Gli Autori
Per scrivere la Storia di un piccolo paese, anche se necessariamente un
po’ lacunosa, occorre amarlo e soprattutto viverlo. Ennio (nato nel 1970)
e Tullio (nato nel 1958) hanno queste caratteristiche e ne conoscono i
tramonti in estate, le funzioni religiose, l’odore dei salici nello Scrivia,
ogni casa, ogni persona.
Sergio è nato nel 1950 a pochi chilometri da Vocemola, nel Comune
di Isola del Cantone, ma la sua passione riguarda tutta la Valle avendo
pubblicato alcune ricerche geologiche o storiche sull’argomento.
Insieme hanno passato lunghe serate e pomeriggi a redigere queste
pagine con la speranza che possano essere utili ai vocemolesi e non solo.
ENNIO DI BIASE, SERGIO PEDEMONTE,
TULLIO SEMINO
Vocemola
La gente. La storia
ENNIO DI BIASE, SERGIO PEDEMONTE, TULLIO SEMINO
Vocemola
La gente. La storia
ENNIO DI BIASE, SERGIO PEDEMONTE, TULLIO SEMINO
Vocemola
La gente. La storia
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In copertina: Vocemola nel 1918
Da: Our Italian Front, painted by Martin Hardie, described by
Warner Allen, A. & C. Black, LTD., Soho Square, London, 1920
In quarta di copertina: la chiesa vecchia nel cimitero
Foto di Sergio Pedemonte
I proventi del libro saranno devoluti in beneficienza.
Si ringrazia per la pubblicazione del libro lo
Studio Marco Semino - Comunicazione e Marketing
Vocemola. La gente. La storia
2017
Note
Quanto utilizzato di altri
ricercatori è stato messo in
evidenza con font minore
tra virgolette («…») e
segnalato in nota a piè di
pagina dove gli autori sono
in MAIUSCOLETTO con l’anno
di edizione tra parentesi.
-2-
Indice
Notizie geografiche, geologiche, geomorfologiche
La geografia
La geologia e la geomorfologia
Inquadramento geologico del Comune
di Arquata Scrivia
Il clima in epoca storica
Toponomastica
Su Vocemola
Elenco di toponimi nostrani
I catasti
Storia antica
Dal buio della preistoria fino all’avvento di Roma
L’epoca di Libarna
La Via Postumia
I tegoloni romani di Vocemola
Dopo Libarna
Dal 1000 al 1815
Intorno a Vocemola
I primordi documentati
I cognomi
I Semino, Lugano e Lazzari: alcune supposizioni
Qualche vicenda degli abitanti di Vocemola
La battaglia di Novi
Dal 1815 al 1945
Trasformazioni amministrative
Vita da lupi
A militare nel Risorgimento
La Grande Guerra
Il Parco della Rimembranza
La Seconda Guerra Mondiale
Dal 1945 a oggi
La passerella e il ponte
Annegati nello Scrivia (di Angelo Allegro)
Il rimboschimento di Vallebona
(di Francesco Butti e Maurizio Tavella)
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pag. 119
pag. 119
pag. 116
pag. 119
pag. 124
pag. 124
pag. 128
pag. 130
pag. 135
pag. 135
pag. 138
pag. 140
pag. 151
pag. 152
pag. 156
pag. 156
pag. 159
pag. 168
pag. 169
pag. 173
pag. 182
pag. 183
pag. 183
pag. 184
pag. 186
pag. 189
pag. 196
pag. 197
pag. 109
pag. 109
pag. 117
pag. 118
La Camionale (di Alessio Schiavi)
L’acqua a Vocemola (di Angelo Allegro)
I mulini (di Angelo Allegro)
Alcuni censimenti
Storia ecclesiastica
La chiesa parrocchiale di San Bartolomeo
Altar Maggiore (di Angelo Allegro)
Sepolture nell’antica chiesa di San Bartolomeo
situata nel cimitero (di Angelo Allegro)
Alcuni rettori e sacerdoti di Vocemola
Confraternite
Tradizioni e memorie
Interviste
Rettorato
Il Circolo A.C.L.I. e le manifestazioni
Vita di tutti i giorni
L’archivio informatico de La Stampa
Conclusioni
Un finale per me doveroso (di Sergio Pedemonte)
Appendice
Rinvenimento di un masso di eclogite a Vocemola
(di Eugenio Poggi)
Bibliografia
Indice dei nomi, dei luoghi e delle Associazioni
pag. 119
pag. 122
pag. 124
pag. 125
pag. 129
pag. 129
pag. 141
pag. 142
pag. 143
pag. 146
pag. 149
pag. 149
pag. 155
pag. 156
pag. 158
pag. 168
pag. 171
pag. 173
pag. 174
pag. 174
pag. 181
pag. 187
Introduzione
Scrivere oggi una Storia di Genova significherebbe sintetizzare gli innumerevoli studi fatti da centinaia di accademici, eruditi o semplicemente appassionati, che via via sono stati dati alle stampe. Nonostante
questo la Storia di Genova sarà sempre incompleta.
Non stupiamoci pertanto che nel fare la Storia di un paesino, neanche
Comune ma frazione, ci siano lacune nei documenti o nei reperti archeologici: per Vocemola questa è forse la prima monografia ma esistono comunque singole ricerche, molto importanti e dettagliate,
sparse qua e là. Se all’inizio eravamo titubanti proprio per la penuria
delle fonti, man mano ci siamo accorti che spulciando tra tomi e archivi
qualcosa si trovava. Ma per una piccola comunità è la memoria che
rende unica, irripetibile e importante, la Storia dell’insieme di gente,
case, campi, piccole strade.
Le tradizioni raccontano una buona parte della vita religiosa e quindi
i riti che sono la manifestazione di una coscienza collettiva; così pure
la toponomastica e l’onomastica: più avanti formuleremo un’ipotesi
sui cognomi Ponta, Lazzari, Semino e Lugano che si ricollega alla Storia
generale del nostro paese. Un cognome può indicare paesi di provenienza, immigrazione per matrimonio o lavoro, oppure una professione tipica del luogo o di quello da cui si arriva. Anche lo scorrere del
tempo lascia tracce difficilmente cancellabili: il nome di un campo può
essere legato alla sua morfologia, ai proprietari o a molteplici vicende
storiche.
Lavorando su questi labili indizi ovviamente non si riesce a soddisfare
tutte le curiosità: i secoli bui ci furono addirittura per l’Europa, non
scandalizziamoci se noi abbiamo qualche vuoto in ciò che accadde
tempi addietro, ma rassegnamoci pensando che forse è il bello della
Storia non concludersi mai.
Un anno di ricerca, di confronto con gli abitanti, ci ha dato una notevole
soddisfazione personale: la comunità non è smembrata, irriconoscibile
o talmente eterogenea da non essere più tale. Non è la scala di un con-
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dominio cittadino dove i legami sono dettati dall’amministratore, ma
è un piccolo universo, con rapporti sereni, a volte tesi, con ancora rispetto o buon senso.
Chi lega tutto ciò? Chi ne fa una peculiarità? Gli anziani e il dialetto.
Non sappiamo quando tutto si smembrerà e non sappiamo se avverrà
o se ciò sarà un bene o un male.
A noi Vocemola piace così, con il Circolo e la sua televisione, l’interno
delle case decoroso e non pretenzioso, il rumore dell’autostrada come
sottofondo, il lungo ponte e quella sponda di là da Scrivia, erta come
un muro, che sostiene strada e ferrovia e che sembra scoraggiare chi
vuole andarne oltre.
Ringraziamenti
Due persone in particolare hanno agevolato questa ricerca mettendo
a disposizione il materiale che hanno raccolto in anni di ricerche: Angelo Allegro e Edoardo Morgavi.
A loro va il nostro ringraziamento e possono considerarsi coautori del
libro.
Altri amici, ognuno a modo suo, ci sono stati utili nella stesura. É evidente che l’hanno fatto per Vocemola e per i suoi abitanti e quindi il
ringraziamento è doppio: per il materiale e per l’affetto che hanno
verso un paese che sembra a guardia della sponda destra del torrente.
Essi sono:
Il Comune di Arquata Scrivia
I responsabili dell’archivio della curia arcivescovile di Tortona
L’Associazione Culturale “Mnemosyne” di Arquata Scrivia
Mauro Balbi
Famiglia di Roberto Barulli
Paolo Bertoldi
Carmelino Binasco
Sergio Binasco
Famiglia di Livio Bisio
Anita Botti
Gli eredi di Francesco Butti (Arquata Scrivia)
Davide Canazza (Genova)
Il Centro Culturale di Isola del Cantone
Il Circolo Associazione Cristiana dei Lavoratori (A.C.L.I.)
Ennio Cirnigliaro di Pontedecimo (Genova)
Giuseppe De Carlini (Tortona)
Andrea Fazio
Paolo Granara (Isola del Cantone)
Lino Gallino
Vittorio Gifra (Arquata Scrivia)
Franco Lugano (Presidente A.C.L.I.)
Bruno Palci
Gianluigi Pallavicini (Arquata Scrivia)
Pietro Piana (Università di Nottingham, Inghilterra)
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Monsignor Lino Piccinini (parroco di Arquata Scrivia)
Eugenio Poggi (Genova)
Albino Ponta
Giuseppe Ponta
Famiglia Rosi (Arquata Scrivia)
Giovanni (Nanni) Sangiacomo (Isola del Cantone)
Alessio Schiavi (Genova)
Bruno Semino
Marco Semino
Umberto Semino
Maria Luisa (Marisa) Semino
La famiglia di Mario Emilio Semino
Maurizio Tavella (Varinella)
Freddy Van Wyngaardt (Arquata Scrivia)
Notizie geografiche,
geologiche e morfologiche
La geografia
Vocemola è, più o meno, sullo stesso parallelo di Bologna e di Cuneo
ed è più a nord di New York, Tokio, Vladivostock e Pechino. Ha un clima
più mite delle città elencate per l’influenza del Mar Mediterraneo.
Coordinate:
44°41’33’’ N – 8°52’54’’ E
Altitudine:
250 m s.l.m.
Abitanti nel 2001: 149
Codice postale:
15061
Fuso orario:
UTC+1
La frazione di Vocemola dista 3,24 chilometri dal Municipio di Arquata
Scrivia ed è in Provincia di Alessandria.
Del Comune fanno parte anche le frazioni o località di Ca’ Bianca, Giacomassi, Pessino, Picareto, Rigoroso, Sottovalle, Travaghero, Val d’Arquata, Varinella.
Le stazioni ferroviarie più vicine sono Rigoroso sulla vecchia linea dei
Giovi e Arquata con le diramazioni per Milano e Torino.
Il casello autostradale è a Vignole Borbera.
La geologia e la geomorfologia
Chi percorre per la prima volta la Valle Scrivia da Genova verso Alessandria sulla Strada Provinciale 35 dei Giovi (ex S.S. 35), arrivato a Pietrabissara mai si aspetterebbe che poche centinaia di metri dopo,
proprio sul confine tra Piemonte e Liguria, il paesaggio si trasformi
improvvisamente e alle parete scoscese dei conglomerati si sostituiscano rocce più tenere e recenti che modellano ampi spazi, dolci colline preludio della Pianura Padana. Questa località si chiama Belvedere
ed è un toponimo che descrive ampiamente ciò che si vede: nelle belle
giornate di tramontana le Alpi si stagliano all’orizzonte e ci danno
l’idea di quanto è piccola l’Italia.
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Vocemola è adagiata sulla destra orografica dello Scrivia, dove un terrazzo fluviale sembra fatto apposta per un insediamento agricolo a solatio. Dall’altra parte Rigoroso, sovrastato dallo sperone su cui
troneggiano i ruderi del castello di Montalto, è caratterizzato dai calanchi di Sottovalle che ne rendono il paesaggio curioso e gradevole.
I geologi identificano comunemente la distribuzione areale delle diverse rocce attraverso alcuni parametri principali tra cui il luogo dove
affiorano con maggiore rappresentatività e l’età in cui si sono formate
nel corso di milioni di anni (Cretaceo, Oligocene, Quaternario ecc.). In
generale, gli stessi specialisti cercano di individuare e distinguere
anche quale è stato il principale processo genetico naturale che le ha
formate (sedimentarie, metamorfiche, vulcaniche, chimiche) e/o più
o meno intensamente modificate e modellate nel tempo (faglie, pieghe,
fratture, etc), nonché acquisire preziose informazioni circa le loro qualità meccaniche (ad esempio il fatto di essere più resistenti o meno resistenti ai fenomeni esogeni legati all’alterazione) o il loro legami
spaziali e strutturali sul terreno (compatte, a strati, listate ecc.).
Quando leggiamo sulle carte geologiche il termine Calcari di Monte Antola, detto dagli esperti in materia “nome formazionale”, significa che
il luogo caratteristico dove possiamo trovare ed osservare tutte le caratteristiche geologiche di queste particolari rocce è intorno alla vetta
più alta dell’Oltregiogo. L’area che occupano questi calcari è molto
vasta e continua con gli ultimi affioramenti poco a nord di Vocemola.
Questa Formazione, si chiama così, è identificata dall’Epoca Geologica,
circa 70 milioni di anni fa cioè nel Cretaceo superiore, in cui, in ambiente marino, si sono progressivamente depositati ed accumulati i
minuscoli granuli che, in seguito ai processi di sedimentazione e cementificazione, ne costituiscono oggi gli strati e le bancate. Questi si
presentano di diverso spessore e potenza, alternati tra calcari più compatti o argilloscisti friabili (foto 1) in base alla loro composizione risulti
rispettivamente maggiormente carbonatica o argillitica.
Sopra di loro, perché più recenti, ci sono le rocce appartenenti alla formazione dei Conglomerati di Savignone (foto 2): sembrano un calcestruzzo formato da ciottoli arrotondati di varie dimensioni, anche loro
di origine marina ma formatisi in acqua meno profonda. Le gole di Pietrabissara ne evidenziano la parziale resistenza all’erosione con le pareti ripide simili a una forra, che rappresenta morfologicamente una
netta e marcata incisione naturale. Nelle cave del paesino appena no- 10 -
Foto 1: affioramento di Calcari del Monte Antola vicino a Cabella (foto di Sergio
Pedemonte)
Foto 2: le gole di Pietrabissara scavate nel conglomerato (foto di Sergio Pedemonte)
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minato vi è l’arenaria, che altro non è che un conglomerato di grana
fine perché prevalentemente costituito da sabbia cementata. All’interno di questa formazione geologica vi sono prevalentemente ciottoli
di origine sedimentaria (calcari, arenarie, calcari marnosi, dolomie,
etc. etc.), ma occasionalmente anche frammenti detritici di rocce verdi
come serpentiniti, gabbri, metabasiti. L’enorme Ciappun, sulla strada
da Vocemola a Mereta, è una bellissima eclogite, roccia metamorfica a
grana media che proviene dai settori piuttosto profondi del Pianeta
(foto 3 e 3 bis). É una roccia tra le più pesanti (3,5 ton/m3) e più resistenti, composta dall’aggregazione di vari minerali tra cui pirosseni,
granati, anfiboli, titaniti, solfuri, etc: questa litologia ha subito durante
la sua complessa e composita evoluzione geologica nei milioni di anni
un metamorfismo di alta pressione in condizioni anidre ed è il frutto
della collisione e della conseguente subduzione tra placche tettoniche1.
Cioè si è formata in quelle zone dove ad esempio oggi la zolla africana
si scontra e scivola sotto quella Europea.
In Liguria gli affioramenti più vicini di eclogite sono nell’entroterra di
Voltri, nei dintorni di Piampaludo (SV), a circa 35 km in linea d’aria. In
queste località, al Bric Tariné, esiste un giacimento di titanio proprio
all’interno delle eclogiti ma la zona, ricadendo all’interno del comprensorio del Beigua Geopark, è protetta da leggi regionali e nazionali che
ne vietano lo sfruttamento. É probabile, nel nostro caso, che all’interno
della cosiddetta striscia geologica che va da Sestri Ponente a Voltaggio,
vi possano essere ammassi rocciosi simili, oggi non ancora identificati
perché smantellati dall’erosione o giacenti in profondità. Il Ciappun è
evidentemente il frutto di un’enorme frana sottomarina nell’ambito
dei conglomerati o dei successivi fenomeni erosivi continentali che
hanno interessato rocce verdi che precedentemente affioravano anche
in queste località (vedere Appendice).
Questo enorme blocco, il più grosso da noi visto in tutti i Conglomerati
di Savignone, proprio per la sua elevata tenacità ha potuto resistere
agli sforzi ed ai fenomeni di erosione ed alterazione che a partire da
decine di milioni di anni fa lo hanno interessato. Non si tratta quindi,
come racconta la tradizione paesana, di un meteorite venuto dallo spazio!
Ma oltre alle eclogiti, come già detto, intorno a Vocemola vi sono nuSi ringrazia il dott. Eugenio Poggi, petrografo, di Genova per la visita al Ciappun e
le notizie qui riportate.
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merosi piccoli massi utilizzati per i selciati e le case. Nella parte alta
del paese un’abitazione diroccata è una vera e propria biblioteca geologica (foto 3 tris) poiché, per le murature strutturali, sono stati anticamente utilizzati materiali lapidei prelevati facilmente in loco tra cui
serpentiniti, eclogiti, dolomie ed altre rocce sedimentarie e metamorfiche. Crediamo che per gli studenti delle Facoltà di Geologia sarebbe
oltremodo utile un’escursione in quest’area.
Foto 3: il Ciappun dai Bricò. Le dimensioni possono essere colte confrontandole con
l’altezza delle persone: si tratta comunque di parecchie decine di metri cubi (foto di
Sergio Pedemonte)
La cosa singolare per noi di Valle Scrivia, è che le rocce tra Pietrabissara e la pianura sono state studiate dai geologi del XIX secolo proprio
qui da noi e pertanto le sottoepoche, come si può vedere nella tabella
1, hanno preso il nome dai paesi che ci circondano e con tale nome
sono conosciute in tutto il mondo: Serravalliano, Tortoniano e Langhiano.
Vocemola risulta impostato sulla alluvioni recenti dello Scrivia che ricoprono il terrazzo morfologico modellato in migliaia di anni. Via sono
anche affioramenti della Formazione di Monastero, rappresentata da
alternanze di strati sottili di marne, argille-marnose e arenarie, dal
paese fino al confine comunale lungo il fosso Liborno. Più in alto ci
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i Conglomerati di Savignone. Il nostro nucleo di case è però direttamente fondato su sedimenti sciolti che ricoprono il terrazzo morfologico dello Scrivia modellato in migliaia di anni. É uno slargo che gode
di un microclima favorevole all’agricoltura e all’insediamento umano.
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Foto 3 tris: la casa nella parte alta del
paese che è un biblioteca geologica: dolomia (A) probabilmente del Monte Gazzo
(GE); gabbro (B); eclogite (C); serpentinite
alterata (D) (foto di Sergio Pedemonte)
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Foto 3 bis: un campione di eclogite del
Ciappun (foto di Eugenio Poggi)
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Foto 4: le Marne di Rigoroso e i calanchi sopra il Rio della Lavandaia. La zona forse
ospitava il tracciato della Via Postumia più antica (foto di Sergio Pedemonte)
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Calcari di Monte Antola
Gli affioramenti riferibili a questa formazione affiorano nei rilievi a Est
della frazione Vocemola (versante nord del Monte Magon). I litotipi
prevalenti sono i calcari marnosi.
A questi spesso si alternano calcarei arenacei e strati argillo-marnosi.
Nei livelli in prevalenza argillo-marnosi l’erodibilità è elevata. Questo
favorisce la presenza di versanti instabili. Gli strati sono stati interessati da tutte le fasi dell’orogenesi per cui sono presenti forti deforma-
zioni e notevoli differenze di giacitura. Le coperture sono generalmente esigue o mancanti.
Conglomerati di Savignone
Si tratta di conglomerati eterometrici e poligenici in grossi banchi a
stratificazione poco evidente. Questa formazione affiora nella parte
sud del territorio comunale dove è profondamente incisa dall’azione
erosiva del Torrente Scrivia.
Formazione di Monastero
Questa formazione è rappresentata da alternanze di strati sottili di
marne, argille-marnose e arenarie. È presente in riva orografica destra
del Torrente Scrivia, dalla frazione di Vocemola al confine comunale
lungo il fosso Liborno. Il tratto finale del Torrente Spinti è inciso in
questi affioramenti. I litotipi presenti sono facilmente erodibili per cui
si osservano estese aree soggette a erosione di tipo calanchivo come
la sponda destra del Torrente Spinti e nei versanti a sud-est delle frazioni Varinella e Travaghero.
Marne di Rigoroso
Formazione osservabile lungo la scarpata di raccordo tra l’alveo attivo
del Torrente Scrivia e il terrazzo morfologico corrispondente al fluviale
recente. E’ inoltre in evidenza lungo il versante destro del bacino del
Rio Lavandaia, dove si possono notare estesi fenomeni di erosione di
tipo calanchivo. Dal punto di vista litologico è costituita da marne e da
marne-siltose alternate a livelli marcatamente arenacei.
Formazione di Costa Montada
Questo affioramento è costituito da arenarie, marne e conglomerati in
strati molto potenti.
E’ presente nella parte sud-ovest del territorio comunale, nei rilievi a
monte della ex S.S. 35 dei Giovi, nel tratto compreso tra Rigoroso e il
bivio di Via Villini.
Estesi fenomeni di tipo calanchivo sono presenti nel bacino del Rio Lavandaia, dalla località La Costa alla località Sottovalle. I livelli più consistenti delle bancate arenacee e conglomeratiche sono state utilizzate
in passato come pietra da costruzione.
Formazione di Costa Areasa
Affiora nei rilievi immediatamente a ovest del concentrico lungo i rilievi e il crinale che separano le valli Regonca e Montaldero. È costituita
da alternanze di sequenze torbiditiche con livelli arenacei e pelitici. Si
tratta di depositi di pianura o di scarpata sottomarina interessati
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Inquadramento geologico presente sul sito del
Comune di Arquata Scrivia
Nel territorio comunale di Arquata Scrivia affiorano prevalentemente
formazioni databili al Cretaceo-Paleocene oltre che depositi marini appartenenti al bacino oligocenico del Bacino Terziario Piemontese. Coperture continentali quaternarie di origine fluvio-glaciale ricoprono
in molti punti i terreni più antichi.
Di seguito vengono esaminati in dettaglio tutte le formazioni presenti
nell’ambito del territorio comunale.
anche dalla deposizione di fanghi calcarei. Non mancano estesi fenomeni di erosione di tipo calanchivo come alla testata del Rio Chiappino.
Marne di Cessole
Questa formazione affiora nella parte nord-ovest del territorio comunale.
Dal punto di vista litologico è costituita da marne siltose intercalate
da sottili livelli arenacei, raramente calcarei o calcareo-marnosi. Nella
parte alta della formazione si osserva un graduale passaggio alle arenarie grossolane.
Fluviale Medio
Si tratta di alluvioni ghiaiose, sabbiose, argillose molto alterate, anche
in profondità.
Sono riferibili alla penultima fase di espansione glaciale quaternaria.
Lembi residui di terrazzamenti fluviali sono particolarmente evidenti
tra il Rio Radimero e il Rio Pradella.
In sponda destra del Torrente Scrivia questi depositi sono presenti
nella ridotta spianata alluvionale in cui è ubicato il concentrico di Pessino.
Fluviale Recente
In questa formazione continentale sono compresi i depositi riferibili
all’ultima fase di espansione glaciale quaternaria. Essi ricoprono con
spessore plurimetrico tutto l’ampio terrazzo morfologico presente in
sponda orografica sinistra del Torrente Scrivia comprendente il concentrico comunale.
La formazione è presente in località Vaie, nella fascia compresa tra la
ex S.S. 35 dei Giovi (Via Roma) e Viale Marconi.
Alluvioni Postglaciali
Con questo termine vengono indicate le alluvioni ghiaiose, sabbiose,
siltose e
argillose presenti lungo le sponde del Torrente Scrivia e del Torrente
Spinti.
Alluvioni Attuali
Si tratta di alluvioni ciottolose, ghiaiose, sabbiose, siltose costituenti
gli alvei del Torrente Scrivia e del Torrente Spinti. Sono presenti anche
blocchi di diametro decimetrico che testimoniano una notevole energia di trasporto.
- 18 -
Il clima in epoca storica
L’Alta Valle Scrivia sale da Serravalle (225 m s.l.m. circa) fino all’Antola
con i suoi 1.600 metri circa ed è a poca distanza dal Mar Ligure, posizione quindi che ne complica notevolmente l’assetto meteorologico.
La situazione climatica generale della zona è riconducibile al tipo mediterraneo montano, con precipitazioni abbondanti concentrate specialmente nel periodo autunnale e primaverile ed estati
moderatamente calde e asciutte. I dati della stazione meteorologica di
Isola del Cantone mostrano tuttavia in luglio un piccolo periodo di aridità estiva. In relazione a tali caratteristiche ambientali e alle modificazioni indotte dall’uomo, il paesaggio vegetale è dominato dai boschi,
in prevalenza cedui, di latifoglie meso-termofile. Le essenze arboree
più diffuse sono il castagno e il carpino nero (Ostrya carpinifolia), cui
si accompagnano spesso Fraxinus ornus, Quercus pubescens, Carpinus
betulus, Acer campestre, Acer opulifolium. In particolare sono presenti
alberi da frutto come ciliegie e nocciole, residuo inselvatichito delle
coltivazioni che pochi decenni orsono coronavano le colline. Ma la vegetazione è variabile nel tempo: quella odierna è il risultato, oltre che
delle condizioni climatiche, anche degli innesti e disboscamenti dovuti
all’uomo. Il castagno ad esempio fu probabilmente introdotto nei secoli XI o XII ma era già conosciuto in epoche precedenti e condizionò
economicamente e culturalmente le popolazioni della valle. Dove oggi
ci sono fasce a mezza costa, molti secoli fa vi erano i boschi di carpini
e rovere: l’agricoltura richiese il disboscamento di queste pareti trasformandole in piccoli campi sostenuti da muri a secco ma oggi essi
riconquistano i pendii abbandonati dai contadini.
In epoca storica si riscontrò un clima freddo tra il 900 a.C. e il 50 a.C.
tanto che nel 500 a.C. si ebbe il pessimum subatlantico dell’Età del
Ferro e nel 300 a.C. il livello medio marino era 1,5 m più basso dell’attuale. Ricordiamo però che Annibale nel 218 a.C. superò le Alpi portando con sé gli elefanti.
Nei secoli successivi la temperatura aumentò e il clima divenne più
arido: nel 300-400 d.C. avvenne la desertificazione del granaio di
Roma, l’Egitto. L’inaridimento dei pascoli nelle aree asiatiche spinse le
popolazioni Visigote, Ostrogote, Longobarde verso l’Italia. Tra il 165 e
il 180 d.C. si ebbe anche un’epidemia di tifo esentematico, detta peste
- 19 -
antonina, e tra il 252 e il 254 d.C. comparve il colera e così via; poi nel
383 ci fu una grave carestia. A Tortona addirittura venne costruito un
acquedotto che, secondo la Cronaca compilata da Tomeno Berruti nel
XVI secolo, iniziava a Pietrabissara..
Tra il 400 circa e il 750 d.C. ci fu un nuovo peggioramento del clima
con una diminuzione della temperatura media, aumento della piovosità e l’avanzata dei ghiacci sulle Alpi.
A questo deterioramento seguì un ottimum climatico tra il 750 e il
1150 (per altri tra l’800 e il 1200) detto anche periodo caldo medievale. Nei secoli a cavallo dell’anno 1000 l’aumento delle temperature
medie nell’emisfero settentrionale favorì l’apertura di nuove rotte nei
mari del nord, tanto che i Vichinghi esplorarono terre fino ad allora
sconosciute come il Labrador e Terranova. Il nuovo clima, secondo alcuni autori, ebbe effetti diversi tra le varie regioni europee: fra il 1032
ed il 1033, la fame cominciò a diffondersi in alcuni territori perché le
condizioni climatiche erano così sconvolte che non arrivava mai il momento opportuno per nessuna semina, né il tempo utile per la mietitura, soprattutto a causa delle inondazioni. La terra era così fradicia
per le continue piogge che per tre anni di fila non si poté ricavare un
solo solco che consentisse la semina. Invece nel 1158 a Genova e in Liguria si arrivò a lamentare numerose vittime a causa della siccità perché non piovve dal principio di agosto sino all’ultima settimana del
marzo 11592. Nuovo peggioramento si manifestò a cavallo del 1200 1300 e, addirittura tra il 1760 e il 1850, si ebbe una piccola età glaciale.
Nell’inverno 1451 – 1452 i soldati sforzeschi a guardia del castello di
Montessoro si trovarono costretti a non uscire a causa della neve e la
mancanza di rifornimenti li costrinse alla fame3. Nel 1493 il freddo eccessivo a Ronco e Isola costrinse gli abitanti a bruciare i pochi mobili
per l’impossibilità di andare a raccogliere legna, mentre don Stefano
Costa4, curato e poi parroco di Isola del Cantone, ci ricorda che nello
stesso anno a Genova gelarono le acque in porto. Nel 1586, racconta
nel suo diario Giulio Pallavicino nobile genovese, a causa della gran
neve che bloccava i passi verso Genova in città si moriva di fame. Sempre secondo Costa, tra il 1893 ed il 1913 si ebbe il minimo di temperatura a Isola con –12 °C ed il massimo a +29 °C. La nevicata più
copiosa in quel periodo raggiunse i 90 cm. Inoltre l’autore afferma che
nel 1843, per la temperatura rigida, essendo in Isola venuta meno la
provvista di legna, la popolazione corse all’oratorio che era stato appena ultimato e fece provvista con il legname, tagliato nelle comunaglie e ormai inutile per le ponteggiature. Ma nel 1884 un anonimo
diarista vobbiese scriveva che è «venuto uno bellisimo inverno senza
venire neve». Lo stesso asseriva che da aprile al 12 settembre 1861 non
era piovuto e la siccità fu grande. Il 20 febbraio 1805 a Vocemola ci fu
una nevicata di 9 palmi5 come ci informa il rettore Figino (o Figini) in
un brogliaccio dell’archivio parrocchiale intitolato Libro di alcune spese
fatte dalla chiesa. Si ruppe la chiave di ferro dell’arco di mezzo della
chiesa e poi alle 21 cedette tutta la volta. Fortunatamente non si contarono vittime se si pensa che ancora alle 19 si celebrò un triduo con
concorso di fedeli. I lavori furono iniziati subito perché venne messo
a disposizione un bosco ceduo detto della Misericordia che servì ad
alimentare una fornace per la calce. Si scelsero le pietre che furono
portate da tutto il popolo di Vocemola, mentre la sabbia fu trasportata
soprattutto dalle donne e dai bambini. La calce non riuscì perfetta e
purtroppo una parte di volta cedette nuovamente: comunque l’8 settembre dello stesso 1805 si poté officiare e l’anno seguente si terminarono del tutto i lavori. Dalle Memorie dell’arciprete di Isola Gio Batta
Moresini e dei suoi successori, l’anno 1914 viene considerato un inverno assolutamente eccezionale perché la prima neve cadde il 14 gennaio. Invece Natale Rivara, nelle sue Note, descrive per il 1914 una
nevicata del febbraio che, nella stazione ferroviaria, raggiunse lo spessore di un metro e dieci centimetri dove non era ammonticchiata dal
vento, mentre l’11 dello stesso mese posò
una scodella di vino di Gallipoli di gradi 13 di alcool alla finestra della sala. Alle 13,30
l’ho tolta e ho rovesciato la scodella, il vino ne aveva la forma ed era completamente
gelato.
Nel successivo 1915 sempre dalle Memorie di G.B. Moresini si ricava:
9 febbraio. Nevicate eccezionali. La neve raggiunse 70-80 cent. Nevicò tutto il 9, la
notte dal 9 al 10, il 10 sino a mezzogiorno. Riprese a nevicare l’11 al mattino e nevicò
COSTA (1913).
Tutte le antiche misure risentono delle località in cui sono usate: se accettiamo che
un palmo possa essere stato sui 20 cm, abbiamo una nevicata di 180 cm.
4
5
TACCHELLA, 1950, pag. 141.
3
CAMMARATA, 2006, pag. 37.
2
- 20 -
- 21 -
fino alle 22. Cominciò di nuovo all’alba del 12 e continuò fino a sera. Il 18 riprese a
nevicare e durò fino al domani a sera 20. Riprese a nevicare il 22 al mattino e nevicò
fino la notte dopo.
santina di vittime. Il 15 settembre 1719 il ponte di Serravalle crollò
nuovamente sotto l’impeto di una piena e il castellano Josè Gomez informò Milano7 che:
Nel 1919 le stesse Memorie dicono che l’inverno fu di una mitezza eccezionale. Nevicò la prima volta a fine gennaio. Gian Camillo Cortemiglia, docente di geomorfologia all’Università di Genova, registra a
Tortona, nell’arco di tempo 1891-1968, che la temperatura minima fu
di –14,3° C verificatasi il 20 dicembre 1933 mentre la massima di 38°
C si ebbe il 30 giugno 1945. Lo stesso autore riporta un diagramma
dell’andamento della temperatura media annua, sempre nella zona
tortonese, per lo stesso intervallo che mostra la tendenza generale a
una crescita della temperatura media annua di circa 0,09 °C ogni decennio. Lorenzo Tavella, pensionato delle Ferrovie dello Stato, scomparso nel 1949, per decenni aveva registrato puntigliosamente le
temperature e le condizioni atmosferiche di Busalla. Dai suoi taccuini
si deduce che nel 1929 a gennaio si era scesi a –16 °C e che nel 1946
erano caduti 120 cm di neve.
Il bollettino parrocchiale di Isola riporta che nel febbraio 1956 il termometro era arrivato fino a –14 °C e che per l’intero mese il gelo non
ha cessato di causare danni. Per altri nel gennaio del 1985 si è arrivati
anche a –22 °C. Il 10 febbraio 1978 a Pietrabissara a causa della neve
la linea ferroviaria venne interrotta.
Diamo un accenno anche alla piovosità e alle relative alluvioni. Iniziamo attingendo agli studi di Alberto Scarabosio, storico del Medioevo, che riporta, tra il 579 ed il 596, per tutta l’Italia una serie di
annate piovose eccezionali, con inondazioni e impaludamenti e notevoli i riflessi negativi sull’agricoltura. Proseguiamo con il 1177 quando
vi furono nubifragi tali che il Lago Maggiore ebbe un livello più alto di
dieci metri e lo Scrivia aumentò la sua portata divenendo navigabile,
ma non sappiamo in quale tratto6. Ai primi di ottobre del 1452 un diluvio di acqua ruppe il ponte di Serravalle mentre il 14 maggio 1507
Re Luigi XII partì da Genova per la Francia e tra Busalla e Borgo Fornari
una pioggia torrenziale fece straripare lo Scrivia travolgendo alcuni
suoi uomini di scorta che perirono nell’inondazione.
Nel 1604 si ebbe una paurosa alluvione tanto che le acque del torrente
danneggiarono la chiesa di Ronco. Il 26 agosto 1702, Gavi, Voltaggio,
Campo Ligure e Rossiglione, vennero devastate da un’ingente quantità
di acqua accompagnata da forti venti: nella piazza di Campo l’acqua
arrivò all’altezza di circa tre metri e in tutta la valle vi furono una ses-
... ha derrocado todo el primèr arco en la distancia de mas de 100 pasos por lo mas
rapido de la corrente...
- 22 -
Così nel 1840 la grande portata d’acqua rovinò le arcate del Ponte Monumentale e la chiesa parrocchiale di Ronco fu invasa dal fiume, mentre nel 1889 il Migliarese distrusse il cimitero di Busalla. Invece nel
1892 a Serravalle le acque del torrente scavalcarono il ponte.
Il 27 ottobre 1909 si ebbe un’alluvione in Val Vobbia dove case, strade
e terreni furono travolti dalle acque. Sappiamo che allagò Vobbia, fece
crollare un ponte in muratura ad Arezzo, due a Vallenzona ed i muri
del cimitero di Noceto. A Vobbietta scomparve la casa con maglietto
di Giovanni Delprato e la sua famiglia si salvò a stento. Anche la passerella per Marmassana fu asportata e venne rifatta nel 1912. Il 19 settembre 1953, secondo il bollettino parrocchiale di Isola, si ebbe una
piena dello Scrivia. Un’altra segnalata nel 1968 raggiunse il massimo
storico di oltre 2.000 m3/s e nell’autunno 2002 fu travolto il ponte tra
Arquata Scrivia e Vignole Borbera, ripristinato e riaperto poi solo nel
2005. Il 7 ottobre 1970 segnaliamo che a Crocefieschi caddero 401
mm di acqua in un giorno e ben 422 a Vallenzona.
Per avere un’idea del fattore discontinuità delle piogge è stato notato
che in Liguria si sono registrati acquazzoni estivi anche di 130
mm/ora, che corrispondono tra l’altro a piene di 30-40 m3 al secondo
per chilometro quadrato nei bacini torrentizi appenninici. Cortemiglia8, riporta che la massima altezza di pioggia della durata di 5 giorni
è stata, in Valle Scrivia, di 609 mm. Non vanno dimenticati i periodi di
siccità a proposito dei quali in Liguria si hanno mediamente 120 giorni
di pioggia all’anno a Genova e un minimo di 60 a Sanremo. La minima
piovosità si raggiunge a luglio e il massimo a ottobre e novembre,
quando su 61 giorni piove in media per 25. Forse con i cambiamenti
climatici in atto tutto ciò sarà da rivedere.
Nel ventennio 1886-1906 la media della pioggia nel bacino dello Scrivia fu di 1.076 mm/anno con 750 mm a Tortona, 1.730 a Busalla e
2.135 a Torriglia.
ROSSI DI MARIGNANO, 2009, pag. 232.
CAMMARATA, 2005.
8
CORTEMIGLIA, 1982.
6
7
- 23 -
Toponomastica
Su Vocemola
Premettiamo che la toponomastica è una disciplina delicata: è una
delle fonti della storia, insieme all’archivistica o all’archeologia, ed è
l’insieme dei nomi attribuiti alle singole località geografiche (toponimi),
ma per sua natura è molto soggettiva.
Alla prima curiosità nel tentare di capire la genesi del nome di una località, si sostituisce via via l’interesse prettamente scientifico che tende
a rivedere la stratigrafia lessicale degli abitanti di una determinata
zona. Nomi che a un primo approccio sono incomprensibili, svelano
un’origine comune a tanti altri: la comparazione tra termini linguistici
di varie realtà diventa un’associazione inscindibile per il geografo o
per lo storico.
Si scopre così che i toponimi si possono dividere in due grandi categorie: quelli ereditati da una lingua anteriore a quella parlata nella regione in cui si abita e che quindi appaiono privi di significato da
principio, e quelli creati nel tempo dalla gente che ancora vi risiede e
che sono più semplicemente spiegabili. La toponomastica (dal greco:
nome e luogo) è quindi una scienza linguistica con caratteri storici e
geografici, integrata da elementi folcloristici.
Così un nome locale muta con il cambiare dell’insediamento umano
perché il punto di vista dell’agricoltore è diverso da quello del pastore,
come popoli differenti annotano diversamente il loro stanziamento.
Già le carte del secolo XIX rispetto a quelle più recenti denotano, come
si vedrà, cambiamenti significativi che non possono essere tutti errori
del topografo: la toponomastica è quindi in continua evoluzione.
Vocemola non si sottrae a questo fenomeno, anzi, assume aspetti peculiari a causa della sua posizione a cavallo tra il dominio di Genova e
quello di Tortona: una posizione cui corrisponde reciproca influenza
tra dialetto ligure e piemontese. Alle gesta di ricche famiglie e di pochi
eroi ricordati nelle vie cittadine, si sostituisce qui la semplicità dei
tanti, i quali, pastori o contadini, hanno sintetizzato senza targhe né
marmo i nomi dei luoghi da loro abitati con termini di uso quotidiano,
attraverso il lavoro e la tradizione. Questo capitolo può essere una
trappola particolare perché discute di una materia che tende a essere
- 24 -
risolutiva quando non si hanno reperti archeologici o archivi a disposizione: ma non è l’interpretazione di un singolo toponimo che può
cambiare o fare la Storia di un paese. Con l’invasione della vegetazione
spontanea, dovuta all’abbandono della campagna, i campi e i boschi
perdono la loro caratteristica secolare: il nome. Con l’ausilio di questa
disciplina in genere si riescono a scoprire i substrati linguistici. Vediamo alcuni esempi di toponimi9:
1) preromani: con molta cautela possiamo citare nei nostri dintorni
1) Scrivia, Borlasca, Ciapasca e Zanasca (Pietrabissara), che hanno
1) il suffisso caratteristico -asca che esprime appartenenza, quindi
1) collegabile a presenze preistoriche. Tali fonemi sono frequenti,
1) oltre che in Liguria, anche alle foci del Rodano o in Alta Italia, e
1) ci danno un’idea dell’estensione territoriale del popolo ligure;
2) romani: vedremo Stazzano, Variano, Variana ecc. che sono legati
1) a possedimenti agricoli;
3) germanici tipo Gazzo e Guardia.
Al momento non ne conosciamo per Vocemola ma una più attenta ricerca può evidenziarne qualcuno e colmare così la lacuna.
Ritorniamo a quello che più ci interessa: il nostro paese in dialetto attuale si dice U Sembra, a Isola dicono Semmua mentre Clelio Goggi10 ci
tramanda che era Semla. Egli aggiunge che vi sono molti luoghi con la
sillaba sem e cita Semino di Busalla, Seminella presso Savignone, Semega presso Borgo Adorno. Queste ripetizioni indicano che sem è importante ed è anche la radice di seme, seminare, semente, semolino.
Nella Carta dimostrativa dei Feudi dipendenti dalle provincie milanesi
custodita nell’archivio di Stato di Torino, troviamo Semola11.
Una soluzione al significato di Vocemola l’abbiamo da Gaetano Poggi12.
La sua dimostrazione è particolarmente lunga e complicata ma cerchiamo di seguirne i punti principali. Egli parte dai toponimi che contengono Vi, Viu, Vo, Vu, come Vignole, Pavia, Mondovì, Voghera,
Avolasca, Vhò:
Ad esempio Viu generò l’antichissimo Vicus con diminutivo Viculus ... (Allo stesso
CAPRINI (1989), TACCHELLA (1985a), PETRACCO SICARDI & CAPRINI (1981).
GOGGI (1973), pag. 437.
11
DE NEGRI (1959), pag. 41.
12
POGGI (1900), pag. 80, 93, 104, 106, 107, 393. Gaetano Poggi era nato nel 1856 ad
Arquata dove moriva nel 1919. Fu più volte sindaco del paese, valente avvocato, storico e archeologo (TACCHELLA, 1984, pag. 255).
9
10
- 25 -
modo per Vignole) la radice fondamentale è il Vi, l’aggiunta è un noêu, nuovo. Accanto
a una città si formavano facilmente dei nuovi volghi e si capiva che prendessero il
nome di Vi-noêu. Il latino tradusse vineolus e vineolae, e ne resto la forma latinizzata
Vignolo e Vignole. Qualche volta la traduzione fu esatta, ed allora si ebbe un Vigonovo.
L’autore continua spiegando moltissimi toponimi a partire dallo loro radice
greca e latina: a noi ovviamente interessa Vocemola. Il Poggi scrive che per
dire posizione, sito, esposizione, e sempre nel senso di posizione buona, i liguri
(come i greci) dicevano Sema e Sese; ne fa derivare anche Set-uala (Sottovalle)
cioè sito nella valle13:
Alludo con Sema a Vocemola, frazione di Arquata. Strana alterazione di vocaboli è
quella di Vocemola come quella di Arquata! Ma è bene soggiungere subito che l’alterazione fu sempre di chi scrisse, perchè il dialetto, fermo, immutabile, non disse mai
e non dice nè Arquata nè Vocemola. Anche per Vocemola abbiamo dalla declinazione
la prova diretta della sua vera entità morfologica. Ripetete al contadino di Vocemola
la stessa domanda che io posi a quel d’Arquata ed egli vi risponde: O Sema — du
Sema — ao Sema — in to Sema. Adunque Sema è il nome, O è l’articolo. La parola Vocemola è affatto moderna; nelle carte del secolo scorso trovate ancora O-zema. Semin
erano gli abitanti del Sema; esaminate per esempio gli atti parrocchiali di Vocemola
e vedrete che i Semino formano da secoli la maggioranza della popolazione. Sono infiniti i nomi che fan capo al Sema e Sese. Chi ha percorso le belle colline di Val Polcevera non può aver dimenticato la splendida esposizione di Sesino (Cesino, N.d.R.) …
che significa ben esposto.
Montalto offre altri spunti al Poggi14:
Monte-a-odè sono monti che dominano un’antica strada ... Molte delle strade a cui accenno divennero poi vie romane, ed allora il primitivo Monte-a-odè fu tradotto con frase latina in Monsaltus. Ma il nome ligure antico non scomparve mai del tutto nella pronunzia locale, il d rimase
quasi sempre; infatti per una specie di transazione fra il Mont-a-odè e il Mons-altus questi
monti finirono per chiamarsi Montàdo, ed oggidì si scrivono Montaldo. Il famoso castello Montis-alti a Rigoroso, che segnò per molto tempo il confine fra i genovesi, i tortonesi e il marchese
di Gavi, e sorgeva sopra un piccolo monte che dominava la via della Scrivia, era indubbiamente
un Monte-a-odè.
È interessante notare che tutto il crinale che da Monte Zuccaro (764 metri s.l.m.)
scende fino a Pietrabissara, o perlomeno il tratto fino a Borlasca, era noto nel medioevo come il Vallum, tanto che il paese posto al di là di esso aveva preso il nome di
Sottovalle ossia Sub vallum, mentre sul versante di Borlasca esiste ancora oggi il Rio
Sopravalle (CANAZZA & ALTRI, 2015b).
14
Per inciso il castello di Montalto fu acquistato dal Poggi alla fine dell’800 per sottrarlo al vandalismo. Specifichiamo che nella letteratura storica locale si trova sia la
dizione Montalto che Montaldo. Noi useremo quest’ultimo.
13
- 26 -
Nei dintorni esiste anche il santuario di Montaldero con le cave in pietra che
nel catasto Spinola (carta 1) è riportato come Mont’Oldero.
In un documento del 1244, Vocemola viene citato come Voçemola e Voçemole
di cui prendiamo atto15.
Il toponimo Casté è molto importante: evidentemente vi era una struttura fortificata. Non sappiamo in che epoca né di che tipo, ma c’era. Forse il nostro toponimo, che troviamo anche a Borlasca e Griffoglieto nel Comune di Isola,
oppure come Castlasu a Pinceto o Castelletta nel Rio Bovegna, indicava semplicemente un fortilizio del XV o XVI secolo a difesa di un ramo della Via Postumia o di un guado importante. Nessuno ci vieta di immaginare qualcosa di
ben più antico, ma rispettiamo il rigore che esige una credibile Storia del nostro paese non pretendendo attraverso elementi così labili di affermare una
verità. Invece Le Moglie (Möie) sopra Castè indica la presenza di acquitrini: è
comune in tutta la Valle Scrivia e si trova anche a Borlasca, Montessoro, Mereta,
Busalla e Pietrabissara.
Cà de Zan secondo il Poggi significa Cà del Piano (luogo in piano)16. Al confine
tra il Comune di Vobbia e quello di Isola, prospiciente il Castello della Pietra,
vi è il Ponte di Zan sul Rio di Busti che non è di certo una zona con quelle caratteristiche morfologiche: secondo don Costa17, Zane nel dialetto ligure deriva
da Giovanni e in questo caso addirittura da Giovanni Malaspina il cui figlio
Opizzone II vendette Campolungo (l’attuale Isola) agli Spinola e, sempre secondo il nostro sacerdote, era il costruttore sia del ponte che del Castello della
Pietra. Per inciso, a nostro giudizio, la muratura del ponte sembra molto più
recente, ma questi manufatti suscitavano sempre delle leggende.
Crosa forse è il Crosum del documento del 1244 che discuteremo a pag. 60, ha
il significato di campo chiuso.
Cuneo (Rio) o Cunietti si riferisce in genere a uno sperone montuoso, ma vuole
anche indicarne la parte più esterna, specie se delimitata da due corsi d’acqua.
Ron dai Brun è molto strano. Secondo il Poggi18 Bromia (in Valbrevenna), Bormia (Bormida), Bor-bea (Borbera) richiamano il torrente che freme, che bromeggia (come in greco). Si cimenta poi, con chiaro riferimento all’acqua, nel
derivare bibe-ron (in francese) o Broni all’idea di bere.
Ad esempio Rigoroso (Ri-crôso in dialetto) è il rivo incavato, affossato tra ripide
pareti19.
GABOTTO (1909).
POGGI (1900), pag. 390.
17
COSTA (1913), pag. 72.
18
POGGI (1900) pagg. 66 E 72.
19
POGGI (1900), pag. 72.
15
16
- 27 -
Altri toponimi nostrani
Baro
Bosco del Gatto
Bosco della Misericordia
Bosco del Re
Bricò
Bricolò
Buschetti
Cà di Zan
Campeghelle o Campechelle
Canavusa
Canè
Cappellania Ghirado
Carbunee
Casinassa
Casotto
Castagnei
Chiapuzzo o Ciapussu
Chiesa vecchia
Ciapetta
Ciappe
Colletta
Fiagni o Filagni
Foi
Fontana Calda
Fontanino
Fornazzo
Fubiaron o Fibiarone
Funtan-na
Funtan-na d’Anselmu
Funtanelle
Gesa
Ghiaia Nuova
Giumein-na
Groppu
Inseighi
Lago delle Rose
Lago di Bertolin
Lago di Filagni
Lago Massè
Lago Scuro
Lucchesi
Magone (castagneto)
Massario (Monte)
Michella o Michela
Misericordia (bosco della)
Mundravia
Munte Arsò
Monte Magon
Nebiin
Ortasso (vigna)
Pantalein
Passè
Passo
Peschiein
Pian da l’Ortu
Pian dai Cà
Pian da Ruvre (Rovere)
Pian di Verzi
Pian d’luccu (o Piano della Gabbia)
Pian d’Ultrise
Pian du Sgnù
Piano del Merlo
Pizzo
Pozzo
Prà d’Arnellu
Pra d’Baössu (Prato di Barosso)
Pragasso
Prasghè
Prato della Vigna
Pusè o Posè
Quain
Rettorato
Riu de Gabe
(Rio delle Gabbe; potrebbe
essere il salice cresciuto)
- 28 -
Rio Cuneo
Rio dell’Aia
Rio della Barca
Rio Bertolina
Rio della Cornacchia
Rio del Vescovo
Rio di San Bartolomeo
Rio Saliera
Ron dai Brun
Rose (lago delle)
Saea (da Rio Saliera)
Scagno
Scaion
Sotto Castello
Spighino
Sudon
Taiò
Taiaussi (Tagliaruzzi)
Tempuia (tipo di castagna)
Terlizzano
Torchio
Travaghè o Travaghero
Traversa
Valante
Valbona o Vallebona
Val du Ruson
Vallassa
Valletta
Vigna da Cà
Vigna dai Mou
Vignassa
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I catasti
Per quanto riguarda i catasti, utili per la toponomastica, abbiamo quello degli
Spinola che mantennero alcune proprietà anche negli anni successivi al 1797,
quando vennero aboliti i feudi imperiali: essi le fecero inventariare nel 1821
in un Cabreo in possesso della famiglia Rosi di Arquata che ringraziamo per
averne concesso la pubblicazione per la parte che riguarda Vocemola (carta 1).
Con la parola Cabreo (dal latino cabreum, capibrevium) si vennero ad indicare
gli inventari dei beni delle grandi amministrazioni ecclesiastiche o signorili e
l’insieme dei documenti che li formavano: mappe, elenchi dei beni mobili ed
immobili, dei diritti, delle servitù, del valore della proprietà, mappe delle singole particelle, ecc.
Nel Cabreo troviamo partendo da sud i seguenti toponimi:
Prato della Vigna
Rio dell’Aja
Casotto
Rio delle Gabbe
Pian della Cà
Magone
Salera
Piano dei Verzi
All’Ortasso
Alla Casinassa
Prato di Barosso
A Pussè (oggi: Pozzali)
Al Fornasso
Vallazza
Baro
Campeghette o Campeghelle
Anche un catasto del 1823, depositato nell’archivio comunale, ci può informare
sui toponimi ma anche su chi abitava a Vocemola e possedeva o conduceva
delle terre (tabella 3).
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Carta 1: un estratto del Cabreo Spinola
(dalla collezione della famiglia Rosi
di Arquata Scrivia)
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Storia antica
Dal buio della preistoria fino all’avvento di Roma
Circa 11.000 anni fa in Val Vobbia, all’altezza del Castello della Pietra, si era
formato uno sbarramento da frana che dette vita ad un lago permettendo la
deposizione di sottili strati di sabbia e argilla. Dai resti vegetali intrappolati in
quei sedimenti si deduce che il clima era più freddo dell’attuale con una vegetazione prevalentemente a conifere. Nel nostro territorio non sono ancora stati
ritrovati reperti archeologici così antichi però nessuno può escludere che in
quell’epoca gli uomini frequentassero o stanziassero in questi siti.
Un secondo lago fossile, scoperto in Valbrevenna, fornisce depositi di età compresa tra il 2480 a.C. e il 2780 a.C.: in questo periodo sicuramente c’era una
presenza umana testimoniata da raschiatoi, selci, accette in pietra verde, ritrovati sia a Isola che al Reopasso e Libarna. Quest’ultima quindi, oltre che essere catalizzatrice storica per la Valle Scrivia nel periodo romano, forse lo era
anche in epoca protostorica.
Secondo Marica Venturino Gambari, la tipologia di un’ascia in roccia prasinitica ivi ritrovata suggerirebbe un inquadramento cronologico fra il Neolitico
finale e l’Eneolitico (fine IV – prima metà III millennio a.C.). Sappiamo poi che
già dal Neolitico i liguri praticavano la tecnica del debbio ossia il disboscamento di aree mediante incendi controllati per ricavarne dei campi adatti al
pascolo o all’agricoltura sfruttando le ceneri che li arricchiscono in potassio.
Questo metodo impoverisce il territorio, soprattutto sui pendii acclivi, facilitandone il dilavamento: l’utilizzo di questa pratica indica una modesta densità
demografica e una popolazione che, pur limitatamente, si sposta alla ricerca
di nuovi siti da disboscare.
Essi riuscivano a coltivare cereali con predominio di frumento, farro e orzo da
cui si traeva una bevanda tipica, nota a Strabone. Miglio, avena, panico e spelta
sono cereali documentati più sporadicamente, la segale era presente nell’area
meridionale del Piemonte. Tra le leguminose fu coltivato il favino mentre tutte
le altre (pisello, lenticchia, cicerchia), utilizzate al di fuori della Liguria come
elementi della dieta alimentare, non fanno che sporadiche comparse. Sono elementi scarni, con datazioni lacunose che però ci indicano l’ambiente in cui i
pochi abitanti di Valle Scrivia e di Vocemola (se esisteva come insediamento
stabile) vivevano e di che cosa vivevano.
Qualcosa di più ci raccontano i reperti archeologici provenienti da Libarna,
ma più recenti, che suggeriscono l’ipotesi che sul territorio esistesse una co- 34 -
- 35 -
munità con una classe egemone abbastanza ricca da permettersi beni di un
certo lusso quale il bucchero, che è un tipo di ceramica nera e lucida prodotta
dagli etruschi per realizzare vasi.
