CAPITOLO NONO
rastrellamentI
e deportazIone In Kl
nell’ItalIa occupata 1943-1945
di FIAMMETTA BALESTRACCI*
Cenni storici e di metodo
«Nel Cuneese e altrove, la pressione partigiana, nonostante i rastrellamenti del dicembre-gennaio, si è accentuata e dimostra di
aumentare via via che le bande crescono numericamente. Ciò convince i germanici a rivedere i piani offensivi adoperati due mesi
innanzi, passando dalle “operazioni di polizia” a programmi di
cicli di rastrellamenti con impiego di truppe tratte dalle unità che
hanno esperienza di controguerriglia per avervi partecipato su altri fronti della lotta partigiana europea. Viene modiicato il criterio
strategico, la “puntata” lascia il posto ad un disegno di proporzioni più estese e quindi che postula maggiore spiegamento di forze;
il criterio prescelto è la manovra articolata di colonne convergenti
sulle località delle valli segnalate come basi od epicentri dei movimenti partigiani. Lo scopo è di pervenire all’annientamento completo delle formazioni avvolgendole in tanti nodi scorsoi.»1
Come mette bene in luce il brano di Mario Giovana qui
riportato, la prassi repressiva al centro di questa trattazio* Fiammetta Balestracci, dottore di ricerca in Storia Contemporanea,
collabora attualmente con l’Historisches Seminar dell’Università Johannes
Gutenberg di Mainz (BRD). Ha fatto parte del gruppo di ricerca che ha prodotto Il libro dei deportati.
565
ne, il rastrellamento, non ha e non ha avuto nel corso della
guerra una forma e uno sviluppo costante e deinito, non ha
fatto cioè riferimento a un sistema di tecniche militari isso o
speciicamente codiicato per lo spazio italiano occupato. Si è
trattato, invece, di una tipologia di violenza, con una sua genealogia, che in Italia sarebbe stata impiegata tenendo conto,
per un verso, delle esperienze degli anni precedenti in altri
contesti, e, per altro verso, delle mutevoli condizioni militari
in cui nel corso del conlitto sul fronte italiano la Wehrmacht
e le forze SS e di polizia tedesche, coadiuvate dalle formazioni
salodiane, si sarebbero trovate a operare. La deportazione nei
campi di concentramento (Konzentrationslager, KL) come uno
degli esiti possibili del rastrellamento deve perciò essere considerata all’interno di un quadro repressivo in cui la violenza
viene via via assunta razionalmente come medium operativo
di più vasti piani di sfruttamento della manodopera del paese occupato.2 Se all’apertura delle operazioni nello scacchiere
italiano la deportazione nei KL come esito di un’operazione
militare o di polizia nell’ambito della lotta antipartigiana e del
mantenimento dell’ordine pubblico era considerata una delle
forme di punizione alternativa all’uccisione immediata, come
codiicato nei manuali di controguerriglia redatti sulla base
delle esperienze compiute sui fronti orientale e balcanico,3
che doveva colpire generalmente coloro che erano considerati
responsabili di «iancheggiare» e sostenere in qualche modo
manifestazioni di opposizione, dalla primavera-estate del 1944
tale prassi diventa uno dei principali esiti delle azioni repressive messe in atto nella lotta contro le formazioni partigiane,
azioni parallelamente inalizzate anche al prelievo e al trasferimento forzato di manodopera oltre Brennero. L’uso concreto
sul territorio di questa concatenazione di dinamiche si sarebbe poi deinito di volta in volta, nel corso del conlitto, in base
alle speciiche condizioni in cui le forze coinvolte si sarebbero
trovate a operare, dettate sostanzialmente dalla congiuntura
bellica, dalla presenza partigiana, e quindi dalla necessità di
controllare il territorio e tenere libere le vie di comunicazione,
e dall’esigenza di soddisfare le richieste produttive del Reich.
566
Prima di entrare nel merito delle vicende in esame vorremmo dare alcuni riferimenti di carattere storico generale
riguardo a questo genere di operazione repressivo; sebbene,
infatti, non manchi una codiicazione nazista per questo genere di violenza come tecnica di controguerriglia, è oggi noto
che forme di violenza simili, estranee al conlitto tra eserciti
regolari e piuttosto inalizzate alla repressione, erano già state
perpetrate nel quadro delle guerre coloniali,4 e si sarebbero
riproposte nel caotico scenario baltico nella «guerra dopo la
guerra» del 1919-1921, scenario caratterizzato dall’intreccio
tra conlitti interstatuali, guerre civili, scontri di nazionalità e
contrapposizioni ideologiche.5
Anche attraverso la rilessione sull’esperienza baltica si
sarebbero condensate, a metà degli anni Trenta, le prime rilessioni teoriche delle forze armate tedesche sulle tecniche
di controguerriglia, successivamente codiicate e riadattate in
una serie di documenti stilati nel corso del secondo conlitto
mondiale che traevano ispirazione ulteriore dai metodi adottati sui campi di battaglia in Unione Sovietica e nei Balcani.6
Sin dai primi testi scritti (il primo, redatto nel 1941 dopo
appena quattro mesi di guerra sul fronte orientale, sarebbe
stato seguito da altri documenti nel triennio successivo) relativi al fenomeno della guerriglia in un quadro di guerra,
erano stati posti al centro del dibattito alcuni aspetti ritenuti fondamentali al buon andamento delle operazioni militari in un quadro di guerra non convenzionale. Tra questi si
menzionavano: la programmazione di tipologie di operazioni
di diversa natura e grandezza, basate su tecniche svariate di
combattimento; il coordinamento nell’azione di tutte le forze
presenti sul territorio; l’utilizzo di unità speciali di «cacciatori» che imitassero il comportamento bellico delle formazioni irregolari nemiche (Jagdkommandos); la ricognizione e
la perlustrazione del territorio prima dell’azione; il rapporto
con la popolazione locale, sia in forma di contatti individuali
o di alleanze tattiche, per esempio con minoranze nazionali,
sia tramite minacce collettive in forma preventiva o difensiva; la persecuzione di tutti coloro che avessero dimostrato
567
di iancheggiare o prestare soccorso agli oppositori, secondo
una classiicazione delle vittime che sarebbe variata col tempo e con il mutare dei rapporti di forza. Ciascuno di questi
aspetti costituiva, di fatto, un prerequisito fondamentale alla
conduzione della lotta antipartigiana nei territori occupati, e
si apriva a un complesso di problematiche militari e politiche
strettamente legate al contesto operativo. La teorizzazione
aveva dunque un valore innanzitutto descrittivo, e solo secondariamente prescrittivo.
Le operazioni militari o di polizia che vennero realizzate in
Italia, più comunemente note con il nome di «rastrellamento»,7
poterono svilupparsi e avere obiettivi assai diversi nel corso
del conlitto. I documenti tedeschi utilizzano una terminologia plurima per fare loro riferimento, volendo in effetti indicare azioni offensive diverse tra loro per tecnica e inalità.8 Si andava da interventi mirati, veri e propri assalti o puntate, molto
simili per organizzazione alle retate, inalizzati, per esempio,
alla cattura di una banda in un determinato luogo; a marce di
perlustrazione o ricognizioni preliminari a operazioni di più
vasta portata, che potevano anche concludersi con scontri e
arresti; a operazioni più allargate pensate per colpire e «boniicare» una particolare area a scopo preventivo, oppure in
rappresaglia a seguito di precedenti fatti d’arme; a setacciamenti a vasto raggio, in forma di battute di caccia, per l’individuazione di una formazione partigiana; ad accerchiamenti
di un’area deinita, secondo la tecnica cosiddetta della tela di
ragno (Spinwebe), inalizzati alla chiusura in una sacca (Kesselunternehmen) di un gruppo armato da eliminare; ino ad
arrivare a grandi cicli operativi all’interno dei quali potevano
inserirsi operazioni minori di vario tipo. Per l’Italia l’esempio
più noto per quest’ultimo genere erano state le «settimane di
lotta alle bande» (Bandenbekämpfungswochen), indette da Albert Kesselring, comandante supremo del gruppo di armate
«C», alla ine del 1944, a metà ottobre (8-14 ottobre) e tra ine novembre e inizio dicembre (27 novembre- 2 dicembre),
con l’obiettivo di mettere ine al controllo partigiano di alcune
zone nell’Italia settentrionale, le cosiddette «zone libere». Di
568
fatto, nel corso di tutta l’occupazione, tratto peculiare della repressione tedesca in Italia sarebbe stata la combinazione e l’integrazione di diversi tipi di operazioni in uno stesso territorio,
anche inalizzate o comunque conclusesi con la deportazione
di prigionieri in KL. Fondamentale per la realizzazione di
un’operazione era l’assegnazione di mansioni precise a tutte le
unità presenti sul campo, poste sotto la guida di un comando
unico, e responsabili delle diverse fasi dell’azione. Per favorire
la sinergia di tutte le forze in campo, di fronte all’accresciuta
esigenza di contenere l’azione partigiana, i comandi tedeschi
sarebbero arrivati a istituire, fuori dalle zone di guerra, centrali di coordinamento di tutte le unità, sia militari, sia SS e di
polizia, presenti sul terreno, incluse quelle salodiane.
La maggior parte delle operazioni che saranno qui analizzate si svolsero in aree agresti, sia nelle retrovie del fronte,
sia lontano da esso, convolgendo tanto villaggi quanto zone
di aperta campagna e vie di comunicazione. Non sarebbero
mancati rastrellamenti urbani, molto simili a grandi retate, realizzati secondo la tecnica dell’accerchiamento, con la
chiusura di una zona tramite il blocco delle strade, sorvegliate da speciali unità, seguita dall’irruzione di casa in casa
attraverso piccole squadre mobili, e terminate spesso con la
cattura di parte o di tutta la popolazione presente. Nell’ambito della controguerriglia si distingueva tra Bandengebiete o
territori di bande, bandenverseuchte Gebiete o territori infestati da bande, bandenverdächtige Gebiete o territori sospetti e bandenfreie Gebiete o territori liberi da bande, secondo
una scala discendente di pericolosità che, una volta stabilita,
contribuiva a suggerire le misure repressive da utilizzare. E
qui entrava in gioco la presenza della popolazione civile. Il
suo ruolo aveva nella manualistica tedesca e nelle successive prescrizioni antiguerriglia un posto centrale, in quanto ai
comandi tedeschi era del tutto evidente che il sostegno della popolazione civile poteva diventare uno dei punti di forza
dell’attività delle bande, oltre a rimandare a un problema di
ordine pubblico. Anche su questo punto il comportamento
da adottare non seguiva un’indicazione univoca, ma variava
569
a seconda di dove si operava, e di quale fosse l’entità della
presenza partigiana: poteva comportare il tentativo di ottenere il consenso della popolazione, l’iniltrazione di spie, ino ad arrivare alla distruzione dell’abitato, alla rappresaglia
contro un’intera comunità, alla strage di civili, che, assieme
al prelievo coatto di altri settori della popolazione, da inviare
in KL o al lavoro coatto, sia oltre Brennero, sia in altre zone
del territorio occupato, rappresentava una potente arma di
ricatto contro i partigiani della zona. Lo spostamento forzato di un’intera comunità di villaggio costituiva una modalità
estrema di repressione, su cui in Italia anche i comandi tedeschi avrebbero discusso in fasi diverse del conlitto ma che,
comunque, prima della grande crescita primaverile del movimento partigiano, sarebbe stata adottata praticamente soltanto nella zona del Litorale Adriatico, dove l’attività partigiana
si era già sviluppata prima della crisi del settembre 1943 per
iniziativa delle minoranze slavofone. Nel corso dei mesi successivi azioni analoghe si sarebbero registrate anche in altre
regioni italiane; come già anticipato, quando non era pensata
come una misura di ritorsione collettiva, la deportazione in
KL era utilizzata per colpire i «iancheggiatori» o i sostenitori dei ribelli. Nei manuali antiguerriglia del 1942 si prevedeva che essi, se uomini, dovevano essere giustiziati subito,
mentre a essere destinate alla deportazione in KL erano le
donne della loro famiglia. Qualche caso di mogli o congiunte
di partigiani deportate in seguito a rastrellamenti si è veriicato, come vedremo, anche in Italia. Soprattutto nei primi
mesi di occupazione nel territorio italiano, la deportazione in
KL sarebbe stata presa in considerazione, al termine di un
rastrellamento, per tutti i tipi di «iancheggiatori» o presunti
tali, dai famigliari, uomini e donne, di partigiani, ai parroci
e religiosi, come anche a quei partigiani che fossero riusciti
a farsi passare per semplici rastrellati, ai rastrellati medesimi
catturati nel corso dell’operazione, mentre a essere giustiziati
subito sarebbero stati coloro che cadevano prigionieri con le
armi in mano o comunque fossero ritenuti resistenti in qualche forma attivi.
570
Dalla primavera-estate del 1944 con l’intensiicarsi della
lotta partigiana, con l’aumento del numero degli interventi e
la crescita del dispiegamento di forze, la deportazione in KL
avrebbe assunto carattere più esteso, potendo essere disposta nei confronti di resistenti, renitenti e semplici rastrellati,
e collocandosi in un contesto in cui si alternavano, contraddittoriamente, misure di radicalizzazione che andavano verso
un quadro di guerra totale e di repressione generalizzata e disposizioni più attente alla ricerca del consenso che vi ponevano limiti. In questa direzione aveva spinto, oltre alla già citata
crescita del movimento partigiano e alla relativamente veloce
ritirata della Wehrmacht sulla Linea Gotica dopo lo sfondamento alleato a Cassino e la successiva evacuazione di Roma,
anche l’aggravata penuria di manodopera nel Reich che, dopo l’insterilirsi delle riserve di manodopera prima costituite sia dai territori orientali occupati, a causa dell’andamento
delle operazioni al fronte, sia dal territorio francese, dove gli
Alleati sarebbero sbarcati tra il giugno e l’agosto 1944, vedeva nell’Europa meridionale ancora occupata un serbatoio di
manodopera essenziale. Dal giugno 1944 anche i partigiani
sarebbero stati uficialmente inseriti nelle categorie soggette
a deportazione in KL, mentre contestualmente sui civili uomini avrebbe gravato sempre più la minaccia del trasferimento in Germania per il lavoro coatto.
In conclusione di questa sezione introduttiva, vorremmo
fornire alcune informazioni di carattere metodologico sulla
ricerca svolta. Obiettivo del lavoro è innanzitutto la ricostruzione dell’andamento complessivo dei rastrellamenti seguiti
da deportazione in KL, cercando di fare emergere le speciicità relative ad alcune macro-aree geograiche dell’Italia occupata e cercando di disegnare alcuni grandi cicli repressivi
per così dire «stagionali», legati cioè a determinate stagioni
dell’occupazione, della guerra e della repressione. A questo
scopo è stata focalizzata l’attenzione su alcune – non tutte –
operazioni che hanno segnato e in qualche modo hanno formato l’andamento repressivo generale di una zona. In questo
senso sono state inserite nel quadro generale anche operazio571
ni che non hanno portato a deportazione in KL e sui cui esiti
puntuali non si hanno notizie certe, ma che hanno permesso
di chiarire l’andamento repressivo di quella fase in una certa
zona.
Per la ricostruzione dell’andamento delle dinamiche repressive è stato incrociato l’elenco di operazioni di rastrellamento (924 in tutto), ricavato da Carlo Gentile attraverso
lo scavo negli archivi tedeschi,9 con un’ampia messe di fonti edite, principalmente la letteratura relativa alla Resistenza, all’occupazione tedesca, alla guerra antipartigiana e alle
stragi a essa connesse prodotta in larga parte negli ultimi
vent’anni. Siamo consapevoli del fatto che il quadro che ne
è emerso è fatto di pieni e di vuoti, vale a dire di momenti
di approfondimento maggiore, là dove l’accostamento della
fonte tedesca con la letteratura ha permesso di ricostruire
nel dettaglio le operazioni oppure ci ha aiutato a riconoscere
alcuni grandi cicli repressivi; e per converso di passaggi per
cui è stato necessario fermarsi al livello dell’ipotesi, là dove
mancavano riscontri suficienti a dare certezze circa l’esito
di un’operazione, vista l’indeterminatezza concettuale non
infrequente nelle fonti militari tedesche circa la reale destinazione dei trasferiti nel Reich, talvolta accomunati sotto la
generica dizione di Arbeitseinsatz (letteralmente: «impiego
come manodopera») che poteva indicare sia i KL, pressoché
totalmente asserviti dalla primavera del 1942 all’economia di
guerra, sia l’apparato responsabile dell’allocazione della manodopera civile (tedesca o straniera che fosse) facente capo
al Gauleiter di Turingia Fritz Sauckel e noto con il nome di
Generalbevollmächtigter für den Arbeitseinsatz (GBA), entrato
anch’esso in attività nella primavera del 1942. Solo quando si
disponga di elenchi nominativi, riscontrabili quindi tramite
le schede biograiche pubblicate nel I volume di questa stessa opera,10 oppure quando altre fonti uficiali riportino ben
chiara la destinazione dei trasporti permettendo di identiicarla come un KL o un suo sottocampo è possibile sciogliere
ogni dubbio. Allo stesso modo anche la memoria privata, cioè
i ricordi dei testimoni o delle vittime rispetto a rastrellamenti
572
che si sono conclusi con prelievi di persone e trasferimenti
coatti nel Reich, non è da ritenersi attendibile, perché spesso
l’esperienza del trasferimento in Germania in un campo di
lavoro è stata scambiata per deportazione in un KL. Anche
per l’indeterminatezza delle fonti l’esito della deportazione
al termine di un rastrellamento è rimasto sinora dificile da
stabilire.11
Linee di comportamento per il controllo del territorio,
modalità repressive antiguerriglia e loro effetti
sulle deportazioni in KL
Operazioni di rastrellamento con esito di deportazione sono
state condotte in Italia per circa tutti i 20 mesi dell’occupazione. Le motivazioni, le dinamiche e gli esiti di tali operazioni
sono però variati insieme al modiicarsi delle condizioni in cui
l’occupante si è trovato a operare nelle diverse aree geograiche e nelle diverse fasi del conlitto. Il regime d’occupazione
tedesco in Italia, com’è noto, aveva preso avvio in una fase
di grave crisi per la Wehrmacht: dopo le sconitte sul fronte
orientale e africano, lo sbarco anglo-americano in Sicilia nel
luglio 1943 aveva portato all’apertura di un nuovo fronte di
guerra, costringendo il comando supremo delle forze armate
tedesche (Oberkommando der Wehrmacht, OKW) a rideinire
i propri piani di guerra sul fronte meridionale.12 Il possibile
approssimarsi della sconitta inale aveva portato da un lato
alla crisi del regime monarchico-fascista che lasciava presagire il successivo tentativo di rottura da parte italiana dell’alleanza con la Germania, dall’altro alla decisione di Hitler
di mantenere il controllo della penisola. Nei mesi successivi
all’8 settembre 1943 la condotta tedesca della guerra in Italia
sarebbe stata caratterizzata dal progressivo, ma non lineare,
spostamento verso nord del fronte, con la conseguente perdita di territorio, iniziata con lo sfondamento della linea di
sbarramento all’altezza del monastero di Montecassino nella
primavera del 1944, seguita dalla perdita di Roma il 4 giugno
573
e di gran parte del Centro Italia nei due mesi successivi, ino
all’arroccamento sulla Linea Verde, già Linea Gotica, a pochi
chilometri a sud di Bologna, fase a cui sarebbero seguiti gli
ultimi cruenti scontri nel Nord Italia sino alla deinitiva resa
delle armate tedesche nell’aprile del 1945.
All’andamento della situazione militare era direttamente
legato l’utilizzo dei sistemi repressivi adottati dall’occupante
e dalle forze salodiane; il passaggio del fronte in molte regioni aveva, infatti, coinciso quasi immediatamente con un aumento dell’uso della violenza e della repressione, in molti casi
proprio tramite un’intensiicazione dei rastrellamenti, spesso
inalizzati alla liberazione di una zona dalla presenza partigiana al ine di rendere più agevole il passaggio delle proprie
unità. Buona parte della normativa antipartigiana era stata
di fatto emanata in coincidenza di particolari congiunture
belliche, come fu ovviamente all’inizio dell’occupazione e
dei conseguenti combattimenti nel Meridione continentale
nell’autunno 1943, oppure tra la primavera e l’estate 1944
quando, dopo lo sgombero di Roma e il veloce arretramento della Wehrmacht verso l’ultima linea difensiva (la Linea
Gotica, poi Verde) che tagliava il Settentrione dal resto della
penisola, entrarono in vigore speciiche disposizioni antiguerriglia e per il trasferimento coatto della manodopera nel
Nord o oltre Brennero da mettere in relazione con l’esigenza
di appropriarsi delle risorse del territorio da sgomberare, in
primis degli uomini da impiegare nella produzione bellica.
Nel contesto italiano, come già su altri fronti,13 l’obiettivo
dello sfruttamento della manodopera da trasferire nel Reich,
tramite il trasferimento forzato di manodopera da mettere
a disposizione del GBA, oppure attraverso la deportazione
in KL, si intrecciò stabilmente con le modalità repressive
utilizzate per il controllo del territorio e in particolare per
combattere il movimento partigiano, in un quadro di tendenziale pariicazione tra il combattente partigiano e la popolazione civile.14 Le operazioni antiguerriglia divennero anche strumenti per favorire il prelievo coatto di manodopera,
esigenza tanto più impellente visto il risultato insoddisfacen574
te dei progetti di arruolamento volontario di braccia. Tra la
primavera e l’estate del 1944 il recupero di lavoratori, da impiegare in italia o da trasferire oltre Brennero, fu afidato in
larga misura a rastellamenti organizzati dalla Wehrmacht o
dai reparti SS e di polizia, coadiuvati dalle milizie salodiane,
in un contesto estremamente caotico, in cui le disposizioni
circa i trasferimenti coatti di manodopera venivano a sovrapporsi agli ordini di sfollamento ed evacuazione forzata emanati parallelamente all’arretramento della linea del fronte. è
all’interno di questo quadro di accresciuto bisogno di manodopera schiava che la deportazione di rastrellati in KL viene
presa in considerazione come prassi repressiva da applicare sistematicamente al termine di un rastrellamento contro
presunti appartenenti a «bande» ed eventualmente contro
civili considerati «iancheggiatori», la misura sarebbe stata
formalizzata nell’estate dai comandi della SS e della polizia,
e seguita poco dopo dai «grandiosi programmi di deportazione», in realtà di trasferimento coatto di manodopera più
a nord, disposti dal comando del gruppo di armate «C».15
L’applicazione di queste disposizioni, come delle precedenti,
continuò a dipendere sia dall’interpretazione che ne diedero i comandi territoriali responsabili, sia dall’evoluzione del
quadro militare, sia dal complesso rapporto tra forze occupanti e salodiane, popolazione civile e formazioni partigiane
in ogni territorio speciico.
Strutture militari e di polizia tedesche
Al momento dell’entrata in vigore del piano Achse, l’8 settembre 1943, i reparti militari tedeschi, tanto della Wehrmacht
quanto delle Waffen SS (poste entrambe funzionalmente sotto la guida dell’OKW) erano organizzati in due grandi unità:
il gruppo di armate «B», posto sotto il comando del feldmaresciallo Erwin Rommel (nei ranghi dell’esercito), e responsabile per il Nord, e le forze poste al comando dell’Oberbefehlshaber Süd, carica attribuita al feldmaresciallo Albert Kesselring,
575
generale d’aviazione, a cui in quel contesto viene attribuita
la competenza per il Centro-Sud. Il 21 novembre successivo all’alto uficiale della Luftwaffe sarebbe poi stata afidata
la suprema potestà militare su tutta quanta l’Italia occupata, in seguito al prevalere del suo punto di vista sulla futura
conduzione della guerra in Italia, imperniato sul concetto di
cedere territori il più lentamente possibile; oltre al nuovo titolo di Oberbefehlshaber Südwest (comandante supremo dello
scacchiere sud-ovest), egli avrebbe ricevuto la responsabilità
unica sul controllo del territorio e sulla connessa «lotta alle
bande» in tutte le aree classiicate come zone di operazioni
militari, dopo che il 10 ottobre precedente era stato deinito
retrovia del fronte tutto il territorio a sud di Roma, composto
dalle province di Littoria, Frosinone, L’Aquila e Pescara.16
Da Kesselring dipendono a quel punto tutte le unità della
Wehrmacht e delle Waffen SS stanziate in Italia, riorganizzate nel gruppo di armate «C» (in cui conluiscono i reparti che il generale d’aviazione già aveva comandato assieme
a quelli prima posti agli ordini di Rommel). Si tratta delle
armate 10ª e 14ª, oltre che, per alcuni mesi, delle unità dipendenti dal generale di fanteria Joachim Witthöft, a cui,
sotto varie denominazioni succedutesi nel tempo, sarebbe
spettato il controllo della costa nord-occidentale adriatica
e della zona di operazioni «Prealpi» (in seguito il comando
di Witthöft sarebbe stato reso autonomo dall’Oberbefehlshaber Südwest), nonché, dal marzo 1944, dell’Armeeabteilung
von Zangen, grande unità costituita ad hoc nell’Italia settentrionale, con il precipuo compito di controllare le coste
in previsione di possibili sbarchi alleati, aggregando attorno
all’LXXXVII corpo d’armata comandato dal generale d’artiglieria Gustav Adolf von Zangen, che avrebbe assunto anche
la guida dell’Armeeabteilung, altre unità, la principale delle
quali era il LXXV corpo d’armata, alla cui testa stava il generale di fanteria Anton Dostler.
Autonome dal gruppo d’armate «C» rimangono invece
in dall’inizio le truppe sottoposte al generale delle truppe
da montagna Ludwig Kübler, nominato il 10 ottobre 1943
576
comandante militare (Befehlshaber) della zona di operazioni
«Litorale Adriatico». Com’è noto, le due zone di operazioni
«Prealpi» e «Litorale Adriatico» erano state sottratte alla sfera di competenza della RSI, che perciò non aveva su di esse
alcuna giurisdizione.
è questa, naturalmente, una descrizione solo indicativa e
di massima, poiché lo schieramento reale delle unità militari
fu sottoposto a continui spostamenti e incessanti variazioni
nel corso del tempo.
Fuori dalle zone di operazioni, fossero queste ultime la retrovia del fronte o le aree al conine nord-orientale, il controllo del territorio e la «lotta alle bande» era competenza di altre
due strutture d’occupazione: il sistema territoriale dell’amministrazione militare, al cui vertice era collocato il generale di
fanteria Rudolf Toussaint con il titolo iniziale di comandante
militare territoriale, ben presto mutato in quello di generale
plenipotenziario della Wehrmacht in Italia, che faceva sempre
riferimento all’OKW, e il sistema di polizia, posto sotto il comando del generale della polizia e della SS Karl Wolff, a cui
viene attribuito il ruolo di Höchster SS- und Polizeiführer, cioè
rappresentante diretto in Italia del capo supremo della polizia e della SS, Heinrich Himmler. Il sistema di polizia e della
SS riproduceva in Italia la struttura di quello del Reich, ed
era perciò caratterizzato da un alto grado di autonomia delle diverse sezioni, tanto che le strutture operative di polizia,
suddivise in reparti della polizia dell’ordine (Ordnungspolizei,
Orpo), unità cioè deputate al controllo del territorio e subordinate in Italia al generale Jürgen von Kamptz (a cui viene
attribuita la qualiica di Befehlshaber der Ordungspolizei –
BdO), e sezioni della polizia di sicurezza – servizio di sicurezza (Sicherheitspolizei – Sicherheisdienst, Sipo-SD), a cui spettavano funzioni investigative, comandate dal generale Wilhelm
Harster (con il titolo di Befelhshaber der Sicherheitspolizei und
des Sicherheitsdiensts – BdS) facevano diretto riferimento ai
relativi vertici berlinesi (rispettivamente L’Uficio superiore
«Polizia dell’ordine» della SS - SS Hauptamt Ordnungspolizei,
SS HAOrPo, e l’Uficio Centrale per la Sicurezza del Reich –
577
Reichssicheeheitshauptamt, RSHA) senza necessariamente subordinarsi sempre e comunque all’apparato di Wolff.17
La Orpo era ordinata in compagnie, battaglioni e reggimenti (SS-Polizei-Regimente); in Italia, a partire dalla primavera del 1944, le fu attribuita la conduzione delle operazioni
di rastrellamento contro le bande fuori dalle zone di operazioni. Al tempo operavano nella penisola i due battaglioni del
15° reggimento di polizia e della SS in Piemonte e Lombardia, il III battaglione del 12° reggimento di polizia e della SS
a Verona, il I battaglione del 20° reggimento di polizia e della
SS nel Lazio e in Abruzzo.18
Alla Sipo-SD, il cui cervello operativo era posto a Verona, era speciicatamente attribuito anche il potere decisionale
circa l’eventuale invio di persone catturate in retate urbane
o rastrellamenti nei KL; il coordinamento dei trasporti verso la galassia concentrazionaria SS spettava alla IV sezione
(corrispondente alla Gestapo) della centrale veronese, guidata da Franz Kranebitter; al suo interno la sottosezione IVB4,
retta a partire dalla ine di gennaio 1944 da Friedrich Bosshammer, si occupava speciicatamente della caccia agli ebrei.
