parte di 1610 • esse per sonare semplicemente nel organo. Firenze. Marescotti. Barbarino, Bartolomeo. Il terzo libro de madrigali de diversi autori . . . per cantare sopra il chitarrone ò tiorba, clavicimbalo, ò altri stromenti da una voce sola, con alcune canzonette nel fine. Venezia. Amadino. • Bellanda, Lodovico. Le musiche . . . per cantarsi sopra theorba, arpicordo, & altri stromenti, à una, & doi voci. Venezia. Vincenti. 56 • Ghizzolo, Giovanni. Il secondo libro de madrigali et arie a una et due voci, per sonare & cantare nel chitarone, liuto, o clavicembalo . . . con duoi dialoghi, & un canto di Sirene con la risposta di Nettuno, [op. 6]. Milano. Tini & Lomazzo. • Grandi, Alessandro. Il primo libro de motetti a due, tre, quatro, cinque, & otto voci, con una messa a quatro accommodati per cantarsi nell'organo, clavecimbalo, chitarone, o altro simile stromento con il basso per sonare (Venice, [Italy]: Giacomo Vincenti) • Kapsperger [Kapsberger], Giovanni Girolamo. Libro primo di villanelle a I. 2 et 3 voci accomodate per qualsivoglia strumento con l'intavolatura del chitarone et alfabeto per la chitarra spagnola . . . raccolta dal Sigr. Cavalier Flamminio Flaminij. Roma. s.n. • Milanuzzi, Carlo. Aurea corona di scherzi poetici scelti da la Ghirlanda dell'Aurora novamente posti in musica . . . a due, tre, & quattro voci, con il suo basso continuo per concertagli nel clavicembalo, chitarrone, o altro simile stromento, aggiuntovi nel fine del basso tutte le parole distese di ciascheduno madrigali . . . libro primo, [op. 3]. Venezia. Vincenti. • Monteverdi, Claudio. Il quinto libro de madrigali a cinque voci . . . con basso continuo per il clavicembalo, chittarone od altro simile istromento, fatto particolarmente per li sei ultimi, et per li altri a beneplacito . . . di novo ristampato. Venezia. Amadino. • Radesca (di Foggia), Enrico Antonio. Il quarto libro delle canzonette, madrigali, et arie alla romana a due voci, con alcune a tre, et un dialogo a quattro nel fine, per cantare, et sonare con la spinetta, chitarone, et altri simili strumenti. Venezia. Vincenti. • Rontani, Raffaello. Gl'Affettuosi. Il primo libro de madrigali a tre voci . . . per concertare nel chitarrone, o semplicemente cantati. Firenze. Marescotti. • Rubini, Nicolò. Madrigali e pazzarelle a 2 v . . . per cantare nel arpicordo overo tiorba, libro I. Venezia. Amadino. La 'Rappresentatione di anima, et di corpo' di Emilio de Cavalieri, datato 3 settembre 1600, è il primo dramma interamente musicato che ci sia pervenuto. Nonostante lo stile della musica fosse vicino a quello delle canzonette strofiche e da ballo 'molto differenti delle odierne che si fanno in istile comunemente detto recitativo' come scriverà Giovan Battista Doni nel 1635, Cavalieri rivendicò la paternità del nuovo genere, e fu forse il 57 primo a dimostrare che la musica del suo tempo poteva essere impiegata a fini drammatici ben oltre gli Intermedi, anche se il nuovo stile gli era del tutto estraneo.134 Probabilmente fu anche il primo ad inserire il Chitarrone in organico dopo la sua prima apparizione nel 1589. Nella prefazione A lettori scrive: Gli strumenti siano ben suonati... e per dar qualche lume di quelli, che in luogo simile per prova hanno servito, una Lira doppia, un Clavicembalo, un Chitarone, ò Tiorba che si dica, insieme fanno un buonissimo effetto: come ancora un Organo suave con un Chitarone...135 Il Chitarrone viene incluso come strumento d'accompagnamento al canto anche sulla scena. Negli 'Avvertimenti per la presente Rappresentatione, à chi volesse farla recitar cantando' raccomanda: Il Piacere con li due compagni, farà bene, che habbiano stromenti in mano suonando mentre loro cantano, e si suonino i loro Ritornelli. Uno potrà avere un Chitarone, l'altro una Chitarina alla spagnola... 136 L'Euridice di Peri riveste un ruolo importante nella storia della musica in quanto prima opera esistente e tra i primi esempi del nuovo stile recitativo. Pubblicato dopo la prima esecuzione del 6 ottobre 1600, la dedica alla regina Maria De Medici porta la data del 6 febbraio 1600 (1601 stile moderno) quindi sia la pubblicazione che l'esecuzione risultano successivi ai madrigali di Salamon Rossi. Nella prefazione Peri nomina i 'Signori per nobiltà di sangue, e per eccellenza di musica illustri' 137 che suonavano dentro la scena un gravicembalo, un lirone, un liuto grosso, un chitarrone, il che non esclude la presenza di altri strumentisti fuori la scena. Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi. fonte online <http://www.operamanager.it/cgibin/process.cgi?azione=ricerca&tipo=OP&id=827> Url consultato il 9.12.2014 134 Emilio de' Cavalieri. Rappresentatione di anima, et di corpo. Muij. Roma. 1600. risorsa online <http://imslp.org/wiki/Rappresentatione_di_Anima_e_di_Corpo_%28Cavalieri,_Emilio_de%27%29> Url consultato il 9.12.2014 135 136 ibid. 58 Nelle 'Nuove Musiche' di Caccini vi sono chiari riferimenti al metodo di accompagnamento dell'Euridice: lo strumento preferito per la realizzazione del basso figurato era il Chitarrone. Nella prefazione Ai lettori Caccini indica 'il Basso per lo Chitarrone' e fa riferimento a 'chi fa professione di cantar solo sopra l'armonia di Chitarrone ò di altro strumento di corde', e nella conclusione della sua prefazione definisce il Chitarrone 'strumento più atto ad accompagnare la voce, e particolarmente quella del Tenore, che qualunque altro'.138 Nelle fonti successive il Chitarrone verrà richiesto in vari modi dagli autori come strumento di accompagnamento. Monteverdi (coevo di Salamone Rossi, e in servizio presso la Corte di Mantova negli stessi anni) introdusse nelle sue opere il Chitarrone a partire dal 1605, data di pubblicazione del 'Quinto libro di madrigali a cinque voci' dove include il Chitarrone tra gli strumenti del 'basso generale'. Monteverdi acquisirà una tale dimestichezza con la tiorba da farne il suo strumento prediletto, e 'tenuta sempre al petto' come testimonierà l'amico Bellerofonte Castaldi.139 Nel 1607 viene rappresentata a Mantova l'opera 'Orfeo' di Claudio Monteverdi, pubblicata nel 1609 a Venezia da Amadino. Nell'elenco degli strumenti si trova l'indicazione 'duoi chitarroni' 140 (che all'interno dell'opera diventeranno spesso tre); il fatto che vi siano 'tre bassi da gamba' sembra implicare tre gruppi separati di continuo, ognuno di essi con un Chitarrone.141 Jacopo Peri. Euridice. Marescotti. Firenze. 1600. risorsa online < http://imslp.org/wiki/Euridice_%28Peri,_Jacopo%29> Url consultato il 9.12.2014 137 Giulio Caccini. Le nuove musiche. Marescotti. Firenze. 1601. risorsa online <http://conquest.imslp.info/files/imglnks/usimg/b/bb/IMSLP286641-PMLP116645lenvovemvsichedi00cacc.pdf> Url consultato il 9.12.2014 138 139 Paolo Fabbri. Inediti monteverdiani. in Rivista italiana di musicologia.Vol. XV. 1980, p. 81 Claudio Monteverdi. Orfeo. Venezia. Amadino. 1606. risorsa online. Url consultato il 10.12.2014 <http://conquest.imslp.info/files/imglnks/usimg/d/de/IMSLP293798-PMLP21363-monteverdi_orfeo.pdf> 140 141 John Whenham. Claudio Monteverdi: Orfeo. Cambridge University Press. 1986. p. 140 59 L'opera apre con una 'Toccata' che prevede la partecipazione di tutti gli strumenti, il chitarrone è espressamente specificato nella strumentazione richiesta in vari momenti dell'opera: Atto primo: nel coro 'Lasciate i monti' Monteverdi appunta 'questo balletto fu cantato al suono di cinque viole da braccio, tre chitarroni, duoi clavicembali, un'arpa doppia, un contrabasso, un flautino';142 Atto secondo: dopo l'entrata di Orfeo troviamo l'indicazione 'Questo Ritornello fu suonato di dentro da un Clavicembalo, duoi chitarroni e duoi violini ';143 nei successivi ritornelli con strumentazione sempre diversa sono richiesti due chitarroni , 144 per il duetto dei pastori 'In questo prato adorno' Monteverdi specifica l'accompagnamento di un clavicembalo e un chitarrone, e tre chitarroni per il gaio ritornello di Orfeo 'Vi ricorda o boschi ombrosi',145 mentre nell'aria della messaggera 'Ahi caso acerbo' e nell'aria di Orfeo 'Tu se' morta' prevede un organo di legno e un chitarrone, come nel coro dopo la sinfonia 'duoi pastori cantano al suono del Organo di legno e un chitarrone' 146 Atto terzo: nell'aria di Orfeo 'Possente spirito', in cui Orfeo introduce se stesso e le ragioni del suo viaggio nei morti, 'Orfeo al suono del Organo di legno e un chitarrone',147 su un basso lento con ricca fioritura degli archi. Atto quarto: in un breve intervento troviamo annotato 'segue Orfeo cantando nel clavicembalo, viola da braccio e chitarrone', chitarroni.148 anche il ritornello finale prevede i Atto quinto: l'aria iniziale 'Questi i campi' richiede un coro spezzato: 'duoi organi di legno, duoi chitarroni concertorno questo canto suonando l'uno nel angolo sinistro de la Sena, l'altro nel destro'.149 142 Claudio Monteverdi. cit., p. 10 143 ivi p. 27 144 ivi pp. 28 e 30 145 ivi pp. 29 - 32 - 36 146 ivi pp. 39 e 42 147 ivi p. 52 148 ivi pp. 80 e 88 60 Monteverdi non introduce semplicemente il chitarrone tra i bassi di continuo, ma ne sfrutta le caratteristiche a fini drammaturgici e simbolici, con una sapiente orchestrazione che ne esalta e contrappone le qualità timbriche. L'accompagnamento a 'Lasciate i monti', con cinque viole da braccio e tre chitarroni, potrebbe essere interpretato come il suono delle Muse che suonano sulle loro lire; l'intera atmosfera della festa di nozze dell'inizio del secondo atto, con i suoi gioiosi cori, duetti e arie, in termini musicali è interamente costruita sul suono di strumenti a pizzico con clavicembali e chitarroni; la devastante entrata della Messaggera con l'interruzione del festoso Do maggiore che trasfigura in un doloroso La minore si appoggia unicamente su un organo di legno e un chitarrone, un colore funebre che Monteverdi utilizza anche nelle arie di Orfeo 'Tu se' morta' e 'Possente spirito' e nel lamento dei due pastori, e il chitarrone potrebbe essere stato usato anche come allegoria della lira. 150 Grazie al suo registro tenore e alla piena sonorità, alla sua capacità di supportare in modo eccellente la voce nel repertorio monodico e non solo, il chitarrone raggiunge la sua completa diffusione; Haendel la utilizzerà in molte sue opere anche come parte obbligata per effetti drammatici e coloristici. Nel 1708 l'orchestra di S. Marco include 3 tiorbisti. 151 La tiorba era coltivata ampiamente alla Pietà, nell'aria di Vivaldi 'O servi volate' della Juditha triumphans del 1716 si trova un gruppo di 4 tiorbe in due parti obbligate.152 In molta musica strumentale Vivaldi prevede 'arpegio con Tiorba', ed ancora la inserirà nel 1740 nell'organico dei 'Concerti con molti Istromenti': il 'Concerto con Due Flauti, Due Tiorbi, Due mandolini, Due Salmò, Due Violini in Tromba marina et un Violoncello' eseguito per l'Elettore di Sassonia all'Ospedale della Pietà.153 149 C. Monteverdi. cit., p. 89 150 J. Whenham. cit., pp. 144-191 151 Walter Kolneder. Antonio Vivaldi: His Life and Work. University of California Press. 1970. p. 198 152 Michael Talbot. The Vivaldi compendium. Boydell Press. Woodbridge. 2011. p. 184-5 153 W. Kolneder. cit,. p. 141 61 Le parti di basso continuo realizzate in intavolatura non sono però molte: con la pubblicazione delle regole di Agazzari si aprirà ufficialmente la stagione della prassi improvvisativa su basso cifrato, che non avrebbe più richiesto alcun tipo di intavolatura. Le realizzazioni originali pervenuteci sono quelle di Salamone Rossi, Il primo Libro de madrigali (1600); Girolamo Kapsberger, Libro primo e Libro terzo di villanelle (rispettivamente 1610 e 1619) e Libro primo di arie passeggiate (1612); Flamminio Corradi, Le stravaganze d'amore (1616); e Bellerofonte Castaldi, Capricci a due stromenti (1622). Interessante notare come, oltre a Kapsberger e Castaldi che sono famosi tiorbisti e hanno lasciato un cospicuo corpus di repertorio solistico, si siano cimentati due musicisti quali Rossi e Corradi. Di quest'ultimo ci sono giunte pochissime notizie, sappiamo solo che fu assunto come cantore nella cappella di S. Marco a Venezia dal 1615 al 1620 e che in seguito ha prestato servizio per Enzo Bentivoglio come responsabile della manutenzione di presidi militari. La sua raccolta 'Le stravaganze d'amore' si distingue per essere la prima pubblicazione veneziana con l'alfabeto per chitarra spagnola e con l'inclusione di intavolatura per Chitarrone. Le canzoni sono semplici, strofiche e perlopiù diatoniche e sillabiche, con brevi passaggi imitativi delle parti vocali. Il duetto di apertura, 'Stravaganza d'amore', è una parodia della canzonetta di Luca Marenzio dell'intermedio finale del 1585 scritta per l'omonima commedia di Cristoforo Castelletti. 154 Kitsos, nel suo approfondito lavoro di confronto delle fonti intavolate, rileva che se la scrittura del Chitarrone appare semplice e particolarmente prevedibile è perchè l'accompagnamento rispecchia la semplicità dello stile delle canzoni, ed in ogni caso in molte occasioni mostra un uso sofisticato dell'accordatura rientrante anche se non sfrutta nelle successioni accordali le possibilità che lo strumento offre. 155 Questo confermerebbe l'impressione, anche per la mancanza di pubblicazioni liutistiche, che Corradi non fosse un liutista professionista, forse in quanto cantante si cimentava con la chitarra e la tiorba per accompagnarsi, come ormai era di moda. Nigel Fortune, Roark Miller. Corradi Flamminio. in The new Grove Dictionary of music and musicians, 2001 154 155 T. Kitsos. cit., pp. 92-3 62 Diverso il caso di Salamon Rossi, compositore a tutto tondo, la cui pubblicazione del 1600 rappresenta cronologicamente il primo riferimento all'uso specifico del Chitarrone come strumento di continuo ed il primo esempio assoluto di intavolatura realizzata. Nel lavoro di confronto dei testi non si può prescindere dal contesto e dallo stile dei brani, ovviamente un confronto tra le canzoni di Corradi ed uno stile in qualche modo similare come può essere quello delle villanelle per la loro stroficità non può non accusare la grande professionalità e conoscenza di tutte le possibilità tecniche di un Kapsberger. Quello che conta è la testimonianza di una prassi dell'epoca, ancor più significativa perchè a vari livelli, che mostra come poteva essere utilizzata la tiorba nei vari contesti al di fuori di un accompagnamento estemporaneo lasciato all'abilità dell'esecutore e non segnato sulla carta. In ogni caso, come afferma Kitsos, tutte le fonti con le realizzazioni intavolate dimostrano in primo luogo il ruolo di basso fondamentale della tiorba, e rivelano uno stile di accompagnamento che dipende più dalla sonorità dello strumento che dalle basi teoriche: il numero di voci nella realizzazione è variabile, la linea del basso e le posizioni degli accordi sono spesso trasposti verso il basso, e sono occasionalmente permessi anche movimenti paralleli o inversioni o incroci delle parti, tutto al fine di ottenere un risultato efficace sullo strumento.156 Tra le fonti più tarde, e che dimostrano l'uso della tiorba come strumento di continuo in Germania, vi sono due Cantate di Dieterich Buxtehude: la Cantata 'Fürchtet euch nicht, siehe ich verkündige euch große Freude' (BuxWV 30), con intavolatura realizzata per tiorba contraddistinta da un accompagnamento molto fitto con accordi ribattuti per non far decadere il suono, e la Cantata 'Herr, wenn ich nur dich habe' (BuxWV 39), in cui una parte di basso figurato è contrassegnata 'Theorba'.157 156 T. Kitsos. cit., p. ii 157 Kerala J. Snyder. Dieterich Buxtehude: Organist in Lübeck. University of Rochester Press. 2007. p. 382 63 Fig. 1.8 Dietrich Buxtehude. Facsimile: parte per tiorba158 Tiorba e arciliuto saranno usati nella musica strumentale e nell'opera fino circa il 1740 in tutta Europa, e nella musica da Chiesa ancora oltre, nonostante il clavicembalo fosse ormai diventato lo strumento privilegiato nel continuo.159 Dieterich Buxtehude. Cantata Fürchtet euch nicht. Bux WV 30. Uppsala Universitat. Manoscritto on-line. http://www2.musik.uu.se/duben/displayFacsimile.php?Select_Path=vmhs050,017_p09_01r.jpg URL consultato il 11.12.2014 158 159 N. North. cit,. pp. 21-4 64 2 SALAMON ROSSI 2.1 Cenni biografici e contesto storico Salamon Rossi (in ebraico Shelomo Min-ha-Adummim), musicista di corte del Ducato Gonzaga di Mantova, è considerato il compositore ebreo principale del tardo Rinascimento italiano, colui grazie al quale è stata raggiunta la vetta del contributo ebraico alla musica occidentale. Forse l'ultimo, ma sicuramente il più importante, di un lungo e prestigioso elenco di musicisti ebrei di corte (strumentisti, cantanti, ballerini, compositori) che sono stati attivi a Mantova per tutto il XVI secolo, tra cui Abramo dall'Arpa (arpista), e Isacchino Massarano, flautista, liutista e maestro di danza. Presso la corte mantovana Rossi ha sviluppato le sue abilità attraverso un costante confronto e scambio di tecniche compositive con musicisti ben noti della corte, che comprendevano il suo maestro Marco Antonio Ingegneri (maestro anche di Monteverdi), Giovanni Giacomo Gastoldi, Jacques de Wert e Lodovico da Viadana.160 La sua importanza come figura musicale è rivendicata dai suoi lavori per i quali, attraverso una recente riscoperta, viene assimilato alla grandezza di un Monteverdi. A causa delle notizie troppo frammentarie risulta difficile tracciare un quadro biografico, quel poco che sappiamo di Rossi è desunto dai documenti dell Archivio di stato, dell archivio Gonzaga e dell Archivio della Comunità ebraica di Mantova. I documenti forse in grado di fornirci maggiori notizie sono le dediche delle sue opere e, per la musica ebraica, le numerose prefazioni scritte tra gli altri dallo stesso compositore e da uno dei suoi più devoti estimatori: Leon Modena. Le dediche, contenute nelle 13 raccolte del compositore (più di 300 lavori tra musica vocale, strumentale e sacra), rappresentano documenti essenziali per ricostruire ciò che Rossi diceva di se stesso e le relazioni con il suo ambiente. Il nome di Rossi varia nella letteratura, venendo indicato come Salomone, Salamone, Solomone e in alcuni casi Solomon de' Rossi, ma nei documenti e come lui stesso si firma Gerson-Kiwi, Edith. Rossi, Salamone de'. in Encyclopaedia Judaica. Ed. Michael Berenbaum and Fred Skolnik. 2nd ed. Vol. 17. Detroit: Macmillan Reference USA, 2007. p. 473. Gale Virtual Reference Library. Web. 15 Dec. 2014. URL<http://go.galegroup.com/ps/i.do?id=GALE%7CCX2587517048&v=2.1&u=imcpl1111&it=r&p=GVRL&sw =w&asid=62a20720176328059a7c559879c7d601> consultato il 14.12.2014 160 65 risulta Salamon.161 Per le sue origini ebraiche venne designato l'ebreo, e lui stesso si firma con tale aggiunta nelle pubblicazioni. La qualifica di appartenenza veniva attaccata ai giudei per indicare il loro subordinato stato di minoranza. 162 L'informazione circa la paternità di Salamon ci deriva da un documento del 1621 concernente un diritto di ricavi da vendite di pegni che riporta: 'Salamoni fili Domini Bonaiuti de Rossis hebreo Mantua'. Il padre Bonaiuto de 'Rossi, Azaria in ebraico, non può essere identificato con il famoso erudito e filosofo omonimo che espresse rammarico per non aver avuto figli maschi.163 Sappiamo inoltre di un fratello, Emanuele, che grazie all'intercessione di Salamon usufruirà di alcuni privilegi, e di una sorella da tutti conosciuta come Madama Europa. 164 Europa fu una famosa cantante che figura al fianco del fratello tra gli spesati 'straordinari' della corte di Mantova in due pagamenti tra il 1587 e il 1591: nel primo compare come 'Madama Europa sua sorella', nel secondo come 'Europa di Rossi'; 165 in un documento del 1592 compare insieme a un gruppo di altri musicisti tra cui Claudio Monteverdi. La corte apprezzava e ricompensava le cantanti di talento che mostravano alti livelli di abilità; i gruppi di canto femminili erano di moda (basti pensare al Concerto delle dame di Ferrara) e nell'Italia del Rinascimento spesso le cantanti erano anche strumentiste, ed Europa può aver suonato un liuto o un chitarrone. 166 Non si sa se Europa fosse il suo vero nome o un nome d'arte, la registrazione di Madama Europa fin dal 1587 nelle spese di corte smentirebbe la leggenda che lo pseudonimo le venisse dal personaggio di Europa da lei interpretato nel 1608, quando in occasione delle celebrazioni delle nozze del principe Francesco IV Gonzaga con Margherita di Savoia venne rappresentata 'L'idropica' di Guarini, su testi di Chiabrera. Gli Intermedi vennero 161 Per tale motivo, nel corso del lavoro, si preferisce indicarlo come Salamon. 162 Don Harràn. Salamone Rossi. Oxford University Press. 1999. pp. 6-7 163 E. Gerson-Kiwih. Rossi, Madama Europa de'. cit,. 164 D. Harràn. cit,. pp- 34-6 165 Mantova, Archivio di Stato - Archivio Gonzaga. Segnatura: P-472 (b. 395, c. 159v) 166 Graziella Di Mauro. Italian Jewish Musicians in Western musical tradition. in Journal of Jewish Music and Liturgy. Vol. XII. 1989-1990 pp. 47-8 66 divisi tra i migliori compositori di corte: Salamone Rossi, Claudio Monteverdi, Gian Giacomo Gastoldi, Marco da Gagliano, Giulio Cesare Monteverdi, Paolo Virchi. Vincenzo Gonzaga amava circondarsi di virtuose, eccellenti esecutrici quali Caterina Martinelli, Adriana Basile, Claudia Cattaneo (sposa di Monteverdi), musiciste capaci di interpretare quel nuovo stile con cui ebbe inizio la storia del melodramma.167 Il successo dell'interpretazione del ruolo di Europa diede a Madama Europa una fama che travalicò le corti d'Italia. Federico Follino, organizzatore dell'evento di cui ha lasciato cronaca in un 'Compendio delle sontuose feste', riporta che Madama Europa: ... fu giunta nel mezzo del palco, per esser donna intendentissima di musica, e cantò con gran diletto, e con maggior maraviglia de gli ascoltanti, con voce molto delicata e dolce, il madrigale che segue... Cantando ella con dolcissima armonia queste lagrimose note, che destarono per la pietà le lagrime degli ascoltanti... 168 Mantova, rispetto le condizioni precarie delle comunità ebraiche in tutta Italia, rappresentò un isola di tolleranza fin dai tempi di Isabella d'Este, che aveva creato una corte illuminata tenendo a sè molti artisti, musicisti ed attori ebrei, oltre ad accogliere professionisti ebrei quali banchieri, medici, ingegneri. Per tutto il corso del XVI secolo gli ebrei continuarono a trovare in Mantova condizioni di vita migliori rispetto altre città italiane, fornendo un importante apporto professionale e contribuendo allo sviluppo economico; quando alla fine del '500 furono allontanati dal ducato di Milano molti si rifugiarono nel territorio dei Gonzaga. Guglielmo Gonzaga (1538-1587) durante l inquisizione aveva tentato di proteggere gli ebrei, tanto da indurre il Vaticano ad emettere un documento intitolato Tollerentia Università Hebrorum Mantue che dava al Duca il potere di proteggere alcuni loro diritti per poter lavorare senza interferenze. Ma il potere dei Gonzaga aveva dei limiti, e la loro 167 E. Gerson-Kiwi. cit,. 168 Federico Follino. Compendio delle Sontuose feste. Mantova. 1608 risorsa on line BSB Bayerischen Staatsbibliothek digital. p. 84. URL < http://www.mdz-nbn- resolving.de/urn/resolver.pl?urn=urn:nbn:de:bvb:12-bsb10051721-0 > consultato il 14.12.2014 67 politica aperta nei confronti degli ebrei doveva comunque mantenere un equilibrio con il potere del papato.169 Dopo anni di lassismo nel far rispettare l'obbligo di indossare il distintivo, il Duca Guglielmo lo ripristinò nel 1577. Il distintivo era vergognoso per chi lavorava a fianco dei cristiani, ma talvolta era concessa la dispensa per particolari meriti, dietro protezione di un patrono. Introdotto in Europa nel XIII secolo il distintivo segnava gli ebrei come socialmente inferiori, e rendendoli riconoscibili li esponeva ad aggressioni a causa delle accuse di tradimento mosse contro di loro da parte della Chiesa.170 La Controriforma pesò negativamente sugli ebrei di Mantova, favorendo misure restrittive ed una propaganda anti-ebraica culminata in rivolte e omicidi in seguito alla bolla 'Cum nimis absurdum' emessa da papa Paolo IV il 15 luglio 1555. La bolla imponeva ulteriori restrizioni, l'obbligo del segno di riconoscimento, il divieto di coabitare con i cristiani che porterà all'istituzione dei ghetti. Nel 1587, anno della morte di Guglielmo e dell'ascesa al potere di Vincenzo I, quasi il 20% della popolazione totale del territorio mantovano era rappresentata dalla comunità ebraica, che forniva importanti contributi sia a livello economico che professionale in molti ambiti. I Gonzaga trattavano il popolo ebreo relativamente bene, fornendo loro protezioni, ma non poteva evitare le richieste papali e nel 1612 venne creato il ghetto, espandendo una parte del centro cittadino dove già vivevano i 2/3 della popolazione ebraica.171 Le protezioni dei Gonzaga sono documentate da copie ufficiali di editti firmate dal cancelliere ducale Matthaeus Gentili. Una copia riporta un editto di Vincenzo Gonzaga, del 1594, in cui rinnova privilegi e amnistie degli ebrei di Mantova che vengono autorizzati a lavorare come banchieri, mercanti e macellai. L'editto è preceduto dalle copie di due rinnovi precedenti, la prima rilasciata da Guglielmo Gonzaga, padre di 169 170 Donald Sanders. Music at the Gonzaga Court in Mantua. Lexington Books. 2012. p.108 D. Harràn. cit,. p. 25 Paul Grendler. The University of Mantua, the Gonzaga, and the Jesuits, 1584 1630. John Hopkins University Press. 2009. Cap. I 171 68 Vincenzo e precedente duca, a Goito nel 1587, e la seconda rilasciata da Vincenzo nel 1590.172 Il peggiore disastro nella loro storia accadde nel 1630, quando furono spogliati dei loro beni durante il sacco della città da parte delle truppe imperiali e poi banditi. Gli eventi del 1630 decimarono la comunità ebraica che non recuperò più la sua antica importanza. 173 Per tutti i suoi anni di servizio Rossi fu esentato per decreto dall'obbligo di indossare il distintivo imposto agli ebrei fuori dal ghetto. In una lettera da Marmirolo del 2 agosto 1606, il Duca Vincenzo decreta: Volendo noi mostrare quanto ci sia cara la servitù che con la virtù sua di musico et del sonare ci va facendo da molti anni in qua Salamone de Rossi hebreo, concediamo a nostro beneplacito ampia et libera facoltà al medesimo Salamone di poter camminare per questa nostra città et suo dominio senza portar il solito segno ranzo intorno al capello o berretta.174 Una consimile patente fu riaffermata anche dal Duca Francesco il 27 febbraio 1612. 175 Uno degli effetti sociali del privilegio era però che creava tensioni all'interno della comunità ebraica, i cui membri risultavano divisi attraverso favoritismi. In quest'ottica le composizioni di Rossi di musica ebraica erano anche il mezzo per dimostrare che, al di là del privilegio, restava fedele alla comunità.176 D'altro canto Rossi non è mai stato completamente assimilato nella comunità cristiana. Sulle pagine del titolo delle sue pubblicazioni il suo nome appare sempre come 'Salamon Rossi Hebreo'; nonostante la sua partecipazione alla vita artistica della corte mantovana Vincenzo I Gonzaga, Duke of Mantua, 1562-1612. Manoscritto. Collezione Lawrence J. Schoenberg. risorsa online URL <http://dla.library.upenn.edu/dla/medren/pageturn.html?id=MEDREN_4967239& > 172 consultato il 15.11.2014 173 E. Gerson-Kiwi . Mantua. cit,. Eduard Birnbaum. Jüdische Musiker am Hofe von Mantua von 1542-1628. Ed. Waizner, 1893 p. 23. Riferimento presente in Bartolotti, p. 87 (R. Mandati 1605-1611, F. 62) 174 Antonio Bertolotti. Musici alla corte dei Gonzaga in Mantova dal secolo XV al XVIII: notizie e documenti raccolti negli archivi mantovani. Ricordi. Milano. 1890. p. 87 175 176 D. Harràn. cit,. p. 25-6 69 era coinvolto sia in una compagnia teatrale che in una ensemble strumentale con attori e musicisti ebrei, e riveste un ruolo molto particolare nella storia della musica liturgica ebraica per la sua singolare collezione di mottetti per la sinagoga.177 Rossi fu il primo musicista ebreo a lasciare una impronta indelebile sulla storia della musica europea. Come compositore si è trovato a servire un doppio pubblico, con proprie richieste e tradizioni, muovendosi ed affermandosi tra due mondi: quello della corte e dei salotti della nobiltà di Mantova e quello delle attività sociali e religiose della comunità ebraica. Nell'affrontare il problema dicotomizzante di essere un musicista ebraico per mecenati cristiani, la sua pur scarna biografia rivela spesso un esercizio di accomodamento tra richieste conflittuali: per i suoi mecenati deve mascherare il suo giudaismo, sperando di essere accettato per quello che fa e non per ciò che è, per i suoi correligionari deve riasserire il suo giudaismo, nel timore che le sue attività esterne indeboliscano la stima della sua comunità. Così Rossi per i suoi mecenati scrive musica vocale e strumentale: madrigali, canzonette, sinfonie, sonate, gagliarde e correnti; per i giudei, compone le 'Canzoni di Salomone' per riconfermare la sua appartenenza alle tradizioni ebraiche.178 Il compositore è riuscito in un difficile equilibrio rimanendo attivo in due mondi in conflitto, senza scendere a compromessi nei suoi obiettivi artistici o nelle sue convinzioni religiose. Delle sue scarse note biografiche non abbiamo con certezza neanche la data di nascita, si è supposto che il suo primo lavoro giovanile, le 'Canzonette' del 1589, contengano allusioni numeriche: 19 brani, una dedica con data 19 agosto, e nel sommario le lettere iniziali che includono l'acrostico 'VIVAT SR'. L'autore avrebbe in questo modo indicato la sua età al momento della stesura, 19 anni, permettendo di ipotizzare che sia nato il 19 agosto 1570, molto presumibilmente nella stessa Mantova.179 177 Joshua Jacobson. The Choral Music of Salamone Rossi. American Choral Review. V.30 N.4. 1988 pp. 1-71 178 D. Harràn. cit,. 1-3 179 Iain Fenlon. Rossi, Salamone. in The New Grove Dictionary of Music and Musicians. 2° ed. 2001 70 L'intera sua carriera si svolge a Mantova, presso la Corte dei Gonzaga. La sua prima pubblicazione di Canzonette è dedicata al Duca Vincenzo, e permette di stabilire che fosse già alle sue dipendenze: La benignità di V.A:S. & l'obligo infinito, ch'io le devo, non vogliono ch'io (dovendo dare alle stampe, queste poche mie fatiche, persuaso da altri) ad altri che all'Alt. V. io le consacri, come faccio, quali elle si sieno, supplico però V.A. quando da le reali sue occupazioni le sarà concesso di poterlo fare, degnarsi di udirle, & se non per altra sua qualità, almeno come parto di un suo divotissimo servitore. Et con ogni dovuta commissione, pregandole da Dio, ogni contento, le faccio humilissima riverenza. Di Mantova il dì 19 Agosto 1589. 180 Negli stipendi di corte si trova registrato fra i musici straordinari, come Salamon De Rossi ebreo , dal 1587 al 1622.181 Con la morte di Vincenzo nel 1612 i suoi successori, Francesco (il maggiore dei figli) e Ferdinando (il secondo) si mostrarono meno disposti del padre verso i giudei, anche a causa di un peggioramento della situazione economica del Ducato. Gli anni dopo il 1612 furono difficili per la comunità ebraica, ed è il periodo in cui Rossi si dedica maggiormente ai suoi lavori sacri. Il suo quarto libro di sinfonie del 1622 fu dedicato al Principe Vincenzo II, che nel 1626 succederà al fratello Ferdinando e sarà l'ultimo discendente della linea diretta. Probabilmente Rossi sperava di recuperare la protezione del nuovo Duca, ma con la sua precoce morte nel 1627 rimase senza gli appoggi e la benevolenza della Corte. 182 Nel periodo di Rossi la musica di Corte era al suo massimo splendore. Jacques de Wert aveva ricoperto il ruolo di maestro di Cappella dal 1565 al 1596, gli successe Benedetto Pallavicino con disappunto di Monteverdi che aveva sperato nell'assegnazione del posto, Salamone Rossi. Il Primo Libro delle Canzonette a tre voci. Amadino. Venezia. 1589. in Petrucci Music Library < http://imslp.org/wiki/Canzonette_a_tre,_Libro_1_%28Rossi,_Salamone%29> URL consultato il 15.10.2014 180 181 A. Bertolotti. cit., p. 68 182 D. Harràn. cit,. p. 11-6 71 che gli fu concesso dopo la morte di Pallavicino nel 1601 (all'età di 96 anni) ma dal quale Monteverdi fu poi licenziato bruscamente nel 1612.183 La competitività all'interno della corte per entrare nelle grazie del Duca doveva essere feroce, nella dedica de 'Il primo libro di madrigali a cinque voci' al Duca Vincenzo le amare parole di Rossi mostrano quali potevano essere le sue condizioni di lavoro e di vita a corte (per il suo valore documentario si riporta integralmente): Ha già gran tempo ch'io sono in obligo di appresentare all'A.V. le primitie delle mie fatiche, si per esser lei mio Signore naturale, al quale io son tenuto di quel molto, ò puoco ch'io so, & posso, come anco perchè sotto la felice ombra della sua servitù hò imparato il tutto, e quando pure ogni altra cosa mancasse, basti che questo non solo è mia ellezzione volontaria, ma debito contratto ch'io pago all'A.V. la quale non hà sdegnato sin qui di ascoltare, per non dir favorire, le tante mie imperfezzioni, dandomi adito di così abusare della grazia sua, che cò tanta benignità, senza punto scemarsi è solita copartire frà suoi devoti; Ed'ecco che come tale io ne la supplico, azzìo co'l suo felice nome possa sicuro dalle mani de detrattori dar spirito, e vita à questi miei Madrigali, i quali senza un tanto appoggio, overo traboccarebbono tosto nell'oblio, ò fra le mani di questi tali, come da cani arrabbiati sariano lacerati, e guasti. Con tale scorta adunque humilmente la supplico à non isdegnare, che anch'io humilissimo suo servidore possa in grazia sua, e sotto il nome di lei dar saggio al mondo dell'affetto con ch'io vivo di non mostrarmi indegno servidore di tanta Altezza, alla quale facendo riverenza humilmente le mi offero, & raccomando in grazia. Di Venezia li 16 di Settembre 1600. 