Nel III secolo a.C., forse in connessione con lo sviluppo dell’insediamento libarnese, si registra anche in Valle Scrivia l’attivazione di nuove sedi umane.
Trattasi, naturalmente, di ipotesi giacché basate su rinvenimenti sporadici e
non su scavi sistematici.
A Isola del Cantone, vicino ad un’area dal significativo toponimo di Colle della
Guardia, la località esatta è Vermuinna, è stata rinvenuta da Enrico Righi una
fibula di identica cronologia e fattura a quella proveniente dalla già citata necropoli di Libarna. Dal medesimo luogo, un campo che restituisce copiosamente materiali risalenti ad un arco cronologico compreso fra il III ed il I
secolo a.C., arriva anche una moneta punica, indicatrice di una presumibile attività di mercenariato svolta dai locali gruppi liguri20.
Il sito del Colle della Guardia (presso il quale la presenza della fibula può forse
rimandare ad un’area di necropoli) è ubicato in posizione strategica, su di un
passo che permette agevolmente di muovere in direzione nord est verso la
bassa Valle Spinti, attraverso il passo tra Monte Magon e Monte Poggio, evitando le strette di Pietrabissara e quelle di Vocemola. Difatti presso il sito di
Variana, toponimo prediale romano22, si sta accertando una presenza umana
che poteva essere coeva a quella di Colle della Guardia e che ha restituito materiale tipico dell’Età del Ferro e in particolar modo del 300 circa a.C. La datazione al radiocarbonio effettuata su di un osso umano ha però fornito un’età di
circa 100 anni a.C. forse perché proveniente da uno strato più superficiale; nelle
vicinanze sono stati trovati anche resti di mattoni e tegoloni romani. Non ci stu-
piremmo se si accertasse che nel primo secolo avanti Cristo le popolazioni del
Libarnese montano vivessero ancora con utensili e suppellettili tipici dell’Età
del Ferro. Il territorio di Isola del Cantone ha offerto altri rinvenimenti di materiale inquadrabile nelle stesse fasi cronologiche. Presso una terrazza fluviale
in località Zuncri, al disotto dell’autostrada Genova - Valle del Po, è stato infatti
rinvenuto un vittoriato databile agli anni 211-208 a.C. Non disperiamo che un
giorno anche a Vocemola si ritrovino ceramiche e utensili preromani.
Foto 5 e 6: fronte e retro di una cartolina del 1918 inviata in Inghilterra. Forse era uno dei soldati
inglesi di stanza ad Arquata (dalla collezione di Tullio Semino)
Da PASTORINO A.M. & VENTURINO GAMBARI (2009) con alcune variazioni.
Un toponimo prediale deriva dal nome di un possedimento terriero, solitamente
di epoca romana.
21
22
20
Questa parte è tratta da una comunicazione personale di Ennio Cirnigliaro.
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L’epoca di Libarna
É utile studiare la storia di Libarna che ha influenzato tutto il territorio circostante perché dalla sua decadenza forse nacquero Arquata e Vocemola che esistevano come periferia agricola dell’importante città. É per questo che la riva
su cui poggia Vocemola è caratterizzata da toponimi prediali come Stazzano,
Variano, Variana, Precipiano, Carezzano. Nell’antichità era infatti consuetudine
indicare un fondo agricolo con i termini latini fundus, villa, praedium, latifundium o simili, seguiti dal nome del proprietario aggettivato: così, ad esempio,
fundus Bassianus (Bassano) erano i terreni di Bassius e praedium Tiggianum
(Tiggiano) quelli di Tegius o Tidius. Molti prediali si riconoscono per la presenza di alcuni caratteristici suffissi (-ano, -ago e simili) che indicano appartenenza.
Un centro come Libarna, con forse 8.000 abitanti, necessitava di un sistema
di approvvigionamento capillare: occorrevano almeno 16.000 quintali di grano
all’anno che avrebbero avuto bisogno di almeno 3.000 ettari23. Riteniamo pertanto che la maggior parte fosse importata ma che una parte fosse prodotta
in loco. Inoltre l’occorrenza di fieno per cavalli, bovini e ovini, richiedeva almeno 2.600 ettari di campi. La pianura tra Novi e Tortona poteva fornire una
parte di foraggio e di grano ma anche la Valle Scrivia superiore era sede di fattorie adatte allo scopo.
Altro elemento a favore di un popolamento minuto ma continuo è costituito
dal fabbisogno di carne, consumabile per poco tempo dopo la macellazione.
Le montagne, come dice Chris Wickham24, erano la roccaforte dell’economia
pastorizia e le pianure coltivate erano di solito a corto di carne. Questo semplice assioma giustificherebbe la persistenza di stanziamenti appenninici
prima, durante e dopo la pax romana. Senza dimenticare il combustibile in
grado di garantire l’adeguato riscaldamento di una struttura complessa come
le terme oltre agli edifici privati dei ceti più abbienti. In questo senso, connettendosi a quanto è stato detto sopra, possiamo ipotizzare che il reticolo di insediamenti e viabilità di valico non ricoprisse esclusivamente il ruolo di punto
di transito ma anche di via di approvvigionamento. La continua e costante necessità, deve far presupporre a sua volta un’organizzazione razionale basata
sul taglio del legname, il trasporto e lo smercio, attraverso un utilizzo razionale
del sistema bosco – insediamenti – viabilità, entro il quadro di quella proprietà
fondiaria su cui, in tale contesto, potevano costruirsi le fortune dei proprietari
libarnesi. Ecco una possibile spiegazione della presenza di Vocemola all’epoca
romana, determinata anche dal ritrovamento di tegoloni nel suo areale di cui
discuteremo nel capitolo apposito.
Vediamo più dettagliatamente la storia di Libarna: il 18 ottobre 1621 il podestà
di Serravalle, Giambattista Negro, informò i superiori di Milano che cinque
persone forestiere, tre secolari e due preti, erano andati a cercare un tesoro
in un luogo pubblico a un tiro d’archibugio e poco lontano dalla Pieve:
L’eccellenza Vostra deve sapere che questo luogo dove quelle persone hanno fatto cavare è
posto dove altre volte anticamente era fabbricata una città che si chiamava Antilia, colonia
dei romani, hoggidì distrutta sino da’ fondamenti ché ne appaiono ben poche reliquie coperte
dai campi e vigne, della cui distruzione si sono fabbricati Serravalle et Arquata, feudo oggidì
imperiale.
Della città romana si era quindi dimenticato il nome. Fu il canonico Giuseppe
Antonio Bottazzi, due secoli dopo, a riscoprirla e ad affermare che l’antico monastero di Precipiano, i due borghi di Serravalle e Arquata, le distrutte ville di
Gatorba e Giugnano e le due terre di Vignole e Varinella, erano tutti edificati
con lo stesso materiale delle case di Libarna. Dopo le sue osservazioni che furono date alle stampe nel 1815 e la visita di Giulio Cordero di San Quintino
nel 1823, durante i lavori per l’apertura della Strada Regia dei Giovi nel 1825
avvennero i ritrovamenti di manufatti nell’area che oggi identifichiamo con
Libarna. La fame di terra aveva portato i contadini, alla fine del secolo XVIII, a
distruggere imponenti rovine per far posto ai campi. Serafino Cavazza nella
presentazione della copia anastatica del libro di Bottazzi25, riporta da scritti di
quest’ultimo:
... un aggregato di grandi saloni dell’altezza di dieci a dodici braccia, dentro terra, con grandi
voltoni di mattoni, e che ciascuna sala aveva all’intorno un corridoio che dava comunicazione
da una sala all’altra.
Cita anche un antico ponte che collegava Libarna a Precipiano, mentre nel
1795 tutta l’area era un febbrile cantiere di lavoro che stava mutando la fisionomia della zona:
... (a) cagione dei continui scavi e dello smembramento, che fanno i contadini per rendere i
campi a coltura .
Mosaici, capitelli, tombe, ceramiche, lucerne, lastre di piombo incise: tutto
23
24
CANAZZA & ALTRI, (2015a).
WICKHAN, (1982).
25
- 38 -
BOTTAZZI, (1839).
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venne distrutto o fuso, reimpiegato, rotto.
La zona pianeggiante, come abbiamo visto sopra, era stata frequentata fin dal
Neolitico e legata agli itinerari tra il mare e la pianura che, nei secoli VI e V
a.C., si consolidarono con i commerci degli Etruschi a Genova. A partire dal III
secolo a.C. con le guerre romano-liguri, una forte instabilità insediativa venne
a determinarsi in Valle Scrivia e nelle aree limitrofe: anche sulla collina del Castello di Serravalle, dove a partire dall’Alto Medioevo fino all’età napoleonica
persistettero insediamenti fortificati, si riscontrano le tracce di un nucleo abitato forse del 180 a.C. La situazione mutò nel 170 a.C. quando la Liguria risultava pacificata e nel 148 a.C. si costruì la Via Postumia.
Libarna era il centro della romanizzazione e punto di riferimento per le popolazioni locali. L’importanza della città crebbe nel tempo e tra il 150 ed il 200
d.C. si elevarono gli edifici pubblici principali come il teatro, le terme, l’anfiteatro e l’acquedotto.
Foto 7: lo storico Lorenzo Tacchella all’interno
della galleria dell’acquedotto romano a Rigoroso
(foto di Simone Gatto)
Lo sviluppo proseguì fino al III-IV secolo e solo con quello successivo si sarebbero evidenziati fenomeni di degrado e di abbandono. Comunque, anche in
questo periodo Libarna non conobbe mai un decadimento completo: nel V secolo Costantino III dalla Britannia e dalle Gallie si spinse fino alla nostra città.
Il declino si ebbe tra V e VI secolo e nel 643, secondo l’Anonimo Ravennate, un
presidio bizantino doveva essere ancora presente, mentre nel XII secolo vi era
il villaggio di Linverno con la sua Pieve.
La Via Postumia
Lorenzo Tacchella, lo storico che abitò a Pietrabissara nel Palazzo Spinola fino
al 2008, anno in cui morì, asseriva che tale itinerario passava sulla sinistra
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Foto 8: un muro di sotto
ripa (sec. XV – XVI?)
sull’itinerario probabile
della Via Postumia in
riva sinistra dello Scrivia a
Giretta di Isola del Cantone
(foto di G.B. Parodi)
dello Scrivia. Ma sembra una soluzione un po’ troppo semplice perché se teniamo conto di alcuni elementi dobbiamo ammettere che in diversi periodi
era sulla destra. Prendiamo a spunto un articolo apparso recentemente, scritto
da Davide Canazza, Ennio Cirnigliaro e Sergio Pedemonte26, e esaminiamo questi elementi:
A) La morfologia della valle
Riva sinistra; vi sono alcuni difficili passaggi in pareti calcaree a picco
sullo Scrivia tra Borgo Fornari e Isolabuona, di fronte al cimitero di
Ronco, subito dopo Creverina, a Case Giretta - Camposaragna di fronte
a Prarolo, le Curve del Tuà di fronte a Mereta e infine a Pietrabissara.
Su questo lato, tra Busalla e Arquata, gli affluenti non sono particolarmente rilevanti se pur numerosi: citiamo il Busalletta, il Rio Traversa
che scende dalla Castagnola, il Rio Ladde a Ronco, poi il Rio San Rocco
a Creverina, il Rio Borlasca a Pietrabissara, Rio del Mulino e Rio Lavandaia a Rigoroso. Invece in riva destra abbiamo tre importanti tributari
dello Scrivia: Vobbia, Spinti e Borbera, che sfociano al Cantone di Isola,
26
CANAZZA & ALTRI, (2015b).
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nella necropoli della Crenna, presso Libarna27, ad un raro esempio di
vittoriato databile fra il 211 e il 208 a.C passando per un denario di C.
Vibio Pansa (90 a.C.) e uno di Caio Censorino (88 a.C.), uniti a frammenti di anfore tirreniche degli inizi del I sec a.C., oltre ad una serie di
tegoloni che, accanto a toponimi altomedievali come Guardia e Gazzo,
fanno ipotizzare una continuità insediativa tardoantica- altomedievale28. La presenza di sei monete di Età Imperiale rinvenute a Case Giretta, sulla sponda sinistra dello Scrivia, fa invece supporre un ulteriore
itinerario frequentato a partire dalla fine del II secolo d.C.29. Vi è pure
il toponimo Scaldasole che secondo Claudio Zarri è riferibile al longobardo Skuldascìa e contraddistingue un posto di guardia30 forse al servizio del guado sullo Scrivia. Ovviamente zone abitate come Busalla,
Ronco e Isola, con il loro inurbamento, hanno disperso o nascosto vestigia antiche e quindi i nostri ragionamenti potrebbero essere fuorvianti. Sulla riva destra (mancano completamente sulla sinistra) vi
sono, come già visto, i toponimi prediali romani di Stazzano, Variana,
Precipiano ecc. che sono uno degli indizi più importanti31.
C) Presenza di celle monastiche e chiese
Sulla destra del torrente Scrivia abbiamo l’Abbazia di Precipiano forse
dell’VIII secolo, Sommaripa che era di fronte a Serravalle (1095), San
Colombano a Variana32; caso particolare è Prarolo con la chiesa dedicata a San Michele Arcangelo che per Lorenzo Tacchella era una filiazione della cella benedettina isolese. Poco sopra l’abitato di Piano a
Isola troviamo la cappella di Santo Stefano, probabilmente amministrata dal clero secolare, oggetto di scavi archeologici da parte dell’Università di Torino dal 2014 al 2016. Essa è forse del secolo XIII a vederne
il muro dell’abside. Sulla sinistra Scrivia ci sono Nizolasco (1095) a Serravalle, Santa Maria e Sant’Andrea di Rigoroso (1196), Campolungo,
Varinella e Precipiano. Quindi tra Sarissola, Bastia, Pietrafraccia, Minceto, Malvasi e il Cantone, non si hanno affluenti particolarmente difficili da attraversare, mentre lo Spinti e il Borbera sono guadabili esclusi
i periodi di piena. Il ponte sul Vobbia è l’opera che ha reso appetibile
tutto il percorso fino a Stazzano. Se guardiamo una carta geografica ci
accorgiamo che i territori più raggiungibili, perpendicolarmente allo
Scrivia, sono sulla destra Sarissola e Crocefieschi, Val Vobbia, Val Borbera, il Vescovado e la Val Grue. Dall’altra parte troviamo la trasversale
Borgo Fornari – Voltaggio, Rigoroso – Carrosio, Libarna – Gavi. Non bisogna però trascurare i versanti instabili: di fronte a Isolabuona (Ronco
Scrivia), sulla destra Scrivia c’è un’enorme frana in equilibrio precario.
Poco a valle c’è Cascina Lago, toponimo chiaramente indicante un episodio di sbarramento del torrente avvenuto in epoca storica. Ulteriori
siti simili si trovano ai Malvasi di Ronco e più a nord sotto Cornareto,
nonché tra Prarolo e Mereta.
È ovvio che in questi punti un itinerario può essere stato nascosto da
scoscendimenti o traslato molto a monte. Da questa parte dello Scrivia,
cioè sulla destra, vi sono molte più frane antiche: ricordiamo le paleofrane di Santo Stefano sempre a Isola e le Deformazioni Gravitative di
Versante (DGPV) del Colle della Guardia, Prarolo e Mereta. È difficile
stabilire l’età di questi fenomeni che agevolano gli insediamenti perché
sono legati alla presenza d’acqua, hanno terreni a coltre profonda e
quindi arabili con meno fatica, sono facilmente terrazzabili e posti a solatio: ecco spiegata una delle cause di maggior presenza di villaggi e
paesi rispetto alla riva sinistra (vedere punto E).
B) Reperti archeologici e toponimi
Il sistema viario sul territorio di Isola del Cantone, che prendiamo come
esempio perché è il più studiato, si può dire consolidato almeno a partire dalla protostoria e si imposta su una serie di terrazze quaternarie
abitate già a partire dal Neolitico, come si evince incrociando i dati morfologici, archeologici e toponomastici. In riva destra dello Scrivia, l’itinerario pare snodarsi lungo i due piani Quaternari, dai Zuncri salendo
sino al sito denominato Colle della Guardia, in località Vermuinna. In
questi casi una serie di rinvenimenti fanno ipotizzare un’area insediativa attiva a partire dalla prima metà del III sec a.C. Pur tenendo presenti i limiti dei rinvenimenti di superficie, la presenza dei quali
dovrebbe in seguito richiedere un intervento sistematico di scavo, appare già significativo l’arco cronologico dei reperti rinvenuti: si va da
un esemplare di fibula celtica (270 a.C.), identica a quella rinvenuta
VENTURINO GAMBARI (1987).
CIRNIGLIARO (1999-2000 e 2002-2003). Unici saggi archeologici in questa zona sono
quelli di ODETTI & TRAVERSO (2000-2001) e a Santo Stefano di Isola (2014) da parte
dell’Università di Torino con la direzione del Prof. Paolo De Vingo. Per il resto sono
ritrovamenti casuali (PASTORINO & PEDEMONTE, 1999).
29
Monete rinvenute a Giretta: Traiano, sesterzio di difficile lettura (?) (98-117 d.C.);
Traiano, sesterzio (103-11 d.C.) ; Marco Aurelio, nominale non determinabile (161180 d.C.) ; Gordiano III, sesterzio (241 d.C.); Aureliano, antoniniano (270-275 d.C.);
Tacito, antoniniano (275-276 d.C.).
30
ZARRI (1984).
31
CAPRINI (1989).
32
TACCHELLA (1985), pag. 14.
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27
28
l’attuale Isola, e la pieve di
Borgo Fornari. Per Tacchella
l’ospizio o cella di Campolungo
fu ricostituito dai benedettini
su una mansio romana. Fino ad
oggi ritenevamo che il documento più antico che lo citava
fosse la bolla di papa Innocenzo
III del 121633. Giorgio Beltrutti
ha permesso di retrodatare la
prima citazione al 1154 con la
bolla di Anastasio IV del 30
marzo34: non è quindi arbitrario
ritenere che tale cella sorgesse
immediatamente prima o pochi
anni dopo l’avvento dei genovesi in Valle Scrivia (1121), così
come quelle di Nizolasco e Sommaripa sulle due sponde dello
Scrivia a Serravalle di servizio a
una strada divenuta importante35.
Carta 2: carta della zona di Vocemola del 1747
D) La presenza dei castelli
Sulla destra abbiamo il castello di Monte Reale e poi, dal secolo XIV, il
castello Spinola nel Cantone di Isola e un toponimo Castè a Vocemola.
Parimenti, prospiciente il fortilizio del Cantone troviamo, di là dal Vobbia, un altro Palazzo Spinola. Per quest’ultimo le deduzioni di Lorenzo
Tacchella e la misura dei mattoni della cisterna ne pongono l’edificazione intorno al 1550. Ciò non significa che in precedenza non vi fosse
una costruzione antica a guardia del trivio per Montessoro, Val Vobbia,
strada sulla riva destra per Variana36. Nel 1211 un documento reperito
da Lorenzo Tacchella, cita i castellani di Precipiano, Varinella, Somma-
ripa e Pompeiano37. Il castello di Precipiano è riportato una prima volta
nel 108138. Sulla riva sinistra vi sono Arquata, Montalto, Pietrabissara,
Ronco, Borgo Fornari e Busalla.
E) I Borghi Nuovi39
A destra abbiamo più insediamenti che nella sinistra, seppur piccoli,
come Sarissola, Pietrafraccia, Malvasi e Minceto, Cà dei Gatti, Cascine
di Ronco, Cornareto, Orti, Cantone, Piano, Prarolo, Mereta, Vocemola,
Varinella, Vignole, Precipiano, Lastrico, Stazzano, Villalvernia, ma sulla
sinistra abbiamo quelli più importanti dal secolo XIII in poi. Caffaro per
la spedizione del 1121 non cita Villavecchia di Ronco, né Borgo e Busalla. Esisteva una strada o solo una mulattiera?
Senz’altro il Comune di Genova divenne padrone della parte sinistra
dello Scrivia e i traffici avevano bisogno di una via adeguata: i Monaci,
i Borghi Nuovi e i ponti, erano fasi di una conquista che cambiò radicalmente il territorio. Gli Spinola videro in tutto questo un’occasione
per diventare proprietari terrieri nel 1256 a Campolungo, ma anche a
Ronco. Come d’uso in quell’epoca eliminarono i villaggi, disboscarono
e crearono i Borghi Nuovi per controllare la popolazione e richiamarne
altra da zone limitrofe, offrendo esenzioni fiscali. Sorsero Busalla,
Borgo Fornari, Ronco, Isola, Arquata e Serravalle. I feudatari costruirono i ponti tra le due rive dello Scrivia a Ronco e Isola, mentre quello
di Serravalle forse fu opera del Comune di Tortona. I ponti tra Cantone
e Piano di Isola sul Vobbia e quello di Ronco sullo Scrivia, favorivano il
tragitto nella riva destra del torrente. Con queste infrastrutture, notevoli per l’epoca, si costituì una vera maglia stradale.
F) Confini amministrativi
La divisione territoriale tra Tortona (riva destra) e Genova (riva sinistra) dal XIII secolo o le rispettive Diocesi, funzionarono da deterrente
per i passaggi da una parte all’altra.
Viceversa in epoca più tarda, quando Rigoroso era sottoposto a Gavi e
quindi a Genova, venne preferita dai sudditi Spinola la via sulla destra
tra Arquata e Isola (vedere carta 4 a pag. 67) per evitare il pedaggio
alla Repubblica di Genova.
La bolla papale è una comunicazione ufficiale in forma scritta emanata dalla curia
romana con il sigillo del Papa.
34
BELTRUTTI (1984), pag. 183. CANCIAN & CASIRAGHI (1993), pag. 98, cartina V.
35
TACCHELLA (1985), pagg. 22-23.
36
La strada di Val Vobbia, a differenza di oggi, passava sulla destra del torrente fino
a Noceto e Vobbietta dove ritornava sulla sinistra. È sintomatico poi che il feudo di
Isola si chiamasse anche di “Variana”.
37
TACCHELLA (1984), pag. 18.
TACCHELLA (2000), pag. 39 e seguenti. É nominato anche nel 1176; il BOTTAZZI
(1989) lo trova in un documento del 1196 e, sempre lo stesso autore lo cita nel 1200,
1220 dove appare anche il borgo di Precipiano, indi nel 1277; nel 1365 troviamo il
«castello superiore confinante con la via pubblica e le mura del borgo». Per castello
inferiore si intendeva forse la palizzata esterna. Poi più nulla.
39
CANAZZA & PEDEMONTE (2008).
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33
38
G) Libarna
Non dimentichiamoci ovviamente di Libarna e del ponte tra Libarna e
Precipiano in epoca romana di cui parla il Bottazzi40.
H) I documenti e le tracce murarie
Esiste la citazione di Procopio di Cesarea (La guerra gotica, II, 12, 27):
nell’inverno 537- 538, nel tentativo di sottrarre Pavia ai Goti, l’armata
bizantina capeggiata da Mundila, ufficiale di Belisario, dopo essere approdata a Genova, valicava l’Appennino caricando su dei carri le imbarcazioni destinate all’attraversamento del Po. Per alcuni sarebbe la
testimonianza di una perdurante Via Postumia Posteriore ancora transitabile: ma su quale riva? Riteniamo quindi il dato interessante, ma
non dirimente per il nostro interesse. Invece verso il 725 il trasferimento delle reliquie di Sant’Agostino dalla Sardegna a Pavia passò per
Savignone: le vecchie tappe della Postumia erano probabilmente meno
frequentate e il sistema di strade divenne più articolato41. I documenti
e i resti di opere infrastrutturali confondono ancor più le idee a partire
dal XII secolo. Enrico VII nel 1311 si reca a Genova passando, secondo
il Codex Balduini Trevirensis, per Gavi e la Bocchetta: segno evidente
che la strada di Valle Scrivia non era sufficientemente adatta allo scopo.
Però nel 1353 gli uomini di Giovanni Visconti, da Tortona raggiunsero
Busalla e ne distrussero il castello. La strada di Valle Scrivia dopo il secolo XIII, a partire dall’avvento di Opizzino Spinola, con le turbolenze
politiche successive che videro protagonisti Genova e i milanesi, forse
decadde per il conseguente disordine amministrativo che non favoriva
la manutenzione e il mantenimento di opere infrastrutturali. Ricordiamo le distruzioni di Busalla nel 1309, 1315, 1321 e nel 1418, oltre
al saccheggio di Ronco nel 1477.
Anche le vicende di Ronco e Serravalle, con le ritorsioni dei Savoia o
degli austriaci nei secoli XVII e XVIII, ebbero la loro importanza. Ecco
la ragione, unita al frazionamento dei feudi, di una viabilità frammentaria che utilizzava entrambe le sponde. Ovviamente tutte queste proposte sono riferite a percorsi maggiori, permanendo comunque vie
secondarie. Ulteriore notizia documentaria è il passaggio da Isola,
Ronco, Borgo Fornari, Busalla, delle truppe della duchessa Bona, tutrice
di Gian Galeazzo Sforza nel 1477. I documenti, fortunatamente riportati
da Lorenzo Tacchella nei suoi studi, ci confermano l’esistenza della
strada di fondovalle per i passaggi di Carlo V ad Arquata e Borgo Fornari, di Francesco I dopo la sconfitta di Pavia e Filippo II. Oggi si può
vedere, poco sopra Giretta di Isola del Cantone, sulla riva sinistra, il rudere di un muro di sottoripa utilizzato per il passaggio di un canalone:
Tiziano Mannoni lo datò ai secoli XV o XVI. Esso è parte, per circa un
chilometro, della strada prenapoleonica rilevata nel 1978, larga anche
5 metri e con lieve pendenza del 3%. Nel suo tratto più alto è riprodotta
fedelmente in un acquarello di Elisabeth Fanshawe del 1829, quindi subito dopo la costruzione della Strada Regia. Altre tracce di viabilità ante
1821 sono rilevabili nei dintorni di Ronco e Pietrabissara, sui versanti
scoscesi che sovrastano il torrente.
Inoltre a Pietrabissara le carte per i rilievi della Strada Regia segnano
il vecchio ponte all’altezza delle ex scuole comunali; a Rigoroso, nel
1791, sul Rio Acquafredda, il ponte sembra più a monte delle attuali
case sulla Provinciale (Archivio di Stato di Genova, Topographia). Agostino Giustiniani in Descrittione della Liguria, nel 1537, cita la via posthumia o costuma o costumia, che passava da Ronco, Isola e Arquata.
Un atto del secolo XVII dell’archivio arcivescovile di Tortona ci fornisce
la descrizione del percorso Arquata – Busalla passante per Vocemola e
poi da Isola a Villavecchia (riva sinistra). Abbiamo infatti:
… da Serravalle ad Arquata 2 miglia, strada carrozzabile; da Arquata a Vocemola si
può andare in sedia, sguazzando lo Scrivia due volte; da Vocemola a Isola non si può
andare in sedia, 3 miglia e mezza; da Isola a Villavecchia, strada a cavallo, 2 miglia …
Tra Pietrabissara e Isola, come dimostra una relazione del 18 novembre
1650, la nostra via era una mulattiera deteriorata non atta al transito
di eserciti42. Anche Agostino Bisio afferma che la strada di Valle Scrivia,
prima del 1821, da Busalla a Ronco, correva sulla sinistra del torrente,
proseguiva poi a destra attraverso il ponte “romano” di Ronco, Cornareto, Loc. Orti di Isola, ponte del Piano sul Vobbia, Zuncri, Vermuinna,
BOTTAZZI, ristampa anastatica (1989), pag. 27. PERTICA (1965), pag. 113, accenna a
un ponte a Creverina e DE NEGRI (1959), pag. 113, ne ipotizza uno antico tra Mereta
e Pietrabissara: le uniche vestigia rimaste nei luoghi citati sono le pile delle passerelle
di servizio per la costruzione di quelli ferroviari del 1853. Può darsi che nel frattempo i resti siano andati perduti o nascosti dalla vegetazione, ma abbiamo percorso
i tratti dello Scrivia senza trovarne altri.
Questo itinerario più a est della Valle Scrivia forse era preferito sin dall’epoca longobarda: Crocetta d’Orero, Savignone, San Giovanni Battista di Caranza di Mongiardino (citata nel 946), Vigoponzo di Dernice (citata nel 865), senza contare il
toponimo Salata che deriva dal longobardo Sala ovvero «struttura organizzativa della
piccola proprietà terriera».
42
TACCHELLA (1981), pag. 63; TACCHELLA (1984), pag. 147 e seguenti; TACCHELLA
(1985a); TACCHELLA (1981), pag. 165.
- 46 -
- 47 -
41
40
Colle della Guardia, Prarolo43.
Qui si poteva ripassare sulla sinistra con il guado di Camposaragna oppure andare per Grondona, Roccaforte, Dernice, San Sebastiano: era un
allacciamento dalla Val Curone per Genova potenziato dai milanesi, essendo ad essi precluse le vie di Alessandria, Novi e Tortona dal governo
Piemontese di Vittorio Amedeo II.
Più avanti di Mereta è possibile costeggiare lo Scrivia fino a Vocemola
e guadare lo Spinti.
Sempre da Mereta si può salire verso Casa Baro e raggiungere Torrotta
e Variana in Valle Spinti. Sorge a questo punto il dubbio che il tratto
“fossile” a Giretta possa far parte di un’opera adattata o costruita in
varie riprese e in vari tratti da Busalla ad Arquata.
L’importanza della strada in sponda destra dello Scrivia ci viene da una
lettera del 1858 in cui il Comune di Isola informa quello di Arquata che
in località Fontana Calda, tra Mereta e Vocemola, la strada era interrotta44.
Quindi essa era una via non solo per l’utilizzo del bosco, ma anche sostitutiva di quella in sinistra.
I) Le carte geografiche.
Sintetizziamo i dati a disposizione nella tabella 6 specificando che per
molti tratti vi sono probabilmente delle imprecisioni sui lati dello
Scrivia visualizzati.
Carta 3: il Feudo di Carrosio nel
1748 nella Carte des confins de
l’état de Genês di Roberto De
Vaugondy (da BENSO, 1999,
pag. 204). I paesi sono a volte
posizionati erroneamente ma
per l’epoca la carta è abbastanza
verosimile.
TABELLA 6: la situazione secondo le carte geografiche45
BISIO (2002).
Ricerca di Angelo Allegro nell’archivio comunale di Arquata.
45
DE NEGRI (1959), pag. 91, 107, 108, 112, 114, 119 e Archivio di Stato di Genova,
Topographia, (Internet).
43
44
- 48 -
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Da una sintesi grossolana appare che la riva destra è stata frequentata nell’antichità e nell’Età Repubblicana mentre quella in sinistra nell’Età Imperiale.
Quest’ultima sarebbe la Postumia Posteriore del Tacchella, identificandosi con
la classica strada munita di fondo artificiale (non in tutto il percorso), muri,
ponticelli, stazioni di sosta. Il cardo di Libarna ne testimonia la direzione in
tal senso. Con la decadenza si ripassò sull’altra riva e con l’avvento dei genovesi
e dei monaci, nel secolo XII, si cambiò nuovamente sponda. Dal secolo XIII
crebbe infatti l’importanza della riva sinistra per l’aumento della popolazione:
il Comune di Genova cercava il suo spazio vitale negli ampi slarghi di Campolungo, Borgo Fornari, Villavecchia e una via adatta ai commerci con il nord.
Prima i benedettini, e poi gli Spinola, attuarono questo progetto disboscando
e mettendo a coltura molte aree.
A partire però dal secolo XIV l’itinerario diventò un corridoio con tratti paralleli, deviazioni, scorciatoie, a seconda che si viaggiasse con mulo, buoi e carro,
o a seconda dei pedaggi o delle convenienze politiche, con preponderanza
della parte ovest. In alcuni periodi una riva era più frequentata dell’altra e viceversa: inutile cercare una strada unica prima del secolo XIX. Le vie di fondovalle, precedentemente all’arrivo di Napoleone, forse con la sola eccezione
della romanità – ma è tutto da dimostrare - non favorivano il trasporto su
ruota, se non per alcuni tratti, ma non per questo erano ridotte a sentieri; avevano ponti, muri artigianali o a secco, guadi attrezzati, punti di incrocio e locande, stazioni di rifornimento, fabbri, falegnami, caravanserragli.
Tutti elementi che non si riscontravano sui crinali dove anche le sorgenti sono
poche.
I tegoloni romani di Vocemola
Recentemente Tullio Semino ha trovato in località Filagni un campo a tegoloni,
cioè dei laterizi che venivano utilizzati per fare delle tombe tra Tarda Antichità
e Alto Medioevo. Il corredo funerario che è possibile rinvenire in questi casi è
dei più poveri che si conosca, qualche volta manca completamente ed è proprio delle classi meno abbienti. Era una semplice modalità di sepoltura in
fossa: il passaggio dal rito della cremazione a quello dell’inumazione si verificò
posteriormente alla metà del III secolo dopo Cristo. Il defunto veniva adagiato
in posizione supina, con le braccia distese lungo il corpo o raccolte sul petto,
direttamente sulla terra o, a volte, su dei tegoloni posti in piano e ricoperto,
dopo la eventuale cremazione, con altri tegoloni disposti in modo da realizzare
una copertura a doppio spiovente. La produzione dei tegoloni non era probabilmente sul posto dei ritrovamenti e, nel nostro contesto, pensiamo fosse a
Libarna, centro di approvvigionamento durante la fase di culmine mercantile
e durante la decadenza quando la città divenne una cava a cielo aperto. E’ impossibile dare un’età precisa a questi cocci, utilizzati e riutilizzati per generazioni, senza la contestuale presenza di ceramiche o altri reperti. Essi sono la
manifestazione di un uso che si protrae per almeno cinque secoli, se non oltre
il VII secolo dopo Cristo46 ad indicare piccoli villaggi costituiti da una o poche
capanne, situati nei ripiani di mezzacosta esposti a mezzogiorno. I tegoloni,
per Tiziano Mannoni47:
sono indicatori di superficie degli insediamenti poveri compresi tra il I secolo d.C. e il VII, ma
nulla è stato ancora accertato sul loro uso specifico, fermo restando che non sembrano avere
attinenze con sepolture, ma neppure con i tetti delle capanne, dato che la loro quantità è
sempre troppo esigua a tale scopo, e tenuto conto che le strutture verticali erano troppo deboli
per sopportare una completa copertura in cotto, ma si potrebbe trattare di un uso parziale
come colmi.
Inoltre l’autore propendeva per un completo spopolamento montano già a
partire dal I secolo d.C. e per una frequentazione di questi abitati a partire dal
III secolo d.C. fino al VII.
A seguito del ritrovamento di embrici simili sono stati condotti degli scavi, a
Montessoro di Isola del Cantone48, che hanno evidenziato una permanenza roDa quanto visto possiamo affermare che Vocemola fu un centro abitato ubicato
su uno dei tracciati della Via Postumia: da Mereta, e viceversa, si poteva passare da Casa Baro oppure lungo la parete dello Scrivia che sovrasta la gola di
Pietrabissara. Insieme a Rigoroso era uno dei pilastri su cui si basava il potere
per controllare le vie.
Per i tegoloni e per la Via Postumia abbiamo attinto abbondantemente al lavoro
di CANAZZA, CIRNIGLIARO & PEDEMONTE (2015).
47
MANNONI (1983).
48
Lo scavo è stato effettuato in più campagne (2009-2013) da Maria Maddalena
Negro Ponzi e coordinato sul campo da Giovanni Battista Parodi e Paolo de Vingo,
coadiuvati da Valeria Fravega, Daniela De Conca e Marco Ippolito su un terreno di
proprietà del sig. Oreste Bertuccio.
- 50 -
- 51 -
46
mana (I secolo a.C), un periodo di abbandono, l’impianto di una fattoria nel IV
secolo d.C. e infine un deposito-magazzino del V secolo49. Nel Comune di Isola
del Cantone, oltre a Montessoro, si hanno tegoloni alla chiesa di Santo Stefano,
Casa Cagnola, Noceto, Casaleggio e Pianassi.
Foto 9: tegoloni di
Ercolano, Napoli
(foto di Sergio Pedemonte)
Mancano quasi del tutto stazioni a tegoloni in aree oggi occupate dagli insediamenti maggiori di fondovalle, come Ronco Scrivia, Busalla, Isola del Cantone. Non sappiamo se i tegoloni trovati da Tullio Semino siano state tombe o
case, ma quel che è certo è che sono antichi. I documenti e l’archeologia non
ci aiutano per un lunghissimo periodo: dai tegoloni romani supponiamo l’esistenza di un nucleo abitato che viveva, oltre che di agricoltura, anche della presenza della strada. Poi Libarna decadde, la popolazione diminuì notevolmente,
le foreste conquistarono i campi e i paesi si isolarono. A questo punto pensiamo che non vi siano più dubbi sull’esistenza di Vocemola in età romana.
Dopo Libarna
Sappiamo poco sull’organizzazione del territorio e del potere in Valle Scrivia
in quei secoli se non per riflesso di Genova: i goti e i bizantini si fronteggiarono
i primi da nord, i secondi da sud, proprio nelle nostre zone e quindi ipotizziamo ci fossero delle difese, forse non più che spalti in terra e fossati, su questo confine labile. I goti furono una federazione di tribù germaniche orientali
che invasero l’Europa centro-meridionale nell’ultimo periodo dell’Impero romano d’Occidente. A ondate sbarcarono sulle coste del Mar Baltico e da qui si
spinsero a sud conquistando le popolazioni che trovarono sul loro cammino.
NEGRO PONZI & ALII (2012). Montessoro è nella Valle Spinti anche se in Provincia di
Genova.
49
- 52 -
Arrivati a contatto con il mondo romano nella zona della foce del fiume Danubio e del Bosforo attorno al 230, furono a più riprese nemici dei vari imperatori
e a volte alleati contro altre popolazioni nel corso di tutto il III e IV secolo. Nel
IV e V secolo furono spinti a occidente dagli unni. Nel V secolo le invasioni
“barbariche” portarono rapidamente al collasso l’Impero Romano d’Occidente
e causarono, attorno all’anno 400, danni e distruzioni. Gli scontri tra i due popoli, bizantini e goti, durarono dal 536 al 555. I primi ebbero la meglio ma
pochi decenni dopo erano di nuovo in lotta con un altro popolo: i longobardi,
una popolazione germanica, protagonista tra il II e il VI secolo di una lunga
migrazione che la portò dal basso corso dell’Elba fino all’Italia. Vediamo così
che il confine (limes) tra i due contendenti passava nuovamente in Valle Scrivia: forse una striscia che da Gavi attraversava Serravalle e andava verso est
con i primi castelli sulle alture, anche qui ben diversi da come ce li immaginiamo perché di legno e terra e poche torri in muratura. Un confine che interessava anche Vocemola, probabilmente terra di scontri tra i contendenti.
Dei longobardi però è rimasta traccia nella toponomastica con termini come
Gazzo e Guardia piuttosto comuni nell’Oltregiogo: secondo Giulia Petracco Sicardi e Rita Caprini, Guardia è il franco *wahta50.
La toponomastica della riva destra dello Scrivia (fino alla Val Curone) sembra
caratterizzare insediamenti agricoli longobardi mentre la zona di Gavi e Voltaggio fa pensare ad insediamenti arimannici, cioè di tipo militare. Del resto
le poche notizie tramandateci da Paolo Diacono, che scrisse la storia dei longobardi, ci informano che l’ovadese era occupato da una silva, riserva di caccia
del Re e del suo seguito51.
Chi erano invece i franchi? Erano anche loro un popolo di origine germanica,
la cui storia ci interessa solo a partire da Carlo Magno che, sconfitti i sassoni,
incorporò il loro reame per poi volgersi contro il Regno Longobardo. Una volta
vinti, nel 774, egli assunse il titolo di Rex Francorum et Langobardorum e incluse la Langobardia nella sua sfera d’influenza creando un reame che si estendeva dai Pirenei a quasi tutta la Francia odierna e a gran parte della Germania,
dell’Italia e dell’Austria. Per Davide Canazza il processo di integrazione e fusione dei Franchi con i popoli gallo-romani è avvenuto in maniera molto rapida, sia dal punto di vista etnico che sociale e linguistico. Al momento della
conquista franca dell’Italia la loro lingua non era più certamente quella germanica pura del V secolo, ma un misto tra linguaggi celto-latini e germanici.
Insomma era già una lingua proto-romanza (per quelli dell’ovest natural-
50
51
PETRACCO SICARDI & CAPRINI (1981).
CAPRINI (1989).
- 53 -
mente, a est si stava formando il tedesco). È quindi molto probabile che wahta
si fosse già trasformato in garde o garda (cfr. il francese regarder) senza la U
fino ad arrivare al nostro Guardia (lo troviamo a Genova, Gavi e così via). La
Guardia di Isola del Cantone è effettivamente un punto di osservazione: aveva
senso nel periodo della guerra greco-gotica, oppure durante le fasi di conquista
longobarda. Ne avrebbe poco in periodo carolingio, cioè nel secolo IX, quando
tutto il territorio dell’Italia settentrionale era amministrativamente unito e
pacifico. Gazzo deriva senza dubbio dal longobardo gahagi. Originariamente
aveva il significato di terreno boscoso, poi passò a determinare i terreni protetti o boschi protetti. Sempre a Isola c’è anche Guasone o Guàsun: in italiano
Guazzo significa acqua bassa o pantano e deriva dal longobardo (o germanico,
comunque) wazzer, ossia acqua. Nelle nostre zone c’è Guacciorna, dopo Cassano Spinola, etimo che ha la stessa origine. Sempre in Provincia di Alessandria
c’è Guazzora, in Toscana Guazzino e Guazzorna.
Con l’invasione dei goti e poi dei bizantini erano stati costruiti, soprattutto in
altura, una serie di castelli che difendevano un confine: a prescindere se erano
in muratura, legno, con terrapieni o fossati, essi servivano a ospitare delle
truppe e agli abitanti della zona non vi era permesso di entrare o addirittura
viverci. Questi uomini stranieri rimasero sul territorio quel tanto che influenzò
la lingua e la toponomastica, così come il modo di vivere e i rapporti tra padrone e servo: ne è un esempio il sistema curtense che si trasformò poi in feudale. Insomma tracce di uno stanziamento in questa parte di Valle Scrivia nel
VII secolo ce sono e chissà che oltre alla toponomastica in futuro non si trovino
anche vestigia archeologiche.
La realtà a Vocemola era senz’altro poco diversa: non esisteva ancora Arquata
ma una serie di casupole chiamate Telleta, Nazarino o Bradano, né Isola bensì
Campolungo e Insula; a Serravalle c’erano Gatorba e Giugnano con il Mons Arimannorum. Libarna con la sua dissoluzione aveva generato tanti piccoli insediamenti che si fusero alcuni secoli dopo per dar vita ai paesi attuali. Ma è
Precipiano che può esserci utile nel dipanare, per questi periodi, la vita di Vocemola: intanto il toponimo, secondo Clelio Goggi52, significherebbe Piano delle
Querce in assonanza con l’antico termine indoeuropeo Persi che troviamo
anche in Val Borbera. Ma la storia (o la leggenda?) parte dal monaco Meroveo
e dal Monastero di Bobbio coinvolgendo anche Liutprando, re dei longobardi,
per la sua fondazione. Bottazzi nel 1815 descrive una mosaico a Precipiano
con la frase:
sul pavimento della chiesa superiore che oggi non esiste più. Serafino Cavazza53
sposa questa tesi:
Tra le molte chiese fatte costruire da questo re, di non gradevole aspetto ma di incomparabile
saggezza, vanno giustamente inserite … anche quelle di Savignone, di Precipiano, di Sant’Evasio di Casale Monferrato, di Casei Gerola ed il primitivo oratorio di Sezzadio.
Da questa bellissima collina i monaci benedettini avranno percorso le contrade
del Borbera e di Valle Scrivia, compresa ovviamente Vocemola, per la cura
d’anime e del territorio. Se Precipiano anticamente era un’isola, il collegamento con la riva destra dello Scrivia può essere stato realizzato proprio da
loro, unitamente alla messa a coltura di zone limitrofe.
Ricordiamoci che Libarna era stata fondata ai piedi di importanti crinali:
quello tra Scrivia e Lemme, via diretta da Genova alla Pianura, e quello tra Borbera, Spinti e Scrivia. Da Genova attraverso il Passo di Crocetta d’Orero (468
m s.m., il più basso di quelli intorno a noi), Casella, Savignone, Vobbia e Salata
si aprivano itinerari a ventaglio che giungevano appunto a Precipiano o Bobbio, Piacenza e oltre. Come poteva Vocemola, o come si chiamava all’epoca,
non essere influenzata dall’abbazia? In quei secoli, che ci hanno tramandato
pochi documenti e altrettanto pochi reperti archeologici, Precipiano e Savignone rappresentano un’eccezione e se pur ammantati forse da esagerazioni,
furono isole di cultura, potere, ospitalità e iniziative agricole. Intorno a loro
boschi e sentieri, villaggi con poche famiglie, ma ciò è sufficiente a descrivere
questo lato della Valle Scrivia più importante dell’altro: sarà con la costruzione
di Montalto e la successiva conquista genovese del 1121 che si rivitalizzerà la
sponda opposta.
Ma è meglio fermarci qui e non speculare troppo per non dar vita a una Storia
di Vocemola fatta di illazioni. Accontentiamoci di pensare a un villaggio, insistente su una strada, che vide man mano sorgere luoghi di difesa nelle vicinanze, trasformazioni di boschi in coltivi, erezione di chiese campestri da parte
di signorie locali o dei monaci stessi, ridistribuzione di poteri.
LIUTPRAND REX LONGOBARDORUM
52
CAVAZZA (1986), pag. 85.
53
- 54 -
In BOTTAZZI, 1989 (ristampa).
- 55 -
Dal 1000 al 1815
Intorno a Vocemola
Se per i tempi precedenti il 1000, nulla ci autorizza (escluso i tegoloni) ad affermare che Vocemola come insediamento era già presente, con il secolo XI le
vicende dell’intera valle ci possono indurre a dichiarare che l’organizzazione
del territorio, l’aumento della popolazione, le condizioni climatiche migliori,
con il crescere della produzione agricola, si consolidò e si affermò anche il nostro paese. Però prima di iniziare l’esame della sua Storia è bene che rivediamo
in senso generale l’evoluzione dei castelli nel tempo. Essi, insieme alle chiese,
sono l’emergenza politica più importante di un territorio. Secondo Settia la
nascita dei castelli non fu dovuta per tutti i casi a una situazione di pericolo
perché solo con il X secolo si ebbero a temere le invasioni ungare e saracene,
quando i grandi proprietari terrieri ebbero interesse ad offrire protezione ai
coltivatori per evitarne la fuga in altri territori54. Le fortificazioni nacquero
anche per esigenze economiche a causa dell’addensamento della popolazione
e la sistemazione agraria. Solo in seguito, quando fu necessaria una ristrutturazione delle aree agricole e un accentramento della popolazione, vennero costruiti i castelli che ospitarono anche quest’ultima. Avranno avuto ovviamente
caratteristiche diverse, addirittura per alcuni le case all’interno delle mura, e
saranno stati distribuiti sul territorio, non a difesa di un confine ma di un’area.
Possiamo pensare che quello di Arquata abbia avuto, nel X secolo, un assetto
simile. Davide Canazza ha ben identificato le fasi della crescita del nostro capoluogo55:
●
Secolo X: prima fase con l’insediamento sulla collina dove esisteva un
piccolo villaggio difeso da palizzate;
●
Secolo XII: seconda fase con l’affiancamento della villa lungo il Rio Carrara, cioè di case più o meno sparse. La presa del castello di Montalto
da parte dei genovesi nel 1128 spinse gli arquatesi a trasformare il
villaggio fortificato in un vero e proprio castello con, nella parte più
interna, l’abitazione del castellano;
●
Inizio secolo XIII: terza fase con un primo borgo lungo Rio Carrara:
come dice Canazza «un’aggregazione nastriforme di edifici sorti lungo
una direttrice … spesso affiancandosi a nuclei preesistenti quali il castrum e la villa». Notiamo che Vocemola non ha mai assunto la fisio54
55
SETTIA (1999), pag. 345.
CANAZZA (2003).
nomia del borgo in senso stretto, cioè di un insediamento pianificato.
Infatti le case sono sparse e non sono state edificate solo lungo la
strada, persino la chiesa non è perpendicolare a questa. Ci troviamo
ancora quindi nella fase di villaggio come a Rigoroso o Mereta o Varinella.
●
Nella seconda metà del secolo XIII Arquata cambiò aspetto: nasce il
borgo nuovo di Via Interiore, cinto da mura e torri. La popolazione dei
villaggi di Bradano, Nazarino, Telleta si spostò in Arquata.
●
Dal XIV secolo Arquata si espanse e le case vennero costruite anche
fuori dal borgo.
●
Vi sono ulteriori fasi più recenti che però tralasciamo.
In linea generale, a partire dal secolo XIII, la popolazione non ebbe più ospitalità all’interno del maniero, diventato oltre che casa del feudatario anche entità amministrativa.
Nel 2005 Davide Canazza rilesse anche la storia della Valle Scrivia discostandosi dalle teorie di Giuseppe Antonio Bottazzi e di Ferdinando Gabotto56. Egli
sfatò la presenza dei saraceni a Libarna e l’estensione del potere temporale
del vescovo di Tortona su tutto l’Oltregiogo. Partendo quindi dalla rapida decadenza e dallo spopolamento di Libarna, probabilmente già alla fine del IV
secolo, esaminò i documenti inerenti i possedimenti abbaziali: quello che a
noi interessa, come affermato in precedenza, è Precipiano, la cui prima notizia
è del 983, e che in seguito alla decadenza del monastero di Savignone assunse
importanza arrivando ad assorbire, alla fine del XII secolo, le chiese di Rigoroso, la villa di Varinella, la villa di Pompeiano (sotto Monte Spineto), le ville
di Nazarino e Bradano verso Arquata e altre chiese e terre. Vocemola non è citato ma questo non significa che non esistesse o che non avesse una chiesa.
Quindi la posizione di Vocemola, vicino a Precipiano e dirimpetto al castello
di Montalto, è particolarmente complicata per stabilirne la proprietà e la giurisdizione nei secoli.
Prima del 1121, cioè della conquista da parte di Genova di alcuni territori sulla
destra dello Scrivia, l’assetto schematico, delineato da Canazza, vedeva i marchesi di Gavi e Parodi in possesso della maggior parte delle terre di Val Lemme,
Val Borbera e Valle Scrivia: all’interno di queste c’era Arquata dei marchesi del
Bosco; Precipiano del vescovo di Lodi la cui autorità era in sponda destra Scrivia, a cavallo della foce del Borbera fino a Lastrico; Serravalle invece apparteneva al vescovo di Tortona.
In mancanza di documenti è impossibile stabilire se il nostro paese era sotto
56
- 56 -
CANAZZA (2005).
- 57 -
Precipiano o dei marchesi di Gavi e Parodi, ma propendiamo per questi ultimi.
Tra i signori di Montalto troviamo anche i Quaglia, originari forse della famiglia
che ancora oggi è rappresentata nel Comune di Arquata. Essi vengono citati
in un importante documento del 27 settembre 1235 come cedenti al Comune
di Tortona tutti i diritti che possedevano nel castello di Rocca dei Pié (Roccaforte Ligure) ed in tutta la Val Borbera57.
Abbiamo infatti che Litolfo, a nome di tutti i signori Quaglia, dichiara di tenere
la sesta parte del castello di Piè e la quarta parte di un sesto e la nona parte di
tutto il consortile e dell’onore di Val Borbera. I Quaglia possedevano uomini
considerati proprietà privata del feudatario a Vendersi, Vigo, Avi e altre località.
Ma cosa significava essere vassalli di qualcuno? Si aveva il dominio utile sui
beni concessi mentre il feudatario ne aveva il dominio diretto, seppure entro
il limite riconosciuto dall’imperatore. Il diritto di proprietà poteva essere pieno
o utile ed estendersi a qualsiasi uso della cosa, oppure poteva essere parziale, limitato cioè ad un diritto di sfruttamento della cosa, mentre la nuda proprietà spettava
ad altri, come in questo caso ai vassalli (dominio indiretto). L’usufrutto è un esempio di dominio indiretto. Una forma di usufrutto più pieno è l’enfiteusi, che tanta
parte ha avuto nell’evoluzione agricola del Medioevo. L’enfiteusi è il diritto reale
e temporaneo di godere l’altrui immobile con l’obbligo di migliorarlo e di pagare
al padrone una pensione annua (detta censo) in riconoscimento del suo dominio.
Nel Medioevo ebbe larga diffusione.
Dopo il 1150 la zona di Rigoroso diventò un condominio tra Genova e Tortona.
Alla fine del secolo, a parte Precipiano, che era sempre del vescovo di Tortona
il territorio a est di Vocemola (Castel Ratti, Persi, Grondona, Roccaforte, Monte
Reale) era del Comune di Tortona.
É ovvio che tutti questi cambiamenti furono conseguenza di scontri soprattutto tra il Comune di Genova e quello di Tortona, anche se fortunatamente
non sono battaglie sanguinarie come la storia vedrà in anni più vicini a noi.
Tra l’altro le guerre erano regolamentate dai cicli stagionali: in autunno - inverno le tregue e in primavera – estate le battaglie. Il contado ovviamente
scontava le razzie di chiunque passasse nei villaggi ma i combattimenti si svolgevano per lo più intorno alle fortificazioni.
Esaminiamo la battaglia per Montilario (Monte Reale tra Ronco e Isola):
Anni di fermenti e cambiamenti perché nel 1225 il castello di Montilario fu assediato dai genovesi. Essendosi riuniti i tortonesi con gli alessandrini presso Serravalle insieme a 200 cavalieri milanesi, il podestà di Genova messer Sigincello, secondo i continuatori del Caffaro,
57
TACCHELLA (1982), pagg. 16 e 27; TACCHELLA (1990a), pag. 22.
- 58 -
decise di espugnare Montilario. Guidarono la spedizione i nobili Merlone (o Merlo) di Castello
e Ingone (o Iago) di Grimaldo. Da Ronco, che era già terra degli Spinola, ascesero alla fortezza.
Poi, con strumenti tipo catapulta riuscirono a rompere le cisterne ed ebbero facilmente la
resa: ... e non potendo per l’arduità del luogo espugnare manualmente esso castello ed anco
mettere con comodità le scale [...] costruirono in breve spazio di tempo un trabocchetto; e
mentre che percoteano le muraglie del castello con grandissime pietre, e alquante pietre avean
gettate dentro, così che avean rotta la cisterna di esso castello [...] ecco che gli uomini del detto
castello, i quali non potendo difendersi né uscire di là in niun modo, impetrarono sicurtà e fidanza58 ...