Inoltre, in dalle prime settimane dell’occupazione, Wilhelm
Harster aveva provveduto a costruire un’organizzazione di
sedi distaccate della polizia di sicurezza nelle principali città; nel settembre-ottobre 1943 le iliali della Sipo-SD erano
12, sarebbero passate a 40 alla ine della guerra;19 sarebbero
stati i loro uomini a valutare se coloro che erano stati fatti
prigionieri nel corso di operazioni antipartigiane dovessero
essere fucilati, inviati in KL o consegnati ai delegati del GBA.
Da alcune di queste sedi erano state organizzate e comandate direttamente retate urbane e rastrellamenti fuori dalle
città, in diversi casi con l’aiuto, sia informativo sia esecutivo, di unità di polizia e militari fasciste. Inine sempre tra le
strutture di polizia tedesche presenti sul territorio italiano e
adibite all’esecuzione di azioni repressive che potevano portare, e spesso effettivamente portarono a trasporti verso i KL,
esistevano gruppi d’intervento (Einsatzgruppen, Einsatzkommandos) creati ad hoc o legati a uficiali di provata esperienza,
578
acquisita nelle operazioni antiguerriglia condotte sul fronte
orientale e nei Balcani. Tra i più attivi ci furono senz’altro il
gruppo comandato da Karl Heinz Bürger,20 presente in diversi cicli repressivi del Centro e del Nord Italia, e quello agli
ordini di Herbert Andorfer;21 l’uficiale, già responsabile dei
posti di polizia di Savona e Imperia nella primavera del 1944,
di quello di Macerata a maggio, e di stanza a Rovereto e Feltre dalla tarda estate, partecipò ad alcune grandi operazioni
di rastrellamento nel Centro Italia, al ciclo repressivo del luglio 1944 lungo l’arco appenninico tosco-emiliano-ligure, e al
grande rastrellamento di settembre successivo sul Grappa.
Una struttura decentrata aveva anche il sistema dell’amministrazione militare (Militärverwaltung, MV) comandato
da Wilhelm Toussaint, che insediò propri ufici territoriali
nei principali capoluoghi di provincia (Militärkommandanturen, MK), spesso con competenze su più di una circoscrizione amministrativa, con compiti di natura sia gestionale,
sia di controllo dell’ordine pubblico. Nel marzo 1944 le MK
venivano concentrate sotto l’autorità di Leitkommandanturen;
per l’Italia nord-occidentale ne venne istituita una a Milano,
da cui dipendevano le MK di Milano stessa, Torino, Novara,
Bergamo, Alessandria, Cuneo e Genova. Per il controllo del
territorio le MK si servivano di piccoli distaccamenti armati,
quali la polizia militare (Feldgendarmerie), le cosiddette unità d’allarme (Alarmeinheiten), e talvolta reparti formati da ex
prigionieri di guerra sovietici nella maggior parte dei casi di
nazionalità non russa (anche se non mancavano unità composte solo da russi), che venivano reclutati nei campi di prigionia
della Wehrmacht oppure nelle vaste zone occupate dell’URSS
(erano deiniti Ost-Bataillone o anche Ost-Legionen); queste
unità erano giudicate spesso di valore e addestramento insuficienti per essere impiegate al fronte.22 Tanto retate quanto
rastrellamenti potevano essere indifferentemente organizzate dai posti di polizia oppure dalle MK, magari prestandosi
appoggio reciproco. Particolarmente eficienti nell’attività repressiva si sarebbero dimostrate, ad esempio, le MK di Cuneo e di Lucca.
579
Ognuna di queste strutture svolgeva un ruolo nell’ambito del controllo del territorio e delle connesse azioni di repressione, sulla base delle speciiche normative emanate dai
comandi superiori, sia della Wehrmacht, sia di SS e polizia,
attivi nell’Italia occupata, normative che si rifacevano in genere a quanto già disposto in precedenza in altre aree dove
coesistessero un fronte di guerra e attività partigiane alle sue
spalle, quindi essenzialmente le zone occupate dell’URSS e la
penisola balcanica. Se la competenza nelle zone di operazioni
era sostanzialmente nelle mani dei militari, più controversa
si presentava la faccenda nel restante territorio formalmente
posto sotto la giurisdizione della RSI: il 1° aprile Kesselring
avrebbe emanato un’ordinanza tesa a porre la «lotta alle bande» sotto la sua esclusiva giurisdizione, mentre nello stesso
tempo Wolff, spalleggiato da Himmler, aveva disposto la costituzione di una struttura di polizia a cui demandare integralmente tale compito; se ne sarebbe usciti con un compromesso,
deinito nell’ordinanza emanata dall’OKW il 26 aprile che da
un lato confermava all’Oberbefehlshaber Südwest la responsabilità suprema su tutto il territorio italiano, ma dall’altro attribuiva a Wolff una piena sovranità operativa nelle aree che
non facevano parte delle retrovie o delle zone di operazioni.23
Frutto dell’accordo sarebbe stata inoltre la suddivisione del
territorio in settori afidati a «comandanti per la sicurezza» o
Sicherungskommandanten, che potevano appartenere sia alla
Wehrmacht sia a polizia e SS, con il compito di coordinare le
azioni antiguerriglia nella zona di propria competenza.
Il problema di un coordinamento delle forze e delle strutture utilizzabili nell’ambito della repressione antipartigiana,
in effetti, si era posto in dall’inizio dell’occupazione là dove
la Resistenza si era rivelata immediatamente un problema per
il controllo del territorio, e cioè nelle zone d’operazioni poste
al conine nord-orientale, in particolare nel Litorale Adriatico, dove a Trieste già nel settembre 1943 si sarebbe insediato,
con il grado di Höherer SS- und Polizeiführer (HSSPF) Odilo
Globočnik, già responsabile dello sterminio degli ebrei nel
Generalgouvernement, il quale avrebbe portato con sé la squa580
dra di assassini professionali che lo avevano colà coadiuvato,
e che ora avrebbe preso in nome di Sonderabteilung Einsatz
R,24 ma anche nelle Prealpi, dove a Bolzano negli stessi giorni
il generale di polizia e della SS Karl Brunner avrebbe assunto
il ruolo di SS- und Polizeiführer.
Solo in seguito, nel gennaio 1944, sarebbe invece stata creata una centrale operativa per la «lotta alle bande» (Bandenbekämpfungstab) responsabile per il Piemonte, la Lombardia
e la Liguria. Denominata Oberitalien-West, la comandava il
generale di brigata della polizia e della SS Willy Tensfeld,
e aveva sede a Monza. A portare alla nascita di un coordinamento era stata non solo la forte presenza partigiana in
particolare nelle zone alpine e appenniniche del Piemonte e
della Liguria, ma anche la necessità di salvaguardare un’area
dall’elevato valore strategico-militare ed economico, direttamente a contatto con i passi alpini che erano parte integrante
della linea di collegamento meridionale tra il territorio del
Reich e la Francia meridionale, che sarebbe rimasta occupata
ino all’agosto successivo, nonché ricca di centrali idroelettriche che rifornivano le industrie piemontesi e liguri collocate
a valle.
Nell’aprile successivo sarebbero poi state costituite analoghe
centrali per la «lotta alle bande» nel resto dell’Italia occupata,
sotto le denominazioni di Oberitalien-Mitte e Mittelitalien; il
raggio d’azione della prima erano il Veneto e l’Emilia-Romagna, ed era posta sotto il comando del generale della polizia e
della SS Ernst Hildebrandt; il pari grado Karl Heinz Bürger25
dirigeva la seconda, comprendente Toscana, Umbria e Marche.
Nel giugno seguente Bürger sarebbe stato trasferito sull’Appennino modenese per provvedere alla sicurezza e ai lavori
della Linea Verde (o Linea Gotica che dir si voglia), assumendo
temporaneamente la denominazione di comandante della polizia e della SS per la zona West-Emilien. In agosto Bürger avrebbe preso la direzione anche dell’Oberitalien-Mitte, sostituendo
Hildebrandt. Le variazioni dell’estate 1944 si spiegano sia con
la rottura della Linea Gustav, intervenuta nel maggio, e con il
conseguente arretramento del fronte nei mesi successivi ino
581
all’assestamento autunnale (tra ine agosto e metà ottobre) sul
sistema difensivo passato alla storia col nome di Linea Gotica,
sia con l’intensiicata attività partigiana a partire dalla primavera, attività tanto più pericolosa visto l’avvicinarsi del fronte e
la conseguente necessità da parte dell’occupante di mantenere
il controllo delle linee di comunicazione, dei valichi alpini e
appenninici, delle coste liguri, alto tirreniche e adriatiche sulle
quali si temeva uno sbarco alleato.
In linea generale, queste centrali operative erano «veri e
propri centri di coordinamento e di pianiicazione delle operazioni antipartigiane, [a cui] facevano capo [...] tutte le unità antiguerriglia presenti nei loro territori, non soltanto delle
SS e della polizia, ma anche della Wehrmacht e quelle italiane, tra cui la Guardia nazionale repubblicana (GNR) e le
questure»;26 con la loro istituzione si completava la complessa
struttura organizzativa per il controllo del territorio e la repressione antipartigiana nell’Italia del Centro-Nord, responsabile della maggior parte delle operazioni di rastrellamento
fuori dalle zone di guerra, operazioni che a partire dalla primavera 1944 avrebbero condotto una parte dei catturati alla
deportazione in KL.
Strutture militari e di polizia fasciste
All’interno del piano e dell’organizzazione repressiva messa
in campo dai comandi tedeschi in Italia avevano avuto un
ruolo determinante le ricostituite unità militari e di polizia fasciste. Molte operazioni erano state organizzate tenendo conto
del supporto degli apparati di polizia e successivamente delle
ricostituite unità delle forze armate salodiani, da impiegare
tanto in funzione investigativa per la raccolta di notizie nelle zone di intervento, nella fase organizzativa di grandi cicli
repressivi, quanto con funzione ausiliaria nelle manovre di
attacco e combattimento. Nel primo caso i soldati italiani si
rivelarono più adatti all’iniltrazione nelle aree da rastrellare
o nelle formazioni da colpire, come sarebbe stato nell’opera582
zione sul Grappa o per le Wallenstein sull’Appennino ligure-emiliano. La perlustrazione preliminare della zona dove
intervenire era considerata dai comandi tedeschi un fattore
determinante per la buona riuscita di un’operazione, anche
di piccola portata.27 Questo spiega le frequenti perlustazioni compiute da piccoli drappelli di militari o miliziani, non
di rado italiani, prima di agire; si trattava evidentemente di
azioni dove a essere messa in campo non era tanto la qualità militare, quanto la conoscenza del territorio. Considerata
invece la scarsa iducia dei comandi tedeschi nelle capacità
di combattimento italiane, nei rastrellamenti veri e propri i
reparti salodiani erano adibiti a mansioni per l’appunto ausiliarie, quali la sorveglianza delle strade se si trattava di retate
urbane, l’allestimento di posti di blocco e l’insediamento anticipato di presidi in una zona da passare a setaccio, ino alla
fucilazione di quella parte dei catturati che, a giudizio dei
tedeschi, rientrassero nella categoria di «banditi», categoria
peraltro dai conini variabili nel corso del tempo.
Non mancano tuttavia esempi di operazioni, condotte in
piena autonomia da reparti italiani, che ebbero come esito la
presa di prigionieri, con successive deportazioni in KL, così
come casi in cui quelle unità si dimostrarono decisive per la
riuscita dell’operazione, come fu nell’ultima fase dell’operazione Waldläufer, nell’autunno del 1944, mirante alla rioccupazione dell’ultima porzione di «zona libera» della Carnia,
che fu portata a termine da forze della X Mas.
A essere coinvolte con una certa sistematicità nelle operazioni di rastrellamento sarebbero state tutte le diverse milizie
e i vari corpi armati costituiti nel periodo di vita della RSI,
dalla Guardia Nazionale Repubblicana (GNR), alle Brigate
Nere (BN), alla X Mas di Valerio Borghese, a reparti il cui
rapporto con le autorità centrali fasciste repubblicane era in
genere lasco, quali la Banda Koch, la Banda Carità, la Legione Autonoma «Ettore Muti» e così via, ino alle unità delle
forze armate salodiane agli ordini di Rodolfo Graziani, man
mano che esse rientravano in Italia dopo l’addestramento in
territorio tedesco.
583
Alla GNR, istituita il 24 novembre 1943 dall’accorpamento
della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (MVSN), dei
carabinieri e della Polizia dell’Africa italiana sotto la guida
di Renato Ricci, era stato espressamente afidato il compito
di eseguire operazioni militari antiguerriglia, sotto il superiore comando tedesco. Renato Ricci, comandante generale
della Guardia, in una lettera del 12 dicembre 1943 al ministro dell’Interno Guido Buffarini Guidi, metteva in chiaro
che «per rendere più facile il compito dei capi di provincia e
deinire anche le attribuzioni della Guardia, sarebbe [stato] il
caso di stabilire che tutte le operazioni di polizia contro i partigiani [fossero], di massima, svolte dai Militi della Guardia.
Questo anche per aderire a esplicite richieste del Comando
germanico».28
Il 22 settembre 1943 il feldmaresciallo Wilhelm Keitel, capo dell’OKW, aveva ordinato ai comandi locali della
Wehrmacht di utilizzare le truppe fasciste, ma con funzioni
ausiliarie impiegandole in compiti quali le «costruzioni con
reparti del genio, guardia costiera, controllo della sicurezza
nelle retrovie [...]».29 Del resto la MVSN, prima ancora che
venisse istituita la GNR, aveva svolto un ruolo ausiliario alle
forze armate tedesche nella fase dell’occupazione. La partecipazione della GNR alle operazioni antiguerriglia e di polizia sarebbe iniziata sin dalla sua costituzione, mantenendosi
pressoché costante ino all’aprile del 1945, con picchi di partecipazione tra la primavera e l’autunno 1944 in Liguria, Piemonte e Lombardia e in misura minore Veneto ed Emilia;30
soprattutto nei primi mesi di occupazione, diverse erano state
le operazioni condotte in autonomia dalla GNR contro i primi nuclei partigiani.31
Nell’aprile 1944 la GNR veniva posta uficialmente alle dipendenze delle neocostituite centrali di comando della Orpo
e contestualmente invitata dal suo stato maggiore ad «agire
con la massima durezza tanto contro banditi quanto contro
coloro che li aiutano», anche se in una circolare del 18 aprile
Ricci invitava a evitare di coinvolgere persone innocenti.32
Tra le unità militari fasciste sarebbe stata senz’altro quella
584
più coinvolta dalle autorità tedesche nella repressione antipartigiana, ovviamente anche a causa del lungo periodo di
attività; nel corso dei grandi cicli operativi dell’estate del
1944 la GNR avrebbe compiuto diverse puntate all’interno
dei territori controllati dai partigiani, alcune delle quali portarono a deportazioni in KL. La crisi e il conseguente ridimensionamento nello stesso periodo, dovuti sia alle fughe e
alle diserzioni, sia alla concorrenza esercitata dalle neonate
Brigate Nere (BN),33 non avrebbero compromesso il rapporto
di collaborazione con le forze militari e di polizia tedesche;
nemmeno il decreto di agosto con cui, dopo l’allontanamento
di Ricci, Mussolini la inquadrò nelle forze armate della Repubblica avrebbe modiicato in modo signiicativo le sue funzioni di polizia. Come già ricordato, in quella fase ci fu con
ogni evidenza un passaggio di militi e quadri alle BN, istituite il 1° luglio 1944, per volontà e su disposizione del duce e
in linea con i progetti per la trasformazione del partito in un
organismo «esclusivamente militare», avente tra i suoi compiti principali la «lotta contro i banditi e i fuori-legge».34
L’apporto delle BN è senz’altro da commisurare alla situazione bellica e repressiva presente al momento della loro
costituzione, l’estate del 1944; si era in un momento in cui la
Wehrmacht era stata costretta a un veloce ripiegamento del
fronte, che aveva portato in poco più di un mese alla perdita di Roma e di buona parte dell’Italia centrale; nello stesso
tempo la necessità di utilizzare l’assoluta maggioranza delle
forze disponibili al fronte obbligava le autorità d’occupazione
a concentrarsi nelle retrovie sul controllo delle aree metropolitane, delle zone industriali e delle grandi linee di comunicazione stradali, ferroviarie e luviali, allentando la presa sulle
zone agricole e periferiche, cosa che, assieme all’obiettivo rafforzamento delle formazioni partigiane, veniva a costituire la
base materiale per la nascita e la sussistenza di quelle «zone
libere» e «repubbliche partigiane» che costituivano, d’altro
canto, un’oggettiva spina nel ianco per tedeschi e fascisti repubblicani. Ha scritto giustamente Dianella Gagliani che la
nascita delle BN era da imputare «sia al desiderio di Musso585
lini di salvare la propria immagine e il fascismo, di dare un
ordine e un inquadramento giuridico alla vecchia guardia in
trasferimento verso il Nord, di concentrare ogni uomo nella
lotta contro il movimento partigiano, sia soprattutto alla volontà tedesca, in giugno totalmente dispiegata, di estirpare la
Resistenza recidendone le radici nella popolazione civile»;35
come Kesselring, anche Mussolini in quel periodo aveva dato
carta bianca al suo partito per uccidere,36 puntando a galvanizzare i propri fedeli, a cui, se aderivano alla BN, erano garantite condizioni migliori di trattamento e di retribuzione
rispetto alle altre milizie salodiane. Anche per questo non
pochi militi della GNR si sarebbero trasferiti nelle Brigate.37
In una circolare del 10 agosto 1944 il capo delle BN e segretario del Partito Fascista Repubblicano (PFR), Alessandro Pavolini, così aveva descritto i compiti delle nuove unità
combattenti: «rastrellamento di tutta la zona afidataci, in
modo da ricacciare i ribelli sulla montagna, privandoli d’ogni
rifornimento locale: creazione in ogni centro di presidi, per
difendere le popolazioni e sorvegliarle; costituzione di sedi
del Fascio in ciascun paese; sorveglianza dei lavori agricoli,
dell’ammasso dei prodotti e del bestiame».38 Di fatto, data
la scarsità di unità da impiegare in operazioni antiguerriglia,
GNR e BN avrebbero operato assieme, collaborando con reparti tedeschi in più occasioni alla realizzazione di operazioni di rastrellamento sotto comando germanico. Le ritroviamo, praticamente, in tutti i grandi cicli repressivi dell’estate e
dell’autunno 1944 che ebbero tra i loro esiti la deportazione
in KL.
Tra le più attive ricordiamo la XIII BN «Marcello Turchetti» di Mantova, forte di almeno 400 uomini armati, in azione
tra luglio e ottobre sotto il comando operativo dell’Oberitalien-West e in collaborazione con la Sipo-SD nelle zone del
Cuneese, in provincia di Torino nel Canavese e tra il Mantovano e il Veronese; la XXXI BN «Silvio Parodi» di Genova,
nei cui ranghi si contavano 500 effettivi, attiva tra settembre
e dicembre 1944 tra Alessandria, Pavia, Piacenza e Genova;
la XXXIII BN «Tullio Bertoni» di La Spezia, che prese parte
586
tra ine 1944 e inizio 1945 ad alcune grandi operazioni antipartigiane; e per inire la I BN «Ather Capelli» di Torino al
servizio di Willy Tensfeld per operazioni antipartigiane nel
Cuneese e nel Torinese.
Tra le formazioni più coinvolte nelle operazioni repressive e
meno inquadrata dal centro salodiano, c’era stata senz’altro la
Legione Autonoma Mobile «Ettore Muti» di Milano, la quale
intratteneva stretti legami con la centrale della Sipo-SD della
città e dal marzo 1944 aveva cominciato a partecipare alle attività antiguerriglia pianiicate dal comando di Willy Tensfeld
nell’Italia nord-occidentale, assieme a formazioni della GNR e
delle BN. La legione, oltre a svolgere una itta attività di spionaggio nell’area milanese, avrebbe compiuto in autonomia diversi rastrellamenti e pattugliamenti nel Nord-Ovest.39
In questo contesto, tentativi di istituire delle centrali operative per la lotta contro le bande sarebbero stati compiuti
anche da parte fascista, come dimostra la costituzione del
Centro Addestramento Reparti Speciali (CARS), voluto da
Rodolfo Graziani nel marzo 1944 nel tentativo di debellare
la presenza partigiana in zone strategicamente decisive per il
controllo del territorio, come il Piemonte e l’Appennino centrale, dove i CARS erano in allestimento dal 18 marzo nelle
caserme di Parma, Reggio Emilia e Fidenza.40 Il centro era
formato da tre reggimenti di cacciatori degli Appennini, il
cui personale era fornito dalle forze armate di Graziani, dalla
GNR e dalle federazioni fasciste; il CARS era connesso alla
Wehrmacht da un uficio di collegamento (Deutsche Verbindungs Kommando, DVK). Posti sotto il comando del generale
Amilcare Farina ino alla ine di agosto e issata la sede di
comando a Torino, i reparti del CARS si erano distinti per
la partecipazione alle maggiori operazioni antiguerriglia
nell’area compresa tra Basso Piemonte e Liguria occidentale dal luglio al dicembre 1944 e nei primi due mesi dell’anno successivo. Il CARS operava alle dirette dipendenze del
Co.Gu o comando controguerriglia, sorto per decisione dello
Stato Maggiore Italiano nell’estate 1944 in una zona, il Piemonte, ritenuta ad alta concentrazione di «bande», con il
587
compito speciico di combattere i «ribelli» e di organizzare i
reparti presenti, quali appunto il CARS, la X Mas e diversi altri.41 L’azione del comando del Co.Gu era coordinata a quella
di Tensfeld e del LXXV corpo d’armata della Wehrmacht.
Nel luglio 1944 scendevano poi in Italia, dopo i mesi di
addestramento in Germania, la divisione di marina San Marco (così ridenominata nell’aprile precedente; si trattava in realtà di una grande unità granatieri appartenente all’esercito), e
la divisione da montagna Monte Rosa. La prima, sotto il comando del generale Farina dai primi di settembre, afiancato
nel ruolo di uficiale di collegamento dal pari grado tedesco
Hildebrand, sarebbe stata schierata lungo la costa ligure occidentale e inquadrata nel Korpsabteilung Lieb, il «reparto
di corpo d’armata» del generale Theo-Helmuth Lieb.42 La
seconda sotto il comando del generale Alfredo Ricci, coiadiuvato come uficiale di collegamento dal collega tedesco
Egbert Picker, era stata inquadrata nel LXXXVII corpo
d’armata del generale von Zangen e schierata nel tratto fra
Nervi e Levanto ino al Piacentino e al Parmense. Nonostante l’emorragia di forze che avrebbe colpito entrambe le divisioni in seguito a numerose diserzioni,43 esse parteciparono al
programma di «lotta alle bande» messo in atto dalle autorità germaniche nell’estate e nell’autunno 1944, collaborando
all’abbattimento di alcune «zone libere partigiane», a cui fece seguito la cattura di resistenti, renitenti e sbandati, parte
dei quali inviati poi in KL.
Elementi italiani inoltre erano stati inquadrati nella Orpo
e nelle Waffen SS, la sezione militare delle SS in cui erano
state inserite, in diverse aree dell’Europa occupata, formazioni composte da collaborazionisti;44 in particolare la 1ª Brigata
Granatieri della Waffen SS era stata responsabile di alcuni
grandi cicli repressivi in Piemonte e in Lombardia, come
l’operazione Nachtigall nelle valli Chisone, Pellice e Germanasca in provincia di Torino, l’operazione Straßburg45 nelle
valli di Lanzo e nel Canadese e le operazioni dell’autunno del
’44 in Valsassina e in Val Trompia.
Inine un contributo importante alla controguerriglia era
588
venuto dai reparti della X Mas, la formazione autonoma posta al comando del principe Junio Valerio Borghese. Reparti
della X Mas vennero impiegati in diversi grandi cicli operativi
a carattere antipartigiano, diretti dai comandi sia SS e di polizia, sia dellla Wehrmacht e terminate anche con deportazioni
in KL, quali le Wallenstein sull’Appennino tosco-emiliano, la
Waldläufer, contro la «zona libera» della Carnia, l’operazione
sferrata nel novembre del ’44 contro la «repubblica partigiana»
della Val d’Ossola e il rastrellamento, avvenuto in provincia di
La Spezia, sul Monte Gottero all’inizio dell’aprile 1944. Senza
dubbio il contributo maggiore della X Mas all’antiguerriglia
venne però dato al conine orientale, dove alla ine dell’estate
1944 erano stati trasferiti i battaglioni Valanga, Fulmine, Barbarigo, Nuotatori Paracadutisti e Sagittario, impiegati nell’autunno in diverse operazioni antipartigiane sulle alture venete
e giuliane e poi nell’offensiva sferrata nel marzo 1945 contro il
IX Korpus sloveno dell’Esercito di liberazione jugoslavo tra
l’Altopiano della Bainsizza e l’Altopiano del Chiampo.46
Il Litorale Adriatico
Come già si è detto, la zona di operazioni del Litorale Adriatico prendeva forma, insieme a quella delle Prealpi, con l’ordinanza del 10 settembre 1943 essa veniva posta sotto il governo dell’alto commissario Friedrich Rainer, Gauleiter della
Carinzia; ne facevano parte le province di Fiume, Gorizia,
Lubiana, Pola, Udine, Trieste,47 sottratte alla potestà della
RSI e subordinate e all’autorità del commissario supremo e
dei comandi delle forze armate e degli organi di polizia tedeschi.48 Alla data dell’8 settembre 1943 l’occupazione della
zona era stata afidata alla 71ª divisione di fanteria, trasferita
dalla Danimarca alla Carinzia e alla Slovenia già all’inizio di
agosto; nella seconda metà di settembre il generale Ludwig
Kübler sarebbe stato nominato comandante militare del Litorale, carica che di fatto avrebbe cominciato a svolgere però
solo in dicembre, dopo i grandi cicli antiguerriglia avviati il
589
25 settembre sotto il comando del II corpo d’armata corazzato delle Waffen SS (II. SS Panzer-Korps). Tra le unità militari
presenti sul territorio,49 un ruolo importante nella lotta contro le insorgenze partigiane sarebbe stato svolto dalla 162ª
divisione di fanteria Turk, così denominata perché composta
da turchestani, azeri e georgiani, originariamente membri
dell’armata rossa caduti prigionieri della Wehrmacht che poi
avevano accettato le profferte tedesche di arruolamento al
proprio ianco, ancorché sotto la guida di uficiali germanici.
La Turk era stata già presente nelle operazioni, denominate
Wolkenbruch e Traufe, condotte a ottobre e novembre 1943
nel Friuli, nel Goriziano e in provincia di Lubiana. La iancheggiano ora la 188ª divisione da montagna della riserva,
protagonista di azioni antiguerriglia sullo scacchiere friulano, sloveno e istriano, dove era approdata nel febbraio 1944,
dopo esser stata acquartierata nella zona delle Prealpi, la 278ª
divisione di fanteria, protagonista del grande ciclo operativo di maggio 1944 (Braunschweig I-III) contro i partigiani
dell’Istria. Da ricordare inoltre come unità antiguerriglia di
punta della zona l’SS-Karstwehr-Bataillon, nel corso del 1944
ampliato a brigata e poi a divisione,50 che sarebbe stato presente a ianco di alcune delle unità militari indicate nel corso
di diverse operazioni.
Sebbene dipendenti strutturalmente da Kübler, i reparti
della Wehrmacht e della Waffen SS citati (solo l’SS-KarstwehrBataillon non era ai suoi ordini) sarebbero stati lo stesso coinvolti in numerose azioni antiguerriglia guidate dalla Sipo-SD
di Trieste, diretta da Globočnik il quale, grazie al legame personale di amicizia che lo legava a Rainer, poté sempre godere
di una spiccata autonomia.51
Come nel resto dell’Italia occupata, in settembre prendeva
corpo il sistema territoriale dell’amministrazione militare che
comprendeva la Militärkommandantur 1001 di Trieste, con
competenza per Trieste, Fiume, Pola e Lubiana, e la Militärkommandantur 1002 di Gorizia, con competenza per Gorizia
e Udine, qui sottoposte direttamente all’autorità di Kübler e
che perciò non facevano riferimento alla MV di Milano.
590
Come già accennato, dal 14 gennaio 1944 su tutta l’organizzazione e la pianiicazione della repressione antipartigiana
del Litorale era responsabile la Centrale di comando per la
lotta alle bande (Führungsstab für Bandenbekämpfung), direttamente sottoposta all’autorità di Globočnik. Anche nel
Litorale Adriatico si fece ricorso alla igura del Sicherungskommandant per controllare tratti di territorio con vie di
comunicazione particolarmente minacciate dalla presenza
di formazioni della Resistenza. Data la vastità della zona e la
forte presenza partigiana, se ne contavano alla ine di agosto
1944 una quindicina.52 Per quanto riguarda la polizia dell’ordine (Orpo), dalla centrale di Trieste, posta al comando di
Hermann Kintrup, dipendevano sedi staccate in ogni provincia; l’apparato SS e di polizia attivo nella provincia di Lubiana (Laibach) ricadeva inoltre nell’ambito di competenza
del comando Alpenland, diretto dal generale della SS e della
polizia Erwin Rösener.