184 Da questo documento si evince la protezione accordatagli dal Duca, che lo ha assistito negli studi e forse anche incoraggiato per averne riconosciuto le doti musicali. Ma tra i devoti ai quali il Duca elargisce la sua benevolenza Rossi denuncia figure di detrattori, addirittura 'cani arrabbiati' da cui deve guardarsi per evitare le subdole istanze di coloro 183 Iain Fenlon. Music and patronage in sixteenth-century Mantua. Cambridge University Press. 2008. p. xiii Salamone Rossi. Il Primo Libro de Madrigali a cinque voci. Amadino. Venezia. 1600. in Petrucci Music Library < http://imslp.org/wiki/Madrigali_a_5_voci,_Libro_1_%28Rossi,_Salamone%29> URL consultato il 15.10.2014 184 72 che, se potessero, vorrebbero veder 'lacerati, e guasti' i suoi componimenti. Rossi chiede protezione al Duca, e forse attraverso tale esplicita denuncia spera anche di limitare i danni di colleghi malevoli presso, e attraverso, il suo protettore. Le dinamiche all'interno della corte devono essere veramente difficili e fonte di ambascia per il compositore se ancora, due anni dopo, nella dedica del suo Secondo libro di Madrigali a Felicita Guerrera Gonzaga Marchesa di Palazzuolo (moglie del marchese Luigi Gonzaga, del ramo cadetto della linea di Palazzolo) dopo le formule di rito aggiunge: '... ben ch'io mi creda che niuno già mai calunniatore o detrattore, ardisca di biasmar cosa che sia da Dama di tanto valore protetta e favorita...' Rossi sembra in continua ricerca di protezione anche fuori della Corte di Mantova, amareggiato da calunnie e denigrazioni. Viene da chiedersi, senza poter dare risposta, quali altri musici in quel momento potessero così ostacolarlo, forse per invidie e rivalse determinate dalla sua posizione a corte nonostante le sue origini. La considerazione da parte del Duca, i privilegi conferiti, il lungo rapporto di dipendenza testimoniano il riconoscimento di una superiore valenza musicale nel semplice 'hebreo'. La musica, come noto, rientra tra le manifestazioni simboliche del potere e della magnificenza delle corti, che Piperno definisce come 'semiotica sonora del potere' insita nelle varie cappelle musicali, nella committenza e nelle produzioni musicali che una corte, un principe o un governo repubblicano puo` aver promosso, anche con la costante presenza di cantori e suonatori al seguito del Signore. In questa ottica il patronato musicale diventa, più che sensibilità estetica, 'affare di stato'. La legittimazione del potere, l'esplicazione della sovranità e del prestigio avvengono tramite la sinergia delle varie arti, in cui la musica si rende mezzo particolarmente idoneo.185 Per tale motivo si ritiene necessario inquadrare più da vicino la cerchia musicale della corte dei Gonzaga, anche per comprendere meglio l ambiente in cui il compositore svolge la propria opera e ricostruire gli avvenimenti che non sono ricavabili da dati biografici. 185 Franco Piperno. Suoni della sovranità. in Cappelle musicali fra corte, Stato e Chiesa nell'Italia del Rinascimento. Atti del convegno internazionale: Camaiore, 2005. L.S. Olschki, 2007. pp. 11-5 73 Dalla consultazione del testo del 1890 di Bartolotti, che in base ai documenti dell Archivio Gonzaga ha ricostruito la presenza dei musici in Mantova nel XVI e XVII secolo, si può tentare una ricostruzione dell'ambiente musicale del periodo riguardante gli anni delle prime pubblicazioni di Rossi.186 Il materiale documentario, costituito soprattutto da lettere e mandati, mostra come nel loro mecenatismo sia il Duca Guglielmo che Vincenzo curassero personalmente la scelta dei musici di corte, fino a mandare inviati a reclutare i migliori musicisti e cantanti (non sempre con successo) o curandone la formazione, in un susseguirsi di ricerche, di incarichi, di benserviti. Seguendo il ' filo cronologico dei virtuosi in relazione a Mantova' di Bartolotti si può gettare uno sguardo sull'ambiente di Rossi e sui musicisti con cui si trovava a stretto contatto. Nel 1570 l'allora Duca Guglielmo chiede informazioni su Lorenzino dal Liuto ad Annibale Capello, il quale risponde che il famoso liutista era partito con il Principe di Bisignano e non era pertanto disponibile, dolendosi di aver conosciuto tardi il desiderio del Duca per questo musico.187 ...che se prima havessi saputo questa voluntà di sua eccellenza l'haverei mandato senz'altro, che ne saria restata sodisfatissima, essendo veramente un monstro di natura in quella professione per l'età sua.188 Molto si è discusso, ed ancora si discute, sull'identità del leggendario virtuoso del liuto attivo a Roma. Lorenzino non va confuso con Lorenzino da Bologna (Lorenzo Lodi) nè con il Cavaliere del liuto (pseudonimo di Vincenzo Pinti), anch'esso romano ed al servizio del Cardinale Montalto, di cui peraltro esisteva già l'individuazione in un documento del 1614.189 186 187 188 A. Bertolotti. cit., p. 62 ivi p. 56 Collezionismo Gonzaghesco 1563-1630 - Corrispondenza Gonzaga. ASMn, AG, b. 904, f. IV, cc. 696-697 189 'Sua maestà contro l'aspettazione di ogni uno decreta l'eternità al nome di Vincenzo Pinti, nella Corte di Roma detto il Cavalier del liuto' e più oltre: 'Vincenzo Pinti, per l'eccellenza con la quale suona quell'instrumento, nella corte di Roma detto il cavalier del liuto.' in Traiano Boccalini. De' ragguagli di Parnaso. Del signor Traiano Boccalini romano. Volume 1. Heredi Guerigli Venezia 1630 p. 47-8: 74 L'identificazione in Lorenzo Tracetti, ipotizzata dallo studio di Marco Pesci (cfr. M. Pesci, 'Lorenzo Tracetti alias Lorenzino, suonatore di liuto', in Recercare , IX. 1997. pp. 233- 242), non si può definire con sicurezza in mancanza di ulteriori documenti, e tra i salariati del 1570 della Corte d'Este non compare il cognome di Lorenzino. Il Lorenzino dal liuto che nel 1570-71 era al servizio del cardinale Ippolito d'Este 190 è presumibilmente lo stesso prestigioso liutista che il Duca Guglielmo voleva chiamare alla propria corte, in quanto la riportata missiva di Annibale Capello venne inviata da Tivoli. Come osserva il noto musicologo Francesco Luisi, alla tesi di Pesci si oppone il fatto che il supposto Tracetti non si sia mai fatto chiamare 'cavaliere' e mai compaia con tale titolo negli atti notarili che lo riguardano, omissione impensabile per l epoca in quanto Lorenzino dal liuto è celebrato nella raccolta di Jean-Baptiste Besard (Thesaurus Harmonicus Divini Laurencini Romani, Colonia, 1603) come virtuoso insignito del titolo di 'Cavaliere dello Speron d Oro'. Quello indicato da Besard, cioè il 'Divinus Laurencinus Romanus', è l autentico virtuoso, e Lorenzino Tracetti è forse un altro liutista attivo a Roma .191 Nello stesso anno del 1570 il Duca Guglielmo mandò l'organista Francesco Rovigo a perfezionarsi a Venezia con Claudio Merulo, dove questi divenne valentissimo; nel 1583 il Principe Vincenzo dopo avergli concesso un soggiorno a Gratz presso l'arciduca Carlo II d'Austria gli intimò il ritorno a Mantova, dove risulta tra gli stipendiati della corte fino al 1591. Il cantore Antonio Rizzi, nel 1581, scrive al Duca: ' ...giunto ch'io fui in Roma la mattina seguente andai a trovar questi virtuosi li quali non cussì subito alla prima mi anno potuto dir di sì...'.192 Queste testimonianze illustrano la lungimiranza del Duca Guglielmo prima, e di Vincenzo poi, nel coltivare le abilità musicali dei musicisti di corte e la cura nella ricerca dei migliori musicisti. 190 Giuseppe Radiciotti. L'arte musicale in Tivoli nei secoli XVI, XVII, e XVIII. Tivoli 1907. p. 13 Francesco Luisi. La musica al tempo dei Farnese da Pier Luigi a Ranuccio I. in Storia di Parma. vol. X : musica e teatro. MUP Editore. 2013. pp. 100-1 191 192 A. Bertolotti. cit,. p. 57 75 Intorno il 1580 si trova a Mantova Marcantonio Ingegneri, che divenne maestro di contrappunto di Monteverdi e con il quale studiò anche Rossi. Nel 1582 Giovanni Giacomo Gastoldi viene nominato maestro di cappella, posto che ricoprì fino al 1592.193 Una serie di lettere in risposta alle richieste del Duca di procurare brani musicali rivela le modalità di circolazione della musica. Nel 1582 un tale Giulio Marciari, che si firma 'humilissimo servitore', scrive: 'Il conte Pietro Porto sono tre giorni m'ha mandato l'inclusa lettera con la Canzone del lusignolo del Maganza che l'altezza V. restò servita di comandarne che facessero opera d'haverla...' 194 Nel 1582 un madrigalista, Parabovi Filippo Maria già cantore del Duca Guglielmo, venne mandato a Bologna per trattare con Leonardo Maria Piccinino la venuta a corte del figlio Alessandro, eccellente suonatore del liuto tiorbato, ma il padre non potè lasciarlo partire. Piccinini quindi all'età di 18 anni era già conosciuto come eccellente suonatore di liuto; prestò servizio dal 1582 presso la corte di Ferrara, forse il padre non potè accettare l'invito dei Gonzaga per i contatti già assunti con gli Este. Piccinini rimarrà a Ferrara fino alla morte del Duca Alfonso nel 1597 per passare poi al servizio del Cardinale Pietro Aldobrandini. Il riferimento del compilatore al 'liuto torbato con giunta di molte corde'195 risulta di non facile interpretazione: sia l'arciliuto che il chitarrone vengono descritti nelle fonti solo in date successive, probabilmente si trattava di un liuto basso di cui Piccinini offre una dettagliata descrizione nella sua pubblicazione del 1626. Dal 1583 entra quindi in servizio Isacchino Massarano, ebreo, liutista, cantore e maestro di ballo, di cui si ha notizia di un pagamento nel 1599 e con cui Rossi lavorerà strettamente. Nel 1585 dopo numerose collaborazioni si stabilì definitivamente a Mantova Alessandro Striggio senior, al servizio del duca Guglielmo II (risulta tra gli spesati 'straordinari ' della corte di Mantova)196 e poi di Vincenzo, come risulta da successive note di pagamento. 193 A. Bertolotti. cit,. pp. 57-62 194 ivi p. 62 195 ibid. 196 Mantova, Archivio di Stato - Magistrato Camerale Antico. b. 395, c. 159v. Herla P-474 76 Una lettera del musicista Robiato del 1587 informa che era incaricato dal Duca di cercare 'un giovane che sapia sonare di arpa cioè da ballo et se sapesse sonare di musica tanto meglio' (conferma di come il duca si occupasse personalmente, in ogni minimo dettaglio, di ogni cosa riguardasse l'organizzazione musicale della corte). In questi anni Guglielmo Gonzaga cercherà più volte, senza esito, di far venire presso la corte anche Luca Marenzio. Nel 1586 Scipione Gonzaga tenterà a tal fine una ulteriore trattativa, che non andò in porto per la gravosa pretesa di Marenzio che chiedeva 200 ducati all'anno più le spese per sè, per il proprio servitore e per la cavalcatura, oltre un'anticipazione del viaggio.197 Nel 1587 muore Guglielmo e prende il potere Vincenzo I, che come il padre era amante e profondo conoscitore della musica nonchè compositore: il suo regno fu ancor più favorevole alla musica e Vincenzo non badava a spese (il padre era notoriamente più accorto) per avere a sè i migliori musici. Nel 1589 fu chiamato a Mantova Claudio Monteverdi, in qualità di cantore. Il Duca Vincenzo nomina nel 1594 Paolo Fioreta-Agnello 'capo et sopra ad ogni sorte di nostri instromenti da musica così da fiato come da penna',198 e Lodovico da Viadana è assunto in qualità di Maestro del coro della Cattedrale di Mantova, posto che lascerà nel 1597 per trasferirsi a Roma.199 Sempre nel 1594 risulta alla corte D. Bassano Casola al quale, in qualità di 'nostro musico, per buoni servitii' fu concesso l'offizio di pesare il pane in Mantova ; nel 1607 è qualificato cantore ducale e nel 1609 una disposizione ci informa che, su commissione ducale, il pagamento annuo di 50 scudi del Musico Bassano Casola doveva essere prelevato non più dalla cassa segreta ma da quella ordinaria dei Salariati di corte. Bassano risulta ancora in servizio nel 1620. 201 197 198 199 A. Bertolotti. op. cit,. pp. 65-7 ivi p. 71 A. Parazzi. op. cit., p. 45 Mantova, Archivio di Stato - Magistrato Camerale Antico. b. Bb. IV (1513-1697), fasc. Salariati, c. 175. Herla P-736 200 201 A. Bertolotti. cit,. pp. 63-71 77 200 L organista Virchi Paolo alla fine del ducato estense nel 1597 passa dalla corte di Ferrara a quella di Mantova, e fu autore di diversi Madrigali editi dal 1582 al 1604. Nel 1598 Lauro Domenico, autore di molte Messe e Mottetti nonchè madrigalista, assume il posto di Maestro di Cappella della Cattedrale, subentrando a Lodovico da Viadana. Sono inoltre registrati come musici in questo periodo Michele Fera musico mantovano, Ercole Favino cantore, Marono Giovanni organista, Orfino Vittorii, Girolamo Casati maestro di cappella, e Francesco Rasi, celebre cantore che si distinse nel 1600 a Firenze nel famoso primo saggio dello stile rappresentativo.202 La figura del nobile aretino Francesco Rasi (1574 - 1621), interprete famoso e ricercato anche dalle altre corti, è molto importante. Nel 1590 si esibisce a Roma, sotto il patronato del Granduca di Toscana, e diventa allievo di Caccini, attraverso il quale probabilmente entra in contatto con il nuovo stile e la nuova invenzione del Chitarrone. Nel 1593, in una lettera da Roma, Emilio de' Cavalieri ne loda il successo sia come cantante che come liutista. Nel 1598 il Rasi accetta l'invito del Duca Vincenzo trasferendosi alla corte di Mantova, dove rimarrà per venti anni fino alla morte. Nel 1600 Rasi si trova a Firenze, dove partecipa come cantante all'Euridice di Peri; e nel 1607 a Mantova eseguirà l'Orfeo di Monteverdi. 203 Una lettera testimonia la richiesta del Chitarrone come nuovo strumento per le attività di corte, e conferma la sua principale diffusione a partire dall'ambiente romano. Giovanni Maria Lugharo (segretario e musicista di Vincenzo Gonzaga) il 25 giugno 1602, da Trento, scrive al Duca: Il chitarrone ch'io promisi a V.A. l'o comisso a far fare a Roma, perchè in Venetia (oltre non esservi di fatto cosa che valesse) tan poco poteva essere ben servito com'io desidero, per ciò scrissi al mastro proprio il qualle fece il mio, facia ancor questo di V. A.'. 204 202 A. Bertolotti. cit,. 71-87 203 William V. Porter. Francesco Rasi. in The New Grove Dictionary of Music and Musicians. 2° ed. 2001 204 A. Bertolotti. cit,. p. 71-87 78 Nel 1605 vengono assunti, su commissione ducale, 'i seguenti musici di Sua Altezza per 100 scudi l'anno': Francesco Campagnolo (a partire dal 1 giugno 1604), Anselmino de' Rossi e Luca Francini (dal 1 aprile 1605);205 dove il citato Anselmo de' Rossi non va confuso con la famiglia di Salamon, risultando essere un prete cattolico. 206 Un mandato ducale del 1606 delibera che si devono ricavare, tramite dazi, il pagamento dei seguenti musicisti di Sua Altezza: Luigi Farina, Ottavio Trigoli, Giovan Battista Rubini, Fabrizio Trolandi, Francesco Barbioli, Orazio Rubini. 207 Giovan Battista ed Orazio Rubini, violinisti, collaboreranno a lungo con Rossi e risultano attivi in due gruppi, uno per le Sinfonie che impiegava i violini ed uno per le danze, forse costituito da un consort di viole.208 Francesco Gonzaga infatti in una lettera del 1609 indirizzata a Monteverdi, allora maestro di cappella, chiede al musicista di intercedere con il Duca per ottenere Orazio Rubini, impiegato come violinista nei concerti delle Sinfonie di Rossi. Si trova qui Horazio casalasco (Rubini) che serve il S.r. Duca di violino nelle sinfonie di Salomone e di viola di contralto nel concerto delle viuole da ballo. Hora perch'io havessi gran bisogno d'un basso nella muta delle mie viol, vorrei che faceste in maniera che S.A. senza suo incommodo mi concedesse il sopradetto Horatio, mettendole in considerazione che nella parte che egli fa col violino nelle sinfonie di Salomone in compagnia di suo fratello potrebbe l'A.S. esser egualmente servita da Franceschino, e per il contralto sarebbe facile cosa trovare altro soggetto. 209 I fratelli Rubini resteranno a lungo a Mantova, e li troviamo citati in un documento Mantova, Archivio di Stato - Magistrato Camerale Antico. b. Bb. IV (1513-1697), fasc. Salariati, c. 105. Herla P-720 205 Thomas J. Mathiesen. Festa Musicologica: Essays in Honor of George J. Buelow. Pendragon Press Musicological Series. 1995. p. 216 206 Mantova, Archivio di Stato - Magistrato Camerale Antico. b. Bb. IV (1513-1697), fasc. Salariati, c. 137 6/11/1606 Herla P-727 207 208 D. Harràn. cit,. p. 20 209 Mantova, Archivio di Stato - Magistrato Camerale Antico. b. 2271, cc.n.n. -3325 79 del 1611: 'Si assegna, su ordine del Duca di Mantova, ai violinisti casalaschi Giovan Battista e Orazio Rubini, un aumento di compenso di trenta scudi annui'.210 Oltre a far parte del gruppo musicale di Rossi come violinisti, i Rubini suonavano anche il Chitarrone come testimonia Monteverdi in una lettera del 1611 al Cardinale Gonzaga (il Duca Ferdinando): avendo ricevuto due madrigali composti dal Cardinale, Monteverdi gli comunica 'che per queste occasioni farà suonare i chitarroni ai 'casalaschi' per le parti per due chitarroni nel madrigale 'Ah che morir mi sento'.211 Le ricerche eseguite da Don Harràn ipotizzano che i fratelli Rubini fossero di origini ebraiche, poi convertiti (alcuni mottetti da loro composti compaiono in una raccolta di brani sacri del 1618). Un altro legame d'arte particolarmente intenso è quello tra Rossi e Isacchino Massarano, compagno di Salamon in varie produzioni del teatro ebreo; è possibile che il chitarrone fosse suonato da Massarano fino al 1610 (data dopo la quale non se ne ha più notizia). 212 Rossi potrebbe aver preso particolare confidenza con il Chitarrone tramite la vicinanza con Isacchino, uniti anche dalla loro comune appartenenza alla comunità giudaica. Una serie di lettere del 1602 mostra lo stretto legame tra i due; Pietro Priuli (appartenente alla nota famiglia veneziana) scrive da Padova il 14 aprile pregando il Duca di mandargli Francesco Rasi e, se questi non potesse, gli ebrei Isaac Massarano e Salamon Rossi per alleviare la sua malattia: Io non sapevo far riverenza a V. Alt. Ser.ma se il ritrovarmi in Padova non mi porgeva occasione di supplicarla d'una gratia. Et è di favorirmi del Rasi per qualche giorno; non trovando io Antidoto più salutare per la melanconia che si patisca da medicinanti come son'io della Musica. Et s'egli per qualche sua indisposit.ne restasse impedito si degni commutarli nei due ebrei Isaac et 213 Salamon... Mantova, Archivio di Stato - Magistrato Camerale Antico. b. Bb. IV (1513-1697), fasc. Salariati, c. 185. 19/10/1611 Herla P-740 210 211 Mantova, Archivio di Stato - Magistrato Camerale Antico. b. 6, cc. 118-119. C-2671 212 D. Harràn. cit,. p. 21-2 Mantova, Archivio di Stato - Magistrato Camerale Antico. b. 1534, cc. 419-420 Padova 14/4/1602 Herla C-489 213 80 Il Duca risponde il 17 aprile: Il Rasi si ritrova in mal termine di poter venire a servir V.S. oltre che egli è anche un homore di così fatta tempra che per mio creder poca ricreatione riceverebbe forse del suo trattare. Quanto ai due hebrei volentieri li manderò... 214 In una nuova missiva del 7 maggio Priuli spiega al Duca che il ritardo del ritorno a Mantova dei due ebrei è stato causato dalla febbre di Isacco Massarano, e ringrazia del favore ricevuto con la loro 'lodevole presenza'. 215 La collaborazione musicale dei due 'ebrei' risulta evidente, presumibilmente Salamon suonava il violino e/o la viola e Isacchino, oltre a cantare, accompagnava con la Tiorba. Le loro esecuzioni dovevano essere particolarmente apprezzate, come documentano i resoconti di Gerolami Fonati, un comico al servizio della corte di Mantova al quale il Duca mostrerà la sua benevolenza aiutandolo ad uscire di prigione.216 Il 26 aprile 1602, firmandosi 'Don Geronimo Incurabile', dopo alcune notizie sulle sue sventure scrive infatti al Duca elogiando i musici ebrei che si trovano presso il signor Piero Priuli, di cui parla con ammirazione tutta Padova. Il 7 maggio dello stesso anno, firmandosi 'Don Geronimo Refrigerato' (per qualche aiuto ricevuto dal Duca) informa che i musicisti ebrei, molto lodati da tutta la città, stanno tornando a Mantova. 217 La serie di missive oltre all'alta considerazione manifestata per i due musicisti mostra il controllo esercitato dal Duca sui suoi stipendiati, tanto da esser informato da più voci circa i motivi del ritardato ritorno a Mantova (come peraltro si rileva dalla corrispondenza anche riguardo altri musicisti). Nel febbraio 1608 Carlo Rossi, procuratore del Duca che si trovava fuori Mantova, lo informa circa l'organizzazione di una serie di eventi della corte: Mantova, Archivio di Stato - Magistrato Camerale Antico. b. 2255, c. n.n. Mantova 17/4/1602 Herla C490 214 Mantova, Archivio di Stato - Magistrato Camerale Antico. b. 1534, cc. 472-473 Padova 7/5/1602 Herla C-492 215 216 Cristina Grazioli. Note per un indagine su Giovan Paolo Agucchia, il Dottore da Bologna, a partire dall Archivio Herla. in Annuario della Commedia dell Arte. Olschki. 2008. note pp. 104 e 128 217 Mantova, Archivio di Stato - Magistrato Camerale Antico. rispettivamente b. 1534, cc. 441-442. Herla C-491; b. 1534, cc. 474-475. Herla C-493 81 l'incontro tra Rinuccini e Federico Follino per la realizzazione dell'Arianna e, per quanto riguarda 'L'Idropica', la spiegazione dettagliata di come i compositori si siano divisi gli Intermedi e come siano stati scelti cantanti e strumentisti. 218 La commedia di Battista Guarini verrà messa in scena il 2 giugno 1608 con Intermedi di Claudio Monteverdi, Salamon Rossi, Gian Giacomo Gastoldi, Marco da Gagliano, Giulio Cesare Monteverdi, Paolo Virchi. Salamon Rossi risulta sempre presente a tutte le attività di corte, prendendo parte ai più importanti eventi sia come compositore (Intermedi de L'idropica) che come violinista (l'Orfeo di Monteverdi). Nel 1617 a Venezia vennero pubblicate le musiche de 'La Maddalena' di Andreini rappresentata a Mantova nel teatro di corte nel marzo 1617, unico dramma andreiniano di cui, ad oggi, siano sopravvissute le musiche alla cui stesura vennero chiamati Claudio Monteverdi, Salamon Rossi, Muzio Effrem, ed Alessandro Ghivizzani. Monteverdi musicò il prologo inviando le musiche da Venezia; invitato più volte a tornare alla corte dei Gonzaga rifiutò sempre per lo sfavorevole trattamento economico che aveva costantemente subito.219 Rossi compose la fine del dramma, il balletto 'Spazziam pront o vecchierelle', cantato e sonato con tre viole da braccio.220 Nel corso della sua lunga attività Rossi appare in quattro note di pagamenti, le prime due con la sorella Madama Europa nel 1589 e 1592, la terza nel 1615, la quarta nel 1622 dove è registrato fra i suonatori ducali di viola, con provvigione annua di L. 383. 221 Mantova, Archivio di Stato - Magistrato Camerale Antico. b. 2712, fasc. 20, doc. 3 Mantova. 27/2/1608. Herle C-454 218 219 A. Bertolotti. cit,. p. 77 220 Musiche da alcuni excellentissimi musici composte per la Maddalena, sacra rappresentazione di Gio. Battista Andreinni fiorentino, Venezia, Stampa del Gardano presso Bartolomeo Magni, 1617. Quivi a pag. 8 si legge: Di Salamon. Bossi Hebreo Mantouano Balletto, và cantato et sonato con 3 Viole da Braccio. Mantova, Archivio di Stato - Archivio Gonzaga. Rispettivamente b. 395, c. 159v, Herla P-472, con annotazione di altra mano 'tra 1587 e 1591'; b. 3146, c. 64 Herla P-490, dove il pagamento di L. 13-19 è contenuto nel fascicolo 'provvisioni che si pagano ogni mese'; b. 3144, c. 110 Herla P-454, dove Rossi risulta tra i salariati di corte per L. 41-17; b. 395, c. 67 Herla P-466, dove risulta pagato all'interno del complesso delle viole del Duca per L. 303-8. Ulteriore riferimento a quest'ultimo pagamento in Bartolotti, p. 87, dove si trova annotato ' con provvisione annua'. 221 82 Oltre gli impegni di corte Rossi ha partecipato alle varie attività musicali di residenze private, come si rileva sia dai documenti, dove dietro esplicito consenso del Duca gli veniva permesso di prestare la propria opera presso qualche corte vicina, sia dalle dediche del compositore. La musica non era solo appannaggio della corte, era eseguita anche nelle residenze private nobiliari, nel teatro pubblico gestito dalla corte, nelle accademie (dove per esempio avvenne la prima rappresentazione dell' Orfeo di Monteverdi, nella quale probabilmente Rossi condusse l'orchestra come primo violino). 222 Il 10 luglio 1607 un segretario del Duca di Mantova scriveva al Principe della Mirandola che, in occasione dell'arrivo del Duca di Modena nei suoi territori, accanto all'ebreo che suonava il liuto (sicuramente Massarano) si inviavano Salomon e alcuni dei musicisti richiesti.223 Ancora nel 1612 Alessandro Pico, Principe di Mirandola, e dedicatario del Terzo libro di madrigali a 5 voci di Rossi, richiese al Gonzaga che Salamon e il suo gruppo di musicisti fossero inviati a Mirandola ad intrattenere il Duca di Modena ed altri ospiti: 'Aspettando alla Mirandola il Duca di Modena mio suocero... desidererei poter honorarmi in questa occasione della persona di Salomone Hebreo et della sua compania o suo concerto'. 224 Il riferimento nella lettera di Pico del 1612 al 'concerto' sembra indicare che Rossi avesse un proprio gruppo di musicisti con cui suonare nelle corti (concerto era inteso anche come consort di voci o strumenti). 225 Le dediche di Rossi rivelano chiaramente i contatti con le altre corti, Ferrara in primis a causa dei legami familiari dei Gonzaga (Margherita, sorella del duca Vincenzo I, era sposa di Alfonso II d'Este): il Secondo libro di Sinfonie del 1608 lo dedica al Duca Alfonso II d'Este, ringraziandolo dei favori ricevuti, ed i Madrigali a quattro voci del 1612 ad 222 D. Harràn. cit,. p. 31-2 223 Mantova, Archivio di Stato - Magistrato Camerale Antico. b. 2268, c.n.n. Herle C-1230 Francesco Ignazio Papotti. Annali o memorie storiche della Mirandola I: dal 1500 al 1673, in Memorie storiche della città e dell' antico ducato della Mirandola. Vol. III. 1876. p. 99 224 225 D. Harràn. cit,. p. 20 83 Alfonso III d'Este principe di Modena e Reggio. Le varie testimonianze, quali lettere, resoconti e dediche, mostrano come fin dal 1602 Rossi intraprese molti viaggi in seguito alle richieste di Principi e nobili (in un documento si accenna alle sue Sinfonie), e indicano la considerevole stima che il compositore si era guadagnato anche al di fuori di Mantova. Rossi si è recato a Venezia in almeno tre occasioni, come risulta dalle firme alle dediche di tre pubblicazioni: nel 1600, nel 1622 e per la sua ultima opera, la raccolta di Madrigaletti, nel 1628. Il soggiorno del 1622 non riguardò solo la stampa delle opere strumentali ma probabilmente anche l'impostazione per il suo lavoro più ambizioso e tipograficamente più complicato: la pubblicazione, circa otto mesi più tardi, delle 'Canzoni di Salomone'. Tale pubblicazione è stata realizzata dopo molti tentennamenti grazie all'appoggio ed alle insistenze dei suoi amici ed agli incontri con i due maggiori rappresentanti della cultura ebraica, il rabbino Leon Modena e la poetessa Sara Copia Sulam 226 che ebbero una profonda influenza sulla singolare collezione di opere in ebraico pubblicata nel 1623. A Venezia Rossi era probabilmente ospite di Sara Copia, dal momento che il marito era il fratello del patrono mantovano del compositore, Mosè Sulam. Rossi, che era molto ammirato da Sulam, si sentiva così in debito con lui da dedicargli la sua collezione di Canzoni.227 Nel 1627, con la morte senza eredi dell'ultimo Duca di Mantova, si scatenarono le questioni ereditarie: alla pretesa di Carlo Gonzaga del ramo francese dei Nevers (occasione per Richelieu di introdursi nell'Italia settentrionale) si opposero la Spagna, che vedeva in pericolo il proprio dominio sul ducato di Milano, ed i Savoia che ambivano da sempre al Monferrato. L'imperatore Ferdinando II, con il pretesto che Carlo non aveva richiesto l'autorizzazione, mise sotto tutela il ducato. Per motivi territoriali e politici iniziò quindi la guerra e l'esercito di Carlo Gonzaga (il quale era appoggiato dalla Francia, dal Poetessa italiana, Venezia 1592- 1641, fu una delle donne più erudite dell'epoca. Figlia di un uomo di cultura, a soli quindici anni di età conosceva il latino e i classici greci, le Sacre Scritture, la letteratura spagnola, ognuno nella sua lingua originale, ed era già conosciuta per le sue poesie in italiano. Di profonda cultura in ogni campo, possedeva abilità musicali e il dono dell'improvvisazione. Leone Modena le dedicò la sua traduzione di Salomone Usque del dramma spagnolo Esther. In JewishEncyclopedia, voce: Sullam, Sara Copia (Coppio) <http://www.jewishencyclopedia.com/articles/14105-sullam-sara-copia-coppio> URL consultato il 31.12.14 226 D. Harran. A Tale as Yet Untold: Salamone Rossi in Venice, 1622. Sixteenth Century Journa. XL/4. 2009. pp 1091-3 227 84 Papa e da Venezia) giunse a Mantova il 17 febbraio 1628. Le reazioni non si fecero attendere, con la discesa dei Savoia nel Monferrato e la successiva risposta dell'imperatore Ferdinando II che, nel 1629, inviò in territorio mantovano il corpo mercenario dei lanzichenecchi. Famosi per la barbarie e i saccheggi, questi portarono con sè la peste di manzoniana memoria, che insieme alla carestia decimò la popolazione. Dal 1628 non si saprà più nulla di Salamon Rossi, probabilmente morto intorno il 1630 per le funeste conseguenze del sacco di Mantova.228 228 Don Harran. Salamone Rossi. cit,. p. 12 85 2.2 Le opere L'importanza di Salamon Rossi è stata riscoperta solo da pochi decenni, grazie ai più recenti studi musicologici che spesso lo pongono al livello del grande e più noto Monteverdi. Rossi può essere considerato sotto molti aspetti un musicista d'avanguardia: fu il primo compositore di madrigali a favorire i cosiddetti poeti manieristi; il suo primo libro di madrigali (1600) è stato pubblicato con l'opzione di una inedita intavolatura per Chitarrone ed il secondo (1602) è caratterizzato da una parte di basso continuo: si pone così tra i primi sperimentatori della monodia accompagnata precedendo di tre anni il primo esperimento di Monteverdi nei madrigali concertati. Anche nel campo della musica strumentale Rossi occupa una posizione pionieristica: il suo libro di Sinfonie e Gagliarde, pubblicato nel 1607, contiene le prime Trio-sonate della letteratura musicale. E' anche il compositore dell'unica collezione esistente di musica polifonica per la sinagoga (Hashirim Asher Lish'lomo, 1622 / 23) che appare in stampa prima del XIX secolo.229 Si riportano di seguito le opere vocali e strumentali in ordine cronologico secondo data di pubblicazione; il luogo di pubblicazione è, per tutte le opere, Venezia: Tab. 2.1 Ordine cronologico delle opere di Salamon Rossi Canzonette a 3 1589 Madrigali a 5, Libro secondo 1602 Madrigali a 5, Libro primo 1600 Madrigali a 5, Libro terzo 1603 Il Primo libro delle sinfonie e gagliarde 1607 Il Secondo libro delle sinfonie e gagliarde 1608 Madrigali a 5, Libro quattro 1610 Madrigali a 4, Libro primo Musiche de alcuni eccellentissimi musici composte per La Maddalena Madrigali a 5, Libro quinto Il terzo libro de varie sonate, sinfonie, gagliarde, brandi e corrente Il quarto libro de varie sonate, sinfonie, gagliarde, brandi e corrente Madrigaletti a 2 229 230 1614 1617 1622 1623 230 1622 1628 Joshua Jacobson. The Choral Music of Salamone Rossi. in American Choral Review XXX 1988. L'edizione del 1623 è una ristampa, probabilmente fu edito nel 1613. 86 2.2.1 Musica vocale Oltre Il Primo Libro delle Canzonette a tre voci composto nel 1598, dal 1600 fino alla fine della sua vita Rossi compose sette raccolte di Madrigali di cui 5 a cinque voci, 1 a quattro voci, e l ultima di Madrigaletti a due voci Si riporta per esteso il titolo di ciascuna di queste opere vocali per la loro preziosa descrizione riassuntiva: • • Il Primo Libro delle Canzonette a tre voci di Salamone Rossi H. nouamente posti in luce. Il Primo libro de madrigali a cinque voci di Salamon Rossi Hebreo con alcuni di detti madrigali per cantar nel chitarrone, con la sua intavolatura, posta nel soprano. Nouamente composti, et dati in luce. • Il Secondo libro de madrigali a cinque voci, di Salamon Rossi hebreo con il basso continuo per sonare in concerto posto nel Soprano, & vn dialogo a otto nel fine. Nouamente composti, et dati in luce. • Il Terzo Libro de Madrigali a cinque voci, con una Canzon de baci nel fine, con il suo basso continuo per sonar istromenti da corpo, di Salamon Rossi hebreo. Nouamente composti, et dati in luce. • Il Quarto Libro de Madrigali a cinque voci, con il basso continuo per stromenti da corpo • Il Quinto Libro de Madrigali a cinque voci, di Salamon Rossi hebreo. • posto nella parte del canto, di Salamon Rossi hebreo. Nouamente ristampato. Il primo libro de madrigali a quattro voci di Salamon Rossi Hebreo : con il basso continuo, e un dialogo a 8. novamente posti in luce : opera nona, in Venetia 1614 appresso Rocciardo Amadino • Madrigaletti a due voci per cantar à doi soprani, overo tenori, con il basso continuo. Molte di queste pubblicazioni furono estremamente popolari. Solo il suo primo libro di madrigali fu ristampato quattro volte, il secondo libro due volte, il terzo e quarto libro una volta (con la specifica nel titolo 'Novamente con ogni diligentia ristampato' o 'Di novo con diligentia ristampato'). Diciannove dei suoi madrigali compaiono in collezioni manoscritte del musicista dilettante inglese Francis Tregian; Thomas Weelkes (?1575-1623), considerato il più grande 87 madrigalista inglese, nel suo Primo Libro del 1597 pubblicato a Londra inserisce due composizioni mutuate, sia per il testo che per la musica, dalle Canzonette giovanili di Rossi.231 In una antologia manoscritta intitolata 'Raccolta di partiture di composizioni madrigalesche dei sec. XVI e XVII' si trovano inseriti alcuni suoi madrigali, 'Mutate le parole' dai Cantici sacri ed il Balletto per la rappresentazione de La Maddalena, dove prima dell'armatura iniziale viene riportato 'Per voci e tre viole da / braccio'. 