I trabucchi, muniti di contrappesi di piombo, venivano spesso costruiti sul
posto, talvolta con rapidità incredibile, come dicono appunto i continuatori
del Caffaro a proposito dell’assedio di Monte Reale: «adeo quod incredibile videretur, trabuchetum unum brevi temporis spatio construxerunt». Teniamo presente che nel 1224 e 1225 gli scontri furono numerosi: a Capriata, Montaldeo,
Tassarolo, Gavi, Precipiano, Sottovalle, i genovesi e i tortonesi - alessandrini
ebbero modo di combattersi e quindi di costruire le macchine ossidionali necessarie trasportandole da un sito all’altro. Gli elementi fortificatori citati nell’importante documento del 31 marzo 1228, stilato dai periti nominati per
valutare i danni subiti dal maniero, descrivono il «paramurum sive barbacana
quod est de extra castrum», ricostruibile con la spesa di 700 lire pavesi; veniva
poi il murus castri vero e proprio che si poteva ripristinare con 1.000 lire; ben
1.200 ne occorrevano per le due torri del castello; ne bastavano 200 per la
chiesa, la cisterna e le case dei sergenti, più 25 per la strada di accesso. In tutto
non meno di 3.025 lire.
Non si parla di fossato, forse perché la fortezza era in altura, ma è certa la doppia cerchia ed il costo minore di ripristino indica che era più debole quella
esterna, mentre l’elevato valore delle due torri ci informa che erano il punto
di maggiore resistenza. Il paramurum sive barbacana esterno al recinto principale corrisponde all’antico antemurale (detto in età moderna anche falsabraga) nato soprattutto per impedire l’avvicinamento delle macchine da
assedio ai punti più vulnerabili: esso svolgeva con maggiore efficacia la medesima funzione che negli impianti difensivi meno evoluti era riservata alla
palizzata di legno posta all’esterno dell’ostacolo principale.
I primordi documentati
Un documento del 1211 anticipa la data di prima citazione di Vocemola fino
ad oggi conosciuta: infatti il 12 giugno 1211 Alberto di Zebedassi è fideiussore
58
PEDEMONTE (2012), pag. 123.
- 59 -
in un atto tra il prevosto Tebaldo di Albera ed Enrico di Vocemola59, «Albertus
de Çebedassio extiterat fidejusor». Questo è importante perché testimonia che
in quegli anni i vocemolesi commerciavano nelle valli intorno al paese. Ecco
invece quanto riportato dal sito web del Comune di Arquata:
La prima attestazione scritta di Vocemola risale al 1241, anno in cui un certo Henrico de Veçemola viene citato in un atto notarile60; tuttavia è lecito ipotizzare che le sue origini siano
molto più antiche. Il nucleo originario è collocabile in località Castello, attualmente un piccolo
agglomerato abitativo che non reca traccia di fortificazioni ma, come testimonia il toponimo,
è assai probabile che su tale sito sorgesse, in periodo altomedievale, un castrum, vale a dire
un villaggio fortificato del quale rimane traccia solo nel nome. La mancanza di menzioni nelle
fonti coeve lascia presupporre un rapido abbandono del castello, presumibilmente tra XI e
XII secolo, e la contemporanea conservazione del nome Vocemola a identificare la villa sorta
in corrispondenza dell’attuale abitato principale. Dal punto di vista giuridico – amministrativo,
se nel periodo dell’incastellamento è plausibile pensare ad una certa autonomia, a partire dai
secoli centrali del medioevo Vocemola lega i suoi destini a quelli di Arquata: nel 1244, infatti,
in occasione della vendita di Arquata a Tortona da parte degli Ospinelli, la frazione è citata
tra i benefici compresi nella cessione. Una leggenda vuole che Vocemola sia stata fondata dai
monaci di Precipiano, ma nelle fonti scritte relative ai possedimenti dell’abbazia il paese non
compare mai. La conferma di un suo stretto legame con Arquata viene invece dal titolo nobiliare acquisito dagli Spinola nel 1641: marchesi di Arquata e conti di Vocemola.
diritto di alloggio N.d.R.) ... Parimenti sopra il podere del signore del castello due staia di spelta.
Parimenti sopra il podere di Bencivegna due staia di spelta ... Parimenti due staia di spelta
che restituivano loro Giovanni di Verso e Guglielmo Bongioanni della terra che posseggono
da quelli ... Parimenti gli infrascritti uomini, qualunque sia il tipo di diritto che hanno sugli
stessi uomini i cui nomi sono i seguenti: Guercio e Rufino, il di lui fratello Balestrero. Obertone,
figlio del soprascritto Guercio. Bustichio, Murruello, figlio di quello. Obertino, nipote di quello.
Guglielmo, figlio del fu Rufino Balestrero. Petrobono. Anselmino figlio di quello. Martinetto,
figlio del soprascritto Petrobono. Petrodevoto. Surliono, figlio di Vasta Ferrari. Giovannino figlio di quello. Guglielmo Braglia. Henrico Tasca. Rinaldo figlio di Rogerio del casale. Guglielmo
fratello di quello. Giacomo Mocio, Pietro figlio di quello, Malerba Arcivescovo ….
Sono pure nominati «Saluus, Tarditus, Guerciuse e Martinetus filius comdam
(figlio del defunto, N.d.R.) Ottonis de Veçemola». Come si vede ci sono due versioni del toponimo Vocemola: Veçemole e Veçemola, ma può essere un errore
di trascrizione dalla calligrafia della pergamena. In seguito Arquata, presumibilmente anche Vocemola, Serravalle e Stazzano vengono affidate nel 1278 direttamente al controllo di Guglielmo VII del Monferrato, capitano del Popolo
per il Comune di Tortona, mentre nel 1313 l’Imperatore Enrico VII concede
ad Opizzino Spinola l’investitura sul borgo e castello di Arquata.
Dunque il 1244 è l’anno del documento più importante perché in esso troviamo, oltre Vocemola, alcuni toponimi e abitanti61:
… Parimenti sul monte di Vocemola (Voçemola) ove è detto Crosum, una pezza di castagneto.
Parimenti una pezza di castagneto dove è detto Colorino. Parimenti nel medesimo luogo ove
è detto Terminum, una pezza di castagneto ... Parimenti nel monte Massario una pezza di castagneto. Parimenti nel Targio donego (signorile? N.d.R.), una pezza di castagneto ... Parimenti
in Vocemola (Veçemole), ove è detto podere di Serravalle di donego, del quale podere posseggono la quarta parte che è regolarmente di due moggi62 (letteralmente: che è di buon modio
due, N.d.R.) ... Parimenti possedevano sopra quel podere due staia di spelta63 ogni anno. Parimenti tre staia di castagne verdi e altrettanto di spelta, venti denaro e due polli e frodum che
possedevano sopra i figli di Manerio e i figli di Ottone ... Parimenti un quarto di terra anteriore
al suo albergo. Parimenti ciò che possedevano supra Sigibaldo e i fratelli e Guercio e il nipote
... Parimenti tanta terra ad donegum che è di due moggi buoni, la quale posseggono fra il podere di Butino ... Parimenti nel soprascritto podere due staia di spelte e una albergaria (cioè
Foto 10: Il quadro, della pittrice e
poetessa Marina Vignolo, rappresenta dei
ruderi a Vocemola, in quel di Arquata
Scrivia (da: http://4.bp.blogspot.com/
Vocemola.jpg)
TACCHELLA (1961), pag. 52.
Non viene indicata la fonte ma è in GABOTTO & ALTRI (1905-1907).
61
GABOTTO (1909), pag. 219.
62
Un moggio circa 170 kg.
63
Pianta delle Graminacee (Triticum spelta, detta anche granfarro), coltivata fin dalla
più remota antichità e specialmente nel Medioevo.
Laila Cresta, autrice di numerosi libri, poetessa, la cui nonna era una Ponta di
Castello, sul sito web che riportiamo nella foto 10, scrive:
- 60 -
- 61 -
59
60
Stretta tra fiume e colline, Vocemola non ha potuto ingrandirsi granché, e oggi è considerata
una frazione di Arquata: eppure, ha tutta un’altra storia. Secondo il vecchissimo libro trovato
molti anni fa nella soffitta di un’amica, omonima della nostra pittrice (Marina Vignolo, N.d.R.),
passarono un giorno di lì le compagnie di ventura di Carlo d’Angiò, che tornavano dalle loro
battaglie in favore del Papa.
Quel luogo così ben difendibile, protetto alle spalle dalle alture e a valle da quel fiume pescoso,
coi boschi ricchi di selvaggina, li affascinò. Erano stanchi, sempre a correre di qua e di là a
combattere per quel nobile irrequieto e per il Papa che era come lui: loro ormai avevano voglia
di sistemarsi, e ne chiesero licenza al loro signore. Carlo d’Angiò fu generoso, e non solo con
la borsa che pagò ai suoi tre Capitani: li investì della Signoria di quella zona ... Va be’, non era
la sua, ma essere fratello del Re di Francia valeva ben qualcosa, anche se quei testardi dei genovesi erano riusciti a impedirgli di scorazzare per la Repubblica, all’andata! Così, li investì
del titolo di Conte: le Comte du Pont, le Comte de la Caille e le comte du Chemin64.
Con gli anni, i loro discendenti acquisirono un cognome nient’affatto nobile ... Qualcuno di
loro diventò cardinale, ma soprattutto diventarono contadini: la terra però era magra, e rendeva poco, se non nei campi proprio lungo il fiume.
Tutti finirono per dimenticare la propria passata grandezza. Crollarono le Torri di Guardia
che vegliavano sul paese: oggi, studiando le case che si trovano a monte, si scopre che quelle
della fila a destra della carreggiata, in località Castello, erano state costruite su un unico grande
perimetro dalle mura spesse. Un triskelion65 senza spighe vegliava sia a monte di Castello,
verso Genova, sia su una delle prime fattorie del genovesato, appena al di là della collina. O
più probabilmente vegliava: io non ho più voluto andarci, dopo la distruzione finale, ma ci dovrebbero essere ancora la Cappella alla Vergine, un antico pozzo massiccio e ben protetto, e
un grande forno, attorno a un’aia che è una piazza d’armi di terra di riporto. E gli ignari discendenti di quei nobili capitani non abitano più qui. Castello di Vocemola, di fronte Arquata
Scrivia, è il luogo (mai nominato nel libro) in cui si svolge l’ultimo romanzo di Laila. O meglio:
lo era. Questa zona, così antica, è stata praticamente distrutta: e io ho voluto dare a quel luogo
affascinante un’ultima possibilità di esistere. Sia pure nelle pagine di un libro66.
Non ci sentiamo di avvalorare questa tesi, anche se le tradizioni hanno spesso
radici reali.
Chissà, forse un giorno scopriremo qualcosa di più.
Ponte o Ponta; caille in francese è quaglia e Semino sarebbe una traduzione maccheronica di Chemin.
65
La triscele (pron. trìscele, anche triskele o triskell, conosciuta anche con il nome
grecizzato di triskelion, in araldica triquetra, sebbene con significato più particolare,
a volte erroneamente trinacria, che è anche il simbolo della Regione Sicilia) è una
raffigurazione di un essere con tre gambe (dal greco τρισκελής), più generalmente
tre spirali intrecciate, o per estensione qualsiasi altro simbolo con tre protuberanze
e una triplice simmetria rotazionale.
66
Carlo I (Parigi, 21 marzo 1226 – Foggia, 7 gennaio 1285) conte d’Angiò, figlio del
Re di Francia, Luigi VIII e di Bianca di Castiglia, era fratello del Re di Francia, Luigi
IX. Conquistò il Regno di Sicilia nel 1266 sconfiggendo a Benevento l'ultimo Re Svevo,
Manfredi di Sicilia.
64
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Foto 11: il triskelion sopra la porta della stalla
di Rettorato (foto di Sergio Pedemonte)
Secondo Lorenzo Tacchella67:
Civilmente già nel secolo XII Vocemola era soggetta alla giurisdizione del feudo di Arquata, e presumiamo lo fosse ancor prima non essendo documentabile, almeno dopo il secolo XI, la sua appartenenza al monastero di Precipiano come si è potuto asserire per Varinella. Dal secolo XII in
poi i marchesi di Arquata cominciarono ad attribuirsi il titolo di conti di Vocemola, ottenendone
la legittimazione dall’Impero68. Antiquitus ebbe suo castello, del quale è reminiscenza nella toponomastica che ne designa l’ubicazione nell’omonima località poco discosta dal capoluogo.
Nel 1477 la comunità di Arquata giurava fedeltà al Duca di Milano Galeazzo
Maria Sforza ma già alla fine del secolo sorsero disturbi di natura erariale tra
il nostro paese e il Ducato69. Quest’ultimo poneva in dubbio la natura giuridica
dell’imperialità dei feudi, cioè la loro dipendenza dal Sacro Romano Impero
di cui nel 1556 era stato investito Ferdinando I d’Asburgo dal fratello Carlo V.
Nello stesso tempo il figlio di quest’ultimo, Filippo II, aveva ottenuto nel 1556
l’Impero spagnolo e quindi i domini italiani. Questa confusa situazione permetteva ovviamente rivendicazioni da parte dei milanesi che ricevettero una
reazione violenta e decisa da parte degli Spinola alla loro pretesa soggezione
feudale ed erariale. Fu così che il commissario Cristoforo Massara venne incaricato di relazionare sui feudi di Valle Scrivia. Da questo documento del 1562
possiamo vedere che Arquata, Pietrabissara, Isola, Montessoro, Variana e Varinella, tutte degli Spinola, erano attorniate da Borghetto dei Lunati; Grondona,
Carrega, Torriglia, Montoggio, Garbagna, Albera, Croce e Savignone dei Fieschi;
Castel delli Ratti tortonesi; il Castello della Pietra, Borgo Adorno e Pallavicino
degli Adorno; Stazzano del vescovo di Tortona; Carbonara dei Guidobono.
Di importanza notevole è la concessione degli statuti da parte di Giovanni Spinola fu Napoleone agli arquatesi nel 1486. Sono interessanti per capire la realtà di allora: intanto non esisteva un solo signore di Arquata ma tanti nobili
TACCHELLA (1984).
Vittorio Gifra di Arquata, ex Presidente del Consiglio Comunale, ci suggerisce:
«della lettera patente a Filippo Spinola ho solo letto Conte Palatino (titolo ben più importante di Conte di Vocemola) .
69
TACCHELLA (1984), pag. 102.
67
68
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Spinola che avevano ognuno parti diverse del feudo, come una normale società
per azioni odierna. L’esercizio del potere giurisdizionale veniva delegato però
a uno solo dei consignori dopo un’assemblea degli stessi. Ma l’eletto trasferiva
i suoi poteri a un podestà che aveva il compito di far osservare lo statuto, anche
perché ben difficilmente soggiornava tutto l’anno in paese. La forma di democrazia che noi conosciamo, comprensiva della giustizia civile e penale, ovviamente non esisteva, ma non è neanche reale ciò che si pensa dell’assolutismo
feudale con tanto di jus primae noctis. Addirittura, sempre dal nostro principale storico Lorenzo Tacchella, sappiamo che Pietrabissara alla fine del secolo
XVII era Comune con i suoi consoli, sindaci e reggenti, e lo Statuto dovrebbe
essere conservato all’archivio di Stato di Milano. Questo contiene un paragrafo
relativo
... all’assegnazione di lire quattrocento da ricavarsi dai beni enfiteutici del dominio diretto a
tutte le ragazze povere del feudo senza fratelli ed in procinto di sposarsi. Spetterà al feudatario
l’assenso e la consegna della citata somma in dote70 ...
Ciò non era per particolare generosità ma perché i nobili avevano bisogno dei
contadini: un popolo alla fame non produce redditi. Giovanni Rebora asserisce
che dopo Andrea Doria, quindi alle soglie del XVII secolo, in Genova i degenti
delle classi più povere ricoverati negli ospedali ricevevano un’alimentazione
minima di 2.000 calorie giornaliere ma, ben più importante, egli ritiene che
l’alimentazione era, in generale, sufficiente proprio per la mancanza di moti
popolari71. Spiega poi la differenza tra poveri e miserabili: il primo lavorava,
dormiva in una casa e si procurava il cibo ma non aveva né scorte né riserve;
era quindi soggetto alle calamità naturali o alle disgrazie. Forse soffriva la fame
ma gli bastava la paga di un giorno per nutrire la famiglia. Le generazioni precedenti alla nostra, ricordiamolo, non sapevano cosa fosse la sazietà. Chi non
era capace o non voleva lavorare era appunto il miserabile che viveva di espedienti, elemosina e delinquenza. In modo categorico Rebora ci spiega che
l’uomo rinascimentale non avrebbe potuto vogare sulle galee fino a Galata o
costruire palazzi se debole per la fame. Tralasciamo tutte le novità a cui è
giunto con i suoi studi nel campo alimentare di quei tempi: basti sapere che la
carne era a buon prezzo e lo stoccafisso fu introdotto nella dieta, vera riserva
alimentare per l’intero anno.
Il podestà era coadiuvato da quattro uomini ed entro un mese dalla sua investitura doveva convocare il Consiglio della Comunità di Arquata, composto di
70
71
TACCHELLA (1960), pag. 57.
REBORA (2009), pagg. 69 e 115.
dodici membri eletti ogni sei mesi dai dodici uscenti: insomma, quello che era
stato il servo della gleba aveva già un organo che in qualche modo lo rappresentava. Almeno a parole le intenzioni dei feudatari non erano solo quelle di
tassare i sudditi ma anche di difenderli. In un documento del 1659, a seguito
dei diritti su Varinella in disputa tra Arquata e Precipiano, Filippo Spinola oltre
che ordinare ai contadini di far macinare il grano solo ed esclusivamente
presso il mulino del feudo e di far ricorso unicamente al tribunale di giustizia
e al commissario ordinario di Arquata, prosegue:
Doveranno li sudditi vassalli in tutte le cose et in tutte le attioni osservare gli ordini antichi,
et in caso che venissero molestati da alcuno o dato fastidio ai loro beni e persone, ossia maltrattati negli viaggi da chi si sia, ovvero alle loro donne o figli, farne ricorso a noi che subito
impegneranno non solo la nostra autorità, ma la propria nostra persona contro chi sia, come
se fossero figli nostri proprii et essere obbligati per li loro interessi72.
In materia penale però non si scherzava perché la pena di morte veniva comminata:
per chi uccideva non per legittima difesa;
●
adulterio;
●
incesto;
●
per recidiva in rapina con refurtiva superiore a lire cinque di Genova;
●
per furto con recidiva superiore a lire 100 di Genova.
Ma vi erano pene come il taglio di un orecchio e l’estrazione dell’occhio destro,
il marchio a fuoco, la fustigazione per le vie del paese. Dal punto di vista giuridico si nota che il castigo era commisurato all’entità della refurtiva di furti e
rapine. Altre pene pecuniarie erano:
●
fornicazione con il consenso della donna, lire tre di Genova;
●
stupro con una vergine o una vedova 100 lire di Genova;
●
tentativo di violenza carnale, lire tre di Genova;
●
taglio delle viti di altri, soldi dieci di Genova e se non si possedeva la
somma taglio della mano destra;
●
bestemmia, 10 soldi;
●
distruzione di immagini sacre, lire tre di Genova.
Ma ci si preoccupava anche delle campagne: esistevano i campari che avevano
l’obbligo di stare tutto il giorno fuori dal borgo a vigilare che nessuno recasse
danno alle colture e al bestiame. Oltre a questo, tutta una serie di norme prevedeva la manutenzione dei rii e delle strade al fine di prevenire offese agli
uomini, ai terreni o alle strade.
72
73
- 64 -
TACCHELLA (2000), pag. 188 in nota.
TACCHELLA (1984), pag. 103.
- 65 -
L’8 maggio 1523, a Genova, i condomini di Arquata dettero mandato al notaio
Pantaleone Bosio di dividere in 15 gruppi i sudditi del Feudo73. Nel documento
vengono quindi nominati molti uomini, almeno 225, abitanti nel Borgo ma
anche a Vocemola, Pessino e Monte (?).
Quelli dimoranti in Vocemola sono:
Bernardo de Pichetti fu Rainerio con tre figli;
Giacometto di Vocemola con un figlio;
Benedetto Quaglia con un figlio;
Pera della Ponta con un figlio;
Domenighino della Ponta con un figlio;
Giacomo Semino fanciullo;
Battista de Semino fu Bartolomeo;
Lorenza Ponta fu Francesco;
Giovanni della Ponta con due figli;
Ambrogio della Ponta fu Pasquino con un figlio;
Giacomo Semino con un figlio;
Giacomino Quaglia con quattro figli;
Bartolomeo della Ponta con due figli;
Nicolosino della Ponta fu Andrea;
Maestro Beltramo de Lazzari con un figlio;
Paolino Quaglia con un figlio.
Sono trentacinque persone e quindi si può ritenere che in quel periodo Vocemola non fosse tanto piccolo perché a questi occorre aggiungere le donne, i
vecchi, i bambini, i commercianti e gli artigiani, nonché coloro che non appartenevano ai Signori di Arquata. Troviamo una conferma nel libro di Clelio Goggi
quando afferma che:
la parrocchia nel 1658 era sotto la giurisdizione feudale di Giacomo Spinola e faceva 150
anime in 38 fuochi (famiglie). Il parroco aveva il titolo di rettore che conserva74.
Infine nel 1573 veniva una volta di più riconosciuta l’imperialità dei feudi di
Valle Scrivia.
Dalla carta 4 del 1594 notiamo che Vocemola è chiamata villetta, come Varinella. Abbiamo già visto che nei secoli XIII e XIV gli Spinola costruirono alcuni
Borghi Nuovi come Arquata, Ronco e Isola in sostituzione delle ville, aggregati
di case senza un ordine urbanistico. I Borghi Nuovi o Villenove, erano la risposta all’aumento della popolazione e alla necessità di coltivare in modo più produttivo i campi. In sostanza i proprietari terrieri con delle esenzioni fiscali
74
GOGGI (1973), pag. 437.
attraevano contadini, anche da luoghi lontani, facendo costruire dei paesi ex
novo. Questi in genere avevano case affiancate ma divise dalla riann-a, con lo
spiovente perpendicolare alla strada, unifamiliari.
Carta 4: Vocemola in una carta di Silvio Bonemano, anno 1594 (Archivio di Stato di Genova,
Racc. Cart. B12, Novi). Si nota che Rigoroso è genovese mentre Arquata e Pietrabissara sono
imperiali
La popolazione dei villaggi di Bradano, Nazarino, Telleta si spostò in Arquata.
Per Vocemola e Varinella invece persistette l’aggregazione tipica dei villaggi,
cioè spontanea, non codificata: rimase una villa. La carta ci fornisce anche altri
spunti: i paesi sembrano avere dei muri che li circondano con Rigoroso che ha
il più possente e alto. Non sappiamo se ciò corrisponde a realtà, ma ad esempio
Precipiano ne è privo. L’unica chiesa rappresentata è quella di Arquata, la più
importante, e il mulino sulla destra dello Scrivia ha un canale di alimentazione
direttamente dal torrente. Inoltre si deduce che Arquata e Pietrabissara erano
imperiali mentre Rigoroso era genovese perché sottoposto a Gavi e quindi alla
Repubblica di Genova quale erede di Montalto. Scrive il De Negri75:
Rigoroso, amenissima nel primo vasto respiro della Scrivia, oggi frazione di Arquata, orgo75
- 66 -
DE NEGRI (1959), pag. 117.
- 67 -
gliosa anche se necessariamente modesta, tenne testa per secoli a quella terra imperiale, fiera
della sua libertà sotto la giurisdizione di Gavi, Genovesato, e forte, di fronte a Gavi stessa ed a
Genova, di suoi propri Statuti76, di cui si conserva memoria. Genova sempre difese con tenacia
questo dominio, che risaliva al tempo antico della conquista di Montalto, nel lontano 1128, e
le consentiva un controllo diretto ed importante, talora anche indiscreto ed insidioso, sulla
via di Valle Scrivia, con l’istituzione di pedaggi o la pratica di angherie sul greto del fiume, che
costituiva confine, ed era perciò res nullius.
Ecco perché Vocemola nei periodi in cui Rigoroso fu genovese assunse importanza viaria: da Arquata si sguazzava lo Scrivia pur di non pagare pedaggi alla
Repubblica e si preferiva la strada sulla destra dello Scrivia fino ai ponti isolesi.
Nel 1603 Pellina Spinola, vedova di Francesco Spinola, in esecuzione del di lui
testamento, concedeva in locazione a Luchino della Ponta fu Masolo di Vocemola una terra arativa, vineata, boschiva e castaneativa in località Campaghella
confinante con Antonio de Semino, gli eredi del fu Sebastiano Quaglia, gli eredi
del fu Marchetto della Ponta ed il fiume Scrivia. Quindi Vocemola tra XVI e XVII
secolo aveva almeno quattro cognomi, se non altro i più citati: Quaglia, Semino,
Ponta e Pichetti.
La località Castello, già citata nei documenti del XV e XVI secolo, trova ancora
menzione in un atto del 24 novembre 1644: Catharineta uxor Iohannini Picheti
de Castello.
I cognomi
L’interessante studio di Vittorio Gifra di Arquata, L’anagrafe a lunga scadenza,
una ricerca su più di 800 cognomi, ci dà l’opportunità di puntualizzare e arricchire questo argomento. L’autore specifica giustamente che il cognome è il
nome che appartiene a tutta una famiglia e deriva dal latino cum nomine. Genova e Venezia che vivevano di commercio, e quindi di rapporti tra venditore
o acquirente molte volte tra loro sconosciuti, per evitare frodi commerciali
pretesero tra XI e XII secolo l’uso del cognome che si afferma nelle nostre zone
tra l’ultimo Medio Evo e l’inizio dell’Età Moderna. In genere dopo il Concilio
di Trento vennero imposti dai visitatori apostolici i registri anagrafici alle Parrocchie e da quel momento possiamo dire che nascano le casate che oggi conosciamo. Nei secoli precedenti ogni individuo, il più delle volte, era indicato
per mezzo del toponimo di provenienza o per caratteristiche personali o della
famiglia.
Nel nostro caso i Quaglia sono il cognome più antico perché già nel 1154 i con-
soli genovesi affidarono la guardia del castello di Fiacone (ora Fraconalto) a
Giacomo e Filippo Quaglia, e poi addirittura compaiono nel documento del
1235 citato a pag. 58 che è inerente ad Arquata, e questo denota una famiglia
di autorevole lignaggio77.
Giorgio de la Ponta del fu Lorenzo di Vocemola nel 1447 è testimone per un
elenco di beni in affitto e i de Pichetti di Arquata, tintori in Genova, nel 1448
ottengono un prestito da Carrozzo Spinola. Un Pietro della Ponta fu Masolo di
Vocemola è riportato in un atto del 21 agosto 1579 e sarebbe interessante stabilire se la Ponta è un toponimo. Il cognome Pichetti è pure lui in un documento del 28 agosto 1579, in cui Stefanino Pichetti di Vocemola riceve degli
arretrati di salario dagli Spinola e contemporaneamente salda dei debiti contratti per un rustico con coltivo, ortivo e vigneto, posti nel luogo detto di Casté
a Vocemola78. Questi risultati sono il frutto di ricerche su pochi documenti
dell’archivio di Stato di Genova compiute da Lorenzo Tacchella: la fonte è il
notaio Lorenzo Villa.
Con il proseguire degli studi verranno senz’altro trovate altre citazioni in modo
da completare il quadro della storia delle famiglie sia arquatesi che vocemolesi. Sui Pinceti c’è la convinzione che si tratti di due rami: uno discendente
dai Picchetti di Castè e l’altro invece proveniente dalla Val Borbera nel secolo
XIX. Il catasto del 1823 (tabella n. 3 a pag. 31) può dare un’idea ulteriore delle
famiglie vocemolesi: i conduttori dei terreni, perpetui o temporanei, hanno
praticamente tutti cognomi locali mentre Domenico Ansaldo di Grifoiè probabilmente è di Griffoglieto (Isola del Cantone), dove il cognome è diffuso, indicando perciò un’immigrazione locale. Vediamo anche l’evoluzione del
cognome Delazzari che partendo probabilmente da De Lazari si trasforma in
Delazari o Lazari e infine in Delazzari. Anche Ponta, Porta e Punta forse hanno
la stessa origine da Porta (guardiani alla Porta) o da Ponte (guardiani del
Ponte?).
I Semino, Lugano e Lazzari: alcune supposizioni
Nel capitolo sulla toponomastica riportammo una frase di Gaetano Poggi:
Anche per Vocemola abbiamo dalla declinazione la prova diretta della sua vera entità morfologica.
Ripetete al contadino di Vocemola la stessa domanda che io posi a quel d’Arquata ed egli vi risponde: O Sema – du Sema – ao Sema – in to Sema. Adunque Sema è il nome, O l’articolo. La
parola Vocemola è affatto moderna; nelle carte del secolo scorso trovate ancora O-zema.
77
76
Vedere TACCHELLA (1984), pag. 271.
78
- 68 -
GIFRA (1999), pag. 79 e da pag. 117.
TACCHELLA (1984), pag. 145.
- 69 -
Semin erano (quindi, N.d.R.) gli abitanti del Sema: esaminate per esempio gli atti parrocchiali di
Vocemola e vedrete che i Semino formano da secoli la maggioranza della popolazione.
É una possibile soluzione ai nostri quesiti ma non possiamo tacere altri indizi
che riteniamo importanti e che hanno, secondo noi, una maggior possibilità
di essere veri. Ciò non toglie che una coesistenza di fonti (dal toponimo o per
l’immigrazione) possa essere probabile pur riconoscendo che statisticamente
non è accettabile. Nel 1248 Giovanni Ferrari di Semino (Johannes Ferrarius de
Cimino) ad istanza dell’arciprete di Ceta (Borgo Fornari) si presenta al cospetto
del prevosto di San Donato: Clelio Goggi traduce il toponimo in Semino79.
Nel XVI secolo con sicurezza compaiono i Semino ad Arquata: precisamente
nel 1523 vennero divisi i beni tra i vari rami degli Spinola e tra i dimoranti in
Vocemola vi erano: Giacomo Semino fanciullo, Battista de Semino fu Bartolomeo, Giacomo Semino con un figlio.
Invece Nello Stato d’Anime e Famiglie di Arquata (1593-1595) troviamo Martino Lugano80. Per Vittorio Gifra i Lugano venivano già segnalati nel 1310 a Pedemonte, vicino a Genova, ipotizzando un loro arrivo in Liguria dall’omonima
cittadina svizzera nei primi secoli del Mille81. Egli cita anche l’abate Placido Lugano, insigne storico di Pozzolo Formigaro. L’inventario dei beni della chiesa
di Sant’Andrea di Rigoroso del 1646 elenca Stefano, Guglielmo e Menico Semino oltre a Giovanni Ponta82.
Pochi anni dopo fu iniziata la chiesa attuale di Vocemola: teniamo a mente questo fatto di cui andremo a trattare qui di seguito. Nel nostro paese c’è la tradizione che la chiesa di Mereta fu edificata da un Semino. Non possiamo avallare
questa notizia, però nel Comune di Isola alcuni fatti porterebbero a pensare
che ciò non sia poi tanto lontano dal vero perché nel 1629 il feudatario Gerolamo Spinola fu Antonio di Isola donava le reliquie dei Santi Stefano ed Innocenzo alla Parrocchia di Isola: testimone fu Antonio Semino di Giacomo. In
quel giorno fu anche stipulato il contratto tra Bartolomeo Bianco fu Cipriano
e Gio. Agostino Spinola di Aurelio per la costruzione della chiesa dei SS. Vittore
e Carlo in Via Balbi a Genova.
Quello che ci interessa è che Bartolomeo Bianco era un Antelamo, cioè faceva
parte di una categoria di capimastro e muratori con aspetti giuridici e sociali
particolari, che proveniva dalla Svizzera italiana o dalla Val d’Intelvi83. Anche i
Comacini erano maestri e muratori venivano dalla zona omonima. La dinastia
dei Bianco fu attiva in Genova per decenni, come dimostrano i documenti raccolti da Armando di Raimondo nel suo studio sui muratori lombardi presenti
in città. Bartolomeo Semino, ad esempio, nel 1604 incarica Maestro Cipriano
Bianco, padre di Bartolomeo Bianco, in solido con il Maestro Battista Boccardo
banchalaro, di alzargli il solaio della sua casa posta in Santa Sabina a Genova.
La cifra pattuita fu di lire 50084. Di valore è la testimonianza di Santo Varni che
nel 1527 indica in un Antonio Semino (1485 - 1554), un Antelamo, l’esecutore
degli affreschi nel coro della principale chiesa genovese e che i suoi figli Ottavio
e Andrea furono pittori85. Anche nella divisione del feudo di Arquata tra gli
Spinola nel 1523, compare come visto in precedenza, il maestro Beltramo de
Lazzari di Vocemola, titolo che allora indicava un provetto muratore: due Lazari sono elencati da Armando Di Raimondo come maestri muratori lombardi
a Genova86. Secondo Emmina De Negri un Giovanni Semino proveniente da Lugano eresse la chiesa di San Nicolò di Novi Ligure nel 1683 su progetto di Gio
Antonio Ricca87. Partendo da questi presupposti vediamone il rapporto con
Isola: nel 1630 un Antonio Semino costruì la loggetta del palazzo Spinola nel
Cantone. Non c’è ovviamente la dimostrazione che i nostri Semino discendano
dagli Antelami, ma potrebbe essere che essi siano giunti da noi su richiesta
dei feudatari di allora proprio per lavorare nei palazzo o nelle chiese e che si
siano fermati in Valle Scrivia. A questo punto anche i Lugano potrebbero essere
di provenienza dalla Svizzera italiana ed emigrati come gli Antelami e i Comacini.
Nei registri di nascita del Comune di Isola troviamo Domenico e Luigi Carlo
Semini, nati rispettivamente nel 1869 e 1905 a Rovio, Comune del Canton Ticino in Svizzera. Probabilmente erano scalpellini in una delle cave di Pietrabissara e Settefontane, come i Biondi (da non confondere con Bondi, anche
questi immigrati) e i Bernasconi, quest’ultimi provenienti da Mendrisio nel
Canton Ticino. Costantino, erede di questi Semini, tutt’ora abitante nei dintorni
di Zurigo, afferma che Domenico e Luigi Carlo ebbero avi isolesi: si tratterebbe
quindi, se la nostra teoria è esatta, di un’emigrazione (involontaria) di ritorno.
FERRETTO (1910), pag. 139 e GOGGI (1967), pag. 89.
TACCHELLA (1984), pag. 294-303.
81
GIFRA (1999), pag. 99.
82
TACCHELLA (1984), pag. 268-269. Secondo PEDEMONTE (2016), pag. 98, a Vocemola
nel 1646 non c’erano Semino: l’affermazione va contestualizzata nel documento che
parla dei Semino di Rigoroso: “… e nessuno di Vocemola”.
La chiesa attuale di Mereta è del 1853 ma in precedenza ne esisteva un’altra perché
il paese era parrocchia già nel 1523 (PEDEMONTE, 2012, pag. 457). DECRI (2005). Della
Val d’Intelvi fu anche il costruttore del ponte di Serravalle (1599), Gaudenzio Zelpio
(CAMMARATA, 2000, pag. 22).
84
DI RAIMONDO (1976), pag. 18.
85
DI FABIO (1998). Comunicazione personale di Anna Decri, specializzata nella storia
degli Antelami che ringraziamo.
86
TACCHELLA (1984), pag. 108 e DI RAIMONDO (1976).
87
DE NEGRI (1979). La chiesa di Vignole nel 1948 fu dipinta da un G.B. Semino.
- 70 -
- 71 -
79
80
83
A questo punto ipotizzare che i Lugano fossero anche loro capimastro giunti
dall’omonima città non ci sembra azzardato. Nell’archivio della chiesa abbiamo
individuato i Semino in Isola a partire dal 1608 e pensiamo che il palazzo del
Cantone sia stato edificato nel tardo Cinquecento. Nel 1382 compare un Guglielmus DE Semino fu Martini nel documento di spartizione del Feudo di Isola
da quello di Ronco, ma è una provenienza e non un cognome. I documenti riportati dal Tacchella, per Isola, sono 50 e vanno dal 1618 al 1712: in essi ci
sono 15 Semino88! Siamo stati prolissi di notizie ma ci sembrava giusto sottolineare l’importanza di questa famiglia, sia perché i suoi componenti erano fiduciari di chi governava, sia per le loro professioni di estimatori, notai e
sacerdoti. Solo un’ascendenza di prestigio poteva giustificare la loro attività:
non per niente Francesco Grillo inserisce i Semino nei liguri eminenti. Viceversa nel testo di Lorenzo Tacchella, inerente a Busalla, tra le centinaia di nomi
di cittadini busallesi in 82 documenti, nonostante la presenza della frazione
Semino, non compare il cognome di cui stiamo trattando, ma solo il luogo di
provenienza (Giannettino Costa fu Baldino DI Semino, oppure Leone del fu
Giovanni DI Semino e infine Andrea DI Semino)89.
Curioso è il fatto che nella chiesa di Isola vi siano numerose misure di larghezza, altezza e lunghezza, che sono in correlazione con il numero 1,618 detto
numero aureo: la cappella dei maestri muratori lombardi nella chiesa di Santa
Sabina a Genova è stata costruita con gli stessi criteri90. Sarebbe interessante
misurare le dimensioni della parrocchiale di Vocemola, costruita proprio nel
XVII secolo e riscontrare simili analogie. Sembrerebbe quindi che a Vocemola
alcuni maestri muratori lombardi o comacini, si siano fermati, a cavallo del
XVI e XVII secolo, dopo le loro peregrinazioni.
I discendenti, alcuni praticanti ancora l’arte muratoria, testimonierebbero
un’immigrazione specializzata che nel tempo ha dimenticato le sue origini.
Così come per località Semino a Busalla, il toponimo derivante dall’attività agricola
(semente, seminare) avrebbe, come in molti altri casi, dato il cognome alle famiglie
ivi dimoranti.
L’esperienza ci ha fatto notare che molti Semino hanno sembianze svizzere
perché alti, con i capelli lisci chiari e occhi azzurri: chissà, forse il DNA potrà
dare in futuro una risposta.
TACCHELLA (1967).
GRILLO (1960), TACCHELLA (1981).
90
DI RAIMONDO (1976), fig. 1. Quindi vicino all’abitazione di Bartolomeo Semino visto
in precedenza. La cappella è andata purtroppo distrutta. Per quanto riguarda le motivazione del numero aureo in architettura vedere PEDEMONTE (2012), pag. 420 e
seguenti.
Qualche vicenda degli abitanti di Vocemola
Battista Quaglia di Bernardino della villa di Vocemola nel 1645 riceve da Quirico Spinola per quattro anni delle terre nei luoghi di Pozzetto, Pregella, Redemerio, Noceto e Orti. Pregella è l’odierna Pradella e Redemerio è Radimero.
Su Pradella ci fermiamo un attimo per ricordare che simili toponimi (Preghella,
Preghilan-na) indicano un semplice passaggio fatto con grossi sassi su un ruscello. Per queste terre Battista Quaglia, massaro, pagherà per fìtto annuo mine
24 di grano alla misura di Arquata, crivellato al crivello di mezza semenza, da
portarsi ogni anno ai padroni o al loro agente nella festa di San Lorenzo nel
granaio del Palazzo di essi feudatari Spinola. A questo contratto ed in atto separato seguono i Patti e Convenzioni da farsi e che avranno
da osservarsi fra noi et il nuovo massaro per conto del nostro lavorerò (sic) che teniamo nel
presente luogo di Arquata, duraturo per quattro anni venturi da incominciarsi a marzo venturo.
I Patti e Convenzioni dicono tra l’altro che:
... il grano che sia buono, netto, secco, ben condizionato ... con obligo che il vino che sia bianco,
buono, ben bollito e ben condizionato al piè della tina da consignarsi nella cantina d’essi padroni franco da ogni spesa. Che sia obligato detto massaro tenere li bestiami nella stalla di
casa et far marcir le foglie. Detto massaro farà cravare li alberi, cioè le gabbe di tre anni e l’albore di quattro in quattro anni e condurre le foglie come sopra. Et essendoci arbori secchi o
inutili li farà tagliare e condurre a casa qual serviranno per uso dei padroni.
Volendo li patroni far tagliare arbori di qualsivoglia sorte esistenti in detti beni per far tavole
o altro lo possino fare a loro beneplacito. Il fieno e vino raccoglierà detto massaro, escluso il
vino de vigne e filari che si riservano li padroni; il resto sarà tutto del massaro o mezano.
Pianterà detto massaro piantoni de gabbe e arbore n. 60 nei luoghi ove sarà più bisogno. Farà
piantare piantanzi di gabbe domestiche nei fìlagni n. 12 l’anno. Farà fare nel Riule di Redimero
un parapetto per il quale le faranno consegnare li patroni il lygname. Si riservano li patroni
un albero di quelli che sono nel campo di Redimero. Non possa detto massaro tagliare alberi
senza ordine dei patroni. Dovrà detto massaro mantenere tutte le levate che sono in detti beni,
particolarmente quelle sopra la strada del campo del posetto della Fontana.
Se le consegnano detti beni con suoi termini quali le saranno stati dall’agente d’essi patroni
quali dovrà mantenere non lasciandoli pregiudicare da alcuno. Venendo tempeste che egli
debba farle quel ristoro da giudicare da due huomini da bene.
88
89
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Proviamo a vedere quanto erano 24 mine: secondo il Rocca91 una mina piemontese del 1586 era circa 90 kg. Quindi Battista Quaglia pagava 2.160 kg di
91
ROCCA (1871), pag. 95 e 109.
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grano all’anno. Teniamo presente che una famiglia di quattro persone ne aveva
bisogno di almeno 600-700 chili all’anno per poter vivere. Il contratto è piuttosto articolato e comprende anche la consegna di vino, ma non ne conosciamo
la quantità; poi vi sono gli obblighi descritti quali tagliare o piantare alberi o
fare lavori come ringhiere. In quanto agli alberi notiamo la presenza dei salici
(gabba) e dei pioppi (arbora) segno inequivocabile di ricchezza d’acqua. Non
doveva essere comunque un appezzamento di piccole dimensioni.
Della prima metà del XVII secolo vi è una descrizione dei feudi di Valle Scrivia
al fine di determinare le contribuzioni che ciascun feudatario doveva all’erario
e al mantenimento di truppe imperiali nella zona92:
Isola del Cantone93 – Del marchese Francesco Maria Spinola fu Federico e Compagni fa fuochi
95 circa et anime 600 circa. Ha pure porzioni del suo territorio di là della Scrivia e da detta
parte confina con Pietra Bissara, et ha di circuito miglia dodeci circa senz’alcuna controversia.
Pietra Bissara – Del marchese Carlo Spinola fu Luciano; fa fuochi 88 et anime 500 circa. Dilata
anche questo i suoi Confini di là dalla Scrivia, e confina di qua con Gavi, Voltaggio e con l’Isola
del Cantone, e di là dal fiume coll’Isola, con Vocemola del marchese Filippo Spinola, e con Variana del marchese Francesco Maria Spinola.
ribadivano quelle precedenti. La mancata esecuzione era solo pecuniaria e testimonia l’evoluzione del diritto a partire dallo Statuto del 1486. Oggi queste
ingiunzioni sarebbero applicate dalla polizia comunale ma allora il problema
sarà stato quello di farle conoscere ai sudditi: a parte i manifesti in chiesa o in
qualche luogo pubblico che potevano leggere in pochi a causa dell’analfabetismo, i messi feudali avranno avuto il loro daffare a girare i piccoli paesi chiamando con il suono del corno o del tamburo gli abitanti. Anche i Parroci
saranno stati parte di questo network primordiale assumendosi l’onere di interpretare e poi spiegare i bandi ai fedeli.
Il 3 maggio 1724 un’ordinanza di Filippo Spinola cercò di risolvere una controversia tra le due popolazioni di Arquata e Vocemola sull’uso delle terre97.
Egli per riparare ai disordini che sarebbero potuti nascere tra i due paesi, ingiunse ai medesimi che fino alla fine dell’indagine su chi aveva la facoltà di pascolare il bestiame nelle comunaglie, nessuno avrebbe dovuto accedervi pena
lire 50 di multa. Le nostre terre comuni erano dove oggi c’è la pineta, ovvero
in Vallebona98.
In questo caso i pretendenti furono Arquata e Vocemola ma successe anche
tra i Genuati e i Viturii Langenses nel 117 a.C. quando due giudici romani, i
In altro dello stesso periodo abbiamo94:
Arquata (marchese Filippo Spinola), lontano due miglia da Saravalle con Castello diroccato
ha due Ville dipendenti in tutto fuochi 145, paese grasso. Per i viveri vi è tutto.
Quali erano le ville dipendenti? Erano Pessino e Vocemola, come testimonia
un documento dell’archivio di Stato di Milano riportato da Alessandra Sisto95.
Nel 1708 e 1720 Gerardo Spinola, marchese di Arquata e conte di Vocemola e
signore di Varinella e Pessino96, emise numerose grida sui mercati che erano
cinque all’anno, sulla proibizione dei lavori nei giorni di festa, sul suonare o
sparare di notte, sulla macellazione di bestie, sul suono delle campane. Tutti
questi editti dimostrano che l’amministrazione del feudo da parte del commissario era fattiva. Le regole adottate erano di buon senso e probabilmente
TACCHELLA (1984)), pag. 118.
Per inciso questo è il primo documento che cita il toponimo odierno Isola del Cantone. Il fatto che dica che ha porzioni di là della Scrivia e da detta parte confina con
Pietra Bissara significa che il centro del feudo era quello che oggi chiamiamo Cantone,
dove c’era, e c’è ancora, il Palazzo Spinola.
94
MERLONI (1983).
95
SISTO (1956), pag. 133 in nota.
96
TACCHELLA (1984), pag. 133 in nota e pag. 161 in nota.
92
93
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Foto 12: castello di
Montalto. Il vano
sotterraneo forse era la
cisterna (foto di Sergio
Pedemonte)
fratelli Minuci Rufi, sentenziarono in merito alla ripartizione delle terre private, di quelle pubbliche e dei compascui a monte di Campomorone. La storia
è ricca di diatribe per i confini, come per i compascui, che continuarono ben
oltre l’epoca romana, come a Rigoroso, Mignanego, Fraconalto e Busalla, per
rimanere nell’ambito territoriale che ci interessa. La fontana di Perogallo99,
TACCHELLA (1984)), pag. 134 in nota.
BUTTI & TAVELLA (2014).
99
TACCHELLA (1974), nota 5, pagg. 3-4.
97
98
- 75 -
nominata nel 1204, era il confine del compascuo delle comunità di Mignanego
e Fraconalto. I dissidi sorti tra i due paesi sfociò in una decisione che obbligava
gli uomini di Fiacone a desistere da ogni esclusività sulle comunaglie boschive
di Feleto Piano, di Serralta e Alpicella. Nel 1995 l’Associazione Culturale “G.
Ponta” di Rigoroso, pubblicò uno studio dal titolo significativo: L’istituto delle
comunaglie – I compascui – Le comunaglie di Rigoroso ed il Comitato degli Usi
Civici, a cura di Enrico Furno, Stefania Pezzan e Daniele Picollo.
Sull’uso di terre e acque, interessante è la testimonianza sui turni di irrigazione
dei singoli proprietari per il Rio San Bartolomeo100:
Un documento del 1785 riporta con precisione i turni … Sono degni di nota, per la lunga durata, il turno del Comune (sic) di Vocemola e di un certo Marco Antonio Ponta … (vi erano
anche) la Compagnia di San Bartolomeo, la Compagnia del SS. Rosario e del Reverendo Signor
Rettore … che era, nel 1785, don Marcellino Fegino.
Marco Antonio Ponta, ci informano Francesco Butti e Maurizio Tavella:
… era anche un personaggio dalle mille attività, prendeva in gestione i due mulini sulla Scrivia,
vendeva tavole di noce per i lavori alla chiesa parrocchiale di Arquata … forse era suo antenato
il vocemolese Antonio Ponta che aveva trovato la morte a Genova, durante l’epidemia di peste
del 1656 ... Egli aveva un figlio medico e uno sacerdote, due nipoti pure loro sacerdoti, uno
dei quali, Marco Giovanni, grande studioso di Dante, percorse la carriera ecclesiastica sino ad
essere Padre Generale della Congregazione dei Somaschi101.
Esiste pure un documento del 1869 che contesta la vendita delle comunaglie
di Vocemola da parte del Comune. Gli abitanti, ricordando che tali terreni da
tempo immemorabile erano adibiti a pascolo, ricorrono contro la decisione
inviando un memoriale al sottoprefetto. Ribadirono che i gerbidi a pascolo di
Vallebona, Rettorato e Foi erano di spettanza degli abitanti di Vocemola per i
seguenti motivi:
1) perché la borgata era composta da 40 o 50 famiglie povere, topograficamente isolata dallo Scrivia, da monti, ripe, balzi e valli dagli altri
paesi; i terrazzani di detto luogo si trovavano obbligati a vivere stentatamente col ricavo giornaliero che facevano dal trasporto di legna sulle
spalle ad Arquata, Serravalle e Novi; i loro terreni erano di natura non
fertile e montuosi, ripidi dove si ricavavano mediocri raccolti; il bestiame non si poteva pascolare in altri luoghi se non le comunaglie e
forniva il letame necessario alla concimazione;
100
101
BUTTI & TAVELLA (2014), pag. 72.
BUTTI & TAVELLA (2014), pagg. 68 e 70.
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2)
già da secoli i gerbidi appartenevano a Vocemola e nessun altro vi aveva
diritto;
3) quattro Consiglieri delle frazioni avevano votato contro l’ordinanza comunale e quindi il loro voto doveva essere considerato pari dei voti
della maggioranza perché tutti di Arquata e ai quali poteva interessare
di vendere i beni potendone avere il capoluogo qualche vantaggio.
Numerose erano le firme tra cui: Paolo Ponta, Giacomo Semino, Santino Semino, Domenico Quaglia, prete Luigi Ponta, Filippo Quaglia, Domenico Ponta,
Giacomo Lugano, Giovanni Lugano, Giacomo Pincetti, Elesio (?) Pincetti, Dionisio Quaglia, Carlo Semino, Domenico Lazari, ecc.
Il 16 aprile 1750, Andrea Ponta fu Rolando, Lorenzo Ponta fu Carlo e altri, presentarono una supplica a Leopoldo Spinola fu Gerardo102 perché le strade vicinali di Vocemola erano troppo strette e il passaggio di eventuali carri
provocava danni ai confinanti. Il marchese incaricò sei uomini di visitare quelle
strade e di riferirgli. Il 23 ottobre 1750 essi inviarono la loro relazione con
l’elenco e lo stato di quelle strade. Compaiono i soliti cognomi Quaglia, Ponta
e Semino con i toponimi Chiesa Vecchia, Valletta, Torchio, Pozzo, Cappellania
Ghirado, Scagno, Barosso, Fibiarone, Filagni e altri minori.
Risulta anche che il marchese e il vescovo possedevano una casa in Vocemola:
non sappiamo se per dimorarci in qualche occasione, per affittarla o per usi
civici. Le 24 strade esaminate erano perlopiù ristrette per causa dei proprietari
di terreni ai lati: pietre, macerie, occupazioni abusive, muri, alberi. Il marchese
sentenziava contro questi abusi che se non fossero stati risolti si sarebbero
multati per lire 10. Ordinava che le strade vicinali venissero utilizzate solo da
chi ne aveva diritto e nominava dei delegati perché sorvegliassero l’applicazione del suo giudizio. Ci sembra, dal punto di vista sociale, che la prassi scelta
sia di tutto rispetto e logica. Questi contrasti tra fittavoli o proprietari erano
disciplinati in modo semplice con l’ausilio dei delegati nominati, tra l’altro, dai
paesani. La relazione che abbiamo visto è una copia dell’originale, custodita
dal parroco a futura memoria, in modo che gli interessati potessero consultarla
quando necessario.
La Rivoluzione Francese scombussolò l’Europa abbattendo una monarchia che
risaliva a molti secoli indietro e che aveva caratterizzato i conflitti, le dinastie,
la formazione di Stati e Imperi a partire dal VII secolo dopo Cristo. L’Italia non
poteva che essere terra di conquista per l’ennesima volta anche nel 1796: da
Alla morte del fratello Filippo venne investito su tutto il marchesato da Francesco I
(TACCHELLA, 1984, pag. 101). La supplica è nell’archivio parrocchiale di Vocemola.
102
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una parte vi erano i francesi con il giovane Napoleone e dall’altra i piemontesi
e gli austriaci. In breve tempo Bonaparte riuscì a vincere a Millesimo, Dego e
Ceva, finché sistemò il suo quartier generale a Tortona. Da lì i soldati francesi
effettuarono numerose scorrerie in Valle Scrivia nei feudi fedeli all’Imperatore
del Sacro Romano Impero Francesco II, Arciduca d’Austria e Re di Boemia e
Ungheria. Ma un corriere postale e poi 80 soldati caddero in un’imboscata a
Rigoroso. Secondo Davide Degiovanni nell’agguato furono trucidati 150 napoleonici e una donna nella valle di Montaldero103. A seguito di ciò il marchese
Agostino Spinola, ritenuto il maggior responsabile insieme al ministro austriaco a Genova, fu messo al bando e vennero arrestate numerose persone
fino a che il 9 giugno 1796 il colonello Jean Lannes fece appiccare il fuoco ad
Arquata. Napoleone obbligò ogni comunità a mandare due ostaggi a Tortona,
nonché tre deputati per la prestazione di giuramento di ubbidienza alla Repubblica. Anche i titolari dei feudi dovettero prestare giuramento, pena la confisca di tutti i beni. Non contento pretese che le campane che avevano suonato
a martello durante la ribellione venissero staccate e infrante: ne erano responsabili le municipalità e i parroci. La fine dello stato cuscinetto tra Genova e Milano, che per circa 500 anni aveva governato con l’assenso dell’Imperatore
firmando anche trattati internazionali, giunse infine l’8 luglio 1797.
L’editto, proclamato proprio in Arquata, aboliva ogni regolamento o sistema
feudale e già la sera stessa nella chiesa parrocchiale l’agente Francese Vendryez invitava il popolo di Arquata, Variana, Vocemola e Varinella a radunarsi
il giorno dopo per organizzare le quattro parrocchie. Sotto la direzione di Domenico D’Allegri fu Antonio Maria e Domenico Francesco Illiano fu Giovanni
si piantò l’Albero della Libertà nella Piazza del Mercato innalzando la bandiera
francese. Il 16 luglio quindi si procedeva ad unire Arquata, Vocemola, Variana
e Varinella in un unico Comune e vennero nominati gli Ufficiali consiglieri tra
cui Domenico Ansaldo di Vocemola.
Presidente della Municipalità divenne Giuseppe Quaglia di Arquata. Il passo
successivo fu la scelta spontanea del popolo di aggregarsi alla Repubblica Ligure che, ricordiamo, nel 1805 passò sotto l’Impero Francese. Venne costituita
la Guardia Nazionale con cittadini tra i 16 anni e i 60 che eleggevano i loro ufficiali e sottufficiali: non era un cambiamento da poco se si pensa che i nostri
avi non avevano mai avuto una coscrizione obbligatoria e che da quel momento dovettero combattere per la Francia. Prima di Napoleone gli eserciti
erano formati per lo più da mercenari, quindi volontari e professionisti della
guerra; il cambiamento fu troppo repentino per non creare nei giovani coscritti
103
TACCHELLA (1984), pag. 168 in nota.
renitenza e indisciplina che solo la personalità dell’Imperatore domò. Si pensi
che Vittorio Emanuele II ricordava che nei primi tempi della coscrizione obbligatoria era necessario arruolare le reclute con la forza, circondando i villaggi
di notte per catturarle.