Tra le forze coinvolte nelle operazioni antiguerriglia, non
poche delle quali sfociate in deportazioni verso i KL, trovarono spazio diversi reparti collaborazionisti, alcuni posti alle
dirette dipendenze di Globočnik, altri di Kintrup.53 Per quanto riguarda quelli italiani, il loro utilizzo nella repressione e in
particolare nei rastrellamenti dipese totalmente dalla volontà
tedesca; all’inizio dell’occupazione l’arruolamento nell’esercito di Salò era stato reso volontario, quindi posto fuori dalla
coscrizione obbligatoria, e solo a marzo 1944, con una nuova
disposizione, lo si era equiparato al servizio obbligatorio di
guerra. Di fatto però era stato favorito l’arruolamento nei corpi
collaborazionisti con funzioni di polizia, come la Milizia per
la Difesa Territoriale, nome attribuito nella zona alla GNR,
con un reggimento per provincia, e la Guardia Civica, forte
di circa 1.300-1.800 uomini; istituita prima a Trieste nel gennaio 1944, e quindi in altre città, essa fu spesso utilizzata nella
sorveglianza dei treni in partenza per i KL. Operarono inoltre
durante i rastrellamenti tra la ine del 1944 e il febbraio del
1945 alcuni battaglioni della X Mas, il battaglione di bersaglieri volontari «Benito Mussolini» (noto anche come «Bruno
591
Mussolini» e «Stefano Siccardi»), giunto da Verona a Gorizia
nell’ottobre 1943, e il reggimento alpino «Tagliamento».
è da ricordare inoltre la squadra mobile comandata da
Gaetano Collotti, istituita all’interno dell’Ispettorato speciale di pubblica sicurezza per la Venezia Giulia con sede a Trieste e alle dirette dipendenze del comando della polizia e del
servizio di sicurezza, utilizzata in diverse operazioni antipartigiane così come in retate urbane che portarono all’arresto
di esponenti della resistenza friulana.
Accanto ai reparti italiani, coadiuvarono con i tedeschi
anche unità collaborazioniste slovene, i Domobranci, particolarmente attive nella provincia di Lubiana (sotto la denominazione di Slovensko domobranstvo), ma presenti anche
a Trieste, Gorizia e Fiume (dove erano chiamati Primorsko
domobranstvo). Da ricordare inoltre il Serbisches SS-Freiwilligenkorps (Corpo volontario serbo della SS, dal gennaio 1943
ribattezzato Srpski Dobrovoljacki Korpus), e la Divisione dinarica cetnica, operanti sul Carso dopo essere giunti nella regione tra la ine del 1944 e l’inizio del 1945.54
Un posto a sé meritano le formazioni cosacche e caucasiche utilizzate dalla polizia tedesca contro le bande partigiane
dopo il loro insediamento nella Carnia friulana, nell’agosto
1944.55 Si trattò di 4.000 caucasici e 18.000 cosacchi,56 posti
sotto al comando di Kintrup e protagonisti dei grandi rastrellamenti dell’autunno 1944 contro le «zone libere» del Friuli
orientale e della Carnia.
Le Prealpi
Con l’ordinanza del 10 settembre 1943 le province di Trento,
Bolzano e Belluno venivano riunite nella zona di operazioni
delle Prealpi (Alpenvorland – OZAV), posta sotto l’autorità
del Gauleiter del Tirolo-Vorarlberg Franz Hofer, designato
alto commissario dell’OZAV.57 Anche in questo caso, la costituzione della zona di operazioni sottraeva le tre province alla
sovranità italiana. A capo della SS e della polizia, con sede
592
a Bolzano, era posto Karl Brunner, direttamente sottoposto
all’autorità di Hofer, e responsabile del controllo del territorio sulla base delle direttive dell’alto commissario.58 Massimo
dirigente della Sipo-SD nella zona era Rudolf Thyrolf, mentre della Orpo era Josef Albert. Nella zona delle Prealpi esistevano inoltre speciali corpi per il controllo e la sicurezza del
territorio, inquadrati nella Orpo, quali il Südtiroler OrdungsDienst (SOD) creato a Bolzano immediatamente dopo l’8
settembre 1943 e forte nel marzo 1944 di 20.000 uomini;59 il
Corpo di Sicurezza Trentino (CST), attivo dal febbraio 1944,
inquadrava circa 3.000 uomini.60 Nel Bellunese il tentativo di
formare, all’inizio del 1944, un corpo di polizia locale non
avrebbe avuto successo per l’ostilità della popolazione. Tra
la ine dell’ottobre 1943 e l’inizio del 1944 erano poi stati
costituiti, sulla base di una coscrizione riservata ai non italofoni, ossia tedeschi e ladini, speciali reggimenti di polizia
(Polizei-Regiment) denominati Bozen, Alpenvorland, Brixen e
Schlanders, inquadrati nella Orpo ma posti altresì a disposizione della Sipo-SD. Essi non vennero impiegati solo nel
mantenimento dell’ordine pubblico del Sudtirolo, ma anche
in operazioni antipartigiane in altre parti d’Italia; in particolare il reggimento di polizia Bozen, da metà aprile ribattezzato reggimento SS e di polizia (le parallele unità Brixen e
Schlanders avrebbero invece ricevuto tale appellativo in dalla
loro costituzione), avrebbe partecipato alla repressione contro partigiani e oppositori nel Meridione e nell’OZAK (il I
battaglione); nella provincia di Belluno (il II battaglione), a
Roma e in Piemonte (il III battaglione).61 Al comando della Orpo di Bolzano era sottoposto inoltre il distaccamento
della Gendarmerie tedesca, composta di alcune centinaia di
uomini distribuiti tra le sezioni di Trento, Bolzano e Belluno,
preposta al controllo della sicurezza del territorio fuori dai
centri urbani. Tra l’aprile e l’agosto 1944 poi sarebbe stato attivo nella provincia di Belluno, ancora sotto il comando della
Orpo bolzanina, uno Jagdkommando, una speciale unità di
polizia per la «lotta contro le bande».62 Tutte le forze armate
e di polizia italiane erano state di fatto esautorate, tramite lo
593
scioglimento e l’espulsione dal territorio, come nel caso della
Milizia, oppure disarmate e internate nel Reich, come nel caso dei carabinieri del Sudtirolo.63
A Bolzano si trovava altresì la sede della MK 1010, anch’essa autonoma dalla MV di Milano, che aveva distaccamenti a
Merano e Bressanone.
Normativa e prassi repressive nei primi mesi di occupazione
All’inizio dell’occupazione, in assenza di una legislazione
speciica per il territorio italiano, a fare da guida alla prassi
repressiva dell’occupante erano stati gli ordini emanati per il
controllo delle retrovie del fronte orientale, quali la «direttiva di combattimento per la lotta alle bande all’Est» dell’11
novembre 1942 e il successivo ordine di Hitler del 16 dicembre 1942, entrambi applicati sul fronte italiano dal settembre
1943 nell’ambito della 10ª armata e dal 28 novembre 1943
nell’ambito della 14ª armata.64 Queste disposizioni, che stabilivano la competenza della Wehrmacht per la lotta alle «bande» nelle retrovie del fronte e lungo una fascia costiera larga
30 km, conferendola invece alle strutture SS e di polizia nel
resto del territorio, prevedevano senza eccezioni la morte per
coloro che realizzavano atti di sabotaggio o simili, sia per i
«banditi» che per i «iancheggiatori». Il peso dell’esperienza
fatta sul fronte orientale e, in contesti non dissimili, nei Balcani da parecchi graduati e militi dei reparti ora impegnati in
Italia contribuiva ulteriormente alla riproposizione da parte
loro dei modelli operativi colà a lungo impiegati;65 in quelle
ordinanze, la deportazione in KL costituiva una delle possibili misure di repressione collettiva da esercitare contro quei
paesi che si fossero dimostrati ostili all’occupante, accanto
a misure quali la conisca del bestiame, il trasferimento al
lavoro coatto nei campi di lavoro del Reich o al Nord oppure
lungo le linee di fortiicazione, ino alla totale distruzione del
paese, in una scala crescente dell’esercizio della repressione
e della violenza a scopo punitivo. La deportazione in KL a
594
seguito di un rastrellamento si presentava dunque come una
modalità repressiva opzionale a fronte di una manifestazione
collettiva di ostilità, applicata dai comandi locali anche in base alle richieste che si presentavano dall’alto di volta in volta.
La deportazione poteva avere sostanzialmente due valenze:
una più schiettamente punitiva, l’altra legata al soddisfacimento della richiesta di forza lavoro da parte del Reich.
La linea repressiva contenuta in quelle norme veniva attenuata dalla circolare del 23 marzo 1944 del generale Anton
Dostler, comandante del LXXV corpo d’armata, diretta alle
unità militari attive lungo le coste tirreniche e che invitava
a fucilare i «banditi» e a catturare i civili «sospetti» di iancheggiamento, da deferire poi agli ufici della Sipo-SD, a cui
spettava decidere sull’eventuale deportazione in KL. Come è
noto, l’invito nasceva dalla preoccupazione di mettere ine ai
massacri e agli scempi compiuti dal reparto esploratori della
divisione corazzata paracadutisti «Hermann Göring» sull’Appennino tosco-emiliano, che minacciavano di compromettere deinitivamente il rapporto tra occupante e popolazione
civile.66 Nello stesso periodo il generale Ludwig Kübler, comandante delle operazioni di guerra nella zona del Litorale
Adriatico, dove l’attività partigiana aveva conosciuto uno sviluppo eccezionale dall’inizio dell’occupazione, offriva invece,
con l’ordine del 24 febbraio 1944, piena copertura ai comandanti subalterni che si rendessero responsabili di qualunque
misura servisse a neutralizzare il nemico.67 Questa circolare,
come le precedenti del 1942, metteva al primo posto l’eliminazione isica come risposta a qualsiasi gesto di opposizione
o ostilità armata, in altre parole come la soluzione migliore al
termine di una qualsiasi operazione di controguerriglia. La
diversa impostazione delle due disposizioni, di Dostler e di
Kübler, si deve senz’altro alla mancata deinizione ino a quel
momento, nell’ambito della lotta antipartigiana, di una linea
repressiva chiara e univoca, anche in merito alla deportazione in KL.
Ovviamente, visto il quadro complessivo determinato sia
dall’andamento della guerra, sia dalla decisione politicomi595
litare di tenere il più possibile il fronte italiano, sia dalle esigenze dell’economia di guerra della Germania, aflitta da una
cronica carenza di manodopera, l’Italia appare importante
anche come riserva di manodopera da impiegare in diversi
modi; già il 17 settembre si era espresso il feldmaresciallo Wilhelm Keitel, capo dell’OKW, tramite una disposizione che
invitava esplicitamente a rastrellare i lavoratori da impiegare
sulle linee di fortiicazione oppure da trasferire nel Nord Italia o nel Reich.68 La disposizione si accordava con la convinzione del ministro per la Produzione Bellica e gli Armamenti
(Reichsminister für Rüstung und Kriegsproduktion), Albert
Speer, secondo il quale la difesa dell’Italia fosse possibile solo
dagli Appennini in su e che pertanto le industrie e le risorse
del Sud del paese dovessero essere trasferite al Nord, mentre
ciò che non poteva venire asportato doveva andare distrutto.69 La disposizione di Keitel sembra essere stata immediatamente applicata al Sud da Kesselring, che ordinò subito un
ampio ciclo di rastrellamenti nel Napoletano. Delle migliaia
di persone catturate molte vennero trasferite in parte sulle
fortiicazioni della Linea Gustav, in parte al Nord e parte oltre Bennero; solo una parte estremamente minoritaria si può
presumere, però, sia stata avviata alla deportazione nei KL.70
La stessa disposizione, entrata in vigore il 1° ottobre, per disposizioni di Rommel, anche nella zona di competenza del
gruppo d’armate «B», aveva prodotto effetti simili nella zona del Litorale Adriatico, dove il II corpo d’armata corazzato
delle Waffen SS (composto in realtà dalla 1ª divisione corazzata «Leibstandarte Adolf Hitler» delle Waffen SS e da altri
reparti di fanteria meccanizzata ordinaria) avrebbe condotto
ino al novembre 1943 alcuni cicli repressivi che avrebbero
portato alla cattura di circa 10.000 persone, di cui una parte
sarebbe stata destinata al lavoro coatto nel Reich, mentre altri, una quota comunque ridotta, alla deportazione in KL.71
All’estremità opposta della Pianura Padana, nella zona, a
cavallo tra Piemonte e Liguria, al conine con la Francia,72 dal
gennaio 1944 le forze SS e di polizia a disposizione dell’Oberitalienwest, in collegamento con il distaccamento della Sipo596
SD di Torino, avrebbero svolto una itta serie di puntate repressive e di grandi operazioni antipartigiani, in alcuni casi
conclusesi con deportazioni in KL.73 è all’interno di questi
primi rastrellamenti sul territorio piemontese che si conigura un signiicativo ruolo nell’antiguerriglia delle formazioni
di terra della Luftwaffe, composte dal personale degli aeroporti militari e della contraerea (Flak), le quali sarebbero state responsabili, dall’estate successiva, di diverse operazioni
nell’appennino tosco-emiliano e nel Nord-Est, terminate con
deportazioni in KL.
L’evoluzione di normativa e prassi repressive
intervenuta nella primavera del 1944
Un primo segnale in questo senso si coglieva con l’entrata in
vigore il 1° aprile 1944 delle nuove istruzioni dell’OKW per
la «lotta alle bande» (Merkblatt 69/2), in cui veniva sottolineata l’importanza di fare «prigionieri di guerra», sia tra partigiani che si fossero arresi, sia tra coloro che fossero sospettati
di essere iancheggiatori, mettendo implicitamente un freno
alle rappresaglie e alle fucilazioni indiscriminate.74 Valido su
tutti i fronti in cui fossero impegnate truppe tedesche le quali
dovessero fare i conti con la presenza di una resistenza armata, il nuovo Merkblatt da un lato obbediva all’esigenza di
non danneggiare irrimediabilmente i rapporti con la popolazione civile dei territori occupati, dall’altro era espressione
di un contesto in cui alla disperata fame di manodopera che
afliggeva l’economia di guerra tedesca si contrapponeva il
progressivo venir meno del numero di nuove braccia reclutate più o meno coattivamente nei paesi occupati o arruolate
in quelli alleati; di conseguenza anche quei «prigionieri di
guerra» a cui il testo fa riferimento potevano essere utili se
mandati in Germania come lavoratori forzati a disposizione
del GBA o come deportati in KL, posto che la struttura della
galassia concentrazionaria SS era ormai pressoché totalmente
asservita alla produzione di guerra.
597
D’altra parte, il 7 aprile Kesselring emanava un nuovo ordine con cui, a pochi giorni dall’entrata in vigore delle disposizioni globali appena citate, disponeva un inasprimento della linea repressiva contro le bande, per cui si sarebbe dovuto
procedere con azioni pianiicate e con un uso «deciso» della
violenza sia contro i partigiani, sia contro i loro iancheggiatori, fornendo sostanzialmente carta bianca alle istanze subalterne e ai comandanti truppe impegnate in tutto lo scacchiere
italiano. Dietro l’intervento di Kesselring c’era la percezione
diretta della minaccia rappresentata da un movimento partigiano in crescita in diverse aree dell’Italia, e c’erano gli scioperi del marzo 1944.
Sia l’evoluzione intervenuta nel contesto territoriale speciico sia le modiicazioni della normativa repressiva disposte dall’alto avrebbero indotto Willy Tensfeld, comandante
dell’Oberitalien-West, a convocare il 18 aprile 1944 una riunione dei comandi provinciali e regionali tanto della SS e
della polizia, quanto delle milizie salodiane per riorganizzare
la pianiicazione della lotta alle «bande».75 Nelle settimane
precedenti erano stati effettuati, da parte di unità militari del
LXXV corpo d’armata, pesanti rastrellamenti in Val Casotto76 e nella zona attorno al Monte Tobbio,77 inalizzati ad assumere il controllo dei passi che mettono in contatto il Basso
Piemonte con la Liguria, i quali avrebbero potuto svolgere
un’importanza cruciale in caso di sbarchi alleati a Genova e
dintorni, sbarchi che erano considerati possibili dall’OKW,
mentre reparti di polizia tedeschi e italiani agli ordini dello
stesso Tensfeld avevano provveduto a mettere in piedi analoghe operazioni al conine con la Francia (operazione Sperber),
nel Cuneese (Wien/Viktor e Stuttgart), nel Vercellese (Rom) e
al conine con la Svizzera (Köln/Freiburg), alcune delle quali
erano ancora in corso o erano appena iniziate (come l’operazione Tübingen in Valle Stura) al momento dell’incontro.
Erano questi, del resto, i punti chiave di cui era necessario
mantenere il controllo ma che, nello stesso tempo, anche per
la struttura orograica del territorio, facevano registrare una
forte presenza partigiana. Alla riunione del 18 aprile avrebbe
598
perciò fatto seguito una nuova serie di rastrellamenti: le operazioni Rosenstrauch e Habicht nel Torinese in direzione del
conine francese, l’Hamburg nel Biellese, la Bayreuth nell’Alto
Novarese, verso la Svizzera.78 Buona parte dei rastrellamenti qui elencati ebbe tra gli esiti anche il trasferimento oltre
Brennero di un cospicuo numero di persone, parte delle quali furono mandate come lavoratori coatti, parte invece come
deportati in KL.
Un altro grande ciclo di rastrellamenti, con trasferimenti coatti di popolazione e deportazioni in KL, sarebbe stato
compiuto tra febbraio e maggio 1944 nel Litorale Adriatico,
sotto il comando di Odilo Globočnick (operazioni Ratte, Biber e Braunschweig I-III). Nel corso di questo ciclo operativo
erano stati catturati quasi 2.000 prigionieri, da trasferire in
parte ai lavori forzati lungo le linee di fortiicazione del Nord,
e in parte nel Reich, con la consueta biforcazione tra lavoratori coatti e deportati in KL.
Estate-autunno 1944: sviluppi normativi
e grandi rastrellamenti
Nel corso dell’estate l’aspetto della «razzia di manodopera»
diventava uno degli sbocchi principali delle operazioni antipartigiane. Il 15 giugno 1944 veniva approvato dai comandi
centrali della SS e della polizia un nuovo assetto per la lotta alle «bande» che prevedeva la suddivisione delle persone
catturate nelle operazioni di rastrellamento in tre categorie:
1) partigiani, 2) sospetti e 3) appartenenti alle classi di leva
1914-1927, coloro cioè che non avevano risposto ai bandi Graziani e si trovavano in età da lavoro. Il primo gruppo andava
consegnato agli ufici competenti per territorio della Sipo-SD
e il loro destino era la deportazione in KL; il terzo era destinato al lavoro coatto in Germania e quindi al GBA; il gruppo
intermedio poteva ricevere il primo o il secondo tipo di trattamento a discrezione del comandante dell’azione e dei rappresentanti della Sipo-SD che lo coadiuvavano.79 La normativa,
599
prevista per le aree lontane dal fronte, e perciò poste sotto
la competenza delle autorità della SS e della polizia, veniva
ripresa anche nelle retrovie e nelle fasce costiere sottoposte
ai comandi militari, con tutte le possibili variazioni del caso,
dipendenti sia dalle caratteristiche di ogni singolo reparto, sia
dallo scenario in cui esso operava. La deportazione in KL veniva quindi formalmente indicata come sanzione da utilizzare
nell’ambito della lotta alle «bande», in un contesto bellico assai mutato dopo la caduta della Linea Gustav e il ripiegamento della Wehrmacht in direzione della Linea Gotica.
Proprio lo sfondamento del fronte del Sud a ine maggio
e il veloce ripiegamento dell’esercito tedesco verso nord (dai
primi del giugno 1944 dopo la perdita di Roma a ine agosto,
quando l’esercito tedesco si era attestato sull’Appennino tosco-emiliano, sarebbero passati poco più di due mesi) avevano progressivamente trasformato tutto il Centro Italia in una
zona di guerra in cui il problema della sicurezza era diventato
particolarmente acuto sia al fronte che alle sue spalle, in particolare lungo le vie di collegamento verso il Nord e verso la
linea di fortiicazione, la Linea Gotica (poi Linea Verde). Tale
situazione aveva portato alla diramazione di una «nuova disciplina per la lotta alle bande», emanata da Kesselring il 17
giugno 1944,80 che invitata i soldati al massimo rigore nella
repressione e assicurava piena copertura agli uficiali per le
misure anche draconiane che avessero deciso di applicare.
All’ordinanza dell’Oberbefehlshaber Südwest avrebbero fatto seguito disposizioni applicative da parte dei comandanti
subalterni; tra le misure decise dal generale Gustav Adolf
von Zangen, responsabile per la difesa della Linea Gotica (o
Verde) e delle coste, misure che andavano dal sequestro di
biciclette all’arresto di familiari di partigiani, erano previsti
anche il trasferimento come lavoratori coatti in Germania e
la deportazione in KL.81 In una nota integrativa del 20 giugno Kesselring riguardo al comportamento da tenere nelle
zone ad alta presenza partigiana, oltre a reintrodurre le misure collettive in caso di rappresaglia, ribadiva la sostanziale
uguaglianza tra i partigiani e la popolazione civile, deinendo
600
quest’ultima «potenzialmente nemica»,82 quindi esposta potenzialmente al ventaglio di misure repressive previste per i
primi.
Se, come si è già messo in rilievo in precedenza, la rottura della Linea Gustav e la conseguente necessità tedesca di
concentrare tutte le forze disponibili al fronte, oltre al venir
meno della Pianura Padana come linea meridionale di collegamento con la Francia occupata dopo gli sbarchi alleati in
Normandia e in Provenza, avevano costituito per le formazioni partigiane l’opportunità per rafforzarsi e porre sotto il loro
controllo zone consistenti del Nord, ancorché periferiche, essendosi l’occupante e il suo alleato salodiano dovuti limitare a
mantenere il controllo delle aree metropolitane e delle grandi
vie di comunicazione, il rallentamento dell’avanzata alleata
e l’assestamento tedesco sulla Linea Gotica avrebbero permesso a militari, SS e polizia di rilanciare contro formazioni
partigiane e zone libere un’offensiva generale, che avrebbe
toccato il suo apice in autunno.
Tra la ine dell’estate e l’autunno del 1944 era stato avviato un vasto ciclo di rastrellamenti antipartigiani nel Litorale
Adriatico sotto il comando del massimo dirigente della Orpo
di Trieste, Hermann Kintrup, contro le «zone libere» partigiane di Attimis, Nimis, Faedis, nell’Alta Val Degano e in Val
Pesarina; alle azioni avevano partecipato i raggruppamenti
cosacchi che avevano il quartier generale a Tolmezzo. L’offensiva autunnale vera e propria era quindi iniziata in settembre
sul fronte delle Alpi orientali, sull’altopiano di Asiago, del
Cansiglio, nelle vallate dei Monti Lessini e del Chiampo, sotto la guida di Karl Heinz Bürger, capo dell’Oberitalien-Mitte,
e del comandante della SS e della polizia di Bolzano Karl
Brunner, responsabile del grande rastrellamento sul Monte
Grappa tra il 20 e il 28 settembre 1944 e delle conseguenti deportazioni in KL. Tra i principali esecutori materiali di
queste operazioni si trovano l’Einsatzkommando Bürger e gli
speciali reggimenti di polizia costituiti nel Südtirol nell’inverno precedente.
Vaste azioni erano state poi condotte lungo le fondamen601
tali direttrici di Cuneo-Imperia-Savona e Asti-AlessandriaGenova-La Spezia-Piacenza, punti strategici di collegamento
tra la Pianura Padana occidentale e la costa, nonché zone in
cui nell’estate si erano formate alcune «repubbliche» e «zone
libere» partigiane. Di qui la decisione di Kesselring di indire
due «settimane di lotta alle bande», sotto il comando di Willy Tensfeld e con il coinvolgimento delle truppe inquadrate
nell’Armata Liguria, formalmente sotto il comando di Rodolfo Graziani, costituita dai reparti tedeschi che in precedenza
avevano fatto parte prima del LXXXVII corpo d’armata e
poi dell’Armeeabteilung von Zangen a cui si erano aggiunte le
divisioni salodiane San Marco e Monterosa.
Una scia di sangue accompagnata dalla deportazione in
KL di parte dei rastrellati sarebbe stata prodotta dalle operazioni condotte tra ottobre e dicembre 1944 nel Comasco
(operazione Berni), nell’Alto Novarese (operazione Avanti
contro la repubblica dell’Ossola), nelle Langhe (attacco in
forze alla «repubblica di Alba»), nel Monferrato (operazione Koblenz-Süd contro la «zona libera» dell’Alto Monferrato),
nel Canavese (operazione Herbstzeitlose), nonché nell’Oltrepò Pavese dove si congiungono le province di Alessandria,
Genova e Piacenza (operazioni Milano, Heygendorff, Aachen,
Straßburg).83
La geograia dei rastrellamenti e la deportazione in KL
Il Meridione
Appena dopo l’armistizio dell’8 settembre reparti alleati erano sbarcati nel golfo di Salerno, con l’obiettivo di procedere
lungo la penisola sotto copertura aerea. Nel contempo, i comandi germanici avevano previsto una ritirata su linee difensive scaglionate in profondità (Otto, Anni, Viktor o del Volturno, Barbara, Bernhard) ino alla Linea Gustav, che univa
Minturno a Ortona e su cui il fronte si sarebbe assestato in
dicembre ino al maggio 1944.
602
La Campania, dove preventivamente erano state concentrate cospicue forze tedesche, diventava così il principale teatro dei combattimenti. Il 10 ottobre, insieme a tutta l’area a
sud delle province di Littoria, Frosinone, l’Aquila e Pescara,
veniva dichiarata «zona di operazioni» in quanto retrovia del
fronte. Come già accennato, nell’area si scatenarono furiosi
rastrellamenti allo scopo di recuperare manodopera da utilizzare per le opere di fortiicazione in corso o da trasferire
al Nord, senza però che partissero trasporti signiicativi di
deportati in KL.
Si cercherà comunque qui di ricostruire il quadro delle
operazioni di controguerriglia e «boniica» del territorio realizzate nell’Italia meridionale, in particolare in Campania e
nel Basso Lazio, là dove si veriicarono rastrellamenti.
Il 20 settembre il XIV corpo d’armata ricevette un ordine
in base al quale tutti i lavoratori italiani dell’area di Napoli
dovevano essere impiegati nei lavori di fortiicazione o spediti come lavoratori coatti in Germania; a questo scopo la 15ª
divisione granatieri corazzati e la 16ª divisione corazzata dovevano allestire campi di raccolta rispettivamente a Sparanise
e Formia; nella seconda località sarebbero stati inoltre consegnati anche i rastrellati dalla divisione corazzata «Hermann
Göring», della Luftwaffe, e dal comando cittadino di Napoli,
che faceva capo al colonnello Walter Schöll, mentre a Sparanise dovevano essere concentrati i catturati per mano dei
gruppi di combattimento (Kampfgruppen) Maucke e von Corvin. Due giorni dopo, il 22, si dispone che un terzo campo di
raccolta venga aperto a Maddaloni.84 Retate e rastrellamenti
si sarebbero susseguiti per tutta la settimana dal 20 al 27 settembre, innescando così la successiva insurrezione.85
Nella giornata del 23 settembre veniva condotto tanto in
Campania, in particolare nel Casertano, quanto nel Basso
Lazio, un ampio ciclo di rastrellamenti; tra i comuni colpiti
c’era Teano, collocato lungo la Linea Barbara e a ridosso della
Linea Bernhard, «tra il Monte Santa Croce a ovest di Roccamonina, il massiccio del monte Camino a nord, e il monte
Cesima che dominava la strettoia tra Mignano e San Pietro
603
[...]», dove sarebbero stati catturati 600 uomini.86 La stessa
sorte era toccata a Carinola e alle frazioni di Casanova, Casale, Nocelleto, Falciano;87 il medesimo giorno erano state prese
centinaia di uomini a Castellammare di Stabia, con un’operazione di tale portata da avere assunto il posto centrale nella
memoria locale del paese.88
Ad Acerra il 1° ottobre, con lo stesso metodo usato negli
altri paesi, i tedeschi, probabilmente uomini della divisione
«Hermann Göring» in ritirata da Napoli, invadevano le strade, rastrellavano gli uomini e li radunavano nelle piazze per
trasferirli al Nord.89 Analoghi episodi si svolgevano il 7 ottobre a Bellona, paesino lungo la linea del Volturno; a Capua,
che fu il «teatro principale della battaglia del Volturno» dal
12 al 16 ottobre e che, come molti altri paesi lungo la linea di
difesa, si trovò in mezzo al fuoco dei due schieramenti; a Conca, collocata tra la Linea Barbara e la Linea Bernhard, l’ultima prima della Gustav, ad Alvignano, a Castelcampagnano,
a Gioia Sannitica, Limatola, Telese.90 Altri rastrellamenti avvengono nel Beneventano, come nel villaggio di Dragoni.91
Anche nel Basso Lazio si erano ripetuti rastrellamenti sistematici di uomini da trasferire al Nord e in Germania, precisamente in quei comuni che si trovavano a ridosso della Linea
Gustav. A colpire la zona era stato il grande rastrellamento del
23 settembre, che aveva interessato Minturno, la frazione di
Tremensuoli e Gaeta,92 appena prima che venisse emanato, il
24 settembre, l’ordine di evacuare i comuni di Gaeta, Formia,
San Felice Circeo, Terracina, Sabaudia e Nettunia, sovrappostosi al rastrellamento di alcuni comuni dell’entroterra, come
Castellonorato, Maranola e Trivio.93 Analoghe operazioni si
erano svolte fuori Roma e nella provincia di Viterbo, dove
particolarmente attiva nella perlustrazione e nel controllo
del territorio era stata la 2ª divisione paracadutisti. Rastrellamenti erano stati compiuti in Alta Val d’Aniene nella zona
di Afile, a Licenza, Mandela e Bellegra.94 Nel Viterbese il 29
ottobre 1943 a Blera, presso Vetralla, il VII battaglione del
2° reggimento paracadutisti aveva invaso il paese e rastrellato
uomini validi.95
604
In generale l’occupazione tedesca del Lazio sarebbe stata
caratterizzata da un’ingente presenza di unità militari, data
la vicinanza del fronte, nonché, dal gennaio 1944, in seguito
al costituirsi della testa di ponte alleata creata con lo sbarco ad Anzio. Per quanto riguarda il controllo delle retrovie
e la repressione di ogni attività partigiana Kesselring aveva
immediatamente fatto allestire la Banden-Jagd-Kompanie OB
Südwest; dalla primavera 1944 la 14ª armata avrebbe dato
vita, in successione, a due comandi per la lotta alle bande,
lo Stab für Bandenbekämpfung Major Herrmann e il Bandenbekämpfungstab Oberst Schanze, entrambi responsabili di diverse operazioni di rastrellamento tra Lazio, Umbria e Marche.96
Nei mesi successivi, anche a causa dello sviluppo dell’attività partigiana, le operazioni avrebbero allargato il proprio
raggio d’azione. L’esigenza di liberare le vie di comunicazione avrebbe portato a colpire l’area a cavallo tra la provincia di Rieti e quella di Terni, dove operavano la formazione
«D’Ercole-Stalin» nella zona di Poggio Mirteto, e sul conine
umbro la brigata «Spartaco Lavagnini» e alcuni gruppi della
brigata «Gramsci».97
Tra il 29 marzo e il 7 aprile avrebbe avuto inizio una vasta
azione nell’area tra Norcia, Leonessa, Poggio Bustone, Rivodutri, Morro Reatino e a sud del Monte San Giovanni; sotto la
guida dello stato maggiore del 69º reggimento corazzato, una
formazione ad hoc formata dalle sezioni esploratori del 103° e
del 190° reggimento corazzato, dal II battaglione del 3° reggimento della divisione «Brandenburg», da aliquote del 190°
reggimento corazzato, dal I battaglione del 20º reggimento
SS e di polizia, nonché dalle squadre di pronto intervento del
Comando della 14ª armata e del Comando piazza di Rieti, tra
cui membri della Luftwaffe, avrebbe avviato l’operazione. Tra
le frazioni colpite, Pace e Costipano venivano date alle iamme, mentre si procedeva al rastrellamento di uomini validi al
lavoro a Labro, Morro Reatino, Rivodutri e Poggio Bustone.