232 Quest'ultimo rappresenta l'unico e straordinario caso che vede Rossi impegnato in una composizione religiosa di tipo 'gentile', essendo l'opera di Andreini una Sacra rappresentazione. Vi sono discrepanze tra la data di pubblicazione di alcune raccolte che sembrano in realtà, per stile e scelta poetica, appartenere ad una data anteriore di composizione. Tali dubbi nascono dal fatto che sia lo stile che la scelta poetica del Quarto Libro del 1614 risulta troppo simile a quelle del Primo libro del 1600. Il Quarto libro, infatti, contiene nove testi di G.B. Marino, autore che inizia ad essere presente nei madrigali di Rossi solo dal 1603. Newman nei suoi studi ritiene che i madrigali del Quarto libro appartengano ad uno stile precedente, assimilabile a compositori come Luca Marenzio; anche Cohen rileva che i madrigali a quattro parti devono essere stati scritti molto prima del 1614, per le analogie musicali con Marenzio e con le pubblicazioni comprese tra il 1590 ed il 1603 di Claudio Monteverdi. 233 Don Harràn oltre a rilevare le similitudini musicali e poetiche con le opere precedenti porta due ulteriori argomenti: la dedica al patrono Federico Rossi per i favori ricevuti e 'l'infinita sollecitudine' durante gli anni in cui era studente di composizione, il che significa presumibilmente intorno gli anni '80-90 (appare alquanto strano che Salamon lo ricordi in una dedica solo dopo venti anni) e l'indicazione 'nouamente posti in luce' nel Eric Lewin Altschuler, William Jansen. Thomas Weelkes and Salamone Rossi: Some Interconnections. in The Musical Times, Vol. 145. N. 1888. 2004.pp. 87-88 231 Raccolta di partiture di composizioni madrigalesche dei sec. XVI e XVII. Biblioteca nazionale Marciana. Venezia. Il volume segnalato nella maschera Collazione è in realtà un insieme di 30 fascicoli slegati 232 233 E. L. Altschuler, W. Jansen. cit., pp. 87-94 88 frontespizio, mentre nei primi tre libri e nel Quinto libro compare 'novamente composti et dati in luce'.234 Tutte queste considerazioni portano a stabilire la data di composizione del Quarto libro prima del 1603. Le scelte poetiche rivelano lo spirito moderno di Rossi in un periodo contraddistinto dalla ricerca della rottura con il passato e con il petrarchismo cinquecentesco. Nella seguente tabella vengono sintetizzati gli autori dei testi secondo le varie pubblicazioni: Tab 2.2 Autori dei testi dei Libri di madrigali, confronto numerico 1589 An. 19 1600 1602 BG 13 BG 3 An. 2 A.m. 4 An. 3 GC 5 OR 4 A.m. 4 Legenda: An Anon BG Guarini 1603 An. 2 1610 1614 1622 BG 1 BG 6 BG 1 An. 5 GC 1 OR 1 OR 2 A.m. 1 GM 10 GM 9 GC OR Chiabrera Rinuccini An. 9 A.m. 1 TT 1 GM Marino An. 3 A.m. 1 GM 14 TT Tasso 1628 An. 11 GC 1 OR 1 A.m. 1 GM 4 A.m. Autori minori La prima pubblicazione di Canzonette vede musicati solo autori anonimi. A partire dal 1600 la scelta dei lavori di Guarini, Marino, Chiabrera e Rinuccini riflette la più moderna tendenza lirica del periodo coevo. I poeti più musicati sono Guarini e Marino, tanto da poter dividere il madrigalismo di Rossi in un periodo guariniano e mariniano (considerando che la pubblicazione datata 1614 è ascrivibile al periodo precedente). Nella sua opera finale invece torna a prevalere la scelta di autori anonimi. 234 D. Harran. Salamone Rossi. cit,.pp. 67-9 89 Guarini era il poeta più apprezzato dalla corte estense dopo il Tasso, le sue liriche furono musicate dai maggiori madrigalisti dell'epoca e furono una delle fonti più utilizzate da Gesualdo da Venosa. Nonostante i testi poetici circolassero per varie vie (dirette, epistolari) colpisce il fatto che nella raccolta del 1603 su quattordici testi ben dieci siano Rime di Guarini, pubblicate solo nel 1602. Torquato Tasso, ampiamente musicato da Monteverdi fin dal 1587, compare solo una volta tra le opere più tarde di Rossi. Chiabrera e Rinuccini rappresentano autori legati al circolo di Caccini ed alle nuove tendenze monodiche. Marino, che compare nel terzo libro del 1603 dedicato ad Alessandro Pico, Principe della Mirandola, può essere considerato il poeta della vera rottura con il passato e l'innovatore del secentismo italiano (Monteverdi si avvicinerà ai versi di Marino solo dal 1614 nel Sesto libro di madrigali, e sempre con parsimonia). L'unico tributo pagato da Rossi per l'idolo letterario del XVI secolo, Petrarca, si trova nei Madrigaletti del 1628: il sonetto 'Vago augelletto'. Sono pochi i contemporanei di Rossi che si sono così decisamente rivolti ai poeti del proprio tempo. Se come compositore di madrigali Salamon Rossi è stato sempre considerato fondamentalmente un conservatore, in realtà per molti aspetti si distingue come un innovatore, tra cui la scelta della poesia contemporanea più alla moda per i tempi e l' uso dell'accompagnamento strumentale. Alfred Einstein fu il primo storico a riscoprire Salamon Rossi ed a rivalutare la sua importanza, evidenziando tra l'altro che le sei composizioni con accompagnamento del Primo libro si possono qualificare come madrigali concertati, che possono essere eseguiti in cinque parti a cappella o per solista con accompagnamento di Chitarrone, senza poter escludere anche una esecuzione a cinque parti con accompagnamento; sottolinea inoltre come questo avvenne cinque anni prima che Monteverdi pubblicasse i suoi madrigali con accompagnamento strumentale obbligato. Rossi aveva già fatto una precisa distinzione nel suo Primo libro tra madrigali a cappella e madrigali 'per cantar nel Chitarone', ed anche il Secondo libro del 1602 contiene la possibilità di una esecuzione a cappella o monodica. L'indicazione alla presenza del basso continuo sarà presente anche nelle raccolte successive. 90 Con l'affidare la parte preminente al soprano rispetto le altre voci Rossi si può considerare uno dei primi monodisti, molto più determinato e progressivo rispetto ad altri autori coevi. 235 I madrigali di Rossi fin dal Primo libro, e in modo ancor più evidente nei successivi, contengono passaggi in stile declamatorio che testimoniano la penetrazione del recitativo nella scrittura corale. Sia il recitativo corale che quello solista, come concepito da Rossi, sono esempi di quello che è stato chiamato più generalmente 'cantar recitando'.236 Tale termine compare nel frontespizio della Rappresentatione di Anima et di Corpo (1600) di Emilio de Cavalieri e pone al centro la parola e gli affetti. Pirrotta attribuì a Peri, che sperimentava un canto che evocasse il discorso parlato, il termine 'recitar cantando' ed a Caccini, impegnato a trovare l'espressione delle parole in musica, il termine 'cantar recitando'.237 Brevemente si riassumono i tratti essenziali dello stile vocale di Rossi. I madrigali sono perlopiù a cinque voci nella tradizione dei maggiori compositori dell'epoca, da Wert a Monteverdi, ma contengono anche brani ad organico più ampio come i madrigali a sei ed otto voci, in genere aggiunti alla fine delle raccolte. Dei 146 lavori vocali, la maggior parte dei testi appartiene formalmente al genere del madrigale nella sua specifica alternanza di versi settenari ed endecasillabi in metro giambico, ma Rossi introduce anche le forme delle canzonette in una o più stanze, dei sonetti (strofici o multistrofici), e della ballata. Le tre principali strutture delle sue composizione risultano quindi: le canzonette, con tre linee melodiche della stessa importanza ed imitazioni nel contesto omofonico; i madrigali a 4, 5 e più voci che variano dalla simultaneità accordale a differenti livelli di imitazione; i madrigaletti, con le due voci superiori che formano un duetto e l'accompagnamento di continuo al basso, in una forma che ricorda la trio-sonata strumentale.238 235 Alfred Einstein. Salamone Rossi as composer of madrigals. Hebrew Union College Annual, Vol. 23, No. 2. 236 D. Harran. Salamone Rossi. cit,.pp. 98-9 237 Nino Pirrotta. Early opera and aria. in New Looks at Italian Opera. ed. Austin. 1968. p. 52 238 D. Harran. Salamone Rossi. cit,.pp. 73-95 1950-1951. pp. 389-393 91 La tematica preminente dei testi è quella usuale del periodo: la sofferenza dell'amore, la separazione dolorosa della partenza spesso associata alla morte, l'invocazione d'aiuto in genere legato alle lacrime d'amore. Solo il 5% del repertorio è legato alla figura del bacio, tra cui la famosa e diffamata 'Canzon de' baci' di Marino, dalle forti locuzioni verbali non scevre di erotismo, musicata per intero in tutte le sue otto strofe. Infine, eccetto Rossi non si conosce nessun compositore che abbia messo in musica il testo di Marino del 1608 'Panegirico del Marin , al Figino'. 239 Compositore attento e rispettoso delle regole del contrappunto del XVI secolo, in Rossi compaiono pochi errori grammaticali, contandosi solo 27 parallelismi in un totale di 6.675 battute. Un certo numero di quelli che possono sembrare passaggi inusuali sono però concepiti in funzione di coloritura della parola, ed hanno quindi la loro legittimità musicale. Anche le dissonanze sono usate in funzione espressiva, con trasgressioni che non interrompono il fluire del brano. In ambito modale la scelta ricade più spesso sulle differenti inflessioni (m o M) del tono di Sol (modo dorico per 48 brani e misolidio per 39); e in generale il suo repertorio si basa su un orientamento modale che ha ormai in sè i segnali di rottura che preludono all'avvento, ancora indefinito, del sistema tonale.240 I lavori secolari del compositore devono essere quindi letti sotto una nuova prospettiva, nel senso che ciò che sembra convenzionale si presta ad una opposta interpretazione: la sollecitudine del compositore per la chiarezza del testo che coincide con le istanze dell'epoca. Nell'adesione alla parte integrante della pratica contemporanea, monodia o stile concertato, la sobrietà delle sue melodie diatoniche e del suo contrappunto, nell'astenersi dalle complicazioni, indica l'intento del compositore per una trasmissione chiara e comunicativa delle sue opere in modo da imprimere i loro contenuti poetici con più forza. 241 239 D. Harran. Salamone Rossi. cit,. p. 85 240 ivi pp. 90-1 241 ivi pp. 113-14 92 2.2.2 Musica strumentale Lo sviluppo secentesco della musica strumentale e soprattutto della Sonata raccoglie l eredità della Canzonetta a tre voci in cui il violino diventa protagonista. Si delinea un tipo di composizione definita a tre, perché permetteva di unire notevole agilità (con pochi esecutori) con il mantenimento di un impianto polifonico. Autori come Biagio Marini, Salomone Rossi, Carlo Farina, Giovanni Battista Fontana, Tarquinio Merula e molti altri sviluppano una ricca sperimentazione di tecniche esecutive e soluzioni formali attraverso le quali matura il distacco dai modi della canzona strumentale. Con l abbandono delle brevi sezioni a carattere contrastante, tipiche della canzona, e la predilezione di movimenti a più ampio respiro nei quali la strumentalità solistica può meglio espandersi, si affermano la Sonata a solo e quella a due violini, sempre con l accompagnamento del continuo. Nel suo sviluppo, nell ambito della Sonata a tre si farà poi distinzione tra Sonata da chiesa e Sonata da camera, introdotta da Merula nel 1637 con le sue 'Canzoni overo Sonate concertate per chiesa e camera' ma la cui distinzione netta appare per la prima volta nell Opera di Marini intitolata 'Diversi generi di Sonate, da Chiesa, e da Camera' del 1655 e che troverà il suo compimento nelle sonate corelliane. Il massimo sviluppo della sonata derivante dalla forma vocale della canzona la troviamo, in base al numero di pubblicazioni degli anni 1615-1630, a Venezia; ma la sonata veneziana del 1620 era ancora distinta dalla triosonata per tre aspetti: la varietà della destinazione strumentale, che prevedeva una combinazione tra strumenti ad arco e strumenti a fiato mentre il modello standard prevedeva solo archi e continuo, la prevalenza di una scrittura contrappuntistica e la mancanza di elementi quali ritmi di danza, forma binaria, basso ostinato, elementi invece prevalenti nelle precoci opere di Salamone Rossi.242 Nel periodo tra il 1600 e il 1675 le fonti italiane di duetti e trii strumentali costituiscono solo una piccola percentuale dell intero corpus a stampa ed era prodotto da un ristretto numero di compositori, in cui non sono compresi i più noti dell epoca quali Monteverdi, Alessandro Grandi, Marcantonio Cesti che hanno composto musica strumentale in un 242 Eleanor Selfridge-Field. Venetian Instrumental Music from Gabrieli to Vivaldi. Ed. Dover. 1994. p. 122 93 ambito vocale. Dal 1675 i duetti e trii strumentali ebbero una parte preminente nelle edizioni con i lavori di Bononcini, Cazzati, Legrenzi, Vitali e Stradella.243 Riemann, musicologo tedesco del XIX secolo, fu il primo a considerare Rossi il più importante rappresentante del nuovo stile in campo strumentale, sia perchè fu uno dei primi artefici della Triosonata, sia perchè la sua concezione musicale costituirà per lungo tempo un modello per la semplicità della forma. Il procedimento compositivo che Rossi attua nella Sonata è lineare, come nelle brevi Sinfonie, e per brani più lunghi introduce la forma delle variazioni con unità tematica: anche la forma variata della Sonata si pone tra i primi esempi di questo genere.244 Tra il 1607 ed il 1622 Rossi pubblicò quattro libri di musica strumentale, i primi tre scritti per viola, il quarto per violino. La prima pubblicazione del 1607 porta il titolo completo 'Il primo libro delle sinfonie et gagliarde a tre, quatro, e a cinque voci... Per sonar due Viole, overo doi Cornetti, e un Chitarrone, o altro istrumento da capo'. Contiene 27 composizioni, di cui quindici Sinfonie a tre voci; due Sinfonie, due Gagliarde, una Sonata a quattro voci; tre Sinfonie, tre Gagliarde, un Passeggio d'un balletto. La musica di Rossi è qui ancora radicata alla prima tradizione. La designazione a tre voci indica le parti reali comprendenti il basso: la pratica del XVII secolo di indicare come Triosonata tre voci melodiche a cui viene aggiunto il continuo si svilupperà solo successivamente. Le Sinfonie sono perlopiù in forma bipartita con ritornelli, la forma più comune del periodo barocco, ma troviamo anche brani a sezione unica e tripartiti, e nelle raccolte il termine Sinfonia è riferibile perlopiù alla danza stilizzata, mentre l'unica Sonata presente in questa raccolta è assimilabile alla doppia fuga. 243 Sandra Mangsen. The dissemination of the Pre-Corellian Trio Sonatas in Manuscript and Printed Sources: a Preliminary Report. in Dissemination of Music: Studies in the History of Music Publishing a cura di Hans Lenneberg Ed. Routledge. Amsterdam. 1994. Pp. 85-86 244 Abraham Zebi Idelsohn. Jewish Music: Its Historical Development. Dover Publication, 1992. p. 197 94 'Il Secondo libro delle Sinfonie e Gagliarde a Tre voci per sonar due Viole e un Chitarrone con alcune delle dette a Quattro, e a Cinque, e alcune Canzoni per sonar a Quattro nel fine', del 1608, contiene 35 brani di cui trenta Sinfonie, due Gagliarde e tre Canzoni. La maggior parte è in forma binaria, tranne cinque in unica sezione, e nella Sinfonia n.16 alcuni passaggi cromatici nell'uso di terze minori mostrano la familiarità di Rossi con la pratica del tempo. 'Il terzo libro de varie Sonate, Sinfonie, Gagliarde, Brandi, e Corrente per sonar due Viole da braccio, e un Chitarrone, o altro stromento simile' fu pubblicato probabilmente nel 1613, ma è sopravvissuta solo una copia ristampata nel 1623. L'inizio della Sonata prima, detta 'La Moderna', mostra passaggi in efficace stile moderno. Altre Sonate presentano la forma della variazione, e la N.6 'Sonata in dialogo detta la Viena' si presenta come composizione unica: un fitto dialogo tra i violini con espressivi passaggi a solo. Infine, nel 1622, pubblica per violino 'Il quarto libro di varie Sonate, Sinfonie, Gagliarde, Brandi, et corrente per sonar due Violini et un Chitarrone o altro stromento simile'. Il libro si chiude con una eccezione, la 'Sonata a quattro violini e doi Chittarroni', che costituisce uno dei primi esempi di doppia sonata a tre, vale a dire due gruppi a tre contrapposti. 245 Con questa ultima opera strumentale Rossi si pone anche tra i primi importanti anticipatori del violinismo italiano, considerato un predecessore nello sviluppo della sonata per violino che avrà culmine nelle opere di Biagio Marini. Rossi, insieme a Giovanni Paolo Cima, attua il cambiamento nella riduzione delle parti a due o tre rispetto il numero di parti (fino a ventidue) di Giovanni Gabrieli e dei suoi contemporanei legati ancora strettamente alla polifonia.246 La notorietà delle sue opere strumentali è testimoniata dalle ristampe, anche dopo la sua morte: nel 1638 (Terzo libro, con la dicitura 'terza impressione') e nel 1642 ('nuovamente ristampate'). Willi Apel. Italian Violin Music of the Seventeenth Century. Ed. Binkley. Indiana University Press. 1990. pp. 19-23 245 246 Thomas Dunn. Biagio Marini. String sonatas from opus 1 and opus 8. A-R Editions. 1981. p. vii 95 Rossi in tutto pubblica 116 lavori strumentali, di cui 103 composti per tre voci: due voci melodiche con accompagnamento di Chitarrone o altro strumento di fondamento. Pochi sono i lavori per più voci, il Libro IV ad esempio termina con una sonata a sei voci: quattro violini e due chitarroni. La forma più rappresentata in tutti i quattro Libri sono la Sinfonia e la Gagliarda. La Canzona è confinata nel secondo libro, mentre nel terzo libro si trovano anche Corrente e Brando. Rispetto le danze di modello rinascimentale, l'insieme dei lavori rientra in uno stile moderno dove spicca la ricerca di nuovi orientamenti tonali, con scale M e m che sostituiscono i modi tradizionali. La brevità delle Sinfonie è dovuta probabilmente alla loro destinazione d'uso di funzione introduttiva per una serie di eventi. La forma della maggior parte dei lavori strumentali ha uno schema AB con ripetizioni. In un caso di Sinfonia viene aggiunta una coda, in alcune sonate si può trovare una sezione A più lunga con sezione B più breve e ripetuta (ABB). Interessanti appaiono i pochi lavori tripartiti, in cui le ripetizioni riguardano A e C mentre B assume la funzione di ponte o transizione. Dal terzo libro si assiste ad un cambiamento stilistico le cui principali caratteristiche sono le variazioni nell ambito della Sonata ed un nuovo modo di differenziare la funzione del continuo nei duetti. Una maturazione stilistica rispetto i precedenti libri rivolta al nuovo stile, in una consapevolezza che porta il compositore a specificare nel titolo in stile moderno .247 Spesso non è stata riconosciuta l'influenza di Rossi nel porre le basi della Sonata a tre voci per gli equivoci generati dal problema del raddoppio del basso. Nelle descrizioni settecentesche della Triosonata, violoncello e clavicembalo normalmente suonavano la linea di basso insieme. Ma le radici della Sonata a tre si trovano nella prima metà del 1600, in collezioni come quelle di Rossi, Giovanni Battista Buonamente e Frescobaldi, dove la linea del basso non era normalmente raddoppiata. Sono pochi i riscontri nelle fonti italiane del duo e trio strumentale, da Rossi ad Arcangelo Corelli, sulla pratica del raddoppio del basso in Italia. L'incapacità di apprezzare l'implicazione secentesca del termine basso (B) e continuo (bc) ha portato a imporre 247 D. Harràn. op. cit., pp. 116-124 96 convenzioni settecentesche di raddoppio sulle prime sonate, e di confondere ciò che erano in origine strutture distinte. Per la maggior parte del secolo, il trio che richiedeva quattro parti era specificamente segnato per tre strumenti melodici con strumento di continuo (SSBbc); il duo che richiedeva tre esecutori era segnato per due strumenti melodici con continuo (SSbc o SBbc): le prime fonti italiane del XVII secolo illustrano chiaramente le tradizioni di destinazione strumentale alle quali Corelli attingerà.248 Molti brani erano destinati a tre strumenti; nelle quattro collezioni strumentali Salamon Rossi specifica due viole o violini e chitarrone, pubblicate in tre parti separate, e solo nell'ultima collezione compare Chitarrone la parte del basso figurato. era in grado di suonare sia parti accordali che Dal momento che il melodiche, il suo uso contempla entrambe le possibilità di assegnazione SSB o SSbc. Il titolo nelle prime due collezioni che specifica 'a tre' suggerisce che Rossi possa aver previsto tre strumenti melodici; negli ultimi due volumi gli strumenti di continuo sono semplicemente indicati ma in entrambi i casi sembrano destinati a tre esecutori, senza raddoppio della linea del basso.249 Le collezioni del coevo Buonamente riportano indicazioni similari, diversa solo la destinazione del basso '...per sonar con due Violini e un Basso di Viola' rispetto l'uso del Chitarrone; Mantova era la città natale del compositore, nato nel 1595: sicuramente Rossi ha fornito il modello delle Sonate. Le collezioni strumentali di Rossi e Buonamente, e quelle a tre parti delle Danze nel Primo Libro di Bononcini, presentano le stesse due opzioni delle sonate da camera di Corelli: due violini e un singolo strumento melodico o accordale per suonare il basso (SSB e SSbc), come ad esempio indicato nell' Opus 2 'Sonate da camera à trè, doi Violini e Violone ò cembalo' del 1685. Solo a metà del secolo ci sono prove occasionali di una linea del basso raddoppiata: Uccellini indica in uno dei suoi primi volumi (S1642a) che raddoppiando il continuo accordale con un violone verrebbe a migliorare l'armonia di alcune arie. Le arie in questione sono simili alle Sonate con la tecnica delle variazioni di Rossi e Buonamente, Sandra Mangsen . The Trio Sonata in Pre-Corellian Prints: when does 3=4? in Performance Practice Review. Vol. 3. N. 2. 1990 pp. 138-140 248 249 ivi p. 143 97 con parti di basso particolarmente attive, e la raccomandazione del raddoppio si applica solo a queste arie specifiche e non alle altre parti del volume. 250 La pratica settecentesca di raddoppiare la linea di basso si sviluppa quindi lentamente nel corso del XVII secolo, all'inizio uno strumento per il basso era di norma considerato sufficiente, come evidente nei primi trii stampati da Rossi a Corelli: le radici della sonata a tre si trovano nei primi esempi del genere nelle collezioni di Rossi, Buonamente e Frescobaldi. 251 Il contributo di Rossi nello sviluppo musicale del '600 risulta quindi assolutamente rilevante, e non solo come precoce esempio di Sonata come forma a più sezioni con una chiara polarità tra due voci dialoganti ed il supporto del basso continuo: la sua pubblicazione appare nelle fonti a noi giunte come prima in assoluto del genere, non vi sono altre pubblicazioni di musica strumentale anteriori al suo Libro I. La sua musica strumentale, inoltre, a dispetto della sua apparente semplicità, conserva tutta la potenza degli affetti mutuati dai madrigali. Oltre a tutte le innovazioni, interessa qui sottolineare come Rossi si ponga tra i primi utilizzatori del Chitarrone al quale affidare esplicitamente la parte del basso in tutte le raccolte strumentali. 250 ivi p. 146 251 S. Mangsen . op. cit., p. 150 98 2.2.3 Musica sacra Il talento di Salamon Rossi si esprime anche nei lavori sacri per la Sinagoga. Verso la fine del '500 le comunità del nord, influenzate dalla musica rinascimentale, cominciarono a introdurre qualche modernizzazione nei loro servizi religiosi. Protagonista di questo spirito innovatore fu una figura di dotto enciclopedico, il rabbino Leon di Modena, un personaggio straordinario della cultura ebraica (e non solo) che visse a Venezia dal 1592. Nonostante le opposizioni dell'ambiente giudaico, Rossi manifestò il suo spirito religioso nella composizione di Salmi e preghiere per la Sinagoga nell'obiettivo, come riferisce in una dedica, di 'glorificare e adornare le canzoni di Re David con la musica'. La collezione comprende 33 brani per coro e soli, da tre fino ad otto parti, formata da Salmi, Inni e preghiere per le festività. In realtà furono eseguite prima della loro pubblicazione, a cui venne persuaso dall'amico e protettore Mose Sullam ed alla quale dedicherà l'opera stampata. 252 Le opere sacre di Rossi furono composte quindi nei primi anni del 1600 e pubblicate solo nel 1622. Il titolo della collezione, 'Hashirim Asher Lish'lomo' (Le Canzoni di Solomon) rappresenta un gioco di parole riferito sia all'autorità biblica che al nome del compositore,253 ma ad uno sguardo più attento i testi condividono parte del loro vocabolario con il Cantico dei Cantici.254 L'immissione del testo nella stampa delle parti sollevò un rilevante problema poiché il testo ebraico si legge da destra a sinistra, mentre la musica procede da sinistra a destra. La soluzione, in uno dei primi tentativi di coordinare testo ebraico con la musica a stampa, fu quella di allineare la prima lettera di ogni parola con l'ultima nota a cui era legata, lasciando al cantante la facoltà di capire come note e sillabe coincidessero. 252 Abraham Zebi Idelsohn. Jewish Music: Its Historical Development. Dover Publication, 1992. p. 198 253 Il Cantico dei Cantici è attribuito a Re Salomone Don Harrán. Salamone Rossi s Songs by Solomon as a Song of Songs and Song of Ascents. in Renaissance studies in Honor of Joseph Connors. Harvard University Press. 2013. Vol. 2 p. 662 254 99 Conformemente alla prassi della stampa ebraica, ogni parte del libro si apre da destra a sinistra e la copertina è in ebraico, ad eccezione del nome dell'editore che appare in italiano. 255 Fig. 2.1 Le Canzoni di Solomon. pubbl. Venezia 1622. pag. 1 In quegli anni la monodia stava sostituendo la polifonia anche nella musica sacra. Nel 1602 il compositore mantovano Lodovico da Viadana aveva pubblicato la prima raccolta di monodia sacra, nel 1620 il compositore veneziano Alessandro Grandi, che rifletteva il nuovo gusto per la musica liturgica, pubblicò una raccolta monodica di duetti sacri, precursori della cantata barocca. La pubblicazione di Rossi costituisce una collezione esclusiva nel suo genere, destinata a rimanere unica per più di duecento anni: la sua unicità risiede nel fatto che queste opere non erano mottetti latini per la Chiesa, ma mottetti ebraici per la Sinagoga. 256 Dopo la distruzione romana del regno ebraico nel I secolo, a cui seguì la diaspora, l'uso di strumenti musicali nella sinagoga era vietata in segno di lutto per le tradizioni musicali perdute del grande tempio che sorgeva a Gerusalemme; i rabbini vigilavano con particolare zelo contro l'introduzione di elementi gentili nella loro musica sacra. Mentre nella chiesa occidentale si era sviluppata la polifonia, la musica del culto ebraico rimase sostanzialmente monofonica e modale, strettamente legata ai ritmi naturali dei testi. 255 256 J. Jacobson. op. cit., p. 49 ivi p. 47 100 In tale contesto, la raccolta di Rossi di mottetti per la Sinagoga rappresenta una rottura radicale con la tradizione. Mentre nella Chiesa la musica polifonica rappresentava l'evoluzione di più di quattro secoli, nella Sinagoga fu improvvisamente innestata la polifonia su una tradizione che aveva mantenuto la sua natura monofonica per oltre sedici secoli.257 Questo lavoro ha rappresentato una innovazione coraggiosa per la musica ebraica e non differisce molto dalle convenzioni della musica del primo barocco: Rossi si avvale sia dello stile polifonico della musica sacra e secolare che della monodia, dei cori spezzati e del cromatismo tipico della seconda pratica. Il compositore si sentiva comunque legato a certe tradizioni della Sinagoga e in ossequio al divieto rabbinico contro la musica strumentale, Rossi imposta l'intera collezione solo per coro. 258 Le composizioni non hanno il minimo suono di 'ebraicità', anche se prediligono i toni minori costruiti sulla scala dorica, caratteristica della musica giudaica rispetto la musica sacra cristiana dei contemporanei, e finiscono o all'unisono o in tono maggiore come costume dell'epoca. 259 In tutti i mottetti, la chiarezza del testo rimane di primaria importanza. A tale scopo il compositore si è avvalso di una struttura prevalentemente omoritmica, con imitazioni polifoniche utilizzate solo occasionalmente come punti di contrasto. Rossi non poteva ignorare le riforme musicali della Chiesa cattolica previste dal Concilio di Trento che influenzarono la composizione di musica sacra a Mantova come altrove. Il moderno impianto omoritmico, a quel tempo ancora raramente presente nella musica sacra, era un veicolo perfetto per trasmettere il testo alla congregazione nel modo più chiaro possibile, utilizzando modelli espressivi della musica secolare come melismi e cromatismi per sottolineare il significato delle parole. 260 257 J. Jacobson. op. cit., p. 47 258 ivi p. 48 259 A. Zebi Idelsohn. op. cit., p. 199 260 J. Jacobson. op. cit., pp. 50-1 101 L' innovazione musicale della musica per la Sinagoga suscitò una grande quantità di polemiche. Anticipando l'immenso furore scatenato dalla pubblicazione del controverso volume, il liberale rabbino Leone di Modena, amico di Rossi e musicista dilettante, scrisse una prefazione alla raccolta la cui conclusione tenta di prevenire le ostilità del mondo giudaico: Non vedo come qualcuno con un cervello nel cranio potrebbe lanciare dubbi sulla correttezza di lodare Dio nel canto nella sinagoga . . . . Nessuna persona intelligente, nessuno studioso potrebbe mai pensare di vietare l'uso della più grande bellezza possibile della voce nel lodare il Signore, benedetto Egli sia, né l'uso dell'arte musicale che risveglia l'anima per la sua gloria. 261 Per altri versi ancor più interessante, Leon di Modena conclude questa prefazione con un avviso di copyright che è il primo del suo genere nella tutela dei diritti di un compositore. Il suo avvertimento è redatto senza mezzi termini: Abbiamo accolto la richiesta ragionevole e corretta del degno e onorato Maestro Salamone Rossi di Mantova. . . che è diventato con le sue fatiche scrupolose il primo uomo a stampare musica ebraica. Egli ha dovuto affrontare un grande esborso, e non è giusto che qualcuno lo danneggi per la ristampa di copie simili o acquistandole da una fonte diversa. Quindi. . . abbiamo il decreto sottoscritto dalle autorità degli angeli e la parola dei santi, invocando la maledizione del morso del serpente, che nessun israelita, ovunque egli sia, può stampare la musica contenuta in questo lavoro in qualsiasi modo, in tutto o in parte, senza il permesso dell'autore citato. . . . che ogni israelita rimanga nella paura di essere intrappolato da questo divieto e maledizione. E in coloro che daranno ascolto dimorerà sicurezza e facilità, in benedizione al riparo dell'Onnipotente. Amen. 262 261 'Hashirim Asher Lish'lomo' . Prefazione di Leon Modena 262 J. Jacobson. op. cit., p. 52 102 Dopo la morte di Rossi, il sacco di Mantova e l'espulsione degli ebrei, la sua musica fu dimenticata, ma rimase la profonda influenza che ebbe sulle comunità ebraiche in Germania. Indirettamente gli sforzi di Rossi influenzarono le comunità dell'Europa centrale con l'introduzione dello stile italiano, dei canti corali e della musica strumentale nella Sinagoga nel XVII e XVIII secolo.263 263 A. Zebi Idelsohn. op. cit., pp. 201-3 103 3. I madrigali intavolati per Chitarrone daI Libro I 3.1 Considerazioni generali I sei madrigali accompagnati inclusi nel Primo Libro di Madrigali a cinque voci del 1600 di Salamon Rossi rappresentano una pietra miliare nella storia della musica per due ordini di motivi: l'attuazione del nuovo stile monodico e l'accompagnamento strumentale che rappresenta la prima documentazione nota di intavolatura per Chitarrone. Rossi fu il primo a dare alle stampe un libro che ufficializza la pratica esecutiva del madrigale accompagnato, una novità che crea un ponte tra il Madrigale polifonico del XVI secolo ed il nuovo stile musicale del XVII secolo e che porterà Einstein ad accreditare il compositore come 'uno dei primi e più antichi monodisti'.264 Fig. 3.1 Frontespizio del Primo libro dei madrigali 264 A. Einstein. op. cit., p. 393 104 Nella storia del Chitarrone, per quanto risulta dalle fonti a noi giunte, non compaiono altre edizioni a stampa di bassi realizzati in intavolatura per lo strumento prima del 1610 (Kapsberger, Primo libro di villanelle). I madrigali occupano quindi una posizione di rilievo nello studio della prima prassi esecutiva di accompagnamento del Chitarrone del XVII secolo; la pubblicazione di Rossi anticipa persino 'Le nuove musiche' di Caccini stampate nel 1601. I madrigali sono stati pubblicati anche per esecuzione a cappella, ma di fatto la scrittura rigorosamente polifonica, in cui tutte le voci erano sullo stesso piano di importanza, in questi brani si semplifica e si polarizza verso le voci estreme; nel momento in cui il canto assume la prevalenza sulle altre voci si afferma la monodia accompagnata e l'incontro delle parti in senso verticale determina lo sviluppo dell'armonia. La dicitura riportata nel frontespizio 'con alcuni di detti madrigali per cantar nel chittarrone, con la sua intavolatura posta nel soprano' non lascia dubbi sulla destinazione d'uso per voce sola; la stessa disposizione dell'intavolatura, stampata a sinistra della parte del canto, facilitava realizzazioni puramente monodiche consentendo agli esecutori di leggere dalla stessa pagina. Le parti hanno identico numero di pagina e l'annotazione, riportata sulla parte del Canto, 'per il chittarrone'. Fig. 3.2 Salamon Rossi Primo libro di madrigali a cinque voci. Impaginazione delle parti p. 14 105 Nella preminenza della prima voce sul ruolo supportivo delle altre parti vocali o strumentali si attua quella che Gallico e Pirrotta definiscono pseudomonodia. Negli anni che vedono la nascita del continuo la tecnica di accompagnamento non è uniforme, la prassi non è ancora consolidata e spesso è il risultato della riduzione da partiture più fitte. Nelle sue intavolature per tastiera del 1601 Luzzaschi, ad esempio, segue sempre l'armonia a quattro parti e trascrive i profili delle parti vocali raddoppiando la linea del canto. 