I giovani di Vocemola appartenevano al Dipartimento di Genova, Circondario
di Novi ed a tutti gli effetti erano sottoposti agli obblighi di leva dei francesi.
Angelo Allegro ha trovato per il 1809 i seguenti coscritti della frazione:
Binasco Gio Batta Rocco di Carlo e di Maria Rosa, nato a Rigoroso il 13 agosto 1789 e residente
a Vocemola, agricoltore;
Pinceti Vincenzo di Giovanni e di Maria, nato a Vocemola il 19 aprile 1789, residente a Vocemola, agricoltore;
Ponta Ippolito di Nicolò e di Maria, nato a Vocemola il 12 agosto 1789, residente a Vocemola,
agricoltore;
Semino Gio Batta di Andrea e di Antonia, nato a Vocemola l’8 febbraio 1789, residente a Vocemola, agricoltore;
Semino Francesco Antonio fu Francesco e di Bianca, nato a Vocemola il 1° marzo 1789, residente a Vocemola, agricoltore.
La chiamata alle armi avveniva dopo un Senato-Consulto seguito da un decreto
imperiale: il sottoprefetto che amministrava il Circondario provvedeva alla ripartizione del contingente da fornire da parte dei vari Cantoni. Alcuni reggimenti erano formati solo da italiani, come il 32° di fanteria leggera o il
reggimento dei “Cacciatori del Pò”, ma la maggior parte dei nostri giovani veniva assegnata ai più svariati corpi dell’esercito.
Possiamo attingere qualche notizia dall’epistolario del maire104 di Isola attraverso le notizie sui disertori (d’altronde numerosi anche nei Dipartimenti francesi):
Più volte mi son fatto pregare i Sig.ri Parochi, di unire a miei i loro sforzi per rimettere nella
buona strada i diversi giovani della mia Com.ne, che ingannati, e sedutti da Cattivi Consigli
hanno abbandonato i distaccamenti di cui facevano parte, come Coscritti, o non si sono presentati all’appello, che loro fu fatto; tradita fu la mia aspettazione, invece di vedere gli insommessi ricondotti al dovere, ho a soffrire in vederli condannati da Tribunali.
Il maire isolese - Giuseppe Rivara - sapeva benissimo che avere dei figli in servizio militare era una perdita enorme determinata, oltre che dall’aspetto affettivo, da quello economico, in un mondo contadino che si basava sulla forza
delle braccia.
Ma il coscritto che si rendeva irreperibile faceva scattare delle sanzioni che ricadevano oltre che sulla famiglia anche sull’intera comunità. Era previsto il se104
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Il sindaco all’epoca dei francesi.
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questro dei beni, in alcuni casi i ceppi e, se la diserzione avveniva di fronte al
nemico, la pena di morte.
L’insieme delle malattie che colpivano gli eserciti in quei tempi era implacabile:
dalla scabbia alla malaria (endemica tra le truppe), la sifilide, il tifo, il tracoma
che rendeva ciechi e l’ernia debilitante tipica degli artiglieri. Sotto il nome di
nostalgia o mal di paese i medici militari:
una grave carestia ché il pane valeva 50 soldi alla libra...Vi dagho notizia che in prigione li
compagni mi hanno ferato la rogna e quando a sono sortito a sono intrato a lo hospitale della
rogna dove sono molto miserabile al presente ma spero di quanto prima sortire e andare alla
compagnia...
(Giuseppe Orengo di Dolcedo, da Mayence106, 1810).
Un esempio l’abbiamo dai morti che siamo riusciti a reperire per quel periodo:
censivano il disadattamento alla vita militare, la disperazione provocata dallo sradicamento
dai luoghi d’origine: un crollo psichico che talvolta sfociava nel suicidio.
Su 3.259 casi di morte analizzati nel Dipartimento di Montenotte, ad esempio,
solo il 9,3% circa è attribuibile a cause belliche, mentre il 74% muore per febbri, il 5% per dissenteria, il 3% per tisi, il 2% per fame e così via105. Sappiamo
che il Dipartimento di Genova ebbe nel 1805 almeno 3 morti durante il servizio militare, che divennero 47 nel 1806 e 513 nel 1813: dalla campagna di Russia del 1812-1813 di oltre 25.000 italiani non si seppe più nulla:
i sopravvissuti parlavano con gli occhi sbarrati di una marcia senza fine in solitudini senza
fine, coperte da un manto di neve in cui le gambe sprofondavano, di morti e morenti lasciati
per strada (...).
Sono frasi che abbiamo sentito purtroppo anche dai reduci della più recente
spedizione in Unione Sovietica nel 1941-1943. Gli italiani, nella campagna del
1812-1813, facevano parte del IV corpo di 52.000 soldati al comando del principe Eugenio Beauharnais, figlio adottivo dell’Imperatore e Vicerè d’Italia: a
metà gennaio del 1813, dopo la ritirata, ritornarono 207 ufficiali, 2.637 sottufficiali e soldati di cui la metà feriti e malati.
Della qualità della vita al corpo parlano le lettere dei militari nati nel Dipartimento di Montenotte e raccolte da Danilo Presotto:
...Vi racomando grandemente di farmi avere un poco di denaro secondo il vostro possibile che
me trovo ne la strema miseria. Per vivere se deve mangiare le erbe, perché non si può vivere
con quello che passa il regimento...
(Bartolomeo Zunino di Urbe, da Figuera, 1811).
...Vi faccio noto che siamo restati in Olanda nella quale il vivere era molto prezioso: il pane
otto soldi la libbra e il vino tre lire la bottiglia, e ancora era ben raro quelli che potevano avere
del pane; per cagione degli inglesi, tante volte eravamo costretti di restare di tre giorni senza
pane...
(Pietro Giuseppe Benzi di Visone, da Parigi, 1810).
...Vi fasso sapere che sono adesertato (disertato, N.d.R.) da Vienna alli 11 di giugno che vi era
105
PEDEMONTE (1995), pag. 37.
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La battaglia di Novi
Dell’importante avvenimento è interessante leggere il cartario che Valerio
Grattarola, già segretario comunale di Serravalle, inviava in quel periodo ai
suoi superiori a Tortona: è stato pubblicato da Gian Michele Merloni e ne proponiamo alcuni passi108:
Doc. VI, Borghetto Borbera, 31 luglio 1799 [...] Frattanto, da cavallari provenienti dal Genovesato si apprende che circa 4.000 Francesi sono disseminati in Alta Valle Scrivia tra la Bocchetta,
Busalla e Crocefieschi in cerca di cibarie e che per la grande indigenza si verifica anche una
forte moria di cavalli [...] Le razzie dei Russi a cavallo a danno delle cascine di quel territorio
suscitano molto malcontento nel popolo, che non li sente più come liberatori.
Il 2 agosto però correggeva l’informazione specificando che i francesi erano
scesi da Busalla ad Arquata in numero di circa 10.000: immaginate cosa sarà
successo con quel passaggio nei nostri piccoli paesi!
Doc. X, Serravalle, 11 agosto 1799. Per contenere i Francesi, che occupano l’Alta Valle Scrivia
è inviato da Novi un corpo di 3.000 Russi, che superato Serravalle, subito ingaggia il combattimento con le avanguardie d’Oltralpe, costrette ad indietreggiare verso i monti. Quindi dopo
aver saccheggiato Arquata ed a Vignole la casa del noto avvocato Figino, amico dei Francesi,
il giorno successivo si ritirano tra Novi e Pozzolo [...] Il giorno 13 i Francesi si ripresentano
davanti a Serravalle [...] saccheggiando per la terza volta Stazzano, senza risparmiare la chiesa
Dovrebbe essere l’attuale Mayen in Germania. Era comunque uno dei centri in cui
scontavano la pena i condannati per diserzione.
107
rgt: reggimento; ftr: fanteria.
108
MERLONI (2008).
106
- 81 -
parrocchiale e gli oratori delle confraternite.
Doc. XVIII, Serravalle, 24 settembre 1799. [...] Il comandante genovese del forte di Gavi, Montebuona, ha pubblicato un proclama, che invita la popolazione di quei paesi a sollevarsi contro
gli imperiali e soprattutto nei confronti dei Russi, i quali ovunque transitano depredano e saccheggiano sia i popoli amici che nemici [...] Nel frattempo nell’Alta Valle Scrivia, i Francesi
stanno facendo requisizioni di muli.
Doc. XXIX, Serravalle, 18 dicembre 1799. Passa da Serravalle il generale austriaco [...] con
3.000 uomini del reggimento Spleni diretto per la Valle Scrivia, ad Isola del Cantone [...].
La Seconda Coalizione antifrancese nel 1799, mentre Napoleone si trovava in
Egitto, aveva battuto le forze dell’Armata d’Italia a Cassano d’Adda, così i francesi si erano ritirati nella Repubblica Ligure utilizzando il forte di Gavi come
perno difensivo, mentre gli austro russi si erano dispiegati tra Novi e Pozzolo.
Il 15 agosto 1799 si svolse la battaglia tra i contendenti: i francesi erano guidati
inizialmente dal generale Barthélemy Joubert (ucciso durante lo scontro) e
poi da Jean Victor Moreau, mentre l’esercito austro russo era diretto da Aleksandr Suvorov. Lo scontro arrise alla Coalizione ma non fu decisivo dal punto
di vista strategico. É ricordato per l’asprezza dei combattimenti avvenuti in
una giornata infuocata, la più calda da anni: si ebbero 8.500 tra morti, feriti e
dispersi tra i francesi e 6.500 tra gli avversari. A noi interessa un resoconto
posteriore al 30 ottobre 1805 del sacerdote Luigi Ponta, cassiere della parrocchia di Vocemola, che ci informa di quanto segue:
Attesa la guerra di quell’anno, nel quale l’Armata Francese occupò Vocemola, prese posizione
in Fibiarone ed in Pian di Cà sopra la Vignassa, devastato tutto il territorio per 15 e più giorni;
pertanto gli austro-russi batterono, e presero il forte di Serravalle; ogni giorno lungo la Scrivia
da Vintino, e dal mulino uscirono lungo la ghiara della Scrivia gli austro-russi, e da Vocemola
e Rigoroso partivano i francesi e loro scaramucce duravano dalle 19 circa fino alle ore 24.
Erano generali dei francesi in Vocemola Dejan, e qualche altro che fu poi maresciallo di Francia; i generali alloggiavano in canonica, il comandante (?) in casa di Domenico Ansaldi, gli ufficiali qua e là ed al bivacco. Finalmente il giorno 9 ago. verso sera avanzarono con gran forze
gli austro russi a Vintino, Chiappino e lungo la ghiara. Tutti i francesi da Rigoroso e Vocemola
schierati in battaglia andarono loro incontro, si combatté parecchie ore, le grida dei russi da
Vintino s’udirono in Vocemola avevano essi cannoni ecc. Ma improvvisamente si ritirarono
verso notte. Il 10 ago. i francesi abbandonarono Vocemola e Rigoroso; fecero qualche guasto
in Arquata, di dove si andò in battaglia campale in Novi; tale battaglia fu sanguinosa assai; per
il generale in capo francese Joubert ecc. La sera del 15 ago. si videro i muli francesi fuggire
verso Genova; verso la mezzanotte giunse in Vocemola la colonna fuggitivi, finì di devastare e
partì verso Genova nella stessa notte. 1799 fu anno di vera miseria, essendosi raccolto pressoché nulla109.
Dal 1815 al 1945
Trasformazioni amministrative
Nella primavera del 1814 gli inglesi, risalendo la penisola, lanciarono da Livorno il proclama che ripristinava la Repubblica di Genova ed anche in Valle
Scrivia arrivarono le loro truppe il 20 aprile: venne istituita la figura del Governatore che risiedeva a Novi ed il maire divenne Capo Anziano.
Il Congresso di Vienna (1814-1815) stabilì però l’unione della Liguria con il
Regno di Sardegna, che divenne effettiva il 7 gennaio 1815. Il territorio fu ripartito in Province secondo gli usi piemontesi e l’Oltregiogo era nell’Intendenza di Genova. Il Ducato di Genova fu diviso in tre province con capoluoghi
a Genova, Savona e Spezia. Anche l’Isola di Capraia faceva parte della Provincia
di Genova. Ma solo quattro anni più tardi, il 1° gennaio 1819, il territorio fu
organizzato con Comunità, Mandamenti, Province e Divisioni. In Liguria vi
erano le Divisioni di Genova e Nizza: la prima comprendeva le Province di Genova, Albenga, Bobbio, Chiavari, Levante, Novi e Savona.
Al Mandamento di Ronco, Provincia di Genova, appartenevano le Comunità di
Busalla, Isola e Ronco. Novi aveva i Mandamenti di Gavi (con le Comunità di
Carosio, Fiaccone, Gavi, Parodi e Voltaggio), Rocchetta Ligure (con Albera, Cabella, Cantalupo, Carrega, Mongiardino, Roccaforte, Rocchetta), Serravalle (con
La trascrizione dal documento originale conservato nella parrocchia di Vocemola
è di Edoardo Morgavi.
Foto 13: veduta ottocentesca dal castello di Arquata verso Vocemola (dalla collezione di Sergio
Pedemonte)
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- 83 -
109
Arquata, Borghetto, Castel de’ Ratti, Grondona, Molo, Serravalle, Stazzano,
Torre de’ Ratti, Vignole e Vocemola).
Nel 1848 altra ripartizione: la Divisione di Genova ebbe le Province di Genova,
Chiavari, Levante e Novi. Con la legge che prese il nome da Urbano Rattazzi
del 23 ottobre 1859 si ebbe un nuovo cambiamento: Novi passava alla Provincia di Alessandria e Genova otteneva i Circondari di Albenga, Chiavari, Levante
e Savona. Le popolazioni dei Comuni di Albera, Cabella, Cantalupo, Carrega,
Mongiardino, Roccaforte, Rocchetta, Novi e Parodi vollero conservare nel
nome “Ligure” un ricordo della passata appartenenza a Genova.
Vita da lupi
Le memorie di Natale Rivara110, industriale conciatore di Isola, sono tra le tante
che possono darci un’idea della vita di tutti i giorni nell’ottocento. Questo
estratto che vi proponiamo è sintomatico:
Mio bisnonno Pasquale Rivara era un bell’uomo alto per quei tempi molto signore, giocatore
di carte imperterrito si giocò a goffo tutte le terre che aveva e gli rimase Prodonno soltanto
perché su di esso era assicurata la dote di sua moglie Livia Callegaris di San Sebastiano Curone.
Era quindi persona abbastanza bizzarra perché colle buone qualità univa parecchi vizi cattivi.
Però doveva essere molto simpatico e ricercato in compagnia. Una volta nel mese di Novembre
non so di quale anno ma certo tra il 1810 ed il 1820, si era recato a San Sebastiano per riscuotere l’affitto di un terreno di sua moglie e per questo aveva certamente impiegato tre o quattro
giorni e mangiato in osteria ed alberghi una buona parte di quanto aveva riscosso. Al ritorno
credo che gran parte del viaggio l’abbia fatta a piedi. Pensò di passare da Vocemola dove c’era
un suo nipote che era parroco ed aveva per governante, vulgo perpetua, sua sorella Maria Rivara. Traversò lo Scrivia nella ghiaia di Vintino coi trampoli, che la piena aveva rotto la passerella di legno. Allora andare in trampoli nei nostri monti era uno sport non dico come oggi la
bicicletta ma era una cosa molto utile perché i vari torrenti si attraversavano sempre a trampoli ed un paio di trampoli (gampi) si trovavano sempre nei posti di guado facile. A Vocemola
ci stette un giorno e poi, perché l’acqua era cresciuta molto ed era venuta una piena considerevole, per ritornare a casa passò dal sentiero della Gabbia in faccia a Pietrabissara, venne a
Mereta, poi a Prarolo dove si fermò a cenare da Simonotto. Il tempo frattanto era peggiorato.
Cadeva nevischio ed acqua, tirava un forte vento freddo che faceva rabbrividire anche coloro
che erano seduti vicino al fuoco. Volle partire lo stesso. “Cosa volete che mi capiti, in poco tratto
arrivo all’Albora, alla Guardia e di lì in Prodonno, sono cinque minuti di strada”. Il vecchio Simonotto allora volle che lo accompagnasse suo figlio Martino che avrebbe dormito in Prodonno, e lo provvide di torcia che i più benestanti tenevano sempre in serbo per casi come
questi, come teniamo le candele. Le torce erano fatte di corda di stoppa imbevuta di colofonia
ed altre resine111. Si battevano a terra in modo che gli stoppacci si staccassero l’uno dall’altro,
e poi si accendevano. Facevano un gran fumo ma anche chiaro e il vento non le poteva mai
110
RIVARA (1971).
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spegnere. Partirono salutati dalla famiglia tutta ed in breve arrivarono all’Albora. Intanto l’acqua era cessata e si era trasformata in neve, il vento era sempre più forte ed il freddo pure.
Arrivando alla Guardia videro nella neve fresca le orme di almeno tre lupi; girandosi intorno
a poca distanza ne videro gli occhi lucenti e rossi al chiarore vacillante della torcia. Fortuna
loro era quella torcia. I lupi dovevano essere ben famelici perché seguirono i due fino in Prodonno e poi si misero a urlare a lungo perché sentirono l’odore delle pecore nel chiuso. Era
tardi per quei tempi, le dieci almeno, e bussarono all’uscio ripetutamente prima che qualcuno
venisse ad aprire. “Chi siete?”. “Sono io, il Pué”. Si aprì la porta e poi subito con quei di casa si
studiò come si poteva fare per uccidere qualche lupo. Furono tutti d’accordo nel mettere il
collare a Radiccia, un grosso cane bastardone che tenevano appunto per difesa dai lupi e dalle
volpi. Il collare lo ricordo ancora io, era di cuoio mascareccio ed aveva un centinaio di chiodi
con le punte rivolte all’esterno ed era una magnifica difesa contro i morsi dei lupi. Perché il
lupo tenta di azzannare il cane sempre nel collo e se azzanna invece del morbido collo del
cane un collare irto di chiodi deve per forza abbandonare la presa. Messo il collare a Radiccia,
che ringhiava e aveva una voglia matta di uscire, presero il fucile a bacchetta caricato in avancarica a pallettoni, uscirono con cane al guinzaglio e si portarono dietro al chiuso delle pecore.
I lupi si erano allontanati ed ululavano dalla cascina vecchia, 100 metri lontano. Il bisnonno
Pasquale, forte e vigoroso uomo sulla quarantina, decise col garzone e il Simonotto Martino
di andare col cane per vedere se riuscivano a colpire qualche lupo ma tutto fu inutile. Però la
sera dopo si nascosero in due presso la cascina vecchia, legarono una pecora appena fuori
dalla porta, si prepararono il fucile puntato nel punto in cui il lupo o i lupi dovevano venire e
attesero. Intanto le donne a casa appena avessero sentito il colpo dovevano lasciare libero Radiccia provvisto di collare. Di prima sera vennero davvero i lupi, erano una coppia maschio e
femmina ed attirati dal belare della pecora che si faceva sempre più forte perché era sola, in
stalla insolita, lontana dalle compagne, si avvicinarono alla porta della cascina tentando di
entrare. Il fucile puntato sparò ed il grosso maschio cadde per rialzarsi e tentare di fuggire, la
femmina frattanto si era data alla fuga a gambe levate. Da Prodonno appena sentito il colpo
scatenarono Radiccia che venne in un baleno ed inseguì il lupo ferito, lo azzannò cento metri
lontano. I due cacciatori accorsero e lo finirono a randellate e lo trascinarono sulla neve fino
a casa dove all’indomani fu un gran accorrere di gente. Tutto il paese venne a vedere il lupo,
tutti si congratularono coi fortunati cacciatori, tutti erano felici di veder morto un predone
che tanti danni aveva recato ai poveri montanari di Isola. Credo questo sia stato l’ultimo lupo
morto qui. Gli altri certamente sono emigrati in luoghi più impervi e selvaggi, perché il cammino della civiltà che avanza non permetteva più ai lupi di vivere vicino a paesi provvisti di
ferrovia e strade carrabili di grande importanza.
Anche gli Statuti del 1544 di Fraconalto si occuparono di questi animali ricomparsi sull’Appennino da pochi anni:
... delli lupi grossi et piccoli da pigliarsi – Se alcuna persona del Comune di Fiacone haverà pigliato qualche lupo o lupa nella iurisdizione di Fiacone, conforme a detta jurisdizione per due
La colofonia è una resina vegetale gialla, solida, trasparente, residuo della distillazione delle trementine (resine di conifere). È anche nota in commercio col nome
di pece greca, resina per violino, resina della gomma.
111
- 85 -
Siccome la durata del servizio era da cinque ad otto anni, si creavano dei veri
professionisti, completamente staccati dal loro ambiente di origine ed abituati
all’obbedienza totale nei riguardi degli ufficiali. Non era possibile però arruolare per tempi così lunghi tutti gli iscritti alle liste di leva: si ricorreva al sorteggio e i numeri più bassi venivano arruolati.
Il modello prussiano si fondava invece sulla ferma breve (2 o 3 anni) e sul re-
clutamento di buona parte di coloro che erano idonei fisicamente. Era il principio del servire tutti la Patria e in caso di guerra venivano richiamati coloro
che avevano già soddisfatto gli obblighi militari.
C’era quindi una superiorità numerica di questo modello su quello francese,
ma vi erano anche contraddizioni politiche: un esercito del tipo prussiano necessitava di cittadini culturalmente motivati ed uniti, ferreamente organizzati
e disciplinati, che non costituissero un pericolo di ammutinamento per le classi
dirigenti. In un’Italia da poco formata, piena di contraddizioni, con scarsi o
nulli legami tra il sud ed il nord, il modello da seguire non poteva che essere
quello francese.
Diamo alcune notizie sul reggimento di G.B. Quaglia: il 18° “Acqui” nacque nel
1839, partecipò alle Guerre d’Indipendenza e in Crimea, alla repressione del
brigantaggio, alle guerre coloniali (Eritrea e Libia), alla Grande Guerra, all’Africa Orientale, alla seconda Guerra mondiale e alla Liberazione. Si guadagnò
la Medaglia d’Oro per le vicende legate alla divisione “Acqui” sterminata dai
tedeschi a Cefalonia in seguito all’armistizio dell’8 settembre 1943114. Insomma, un reggimento che si è coperto di gloria. Quaglia partecipò anche lui
alle battaglie del 1848 e 1849 e il 31 dicembre 1854 venne congedato: pertanto fu trattenuto o accettò di prolungare la ferma di tre anni.
Le altre notizie che possiamo ricavare è che tale reggimento ebbe sede in quel
periodo a:
1840 – 1844 Torino
1844 – 1846 Alessandria
1846 – 1849 Genova
1849 – 1851 Nizza (oggi in Francia)
1851 – 1852 Genova
1852 – 1853 Cagliari
1853 – 1855 Torino
Con i Savoia la chiamata alle armi fu senza riguardo al paese di provenienza
del coscritto; solo eccezionalmente vi era una concordanza tra la zona di leva,
il luogo dove si militava ed il nome che portava l’unità di appartenenza; tutto
questo per poter diminuire le associazioni spontanee interne e quindi aumentare l’autorità degli ufficiali. Mentre un esercito di professionisti cercava
l’amalgama in una lunga coabitazione e non legava con i civili, un contingente
omogeneo con il paese che l’ospitava poteva essere un pericolo per le istituzioni, soprattutto nel caso di disordini interni e quindi di repressioni in piazza.
L’Esercito Italiano divenne così un miscuglio di meridionali al nord e di set-
COSTA (1913).
Le notizie che seguono sono tratte ROCHAT & MASSOBRIO (1978), pag. 13 e segg.
L’Esercito Italiano è suddiviso in: armate, corpi d’armata, divisioni, brigate, reggimenti, battaglioni, compagnie.
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millia, habbi iucontanente dal detto Commune per ogni grosso, soldi venti; per ogni piccolo,
soldi cinque: et detta persona sii tenuta a giurare di averlo esso pigliato come sopra ...
Stefano Costa che scriveva nel 1913 e da cui abbiamo preso la citazione, ricorda che un lupo fu ucciso nel 1870 a Capanne di Marcarolo e che pochi anni
addietro (quindi agli inizi del 1900) in Alpe di Buffalora vi erano alcune fosse
per questi animali112. Si trattava di buchi coperti da graticci mascherati con
zolle d’erba, terra, sabbia, neve, frasche ed armate nel fondo di punte aguzze.
Agostino Giustiniani nella sua Storia di Genova narra che nel 1323 e nel 1324
vi fu un’invasione di lupi nel genovesato i quali
... ardivano accostarsi alle muraglie della città e fecero gran danno massime alle creature di
poca età ...
A Tiglieto nel periodo 1786-1802 i lupi colpirono l’allevamento dell’azienda
agricola Raggi per 11 anni divorando un totale di 28 pecore.
A militare nel Risorgimento
Un congedo militare ci può aiutare a descrivere il periodo delle Guerre d’Indipendenza: è quello di G.B. Quaglia fu Bartolomeo, classe 1823. Fu arruolato il
29 novembre 1843 per una ferma di 8 anni in servizio provinciale e 8 nell’armata di riserva avendo estratto il n° 42 alla visita di leva. Fu assegnato al 18°
reggimento di fanteria “Acqui”. Egli era alto 1,59 metri, cattolico, con una cicatrice sul ciglio sinistro e contadino.
Nell’Europa dell’Ottocento vi erano due modelli di reclutamento: quello francese e quello prussiano. Il primo:
prevedeva un esercito permanente relativamente piccolo e agile, ben armato e addestrato,
composto da professionisti a lunga ferma, e rafforzato in caso di guerra da trascurabili aliquote
di reclute senza alcuna preparazione113.
112
113
114
tentrionali al sud: la recluta si trovava sradicata e senza legami in zone a lei
sconosciute o addirittura ostili, magari analfabeta e con il suo dialetto come
unico mezzo di comunicazione. Una situazione ideale per poter imporre una
disciplina forte e per isolare elementi antipatriottici.
Ma reclutare in tutto il paese e mischiare i soldati era anche un elemento per
far conoscere gli italiani agli italiani, un metodo per far crescere la fiducia in
un grande Stato (non più piemontese) e nella sua classe dirigente. Purtroppo
le condizioni di vita nelle caserme fecero naufragare questo intento nobile e,
anzi, condizionarono ed accelerarono nelle masse, soprattutto contadine, un
distacco dagli ideali del Risorgimento e dello Stato liberale. Così:
i reggimenti umbri di recente formazione, per esempio, ebbero il loro deposito a Palermo, i
reggimenti abruzzesi la loro sede a Milano e a Bergamo, e quelli calabresi a Brescia e a Mantova115.
Ogni reggimento era composto, in tempo di pace, da soldati di due differenti
regioni, ed era stanziato in una terza; per di più le unità mutavano sede all’incirca ogni quattro anni.
Così i giovani di Vocemola furono costretti a girare tutta l’Italia, a conoscere
Foto 14:
il congedo di G.B.
Quaglia (dalla
collezione di
Giampiero
Semino)
come rancio nuovi prodotti (per i meridionali ad esempio il riso) e imparare
nuovi mestieri come il meccanico, lo stalliere, il fuochino. Giovanni Battista
Quaglia attraversò anche il Mediterraneo per andare in Sardegna e ritornò
115
WHITTAM (1979), pag. 99.
senz’altro diverso da come era partito undici anni prima.
In seguito:
nel 1854 era stata introdotta la ferma di cinque anni per una parte ristretta del contingente
di leva, scelta con un sorteggio corretto dalla possibilità di sostituzione a pagamento, mentre
un’altra aliquota del contingente avrebbe potuto ricevere un addestramento di quaranta giorni
e sarebbe stato richiamabile in tempo di guerra116.
La Grande Guerra
Per meglio interpretare le vicende dei nostri concittadini dobbiamo riassumere, almeno per la prima fase della guerra, i corpi a cui appartenevano:
41° e 42° reggimento fanteria di stanza rispettivamente a Savona e a
Genova, costituenti la brigata “Modena”;
43° e 44° reggimento fanteria di stanza rispettivamente a Novi Ligure
e Tortona, costituenti la brigata “Forlì”;
89° e 90° reggimento fanteria di stanza a Genova costituenti la brigata
“Salerno”.
Furono reggimenti massacrati: la “Salerno” in tutta la guerra ebbe 469 ufficiali
morti o dispersi e 13.632 soldati morti o dispersi! Un reggimento aveva circa
2.400 unità, ciò significa che l’89° e il 90° furono ricostituiti più volte: questa
brigata ebbe 686 giorni in linea e 563 a riposo. Se facciamo due conti troviamo
che ogni giorno di guerra morirono per combattimenti, malattie, incidenti, prigionia circa 20 soldati! E questo solo per due reggimenti. Sono numeri che
spaventano ben più di un trattato di storia e politica.
Continuando nella macabra statistica troviamo la “Modena” con 258 ufficiali
morti o dispersi e 8.445 soldati morti o dispersi. Infine la “Forlì” con 140 ufficiali morti o dispersi e 5.177 soldati morti o dispersi. A questi dovremmo aggiungere i mutilati e invalidi.
Insomma, chi andava in un reggimento di linea e non veniva ferito leggermente
o non aveva la fortuna di essere imboscato nelle retrovie, ben difficilmente
tornava a casa.
Dobbiamo premettere che il numero dei caduti elencato nella lapide commemorativa posta sul muro della nostra parrocchiale è diverso da quello ufficiale.
Capita spesso e ciò può essere dovuto a vari casi: daremo una spiegazione per
questo più avanti. Le principali notizie sui nostri caduti sono state tratte dal
volume riguardante il Comune di Arquata a cura di Natale Spineto, edito in occasione del centenario dell’ingresso in guerra dell’Italia.
116
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ROCHAT & MASSOBRIO (1978), pag. 18.
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Un corrispondente del Corriere della Sera così descrisse la situazione degli italiani sotto il Mrzli119:
Foto 15: la lapide ai caduti
di Vocemola nella Grande Guerra
(foto di Umberto Semino)
Il primo caduto del Comune di Arquata in questa guerra fu Giuseppe Ponta di
Antonio e di Maria Musotto, nato a Gavi ma abitante a Vocemola, disperso il 3
giugno 1915, dopo appena dieci giorni dall’inizio della guerra117.
Apparteneva all’89° reggimento fanteria. Era nato il 31 gennaio 1894, quindi
aveva svolto il servizio di leva ma fu raffermato per lo scoppio della guerra a
meno che non fosse stato fatto rivedibile o addirittura esonerato e poi richiamato a una nuova visita. Entrò in guerra nel settore di Tolmino e precisamente
ai piedi del Monte Mrzli dove le truppe furono colpite dal colera, la cui cura
consisteva in acqua e iodio. Un reduce di Isola, Giovanni Marelli, nel 1988 ci
aveva raccontato:
Si mangiava quando si poteva, in genere una pagnotta e una scatoletta di carne. Pioveva sempre e il pane si inzuppava. Almeno i tedeschi si riposavano più di noi: non facevano più di 15
giorni di trincea, io invece ci sono rimasto 4 mesi e non avevamo acqua da lavarci la faccia118.
La zona è impervia e, allora come oggi, in territorio sloveno e non italiano: i
soldati giunti nella Valle dell’Isonzo non furono accolti come liberatori ma
come invasori e questo costituì la prima delusione a cui furono sottoposti i
giovani militari. Poi subito ci si accorse che non sarebbero state battaglie in
campo aperto ma stragi dovute agli assalti di posizioni imprendibili difese da
mitragliatrici e filo spinato. Chi va oggi sul Mrzli (1.348 m), a due passi dal più
famoso Krn, cioè il Monte Nero, e visita la zona delle trincee italiane si stupisce
di come i fanti potessero muovere verso gli austriaci senza essere uccisi appena al di fuori del loro camminamento. Eppure fino all’ottobre del 1917 le
brigate che si avvicendarono su quel saliente ripeterono decine di volte il tentativo di scacciare le truppe imperiali: solo la ritirata di Caporetto le fece scendere a valle ma ben pochi sfuggirono alla prigionia.
… Le difese nostre, scavate a gran pena nella roccia, erano separate dal trincerone nemico per
un ‘a picco’ di roccia alto una sessantina di metri: invano, nella roccia che saliva a perpendicolo,
i nostri avevano tentato di scavarsi dei camminamenti coperti, di tagliarsi dei gradini per dare
la scalata alla posizione inaccessibile. Bastava che gli austriaci portassero sul ciglio dello scaglione una mitragliatrice, o magari si limitassero a rotolar giù una valanga di sassi, perché il
nostro attacco venisse falciato.
Come raggiunsero il fronte le truppe genovesi? Consultando il Diario del 90°
reggimento fanteria presso l’Ufficio Storico dello Stato Maggiore Esercito a
Roma sappiamo che:
Il giorno 12 maggio 1915 in seguito ad ordine del Ministero della Guerra, il reggimento si trasferì per mobilitazione a Udine.
Il I battaglione della forza di 19 ufficiali – 952 uomini di truppa, 32 quadrupedi e 12 carri,
parte da Genova Brignole su due successivi treni alle ore 24, treni che a Ronco si riuniscono
in uno solo ed arriva ad Udine alle ore 7 del giorno 13. Dopo un grand alt (sic) prosegue per
via ordinaria per Povoletto, dove giunge alle 12 circa accampandosi nella zona a nord del
paese nel triangolo: Salt – Povoletto – Marzura di sotto120 ...
Il giorno 16 maggio alle ore 8 in seguito ad ordine della Divisione il reggimento parte da Povoletto per via ordinaria e giunge a Bottenicco alle 12,30 ove si accampa a sud della strada
Bottenicco Cividale … Nei giorni 15-16-17-18-19-20-21-22 il reggimento attende ad istruzioni
varie di applicazione al terreno ...
Domenica 23 maggio. E’ indetta la mobilitazione generale dell’Esercito ...
Lunedì 24 maggio. Alle ore 2 seguendo l’itinerario prescritto il reggimento si mette in marcia,
incolonnandosi dietro l’89° fanteria per giungere sul luogo d’ammassamento (strada Purgessimo-Mandriolo) alle ore 4 e 3/4 ; scortato dalla 9a compagnia il carreggio, colla musica resta
in Bottenicco assieme a parte delle salmerie, avendo costituito d’ordine del Comando Brigata
una salmeria speciale da seguire il reggimento composta di 123 muli ...
Alle ore 6 e 3⁄4 giunge l’ordine al Comando del reggimento di muovere dal luogo di ammassamento ... e marciare su Vergoglia, sostare e indi portarsi a Monte Planina rafforzandosi su
questa posizione. Alle ore 7,10 la brigata col 90° in avanguardia da dove trovasi ammassata e
senza difficoltà, giunge, II battaglione in testa, ad oltrepassare la frontiera, a Centa. Il reggimento con Bandiera, Comando del Colonnello Capirone, al grido W l’Italia e dopo aver sostato
a Mernicco121, per un’ora in attesa del rancio portato al seguito con casse di cottura, riparte
per Vergoglia dove era stato preceduto dal II battaglione in avanguardia.
Il reggimento alle ore 18 circa è tutto riunito a Vergoglia e per quanto la marcia molto faticosa
abbia spossato la truppa, il reggimento con l’ultimo sforzo vuole nella giornata stessa portare
a compimento il suo compito, e perciò si mette in marcia per il Monte Planina dove giunge
alle ore 21 circa.
Durante la marcia e le successive prese di posizione niente è avvenuto di nuovo; non si ha
PEDEMONTE (2003), pag. 140.
Quindi la brigata arrivò nella pianura friulana.
121
Mernico, è un valico tra Italia e Slovenia in Provincia di Gorizia.
119
PEDEMONTE (2003), pagg. 131 e 388.
118
PEDEMONTE & ALTRI (1995), pag. 71.
117
120
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- 91 -
traccie del nemico il quale pare siasi ritirato con l’intenzione di abbandonare le prime zone
di frontiera. Cielo sereno, giornata molto calda ...
Successivamente ci si apprestò a conquistare la dorsale Monte Nero - Monte
Mrzli: un primo attacco (Battaglione alpino “Susa” e il I battaglione del 42°
reggimento fanteria) fallì il 28 maggio per la resistenza nemica sullo Sleme;
un secondo attacco dell’intera Brigata “Modena” contro Sleme e Mrzli fallì il
29 e 30 maggio con gravi perdite perché ormai la III brigata da montagna austriaca era tutta entrata in linea.
Ma il 2 giugno era morto il soldato Sebastiano Ottone, 42° reggimento di fanteria, nato a Torre de’ Ratti, che ebbe la Medaglia di Bronzo. Il 3 giugno vi fu
un’altra vittima: Giacomo Repetto di Isola del Cantone del 42° reggimento fanteria mentre il 5 giugno morì Luigi Lagorio di Valbrevenna del 90° reggimento
fanteria. Entrambe le brigate facevano parte dell’8a divisione. La “Modena” si
dissanguò contro questa vetta lasciando sul campo 1.055 uomini.
Il secondo caduto di Vocemola è Guido Ponta di Bonfiglio e Fiorentina Quaglia,
caporale del 44° reggimento di fanteria, Brigata “Forlì” con sede a Novi Ligure.
Nacque il 23 luglio 1893 e morì il 20 ottobre 1915 a quota 283 della zona di
Plava, nella terza battaglia dell’Isonzo, per ferite riportate in combattimento.
Anche qui siamo in terra straniera sulle rive dell’Isonzo, a monte di Gorizia.
Essendo del 1893 era un richiamato. Questo gli permise di essere destinato
alla caserma più vicina, Novi Ligure, indipendentemente da dove avesse svolto
il servizio di leva; era una disposizione atta ad evitare l’ingorgo nei trasporti
ferroviari e quindi ad accelerare la mobilitazione dell’esercito. Per lo stesso
motivo finirono nello stesso reggimento e morirono: Domenico Fossati, classe
1888, nato a Gavi ma di Arquata; Emilio Gemme, classe 1877, nato a Carrosio
ma residente ad Arquata; Filippo Marcenaro di Rigoroso, nato nel 1890 e Giovanni Repetto, nato a Parodi Ligure ma di Arquata, classe 1888.
Proviamo ad elencare i caduti in quel periodo nel settore di Tolmino – Plava
sull’Isonzo delle brigate che maggiormente arruolavano cittadini dell’Oltregiogo122:
Grado
Nome
Reparto123
Luogo decesso
Data
sold
Repetto Edoardo
89° rgt ftr
Tolmino
01-09-15 Gavi
sold
Parmoli Filippo
90° rgt ftr
Tolmino
12-09-15 Busalla
sold
Traverso Giovanni 89° rgt ftr
Isonzo
14-09-15 Ronco S.
sold
Casella Emilio
90° rgt ftr
Monte Mrzli
17-09-15 Ronco S.
sold
Persano Giovanni 89° rgt ftr
Monte Mrzli
29-09-15 Gavi
122
123
sold: soldato; capor: caporale; cap.m: caporal maggiore.
rgt ftr: reggimento fanteria.
- 92 -
Comune
Grado
Nome
Luogo decesso
Data
sold
Cartasegna Natale 44° rgt ftr
Reparto
Medio Isonzo
09-10-15 Gavi
Comune
capor
Cartasegna Gius.
44° rgt ftr
Plava
18-10-15 Gavi
capor
Ponta Guido
44° rgt ftr
Plava
20-10-15 Arquata S.
sold
Giavotto Giuseppe 90° rgt ftr
Monte Mrzli
21-10-15 Gavi
cap.m.
Camposaragna G. 90° rgt ftr
Monte Mrzli
22-10-15 Isola del C.
sold
Giubileo Domenico90° rgt ftr
S. Lucia
22-10-15 Busalla
sold
Paveto Agostino
90° rgt ftr
Carso (?)
22-10-15 Busalla
sold
Illiano Agostino
89° rgt ftr
ospedale
24-10-15 Gavi
sold
Traverso Giuseppe 89° rgt ftr
Monte Mrzli
24-10-15 Gavi
Plava
26-10-15 Serravalle
Medio Isonzo
26-10-15 Sorli
capor
Parodi Graziano
cap.m
Salimbene Albino 44° rgt ftr
44° rgt ftr
sold
Fontana Luigi
44° rgt ftr
osp. n° 111
27-10-15 Albera L.
capor
Daglio Attilio
42° rgt ftr
Tolmino
28-10-15 Cabella L.
sold
Coscia Giovanni
42° rgt ftr
Tolmino
28-10-15 Novi L.
capor
Picollo Umberto
44° rgt ftr
Medio Isonzo
04-11-15 Grondona
sold
Scarsi Giuseppe
44° rgt ftr
osp. n° 15
04-11-15 Novi L.
sold
Arecco Michele
89° rgt ftr
ospedale
07-11-15 Gavi
capor
Grosso Giuseppe
89° rgt ftr
Tolmino
26-11-15 Novi L.
sold
Traverso Camillo 42° rgt ftr
Monte Mrzli
28-11-15 Gavi
sold
Depaoli Primo
89° rgt ftr
Tolmino
29-11-15 Novi L.
sold
Boccardo Pompeo 90° rgt ftr
ospedale
16-01-16 Gavi
sold
Repetto Giacomo 41° rgt ftr
Monte Mrzli
30-01-16 Ronco S.
Il nostro terzo caduto è Francesco Semino di Giuseppe e Caterina Binasco, soldato del 3° reggimento fanteria della Brigata “Piemonte”, nato il 20 settembre
1892 e morto il 30 dicembre 1916 a Molinello nell’ospedale da campo n° 170
per infortunio per fatto di guerra.
Il quarto è Tevere Antonio Quaglia di Martino e Domenica Semino, soldato del
34° reggimento artiglieria da campagna, nato il 16 maggio 1895, morto il 5
giugno 1917 sul Monte Debeli per le ferite riportate in combattimento. Questa
farsa di vetta (139 metri sul mare!) fu un aspro teatro di combattimenti e chi
la visita in agosto capisce cosa significa sete e caldo sul Carso, ma era considerata la porta per Trieste e quindi meritevole di assalti e di carneficine.
Tra il 12 e il 28 maggio 1917 si scatenò la decima battaglia dell’Isonzo: in soli
tre giorni la Brigata “Salerno” perse più della metà degli effettivi. La “Lecce”
(265° e 266° reggimento) schierata tra il Volkovnjak e il Dosso Faiti perdette
tra il 22 e il 25 maggio 46 ufficiali e 1.760 uomini di truppa. Il bombardamento
iniziò all’alba del 12 maggio e proseguì ininterrotto per tre giorni da Globna
al Vipacco, cioè fino a mezzogiorno del 14, quando scattarono all’attacco le
- 93 -
fanterie. Verso sera veniva conquistato il Monte Santo e il 28 maggio la linea
si era spostata in avanti dal Carso a Castagnevizza da 1 a 4 chilometri. Ma il 1°
giugno gli austriaci attaccarono il Faiti e il Vodice, il Monte S. Marco e Flondar
e continuarono fino al 5 giugno. In pratica perdemmo 159.000 uomini per una
irrisoria conquista124. Anche per questo periodo la lista delle madri in lutto si
impennò:
Grado
Nome
Reparto
Luogo decesso
Data
Comune
sold
Pallavicini Vincenzo 77° rgt ftr
M. Santo
15-05-17 Arquata S.
sold
Cassano Giuseppe
7° rgt ftr
M. San Marco
17-05-17 Gavi
Plava
22-05-17 Gavi
sold
Merlo Sebastiano
740a comp.
sold
Arecco Raffaele
262° rgt ftr
17-05-17 Arquata S.
sold
Bisio Giovanni
21° rgt bers. M. Vodice
23-05-17 Gavi
sold
Ferraris Plinio
74° rgt ftr
Carso
23-05-17 Vignole B.
sold
Percivale Ettore
262° rgt ftr
M. Vodice
23-05-17 Varinella
sold
Acerbo Luigi
73 batt. b.
Medio Isonzo
23-05-17 Grondona
sold
Guido Giacomo
89° rgt ftr
Carso
24-05-17 Isola del Cantone
capor
Cappelletti Paolo
11° rgt bers. ospedale
sold
Caratto Domenico
250° rgt ftr
Devetaki
25-05-17 Gavi
capor
Percivale Giovanni
38° rgt ftr
M. San Marco
25-05-17 Stazzano
Medio Isonzo
26-05-17 Serravalle S.
a
sold
Bailo Alleramo
96° rgt ftr
sold
Traverso Salvatore
38° rgt ftr
sold
Rabbia Giovanni
70° rgt ftr
sold
Camerino Nicola
23° rgt ftr
sold
Illiano Mario
153° rgt ftr
Tabella 9: causa di morte nella Grande Guerra
24-05-17 Stazzano
29-05-17 Gavi
Carso
05-06-17 Gavi
Castagnevizza
11-06-17 Gavi
10-06-17 Gavi
L’8 novembre 1917 morì per malattia il quinto soldato vocemolese: Adolfo
Ponta di Enrico e Carolina Ansaldi, dell’86° reggimento fanteria, Brigata “Verona”, nato il 22 aprile 1893. Non cadde sui reticolati ma per tubercolosi e probabilmente in prigionia a Audissina nella valle del Vipacco (sloveno: Ajdovščina,
Slovenia) dove è sepolto.
L’ultimo caduto del nostro paese è Giuseppe Giovanni Ponta di Samuele e Caterina Semino, reclutato nell’89° reggimento, nato l’8 aprile 1898 a Vocemola
e morto l’11 luglio 1920 all’ospedale di Pavia per malattia. Secondo i famigliari
morì a causa dei gas che lo avevano colpito. Quindi vi sono due caduti dal nome
simile: Giuseppe Giovanni Ponta di Samuele e Giuseppe Ponta di Antonio: uno
dei due manca dalla lapide o perché l’hanno messa prima del 1920 (morte di
Giuseppe Giovanni) o perché il secondo era nato a Gavi.
124
Ricordiamo che in quel periodo infuriava la “spagnola”, termine con cui si indicava l’epidemia influenzale che provocò in tutto il mondo dai 10 ai 20 milioni
di morti. Essa ebbe origine in Cina, anche se allora si credette erroneamente
che la provenienza fosse la penisola iberica. In Italia ci furono, secondo l’Enciclopedia Europea Garzanti, ben 274.000 decessi nel 1918, 31.000 nel 1919 e
24.000 circa nel 1920. Ne furono colpite percentualmente più le donne che gli
uomini.
Nello stesso periodo fu maggiore anche la mortalità per polmoniti, pleuriti,
nefriti, tanto che si stimano in 400.000 i morti complessivi dovuti a questa calamità. Ad Arquata c’è ancora il cimitero delle truppe inglesi ivi accantonate
dove sono inumati i soldati morti per questa malattia.
Nella tabella 9 abbiamo inserito i dati relativi a 1.320 caduti della Grande
Guerra nati in Valle Scrivia, Novi, Tortona, Gavi e Val Borbera. É evidente l’elevata percentuale di morti per malattia nel 1918 e la strage di giovani vittime
delle battaglie del 1917.
PEDEMONTE (2003), pag. 162.
- 94 -
Per i reduci forniamo alcuni dati incompleti per Vocemola:
Luigi Binasco
Daniele Bisio
Dario Butti
Romolo Lugano
Stefano Ponta
Edilio (Dilio) Quaglia
Romualdo Pinceti
Federico Ponta
Lorenzo Repetto
Giacomo Scotto
Filippo Semino
Mario Alfonso Semino
- 95 -
Melchiorre Giacomo Semino
Pasquale Semino
Edilio Quaglia (Dilio) era il sacrestano e il campanaro insieme a Pasquale Semino.
Lorenzo Repetto (Luensein) quando veniva suonato l’organo in chiesa era solito girare la manovella del mantice: l’organista era Alfredo Ponta.
Foto 16: il diploma al caporale Giacomo Semino
(dalla collezione della famiglia Tullio Semino)
Il Parco della Rimembranza
La piazza davanti alla chiesa è un Parco della Rimembranza: una delle prime
iniziative del fascismo per celebrare la guerra, fu l’istituzione appunto dei Parchi e Viali della Rimembranza, iniziativa pensata e fortemente sostenuta dal
sottosegretario all’Istruzione Dario Lupi che incontrò immediato appoggio del
ministro Giovanni Gentile. L’iniziativa, dopo una prima fase incerta, ebbe un
deciso successo in seguito alla svolta del 1927. L’affermarsi del disegno di Lupi
fu possibile in quanto, secondo la circolare che annunciò l’istituzione dei Parchi e Viali datata 27 dicembre 1922, i principali interessati di tale iniziativa
dovevano essere gli scolari delle scuole elementari, nei confronti dei quali si
sarebbe svolto un vero e proprio passaggio di testimone tra soldati presenti e
futuri. Ogni caduto della Grande Guerra doveva essere ricordato e celebrato
attraverso la piantumazione di un albero, eseguita da un ragazzino delle scuole
elementari (maschio certamente), che doveva così, idealmente, prendere il
posto del soldato morto. Ma tale sostituzione non era solo ideale: ogni fusto
- 96 -
d’albero doveva essere contrassegnato da tre fasce, una verde, una bianca, una
rossa, rappresentanti la bandiera italiana. La fascia bianca era più lunga delle
altre due e recava in essa una targhetta in ferro smaltato con la dicitura:
IN MEMORIA DEL (grado, nome, cognome)
CADUTO NELLA GRANDE GUERRA IL ....... A ......
Il numero degli alberi corrispondeva quindi a quello dei caduti nati nel Comune. Il Ministero lasciò alle amministrazioni comunali la facoltà di scegliere
dove realizzare il Viale o il Parco. Con la circolare del 28 dicembre 1922 furono
non solo emanate le regole per la realizzazione dei Parchi o Viali, ma addirittura si legiferò per filo e per segno su come dovesse avvenire la cerimonia di
piantumazione.
I cinque tigli posti in piazza rappresentano quindi i caduti vocemolesi della
Grande Guerra. Non vi è discrepanza tra i caduti segnati sulla lapide e il numero degli alberi.
La Seconda Guerra Mondiale
Per la seconda guerra mondiale gli studi compiuti in questi 70 anni non sono
stati omogenei, soprattutto a livello locale. La parte inerente la Resistenza ha
avuto ricercatori attenti e motivati ed è quindi ricca di pubblicazioni, viceversa
la guerra dei vinti è stata poco considerata. Le vittime della Repubblica Sociale
Italiana, militari o civili, non sono sulle lapidi e le poche cose conosciute rimangono nella memoria dei vecchi, almeno per la Valle Scrivia.
Dei soldati caduti dal 1940 al 1943 ci sono gli elenchi ufficiali di ONORCADUTI,
la struttura che si occupa delle vittime militari a cui sono equiparati i partigiani
o i soldati della R.S.I., non gli appartenenti alle Brigate Nere o tantomeno i
civili. Ecco l’elenco che siamo riusciti a compilare per il Comune di Arquata125:
- 97 -
blicani a Cantalupo, Borghetto Borbera ecc. Anche a Griffoglieto ieri sono scesi dei
partigiani. Verranno in paese! I tedeschi battono in ritirata su tutti i fronti – Parigi occupata dagli alleati. La Rumenia ha chiesto l’armistizio in seguito all’uccisione di Antonescu alleato con l’Asse. Quale sarà la sorte dei nostri soldati portati in Germania?
Come si può notare, mentre nella prima guerra mondiale sono morti dei civili
per la febbre spagnola (non sappiamo quanti sono stati a Vocemola), nell’ultima guerra i soldati sono stati, in un certo senso, meno esposti al pericolo.
Per il Comune di Arquata, su 70 caduti 20 sono soldati, 9 partigiani e il resto
vittime di bombardamenti e di rappresaglie tipiche di una guerra civile. Tali
azioni alleate provocarono danni anche a Vocemola: infatti, come scritto in un
diario privato, a Giuseppe Binasco (Gaggin) si incendiò una cascina con gli animali dentro che egli salvò miracolosamente136:
Sabato 26 (agosto 1944). Stanotte mi sono svegliata alle 4 - un aereo (o più) hanno
mitragliato a Giretta. Mi pare aver sentito anche qualche bomba. Continuo passaggio
di carri armati sulla strada provinciale perché la camionale è provvisoriamente interrotta a Vocemola dove hanno incendiato una cascina. Battaglie tra ribelli e repub-
Secondo le informazioni del Ministero della Difesa che, in genere, sono molto
precise anche per motivi di riconoscimenti economici o al valore, ricaviamo
che Adolfo Ponta è morto in combattimento, ma il fratello Albino ci ha detto
che è deceduto per malattia a Milano.
Per Giulio Quaglia possiamo seguire il suo pellegrinaggio. Essendo del 1914
fu richiamato nel 4° reggimento alpini della divisione “Taurinense”, che sbarcò
nel mese di gennaio 1942 a Ragusa (Dubrovnik) in Croazia per passare a Mostar in Bosnia dove la grande unità fu inquadrata nel XIV Corpo d’Armata. Dal
15 aprile al 31 maggio prese parte a operazioni antipartigiane in Croazia, Bosnia ed Erzegovina. Dal mese di agosto essa fu trasferita in Montenegro, dove
svolse compiti di presidio fino all’8 settembre. A seguito degli eventi derivanti
dalla proclamazione dell’armistizio, la divisione venne sciolta mentre si trovava dislocata sulla costa dell’Adriatico, nel retroterra della base militare delle
Bocche di Cattaro. Molti militari, tra loro Giulio, vennero catturati dai tedeschi
e mandati in Germania dove furono internati.
C’è chi calcola in 800.000 questi prigionieri, circa 200.000 optarono per la Repubblica Sociale Italiana (R.S.I.) o le SS italiane. Quindi circa 600mila Internati
Militari Italiani (I.M.I.), nonostante le sofferenze e il trattamento disumano subito nei lager, rimasero fedeli al giuramento alla Patria, scegliendo di resistere,
e dissero “NO” alla R.S.I.
Gli internati, rinchiusi nei lager con scarsa assistenza e senza controlli igienici
e sanitari, a differenza dei prigionieri di guerra erano privi di tutele internazionali e vennero obbligati arbitrariamente e unilateralmente al lavoro forzato:
servizi ai lager, manovalanza, sgombero macerie, ferrovieri, genieri, o al servizio diretto della Wehrmacht e della Luftwaffe, o presso imprenditori e contadini. Con gli accordi Hitler-Mussolini del 20 luglio 1944 essi furono
smilitarizzati d’autorità dalla R.S.I., coattivamente dismessi dagli Stalag e gestiti come lavoratori liberi civili. Si tratta in realtà di lavori forzati con l’eti-
I dati sono ricavati dagli elenchi del Ministero della Difesa, dalle lapidi poste in
Piazza dei Caduti ad Arquata e alla chiesa di Rigoroso. Per le pubblicazioni ci
siamo affidati a PEDEMONTE (2003), da TUO & ALTRI (2008), DELLEPIANE (2002?) e da
DRIA & LUPO (2000). In alcuni casi differiscono le date di morte o nascita tra un autore e l’altro. Abbiamo anche inserito alcuni residenti ad Arquata ma nati in altro
Comune. Per quanto riguarda le vittime dei bombardamenti l’elenco è senz’altro
incompleto. Rinaldo Dellepiane nel suo libro del 2002 cita anche il “padre di Dario
e Mario”, presumibilmente Debenedetti, poi “la Signora Risso” più marito e moglie
sfollati a Chiapparolo.