Dal 3 al 7 aprile si sarebbe continuato passando all’accerchiamento di Leonessa per debellare la «Spartaco Lavagnini»;
venivano attaccate le frazioni di Albaneto e Villa Pulcini, e
605
poi si passava al setaccio l’intera zona. Le relazioni militari
tedesche danno conto di 296 morti tra i «banditi» e di 698
prigionieri, sulla cui sorte non viene però fornita alcuna indicazione.98
Nello stesso contesto si svolgevano, senza soluzione di continuità, un secondo pesante rastrellamento dal 7 al 17 aprile sul Monte Tancia nella zona di Poggio Mirteto, Vacona,
Santa Maria Maddalena, Calvi, Colle Croce per annientare la
«D’Ercole-Stalin», compiuto anch’esso dal I battaglione del
20° reggimento di polizia e della SS e dal II battaglione del
3° reggimento della «Brandenburg» (a tirare le ile è lo Stab
für Bandenbekämpfung della 14ª armata), e operazioni di polizia (denominate globalmente Osterei, cioè «uovo di Pasqua»),
anch’esse dirette dal Comando della 14ª armata e attuate da
unità dei medesimi reparti, coadiuvate questa volta da squadre di pronto intervento della Militärkommandantur di Rieti,
nei comuni di Santa Maria Maddalena, Calvi, Terni, Conigni, Monte Cosce.
Un breve cenno deve essere fatto al ruolo svolto dai comandi tedeschi della polizia di Roma. Nella capitale, infatti,
si svolsero alcune delle più grandi retate nell’Italia occupata:
il 16 ottobre 1943 nel ghetto di Roma era stata realizzata la
più grande retata antiebraica d’Italia a cui avrebbe fatto seguito la deportazione ad Auschwitz di 1.023 ebrei romani;99
il 17 aprile 1944 nel quartiere romano del Quadraro, una
borgata popolare a forte presenza partigiana e perciò considerata particolarmente pericolosa dagli occupanti tedeschi,
erano stati arrestati circa 700 uomini in età da lavoro (dai 16
ai 60 anni) attraverso un’azione coordinata tra lo stato maggiore dell’ Oberbefehlshaber Südwest, quello della 14ª armata,
la sezione romana (Außenstelle) del BdS, guidata dal 10 settembre precedente da Herbert Kappler, e il comando piazza
della capitale. L’operazione era apparentemente la risposta
all’attentato del 10 aprile, il lunedì di Pasqua, messo in atto
contro tre tedeschi presso l’Osteria del Piccione, dalla banda
cosiddetta del «Gobbo del Quarticciolo», legata al partigiano
socialista Giuseppe Albano (detto il Gobbo) e composta da
606
appartenenti al sottoproletariato giovanile del quartiere.100 A
seguito di questo episodio, secondo la memoria del quartiere e secondo la documentazione tedesca, autocarri e blindati
tedeschi circondavano alle 3.30 circa del mattino il quartiere
del Quadraro e verso le 5 squadre di soldati delle SS iniziavano a rastrellare le vie, casa per casa prelevando tutti gli uomini, i quali venivano poi portati nel cinema del quartiere,
di lì trasferiti agli stabilimenti di Cinecittà, dove sarebbero
rimasti per due giorni, successivamente mandati verso nord
facendo sosta a Terni, a Firenze al carcere delle Murate e inine acquartierati nel campo di transito (DuLag) di Fossoli di
Carpi,101 da dove, secondo lo studio di Walter De Cesaris, alla
ine del giugno successivo sarebbero partiti per la Germania
per esservi impiegati quali lavoratori coatti.102 Le fonti tedesche ci danno come catturate nel corso dell’azione, denominata Walisch (balena), complessivamente 707 persone.103
Il Centro
Fino alla primavera del 1944 si trova traccia solo di piccole operazioni con alcuni arresti;104 per esempio, il 3 febbraio
1944, presso Sant’Eraclio di Foligno, Cancelli, Ponse e Radiosa, dopo alcuni scontri lungo la via Flaminia, sul Monte Subasio, sui Monti Martani e nella zona di Foligno, si svolgeva
un’operazione che aveva come esito l’arresto di 4 partigiani e
9 civili.105 Piccole puntate si erano registrate ancora per tutto
il mese di marzo.106 A partire dalla primavera del 1944, invece, con la rottura della Linea Gustav e il rapido arretramento
del fronte, che si sarebbe protratto per tutta l’estate, si sarebbe fatto sempre più stretto il nodo che legava assieme attività
militari vere e proprie, azioni repressive dirette a contrastare
un’attività resistenziale che si faceva vieppiù signiicativa, misure di rappresaglia pura e semplice e necessità di recuperare
braccia da utilizzare, in diversi modi, più a nord. In questo
contesto si devono inserire le operazioni che interessarono il
territorio dell’Umbria, regione che ospitava importanti vie di
607
comunicazione con il Nord quali la via Flaminia, o statale
numero 3, che collegava Roma a Rimini e in senso longitudinale attraversava tutta la parte est della regione, e la UmbroCasentinese che da Viterbo conduceva al lato ovest del lago
Trasimeno, e che sarebbe diventata a quel punto territorio sia
dalla 14ª sia dalla 10ª armata per risalire lo stivale. Attorno
alla prima direttrice operavano diverse formazioni partigiane, la brigata garibaldina «Gramsci» a sud e la brigata «San
Faustino-Proletaria d’urto» a nord, mentre nel tratto inale
della seconda, tra il lago Trasimeno, Chiusi e Orvieto, era
attiva dal marzo la «Risorgimento». Tra la ine del mese e la
prima settimana di aprile avevano luogo tre importanti cicli
operativi: il 27 marzo 1944, sotto il comando del LXXVI corpo d’armata corazzato, il 103° reparto divisionale esplorante
della 3ª divisione corazzata, privo qui di uno squadrone, e
la 1ª compagnia del IV battaglione pionieri paracadutisti rastrellavano la zona intorno a Gubbio con lo scopo di liberarla
dalla presenza partigiana: i comuni di Calzolaro e Umbertide a ovest e Scheggia e Pascelugo a est lamentano numerosi morti e, secondo fonti tedesche, da 60 a 80 prigionieri;107
rispettivamente dal 29 e dal 31 marzo vengono realizzate le
operazioni Oberst Schanze, a cavallo delle province di Rieti e
Perugia, ed Eichkätzchen nella zona intorno a Scheggia e Tazzo a sud e sud-est di Cascia, per mano la prima di uno schieramento complesso formato da reparti militari e di polizia,
la seconda attuata solo da unità SS e della polizia. La Oberst
Schanze si concluse, a quanto risulta dalla documentazione
tedesca, con la cattura di 698 persone, sulla cui sorte tuttavia
non si trovano riscontri.
Tra il 26 aprile e il 1° maggio sotto il comando del BdO
veniva eseguita una vasta operazione nell’area di Assisi, Foligno, Camerino, Matelica, Gualdo Tadino tra le province di
Perugia e Macerata, ad opera anche in questo caso di uno
schieramento composito formato da reparti militari e unità
SS e di polizia, nonché da formazioni salodiane. Secondo
fonte tedesca l’operazione aveva portato all’uccisione di 154
presunti «banditi», 119 prigionieri e a 1.544 arrestati delle
608
classi 1914-27.108 Anche in questo caso, però, non disponiamo
di alcuna indicazione sulla sorte degli uni e degli altri. Analogamente, ricerche locali danno conto di numerosi prelievi
forzati di maschi adulti nelle settimane tra marzo e maggio
soprattutto nella parte orientale della regione, tra le province
di Terni, Rieti e Perugia, in seguito all’intensiicarsi di azioni
antipartigiane miranti al pieno controllo della via Flaminia,
ma non si hanno riscontri sulle loro destinazioni inali.109 Dopo la liberazione di Roma e la veloce ritirata tedesca, a cui
seguivano quelle di Terni (13 giugno), Orvieto (14 giugno),
Spoleto (15 giugno), Foligno (16 giugno) e Perugia (20 giugno), l’esercito tedesco si assestava lungo la Linea Albert, la
linea di difesa che da Grosseto a Numana tagliava l’Umbria
all’altezza del Lago Trasimeno; ciò avrebbe comportato l’intensiicarsi dei rastrellamenti a ridosso delle vie di comunicazione e nelle fasce settentrionali della regione non ancora liberate, dove, oltre alle formazioni partigiane, già citate, «San
Faustino» e «Gramsci», operavano la cosiddetta banda del
«Monte Tezio», in seguito ridenominatasi «Primo Ciabatti»,
e, sul versante marchigiano, i distaccamenti garibaldini «La
Marmora», «Cacciatori» «Tigre», che facevano riferimento
alla 5ª brigata Garibaldi «Ancona».110
Anche nelle Marche la repressione del territorio divenne
sistematica con l’arrivo della primavera del 1944, sebbene
scontri armati tra formazioni partigiane da un lato, truppe
tedesche e unità fasciste dall’altro si fossero veriicati già nei
primi mesi di occupazione, con successive rappresaglie contro centri abitati.111 Degno di nota per questi primi mesi di
occupazione il rastrellamento avvenuto il 1° novembre 1943
nel villaggio di Camazzasette, una frazione di Urbino, dove
un reparto tedesco entrando nell’abitato sparava colpi di arma da fuoco contro i civili: due donne venivano uccise e 28
uomini venivano prelevati.112
Nel marzo successivo il II battaglione del 3° reggimento
della divisione «Brandenburg», posto agli ordini del Korück
594 (Kommandant des rückwärtigen Gebietes – il settore dello
stato maggiore della 10ª armata responsabile per il controllo
609
delle retrovie) e coadiuvato dalle unità di pronto intervento
del comando piazza 1019 di Macerata, avrebbe compiuto una
serie di azioni antipartigiane nei comuni di Rovetino, Pozza, Umito, Acquasanta, San Ginesio, tra le province di Ascoli Piceno e Macerata.113 Nelle province di Ancona e Pesaro,
tra Cantiano e Fabriano lungo la statale Flaminia, invece, a
condurre a ine mese la perlustrazione della fascia litoranea
sarebbero stati i reparti posti sotto il comando del generale di
fanteria Joachim Witthöft.114 Con la primavera prendeva inizio un ciclo di rastrellamenti, inalizzati anche allo sgombero
delle vie di transito nelle zone retrostanti il fronte, condotti
dalle unità SS e di polizia di Bürger e von Kamptz, afiancati
dal 25 maggio al luglio 1944 dal distaccamento SS e di polizia di Macerata agli ordini di Herbert Andorfer; e lungo la
fascia litoranea dai reparti della Wehrmacht al comando di
Witthöft.
Tra il 17 e il 23 aprile lo stesso schieramento di forze che,
come detto, a ine mese avrebbe colpito i comuni delle province di Perugia e Macerata, rastrellava i villaggi di Cingoli,
Chigiano e Umito a lato di alcune strade di attraversamento della regione poste a cavallo delle province di Ancona e
Macerata.115 Successivamente, tra il 7 e il 9 maggio il I battaglione del 20° reggimento della polizia e delle SS rastrellava il Monte [Serre] di Burano, Badia, Poggio del Convento in provincia di Pesaro, mentre il 20 maggio il 2° reparto
dell’Einsatz-Kommando Bürger rastrellava il Monte Cavallo a
nord-ovest di Visso in provincia di Macerata, tornando con 3
prigionieri.116 Il 4 giugno reparti militari attaccavano presso
Arcevia, nell’Anconitano, sulle pendici del Monte Sant’Angelo; le fonti tedesche parlano unicamente di 41 arresti; ricostruzioni successive italiane, che attribuiscono l’operazione a
2.000 tra soldati tedeschi e italiani e l’anticipano di un mese
issandone lo svolgimento al 4 maggio, danno invece conto di
43 caduti nel corso dell’azione, altri 18 fucilati subito dopo
la sua conclusione, e 70 fatti prigionieri e avviati al campo
di concentramento di Sforzacosta in provincia di Macerata.117
Attorno alla zona di Jesi tra la ine di maggio e la prima deca610
de di giugno unità della Wehrmacht dipendenti da Witthöft,
in qualche caso supportate dalle forze SS e di polizia guidate da Andorfer, operarono una serie di arresti nell’ambito di
operazioni antipartigiane.118
Nei primi mesi di occupazione l’attività tedesca in Toscana, regione relativamente lontana dal fronte, era stata abbastanza contenuta. Fino alla primavera 1944 la 10ª e la 14ª
armata erano state impegnate prevalentemente nei combattimenti sul fronte a sud di Roma, pertanto, per quanto la presenza partigiana fosse stata segnalata dai comandi tedeschi
in dall’ottobre 1943, non aveva comportato interventi repressivi rilevanti.119 Un rastrellamento si era svolto il 17 settembre
1943 a Carrara, nel cui ambito uomini in età da lavoro erano
stati prima concentrati a Marina di Carrara nell’ediicio di
una colonia marina e poi tradotti in Germania, presumibilmente come lavoratori coatti.120 Il 24 novembre nel corso di
un’operazione che aveva portato all’incendio di 12 abitazioni
a nord di Pescia (Pistoia), 102 persone erano state arrestate
per «favoreggiamento» verso i partigiani e consegnate a un
tribunale speciale salodiano; il 19 dicembre 1943 a est della
strada tra Bagni di Lucca e Castelnuovo di Garfagnana (Lucca) erano stati arrestati nel corso di un rastrellamento 9 civili
per «favoreggiamento» di prigionieri di guerra inglesi e consegnati al tribunale speciale; inine ad Arezzo, il 30 successivo, 10 italiani erano stati arrestati per un’accusa analoga.121
Sarebbe stato necessario arrivare al 5 marzo 1944 perché
si svolgesse in Versilia, tra Viareggio, Lido di Camaiore, Pietrasanta, Seravezza, Forte dei Marmi, Loppeglia e il monte
Matanna, una retata di cospicue dimensioni conclusasi con
la cattura di 95 «caporioni», secondo le fonti tedesche consegnati alla Sipo-SD o ai tribunali salodiani; ad agire furono
militi della GNR e le unità di pronto intervento a disposizione della Militärkommandantur di Lucca, forze cioè di non
grande capacità operativa.122 Nei giorni immediatamente precedenti era entrato in sciopero il distretto industriale composto da Firenze, Empoli e Prato; su di esso si sarebbe abbattuta una pesante repressione, sfociata in arresti di massa
611
e nella successiva deportazione in KL, nel trasporto partito
dalla stazione di Santa Maria Novella l’8 marzo e giunto a
Mauthausen l’11 successivo, di oltre 330 toscani, 315 dei quali caduti vittima della retata successiva alla protesta operaia.123 Particolarmente signiicativo l’impatto della repressione
in seguito agli scioperi di marzo in un centro minore come
Montelupo Fiorentino, dove si registrano complessivamente
ben 23 deportati in KL su una popolazione complessiva di
7.300 abitanti.124
Con la primavera il clima e lo scenario repressivo sarebbero mutati radicalmente; una prima signiicativa serie di azioni
antipartigiane veniva compiuta dalla divisione corazzata della Luftwaffe «Hermann Göring» (al tempo denominata semplicemente Panzerdivision Hermann Göring, poi dalla ine di
aprile Fallschirm-Panzer-Division 1. Hermann Göring) sull’Appennino tosco-emiliano tra marzo e aprile 1944, tra cui particolarmente rilevanti i rastrellamenti avvenuti sulle pendici
e nel territorio circostante il monte Falterona a cavallo delle
province di Arezzo, Pesaro e Forlì,125 a cui avrebbero preso
parte dalle ile della «Herman Göring» il reparto esplorante,
comandato da Christian von Loeben, unità della 10ª e della
17ª compagnia del reggimento contraereo, uno speciale gruppo di combattimento antipartigiani posto sotto il comando
del maggiore Freyer, reparti del I e del II battaglione di uno
dei suoi reggimenti, nonché unità della Gendarmeria tedesca
oltre a militi della GNR, utilizzati come guide, intermediari negli interrogatori dei prigionieri, e a cui venne afidato il
controllo delle vie d’uscita. L’operazione era stata ordinata e
pianiicata il 4 aprile dal generale von Zangen e in subordine dal comando del LXXV corpo d’armata, mentre la guida
dell’operazione era stata afidata al colonnello Hans-Hennig
von Heydebreck, al comando del reggimento corazzato.
L’obiettivo da raggiungere era ripulire la zona dalla presenza
di formazioni partigiane che rendevano dificoltoso accedere
ai passi dei Mandrioli, sulla statale 71, e del Muraglione, sulla
statale 67. Nel corso del suo svolgimento sarebbero stati massacrati 108 civili, in gran parte donne e bambini, nella località
612
di Vallucciole, altri 41 al passo dei Mandrioli, ulteriori 35 in
diverse località tra Castagno d’Andrea, San Godenzo, Partina, Moscaio, Badia Prataglia. Fonti sia partigiane, sia della
GNR segnalano lo spostamento coatto verso nord di persone
rastrellate, in particolare sul versante romagnolo, senza però
precisarne ulteriormente la sorte.126
Un analogo andamento prendeva la repressione antipartigiana dall’altra parte della regione, nell’area strategica della Lunigiana, posta nelle dirette retrovie della Linea Gotica
in prossimità della costa e punto di connessione tra Toscana,
Emilia e Liguria; lì protagonista di un cospicuo ciclo repressivo in aprile era stata la 135ª brigata da fortezza del colonnello
Kurt Almers, inquadrata anch’essa nel LXXV corpo d’armata
del generale Dostler. Fino all’inizio del 1945, del resto, la 135ª
brigata sarebbe stata protagonista di numerose operazioni
di rastrellamento nell’area compresa tra l’Appennino toscoemiliano e la costa ligure, zona cruciale per i collegamenti e
l’eventuale ritirata verso la Pianura Padana. Il 15-16 aprile tra
Pontremoli e Cervara, sotto il comando della brigata Almers,
entrambe le compagnie numero 3 dei battaglioni da fortezza
905° e 906°, una compagnia di genieri italiani, 50 soldati della scuola Antisom, 50 marò del reggimento San Marco e 50
militi della GNR compivano un rastrellamento contro i partigiani della zona, incendiando gli ediici dell’area del Lago
della Cervara, facendo tra i 6 e gli 8 morti e alcuni prigionieri di cui, secondo alcune fonti, 16 sarebbero stati, genericamente, «deportati».127 Un secondo rastrellamento si ripeteva
tra Fivizzano e Vendaso, appena sotto il conine con l’Emilia
nei pressi del valico appenninico del Cerreto, tra il 4 e il 5
maggio, di nuovo sotto il comando della 135ª brigata e a cui
avrebbero partecipato molte delle unità poc’anzi citate, ossia
il reparto esplorante della divisione «Hermann Göring», 3
compagnie del 906° battaglione da fortezza, alcuni soldati
della Antisom, 1 compagnia di bersaglieri, 1 compagnia del
genio italiana, 1 compagnia mista della Marina, 1 compagnia
mista della Flak, alcune unità della GNR e della Guardia di
Finanza, reclute del reggimento San Marco. L’obiettivo era
613
il campo partigiano allestito nelle settimane precedenti, che
aveva recentemente ricevuto armi ed esplosivi tramite aviolanci alleati.128 Al termine dell’azione le fonti tedesche registravano un numero imprecisato di morti, tra cui partigiani e
civili, e 170 prigionieri, secondo alcune fonti andati incontro
a «deportazioni», tuttavia non meglio precisate.129
Di lì a un mese, il 13 giugno, sarebbe seguito il rastrellamento di Forno, una frazione di Massa dove si erano accampati, dopo la liberazione di Roma, i partigiani della formazione comunista «Luigi Mulargia», in attesa dell’arrivo alleato.
La loro presenza nel paese, per nulla mascherata in quanto
essi davano per imminente la ine delle ostilità nonostante gli
avvertimenti del CLN apuano che li aveva invitati a evacuarlo
per il timore di un intervento tedesco, avrebbe provocato un
feroce rastrellamento eseguito dalla 135ª brigata da fortezza
sotto il comando diretto del LXXV corpo d’armata, che ebbe come esito l’uccisione di 68 sospettati di appartenere alla
formazione e la selezione di circa una cinquantina di uomini,
tra cui abitanti di Forno, sfollati e disertori del distretto di
Massa, destinati al trasferimento forzato verso nord.130
Deportazioni in KL, trasferimenti coatti sulle linee di fortiicazione della Linea Verde, sulle linee di difesa prealpine,
o come manodopera nel Reich da questo momento in avanti
si sarebbero sovrapposti con sempre maggiore intensità. Paradigmatico di questa fase sarebbe stato il vasto ciclo di operazioni condotto nella zona strategica della Cisa, all’incrocio
tra Emilia, Liguria e Toscana settentrionale tra ine giugno
ino ai primi di agosto, denominato Wallenstein (I-III):131
«Dal 1° luglio ai primi di agosto il territorio appenninico da Reggio Emilia a Piacenza viene investito da una massiccia operazione,
nome in codice Wallenstein, programmata e condotta in tre fasi
militarmente distinte tra luglio e agosto. Il comando fu assegnato al
generale Walter von Hippel, comandante in capo delle forze della
Flack, la contraerea tedesca, che impiegò prevalentemente truppe
della Luftwaffe, coadiuvate da reparti della CXXXV Brigata da
fortezza stanziata a La Spezia, da unità della X Mas e da contingenti di polizia tedesca, con rinforzi locali: in tutto circa 5-6.000
uomini. Un preciso resoconto dei risultati soprattutto “economi-
614
ci” si può leggere nelle relazioni n. 11 e n. 12, del 15 luglio e del 15
agosto, stese dalla Militärkommandantur 1008: nel campo sportivo di Bibbiano, dove sono stati trasferiti anche animali e oggetti
provenienti dalle requisizioni, vengono ammassate 3.699 persone;
1.750 verranno inviate al lavoro coatto in Germania [...]. Questi i
dati analitici del rastrellamento estivo che rivelano chiaramente le
inalità dell’operazione: dagli inizi di luglio risultano 157 catturati,
di cui 6 partigiani; in agosto, dal Piacentino, vennero inviate in
Germania come lavoratori coatti 19 persone, tra loro solo 3 partigiani. Conosciamo il luogo di cattura del 96% degli inviati di
luglio: 95 provenivano dalla val d’Arda, 41 dalla val Nure, 11 sono
stati catturati in pianura e in città e 4 nelle valli Trebbia, Tidone e
Luretta. Per agosto conosciamo la provenienza del 74% dei trasferiti in Germania: 5 vengono dalla val d’Arda, 5 sono stati catturati
in città e 4 nelle vallate attorno al Trebbia».132
«L’operazione Wallenstein, così venne denominato il primo grande
rastrellamento, spazzò i monti emiliani dal 30 giugno al 7 agosto
del 1944, con il duplice obiettivo di eliminare i “territorio liberi”
sorti su tutta l’alta fascia appenninica tra Modena e Piacenza e di
rastrellare civili destinati al lavoro coatto nei territori del Reich,
oltre a svuotare le stalle del bestiame da destinare all’alimentazione dell’esercito d’occupazione. Programmata in tre fasi distinte,
l’azione provocò distruzioni e centinaia di vittime nel Parmense e
prelevò un gran numero di uomini adulti scampati alle fucilazioni.
Stando alle fonti tedesche, la cosiddetta Wallenstein I si concluse
con l’uccisione di 325 “ribelli” e l’invio oltre Brennero di 2769 uomini, tutti provenienti dai villaggi contadini che sorgevano lungo
i pendii dei monti nel Parmense, mentre 45 furono le vittime (30
fucilati in quanto ritenuti partigiani) della Wallestein II, che colpì
la zona a cavallo delle province di Parma e Piacenza catturando
127 persone, anch’esse costrette a prendere la via della Germania.
La Wallenstein III, che pose ine alla “repubblica di Monteiorino”, nel Modenese, spargendo morte e distruzione nei villaggi e
nei paesi di montagna a cavallo tra le provincia di Modena e Reggio Emilia, portò al prelievo di parecchie decine di civili, i quali
sarebbero stati trasferiti nel campo di transito di Fossoli per essere
in parte trasferiti in Germania, soprattutto in qualità di lavoratori
coatti. Obiettivo dell’operazione era, come si è detto, riprendere
il controllo dei “territori liberi”, porre ine alle esperienze di autogoverno dei comitati di liberazione nazionale e “ripulire” quei
territori sia dai combattenti partigiani, sia da tutti coloro che li
sostenevano o che avrebbero potuto farlo.»133
615
A partire dalla ine di giugno del 1944 la ritirata dalla Toscana meridionale avrebbe seguito due direttrici: la litoranea,
lungo la via Aurelia, attraverso le province di Grosseto, Livorno e Pisa; e la via interna, lungo la Cassia, in direzione di
Chiusi, Siena, Arezzo e Firenze attraverso la val di Chiana
e l’Aretino. Tra le azioni repressive compiute nel corso della
ritirata lungo la costa è da ricordare quella avvenuta presso le
miniere della Niccioleta, vicino a Castelnuovo Val di Cecina,
che avrebbe avuto come esito inale, oltre all’uccisione di 83
uomini, il trasferimento in Germania, come lavoratori coatti,
di una ventina di giovani in età di leva.134 La ricostruzione
dettagliata dell’azione è stata fatta da Paolo Pezzino, a cui afidiamo la descrizione dell’episodio:
«In questo villaggio, costruito dalla Montecatini alla metà degli
anni trenta per sfruttare una grossa miniera di pirite, con criteri
che a quei tempi sembrarono modernissimi [...], si svolse nel giugno del 1944 uno dei tanti massacri di popolazione civile compiuti
in Toscana dalle truppe tedesche: all’alba del 13 giugno reparti di
polizia tedesca formati da soldati italiani, uficiali e sottouficiali
prevalentemente tedeschi, circondarono il villaggio, rastrellarono
tutti gli uomini, concentrandoli davanti al dopolavoro, quindi ne
fucilarono sei, trovati in possesso di armi e altri oggetti compromettenti (un fazzoletto rosso, un lasciapassare partigiano) e, dopo
averne liberati alcuni, i più anziani, trasferirono in serata gli altri
nella vicina Castelnuovo Val di Cecina, da dove i tedeschi erano
partiti la mattina presto. Qui nel giorno 14, dopo una estenuante
attesa nei locali dell’ex cinema, i prigionieri furono divisi in tre
gruppi. Un primo gruppo, composto da 77 persone, fu portato in
un pendio alla periferia del paese, un “vallino” accanto alla centrale elettrica [...], dove furono uccisi con rafiche di mitragliatrici in precedenza piazzate sul posto. Un secondo gruppo, di 21
giovani in età di leva, fu trasportato a Firenze e da lì deportato
[sic!] in Germania (ma quattro persone riuscirono a fuggire nel
tragitto ino alla città toscana); un terzo contingente di uomini, di
circa cinquanta persone (i più anziani), fu liberato e fece ritorno
al villaggio».135
L’avvenimento vide coinvolti da un lato le formazioni partigiane della zona, la 23ª Brigata Garibaldi «Guido Boscaglia» e, nel caso di Niccioleta, il suo distaccamento «Otello
616
Gattoli», attivati dall’appello del 6 giugno rivolto ai «patrioti
dell’Italia occupata» dal generale Harold Alexander, comandante in capo delle forze alleate in Italia, a «insorgere contro
il nemico»; e dall’altro il III battaglione italiano volontario
di polizia (III. Polizei-Freiwilligen-Bataillon «Italien»), la cui
struttura di comando era mista (composta da tedeschi e italiani) e la cui truppa era esclusivamente italiana, proveniente
in larga parte dalle ile della disciolta MVSN; il reparto dipendeva dalla centrale di polizia Mittelitalien di Karl Heinz Bürger.136 Il comando del LXXV corpo d’armata proprio in quei
giorni aveva ordinato azioni antipartigiane nella zona,137 e il
battaglione stava compiendo un ciclo operativo nella zona tra
Pomarance, Larderello, Castelnuovo Val di Cecina, Riotorto,
Montoni, Allumiere, Valpiana, Massa Marittima e Niccioleta
allo scopo di liberare le spalle del fronte; prima del massacro
a Niccioleta, il giorno 10 era stato occupato Castelnuovo Val
di Cecina, rastrellati tutti gli uomini e quindi trattenuti solo
i soggetti agli obblighi di leva, circa una quarantina secondo
testimonianze, di cui alla ine cinque erano stati trasferiti in
Germania.138 Come a Castelnuovo, anche a Niccioleta a essere inviati oltre Brennero erano stati i giovani delle classi in
età di leva, utili come forza lavoro ma probabilmente in quel
contesto avvertiti come una potenziale minaccia, mentre coloro, in gran parte minatori, che avevano dato vita nei giorni
precedenti a una sorta di improvvisata milizia allo scopo di
difendere il paese e la miniera, sarebbero stati fucilati e gli
anziani rilasciati.