265 Un ulteriore esempio tratto dalle prime fonti è il madrigale 'Godi, turba mortal' scritto da Emilio de' Cavalieri per l'ultimo dei sei intermezzi del 1589, composti per il matrimonio del Duca Ferdinando I di Toscana: il solista Onofrio Gualfreducci cantava accompagnandosi con il chitarrone, introducendo virtuosi melismi, suonando le quattro parti del madrigale e raddoppiando la parte superiore come Luzzaschi . 266 Es. 3.1 E. de' Cavalieri, Godi, turba mortal. Intermedio VI (1589)267 Caratteristica comune a tutti i sei madrigali di Rossi è che la parte del Canto è costantemente superiore alle altre quattro parti vocali e non manca mai dalla struttura complessiva tranne che per qualche breve riposo. La parte di Chitarrone in generale riproduce le quattro voci minori ma non in modo servile, come si discuterà più avanti e, Claudio Gallico. L. Luzzaschi, Madrigali per cantare e sonare a uno, due e tre soprani, a cura di A. Cavicchi. in Rivista italiana di musicologia. Vol. I. 1966. pp. 270-73 265 266 C. Palisca. op. cit., pp. 17-9 267 ibid. 106 aspetto molto significativo, con funzione di sostegno senza raddoppiare la parte del Canto. Le scelte poetiche del compositore rivestono una particolare importanza. Dopo l'incontrastato prestigio della poesia petrarchesca la vivacità della produzione madrigalistica del '600 richiede una gran produzione di testi, che comparvero in edizioni letterarie solo dopo la loro introduzione nelle raccolte musicali; rispetto il modello petrarchesco il madrigale si trasformò metricamente in un breve componimento di endecasillabi e settenari variamente disposti. I testi poetici circolavano in vari modi: epistolare (basti pensare ai madrigali inviati dal Tasso al Principe di Venosa), per committenza, per diffusione diretta all'interno delle corti. La scelta poetica di Rossi appare come una scelta di stile avanzata che si riallaccia ad una poesia contemporanea e non accademica, basti pensare al fatto che, seppur già circolanti prima della loro pubblicazione, la raccolta del Guarini comparve solo nel 1598. I sei madrigali accompagnati, a parte un testo anonimo, sono tratti da testi di Guarini. Tab. 3.1 Testi poetici dei madrigali per chitarrone dal Libro I Pagina Titolo Autore 14 Ohimè se tanto amate Guarini 15 Cor mio, deh non languire Guarini 16 Anima del cor mio Anonimo 17 Udite, lacrimosi spirito d'Averno Guarini 18 Tirsi mio, caro Tirsi Guarini 19 Parlo, misero, o taccio? Guarini 107 I concetti espressi dai testi dei Sei madrigali riguardano tutti la sofferenza in ambito amoroso, dall'abbandono dell'amato/a alla sua partenza. Molti musicisti coevi a Rossi hanno musicato gli stessi testi, tra questi spiccano Pallavicino e Monteverdi, che lavoravano presso la corte di Mantova nel periodo dell'attività di Rossi. La pubblicazione del 1600 di Pallavicino (maestro di cappella fino al 1601, anno della sua morte), contiene tre madrigali musicati da Rossi; se la data indicata nella dedica, 1 marzo 1600, è riferibile alla datazione more veneto, i madrigali di Rossi risulterebbero composti sette mesi dopo.268 Monteverdi invece ne musicherà due, nel 1603 e nel 1619, ma solo nel Quinto libro del 1605 comincerà ad introdurre il basso continuo distinguendolo tra brani in cui è ad libitum ed altri in cui è necessario, 'obligato'.269 Come nota Tim Carter, nell'introduzione del basso continuo negli ultimi sei madrigali del Quinto libro (e sei sono i primi di Rossi) Monteverdi venne anticipato dai madrigali accompagnati pubblicati dal suo collega Salamon, il quale gli fornì un modello.270 Le versioni monodiche di Rossi rappresentano un esempio unico, oltre che il primo dato alle stampe, e troppo spesso viene dato per scontato che la versione accompagnata sia la riduzione della versione a cinque voci mentre non è da escludere che possa essere esattamente il contrario, cioè pensati originalmente per accompagnamento e poi realizzati a cappella. Harran enuncia questa possibilità per la tendenza del canto a dominare le altre parti che, a turno, sono obbligate a supportare il canto.271 Jacobson, confrontando i madrigali accompagnati con gli altri della stessa raccolta, osserva che i madrigali non accompagnati hanno una struttura diversa, chiaramente pensati per essere eseguiti come opere polifoniche nell'uso di combinazioni contrastanti L'inizio dell'anno veneto coincideva con il 1 marzo, diversamente da quello fiorentino (25 marzo) e romano (25 dicembre). 268 269 A. Einstein. op. cit., p. 389 270 Tim Carter. Italy 1600-1640 in European Music 1520-1640 a cura di James Haar. Boydell Press. 2006. p. 271 D. Harran. Salamone Rossi. cit,. p. 98 93 108 di timbri vocali nella struttura imitativa; in essi il canto è un partner alla pari nel tessuto polifonico e non compare nulla delle caratteristiche dello stile monodico presente nei madrigali accompagnati: nel prendere ad esempio il madrigale 'Cor mio, deh non languire', identifica nella sezione centrale del madrigale (sul testo S'i ti potessi dar) la declamazione musicale libera che caratterizza la svolta del secolo della monodia.272 La valenza declamatoria descritta è rilevabile in tutti i sei madrigali esaminati, confermandone la forma monodica. Secondo Einstein i sei madrigali sono composti per una triplice possibilità di esecuzione: a cappella, a cinque voci con il Chitarrone, per soprano solo con accompagnamento strumentale. Quest'ultimo è il motivo per cui l'intavolatura per Chitarrone viene aggiunta in stampa alla parte del soprano: il cantante dovrebbe essere in grado di accompagnare se stesso. E' però significativo il fatto che Rossi non usa mai la combinazione di voci che era più alla moda già da Marenzio: due soprani rivali, contralto, tenore, e basso; preferisce raddoppiare l'alto o il tenore, il suo soprano galleggia sempre sopra le quattro parti inferiori, e si distingue per la declamazione più espressiva e le brevi fioriture. Il Chitarrone rimane sotto il soprano e non interferisce mai con la sua melodia.273 La possibilità di una esecuzione a cinque voci con Chitarrone non sembra però confermabile, come si discuterà più avanti, a causa delle discordanze che si vengono a creare tra le parti. Rossi tratta il testo in modo trasparente, evitando sia l'intricato contrappuntismo dei polifonisti rinascimentali sia la complessità melodica, ritmica e armonica del più drammatico madrigalismo dell'epoca. I suoi mezzi apparentemente senza pretese nell'uso delle scale diatoniche, di ritmi semplici, di melodie congiunte, sono un modo per piegare musica e testo ai suoi fini: intelligibilità del testo e delle sue espressioni affettive. Il nuovo 272 J. Jacobson. cit., pp. 29-32 273 A. Einstein. op. cit., pp. 393-94 109 principio della parola come padrona della musica, in accordo con la seconda pratica di Monteverdi, non era per lui una cosa nuova.274 L'ambito modale dei sei madrigali prescelti da Rossi per la realizzazione intavolata è sempre consono alle possibilità del Chitarrone. L'apparente semplicità della musica è atta a descrivere le parole in tutta la loro specificità strutturale e tematica, e la sintassi poetica è sottolineata da cesure musicali di differente livello: cadenze sospese, cadenze sul primo rivolto della triade, cadenze composte e di grado, spesso su differenti livelli modali, con la finalis riservata alla fine della sezione. Le linee sono formate a rispecchiare gli accenti verbali, con sillabe accentate su valori lunghi o sulle note più alte o su qualche breve melisma. Semanticamente, la musica sottolinea le parole presentandole in modo chiaro, usando il ritmo e le inflessioni modali in risposta ai cambiamenti affettivi. Rossi non è un amante dei cromatismi, li usa con parsimonia sfruttandoli come strategia espressiva, più spesso sembra prediligere il melisma per enfatizzare parole evocative. La presenza di false relazioni, sebbene non estranee ai cromatismi ed alle dissonanze dell'epoca che lo stesso Monteverdi utilizzava senza parsimonia, laddove non intenzionali come madrigalismi sembrano ribadire il fatto che i madrigali erano pensati per l'accompagnamento a voce sola, le false relazioni vengono infatti a prodursi più spesso con parti interne. Strutturalmente Rossi usa le ripetizioni a diversi livelli, da ripetizioni strofiche a ripetizioni di singoli versi, non lascia mai che la specificità delle parole si sovrapponga o annulli il tema generale: segue le parole senza eccedere nella loro enfatizzazione, sempre attento attraverso un lavoro di costruzione motivica a preservare il messaggio del poema nella sua integrità. Alla logica tematica del verso il compositore affianca una logica musicale che nella sua autonomia deriva dai versi, compositiva.275 274 275 li supporta, ma sempre all'interno di una D. Harran. Salamone Rossi. cit,. p. 101-13 ibid. 110 coerenza In generale, in accordo con gli studi di Harràn, l'analisi dei sei madrigali mette in rilievo una scansione ritmica suggerita direttamente dalla scansione metrica del testo poetico, una concordanza tra segmenti testuali e frasi musicali, frequenti pause con la doppia funzione di cesura del verso e/o di sospensione drammatica, ampio utilizzo di ritardi, il tutto in una dimensione polifonica nella quale si alternano parti in stile imitativo e passaggi omoritmici che enfatizzano la declamazione espressiva; a volte si può anche osservare una disposizione delle parti vocali in gruppi contrapposti. La scrittura madrigalistica è impostata sul netto predominio della voce superiore, dove la linea melodica assume in sè il gesto drammatico della forma monodica. Le voci inferiori sono relegate a tessuto armonico concepito spesso in una chiara formulazione accordale, la varietà compositiva è affidata alla scrittura imitativa. La configurazione dei piani cadenzali ricopre un ruolo fondamentale sia sul piano macrostrutturale quanto su quello micro-strutturale, quindi non solo nella delimitazione netta degli episodi operata come clausola finale ma anche all interno del disegno discorsivo, dove acquista un importante funzione semantica ed espressiva. Le dissonanze sono misurate, perlopiù circoscritte alla preparazione delle cadenze con prevalenza dei modelli cadenzali negativi contraddistinti dall orientamento discendente del semitono di risoluzione, o a brevi note di passaggio; spesso però vi sono escursioni melodiche racchiuse tra intervalli dissonanti con un più ampio effetto espressivo che non il temporaneo cromatismo. Nell ambito della dimensione modale l armonia è caratterizzata da un ampia gamma di mutazioni di tono con passaggi accordali che prefigurano molto da vicino l area di dominante e le progressioni della nascente tonalità: il livello armonico è spesso arricchito con cromatismi verticali che assumono valenza di un'armonia funzionale, progressioni armoniche con cadenze d'inganno e passaggi per accordi apparentati per terza, rivelando un spiccato senso di armonia tonale attraverso l'intuizione dei rapporti di attrazione . Judith Cohen considera il madrigalismo di Rossi conservativo soprattutto per il raro uso delle dissonanze ed il largo ricorso alle ripetizioni, anche se poi conclude che con i sei madrigali per Chitarrone Rossi si pone come innovatore.276 Judith Cohen. Salamone Rossi madrigal's style: observations and conjectures. in Orbis musicae. N. 9. 1986. pp. 157-9 276 111 Le argomentazioni di Cohen si basano sulle categoria di figure musicali descritte da Buelow, individuando come i riferimenti di Rossi siano principalmente confinati nelle ripetizioni di figure melodiche (cat. A), figure sonore (cat. F) e figure intervallari (cat. D).277 Uno studio recente mette in discussione la categorizzazione di Buelow a causa delle numerose discordanze riguardo la terminologia e le definizioni delle figure retoriche, per cui il tentativo di organizzare la moltitudine di figure musicali in sommarie categorie non avrebbe avuto successo risultando arbitrario e confuso, oltre che disinformativo.278 Come consuetudine dell'epoca anche Rossi fa ricorso a molteplici figure retoriche nella loro qualità di più ampie architetture simboliche atte ad enfatizzare gli affetti musicali, ma se il manierismo conduce spesso alla retorizzazione della figura musicale, Rossi nel suo uso di figure retoriche non priva mai il discorso di contenuto espressivo. Secondo Heinrich Lausberg l iterazione retorica determina una connotazione emozionale diversa, e comporta un 'arresto' dell informazione che concede il tempo di 'gustare' emozionalmente il contenuto dell informazione stessa, che viene accentuato e posto in evidenza per l importanza che deve assumere.279 Sebbene Lausberg si riferisca a contenuti letterari, la sua interpretazione si applica in modo molto efficace all'uso esteso delle ripetizioni nel processo compositivo di Salamon Rossi. Se il suo linguaggio elude un impiego eccessivo del cromatismo espressivo, tale atteggiamento (interpretato come conservatorismo rispetto i madrigalisti coevi più noti) sembra richiamare piuttosto le qualità di un musicista quale Andrea Gabrieli, la cui concezione compositiva tradisce per molti aspetti la presenza della pratica organistica trasferita alla composizione vocale.280 Rossi, rappresentante importante nel nuovo stile della musica strumentale e rinnovatore della forma, possedeva una concezione compositiva in qualche modo similare; la 277 George Buelow. Rhetoric and music in The New Grove Dictionary of Music and Musicians, 2001 Jasmin Cameron. Rethoric and music. in Words and Music. a cura di John Williamson. Liverpool University Press. 2005. pp. 55-7 278 279 Heinrich Lausberg. Elementi di retorica. ed. Il Mulino. Bologna.1969. p. 132 280 Francesco Luisi. La musica vocale nel Rinascimento. Ed. ERI. Torino. 1977. p. 548 112 predilezione come mezzo espressivo dell'uso dell'iterazione piuttosto che del cromatismo sembra preannunciare, nell'accusa di semplicismo, condurranno alla elaborazione della sonata. quelle soluzioni formali che La semplicità espressiva, il declamato drammatico, la chiarezza melodica e armonica, la completa aderenza al testo poetico rivelano la statura del compositore e pongono i sei madrigali accompagnati come esempio moderno, unico, del genere. 113 3.2 Analisi dei madrigali: forma polivocale e intavolatura originale 3.2.1 Criteri dell'analisi L'ottica dell'analisi si propone di verificare se la realizzazione in intavolatura dei Sei madrigali di Rossi a voce sola inclusi nel Primo Libro sia compatibile con una realizzazione di basso continuo o sia solo un basso seguente con verticalizzazione delle linee polifoniche. A tal fine si porrà particolare riguardo sia alla resa musicale del testo poetico e all'indipendenza della voce superiore sia al confronto tra la parte realizzata l'andamento del tessuto polifonico della versione a cinque voci. e Per l'analisi della parte di accompagnamento affidata al chitarrone si è provveduto quindi alla trascrizione in notazione moderna dei brani per cercare di individuare gli eventuali elementi che si discostano dalle parti vocali, per omissione o per aggiunta, a sostegno dell'ipotesi che si tratti effettivamente di un precoce esempio di basso continuo applicato al Chitarrone; tali elementi laddove riscontrati sono definiti come 'autonomi' quando non presentano alcun riscontro nella parte polifonica. Nell'esame dell'intavolatura si è cercato inoltre di verificare l'occorrenza di un uso specifico del linguaggio idiomatico strumento. dello Il lavoro di trascrizione, a cui fa riferimento la presente analisi, è stato svolto tenendo conto dell'accordatura rientrante dello strumento. Per ogni madrigale si riporta il testo poetico sottoposto alla partitura confrontandolo, laddove necessario, con le fonti letterarie di riferimento di cui viene riportata puntuale indicazione; al testo è stata applicata una normalizzazione della punteggiatura per una migliore comprensione delle frasi musicali. L apparato critico riproduce per ciascun brano uno schema alfabetico delle liriche intonate al fine di evidenziare l'articolazione tra rime e versi, usando le lettere minuscole per indicare i versi settenari e le lettere maiuscole per gli endecasillabi; si è scelto inoltre di mantenere la massima fedeltà alla versione originale, pertanto sono state conservate le h etimologiche (havea al posto di avea), le esclamazioni (ohimè /oimè) ed altre possibili discordanze testuali. 114 Per esemplificare il rapporto tra la struttura musicale e quella poetica si riporta inoltre uno schema relativo ai livelli di articolazione musicale indicando le sezioni principali con lettere, unitamente al riferimento del numero di battute e della cesure armoniche principali che individuano l intonazione del segmento testuale. L'eventuale ritornello è indicato con il simbolo |: posto accanto alla lettera relativa, in relazione all'originale dell'intavolatura. La determinazione dello schema formale è stato basato su elementi basilari quali la presenza di pause, cadenze, note lunghe, parti ripetute, conclusione dei segmenti in concordanza delle voci, elementi di contrasto. Nella descrizione analitica con il termine 'melodia' ci si riferisce in generale alla parte del Canto, e gli esempi musicali laddove non specificato diversamente riguardano le parti di Canto e Chitarrone. Per quanto riguarda il valore mensurale si è scelto di mantenere i rapporti indicati nella ripartizione dell'intavolatura evitando nella trascrizione l'uso della notazione moderna, i valori quindi verranno ascritti ad un tempus imperfectum con tactus di due semibrevi, ed il segno C verrà riprodotto come 2/1. 3.2.2 Individuazione modale: Tonal Types Un discorso a parte merita l'individuazione modale. Il rinnovamento che contraddistingue il XVI secolo, soprattutto a cavallo con il '600, mette in discussione l'adesione rigida della pratica compositiva nell'ambito della modalità. Le realtà compositive della polifonia, con il complicato rapporto tra dimensione orizzontale e verticale della musica, richiedono difficili aggiustamenti alla vecchia dottrina modale soprattutto nel conflitto tra maggiore e minore, tanto da portare Glareanus alla ridefinizione dei modi nel Dodecachordon. Nell'ambito di un contesto modale diventano sempre più frequenti note e accordi che non appartengono a quel particolare modo: gli accidenti più usati sono l uso del si bemolle nel primo tono, la cromatizzazione ascendente del settimo tono (passo iniziale verso la definizione del concetto di sensibile) e la modificazione da minore a maggiore della triade finale. 115 Vengono poi a realizzarsi una serie di trasporti che si sviluppano fino alla definizione dei cosiddetti 'modi mobili' che se da una parte, attraverso le inflessioni di passaggio da un modo all'altro, portano alla giustificazione della trasformazione delle triadi da maggiore a minore o alla comparsa di accidenti estranei al modo di impianto, dall'altra, gettando un ponte verso lo sviluppo tonale, rendono difficoltoso l'incasellamento in una tipologia modale: persino fra i teorici dell'epoca ci sono discordanze sull'attribuzione a un modo o a un altro di un dato brano. Dagli studi in merito di Bernhard Meier e Harold Powers si è venuto quindi a creare un nuovo modello di sistematizzazione descritto come 'tonal type', dove il medesimo tipo tonale può corrispondere a più modi anche all'interno della stessa composizione. La teoria del tonal type vuole dare una risposta al problema posto dal riconoscimento modale nell'individuazione di tre fattori che indichino precisamente il sistema, l'ambitus e la finalis di un brano polifonico. Per sistema si intende l'espressione o meno di alterazioni in chiave, quindi Si naturale o Si bequadro a seconda che si tratti di cantus durus o cantus mollis; l'ambitus delle voci è espresso dalle chiavi usate nelle parti vocali; la finalis è la sonorità principale intorno la quale ruota il brano. 281 Powers osserva inoltre che in parecchie fonti della musica polifonica del XVI secolo è reperibile una associazione dei modi con il sistema di segnatura delle chiavi. In queste fonti il gruppo delle chiavette è riservato ai modi autentici, e le chiavi naturali ai modi plagali. Ciò sembra suggerire che la prima priorità delle chiavette sia segnalare un tipo di sistema modale piuttosto che un altro. 282 Harold Powers. Tonal Types and Modal Categories in Renaissance Polyphony, in Journal of the American Musicological Society. Vol. XXXIV. N. 3. 1981. pp. 428 70. URL: <http://www.jstor.org/stable/831189> consultato il 06.01.2015 281 Chiavette: chiavi accidentali, utilizzate per facilitare la trasposizione. La distinzione tra chiavi naturali e chiavi di registro alto compare in Ganassi nel 1543, ed indica una prassi già entrata in uso. La definizione in chiavette e chiavi trasportate, appare molto più tardi, intorno il 1720. Banchieri, nel trattato del 1601 'Cartella overo regole utilissime... ', le chiama 'sopracute' e ne spiega esaurientemente l'utilizzo e la funzione a seconda che siano con o meno accidenti. 282 116 Nell'analisi proposta si preferisce quindi una tale schematizzazione, anche perchè ciò che più interessa non è tanto l'analisi sistematica delle voci polifoniche ma il tipo di realizzazione attuata nel basso continuo rispetto l'andamento delle altre voci. La designazione modale, in particolare nella musica strumentale che potrebbe impiegare un ambitus molto più ampio, deve fare affidamento su significanti interni, quali la struttura melodica e la gerarchia dei gradi cadenzali. Per tale motivo vengono di seguito riportati i 'tonal types' dei sei brani piuttosto che le tradizionali categorie modali. TAB. 3.2 Tonal types dei madrigali accompagnati283 Il primo libro de madrigali, 5vv Tonal types Modo Ohimè se tanto amate b - g2 - D I Cor mio deh non languire b - g2 - D I Anima del cor mio b - c1 - G II trasposto Udite lacrimosi b - c1 - G II trasposto (Venezia 1600) Tirsi mio caro Tirsi H- c1 - G Parlo misero o taccio H- c1 - G rappresentato VII VII Come si può notare dalla tabella, i madrigali sono composti in coppia per caratteristiche modali e segnatura. 283 Nota: g2 = chiavette - C1 = naturale Modi: I dorico - II ipodorico - VII misolidio 117 3.2.3 Analisi Ohimé, se tanto amate Il testo del madrigale è tratto dalle Rime di Guarini pubblicate nel 1598 (284 ) ed è stato musicato dai principali madrigalisti coevi: Luca Marenzio, Il terzo libro de madrigali a cinque voci, Venezia, 1582 Benedetto Pallavicino, Il sesto libro de madrigali a cinque voci, Venezia, 1600285 Claudio Monteverdi, Il quarto libro de madrigali a cinque voci, Venezia, 1603 Enrico Radesca, Il Secondo Libro delle Canzonette, Madrigali e Arie alla romana a due voci per cantare e sonare con il chitarrone o spinetta, Milano, 1606 Giovanni Ghizzolo, Madrigali et arie per cantar e sonar Libro I, Venezia, 1609 286 Michelangelo Rossi, Il secondo libro di madrigali a 5 voci, manoscritto ca. 1624 Testo287 Ohimé, se tanto amate di sentir dir Ohimè, deh, perché fate chi dice Ohimè morire? S'io moro, un sol potrete languido, e doloroso Ohimè, sentire; Ma, se cor mio vorrete che vit'habbia da voi,e voi da me, havrete mill'e mille dolci Ohimè Giovan Battista Guarini. Rime del molto illustre signor caualiere Battista Guarini. In Venetia : presso Gio. Battista Ciotti, 1598. Rima XXXI. p. 73. Riproduzione on-line BSB. URL consultato il 02.12.2014 <http://reader.digitale-sammlungen.de/de/fs1/object/display/bsb10166540_00153.html> 284 Pallavicino all'epoca era Maestro di Cappella alla corte Gonzaga, verosimilmente in stretto contatto con Rossi, e l'anno di composizione dello stesso madrigale è coincidente 285 286 MS 176 Music Library, University of California, Berkeley 287 Forma poetica: aA bcBc DD 118 Tab. 3.3 Struttura musicale: Sezione A Battute Cesura armonica Rima A2 5-9 La M ab A3 9-13 La M b 13-22 Re M cDD A1 B |: 1-5 La M a Il madrigale da un punto di vista generale è costruito su una alternanza di omoritmia e brevi parti imitative come consuetudine dell'epoca, laddove però la caratteristica di maggiore importanza era l'assoluta omogeneità e parificazione tra le voci polifoniche nei madrigali realizzati di Rossi si assiste alla chiara predominanza del Canto, finalizzata all'esecuzione a voce sola. L'espressività del testo è enfatizzata dalla ripetizione di alcune esclamazioni e dalla intensificazione che si realizza con la reiterazione del verso finale. Tonal type riconducibile a b - g2 - D, in modo dorico con uso di segnatura in chiavette; tempus imperfectum con segnatura C. Il brano può essere ripartito in due sezioni principali, di cui la seconda ritornellata, con schema quindi ABB. Nella sezione A sono riconoscibili tre segmenti contraddistinti da una sostanziale simmetria interna (4 battute per ciascun segmento) e tutti concludono sulla cadenza sospesa della repercussio. L'incipit inizia a canone, le voci entrano in omoritmia dopo l'esordio del Cantus sull'esclamazione Ohimè sottolineata da valori larghi, mentre nella versione a voce sola il continuo entra insieme al canto su un'armonia ribattuta di Re. Segue un breve episodio imitativo che confluisce quasi subito nell'omoritmia per concludere il verso in concordanza delle voci su una cadenza sospesa. La struttura melodica dell'esordio afferma con due semibrevi un intervallo discendente di quarta perfetta, dalla finalis Re a La, un crollo che sottolinea la sillabazione di Ohimè del Canto e che verrà altre volte riproposto nel corso del brano a mutuarne l'espressività dolorosa. La caduta di quarta appare anche in Marenzio, Pallavicino e Ghizzolo, come topos di lamentazione dolorosa. 119 Dopo l'accorata exclamatio ed una cesura di pausa del Canto l'intonazione dei versi viene animata da una breve parentesi imitativa, per poi tornare all'omoritmia nella ripresa dell'esclamazione iniziale con la figura retorica dell'epanalessi. La melodia presenta una successione ritmico-melodica che può essere assunta come figura tematica dell'intero brano: sillabazione di tre note ascendenti per grado congiunto a partire dalla prima nota ribattuta, che realizza nel primo distico (A1) un intervallo di terza minore e nel terzo (A3) un intervallo di terza maggiore. L'inciso della battuta 2 viene ripreso nella misura successiva, a distanza di seconda, ed all'acme ripresenta il crollo di quarta iniziale. La frase termina dopo una lunga intonazione sulla ripetizione di Ohimè, la melodia riscende nuovamente di quarta tramite un breve melisma per grado congiunto su una triade maggiore di La: se la prima sillabazione della parola Ohimè cadeva su un'armonia di La minore, qui si realizza una cadenza sospesa attraverso l'alterazione della terza in maggiore, con evidente funzione di clausola. L'enfasi del doppio crollo di quarta che conduce ad una estensione di settima discendente delle altezze sonore, dall'acme alla fine della frase (da Re4 a Mi3), sembra adottare un principio di forte dissonanza nell'ambito fraseologico il cui risultato è un maggior risalto dell'effetto drammatico. Il continuo riassume la linea imitativa del basso vocale e del tenore nell'andamento per terze (battute 2-3), con un passaggio armonico contraddistinto da un movimento cadenzale a Sol che si pone sulla cesura di pausa del Canto alla fine del primo verso. Segue una nuova fase omoritmica che conduce alla fine della sezione A1 su una cadenza sospesa. Nella parte aggiunta di continuo dell'edizione di Anversa del 1618 sulla pausa di cesura di battuta 2 verrà inserito un basso di supporto. La sezione A2 si compone, come quella precedente, di 4 incisi. La melodia inizia con l'esclamazione deh sul tono di Sol, e riparte dopo una pausa di respiro in una linea declamata di semiminime sulla ripetizione dell'esclamazione associata alla figura retorica dell'anafora. Il disegno melodico, variato rispetto il tema di A1, si ripete una quarta sopra nel terzo inciso di battuta 7 portandosi all'acme su una nuova disperata esclamazione di Ohimè che, dopo un significativo respiro, cade con un crollo di quarta sulla parola morire, 120 declamata su un intervallo discendente di seconda maggiore in una tensione armonica che nel cambiamento inaspettato di tono porta a La M attraverso una cadenza composta. Come nella precedente sezione, l'esclamazione iniziale è a canone, il Chitarrone supporta l'entrata del Canto di battuta 5 con un'armonia di Sol sulla pausa generale delle altre parti vocali per poi ricongiungersi all'entrata contrappuntistica del basso vocale in un veloce passaggio ascendente, e ricondursi infine all'omoritmia. A battuta 6 la parte di Chitarrone presenta ancora un elemento autonomo nella figura di ritardo di quarta e terza non presente nelle parti vocali, in una cadenza di passaggio a Sol che sottolinea la fine del verso; dopo l'animata sequenza accordale che conduce alla fine della sezione su una cadenza composta maggiore si rilevano altri due elementi autonomi nella diminuzione della cadenza e nella nota di passaggio affidata alla potenza del basso di bordone Re che risale a Mi. Es. 3.2 Figura autonoma del Chitarrone in nota di passaggio su bordone La sezione A3 apre a battuta 9 con la riproposizione del crollo di quarta, significativamente sul testo S'io moro isolato come un sospiro tra due pause di cesura; segue il disegno melodico della radice tematica che si fa più concitato: senza respiro, senza appoggiarsi a note lunghe ma anzi stringendo i versi in una figura ritmica che, da puntata, sfocia a battuta 11 in un veloce passaggio di crome per arrestarsi enfaticamente su un nuovo intervallo di quarta discendente. Dopo la prima fase omoritmica, l'animazione del verso successivo è sottolineata da un breve momento imitativo; la figura retorica dell'anafora sull'esclamazione Ahimè (battuta 12) viene intonata solo dalla voce superiore su un salto di quarta ascendente; raggiunto l'acme la melodia si riporta per grado congiunto alla repercussio stemperando la nuova discesa di quarta con una dolcezza malinconica che, dopo la tensione del salto ascendente, sembra voler esprimere un gesto di rassegnazione dolorosa. 121 Il crollo di quarta, così ampiamente ripreso, amplifica l'elemento doloroso rappresentando un nucleo essenziale del processo compositivo; su un diverso tessuto armonico la rappresentazione di quest'ultimo crollo riafferma lo stesso spazio sonoro dell'exclamatio dell'incipit e termina sullo stesso passaggio per grado congiunto della fine di A2, in una assonanza musicale con la rima. Nella parte di Chitarrone la cadenza è diminuita con un salto di ottava su bordone. Dal punto di vista verticale a battuta 9 si verifica un mutamento di tono che determina una dissonanza attraverso una falsa relazione di tritono, che viene a formarsi nel parallelismo accordale del chitarrone, in un madrigalismo che richiama la figura retorica della Parrhesia che ben si inserisce, a scopo drammatico, ad enfatizzare con la dissonanza il contenuto testuale sul concetto di morte.288 Es. 3.3 Chitarrone: Falsa relazione a scopo espressivo Es. 2 La sezione termina su La M con una fase cadenzale più lunga che affida al canto una dissonanza di settima non raddoppiata nella parte del continuo. In quest'ultima frase della sezione la parte del chitarrone, dopo aver sorretto il canto con una prima parte accordale, svolge la fase imitativa ed a battuta 12 presenta due figurazioni indipendenti dalla parte polifonica: l'aggiunta in ambito accordale di note melodiche che convergono sulla cadenza composta e la diminuzione della stessa con un salto di ottava su bordone che non ha altri riscontri. La sezione B inizia a battuta 13, nettamente distinta in intavolatura dal doppio segno di divisione che delimita la ripresa e dal segno di ritornello finale, e si prefigura come netta sezione di contrasto. Il materiale musicale rispetta le affinità tematiche, e la segmentazione testuale coincide sempre con la frase musicale. Alla figura retorica della Parrhesia appartengono gli intervalli dissonanti, la falsa relazione, ed altri procedimenti sconsigliati dalle regole accademiche ma usati a scopo espressivo e drammatico per esprimere difficoltà, dolore, sofferenza. Tratto da: Roberto Solci, La retorica musicale e le sue architetture simboliche ed espressive. Dispensa del corso di Analisi dei repertori. Conservatorio A. Pedrollo di Vicenza. p. 18 288 122 Dopo una pausa generale una successione melodica per grado, racchiuso in un intervallo di quarta ascendente, si dilata sull'ictus in sesta sede del verso settenario per riscenderne di grado; la fine del verso è sottolineata da una cadenza intermedia nel tono di Do, realizzata dal chitarrone con un ritardo di quarta e terza non presente nelle parti vocali che crea una discordanza con l'intonazione del quinto nel confronto con le parti polivocali (battuta 14). La declamazione dei versi successivi, dopo un'ulteriore pausa generale, non presenta più alcuna cesura e la melodia si svolge fino alla fine in un ritmo serrato. L'intonazione del secondo verso della sezione presenta un momentaneo appoggio, tramite una figura puntata, sull'accento tonico in sesta sede del settenario (nell'ambito dell'endecasillabo a maiore). In questa metrica serrata il testo viene declamato in poco più che una battuta senza lasciare al Cantus alcun respiro e finisce sul battere di battuta 17 su una cadenza sospesa, dopo una fase cadenzale interna, per proseguire senza soluzione di continuo nelle iterazioni dell'ultimo verso. Il verso conclusivo, che approda con una cadenza composta a Do (battuta 19), viene ripetuto tre volte ed ognuna delle ripetizioni si dilata nella sua parte finale sull'intervallo di quarta discendente. I frammenti melodici si svolgono come un'onda nell'ambito intervallare di quarta, discendendo e ascendendo, e giungono alla chiusura con un rapido melisma. L'enfasi iterativa che per ben quattro volte ripete il contenuto testuale riproducendolo ad un diverso livello melodico è riconducibile alla figura retorica dell'epizeusi. Le clausole sono principalmente armoniche e sottolineano la divisione dei segmenti testuali iterati in una ripetizione cadenzale di tipo composto: cadenza sul tono di Sol (battuta 17), cadenza sul tono di Do (battuta 19), cadenza sul tono di La M (battuta 20), e cadenza finale sul tono di Re con terza piccarda. Le ripetizioni sono divise simmetricamente in due parti che melodicamente si svolgono nell'ambito di una ottava. Es. 3.4 Ohimè se tanto amate, batt. 17-22: ambito intervallare delle ripetizioni nel Cantus 123 La parte di Chitarrone, condotta in omoritmia con le voci interne, presenta alcuni tratti autonomi rispetto esse: una nota di ritardo di quarta e terza a battuta 13, un procedimento accordale a battuta 17 che omette la parte di tenore, una dissonanza di settima aggiunta nella cadenza composta finale. Il ritornello di B ripropone un contenuto già fortemente reiterato, amplificando l'espressività del testo. Dal punto di vista cadenzale, come riportato nello schema della struttura musicale, le tre parti che compongono la sezione A terminano tutte sulla corda di recita attraverso l'accordo di La M, seppure su piani modali diversi: con una cadenza sospesa del tono di Re in A1, con cadenza conclusiva sul tono di La in A2 e A3. All'interno vi è inoltre sempre una corrispondenza musicale con la segmentazione testuale attraverso cadenze di passaggio. Nella prima parte si osserva una concordanza musicale tra le rime aa della fonte letteraria di riferimento, rappresentate con identico valore ed intervallo di seconda maggiore discendente, e le rime bb che ripropongono un'identica figurazione discendente. Quello che maggiormente colpisce nella resa musicale di questo madrigale è la sua simmetricità: le sezioni A e B si possono considerare equivalenti come numero di battute, conteggiando anche il ritornello. La forma aperta del madrigale sembra qui lasciare intravedere una iniziale costruzione binaria che anticipa il linguaggio tonale con l'approdo nell'area di dominante alla fine della prima sezione, ed una sezione contrastante con ritorno all'area di tonica nella seconda parte B, in forma chiusa con ritornello. Il linguaggio di Rossi mostra già in una fase molto precoce gli elementi innovatori che avranno il loro compimento nella sonata scarlattiana. 