126
R.S.I.: Repubblica Sociale Italiana, M.V.S.N.: Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale; G.N.R.: Guardia Nazionale Repubblicana; CC.NN.: Camicie Nere; C.d.A.: Comando di Corpo d’Armata; rgpt: raggruppamento; art: artiglieria; S.A.P.: Squadre di
Azione Patriottica; serg: sergente; capo f.: capo furiere; part: partigiano; mil: milite; btg: battaglione.
127
Non si conosce il Comune di nascita ma era residente ad Arquata. In insieme ad
altre nove persone fu prelevato ad Arquata dalla brigata partigiana “Balilla” e ucciso in località Pugè (Genova Murta) in un rifugio antiaereo fatto poi saltare (TUO &
ALTRI, 2008).
128
Di Montebello Vicentino, anni 47: non abbiamo potuto verificare la veridicità
della notizia.
129
Gemello di Alfonso.
130
Aveva 5 anni.
131
Venne catturato a Pessino dopo un’azione sull’autostrada a Vocemola in cui perirono alcuni tedeschi (BRUNAZZI & ALTRI, 2005), da TUO & ALTRI (2008), DELLEPIANE
(2002?) e da DRIA & LUPO (2000). Era della brigata “Arzani”.
132
Di Mantova. Aveva 60 anni.
133
Della divisione “Pinan Cichero”.
134
Nato a Serravalle Scrivia, residente ad Arquata.
135
Nato a Serravalle Scrivia, residente ad Arquata.
136
DE LORENZI, 2011.
- 98 -
- 99 -
125
chetta ipocrita del lavoro civile volontario/obbligato. Durante il trasporto ai
campi ne morirono 13.000 seguiti poi da altri 40.000 o 50.000: uno dei caduti
in prigionia fu Giulio Quaglia come testimoniato nell’Albo dei Caduti I.M.I. su
www.alboimicaduti.eu. Occorre dire che solo da pochi anni, con il Presidente
Carlo Azeglio Ciampi, questi soldati sono stati rivalutati e i loro sacrifici considerati al pari di chi lottò nella Resistenza in Italia.
Abbiamo avuto l’occasione di parlare con Albino Ponta (classe 1927), nome
di battaglia Cino, diventato nei documenti ufficiali Ciro: la sua esperienza nelle
Squadre di Azione Patriottica (S.A.P.) ci svela un’attività partigiana fino ad oggi
poco indagata in Valle Scrivia. Le S.A.P. erano gruppi di combattimento nate
ad opera del comando generale delle Brigate “Garibaldi” nell’estate del 1944
come formazioni di 15-20 uomini e/o donne ciascuna, con l’obiettivo di fungere da tramite tra la città e la montagna, per fornire un supporto logistico e
organizzativo sul territorio alle Brigate e per sensibilizzare l’opinione pubblica
a favore dei partigiani. La decisione di costituire le S.A.P. venne rapidamente
accolta in primo luogo dal comando garibaldino emiliano-romagnolo che, con
un suo documento dell’8 luglio 1944 alle organizzazioni dipendenti, ne indicò
struttura, composizione e modalità d’azione:
Le S.A.P. costituiscono l’organizzazione armata dei patrioti che intendono nei luoghi di lavoro e di
abitazione unirsi e combattere con le armi per difendere i lavoratori e la popolazione contro le violenze nazifasciste. In quanto organizzazione popolare armata di massa, le S.A.P. costituiscono la
riserva ausiliaria territoriale delle Brigate d’Assalto “Garibaldi” e delle brigate G.A.P.137, e possono
farne parte uomini e donne di tutte le correnti politiche e di ogni fede religiosa. Il campo di azione
delle S.A.P. è vastissimo: dalla difesa collettiva armata contro i soprusi e le violenze tedesche e fasciste per impedire la requisizione del grano, degli altri prodotti agricoli e del bestiame, a un’azione
costante di sabotaggio delle vie di comunicazione. Compito delle S.A.P. è quello di assicurare la
protezione delle manifestazioni popolari di massa e di sviluppare forme audaci di propaganda e di
mobilitazione delle masse per la battaglia insurrezionale.
Se inizialmente le S.A.P. assunsero soltanto compiti logistici e di arruolamento
di volontari disposti ad imbracciare le armi, dopo l’inverno ‘44-’45 furono chiamate all’azione quotidiana di sabotaggio, di protezione armata delle manifestazioni popolari di sciopero e protesta, di attacco diretto al nemico, divenendo
progressivamente sempre più qualificate militarmente al pari dei G.A.P. Albino,
Gruppi di Azione Patriottica. Erano piccoli nuclei di quattro o cinque uomini. Tre
squadre di quattro uomini costituivano un distaccamento, con alla testa un comandante e un commissario politico. A differenza delle unità partigiane, dove venivano
liberamente accolti dai garibaldini i senza partito e gli aderenti ad altri partiti antifascisti, nei G.A.P. venivano reclutati esclusivamente i comunisti, così come i G.A.P. di
"Giustizia e Libertà" erano composti soltanto da aderenti al Partito d'Azione.
137
- 100 -
giovanissimo, in casa sente parlare di Giacomo Matteotti e del sindaco di Arquata Massimo Acerbo, costretto dai fascisti a dimettersi. Quello che vide dopo
l’8 settembre lo convinse a fare qualcosa con quelli che venivano chiamati ribelli. Entrò in contatto con Federico Avio di Arquata (Lince) e iniziò così a militare nella S.A.P. del capoluogo. Avio era una persona pacata, educatissimo,
che non ordinava ma suggeriva quello che occorreva fare e Albino ci si trovava
bene.
Lince era di origine arquatese, anche se nato a Sampierdarena, lavorava all’Ansaldo e fu catturato a Castelnuovo Scrivia. Dopo essere stato torturato fu fucilato e abbandonato sulla strada a Castelceriolo138. La Sezione P.C.I. di Arquata
gli fu dedicata così come una strada a Genova. Le azioni svolte da Albino erano
quelle di raccordo con i partigiani della VI Zona, oppure di recuperare materiali utili o danneggiare i pali della linea elettrica. Confessa di aver avuto paura,
durante gli episodi che ci racconta, per tre motivi: di dare un’ulteriore dolore,
in caso di cattura o morte, ai propri genitori che avevano perso il figlio Adolfo
poco tempo prima, poi per la pena di morte comminata a chi era trovato con
armi e infine per l’eventuale rappresaglia che Vocemola avrebbe subito a causa
dei suoi atti. La pistola era solito nasconderla nella casetta dei colombi, all’insaputa dei genitori. I soldati della divisione alpina della R.S.I. “Monterosa” venivano da lui contattati con discrezione, soprattutto se soli, per esortarli ad
unirsi ai partigiani: nascondeva i fucili da loro consegnati nel Bosco del Re,
sopra al cimitero. Alla fine della guerra, il 24 o il 25 aprile, andò con Marco II,
Giuseppe Balduzzi, classe 1922, responsabile della polizia partigiana della
“Pinan – Cichero”, fino a Isola per capire la situazione che si era generata con
la liberazione del paese. Erano su una Topolino guidata da una ex Brigata Nera
ma gli alleati non sapevano ancora che la zona era sotto il controllo partigiano:
così al ritorno, nonostante la bandiera bianca, furono mitragliati da due caccia
e l’auto si incendiò. Non si lasciava influenzare dai facinorosi che avrebbero
sparato a ogni soldato italiano o tedesco e riconosce che molti militi della R.S.I.
lo furono perché impossibilitati a tornare a casa nel sud Italia. Il giorno dopo
portò, con altri, un centinaio di prigionieri a Isola: ma a Rigoroso due partigiani
sconosciuti su un furgoncino, armati di una Breda, volevano sparare sui tedeschi e lui con fermezza li obbligò ad andarsene. I prigionieri ad Arquata venivano messi al primo piano di Palazzo Spinola e un tizio voleva gettarvi una
bomba a mano: si scoprì che era un ex brigatista che cercava di farsi passare
per antifascista.
Albino fu riconosciuto Partigiano Combattente Capo Squadra e si iscrisse all’Associazione Mazziniana di Via Lomellini a Genova.
138
(BRUNAZZI & ALTRI, 2005), DELLEPIANE (2002?).
- 101 -
Marisa Semino ricorda tra i ribelli anche i vocemolesi fratelli Luigi e Vando
Bertolacelli (Topo e Talpa), Alvaro Do (Drago), Roberto Barulli (Caramba). Da
Anita Botti sappiamo che lo zio Pietro Botti fu il partigiano Fiero:
… ritornò da Casale l’8 settembre e lo nascondemmo in solaio, era un renitente. Gli portavo
da mangiare io stando attenta a due signore fasciste sfollate che fumavano sempre. Poi si convinse ad andare nei partigiani. Partì zoppicando una mattina presto e, come una premonizione,
arrivarono i fascisti a cercarlo e a minacciare la fucilazione per tutti.
Foto 17: il Certificato di
Patriota attribuito a Roberto
Barulli (Caramba) concesso
dal maresciallo Harold Rupert
Alexander, comandante delle
forze alleate nel Mediterraneo
(dall’archivio della famiglia
Barulli)
Per quanto riguarda i reduci militari abbiamo trovato:
●
Vando Bertolacelli, classe 1916, che combatté nei Balcani e fu poi partigiano.
●
Mario Bisio, classe 1916, deportato a Mauthausen dopo essere stato
catturato davanti all’Ansaldo di Genova.
●
Natale Carrea che fu in Tunisia.
●
Pietro Ponta (Pierino), classe 1913, anche lui combattente nei Balcani.
●
Edilio Raffaghello, classe 1911, fece la Campagna di Russia.
●
Aldo Semino della divisione Alpina “Cuneense”. In Russia fu salvato da
una ragazza che lo fece stare per tre giorni coperto dal letame, impedendo così il congelamento. Il suo comandante si addormentò fuori da
un’isba ubriaco e morì.
●
Giovanni Semino, arruolato a Casale Monferrato, fu attendente di un
ufficiale in un reparto stazionato nel sud Italia e rimase via da Vocemola
per cinque anni.
●
Reduce della guerra d’Africa del 1936 fu Mario Lazzari, classe 1914:
era il barbiere del paese il cui negozio vantava un bel seggiolone. Citava
sempre i ribelli dell’Asmara (Eritrea).
●
Forse partecipò alla guerra etiopica anche Eugenio Repetto che era del
1916.
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Pasqualin Ponta (Lorenzo) di Francesco fu prigioniero in India nel campo n.
23 a Bombay. Era del 1910, si arruolò nel 1931 nei carabinieri e fu congedato
nel 1951. Le sue sedi furono Cagliari, Roma, nel 1937 in Libia, poi imprigionato
dagli inglesi dal 1941 al 1945. Ebbe tre encomi solenni, decorato con la Croce
d’Argento per anzianità di servizio e con la Croce al Merito di Guerra. Interessante è una sua lettera del 24 settembre 1938:
Carissimo Filippino,
Quel mattino che ti ho salutato, era la mia partenza per Roma e a sua volta per Bengasi dove
sono stato destinato alla stazione di Cirene. Sono partito da casa vostra di malincuore triste,
forse sul viso non lo dimostravo, ma sentivo nel mio cuore un acuto dolore che ancora adesso
non mi dà pace. Era molto doloroso dovermi allontanare, da voi, dalla vostra famiglia; perché
durante le mie licenze sono sempre stato molto rispettato, molto stimato. Più doloroso mi
rende ora trascorrere questi giorni, mesi, qualche anno, nella terra della Libia Orientale, lontano da voi migliaia di chilometri. Il dovere mi ha chiamato e da buon soldato devo compierlo.
Lontano quanto mai, il mio pensiero non cessa mai di pensarvi, di pensare a quelle persone
che sanno rispettare. Vi sono riconoscente, non saprò mai ricambiare quell’affetto, perché le
mie forze non mi permettono, ma vi giuro sinceramente che ho un cuore. Partii da Roma il
nove febbraio (1937) alle ore 19, giunto a Napoli a l’una del giorno 10, l’11 mi imbarcai sul
vapore “Milano” che alle 15,30 salpò, fece due piccole fermate a Catania e Siracusa, trovai il
mare molto agitato, ma era divertente; il mattino del giorno 14 alle ore 6,30 vidi le prime coste
libiche, alle 8,50 il vapore attraccò alla banchina del porto di Bengasi, eccomi arrivato. Bengasi
è una bella cittadina moderna stile 900 col suo bel porto ancora in costruzione, l’idroscalo,
una meravigliosa cattedrale in marmo. Sono rimasto a Bengasi tutto febbraio, il primo marzo
alle ore 6 partii con l’autocorriera per Cirene; percorsi 250 chilometri tutta strada asfaltata e
impiegai 6 ore. Giunto alla mia nuova destinazione ebbi una buona impressione del piccolo
paesetto che conta 150 abitanti, tutto alberato con un lussuoso albergo, 3 palazzi antichità
romana. In questa stazione non mi ci trovo male, meglio delle altre, posto ottimo, aria finissima, ho un appetito! Acqua buona, vino migliore 3 lire al litro e si trova tutto per mangiare.
La caserma è posta in cima a un monticello, ha un bel panorama, una grande estensione di
terreno, 4 piccole vallette tutte verdeggianti, a nord il mare a 7 km di distanza; sono il solo
nazionale col maresciallo, per mangiare me ne cucino per me solo, ci sono 7 zaptiè139, il servizio lo fanno con me, per mangiare si aggiustano da loro, nel cortile della caserma vi sono
delle aiuole, mi ci diverto a coltivarle per passare il tempo. Mi ci trovo molto bene, il servizio
non è gravoso. Fa ancora molto freddo e d’estate sarà sempre fresco, posto ottimo. “Solo questa
distanza mi fa triste”. La popolazione è molto rispettosa ...
Cirene si trova tra Bengasi e Tobruk. Dopo l’entrata in guerra dell’Italia, le nostre truppe avanzarono ma il 9 dicembre 1940 il generale O’Connor sferrò
un’offensiva di sorpresa e ottenne un brillante successo; i reparti italiani a Sidi
el Barrani, poco mobili e schierati in capisaldi separati, vennero aggirati e sbaragliati; furono catturati circa 38.000 prigionieri, i britannici superarono il
Era il nome con cui venivano indicati i membri dell'Arma dei Carabinieri reclutati
tra le popolazioni indigene di Libia, Eritrea e Somalia tra il 1888 e il 1942.
139
- 103 -
confine libico-egiziano e il 18 dicembre raggiunsero Bardia, difesa dal corpo
d’armata del generale Annibale Bergonzoli. Proseguirono conquistando tutta
la Cirenaica e, probabilmente, fu in quell’occasione che venne catturato Pasqualin.
Un altro carabiniere vocemolese fu Giuseppe Palci, classe 1911, che prestò servizio a Roma, in Sicilia e in Sardegna.
L’intervista è stata riversata in un DVD della durata di circa un’ora. Ringraziamo
l’Associazione per averci concesso la possibilità di attingere all’importante e interessante colloquio.
sano e Sant’Anna di Vinadio. La divisione a cui apparteneva era un’unità sostanzialmente analoga alle divisioni di fanteria ordinaria, con delle differenze
nelle dotazioni in modo da renderle maggiormente idonee alla guerra di montagna. Le differenze riguardavano essenzialmente la trazione del reggimento
di artiglieria divisionale, che risultava composto da due gruppi someggiati e
di uno carrellato, invece che di due ippotrainati ed uno someggiato, e l’utilizzo
di salmerie invece che del classico carreggio. Chi apparteneva ai gruppi sommeggiati portava il cappello alpino, ed ecco perché Mario si autodefinisce artigliere da montagna. Dopo la dichiarazione di guerra del 10 giugno 1940, la
divisione venne trasferita prima a Civitavecchia poi a Bari per essere imbarcata
il 19 novembre per Durazzo e subito inviata al fronte greco-albanese. L’11 dicembre, con il 207º reggimento fanteria, il 208º reggimento fanteria ed il 48º
reggimento artiglieria a cui apparteneva Mario, si schierò in prima linea nel
settore di Guri Llenges-Dingen-fiume Shkumbini, impegnata in continui combattimenti fino a gennaio 1941; da febbraio fino al termine delle ostilità con
la Grecia (23 aprile 1941), l’unità fu impegnata a respingere duri attacchi nemici ed ad effettuare contrattacchi per la riconquista di capisaldi. A giugno si
trasferì in Montenegro e si schierò a presidio delle zone di Cettigne, Antivari,
Nikšić, Danilovgrad e, dal 19 luglio, di Cattaro. Utilizzata in operazioni di rastrellamento, affrontò scontri anche cruenti con i partigiani locali, soprattutto
a febbraio-marzo 1942. La divisione rientrò in patria in agosto, dislocandosi
nella zona di Alessandria-Novi Ligure, per poi trasferirisi in novembre in Francia meridionale, a nord di Tolone e lungo la costa nella zona di Cuers, tra Méounes-lès-Montrieux, Pierrefeu e Carnoules. In seguito all’8 settembre la
divisione cessò ogni attività. Nel 207° fanteria era anche Giuseppe Bugatto di
Arquata che morì in prigionia. Questa è la storia generale che Mario conferma
con le sue parole e noi cercheremo di dare un riassunto fedele di quanto si
può ascoltare nella registrazione. In sostanza la sua permanenza in Montenegro si svolse senza grossi traumi perché era di servizio nei magazzini. Giocava
anche al pallone a Cetinje, capitale del piccolo stato in cui nacque Elena, la consorte di Vittorio Emanuele III. Uno degli intervistatori a un certo punto gli
chiede: «Eravamo preparati ad entrare in guerra?» É stato l’unico momento di
stupore e silenzio, da parte sua, prima di rispondere: «Preparati? Non so come
abbiamo fatto a ritornare in così tanti!»
Purtroppo da guerra tradizionale il conflitto nei paesi balcanici si trasformò
in guerriglia in cui erano contrapposti nazionalisti e partigiani di Tito con gli
italiani come truppe di occupazione. Semino ricorda di aver visto delle foibe,
con mucchi di morti, ma subito aggiunge che uno diventa refrattario ai sentimenti facendo la guerra.
Nell’agosto del ’42 Mario tornò con la divisione in Italia che viene stanziata,
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Foto 18: l’appuntato Pasqualin Ponta in alta
uniforme. La foto forse è stata presa in Libia e
lo strano cappello è quello coloniale alla
“boera” in uso all’epoca (dalla collezione di
Giuseppe Ponta)
Foto 19: Giuseppe Palci il 9 dicembre 1931
(dalla collezione Bruno Palci)
Mario Emilio Semino, appartenente alla divisione di Fanteria da Montagna
“Taro” sul fronte greco-albanese, rimase sette anni lontano da casa. Tramite
l’Associazione Culturale “Mnemosyne” di Arquata Scrivia, che lo ha intervistato
quando aveva 93 anni ricavandone un documentario, possiamo conoscere la
sua vita in quel periodo140. Egli era del 1917 e svolse il servizio a Cuneo, Fos140
come detto, nella zona Alessandria – Novi Ligure: lui ebbe la fortuna di essere
adibito alla fureria addirittura a Cassano Spinola. Le previsioni erano quelle
di andare in Russia ma poi, a novembre, vengono trasferiti a nord di Tolone,
lungo la costa. L’8 settembre 1943 i tedeschi catturano chi non è riuscito a
scappare e tra questi c’è lui. Viene adibito a lavori secondari tra cui l’approvvigionamento che effettuava insieme a uno spagnolo a Perpignan. Una mattina
si svegliò e scoprì che i tedeschi erano scappati lasciando magazzini sotterranei con ogni ben di Dio, ma arrivarono i francesi che, non fidandosi degli italiani come combattenti, costituirono un battaglione lavoratori adibito alla
manutenzione di strade. Salì anche al Colle del Galibier, famoso per il Tour de
France, per liberarlo dalla neve e dal ghiaccio, ma in sostanza non si trovava
male. Rientrò nel novembre del 1945 e quando arrivò a Genova, il 18, la trovò
allagata. Il treno percorse la linea vecchia dei Giovi e in Val Polcevera l’acqua
era al limite degli argini. A Rigoroso addirittura lo Scrivia aveva travolto la passerella; La Domenica del Corriere descrive così quell’evento:
Dopo la siccità … La disastrosa alluvione che si è abbattuta sull’Italia settentrionale ha trasformato in un mare di fango le zone adiacenti al Po e ai principali fiumi. Dalla corrente di
acqua melmosa emergono le cime degli alberi e i piani superiori delle case. Molto bestiame è
stato travolto dalla piena e spesso i contadini si sono trovati in grave pericolo.
La famiglia di Livio Bisio (Bisa) ha conservato il suo Foglio Matricolare da cui
si possono ottenere alcune informazioni: venne chiamato alle armi il 13 maggio 1943 essendo della leva del 1924 e mandato al deposito del 58° reggimento
fanteria. Per meglio capire le sue vicissitudini, conviene parlare dell’unità a
cui apparteneva: nel 1939, con la formazione delle divisioni binarie, il 58° fu
inquadrato nella divisione di fanteria autotrasportabile “Piave”, che a seguito
dell’adeguamento dei mezzi a disposizione modificò il proprio nominativo in
quello di divisione di fanteria motorizzata “Piave”, della quale facevano parte
anche il 57° reggimento fanteria e il 20° reggimento artiglieria. Fino al mese
di aprile-maggio il 57° fu schierato lungo la frontiera jugoslava, ma in seguito
venne trasferito con compiti di difesa costiera in Liguria sino all’ottobre 1942,
quando passò il confine ed in Francia svolse compiti di presidio da ottobre a
dicembre. Rientrato nel 1943 in territorio metropolitano, si schierò a protezione delle vie di accesso alla capitale e il 10 settembre concorse ai combattimenti a difesa di Roma, dopodiché venne sciolto.
Livio arrivò al deposito del 58° reggimento a Padova, dichiarata zona di guerra,
il 7 agosto 1943 e catturato nella stessa città dai tedeschi il 9 settembre fu inviato in Germania. Quindi era ancora in fase di addestramento e non si trovava
con il 58° a Roma.
Dalla Francia si era portato una cassetta di sale da 15 kg perché sapeva che a
Vocemola mancava: gli vennero incontro i suoi fratelli Gigi (Luigi) e Gian.
Foto 21: il tesserino di Livio Bisio in prigionia
(dalla famiglia Bisio)
Foto 22: il cinturino di Livio Bisio in prigionia
(dalla famiglia Bisio)
Foto 20: reduci della prima e seconda guerra mondiale. Da sinistra: Filippo Semino, Daniele Bisio
(Dario), Livio Bisio, Lorenzo Repetto, Romolo Lugano, Luigi (Gin) Binasco, Dilio Quaglia, Mario Lazzari, Federico Ponta, Mario Emilio Semino, Pasquale Semino (dalla collezione di Sergio Binasco)
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Il suo lager era lo Stalag XB, vicino a Sandbostel, nel nord ovest della Germania
dove vi arrivò in sette giorni di viaggio. Era il campo dove fu internato, per un
certo periodo, anche lo scrittore Giovannino Guareschi. Bisa era l’internato n°
171086 e fu inviato al lavoro coatto presso l’impresa edile W. Wallbrecht che
operò vicino ad Hannover. Fu liberato il 7 aprile 1945 da truppe americane,
attraversò Berlino e non vide un palazzo in piedi, tutti bombardati.
Si presentò al Distretto Militare di Tortona il 23 agosto del 1945.
Al Piano delle Gabbie o Pian d’luccu, erano accampati, per un certo periodo,
dei militari. Sono ancora visibili le buche in cui erano posizionate le armi in
direzione della Camionale sottostante e il loro campo da bocce improvvisato.
Dal 1945 a oggi
La passerella e il ponte
Come abbiamo visto un atto del secolo XVII dell’archivio arcivescovile di
Tortona ci fornisce la descrizione del percorso Arquata – Busalla passante per
Vocemola (riva destra) e poi da Isola a Villavecchia (riva sinistra). Non
escludiamo ovviamente un collegamento con Mereta sulla ripida parete
prospiciente Pietrabissara. Quindi la via di Vocemola, se pur meno considerata
nella storia dai nostri illustri autori quali Tacchella, Teofilo Ossian De Negri,
Giuseppe Antonio Bottazzi, Gaetano Poggi, aveva una sua dignità ed
importanza. Siamo anzi convinti che in tempi di guerre o di decadenza
economica essa sia stata frequentata ben più che quella sulla sinistra Scrivia.
Francesco Butti e Maurizio Tavella141 riportano la visita del vescovo di Tortona
Carlo Maurizio Pejretti nel luglio del 1787. Provenendo dalla Valle Spinti e
avendo pernottato a Varinella nella casa abbaziale del Monastero della Congregazione degli Olivetani, raggiunse Vocemola attraverso l’alveo dello Scrivia,
per alveum Scriptiae.
Il passaggio del torrente era quindi uno dei problemi più sentiti: già dai tempi
di Opizzino Spinola nel secolo XIV esisteva il pedaggio fluviale e nel 1689 esso
fu riconosciuto a un suo discendente, il marchese Gherardo142. A noi è pervenuta la richiesta del 1875 da parte di alcuni Pessino affinchè fosse loro restituito il diritto di tenere la barca sullo Scrivia le borgate di Varinella e Vocemola.
É evidente che l’uso della barca era collegato con la portata d’acqua dello Scrivia: oggi purtroppo siamo abituati a un regime che passa da piene notevoli a
periodi di magra, dovuti al cambiamento climatico in atto. Inoltre le varie prese
d’acqua, principalmente quella di Busalla per gli acquedotti genovesi e dei
laghi di Val Noci e Busalletta, durante i periodi di siccità o media piovosità trattengono buona parte della quantità d’acqua. Abbiamo una dimostrazione di
quanto detto con la foto 23 ripresa nell’agosto 1932 sotto Vintino. Ritornando
ai nostri supplicanti il Comune di Arquata, dopo ampio dibattito, approvò un
capitolato di sedici articoli in cui, ad esempio, si disponeva che il gestore del
traghetto in condizioni normali non potesse esigere più di dieci centesimi per
persona dalla rampa della strada per il Molino di Sopra, lato Arquata, alla
rampa di Varinella. Ma se il barcaiolo avesse avuto bisogno di più uomini pratici a causa della corrente, il costo saliva in proporzione fino a 50 centesimi.
141
142
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BUTTI & TAVELLA (2014), pag. 90.
MORGAVI (2003).
- 109 -
Le regole riguardavano anche la posa di passerelle in caso di acqua insufficiente all’uso della barca e il trasporto in ogni ora del giorno e della notte.
In copertina abbiamo messo un dipinto del 1918 proveniente dall’Inghilterra
e segnalatoci da Pietro Piana dell’Università di Nottingham: la didascalia che
l’accompagna sul libro Our Italian Front, è:
Foto 23: nello Scrivia sotto
Vintino il 2 agosto 1932 (dalla
collezione di Tullio Semino)
Tutti quelli che hanno passato un po’ di tempo presso la Base in Italia, ricorderanno il lungo ponte
di legno pericolante che portava a Vocemola sopra il letto dello Scrivia, un miglio da Arquata. Il
ghiaioso letto del fiume, che descrive una curva secca verso i monti presso Vocemola, è in parte
coperto da cespugli di salici.
Ovviamente la base a cui si riferisce l’autore è quella studiata e descritta in un libro
del 1999 ubicata alle Vaie di Arquata143. Della permanenza dei soldati inglesi è rimasto il cimitero con le salme dei morti per la febbre spagnola.
Sul sito internet del Comune di Arquata vi è scritto a proposito della passerella:
Uno dei problemi più sentiti dalla popolazione di Vocemola è stato il collegamento con il capoluogo, anche per il fatto che il paese si trova sulla riva opposta della Scrivia, proprio nel
punto in cui il letto del torrente è molto ampio. Il primo ponte consisteva in una semplice passerella in legno e risaliva all’ultimo decennio del 1800.
L’iter progettuale e decisionale per la costruzione di questo precario attraversamento è stato lungo e impervio. Riassumendo, per sommi capi: nel 1880
c’era il progetto dell’ing. Pietro Tamburelli per un ponte in muratura, ma il
costo previsto, di lire 44.000, gelò i frazionisti che avevano accettato di tassarsi
per finanziarlo; esiste uno studio del 1884 per una pedana in ferro; nel 1892
avviene l’approvazione del progetto del geom. Emilio Rosi di una passatoia per
Vocemola, costo previsto lire 13.800; poi si ha il progetto dell’ing. Adolfo Negri
di una passerella, della lunghezza di soli 165 metri (poco più di un terzo del
letto dello Scrivia), con il concorso di un argine sulla restante larghezza; ma
vi è l’opposizione della Sottoprefettura di Novi Ligure; nel 1895 riapprovazione
comunale del progetto del geom. Emilio Rosi; nel 1895 appalto dei lavori per
la passatoia, con aggiudicazione all’Impresa Patri G. Batta: essa era larga un
metro, su rotaie di ferro alte tre metri, campate di undici metri, per una lunghezza complessiva inferiore a quella del letto; indi vi fu la decisione di prolungare la passerella di due campate e di alzarla di mezzo metro; finalmente
si ebbe il collaudo e la liquidazione dei lavori (lire 8.355,09) con il prolungamento su tutta la larghezza dello Scrivia ad opera dei frazionisti. Nel 1926 fu
danneggiata da una piena.
143
CASALGRANDI & MORGAVI (1999).
- 110 -
Foto 24: una cartolina del 1906 con la passerella (dalla collezione di Ennio Di Biase)
Per la costruzione della passerella non possiamo che fare riferimento all’ottimo saggio di Butti e Tavella, da cui abbiamo attinto più volte:
Ad un vocemolese può ancora succedere di sentirsi rivolgere, da un arquatese di una certa
età, l’appellativo ponte o pedana. È questo il retaggio di un’antica querelle, risalente agli ultimi
anni dell’ottocento, tra il Comune e gli abitanti della frazione Vocemola. I quali rivendicavano,
con forza ed insistenza, il diritto di essere collegati al capoluogo mediante un ponte (o una
pedana, appunto). A quel tempo infatti dovevano guadare la Scrivia e, in caso di piena, restavano isolati. L’epiteto suddetto racchiudeva allora un’intenzione di dileggio, in seguito lentamente sfumata. Cosa pretendevano mai, i queruli paesani, che tutti assieme non valevano
certo il costo di un ponte! Eppure i vocemolesi avevano accettato la vendita delle loro antichissime comunaglie, compresa Vallebona, con il cui ricavato approntare un benedetto collegamento. Ma anche dopo la vendita il Comune nicchiava, proponeva soluzioni di minima, come
una passerella su solo due terzi della larghezza della Scrivia; il prefetto, cui i vocemolesi si
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erano rivolti con un esposto, impose di rispettare finalmente gli impegni assunti. La passerella
fu realizzata, dopo un faticosissimo iter, di progettazione e burocratico. Era costruita in legno,
sostenuta da putrelle di ferro, larga un metro. Le piene della Scrivia la facevano oscillare paurosamente. Quella traballante pedana l’ho ancora sperimentata anch’io (Francesco Butti,
N.d.R.), con molta trepidazione, recandomi a scuola ad Arquata sul finire degli anni quaranta
del secolo scorso. Prima della pedana i ragazzi di Vocemola imparavano molto presto, per necessità, ad usare i trampoli, per guadare la Scrivia. Come oggi si compera la bicicletta ai bambini, allora il padre, o il nonno, costruiva i trampoli, ricavando dal bosco adatte pertiche, di
frassino o di castagno. I ragazzi, pochi, che frequentavano la quarta e la quinta elementare nel
capoluogo, attraversavano il torrente sui gampi, li nascondevano in un cespuglio di gurra e li
riprendevano al ritorno144.
Nonostante le sollecitazioni degli abitanti di Vocemola, recepite e trasmesse
nel 1880 al sottoprefetto, la costruzione del ponte (381 metri sul greto dello
Scrivia) iniziò il suo definitivo percorso solo il 9 marzo 1950, quando il Comune di Arquata approvò il progetto della S.A. Bertelé di Torino. I lavori vennero affidati alla I.C.O.S. di Milano. Da un giornale del 1951 ricaviamo che
l’onorevole Giuseppe Raimondi si prodigò alquanto per la realizzazione dell’opera. Nello stesso articolo compare una frase polemica di cui poco si sa:
L’opera tanto contrastata è entrata quindi nella fase di realizzazione ed i “poveri” di Vocemola,
che avevano ritenuta falsa, calunnia ed offensiva la “Storia vera e recente del ponte di Vocemola”, pubblicata dall’Unità di Genova il 9 gennaio 1949, quei poveri che non credono che i
comunisti vogliano e sappiano difendere i loro interessi, hanno avuto ragione: le prove, innegabilmente, ci sono, divengono giorno per giorno più consistenti e sfideranno i secoli.
Un incidente accadde al fratello di Marisa Semino, Luigi. Egli studiava a Genova
da perito meccanico e in estate lavorava per aiutare la famiglia. Così iniziò a
darsi da fare come operaio durante la costruzione del ponte a 26 campate sullo
Scrivia, la cui inaugurazione avvenne nel 1953145. Purtroppo morì in cantiere
il 9 luglio 1951, a 18 anni, a causa di una tragica fatalità. Il viale che dal ponte
sale in paese si voleva dedicare proprio a Luigi Semino.
Una relazione del 2012 di www.ideaprogetti.it descrive lo stato del ponte:
Si hanno 21 campate originali a partire dalla sponda destra che sonono costituite da una struttura in calcestruzzo armato modulare con travi ad altezza variabile che poggiano sulle pile
poste a distanza di 13 metri circa e che presentano sbalzi laterali di 5 metri. Un secondo tratto
ricostruito nei primi anni 2000, a causa delle precarie condizioni di stabilità, della lunghezza
di circa 75 metri, costituito da un impalcato scatolare bicellulare realizzato con travi in calcestruzzo armato precompresso a cassone monocellulare prefabbricate accostate e superiore
soletta gettata in opera. La struttura si estende su 3 campate oltre ad un piccolo sbalzo di
estremità; le pile hanno tipologia a setto a sezione variabile, con una espansione alla sommità
per accogliere gli apparecchi di appoggio. Le fondazioni delle pile sono costituite da plinti
poggianti su setti realizzati prima di effettuare lo scavo. La soletta dell’impalcato ha una larghezza totale di 5,20 metri di cui 3 m costituiscono il piano viabile. La campata tipo della porzione in oggetto ha una luce pari a circa 25 metri. Un terzo tratto posto in sponda sinistra del
Torrente Scrivia, in corrispondenza dell’alveo inciso, per una lunghezza di circa 55 metri, costituito da una struttura mista acciaio-calcestruzzo, realizzata negli anni ‘60 a seguito di un
crollo avvenuto nel corso di un rilevante evento di piena. La struttura si estende su 2 campate
con modesti sbalzi di estremità, costituite da travi in acciaio accostate; le tre pile intermedie
hanno tipologia a setto e la soletta dell’impalcato ha una larghezza totale di poco più di 3
metri. La campata tipo della porzione in oggetto ha una luce pari a circa 25 metri.
Durante l’alluvione dell’8 ottobre 1970 l’improvviso crollo di una campata
costò la vita al diciasettenne Marco Odino di Arquata, il cui corpo fu ritrovato
a Castelnuovo Scrivia. Sul ponte si trovavano anche Antonio Gialli, Franchino
Lugano (l’attuale Presidente del Circolo A.C.L.I.), Ugo Ponta e Don Paolo Berri
residente ad Arquata, che riuscirono a salvarsi a stento, aggrappandosi a un
cavo del telefono (La Stampa, 9 ottobre 1970).
Foto 26: il ponte in costruzione
durante una piena
(dalla collezione di Edoardo Morgavi)
Foto 25: la posa della prima pietra nel 1951 (dalla collezione di Sergio Binasco)
144
BUTTI & TAVELLA (2014), pag. 94.
145
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Sito web del Comune di Arquata.
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Foto 27: il ponte in costruzione (dalla collezione di Edoardo Morgavi)
Foto 28: il ponte negli anni 1952 o 1953 (dalla collezione di Tullio Semino)
Foto 29: il ponte danneggiato
dalla piena nel 1970
(dalla collezione di Sergio
Binasco)
corso degli anni furono effettuati alcuni interventi di consolidamento delle
pile e delle relative fondazioni con esecuzione di palificazioni. Finalmente nel
2013 si approvò un progetto di rifacimento. Per i lavori fu realizzato un guado
provvisorio per permettere il transito dei mezzi da e per la frazione.
La demolizione e ricostruzione totale del ponte venne prevista con un costo
di 3,5 milioni di euro. Il progetto fu redatto dallo studio professionale Signorelli-Evaso-Moncalvo di Genova. L’amministrazione comunale stanziò un
primo lotto di lavori pagati con un mutuo da 1,35 milioni e un altro da 600
mila euro rimborsato dalla Regione. Le indagini geognostiche furono affidate
alla Società Torinese Monitoraggi. La relazione geologica invece venne elaborata dal geologo Elio Guerra di Arquata.
Era ipotizzata la realizzazione di nuove pile con fondazione costituita da plinti
in calcestruzzo aventi estradosso a quota pari a circa -3 m rispetto alla quota
di fondo alveo, appoggiati a diaframmi in calcestruzzo con sommità a quota
fondo alveo ed ancorati al substrato marnoso mediante pali di medio diametro.
Si è desunto che il substrato marnoso è posto al di sotto delle alluvioni, la cui
potenza media è pari a circa 8 metri. La realizzazione dei diaframmi, oltre a
costituire la struttura di fondazione indiretta definitiva delle nuove strutture
portanti verticali, permetterà di garantire la stabilità delle pile adiacenti non
oggetto d’intervento e la realizzazione dell’isolamento dello scavo dall’acqua
di falda, rendendo possibile la costruzione dell’opera.
All’inizio del 2015 la seduta della Commissione Lavori Pubblici di Arquata fu
molto partecipata: oltre ad assessori e consiglieri comunali era infatti presente
un nutrito gruppo di residenti della frazione Vocemola. Essa fu convocata per
fare il punto sullo stato di avanzamento dei lavori al ponte.
Dal sito internet di Alessandria News ricaviamo l’intervista al vicesindaco
Franco Bisignano:
Abbiamo approvato i lavori e fatto partire la gara in tempi record. L’estate piovosa non ci aveva
aiutato, ma l’alluvione ha fatto molti danni. Prima delle abbondanti piogge, oltre al guado,
erano stati posizionati 800 metri lineari di micropali e una gabbia. I lavori sono ripresi il 14
gennaio e, da contratto, la fine è prevista per il 6 luglio 2015. L’amministrazione sta predisponendo una variante per la sistemazione dei danni, che sono stati segnalati anche a Provincia,
Regione e Protezione Civile. Forse riusciremo a ottenere un risarcimento per il guado.
Il ponte negli anni ha subito un notevole degrado, che poteva avere conseguenze in caso di piene violente. Lo stato di conservazione era decisamente
scadente, con evidenti fenomeni di carbonatazione delle strutture e di corrosione delle armature. Particolarmente degradato e non rispondente alla normativa appariva il parapetto-ringhiera laterale che in più punti risultava male
ancorato alla struttura dell’impalcato e non in grado di offrire sicurezza. Nel
Molti richiesero che i lavori non si fermassero ai 230 metri previsti ma proseguissero per gli altri 150. L’appalto fu aggiudicato con un ribasso del 17,449%
e un’offerta di 1.780.255,93 oltre I.V.A al 10%.
Il primo lotto, secondo Alessandria News dell’8 gennaio 2016, lungo circa 230
metri, è costato 2,5 milioni di euro. All’appello manca ancora il secondo lotto,
lungo 150 metri e dal costo presunto di 1,7 milioni di euro. Così, se la prima
- 114 -
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parte del ponte ha una carreggiata ampia in grado di far transitare agevolmente due veicoli affiancati, la seconda invece è stretta e consente il passaggio
di una sola auto alla volta. In ogni caso sul nuovo ponte i veicoli dovranno transitare a una velocità massima di 30 chilometri orari, cui si aggiunge il divieto
di passaggio per i mezzi che superano le 3,5 tonnellate a causa della persistenza del tratto vecchio. Fu inaugurato il 27 gennaio 2016. La campata metallica presenta le seguenti caratteristiche146:
e attrito degli appoggi) vengono contrastate dagli appoggi fissi e unilaterali trasversali.
Imprese costruttrici: le opere civili sono state realizzate dalla Preve Costruzioni S.p.A. di Roccavione (CN) e la carpenteria metallica dalla MAEG di Vazzola (TV).
Il ponte è costituito da una campata di luce 57 m ed è realizzato da un arco metallico che sorregge l’impalcato attraverso una serie di pendini. La larghezza della sede stradale è di 8,30 m
con due cordoli laterali di 1,20 m.
Impalcato in acciaio: l’impalcato dell’intera opera è realizzato in acciaio con una soletta sovrastante di spessore variabile da 25 cm alle estremità fino a 28 cm in mezzeria collaborante
con i traversi sottostanti per mezzo di pioli tipo Nelson. L’impalcato sorretto dall’arco metallico
è realizzato con due travi longitudinali a doppio T in sezione composta saldata di altezza 1,0
m. Longitudinalmente i conci di trave sono collegati mediante giunti saldati a piena penetrazione; in senso trasversale al senso di marcia si innestano nelle travi principali i diaframmi
anch’essi a forma di doppio T composto saldato.
Soletta in calcestruzzo: all’estradosso dei diaframmi è solidarizzata la soletta in calcestruzzo
per mezzo dei connettori a taglio opportunamente saldati sull’ala superiore dei traversi stessi.
La soletta, di spessore complessivo variabile da 25 cm a 28 cm, è costituita da predalle tralicciate di 5 cm e da un getto integrativo di 20-23 cm. Il collegamento tra l’impalcato metallico e
la soletta in calcestruzzo è assicurato attraverso i connettori a piolo.
Arco: la struttura principale è lo scavalco ad arco. Esso è realizzato con due archi laterali in
acciaio con sezione circolare cava di diametro Φ780 mm e spessore 25 mm, rinforzati mediante un sistema di controventamento orizzontale costituito da tubi di sezione circolare
Φ350 mm e spessore 8-10 mm. L’arco sorregge l’impalcato attraverso i pendini, realizzati con
sezioni a doppio T composte saldate; i pendini sono saldati all’arco e collegate all’impalcato
mediante giunti flangiati.
Appoggi: gli appoggi sono in acciaio e teflon. Le azioni orizzontali longitudinali (frenamento
Uno dei più grandi problemi che incontravano gli abitanti di Vocemola, durante
la loro vita vissuta nella storia passata, era attraversare il torrente Scrivia durante le sue piene. Nei libri dei defunti dell’archivio parrocchiale di Vocemola
sono evidenziati alcuni casi di persone annegate nei flutti dello Scrivia, il torrente che ostacolava il loro transito quando era gonfio di acqua, mentre questi
passanti dovevano recarsi, guadando, all’altra riva e raggiungere Arquata e
altri paesi. Vi sono anche casi di ritrovamenti di corpi annegati, in questo territorio, di abitanti di paesi collocati a monte del percorso del torrente, perché
lo Scrivia, dopo un alveo stretto e impetuoso nella parte ligure del suo percorso, nella zona antistante Vocemola si allarga di molto, rallentando la sua
corrente e fornendo così la possibilità ai cadaveri che galleggiavano di arenarsi
e agganciarsi a qualche cespuglio.
11 agosto 1677 – Si è trovata una donna morta portata dallo Scrivia…
29 agosto 1690 – Maddalena figlia di D. Giovanni Battista de Morandus del
luogo di Arquata e di D. Battina figlia di Blasio de Ferrari, malata, perita nel
fiume Scrivia, fu sepolta nel cimitero con la licenza del vescovo di Tortona.
14 agosto 1715 – Essendosi trovata nel fiume Scrivia una ragazza di circa 15
anni di età, condotta dall’acqua, si è fatta la sua sepoltura nel cimitero di San
Bartolomeo. I testimoni di questo fatto sono stati Alberto Semino figlio di Andrea, Matteo Bottaro e molti altri tra cui me Rev. Gio Moglia rettore di questa
parrocchia. La soprascritta defunta è stata riconosciuta in Maria, figlia di Benedetto Simonassi di Mereta.
23 marzo 1777 – Un uomo guidam (barbone) di nome Francesco, di 36 anni,
della parrocchia di Pratolungo è annegato nello Scrivia …
16 giugno 1814 – Un uomo di Arquata sopranominato Gancio è annegato nello
Scrivia e qui fu sepolto nel cimitero.
Dall’archivio parrocchiale della chiesa di San Giacomo di Arquata si rilevano
altri casi di affogamenti nello Scrivia nella zona di Vocemola.
1613 – Gieronimo figlio di … Quaglia si annegò nello Scrivia.
22 febbraio 1622 – Sebastiano Carpaneto di Vocemola si annegò in Scrivia e
constatando come era vissuto da buon cristiano fu sepolto in questo cimitero
(di Arquata) e pagato 10 lire per la quarta funerale secondo il consueto dei fo-
Foto 30: il nuovo ponte in costruzione (foto di Edoardo Morgavi)
Di STEFANO ROSSI ricavato da:
http://www.stefanorossi.info/ponte-ad-arco-a-vocemola/.
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Per chi volesse vedere il video sul nuovo ponte può andare su:
www.youtube.com/watch?v=Wpj2bCUR5W8.
Annegati nello Scrivia (di Angelo Allegro)
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restieri.
13 agosto 1703 – Ill.mo D. Guglielmo Spinola fu Leonardo, di 32 anni e nato a
Montessoro, è stato trovato cadavere nel margine dello Scrivia.
21 marzo 1715 – Trovato un cadavere di un uomo di circa 60 anni nel letto del
fiume Scrivia. Si è poi saputo che si era buttato da un ponte a Isola.
16 marzo 1736 – Luca figlio di Guglielmo Balbi di Ronco, di 13 anni, fu trovato
annegato sull’argine del fiume Scrivia.
10 novembre 1794 – Il cadavere di Antonio Costa fu Sebastiano di Casella, di
42 anni e coniuge di Caterina Graneri, è annegato nei flutti dello Scrivia. E’
stato trovato dai suoi parenti dopo averlo cercato a lungo nel fiume.
24 giugno 1799 – Qui addirittura sono due, madre e figlia, le persone annegate
insieme mentre attraversavano il torrente per recarsi nella sponda di Vocemola. La madre Francesca Pallavicino fu G.B. vedova di Matteo Guido, di 69
anni di età e la figlia Teresa, moglie di Blasio Brugna fu Bartolomeo, di 25 anni,
mentre attraversavano il fiume Iria in località Vintino, vennero trascinate via
dalle acque147. Il corpo della figlia venne trovato poi a Stazzano, mentre quello
della madre non fu più ritrovato.
Il rimboschimento di Vallebona
Rispetto al rimboschimento di Vallebona crediamo sia necessario ricavare le
notizie dal saggio di Francesco Butti e Maurizio Tavella, Pineta – Vallebona. I
due versanti, edito dalla Citta del Silenzio di Novi Ligure nel 2014:
Il 25 febbraio 1874 il sindaco di Arquata Sabino Lombardi, in risposta ad un quesito del Comitato Forestale Provinciale, comunica che un terreno sito in regione Vallebona della frazione
Vocemola, della superficie di 1.200 are, “gerbido con qualche cespuglio”, si presterebbe ad essere
rimboschito, precisando che la piantagione più adatta sarebbe di roveri e frassini. Precisa anche
che “il terreno serve attualmente ad uso di pascolo pubblico e ciò da tempo immemorabile”.
Proprio in località Vallebona viene effettuato il rimboschimento, su un primo lotto di circa sei
ettari, utilizzando 50 chilogrammi di semi di pino pinastro e pino nero d’Austria.
A luglio del 1875 il Comitato Forestale richiede informazioni: “che esito ha avuto l’imboschimento con pino nero d’Austria e pino pinastro?” La risposta è: “... del seme sotterrato ne nacque
un terzo circa e le piantine sono belle”. Ed infatti il pino nero d’Austria attecchisce facilmente
nella terra rossa della brughiera di Vallebona e si sviluppa occupando in modo stabile l’ambiente, sostituendo le poche latifoglie decidue originarie. È il primo nucleo della Pineta. Qualche anno dopo il Comitato Forestale chiede: “Vuole il Comune fornire mano d’opera e custodia
per il rimboschimento di Vallebona (un secondo lotto di sei ettari) e Brughè (due ettari)? Il
Governo provvederebbe alle sementi e alla direzione dei lavori”.
Interessante notizia a proposito di questa località di villeggiatura ci viene da
Patrizia Ferrando148:
Maria Costanza, la moglie di Domenico Piuma indiscussa signora della Pineta, era nata Spinola
di Pietrabissara. Suo fratello, Federico149, fu diplomatico di rilievo e senatore del Regno.
La Camionale (di Alessio Schiavi)
La vecchia Regia dei Giovi, una delle strade più trafficate del Regno, non era
più nelle condizioni di sopportare il crescente transito di camion e auto tra il
porto genovese e Milano. Dopo il lancio dell’idea, uno speciale ufficio del Genio
Civile venne istituito a Genova e, a seguito di una progettazione di sei mesi, i
lavori iniziarono il 6 ottobre 1932 e terminarono dopo soli tre anni: il 28 ottobre 1935. Venne così realizzato un percorso che “collegava le calate della Superba alle porte delle fabbriche”, come nelle intenzioni del Duce: un nastro
stradale lungo cinquanta chilometri, largo dieci metri, pavimentato con i sistemi più avanzati, dotato di imponenti muri di sostegno e controripa, ponti,
viadotti (tra questi il Montanesi, lungo 273 e alto 46 m), gallerie (tra cui la
“Littorio”, oggi Giovi, lunga 902 m), rampe di accesso, cavalcavia e piazzali. La
più grande ed impressionante opera però fu senza dubbio l’abbattimento del
promontorio di San Benigno a Genova per la realizzazione del piazzale d’ingresso, che aprì anche un varco più ampio tra la città antica e Sampierdarena.
Tuttavia numerose furono le difficoltà tecniche incontrate lungo il percorso,
soprattutto legate alle caratteristiche geologiche del terreno, le quali necessitarono di soluzioni specifiche in particolar modo in Valle Scrivia nella zona di
Pietrabissara.
Per realizzare quest’opera d’avanguardia furono impiegati migliaia di operai,
contemporaneamente fino a 8.624, e nel complesso quasi 27.000, più 2.000
delle ditte collaterali per la fornitura di materiali. Essi vennero reclutati soprattutto nelle Province di Genova, Alessandria, Bergamo, Belluno, Brescia,
Massa-Carrara, Udine.
Presso il Centro del Lavoro a Busalla una Sezione del Commissariato per le
Migrazioni Interne si occupò del collocamento, secondo le diverse capacità ed
esigenze, coordinandosi con altri uffici volanti presso i cantieri e gli altri paesi
lungo il tragitto.
Antica denominazione dello Scrivia. Sulla concordanza o meno di Iria con Scrivia,
Olubria o Odubria, Ira, vedere MAGENTA (1989) e PETRACCO & SICARDI (1991). Fino ad
oggi non si era mai trovato questo nome in epoca così tarda.
FERRANDO (2013), pag. 53.
Erano figli di Federico Costanzo, pure lui senatore, che nacque nel 1830 a Taggia
e morì a Torino nel 1909. Federico, fratello di Maria Costanza, nacque nel 1857.
Erano del ramo Spinola di Isola Variana, consignori di Pietrabissara. Un loro discendente è Federico Spinola di Gianluca (n. 1959).
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149
147
La paga per un manovale era di 1,42 £ all’ora (12,75 £ per una giornata di nove
ore), non molto se la paragoniamo alle tabelle statistiche dei prezzi di alcuni
generi alimentari e al salario di altre occupazioni.
rono affiancate come in una gara di velocità: la statale, la ferroviaria e la autocamionale. Tre
tempi: tre opere formidabili, tre manifestazioni superbe del genio italiano.
Foto 31: il ponte in costruzione
sul Lago Scuro
(da SCHIAVI, 2006b)
Pietrabissara ha mandato incontro al Re tutto il suo popolo […], sui ripiani dei colli ai margini
dei boschi, teorie di folla senza soluzione di continuità. […] Tutte le case, anche quelle modestissime di campagna, sono avvolte di tricolori […]. A Isola del Cantone e a Ronco è tale la
ressa del popolo che l’automobile del Sovrano è costretta a sostare e il Re scende per qualche
istante in mezzo alla folla, mentre più alte si rinnovano le ovazioni e la pioggia di fiori e gli evviva salgono al cielo.
L’opera fu ripartita in 22 lotti appaltati a 16 ditte specializzate: nella zona di
Ronco operava l’Impresa di Costruzioni De Filippi di Torino, verso Isola la Andreotti di Cremona, verso Busalla la Torno di Milano, oltre (compresa la galleria) la Ferrobeton di Roma.
Le valli del Polcevera e dello Scrivia, sono per la genialità e volontà del Duce un immenso e
sonante cantiere in cui lo sforzo delle nostre inarrivabili maestranze, si armonizza con la potenza delle macchine per il compimento […] di questa grande opera.
Alla fine del 1932 si lavorava infatti già da Genova a Busalla e tra Pietrabissara
e Serravalle, mentre nel secondo semestre del ’33 e nel primo del ’34 si avviarono i lavori nel restante tratto, spostando così manodopera dai lotti in corso
di completamento.
Nonostante le strutture che supportavano l’opera manuale (teleferiche, piani
inclinati, binari, carrelli trasportatori, elevatori, ecc.), i lavori non erano scevri
da rischi e a Ronco vi fu anche uno dei 26 caduti, Riccardo Curto, di origine
veneta, vittima di un movimento franoso. Gli incidenti furono molti, seppur
non gravi, e la Croce Rossa ronchese deliberò infatti uno speciale tariffario per
il trasporto degli infortunati della Valle Scrivia ligure agli ospedali: per esempio da Ronco ai nosocomi della Grande Genova il trasporto costava £ 120, contro le £ 150 per i non soci e le £ 50 per i soci. Nell’ottobre 1935, in un tripudio
di gioia per il compimento di quest’opera di romana grandezza, Vittorio Emanuele III inaugurò la Camionale percorrendola da Serravalle a Genova, ma
a Pietrabissara la marcia del corteo subisce un rallentamento, qui è infatti uno dei tratti più
pittoreschi della Camionale con il balzo del viadotto sullo Scrivia e con le tre strade che cor- 120 -
Nell’occasione tutti gli operai, assieme alle associazioni fasciste e alla popolazione incuriosita ed invogliata dai podestà, vennero schierati lungo l’asse stradale per il passaggio del corteo reale.
Cosi si presentarono i nostri paesi nella trionfalistica cronaca del quotidiano
Corriere Mercantile:
Davanti all’istituto delle suore benedettine infatti i piccoli alunni consegnarono
fiori e recitarono poesie come saluto di tutto il paese, ricevendo in cambio affettuose carezze.
Cominceranno tra poco le gallerie, ma prima il Re riceverà ancora le festosissime accoglienze
di Borgo Fornari e quelle ardenti di Busalla, che ha salutato il Re Soldato con manifestazioni
di clamoroso entusiasmo alle quali ha partecipato la popolazione in massa. Certo Busalla mentre il Re transitava sulla Camionale, doveva essere completamente deserta…
Gli imponenti lavori per la realizzazione di questa arteria stradale suscitarono
grande impressione in Valle Scrivia: migliaia di operai in attività frenetica, cantieri che modificavano profondamente il paesaggio, grandi macchinari e mezzi
meccanici che si aprivano un varco attraverso l’Appennino, nuove strumentazioni, enormi quantità di materiali impiegati e poi, sotto il profilo umano, le
grandi capacità delle maestranze specializzate provenienti da fuori valle, che
si concretizzarono tra l’altro in spettacolari centine in legno e nella precisione
con cui i manufatti venivano edificati e rifiniti.