Un paio di settimane più tardi sarebbe seguita una delle più grandi stragi toscane avvenuta nel corso della ritirata lungo la via del litorale, quella di Guardistallo (Pisa), del
28-29 giugno.139 Contemporaneamente, lungo la via di ritirata interna, venivano compiuti altri massacri, come quelli sul
Pratomagno e tra la Valdarno e la Val di Chiana, tra cui le
note stragi di Civitella Val di Chiana, San Pancrazio e Cornia,
dove a far da protagonista era ancora una volta la divisione
«Hermann Göring».140
Con l’attestarsi delle truppe lungo la linea dell’Arno, la
617
Versilia veniva a trovarsi alle spalle del fronte a pochi chilometri della Linea Verde. Per questo motivo, e per l’incessante
crescita del movimento partigiano della zona, Kesselring istituì uno speciale stato maggiore, afidato al colonnello Ebner,
con il compito di evacuare tutta la zona 10 km a nord e 20
km a sud della Linea Verde, prelevando manodopera da utilizzare sulla fortiicazione. Contestualmente il 18 luglio ordinava l’evacuazione di una striscia di territorio di 5 km a nord
e a sud della principale linea di combattimento.141 In questo
modo tutte le località della zona sarebbero andate incontro
progressivamente all’evacuazione: la provincia di Lucca era
stata dichiarata zona di operazioni il 4 luglio; dal 7 in avanti
era ordinata l’evacuazione dell’intera Versilia del nord: il 7
luglio Carrara, il 12 Massa, ordine revocato e quindi ripetuto
il 19 agosto e poi ancora il 12 settembre.142 Il sovrapporsi di
disposizioni tra loro non di rado contraddittorie, le esigenze della ritirata, le pressioni offensive alleate contribuirono
sicuramente alla creazione di uno stato di caos che non mancò di rilettersi sui comandanti delle unità della Wehrmacht
presenti sul territorio. Il 6-7 luglio l’871° reggimento granatieri, appartenente alla 356ª divisione di fanteria, rastrellava
un’area di dieci chilometri attorno alla strada che collega
Radda del Chianti a Greve, in provincia di Siena, uccidendo
3 uomini, arrestando 35 renitenti, dando alle iamme 36 case
coloniche e inviando al campo di raccolta (Sammel-Lager) di
Firenze tutta la popolazione maschile tra i 18 e i 45 anni di
età.143 Secondo la documentazione tedesca, si sarebbe trattato
di una rappresaglia in seguito ad attacco partigiano che aveva
fruttato la cattura di quattro soldati del reparto. Più a nord, il
14 luglio, soldati del battaglione di addestramento dell’accademia dei «cacciatori da montagna» di Mittenwald, responsabile dal giugno 1944 all’inizio del 1945 di una lunga serie
di rastrellamenti sugli Appennini e nell’area apuana, avrebbe circondato Montefegatesi, minuscola frazione di Bagni di
Lucca, catturando decine di uomini poi condotti nel centro
del comune, che funzionava come luogo di raccolta della manodopera da trasferire verso nord.144
618
I cicli repressivi più violenti di questo periodo e in questa
fascia di territorio sarebbero stati legati alla presenza della 16ª
divisione corazzata SS «Reichsführer SS», unità appartenente
alle Waffen SS e intitolata a Heinrich Himmler nel suo ruolo di capo supremo della milizia nazionalsocialista. Alla sua
zelante attività si deve in larga parte la realizzazione dei piani
per i trasferimenti di manodopera dell’estate dall’Appennino tosco-emiliano.145 Il primo intervento di quello che appare
come un ampio ciclo operativo146 si svolgeva sui Monti Pisani
presso la località La Romagna, dove tra il 6 e il 7 agosto membri della divisione devastavano gli ediici e rastrellavano gli
uomini, quasi tutti sfollati da Pisa in seguito al bombardamento del 31 agosto 1943, e li conducevano a Nozzano, dove
aveva sede il quartier generale della divisione. Quelli giudicati inabili al lavoro, 69, erano stati fucilati; gli altri nei giorni
seguenti erano stati avviati a Lucca, che per tutta l’estate, ino
all’evacuazione della città, era stata luogo di raccolta per i lavoratori forzati della regione.147 Qualche giorno dopo sarebbe
toccato a Sant’Anna di Stazzema e Valdicastello, paesini arroccati sulle colline dell’alta Versilia in una zona a forte presenza partigiana. La principale operazione era, infatti, stata
preceduta da una serie di puntate repressive antipartigiane di
«boniica». Il 12 agosto quattro compagnie del II battaglione del 35° reggimento della 16ª divisione SS salivano verso
Sant’Anna; nel corso della giornata diversi eccidi venivano
compiuti nelle diverse frazioni dislocate lungo la salita. In seguito i reparti si sarebbero diretti, attraverso tre diversi sentieri, verso Valdicastello, uccidendo chiunque incontrassero
lungo la strada. Lì avrebbero catturato circa 300 uomini in età
da lavoro, che sarebbero poi stati divisi per gruppi: una parte
sarebbe stata portata verso il centro di raccolta della Pia Casa
di Lucca e quindi trasferito al lavoro forzato in Germania;
un’altra parte condotta a Nozzano, alla sede di comando della divisione, e dopo qualche giorno, avviata in parte alla Pia
Casa, inine un ultimo gruppo, ancora trattenuto in ostaggio,
sarebbe stato ucciso barbaramente nella successiva strage di
Bardine San Terenzo del 19 agosto, a irma della stessa divi619
sione.148 Appare ragionevole pensare che il primo contingente
immediatamente giunto a Lucca sia stato utilizzato come manodopera coatta, mentre almeno alcuni di coloro che furono
trasferiti in seguito nel centro di raccolta lucchese abbiano
poi preso la via dei KL.149
Tra il 20 e il 21 agosto nell’area di Badia Prataglia e il Passo dei Mandrioli, a cavallo delle province di Arezzo e Forlì,
l’operazione Maskenball condotta dalla 44ª divisione granatieri corazzati Hoch- und Deutschmeister e dal reparto 182 della
contraerea pesante, sotto il comando del LI corpo d’armata
da montagna, portava a 15 morti e a 309 civili arrestati.150
A ine mese la 16ª divisione Waffen SS prendeva parte a
un’altra operazione nella Valle del Lucido e nell’area del
Monte Sagro dall’esito analogo a quella condotta in Versilia;
questa volta erano schierati 1.500-2.000 uomini complessivamente, appartenenti al reparto esplorante, comandato dal
capitano Walter Reder,151 alla 3ª e 4ª batteria della Flak divisionale (SS-Flak Abteilung 16), all’SS-Feld-Ersatz-Bataillon 16,
alla compagnia di scorta allo stato maggiore della divisione,
ad aliquote dell’Hoch-Gebirgsjäger-Bataillon, a un battaglione
del 40° reggimento cacciatori, insieme a elementi della Brigata Nera Apuana. L’area da rastrellare comprendeva Colonnata, il Monte Uccelliera e il Monte Sagro. La mattina del 24
agosto lo schieramento percorse la strada che lungo il torrente Lucido sale verso Vinca (frazione di Fivizzano), chiuse la
zona e cominciò la «caccia all’uomo». La maggior parte dei
maschi adulti si era già rifugiata nei boschi, però, e a cadere
vittima del rastrellamento furono soprattutto donne, bambini e vecchi, per un totale di 137 morti. Due giorni dopo, il 26,
il bollettino della 14ª armata parlava di «1.480 banditi, iancheggiatori delle bande e sospetti catturati», saliti due giorni
dopo a 1.635, tutti inviati al campo di Lucca per essere trasferiti in Germania come manodopera coatta (Arbeitseinsatz).152
Nell’ultima fase di «“ritirata aggressiva” [...] e di “desertiicazione”»153 della zona antistante la Linea Verde, alla ripresa a ine agosto dell’avanzata alleata, si svolgevano inine nella
Lucchesia, sulle Apuane e nella Versilia gli ultimi rastrella620
menti, tra cui quello dell’1 e del 2 settembre contro la Certosa di Farneta, dove i monaci avevano dato ricetto a parecchi
civili, tra cui ex fascisti, ricercati come il medico neuropsichiatra Guglielmo Lippi Francescani e partigiani. Ad agire
sarebbe stata ancora una volta la 16ª divisione dell Waffen SS.
Forse informato da fascisti della presenza di persone «sospette» alla Certosa,154 il comando della divisione considerava il
luogo come un centro di appoggio e spionaggio a favore dei
partigiani, di cui i monaci erano considerati complici. La sera
del 1° settembre uomini della 16ª divisione, probabilmente
della Feldgendarmerie, facevano irruzione e catturavano tutte le persone presenti, compresi i religiosi. Caricatele su un
camion, le portavano attraverso tre viaggi a Nocchi (frazione
di Camaiore), dal 29 agosto nuova sede del comando divisionale. Nei giorni successivi tutta la zona intorno alla Certosa e
a Pieve di Camaiore andava incontro a rastrellamenti, in un
contesto militare segnato, pochi chilometri a sud, dalla liberazione di Pisa, a cui sarebbe seguita di lì a poco quella di
Lucca. Il comando della divisione avrebbe, comunque, continuato a riempirsi di nuovi prigionieri, che si aggiungevano a
quelli della Certosa.
A un interrogatorio violento a Nocchi, dove si ricorda la
presenza alla sorveglianza anche di uomini della Brigata Nera, sarebbe seguita una prima selezione: 29 persone, tra cui
21 della Certosa, sarebbero state condotte a Pioppeti di Camaiore per esservi uccise e poi impiccate col ilo spinato. Il 6
settembre un altro centinaio era portato al Sammel-Lager di
Carrara, nuova sede di raccolta dei lavoratori coatti dopo lo
sgombero di Lucca, e in seguito trasferito al campo di Fossoli, passato nell’agosto dalla sfera di competenza dell’apparato
SS e di polizia in Italia a quella della rappresentanza del GBA
Sauckel nel territorio della RSI. Da Carpi un convoglio apposito li avrebbe portati in Germania passando per Verona,
Bolzano e Monaco di Baviera, dove il gruppo, tra cui dieci
certosini, sarebbe arrivato a circa metà ottobre. Secondo diverse testimonianze, essi furono sparsi in diverse installazioni produttive, tra cui l’insediamento di Kahla, in Turingia,
621
dove in più fabbriche sotterranee venivano costruiti aerei da
combattimento, tra cui il caccia a reazione Messerschmitt Me
262.155 Inine un terzo gruppo di circa 20 uomini tra quelli
detenuti a Nocchi era stato condotto al carcere Malaspina di
Massa; essi avrebbero seguito la sorte degli altri carcerati colà
detenuti, venendo uccisi il 10 settembre dai tedeschi nell’imminenza dell’evacuazione della città, intrapresa cinque giorni
dopo.
Verso la ine di settembre il trasferimento della divisione
«Reichsführer» in Emilia attraverso l’Appennino pistoiese fu
accompagnato da altre azioni antiguerriglia e scontri con le
formazioni partigiane della zona; il 15 settembre, a due chilometri a ovest da Massa Carrara, la 16ª Waffen SS catturava
11 partigiani e 200 civili circa, sospettati di appartenere alle
bande; dieci giorni dopo circa, il 27 settembre, dopo la morte
di due tedeschi e il ferimento di un altro vicino a Pianosinatico, il suo comando disponeva una rappresaglia che aveva
come esito la fucilazione di 11 uomini, la «boniica» del territorio circostante, la distruzione delle abitazioni e il prelievo
di molti abitanti.156
L’Emilia-Romagna
Per quanto riguarda le operazioni antipartigiane la regione
riveste un ruolo di cerniera tra centro e settentrione, venendo toccata sia dai cicli operativi e dagli spostamenti coatti di
popolazione che, a partire dall’estate del 1944, interessarono
l’Appennino tosco-emiliano, sia dai grandi rastrellamenti che
tra l’autunno 1944 e il gennaio 1945 avrebbero puntato a rimettere in mani tedesche e salodiane il pieno controllo della
Pianura Padana.157
Nei primi mesi dell’occupazione piccole unità tedesche
SS e di polizia, della Gendarmerie e della GNR avevano
compiuto puntate offensive in alcune aree chiave dell’Appennino, dove a essere arrestati sarebbero stati presunti
«iancheggiatori», accusati di sostegno alle «bande».158 Il 16
622
novembre 1943 un gruppo di combattimento tedesco forte
di 400 uomini aveva circondato Pieve di Rivoschio (frazione di Sarsina, nel Forlivese) dove aveva le proprie basi una
formazione partigiana che già aveva realizzato alcune azioni militari e i cui membri, però, sarebbero riusciti ad allontanarsi. Il paese venne tuttavia dato alle iamme, i maschi
adulti sottoposti a interrogatorio, e il parroco, don Pietro Paternò, sarebbe stato deportato a Dachau con l’accusa di aver
aiutato i «banditi».159
Il 20 gennaio 1944 una formazione mista italo-germanica,
composta da una compagnia di artiglieri della Wehrmacht e
da membri della LXXXII legione della GNR, raggiungeva
la località di Ca’ Morelli, sulle pendici del Monte Alto, nella
zona di Modigliana-Tredozio, dove operava la «banda» guidata da Sirio (più noto come Silvio) Corbari, in cui militavano
anche alcuni slavi. Dopo uno scontro a fuoco, che causò tre
morti tra i partigiani, alcuni dei sopravvissuti vennero catturati. Una settimana dopo una coda dell’azione portò all’arresto dei cinque membri della famiglia di Iris Versari, compagna di Corbari, nonché all’uccisione di due altri membri della
formazione. Consegnati all’uficio della Sipo-SD di Bologna,
i prigionieri sarebbero stati in parte (7 in tutto) fucilati il 5
aprile per rappresaglia, in parte (tra essi i componenti la famiglia Versari) trasferiti in Germania.160
A Sant’Agata Bolognese il giorno 5, dedicato alla patrona
di Sant’Agata, i legionari della GNR operavano un rastrellamento inalizzato alla cattura dei partigiani della zona. L’operazione avrebbe portato all’arresto di una staffetta e di 11 giovani, tre dei quali inviati a Mirandola per essere trasferiti in
Germania.161
Una secca svolta intervenne nel marzo 1944, quando venne dislocata sull’Appennino emiliano la divisione «Hermann
Göring», reduce dal fronte meridionale e poi da quello di Anzio; in entrambi i casi era già stata responsabile di pesanti rastrellamenti nelle retrovie. Il 18 del mese il suo reparto esploratori, forte di circa 350 uomini e comandato dal capitano
Christian von Loeben, intervenne nell’Alta Valle del Secchia
623
e del Dragone mettendo a ferro e fuoco i villaggi di Monchio,
Susano e Costrignano (oggi frazioni di Palagano, all’epoca di
Monteiorino) e uccidendo 136 persone, deiniti dai rastrellatori «partigiani camuffati da civili»; l’operazione era stata
richiesta dalle Militärkommandanturen di Bologna e Parma e
dall’uficio felsineo della Orpo in seguito all’intensiicarsi in
zona dell’attività partigiana; le autorità germaniche ritenevano infatti che nell’area operasse un raggruppamento partigiano forte di 200 unità.162 Pochi giorni prima, il 12 marzo, nella
stessa area del Monte Santa Giulia un gruppo operativo composto da 14 uomini della gendarmeria (Hauptmannschaften
Emilien) e da 6 uomini del reparto comunicazioni radio della
Luftwaffe (Luftnachrichten-Flugmelde-Funk-Abteilung Mittelitalien) aveva catturato 33 presunti «banditi».163
Nelle stesse giornate avvenivano alcune puntate della
GNR nel territorio modenese della Valle del Secchia, che
portavano all’arresto di civili inviati prima nelle carceri di
Modena, poi alle carceri di San Giovanni in Monte di Bologna, quindi a Fossoli e a Mauthausen.164 Il 17 marzo, in risposta a un attentato alla casa del fascio, vennero fermate e
arrestate 65 persone (fra cui 5 donne), tradotte nel carcere di
San Giovanni in Monte e poi il 15 aprile al campo di Fossoli,
dove sarebbero rimaste in parte ino a metà maggio, in parte
ino a metà giugno 1944.165
In aprile un rastrellamento in grande stile si sarebbe abbattuto sul versante romagnolo del Monte Falterona. Ha
scritto Vladimiro Flamigni:
«Ancora non si conosce con precisione il numero delle vittime del rastrellamento di aprile. Secondo le fonti partigiane
le brigate ne uscirono distrutte con centoventitré morti nei
combattimenti e nelle fucilazioni, oltre a numerosi altri catturati e inviati nei campi di concentramento. Da un Promemoria
dell’Uficio tedesco Spi (Servizio politico investigativo) della
Gnr di Forlì datato 6 luglio 1944 risulta che furono inviati in
Germania cinquantanove partigiani, uno venne messo a disposizione del Tribunale militare di Bologna, quattro furono
ritirati dalle SS di Bologna, quattordici isicamente non idonei
rimasero a disposizione della Gnr di Forlì».166
624
Nello stesso periodo nel parmense la Militärkommandantur 1008 pianiicava una serie di rastrellamenti antipartigiani
con il contributo delle proprie unità di servizio (Alarmeinheiten), delle formazioni di controguerriglia dell’aeronautica
(Jagdkommandos) e di compagnie della GNR e dell’esercito
regolare salodiano: il 15 aprile venivano uccisi sul Monte
Montagnana 7 partigiani e catturati altri 75, mentre il 22 sul
Monte Rigollo venivano arrestati 55 «presunti» partigiani tra
cui due ex prigionieri di guerra sudafricani.167
Come si è già detto, in aprile a Bologna si insediava il comando centrale SS e di polizia responsabile della lotta antipartigiana, l’SSPF-Oberitalien-Mitte; data la sua posizione
geograica e la sua natura di polo centrale del sistema di comunicazione stradale e ferroviario dell’Italia centro-settentrionale, il capoluogo emiliano, collocato in quel periodo a
pochi chilometri dalla sezione orientale della Linea Gotica,
avrebbe assunto un ruolo chiave, sia come luogo di transito
di tutti i trasporti che portavano oltre Brennero, a prescindere dalle loro destinazione puntuale, persone catturate nei rastrellamenti operati nell’Italia centrale, sia come perno delle
azioni inalizzate al recupero di manodopera coatta nel suo
circondario. Ha fatto notare Lutz Klinkhammer che «soltanto in agosto dalla provincia di Bologna furono rastrellati per
l’impiego di manodopera 7.436 uomini e 139 donne»: di loro
ben 5.600 sarebbero stati trasferiti nel Reich.168
Parimenti cruciale per il comando della Wehrmacht in
Italia, con l’arretramento del fronte e l’assestamento successivo sul sistema difensivo La Spezia-Rimini, era garantirsi il
pieno controllo dei passi appenninici. Non per caso Kesselring aveva disposto che la sicurezza dei lavori di fortiicazione
fosse afidata a Karl-Heinz Bürger, già a capo di un Einsatzkommando attivo nelle operazioni di controguerriglia nelle
vallate cuneesi all’inizio del 1944, e quindi in Umbria ino al
maggio; ora Bürger era posto a capo del SS- und Polizeiführer
West-Emilien, di base presso Casinalbo di Modena e competente per il controllo dei valichi appenninici e le statali 63 del
Cerreto, 12 dell’Abetone e 64 del Porretta.
625
Tra la primavera e l’inizio dell’estate, la necessità da parte
delle autorità militari d’occupazione di concentrare le truppe
sulla linea del fronte, unita all’intensiicarsi dell’attività partigiana, aveva portato al formarsi di alcune «zone libere», cioè
sottratte al controllo dei tedeschi e delle forze di Salò, sulle
fasce montane della regione; tra le province di Modena e Reggio Emilia alla metà di giugno era stata posta sotto controllo
partigiano un’area comprendente i comuni di Monteiorino,
nella cui frazione di Farneta era situata un’importante centrale idroelettrica necessaria al rifornimento di energia della
Linea Gotica, Frignano, Polinago, Frassinoro, Toano, Villa
Minozzo e Ligonchio, tra la sponda destra dell’Alta valle del
Secchia, nonché le valli del torrente Secchiello, Dolo e Dragone, inclusa la strada che da Sassuolo porta in Garfagnana,
la via dei Giardini, e quella del Cerreto, ossia le principali
linee di collegamento dalla Toscana nord-orientale verso la
Pianura Padana.169 Nello stesso periodo le forze della Resistenza si erano assicurate la piena agibilità in Val Taro e Val
Ceno, in provincia di Parma, e in Val Trebbia, Val Tidone e
Val Nure, in provincia di Piacenza, zone tutte di valore strategico perché attraversate da importanti vie di comunicazione
(la statale 62 della Cisa e la via Emilia).
L’azione repressiva tedesca contro la presenza partigiana
di queste zone si dispiegò attraverso il grande ciclo operativo
Wallenstein, di cui si è già detto. Prima dell’inizio di questo
ciclo erano state compiute, dal gruppo di intervento (Einsatzkommando) comandato da Bürger, alcune puntate all’interno
delle «zone libere»; tra queste è da ricordare il rastrellamento compiuto a Piandelagotti, villaggio situato lungo la via dei
Giardini, nell’area di Monteiorino, il 28 giugno, dove era
stata catturata una trentina di uomini, poi avviata al campo
di Fossoli. Pochi giorni dopo, il 4 luglio, probabilmente già
all’interno del primo ciclo operativo Wallenstein, la 1ª e la 2ª
compagnia dello stesso gruppo operativo attaccavano il villaggio di Sestola, occupato dai partigiani da metà giugno, rastrellando una ventina di uomini, una parte dei quali sarebbe
stata trasferita, in seguito, in Germania.170
626
Il 25 agosto, dieci giorni dopo lo sbarco alleato in Provenza, iniziò l’offensiva dell’8ª armata britannica sul litorale
adriatico e a metà settembre l’attacco veniva sferrato su tutta
la Linea Gotica; il 21 settembre sarebbe stata liberata Rimini e la linea veniva valicata in diversi punti, tanto che il suo
collasso era giudicato imminente; ciò rendeva particolarmente impellente, per la Wehrmacht, assumere il pieno controllo
delle immediate retrovie, fossero esse i fondamentali valichi
appenninici che si trovavano nelle province di Piacenza e
Parma o il territorio bolognese, altrettanto importante per il
suo ruolo sia di snodo delle comunicazioni, sia di area di concentrazione delle forze partigiane,171 la cui attività, nonostante i rastrellamenti dell’estate, era andata aumentando, tanto
da dar vita a una seconda fase, autunnale, di «zone libere»
collocate nei distretti modenese-reggiano e piacentino della
Val Trebbia.172
Di un rastrellamento realizzato nella notte tra l’8 e il 9 settembre nel mese di settembre nella provincia di Forlì si ha
notizia, per quanto imprecisa:
«Un soldato tedesco e un contadino, in viaggio verso Forlì per
prelevare la levatrice che doveva assistere a un parto, caddero in
frazione San Tomé a causa di una fune tesa attraverso la strada;
quattordici persone del luogo furono arrestate e tradotte nel carcere di Forlì per essere interrogate dai tedeschi. Constatata la loro
estraneità al fatto, i tedeschi decisero di impiccare sei antifascisti
detenuti nel carcere e rastrellarono duecento persone che vennero disposte lungo la strada di San Tomé per assistere all’impiccagione. I sei corpi rimasero esposti ino all’11 settembre. I giovani
renitenti del luogo, catturati nel corso del rastrellamento, vennero
inviati in campo di concentramento in Germania (sic!)».173
Tra il 29 settembre e il 5 ottobre, nel massiccio di Monte
Sole, a sud del capoluogo il reparto esploratori della 16ª divisione Waffen SS, spostatasi ora in territorio emiliano, avrebbe
portato a termine la grande «operazione di annientamento» il
cui obiettivo era porre ine all’attività della Brigata partigiana
«Stella Rossa», ma che sarebbe sfociata nell’uccisione di 770
persone appartenenti a oltre 30 centri abitati, tra cui Marzabot627
to, e nella cattura di un gran numero di maschi adulti destinati
a essere inviati oltre Brennero come manodopera coatta.174
All’incirca nello stesso periodo veniva effettuato un rastrellamento nella zona di Caorso, in provincia di Piacenza,
da un gruppo operativo formato da uomini della Brigata Nera, della GNR e, secondo le fonti, da SS (presumibilmente
appartenenti a reparti SS e di polizia) che avrebbe portato
all’uccisione di tre partigiani presso l’azienda agricola «La
Baracca» e alla cattura di 60 operai, i quali, secondo la fonte,
sarebbero poi stati trasferiti oltre Brennero.175
A ottobre Kesselring ordinava la prima «settimana di lotta alle bande», con cui dava mano libera ai comandi territoriali nell’esecuzione di rastrellamenti nelle zone dove era
maggiore la presenza partigiana. In Emilia veniva pianiicato
dalla 14ª armata un pesante ciclo repressivo a ridosso della
Linea Verde; in tale contesto un ruolo di primo piano sarebbe stato svolto dal I corpo d’armata paracadutisti, stanziato a
sud di Bologna. L’operazione, che doveva servire a liberare la
zona dalla presenza della 63ª Brigata Garibaldi «Bolero»,176
avrebbe investito, dall’8 del mese, i comuni di San Giacomo di Martignano, Buonconvento, Anzola dell’Emilia, San
Giovanni in Persiceto, Calderara di Reno, Corticella, Castelmaggiore, Sasso Marconi e Rasigli.177 Il 9 e il 14 ottobre si
segnalava, rispettivamente a Sesto Imolese e Imola, l’arresto
di 269 e 500 sospetti, parte dei quali sarebbero stati inviati
all’uficio bolognese del GBA;178 il 17 successivo appartenenti
alla 16ª divisione Waffen SS uccidevano 2 persone, catturavano 18 sospettati partigiani e 119 civili da inviare al lavoro
obbligatorio;179 il 20 e 21 ottobre miitari appartenenti al LI
corpo d’armata da montagna rastrellavano Castenaso e Abbazia presso Budrio, uccidendo 10 persone e arrestando 193
civili, 8 dei quali fucilati e il resto trasferito oltre Brennero.180
Nello stesso arco di tempo pesanti rastrellamenti avrebbero
investito anche il Piacentino e il Parmense. L’operazione Milano, organizzata dallo stato maggiore del Corpo d’armata misto
italogermanico «Lombardia» e a cui avrebbero preso parte tre
compagnie della divisione «Monterosa», armati della Flak te628
desca e membri della sede decentrata di Genova della Sipo-SD,
avrebbe investito tra l’8 e il 12 ottobre l’area comprendente i
monti Antola e Caucaso, il comune montano di Torriglia, e la
Val Trebbia, tra le province di Piacenza, Genova e Pavia,181 uno
spazio cruciale perché collocato lungo la direttrice di collegamento che da Genova conduce ad Alessandria, Pavia, Piacenza
e Parma, e perciò guardato da tempo con attenzione dai comandi tedeschi. Di lì a poco, il 17, unità appartenenti al XIV corpo
d’armata corazzato (inserito nella 14ª armata) rastrellavano la frazione di Bosco del comune di Corniglio, in provincia di Parma,
uccidendo 11 persone e catturandone 20. Il mese seguente, in
un’area più vasta dell’Appennino orientale parmense, comprendente tuttavia anche il comune montano appena citato, si sarebbe sviluppata dal 19 al 24 novembre l’operazione Regenwetter:
«L’ultima decade di novembre truppe tedesche e fasciste, circa
2.000 uomini in tutto, invasero la parte orientale dell’Appennino
parmense; l’azione, denominata “Regenwetter”, attraversò i comuni di Corniglio, Monchio delle Corti e passò al setaccio i pendii
del monte Caio dove si erano insediate diverse formazioni partigiane. Molte le perdite partigiane e numerosi gli arrestati, destinati
alla deportazione [in KL]».182
Ad agire diverse unità della Wehrmacht, ivi compresi
uomini del II battaglione del 147º reggimento di fanteria,
composto da russi ex prigionieri di guerra arruolatisi successivamente nelle forze armate del Reich; le fonti militari germaniche danno conto di 67 morti e 42 prigionieri tra partigiani o presunti tali.183
Almeno ino al gennaio 1945 il Parmense, il Piacentino, il
Reggiano, il Modenese e il Bolognese avrebbero continuato a
essere investiti, a causa del loro valore strategico, da rastrellamenti in larghissima parte pianiicati dai comandi del LI
corpo d’armata da montagna e del corpo d’armata Lombardia; alla loro realizzazione pratica avrebbero collaborato unità italiane della GNR (di Parma), delle BN (la Brigata Nera
di Parma e la XXXIII Brigata «Tullio Bertoni») e delle forze
armate della RSI (della divisione «Monterosa»).