124 Cor mio deh non languire Madrigale tratto dal volume di Rime di Guarini pubblicato nel 1598 ( 289) il cui testo è tra i più musicati: dal 1597 si contano 35 intonazioni, che comprendono anche i tardi componimenti di Scarlatti e Bononcini di fine '600. Il madrigale compare un anno prima della stampa della raccolta guariniana, già in circolazione in quanto pubblicato assieme ad altri testi dello stesso autore in una miscellanea di rime di celebri poeti del 1587. L ampio consenso di Cor mio sembra averlo reso terreno di confronto tra i compositori, ponendolo come un classico della letteratura madrigalistica. Da uno studio delle varie realizzazioni emerge che la struttura formale tripartita (esordio - sezione centrale - fine) è condivisa da tutti i compositori, e le caratteristiche di originalità si rivelano nell interpretazione affettiva del testo e nei diversi espedienti contrappuntistici. 290 Si citano qui gli autori più significativi o che hanno avuto attinenza con l ambiente di Rossi: Alessandro Savioli, Madrigali a cinque voci... Libro secondo, Venezia, 1597 Benedetto Pallavicino, Il sesto libro de madrigali a cinque voci, Venezia, 1600 Luzzasco Luzzaschi, Madrigali per cantare, et sonare a uno, Roma, 1601 Giuilio Caccini, Le nuove musiche, Firenze, 1602 Giovanni Priuli, Il primo libro de madrigali a cinque voci, Venezia, 1604 Sigismondo d'India, Il primo libro de madrigali a cinque voci, Milano, 1606 Giovanni Ghizzolo, Madrigali et arie per cantar e sonar Libro I, Venezia, 1609 Alessandro Scialla, Il primo libro de madrigali a cinque voci, Napoli, 1610 Enrico Radesca, Madrigali a cinque, et a otto voci, libro primo, Venezia, 1615 Adriano Banchieri, Il virtuoso ritovo academico, Venezia, 1626 Alessandro Scarlatti, Madrigale a 5 voci, 1680-1725 289 291 Giovan Battista Guarini. cit., Rima LXXXI. p. 99 290 Claudia Aristotile. «Cor mio deh non languire» di Battista Guarini nella produzione madrigalistica secentesca. in Rivista di Analisi e Teoria Musicale. Vol. XIV/1. LIM. Lucca. 2008. pp. 87-112 Copia manoscritta British Library Add. MS 14166 'Madrigale a 5 voci a quattro soprani e un contralto del Sig. cavaliere Alessandro Scarlatti. Si deve cantare sempre adagio per sentire le consonanze.' 291 125 Judith Cohen sostiene che 'Cor mio deh non languire' potrebbe formare una risposta con 'Ohimè se tanto amate': Pallavicino nel Libro Sesto del 1600 pone entrambi i madrigali in successione e con identica segnatura, ma in ordine invertito che testualmente, secondo l'autrice, avrebbe più senso.292 Nel caso di una intenzionalità teatrale nell'ordine dei brani e nell'accostamento modale sembra presumibile supporre che, analogamente, Rossi avrebbe mantenuto tale gesto anche con le altre coppie di madrigali in considerazione della ripartizione modale, ma il senso poetico delle scelte non è assimilabile ad una possibile proposta e risposta testuale. In ogni caso, dal punto di vista del contenuto 'Cor mio deh non languire' potrebbe aver maggior senso come risposta al rammarico dell'amante di 'Ohimè se tanto amate', ma lo trasformerebbe in una replica positiva alla quale il tessuto musicale non si presta, essendo un superbo esempio della sofferenza amorosa che riesce a tradurre in musica l'ansito doloroso dell'amante. Einstein, molto innamorato di questo madrigale, lo ha definito un particolare e bellissimo esempio di come Rossi coglie lo stile della monodia genuina, il cantare senza battuta o libera declamazione musicale . . . non inferiore a qualsiasi monodia di Caccini o Peri'. 293 Testo294 Cor mio, deh, non languire, Che fai teco languir l'anima mia, Odi i caldi sospiri: a te gl'invia La pietat' e'l desire. S'io ti potessi dar, morend' aita, Morrei, per darti vita; Ma viv' ohimè, ch' ingiustamente more Chi vivo tien nel altrui petto il core Judith Cohen. Salamone Rossi's madrigal style: observations and conjectures. in: Orbis musicae. N. 9. 1986. p. 160. nota 20 292 293 294 Alfred Einstein. cit., p. 394 Forma poetica: aBBa CcDD 126 Tab. 3.4 Struttura musicale: Sezione Battute Cesura armonica Rima 7-13 La M Ba A A1 B - 14-19 C2 23-28 C A2 C1 1-6 19-23 La M La M Do M Re M aB CC DD - Da tale schematizzazione appare come il madrigale sia riconducibile ad uno schema ternario. Nella sezione A la prima quartina del testo presenta una corrispondenza tra frasi musicali e segmenti testuali, in uno stile di tipo arioso; nella sezione B il distico a rima baciata è ricondotto a tre frasi musicali con la ripetizione del primo verso, in stile declamatorio; nella sezione C infine l'ultimo distico si allarga su quattro frasi per l'iterazione dei versi, in stile imitativo. La riconduzione ad uno schema formale non può comunque essere netta, dopo la sezione A i periodi musicali sono strettamente connessi richiamando una forma libera non scevra da principi di simmetria interna. In questo disegno di mantenere la forma quasi al di fuori di essa sta la grandezza, sotto l'apparente semplicità, del compositore. La divisione in sezioni determinata dal fraseggio è ricca di articolazioni cadenzali che, al'interno di una stessa frase, mettono in risalto la segmentazione e gli accenti dei frammenti testuali; i principali elementi formali sono riconducibili all'accompagnamento spesso a note lunghe, alla mancanza di precisi schemi melodico-ritmici ritornellate, alla ripetizione centrale del testo come libera declamazione. e sezioni In definitiva si può considerare il brano in stile recitativo come espressione musicale che tende solo alla espressione drammatica del testo al di fuori dei vincoli del contrappunto e della forma strofica, dove la melodia segue il ritmo naturale della frase, il respiro va a coincidere con quello della sintassi, le cesure con la punteggiatura, all'interno di una sottile simmetria. 127 Il lamento dell amante è rappresentato da frequenti cadute melodiche di quarta discendente, intervallo legato al topos del dolore. A parte le inflessioni dolenti di tali intervalli di quarta ed il significato fortemente espressivo di isolati intervalli di sesta, l'escursione del canto, pur nel contesto spesso imitativo con tratti ariosi, si pone entro un modello declamatorio. Tonal type riconducibile a b - g2 - D, con uso di segnatura in chiavette, in tempus imperfectum e segnatura C. L espressività del linguaggio di Rossi si esprime fin dalla prima linea melodica; il Canto, partendo dalla repercussio, intona un intervallo di quarta discendente attraverso una ornamentazione per poi risalire e ridiscendere di semitono. Retoricamente questo andamento melodico per semitono diatonico, definito planctus, esprime proprio l inflessione lamentosa della preghiera di un amante. L'accompagnamento, di tipo cadenzale, esprime al basso un cromatismo che dall'iniziale cadenza imperfetta porta ad una cadenza sospesa su La M, determinando una prima cesura del verso; gli arpeggi del chitarrone su valori di semibreve risultano larghi per lo sfruttamento degli unisoni, richiamando la tecnica del recitativo. Tra le voci interne, omoritmiche, si inserisce un brevissimo passaggio imitativo del tenore (battuta 1) omesso nella parte del chitarrone, che presenta un elemento ritmico autonomo nella diminuzione su un basso di bordone. Dopo l'esclamazione iniziale, nel secondo emistichio (battuta 2) viene enunciata una seconda idea tematica, pacata ma patetica; il salto ascendente e discendente di sesta minore della melodia sulla parola Deh mette in risalto l'isolata esclamazione dolorosa in un contesto imitativo, un accento sul dolore rafforzato dalla risalita per grado congiunto su un intervallo di terza minore che conduce alla conclusione del verso con un nuovo crollo di quarta su un diverso livello. Armonicamente il salto di sesta è sottolineato da un movimento diretto per semitono cromatico effettuato solo dal continuo, in una mutatio toni che con una cadenza evitata realizza un passaggio maggiore/minore di forte efficacia espressiva, in un madrigalismo accordale. La parte di Chitarrone, oltre a porsi su una ritmica indipendente da basso e tenore, omette il passaggio dell'alto. 128 La melodia esprime la finalis solo alla fine del primo verso, sul salto di quarta discendente di battuta 3 in tono di Sol su una cadenza minore con ritardo di quarta e terza. Es. 3.5 Cor mio, incipit del Canto, battute 1-3 La frase successiva inizia sul levare di battuta 4 dopo una pausa generale, riportandosi in omoritmia nel solo primo emistichio nell'imitazione variata dell'incipit. Il Canto imita dapprima la figura dell'esordio per aumentazione alla seconda inferiore, mentre il basso procede per moto contrario in omoritmia sulle relative armonie. Nel secondo emistichio di battuta 5 la melodia, dopo una cesura di pausa, si porta su un salto di ottava ascendente, subito seguito da una caduta di sesta minore che prosegue sul materiale imitativo della seconda idea melodica. La parte del continuo si svolge su una lunga fase cadenzale su un cambiamento di tono che da Mi M porterà, attraverso un passaggio in La m, alla cadenza conclusiva del verso in La M. Il Chitarrone entra in anticipo rispetto il canto in accordo con la parte imitativa delle altre voci, da cui si discosta in autonomia per una nota di passaggio che porta a Mi M con una figurazione puntata e per un salto di ottava su bordone che diminuisce il valore ritmico delle altre parti. La fine del verso, su una cadenza minore con quarta e terza, ha una valenza di cesura molto forte per la terza piccarda. A battuta 7, sul terzo verso, inizia la sezione A 2 che sebbene si presenti come una nuova imitazione variata del materiale tematico apre una nuova fase: dopo l'accordo del Chitarrone in quarta e sesta posto sulla cesura di pausa del Canto, la curva melodica sfocia in un nuovo contesto ritmico, in una efficace e mutata resa della sintassi poetica per la tensione sospensiva creata dalle sincopi e la successiva improvvisa intensificazione. A battuta 8 il Chitarrone spezza il ritmo di semibreve del basso vocale con un salto di ottava su bordone mentre nell'emistichio seguente (battuta 9) si allarga sul lungo melisma del canto in un accompagnamento che richiama al recitativo, in semibrevi che raddoppiano il ritmo polivocale. 129 La lunga ornamentazione del Canto che si innalza a vera monodia sul tessuto polifonico omoritmico delle battute 9 e 10 conduce senza soluzione di continuità al verso seguente. In tale passaggio nella parte di Chitarrone viene a crearsi un parallelismo accordale tra le armonie Mi minore - Fa maggiore; dal punto di vista espressivo la discesa per tono del canto e la salita di semitono del basso nel parallelismo accordale della cadenza dorica realizzano una caduta di tensione improvvisa del climax appena raggiunto. L intavolatura sul terzo movimento di battuta 10 porta un Sol naturale, mentre la parte di tenore presenta un Sol diesis: si ritiene corretta l intavolatura perchè presenta un raddoppio del Sol naturale, uno di essi si trova su una corda a vuoto portando ad escludere un doppio errore di posizione. Anche l'andamento della parte accordale conferma la convinzione che l'errore sia nella parte del tenore in quanto un Sol sale a La e l altro scende a Fa, apparendo alquanto improbabile la discesa di un Sol# a Fa. L'ultimo verso della sezione, che inizia sul levare di battuta 11, racchiude nel primo emistichio una linea melodica per grado congiunto che rafforza il linguaggio drammatico nell'accentuazione sillabica a larghi valori. Qui si riscontra un passaggio particolarmente idiomatico del chitarrone in un elemento scalare diatonico sulle corde di bordone, elemento peculiare del tutto aggiunto che non ha alcun corrispettivo polivocali. nelle parti Es. 3.6 Cor mio, autonomo passaggio idiomatico del chitarrone, batt. 11 Il prosieguo della melodia a battuta 12 (che vede un nuovo parallelismo accordale tra le armonie Mi-Fa del continuo) conduce alla fine del verso con un nuovo melisma su una cadenza composta intonata dal Canto e raddoppiata nel Chitarrone, che presenta a battuta 13 una diminuzione con salto di ottava su bordone non presente nelle altre parti. La sezione chiude quindi sul tono di La M. 130 La sezione B inizia a battuta 14 su una pausa generale, ed introduce in un ambito completamente nuovo. La frase melodica dopo una sequenza sillabica declamata scende per grado congiunto su un intervallo di quarta, a battuta 16 la ripetizione testuale viene ribadita alla quarta superiore giungendo al climax (gradatio) con un effetto di progressione che rafforza l'incisività del testo. Questa fase sostanzialmente omoritmica è attraversata da una linea imitativa affidata prima al tenore e poi al basso. Nella prima frase il continuo rimane fermo sulla stessa armonia in valori ritmici raddoppiati rispetto il basso vocale, la base armonica sulle note ribattute del declamato si configura più come sostegno della parola che della voce del canto; una cadenza intermedia su Sol accompagna la cesura testuale. Nella seconda frase, che inizia a battuta 16 dopo una cesura di pausa, l'accompagnamento è vivacizzato dal mantenimento dell'imitazione scalare del basso vocale per moto contrario al Canto. La melodia confluisce nel verso successivo senza respiro melodico, in una fase incalzante dove il Chitarrone approda ad un accordo di La in quarta e sesta riassumendo con valore doppio l'armonia soprastante su una pausa del basso vocale. Nell'intonazione dell'ultimo segmento testuale, dal levare di battuta 18, il Canto imita la precedente curva melodica discendente contraddistinguendosi ritmicamente per l'elemento puntato al posto del ribattuto che enfatizza l'accentuazione della parola morrei intonata con un salto ascendente di quinta. Anche il basso imita l'andamento scalare precedente andando a determinare una concatenazione tra le frasi che le rende indivisibili nel loro fluire e si arrestano solo a battuta 19, con la forte cesura della cadenza in La M. La parte del Chitarrone si fa interprete dell'imitazione del basso sull'omoritmia delle altre voci; alcuni elementi autonomi si ravvisano a b 17, su una diminuzione ritmica del basso e su un successivo accordo di minima che si distacca dal ritmo soprastante, e nella cadenza finale di battuta 18 che realizza un ritardo di quarta e terza non presente nelle parti vocali, generando una incongruenza con la parte del quinto nel caso di una esecuzione a cinque voci. La sezione C, intonata a b 19 dopo una pausa di cesura generale, si presenta come una fase strettamente imitativa dove le frasi si susseguono in una vivacità ritmica incalzante e le cesure sono determinate dalle cadenze armoniche interne. 131 L'inizio della sezione ha un brevissimo ed espressivo momento omoritmico, incorniciato tra pause di cesura, sul quinario tronco del primo endecasillabo a minore, dove il pacato accento in quarta posizione si caratterizza nella melodia per la dolorosa inflessione di un unico semitono che enfatizza la parola Ohimè. L'armonia cadenzale del Chitarrone ruota intorno il tono di Sol ed a battuta 20, su una cadenza sospesa di Re M, mostra un elemento ritmico indipendente in un accordo puntato sulla pausa generale di cesura, che determina continuità con la semifrase successiva. Nel secondo emistichio la melodia ascende per grado congiunto fino all'acme di un intervallo di sesta minore sulla parola 'more', il cui accento testuale è l'unico punto di drammatica sospensione prima della rapida caduta successiva. Nella continuità fraseologica il segmento musicale è delimitabile solo attraverso una cesura armonica intermedia su una cadenza imperfetta in tono di Sol. Il verso finale che inizia a battuta 21 è strettamente connesso al precedente dalla fase polifonica imitativa che va incontro ad una intensificazione: la melodia prosegue senza respiro in una amara caduta oltre l'ottava su una dissonanza di nona maggiore sul tono di Do, svolgendosi sulla massima estensione del brano che ben si addice al sentimento doloroso; il percorso armonico porta al mutamento del tono in Do naturalizzazione del Fa# dell'ultimo accordo di battuta 21. attraverso la La chiara cesura dell'accompagnamento nella cadenza composta di battuta 22 non permette alcun respiro musicale, sulla cesura di pausa del Canto (battuta 23) il Chitarrone prosegue sugli iniziali elementi scalari della linea imitativa del basso vocale prima di ricondursi ad un sostegno accordale; a battuta 24 si realizza uno dei rari casi di linea spezzata in un efficace salto su bordone, scelta idiomatica in quanto strutturalmente non necessaria. Anche qui si assiste ad un momento autonomo della parte di continuo che non riprende nè la ritmica del basso vocale nè l'imitazione del tenore. Es. 3.7 batt. 22-23 Elementi autonomi del Chitarrone rispetto il basso 132 A battuta 22 il passaggio accordale da Fa M a Sol M per la preparazione della cadenza in Do evita parallelismi (e l'unisono con il canto) attraverso una posizione che vede l'abbassamento di ottava della quinta di Sol e l'esposizione della dissonanza. La ripetizione completa del verso finale, con inizio a battuta 23, si svolge su materiale melodico sostanzialmente variato: la melodia sale inizialmente per grado congiunto su un intervallo di quarta, dalla repercussio alla finalis, ne ridiscende bruscamente in una successione che riunisce più figure intervallari legate al dolore nel corso del brano quali il crollo di quarta, l'intervallo di terza minore e la discesa per semitono diatonico sulla ripetizione della parola 'more', accompagnata da una formula cadenzale sul tono di La. L'anticipazione nella linea del canto della risoluzione del Do a Si (battuta 24) genera un madrigalismo nel contrasto con l'armonizzazione del Chitarrone e con la cadenza dell'alto. Dopo una cesura di pausa la ripetizione del primo emistichio viene rafforzata dall'uso del poliptoto nell'inciso melodico mutuato a diversa altezza, sostenuto armonicamente dal continuo nella preparazione della cadenza sul tono di La, dove un salto di ottava su bordone si discosta dal ritmo del basso vocale. La melodia si avvia alla conclusione sul levare di battuta 26, dopo una arcata di note ascendenti ed un crollo di quarta, con un rapido passaggio melismatico che si allarga sulle note della cadenza composta sulla finalis. L'accompagnamento svolge una lunga fase cadenzale che riporta al procedimento delle battute 5 e 6 nel passaggio a La m prima di portarsi al maggiore: la prima cadenza composta su La m di battuta 25 è diminuita da un salto di ottava su bordone, l'armonia approda poi a La M attraverso una cadenza imperfetta con Mi M in terza e sesta, e finalmente si allarga sulla cadenza composta finale. Nella parte di chitarrone si evidenziano alcuno valori accordali disgiunti dalla parte del basso vocale. Sostanzialmente la parte di continuo sostiene con lunghi accordi arpeggiati le parti in stile recitativo, passa da sostegni omoritmici ad armonie su basso melodico e contiene vari elementi distintivi rispetto le parti interne. La scrittura per chitarrone sfrutta il linguaggio idiomatico dello strumento, con passaggi e salti di ottava sui bordoni e l'uso in raddoppio di note tastate e libere, non scevro di passaggi melodici come strumento sia di ornamento che di fondamento. 133 L'accordo di La in quarta e sesta delle battute 17-18 rappresenta una scelta obbligata: abbassando di un'ottava il basso di La sarebbe venuto meno sia l'andamento del basso che il successivo slancio alla ripresa della linea imitativa. La tecnica dello strumento, sia nel raddoppio della fondamentale sia nella sua primaria percussione con il pollice, dà risalto alla funzione del basso reale anche nel momento in cui l'accordatura rientrante fa porre una nota, in questo caso il Mi a vuoto della seconda corda, al di sotto del basso reale. In molte parti Rossi affida al chitarrone semplici bicordi e non solo triadi o accordi pieni, e l'uso dello strumento nelle sue qualità polifoniche è rilevabile anche dalla diversa diteggiatura riservata in alcuni casi alla stessa imitazione melodica: nell'esempio riportato, lo stesso frammento melodico si svolge a battuta 23 in quinta posizione sulla quarta corda, ed a battuta 25 sulla prima corda, offrendo in tal modo una più chiara definizione polifonica. Es. 3.8 Trattamento polifonico del Chitarrone attraverso diverse posizioni nell'intavolatura batt. 23 batt. 25 identica linea imitativa 134 Anima del cor mio Il madrigale, tratto da un testo anonimo, ha per contenuto la tematica della separazione dolorosa, topos della poesia madrigalistica rinascimentale. Il testo sembra stato musicato solo da altri due autori: Benedetto Pallavicino, Il Sesto libro de madrigali a cinque voci, Venezia, 1600 Claudio Monteverdi, Libro IV de madrigali a cinque voci, Venezia, 1603 La struttura del testo è quella tipica del madrigale petrarchesco, formato da due terzine con distico finale a rima baciata; le rime delle terzine sono a specchio con schema ABCACB. Testo 295 Anima del cor mio, poichè da me, misera me, ti parti, s'ami conforto alcun a' miei martiri non isdegnar ch'almen ti segua anch'io, solo co'miei sospiri e sol per rimembrarti ch'in tante pen' e'n cosí fiero scempio vivrò d'amor, di vera fede esempio La divisione del madrigale in sezioni è stata attuata basandosi sulla centralità dei modelli cadenzali. Si possono quindi individuare due sezioni principali, una sezione A che comprende le terzine e mostra una completa aderenza tra frasi musicali e segmenti testuali, contraddistinta da sezioni omoritmiche ad ogni inizio di verso, ed una sezione B per il distico finale, caudato, che comprende tre frasi musicali su un tessuto polifonico serrato. 295 Forma poetica: aBCAcb DD 135 Una simmetria interna mostra la sezione A uguale per numero di battute alla sezione B. Tab. 3.5 Struttura musicale: Sezione A A1 B B1 Battute Cesura armonica 9-15 Fa M 1-8 A2 15-22 B2 22-32 Re M Re M Sol M Tonal type riconducibile a b - c1 - G, modo ipodorico trasposto, tempus imperfectum, segnatura C. L'incipit è a canone con ingresso affidato all'alto non rappresentato nel continuo, che inizia in omoritmia con il Canto. La melodia del primo verso si apre e chiude su un semitono cromatico discendente, in forma declamatoria e in una ritmica la cui figura puntata iniziale rafforza il cromatismo mentre un largo valore di semibreve sottolinea l'accento testuale. La parte di continuo presenta una cadenza sospesa sul primo movimento cromatico del Canto che tramite una cadenza imperfetta su Sol M (battute 2-3) conduce alla cadenza sospesa di cesura della frase con una formula cadenzale che in termini moderni si può descrivere con un passaggio I6 - IV - VI - IV - V: dopo un cambio modale, attraverso una cadenza frigia con clausole scambiate (la clausola cantizans intonata dall'alto e la tenorizans del basso sono riassunte nella parte del chitarrone) la discesa per semitono melodico nelle parti esterne conferisce un particolare risultato espressivo di tristezza malinconica. Es. 3.9 batt. 2-3, formula cadenzale. 136 Il secondo verso è intonato a battuta 3 dopo una netta cesura su una pausa generale; il primo emistichio è condotto in omoritmia mentre sul secondo è introdotto un breve passaggio imitativo. La linea melodica dell'intero verso è costituita da tre frammenti che racchiudono il significato poetico doloroso della partenza dell'amato, e che vedono ben tre crolli di quarta: dopo una caduta iniziale la melodia risale di semitono su un valore legato che accentua il monosillabo me, dopo un salto di quinta su un valore puntato si ha un secondo crollo di quarta che conduce per grado, con un piccolo melisma, sull'intonazione della stessa sillaba dopo la parola misera, a rafforzare il proprio stato di sventura, infine sulla conclusione testuale tu parti si ha il terzo intervallo di quarta discendente. In una sola frase musicale il compositore condensa tutta la drammaticità del testo, i cui elementi saranno variamente ripresi nel corso della composizione. A battuta 4 nella parte del Chitarrone è reperibile un accordo in quarta e sesta. Tale inversione sembra qui rendersi necessaria per non abbassare di una ottava il disegno imitativo che anticipa il canto nel mantenimento delle altezze sonore del basso vocale; si rilevano inoltre a tale livello alcune figurazioni autonome nel ribattuto della triade, nell'omissione di un frammento della parte imitativa del tenore che lascia libera espressione alla risposta imitativa del Canto, e nel salto di ottava su bordone che spezza la ritmica del basso vocale. Es. 3.10 batt. 4, elementi autonomi nella parte di Chitarrone 137 Nelle battute 3 e 5 si rilevano due accordi di Sol con quinta vuota, come a non voler raddoppiare la terza intonata dal Canto. La frase conclude su una cadenza sospesa. Il verso successivo, dal levare di battuta 6, inizia dopo una pausa di cesura in una condotta omoritmica nella quale si inserisce una temporanea intonazione in contrappunto del tenore, che si riporta subito sulla concordanza delle voci. Il ritmo, a note nere nel primo emistichio, si allarga fino a valori di semibreve nella seconda parte della frase. La linea melodica tra l'intonazione del primo e secondo emistichio presenta il crollo di quarta con il quale si era conclusa la frase precedente, e la fine del verso è riconducibile ad una imitazione variata dell'incipit del madrigale. Nella parte di Chitarrone l'armonia iniziale subisce un provvisorio mutamento di tono attraverso una cadenza semplice Sol M - Do m, a battuta 6 il passaggio accordale Do m Sib M presenta un parallelismo di quinta e ottava ed a battuta 8 la frase termina con una cadenza in Sol a risoluzione in maggiore con ritardo di quarta e terza. La sezione A2 inizia a battuta 9 e dopo una prima fase omoritmica, spezzata solo dall'entrata anticipata dell'alto (omessa nella parte di Chitarrone), prosegue fino alla fine in un ambito strettamente imitativo dove i versi trovano corrispondenza con la frase musicale attraverso cesure armoniche e criteri di concordanza delle voci. Dopo un iniziale declamato la melodia richiama il motivo dell'esordio nell'intervallo di semitono ascendente e discendente, per portarsi dopo un ulteriore respiro su un passaggio melismatico che conduce alla fine del verso. A battuta 10 una figura puntata del basso vocale non viene rispettata dal Chitarrone al quale è invece affidata una figura completamente autonoma in un bicordo su una pausa di cesura delle voci; dopo un'armonia di La M, il bicordo realizza un cambiamento di modo attraverso un cromatismo accordale che conduce alla cadenza composta su Fa di battuta 11, la cui diminuzione con un basso di bordone rappresenta un ulteriore elemento autonomo. Una breve eco della formula cadenzale che rispetta la parte polifonica del basso vocale, su un respiro di cesura del Canto, concatena l'episodio successivo. La linea melodica (battute 11-12) disegna un profilo ondeggiante intorno il tono di recita ed il tessuto armonico assume un'alta valenza espressiva nell'avvicendamento dei mutamenti di tono attraverso un passaggio armonico maggiore/minore sul tono di Sol. 138 La cadenza composta del Chitarrone sul tono di Re viene a realizzarsi con un primo accordo di La M in quarta e sesta, nel rispetto dell'andamento delle parti, e la semibreve del basso vocale è diminuita da un accordo ribattuto che introduce il basso reale nella sua ottava inferiore. A battuta 13 ha inizio una nuova concatenazione dei segmenti testuali attraverso una più stretta fase imitativa, l'intonazione del tenore viene proposta nel Chitarrone che riunisce senza soluzione di continuo la linea melodica sulla risonanza dell'accordo finale della precedente clausola, in un breve momento solistico che anticipa l'idea melodica del verso successivo. Es. 3.11 batt. 13, imitazione del Chitarrone La melodia del Canto entra in imitazione variata sul levare di battuta 14, mentre il continuo riprende la linea del basso vocale che imita l'entrata del tenore all'ottava inferiore, concludendo con una diminuzione ritmica indipendente. L'intonazione del Canto, per la disposizione dei segmenti testuali nella parte polifonica, è qui contratto in una unica semifrase che si arresta su un lungo tacet, a battuta 15, interrompendosi su una clausola frigia: il Canto sale per tono e il basso scende per semitono, la clausola è diminuita da un ritardo nel canto a sua volta seguito da un ritardo di quarta e terza del continuo (battuta 15); la brevità di questo verso che chiude la sezione A fa eco alla brevità del precedente. In questo punto si può porre l'inizio della sezione B, nella resa unicamente strumentale del gioco imitativo delle voci interne nella concatenazione tra le due sezioni in una rielaborazione dello stesso materiale tematico; nel procedimento accordale del Chitarrone si inserisce l'elemento scalare ascendente dell'anticipazione imitativa dell'alto, mentre dopo una variante ritmica l'ultima imitazione del basso si contrae nella nota di 139 passaggio che porta alla cadenza in Sol di battuta 17, alla quale segue finalmente l'entrata del Canto. Es. 3.12 batt. 15-17, fase solistica del Chitarrone La sezione B si contraddistingue per l'iterazione di alcuni segmenti testuali e dell'intero verso finale e per il tessuto imitativo che, stemperato da valori più larghi, assume una diversa valenza drammatica. Come già osservato il Chitarrone riveste un ruolo melodico oltre che armonico nel mantenere le fasi più salienti del contrappunto sul tacet del Canto. Il verso intonato dal Canto a battuta 17 riprende in aumentazione la precedente enunciazione dell'alto, dopo lo slancio del veloce elemento scalare giunge all'acme da cui ridiscende per retrogradazione e dilatazione terminando su una pausa di sospiro; nel Chitarrone una diminuzione su un salto di ottava su bordone sostiene l'entrata del Canto. Il passaggio tra i due emistichi è sottolineato nel continuo da una cadenza su Sol con ritardo di quarta terza. In questo punto si viene a realizzare una situazione emblematica tra il Chitarrone e le parti polivocali: un La viene intonato dall'alto su una triade di Sol minore del Chitarrone. Tale inaccettabile incongruenza trova soluzione solo nella ristampa di Phalèse del 1618, che sostituisce la parte di Chitarrone con una parte di basso continuo dove il basso cifrato riporta un Re con quarta e terza. Non si ritiene plausibile pensare ad un errore nell'intavolatura e provvedere ad un emendamento in quanto si dovrebbe alterare completamente l'originale la cui posizione non consente una correzione del Si bemolle. Nella versione per voce sola l'accordo originale di Sol, che scende su una settima per andare su una sesta di Do, sembrerebbe una scelta precisa; l'armonia di Sol minore risulta congrua rispetto la linea del Canto se non si tiene conto delle altre parti vocali e dal punto di vista espressivo il momento di dolorosa rassegnazione viene ben sostenuto dalla neutra 140 insistenza su tale accordo. La questione diventa rilevante per due ordini di motivi: la tendenza a confermare che l'intavolatura non rappresenta una mera verticalizzazione delle parti vocali ma una parte a sè stante, e la conferma dell'ipotesi che la parte di Chitarrone era riservata unicamente all'accompagnamento a voce sola come si discuterà nelle conclusioni. Il Canto prosegue sul levare di battuta 21 con una ripetizione testuale del secondo emistichio imitato alla quinta inferiore, racchiuso tra due pause di cesura, mentre l'armonizzazione sul lungo tacet del basso è realizzata sull'anticipazione imitativa della parte del tenore. A battuta 22 una cadenza composta su Re M sottolinea con fermezza la cesura armonica e polivocale alla quale segue una brevissima fase omoritmica, che amplifica l'enfasi della ripetizione testuale affidata alla figura dell'anafora su figure ascendenti. Sul levare di b 24 dopo una pausa generale si riapre la fase imitativa che viene mantenuta sino alla fine del brano. La melodia, dopo aver raggiunto il climax sulla parola 'Amor' ripiega attraverso un veloce salto d'ottava su un lungo melisma che conclude sulla cadenza in Sol m di battuta 27. Il continuo accompagna il lungo vocalizzo distaccandosi dalle figurazioni a note larghe, utilizzando valori diminuiti con accordi ribattuti e salti del basso all'ottava inferiore sui bordoni; a battuta 25 viene a formarsi un parallelismo tra gli accordi di Fa e Sol. La frase chiude con una sovrapposizione della cadenza composta del Canto e del Chitarrone, raro esempio di raddoppio della parte del Canto nel continuo. Il verso di chiusura, ripetizione testuale del precedente nella sua interezza, inizia dopo una pausa generale sul levare di battuta 28. Il Canto, dopo una ripresa dell'inciso di battuta 24 ad un diverso livello sonoro, prosegue su una linea melodica discendente a valori lunghi coprendo una distanza intervallare di settima che, nella prima parte, richiama il retrogrado in aumentazione dell'elemento scalare delle battute 18-19. E' questa una fase molto particolare, dove il Canto rimane a lungo su valori di semibreve e la parte del Chitarrone si fa molto articolata, unendo la movimentata linea del basso in 141 note nere con l'accompagnamento accordale, in un trattamento ancora una volta melodico oltre che di fondamento, come da esempio riportato. Es. 3.13 batt. 28-30, accompagnamento del Chitarrone La melodia si avvia quindi alla fine con una veloce salita melismatica che sfocia con una ripida discesa nella cadenza composta su Sol M, diminuita dal Chitarrone con un salto di ottava su bordone. 