La venuta di tutti questi uomini poi, seguiti molto spesso dalle loro famiglie
in modo provvisorio o permanente, rappresentò una vera rivoluzione per le
comunità della Valle Scrivia, sia in campo economico che sociale, e costituì per
molti anche un’occasione di accrescimento culturale e tecnico150.
Aggiungiamo noi che il raddoppio della Genova - Serravalle iniziò invece nel
1958 e terminò nel 1965 con aperture di alcuni tratti nel 1962.
Per questo capitolo ci rifacciamo ai due articoli di ALESSIO SCHIAVi citati in Bibliografia.
150
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Foto 32: Vocemola all’inizio del secolo XX (dalla collezione di Sergio Pedemonte)
dalla sorgente nella zona dello Spighino, situata a monte della località Castello.
Nel momento in cui il re, dopo essere sceso dall’automobile, si avvicinò al luogo
prestabilito per l’inaugurazione, fecero uscire uno zampillo d’acqua dal nuovo
acquedotto per creare un po’ di coreografia all’avvenimento. Ai lavori di questo
nuovo acquedotto partecipò la ditta Natale Semino fu Giuseppe per quanto riguarda la parte degli scavi e murature, mentre per la parte idraulica la ditta
Antonio Modena. Per quell’evento fu realizzata la fontanella che si trova ancora
nello spiazzo innanzi alla chiesa. Essendo stata costruita nel periodo fascista
ai suoi lati vennero applicati due fasci littori in marmo, dai quali vennero rotte,
dopo l’ultima guerra, le due accette che sporgevano.
Prima della costruzione di questa fonte ne esisteva un’altra più antica e deteriorata, addossata contro un muro di mattoni appena dietro, col suo trogolo.
Passati alcuni decenni, aumentando le necessità idriche degli abitanti di Vocemola, non era più sufficiente l’acquedotto esistente, si dovette quindi allacciarne uno nuovo con quello del capoluogo.
Le necessità idriche di Vocemola si sono sempre soddisfatte da sorgenti e fontanili locali. Una di queste sorgenti è ubicata nella parte bassa del paese, al termine di Via della Fontana da cui ha preso il nome. Appena passata la chiesa,
sulla destra della strada che porta alla parte superiore del paese, si trova ancora l’antico pozzo della borgata151, dove la popolazione attingeva l’acqua per
le proprie necessità. Ma il più importante approvvigionamento idrico avveniva
dalle sorgenti situate nelle rive boschive a monte della località Castello, la più
antica di Vocemola, dove da qui, essendo più in alto, poteva venire incanalata
a valle scendendo per caduta, rifornendo questa borgata e la piana sottostante
del borgo. A tal proposito esiste un documento del 1785 nell’archivio storico
comunale di Arquata, redatto dall’allora agrimensore deputato Francesco Quaglia di G.B., per conto del marchese Spinola, in cui si specificava il calendario
per la distribuzione dell’acqua ad uso irrigazione del piano di San Bartolomeo,
divisa in due tempi della settimana ad ogni giorno e ora a tutti gli infrascritti
abitanti di Vocemola. Queste sorgenti servono ancora, ai nostri giorni, a rifornire l’acqua agli abitanti della zona Castello. Il 30 ottobre 1935 il Re d’Italia
Vittorio Emanuele III e il capo del governo Benito Mussolini, in occasione dell’inaugurazione della Camionale, si recarono anche a Vocemola per inaugurare
il nuovo acquedotto del paese che prendeva l’acqua in abbondanza, per allora,
Sempre Angelo Allegro, ci ha gentilmente fornito il sopracitato manoscritto
che regolamenta l’utilizzo di acqua del Rio San Bartolomeo. Vi si prevedevano
sia gli orari che i nomi di coloro che ne avevano diritto. Essi erano:
●
prima distribuzione dal sabato alla domenica tutta la comunità di Vocemola;
●
in varie porzioni e ore a: Carlo Ponta, il Sig. Rettore, la Compagnia del
SS. Sacramento, gli eredi di Antonio Quaglia, Marc’Antonio Ponta, G.B.
Quaglia, Antonio Pinceti, Bartolomeo Quaglia, Lorenzo Quaglia;
●
in altra parte la Compagnia di San Bartolomeo, Giacomo Andrea Semino, Domenico Ansaldo di Francesco, Giacomo Antonio De Lazari,
Paulo De Lazari, Antonio De Lazari, Domenico De Lazari, Bartolomeo
De Lazari, Nicolò Ponta e altri;
●
per l’acqua che decorre dal Rio San Bartolomeo: Lorenzo Ponta fu G.B.,
Antonio Pinceti fu Giuseppe, Angelo Lugano, Giovanni Lugano e altri;
●
seconda distribuzione: Carlo Ponta fu Steffano, G.B. Quaglia, Lorenzo
Quaglia fu Domenico, Agostino Quaglia fu G.B. e altri;
●
dall’altra parte: Andrea Semino fu Alberto, Domenico Ansaldo di Francesco, Domenico Avio fu Giacomo, Domenico De Lazari e altri;
●
per l’acqua che decorre dal ritale: eredi di Bartolomeo Quaglia, Antonio
Pinceti fu Giuseppe, Angelo Lugano fu Tomaso, Giovanni Lugano fu Tomaso.
Gli anziani del paese hanno sempre detto che è profondo tanto quanto è alto il
campanile.
Anche qui le famiglie che ricorrono sono sempre le stesse. L’accordo è la dimostrazione di quanto importante era un bene come l’acqua per una comunità
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L’acqua a Vocemola (di Angelo Allegro)
151
agricola: oggi non ce ne rendiamo conto e la consideriamo una risorsa infinita.
Sarà sempre così?
I mulini (di Angelo Allegro)
Il fabbisogno di farina per preparare il pane è sempre stata una necessità primaria e i mulini venivano fatti funzionare con l’energia idraulica ottenuta dallo
scorrere dell’acqua che faceva girare una ruota a pale per trasmettere il movimento ai macchinari al loro interno. L’acqua necessaria per questo lavoro
veniva raccolta a monte del fiume o del rio che passava poi nei pressi dei mulini e incanalata in un condotto a cielo aperto, detto roggia o bedale. Nel nostro
Comune si ha notizia dell’esistenza già nel ‘600 di due mulini nella frazione di
Rigoroso e precisamente uno, risalente al 1601, nel rio dell’Acqua Fredda, che
oltre alla ruota per far funzionare le macine ne possedeva anche una seconda
per trasmettere la forza motrice ad un laboratorio di falegnameria e di fabbro.
L’altro mulino invece era ubicato alla foce del rio Lavandaia, vicino al ponte
d’Arossi, detto anche mulino della Navona, funzionante dal 1607. Nel capoluogo si inizia ad aver notizia di due mulini, di proprietà dei marchesi Spinola,
nella seconda metà del 1700, entrambi costruiti sulla sponda sinistra del
fiume. Uno, detto Superiore, era ubicato a monte del ponte di Varinella, l’altro,
detto Inferiore, era posizionato in Val d’Arquata, nella parte nord della grande
golena denominata un tempo Ò Mò dò Quo (il Mare di Arquata).
quei tempi, funzionante ad elettricità, il cui edificio era stato costruito presso
l’antica azienda agricola della Colombara. Era condotto da Severo Pittaluga
detto Bugnùn, ora adibito ad abitazione civile, in Via Roma.
Con il mutare dei tempi e con l’evoluzione della società i mulini ad acqua divennero superflui e, cessando la loro attività, vennero demoliti, purtroppo, per
far posto ad altre necessità edili, nella seconda metà del secolo scorso.
Alcuni censimenti
Nel 1805 a Vocemola un censimento, ritrovato sempre da Angelo Allegro nell’archivio comunale di Arquata, elenca gli uomini al disopra dei 12 anni: sono
68 ed il più anziano ha 64 anni. Di questi 20 sono Quaglia, 17 Semino, 10 Ponta,
6 Pinceti, 6 Lazari, 3 Ansaldo, 2 Picchetto, 2 Lugano e 1 Binasco.
Dal punto di vista demografico troviamo che Arquata, facente parte del Cantone di Serravalle, nel 1807 aveva 2.235 abitanti, che non vi erano mercati ma
quattro fiere annuali e che il Comune comprendeva le parrocchie di Vocemola,
Varinella e Rigoroso152.
Nel 1814 a Vocemola vi erano 21 uomini tra i 41 e i 60 anni di cui 17 maritati
e 15 con prole.
Nel 1857 vi fu un censimento delle case, compilato da Don Luigi Ponta. Ne riportiamo i dati salienti in tabella 10153.
Tabella 10: censimento del 21 settembre 1857
Foto 33: un ridente paesino
(dalla collezione
di Ennio Di Biase)
Nel periodo napoleonico conduceva i due mulini di Arquata il benestante mugnaio Marco Antonio Ponta di Vocemola, padre del dottore Giuseppe e nonno
del gesuita don Marco Giovanni, mentre gli ultimi conduttori presenti prima
della loro chiusura definitiva furono rispettivamente Alberto Brugna e Brugnatelli.
Nei primi decenni del ‘900 venne costruito in paese un moderno mulino, per
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152
153
TACCHELLA (1984), pag. 180.
Fornitoci da Francesco Butti.
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parati legalmente nonché 12 vedovi.
2) vi risiedono 4 cittadini stranieri o apolidi, un maschio e tre femmine e sono europei.
3) 50 residenti sono di età pari a 15 anni o più. Di questi 48 risultano occupati e 2 precedentemente occupati ma adesso disoccupati e in cerca di nuova occupazione. Il totale dei maschi
residenti di età pari a 15 anni o più è di 26 individui, dei quali 26 occupati. Il totale delle femmine residenti di età pari a 15 annni o più è di 24 unità delle quali 22 sono occupate e 2 sono
state precedentemente occupate ma adesso sono disoccupate e in cerca di nuova occupazione.
4) complessivamente vi abitano 60 famiglie di cui:
Tabella 11: alcuni censimenti
5) delle 60 famiglie residenti 7 vivono in alloggi in affitto, 49 abitano in case di loro proprietà
e 4 occupano abitazioni ad altro titolo.
6) sono presenti complessivamente 77 edifici, dei quali solo 76 utilizzati. Di questi ultimi 58
sono adibiti a edilizia residenziale, 18 sono invece destinati a uso produttivo, commerciale o
altro. Dei 58 edifici adibiti a edilizia residenziale 55 edifici sono stati costruiti in muratura
portante, 2 in cemento armato e 1 utilizzando altri materiali, quali acciaio, legno o altro. Degli
edifici costruiti a scopo residenziale 24 sono in ottimo stato, 31 sono in buono stato, 3 sono
in uno stato mediocre.
7) degli edifici ad uso residenziale ben 43 sono antecedenti al 1919, undici costruiti tra il 1920
e il 1945, due tra il 1946 e 1960, uno tra 1961 e 1970 e uno tra 2001.
Foto 34: Vocemola nel 1947
(dalla collezione di Sergio Binasco)
Dal sito www.italiaindettaglio.it ricaviamo che156:
1) nella frazione o località di Vocemola risiedono 126 abitanti, dei quali 61 sono maschi e 65
femmine. 46 sono celibi o nubili (27 celibi e 19 nubili), 62 coniugati o separati di fatto, e 6 se-
Archivio della curia vescovile di Tortona. I dati vengono ripresi dalle varie visite
pastorali.
155
Dobbiamo il reperimento dei dati ad Angelo Allegro che, una volta di più, ringraziamo.
156
Non vi è la data ma riteniamo siano i risultati del censimento del 2001 o 2011.
Foto 35: qualche anno fa (dalla collezione di Ennio Di Biase)
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154
Storia ecclesiastica
La chiesa parrocchiale di San Bartolomeo
La chiesa dedicata a San Bartolomeo è certamente antica, afferma il Goggi, ma
non si conosce l’anno di costruzione157. Domenico Cambiaso scrive che il culto
di San Bartolomeo divenne frequente nel 1298, quando Bonifacio VIII ordinò
che tutti gli apostoli si festeggiassero con rito doppio: tuttavia osserva che
anche prima del Mille vi erano chiese dedicate a questo santo, ma nel sud Italia.
Nella Diocesi di Genova nel secolo XIII gli erano dedicate 15 parrocchie, oltre
le chiese minori158.
Nel 1834 il rettore Antonio Magrassi, in uno scritto presente nell’archivio della
nostra chiesa, dichiara che la parrocchia è del 1646, che non vi è scuola né
ospedale o opera pia.
Riportiamo la notizia che compare sul sito web del Comune di Arquata in vari
punti:
Salendo in paese si raggiunge piazza Papa Giovanni XXIII, con la cinquecentesca chiesa parrocchiale: all’interno è conservata la statua dell’Assunta, scolpita da Bartolomeo Carrea159; tradizione vuole che l’artista usasse come modella la moglie, per questo si noterebbe una
somiglianza di lineamenti e posa con la statua della parrocchia di Arquata. Probabilmente
millenaria, e certo romanica, è invece l’essenziale e suggestiva chiesa di San Bartolomeo, oggi
all’interno del cimitero160.
In posizione sopraelevata rispetto al nucleo centrale del paese, si può salire alla borgata di
Castello, immersa nel verde, da cui si gode un bel panorama. Nella piazzetta, la piccola cappella
dedicata alla Vergine Immacolata parla ancora di devozione. Sul colle soprastante Vocemola,
in una zona, per così dire, confinante con Varinella, si espande la pineta, con un importante
complesso di villeggiatura - ville, dependance, cappella - oggi purtroppo in rovina, e la vicina
Rettorato, antico, solitario insediamento monastico. L’attuale chiesa di San Bartolomeo, risale
ad un periodo compreso tra il 1661 e il 1703. In precedenza, per le funzioni religiose era utilizzata l’antica chiesa del cimitero, eretta in epoca medievale con la stessa dedicazione e dipendente dalla parrocchia di Arquata. La chiesa di Vocemola non compare infatti nell’elenco
GOGGI (1973), pag. 437.
CAMBIASO (1917), pag. 221.
159
Bartolomeo Carrea (Gavi 1746 - Genova 1839). Nelle sue opere si affiancano tradizione barocca e istanze neoclassiche. Si dedicò soprattutto alla scultura decorativa:
bassorilievo della Commedia nel pronao del teatro “Carlo Felice” di Genova, perduto
nell'ultima guerra mondiale a causa di un bombardamento aereo; vi sono decorazioni plastiche in palazzo Doria-Tursi sempre a Genova, bassorilievi e statue in varie
chiese della Liguria.
160
A nostro parere la chiesetta non è “romanica”.
157
158
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delle parrocchie della Diocesi di Tortona del 1527. L’indipendenza religiosa da Arquata avvenne prima del 1576161.
Ma troviamo anche:
… che la cura spirituale di Vocemola dipendeva dalla parrocchia di Arquata, da cui risulta già
smembrata al Sinodo Gambara del 1595: pare che la data precisa risalga al 1548. Tuttavia
l’esistenza della chiesa del cimitero, di evidente origine romanica, lascia credere che un luogo
di culto e la relativa cura delle anime vi fosse già in antico esercitata, come a Varinella e Variana, dai monaci di Precipiano: tanto più che questo edificio veniva a trovarsi sulla Via Postumia, che dopo Prarolo e Mereta, proseguiva appunto per Vocemola, Varinella e Vignole,
approdando a Precipiano, da dove, con tanto di ponte, raggiungeva Libarna.
La data di fondazione della chiesa parrocchiale di Vocemola si può ricavare da una piccola lapide, ora sul frontale della stessa che dice:
DEO OPT. MAX ac
DIVO BARTOLOMEO
1686
e benedetta dal vescovo di Tortona Giulio Resta e aperta all’uso sacro l’11 settembre 1703.
La Chiesa risente dei moduli cinquecenteschi, anche nei suoi limiti di superficie, di materiale
di costruzione , di eleganza e di ricchezza; ad ogni modo denuncia l’intervento di un mecenate,
o di famiglie nobili, che hanno potuto aggiungere una nota di stile alla necessità del culto.
L’edificio è a una sola navata con cupola, sorretta da quattro colonne classicheggianti. La decorazione è di Carlo Frascaroli con dipinti murali di Lorenzo Laiolo, eseguita negli anni 193436; è stata rinfrescata nel 1997. Entrando in chiesa da sinistra: San Vincenzo Ferreri, un
dipinto su ardesia su moduli genovesi cari a Pellegro Piola. Poi un altare di marmo sormontato
da una nicchia con statua di legno dell’Assunta dello scultore genovese Bartolomeo Carrea.
Nel presbiterio: monumentale altare maggiore, in marmo, con ciborio sormontato da un prezioso tabernacolo barocco, con colonnine attorcigliate ed intarsi, comperato dalla Confraternita di Arquata nel 1703.
Nel coro: quadro su tela della SS. Trinità, firmato e datato da G. Rossi (forse restauratore).
Ai lati dell’altare due affreschi – Gesù e i fanciulli e cena di Emmaus – di Lorenzo Laiolo.
Ritornando sulla parete di destra: altare del Sacro Cuore con un quadro in tela, Immacolata e
i Santi (1725), Madonna del Santo Rosario, dipinti in olio su rame della medesima epoca.
La chiesa è dotata di organo di incerta data, proveniente da un convento di Sale. E’ utilizzato
e funzionante.
Il primo edificio sacro di Vocemola è stato, evidentemente, la chiesa del cimitero, dedicata a
San Bartolomeo, sul tracciato della Via Postumia, sorta come una delle tante celle del Monastero di Precipitano; l’impostazione romanica della costruzione, ancora palese malgrado le
aggiunte, i restauri e l’accorciamento del corpo centrale (navata) e la dedicazione a San Bartolomeo, la fanno risalire probabilmente al secolo XIV.
Piccolo oratorio di Castello: nella parte alta del paese, su uno sperone che sovrasta l’autostrada
Milano-Genova, c’è un oratorio con un affresco dell’Immacolata, dove si celebrano due funzioni: alla prima domenica di settembre e il giorno dell’Immacolata l’8 dicembre (tempo permettendolo).
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Non conosciamo la fonte da cui il sito web ha ricavato queste notizie.
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Dietro l’altare vi sono le tre statue di San Bartolomeo, San Bernardo, San Giuseppe, mentre in fondo alla navata troviamo quelle della Madonna del Rosario
e di Santo Antonio. Vi sono anche la Madonna della Guardia e quella del Sacro
Cuore. La statua di San Bartolomeo dovrebbe essere la più antica: la tradizione
vuole che sia stata recuperata dalla chiesa vecchia nel cimitero. Quella di San
Bernardo si dice che venisse acquistata dopo l’epidemia di spagnola con una
colletta delle ragazze che andavano a cucire per i militari inglesi ad Arquata
durante la prima guerra mondiale. Per quella di San Giuseppe non si hanno
notizie mentre si dice che la Madonna del Rosario sarebbe uscita una sola volta
dalla chiesa ma scoppiando un temporale di cattivo auspicio da allora non fu
più spostata.
É strano che negli studi sopra visti non venga citato il pregevole crocifisso
opera di G.B. Bissone (1597 – 1657) e posto sopra l’altare maggiore162. Essendo
la chiesa terminata nel 1686, come scritto in precedenza, tale Crocifisso potrebbe provenire dalla chiesa vecchia se, ovviamente, non è stato acquistato
in seguito. Sia la statua dell’Assunta che il crocifisso sono stati recentemente
restaurati da Gabbantichità laboratorio di antiquariato di Tortona a cui dobbiamo le notizie. Mentre in Wikipedia:
La chiesa di San Bartolomeo fu costruita nel1686 e benedetta dal vescovo di Tortona Giulio
Resta l’11 settembre 1703; possiede un organo proveniente da un convento di Sale. La chiesa
del cimitero è stata la prima chiesa del paese, ed è di stile romanico e risale intorno al 1000,
poi rimaneggiata nel ‘300: è anch’essa dedicata a San Bartolomeo163.
Foto 36: lapide presso la chiesa parrocchiale.
È una dedica alla Trinità e a San Bartolomeo “1686.
A Dio uno e trino e al mio signore Bartolo”
(foto di Umberto Semino)
162
G.B. Bissone: «Apprese nella bottega del padre i principi del disegno e quelli del modellare in creta, studiando l'anatomia del corpo umano direttamente dal vero. Nello
stesso tempo cominciò a dedicarsi alla scultura in legno e si specializzò nella produzione
di crocifissi processionali di grandi proporzioni, contribuendo a formare la feconda tradizione locale delle casacce. Tra i suoi crocifissi più belli, ricordiamo quello della chiesa
dell'Immacolata a Genova, già nella cappella Spinola della distrutta chiesa di San Spirito, e quelli conservati nelle chiese di San Bartolomeo degli Armeni, di San Siro e della
Concezione sempre a Genova. Bissone è un paese del Canton Ticino». Vogliamo ripetere
quanto detto a pag. 69 sull’immigrazione dal Canton Ticino di maestri muratori, scalpellini, artisti?
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Non conosciamo la fonte da cui il sito web ha ricavato queste notizie.
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Come si vede le notizie sono contrastanti ma è certo che nel 1583 e 1584 si
utilizzava ancora la chiesa del cimitero, dipendente dalla pieve di Serravalle,
come si deduce dalle visite pastorali reperite da Angelo Allegro all’archivio
della curia di Tortona.
Foto 37: la chiesa parrocchiale
nel 1915 con la partenza della
diligenza (dalla collezione di
Sergio Binasco)
Lorenzo Tacchella ha già pubblicato molte notizie sulla nostra chiesa. Pensiamo sia giusto riportare integralmente il suo testo tratto da Arquata Scrivia
nella Storia dei Feudi Imperiali Liguri, stampato a Verona nel 1984. Ci limiteremo a commentarne alcuni passi.
La dedicazione a San Bartolomeo ci dice dell’antichità della chiesa ora cemeteriale di Vocemola
(…). Il registro de Zazi dell’Archivio della Curia Vescovile tortonese relativo all’anno 1523, non
contiene cenno della chiesa di San Bartolomeo di Vocemola e neppure il registro degli anni 154344. All’archivio parrocchiale di Arquata abbiamo reperito un prezioso fascicolo del secolo XVI
in cui sono raccolte varie deposizioni atte a comprovare in sede giudiziaria gli oneri che gli uomini di Vocemola avevano verso la rettoria di Arquata per la cura della chiesa di San Bartolomeo. Dalla deposizione del chierico Cappellino abbiamo: “... Dico che ritrovandosi Ms. p. gio
giacobo detti in chiesa sua con pazzino della Ponta e Masollo Cornerò ambi de Volsemola, con li
quali più e più volte hanno pensato di mettere d’accordio sopra le primitie solite pagar alla rettoria d’Arquata... et che dell’anno 1527, 1528 et 1529 erano soliti pagare al già detto R.do de Benedetti oltre le primitie anche lire 18 di Genova per suoi travagli andando a d i r messa ad esso
164
165
Uno staro era circa 15 kg.
Circa 45 kg (uno staro = 15 kg).
luocho de Vocemola ...”. E ancora dal Cappellino: “... il tempo del fu Magnifico don Ambrosio Spinola rettor di essa giesia di Arquata, a nome di esso R.do S.r Spinola ricevetti la primitia di Volsemola per spatio di anni 4”. Sempre dal Cappellino abbiamo: “... Et più dice detto R.do Opicello
qualmente Arnaldo Cornerò de Volcemola quale ha scosso stare164 tre di grano quale livello perpetuo alla giesia de Sancto Bartholomeo de Volcemola: ossia alquanti anni quali soleva dare
alla giesa de Sancto Bartholomeo de Volsemola”. Dalle deposizioni di cui sopra apprendiamo
anche che la chiesa di San Bartolomeo di Vocemola possedeva un livello perpetuo di tre stara165
di grano annue.
Le evidenze documentarie confermano che la chiesa di San Bartolomeo di Vocemola nella
prima metà del secolo XVI non possedeva prerogative parrocchiali ma era in rapporto di dipendenza con la rettoria di Arquata. Sicuramente nell’anno 1547 alla chiesa di San Bartolomeo
era annessa cura d’anime. Il 25 settembre 1557 infatti, prete Oppicello de Oppicelli da Grondona, abitante in Vocemola, dinanzi al notaio arquatese Nicolò de Clerici dichiarava: “... quando
intrai già puono essere dece o dodeci anni, a far la cura de la giesia d’essa villa de Vocemola, li
entrai a nome d’esso prete Gio Giacomo de Benedetti rettor de la giesia d’Arquata, et da esso gli
sono stato messo, et anchara mi concesse che puotessi riscuotere la detta primitia dalli huomini
di detta villa, cioè un quartaro e mezzo di frumento per cadauno fuocho, et così l’ho sempre tenuta a suo nome sino alla renuntia che io li feci questo anno, de la quale renuntia Voi nottario
ne fuste rogato all’Abbatia di Precipiano …”. Dall’atto testimoniale testé trascritto emerge dunque che del beneficio di San Bartolomeo di Vocemola era all’epoca titolare il rettore pro tempore di Arquata, il quale delegava alla cura d’anime in Vocemola un suo mercenario.
Il 12 agosto 1560 prete Gio Giacomo de Benedetti del fu Francesco, rettore della chiesa parrocchiale di Arquata, confermava per il periodo minimo di un anno alla cura d’anime di Vocemola prete Giovanni de Ambrosini da Calvi di Corsica, autorizzandolo ad esigere dagli uomini
capi-casa di Vocemola la solita primizia consistente sempre in un quartaro e mezzo166, ossia
in scopelli 6 di frumento all’anno per ogni singolo fuoco che la comunità di Vocemola doveva
alla chiesa di San Giacomo di Arquata. Quindi detto prete Giovanni de Ambrosini si impegnava
a bene esercitare cura d’anime in Vocemola ed a trasferire metà di tutta la primizia da lui riscossa al Rev. Gio Giacomo de Benedetti; tutto questo annualmente e per tutti gli anni che esso
don Ambrosini fosse rimasto in detto ufficio. L’atto è rogato dal notaio Nicolò de Clerici in Arquata presso la porta della chiesa di San Giacomo, presente prete Mateo de Solario del fu
Pietro curatore della chiesa di San Salvatore di Pratolongo, giurisdizione di Gavi.
Il 26 luglio 1576 visitava la chiesa parrocchiale di San Bartolomeo di Vocemola il vescovo di
Famagosta Gerolamo Ragazzoni visitatore apostolico nella diocesi di Tortona. Dai verbali di
visita abbiamo: “Eadem die visitavit parochialem Ecclesiam Sancti Bartholomei de Ocemola in
qua celebrai, singulis diebus Dominicis et festis”. La cura d’anime veniva esercitata in loco dal
domenicano fr. Giacomo, residente, atto all’ufficio ma poco diligente. Il visitatore ordinava allo
stesso di esibire entro il termine di un mese sotto pena di sospensione a divinis, la licenza dei
suoi superiori di poter abitare fuori del chiostro. Lo ammonisce ad essere più diligente per il
futuro, ad insegnare la dottrina cristiana nei giorni festivi ed a suonare e recitare quotidianamente l’orazione vespertina. Nella chiesa di San Bartolomeo non si conservava il SS.mo Sacramento, non vi era il fonte battesimale ed il visitatore ordinava che gli infanti venissero
battezzati nella abbazia di San Pietro di Precipiano fino a che non ne fosse stato eretto uno. I
parrocchiani venivano esortati ad istituire la Confraternità del SS.mo Sacramento, a riparare
166
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Circa 11 kg (un quartario = 7,5 kg).
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il tetto della chiesa con tavole, a livellare il pavimento della stessa ed a recintare il Cimitero.
Il vescovo esauriva la sua visita ordinando a fr. Giacomino di provvedere un registro per annotarvi i battezzati, i matrimoni, i morti e lo stato d’anime. Infine ordinava che le parrocchie
di Vocemola e di Varinella fossero unite insieme: “... hec duae ecclesie possunt invicem uniri,
quod iussum est, assentienti R.mo Ordinario …”. Il reddito della chiesa di Vocemola era di scudi
11, più le primizie; le anime erano 120.
Le evidenze emerse da questa visita sono notevoli. Innanzitutto viene posta in rilievo la parrocchialità di Vocemola, il che significa che questo status di diritto le competeva probabilmente
ab antiquo. Non sussistono infatti elementi atti a poter ipotizzare l’acquisizione di questa prerogativa a breve distanza di tempo dalla visita del Ragazzoni. La precarietà della situazione
locale perdurante dagli albori del secolo XVI ed evidenziata da molteplici carenze di vario ordine, quali la mancanza d’un fonte battesimale, l’impossibilità oggettiva di poter alimentare
la lampada per il SS.mo Sacramento a causa della povertà dei fedeli e l’esiguo reddito della
chiesa stessa, diviene elemento inibitorio ai fini della concessione di nuova parrocchialità. Appare quindi legittimo supporre che il diritto alla status di parrocchia abbia radici lontane nel
tempo, e che poi estinto de facto con il progresso dello stesso, sia stato riesumato per la circostanza dal visitatore apostolico, sempre preciso nell’attribuzione delle competenze e dello
status di diritto delle chiese.
Foto 38: la chiesa nel 1972
(dalla collezione di Tullio Semino)
Il provvedimento di unione delle due chiese, quella di Sant’Eusebio di Varinella soggetta anche
ecclesiasticamente alla giurisdizione degli abbati di San Pietro di Precipiano, e quella di San
Bartolomeo di Vocemola di fatto retta dal clero diocesano (dal rettore di Arquata che vi mantiene un mercenario, cioè un sacerdote che è pagato di volta in volta), induce a supporre superstiti diritti abbaziali anche sulla chiesa di Vocemola, altrimenti l’unione sarebbe divenuta
incompatibile. Il che infine si riallaccerebbe alla tradizione locale, che vuole essere stata Vo- 134 -
cemola cella monastica dell’abbazia di San Pietro di Precipiano.
Le circostanze che hanno portato la chiesa di Vocemola al rapporto di subordinazione con la
chiesa di Arquata, potrebbero inserirsi nel contesto della irreversibile decadenza del monastero di Precipiano in atto da qualche secolo. Potrebbe cioè essere avvenuto che alla disintegrazione del patrimonio fondiario del monastero usurpato dai feudatari confinanti, anche la
chiesa di Vocemola per mancanza di religiosi che potessero servirla, sia stata affidata al clero
secolare che poi finì per appropriarsi anche dei diritti attinenti al beneficio, un’usucapione
vera e propria anche se non prevista dal diritto canonico. L’esclusione dal registro de Zazi ci
erudisce.
Il 26 settembre 1661, quale delegato del vescovo di Tortona Carlo Settala, effettuava la visita
pastorale a Vocemola l’arciprete di Viguzzolo Gio Batta Gramegna visitatore sinodale. Dai verbali di visita abbiamo: “Visita prima della Chiesa Parrocchiale al titolo di Santo Bartholomeo
Apostolo del luogo di Vocemola, Pieve di Arquata, Diocesi di Tortona, Feudo in temporale Imperiale dell’Ill.mo Sig. Conte Giulio Spinola, del quale è titolare rettore il rev.do Sig. Giacomo Moglia
oriundo di Compiano, Diocesi di Bobbio, di anni 77, provisto l’anno 1644 dalla Santa Sede Apostolica, con l’annuo reddito di scudi 50 di moneta di Genova. Ha anime da comunione 100, in
tutto 150, fuochi 35”. A causa della povertà dei parrocchiani in detta chiesa non si conservava
il SS.mo Sacramento non potendo essi sostenere la spesa per l’olio della lampada. All’altare
maggiore era eretta la Confraternita del SS.mo Sacramento senza obbligo e senza alcun reddito. Sempre a questo altare erano i legati perpetui di Antonio e Masollo Ponta, di Pietro Bottaro e di Isabella Ponta. Le messe di Antonio Ponta non venivano però celebrate essendo il
testatore morto “nel contagio di Genova”. Infine aveva legato del fu Bartolomeo Quaglia soddisfatto dai fratelli Antonio e Giacomo Pichetti. Nella chiesa era la cappella della Beata Vergine
eretta per devozione dai fedeli della parrocchia e dal fu Bernardo de Negri. La cappella aveva
sua statua della Madonna e l’icona; non possedeva redditi e non aveva oneri di sorta. Vi era
annessa la Confraternita del SS. Rosario. In chiesa era poi altra cappella con relativo altare
senza titolo, eretta dal feudatario di Arquata ed in tutto conforme al Concilio Tridentino. Il visitatore ordinava di tenere “questa chiesa ben coperta e riparata dall’acqua a spese dei Parrocchiani e del Comune di questo luogo”. Il Cimitero aveva il muro di cinta troppo basso e mancava
di serratura al cancello. Il visitatore ordinava al rettore di vegliare affinché gli uomini del paese
non lascino “pascolare né entrare bestie di alcuna sorta nel Cimitero sotto pena d’uno scudo per
ciascuna volta da pagarsi dal padrone dell’animale”. Circa la casa parrocchiale il visitatore ordina: “Si megliori questa habitatione almeno per due stanze capaci per la visita e comodo personale di mons. ill.mo vescovo dalli Parrocchiani con l’aiuto del Parocho, concedendosi anche di
poter lavorare per tale effetto nei giorni festivi, fuori dell’hora dei Divini Officii et esclusi li giorni
solenni”. Nel settembre 1703 visitava la chiesa nuova167 di San Bartolomeo e della SS. Trinità di
Vocemola il vescovo di Tortona Giulio Resta, patrizio milanese. Dai verbali di visita abbiamo
che la parrocchia era compresa tra i confini del marchesato di Arquata, Feudo Imperiale del
sig. marchese Gerardo Spinola, ne era rettore il rev. Gio Mosso provvisto del beneficio nel 1670,
con annuo reddito di scudi 50, anime da comunione 105, in tutto 160, fuochi 34. L’altare maggiore mancava di baldacchino e vi era eretta la Confraternita del SS.mo Sacramento, senza redditi né oneri. L’altare dedicato ai santi Bernardo, Carlo e Antonino eretto dei parrocchiani non
aveva redditi né oneri. Il vescovo esortava a pulire il pavimento della chiesa almeno una volta la
Persistendo ancora la chiesa del cimitero era ragionevole chiamare nuova l’attuale e vecchia quest’ultima.
167
- 135 -
settimana. Il cimitero era bene recintato da mura. Circa la chiesa vecchia di San Bartolomeo,
nella quale si celebrava solamente una volta l’anno, il vescovo ordinava di trasferire il Cristo
dalla facciata della chiesa all’architrave della chiesa nuova. Esortava quindi il rettore ad adempiere diligentemente le sue funzioni, ad insegnare la Dottrina Cristiana, a non ingerirsi in negozi
illeciti «perché il parroco non deve avere altro negozio maggiore di quello di trafficare bene i
talenti dategli da Dio in procurar la salute dell’anime alla sua cura commesse». Il vescovo infine
raccomandava: “Si esageri dal sig. rettore con ogni zelo e fervore sopra la cura che deve haversi
dalli Padri, Madri e Balie, acciò non restino soffocati, come ben spesso sentiamo con gran nostro rammarico accadere in questa nostra diocese li bambini che tal’hora tengono in letto”. Il 10 gennaio
1645 infatti era morta in Vocemola soffocata in letto dalla madre, Angela figlia di Bartolomeo
de Benedetti: 1645 die decima Januarii Angela filia Bartholomei et Catherine de Benedictis soffocata fuit a matre et sepulta fuit in Cemeterio divi Bartholomei. Inoltre: “Il rettore vigili affinché
nessuno entri in chiesa con archibugi”.
La nuova chiesa di Vocemola verrà eretta nella seconda metà del secolo XVII.
Come apprendiamo dagli atti di morte dell’archivio parrocchiale di Vocemola, il 25 novembre
1753 visitava la parrocchia di Vocemola il vicario foraneo e prevosto di Arquata quale delegato
del vescovo di Tortona Giuseppe Luigi de Andujar. Il visitatore ordina che l’altare di Nostra
Signora essendo troppo alto si abbassi, che si chiuda la finestra esistente all’altare delle SS.
Reliquie, che si abbassi l’altare della Concezione di Maria Vergine, di San Bernardo e del Santo
Angelo Custode. La chiesa non aveva sacristia ed il visitatore ordina se ne costruisca una a
spese dei parrocchiani. Quindi prescrive: “Il Comune poi dovrà assai subito far vuotare la levata
verso mezzogiorno al di fuori d’essa chiesa Parochiale, alle spalle della Cappella della Concezione
per levare rhumidità in quella parte alla medesima Chiesa”. Sulla sommità della facciata della
chiesa mancava la croce ed il visitatore ordina se ne provveda una. La finestra del coro mancava di vetri ed il vicario prescrive che almeno vi si collochi un pezzo di tela bianca. Il campanile era male in arnese e con scale malsicure. Quindi il visitatore precisa: “Essendosi similmente
Foto 39: l’interno della nostra chiesa (foto di Mauro Balbi)
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osservato non havere le due chiese di Vocemola e sette altari di questa Parochiale che una sola
scaletta per il Missale, e senza alcun cussino, perciò si ordina che se ne provvedano almeno tre,
cioè uno per la Chiesa Parochiale e due per la chiesa vecchia”. La chiesa parrocchiale antica
aveva all’epoca tre altari: il maggiore, quello di Nostra Signora e l’altare del Santo Angelo Custode.
Il 14 luglio 1787 visitava la chiesa parrocchiale di Vocemola il vescovo di Tortona Carlo Maurizio Pejretti. Dai verbali di visita abbiamo: Visitatio Ecclesiae Parochialis sub titulo S. Bartholomaei loci Vocemolae ditionis Excell.mi D. Marchionis Augustini Spinola et liberae collationis.
Nulla ha da osservare il vescovo sulla chiesa nuova di San Bartolomeo. Sulla chiesa vecchia olirti
antiqua Parrochiali, il vescovo prescrive che sopra alla porta sia posta una finestra con vetro affinché non possano entrare gli uccelli e farvi i nidi.
Nell’archivio della curia di Tortona si trovano numerosi documenti per noi
utili: soprattutto le visite pastorali dovrebbero essere attentamente studiate.
Da esse risulta che per almeno un secolo la chiesa di Vocemola dipese da Serravalle. Elenchiamo alcune notizie ricavate da questi fascicoli168:
1583 – Alessandro Bovone, arciprete di Serravalle, visita Vocemola e trovò la
chiesa del cimitero indecente, senza pavimento, senza soffitto, senza candelieri, le donne senza velo, il cimitero aperto e altro.
1584 – La stessa chiesa era indecentissima tanto che si ordinò a frà Hippolito
Pancaldo di non celebrarvi messa.
1593 – La parrocchia possedeva tre pertiche di terra e quattro pezzi di bosco.
In quest’anno, un documento notarile certificava che Simonino di Semin e Pasquino Ponchia (Poncta?) avevano prestato a Luchino de’ Correri di Vocemola
lire 100 di moneta di Genova, appartenenti alla chiesa, con un tasso del 12%
annuo. Ma questi massari (amministratori) non accendevano mai la lampada
ed erano piuttosto restii a restituire quanto dovuto alla parrocchia. Così come
Battin Quaglia e suo nipote Francesco Quaglia oppure Bernardino della Ponchia.
1759 – La chiesa in paese aveva quattro altari, non vi era oratorio né ospedale,
monasteri, monti di pietà.
Invece nell’archivio parrocchiale è presente un libro dei conti che elenca tutte
le spese fatte per la manutenzione o l’acquisto di materiali liturgici. Un volume
che meriterebbe uno studio accurato: noi vi presentiamo solo quanto scritto
da don Luigi Ponta nel 1833 per la scultura della statua di Maria Assunta. Intanto viene specificato che la realizzò Bartolo Carrea di Genova, pagato in tre
rate per un totale di franchi 2.042. A queste si aggiungono le viti, altri ferri, il
trasporto, fiori, canestro in mano dell’Angelo, cibaria durante il viaggio di trasporto, per la corona e l’indoratura all’orlo del manto e infine alla veste: in totale si arrivò a 1.147 franchi. Poi vi sono le uscite per la nicchia, calce, mattoni,
muratori, legni, ferri, stuccatore: totale generale 2.801 franchi. Ma i fedeli di
Vocemola donarono 2.345 franchi e quindi il disavanzo fu di circa 456. Non
168
Ringraziamo sentitamente il dott. Giuseppe De Carlini per la collaborazione.
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sappiamo a quanto corrispondono oggi i franchi, ma rileviamo che nel dialetto
ligure sino all’avvento dell’euro si diceva franchi e non lire.
Foto 40: la statua dell’Assunta
(foto di Mauro Balbi)
si fa più il triduo ma la processione con la banda e ricevimento nel circolo. Poi il 15 di agosto
è la Madonna Assunta, festa parrocchiale, e poi il 24 agosto è San Bartolomeo, patrono della
chiesa: in quest’ultima si faceva la processione al mattino perché al pomeriggio si andava alla
fiera di Arquata. Poi il 29 agosto di sera, fuori della chiesa, c’è la festa della Madonna della
Guardia. Tanti anni fa si faceva la fiera a Vocemola dal cimitero, dove adesso c’è l’autostrada:
erano tutti campi. La nostra chiesa quando fu costruita era bianca, non c’era niente dentro,
Don Mazza l’ha fatta ristrutturare tutta. Ai lati dell’altare ci sono due dipinti e una bambina,
Rosa Ponta, ha posato per il pittore Laiolo che era un mezzo mago.
Anche un altro bambino di Vocemola, Luigi Semino, vi è ritratto. Quanto dice
Carmelino è estremamente importante: le antiche chiese sorgevano al centro
di numerosi villaggi come a Rigoroso oppure al pari di Santo Stefano di Isola,
di San Martino di Ronco Scrivia o l’attuale a Montessoro. É con il secolo XVII,
vero periodo d’oro per le nostre valli, che sorsero gli edifici di culto e una miriade di cappelle che oggi vediamo, qualcuno ormai inglobato nei borghi che
con gli anni si sono espansi. In quanto alla fiera il Goggi conferma:
Quelli di Vocemola dicono che la fiera di San Bartolomeo, che si tiene in Arquata, prima si faceva nel loro paese169.
Nel 1925 il sacerdote G.B. Vaccari di Rigoroso scrisse sul bollettino parrocchiale Voce Amica:
Foto 41: un particolare della cappelletta
eretta da don Paolo Ponta nel 1966 alle
Vergine per aver protetto il paese nella
guerra 1940 – 1945. Si notino gli aerei
sulla destra (foto di Ennio Di Biase)
L’intervista fatta a Carmelino Binasco (classe 1947) è molto interessante:
La chiesa del cimitero, come mi dicevano mio padre e mio nonno, è stata costruita intorno al
1200. Nell’attuale chiesa del camposanto mia zia Bice Quaglia fece un vestito a una statua in
legno della Madonna che era a sinistra dell’ingresso. Dall’altare c’erano due angeli antichissimi
che sostenevano due candelabri e che sono stati rubati insieme alla Madonna. Una volta era
più lunga: arrivava dove adesso c’è la croce. C’era il colera e non sapevano dove seppellire i
morti, così hanno tirato giù la facciata della chiesa e hanno fatto una fossa comune. Quelli di
Castello che non avevano il colera per andare ad Arquata evitavano Vocemola. Si fece il voto
che se si debellava il colera si sarebbe fatta la festa di San Bernardo il 20 di agosto. Oggi non
- 138 -
A Vocemola. In occasione delle solenni Quarant’Ore, celebrate come di consueto con grande
pietà e decoro il 24, 25 e 26 aprile, abbiamo potuto ammirare per la prima volta la bella e
linda chiesa illuminata a luce elettrica. Specie all’entrata della processione di chiusura, quando
tutta era accesa, presentava un ottimo aspetto. Congratulazioni vivissime a quella brava popolazione che ha visto realizzarsi il suo ben giusto desiderio170.
Lo stesso sacerdote nel 1926 annunciava:
Mentre scriviamo nella vicina parrocchia di Vocemola due valenti missionari della Congregazione dei Rurali di Genova stanno dettando un corso di spirituali esercizi. Ebbero principio la
sera della domenica 21 ed avranno termine il lunedì 1 marzo. Giunsero i missionari a Rigoroso
col treno delle 13,40 e qui assistettero al vespro ed alla predicazione quaresimale. Accompagnati poi dal nostro R. Prevosto si recarono a Vocemola ove tutta la popolazione fece loro un
entusiastico ricevimento e subito diedero principio alla predicazione cui tutto il paese corrisponde con grande concorso.
Nel 1728 furono regalate alla nostra chiesa, non sappiamo da chi, delle reliquie
parziali di Martiri e precisamente di San Crescentio, San Fausto, Sant’Onorato,
Santa Diletta e Santa Fortunata. I resti furono richiusi in teche sigillate all’interno di reliquari e posizionate al disopra di un altare.
169
170
GOGGI (1973), pag. 437.
FURNO (2015), pag. 87.
- 139 -
Nel 1805, a seguito del crollo del tetto a causa della troppa neve, una lettera
dell’archivio parrocchiale ci informa della necessità di organizzare una colletta
per riparare i danni subiti dai reliquari.
Dal punto di vista architettonico l’edificio è proporzionato ed esteticamente
piacevole: la parte alta del campanile ha otto lati e questa caratteristica è abbastanza comune (foto 67). Infatti il numero 8 è importante nell’arte cristiana
perché sette sono i giorni della Creazione, sette i giorni della settimana e l’ottavo è il giorno in più che non esiste; per Sant’Ambrogio l’ottagono è il simbolo
della Resurrezione. Lo studioso Jacques Le Goff scrive ne La civiltà dell’occidente medievale (Einaudi, Torino, 1981):
In un trattato edito nella Patrologia di Jacques Paul Migne, Ugo di San Vittore esponendo i dati
numerici simbolici secondo le Scritture, spiega il significato delle ineguaglianze tra i numeri
[...] 8 maggiore del 7 è l’eternità dopo la vita terrena - si ritrova l’8 nell’ottagono di Aquisgrana,
di San Vitale a Ravenna, del Santo Sepolcro, della Gerusalemme Celeste
Il numero evoca il doppio quaternario, uno attivo e uno passivo, e riassume
l’equilibrio costruttivo delle forme, dei temperamenti e delle energie cosmiche.
Un otto rovesciato è ancora oggi usato come simbolo dell’infinito. In magia
sono molti i segni ispirati all’8, che è uno dei numeri sacri della tradizione templare, esteso alla forma ottagonale delle loro chiese.
Gli Ordini Militari hanno impiegato - come estremamente simbolica - questa forma semplice
ed evocativa in quanto sintesi rimandante al mistero della morte di Gesù, nonché alla sua vittoria sugli inferi mediante la Sua Risurrezione. Ulteriormente significativo è che Egli venga
processato, morì e fu sepolto entro l’ultimo giorno della creazione genesiaca e risorga proprio
nell’Ottavo giorno, la nostra Domenica (dies domini) il primo dei giorni della settimana ebraica,
quello dopo il Shabat
la simbologia cristiana;
la ripetibilità in ogni situazione facendo semplicemente delle proporzioni.
La chiesa di Vocemola è disposta circa verso est, inclinata di 10-12 gradi verso
sud: non è un caso perché con l’abside ad oriente i fedeli dovevano volgersi
pregando donde sorge il vero Sol Iustitiae. Tale orientamento era dettato anche
da esigenze di luce in edifici generalmente con poche finestre e per una teatralità mistica, ricercata o no, di un raggio di sole che irrompesse nel buio della
messa mattutina. Tra l’altro il sole negli equinozi, in riva al mare, sorge esattamente a est mentre da noi, a causa dell’orizzonte occupato dai monti, è spostato in quel momento verso sud. Ecco che se sull’abside ci fosse una monofora
al centro, il 21 marzo e il 21 settembre molto probabilmente il raggio di luce
cadrebbe in mezzo alla navata proprio per quei 10-12° di disassamento.
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Altare maggiore (di Angelo Allegro)
Nella chiesa di San Bartolomeo di Vocemola permane una parte fondamentale
di storia appartenuta alla chiesa di San Giacomo di Arquata: l’altar maggiore.
Infatti questo artistico altare ha avuto la prima sede, dalla sua costruzione e
per oltre un secolo, nella chiesa del capoluogo, cioè da quando è stato costruito
fino al 1762, anno in cui venne realizzato il nuovo altare ancora presente ai
giorni nostri. Dopo l’installazione del nuovo altare nella chiesa di Arquata,
quello vecchio venne venduto alla parrocchia di Vocemola, come risulta da un
manoscritto nel Libro dei Censi et Legati della Compagnia del SS.mo Sacramento eretta nella chiesa parrocchiale di San Giacomo della Terra di Arquata,
ubicato nell’archivio parrocchiale:
1762 a 29 Xbre
Congregati nella chiesa parrocchiale innanzi al M.to Ill. Rev. Sig. prevosto nella sacristia è stato
deliberato di vendere l’altare vecchio, con che di essere propensi a quelli di Vocemola che ad
altri, quando che altri volevano dare qualche bacadella di più, più presto essere propensi alli
suddetti di Vocemola e hanno dato la facoltà, li signori consiglieri con tutti 6 voti favorevoli,
al signor priore Giovanni Lombardo fu Michele e Domenico Spineto fu Antonio, di passare la
vendita del suddetto altare. Domenico Spineto fu Antonio cancelliere.
Altri simboli che hanno per base l’ottonario sono: la Croce delle Beatitudini,
poi diventata emblema dei Cavalieri di Malta, la Ruota Solare, la Rosa dei Venti,
la Ruota della Fortuna dei Tarocchi. Purtroppo la parte alta del campanile non
è proporzionata perché tra la cupola e la torre vi è una parte che non ha l’altezza coerente con la sua larghezza ma è troppo breve. In genere larghezze e
altezze sono legate tra loro dal rapporto 1,618 (numero aureo), come già detto:
l’altezza cioè si ricava moltiplicando tale numero per la larghezza. Vogliamo
sottolineare come molti monumenti antichi siano stati costruiti con le proporzioni dettate da Φ=1,618 e citiamo per tutti il Partenone di Atene. Riteniamo
che i costruttori progettassero le strutture in base ad alcuni fattori:
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l’estetica (e il rettangolo aureo “piace” di più);
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la statica: le misure proporzionate in base all’esperienza evidentemente davano maggior affidamento;
La realizzazione di questo altar maggiore nella chiesa di San Giacomo era ini-
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1763 . 19 gennaio Arquata
Li suddetti signori Gio Lombardi e Domenico Spineto hanno venduto il suddetto altare alli
Deputati siano Agenti di Vocemola ciò in seguito della facoltà come sopra confermate per lire
cinquecento £ 500 di Genova da dover pagarsi in tante rate eguali a riguardo di lire cinquanta
moneta suddetta all’anno dovendo versare la prima rata a tutto novembre prossimo venturo
e così di anno in anno e di novembre in novembre fino all’intera soddisfazione e paganti di
detto prezzo ed invero in pace e senza […] dal notaio Francesco Quaglia.
ziato nel 1637, dopo che era stato costruito il nuovo presbiterio e il coro, con
l’alzata del livello del pavimento per dare la possibilità di creare la cripta sottostante, voluta dal primo marchese di Arquata Filippo Spinola. La finitura e
l’abbellimento di questo altare durò qualche decennio, tanto che in un manoscritto d’archivio del 1651 troviamo nota di come nell’anno suddetto la Compagnia del SS.mo Sacramento ha fatto fabbricare all’Altar Maggiore della chiesa
Preposita di San Giacomo la Custodia con gradini e altri finimenti di marmo
bianco con intagli di lastre mischie di varii colori, pagati allo scultore Remigio
in monete di Genova £ 222. I lavori di finitura all’altare si protrassero ancora
nel tempo, tanto che nel suddetto archivio parrocchiale è segnalata una nota
nel 1678:
fatto il tabernacolo di marmo e mischi, allungato le banchette ossia scalini dai mastri Manfredo
Spineto e Francesco Casella, per una spesa di £ 570 monete di Genova.
Nell’archivio parrocchiale di Vocemola c’è una nota che parla dell’acquisto di
questo altare, nel Libro di conti della Chiesa-Libro dei Conti della Compagnia
del SS. Sacramento, cominciando dall’anno 1749. Potrebbe esserci qualche elemento di notizia in più.
Foto 42: padre Gianmaria Semino O.F.M.,
Ordine dei Frati Minori
(dalla collezione di Marisa Semino)
tolomeo di Vocemola. Il rettore don Giovanni Mollia lo ha confessato e dato il
santo viatico. Fu sepolto nella cappella del SS. Rosario di questa chiesa parrocchiale con la licenza e il decreto superiore.
10 dicembre 1713 – Francesco Maria di Negri, di 80 anni, fu sepolto nella
chiesa vecchia nella cappella …
19 febbraio 1779 – Il giorno 17 del mese, alla terza ora della notte, ha reso
l’anima a Dio in S.M.E. il Rev. Carlo Domenico Carrega, rettore di questa parrocchia, dopo essersi confessato dal prevosto di Arquata Niccolò Serra e avuto
il santo viatico, l’olio santo e benedizione papale. Uomo di grande vigilanza e
di 66 anni di età, è stato rettore di questa parrocchia per oltre 30 anni. Il suo
corpo è stato sepolto nel monumento della vecchia chiesa parrocchiale, ottenuta la licenza dalla Rev. Curia Dertonense con decreto del giorno 18.
5 luglio 1780 – D. Paola Fegini, nata Albergatori e moglie di D. Gio Battista Fegini di Arquata, di circa 65 anni, madre del nuovo rettore, ha reso l’anima a
Dio in S.M.E. Fu confessata dal Rev. Francesco Brugna di Arquata il giorno 3 e
da me rettore Marcello Fegini il giorno 4 fu data l’eucarestia e nella notte seguente fu impartita l’estrema unzione e la benedizione papale. Oggi il suo
corpo fu sepolto e sotterrato nel pavimento della vecchia chiesa parrocchiale,
dopo averlo rotto e poi rifatto, con la licenza della veneranda Curia di Tortona
con decreto del giorno 4 del mese.
18 ottobre 1792 – Il Rev. D. Bartolomeo Ponta di Carlo, di 38 anni, è morto in
casa propria munito del sacramento della penitenza, eucarestia, estrema unzione e benedizione papale. Il suo corpo è stato sepolto nella vecchia chiesa
di San Bartolomeo, con la licenza del vescovo.
27 dicembre 1829 – Il Rev. D. Marcellino Fegini, di 82 anni, rettore di questa
chiesa parrocchiale, molto vigilante in vita, ha reso l’anima a Dio in S. M.E. a
metà della notte nella casa parrocchiale. Era stato confessato dal cappellano
Michele Federico Pessino di Arquata e avuto l’estrema unzione e la benedizione papale. Il suo corpo fu sepolto nel monumento della vecchia chiesa, col
conseguente rifacimento del pavimento, con il decreto e licenza della Rev.
Curia.
Alcuni rettori e sacerdoti di Vocemola
Sepolture nell’antica chiesa di San Bartolomeo situata nel cimitero
(di Angelo Allegro)
2 febbraio 1671 – Ha reso l’anima a Dio in S. M. E. (Sancta Mater Ecclesia) Domenico Andrea Ferraris, di 56 anni, abitante in questa parrocchia di San Bar- 142 -
Ecco l’elenco, incompleto, dei rettori:
1557 Oppicello de Oppicelli da Grondona
1560 Giovanni de Ambrosini da Calvi in Corsica
1576 fr. Giacomo, domenicano di Francavilla171
171
TACCHELLA (2000), pag. 141.