629
Tra il 27 novembre e il 2 dicembre Kesselring indiceva una
seconda «settimana di lotta alle bande» che portava a un vasto rastrellamento nelle province di Reggio Emilia e Modena,
colpendo in particolare i comuni di Correggio, Carpi e San
Martino, e provocando in entrambe le province numerose
morti (rispettivamente 33 e 61 sono quelle riportati dalle fonti
tedesche) e catture (108 e 335).184
A metà dicembre una nuova offensiva avrebbe colpito
nel Persicetano tra Anzola Emilia, Amola e Calderara, con
l’obiettivo di mettere deinitivamente fuori combattimento la
63ª Brigata Garibaldi «Bolero», che era riuscita a sopravvivere al rastrellamento di ottobre, e di neutralizzare gli uomini
della VII Gap nascosti in pianura:
«Conseguenze particolarmente drammatiche ebbe il vasto rastrellamento che nei primi giorni del dicembre 1944 investì la pianura
a nord-ovest di Bologna, fra Anzola Emilia, Amola, San Giovanni
in Persiceto e Calderara; tra il 5 e il 20 dicembre 1944 il registro
del carcere di San Giovanni in Monte annotò complessivamente più di 300 immatricolazioni, di cui quasi 200 solo fra il 5 e il
9 dicembre, in massima parte provenienti dagli arresti effettuati
in quelle località. Decisivo anche in questo caso il contributo di
un giovane iniltrato dalla Sipo-SD e di due disertori tedeschi che
avevano trovato protezione fra i partigiani; le loro testimonianze
e i loro riconoscimenti consentirono ai rastrellatori di individuare
a colpo sicuro molti membri del distaccamento “Tarzan” della 7ª
GAP, nell’Anzolese, e della rete sappista della brigata “Bolero”,
nel Persicetano.185 I rastrellati furono diverse centinaia; vennero
inizialmente avviati in alcuni luoghi di raccolta intermedi, come il
teatro di Sant’Agata per essere messi a confronto uno ad uno con
i delatori ed essere selezionati, e in seguito trasportati a Bologna
dove in parte transiteranno nelle celle dell’AK, in via Santa Chiara, prima di entrare a San Giovanni in Monte. Il carcere tornò ad
essere, nel giro di qualche giorno, affollatissimo, ma i tedeschi non
persero tempo. L’attesa degli arrestati fu breve, una settimana, due
al massimo, mentre gli interrogatori continuavano e producevano
ulteriori arresti; poi arrivavano le esecuzioni o le deportazioni. Dei
145 arrestati che sui registri del carcere possono essere individuati
come catturati nel corso del grande rastrellamento iniziato il 5 dicembre o in quelli compiuti nella stessa zona nei giorni successivi,
almeno 42 furono fucilati e 58 gli inviati a Bolzano, 49 dei quali
630
sarebbero poi stati fatti proseguire per Mauthausen, da cui sarebbero tornati solo in 14. La volontà di annientamento del nemico
partigiano inalmente messo all’angolo [...] richiese però questa
volta una organizzazione più complessa, visto anche il numero dei
possibili “candidati alla morte”; il poligono di tiro [...] è ritenuto inadatto al compito, per il quale si cercò un luogo facilmente
raggiungibile, che garantisse segretezza e sicurezza durante l’esecuzione e consentisse di celare facilmente ed eficacemente molti
corpi, e a più riprese. [...] Il sito adatto fu individuato a Sabbiuno
di Paderno, nella zona dei calanchi sulle colline a sud di Bologna. Nei pressi vi era una casa colonica, in quel momento sicuramente disabitata, che poteva fungere come luogo di appoggio o
di provvisoria reclusione dei condannati in attesa del loro turno
di esecuzione, dopo la quale i corpi vennero fatti rotolare giù dal
calanco, in quel punto particolarmente alto e verticale, che diventò fossa comune naturale ino al ritrovamento dei resti mortali,
nell’agosto 1945.186 I registri di San Giovanni in Monte documentano l’uscita del primo gruppo il 14 dicembre 1944: quel giorno
sono 37 i detenuti, dimessi per ordine del “Comando tedesco SS”
ed afidati ad un “Uficiale tedesco SS”. Come di norma per ogni
detenuto in uscita, anche a loro venne chiesto di apporre una irma sul registro-matricola: sarebbe stata la loro ultima, ed anche
l’ultima concreta traccia della loro esistenza in vita. Fra i detenuti
prelevati quel giorno molti provenivano dai primi contingenti di
gappisti e sappisti arrestati nel Persicetano e nell’Anzolese fra il
5 e il 9 dicembre (fra i tanti, i nomi di due famosi, irriducibili,
combattenti della 7ª GAP: “Tempesta” e “Terremoto”), ma vi era
anche una dozzina di partigiani di provenienze varie, incarcerati
durante la seconda metà di novembre. Il 23 dicembre l’operazione fu ripetuta con l’uccisione di altri 21 detenuti, anch’essi per la
maggior parte presi negli stessi rastrellamenti ed entrati in carcere
dal 9 dicembre in avanti. Cambiò in questo caso la registrazione
in uscita, che vorrebbe più esplicitamente camuffare l’eccidio con
un trasferimento al nord, risultando ognuno in uscita per ordine
del comando tedesco “per essere trasferito altrove”. [...] Il giorno
precedente, 22 dicembre, 100 detenuti, fra cui nove donne, erano
stati registrati in uscita con la stessa annotazione di trasferimento
“altrove”, nel trasporto che li porterà ino a Bolzano. Anche in
questo caso il gruppo più consistente era composto dai sappisti
e gappisti rastrellati ad Amola-Anzola-S. Giovanni in Persiceto,
quasi 60, fra cui 7 delle 9 donne; vi erano poi otto uomini e una
donna provenienti da arresti compiuti nell’imolese tra il 25 e il 27
novembre 1944. Essi erano stati detenuti alcuni giorni nel carcere
631
della Rocca sforzesca, poi trasferiti a San Giovanni in Monte il 2
dicembre; si trattava di Virginia Manaresi, Sante Noferini, Augusto
e Franco Dall’Osso, Vittoriano Zaccherini, Antonio Morini, Walter Tampieri, Vero Vannini.187 Un altro gruppo era composto da
partigiani arrestati nel corso dei rastrellamenti che verso il 20 novembre avevano investito la pianura attorno a Budrio, Castenaso e
Ozzano Emilia, dove operava la 4ª brigata Garibaldi “Venturoli”;
erano Erminia Natali, Ernesto Gamberini, Luciano Stazzari, Luigi
Callegari, Marino Bertolini e Antonio Giusti.188 Inoltre vi erano
i partigiani bolognesi: Calisto Castellari, Dante Monari e Eros
Marri, gappisti; Antenore Piva e Fioravante Cacciari, presi nel rastrellamento cittadino del 14 novembre e sfuggiti alle successive
fucilazioni del 18; Giovanni Oddi, Guido Persechini, Giovanni
Esposito, Virginio Franceschini, Ettore Fini, Francesco Vespa.189
Bolognesi anche Inri Lozzi e Bruno Tura,190 catturati proprio nei
pressi dei calanchi dove stava avendo luogo l’eccidio di Sabbiuno
mentre cercavano di raggiungere la linea del fronte. [...] Nulla è
dato sapere invece dei 6 cittadini sovietici dati in uscita dal carcere
nella stessa data insieme ai detenuti bolognesi. Come racconteranno in seguito alcuni sopravvissuti, il viaggio ebbe inizio alla
sera del 22, per evitare attacchi aerei, ristretti su soli sei camion;
il convoglio fece tappa verso le cinque del mattino nei pressi di
Pegognaga, dove i detenuti scesero nel cortile di una scuola per
rimanervi in attesa tutto il giorno, e riprendere il percorso solo la
sera, traghettando a Ostiglia, e raggiungendo Bolzano la mattina
del 24 dicembre.191 [...] Le donne sarebbero rimaste a Bolzano per
tutto il periodo, impiegate in varie mansioni lavorative all’esterno,
mentre quasi tutti gli 84 uomini, dopo una breve attesa inoperosa,
furono trasferiti in massa a Mauthausen, con il trasporto partito
l’8 gennaio 1945, che comprendeva complessivamente 483 prigionieri. [...] Del contingente giunto il 24 dicembre da Bologna solo
Bruno Tura attenderà ancora a Bolzano prima di partire per il KL
nei pressi di Linz con il successivo trasporto che il 1º di febbraio vi
avrebbe condotto altri 543 detenuti».192
In gennaio un’ultima grande ondata di rastrellamenti avrebbe colpito, pressoché contemporaneamente, le province di Modena e Reggio Emilia (operazione Wettersturz, 6-19 gennaio) e
di Parma e Piacenza (operazione Totila, 6-15 gennaio);193
«[...] l’“Operazione Totila”, che aveva di mira il controllo della
vasta zona attorno a Bardi, fece molte vittime anche tra i partigiani
locali [del Piacentino]: gli studi più recenti ci forniscono le cifre di
632
118 caduti e di 26 uomini, in gran parte “ribelli”, avviati nel DuLag di Bolzano per essere poi smistati nei KL oltre Brennero».194
«[...] l’operazione “Totila” [era] indicata nei documenti tedeschi
come una “grande operazione di rastrellamento”, tesa a colpire
e inliggere il più alto numero di perdite (uccisi e deportati) alle
brigate partigiane insediate nelle valli che si trovavano a cavallo tra
le province di Parma e di Piacenza e in quelle che si sviluppavano
oltre il crinale appenninico in Liguria e nel pontremolese. Eseguendo un ordine dello stato maggiore della 14ª armata (Armeeoberkommando 14), a cui spettava dirigere la lotta contro le bande
nel settore occidentale del fronte195 e con “con grande impiego
di uomini”, la 162ª divisione di fanteria (nota come “Turk”),196
afiancata da reparti da montagna tedeschi e fascisti, questi ultimi
appartenenti alle divisioni “Italia” e “San Marco”197 attaccarono
le formazioni partigiane ai primi di gennaio. Obiettivo dell’azione
eliminare i “raggruppamenti di bande che, grazie all’eficacia delle
loro imprese, non sono state ancora catturate”. Il piano d’attacco preparato dal comando della 14ª armata prevedeva che “tutti i
complici delle bande e tutte le persone sospette di sesso maschile
devono essere fatte uscire dalla zona liberata militarmente” e avviate verso i campi di concentramento nell’Europa sotto il controllo del Reich [...]. Si era senza dubbio trattato del rastrellamento
più pesante che le formazioni partigiane dovettero sopportare in
quella regione dell’Appennino. Fucilazioni, congelamenti e deportazione si impossessarono per diverse settimane di quei monti
e di quelle valli; il 66% del totale dei deportati dal Parmense di
cui sia nota la data di cattura venne inviato in KL tra il dicembre
1944 e il gennaio 1945. Buona parte di essi appartenevano alle
brigate partigiane che operavano nelle valli del Ceno e del Taro: le
brigate 31ª Garibaldi “Copelli”, 31ª Garibaldi “Forni”, 1ª Julia e
12ª Garibaldi “Ognibene”, mentre una parte consistente (il 38%)
vennero registrati nella documentazione del dopoguerra come
appartenenti ai “comandi SAP”, ai servizi informazione militare
e ai vari CLN territoriali. Antifascisti che avevano avuto un ruolo attivo nella lotta contro il nazifascismo, con modalità e forme
diverse ma senza aver necessariamente preso parte direttamente
ad azioni armate o essere inquadrati nelle brigate partigiane. Le
conseguenze dell’operazione “Totila” sulle formazioni partigiane
furono pesantissime: almeno 77 partigiani uccisi198 nel solo territorio parmense e l’ennesima ondata di arrestati condotti in pianura,
mentre dal Piacentino “rilevante risulta il numero dei prigionieri,
in maggioranza civili: documentabili i nominativi di 1.222 persone, 385 rastrellati a dicembre e 837 a gennaio”.»199
633
Il Settentrione: Pianura Padana e arco alpino
Il quadro delle operazioni in quest’area è strettamente correlato da un lato con la presenza e l’attività partigiane, dall’altro con il quadro strategico generale. Quest’ultimo era deinito prima di tutto dall’andamento delle operazioni militari,
inizialmente sul solo fronte meridionale e poi, dal 6 giugno
1944, anche sul nuovo fronte francese originatosi con lo sbarco in Normandia e il successivo stabilirsi di una seconda direttrice di penetrazione alleata in Provenza, il 15 agosto; in
secondo luogo dalle connesse necessità di mantenere il controllo delle linee di comunicazione e di zone dal particolare
signiicato strategico come i valichi alpini di conine, la costa
ligure contigua alla Francia e l’Oltrepò Pavese, all’incrocio
di alcuni assi viari fondamentali al collegamento del centro
con il Nord Italia; in terzo luogo, inine, dalle previsioni che
il cervello politico-militare del Terzo Reich e le sue articolazioni presenti in loco facevano sull’andamento delle operazioni, ovviamente a prescindere dalla correttezza o meno
delle previsioni stesse che la realtà si sarebbe poi incaricata
di confermare o smentire. La speciica incidenza sul territorio della macchina d’occupazione tedesca e dell’apparato
statuale e militare salodiano, protrattasi per tutti i venti mesi
che sarebbero intercorsi tra il settembre 1943 e l’aprile 1945,
nonché il carattere repentino del collasso della Linea Gotica
e della conseguente rapida ritirata tedesca in direzione del
Brennero avrebbero parimenti contribuito a determinare le
caratteristiche dei grandi cicli operativi di quest’area e delle
conseguenti deportazioni in KL.
Il Litorale Adriatico
Come già ricordato in precedenza, una forte speciicità presenta la zona di operazioni Litorale Adriatico, nel cui territorio era nato ben il 30,09% dei deportati politici (7.092 su
23.567)200 e dove venne catturato il 23% di coloro dei quali
634
sia noto il luogo di arresto (1.960 su 8.521);201 le ragioni di ciò
stanno sia nella particolare rilevanza attribuita dal comando
della Wehrmacht alla zona, a un tempo cerniera con l’area
danubiano-balcanica e antemurale del conine meridionale
del Reich,202 sia nella presenza molto forte di un movimento
partigiano già attivo, in particolare tra la popolazione slavofona, ben prima dell’8 settembre 1943. Non è un caso che la
prima, ancorché minuscola, formazione partigiana di lingua
italiana, sotto la denominazione di distaccamento Garibaldi,
fosse sorta nel marzo 1943 nel Friuli orientale in seguito a
contatti tra i militanti locali del Partito comunista e le formazioni del Fronte patriottico sloveno.203 Proprio per la necessità di fronteggiare una guerriglia partigiana che, già nel settembre 1943, controllava diverse porzioni del territorio nelle
aree extraurbane, avrebbero avuto subito inizio, da parte tedesca, vaste operazioni di controguerriglia; tra il settembre e
il novembre del 1943 sotto il comando del II corpo d’armata
delle Waffen SS, si sarebbero svolti diversi rastrellamenti: nel
Goriziano, nell’area di Fiume e dell’Istria, nella provincia di
Lubiana (Wolkenbruch I-IV e Traufe) e nel Quarnaro (Insel),
che avrebbero provocato un numero assai elevato di vittime e
di prigionieri, nell’ordine delle migliaia.204
In termini generali, come ha scritto Silva Bon:205
«L’ordine di costituzione della Operationszone, irmato da Adolf
Hitler il 10 settembre 1943, introdusse in tempi immediati disposizioni repressive, che aggregarono nelle ricadute della guerra
totale in corso i nemici politici (espressione della resistenza italiana, slovena e croata) e i nemici “razziali”, la popolazione ebraica
ancora residente nelle città e nei paesi del Litorale. Inoltre, allo
sfruttamento economico del territorio (anche mediante la costituzione di società imprenditoriali preposte allo scopo, come la
società “Adria”,206 e mediante la spoliazione dei beni ebraici)207
si aggiunse lo sfruttamento della manodopera, che convogliò migliaia di giovani nella Organizzazione Todt (OT),208 e ne condusse
molti altri in campi di raccolta gestiti dal Generalbevollmächtigter
für den Arbeitseinsatz [...]. A ciò si aggiunse la deportazione in
senso proprio di politici nel sistema dei Konzentrationslager (KL)
e di ebrei nel Konzentrationslager-Vernichtungslager (KL-VL) di
635
Auschwitz-Birkenau. Tra i sottocampi che accolsero deportati
dall’OZAK è importante ricordare Mühldorf (dipendente dal KL
di Dachau)209 che aveva ramiicazioni anche nelle località di Amping, Waldlager V e VI, Mittergars e Thalheim, dove sono inite
alcune centinaia di deportati provenienti dal Litorale Adriatico.
Lo sinimento e, per molti, l’annientamento isico passarono attraverso il lavoro forzato,210 inalizzato a mansioni diverse a seconda
della dislocazione dei campi, delle priorità di utilizzazione della
mano d’opera, della progettualità di realizzazione di impianti o
strutture difensive nelle diverse località e a seconda dei bisogni
primari, utili per la vittoria inale della grande Germania nel nuovo ordine europeo, come recitavano i testi della propaganda, o
meglio per la sopravvivenza dello Stato nazionalsocialista nei mesi
precedenti la disfatta. Naturalmente il meccanismo della deportazione poté essere organizzato solo avvalendosi di strumenti temporalmente precedenti, preparatori, solo da azioni coercitive e
coattive quali rastrellamenti, rappresaglie, reazioni punitive;211 alla
individuazione del nemico, non sempre schierato in campo aperto o/e immediatamente visibile, conducevano spesso le delazioni,
prezzolate e non, nonché la collaborazione fascista, espressione
dei militi della RSI e delle varie sezioni del PFR, e l’azione della
SS italiana, operante a ianco e agli ordini della SS tedesca. La
delazione fu un fenomeno ampiamente praticato, così a Trieste
come altrove,212 ed era mossa non solo dalla paura nei confronti dei nazisti, ma anche dalla vendetta personale, da motivazioni
psicologiche inconfessabili, dal desiderio di facile arricchimento,
dall’odio ideologico. Fu un sistema praticato soprattutto contro
gli ebrei,213 ma anche contro i partigiani».214
La controguerriglia nel Litorale Adriatico ha avuto, per
certi versi, un andamento costante; salvo una tregua nel luglio del 1944, causata dalla necessità di concentrare lo sforzo
militare nell’Italia centrale, a seguito della rottura della Linea Gustav e della conseguente avanzata delle truppe alleate
lungo la penisola, sarebbe proseguita in maniera sostanzialmente continua ino all’aprile 1945, quando si svolsero le due
grandi operazioni contro il IX Korpus partigiano sloveno
(denominate Frühlingsanfang e Winterende), la prima intorno
a Circhina; la seconda sull’Altopiano della Bainsizza, il vallone di Chiapovano e l’altopiano di Tarnova.215
Il primo grande rastrellamento ebbe inizio il 25 settembre
636
nell’area intorno a Gorizia e a est della città, per proseguire nella zona a nord di Fiume e nella penisola istriana dal 2
all’11 ottobre; la successiva operazione Wolkenbruch investì la
Slovenia meridionale (dal 1941 provincia italiana di Lubiana)
tra il 21 ottobre e il 10 novembre, mentre l’operazione Traufe
investiva la zona a cavallo del conine italo-germanico di allora, tra il 4 e l’11 novembre;216 inoltre, dal 13 al 17 novembre,
venivano passate al setaccio le isole di Lussino, Cherso, Krk,
Asinello, Sansego, Unie, Prvic (operazione Insel). A prender
parte alle azioni erano state la 71ª divisione di fanteria, la 44ª
divisione di fanteria Hoch- und Deutschmeister, un reggimento
di fanteria rinforzato della 24ª divisione corazzata, un reggimento di fanteria rinforzato della 1ª divisione Leibstandarte
«Adolf Hitler» delle Waffen SS (LSSAH), la 162ª divisione di
fanteria «Turk», diversi battaglioni di Gebirgsjäger (cacciatori
da montagna), il 901° reggimento granatieri corazzati, l’SSKarstwehr-Bataillon, reparti della Orpo, squadre della SipoSD e altre unità minori.
Prima che l’operazione prendesse avvio, e prima che il
colonnello Scharenberg il 12 settembre assumesse il controllo della città, a Gorizia e dintorni si erano veriicati scontri
tra partigiani e forze occupanti. A operare nella zona era la
Brigata d’Assalto «Triestina», detta anche «Proletaria» perché costituita in gran parte da operai dei Cantieri Riuniti
dell’Adriatico, di Monfalcone, trasferitasi dall’altopiano carsico a Gorizia con l’obiettivo di impedire le comunicazioni del
nemico con Trieste e la Valle del Vipacco. I resoconti della
cosiddetta «battaglia di Gorizia», durata nel complesso una
quindicina di giorni e conclusasi proprio all’inizio del primo
grande rastrellamento della zona, riportano combattimenti
continui nei settori a sud e a sud-est di Gorizia, tra i villaggi
di Marcottini, Doberdò, Savogna, ino al giorno 26, quando i
tedeschi riuscirono a sfondare la linea di difesa partigiana e il
comando partigiano sloveno ordinò il ripiegamento. Nei due
giorni successivi, dal 27 al 29 settembre, i tedeschi devastarono e passarono al setaccio i villaggi della zona, catturando
centinaia di civili e alcuni uomini della Proletaria.217
637
Secondo una relazione del 25 novembre, relativa a tutte
le operazioni guidate dal II Panzer-Korps nella regione, il
bilancio complessivo sarebbe stato di 9.186 morti e 12.355
prigionieri:218 rispettivamente 4.893 e 6.877 sono da ascrivere alla prima delle azioni poc’anzi ricordate; 3.032 e 2.187
alla Wolkenbruch; 509 e 777 alla Traufe,219 e inine 119 e 409
all’Insel.220 Il numero di prigionieri è, come si vede, molto
elevato; sulla loro sorte successiva non si hanno notizie certe,
ma se si tiene conto del totale, citato in precedenza, dei deportati politici dal Litorale Adriatico in tutti i venti mesi di
occupazione, si comprende come solo una quota relativamente ridotta dei catturati dal settembre al novembre 1943 possa essere stata deportata in KL. Considerando che «il 90%
delle persone catturate in Friuli Venezia Giulia e il 95% di
quelle prese in Jugoslavia [fu] deportato a Dachau [...] [e che]
è dall’Adriatisches Künstenland che parte il maggior numero
di persone deportate a Dachau»,221 dato che coincide con la
ricostruzione dei trasporti dovuta a Italo Tibaldi,222 secondo
cui nel periodo 28 ottobre-17 dicembre 1943 partirono quattro trasporti da Trieste e uno da Pola, diretti quest’ultimo e
tre dei precedenti al KL monacense, e uno soltanto, quello
del 7 dicembre, ad Auschwitz,223 i quattro convogli diretti a
Dachau vi fecero afluire complessivamente, stando alle stime
di Tibaldi, 746 persone,224 cifra indubbiamente considerevole
in sé, ma di due ordini di grandezza inferiore a quella degli
arrestati durante le grandi operazioni antiguerriglia poco fa
citate, tanto più se si considera che non necessariamente tutti
gli immatricolati nel grande KL bavarese erano stati catturati
nel corso dei rastrellamenti medesimi.
Il 9 dicembre, in provincia di Lubiana, la guarnigione di
guardia alla cittadina di Kočevje, nella Slovenia meridionale, veniva attaccata dai partigiani e costretta ad asserragliarsi nel castello della città; due giorni dopo, l’11 interveniva a
sostegno un gruppo di combattimento agli ordini della centrale di polizia di Rösener e composto dal 314º reggimento
rinforzato granatieri della 162ª divisione «Turk», dal 19° reggimento SS e di polizia della Orpo, con l’appoggio dei mezzi
638
corazzati del 13° corpo corazzato della polizia, e di uomini
del 76° stormo della Luftwaffe. Lo scontro sarebbe terminato
il 13 con 97 caduti e 40 prigionieri tra i partigiani e la popolazione civile.225
La settimana seguente, il 18-19 dicembre, una formazione
tedesca non identiicata accerchiava presso Doberdò del Lago la casa nella quale si trovavano alcuni quadri della Brigata
d’assalto «Proletaria», sopravvissuti alla «battaglia di Gorizia». Venivano catturati Ferdinando Marega,226 Argo Tabarin,
Luigi Floreali, Romano Grillo, Mario Valcovich, Vito o Olivio Cergoli, condotti a Monfalcone, consegnati alla Sipo-SD
e successivamente trasferiti al Coroneo di Trieste.227 Cergoli,
Floreani, Grillo, Tambarin e Valcovich sarebbero stati immatricolati a Mauthausen il 30 gennaio 1944,228 in quello che
risulta essere il primo trasporto da Trieste per il KL situato
nel circondario di Linz.229 Marega invece, uno dei primi capi
della Brigata d’assalto «Proletaria», sarebbe stato deportato
ben quattro mesi dopo i compagni, giungendo a Dachau solo
il 14 maggio seguente.230 Per la preparazione dell’azione sembrerebbe essere stato di fondamentale importanza il contributo dell’ex partigiano, divenuto spia dei tedeschi, Walter (o
Valter) Gherlaschi detto Blecchi (o Blechi). Nei giorni successivi all’azione antipartigiana di Doberdò sarebbero continuate
perlustrazioni e puntate offensive tra Ronchi dei Legionari e
Monfalcone, portando a nuove catture e a successive deportazioni in KL;231 a Mauthausen inirono con sicurezza, nel trasporto ivi giunto il 30 gennaio 1944, a cui si è appena fatto
riferimento, Carlo Buttignon, Leandro De Rosa, Lino Furlan,
Roberto Pelos, Giuseppe Predolin, Luigi Quinto, Luciano
Rechnitzer, Attilio Tesolini, nonché Camillo Donda, anch’egli
tra i capi della Brigata d’assalto «Proletaria», e l’operaia Alida
Miniussi, una delle poche donne a essere immatricolata nel
KL presso Linz;232 di altri cinque, Duilio Bortolotto, Omero
Gorlato, Illario Manià, Renato Manià, Luciano Tolloi, sappiamo con certezza che vennero caricati nel parallelo convoglio
partito anch’esso il 28 del mese ma diretto a Dachau, dove
sarebbero stati immatricolati due giorni dopo.233
639
Nel gennaio 1944 alcune azioni portavano a un numero elevato di arresti: il 25 venivano catturati in 651, mentre nei giorni
immediatamente successivi un Einsatzkommando della centrale
di polizia di Pola, probabilmente insieme a truppe della Wehrmacht, rastrellava il paese di Gaiano (15 km a nord di Pola), uccidendo 16 partigiani e prendendone 52 prigionieri.234
Il 2 febbraio l’attacco partigiano a una colonna mista italogermanica nei pressi di Comeno avrebbe inferto a occupanti
e collaboratori fascisti pesanti perdite: tra le ile della Orpo si
sarebbero contati 2 uficiali e 20 militi caduti, tra gli italiani
38 membri della 58ª Legione e un alpino del Reggimento Tagliamento; in rappresaglia la centrale Sipo-SD di Trieste, guidata al tempo da Ernst Weinmann, dispose il rastrellamento
della zona carsica tra Gorizia e Trieste (operazione Ratte), che
si sarebbe sviluppata tra il 15 e il 16 del mese prevedendo
in particolare lo spostamento coatto della popolazione civile. Ad agire sarebbero stati l’SS-Karstwehr-Bataillon e il III
battaglione del 15° reggimento Orpo, sotto la direzione di
uficiali della Sipo-SD.235 Una decina di giorni dopo, sarebbe
stata realizzato una seconda operazione (Biber) lungo la fascia
costiera che collega Aurisina a Monfalcone, tramite reparti
della Wehrmacht messi a disposizione del BdS Weinmann.