142 Udite lacrimosi Il brano è tratto dall'inizio della scena VI dell'atto III del Pastor Fido di Guarini,296 favola pastorale in forma unitaria in cinque atti, con cori, in endecasillabi e settenari. Il testo deriva dal lamento amoroso di Mirtillo in un dialogo con Corisca. Fu messo in musica dai seguenti compositori: Luca Marenzio Il sesto Libro a cinque voci, Venezia, 1594 Jacques de Wert Madrigali a 5 - Libro 11, Venezia, 1595 Lucia Quinciani Affetti Amorosi, Venezia, 1611, raccolta di Marcantonio Negri297 Claudio Saracini Le seconde musiche, Venezia 1620 298 Sigismondo d'India Settimo libro de madrigali a 5 voci, Roma, 1624 Alessandro Grandi Madrigali concertati a due, tre e quattro voci per cantar, e sonar nel clavicembalo, o altro simile stromento, Venezia, 1626.299 L'articolazione dei versi privi di rime permette un trattamento libero della forma in una polimetria che vede alternati metri diversi: endecasillabo, settenari, settenari doppi. L'uso di questi ultimi, che entrano in uso nel '600 avanzato, denota lo spirito innovatore del compositore; la struttura musicale si avvale spesso dell'enfasi iterativa di alcuni versi, nella versione a voce sola l'intonazione di alcuni segmenti testuali all'interno della Giovanni Battista Guarini. Il pastor fido: tragicommedia pastorale di Battista Guarini. Ferrara. 1599. p. 114. Risorsa digitale: URL consultato il 15.01.2015 <http://www.opal.unito.it/psixsite/Teatro%20italiano%20del%20XVI%20e%20XVII%20secolo/Elenco%20op ere/image482.pdf> 296 Veramente scarse le notizie riguardo a Lucia Quinciani (c. 1566, fl. 1611), prima tra le compositrici a pubblicare in stile monodico e conosciuta per questa unica composizione a noi arrivata, 'Udite lagrimosi Spirti d'Averno', trovato nella raccolta di Marcantonio Negri ' Affetti Amorosi' in cui Negri, maestro di Cappella alla Cattedrale di Verona, si riferisce a Quinciani come ad una sua allieva. in Women and music. IAWM Journals. Vol. 1. 1995. p. 99 297 Monteverdi appare come il dedicatario del madrigale: 'Dedicato al Molto illust.re sig. Claudio Monteverdi'. in Claudio Monteverdi. The Letters of Claudio Monteverdi. a cura di Denis Stevens. Cambridge University Press. 1980 p. 219 298 299 Inserito tra i brani a due voci 143 polifonia cambia la sequenza di alcune ripetizioni, e le frasi seguono solo la logica del contesto testuale e della tensione poetica rappresentata. Dal punto di vista macroformale il madrigale è suddivisibile in tre sezioni irregolari per numero di battute, definite dal materiale tematico e dalle cadenze principali e caratterizzate da un diverso aspetto drammatico. La prima parte raffigura l'invocazione agli spiriti per le proprie sofferenze d'amore, la seconda parte dipinge la donna crudele nel suo rifiuto, la parte conclusiva assimila la propria condizione alla morte. Tale suddivisione macroformale di tipo concettuale richiama la successiva intonazione di 'O Mirtillo, Mirtillo, anima mia' del Quinto libro di madrigali a cinque voci di Monteverdi, pubblicato nel 1605. Testo 300 Udite, lacrimosi spirti d'averno, Udite nova sorte di pen' e di tormento; Mirate crud' affetto In sembiante pietoso. La mia donna crudel, più del inferno, (Perch'una sola morte) Non può far satia la sua ingorda voglia E la mia vita è quasi una perpetua morte Mi comanda ch'i'o viva, Perché la vita mia Di mille mort' il dì ricetto sia Il testo tra parentesi indica che l'intonazione del segmento da parte del Canto non si trova in quella posizione nella versione accompagnata 300 144 Tab. 3.6 Struttura musicale Sezione A A1 B - C Battute Cesura armonica 8-12 Do M 25- 29 Sol m 1-8 A2 12-24 C1 C2 29-36 Re M Sib M Sol M Il brano è riconducibile al Tonal type b - c1 - G, modo ipodorico trasposto, tempus imperfectum, segnatura C. L'incipit è a canone con ingresso del Canto su un ictus acefalo, accompagnato solo dal Chitarrone su ritmo tetico. Il motivo conduttore dell'intero brano è riconducibile all'intervallo di terza minore del primo inciso. La sezione A è omoritmica, ma come spesso avviene nella procedura compositiva di Rossi l'omoritmia è spezzata in alcuni punti dalle voci interne con brevi frammenti imitativi che attuano la coesione dei segmenti musicali. In questa prima parte i segmenti testuali coincidono con le frasi musicali, la sezione è divisibile in due periodi riconoscibili per i piani cadenzali e per la concordanza delle voci. La prima frase si estende da battuta 1 a battuta 4, formata da un endecasillabo a maiore. La melodia, in stile declamatorio, inizia con un'esclamazione che intona un intervallo di terza minore su una sincope, in una accentuazione sillabica che determina fin dall'inizio un clima di tesa sospensione; dopo una cesura di pausa prosegue su un declamato e sale per grado congiunto di terza maggiore su un valore lungo, a sottolineare nuovamente l'accentuazione testuale, per ridiscendere con un salto di quinta su una imitazione variata dell'incipit. L'immobilità dell'armonia iniziale sul tono di Sol sembra evocare l'oppressione dell'immagine verbale, il cambio di tono con un crollo di quarta al basso crea una momentanea tensione armonica su una cadenza sospesa di Sib M all'acme della melodia, il ritorno a Sol chiude il verso con una debole cesura armonica. La parte di Chitarrone si distingue per l'entrata autonoma in tesi sull'iniziale vaghezza della quinta vuota di Sol, per il sostegno al canto con un accordo aggiunto su una pausa 145 generale delle voci interne e per un salto di ottava su bordone come elemento ritmico autonomo. La seconda frase si svolge dal levare di battuta 5 a battuta 8 su un tessuto imitativo che rinforza l'esclamazione iniziale nella figura retorica dell'epizeusi. Il verso è qui costituito da un settenario doppio, e gli accenti testuali sono sottolineati da valori larghi di semibreve. La voce del Canto inizia dopo la cesura di un respiro condiviso dal Chitarrone sul contrappunto delle altre parti vocali. La linea melodica, dopo l'intonazione dell'incipit alla seconda superiore, prosegue su un salto di quarta discendente e riprende l'elemento motivico iniziale con andamento scalare; dopo un disegno a gradi disgiunti approda ad un passaggio su un semitono cromatico, sulla sottostante cadenza di Re M. Rispetto la prima frase, dove l'armonia permaneva a lungo sul tono di Sol come sostegno statico del declamato, l'inizio di questa seconda frase si svolge su un gioco di progressioni armoniche con mutamenti di tono fino alla conclusione del periodo A1 con una cadenza composta di tipo conclusivo su Re M. La parte di Chitarrone presenta un suo ruolo autonomo nell'accompagnamento con valori lunghi che non rispettano il ritmo del basso o del tenore (battute 5, 6 e 7) e con una diminuzione cadenzale con salto di ottava a battuta 7 non presente nelle altre parti. Es. 3.14 batt. 7, diminuzione cadenzale del Chitarrone Nella sezione A2 il terzo verso, dal levare di battuta 9 a metà di 10, prosegue in stile imitativo e la linea melodica si svolge nell'ambito dell'idea tematica iniziale su un basso scalare discendente. Pur nel mantenimento dell'intervallo di terza minore il mutamento del tono di Sol in maggiore determina un espressivo cambiamento affettivo; ancora una volta il Chitarrone è in omoritmia con il Canto rispetto la ritmica delle altre parti. La frase termina su una cadenza sospesa di Re M sulla concordanza delle voci. 146 L'ultimo verso della prima parte ritorna all'omoritmia iniziale dopo una pausa di cesura delle voci interrotta solo dall'anticipo dell'intonazione dell'alto, in un procedimento di unione tra i versi che viene mantenuto nel Chitarrone con una singola nota che rilancia la frase musicale in ritmo variato rispetto l'entrata dell'alto; la melodia è qui caratterizzata da un nuovo sviluppo musicale che raggiunge il massimo grado di tensione su una dissonanza cromatica di passaggio, un ritardo con nota sfuggita, sulla cadenza composta di Do M che chiude la frase (battuta 11). L'accompagnamento, ritmicamente regolare, nella cadenza finale elemento autonomo una diminuzione con un salto di ottava su bordone. presenta come Prima di giungere alla fase cadenzale di battuta 11 nella parte di Chitarrone è presente un accordo ribattuto di Do M su un cambio di posizione che rivela l'acquisita padronanza dello strumento nella conduzione delle voci; il passaggio cadenzale mantiene nelle posizioni dell'intavolatura una chiara esposizione del ritardo di quarta e terza, che porta al successivo accordo di Do con raddoppio dell'ottava. La trascrizione in notazione moderna non riesce a tener conto ed evidenziare tali peculiarità dello strumento che nell'ambito dell'accordatura rientrante ha una propria tecnica nel mantenere le linee vocali al di là della sovrapposizione accordale. Es. 3.15 Udite lacrimosi, batt. 11, soluzioni tecniche nell'intavolatura La sezione B (battute 12-24) si svolge tutta in stretto contrappunto nell'enfatizzazione delle iterazioni testuali; il senso rafforzativo delle ripetizioni viene sottolineato dalla fluidità incalzante dei segmenti testuali senza cesure nette, solo nell'accompagnamento è rilevabile qualche debole cadenza intermedia in passaggi armonici sui quali il testo non lascia spazio a cesure. L'unica clausola vera che comprende sia una cadenza armonica che la concordanza delle voci in omoritmia si trova solo alla fine dell'intera sezione. 147 Il materiale melodico contiene tutti gli elementi tematici della prima parte in variazione, ed anche il ritmo si presenta variato con figure nere, figure puntate e crome che rendono il tessuto febbrile amplificando l'espressività del testo ed appoggiandosi su valori più lunghi solo in corrispondenza dell'accento tonico finale del verso. Possiamo distinguere due frasi principali irregolari: la prima è contraddistinta dall'effetto drammaturgico dell'epizeusi nella triplice ripetizione del settenario tronco 'La mia donna crudel' sulla stessa figurazione musicale; la seconda dalla figura di anastrofe che si viene a creare nella parte del Canto con la ripetizione del quinario 'non può far sazia' dopo l'intonazione del precedente verso nel contesto polifonico, che rimane pertanto sottinteso strumentalmente nella versione a voce sola. Continuando dal verso precedente per giustapposizione, senza respiro, a battuta 12 il Canto con un slancio di quinta discendente si porta su un elemento ribattuto per risalire velocemente per grado congiunto a coprire una distanza di quarta. La stessa figurazione appare nell'inciso della seconda ripetizione a battuta 13, con imitazione alla seconda superiore (che caratterizzava il secondo verso della sezione A) e ravvisa il movimento scalare delle battute 9-10 nel suo retrogrado inverso per diminuzione, indicando come il materiale tematico sia sempre connesso con artifici contrappuntistici. Es. 3.16 batt. 13 e 9, confronto materiale melodico della parte di Canto batt. 13 batt. 9 Il Chitarrone presenta due elementi ritmici autonomi nelle diminuzioni con salto di ottava su bordone (battute 11-12). Nella terza ripetizione il segmento musicale si ripete all'altezza originaria ma con un mutamento di tono in Sol maggiore, giunto alla nota più acuta ne ridiscende per moto scalare in una figura che richiama il materiale di battuta 4. Tali esempi imitativi mostrano come tutto sia strettamente correlato in un sapiente contrappuntismo, che qui mantiene un alto livello di tensione espressiva per la struttura serrata. 148 L'accompagnamento del Chitarrone integra le risposte imitative del basso vocale con le armonie in un incastro dialogato, la progressione armonica genera una cadenza semplice su ogni inizio del segmento testuale. Es. 3.17 batt. 12-13, incastro dialogico delle parti A battuta 14 il Chitarrone presenta una figura ritmica puntata assente nelle altre parti ed un parallelismo di ottava tra il secondo e terzo movimento. L'armonia di Re M di battuta 15 non è una vera chiusa, in quanto si sovrappone con l'anticipo del verso successivo in un contrappunto ancora più stretto della fase precedente: sul tacet del Canto, la parte di Chitarrone senza soluzione di continuità integra in modo melodico il verso intonato in successione da tenore e quinto; a questo livello nell'ambito della stretta alternanza imitativa si genera un paradosso testuale per cui l'intonazione posticipata del Canto del segmento testuale 'Perch'una sola morte' si trova ad essere omesso nella versione a voce sola. L'emistichio sottinteso, introdotto dal tenore sul levare di battuta 15, viene espresso strumentalmente nelle sue ripetizioni dal Chitarrone, in una breve parte solistica, fino all'entrata del Canto sulla ripetizione del secondo emistichio (battuta 16). A battuta 17 un accordo in quarta e sesta permette il mantenimento della conduzione delle parti nel salto di quarta ascendente della linea del basso vocale, l'imitazione che segue è armonizzata su una ritmica indipendente dal basso. Da battuta 18 la linea melodica va incontro un ampliamento che determina un cambiamento affettivo, l'imitazione della seconda ripetizione cade su un intervallo discendente di quarta, preannunciando la figura dolorosa della morte di battuta 20 del verso posposto, e finalmente intonato, che senza cesure incalza la successiva iterazione testuale. Sulla fine del verso (battuta 22) la melodia discende per grado congiunto terminando su un semitono diatonico, in una lunga fase di ampliamento del valore 149 ritmico che, oltre all'effetto rafforzativo del concetto testuale, determina una fase di stacco rispetto il carattere vivace della sezione successiva. La parte di Chitarrone, condensando tutti i passaggi imitativi, risulta invece molto incalzante e vivace; le imitazioni di tutte le parti vocali che subentrano l una all altra sembrano comunque tenere conto delle caratteristiche dello strumento introducendo alcuni aggiustamenti: ad esempio a battuta 16 la sequenza dell'alto presenta un Mi che sale a Fa, mentre nel Chitarrone ripiega su un Re. E' questo un altro importante elemento a conferma dell'accordatura rientrante. Es. 3.18 batt. 16, Alto e Chitarrone Nel contesto imitativo a battuta 18 si assiste ad un elemento che assume una particolare rilevanza: l'assegnazione al Chitarrone di una specifica linea polifonica che non ha riscontro nelle altre voci, mentre l'accordo di La m in quarta e sesta mantiene l'andamento della linea imitativa. A battuta 19 sull'ultimo movimento si realizza una linea spezzata: nell'imitazione dell'alto il Mi, che come visto nell'esempio precedente ripiegava sul Re, viene intavolato all'ottava inferiore per salire a Fa; il cambiamento del basso reale è solo apparente in quanto in fase esecutiva il Mi, segnato a vuoto sulla seconda corda, non possiede l'impulso di basso. Es. 3.19 batt. 19 Alto e Chitarrone, linea melodica spezzata dall'abbassamento di ottava 150 Un elemento del tutto autonomo è invece rappresentato dall'imitazione del Chitarrone della linea del Canto a battuta 20, in un frammento melodico che non sussiste nelle altre parti. La lunga fase imitativa del Chitarrone si conduce fino alla cesura intermedia del passaggio Re m - Sol m con ritardo di quarta e terza di battuta 22. Nella battuta successiva la dissonanza di settima del Canto non è raddoppiata nell'accompagnamento, ed è presente un parallelismo tra Sol m e Fa M. La sezione termina con una cadenza semplice su Sib M nella simultaneità di tutte le parti vocali. Dal punto di vista sintattico il periodo risulta formato da un endecasillabo, un settenario (posticipato dal Canto ma sottinteso strumentalmente dal Chitarrone), un endecasillabo. Le frasi musicali non coincidono con il livello della sintassi dei versi; su un livello di segmentazione musicale possiamo individuarle solo in base a cesure intermedie o clausole melodiche fino alla conclusione con una cadenza semplice su Sib M. La sezione C inizia a battuta 25 e comprende due fasi di cinque e sette battute, omoritmica la prima e strettamente imitativa la seconda, suddivisibile in una parte C1 e C2. Dal punto di vista testuale C1 è costituito da un endecasillabo ed un settenario, C2 da un settenario ed endecasillabo. L ultima sequenza testuale rappresenta un gioco iterativo, l'intero verso è intonato tre volte e due ripetizioni si svolgono incastonate in un iperbato che spezza in due la prima ripetizione. Il discorso musicale pur mantenendo cellule melodiche e ritmiche delle sezioni precedenti si prefigura come un netto contrasto ed introduce nuovi importanti elementi tensivi e rappresentativi, dove gli accenti del testo vengono sempre enfatizzati da note più lunghe. Le due frasi principali sono riconoscibili sia per il criterio della concordanza delle voci che per le cadenze armoniche, ma al loro interno presentano cesure intermedie che sottolineano i segmenti testuali e le loro ripetizioni. Nella prima parte, omoritmica, ad inizio acefalo, il canto si porta su un ardito salto ascendente di sesta maggiore, dal quale ridiscende prima per tono e poi con salto di quinta per proseguire con moti ascendenti e discendenti di grado fino alla sillabazione tua morte , che richiama l'elemento ritmico melodico dell'incipit nel salto di terza 151 minore prima di scendere per semitono diatonico. Es. 3.20 batt. 26-27, Canto: confronto materiale melodico batt. 26-27 batt. L estensione di ottava discendente in cui è racchiusa la semifrase evoca il precipizio testuale della perpetua morte . L accompagnamento, basato su una serie di cambiamenti di tono nel brevissimo spazio sonoro, è omoritmico e conclude su una cadenza sospesa del tono di Re; l'armonia di Re minore è espressa in quarta e sesta per permettere la discesa del basso per semitono cromatico, mentre l'armonia successiva di La M si può considerare solo apparentemente in quarta e sesta per la risonanza del basso che la precede. La seconda frase inizia dopo una pausa di cesura che rafforza la precedente sospensione cadenzale, i versi successivi confluiscono nella parte C2 (levare di battuta 30) senza soluzione di continuo, attraverso una cesura intermedia su Sol dell accompagnamento con ritardo di quarta e terza non presente nelle parti vocali e che si pone in discordanza con la cadenza dell'alto. L ultima intonazione testuale, dal levare di battuta 30, entra in una fase di stretto contrappunto con una costruzione melodica di estrema efficacia nel trattamento della cellula motivica iniziale. In un andamento a scalini, quasi singhiozzante, l intervallo di terza minore viene riproposto ad intervalli di seconda inferiore generando alcuni cromatismi; la caduta di ottava nella riproposizione del segmento musicale sembra evocare l estensione di ottava discendente della frase precedente nel ribadire il concetto di morte. Es. 3.21 batt. 29-31, linea melodica del Canto 152 La linea del basso, formata da un elemento scalare, viene imitata alla sua quarta inferiore. La prima ripetizione testuale è sottolineata da una cesura interna su una cadenza semplice a a Sol m; la clausola vera di battuta 32 alla fine del segmento testuale, su una cadenza composta di Re diminuita dal Chitarrone, non interrompe il flusso del brano che prosegue senza respiro su un diverso contesto imitativo dove l enfatizzazione degli accenti testuali con valori più lunghi viene amplificato dall'andamento sincopato che contraddistingue la ripresa dell'ultima ripetizione 'Di mille morti il dì'. A battuta 33, sul disegno imitativo del gioco di terze minori ascendenti, un madrigalismo rafforza e sottolinea la parola 'morte' attraverso una falsa relazione. Esempio 3.22 batt. 33, falsa relazione sulla parola 'morte' Dopo una nuova caduta nell'ambito di un'ottava discendente, la linea melodica conclude attraverso una pausa di cesura su un elemento scalare che approda al maggiore nell'ambito della cadenza finale composta di Sol, diminuita nel Chitarrone con un salto di ottava su bordone. Lo scopo rafforzativo delle ripetizioni testuali conferiscono al brano tutta la potenza espressiva tipica del linguaggio di Rossi nonostante l'uso misurato di madrigalismi. 153 Tirsi mio caro Tirsi Il brano è tratto dalla scena V dell'atto IV del Pastor Fido di Guarini.301 Il testo originale è formato da un monologo di 13 versi sciolti nel contesto di un dialogo tra Aminta ed il padre Nicandro, ed inizia con 'Padre mio, caro padre'. Marenzio, che lo mise in musica nel 1595, per ovviare alla situazione troppo specifica del poema ne rimaneggiò il testo con elisioni e cambiamenti di significati, sostituendo la parola 'padre' in 'Tirsi' e 'figlia' in 'Filli'; la preghiera al padre della protagonista divenne così un lamento per la perdita dell'amato. Da allora la versione di Marenzio fu usata come testo di riferimento, ed il brano poetico venne messo in musica da pochi altri compositori. Luca Marenzio, Il Settimo libro de madrigali a cinque voci, Venezia, 1595 Felice Anerio, Secondo libro de madrigali, Venezia, 1608 Giovanni Ghizzolo, Madrigali et arie per sonare et cantare nel chitarone, liuto o clavicembalo. Libro secondo, Venezia, 1610 Testo Tirsi mio, caro Tirsi E tu ancor m'abbandoni? Così morir mi lasci, e non m'aiti? Almen, non mi negar gl'ultimi baci Ferirà pur duo petti un ferro solo Verserà pur la piaga Di tua Filli il tuo sangue Tirsi, Tirsi un tempo sì dolce, e caro nome, Ch'invocar non solevi indarno mai, Soccorri a me tua Filli Che, come vedi, da spietata sorte Condotta son a cruda empia morte 301 Giovanni Battista Guarini. Il pastor fido. op. cit., p. 158. 154 Tab. 3.7 Struttura musicale Sezione A A1 B - Battute Cesura armonica 14-22 Sol M 1-13 A2 22-38 Re M Sol M In modo misolidio e tempus imperfectum, segnatura C, il brano risulta ascrivibile al Tonal type  - c1 - G Il testo alterna variamente settenari ed endecasillabi, in versi sciolti ad invenzione continua, con alcune figure retoriche iterative nella parte finale. Il ritmo è molto variato, sia nelle parti omoritmiche che contrappuntistiche, e sottolinea con valori più larghi gli accenti testuali generando spesso tratti sincopati. Strutturalmente possiamo considerare tre sezioni principali irregolari con forma AAB, al cui interno i segmenti testuali corrispondono alle frasi musicali; la sezione A è prevalentemente in stile recitativo mentre la sezione B ha uno stile arioso. La prima sezione, con incipit a canone, si conduce in una omoritmia delle parti polivocali interrotta da alcune intonazioni anticipate del Canto le quali, dopo l'iniziale sfasatura, si riconducono alla concordanza nella parte finale del segmento testuale. In stile recitativo, il Canto intona l'invocazione iniziale su un passaggio di semitono cromatico in un ritmo acefalo e sincopato; l'accompagnamento a larghi accordi ha inizio tetico e l'inciso chiude sulla cadenza misolidia di Sol (il basso scende di tono, nel canto la sesta maggiore va all'ottava). L'invocazione del nome di Tirsi è isolata da una pausa generale, solo dopo tale cesura viene enunciata la radice tematica del brano in un elemento discendente racchiuso in un intervallo di quarta, raggiunto con un improvviso salto ascendente di sesta maggiore. Il primo verso conclude a metà di battuta 3 con un breve mutamento di tono su una cadenza sospesa del tono di La, la parte del continuo presenta un salto di ottava su bordone non contemplato nel basso vocale. 155 Il secondo verso inizia per giustapposizione sul levare di battuta 4 con un declamato a note ribattute che conduce all'ascesa scalare della melodia su una terza minore nell'intonazione di un doloroso 'm'abbandoni'; la linea quindi confluisce senza respiro, per sovrapposizione, con l'inizio del successivo endecasillabo sul levare di battuta 5: attraverso un salto di quinta discendente ripercorre nuovamente un elemento ribattuto in variante ritmica, dopo una salita di grado scende per moto congiunto a ricoprire un crollo di quarta nell'analogia testuale dell'abbandono con la morte. Nell'accompagnamento a battuta 4 il salto di quarta della melodia genera nel Chitarrone una triade di La m in quarta e sesta come cadenza intermedia per portarsi in tono di Sol, a battuta 6 giunge su una nuova cesura intermedia con un accordo di La M in quarta e sesta ma tecnicamente, anche per il raddoppio del La, la sequenza scalare che ripercorre la linea melodica del basso vocale non viene disturbata dal Mi più basso dell'accordatura rientrante. Il verso successivo viene intonato dal Canto a battuta 6 con un procedimento di giustapposizione analogo al precedente, in anticipazione rispetto le altre parti in pausa generale e in un rafforzamento della valenza affettiva conferita dal valore largo dell accento sulla seconda sillaba; il salto di quarta ascendente della melodia viene imitato dal basso e porta ad una cadenza intermedia su Re M. Nella parte di Chitarrone a battuta 7 l'accordo ribattuto di Re con salto di ottava su bordone appare come elemento del tutto autonomo; la frase chiude a battuta 8 con una cadenza semplice su Sol, con un ritardo di quarta e terza del continuo che non è espresso da altre parti vocali creando una incongruenza con la cadenza intonata dall'alto, situazione che avvalora l'ipotesi di una versione pensata per voce sola. Il verso che inizia a battuta 9 interrompe inaspettatamente l'atmosfera di cupa malinconia introducendo un momento incisivo di contrasto ritmico, accentuato dall'andamento omoritmico, su un vivace tessuto di note nere nel quale si inserisce un animato breve melisma del Canto; l'accompagnamento sostiene il canto con fitti passaggi accordali che generano un parallelismo tra Fa M e Sol M, ed a battuta 10 il verso chiude con una cadenza composta su Re M, diminuita nel ritmo in modo autonomo. L'ultima intonazione della sezione (battuta 11) torna ad una più pacata atmosfera recitativa ma subito raggiunge un nuovo acme attraverso due salti disgiunti per avviarsi 156 ad una caduta discendente di ottava che termina sulla parola 'sangue'. Anche qui l'accompagnamento è fortemente accordale e omoritmico ed a battuta 13 si chiude in modo netto tutta la prima esposizione con la forte cesura della cadenza composta su Re M, ancora una volta autonomamente diminuita. La sezione considerata A1 inizia a battuta 14 e riproduce sia l incipit a canone che il procedimento dell'accorata esclamazione isolata dell'esordio, imitata per contrazione su un unico salto di quinta discendente; il continuo anticipa l entrata del Canto in relazione alle altre voci e chiude l invocazione su una cadenza semplice di Sol. Il brano continua in una riproposizione variata del contenuto tematico e della struttura della sezione A, la riproduzione della fase di contrasto iniziata dal Chitarrone sul levare di battuta 19 attua un nuovo mutamento affettivo nello slancio di un gioco di salti di quarta che viene a creare un momento dialogico tra il Canto ed il Chitarrone, incatenando la figura retorica dell'anafora all'epizeusi in una energica esaltazione dell implorazione del testo 'Soccorri'. La parte del continuo, costruita su progressioni armoniche, si porta su un'armonia di Re minore che nel successivo passaggio al maggiore determina un momento molto espressivo di slancio armonico nella fase imitativa con il canto per una pausa che spezza il ritmo del basso vocale. Es. 3.23 batt. 19, Canto e Chitarrone A battuta 20 dopo un breve respiro di pausa la voce del Canto intona l'intero verso amplificato nella replica della stessa idea melodica: l'enfasi ritmica delle precedenti note nere e del ribattuto viene dilatata in note legate, e l'affetto prima incalzante e perentorio si trasforma in una più rassegnata supplica sull elemento della sincope, che diventerà parte determinante dell'ultima sezione del brano. 157 L'accompagnamento, nell'ambito di una nuova progressione accordale, sostiene in controtempo il canto; la sezione chiude quindi su una cadenza semplice a Sol M con ritardo di quarta e terza. A parte il materiale ritmico-melodico e i valori lunghi posti sui principali accenti del testo, le due sezioni A e A' condividono due aspetti importanti: l'invocazione iniziale, ed il contrasto improvviso di una breve frase animata all'interno di un pacato tessuto che sembra sfruttare sia l'espressività del recitativo che dell'arioso, unitamente all'alternanza di omoritmia e di fasi imitative spesso incalzanti che sottolineano l'enfasi dei segmenti testuali. La sezione B si apre a metà di battuta 22, su una pausa di cesura del canto e il tacet delle altre voci interrotta solo dall'entrata a canone dell'alto (la linea di basso continuo del 1618 subirà un cambiamento raddoppiando l'alto). Nel primo emistichio dell endecasillabo a minore la melodia, per moto contrario all alto, intona con incisivo slancio ritmico una breve ascensione scalare; nel secondo emistichio, dopo una pausa di silenzio, sale di quarta per ridiscenderne per grado e risalire di terza minore per preparare la cadenza; nella proposizione melodica è riconoscibile il materiale tematico della precedente sezione A. La parte del Chitarrone a battuta 22, sul tacet delle altre parti, si contraddistingue per l'accompagnamento del tutto autonomo al Canto su una successione di terze, che prosegue nella battuta successiva in accordo con l'entrata del basso vocale. Es. 3.24 batt. 22, parte di basso e procedimento autonomo del Chitarrone 158 Alla fine di battuta 24 si insinua una inaspettata figura ornamentale che non compare in nessuna parte vocale. Es. 3.25 batt. 24, figura ornamentale del Chitarrone Nella battuta successiva un accordo di Sol viene ribattuto senza rispettare il ritmo puntato del basso vocale, privato della quinta per evitare il raddoppio della dissonanza espressa dal Canto che viene a realizzarsi sul ritardo successivo scendendo sulla sesta maggiore per andare in cadenza; tale omissione comporta nel Chitarrone un andamento delle parti che va a costituire un intervallo di tritono Sol- Do #. L'ultimo verso è intonato dopo la cadenza in Re M ed una pausa generale, contraddistinto da ripetizioni testuali. Il primo emistichio e la sua ripetizione si svolgono in omoritmia, su un elemento scalare ascendente del Canto rafforzato dalla figura retorica dell'epizeusi nella riproposizione alla quarta superiore. L'interposta cesura generale imprime un nuovo slancio al raggiungimento del climax sul levare di battuta 29 da cui, senza interruzioni, la melodia intraprende una caduta a note larghe, in un lungo atteggiamento sincopato che conferisce alla frase un alto senso di drammaticità, concludendo con un breve ornamento sulla parola 'morte'; l'intervallo della caduta copre un intervallo dissonante di nona, a rappresentare l'orrido precipizio non solo con l'uso di cromatismi interni ma attraverso una visione delle dissonanze più ampia. L'accompagnamento accordale del Chitarrone viene a trovarsi in forte dissonanza a causa dei ritardi della linea melodica nel procedimento sincopato del Canto che genera contrasti di seconda.302 A battuta 31 il ritmo si diversifica per un salto di ottava su bordone, e la frase termina su una cadenza a Re M (battuta 32). 302 A battuta 30, sul terzo movimento, un presumibile errore nell'intavolatura genera un doppio contrasto di seconda non tollerabile nella prassi polifonica, che viene emendato con l'omissione del La nella trascrizione come riportato nell'apparato critico. 159 L'ultima ripetizione testuale dell'intero verso si svolge su una stretta imitazione dell'intonazione precedente, dopo una nuova pausa generale di cesura. La melodia riprende lo stesso inciso scalare della prima proposizione delle battute 26-27, portandosi poi con un salto ascendente su un intervallo di quarta per ripercorrerlo discendendo per grado congiunto con lo stesso atteggiamento sincopato; la parola 'morte' viene qui intonata con un salto di quarta superiore da cui si riconduce alla cadenza finale attraverso l'imitazione del precedente melisma. Come nella fase precedente vengono nuovamente a crearsi forti dissonanze con l'accompagnamento accordale; a battuta 35 nell'originale un accordo di Re M del Chitarrone genera incongruenze sia con la parte polivocale che con la linea del Canto, emendato come riportato nell'apparato critico; nella successiva versione di basso continuo tale situazione verrà corretta con una indicazione di quarta e terza. A battuta 36 il ritmo del basso vocale viene diminuito nel Chitarrone e nella battuta successiva l'ornamento finale del Tenore viene omesso. Il brano termina con una cadenza conclusiva che porta al raddoppio della parte del Canto. 