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1584 Hippolito Pancaldo
1594 Domenico Merlano
1600 – 1602 non vi è curato
1613 Felice Fegino
1621 Francesco Roato
1661 Giacomo Moglia della Diocesi di Bobbio
1703 Gio Mosso
Citato nel 1726 e 1743 Marc’Antonio Allegrino di Dernice
1779 Carlo Domenico Carrega
Dal 1779 al 1829 Marcello Fegini
Dal 1830 al 1845 Antonio Magrassi del luogo di Spineto
Citato nel 1846 Natale Bovone (economo parrocchiale)
Dal 1846 al 1865 Francesco Campi
Nel 1850 Luigi Ponta (cassiere)
Nel 1878 Francesco Aloisio (reggente)
Nel 1883 Pietro Lasagna (reggente)
Citato nel 1887 e 1898 Paolo Colombo
Nel 1897 Lorenzo Assanelli (reggente)
Nel 1899 Eugenio Pasquale (reggente)
Dal 1900 al 1906 Pietro Merlini, sepolto nella chiesa vecchia
Dal 1907 al 1908 Giuseppe Busseti (reggente)
Dal 1908 al 1926 Adolfo Ferretti
Dal 1927 al 1933 Giuseppe Robecchi
Nel 1933 Mario Catto (reggente)
Dal 1934 al 1939 Pietro Mazza
Dal 1939 al 1941 Francesco Gamaleri
Dal 1941 al 1944 G.B. Vaccari (reggente)
Dal 1944 al 1969 Paolo Perotti
Dal 1960 al 2007 Giuseppe Pesce
Tra gli abitanti di Vocemola che scelsero l’abito talare, citiamo per primo padre
Gianmaria Semino dell’Ordine dei Frati Minori (O.F.M.), nato il 4 marzo 1826
e morto a Recco l’11 maggio 1905, che si fece frate nel convento di Valle a Gavi
e fu mandato a Recco, dove divenne priore. Morì mentre curava i malati di colera. Egli è sepolto nella chiesetta del cimitero.
Bruno Semino, nella sua intervista, ci fornisce una notizia molto interessante:
padre Marco Giovanni Ponta, che abbiamo già incontrato, nato a Vocemola nel
1799 e morto a Casale Monferrato nel 1850, pubblicò uno studio dal titolo
Orologio di Dante Allighieri (sic) per conoscere con facilità e prontezza la posizione dei segni del zodiaco, le fasi diurne e le ore indicate e descritte nella Divina
Commedia immaginato e dichiarato da Marco Giovanni Ponta. Nel 1892 troviamo un’altra edizione dal titolo Orologio Dantesco e tavola cosmografica. Riportiamo un passo tratto dalla Nuova Serie della Rivista Europea, anno I,
semestre II, stampata a Milano nel 1843, in cui vengono citati gli “illustri italiani” 172:
L’Orologio di Dante Alighieri serve a conoscere con facilità e prontezza la posizione de’ segni
dello zodiaco, le fasi diurne, e le ore indicate e descritte nella Divina Commedia, immaginato
e dichiarato da Marco Giovanni Ponta, procuratore generale della Congregazione Somasca e
rettore del Collegio Clementino di Roma. Da prima vi sono descritti gli elementi dell’orologio,
e finalmente la regola per la soluzione de’ quesiti orari. Vengono poi gli esempi tratti da’ passi
della Divina Commedia, i quali esempi sono nel novero di XXIII; e l’intero lavoro di 38 pagine
in ottavo grande, termina coll’itinerario di Dante pei tre regni spirituali. Noi non facciamo che
annunciarlo, senza entrare in disamina, sia perché non è cosa da noi, sia perché, quand’anche
ci credessimo da tanto, ciò ne porterebbe troppo in lungo. Diremo bensì che ci pare un lavoro
di molto studio, di molta pazienza, che fa piena fede del quanto debba avervi sudato sopra il
suo autore per condurlo a fine.
Padre Marco Giovanni fu educato a Novi e si fece somasco nel 1820. Occupò la
cattedra di etica al liceo di Genova e quindi di matematica e astronomia nel
collegio dei Somaschi a Lugano dove fu rettore. Autore di saggi sulla letteratura
del Trecento, in particolare di Dante, Petrarca e Boccaccio, diede alle stampe
Foto 43: prima Messa di Don Giuseppe (Pino) Pesce (sulla destra), 30 giugno 1946. Alla sinistra
Don Giuseppe Rolandino, arciprete di Arquata Scrivia (dalla collezione di Tullio Semino)
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Da https://books.google.it. Il libro è acquistabile su Amazon in una copia anastatica dell’edizione 1846.
172
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uno studio sul Canzoniere petrarchesco.
Il suo ritratto, dovuto a Vogel di Volgelstein, si trova presso la pinacoteca di
Dresda.
Abbiamo poi Bartolomeo Ponta di Lorenzo, citato in una visita pastorale del
1759, e Pasquale Bagnasco, nato nel 1875 e morto probabilmente di polmonite
a 24 anni, quando gli mancava un anno all’ordinazione sacerdotale.
Particolare attenzione va a don Paolo Ponta per la sua arte pittorica. Nel 1932
prese lezioni di pittura a Genova. Il 7 novembre 1971 su Il Popolo di Tortona
vi era la recensione di una mostra personale di cui riportiamo alcuni passi:
É una rassegna intonata a umiltà, perché presenta paesaggi comuni: campi, casette, stagioni
e nature morte: fiori, frutta, cacciagione, oggetti casalinghi; il tutto però ravvivato da una luminosità diffusa, da una poesia d’insieme.
fratellanza, non ignoto alle corporazioni (collegia) pagane, ma sviluppato specialmente dal
cristianesimo (Matteo, XVIII, 20), e sull’amore di Dio; fratellanza e amore di Dio sono alla base
del monachismo cristiano. Tracce di confraternite si trovano in Francia nel secolo VII; i capitoli
di Incmaro di Reims (852), esortano i parroci a reprimere gli abusi delle confraternite. In Italia
alcuni le fanno risalire al 1260; altri al 1144; autori più recenti dànno per sicura la loro esistenza al secolo X; dal secolo XII in poi molte confraternite furono erette. Molti di tali enti derivarono dal movimento mistico dei flagellanti, dei battuti, dei disciplinati che, per pacificare
guelfi e ghibellini, passavano di terra in terra vestiti di sacco, predicando concordia e penitenza, chiamati, a seconda delle fogge di vestito, bianchi, capuciati, ecc. Molti si appoggiarono
ai nuovi ordini mendicanti. Tali sodalizî apportarono bene alla società, provocando la fusione
delle varie classi, l’affratellarsi degli uomini per la tutela e gli aiuti reciproci, promovendo
opere di carità e di assistenza, specialmente ospedaliera, e favorendo anche l’opera di assistenza verso gli stranieri. La confraternita, associazione laica sotto forma religiosa, contribuì
a ridestare la religione, quando questa era per affievolirsi, e tenne vivo il sentimento di carità
fraterna.
Nacque a Vocemola nel 1908 e morì nel 1999: fu parroco a Borlasca, ad Agneto
e anche a Sarizzola, frazione di Costa Vescovato, e oltre che pittore era anche
appassionato di caccia.
Quando era ad Agneto (1936 – 1944) alcuni parrocchiani di Vocemola andarono a trovarlo a piedi. Nel 1983 venne festeggiato il suo 50° di sacerdozio nel
Circolo con rinfresco e recita.
In paese lo ricordano come uomo umile, molto quotato per le sue nature
morte, in particolare funghi e paioli. Straordinaria la sua capacità di riprodurre
colori e riflessi degli oggetti in rame.
Foto 44: un quadro di Don Paolo Ponta
(dalla collezione di Marco Semino)
Confraternite
Dai documenti si evince la presenza di ben tre Confraternite Nel 1576 il Vescovo di Famagosta, Gerolamo Ragazzoni, esortava i vocemolesi a istituire la
Confraternita del SS. Sacramento poi citata nel 1661. In quell’anno per la visita
pastorale del delegato del vescolo Carlo Settala viene menzionata la Contraternita del SS. Rosario, così pure in un documento del 1749 in cui si attesta
l’elezione a priore di Carlo Ponta di Stefano, mentre il precedente era Giulio
Quaglia. Nell’archivio parrocchiale troviamo il libro della Confraternita cappata
di San Bartolomeo. Dal frontespizio ricaviamo che vi erano iscritti confratelli
e consorelle ed era «aggregata alla Veneranda Confraternita dei SS. Lorenzo e
Damaso della città di Roma dal 1765, come consta dal Libro vecchio 1769». Sempre nel 1749 in detta Confraternita furono eletti massari Antonio Lugano e
Domenico Quaglia fu Bartolomeo.
Ma cosa sono le Confraternite? Lo ricaviamo dall’Enciclopedia Italiana:
Difficile è rintracciare le origini storiche di tali sodalizî. Essi si fondavano sul sentimento di
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Tradizioni e memorie
Interviste
«Le stagioni non sono più quelle di una volta». Sembra l’inizio di un dialogo intorno al fuoco con gli anziani della famiglia e invece è il commento che con
Tullio Semino abbiamo fatto mentre ci dirigevamo verso la casa di sua madre.
Era una sera di primavera e un vento freddo agitava i nervi da più giorni. Un
vento che quando cessa, o si è in un riparo e fa caldo, altrimenti ci vuole la
giacca. Andavamo a fare le prime interviste per questo libro; i nostri interlocutori non erano a disagio, forse perché di questi tempi il registratore non fa
più paura, e così la conversazione scivolava via tranquilla e piacevole.
Anita Botti, classe 1937, fu costretta dalle vicende della sua vita ad iniziare
l’intervista con la morte del padre nel 1938, quando per la sua generosità nell’aiutare a disincagliare un auto insieme ai proprietari ne fu travolto. I tempi
difficili della guerra si sommarono così alla mancanza del principale sostegno
della famiglia.
Per aiutare mia madre che lavorava alla iuta di Arquata andavo a pascolare le pecore (a scoghe,
in dialetto) degli altri: portavo a casa un cestino di patate. Oppure con mia sorella spigolavamo
in qualche campo e facevamo quel poco grano che serviva all’unico pasto della giornata.
Anche lei andò come tante giovani di Vocemola a lavorare alla fabbrica della
iuta. Vi erano più di 1.000 operai che abitavano anche in Val Borbera: partiva
insieme agli altri di Vocemola e a piedi, con ogni condizione atmosferica, attraverso la passerella giungeva nel capoluogo. Il poco tempo libero, non solo
per lei, era dedicato per la maggior parte alle funzioni religiose. Ridendo ci
raccontò di quando la Madonna Pellegrina nel 1949 arrivò in paese: era alta
due metri e oggi è a Cella di Varzi. Girò tutte le parrocchie della diocesi e a Vocemola prepararono delle rappresentazioni per arricchire la processione.
Maria Luisa (Marisa) Semino, classe 1934, nell’occasione di quella visita era
vestita da Madonna e la fecero salire su un tavolo. In un’altra rappresentazione
Anita faceva la parte di uno dei pastorelli di Fatima, Francisca, Lucia e Giacinto,
con tanto di pecore intorno:
Eravamo inginocchiati sul piazzale della chiesa e quando le pecore finirono la poca erba che
gli avevamo dato ci trascinarono sul terreno rugoso.
Durante la serata furono inscenate tre rappresentazioni:
nella via principale l’Annunciazione dell’Angelo a Maria con Elena Raf- 148 -
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faghello e Anna Biancheri;
in Via della Fontana l’Apparizione di Lourdes con Marisa Semino e
Laura Semino;
in piazza l’Apparizione di Fatima con Caterina Merlo, Anita Botti, Pia
Palci e Gianfranco Quaglia.
Era comunque una festa e faceva dimenticare la necessità di andare a prendere
i gùrin per fare ceste (vimini, salix viminalis) nel greto dello Scrivia al fine di
racimolare due soldi per i vestiti.
All’inizio del ponte, lato Vocemola, vi è una nicchia con la riproduzione della
Madonna Pellegrina: si erge quasi a monito per il torrente, le cui piene hanno
sempre costituito un pericolo per gli abitanti.
Una lapide specifica che fu voluta dalla gioventù femminile di Azione Cattolica
di Vocemola nell’anno Mariano 1954 come testimonianza di gratitudine e
pegno di protezione.
Tra le offerte per la sua costruzione vi furono anche quelle ottenute dalla vendita dei vimini che i giovani raccoglievano e portavano a fasci in paese e le
donne anziane scortecciavano, facevano essiccare e vendevano. Eppure questa
statua fu rubata da ignoti e poi ritrovata, si dice, nel giardino di un maresciallo
di Stazzano.
In seguito a questo episodio venne stampata un’immagine e sul retro vi è la
seguente preghiera:
Madonna Pellegrina
di Vocemola
O Maria, che provasti l’esilio
e fosti trafugata da mani ignote,
ritorna alle nostre case,
proteggi i tuoi devoti
e libera le nostre famiglie
da ogni male.
Sii per noi tutti la mamma
provvidente e previdente.
Veglia sul nostro cammino.
Proteggi i ragazzi e i giovani.
Entra pellegrina nelle nostre case
e fermati con noi a mangiare
il pane quotidiano,
sii sempre la nostra gradita ospite.
11 – 8 – 2005
30 – 8 – 2005
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Foto 45: La Madonna Pellegrina sotto Castè, località Passè nel 1949. I sacerdoti erano da sinistra
Don Vaccari di Rigoroso e Don Paolo Perotti. Chierichetti erano Mingo Ponta e Mario Lugano.
Portavano la cassa da sinistra: Milio Semino, Luigi Lugano, Gino Semino, Giuseppe Palci, Stefano
Do, Mario Binasco (dalla raccolta di Marisa Semino)
Foto 46: La Madonna Pellegrina davanti alla chiesa nel 1949 (dalla raccolta di Marisa Semino)
Anche le Rogazioni erano motivo di divertimento per i ragazzi: il primo giorno
si partiva alle sei di mattina in processione e si arrivava alla località Ciappussu;
il giorno seguente facendo un anello si andava verso Castè e alla strada Tra- 151 -
e, rivolgendosi ai punti cardinali, recitava le invocazioni:
A fulgure et tempestate
A flagello terraemotus
A peste, fame et bello
Ut fructus terrae dare et conservare digneris
Te rogamus, audi nos!
Ut pacem nobis dones.
Te rogamus audi nos!
Foto 47: La Madonna Pellegrina
scende da Castè nel 1949. Erano
presenti a partire da destra: Mario
Semino, Federico Ponta, Giuseppe
Palci, Luigi Semino, Paolo Ansaldi,
Luigi Lugano, Angelo Montecucco
(dalla raccolta di Marisa Semino)
a cui la popolazione rispondeva Libera nos Domine.
Continua Anita: «vedevamo quelli di Rigoroso e quelli di Arquata», confermando
il carattere comunitario di una funzione allora sentita e ritenuta necessaria
per preservare le coltivazioni. A questo proposito Marisa accenna alla battitura
del grano:
Mio zio faceva 50 sacchi di grano perché aveva molte terre. Ammucchiavamo il grano qui dietro sull’aia e poi arrivava la macchina di Ratto di Savignone e si lavorava tutto il giorno.
versa, quindi si scendeva nel Rio San Bartolomeo per raggiungere Campeghelle, mentre il terzo giorno si rimaneva in piazza. Ricordiamo che le Rogazioni minori si svolgevano per tre mattine consecutive, nei giorni antecedenti
la festa dell'Ascensione: lunedì, martedì e mercoledì (in quanto l'Ascensione
cade sempre di giovedì ed è legata alla Pasqua).
Ogni parrocchia aveva un percorso, che prendeva inizio già alle 5-6 del mattino, e che si poteva snodare per diversi chilometri, studiato in modo tale da
poter vedere tutto il territorio della parrocchia stessa, sia pure a distanza. Il
punto di partenza era sempre la chiesa ma ogni giorno veniva seguito un itinerario diverso che giungeva fino ad un punto prestabilito, ad esempio un
luogo significativo del territorio in mezzo ai campi (spesso segnalato da una
croce o una cappelletta).
In testa al corteo stavano le Confraternite maschili con le loro insegne, seguiva
quindi il clero, dietro le donne con i bambini e in fondo gli uomini. Il sacerdote,
che indossava paramenti viola, presiedeva il rito.
Non si accendeva il cero pasquale e durante il cammino si recitava una preghiera di gruppo, il reverendo intonava le litanie dei santi e non appena si giungeva nei luoghi prestabiliti la processione si fermava, il chierico alzava la croce
Una piccola fonte economica per la chiesa era rappresentata dalla vendita
all’incanto di gerle di letame sul sagrato dopo la Messa: chi ne aveva lo forniva
per quelli che non tenevano animali. A differenza della letteratura nostalgica,
di cui si è abusato negli ultimi anni, non si ricordano momenti di festa alla fine
delle faticose giornate contadine, solo stanchezza.
Bruno Semino, classe 1938, ricorda l’oratorio con il calciobalilla, il ping – pong
e il Monopoli. Bisogna sottolineare che l’oratorio a Vocemola non è una chiesa
privata ad uso preghiera, come troviamo in tutta l’alta Valle Scrivia, ma un edificio ancora oggi fatto costruire da don Paolo Perotti nel dopoguerra con la
collaborazione di tutti i parrocchiani, «non aveva neanche un soldo quando ha
cominciato».
I divertimenti erano associati anche ai bagni nello Scrivia: i nostri intervistati
ricordano il Lago di Bertolin, appannaggio di quelli di Rigoroso, quelli dei Filagni, Massè e quello delle Rose. Poi c’era la squadra di calcio, con la maglia
della Juventus, che vinse anche una coppa: il campo su cui si giocava dopo il
lavoro o lo studio era nel greto del torrente. Bruno dopo le medie frequentò
l’Istituto “Calcinara” a Sestri Ponente, e ciò significava quasi due ore di viaggio
all’andata e due ore al ritorno; poi lavorò a Genova nelle riparazioni navali e
quindi andò a militare negli alpini, 4° reggimento a Brà, Borgo San Dalmazzo
e Boves. Quando ritornò erano anni di dispute politiche accese: se ne discuteva
in piazza tra comunisti e democristiani ma non vi furono mai intolleranze o
rancori.
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Un vocemolese, nato nel 1943, ricorda quelli che cantarono nella squadra di
Isola del Cantone:
… partivano alla sera, passavano dal Rio della Saliera, sul ponte della camionale dove incontravano uno di Pietrabissara con cui si recavano a Isola alle prove. Andavano in tournée anche
in Riviera.
Nata nel 1922, la squadra di canto popolare era costituita da dilettanti che nel
1924 incisero per la Odeon una raccolta di canzoni genovesi. Nel 1929 conquistarono il primo posto al campionato indetto tra i paesi della Valle Scrivia
e nel 1930 andarono in tournée per quattro mesi. Agli inizi del 1936 parteciparono ad un concorso radiofonico e ad aprile 1939 la squadra ricevette un
gagliardetto d’onore. Nel 1941 divenne presidente Emanuele Quaglia fino allo
scioglimento nel 1966. In totale i canterini incisero duecento canzoni per case
discografiche come la Cetra o la Voce del Padrone..
Foto 48: i canterini isolesi nel 1923.
Da sinistra Remo Vitali,
Bruno Zuccarino, Agostino Quaglia,
Giovanni Conti, Gino Mirabelli,
Pietro Gabba, Stefano Ferretto e altri
(dalla raccolta del Centro Culturale
di Isola del Cantone).
Riprendiamo l’intervista a Mario Emilio Semino, mancato nel 2010, che abbiamo già incontrato a proposito della seconda guerra mondiale:
A 12 anni lavoravo già con mio padre che faceva il muratore. A 14 anni è arrivata la camionale
e a 18 con lui faccio la casa cantoniera a Pietrabissara. In quel periodo mio fratello era a militare a Genova, alla caserma Gavoglio del Lagaccio, dove facevano proiettili. Mi procurò un
posto da lavoratore civile e ci stetti 3 anni circa. Prendevo 1,60 lire all’ora ma il treno ne costava 16 alla settimana. Da Vocemola a Rigoroso (anche con i trampoli per l’acqua) ci mettevo
dieci minuti. Ho sempre avuto la passione del calcio e una volta a Vignole mi sono rotto uno
zigomo. Avevamo della campagna e pastasciutta e minestrone non sono mai mancati mentre
nella scuola di Arquata c’era la mensa.
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Emilio ha saputo darsi da fare e andò a lavorare per 24 anni alla Subalpina
dove arrivò a essere impiegato e ad andare in pensione nel 1971. Erano 200
operai. Allora Arquata aveva la fabbrica della iuta, la fornace di Rosi, la Montecatini e l’Asborno. Sui divertimenti accenna al ballo: si andava alla domenica
in bicicletta a Serravalle o Novi, ma più spesso a Libarna dove c’era un ballo
pubblico ma le ragazze i genitori non le mollavano! In pullman andavano fino
al Lavagello, dove vide il Folk Garbagnolo con Delio Gialli e Bruno Lazzari che
vi suonavano. Invece a Vocemola per divertirsi bastava una fisarmonica e una
stanza.
Rettorato
Giovanni Agusti era proprietario di Rettorato all’inizio del ‘900. Il padre Giuseppe, di Montanesi, aveva preso in appalto il lotto della ferrovia tra Prarolo e
la galleria di Pietrabissara. Tutte le estati ospitava amici e parenti per mangiare
la polenta. Natale Rivara173 racconta:
I suoi invitati per quella colazione erano al minimo 50. C’erano tutti i villeggianti di Arquata,
cioè i pezzi grossi di Genova e tanti tanti amici e parenti ricchi e poveri che lui colla sua bonomia ed il suo ascendente di garibaldino galantuomo, riusciva a fare avvicinare gli uni agli altri.
Si mangiava la polenta, che era sempre squisita, e poi il cuoco Pietro Fornari, colle fantesche
di tutte le famiglie, portava in tavola dei piatti di polleria, lepri ed arrosti che pareva di essere
ad un banchetto di Re Alboino … Gli uomini che al mattino erano andati a caccia, si facevano
fotografare con le lepri e le pernici, perché i fagiani non usavano ancora, e non abitavano i nostri monti. C’era sempre il comm. Moresco presidente della Camera di Commercio, l’avv. Caveri,
l’on. Gallino, il prof. Macaggi174, il Procuratore del Re prof. Brengola, l’avv. Malerba ecc, mio
Padre con tutti i cacciatori di Isola suoi amici … Il più contento era lo Zio, che per organizzare
una festa campestre, che oggi avrebbe un valore di ottocentomila lire al minimo, spendeva tra
vino, derrate e servizio forse mille lire (ricordiamo che Rivara scriveva nel 1971, N.d.R.).
Questa bella villa doveva essere stata in antichità una delle proprietà dei monaci di Precipiano e si narra che Napoleone la passò a Cornelia Spinola. Sappiamo che poi fu di un Caruso e che la stalla venne disegnata dall’architetto
del Teatro “Carlo Felice” di Genova. Passò a Ada Aragosta vedova Bosco che la
vendette alla famiglia Garrone: da questi fu ceduta nel 1985 a Lino Gallino.
RIVARA (1971).
Luigi Maccaggi (1859 – 1923), nato ad Arquata, docente all’Università di Genova
e chirurgo primario onorario dell’Ospedale di San Bartolomeo in Arquata (TACCHELLa,
1984, pag. 255).
173
174
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Il Circolo A.C.L.I. e le manifestazioni
Il Circolo A.C.L.I. nasce ufficialmente nel 1957 ma la storia inizia prima, nel
1952 quando la demolizione del cavalcavia ferroviario in Via Roma fornì parte
dei mattoni per la costruzione del Circolo. Tra l’altro dicono alcuni che durante
la demolizione rimase ferito un operaio dallo scoppio di una mina.
Sotto quel cavalcavia passava la linea ferroviaria per Torino e la stazione era
l’attuale sede della Cassa di Risparmio di Genova. Questo piccolo ponte fu, tra
l’altro, costruito a tre arcate perché quella verso Scrivia era prevista per il
Terzo Valico, come a Rigoroso si vede ancora il sottopasso, mai utilizzato, della
linea diretta Ronco – Arquata. Perché la ferrovia fu spostata più a valle nel
1922? Perché probabilmente a seguito, dell’inaugurazione della Tortona – Arquata via Stazzano nel 1916, sopravvenne la necessità di uno scalo merci e di
un numero di binari di corsa maggiore. Inoltre i binari (in quella che oggi è
Via Roma) forse erano ristretti tra edifici civili e industriali costruiti dopo il
1851, anno della realizzazione della ferrovia.
Per maggior chiarezza diamo una sintesi dell’inaugurazione dei tronchi che ci
interessano:
Novi Ligure – Arquata Scrivia
10 febbraio 1851;
Arquata Scrivia – Busalla
10 febbraio 1853;
Voghera – Tortona – Novi Ligure
25 gennaio 1858;
Milano – Pavia
10 maggio 1862;
15 novembre 1867;
Pavia – Voghera175
Ronco – Mignanego – Sampierdarena 15 aprile 1889;
20 maggio 1912;
Bivio – Busalla – Bivio Ronco176
Tortona – Arquata Scrivia (diretta)
1 ottobre 1916;
Arquata Scrivia – Ronco (diretta)
1 giugno 1922.
Nell’archivio della nostra Parrocchia vi sono numerosi (e interessanti) manifesti e documenti che riguardano questa istituzione di volontari. Le notizie che
seguono hanno la fonte nelle cartelle ivi contenute. Citiamo come esempio un
foglio dattiloscritto con le firme dei campioni mondiale di bocce del 1967. Il
25 settembre 1968 furono ospiti a Vocemola e giocarono alcune partite nei
campi da gioco del Circolo: vi è la fotografia autografata di Umberto Granaglia
Pavia fece parte del Lombardo – Veneto sino alla fine della seconda guerra di indipendenza, mentre Voghera era nel Regno di Sardegna. Per questo la linea per Milano fu terminata solo nel 1867.
176
Ricordiamo che la linea Torino – Genova a Ronco passava sulla sponda destra
dello Scrivia con una piccola stazione dove attraversava il torrente nella parte sud
del paese. Per costruire l’attuale stazione, anche in previsione dell’apertura della
linea diretta Ronco – Arquata, era necessario questo raccordo.
175
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Foto 49: il ponte delle
Ferrovie dello Stato in
Via Roma demolito
nel 1952
(dalla collezione Tullio
Semino)
(1931 – 2008). Il suo palmarès conta 13 Campionati Mondiali, 12 Europei e
46 Italiani.
Importante fu anche il Concorso “Una voce da lanciare”. Nel 1967 i partecipanti
furono:
Damiano Mazzacaro di Arquata con la canzone Estate senza te;
Olimpia Daglio di Arquata con L’ora dell’amore;
Nicoletto Loredana di Novi Ligure con Come un ragazzo;
Renato Lasagna di Arquata con Casa bianca;
Medy Gualco di Ca’ de Piaggio;
Maurizio Quaglia di Vocemola con Bonny and Clyde;
Fausto Daglio di Arquata con Canzone per te;
Maria Scanzo di Arquata con Canzone per te;
Carlo Catanzaro di Arquata con Deborah;
Antonio Scanzo di Arquata con Canzone;
Chico (Carlo) di Arquata con Bonny and Clyde.
Risultarono iscritti anche dei cantanti juniores e alcuni complessi come I pop
di Tortona, The Free Boys di Arquata, i Red Hot Peppers di Serravalle e i The
Merry Go Round sempre di Serravalle. Altri vocemolesi iscritti furono Antonio
Gialli, Ubaldo Pinceti e Bruno Lazzari.
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si era a militare o emigrati. Il ritratto veniva confezionato da un professionista
e il soggetto era parte passiva (foto 52). Dal ritratto si passò alla foto di gruppo
con i primi apparecchi rudimentali che richiedevano tempi di posa piuttosto
lunghi e un po’ di fortuna affinché si impressionasse qualcosa. Ecco che allora
i gruppi in gita, le processioni, la leva militare diventano parte integrante del
bagaglio storico di una famiglia. In queste figure ingiallite molte volte non riconosciamo più le persone ritratte ma cogliamo le atmosfere: i vestiti, i baffi,
l’atteggiamento il più delle volte serio, lo sfondo di campi puliti e ordinati, le
case in cui era freddo d’inverno e vi si conviveva con gli animali della stalla.
Foto 50: Concorso “Una voce da lanciare”. Vocemola 15, 22 e 29 aprile 1967. 1° classificato il complesso “Le anime nere” con Delio Gialli, che si vede sulla sinistra nella foto (dalla raccolta di Marisa
Semino)
Foto 52: il classico ritratto da inviare
ai parenti o da incorniciare per sé.
In questo c’è Celeste Quaglia con i figli
Luigi (Gigi) e Anna Semino nel 1915
(dalla raccolta di Marisa Semino)
Le foto sono parte integrante della storia locale e Vocemola non è da meno:
lungo tutto questo libro ne abbiamo fornito un esempio.
Le prime foto popolari servirono a trasmettere la propria immagine quando
Nella fotografia 55 c’è tutto questo, più una bandiera italiana con lo stemma
della Società Filarmonica Vocemolese il cui statuto è stato pubblicato nel 1915.
Da un particolare a lato della bandiera vi è una data scritta forse sul labaro:
sembra 11-5-1818. Che sia l’anno di fondazione? Questa istantanea dovrebbe
essere degli anni ’20 o ‘30 e quella bandiera è figlia di tempi in cui il patriottismo era ancora sentito. Oggi non ne troviamo di certo nelle troppe foto scattate
in continuazione e in quei curiosi selfie.
Proviamo ad immaginare i retroscena di quella giornata in cui la Società Filarmonica avrà festeggiato qualcosa o si sarà esibita di fronte ai paesani. Ovviamente ci sarà stato un pranzo o un rinfresco, i cani scorazzavano tra i piedi
della gente, le donne saranno state impegnate a spazzolare i vestiti buoni, i
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Foto 51: Concorso “Una voce da lanciare”. Vocemola 15, 22 e 29 aprile 1967. Il bambino è Bruno
Lazzari e dietro a lui Delio Gialli con il sindaco Aldo Mairano di Arquata (dalla raccolta di Marisa
Semino)
Vita di tutti i giorni
bambini erano invece eccitati da un avvenimento raro. Poi, probabilmente nel
pomeriggio, gli organizzatori avranno distolto i compaesani dall’ultimo bicchiere e interrotto chi giocava a carte: era il momento dello scatto. Qualcuno
sarà stato a disagio ma poi, dopo vari tentativi, la macchina segnò la fine di
quel momento di vita collettiva e l’inizio di una storia che dura fino ad oggi.
Quante copie ne saranno state fatte? Lì c’erano quasi tutti gli uomini di Vocemola e qualcuna di queste immagini sarà partita alla volta dei parenti di Genova, Argentina o Stati Uniti. Man mano quei visi sono spariti nel nulla, forse
li ritroviamo sulle lapidi del camposanto ma i figli e i nipoti hanno conservato
gelosamente in un cassetto questo evento e oggi lo mettono a disposizione di
tutti.
É un patrimonio come la chiesa con le sue statue e gli affreschi, i castelli, i toponimi e le tradizioni.
In epoca più recente le foto sono state protagoniste delle gite famigliari: la
generazione degli anni ’50 e ’60 ha ancora risentito delle tradizionali
Pasquette, dei pellegrinaggi, delle escursioni sui monti vicini per narcisi o solo
per evadere dal paese. Si partiva con un abbigliamento molto diverso
dall’odierno: basti vedere la foto 64 con Gian Semino in giacca e cravatta. Ma
non è solo questa la diversità: all’epoca i sentieri erano puliti e intorno alle
cascine non vi era la foresta. Era agevole arrivare ad una chiesetta o a un
campo non invaso da spine insieme a persone anziane e ai bambini. Le famiglie
si portavano in logori zaini o in cestini tutto l’occorrente, ma nei posti più
frequentati c’erano addirittura i venditori di mente, di bibite e, più raramente,
di gelati. Vocemola era anche meta degli arquatesi nel giorno delle Quarantore,
la seconda domenica dopo Pasqua, quando venivano all’osteria a mangiare la
torta di riso, piatto tipico del nostro paese.
I giorni erano scanditi dai lavori in campagna: in estate non si aveva il tempo
di riposare a causa del fieno, dell’orto, del grano o del granturco (che oggi si
chiama mais), e poi patate, stalla, vendemmia. La battitura del grano era una
festa: i covoni venivano portati in un’aia dove poi arrivava il trattore a testa
calda con il seguito di marchingegni (foto 65).
Non ci si fermava finché tutto non era finito e la serata era all’insegna della
festa perché avere quei semi nel granaio di casa significava affrontare l’inverno
con meno preoccupazione. In autunno iniziava il taglio dei boschi cedui che le
condizioni del tempo interrompevano nei mesi più freddi.
Si proseguiva a primavera e si portava giù la legna con la lesa, indi la si tagliava
(resegava) a mano. Quando le giornate erano corte, si andava un po’ nei bar e
un po’ nella stalla a vegliare. La neve non metteva paura: al massimo serviva
una pista fino alla chiesa o ai negozi (foto 53) perché in casa c’era quello che
serviva.
Si racconta che nel 1914 il mugnaio di Dovanelli rimase bloccato nel suo
mulino (questi sono sempre vicino ai torrenti e quindi incassati in valli
profonde all’ombra) per 20 giorni ed era solo. Quando gli chiesero come fece
a sopravvivere, senza tanta enfasi raccontò che aveva mangiato friscioli
(frittelle) mattina e sera perché aveva olio e farina, legna e vino.
In tempi più recenti un momento di aggregazione sono state le partite di calcio:
bastava un pallone di cuoio che pesava da matti, soprattutto se bagnato, con
le stringhe e la camera d’aria. I paesi più fortunati avevano un campetto con
le porte senza rete e la squadra con la divisa, ma tutti i ragazzi praticavano
quello sport e i più bravi partecipavano ai numerosi tornei (foto 59 e 61). La
formazione della squadra vincente il torneo di Grondona del 1974 era: Giuseppe
Bisio (portiere), Bruno Bondi, Bruno Lazzari, Giuseppe Quaglia (Coca), Alberto
Bisio, Renato Bisio, G. De Maestri, Mario Repetto, Marco Della Casa (difensori e
centrocampisti). Attaccanti: Romeo Repetto (Meo), Sergio Traverso (Carmé), C.T.
era Franco Lugano (Franchino). Nel 1975 stessa formazione ma al posto di Della
Casa c’era Beppe Bailo.
Oltre alla Filarmonica e alla squadra di calcio, bisogna citare il teatro (foto 62)
e la Corale. Tutti divertimenti di gruppo come richiede la vita di paese: nella
foto 56 vediamo anche don Pietro Mazza con i membri della Corale. Era un periodo in cui curati e parroci si distinguevano non solo per il classico apostolato
liturgico ma anche per la cura dei giovani nel loro tempo libero. Diventava
quindi per il sacerdote una sorta di apostolato sociale.
Nel futuro le foto scattate oggi con lo smartphone non saranno più visibili perché rimarranno effimere e virtuali nell’apparecchio di ognuno di noi. Non saranno più su carta, ingiallite e riposte nei cassetti. Lo sviluppo della tecnologia
software, come dicono gli stessi che la producono, impedirà di leggere questi
messaggi del passato. Non avremo più memoria né confronti, ricordi e malin-
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Foto 53: un rudimentale
spazzaneve che veniva attaccato
a un bue (foto e ricostruzione di
Edoardo Morgavi)
conie, storia e tradizioni. Sapremo tutto sugli Etruschi o su Filippo il Bello, ma
il volto del bisnonno non lo apprezzeremo più.
Foto 54: trebbiatura a Castello del 1898 (dalla collezione di Sergio Binasco). Vediamo a partire
da in piedi da sinistra: Angela Semino (Giolla), nonna di Giancarlo e Mimmo; Carlo Quaglia;
Paolina Ponta, sorella di Federico; Vittoria Ponta, sua sorella; Damiano Ponta con la moglie
Marietta (?) e la figlia; tre sconosciuti; Caterina Pinceti (Cateinin); uno sconosciuto; Giulin?
madre di Federico Ponta? Federico Ponta di 11 anni, padre di Mingo, Rosetta e Lina; Domenico
Ponta, padre di Federico e Vittoria; Filippo Semino, nonno di Tullio, Marco e Renzo; Antonio
Lugano, padre di Palmira (nonna di Eugenio, Delio e Antonio Gialli); uno sconosciuto; Salvatore
Quaglia, padre di Paolo e Enrico; Luigi Semino, padre di Filippo; Tognolo, padre di Richetto; uno
sconosciuto; Caterina Semino; Romualdo Pinceti, nonno di Marisa e Giovanni Mantero; Anna
Semino, nonna di Bruno Palci; Pinceti?, padre di Clementina.
Le persone della foto 55 sono: 1) Giovanni Ponta (Pollo), zio di Don Paolo; 2) Luigi Semino, padre
del Tricche; potrebbe anche essere un manente di Delin, papà di Alba e Olga; 3) Giovanni Repetto,
padre del Checco e nonno di Elda; 4) Luigi Semino, padre di Rosa e Tali; 5) Tonin Fini, padre
della Gemma e nonno di Grazia; 6) Giovanni Binasco (Nani), padre della Carolina; 7) Fortunino
Pessino, mezzadro; 8) Romildo Semino, fratello di Riccardo e prozio di Matteo; 9) Edoardo Lugano di Castello, padre di Elena; 10) figlio di Geri, mezzadro; 11) Carlin Binasco, nonno di Carmelino; 12) Dario Bisio, padre di Alma e Iolanda; 13) Melchiorre Semino, padre di Aldo, Angelo
e Natale; 14) Romolo Lugano, nonno di Ugo e Clara; 15) Samuele Ponta (Mele), padre di Rosina,
Maria, Fredo; 16) Geri, mezzadro, venuto da Bologna; 17 Cin Bisio, padre di Chiara, Battista,
Ligio, Livio, Giovanni; 18)Emilio Semino, padre di Armando e Paolo; 19) Dilio Quaglia, sacrestano; 20) Enrico Ponta di Castello, padre di Giuseppe, Stefano, Carlo, Maria, …; 21) Arturo Semino, padre di Silvio; 22) Paolo Semino, padre di Gianni e Luigino; 23) G.B. Quaglia (Bullo),
bisnonno di Mafalda; 24) Fiorenzo Ponta, fratello di Paola di Castello; 25) Ernesto Quaglia, nonno
di Alba e Ricchetta; 26) Antonio Lugano, padre della Palmira e nonno della Ninni; 27) Damiano
Ponta, nonno di Tali, Elena, Carla e Mario; 28) Pasquale Semino, padre di Bruno e Laura; 29)
Domenico (Nini) Botti, padre di Margherita e Nita, nonno di Ennio; 30) Federico Ponta, padre
di Lina, Mingo, Rosetta; 31) Alfredo Ponta, organista della chiesa, zio di Tali e Rosa; 32) Cesare
Botti, marito di Carolina; 33) Martino Quaglia, padre di Gigiun; 34) Santo Bisio, padre di Cesare,
Rosa, Marcella, Olga, Mario e Pina; 35) Francesco Repetto, padre di Elda; 36) Filippo Semino,
nonno di Marco, Renzo e Tullio.
Foto 57: uno scorcio di Vocemola molti anni
fa con Filippo Semino e Celeste Quaglia
(dalla collezione di Tullio Semino)
Foto 55: la Società Filarmonica Vocemolese (dalla collezione di Tullio Semino)
Foto 56: Anni ’30. La Corale. Da sinistra c’è una persona non riconosciuta, poi Edilio Quaglia,
Giuseppe Binasco, don Pietro Mazza, Luigi Binasco, Mario Binasco, Federico Ponta, Vittorio
Ponta, Giuseppe Quaglia (Meneghein), un bambino non riconosciuto e, seduto, Alfredo Ponta,
organista autodidatta (dalla collezione di Sergio Binasco)
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Foto 60: Pellegrinaggio alla
Madonna della Guardia a Genova
l’11 settembre 1949.
A sinistra Sergio Binasco,
al centro Luigi Semino (Lino) e
a destra Paolo Semino,
tutti del 1933. Notare la collana
di nocciole, tipico acquisto in
questo santuario
(dalla collezione di Tullio Semino)
Foto 58: una scolaresca nel 1945/1946. Si riconoscono da sinistra in alto: Luigi Semino (Lino);
Marisa Semino; Anna Biancheri; Caterina Merlo (Ina); Emilia Ponta (Miglietta); Assunta Butti;
Laura Semino; Anita Botti; Natalina Lugano (Tali); Antonietta Carrea; Dina Verini; Adriano
Scotto. Da sinistra in basso: Mario Bisio; Alberto Verini; Domenico Ponta (Mingo); Ubaldo Pinceti
(Baldino); Franco Butti; Bruno Semino (Brunein); Mario Lugano; Luciano Lugano; Cesare Bisio,
Giancarlo Quaglia, Gianfranco Quaglia, Delio Gialli e il maestro Giuseppe Morgavi (dalla collezione di Anita Botti).
Foto 59: Squadra di calcio vocemolese nel 1946. Da sinistra in piedi: Albino Ponta, Luciano Pinceti, Luciano Ansaldi di anni 13, non riconosciuto di Rigoroso, Franco Ansaldi, Luigi Semino
(Lino), una persona non riconosciuta di Rigoroso, Vando Bertolacelli; accosciati: Eugenio Gialli
di 12 anni, una persona non riconosciuta di Rigoroso, Guido Pinceti, Alberto Ughè (dalla collezione di Tullio Semino)
Foto 61: Tifosi della squadra di calcio di Vocemola a Grondona nel 1953. In alto da sinistra: uno
non riconosciuto, Sergio Binasco, uno non riconosciuto, Luciano Lugano con il cartello, Luigi Lugano, Delio Gialli, Tomaso Repetto, Mario Lugano, Cesare Bisio, uno non riconosciuto, Margherita
Botti, Natalina Lugano, Pietro Botti, Maria Repetto, Anita Botti, Antonietta Carrea, Gianmario
…, Carla Lugano, Assunta Butti, Genio Gialli. In basso da sinistra: Armando Quaglia, Giancarlo
Quaglia, Franco Butti, Ubaldo Pinceti, Gianni Merlo, Riccardo Botti, Domenico Ponta, Armando
Semino, Luciano Pinceti, Franco Barbieri (Soleri), una persona non riconosciuta, il bambino Renato Bisio, Antonio Gialli, Adriano Scotto, Virgilio Scotto, Mario Bisio, Marco Butti (dalla collezione di Sergio Binasco)
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Foto 62: Un gruppo di attori vocemolesi nel 1954. In piedi da sinistra: Francesco Butti, Pietro
Botti, Olga Bisio, Gianmario di Genova, Riccardo Botti, Anita Botti; a terra: Sergio Binasco, Tali
Semino, Rosetta Ponta, Pina Semino (dalla collezione di Sergio Binasco)
Foto 63: Luglio 1961, uno
degli ultimi buoi. Si notano
Tullio Semino sul bue e
il fratello Renzo (dalla
collezione di Marisa Semino)
Foto 64: Marco Semino con
il padre Gian alla Pineta per
la merenda pasquale del 1966
(dalla collezione di
Tullio Semino)
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Foto 65: Ultima trebbiatura nel 1984 in “t’l’ea du Gaggin”, nell’aia di Gaggin, che era Giuseppe
Binasco, qui con il fazzoletto in testa (dalla collezione di Sergio Binasco)
Ma un paese è una comunità fatta non di sole case: è un’entità economica che
necessita di spazi e di iniziativa imprenditoriale. Oggi a Vocemola non ci sono
negozi perché l’auto ha ucciso una socialità che non ritroveremo più.
Un negozio in un piccolo paese è parte integrante dei suoi abitanti. L’effetto
sociale che questi punti di ritrovo hanno non è solo la comodità di poter prendere una bottiglia di latte sotto casa. Essi sono di ausilio psicologico agli anziani che vi si ritrovano a conversare. Costituiscono un presidio sul territorio
sostituendo in molte situazioni le forze dell’ordine: quando un paese alle sette
di sera d’inverno è tutto buio li rimpiangiamo. Non è vero che i prezzi sono maggiori che nei supermercati: analizziamo il sistema di vendita al dettaglio per
l’azienda “Italia”. Intanto i titolari conoscono i nostri gusti, sono mediatori tra noi
e la grande distribuzione costituendo il primo setaccio per le cose inutili o farlocche.
Il loro indotto occupa più addetti che i grandi complessi commerciali perché hanno
bisogno di manutenzione capillare e quindi permettono di vivere al rappresentante,
al trasportatore, all’idraulico, al grossista, al Comune con le tasse e chissà quante
altre cose. Possono fornire il km zero favorendo le piccole aziende locali. Un paese
con numerose botteghe attira famiglie che cercano di fuggire dalla città e le case
si rivalutano. I piccoli esercizi non richiedono i grandi posteggi con consumo di
territorio, l’emissione di polveri sottili delle auto che fanno 20 km per comprare i
Pavesini; il guadagno resta in Italia e nell’ambito del territorio. Alla fine il prezzo
che otteniamo dalla grande distribuzione è fittiziamente più basso ma la differenza
(e qualcosa in più) la paghiamo appunto come “sistema Italia”. Speriamo che Comuni e Regioni si accorgano di questo problema e semplifichino almeno la vita
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agli esercenti togliendo loro quelle mille pastoie burocratiche che li strangolano.
Vorremmo ancora entrare in quegli antri con le pareti coperte di prodotti, quell’odore caratteristico per ognuno di loro e sentirci dire: «È arrivata la mozzarella
che ti piace» oppure: «Ci sono le lasagne del pastificio Valle Scrivia». Ma anche:
«Come sta tua madre? Salutamela un po’».
Vediamo di ricordare alcune di queste realtà per Vocemola.
Paolo Semino, Paulein, (1887 – 1980) aveva un’officina da fabbro e maniscalco,
prima della seconda guerra mondiale fino agli ani settanta. Era un uomo intelligente e spiritoso e molti si rivolgevano a lui per consigli di ogni genere.
Lavorava anche come guardia nella riserva di caccia di signori genovesi che
c’era intorno al paese.
Oltre al barbiere Mario Lazzari, che abbiamo menzionato a proposito della
guerra d’Africa, c’erano anche due negozi di commestibili che erano come dei
piccoli supermercati in cui si trovava qualunque cosa, dalla carne al detersivo.
Uno era situato nella piazza del paese ed era gestito dai fratelli Agostino
(Gusto) e Dorina Quaglia; oltre al tabacchino faceva anche da macelleria e nel
frigo, uno dei primi, alcuni cacciatori mettevano le lepri e i fagiani in modo da
conservarli.
L’altro negozio era gestito da Ninni Bisio e sua madre Palmira. Sito in Via della
Fontana, fungeva anche da fruttivendolo e macelleria e in più aveva un piccolo
bar.
Francesco Butti era sarto agli inizi del ‘900, mentre Luigi Lugano (Giretti)
classe 1880, faceva cassapanche. Un paese autonomo come lo erano tutti allora.
Gli anni ’70, con l’avvento di una nuova vita, hanno estinto questi punti sociali.
13 febbraio 1996: il sindaco di Arquata, Giuseppe Malaspina, promette che il
Comune sarà più attento a Vocemola in risposta all’esposto degli abitanti.
23 febbraio 1997: Don Paolo Perotti, ex parroco di Vocemola, si ritira e va in
pensione.
19 agosto 1998: presto i lavori per il metano a Rigoroso e Vocemola.
9 marzo 1999: problemi idrici a Rigoroso e Vocemola. Trovate tracce di alluminio e ferro nell’acquedotto.
9 marzo 2002: raccolta fondi per il Circolo A.C.L.I. Si esibirà la compagnia arquatese del Barchi che presenterà “La doppia vita di un taxista”.
14 luglio 2002: incubo fenolo. Un incidente sull’autostrada, vicino a Ronco, ha
sversato nello Scrivia la sostanza chimica che i tecnici A.R.P.A. (Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente di Alessandria) hanno rinvenuto anche
nei pressi del ponte di Vocemola.
L’archivio informatico de La Stampa
Sul sito www.archiviolastampa.it gestito dall’omonimo quotidiano si possono
trovare centinaia di notizie inerenti Vocemola. Ne riportiamo alcune:
16 aprile 1983: mostra di quadri al Circolo A.C.L.I. con Germana Merlo Puglionisi che espone un centinaio delle sue opere per beneficienza.
10 luglio 1990: all’autogrill di Vocemola venduto un biglietto da 100 milioni
di lire.
24 marzo 1992: forte incendio a Vocemola.
2 giugno 1994: il Comune vende gli edifici delle ex scuole elementari di Vocemola e Varinella.
4 febbraio 1996: un esposto con tutte le proteste degli abitanti della frazione
di Arquata. Strade rotte, ponte stretto, scarsa illuminazione.
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Conclusioni
La riunione iniziale dedicata a questa ricerca fu convocata il 12 febbraio 2016
nella sala superiore del Circolo A.C.L.I.
Marco Semino qualche tempo prima aveva lanciato l’idea, con il suo caratteristico entusiasmo ed il suo fare convincente, di pubblicare qualcosa su Vocemola. Aderimmo prontamente e ci mettemmo al lavoro ma uno di noi non
conosceva il territorio intorno al paese e quindi facemmo le prime scampagnate prendendo confidenza con vecchie strade, vigne abbandonate, cascine
e un po’ di fango. I propositi erano quelli di raccogliere il materiale già pubblicato, che scoprimmo essere poco e fare interviste, descrizioni, supposizioni.
Gli argomenti ci presero la mano e cominciammo a infoltire l’indice: ogni settimana aggiungevamo un paragrafo, due o tre foto o un ricordo di un vocemolese incontrato per strada.
Edo Morgavi e Angelo Allegro misero a disposizione le loro ricerche che in
tanti anni avevano raccolto nell’archivio comunale o in quelli parrocchiali, aumentando ancora le pagine e gli argomenti.
Fu con stupore e soddisfazione scoprire che una frazione di un centinaio
d’anime ricorreva sui documenti ingialliti, nelle pandette, nei manifesti e addirittura nei dischi di canto popolare.
Corremmo il rischio di non fermarci più e di arrivare a un approfondimento
tale da scoraggiare la lettura a chiunque: altro che sintesi!
Vocemola ci appariva sempre più interessante ma dovevamo concludere, ci
sentivamo in dovere di salvare almeno questo materiale nel tempo.
Senz’altro ci sono ancora leggende e fatti da annotare, soprattutto dal secolo
XIX a oggi, ma lo lasciamo a un futuro perché i bei giochi non finiscono mai.
Foto 66: località Castello o Castè (foto di Umberto Semino)
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Un finale per me doveroso
(Sergio Pedemonte)
Foto 67: le cicogne sul campanile
il 24 ottobre 1988
(foto di Andrea Fazio)
Arrivavo con mia madre, a volte anche con sua sorella gemella, scendendo dal
treno a Rigoroso. Per un sentierino scosceso mi trovavo subito sul ponte e
chissà perché ricordo solo giorni caldi con un sole cocente o freddi con nebbia
e un po’ di neve.
Il ponte dava l’impressione di dividere due mondi, passava sopra un deserto
in cui l’acqua era un piccolo particolare. E poi così basso! A Isola guardavo
dall’alto lo Scrivia sempre impetuoso e sentivo il fragore dello sbarramento (u
barraggiu) mentre provavo le vertigini. Invece qui il silenzio era rotto solo
dalla voce di mia madre che esortava a muovermi: «Mescite, u treno u l’è a quattrue (Muoviti, il treno è alle quattro)».
Mia zia Dilia ci aspettava in fondo, sotto la madonnina, e aveva sempre vestiti
sul blu e un grembiule. Mi pareva alta, la più alta delle quattro sorelle e del
fratello: forse assomigliava al nonno Cirra dalla stazza erculea, fabbro ferraio
a Vobbietta che per me era paragonabile a un dio greco. Iniziava a salutare con
calore e parlava il dialetto di Vocemola, come fosse nata lì. Mi stupivo perché
era una cadenza che mi piaceva ma sembrava difficile da imparare: non era
quello di Arquata o Sottovalle o Novi Ligure, che pure suonano curiosi e sdrucciolevoli; era (è) piuttosto generoso nelle vocali dando all’uditore la sensazione
che chi lo usa non possa essere maleducato. Insomma la lingua dei buoni. Lo
so che sarà stata l’età, la gita sul treno, la zia gentile e affettuosa, i giochi con
mio cugino Franco (Elio e Mario lavoravano già), ma ancora adesso non ho
cambiato idea. La casa era in alto e la variante al caffè o alla spuma al fresco
sotto il rubinetto poco aperto era andare a Casté per una passeggiata serena.
Che ricordi! Semplici e stringati come la mia infanzia, con Vocemola al di là del
deserto dei Tartari, con un castello che non si vedeva, con gli abitanti garbati,
le rocce nell’aia diverse da quelle di
casa mia, un cane che veniva incontro libero e contento.
Pensavo a zia Dilia come quella
della nostra famiglia che aveva
scelto di vivere a Vocemola invece
che a Nervi o a Pegli.
Chissà, forse era vero.
Foto 67: Dilia Delprato, moglie di Ettore
Lugano, quando negli anni ’30 lavorava
alla Bulloneria di Isola del Cantone
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Il comprensorio territoriale di questa piccola località ubicata al confine ligure
piemontese ricade da un punto di vista geologico al di sopra di un’ossatura
rocciosa prevalentemente costituita da rocce di tipo sedimentario, quindi da
litologie formate da elementi (chiamati granuli o clasti) che si sono via via depositati e accumulati nel corso dei milioni di anni dalla progressiva disgregazione e detrizione di rocce preesistenti. Infatti, come riscontrabile anche nella
cartografia tecnica ufficiale di riferimento (figure 1 e 2: Carta Geologica Foglio
n° 70 ‘Alessandria’ e Carta Geologico Strutturale del Comune di Arquata Scrivia
- Tavola B2), nel comparto in esame sono presenti con maggiore diffusione
areale litologie appartenenti a due distinte formazioni geologiche sedimentarie, note agli addetti ai lavori come “Conglomerati di Savignone” e “Calcari del
Monte Antola”, che presentano un’età geologica rispettivamente di circa 28
milioni di anni le prime (in epoca oligocenica) e di circa 75 milioni di anni fa
le seconde (in epoca cretacica).
Alcuni interessanti affioramenti possono essere osservati in prossimità dell’abitato di Vocemola lungo le pendici occidentali del Bric della Gabbia (543
m s.l.m.m.) e del Monte Magon (587 m s.l.m.m.). Infatti, in questo specifico settore, i conglomerati, litologie clastiche che si possono formare sia in ambienti
di tipo marino che continentale, risultano nettamente più abbondanti rispetto
ai calcari, rocce carbonatiche ricche in calcio di genesi prevalentemente marina che da un punto di vista tettonico, o geologico strutturale, rappresentano
una sorta di pavimento di appoggio basale essendo anche geologicamente più
antiche. I clasti che costituiscono i conglomerati dell’areale di Arquata Scrivia
rappresentano il progressivo accumulo e la successiva solidificazione di frammenti detritici di antiche rocce verdi (serpentiniti, gabbri, basalti, etc) che,
circa 180 milioni di anni fa, costituivano in questi settori il fondale oceanico
abissale della Tetide Ligure. Esse sono rocce oceaniche che hanno subito diverse e composite trasformazioni durante la loro lunga e complessa evoluzione
nel corso dei milioni di anni (figura 3), subendo anche parziali e/o totali trasformazioni a seguito dei processi metamorfici e tettonici che le hanno più o
meno intensamente interessate e che le hanno quindi anche in parte trasformate in rocce metamorfiche (serpentinoscisti, metabasiti o prasiniti, eclogiti).