Era prevista la cattura dei maschi in età da lavoro da inviare
in Germania; ne sarebbero stati presi 672.236
Rastrellamenti con arresti di centinaia di civili si sarebbero susseguiti per tutto il mese di febbraio e marzo;237 particolarmente signiicativa per la zona di Gorizia e San Floriano,
Casteldobra e Cormons la retata del 24 febbraio, tramite cui
412 maschi, dai 15 ai 45 anni, residenti nel comune goriziano
di Mossa, vennero portati nel capoluogo, dove quadri della
Sipo-SD li avrebbero interrogati trattenendone 31 in quanto
ritenuti partigiani, e 147 come sospetti iancheggiatori.238
A marzo nel Pordenonese all’attività del Distaccamento
Garibaldi «Tino Ferdiani», operante nella conca del Vajont al
conine con il bellunese, si contrappose un’operazione di controguerriglia le cui caratteristiche ricordano quelle delle azioni Ratte e Biber; lo scenario è così ricostruito da Fabio Tafuro:
640
«In particolare verso la metà di marzo una compagnia del battaglione raggiunse Cimolais, in Valcellina, con l’intento di impedire
un ammasso di bestiame ordinato dai Tedeschi e distruggere le
liste di leva, tentando così di scongiurare la chiamata alle armi dei
giovani del luogo. L’iniziativa ebbe anche un esito imprevisto poiché portò alla cattura di un generale nazista insieme a due suoi
collaboratori ed al sequestro di un voluminoso incartamento. La
fucilazione dei tre prigionieri, seguita al riiuto opposto dall’uficiale tedesco di addivenire ad uno scambio, suggerì ai comandi
partigiani di allontanare l’intero battaglione dalla Val Mesazzo per
portarlo nella provincia di Belluno. Nei giorni immediatamente
successivi si scatenò la rappresaglia dei nazisti che giunti a Cimolais, ad Erto e a Casso, arrestarono 150 uomini, deportati poi
in Germania [sic!];239 uccisero un civile; cannoneggiarono e bruciarono le abitazioni e le malghe di montagna; e, in Val Mesazzo
appiccarono il fuoco alla postazione del “Ferdiani”. La pesante
rappresaglia fu all’origine di un mutamento nei rapporti tra i partigiani e la popolazione, che, all’entusiastica accoglienza accordata
sul principio, sostituì sentimenti di timore e difidenza».240
Tra il 29 e l’11 aprile si sarebbe svolta nell’Istria centrale
una estesa azione antipartigiana; la guidò un Einsatzkommando della Sipo-SD ai cui ordini era stato posto l’SS-KarstwehrBataillon: secondo le fonti tedesche avrebbe provocato 317
caduti tra partigiani e civili, e 280 prigionieri;241 dall’8 al 24,
il Goriziano sarebbe stato investito da una catena di rastrellamenti coordinati dal BdS triestino, in cui vennero impiegati
reparti della 188ª divisione da montagna della riserva: si tratta delle operazioni Untersberg e Renate, sviluppate nella zona
di Aidussina, Vipacco, Zolla, Montenero e Idria; Wendelstein
(I-IV), avviata il 16 del mese da Tolmino a Santa Lucia lungo
la valle del Baccia, poi proseguita, nella seconda fase e nella
terza fase a Bruccova, Tribussa Inferiore, Santa Lucia, Chiapovano, Localizza di Canale (sul lato orientale dell’altopiano
della Bainsizza), e inine, nella quarta e ultima fase, conclusasi il 24 ad Auzza (valle dell’Isonzo); Oberland nei pressi di
Idria. Complessivamente le vittime sarebbero state 550, e altre 69 persone sarebbero cadute prigioniere.242
Senza alcuna soluzione di continuità, il 24 aprile avrebbe avuto inizio, questa volta per la regia diretta di Odilo
641
Globočnik, HSSPF del Litorale, la vasta azione antiguerriglia
denominata Braunschweig I-III, che avrebbe colpito l’Istria
settentrionale (Ciceria) coinvolgendo le località di Mune, Lanischie, Alpe Grande, Mattuglie, San Pietro del Carso, bacino della Piuca (o Pivka), Monte Maggiore, venti chilometri a
ovest di Fiume; a esservi impegnati sono diverse unità della
278ª divisione di fanteria, il III battaglione del 15° reggimento
SS e di Polizia (Orpo); il I battaglione del reggimento Bozen
parimenti della Orpo; il gruppo d’intervento della Sipo-SD in
forza presso il BdS di Trieste; il reparto antiguerriglia del BdS
Italia (cioè dell’uficio veronese guidato da Wilhelm Harster);
la compagnia di polizia con incarichi speciali «Alpi»; l’SSKarstwehr-Bataillon e 150 militi italiani. L’esito del rastrellamento, suddiviso in tre fasi, era stato, secondo le fonti militari
tedesche, di circa 250 morti tra partigiani e civili, e 770 prigionieri appartenenti alle classi soggette agli obblighi di leva,
a fronte di 11 caduti e 24 feriti tra le forze rastrellanti.243
Nella seconda metà di maggio il generale Ludwig Kübler,
comandante militare del Litorale, avrebbe ordinato un rastrellamento nell’area collinare del Collio con l’obiettivo di
eliminare le formazioni partigiane colà stanziate, i battaglioni
garibaldini Mazzini e Mameli, e un distaccamento sloveno
del Briški Beneški Odred (Comando territoriale del Collio e
della Benecia), complessivamente una forza di circa 300 uomini, che rappresentavano una minaccia per le linee di comunicazione con la pianura friulana. Ne sarebbe scaturito lo
scontro denominato «battaglia di Peternel», dal nome di uno
dei villaggi coinvolti, conclusosi con lo sganciamento delle unità partigiane: il Mazzini sul Monte Corada, il Mameli
sulla pianura friulana nelle campagne di Corno di Rosazzo e
gli sloveni sul Monte Sabotino.244 Secondo fonti locali, al termine del combattimento le truppe tedesche avrebbero incendiato gli abitati di Slauce, Corsò, Nebola e Molinut, frazioni
di Collio, arrestandone la popolazione e deportando alcuni
dei suoi membri; nel trasporto giunto il 2 giugno 1944 al KL
di Dachau c’erano effettivamente quattro persone originarie
della zona, ma allo stato degli studi è impossibile sapere con
642
sicurezza se esse siano state catturate nelle circostanze qui
narrate.245 Con lo stesso convoglio, sarebbero giunti a Dachau
anche Basilio Maieron, Sante Tassotti e Francesco Vespini,
tutti e tre nati a Paluzza, in Carnia, dove i primi due furono
con certezza arrestati; si può di conseguenza ipotizzare che
la loro cattura sia avvenuta il 28 maggio durante un rastrellamento attuato dai tedeschi per rappresaglia.246
Tra il 5 e il 17 giugno, sotto il comando congiunto degli
HSSPF del Litorale (Odilo Globočnik) e dell’Alpenland (Erwin Rösener; aveva sede a Salisburgo e gli era afidato stato il controllo del conine meridionale del Reich verso l’area
balcanica), avrebbe avuto luogo una vasta operazione antiguerriglia (Annemarie) coinvolgendo sia parte della Slovenia
annessa al Reich, sia l’OZAK nell’area tra Idria e Aidussina;
inframmezzato da duri scontri con le forze della Resistenza, il
rastrellamento si sarebbe concluso, secondo le fonti tedesche,
con 108 caduti e 39 catturati tra partigiani e civili, a fronte di
3 morti e 23 feriti lamentati dagli attaccanti.247
Nel mese di luglio sarebbero state condotte in prevalenza piccole puntate di disturbo, caratterizzate comunque da
uccisioni e catture; particolarmente signiicativa l’incursione
effettuata il 19 del mese dal III battaglione del 15° reggimento Orpo a Pielungo, in val d’Arzino, dove veniva catturato
il comando della brigata partigiana Osoppo. Come risultato
dell’operazione, le fonti tedesche indicano 42 partigiani uccisi, 7 fatti prigionieri, e 76 «sospetti arrestati».248
Il 10 agosto 1944 nella zona tra Trieste e Fiume erano stati
saccheggiati i villaggi di Trestenico, Racia, Dane, Raspor e
Vodice da cui sarebbero stati prelevati centinaia di civili.249
Il 19-20 agosto veniva effettuata nella zona del Monte Nero
a est di Caporetto l’operazione Isonzo, a cui partecipavano
truppe della tedesca 188ª divisione da montagna della riserva
e del salodiano reggimento alpini «Tagliamento». Sul numero di morti e feriti le fonti divergono.250
A settembre il borgo di Doberdò del Lago sarebbe stato
ancora una volta preso di mira: assediato e rastrellato casa
per casa, 60 anziani vennero arrestati e condotti a Gradisca
643
d’Isonzo, mentre 26 adulti «tra i più forti» sarebbero stati inviati in Germania;251 tra essi, comunque, almeno 9 inirono a
Dachau con il trasporto partito da Trieste il 19 ottobre e arrivato a destinazione il 22 seguente. Si tratta di: Giuseppe Bonetta, Giuseppe Ferfoglia, Antonio Ferlentic, Andrea Frandolic, Ottone Jarz, Luigi Jelen, Mario e Rodolfo Laurencic,
Federico Pahor, che risultano tutti catturati a Doberdò, molto probabilmente nel corso dell’operazione qui descritta.252
Come nelle altre regioni del Nord Italia, anche nel Litorale Adriatico l’autunno del 1944 avrebbe visto la messa in
cantiere di azioni antipartigiane in grande stile allo scopo di
recuperare il pieno controllo del territorio, allentatosi come
abbiamo visto nelle aree maggiormente periferiche; a farne
le spese sarebbero state le «zone libere» partigiane createsi
nei mesi precedenti. La prima a essere attaccata sarebbe stata quella del Friuli orientale, collocata a nord di Udine, che
a ine settembre, al massimo della sua estensione, comprendeva i comuni di Torreano, Cividale, Faedis, Attimis, Nimis,
Lusevera, Taipana, tre frazioni di Povoletto, due di Tarcento,
per un totale di circa 20.000 persone.253 A presidiarla erano
la divisione Garibaldi «Natisone» e la Osoppo, unite da un
comando unico dall’inizio di settembre. Dal 27 al 29 settembre 1944 (secondo altre fonti dal 26 al 30) la zona sarebbe
stata investita, da Nimis a Cividale, dall’operazione Klagenfurt, organizzata e guidata, nuovamente, dalla centrale SS e
di polizia di Trieste; a operare sul campo il III battaglione del
15° reggimento Orpo e formazioni cosacche collaborazioniste.254 L’offensiva si sviluppò su tre direttrici: da Tarcento per
Oltretorre, da Povoletto per Faedis e da Caporetto-Bergogna
per Platischis. L’attacco principale era partito il 27 settembre
lungo il Torre e aveva investito la zona di Sedilis e Madonna
delle Pianelle, portando già nella mattinata all’occupazione
di Faedis. Quindi, il giorno seguente, i tedeschi attaccavano
le unità osovane di Attimis, occupavano Nimis e mettevano
in fuga un battaglione sloveno a Platischis. Giungendo notizia dell’avanzamento della colonna da quest’ultimo villaggio,
il comando uniicato, per timore di incorrere in un accerchia644
mento, ordinava la ritirata. Il 29 i villaggi di Attimis, Faedis,
Nimis e Sedilis venivano dati alle iamme e si procedeva ad
arresti e trasferimenti coatti. Sulle perdite subite dalle forze
della Resistenza le diverse fonti disponibili e le successive ricostruzioni danno però dati assai divergenti. Se si considera
che tanto le fonti coeve quanto (e ancor di più) gli scritti, sia
eruditi sia storiograici, successivi tendono in genere a fare un
uso estremamente estensivo del termine «deportazione», senza distinguere tra deportazione in KL, invio al lavoro coatto
oltre Brennero e pura e semplice ridislocazione in altri luoghi del territorio nazionale, si comprende come sia dificile
fornire dati precisi senza ulteriori approfondimenti in loco;
ciò nonostante, pur limitandosi a considerare gli arrestati nei
quattro centri succitati, cuore del rastrellamento, che siano
stati deportati al KL di Dachau tramite il trasporto partito da
Trieste il 2 ottobre e giunto il 5 successivo, si arriva alla ragguardevole cifra di 78 persone (15 presi ad Attinis, 19 a Faedis, ben 42 a Nimis e 2 a Sedilis), in larga parte originari del
territorio stesso.255 Un altro del gruppo dei catturati risulta
essere stato immatricolato il 6 ottobre al KL di Buchenwald,
allorché giunse un convoglio partito anch’esso da Trieste il 2
precedente.256 La stima che compare in diverse ricostruzioni
di poco più di un centinaio di deportati in KL appare quindi
sostanzialmente corretta.257
Il secondo grande ciclo operativo dell’autunno 1944 aveva
investito la zona libera della Carnia e del Friuli, comprendente la Carnia propriamente detta, nel settore nord-occidentale
della provincia di Udine, e a ine settembre una piccola striscia della provincia bellunese nei pressi di Sappada, insieme
alle valli interne del Meduna, cioè la val Tramontina, dell’Arzino e del Cellina.258 A presidiare la zona erano anche qui formazioni garibaldine e osovane, nell’ottobre giunte all’accordo
di un coordinamento unico.259 Un primo attacco era avvenuto
all’inizio di settembre in Valcellina, in concomitanza con l’offensiva tedesca contro la divisione «Nino Nannetti» sull’Altopiano del Cansiglio, per impedire ai partigiani di trovare
rifugio nelle zone libere della Carnia.260 Poi il 2 ottobre aveva
645
inizio l’offensiva nella cosiddetta Valle del Lago, nella zona
tra Meduno e Bordano e lungo la valle del Tagliamento, con
l’obiettivo di liberare le vie di comunicazione dalla presenza
partigiana. A guidarla fu Ludolf Jakob von Alvensleben, comandante delle forze SS e di polizia a Udine, insieme al generale di corpo d’armata Timofej Ivanovič Domanov, uno degli
uficiali di maggior rango presenti nell’insediamento militartribale dei cosacchi in Friuli.261 Presenti diversi reparti italiani: due compagnie del 5° reggimento della Milizia, due compagnie del battaglione volontari di polizia di Udine, elementi
della Difesa territoriale (Landschutz) di Palmanova, uomini
della questura e della pretura per un totale di 318 armati, posti al comando del colonnello Attilio De Lorenzi. L’attacco
aveva interessato le località di Braulins, Trasaghis, Alesso,
Avasinis, dove i partigiani furono costretti a ripiegare: il 4
ottobre veniva occupata Avasinis e il 5 Alesso. Il 6 successivo Bordano, Interneppo, Braulins, Trasaghis e Alesso furono
evacuati dalla popolazione e occupati dai cosacchi e da civili
della comunità caucasica. L’operazione aveva raggiunto il suo
scopo, l’area veniva liberata dalla presenza partigiana.
Negli stessi giorni, il 4 ottobre, il comando del 97° corpo
d’armata realizzò, nella zona di Clana, Sussa, Zabice, Villa
Podigraie ed Ermesburgo, l’operazione Ernst, servendosi di
diverse unità militari, tra cui un battaglione della divisione
«Brandenburg». Secondo la relazione conclusiva riportata nel
diario di guerra della grande unità, a fronte di un morto, un
disperso e quattro feriti nelle ile dei rastrellatori si sarebbero
contati 76 caduti, 78 feriti e 50 prigionieri tra i partigiani.262
Dall’8 al 14 ottobre avrebbe avuto luogo la prima delle
«settimane di lotta alle bande», disposta dall’Oberbefehlshaber Südwest Albert Kesselring proprio con riferimento all’area
di Sappada, S. Stefano, Lorenzago, Ampezzo, Tolmezzo, Sutrio, Rigolato, cruciale per le comunicazioni tra il Litorale e la
zona di operazioni Prealpi.263 Nel suo ambito vennero attuate
le operazioni Grünewald-Max, svoltasi dall’8 al 15 nello spazio Tarnova, Loqua, Montenero, San Vito, San Giacomo, Rifembergo, Ranziano;264 Bergzauber-Morits, sviluppatasi dall’8
646
al 16 tra Postumia, Primano, Sappiane, Monte Nevoso, Stari
Trg Pri Lozu;265 e, la più importante, Waldläufer I-III,266 il cui
obiettivo era riprendere il controllo della strada statale 52 bis
e del passo di Monte Croce Carnico, nella valle del But, per
sgomberare le valli del Tagliamento e del Degano che, attraverso il Cadore, conducevano al passo della Mauria e al passo
di Monte Santa Croce Comelico.267 A essere impegnati, dall’8
al 22 del mese, sarebbero stati il 10° reggimento della Orpo;
la 5ª compagnia corazzata della polizia, rafforzata e dotata
di carri armati di fabbricazione sovietica T 34; il gruppo di
combattimento (Kampfgruppe) Lerch composto da 2 compagnie, e 1 plotone del genio del 10° reggimento Orpo; un’unità
cinoila della SS, denominata «Russia Centrale»; truppe cosacche e i battaglioni «Valanga» e «Fulmine» della X Mas; si
sarebbe poi aggiunto, dal 13, il Sicherungsregiment della Luftwaffe, protagonista di una penetrazione parallela in Valcellina. Attraverso duri combattimenti i rastrellatori sarebbero
riusciti, il 22 ottobre, a riprendere il controllo della Carnia,
lasciando però ancora in mano partigiana le Prealpi carniche,
ossia le vallate dell’Arzino e del Tramontina. Proprio qui si
sarebbe concentrata l’offensiva in coincidenza della seconda
«settimana di lotta alle bande» (27 novembre-2 dicembre), a
cui, sotto il comando dell’HSSPF triestino, avrebbero partecipato sostanzialmente gli stessi reparti impiegati nella fase
precedente, con un’incertezza sui reparti salodiani, che non
sono nominati dalle fonti tedesche, mentre compaiono in ricostruzioni successive di parte italiana. Le forze partigiane
sarebbero sostanzialmente riuscite a sottrarsi all’accerchiamento, ma la zona passò sotto il controllo dei tedeschi.
Anche in questo caso le informazioni su caduti e prigionieri nel corso dell’intera operazione antiguerriglia variano a
seconda della fonte consultata: la documentazione tedesca è
concorde sul numero di 165 prigionieri (vengono menzionati anche 4 britannici, non è chiaro se compresi nel numero),
mentre la cifra sui caduti oscilla da 105 a 109, così come quella
degli agenti di polizia tedeschi liberati va da 73 a 77. Solo una
fonte ci parla, invece, di 262 persone, distinte dai prigionieri,
647
da inviare al lavoro coatto.268 Ricostruzioni di matrice resistenziale confermano come esito del rastrellamento il trasferimento oltre Brennero come lavoratori forzati o l’invio in KL,
ma si tratta di notizie assai generiche.269 Dati maggiormente
precisi sono disponibili per alcuni dei centri abitati coinvolti
nell’azione antiguerriglia, pur senza che vengano esattamente
precisati i luoghi inali di arrivo delle persone coinvolte, presumibilmente tuttavia installazioni dipendenti dal GBA: il 15
ottobre da Barcis vennero mandate in Germania 130 persone; il 16 altre 50 da Erto e Casso; a novembre unità fasciste
e cosacche avrebbero arrestato, a Ovaro in Carnia, un certo
numero di persone poi inviate nel Reich.270
Nei mesi successivi l’azione repressiva tedesca si sarebbe concentrata nella zona di attività del IX Korpus sloveno,
nell’area della Bainsizza, la Selva di Tarnova, la Valle del Vipacco.271 Si ha notizia di arresti conclusisi con la deportazione
in KL: il 3 novembre 1944 presso Pocenia, a sud di Udine,
veniva catturato Carlo Dessì, «Simeone», e il giorno successivo a Santo Stefano di Santa Maria La Longa Eugenio Morra,
«Ottavio», dirigenti della formazione Osoppo Territoriale, di
pianura; il 12 gennaio 1945 entrambi sarebbero stati trasferiti
a Flossenbürg.272 Qualche settimana dopo i loro arresti, alla
ine di novembre, erano caduti in trappola numerosi componenti del comando e parecchi degli effettivi del battaglione
autonomo «Alma Vivoda», formazione dipendente dalla Brigata Garibaldi «Triestina»,273 accerchiati tra Muggia, Capodistria, Isola, Pirano e Buie.274 Trasferiti prima a Capodistria e
poi al carcere Coroneo di Trieste, parecchi di loro sarebbero
stati, con ogni probabilità, deportati in KL.275
Le Prealpi
Anche la zona della Prealpi doveva la sua costituzione a motivi di carattere strategico-militare, al fatto cioè di trovarsi
ai conini meridionali del Reich e di occupare pertanto una
posizione geograica cruciale di collegamento tra il territo648
rio italiano e quello tedesco, afidato ai passi del Brennero,
del Resia e alla connessione ferroviaria di Prato della Drava/
Winnebach. è stato osservato276 che l’interesse strategico tedesco si accompagnava a un «disegno politico» che trovava
la sua ragione nelle mire espansionistiche del Reich sul Nord
Italia che, alla ine della guerra, prevedeva l’inclusione nei
conini del Reich, oltre che del Sudtirolo, anche del Trentino,
del Bellunese, e di parte del Veneto, disegno politico di cui il
Gauleiter Hofer era la punta di diamante.277 Anche la politica
repressiva deve pertanto essere inquadrata in questo duplice
contesto, oltre che venir rapportata alle diversità di comportamento e di reazione delle popolazioni delle tre province
che componevano la zona di operazioni, diversità che avevano strettamente a che fare con la loro composizione nazionale
e le speciiche tradizioni linguistico-culturali e politiche.278
Alla prossimità linguistica e culturale della provincia di Bolzano al mondo germanico, sebbene non sia mancato neppure
lì un movimento di opposizione al nazionalsocialismo,279 si
sarebbero contrapposti sia lo storico irredentismo autonomista del Trentino,280 sia l’atteggiamento immediatamente ostile di parte della popolazione bellunese, duramente segnata
dall’esperienza della Grande Guerra:281
«[Nel Bellunese] già nell’ottobre-novembre 1943, giovani soldati
sfuggiti alla cattura dopo la proclamazione dell’armistizio [...], soldati inglesi, russi, slavi, fuggiti dai campi di prigionia dopo l’8 settembre, militari di leva [...] costretti [...] a nascondersi, antifascisti
di vecchia e nuova generazione, soprattutto quelli tornati dall’esilio in Francia o dal carcere e dal conino, cominciarono a costituire
piccoli gruppi di resistenza i cui obiettivi furono [...] i sabotaggi
alle linee telegraiche e l’assalto alle caserme dei carabinieri o alle
gendarmerie tedesche per procurarsi armi e per sottrarre le liste
degli abili al servizio di guerra che a ottobre, rassicurati che non
sarebbero stati deportati in Germania, erano tornati a casa, ma
che, con l’ordinanza del 6 novembre 1943, rischiavano nuovamente di essere arruolati. Data l’esiguità delle loro forze, ma anche la
scarsa conoscenza di quella dei gruppi di resistenza, che tra l’altro
non riuscivano a localizzare con precisione, gli occupanti non ricorsero nei primi mesi a interventi pianiicati. Si operò qualche
649
arresto con l’aiuto di fascisti repubblicani e carabinieri, grazie alle
spie o per avventura [...], e qualche azione di perlustrazione alla
ricerca di prigionieri inglesi segnalati qua e là».282
Sono della primavera del 1944 i primi interventi nella zona condotti dalla Militärkommandantur 1010 di Bolzano sotto la regia del Befehlshaber der Operationszone Alpenvorland,
il generale Joachim Witthöft, sulle vette Feltrine: un’operazione condotta sul Monte Cavallo, tra la provincia di Treviso,
Udine e Belluno, tra il 31 marzo e il 1° aprile 1944, sotto il
comando della Militärkommandantur, portava all’arresto di
150 prigionieri consegnati alla Sipo-SD; un rastrellamento
compiuto il 12 aprile 1944 a ovest di Feltre da un gruppo di
combattimento della Wehrmacht agli ordini di Witthöft aveva
come esito 2 uccisioni e 22 catture; tra i prigionieri 3 russi.283
Nello stesso periodo nel Cadore, l’area del Bellunese al
conine con la Carnia, a cui nell’estate alcuni comuni in effetti si sarebbero legati come ultima propaggine della «zona libera», 23 uomini di Sappada, che avevano disertato il bando
di arruolamento del 18 aprile 1944, venivano arrestati in data
imprecisata, condotti a Santo Stefano, lì rinchiusi nel cinema
e quindi, secondo ricerche locali,284 avviati al campo di Bolzano, da cui, a quanto riporta la fonte ora citata, sarebbero deportati a Dachau; lo studio ricordato elenca ventun nomi, che
avrebbero avuto tale sorte: Giuseppe Benedetti, Pietro Benedetti, Umberto Boccingher, Pietro Fauner, Gaetano Fontana,
Giuseppe Fontana, Luigi Hoffer, Alberto Hoffer Piller, Innocente Hoffer Piller, Agostino Hoffer Piller, Giovanni Kratter,
Antonio Pachner, Pietro Pachner, Agostino Piller, Giuseppe
Piller, Taddeo Piller, Lodovico Soravia Puicher, Giovanni
Quinz, Quirino Quinz, Angelo Sartor, Igino Tach.
Il riscontro dell’elenco sia con la ricerca di Dario Venegoni sul DuLag di Bolzano,285 sia con il primo volume di questa collana286 ci fornisce però un quadro non poco diverso:
a Bolzano risultano essere arrivati Giuseppe e Pietro Benedetti; Giuseppe Fontana; Giovanni Kratter; Antonio e Pietro
Pachner; Agostino, Giuseppe e Taddeo Piller; Alberto e Innocente Piller Hoffer (questa la graia corretta del cognome
650
riportata dalle fonti coeve; gli Innocente Piller Hofer initi a
Bolzano sono però due, nel volume di Venegoni identiicati
dal patronimico ma comunque entrambi catturati a Sappada;
impossibile dire chi di loro corrisponda all’arrestato citato
nella letteratura locale), Giovanni e Quirino Quinz; Angelo
Sartor; Igino Tach, 15 persone complessivamente. Vi è poi
un Daniele Piller Hoffer, che risulta anch’egli preso a Sappada ma che non pare sovrapponibile a nessuno dei presenti
nell’elenco su riportato.
Non vi è traccia nel volume di Venegoni di Umberto Boccingher (compare però un Antonio Boccingher, compatibile
in base ai dati disponibili), Pietro Fauner, Gaetano Fontana
(c’è però un Gioacchino Fontana, anch’egli compatibile coi
dati del rastrellamento), Luigi Hoffer, Agostino Piller Hoffer
(è registrato però un Agostino Piller Roner, anch’egli compatibile), Ludovico Soravia Puicher. Del gruppo dei 21 poc’anzi
richiamati, effettivamente giunti in KL risultano appena 4:
Antonio Pachner, Alberto e Innocente Piller Hoffer (circa il
secondo, permane anche qui l’incertezza di cui sopra circa
la precisa identità),287 e Angelo Sartor; solo Pachner, Alberto
Piller Hoffer e Sartor però vengono immatricolati a Dachau,
Innocente Piller Hoffer è invece registrato a Flossenbürg. Dal
canto suo, il succitato e apparentemente esterno all’elenco,
Daniele Piller Hoffer fu invece immatricolato a Buchenwald.
Di uno dei 15 presenti a Bolzano, Pietro Pachner, Venegoni registra l’avvenuta liberazione nel DuLag sudtirolese,
quindi non egli non venne mai trasferito oltre Brennero. Per
quanto riguarda gli altri 14, data la doppia funzione che Bolzano, e prima ancora Fossoli, si trovò a svolgere: DuLag per
quanto riguardava i trasporti in KL, centro di raccolta di manodopera coatta per quel che ne concerneva il trasferimento
nel circuito del GBA, può ben darsi che siano stati effettivamente inviati in Germania per esservi utilizzati però come lavoratori forzati. Non sono stati rinvenuti dati di alcun genere
sui 6 non presenti né in Venegoni, né nel primo volume di
questa collana, fatti salvi i possibili errori di trascrizione dei
nominativi piú sopra elencati.