160 Parlo misero o taccio Il madrigale è tratto dal volume di Rime di Guarini, rima LIIII 303 ed è stato utilizzato anche dai seguenti compositori: Francesco Stivori Concenti musicali, a otto voci, Venezia, 1601 Tommaso Pecci, Madrigali a cinque voci. Libro Primo, 1602 Giovanni Del Turco, Primo libro de madrigali a cinque voci, Firenze, 1602 Radesca di Foggia, I quattro libri di canzonette, madrigali e arie alla romana: per cantare e suonare con il chitarrone o spinetta, libro 1, Milano, 1605 Sigismondo D'India, Il primo libro de madrigali a cinque voci, Milano, 1606 Claudio Monteverdi, Il settimo libro de madrigali, Venezia, 1619 Giovanni Paolo Nodari, Madrigali a cinque voci, ca 1620 (perso) Gesualdo da Venosa, Madrigali a sei voci, pubbl. postuma, Napoli, 1626 Marco Scacchi, Madrigall a cinque, concertati da cantarsi su gli stromenti, Venezia, 1634 Testo 304 Parlo, misero, o taccio S'io taccio, che soccorso havrà il morire S'io parlo, che perdono havrà l'ardire Taci: che ben s'intende Chiusa fiamma talor da chi l'accende Parla in me la pietate Parla in lei la beltate E dice quel bel volto al crudo core Chi può mirarmi, e non languir d'amore 303 Giovan Battista Guarini. cit., Rima LIIII. p. 84 304 Forma poetica: a BB cC dD EE 161 Unico brano in rima baciata, in stile declamato con pochi tratti ariosi, possiede il carattere di una prosa musicale dove i nessi interni sono affidati all'elaborazione motivica ed al disegno contrappuntistico su un gioco di cambi modali. Il discorso fluisce continuo su frasi musicali corrispondenti ai segmenti testuali. Il dramma interiore del dubbio, rappresentato dall'antitesi 'parlo o taccio', è affrontato in forma di monologo; il conflitto nel dubbio della corresponsione amorosa si svolge in un'atmosfera tutta interiore di pena d'amore enfatizzata da momenti di vivacità ritmica e rapporti intervallari di tipo madrigalistico. Tab. 3.8 Struttura musicale Sezione A B |: A1 Battute Cesura armonica 9-15 Si M 1-9 A2 16-24 coda 24-27 Do M Sol M Sol M In questo brano, caso unico nella serie dei sei madrigali accompagnati, la parte del quinto raddoppia il Canto realizzandosi di fatto un madrigale a quattro voci. Possiamo suddividere il brano in una sezione A e B. Nella sezione A possiamo individuare una articolazione di due frasi irregolari, rispondenti ai criteri di concordanza delle voci e di cesure cadenzali, che ben rappresentano l'antitesi nel dilemma del testo poetico sui lemmi 'Parlo... Taci... ' nel diverso trattamento musicale. Sostanzialmente omoritmica ed in stile declamatorio, la sezione è attraversata da un contrappunto che si insinua nell'ambito di una linea vocale per ricondursi quasi subito in concordanza con le altre parti, unico elemento che interrompe la prevalente omoritmia dove il ritmo musicale segue sempre quello poetico introducendo pause di cesura tra l'intonazione di ogni segmento testuale. La sezione B è contraddistinta da due parti chiuse (episodio e coda finale) con segno di ritornello in intavolatura; la prima ripetizione introduce un andamento contrappuntistico 162 con frantumazione del testo poetico attraverso le voci che assume valenza di contrasto, mentre la coda finale ripete l'ultimo verso in una ripresa variata del precedente. Le due sezioni risultano sovrapponibili per numero di battute conteggiando le parti ritornellate. In modo misolidio e tempus imperfectum, segnatura C, il brano è ascrivibile al Tonal type  - c1 - G . La sezione A1, sostanzialmente omoritmica, è formata da tre segmenti musicali che ben rappresentano il conflitto tematico attraverso un rapporto intervallare ascendente maggiore sull'intonazione della parola 'Parlo' e discendente minore sull'antitesi 'Taccio'. La melodia apre quindi sull'intonazione di 'Parlo' con un intervallo ascendente di terza maggiore, subito seguito da un salto discendente di quinta sulla parola 'misero' che poi scende di grado. Sul secondo verso di battuta 3, dopo una cesura di pausa, l'intonazione di 'taccio' si svolge su un intervallo discendente di terza minore, sottolineato da uno slancio ritmico, e su un mutamento di tono ascende di grado per portarsi con un salto di quinta discendente ad una imitazione del precedente ribattuto. Il declamato sottoposto ai lemmi finali dei due versi, 'taccio' e 'morire', riassume affettivamente l'accostamento poetico-musicale nella figura dell'ipotiposi rafforzandone drammaticamente l'analogia concettuale. I due versi, separati da una pausa di cesura, nella versione polivocale sono legati dall'entrata a canone del tenore che si riporta subito in omoritmia. La parte di accompagnamento si discosta dal ritmo del basso vocale per un salto su bordone a battuta 3 e per un accordo ribattuto a battuta 5; a tale livello, dopo una cadenza imperfetta su La m, nel portarsi sulla cesura armonica si ha l'introduzione di un rapido abbellimento non presente nelle altre parti. Es. 3.26 batt. 5, figura ornamentale del Chitarrone La cesura armonica nel tono di La conclude il verso con una cadenza sospesa. Il terzo verso, a battuta 6, presenta lo stesso procedimento di sovrapposizione di frase con entrata a canone del tenore sulla pausa di cesura delle altre parti. La nuova 163 riproposizione testuale di 'Parlo' viene espressa dal Canto su un intervallo ascendente di quarta giusta seguito da una discesa per grado, sostenuta dal Chitarrone nel ritmo spezzato di un salto di ottava su bordone. L'intonazione di questo primo segmento testuale, attraverso un espressivo mutamento di tono, appare come isolata da una forte cesura cadenzale e dai larghi valori ritmici in un efficace momento di sospensione testuale ed armonica che prelude all'inaspettata fase imitativa che inizia a battuta 7. La melodia, dopo lo slancio di un salto di ottava ascendente seguito da una quinta discendente, si riporta all'acme attraverso un elemento scalare a note nere, mentre la linea del basso intraprende una lunga fase discendente in varietà ritmica fino a coprire una distanza intervallare di decima. Si realizza qui un breve momento di vivace contrasto ben rappresentata nella parte del Chitarrone che svolge la linea melodica del basso, per moto contrario rispetto il Canto, integrata dalle armonie. La frase termina sul tono di Do con una cadenza semplice in cui il Chitarrone esprime un ritardo di quarta e terza, la cui quarta non è preparata e non è presente nella parti vocali. La sezione A2, da metà di battuta 9 fino a battuta 15, consta di due frasi contraddistinte dal ritorno all'omoritmia delle voci su un nuovo cambiamento di tono. La nuova fase che si apre a battuta 9 rinnova il conflitto dell'antitesi tra parlare o tacere con una condotta musicale che nell'intonazione dei due lemmi oppone il declamato su elementi ribattuti rispetto i precedenti rapporti intervallari della sezione A1, creando un diverso piano di tensione espresso dal cromatismo nell'ambito dei cambiamenti modali. Il Canto nel primo emistichio si muove solo nell'ambito di un declamato semitono cromatico, la parola Taci il cui accento è amplificato nel valore di semibreve assume una valenza imperativa; dopo una pausa di cesura e un valore sincopato che verrà ripreso nella frase successiva come elemento di concatenazione il verso conclude a battuta 14 con una linea discendente. A battuta 10 il tenore anticipa l'entrata del verso, con il consueto procedimento di sovrapposizione e immediato ricongiungimento con le voci dopo la pausa di cesura. L'accompagnamento è fortemente accordale ed a battuta 11, sulla pausa di cesura, al Chitarrone è affidata una sola semiminima di La a chiudere la frase con una cadenza di passaggio sul tono di La mentre nella battuta successiva il ritmo è arricchito da un veloce salto di ottava su bordone. 164 La fine del verso si conduce su una dilatazione dei valori ritmici nella lunga cadenza composta di battuta 13, in fase imitativa, che non ha valenza di cesura e prepara l'andamento più serrato del verso successivo. La conclusione della cadenza in Re M, sulla semiminima in battere di battuta 14, rilancia il verso successivo senza soluzione di continuo. Nella parte di Chitarrone a battuta 12 il ritmo del basso vocale è spezzato da un salto di ottava su bordone e da un accordo ribattuto, mentre nella cadenza viene omessa la dissonanza di settima del tenore. Es. 3.27 batt. 12 basso vocale e Chitarrone Il verso finale della sezione, con inizio a battuta 14 per giustapposizione, si conduce del tutto in omoritmia. La melodia, dopo l'intonazione di Parla su un ribattuto in ritmo sincopato, ascende per grado su un mutamento di tono che porta ad una cadenza sospesa su Si M; la parte del Chitarrone esprime un ritardo di quarta e terza in un range acuto che assume una valenza melodica che rafforza la sospensione improvvisa del discorso musicale. L'inizio della sezione B si può porre a battuta 16, sull'intonazione del verso che, nell'imitazione del precedente, assume valenza di preambolo alla parte ritornellata alla quale confluisce senza alcun elemento di cesura. La melodia imita l'incipit del brano riprendendo l'intervallo di quinta discendente e senza soluzione di continuo prosegue nella frase successiva. L'armonia attua un cambiamento affettivo nel ritorno al tono di Sol e si porta su una cadenza sospesa, ma l'unica cesura nel fraseggio è rappresentata dal segno di ripetizione dell'intavolatura, riportata anche nelle parti vocali. La stanghetta costituisce un elemento di chiusura formale della struttura melodica in un discorso musicale serrato che non subisce interruzioni. Le voci proseguono in omoritmia, sullo stesso materiale motivico, fino a battuta 19 dove inizia una fase imitativa che conduce ad una frammentazione del testo. 165 A questo livello nella parte di Chitarrone si viene a realizzare una serie di armonie incongruenti con la cadenza prolungata del Canto che si è reso necessario emendare nella trascrizione, tenendo conto dell'andamento delle parti polivocali (battute 19-20). Il successivo segmento testuale intonato dall'alto e dal tenore sul tacet del Canto viene interpretato dal Chitarrone nell'integrazione delle armonie; a battuta 22 il rispetto della linea melodica del Chitarrone genera un accordo di quarta e sesta sulla cadenza composta di Re M, diminuita con l'introduzione di un autonomo basso reale. Il Chitarrone riassume la parte imitativa anche sull'intonazione della ripetizione testuale da parte del Canto, in un serrato discorso armonico e melodico; a battuta 23 si rilevano ulteriori elementi autonomi nell'aggiunta di un basso reale e nella diminuzione della cadenza composta, condotta nel raddoppio della quarta e terza del Canto. Es. 3.28 batt. 22-23, linea del basso ed elementi autonomi del Chitarrone La fine della frase in Re M conduce alla ripetizione in forma di ripresa. La ripetizione dell'ultima frase (battute 24-27), anch'essa segnata nell'intavolatura e nelle parti separate, si svolge in forma variata e contratta. Nella parte di continuo la conduzione delle parti a battuta 24 porta ad un ulteriore accordo di quarta e sesta; nella cadenza finale si rileva un elemento del tutto autonomo nell'introduzione di una dissonanza di settima dopo la risoluzione della quarta sulla terza. Es. 3.29 batt. 26, dissonanza di settima nel Chitarrone 166 Il contrappunto di questi pur brevi segmenti acquistano rilevanza e significato di stacco rispetto il prevalente tessuto omoritmico della prima sezione; le ripetizioni, oltre a rafforzare il contenuto testuale, amplificano il contesto musicale. In generale nella corrispondenza con i segmenti testuali le frasi musicali sono chiuse da cadenze armoniche, i principali significati testuali vengono sottolineati da valori larghi sulle sillabe accentate, ed i procedimenti compositivi nell'ambito dello stesso materiale motivico attuano una differenziazione nelle più ampie sezioni musicali. All interno della cornice costituita dalla declamazione omoritmica e dall enfatico rallentamento che caratterizza spesso l enunciazione del verso conclusivo, le parti imitative nell'animazione ritmica delle linee melodiche conferiscono vivacità agli episodi con significato di contrasto. Dal punto di vista armonico la riconduzione al Re M nella parte ritornellata torna a prefigurare il nascente ruolo del quinto grado dell'armonia tonale e l'evoluzione verso la simmetria della forma binaria. 167 4. Conclusioni Le intavolature dei madrigali di Rossi sono state compilate in una fase molto precoce della storia dello strumento, il cui inizio è databile solo a circa dieci anni prima. Uno strumento inconsueto, la cui accordatura doveva implicare non pochi tentativi e difficoltà nella messa a punto della tecnica che ha poi portato a pagine di estrema bellezza nella musica solistica. Uno strumento il cui suono si prestava in modo particolare, per registro e risonanza, al nuovo stile prima monodico e poi operistico che lo vedrà ancora in scena per il Saul di Händel rappresentato nel 1739 e probabilmente anche in alcuni recitativi del Messiah. Le intavolature di Rossi sono state concepite come accompagnamento a voce sola, con l'obiettivo di sostenere il canto rispettandone la libertà in lunghi accordi di tipo recitativo o interagendo con esso nei processi imitativi in sezioni spesso dialogiche. Lo sviluppo del nuovo stile di canto di Caccini con la sola voce supportata dall'accompagnamento accordale del chitarrone è qui ben rappresentato. La maggior parte degli studiosi parte dall'unico presupposto che le intavolature siano nate come riduzione delle parti vocali, senza tener conto di un altro possibile punto di vista: che Rossi possa aver pensato primariamente ad una realizzazione per voce sola, producendo anche una versione a cinque voci per poter introdurre i madrigali nella raccolta o per permetterne l'esecuzione in assenza del Chitarrone, che non era ancora così ampiamente diffuso. La pratica del raddoppio delle parti cade in disuso solo verso la metà del '600, ma nell'opera di Rossi non è presente il raddoppio del Canto ed il range del chitarrone si presta bene al fluire di quelle imitazioni che potrebbero poi essere state rielaborate nelle altre voci. Le edizioni successive di intavolature per Chitarrone ad opera di Kapsberger, Castaldi e Corradi sono tutte posteriori al 1610, data in cui la prassi del basso continuo era già standardizzata con le prime pubblicazioni di Agazzari e Bianciardi del 1607. Il lavoro di Rossi rappresenta pertanto un primo esempio della nascente prassi esecutiva di basso continuo che, prima di arrivare allo stile improvvisativo, racchiude in sè la 168 complessità polifonica in uno scenario accordale. Per la caratteristica della stesura e delle soluzioni adottate le intavolature rivelano una profonda conoscenza dello strumento e dell'uso dei bordoni. Le trascrizioni dei madrigali esistenti in letteratura non sono mai state univoche, fondate su una serie di supposizioni riguardanti l'accordatura dello strumento indicato da Rossi come 'Chittarrone' e sulla confusione spesso generata dall'uso delle chiavette. Si rende quindi necessaria una breve premessa per comprendere tali problematiche. Dal XV al XVI secolo le composizioni polifoniche erano segnate, oltre che con le chiavi naturali, nelle cosiddette chiavi trasposte (chiavette), chiavi accidentali utilizzate per facilitare la trasposizione. La distinzione tra chiavi naturali e chiavi di registro alto compare in Ganassi nel 1543, ed indica una prassi già entrata in uso. Introdotte soprattutto per poter rispettare l ambitus modale senza dover usare tagli addizionali, nelle composizioni notate in 'chiavette' la trasposizione veniva richiesta solo per facilitare l esecuzione vocale, e non era prevista per la scrittura strumentale. La definizione in chiavette e chiavi trasportate appare molto più tardi, intorno il 1720, ed il loro uso verrò abbandonato con il superamento della modalità. Quando il modo è notato in chiavette alte ed è presente il bemolle significa che è stato trasposto alla quarta superiore e per renderlo cantabile va ricollocato nel suo luogo naturale, togliendo il bemolle e riabbassandolo di quarta. 305 Banchieri, nel 1601, le chiama chiavi 'sopracute' e ne spiega esaurientemente l'utilizzo e la funzione a seconda che presentino o meno accidenti. 306 Un'altra questione che ha generato estrema confusione è l'accordatura dello strumento: il Chitarrone, per essere designato tale, deve avere l'accordatura 'rientrante', il che significa che il primo ed il secondo coro sono abbassati di una ottava e la corda più acuta si trova sul terzo coro. Patrizio Barbieri. Chiavette and modal transposition in Italian practice, in Recercare. Vol. III. 1991. pp. 525. 305 Adriano Banchieri. 'Cartella overo Regole utilissime à quelli che desiderano imparare il Canto Figurato.' Venezia 1601. p. 23. in Petrucci Music Library < http://imslp.org/wiki/Cartella_Musicale_%28Banchieri,_Adriano%29> URL consultato il 10.01.2015 306 169 L'accompagnamento di Rossi richiede uno strumento a 11 cori, di cui 7 tastati (spesso nelle intavolature sono presenti accordi di sesta di Mi M, con basso segnato sul settimo coro) e 4 bordoni diatonici. L'accordatura è quindi la seguente: a, e, b, g, d, A, G per i cori tastati e F, E, D, C per i bassi di bordone (segnati rispettivamente 8, 9, X e 11). Fig. 4.1 Accordatura del Chitarrone a 11 cori François Campion nel suo trattato del 1730 descrive la necessità nell'accompagnamento di tastare il settimo (e talvolta anche l'ottavo coro) in quella che definisce Tiorba alla Maltot, dal nome del suo predecessore all'Académie Royale de Musique: Observez la nécessité d'avoir la septiéme et huitiéme corde sur le sillet du petit jeu pour l'accompagnement (qu'on appelle communément Théorbe à la Maltot) Celà est d'un grand secours, tout le long du manche, pour les diézes et bémols.307 Rossi usa quindi uno strumento con settimo coro tastato già all'inizio del '600 mentre tiorbisti quali Kapsperger, Castaldi, Piccinini, de Visée ed altri, forse in quanto compositori di musica solistica, usavano sei cori tastati. La prima trascrizione dei brani accompagnati risale al 1877, anno in cui Naumbourg pubblicò la prima edizione moderna di musica religiosa di Rossi sotto il titolo 'Cantiques de Salamon Rossi', comprendente una selezione di madrigali con la collaborazione di Vincent d'Indy.308 307 François Campion. Addition au traité d'accompagnement et de composition par la Régle de l'Octave. Ribou. Paris. 1730. p. 26. Riproduz. in fac-simile Minkoff 1976 Cantiques de Salomon Rossi. Première Partie: Chants, Psaumes et Hymnes a 3 - 4 - 5- 6 -7 et 8 voix. Transcrits et mis en partition d'après l'original (Venise 1620) par S. Naumbourg. Deuxieme Partie: Choix de Madrigaux a 5 voix. Transcrits par Vincent d'Indy. 308 170 L'edizione, che ebbe una importanza storica e rappresentò a lungo un punto di riferimento, conteneva solo quattro dei sei madrigali accompagnati: 'Ohimè se tanto amate', 'Cor mio, deh non languire', 'Anima del cor mio ' e 'Udite, lacrimosi spiriti d'Averno'. Vincent d'Indy, che trascrisse la parte di Chitarrone, era però presumibilmente ignaro dell'accordatura rientrante, forse perchè all'epoca ancora poco o nulla si conosceva dello strumento e delle sue particolari caratteristiche. La sua trascrizione, oltre ad essere pensata per un'accordatura di tipo rinascimentale (assimilabile ad un liuto basso in La) che ignorava l'accordatura rientrante, in due brani (Ohimè se tanto amate e Cor mio, deh non languire) non tiene conto del problema delle chiavette e traspone la parte del chitarrone una quarta sopra anzichè effettuare il trasporto delle parti vocali. Nella prefazione alla seconda edizione d'Indy afferma di aver trasposto la parte di chitarrone di una quarta e sistemato la trascrizione per renderla più adatta ai tastieristi. Né Einstein né Newman hanno richiamato l'attenzione su questo problema, scegliendo di citare senza discutere l'edizione del 1877 di d'Indy e Naumbourg.309 Il risultato è che l'accompagnamento non risulta fedele rispetto le chiare indicazioni dell'intavolatura, con sostituzioni di unisono con l'ottava superiore ed altri aggiustamenti che rendono l'opera di d'Indy più un adattamento riferito al successivo basso cifrato dell'edizione del 1618 che una trascrizione. Nell'esempio seguente si rileva una particolare incongruenza tra le parti vocali e l'intavolatura. Es. 4.1 Anima del cor mio, trascrizione d'Indy e confronto con personale trascrizione in allegato310 b 34 parte di Chitarrone b 17 parte di Chitarrone e parte di b.c. del 1618 309 J. Jacobson. op. cit., p. 32, nota 21 310 le battute non corrispondono per l'uso del valore mensurale di 4/4 in d'Indy 171 In tale esempio, il La intonato dall'alto ed introdotto da d'Indy è omesso nel Chitarrone, che in intavolatura riporta un'armonia di Sol con il basso che scende sulla settima. L'accordo di Re con quarta e terza compare nella ristampa di Phalèse del 1618, dove l'intavolatura di Chitarrone è sostituita da una parte separata di basso cifrato. La parte aggiunta del continuo cifrato chiarisce l'armonia per quanto riguarda l'esecuzione con tutte le parti vocali, ma nella versione per voce sola ed accompagnamento l'accordo originale di Sol, per la presenza del Sol raddoppiato in due posizioni diverse, tenderebbe ad escludere che possa trattarsi di un errore di stampa; l'armonia di Sol con il Sib risulta congrua solamente rispetto il testo del Canto, come notato nell'analisi del brano. Ciò rinforza la credibilità che la parte di Chitarrone fosse riservata unicamente all'accompagnamento a voce sola e la parte di basso continuo, aggiunta successivamente, destinata piuttosto ad una realizzazione a cinque voci con accompagnamento clavicembalistico. Tale osservazione è solo uno dei tanti esempi che tendono a confermare che l'intavolatura non rappresenta una mera verticalizzazione delle parti vocali. Fig. 4.2 Salamon Rossi Primo libro di madrigali. Ed. Phalèse, 1618. Parte separata di continuo . 172 Leslie Chapman Hubbell, in una breve descrizione della pubblicazione di Rossi contenente le trascrizioni di 'Anima del cor mio' e 'Udite, lacrimosi spiriti d'Averno',311 ha semplicemente seguito d'Indy adottando l'accordatura rinascimentale, pur riconoscendo che il primo ed il secondo coro sembrassero abbassati di ottava. Hubbell introduce il concetto di accordatura rientrante ma tratta il Chitarrone con l'accordatura non convenzionale, forse estraneo al sistema di intavolatura.312 La trascrizione di 'Cor mio, deh non languire' di Jacobson si presenta corretta nella trasposizione di quarta delle parti vocali e nel rispetto dell'accordatura rientrante, ma non riporta gli unisoni e la durata polifonica delle voci. 313 Kevin Mason, nel suo studio sul chitarrone ed il suo repertorio, rimproverò d'Indy per aver mal trascritto l'intavolatura confondendola con quella per liuto rinascimentale, proponendo un esempio di 'Ohimè se tanto amate' trascritto con accordatura rientrante.314 Theodoros Kitsos, nel suo esaustivo lavoro sul chitarrone, giudica il risultato di Mason insoddisfacente a causa degli 'arbitrari' accordi in quarta e sesta che vengono a prodursi con l'incrocio del secondo coro al di sotto della linea di basso, in quella che lui definisce abolizione dell'integrità della linea di basso. Individuando poi ulteriori problemi nella voce principale, in cui a suo avviso vengono a crearsi salti di ottava in melodie destinate ad essere congiunte, critica Mason il quale a suo avviso, pur riconoscendo questi problemi, accetta a priori l'accordatura rientrante nel chiedersi se un tale accompagnamento sia accettabile o se semplicemente la scrittura di Rossi per Chitarrone fosse ancora in una fase troppo precoce.315 Per ovviare a tali problematiche, Linda Sayce ('Development of Italianate Continuo Lutes') suggerisce di abbassare solo il primo coro. Leslie Chapman Hubbell. Sixteenth-Century Italian Songs for Solo Voice and Lute. Tesi di dottorato. Northwestern University, 1982 311 312 T. Kitsos. op. cit., pp. 31-2 313 J. Jacobson. op. cit., pp. 26-31. Es. 6 314 K. Mason. op. cit., pp-45-8 315 T. Kitsos. op. cit., p. 32 173 Kitsos, sebbene giunga alla conclusione che questa soluzione non sembri essere il caso delle intavolature di Rossi, argomenta che il tessuto delle composizioni è così fine che non può sussistere una interruzione delle conduzioni delle voci e pertanto lo strumento usato doveva essere più vicino ad un arciliuto piuttosto che ad un Chitarrone, riconducendosi così alla trascrizione di d'Indy seppure trasponendo correttamente di una quarta le parti vocali scritte in chiavette. Nelle fonti della letteratura per Chitarrone si riscontrano in ogni caso problemi similari, ad esempio anche nei lavori di Kapsberger si trovano occasionalmente accordi in quarta e sesta ed interruzioni della voce superiore, tanto da portare Kitsos a chiedersi se questo modo di scrittura non possa essere consentito in quanto idiomatico dello strumento.316 La scelta di una trascrizione basata su una accordatura rinascimentale non è priva di discrepanze: nell'esempio riportato dalla trascrizione di Kitsos di 'Cor mio, deh non languire',317 a battuta 3 si viene a realizzare nella parte una falsa relazione Do# - Do che nasce nell'attuazione di una verticalizzazione delle linee vocali mentre dal punto di vista armonico, con accordatura rientrante, il passaggio maggiore-minore sembra rivestire una precisa scelta del compositore che oltre a rispettare l'andamento delle parti risulta di estrema efficacia nel sottolineare il contesto affettivo. Es. 4.2 'Cor mio, deh non languire' trascrizione Kitsos batt. 1-4 e confronto con la sottostante trascrizione personale 316 T. Kitsos. op. cit., pp. 32-5 317 ivi 'Cor mio, deh non languire'. Vol. II. Appendice I 174 Don Harràn, uno dei massimi studiosi di Salamon Rossi e compilatore dell'Opera Omnia del compositore, non si discosta dall'accordatura rinascimentale e non riconosce l'uso delle chiavette nei due brani a trasposizione vocale, suggerendo una improbablie esecuzione con la théorbe de pièces francese e trasponendo la parte intavolata.318 Diego Cantalupi, nel suo pur rilevante lavoro, nel confronto di 'Udite lacrimosi' con una trascrizione di Don Harràn provvede solo ad una sistemazione polifonica della parte di Chitarrone proponendo solo un passo di poche battute con accordatura rientrante,319 senza correggere alcune inesattezze rispetto l'intavolatura originale e gli aggiustamenti di Harràn che, come d'Indy, riporta allo stato fondamentale gli accordi di quarta e sesta. L'esempio riportato evidenzia, oltre l'omissione dell'accordo in quarta e sesta, le diverse altezze sonore che non tengono conto dell'accordatura rientrante. Es. 4.3 'Udite, lacrimosi spiriti d'Averno' batt. 29-34 trascrizione Don Harràn-Cantalupi320 e confronto con la sottostante trascrizione personale (batt. 15-17) La théorbe de pièces, in uso in Francia, era accordata in Re ed aveva dimensioni ridotte per un uso prevalentemente solistico. 318 319 D. Cantalupi. op. cit., 'Udite, lacrimosi spiriti d'Averno' Es. 2, batt. 34-41 p. 89 320 ivi p. 90 (nella trascrizione personale con valore mensurale 2/1 le battute corrispondono a 15-17) 175 Cantalupi in ogni caso giudica inappropriata la trascrizione con accordatura di tipo rinascimentale di Harràn per evitare gli accordi di quarta e sesta, considerandoli parte del linguaggio idiomatico dello strumento, ed esprime la convinzione che Rossi abbia concepito l'accompagnamento per il Chitarrone come indicato chiaramente nel frontespizio.321 Tuttavia non si è d'accordo con le sue conclusioni, secondo le quali l'intavolatura si presenta come una pseudo-partitura dove la parte tiorbistica riproduce o raddoppia l'entrata di tutte le voci che spesso risultano spezzate a causa dell'accordatura rientrante.322 Una trascrizione che non tenga conto dell'accordatura rientrante porta con sè una serie di discordanze: la cosiddetta voice-leading è molto più frantumata, e spesso non rappresentata nelle linee vocali; la voce superiore del Chitarrone si viene a trovare spesso in raddoppio con il Canto, mentre l'analisi dei madrigali evidenzia quanto Rossi fosse accurato nell'evitare il raddoppio della voce oltre che delle dissonanze tranne qualche coincidenza limitata ad alcune cadenze composte; gli accordi vengono a trovarsi in una posizione lata che snatura le idiomatiche risonanze e la calda consistenza armonica nel registro di tenore, ambito che ha portato il Chitarrone ad essere preferito nell'accompagnamento rispetto il liuto; tutti i passaggi per terze si perdono in decime, così come altre soluzioni compositive molto espressive. Un esempio paradigmatico lo possiamo osservare in un passaggio strettamente imitativo di 'Udite lacrimosi': nelle battute 17-19 dell'intavolatura (corrispondenti alle b 34-38 nelle versioni con tactus alla semibreve), considerando l'accordatura rientrante, la linea del chitarrone non rispetta il punto superiore d'arrivo scendendo di grado per permettere la successiva imitazione ad una altezza inferiore; sia nell'ipotesi di una accordatura rinascimentale o del solo primo coro abbassato d'ottava come proposto da Linda Sayce, la struttura imitativa verrebbe a cadere determinando due linee affiancate a partire dalla stessa nota. Tale soluzione non appare verosimile in considerazione del fatto che in tutti i madrigali accompagnati le parti imitative affidate al chitarrone sono sempre ben rappresentate in voci diverse; inoltre l'imitazione di battuta 18 è scritta espressamente 321 D. Cantalupi. op. cit., pp. 86-95 322 ivi p. 96 176 per il Chitarrone, non corrispondendo alle altre parti vocali. Questo particolare passaggio confermerebbe ancora una volta sia l'uso dell'accordatura rientrante sia l'uso di una scrittura pensata per lo strumento. Difficilmente un contrappuntista come Rossi avrebbe scritto una parte come riportata da d'Indy, ed i salti di ottava che ripropongono e riprendono le imitazioni ad un livello interno della tessitura dimostrerebbero che Rossi non solo era consapevole delle caratteristiche dello strumento, ma lo piegava ai suoi fini. Es. 4.4 'Udite, lacrimosi spiriti d'Averno' batt. 34 - 38 trascrizione d'Indy, confronto delle linee melodiche con la trascrizione personale sottostante L'esempio mostra anche come nella sequenza di battuta 17 il ribattuto dell'alto sale da Mi a Fa, mentre nel Chitarrone ripiega su un Re per poter riprendere la linea imitativa. E' questo un altro importante elemento a conferma dell'accordatura rientrante. In molte imitazioni, nei vari madrigali, sarebbe stato tecnicamente attuabile la riproduzione alla stessa altezza dei vari segmenti polifonici, ma Rossi usa soluzioni diverse in quella che sembra una scelta ben precisa. La considerazione dei vari autori circa le linee melodiche spezzate parte dal giudizio analitico rispetto le altre parti vocali, generando una contraddizione di fondo che non tiene conto della parte di Chitarrone come parte a sè sottostante il Canto, come parte accordale di sostegno in cui Rossi è riuscito a mantenere la polifonia. 177 Non si può stabilire con certezza quale sia stato il processo compositivo primario, ma non si può nemmeno ignorare tout court la possibilità che la realizzazione a più voci sia stata in realtà secondaria. Anche per quanto riguarda il problema così spesso sollevato degli accordi di quarta e sesta, inviso dai teorici al di fuori di un modello cadenzale, bisogna fare alcune considerazioni. Rameau nel 1722 introduce la teoria degli accordi e delle loro inversioni in un'ottica che avvierà l'armonia moderna, attraverso il concetto di basso fondamentale 'sous-entendu' (sottinteso), in quanto imposto dalla natura. Nell'intenzione di far valere il basso fondamentale come un basso 'percepibile' Rameau arriva a postulare l'ottava come situazione prossima all'unisono, concetto che implica un sovvertimento della differenza tra grave e acuto come se nella nota acuta ci fosse la grave. Thomas Campion (1567-1620), compositore inglese, riconosce la differenza tra il suono 'base' di un accordo e la sua 'vera base' già nel 1610. 323 Alcuni teorici avevano pienamente compreso l'unità della triade già prima della fine del XVI secolo, formulando una teoria sull'inversione triadica e spiegando la posizione fondamentale come origine dei due modelli di inversione. Johannes Avianius (?- 1617) nel 1581 definì la quinta e terza come accordo perfetto, la terza e sesta come accordo imperfetto e la quarta e sesta come accordo 'absurdum' che necessita di 'aliquo artificio leniatur'.324 Rispetto al liuto, le inversioni tanto discusse si verificano a causa delle caratteristiche tecniche sia nella chitarra barocca che nella tiorba. Nella tiorba l'inversione triadica si verifica per l'accordatura rientrante, a causa delle due corde superiori abbassate di un'ottava. 323 Joel Lester. Compositional Theory in the Eighteenth Century. Harvard University Press. 1994. pp. 96-8 Benito Rivera. The Isagoge of Johannes Avianius: an early formulation of triadic theory. in Journal of Music Theory. Vol 22 N° 1. 