Una delle peculiarità e delle singolarità dei conglomerati che affiorano nel
comprensorio territoriale di Vocemola risulta appunto quello di contenere al
loro interno diversi e numerosi clasti appartenenti a queste antichissime rocce
della vecchia dorsale oceanica mesozoica della Tetide. In particolare, osservando macroscopicamente alcuni affioramenti o anche semplici massi utilizzati nelle murature delle vecchie case o dei muri a secco presenti, si possono
facilmente riconoscere queste differenti rocce che possono contenere preziose
informazioni circa la loro storia. In particolare, l’osservazione maggiormente
dettagliata e particolareggiata di un grosso masso alle pendici del Bric Gabbia,
chiamato localmente Ciappun, ha permesso di riconoscere interessanti indicazioni da un punto di vista geologico e petrografico (foto 1). Per completezza,
la Petrografia è il settore della Geologia dedicato al riconoscimento delle rocce
e dei loro minerali costituenti.
Il Ciappun è un masso integralmente costituito da un’eclogite, roccia metamorfica di altissima pressione (fino a 20 Kbar) e temperatura (650°C) che risulta il prodotto della completa trasformazione di gabbri e basalti. E’ costituita
da numerosi fasi mineralogiche, le più importanti delle quali sono rappresentate da pirosseno (verde) e granato (rosso) oltre che da minerali accessori secondari tra cui anfibolo (verde nero), titanite (bianco, gialla), rutilo (viola),
pirite (giallo oro). Alcuni minerali sono anche direttamente osservabili sulle
superfici di spacco della roccia (foto 2) nonché attraverso l’analisi mediante
l’utilizzo di appositi microscopi elettronici (ingrandimento 4x). Il posizionamento geomorfologico del Ciappun, che in passato è stato oggetto anche di curiose e singolari interpretazioni come meteorite, può essere verosimilmente
interpretato secondo due differenti ipotesi geologiche che, ovviamente, dovrebbero essere adeguatamente approfondite e studiate nel dettaglio. In prima
battuta, il masso potrebbe essere un residuo detritico alloctono (cioè che si è
spostato dalla sua posizione originaria) per fenomeni gravitativi passati che
hanno interessato i conglomerati presenti in questa porzione del Bric Gabbia;
potrebbe quindi non aver subito in seguito particolari fenomeni di alterazione
e dilavamento meteorico grazie all’elevata resistenza e consistenza che caratterizzano appunto l’eclogite. Diversamente, potrebbe rappresentare un grosso
clasto residuale autoctono (quindi che si trova nel suo posto di origine) di un
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Rinvenimento di un masso
di eclogite a Vocemola
Geol. PhD Eugenio Poggi
Riassunto
L’esame di un raro, enorme, masso di eclogite sul sentiero tra Vocemola e Mereta, frazioni di Arquata Scrivia (AL) e Isola del Cantone (GE), segnalato da
Sergio Pedemonte, fornisce l’occasione per puntualizzare l’origine di tali rocce
e la loro presenza nei Conglomerati di Savignone.
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precedente affioramento di conglomerati che oggi risultano totalmente erosi;
quest’ultima ipotesi risulta comunque quella meno convincente dal momento
che risulterebbe l’unico ciottolo di tali dimensioni nell’intera zona di Vocemola.
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Figura 1 – Carta Geologica Foglio n° 70 ‘Alessandria’
FOTO 1 – Il masso denominato localmente Ciapun
Figura 2 – Carta Geologico Strutturale del Comune di Arquata Scrivia
FOTO 2 – Campione di Eclogite costituente il Ciapun
Tavola B2 del P.R.G.C.
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Figura 3 – Ubicazione indicativa della zona di formazione delle eclogiti nei
margini convergenti (Poggi, 2011)
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Indice dei nomi
Indice dei nomi di persona
Tra parentesi l’anno di citazione
Acerbo Massimo (sindaco): 101
Agusti Giovanni: 155
Agusti Giuseppe: 155
Alberto di Zebedassi (1211): 59
Alexander Harold Rupert: 102
Allegrino don Marc’Antonio: 144
Allegro Angelo: 7, 48, 79, 117, 122,
123, 124, 125, 126, 132, 141, 142,
171
Aloisio don Francesco: 144
(De) Ambrosini prete Giovanni: 133,
143
Anastasio IV (papa): 44
(De) Andujar vicario Giuseppe Luigi:
136
Annibale: 19
Anonimo Ravennate: 40
Ansaldi Caterina: 94
Ansaldi Domenico (1799): 82
Ansaldi Franco: 164
Ansaldi Luciano: 164
Ansaldi Paolo: 152
Ansaldo Domenico di Francesco
(1785): 123
Ansaldo Domenico (1797): 78
Ansaldo Domenico detto Grifoiè
(1823): 31, 32, 33, 69
Aragosta Ada: 155
Arecco Raffaele: 94
Assanelli reggente Lorenzo: 144
Avio Domenico fu Giacomo (1785):
123
Avio Federico (Lince): 97, 101
Avio Luigi: 97
Bagnasco Pasquale: 146
Bailo Beppe: 161
Balbi Luca di Guglielmo: 118
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Balbi Mauro: 7, 136, 138
Balduzzi Giuseppe (Marco II): 101
Balestrero …: 61
Barbieri Franco (Soleri): 165
Barisone Natale: 97
… Bartolo: 131
Barulli Roberto (Caramba): 7, 102
Beauharnais Eugenio: 80
Beltrutti Giorgio: 44
Bencivegna (1235): 61
Benzi Pietro Giuseppe: 80
Bergongoli Annibale (generale): 104
Bernardo de Pichetti (1523): 66
Bernasconi (famiglia: 71
Berri don Paolo: 113
Bertolacelli Luigi (Topo): 102
Bertolacelli Vando (Talpa): 102, 164
Bertoldi Paolo: 7
Bertuccio Oreste: 512
Beruti Tomeno: 20
Biancheri Anna: 150, 164
Bianco Bartolomeo: 70
Bianco Cipriano: 71
Binasco Carlin: 163
Binasco Carmelino: 7, 138
Binasco Carolina: 163
Binasco Caterina: 93
Binasco Gio Batta Rocco di Carlo: 79
Binasco Giovanni (Nani): 163
Binasco Giuseppe (Gaggin): 98, 163,
167
Binasco Luigi (Gin): 95, 106, 163
Binasco Mario: 151, 163
Binasco Sergio: 7, 106, 112, 114,
127, 132, 162, 163, 165, 166, 167
Biondi (famiglia): 71
Bisignano Franco: 115
Bisio (famiglia): 107
- 187 -
Bisio Agostino: 47
Bisio Alberto: 161
Bisio Alma: 163
Bisio Battista: 163
Bisio Cesare: 163
Bisio Cesare (Cè): 164, 165
Bisio Chiara: 163
Bisio Cin: 163
Bisio Daniele (Dario): 95, 106, 163
Bisio Giovanni: 163
Bisio Giovanni (Gavi): 94
Bisio Giuseppe: 161
Bisio Iolanda: 163
Bisio Ligio: 163
Bisio Livio (Bisa): 7, 106, 107, 163
Bisio Marcella: 163
Bisio Mario: 102, 163, 164, 165
Bisio Ninni: 163, 168
Bisio Olga: 163, 166
Bisio Pina: 163
Bisio Renato: 161, 165
Bisio Rosa: 163
Bisio Santo: 163
Bissone G.B.: 131
Boccardo Battista: 71
Bona (tutrice di Gian Galeazzo
Sforza): 47
Bondi (famiglia): 71
Bondi Bruno: 161
Bonemano Silvio: 67
Bongioanni Guglielmo
Bonifacio VIII: 129
Bosio Pantaleone: 66
Bottaro Matteo: 117
Bottaro Pietro: 135
Bottazzi Giuseppe Antonio: 39, 46,
54, 57, 109
Botti Anita (Nita): 7, 102, 149, 150,
153, 163, 164, 165, 166
Botti Cesare: 163
Botti Domenico (Nini): 163
Botti Margherita: 163, 165
Botti Pietro (Fiero): 102, 165, 166
Botti Riccardo: 165, 166
Bovone don Alessandro: 137
Bovone Natale: 144
Brengola prof. …: 155
Brugna Alberto: 124
Brugna Blasio: 118
Brugna don Francesco: 143
Brugnatelli …: 124
Busseti don Giuseppe: 144
Butino (1235): 60
Butti Assunta: 164, 165
Butti Dario: 95
Butti Francesco: 76, 109, 111, 112,
118, 164, 165, 166, 168
Butti Marco: 165
Caffaro (annalista): 45
Caio Censorino: 43
Caio Vibio Pansa: 43
Callegaris Livia: 84
Cambiaso mons. Domenico: 129
Camerino Nicola: 94
Campi don Francesco: 144
Canazza Davide, 7, 41, 53, 56, 57
Capirone … colonnello: 91
Cappelletti Paolo: 94
Cappellino … (chierico): 132, 133
Caprini Rita: 53
Carlo I d’Angiò: 62
Carlo V (imperatore): 47, 63
Carlo Magno (imperatore): 53
Carpaneto Sebastiano: 117
Carpeneto G.B.: 97
Carrea Antonietta: 164, 165
Carrea Bartolomeo: 129, 130, 137
Carrea Natale: 102
Carrega don Carlo Domenico: 143,
144
Caruso …: 155
Casella Francesco: 142
Cassano Giuseppe: 94
Catanzaro Carlo: 157
Catharineta uxor Iohannini
Picheti (1644): 68
Catto reggente Mario: 145
Cavazza Serafino: 39, 55
- 188 -
Caveri avv. …: 155
Chico (Carlo): 157
(De) Clerici Nicolò: 133
Ciampi Carlo Azeglio: 100
Cirnigliaro Ennio: 7, 36, 41
Colombo don Paolo: 144
Conti Giovanni: 154
Cordero Giulio di San Quintino: 39
Cornerò Arnaldo: 133
Cornerò Masollo: 132
Coronelli: 48
(De) Correri Luchino: 137
Cortemiglia Gian Camillo: 22, 23
Costa Antonio fu Sebastiano: 118
Costa Giannettino: 72
Costantino III: 40
Costa don Stefano: 20, 27, 86
Cresta Laila: 61
Curto Riccardo: 120
Daglio Fausto: 157
Daglio Olimpia: 157
D’Allegri Domenico: 78
De Benedetti Angela: 136
De Benedetti Dario: 98
De Benedetti reverendo Gio Giacomo: 132, 133
De Carlini Giuseppe: 7, 137
De Conca Daniela: 51
Decri Anna: 71
Degiovanni Davide: 78
Dejan … (generale francese): 82
(De) Lazari Antonio (1785): 123
(De) Lazari Bartolomeo (1785): 123
(De) Lazari Domenico (1785): 123
Delazari Emanuele (1823): 31
Delazari Gerolamo (1823): 31
(De) Lazari Giacomo Antonio: 123
(De) Lazari Paulo: 123
Delazari Pietro (1823): 31
Delazari Prò (1823): 31
(De) Lazzari Beltramo (1523): 66, 71
Della Casa Marco: 161
Dellepiane Rinaldo: 98
Delprato Dilia in Lugano: 173
Delprato Giovanni: 23
De Maestri G.: 161
De Negri Emmina: 71
De Negri Teofilo Ossian: 67, 109
De Solario Matteo: 133
De Vaugondy Roberto: 49
De Vingo Paolo: 43, 51
Di Biase Ennio: 111, 124, 127, 138,
163
Di Negri Francesco Maria: 143
Di Raimondo Armando: 71
Do Alvaro: 102
Do Stefano: 151
Doria Andrea (principe): 64
Elena del Montenegro: 105
Elta Giorgio: 98
Enrico VII: 49, 61
Enrico di Vocemola (1121): 60
Fanshawe Elisabeth: 47
Fava Rosetta: 98
Fazio Andrea: 7, 172
Federico I d’Asburgo: 63
(De) Ferrari Battina: 117
Fegini G.B.: 143
Fegini (o Figino o Figini) don
Marcello (1805): 21, 31, 32, 76, 143,
144
Fegini Paola: 143
Fegino don Felice: 144
Figino …: 81
Ferdinando I: 63
Ferrando Patrizia: 119
Ferrari Giovanni di Semino (1248):
70
Ferrari Vasta: 61
Ferraris Andrea: 142
Ferretti don Adolfo: 144
Ferretto Stefano: 154
Figino … (avvocato): 81
Filippo II: 47, 63
Fini Gemma: 163
Fini Tonin: 163
Fornari Giovanni: 98
Fornari Pietro: 155
- 189 -
Fossati Domenico: 92
Francesco I: 47, 77
Francesco II: 78
Francesco … di Pratolungo: 117
Frascaroli Carlo: 130
Fravega Valeria: 51
Furno Enrico: 76
Gabba Pietro: 154
Gabbantichità: 131
Gabotto Ferdinando: 57
Gallino (onorevole) …: 155
Gallino Lino: 7, 155
Gamaleri don Francesco: 145
Gambari Venturino Marica: 35
Gancio di Arquata: 117
Garrone (famiglia): 155
Gatto Simone: 40
Gemme Emilio: 92
Gentile Giovanni (ministro): 96
Geri …: 163
Gherardo … (marchese): 109
Giacometto di Vocemola (1523): 66
Giacomino (frate): 134
… Giacomo, domenicano: 133, 143
Gialli Antonio: 113, 157, 162, 165
Gialli Delio: 155, 158, 162, 164, 165
Gialli Eugenio (Genio): 162, 164, 165
… Gianmario di Genova: 165, 166
Gifra Vittorio: 7, 63, 68, 70
Giustiniani Agostino: 47, 86
Goggi Clelio: 25, 54, 66, 70, 109, 129,
139
Gomez Josè: 23
Gramegna arciprete Gio Batta: 135
Granaglia Umberto: 156
Granara Paolo: 7
Graneri Caterina: 118
Grattarola Valerio: 81
Grillo Francesco: 72
Gualco Medy: 157
Guareschi Giovannino: 108
Guercio (1235): 60
Guerra Elio: 115
Guglielmo VII del Monferrato: 61
Guido Teresa: 118
Illiano Agostino: 93
Illiano Domenico Francesco: 78
Ingone o Iago di Grimaldo: 59
Innocenzo III (papa): 44
Ippolito Marco: 51
Joubert Barthélemy: 82
Lagorio Luigi: 92
Le Goff Jacques: 140
Laiolo Lorenzo: 130
Lannes Jean: 78
Lasagna don Pietro: 144
Lasagna Renato: 157
Lazari Domenico (1869): 77
Lazzari (famiglia): 69
Lazzari Bruno: 155, 157, 158, 161
Lazzari Mario: 102, 106, 168
Liutprando (re): 54
Lombardi Sabino (sindaco): 118
Lombardo Giovanni: 141
Lugano (famiglia): 69
Lugano Angelo (1785): 123
Lugano Angelo fu Tomaso (1785):
123
Lugano Antonio (1749): 146
Lugano Antonio: 163
Lugano Antonio (1898): 162
Lugano Carla: 165
Lugano Edoardo: 163
Lugano Elena: 163
Lugano Elio: 173
Lugano Ettore: 173
Lugano Franco: 173
Lugano Franco (Franchino): 7, 113,
161
Lugano Giacomo: 77
Lugano Giovanni (1785): 123
Lugano Giovanni fu Tomaso (1785):
123
Lugano Giovanni (1869): 77
Lugano Giuseppe (1823): 31
Lugano Luciano: 164, 165
Lugano Luigi: 151, 152, 165, 168
Lugano Mario: 151, 164, 165
- 190 -
Lugano Mario di Ettore: 173
Lugano Martino (1593): 70
Lugano Natalina (Tali): 164, 165
Lugano Palmira: 163, 168
Lugano Pio Felice (1823): 32
Lugano Placido: 70
Lugano Romolo: 95, 106, 163
Luigi IX: 62
Luigi XII: 22
Lupi Dario (ministro): 96
Maccaggi prof. Luigi: 155
Magone: 37
Magrassi rettore Antonio: 129, 144
Mairano Aldo (sindaco): 158
Malaspina Giovanni (feudatario): 27
Malaspina Giuseppe (sindaco): 169
Malerba avv. …: 155
Manerio (1235): 60
Manfredi di Sicilia: 62
Mannoni Tiziano: 43, 51
Mantero Giovanni: 162
Marcenaro Filippo: 92
Marelli Giovanni: 90
Massara Cristoforo: 63
Massarotti G.B.: 48
Mazza don Pietro: 139, 145, 161,
163
Mazzacaro Damiano: 157
Merlano don Domenico: 144
Merlini don Pietro: 144
Merlo Caterina (Ina): 150, 164
Merlo Gianni: 165
Merlo Puglionisi Giovanna: 168
Merlo Sebastiano: 94
Merlone di Castello: 59
Merloni Gian Michele: 81
Meroveo (monaco): 54
Mirabelli Gino: 154
Moglia o Mollia reverendo Giacomo:
135, 143, 144
Moglia o Mollia don Giovanni: 117
Montebuona …: 82
Montecucco Angelo (Giulin): 152
Morandus (de) Maddalena: 117
Moreau Victor Jean: 82
Moresco comm. …: 155
Moresini arciprete G.B.: 21
Morgavi Edoardo: 7, 82, 113, 114,
116, 161, 171
Morgavi Giuseppe: 164
Mosso reverendo Gio.: 135, 144
Mundila ufficiale di Belisario: 46
Musotto Maria: 90
Mussolini Benito: 122
Napoleone I: 50, 78, 82, 155
Negri Adolfo: 110
(De) Negri Bernardo: 135
Negro Giambattista: 39
Negro Ponzi Maria Maddalena: 51
Nicoletto Loredana: 157
Odino Marco: 113
(De) Oppicelli Oppicello: 133, 143
Opicello reverendo …: 133
Orengo Giuseppe: 81
Ospinelli di Arquata: 60
Ottone (1235): 60
Ottone Sebastiano: 92
Palci Andrea: 7
Palci Bruno: 104, 162
Palci Giuseppe: 104, 151, 152
Palci Pia: 150
Pallavicini Gianluigi: 7
Pallavicini Vincenzo: 94
Pallavicino Francesca: 118
Pallavicino Giulio: 20
Pancaldo don Hippolito: 137, 144
Paolo Diacono: 53
Parodi G.B.: 41, 51
Pasquale reggente Eugenio: 144
Patri Pietro (1823): 33
Pazzino della Ponta: 132
Pedemonte Sergio: 11, 13, 14, 41, 52,
63, 75, 83, 122, 173, 174
Pejretti vescovo Carlo Maurizio: 109,
137
Percivale Giovanni: 94
Perotti don Paolo: 145, 151, 153,
169
- 191 -
Pesce don Giuseppe (Pino): 144, 145
Pessino Fortunino: 163
Pessino Michele Federico: 143
Petracco Sicardi Giulia: 53
Pezzan Stefania: 76
Piana Pietro: 7, 110
Piccinini monsignore Lino: 7
(De) Picheti: 69
Picheti Iohannini: 68
(De) Picheti Antonio: 135
(De) Picheti Giacomo: 135
(De) Pichetti Bernardo (1523): 66
Pichetti Stefanino (1579): 69
Picollo Daniele: 76
Pinceti Antonio (1785): 123
Pinceti Antonio fu Giuseppe (1785):
123
Pinceti Antonio Maria (1823): 31, 32
Pinceti Caterina (Cateinin): 162
Pinceti Clementina: 162
Pinceti Domenico: 31, 32
Pinceti Guido: 164
Pinceti Leonardo (1823): 31
Pinceti Luciano: 165
Pinceti Romualdo: 95, 162
Pinceti Ubaldo (Baldino): 157: 164,
165
Pinceti Vincenzo di Giovanni: 79
Pincetti Elesio (?): 77
Pincetti Giacomo (1869): 77
Pittaluga Severo (Bugnùn): 125
Piuma Domenico: 119
Poggi Eugenio: 7, 12, 14, 174
Poggi Gaetano: 25, 26, 69, 109
Ponchia (della) Bernardino: 137
Ponchia o Poncta Pasquino: 137
Ponta Adolfo (1943): 99
Ponta Adolfo di Enrico: 94
Ponta Albino (Cino): 7, 99, 100, 101
Ponta Alfredo (Fredo): 96, 163
Ponta (della) Ambrogio (1523): 66
Ponta Andrea (1750): 77
Ponta Antonio: 76
Ponta Antonio (1661): 135
Ponta (della) Bartolomeo (1523): 66
Ponta don Bartolomeo: 143, 146
Ponta Carlo (1785): 123
Ponta Carlo di Enrico: 163
Ponta Carlo fu Stefano o Steffano
(1749 e 1785): 123, 146
Ponta … di Castello: 61
Ponta Damiano: 162, 163
Ponta Domenico (1869): 77
Ponta Domenico (Mingo): 151, 162,
163, 164, 165
Ponta (della) Domenighino (1523):
66
Ponta Emilia (Miglietta): 164
Ponta Enrico di Castello: 163
Ponta eredi del sig. medico (1823):
31
Ponta Fausto (1823): 31
Ponta Federico (1918): 95, 106, 152,
162, 163
Ponta Federico (1949): 152
Ponta Fiorenzo: 163
Ponta Giacinta (1823): 32
Ponta Giacinto (1823): 31
Ponta (de la) Giorgio (1447): 69
Ponta Giovanni (Pollo): 163
Ponta (della) Giovanni (1523): 66
Ponta Giovanni (1646): 70
Ponta G.B. fu Lorenzo (1823): 32
Ponta Giuseppe (1823): 31
Ponta Giuseppe: 7, 104
Ponta Giuseppe fu Antonio: 90
Ponta Giuseppe fu Enrico: 163
Ponta Giuseppe detto Parigino
(1823): 32
Ponta Giuseppe Giovanni: 94
Ponta Gregorio (1823): 31
Ponta Guido di Arquata: 93
Ponta Guido di Bonfiglio: 92
Ponta Ippolito di Nicolò: 79
Ponta Isabella: 135
Ponta Lina: 162, 163
Ponta Lorenzo (1523): 66
Ponta Lorenzo fu Carlo (1750): 77
- 192 -
Ponta Lorenzo fu G.B. (1785): 123
Ponta (della) Luchino fu Masolo
(1603): 68
Ponta Luigi (1823): 32
Ponta don Luigi: 77, 82, 125, 137,
144
Ponta Marco Antonio (1785): 76,
123, 124
Ponta (della) Marchetto (1603): 68
Ponta Marco Giovanni (gesuita): 76,
124, 145
Ponta Maria: 163
Ponta Masollo: 135
Ponta Michele fu Domenico (1823):
32
Ponta Nicolò (1785): 123
Ponta (della) Nicolosino (1523): 66
Ponta Paolina: 162
Ponta Paolo di Castello: 163
Ponta don Paolo: 138, 146, 147, 162
Ponta Pasquale Lorenzo: 103
Ponta (della) Pazzino: 132
Ponta (della) Pera (1523): 66
Ponta Pietro (Pierino): 102
Ponta (della) Pietro fu Masolo
(1579): 69
Ponta Rosa o Rosetta: 139, 162, 163,
166
Ponta Samuele: 163
Ponta Stefano (1823): 32
Ponta Stefano (1918): 95, 163
Ponta Ugo: 113
Ponta Vincenzo (1823): 31, 32, 33
Ponta Vittoria: 162
Ponta Vittorio: 163
Presotto Danilo: 80
Procopio da Cesarea: 46
Punta Giuseppe (1823): 32
Quaglia (famiglia, 1154): 68
Quaglia (signori di Montalto): 58
Quaglia Agostino fu G.B. (1785): 123
Quaglia Agostino (1923): 154, 168
Quaglia Antonio (1823): 31, 32
Quaglia Antonio (eredi di, 1785):
123
Quaglia Antonio Tevere di
Martino: 93
Quaglia Armando: 165
Quaglia Bartolomeo (1661): 135
Quaglia Bartolomeo (1785): 123
Quaglia Bartolomeo fu
Domenico (1823)
Quaglia Bartolomeo fu G.B.
(1823): 31, 32
Quaglia Bartolomeo fu Scialino
(1823): 32
Quaglia Battin: 137
Quaglia Battista (1645): 73
Quaglia Benedetto (1523): 66
Quaglia Bice: 138
Quaglia Carlo (1898): 162
Quaglia Celeste: 159, 163
Quaglia Dionisio: 77
Quaglia Domenico fu Bartolomeo
(1749): 146
Quaglia Domenico (1823): 31, 32
Quaglia Dorina: 168
Quaglia Edilio (Dilio): 95, 96, 106,
163
Quaglia Emanuele: 154
Quaglia Enrico: 162
Quaglia Ernesto: 163
Quaglia Filippo (1235): 69
Quaglia Filippo (1869): 77
Quaglia Fiorentina: 92
Quaglia Francesco(1593): 137
Quaglia Francesco (1763): 141
Quaglia Francesco (1823): 32
Quaglia Francesco di G.B.: 122
Quaglia Franco (1823): 31
Quaglia Giacomino (1523): 66
Quaglia Giacomo (1235): 69
Quaglia Giacomo detto Bullo (1823):
32
Quaglia Giancarlo: 164; 165
Quaglia Gianfranco: 150, 164
Quaglia Gieronimo: 117
Quaglia Gigiun: 163
- 193 -
Quaglia G.B. (1785): 123
Quaglia G.B. fu Bartolomeo (1843):
86, 88
Quaglia G.B. fu Giulio (1823): 31
Quaglia G.B. fu Lorenzo (1823): 31
Quaglia G.B. detto Bullo: 163
Quaglia Giulio (1749): 146
Quaglia Giulio (1944): 99, 100
Quaglia Giuseppe (1797): 78
Quaglia Giuseppe (Coca): 161
Quaglia Giuseppe (Meneghein): 163
Quaglia Litolfo (1235): 58
Quaglia Lorenzo (1785): 123
Quaglia Lorenzo fu Domenico
(1785): 123
Quaglia Lorenzo (1823): 31
Quaglia Martino: 163
Quaglia Maurizio: 157
Quaglia Paolino (1523): 66
Quaglia Paolo: 162
Quaglia Pietro fu Domenico: 31
Quaglia Salvatore: 162
Quaglia Sebastiano (1603): 68
Rabbia Giovanni: 94
Raffaghello Edilio: 102
Raffaghello Elena: 149
Ragazzoni Gerolamo (vescovo): 133,
134, 146
Raimondi Giuseppe (onorevole): 112
Ratto di Savignone: 153
Rebora Giovanni: 64
Remigio … (scultore): 142
Repetto Elda: 163
Repetto Eugenio: 102
Repetto Francesco: 163
Repetto Giacomo: 92
Repetto Giovanni: 163
Repetto Giovanni nato a Parodi L.: 92
Repetto Lorenzo (1918): 95, 96, 106
Repetto Maria: 165
Repetto Romeo (Meo): 161
Repetto Tomaso: 165
Resta vescovo Giulio: 130, 135
Ricca Gio. Antonio: 71
… Richetto: 162
Righi Enrico: 36
Rossi …, sfollata a Chiapparolo: 98
Rivara Giuseppe: 79
Rivara Maria: 84
Rivara Natale: 21, 84, 155
Rivara Pasquale: 84
Rivarola … (marchese, 1823): 32
Roato don Francesco: 144
Robecchi don Giuseppe: 145
Rolandino don Giuseppe: 144
Rolleri G.B.: 48
Rosi, famiglia: 7, 30, 33
Rosi Emilio: 110
Rossi G.: 130
Sangiacomo Giovanni (Nanni): 7
Scanzo Antonio: 157
Scanzo Maria: 157
Scarabosio Alberto: 22
Schiavi Alessio: 8, 119
Scotto Adriano: 164, 165
Scotto Giacomo: 95
Scotto Virgilio: 165
(De) Semin Simonino: 137
Semini Domenico: 71
Semini Luigi Carlo: 71
Semino (famiglia): 69
Semino Agostino (1823): 32
Semino Alberto di Andrea: 117
Semino Aldo: 102, 163
(Di) Semino Andrea: 72
Semino Andrea fu Antonio: 71
Semino Andrea fu Alberto (1785):
123
Semino Angela (Giolla): 162
Semino Angelo: 163
Semino Anna (1898): 162
Semino Anna (1915): 159
Semino Antonio (1485 – 1554): 71
(De) Semino Antonio (1603): 68
Semino Antonio di Isola del Cantone
(1630): 71
Semino Antonio (1823): 31, 32
Semino Antonio fu Giacomo
- 194 -
(1629): 70
Semino Armando: 163, 165
Semino Arturo: 163
(De) Semino Battista (1523): 66, 70
Semino Bartolomeo (1604): 71, 72
Semino Bruno (Brunein): 7, 145,
153, 163, 164
Semino Carlo (1869): 77
Semino Caterina (1898): 162
Semino Caterina: 94
Semino Domenica: 93
Semino Domenico (1823): 31
Semino Filippo: 95, 106, 162, 163
Semino Francesco di Giuseppe: 93
Semino Francesco Antonio di
Francesco: 79
Semino Giacomo (1523): 66, 70
Semino Giacomo II (1523): 66, 70
Semino Giacomo (1869)
Semino Giacomo (1918): 96
Semino Giacomo Andrea: 123
Semino Giampiero: 88
Semino Gianni di Paolo: 163
Semino padre Gianmaria: 142, 145
Semino Gigi (1949): 106
Semino Gino: 151
Semino Giovanni (1683): 71
Semino Giovanni (Gian): 102, 106,
160, 166
(Di) Semino Giovanni: 72
Semino G.B. di Andrea (1809): 79
Semino G.B. (1823): 31
(De) Semino Guglielmos (1392): 72
Semino Guglielmo (1646): 70
Semino Laura: 150; 163, 164
Semino Luigi (1): 163
Semino Luigi (2): 163
Semino Luigi (1898): 139, 162
Semino Luigi (Gigi): 152, 159, 163
Semino Luigi (Lino): 112, 113, 164,
165
Semino Luigino: 163
Semino Marcello fu Andrea: 32
Semino Marco: 8, 162, 163, 166, 171
Semino Marco fu Antonio (1823): 33
Semino Maria Luisa (Marisa): 8, 102,
112, 142, 149, 150, 151, 152, 153,
158, 159, 162, 163, 166
Semino Mario Alfonso: 95
Semino Mario Emilio (Milio): 104,
106, 151, 152, 154, 163
Semino Melchiorre: 163
Semino Melchiorre Giacomo: 96
Semino Menico (1646): 70
Semino Natale di Giuseppe: 123
Semino Ottavio di Antonio: 71
Semino Paolo (1823): 32
Semino Paolo (anni ’30): 163
Semino Paolo, Paulein, (fabbro): 168
Semino Paolo di Emilio
(n. 1933): 165
Semino Pasquale: 96, 106, 163
Semino Pina: 166
Semino Renzo: 162, 163, 166
Semino Riccardo: 163
Semino Romildo: 163
Semino Rosa: 163
Semino Silvio: 163
Semino Stefano (1646): 70
Semino Tali: 163, 166
Semino Tullio: 37, 51, 52, 96, 111,
114, 134, 144, 149, 157, 162, 163,
164, 165, 166
Semino Umberto: 7, 90, 131, 171
Serra don Niccolò: 143
Settala Carlo (vescovo): 135, 146
Sforza Galeazzo Maria: 63
Sforza Gian Galeazzo: 47
Sigibaldo (1235): 60
Sigincello (messer): 58
Simonassi Maria: 117
Simonotto …: 84
Simonotto Martino: 84
Sisto Alessandra: 74
Spineto Domenico: 141
Spineto Manfredo: 142
Spineto Natale: 89
Spinola (famiglia): 45, 50, 59,
- 195 -
63, 66, 124
Spinola Agostino: 78
Spinola Ambrogio: 133
Spinola Augusto: 137
Spinola Carlo fu Luciano: 74
Spinola Carozzo: 69
Spinola Cornelia: 155
Spinola Federico: 119
Spinola Federico Costanzo: 119
Spinola Filippo: 63, 74, 75
Spinola Filippo (1650 circa): 65, 74,
142
Spinola Filippo (1750 circa): 75, 77
Spinola Francesco: 68
Spinola Francesco Maria: 74
Spinola Gerardo: 74, 135
Spinola Gerolamo fu Antonio: 70
Spinola Giacomo: 66
Spinola Gio. Agostino: 70
Spinola Giovanni fu Napoleone: 63
Spinola Giulio: 135
Spinola Guglielmo fu Leonardo: 118
Spinola Leopoldo fu Gerardo: 77
Spinola Maria Costanza: 119
Spinola Opizzino: 46, 61, 109
Spinola Pellina: 68
Spinola Quirico: 73
Strabone: 35
Suvorov Aleksandr: 82
Tacchella Lorenzo: 40, 43, 44, 47, 50,
63, 64, 69, 72, 109, 132
Tallone: 48
Tamburelli Pietro: 110
Tavella Lorenzo: 22
Tavella Maurizio: 8, 76, 109, 111,
118
Tebaldo di Albera (1121): 60
… Tognolo: 162
Traverso Sergio (Carmè): 161
Ughè Alberto: 164
Vaccari don G.B.: 139, 145, 151
Van Wyngaardt Freddy: 8
Varni Santo: 71
Vendryez …: 78
Verini Alberto: 164
Verini Dina: 164
Vignolo Marina: 61, 62
Villa Lorenzo: 69
Vinzoni Matteo: 48
Visconti Giovanni: 46
Vitali Remo: 154
Vittorio Amedeo II: 48
Vittorio Emanuele II: 79, 105
Vittorio Emanuele III: 120, 122
Vogel di Volgelstein: 146
Wickham Chris: 38
Zarri Claudio: 43
Zelpio Gaudenzio: 71
Zuccarino Bruno: 154
Zunino Bartolomeo: 80
Indice dei luoghi principali
(I toponimi di Vocemola sono in
neretto)
Acquafredda (rio): 47, 124
Agneto: 146
Aia di Gaggin: 167
Aja (Rio dell’): 29, 30, 31
Albania: 97
Albera Ligure: 63, 84
Albora (Isola del C.): 84
Alpe di Buffalora: 86
Alpicella: 76
Ansaldi Lugano (via di Vocemola):
125
Antola (monte): 19
Arezzo di Vobbia: 23
Arimannorum (monte): 54
Arossi (ponte a Rigoroso): 124
Arquata Scrivia: 16, 23, 26, 38, 39,
41, 45, 47, 56, 60, 61, 63, 65, 66, 67,
73, 74, 76, 78, 83, 97, 98, 99, 113,
124, 149, 156, 174
Arsò o Alsale (monte): 28
Asmara (Eritrea): 102
Avi: 58
Balcani: 102
- 196 -
Barca (rio della): 29
Baro (casa): 28, 30, 32, 48, 50
Bastia (Busalla): 42
Belvedere (località): 9
Bengasi (Libia): 103
Bergamo: 88
Bertolin (lago): 28, 153
Bertolina (rio): 29
Bobbio: 54
Bocchetta (passo della): 46, 81
Bombay (India): 103
Borbera (torrente e valle): 27, 41,
42, 58, 149
Borghetto Borbera: 81, 99
Borgo Fornari o Ceta: 22, 41, 42, 44,
45, 47, 70, 121
Borgo San Dalmazzo: 153
Borlasca: 25, 26, 27, 146
Borlasca (rio): 41
Bosco del Gatto: 28
Bosco del Re: 28, 101
Bosnia: 99
Bovegna (rio): 27
Brà: 153
Bradano (Arquata Scrivia): 54, 57,
67
Bricò: 28
Bricolò: 28
Brignano Frascata: 36
Bromia (Valbrevenna): 27
Brughè: 118
Busalla: 22, 23, 25, 41, 43, 45, 46, 72,
75, 81, 109, 119, 121, 156
Busalletta (rio, diga): 41, 109
Buschetti: 28
Cabella Ligure: 10, 84
Cà Bianca: 9
Cà de Piaggio: 157
Cà de Zan o Cà d’Zan: 27, 28, 31
Cà dei Gatti (Ronco Scrivia): 45
Cagnola (Isola del Cantone): 49, 52
Camionale dei Giovi: 108, 119, 121,
122, 154
Campeghelle o Campechelle: 28,
30, 32, 33, 68
Campoligure: 22
Campolungo (Isola del Cantone): 27,
43, 45, 49, 54
Camposaragna (Case): 41, 47
Canavusa: 28
Canè: 28
Canonica: 126
Cantalupo Ligure: 84, 99
Cantone di Isola: 41, 42, 45, 49
Canton Ticino: 71
Capanne di Marcarolo: 86
Capellania Ghirado: 28, 77
Caporetto: 90
Capriata d’Orba: 59
Caranza di Mongiardino: 47
Carbunee: 28
Carbonara: 63
Carezzano: 38
Carrara (rio, Arquata Scrivia): 56
Carrega Ligure: 63, 84
Carrosio: 49, 92
Carso: 94
Casale Monferrato: 55, 102, 145
Casaleggio (isola del Cantone): 52
Casalnoceto: 36
Cascine di Ronco Scrivia: 45
Casei Gerola: 55
Casella: 55, 118
Casinassa: 28, 30, 31
Casotto: 28, 30, 32
Cassano d’Adda: 82
Cassano Spinola: 106
Castagnei: 28
Castagnola: 41
Castel Ratti: 58
Castelceriolo: 101
Castello (Castè): 27, 44, 60, 68, 69,
122, 126, 129, 138, 151, 152, 162,
171
Castello della Pietra: 27, 35, 63
Castelnuovo Scrivia: 101, 113
Cella di Varzi: 149
Cesino (Val Polcevera): 26
- 197 -
Chiappino (rio): 18, 82
Chiappuzzo o Ciappussu: 28, 151
Chiesa Vecchia: 28, 77
Ciapasca (Pietrabissara): 25
Ciapetta: 28
Ciappe: 28
Ciappun dai Bricò: 12, 13, 14, 175,
176
Cirene (Libia): 103
Colletta: 28
Colombara (azienda agricola): 125
Colorino: 60
Cornacchia (rio): 29
Cornareto: 42, 45, 47
Crenna (Libarna): 43
Creverina: 41, 46
Croazia: 99
Crocefieschi: 23, 42, 81
Crocetta d’Orero (passo): 47, 55
Crosa (Crosum): 27, 60
Cuneo o Cunietti (rio): 27, 29
Curone (valle): 48, 53
Curve del Tuà (Pietrabissara): 41
Debeli (monte): 93
Del Bissignala: 126
Dernice: 48
Desdra: 146
Di Fane: 126
Dovanelli: 161
Feleto Piano: 76
Ferrari (via di Vocemola): 125
Fibiarone o Fibiarun, Fubiarun:
28, 77, 82
Filagni: 28, 51, 77
Filagni (lago): 28, 153
Foi: 28, 76
Fontana (via della): 122, 150, 168
Fontana calda: 28, 31, 48
Fontanino: 28
Fornasso o Fornazzo: 28, 30, 31,
125
Fraconalto o Fiacone: 49, 69, 75, 76,
85
Funtanelle: 28
Funtan-na: 28
Funtan-na d’Anselmu: 28
Gabe (riu de): 28, 30, 32
Gabbia (sentiero e bric): 84, 174,
175
Gatorba (Serravalle Scrivia): 39, 54
Gavi: 22, 42, 45, 46, 49, 53, 59, 68,
74, 82, 90, 92, 93, 94
Gazzo (monte di Genova): 14
Gazzo (Isola del Cantone): 54
Genova: 20, 22, 23, 37, 40, 45, 46, 49,
58, 64, 66, 70, 84, 119, 145
Germania: 107
Gesa: 28
Giacomassi: 9
Giretta di Isola del Cantone: 41, 43,
47, 48, 49, 98
Giugnano (Serravalle Scrivia): 39, 54
Ghia Nuova: 28
Giumein-na: 28
Gorizia: 92
Gremiasco: 36
Griffoglieto: 27, 99
Grondona: 48, 58, 63, 93, 133, 161
Groppu: 28
Grue (valle): 42
Guacciorna: 54
Guardia (colle della): 36, 42, 43, 48,
49, 84
Guardia (santuario di Genova): 54,
165
Guasone: 49, 54
Guazzora: 54
Guazzorna: 54
Hannover: 108
Inferiore (mulino): 124
Inseighi: 28
Intelvi (valle): 70
Interiore (via ad Arquata Scrivia): 57
Iria (fiume): 118
Isola del Cantone: 19, 20, 23, 25, 36,
37, 42, 48, 52, 70, 71, 72, 74, 82, 118,
121, 154
Isolabuona (Ronco Scrivia): 41, 42
- 198 -
Isonzo (fiume)
La Costa: 17
Ladde (rio di Ronco Scrivia): 41
Lago (cascina a Ronco Scrivia): 42
Lastrico: 45, 57
Lavagello: 155
Lavandaia (rio a Rigoroso): 14, 17,
41, 124
Lemma (valle e torrente): 55
Libarna: 35, 36, 37, 38, 39, 40, 46,
49, 50, 51, 52, 57, 130
Liborno (fosso): 13, 17
Linverno (pieve a Serravalle Scrivia):
40
Lucchesi: 28
Lugano (Svizzera): 70, 71, 145
Maggiore (lago): 22
Magon (monte): 16, 28, 36, 174
Magone (castagneto): 28, 30, 32
Malvasi (Ronco Scrivia): 42, 45
Marconi (viale di Arquata): 18
Marmassana: 23
Massario (monte): 28, 60
Massè (lago): 28, 153
Mauthausen: 98
Mendrisio (Svizzera): 71
Mercato (piazza di Arquata)
Mereta: 12, 41, 42, 45, 46, 48, 50, 57,
70, 71, 84, 109, 174
Mernico: 91
Michella o Michela: 28, 31
Migliarese (ruscello): 23
Mignanego: 75
Milano: 23, 64, 88, 99, 119
Minceto (Ronco Scrivia): 42, 45
Misericorda (bosco della): 21, 28
Moglie, Le (anche la Moglia
oppure Möie): 27
Molino di Sopra: 109
Molo Borbera
Mongiardino Ligure: 84
Monperone: 36
Montaldeo: 59
Montaldero: 17, 27, 78
Montalto (castello): 10, 26, 45, 49,
55, 56, 67, 75
Montanesi: 119
Montenegro: 99
Montenotte: 80
Montessoro: 20, 44, 51, 52, 118, 139
Montoggio: 63
Mrzli (monte, in Slovenia): 90, 92
Mulino (rio): 41
Mundravia: 28
Murta (Genova): 97, 98
Navona (mulino a Rigoroso): 124
Nazarino (Arquata Scrivia): 54, 57,
67
Nebiin: 28
Nero (monte): 90, 92
Nizolasco (Serravalle): 43, 44, 49
Noceto di Isola del Cantone: 44, 49,
52
Noceto di Vobbia: 23
Noci (valle, diga): 109
Novi Ligure: 76, 81, 83, 84, 89, 92,
110, 145
Ö Mo dö Quò (il mare di Arquata):
124
Oratorio: 153
Oratorio dell’Immacolata a Castè:
130
Ortasso: 28, 30, 32
Orti (località di Isola del Cantone):
45, 47
Padova: 107
Pantalein: 28
Papa Giovanni XXIII (piazza a
Vocemola): 129
Passè o Possè: 28, 31, 151
Passo: 28
Pavia: 46, 156
Pedemonte di Serra Riccò: 70
Perogallo (fontana): 75
Persi: 54, 58
Peschiein: 28
Pessino: 9, 18, 48, 66, 74, 99, 109
Pianassi (Isola del Cantone): 49, 52
- 199 -
Pian di reste (Bocchetta): 49
Picareto: 9
Piampaludo (SV): 12
Pian da l’Ortu: 28
Pian da Ruvre o da Ruvrè: 28
Pian dai Cà: 28, 30, 82
Pian dei Verzi o Varzi: 28, 30, 31
Pian del Merlo: 28
Piano delle Gabbie: 108
Pian d’luccu: 28, 108
Pian d’Ultrise: 28
Pian du Sgnù: 28
Piano di Isola (ponte e località): 45,
49
Pietrabissara: 10, 13, 20, 22, 36, 41,
45, 46, 47, 48, 49, 50, 64, 67, 71, 74,
119, 120, 154, 155
Pietrafraccia (Ronco Scrivia): 42, 45
Pinceto: 27
Pineta: 118, 119, 166
Pizzo: 28
Po (fiume): 106
Poggio (monte): 36
Polcevera (valle): 106, 120
Pompeiano (Arquata Scrivia): 45, 57
Ponte di Zan: 27
Postumia (via romana): 27, 37, 40,
41, 46, 49, 50, 51, 130
Pozzetto (Arquata Scrivia): 73
Pozzo: 28
Pozzolo Formigaro: 70, 81
Prà d’Arnellu: 28
Prà d’Baössu (Prato di Barosso):
28, 30, 31, 77
Pradella (rio, Arquata Scrivia): 18
Pragasso: 28, 31
Prarolo: 41, 42, 43, 45, 48, 84, 155
Prasghè: 28
Prato della Vigna: 28, 30, 31, 32
Precipiano: 38, 39, 42, 43, 44, 45, 46,
48, 49, 54, 57, 58, 59, 63, 65, 67, 130,
133, 155
Preghella (Arquata Scrivia): 73
Prodonno (Isola del Cantone): 84
Pusè o Posè: 28, 30
Quain: 28
Quartiere del Capo: 126
Radimero (rio): 18, 73
Radimero o Redemerio: 73
Reale (monte): 44, 49, 58, 59
Recco: 145
Regia dei Giovi (strada): 39, 47, 119
Regonca (Arquata Scrivia): 17
Reopasso (monte): 35, 36
Reste (piano alla Bocchetta): 49
Rettorato: 28, 63, 76, 155
Rigoroso: 9, 10, 14, 17, 27, 40, 45,
47, 48, 50, 57, 58, 67, 70, 78, 82, 124,
139, 169, 173
Roccaforte Ligure o Rocca dei Piè:
48, 58, 84
Rocchetta Ligure: 84
Roma (via di Arquata Scrivia): 18,
125, 157
Ronco Scrivia: 20, 22, 23, 42, 45, 46,
48, 49, 59, 118, 120, 121, 156
Ron dai Brun: 27: 29
Rose (lago delle): 28, 153
Rossiglione: 22
Rovio (Svizzera): 71
Russia: 102
Saea: 29
Salata di Mongiardino: 47
Saliera o Salera (rio): 29, 30, 31,
154
Sampierdarena: 119
San Bartolomeo (chiesa di
Vocemola): 129
San Bartolomeo (rio): 29, 76, 122,
123, 134, 142, 152
San Benigno (Genova): 119
San Colombano (chiesa a Variana):
43
Sandbostel (Germania): 108
San Donato (chiesa): 70
San Giacomo della Terra (chiesa di
Arquata): 117, 133, 141
San Giovanni Battista di Caranza: 47
- 200 -
San Nicolò (chiesa di Novi Ligure):
71
San Pietro di Precipiano (abbazia):
134, 135
San Rocco (rio): 41
San Salvatore (chiesa di Pratolongo):
133
San Sebastiano Curone: 47, 84
Sant’Andrea (chiesa a Rigoroso): 43,
70
Sant’ Eusebio (chiesa di Varinella):
134
Santa Maria (chiesa a Rigoroso): 43
Santa Sabina (chiesa di Genova): 72
Santo Stefano (chiesa a Isola): 42,
43, 49, 52
SS. Vittore e Carlo (chiesa a Genova):
70
Sarissola (Busalla): 42, 45
Sarizzola (AL): 146
Savignone: 46, 47, 55, 57
Savona: 89
Scagno: 29, 77
Scaion: 29
Scaldasole (Isola del Cantone): 43,
49
Scrivia (torrente e valle): 9, 13, 17,
18, 22, 23, 25, 35, 36, 40, 41, 43, 46,
47, 49, 50, 52, 68, 74, 76, 84, 99, 109,
117, 118, 120
Scuro (lago): 28, 120
Semega (Borgo Adorno): 25
Seminella (Busalla): 25
Semino (Busalla): 25, 72
Serralta: 76
Serravalle Scrivia: 19, 22, 23, 37, 39,
40, 46, 47, 53, 58, 71, 74, 81, 82, 99,
137
Sestri Ponente: 12, 153
Settefontane (Isola del Cantone): 71
Sommaripa: 43, 44, 49
Sotto Castello: 29
Sottovalle: 9, 10, 17, 26, 59
Spighino: 29, 123
Spineto (Monte): 57
Spinola (castello nel Cantone di
Isola): 44
Spinola (palazzo in Pian a Isola del
Cantone): 44
Spinola (palazzo a Pietrabissara): 40
Spinti (torrente e valle): 17, 18, 36,
41, 42, 48, 52, 109
Stazzano: 25, 38, 42, 45, 63, 81,
118, 150
Strada Statale 35 dei Giovi: 18
Sudon: 29
Superiore (mulino): 124
Taiaussi o Tagliaruzzi: 29
Taiò: 29
Tariné (bric): 12
Tassarolo: 59
Telleta (Arquata Scrivia): 54, 57, 67
Tempuia: 29
Terlizzano: 29
Terminum: 60
Tiglieto: 86
Tolmino (Slovenia): 90
Torchio: 29, 77
Torre de’ Ratti: 92
Torriglia: 23
Torrotta: 48
Tortona: 20, 22, 23, 45, 46, 49, 58,
60, 78, 81, 108, 109, 156
Travaghero o Travaghé: 9, 17, 29
Traversa (rio): 41
Traversa (strada): 29, 152
Udine: 91
Vaie (Arquata Scrivia): 18, 110
Valante: 29
Valbrevenna: 35
Val du Ruson: 29
Val d’Arquata: 9, 124
Vallassa o Vallazza: 29, 30, 32
Valle (Gavi): 145
Vallebona o Valbona: 29, 76, 111,
118
Vallenzona di Vobbia: 23
Valletta: 29, 77
- 201 -
Variana: 25, 36, 38, 44, 48, 74, 78
Variano: 25, 38
Varinella: 9, 17, 39, 42, 44, 45, 57,
63, 65, 66, 67, 74, 78, 98, 109, 124,
129, 168
Vendersi (Albera Ligure): 58
Vermuin-na (Isola del Cantone): 36,
42, 47, 49
Vescovado: 42
Vescovo (rio del): 29
Vigna da Cà: 29
Vigna dai Mou: 29
Vignassa: 29, 82
Vignole Borbera: 23, 26, 39, 45, 81,
130, 154
Vigo: 58
Vigoponzo: 47
Viguzzolo: 135
Villalvernia: 45
Villavecchia di Ronco Scrivia: 45, 47,
50
Villini (via, ad Arquata Scrivia): 17
Vintino o Ventino: 82, 84, 109, 111,
118
Vobbia (torrente e valle): 23, 27, 41,
42, 44
Vobbietta: 23, 44
Voltaggio: 12, 22, 42, 49, 74
Voltri: 12
Zanasca (Pietrabissara): 25
Zuccaro (monte): 26
Zuncri (Isola del Cantone): 36, 37,
42, 47, 49
Zurigo: 71
Indice delle Associazioni
Agenzia Regionale per la Protezione
dell’Ambiente di Alessandria
(A.R.P.A.): 169
Antelami (maestri muratori): 70, 71
Archivio comunale di Arquata
Scrivia: 122, 132
Archivio della curia arcivescovile di
Tortona: 109, 126, 132
Archivio di Stato di Genova: 48, 67,
69
Associazione Culturale “G. Ponta”
di Rigoroso: 76
Associazione Culturale
“Mnemosyne” di Arquata Scrivia: 7,
104
Associazione Mazziniana
di Genova: 101
Battaglione alpino “Susa”: 92
Brigata di fanteria “Forlì”: 89, 92
Brigata di fanteria “Modena”: 89, 92
Brigata di fanteria “Salerno”: 89
Brigata partigiana “Arzani”: 99
Brigata partigiana “Balilla”: 98
Brigate d’assalto “Garibaldi”: 100
Brigate Nere: 97
Camicie Nere (CC.NN.): 98
Centro Culturale di Isola del
Cantone, 7, 154
Circolo A.C.L.I. di Vocemola: 113,
156, 168, 169, 171
Comacini (Maestri muratori): 71
Compagnia o Confraternita di
San Bartolomeo: 76, 123, 146
Compagnia o Confraternita del
SS. Rosario: 76, 135, 146
Compagnia o Confraternita del
SS. Sacramento: 123, 133, 135, 141,
142, 146
Comune di Arquata Scrivia: 109,
110, 112, 118, 129
Confraternita di Arquata Scrivia: 130
Congregazione degli Olivetani: 109
Congregazione dei Padri Somaschi:
76, 145
Congregazione dei Rurali di Genova:
139
Corale di Vocemola: 161, 163
Croce Rossa di Ronco: 120
Ditta Antonio Modena: 123
Divisione alpina “Cuneense”: 102
Divisione alpina “Monte Rosa”: 101
- 202 -
Divisione alpina “Taurinense”: 99
Divisione fanteria “Piave”: 107
Divisione fanteria da montagna
“Taro”: 104
Divisione partigiana “Pinan
Cichero”: 99
Guardia Nazionale Repubblicana:
97, 98
Gruppi di Azione Patriottica (G.A.P.):
100
I.C.O.S. di Milano: 112
Impresa Andreotti di Cremona: 120
Impresa Ferrobeton di Roma: 120
Impresa di Costruzioni De Filippi
di Torino: 120
Impresa Patri G.B.: 110
Impresa Torno di Milano: 120
Internati Militari Italiani (I.M.I.): 99
Istituto “Calcinara” a Sestri
Ponente: 153
MAEG (Vazzola, Treviso): 117
Milizia Volontaria Sicurezza
Nazionale (M.V.S.N.), 98
Partito Comunista Italiano
(P.C.I): 101
Partito d’Azione: 100
Preve Costruzioni S.p.A.: 117
Reggimento “Cacciatori del Po”: 79
Regione Piemonte: 115
Repubblica Sociale Italiana
(R.S.I.): 97, 98
S.A. Bertelé di Torino: 112
Società Filarmonica Vocemolese:
159, 161, 162, 163
Società Torinese Monitoraggi: 115
Squadre di Azione Patriottica
(S.A.P.): 97, 100
Studio professionale Signorelli e
altri (Genova): 115
3° reggimento fanteria
“Piemonte”: 93
4° reggimento alpini: 153
4° reggimento artiglieria da
montagna: 99
18° reggimento di fanteria
“Acqui”: 86
34° reggimento artiglieria: 93
41° reggimento fanteria: 89
42° reggimento fanteria: 89
43° reggimento fanteria: 89
44° reggimento fanteria: 89
48° reggimento artiglieria: 105
58° reggimento fanteria: 107
86° reggimento fanteria: 94
89° reggimento fanteria: 89, 90, 94
90° reggimento fanteria: 89, 91
207° reggimento fanteria: 105
- 203 -
- 204 -
- 205 -
Finito di stampare nel marzo 2017
per i tipi di Litho Commerciale scrl
Novi Ligure (Alessandria)
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