1978. pp. 43-64. p. 56 324 178 Nella realizzazione del basso, un accordo di quinta e terza costruito sul La del rigo alto in chiave di basso può essere suonato con prima e seconda corda (La e Mi) a vuoto, come segue: Es. 4.5 Accordo in quarta e sesta del Chitarrone Ne risulta un accordo in quarta e sesta, riconosciuto dagli stessi tiorbisti come inversione dell'armonia proposta. Per preservare l'integrità del basso reale, Delair nel suo trattato del 1690 insiste che il basso deve precedere l'accordo, ed anche altri precedenti trattati per tiorba affrontano tale problema in modo analogo (Fleury 1660, Bartolomi 1669, Grenerin 1670).325 E' ovvio che la nozione di inversione accordale era ampiamente manifesta nel XVII secolo, soprattutto a chi suonava la chitarra o la tiorba a causa della peculiare accordatura di questi strumenti: quando un chitarrista o un tiorbista realizzava una figura data, l'accordo risultante avrebbe potuto sovrapporsi alla linea del basso reale dando luogo alle inversioni. I teorici di questi strumenti generalmente non considerano importanti queste sovrapposizioni e violazioni, i musicisti di basso continuo erano preoccupati più della sonorità che non della disposizione delle voci. Se la nota bassa di qualche realizzazione non coincideva con la linea del basso continuo, ciò non costituiva un problema purché l'armonia risultante contenesse le note richieste.326 Senza entrare nel merito del basso sottinteso, tecnicamente va osservato che l'accordo di quarta e sesta nella sua esecuzione implica la percussione del pollice sul basso reale in un impulso che restituisce chiaramente la risonanza del basso al di là della rientranza del primo e secondo coro, determinando una percezione acustica che ha poco a che vedere con l'inversione triadica segnata sulla carta. 325 J.Lester. op. cit., pp. 98-9 Thomas Christensen. Rameau and Musical Thought in the Enlightenment. Cambridge University Press. 1993. p. 67-8 326 179 Si è già discusso in un capitolo precedente circa l'influenza della chitarra barocca sull'iniziale pratica di continuo. Per la particolare accordatura di tale strumento, rientrante o con cori ottavati, gli accordi in rivolto sono inevitabili e fanno parte del linguaggio proprio dello strumento. Non è quindi improbabile che una simile prassi sia passata nel chitarrone, come postulato da Hill, soprattutto nei suoi primi esperimenti. 327 Gli stessi teorici dello strumento tentavano una giustificazione all' 'imperfezione' che derivava in taluni passaggi identificandoli come linguaggio idiomatico, che proprio su tali imperfezioni fondava la sua particolare voce e sonorità. La rigida codificazione di regole non può prescindere dalla particolarità di tali strumenti. Nel caso di Rossi, una sistemazione del basso 'reale' secondo le regole avrebbe spesso implicato una alterazione della linea del basso ancora fortemente influenzata da una concezione polifonica. In molte occasioni le inversioni avrebbero potuto tecnicamente essere evitate, ma il compositore ha sempre preferito affidare il basso reale alla risonanza dell'unisono piuttosto di alterare la condotta spesso melodica della parte (contrariamente a quanto affermato da Cantalupi circa la spezzatuta delle linee), in una organizzazione del materiale sonoro secondo istanze espressive che, all interno di una strutture accordale con particolare attenzione per la costruzione polifonica, sembra avvicinarsi al graduale imporsi dello spazio tonale. Per tali motivi si è cercato di rendere conto nella sezione analitica dei vari casi di ricorso all'inversione accordale tentando laddove possibile una giustificazione tecnica e/o musicale. Molte di queste inversioni confermano, dalle posizioni segnate in intavolatura, l'uso dell'accordatura rientrante senza le quali tali accordi di quarta e sesta non avrebbero avuto luogo. Secondo Cantalupi la scrittura per Chitarrone di Rossi non rivelerebbe altro che una pseudo-intavolatura delle parti, assimilandola ad un basso seguente. 328 Kitsos afferma che le intavolature si avvicinano più alla tradizione liutistica di accompagnamento dipendendo ancora dal modello vocale, supportando la sua tesi con l'osservazione che 327 J. W. Hill. cit., p. 56-57 328 D. Cantalupi. op. cit., p. 85 180 modifiche simili alle intavolature di Rossi si verificano anche nella 'Ghirlanda di fioretti musicali' di Simone Verovio.329 Non concordando con le conclusioni dei citati studiosi, e senza voler entrare nel merito della grandezza dell'uomo e del compositore, qui ci si vuole limitare ad alcune precisazioni sulla realizzazione per Chitarrone. Come già discusso nel Cap. 1, gli stessi madrigali del 5° libro di Monteverdi del 1605, nonostante l'inclusione di parti di continuo separate, seguono ancora una pratica di basso seguente. Ma Rossi è già avanti, come rileva Einstein, ed una mera verticalizzazione delle voci non può implicare la presenza di tutti gli elementi autonomi e le discordanze con le parti vocali riscontrate nel corso dell'analisi dei brani. Se la definizione di basso continuo implica un concetto di continuità della linea bassa che attraversa l'intera composizione, come teorizzato da Viadana, possiamo affermare di essere di fronte ad uno dei primi esempi di basso continuo applicati alla tiorba, in una prassi forse iniziale ma che non può essere definita un basso seguente. La pubblicazione di Verovio del 1589 si colloca in un periodo che già vede l'evoluzione dei modelli dei musicisti rinascimentali nella trasformazione della polifonia in accompagnamento per liuto solo, oltre ai principi dell'estetica della Camerata fiorentina e degli esperimenti di Vincenzo Galilei, ma come l'Intermedio di Emilio De' Cavalieri dello stesso anno o le prime intavolature clavicembalistiche di Luzzaschi del 1601 presenta il raddoppio della parte superiore. In Rossi la parte superiore non è mai raddoppiata, vengono accuratamente evitati anche i raddoppi delle dissonanze espresse dal canto per consentirne la completa libertà e, in alcuni casi di cambiamenti modali che implicano l'intonazione di un cromatismo della terza da parte del Canto, adotta l'espediente della quinta vuota: un trattamento dell'accompagnamento che rivela molto più che una riduzione polifonica. La tecnica di scrittura è forse ancora poco consolidata, anche se ha già colto i principi idiomatici dello strumento, spesso non scevra dall'influenza dello stile della chitarra barocca nell'uso dei moduli ribattuti che non sempre prevede la contiguità delle corde colpite, manca ancora il ricorso delle corde a vuoto nell'effetto idiomatico di campanella, 329 T. Kitsos. op. cit, p. 43 181 ma rimane una preziosa testimonianza della primissima tecnica dello strumento nel ruolo di basso continuo. Si è già discusso nel capitolo precedente circa la probabilità che i brani possano essere stati concepiti prima per il Chitarrone e poi per una versione polivocale. Ma anche presumendo il contrario, la parte di Chitarrone nel riassumere la polifonia interna non è ascrivibile ad un basso seguente, possedendo tutte le caratteristica per definirla una parte autonoma fondata sulle caratteristiche di basso continuo. Gli elementi principali a sostegno di tale tesi, derivanti dall'analisi, sono molteplici: • il distacco dalle figurazioni a note lunghe del basso vocale con l'uso di accordi ribattuti e di salti di ottava su bordone che sfruttano la risonanza dello strumento o, viceversa, cambiamenti ritmici rispetto il basso vocale e/o il tenore, in larghi accordi a tipo recitativo • l'aggiunta di cadenze con ritardo di quarta e terza laddove non presenti in altre voci, che in alcune circostanze crea discordanze con cadenze semplici delle parti vocali • l'aggiunta di note di passaggio • l'aggiunta di un sostegno accordale alla parte superiore sul tacet delle altre voci e l'inserimento di accordi su pause generali • l'inserimento di alcuni frammenti melodici non presenti in ambito polivocale • l'inserimento di passaggi ornamentali • l'omissione di alcuni elementi imitativi delle linee polivocali Di seguito si riporta uno schema dettagliato delle figure autonome di ciascun madrigale rispetto la realizzazione polifonica. 182 Tab. 4.8 Figure autonome all'interno dei madrigali Figure autonome Ohimè Aggiunta di basso o accordo 2 Ritardo 4-3 2 Cor mio Anima Udite 2 2 1 1 Ornamenti Linea melodica 1 2 Tirsi Parlo 3 1 1 1 1 1 Dissonanza di settima 1 Omissione linee vocali 1 3 Note di passaggio 1 1 Diminuzione ritmica con basso di bordone330 2 6 7 5 3 3 Ritmo indipendente per aumentazione, diminuzione o accordi ribattuti 1 10 7 12 4 6 3 1 1 1 1 1 L'insieme degli elementi addotti si ritengono quindi sufficienti per poter delineare nei madrigali una situazione di basso continuo come realizzazione a sè rispetto il modello della polifonia vocale: il basso seguente è sempre una pedissequa realizzazione armonica della struttura esistente. Le discordanze rispetto le parti vocali rilevate nel corso dell'analisi, che determinano contrasti non accettabili dal punto di vista polifonico, sostengono decisamente l'ipotesi di una realizzazione per solo accompagnamento e voce, incentrata ad assecondare il soprano anche in eventuali improvvisazioni melismatiche nell'interpretazione dei principi della monodia. Tale voce non si è accorpata alla sottostante per mettere in evidenza l'uso idiomatico dello strumento nell'ambito delle figure ritmiche indipendenti 330 183 APPENDICE Trascrizione dei sei madrigali a voce sola dal Libro Primo di madrigali di Salamon Rossi, integrata dalla partitura polifonica, con facsimile delle relative intavolature originali Criteri di trascrizione: 1) Le chiavi antiche di DO e di Fa sono state riportate in notazione quadrata all inizio di ogni rigo e sono state trascritte rispettivamente in chiave di violino per il Canto, l Alto, il Tenore e il Quinto e in chiave di Basso per la voce del Basso; 2) Il segno C presente nella stampa originale è stato inteso come tactus alla breve: ogni suddivisione ha la durata di una semibreve; 3) La stanghetta di ripartizione presente nell'intavolatura talvolta non coincide con le battute in notazione moderna, ciò sembra riferibile ad errori di stampa; 4) La scelta di trascrivere la parte di Chitarrone su unico pentagramma in chiave di violino ottavata si basa sul proposito di mettere meglio in evidenza il linguaggio idiomatico dello strumento nell'uso dell'unisono; 5) Eventuali emendamenti sono inseriti nell'apparato critico. 184 Ohimè se tanto amate G. B. Guarini (1538-1612) tratto dalle Rime   Canto Salamon Rossi (c.1570-1630)   O    Quinto O     Basso O - -        Di sen - tir  - - O          - -   oh himè 3 tan  -     to a         3 ma 3 ma     3 - -    - ma  - te  di sen  Di sen    te Di sen   te Di           dir o   dir  ohi    tir dir ohi tir - tir - - dir  -  sen  tir   185   o  se               himè se tan - to a     se tan - to a - 3  te     imè dir - himè  O  himè    3 1 0 3 O - - X 3 1 0    0 Chittarrone O - -     se tan - to a- ma himè       Tenore - -  O    -      trasposto O O - himè     Alto     - himè   Deh   himè - - -     Deh  Deh  mè  Deh       mè   Deh   6 6 6               Deh per - che Deh per - che fa 6 - te - fa te              Deh per - che fa -        9 re S'io mo 9  9   mo  -   te  te  S'io mo       re S'io mo     9 re     9 Chi   S'io mo      -  - - ro  ro mo  mo       un sol po - tre - te  mo - ri       -   - ri  ri un sol po - tre - te - - - -  - - ri - -              - -       Lan - gui - do e do - lo - ro - so ohi - mè     Lan - gui - do         e do - lo - ro - so ohi       e do - lo - ro - so ohi-   Lan - gui - do e do - lo - ro - so ohi - mè     Lan - gui - do                 186 S'io                           ro un sol po - tre - te -    di - ce ohi- mè        mo     un sol po - tre - te   ohi - mè  Chi - di - ce ohi- mè  ro       -     di - ce ohi- mè Chi ro re 9 - ce                  di te Deh Deh per - che 6 Chi            per - che 6 fa                e do - lo - ro - so ohi-             12    ahi - sen - ti mé       - Ma re 12   12 mè  sen  -     sen - ti mè re  - re     12 mè sen sen  ti - -  - - ti               12 15  Ma se cor mio vor - re  Ma re se cor         me ha - vre - te Mil - l'e mil - le e voi da vit' - hab - bia da voi e voi da           vit' hab bia da voi 15 e voi da me ha - vre - te Mil - l'e mil - le         me ha - vre - te Mil l'e mil - le            15 vit' - hab - bia da voi E voi da                        me ha - vre - te Mil - l'e mil - le - Che   te Che mio vor - re    - te Che               dol - c'ohi - mè ha - vre - te dol - ci     dol - c'ohi  ohi - mè e    - mè e      e   dol - c'ohi -  mil - l'e  mè                      187                   15      vit' hab - bia            15 re Che          da voi      te te mio vor - re           15 -  co       se       mio vor - re Ma 12   cor       - ti se              mè ha - vre - te Mil - l'e mil - le dol 18       Mil - l'e mil - le 18       dol mil - l'e mil le dol      18  mil - le 18 -  - - c'ohi              18 21   Mil -  l'e  mil  mè  e mil    - le dol e mil - le dol     mè e mil   le - mil   dol -  e    -        -  c'ohi - mè  - dol  - c'ohi   - - - c'ohi mil - l'e mil - le     18 dol  -     c'hoi -  -  c'ohi     - me ha - vre - te        me e           c'ohi - mè -  dol - ci le dol            le  ohi - mè  - c'ohi -      mè 21 mil   mil - - 21    21 mil  mil    - -  l'e mil   l'e   mil  l'e mil   l'e mil 21    -  le  -   le dol    - - dol le  le   dol  dol    -  - - - - -  c'ohi  ci ohi -  - - -  - 188 - - e e  imè ci oh 21   e c'ohi  c'ohi    - mè   mè  -  mè  -   mè        189 Cor mio, deh non languire G. B. Guarini (1538-1612) tratto dalle Rime Salamon Rossi (c.1570-1630)           Canto Cor  Cor mi - Cor mi -     Quinto    Tenore Cor    gui 3 3 3 3  -    re -  - re    mi -     -   Che         Che   fai fai te te - -       fai te -     -  co lan - guir l'a    re     Che   l'a       fai   te     - l'a    190         deh   -    ni - ma    - ni - ma mi   -  ni - ma mi  -  co lan - guir           l'a  o, l'a co -lan - guir deh non lan - gui - o, co lan - guir       non lan - o, Cor mi   deh   Cor x o, -          mi            | o, -  Cor  Che  non lan - gui 3  mi     2    - 0 2 3 1 0 0 0 3     mi 4 Chittarrone mi    Cor Cor Cor mi -     Basso       - mi     Alto trasposto ni  - ma -   -  ni   ma   - - 6   mi 6 6 6       a - O O -       - a     O a -   mi 6   a - mi 6     di i cal - di i  cal           di i cal  a -      - O           10 - so  di i - a La pie - ta -         La              vi   vi - - a  a 10   vi  - 10  vi    10 - a a La La   pie - ta  pie - ta pi - ta        te gl'in   a  spi - te cal - di so - spi -       191   t'el     te e'l de - si      ri a te   a     -      gl'in  gl'in    si -  -  te  - -   re  -  re      - re -   - - gl'in  - de  de - si te e'l          - La pie - ta - te e'l      de - si te ri -      - -        - 10   ri      10 - a     a te gl'in - vi  -   di  so - spi di - di so - spi - ri      - -           re          - 14         S'i' ti po - tes - si dar                       mo - ren - d'a - i - ta S'i' ti po - tes - si dar 14   S'i' ti po - tes - si dar mo - ren - d'a - i mo - ren - d'a - i - ta S'i'                          S'i' ti po - tes - si da   14    mo - ren - d'a - i - ta     rei per dar - ti 18 vi     18     rei  18   rei per dar - ti per vi    dar - ti       18 vi   Mor - rei per dar - ti vi    18 -                Ma vi - v'ohi           ta -  mo - ren - d'a - i - ta Mor - Ma vi - vi ohi -     Ma vi - vi ohi            192  mè  - - mè  - ta mè -       ch'in - giu - sta - men - te       ch'in - giu - sta - mè  Ma vi - vi ohi ta                      - ta    S'i' ti po - tes - si dar mo - ren - d'a - i    ta             Ma vi - vi ohi -  ti po - tes - si dar  ta - mo - ren - d'a - i - ta Mor -              14                     S'i' ti po - tes - si dar 14 18 mo - ren - d'a - i - ta Mor - S'i' ti po - tes - si dar 14                     ch'in - giu - sta - mrn - te        mè ch'in - giu - sta - men - te                              21 mo - re Chi vi - vo tien nel al - trui pet men-te mo - re ch'in giu    21     Ma vi - v'ohi 21    -  25   -      tien chi vi - vo tien 25   men - te mo -   -        nel al - trui pet - t'il co     -  vo nel             tien  l'al - trui  pet          25 -   pet  - l'al   trui - t'il co     -  re nel - l'al - trui          193  pet     pet - t'il  t'il co   - t'il - re.  - re.  - re.              co co to il co re. -    - nel -            - -  pet - t'il co - re                 - re Chi vi - vo tien nel - l'al- trui pet - tìil co - re nel - l'al - trui pet    trui pet - t'il co - -           al - trui    co-re  re Chi vi- vo tien nel-l'al-trui  25 25 Chi vi - vo Chi vi - vo            pet - t'il  Chi vi- vo tien-nel' - l'al     vi re                  Chi -    re    mo ch'in -giu - sta-men - te   nell'  tien             25 mo   mo - re ch'in-giu - sta         me ch'in giu - sta - men - te       re Chi vi- vo tien nel' al - trui -  mo - re 21 t'il co - re sta - men - te mo       21                    21     -  -   re.        194 Anima del cor mio Anonimo Salamon Rossi (c.1570-1630)        Canto    A - ni - ma        Alto     A - ni-ma del A        Quinto       3 3 3 3 2 0                          Poi che da me        mi o Poi che da me         o 3 3 2 0  Poi che da me Poi che da me mi mi -    -   cor mi      cor A      del ni - ma -         se - ra me               se - ra me tu se - ra me       195 tu    -  tu par    -    tu par  - ti  ti      - - - S'a - S'a - ti  par  mi         par se - ra me cor   tu     me - mi -   se - ra  mi del par   - del ni - ma  -  -   cor  mi mi  del   - A  Poi che da me ni - ma ni - ma         o 3 0    o 3 3 3 1 0 -      A - ni - ma    Chittarrone -               Basso A    A - ni - ma Tenore  - ti     S'a -   ti S'a        6 6        mi con - for - to al - cun         mi con - for - to al- cun 6 6 9        miei miei   a miei cun                    a miei               ch'al              i - sde - gnar 9  9        ch'al  - men -   ch'al ti  men  men            ti mar - ti - mar - ti - mar - ti -    mar - ti -  - se    ch'al - men -  gu'an - ch'i    se - gu'an - ch'i   ch'al    -  men   ti        se  196 ri  ri     -   so - o      - o So - lo   co'  So - o     Non  - -  ri -   ti  - gu'an - ch'i  ri         - - -    ti se ri   -      -  -            Non i - sde - gnar 9   Non i - sde - gnar 9 -      Non i - sde - gnar 9 mar       mi con - for - to al - cun 6 miei a a  a   mi con - for - to al 6   - gu'an   -  ch'i -  o    So - lo co'                        lo co' miei 12  miei so    12  so - spi   lo co'    -  -   miei so -       ri       E sol per  - ti Ch'in tan tan - te      ti 15  ti      15 Ch'in ro  scem              Ch'in  - pe-n'e'n co - si fie- ro scem tan pio te pe- n'e'n co - si           fie Ch'in   - ro        197 sol per  - tan   -     ri - mem - brar - -    co - si fie   - ro       pe - n'e'n co - si te tan - ti            ri - mem - rar  Ch'in        - E te pe - n'e'n   - ti     Ch'in     pio - -       sol per E 15 - -               15 ri - mem - brar                    15   ri -         te pe - n'e'n co - si fie - ri - mem - brar sol per Ch'in tan  spi 12 15 E E sol per ri - mem - brar                         12  ri so - spi miei 12  spi  ri -  -   12  te pe   tan - - te  scem - pio            20      scem - pio  e'n 20   - ro e'n co      co - si fie 20 n'en 20    -  -            vrò 24   vrò    d'A     24  - - ro            Vi - vrò    -  pio       pio d'A - mor Vi - vrò d'A - mor Vi - vrò  Vi -  pio                 Vi - d'A - mor  - scem Vi -         scem - pio    Vi - vrò d'A - mor Vi -            [ ]                       d'A - mor di ve - ra  scem  20   ro  ro  24 -  - pe - n'e'n co - si fie 20  si fie - ro scem              co - si fie    fie     fe   Vi - vrò mor  - -  d'A - -  -  mor di  - - d'es      ve - ra fe - d'es - sem -  vrò d'A - mor       24 Vi - vrò d'A - mor          di       ve - ra fe - de es sem -   pio Vi - vrò 24 vrò di d'A - mor           24         198       d'A - mor di  ve - ra       fe    - ve - ra  d'es -       27     - - sem               Vi - vrò pio 27   pio 27      mor di ve      - d'A  Vi - vrò - d'A Vi mor     fe - d'es - sem   - - Vi - vrò        Vi - vrò d'A - mor fe  - de es -   sem - - d'A d'A - mor di ve - ra Vi - vrò pio  ra       - - - fe   mor di de es- sem             - - -       pio. 30   d'A   30 - -  mor    de d'A - mor   di ve   di ve          fe - d'es - sem - pio di          30 pio Vi - vrò d'A - mor di 30  ve - ra            ve  fe      ra -   ra - 30 ve - ra -                       pio                               ve - ra fe  27 30 d'A - mor di  27 sem vrò -             Vi - vrò d'A - mor 27 - - -  fe  ra fe   d'es - sem       199  fe - de es -  de es  - sem  - sem  - de es -  -   sem  - pio. -  pio.  - pio.  - -  pio.            200 Udite, lacrimosi spirti d'averno G. B. Guarini (1538-1612) Pastor Fido, atto III scena VI Canto Salamon Rossi (c.1570-1630)            U - di U-di - te Alto          - U-di - Quinto          - U-di Tenore          - U-di - Basso              - U-di - Chittarrone   0 3 3 3 3 3 1         spir - ti d'a - ver 3 spir - ti 3   spir 3   spir   - - 3 spir      3 - d'a - ver   ti      0 3 3 1    d'a - ver    no -    -        ti    d'a - ver d'a - ver     - -    - - - - U - di no U - di - no U te la - cri - mo - si     U - di - te la - cri - mo - si U - di  -   -    te       no - va sor    no - va sor    te di -   te di           no U di te no - va sor - te no U   -  di      201 -    te no - va      sor  sor    - -      no - v -  si              te - la - cri - mo - si te   la - cri - mo    di -  te te      -    U - di    U - di     la - cri - mo - si -      te -    -   ti  te Di Di   - te    di 7             pe - n'e 7 di pe - n'e 7    pe 7    pe 7    pe 7     10    di   - n'e     -      - tor - men n'e -  tor di -   di tor    n'e di - tor tor -        fet - to - - to 10       In sem - bian             -  to - men   -  - men    Mi - ra   to Mi       pie - to            In sem - bian - te pie - to           - ra    te  - cru    202 - d'af    cru - d'af - et te -   -                ra - te - Mi to In sem - bian - te pie - to fet - to 10 to In sem - bian - te pie - to fet - to 10  -   men      Mi In sem - bian - te pie - to    10 -   to       10     men  - te  -   -        d'af -  te cru     - d'af  -        La mia don - na cru - del      La mia don   - so so -  cru  ra  - - -   -   so La mia   so na   cru -    don - na cru -   La mia       so La mia don - na cru -                  13 la mia don - na cru - del 13       del La mia don   13 del - più del     na cru - del   don - na cru - del                           Non puà far sa 16       Non può far sa - 16   mor -        te Non può far sa   16          16 Per -    no     più del in      fer -   no  tia  Non     sa tia Non può far       Non può far sa -  -     può  tia      Non può far sa so - la mor -            203 te - tia non può far       far sa      u - na -                - - tia   - fer              - no      Per che u- na so - la        te 16 - Per - che u- na so - la mor 13   - in                 16  don - na cru - del  La mia    più del in - fer         13     don - na cru - del la mia cru - del del 13         -     Non può far              19 -     -      tia Per che u    - na - so    la mor -       te Non può far sa 19    sa tia Non può far - sa 19         tia - Non può far sa 19        - tia Non può far sa     la sua in- gor tia sua in - la     gor da - vo - - Non può far      - tia Non può far             da - vo - - sa           - glia 22     sua in gor 22  - -     -      22 sa   tia - 22 tia     la  la 22    -  da    sua in -  sua in   - gor -  gor -    da vo da    204 glia     - vo   glia                              la 19 22   tia       - -   tia - 19 sa   tia Non può far sa   - -      vo  glia -  glia -                  25 E la mia vi   - ta è qua -       - si u - na  - per - pe   tua - mor    te Mi 25       E la mia vi    25   E la mia 25  vi ta è qua   - ta è qua        -      - E la mia vi           25       28 per - pe - tua -   ta è qua     - si u - na per - pe               la la vi - ta vi - ta - Mi te  mi mi - -  tua       a Di                                 co - man - da ch'io vi - va la vi - ta mi      mil - le mor - t'il  Di -   a Di   Di                   205    te Mi mil -   mil -  mil   -  le Di    mor - t'il le    mor - t'il dì - t'il   le mor   dì       co - man - da ch'io vi - va Per - che         a  - mor   28  mor  -           co - man - da ch'io vi - va Per - che 28   te       co - man - da ch io vi - va Per - che       -  Mi 28 28 si u - na          per - pe - tua mor  25 28 si u - na         31        mil - le mor - t'il  dì ri    cet - to - si - a -   Di mil 31    dì ri - 31    cet  ri - cet 31         dì 31 si      a   a ri    a ri    - a si -      cet - to si    si 34   34  si   - -    ri - cet             ri - Di - -  - cet  -   a Di - cet   to si  cet -    -  to     ri - cet - to si      - si     -      206  t'il dì ri - cet   dì  - ri - to        mil - le mor    - ri - t'il     - ri - cet - to  t'il dì       a.     a.  -        a. - si - dì  -  to -  si   mil - le mor  to   34 - t'il    -    a - -  le mor                  34 a Di mil - te mor si   -              34 - cet - to 34 cet - to si  to - ri to -  -       31              a. -   a.     207 Tirsi mio, caro Tirsi G. B. Guarini (1538-1612) Pastor Fido, atto IV scena V Canto Salamon Rossi (c.1570-1630)              Tir - si Alto - Tir   Quinto Tir    Tenore -    Tir - - 0 1 0 3   Tir - 3   Tir - 3   Tir 3   Tir - -   3 Tir 3    - Tir si   2 1        si E tu an - cor m'ab - ban - do         si E tu an - cor si E tu an - cor     m'ab - ban - do    m'ab - ban - do - - E tu an - cor        si E tu an - cor m'ab - ban - do         208    mio      mio ca si  si  - ca        mio si     Co - si ca       ni ca    ni ca mio mo - rir Co - si  m'ab - ban - do si   -         -   -     0 mio si - Tir   si   - Tir  si   -     3 Chittarrone   si - Tir Tir si  Tir Basso   mi la -  - - ro  ro  - ro - ro -   ro     sci e       mo - rir mi la - sci e  ni   ni  ni      Co - si             mo - rir mi       la - sci e    6    non m'a - i - Al - men ti 6    non m'a - i - 6      6              non mi -                 Fer - ri - rà pur duo pet - ti un fer - ro 9 ro  ne - gar gl'ul -          Fer - ri - rà pur duo pet - ti un fer       Fer - ri - rà pur duo pet - ti un fer               - - ti - mi ti - mi ti - mi ba ba ba      lo Ver - se - rà     lo - -   ro so   ro so   - ci  - ci  - ci  - ci -  ci    pur la pia -    Ver - se - rà pur la pia -  - -     lo Ver - se - rà  lo         209            9  so  9 9 so ba              ti - mi      ne - gar gl'ul -            -       ne - gar gl'ul - 9 Fer - ri - rà pur duo pet - ti un fer ba      non mi 9 ti - mi    non mi Al - men ti ne - gar gl'ul - -        non mi Al - men   gl'ul      Al - men ti  non m'a - i   ne - gar non mi Al - men 6 6                pur la pia -       Ver - se - rà pur la pia -           12  -     ga 12   di  tua    ga Di tua 12   Fil -        san -   li il - tuo li il tuo   12 Fil      ga di Fil tua  12  ga    di 12 tua Fil       15     - li il tuo   - li il tuo      Tir dol - ce e ca - ro dol - ce e ca - ro                           Tir - si un tem - po Tir - si un tem - po 15    si   - dol - ce e ca - ro no           210  - me   - no  dol - ce e ca - ro - si  - si   Ch'in - vo - car  15 - Tir  no - me no - Tir      si  si si    Tir - si un tem - po  si       si    - Tir             15  gue Tir -          gue san   si   - - Tir    Tir - si un tem - po 15 gue         si - san - gue   Tir - si un tem - po       15   san      non so - le    Ch'in vo - car  me   non so -      Ch'in - vo - car non so - le   -     me Ch'in - vo - car    - -   non so -              18 vi in- dar -  - no ma          le - vi in- dar - no  Soc - cor   18 ma      - - - no ma      - -        ri a ri a   ri a  cor    mè    - ri a  21 21 - i me mè 21 Soc - cor - Soc  cor 21 i    21 cor    - ri a mè      Soc - cor                le - vi in- dar - no ma -   18    i   18 21 - ri   vi in- dar      Soc - cor i 18 18     tua   tua Fil    Fil - cor ri ri    Fil  tua Fil       - mè  ri a mè  -  Soc - cor - Soc - cor           Che co - me -  ve -  li          li -   ri Soc - -      Che co - me ve -  di       Che co - me ve - Che co - me ve -          Che co - me ve li 211  - di li           di mè Soc - Soc - cor ri   li         ri Soc - ri a Fil      tua  Soc - cor -       - ri a    -        mè soc - cor ri a - -      li Che co - me ve - Fil  - - ri Soc - cor        mè tua tua -  Soc - cor -   cor -  Soc    -  di          24    da    da spie    24 di  di  da         da spie  dot - ta  dot - ta 28      dot - ta 28    ta  son -        sor ta sor  cru  da     a  cru - d'e      Con - dot - ta te te   Con - son   Con - dot - ta son     son                      -  pia  -  d'e  em    cru - d'e em     a cru -       212 te  em   te  - em - pia             -   Con - son  cru   Con - dot - ta  - sor da e a son          -    a  -  ta  - sor   te     son - spie - ta - ta       son dot - ta 28 sor ta a    28 ta          son  - - 28  - -  ta    ta  - spie - ta 24 28 - da  24  spie 24 24   cru  a  Con dot - ta Con - dot - ta  - Con -      mor - Con - -  pia  mor  pia   mor - te   d'e em -        pia     mor   -    - 32   -   - Con - dot - ta te 32    -   32    Con - dot - ta te -                               mor  - Con - dot - ta te           32  36   mor 36   te   -     a 36 cru cru d'e em       - 36 son a 36 cru    36 son son - cru  son em      son - -  - d'e -   cru -   d'e a cru - d'e          -  em  pia  pia - -  # em  mor  mor   pia mor mor -        213 pia  -    - da a - pia   mor   dot - ta -   - te a              - te.   te.  -  te.    te. - -    - mor  pia  em - pia -   Con  -    a  em cru son  d'e    -     em       d'e -  d'e a -   cru       -  a  Con - dot - ta 32 - Con - dot - ta te - 32   -    te.     214 Parlo, misero, o taccio G. B. Guarini (1538-1612) tratto dalle Rime Canto Alto    Salamon Rossi (c.1570-1630)         Par Par - lo mi Tenore Basso       Par -   lo   0 0 0 3 Chittarrone 3   cio 3   S'io tac          cio 3    -   cio S'io tac - cio cio S'io tac 3 0    cio 3 0 1 0 o 3  che  soc   - cio che soc    cio che soc         -  - lo mi    - -  - 215  - - - cor - s'ha        cor - s'ha se - ro o  -   vra il mo  - - tac    se - ro o tac - -  se - ro o tac            mo - ri              cor - so ha - tac  se - ro o mi mi  -    lo lo che soc - cor - s'ha - vrà il  S'io tac                3 2 mi  Par Par - lo mi -  lo Par      - Par Par - lo mi -    - -  -   - re   -  vra il mo - ri -    - mo - ri - vra il            - 6       re 6 6 S'io par   - lo     S'io par - lo che per - don     6 - 9 9 9 9 9      re S'io par       re  Ta  re Ta    re Ta   re Ta      - - -        do - no ha- vrà l'ar - di -    lo che per - don -       l'ar - di -        l'ar - di -       che per - do - n'ha - vra che per - do - no ha - vrà         - ha - vrà l'ar - di che per - don                                     da chi             ci che ben s'in - ten - de ci che ben s'in - ten - de  Chiu - sa fiam - ma tal'     ci      - per         che lo   -           re S'io par 6    Chiu - sa  ci che ben s'in - ten - de        216 Chiu - sa fiam - ma tal' fiam -   ma tal'     hor da chi  l'ac -   l'ac - cen -     hor da chi                Chiu - sa fiam - ma tal'         hor  l'ac - hor da chi       13   cen  13 -    de Par - la in me        Par - la in de 13      -         -  cen       13      de Par - la in me                         17  la pie - ta E     ta - te E      17 di - ce quel bel vol     -               di - ce quel bel vol - to             ta - te E di - ce quel bel vol - to al             17 t'al di - ce quel bel vol - to al e ta - te 17     6  - te     -        217 cru - do co    cru - do co   al   cru - do  [  la bel -     la bel -             Par - la in lei te la bel -     Par - la in lei  -    te -    Par - la in lei te  -  Par - la in lei                18 ta - te 17 la pie - ta Par - la in me de  la pie - ta         13 la pie - ta me Par - la in me  l'ac - cen        la bel -              - - - co       re  cru - do co     re Chi può mi -  -     re Chi può mi -   re -      ]    21      rar - mi                     21 E non lan - guir 21      d'A - mo     21          E non lan - guir    - re  d'A - mo rar - mi e non lan - guir 21                    d'A - mo E non lan - guir re -       E non lan - guir - re                     d'A - mo Chi può mi - rar - mi e non lan - guir d'a              Chi può mi - rar - mi        Chi può mi - rar        - Chi può mi - rar -          mo   mi e        non lan -guir        e non lan -guir      d'A    218 d'A - mo   e non lan - guir -   e non lan - guir  mi -    - mo  -   - re          re. -  d'A - mo  d'A - mo - re                                          25 re -   non lan -guir E  d'a - mo re.  -  re.   re.              219 o critico                         à di emendamenti Ohimè, se tanto amate batt. 9 il valore di semibreve nell'originale non è riportato Anima del cor mio batt. 17 per l'incongruenza dell'accompagnamento con le parti vocali sul terzo tempo, non emendato, si rimanda all'analisi ed alle conclusioni batt. 21 il Mi naturale segnato nell'intavolatura originale con un 5 sulla terza corda è stato riportato a Mi bemolle batt. 23 il La emendato manca nell'originale Udite lacrimosi spirti d Averno batt. 15 il Re posto sotto il Si in intavolatura è in realtà riferito alla nota precedente batt. 33 il bicordo nell'originale è integrato da un Si bemolle che non ha nessuna ragione d'essere rispetto la parte del Canto Tirsi mio, caro Tirsi batt. 13 per un errore di stampa il valore mensurale che riporta una nota nera sopra l'ultimo tempo è stato riportato in semibreve batt. 22 sul primo movimento l'originale riporta un errore cadenzale introducendo un Fa #, emendato con un Sol batt. 30 sul terzo tempo dell'originale è stato emendato un La che si ritiene nota estranea al procedimento di ritardi che caratterizza la parte di canto batt. 35 sul primo movimento dell'originale l'accordo completo di Re M seguito da una ottava non è conforme alla linea del canto ed ai precedenti procedimenti armonici, viene quindi emendato spostando la terza maggiore dell'accordo sul secondo movimento 220 Parlo misero o taccio Le parti di Canto e Quinto sono all'unisono, per cui si è ritenuto opportuno inserire in partitura solo la parte del Canto. batt. 15 per un errore di stampa il valore mensurale che riporta una nota nera sopra il terzo tempo è stato riportato al valore di minima, anche per le note seguenti batt. 19-20 l'originale riporta alcune incongruenze con la parte del canto che vengono emendate come da esempio: 221 ografia Agazzari, A. 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