651
Una svolta radicale si sarebbe però registrata nell’estate,
quando anche nella zona delle Prealpi si sarebbero avvertite
le ripercussioni della quarta battaglia di Montecassino (maggio 1944) e della conseguente rottura dello schieramento tedesco, a quel punto in rapida ritirata verso nord. Mentre il
grosso delle forze tedesche si dirigeva verso la Linea Gotica,
riprendevano corpo i piani per la costruzione di una ridotta
ai piedi delle Alpi a difesa di un’ultima, eventuale, «linea di
difesa prealpina» (Voralpenstellung) della Wehrmacht, ipotizzati e accantonati nel settembre 1943.288
La linea, prevista di 400 chilometri di lunghezza, doveva
svilupparsi dalla punta sud-orientale della Svizzera, passare
per l’estremità settentrionale del lago di Garda, salire a nord
di Trento, proseguire per le Alpi Giulie e raggiungere Gorizia, Tolmino e Monfalcone, snodandosi lungo le vecchie
linee di difesa absburgiche della Prima guerra mondiale. La
sua costruzione, inizialmente afidata ai commissari supremi delle zone di operazioni, nell’estate sarebbe stata sotto la
responsabilità operativa dell’Organizzazione Todt (OT) e la
supervisione militare del generale von Zangen, già responsabile della costruzione della Linea Gotica. I lavori per la linea
di difesa prealpina avevano portato al reclutamento di un
numero di lavoratori che varia tra gli 82.000 e i 100.000,289
non pochi dei quali prelevati nel corso dei rastrellamenti effettuati nell’Appennino tosco-emiliano tra la ine dell’estate
e l’autunno del 1944.290
Nel Bellunese, rispettivamente a Feltre e a Belluno sarebbero stati trasferiti il II battaglione del reggimento Bozen e il
II e il III battaglione del reggimento Alpenvorland, entrambi
inquadrati nella Orpo;291 da ine giugno in avanti le fonti disponibili segnalano infatti un’incessante attività antiguerriglia, tra cui un rastrellamento nel Feltrino condotto da unità
del Bozen il 1° agosto 1944.292
Appena venti giorni più tardi veniva compiuta un’operazione nella Valle del Biois,293 dove operava la Brigata Garibaldina Pisacane;294 due colonne di soldati tedeschi, precisamente la VI compagnia del II battaglione Bozen e il gruppo
652
di combattimento al comando di Alois Schintlholzer,295 composto da membri della Scuola d’addestramento da montagna
della Waffen SS (Gebirgs-Kampfschule der SS), che aveva sede
a Predazzo, e da una squadra operativa della Sipo-SD, appoggiate, secondo ricostruzioni locali, da due battaglioni della
divisione corazzata della Luftwaffe «Hermann Göring»,296
investivano con una manovra a tenaglia i comuni di Gares,
Tabiadon, Caviola, Feder e Fregona, una zona particolarmente importante dal punto di vista strategico in quanto collegamento tra le valli bellunesi e quelle trentine. Il rastrellamento si sarebbe concluso con diverse decine di vittime, tra
partigiani e civili, numerosi prigionieri e l’incendio di alcuni
centri abitati.297
In settembre, la pressione dell’esercito alleato sotto la Linea Verde induceva i comandi tedeschi a lanciare un grande
attacco nelle aree alpine, volto a eliminare la presenza partigiana e a liberare le vie di comunicazione. Il 5 settembre
si svolgeva l’operazione Hannover sull’Altopiano di Asiago,
a cui seguivano tra il 7 e il 13 settembre il rastrellamento
sull’Altopiano del Cansiglio sul Monte Cavallo tra le province
di Udine, Treviso e Belluno dove operava la brigata Garibaldi «Nino Nannetti» e il 12-13 settembre l’operazione Pauke
sui Monti Lessini. In questo contesto si colloca l’operazione
Piave, svoltasi tra il 20 e il 28 settembre 1944 sul Massiccio del
Grappa tra le province di Vicenza, Treviso e Belluno, da giugno, a causa della presenza partigiana, trasformatasi in una
zona inavvicinabile per le forze tedesche.298 Diretta dalla centrale SS e di polizia bolzanina guidata da Karl Brunner, sarebbe stata condotta da un vasto schieramento di forze tedesche e salodiane tra cui il II battaglione del reggimento Orpo
Bozen; reparti del reggimento Orpo Alpenvorland; le squadre
della Sipo-SD di Rovereto e Roncegno con alla testa Herbert
Andorfer; aliquote del CST trentino; la 4ª e la 5ª compagnia
del battaglione Camilluccia del 63° battaglione «M» Tagliamento.299
Sempre per quanto riguarda il Bellunese resta traccia,
nella testimonianza di Evelino Casanova Borca,300 deportato
653
a Flossenbürg, di un altro rastrellamento avvenuto alla ine
di ottobre nel Cadore, su cui si rinvia alla ricostruzione di
Adriana Lotto:
«Il 22 ottobre a San Pietro, essendosi il parroco riiutato di scegliere e condurre in piazza 20 uomini da prendere come ostaggi
per punire il paese dell’aiuto dato ai partigiani, vennero catturati pressoché tutti i maschi del paese, portati a Santo Stefano
e lasciati in carcere tre settimane. Oltre cento di loro sarebbero
stati poi trasferiti a Bolzano. Di questi una parte sarebbe inita
nei KL del Reich. Il 26 ottobre, Evelino Casanova Borca, Elisio
Casanova Municchia301 e Pietro Pradetto Bonvecchio302 furono
strappati fuori dalle loro case a Costalta di Comelico, ammassati
assieme ad altri 57 compaesani nella caserma “Piave” e condotti
successivamente a Belluno. Dopo gli interrogatori di rito, alcuni
vennero rilasciati, gli altri, 42 in tutto, portati a Bolzano.303 I tre
citati, la cui età andava dai 17 anni di Evelino ai 24 di Pietro,
sarebbero stati deportati, nella seconda settimana di gennaio, a
Flossenbürg. Evelino verrà impiegato in vari Arbeitskommandos
uno dei quali situato nei pressi di Berlino dove egli dovette lavorare a binari ferroviari ed altresì caricare camion imbarcati poi su
chiatte che percorrevano l’Elba. Fu in seguito riportato al campo centrale di Flossenbürg, dove sarebbe stato liberato. Secondo
la loro testimonianza, i tre giovani non avevano nulla a che fare
con la Resistenza: spiegano pertanto la deportazione in Germania
col fatto di non avere, come altri, appoggi che favorissero la loro
liberazione e di costituire forza lavoro valida. In verità, sembra
che il padre di Evelino avesse venduto del ieno a dei familiari di
partigiani».304
Inine, nei primissimi giorni di gennaio 1945, nei comuni
di Puos, Chies, Tambre e nelle loro frazioni sarebbero stati
prelevati di notte 43 «giovani», sulla base di liste preparate
in precedenza, condotti a Belluno e lì rinchiusi in parte nelle
carceri, in parte nella caserma, per essere poi trasferiti a Bolzano,305 da dove quasi tutti sarebbero in seguito stati deportati in KL.306
Nel Trentino, il 23 maggio unità del CST e militi della
Orpo (nella memoria locale sbrigativamente identiicati come «SS»), probabilmente risalenti da Predazzo e dalla Val di
Cembra e forse avvisati da una spia, avevano rastrellato la Val
654
Cadino, una valle laterale della Val di Fiemme al conine con
la Valsugana, dove operava la brigata «Cesare Battisti»;307 uccidendo in uno scontro a fuoco Luigi Corradini, vicecomandante di brigata, e arrestando Alberto Del Favero e Tullio
Franch, mentre il resto della formazione era riuscito a sfuggire all’attacco e a rifugiarsi in una baita sulla cima dello Sciolé,
da dove il giorno dopo si sarebbe spostato in territorio di Molina per poi sciogliersi. I suoi membri avrebbero quindi fatto
ritorno alle proprie abitazioni. Il 25 maggio successivo, però,
sarebbero stati arrestati il comandante dell’unità partigiana,
Armando Bortolotti, proprio a Molina e il partigiano Gino
March a Predaia; gli altri sette sfuggiti con loro al rastrellamento si sarebbero poi consegnati alla centrale di polizia di
Cavalese nei giorni successivi, per timore di ritorsioni alle
proprie famiglie e ingannati dal contenuto di un manifesto
afisso in zona che prometteva il perdono a chi si fosse arreso.
Sarebbero invece stati deferiti al Tribunale speciale per l’Alpenvorland di Bolzano e processati il 25 luglio.308
Tra il 9 e il 12 ottobre 1944 un rastrellamento colpiva un
distaccamento del battaglione partigiano Gherlenda che in
agosto si era portato nella valle trentina del Tesino, al conine
col Bellunese;309 l’azione avrebbe avuto come esito la distruzione del distaccamento, la fucilazione di diversi partigiani,
incendi di abitazioni, saccheggi e catture di civili per farne
ostaggi. Tra loro ci fu don Narciso Sordo, poi deportato a
Mauthausen.310 Inine l’ultima azione repressiva sferrata contro i «ribelli del Trentino», nell’autunno del 1944, colpiva
ancora la Val di Fiemme, dove cadde prigioniero il CLN di
Cavalese.311
Il Veneto
In Veneto l’occupazione dei principali centri strategici della
regione dopo l’8 settembre era avvenuta, senza particolari dificoltà, ad opera del II corpo d’armata corazzato delle Waffen
SS.312 Come già si è detto, responsabile per le operazioni lun655
go la costa era il generale Witthöft. Ben presto sarebbero stati
costituite la Militärkommandantur 1009 a Verona, responsabile anche per il Vicentino, e la Militärkommandantur 1004
a Padova, a cui facevano altresì capo le province di Rovigo,
Treviso e Venezia. La Orpo era presente con alcuni reparti a
disposizione del proprio comando installato a Verona, oltre
che della Gendarmerie-Hauptmannschaft Venetien a Padova;
la Sipo-SD aveva anch’essa una centrale a Verona e una sede ausiliaria a Venezia, da cui dipendevano le province di
Padova, Rovigo e Treviso; in estate il distaccamento presente a Padova (Aussenposten) sarebbe stato elevato ad Aussenkommando e reso competente anche sul Rodigino. Come si è
visto, ad aprile 1944 sarebbe poi stata istituita l’OberitalienMitte, centrale per la «lotta alle bande» nello spazio veneto
ed emiliano-romagnolo.
La prima azione antipartigiana registrata si svolse tra il 14
e il 17 ottobre 1943, a Schio, concludendosi con l’uccisione di
un «bandito» e la cattura di 29 persone;313 solo dalla primavera successiva, tuttavia, sarebbero state avviate consistenti operazioni antiguerriglia nella Marca Trevigiana, nel Veronese e
nel Vicentino: a marzo un rastrellamento sul Pasubio durato
14 giorni condotto dalla Gendarmeria di Vicenza e da 200
militi della GNR, avrebbe portato all’arresto di 58 persone,
di 42 delle quali, scriveva il comando tedesco, era «comprovata [l’] attività banditesca e [perciò sarebbero stati] inviati alla Sonderbehandlung»,314 cioè consegnati alla Sipo-SD perché
decidesse della loro sorte: tra le possibilità era compresa la
deportazione in KL. La presenza di cospicue insorgenze partigiane nella zona alpina, in particolare nel Veronese (i Monti
Lessini) e nel Vicentino (il massiccio del Grappa e l’altopiano di Asiago, Arsiero, Recoaro, Schio, Valdagno, il Pasubio
e Pian delle Fugazze) creò, infatti, notevole preoccupazione
nei comandi tedeschi, perché le azioni di sabotaggio, continue in alcuni punti come nell’area del Pasubio, impedivano il
procedere dei lavori di fortiicazione sulla Voralpenstellung, e
interrompevano di frequente il rifornimento di energia elettrica agli stabilimenti industriali e alle centrali di smistamen656
to posti a valle (Val Cellina, Val Cismon, Val Cordevole, e
Valle del Piave).315
Di conseguenza, si provvide a trasferire in zona numerose
unità tedesche e salodiane, prima stanziate altrove;316 a ine
maggio venne acquartierato a Thiene, provenendo da Cuneo,
l’Ost-Bataillon 263, composto da ucraini, georgiani e tedeschi
del Volga. Lo avrebbero seguito nel corso dell’estate unità
di paracadutisti (Fallschirm-Granatwerfer-Bataillon 1 e Fallschirm-Aufklärungs-Kompanie 1) collocate nel Veronese e nel
Vicentino; il 63° battaglione «M» Tagliamento, spostato dalla
Linea Gotica a Recoaro; la II Brigata Nera mobile di Padova, inviata a Treviso; il Luftwaffen-Sicherungsregiment Italien,
giunto dal Piemonte e composto in parte di membri della
Luftwaffe e della Guardia alla Frontiera salodiana prelevati
dalle rispettive carceri militari; i battaglioni «Lupo», «N.P.»
(Nuotatori Paracadutisti) e «Fulmine» della X Mas, insediati anch’essi nella capitale della Marca; e inine il Kommando
di Herbert Andorfer, collocato a Recoaro e Feltre, e l’Einsatzkommando di Karl Heinz Bürger, con al seguito diverse
compagnie della Gendarmeria prima operanti in Emilia, Toscana e Umbria. A Bürger, la cui sede divenne Desenzano,
spettava il coordinamento dell’intera macchina repressiva
operante nella regione.
Il 20-25 maggio veniva realizzata, a nord di Schio, l’operazione Montebello che portava alla cattura di 37 presunti
partigiani;317 il 27 successivo prendeva avvio un’ondata di
rastrellamenti sui Monti Lessini. A essere investite per prima furono le località di Bolca, Cracchi (entrambe frazioni di
Vestenanova) Sant’Andrea (frazione di Badia Calavena), San
Bortolo della Montagna (frazione di Selva di Progno), tra le
province di Verona e Vicenza; l’operazione antiguerriglia si
sarebbe estesa, tra l’8 e il 10 giugno, a Campodalbero, Campilgeri e Ferrazza (frazioni di Crespadoro), Giazza e Revolto
(frazioni di Selva di Progno), per poi concludersi il 13 giugno
coinvolgendo Vestenanova e le sue frazioni di Zovo e Bolca,
rastrellata quest’ultima per la seconda volta. A gestire l’azione, guidata dall’Oberitalien-Mitte, furono il III battaglione, la
657
III compagnia volontari e il III battaglione ausiliario del 12°
reggimento Orpo, più unità minori.318 Nel luglio si rastrellava
ancora sui Monti Lessini, tra l’11 e il 12 agosto, e il 15 agosto
nel Trevigiano a Pieve di Soligo e Solighetto. Parallelamente,
a battere le alture del Vicentino con un’altra serie di puntate
era la Militärkommandantur di Verona: il 4-5 giugno a sudovest della linea del Monte Ortigara, Monte Lozze, Monte
Mandrielle e sull’Altopiano di Asiago; l’11 a Fara Vicentina;
il 17-18 giugno nelle Valli del Pasubio a nord di Schio.319
Nel Padovano, in una zona dove la presenza partigiana era
meno forte, si svolgeva il 6 aprile sotto il comando del Gruppo Witthöft, a 20 km a sud-est della città del Santo, un’operazione di rastrellamento che avrebbe portato all’arresto di
98 persone, tra cui 35 renitenti alla leva e 3 ex prigionieri di
guerra britannici.320
Nella seconda metà di luglio nel comune di Castelbaldo,
nella Bassa padovana, si veriicò una serie di avvenimenti che
sarebbe poi sfociata, tra il 26 e il 27 del mese in una vera e
propria strage.321 A guidare le unità tedesche nella zona era il
capitano Willy Lembcke, appena nominato responsabile del
settore di sicurezza (Sicherungskommandant) di Padova Sud.
Antefatto era stata la retata compiuta da militi della Brigata Nera al teatro-cinema Impero del paese, conclusasi con la
cattura di diversi giovani, poi inviati in Germania come lavoratori coatti.322 In risposta, due giorni dopo i partigiani della
brigata Paride avrebbero sequestrato Giuseppe Pisanò, comandante della Brigata Nera di Montagnana e commissario
del fascio per l’intero mandamento. Tedeschi e salodiani presero allora in ostaggio 12 persone sospettate di connivenza
con le forze «ribelli», tra cui i parroci di Casale di Scodosia,
di Castelbaldo e di Masi. Mentre era in corso l’arresto di don
Sante Miotto, curato di Castelbaldo, i partigiani attaccarono
la camionetta che trasportava gli ostaggi; ci furono morti da
entrambe le parti, ma alcuni alcuni brigatisti neri della scorta
caddero prigionieri. Immediatamente Castelbaldo venne accerchiata e bloccata da gruppi di militi della GNR e delle BN
al comando di Alfredo Allegro, coadiuvati da truppe tede658
sche; vari civili, uomini e donne, vennero passati per le armi
davanti alle proprie abitazioni; alcuni giovani furono concentrati in piazza, dove sei di loro furono uccisi e gettati nell’Adige presso il Mulino Menato.323
Sarebbe quindi iniziata, come nel resto del Nord, la
grande offensiva autunnale. All’operazione del 5 settembre
sull’Altopiano di Asiago erano seguiti l’intervento sull’Altopiano del Cansiglio dal 7 al 15 settembre, e tra il 12 e il 13
settembre l’operazione Pauke (timpano) nelle valli dei Monti
Lessini e del Chiampo, a cavallo delle province di Verona e
Vicenza, diretta contro la Brigata «Pasubio» guidata da Giuseppe Marozin, comandante «Vero». A condurre l’azione, coordinata da Bürger, sarebbero stati il gruppo di intervento a
disposizione dell’Oberitalien-Mitte, l’Ost-Bataillon 263, il 63°
battaglione «M» Tagliamento, reparti della Gendarmeria di
Recoaro e unità minori.324
La principale delle operazioni di settembre è però senz’altro quella che avrebbe investito il massiccio del Monte Grappa, l’operazione Piave; apice della dinamica repressiva attuata
sulle vette della regione, il rastrellamento sul Grappa costituisce un caso paradigmatico di esercizio della violenza, per la
sostanziale pariicazione tra combattenti e popolazione civile.
Come già per il caso di altri rastrellamenti che ebbero come
esito anche deportazioni in KL, anche nel caso del Grappa le
informazioni a disposizione riguardo ai deportati in KL sono
state per lungo tempo assai più lacunose e incerte rispetto a
quelle relative al resto delle vittime. Ancora nel 2007 Sonia
Residori, che più di altri ha lavorato sul rastellamento, poteva scrivere: «Il dato senz’altro più aleatorio è rappresentato
da coloro, civili e partigiani, che furono deportati in campo
di concentramento in Germania, in quanto per lungo tempo
l’opinione pubblica italiana ha molto sottovalutato il fenomeno della deportazione».325
Nei mesi precedenti l’azione, il massiccio del Grappa era
diventato una sorta di zona franca in cui si rifugiavano coloro
che volessero sottrarsi sia ai bandi Graziani, sia alle retate dei
tedeschi miranti a mettere le mani su manodopera da spe659
dire coattivamente oltre Brennero.326 Alla ine dell’estate in
quell’area operavano quattro formazioni partigiane, per un
totale di circa un migliaio di uomini: la Brigata «Italia Libera Archeson», guidata dal maggiore Edoardo Pienotti e collocata nella zona dell’Archeson, del Tomba, del Monfenera
e del Madal; la Brigata «Italia Libera Campo Croce», sorta
per gemmazione dalla prima e posta sotto la guida di Vico
Todesco, insediata a Campo Croce e attiva nell’area di Col
Serrai, Cornosega, Campo Croce, Colli Alti e Monte Oretto; la Brigata «Matteotti», formata da socialisti veneziani e
guidata da Angelo Pasini, dislocata tra la Val dei Lebi, la Val
delle Foglie, Cima Grappa, Monte Frediana, Monti Seren, la
Valle di Schievenin, la Conca di Alano e Quero; inine il battaglione «Monte Grappa» della brigata «Gramsci», di orientamento comunista, dislocata lungo le strade che salivano da
Pove, San Nazario, Valstagna, Cismon e Cadorna. Alle quattro formazioni si era afiancata, dai primi giorni di settembre,
la missione militare britannica comandata dal capitano Paul
Newton Brietsche, paracadutata sull’Altopiano di Asiago insieme a quella guidata del maggiore Tilman, originariamente destinata all’Altopiano del Cansiglio. Quando ebbe inizio
l’attacco tedesco, ai comandi partigiani erano già arrivate
notizie dei rastrellamenti avvenuti nei giorni precedenti sul
Cansiglio e sull’Asiago, nonché informazioni sull’intenzione
tedesca di lanciare un attacco sul Grappa; nonostante molti
dubbi, avrebbe prevalso, anche su pressione della missione
britannica, la decisione di puntare sulla resistenza a oltranza,
scelta che poi alla luce dei fatti si sarebbe rivelata foriera di
conseguenze tragiche.
Nell’operazione sul Grappa vennero impiegate unità tedesche e salodiane, per un numero di effettivi attorno ai 5.000;
tra le truppe tedesche erano presenti il Luftwaffen-Sicherungsregiment Italien; l’Ost-Bataillon 263; la Flak-ErgänzungsAbteilung 2, un reparto antiaereo che aveva già preso parte
all’operazione Wallenstein II; il II battaglione del SS-PolizeiRegiment Bozen e unità del SS-Polizei-Regiment Alpenvorland;
squadre della Sipo-SD del distaccamento di Rovereto e Ron660
cegno, tra cui il gruppo d’intervento guidato da Herbert Andorfer. Tra le forze salodiane si trovavano il 63° battaglione
«M» Tagliamento del colonnello Merico Zuccari, considerato
da Karl Wolff una delle migliori unità italiane antiguerriglia;
la XXII Brigata Nera «Antonio Faggion» di Vicenza; la XX
Brigata Nera «Amerino Cavallin» di Treviso; reparti della
GNR; 300 uomini dei Cacciatori degli Alpini in forza al Centro Addestramento Reparti Speciali (C.A.R.S.) di Parma; una
compagnia autonoma di P.S. di Valdagno, aggregata alla Brigata Nera «Antonio Turcato» di Valdagno; armati della Brigata Nera Marina del Sottosegretariato della Marina Militare
Repubblicana; reparti dell’Artiglieria Contraerea della Repubblica Sociale (3° gruppo Ar.Co Gambassini e 5° Gruppo
Ar.Co Lattanti, di Verona); la squadra politica «Ettore Muti»
dell’aeronautica militare di stanza a Bassano; reparti della
Flak italiana, ossia uomini della GNR inseriti su richiesta di
Göring nei ranghi della Flak, e inine un numero imprecisato
di ex Fiamme Bianche (giovanissimi volontari che prestavano
servizio in unità così denominate).327
La preparazione dell’operazione era stata preceduta da
un’articolata attività di spionaggio, in cui erano stati impiegati, opportunamente camuffati, sia tedeschi, sia italiani. In particolare sembra abbia avuto un ruolo decisivo una squadra di
SS italiane addestrate in una scuola (Villa Ca’ Bianca presso
Longa nella frazione di Schiavon) istituita a pochi chilometri
da Bassano e che lì rimase ino al febbraio 1945, quando vi si
sarebbe installato il maggiore Mario Carità.328
Secondo la ricostruzione di Sonia Residori lo scontro aperto tra formazioni partigiani e truppe nazifasciste durò relativamente poco; non si trattò, molto probabilmente, di una battaglia campale durata diversi giorni tra nemici equipaggiati
per la guerra, come per lungo tempo si è raccontato anche a
giustiicazione delle gravi perdite subite e della sconitta partigiana; ma piuttosto di alcuni scontri armati, come «tentativo
di resistenza ben presto abbandonato per non soccombere»,
seguiti da massacri nei centri pedemontani. La conta delle vittime rimane a tutt’oggi poco chiara: le fonti tedesche riporta661
no la cifra di 385 morti, compresi i capi partigiani e 34 inglesi,
e 100 sospetti arrestati;329 le cifre fornite dalla Presidenza del
Consiglio dei Ministri nel 1949 parlano di 171 impiccati, 603
fucilati e 804 deportati,330 termine usato, quest’ultimo, qui e
nelle opere che seguono in modo generico e senza distinguere tra «deportati in KL» e «lavoratori coatti»; i dati forniti da
Enrico Opocher in uno studio del 1986 indicano 171 impiccati e fucilati nei paesi, 300 partigiani uccisi in montagna negli scontri a fuoco e 400 uomini «deportati», quantitativi in
parte desunti dalle cifre fornite dal governo nel 1949;331 Elio
Fregonese riporta nome e cognome di 27 uomini catturati nel
rastrellamento del Grappa e deportati in KL;332 inine i dati
di Sonia Residori, sulla base di più recenti ricerche riportano
230 caduti, di cui 23 in combattimento, 187 che avrebbero
perso la vita in varie circostanze e in modi diversi, 20 vittime
di cui non si sa nulla,333 e 6 ulteriori deportati in KL, tutti giovani originari di Romano d’Ezzelino, in provincia di Vicenza:
i tre fratelli Andrea, Girolamo e Luigi Andolfatto; Giuseppe
Andolfatto, loro cugino; e i compaesani, Gaetano Perotto e
Giovanni Rebellato.334
Nelle stesse giornate del rastrellamento sul Grappa furono effettuate retate a Cartigliano, comune del Vicentino sulla
riva sinistra del Brenta, il 26 settembre e nuovamente il 29.335
Militari tedeschi e italiani alla ricerca di cereali e armi radunarono entrambe le volte uomini e donne nella piazza e ne
prelevarono un certo numero, conducendoli con sé a Bassano. Sebbene la fonte bibliograica che ce ne dà notizia parli di
«deportazioni», nessun originario della cittadina risulta registrato in alcuna fonte concentrazionaria; si può essere perciò
trattato di invii al lavoro coatto.
Secondo Umberto Dinelli, analoghe retate avrebbero avuto luogo nelle contrade del comune veronese di San Zeno di
Montagna, alla ricerca dei partigiani inquadrati nella Brigata
«Avesani», assai attivi nel sabotaggio della linea fortiicata in
costruzione; ne sarebbe scaturita l’uccisione di 5 resistenti e
la cattura di altri quattro, l’incendio di parecchie abitazioni e
il prelievo di «un centinaio di civili»;336 in KL giunse tuttavia
662
una sola persona nata nel comune veronese, Enrico Zanoni,
la cui immatricolazione a Mauthausen, dopo un passaggio
al DuLag di Bolzano, è in effetti compatibile con un arresto
avvenuto nel settembre 1944.337 Presumibilmente gli altri
vennero utilizzati come manodopera coatta in Italia od oltre
Brennero.
Molto scarne le informazioni disponibili sulle azioni antiguerriglia messe in atto nel Vicentino la seconda settimana di
ottobre (operazione Grüne Woche); il 28 ottobre lungo il lago
di Garda e sul monte Baldo (operazione Nikolaus); a novembre inine nei comuni di Arsero, Malo, Montecchio Maggiore, Schio, Valdagno, dove fu impegnato l’Ost-Bataillon 263.338
Inine, il 6 o il 7 gennaio 1945, uno schieramento composto da tedeschi, georgiani, ucraini, presumibilmente questi ultimi due gruppi appartenenti all’Ost-Bataillon 263, e da
militi delle Brigate Nere, passava a setaccio i comuni di Lastebasse e Pedemonte e la borgata di San Pietro (cuore del
comune di Valdastico): le abitazioni furono perquisite e gli
uomini concentrati in piazza. Undici sarebbero stati trattenuti; tre, identiicati come partigiani (Giovanni Cioni, Enrico
Cuneo, Igino Radere), vennero uccisi in località Ponte Maso,
mentre gli altri, tra cui il parroco di San Pietro, don Antonio
Rigoni, accusato di avere nascosto armi di partigiani nel campanile, Antonio Lorenzi, falegname e capo del locale CLN, e
i restanti sei (Giuseppe Carotta, Secondo Dal Pozzo, Olinto
Leoni, Stefano Munari, Giuseppe Rossati, e Agostino Scalzeri) sarebbero stati successivamente trasferiti nel DuLag di
Bolzano, e poi deportati nel KL di Mauthausen.339
La Lombardia
In Lombardia i rastrellamenti si sarebbero concentrati soprattutto in quelle aree che, rese insicure dalla presenza delle
bande partigiane, erano collocate in punti dalla particolare
funzione strategica rispetto alle vie di comunicazione: precisamente il Varesotto, il Bresciano, il Bergamasco e il Co663
masco a nord, al conine con la Svizzera, e il Piacentino e
l’Oltrepò Pavese a sud, posti alle spalle della Linea Gotica
lungo l’importante asse di collegamento La Spezia-GenovaPavia-Piacenza-Alessandria-Asti.
La prima azione si svolgeva tra il 17 e il 20 ottobre 1943
a est del Lago di Como: direttamente sotto la guida del Militärbefehlshaber Oberitalien, carica ricoperta al tempo dal
generale Witthöft, e tramite l’impiego del battaglione di addestramento dell’accademia dei «cacciatori da montagna» di
Mittenwald; del gruppo di addestramento della scuola dei
«cacciatori da montagna» delle Waffen SS di Neustift (località tirolese dove la scuola aveva sede), e della 2ª compagnia del
reparto 541 della polizia militare (Feldgendarmerie). A essere
setacciati furono il massiccio del Resegone e i comuni di Abbadia Lariana, Calolziocorte e Introbio; i rastrellatori ebbero
un morto e un ferito, e uccisero 20 persone catturandone 143,
la cui sorte non è nota.340
A novembre un ciclo di operazioni per il controllo delle zone alpine veniva organizzato dalla centrale di polizia di
Milano, diretta da Theodor Saevecke, e coordinato da Herbert Andorfer. Il 14 novembre veniva attaccata l’area del Varesotto attorno al Monte San Martino: ad agire furono la 6ª
compagnia del 15° reggimento della Orpo, la 14ª compagnia
controcarro e truppe coninarie; il 26 novembre venne il turno della zona di Lovere, nella Bergamasca, e il 28 quello del
Lecchese.
Nel gennaio venivano presi di mira il Bresciano e la Bergamasca: il 13 gennaio unità della Milizia forestale di stanza
a Gargnano e della Feldgendarmerie tedesca, coadiuvate dalla
squadra della Sipo-SD di Brescia, attaccarono sul Monte Spino, a nord-ovest di Gardone Riviera, le Fiamme Verdi della
Val Sabbia, prendendo 5 prigionieri poi tradotti a Gargnano.341 Assieme ad altri, arrestati in altre retate, i prigionieri
sarebbero stati processati il 14 febbraio con l’accusa di «organizzazione di bande armate e intelligenza col nemico»: alcuni
vennero condannati a morte, altri, ritenuti meno pericolosi,
trasferiti in Germania come lavoratori coatti.342 Il 16 gennaio
664
un rastrellamento analogo sarebbe stato compiuto a nord-est
di Bergamo, nel territorio del comune di Oltre il Colle, dal
reparto motorizzato della Feldgendarmerie 541 e da militi della GNR; secondo la documentazione tedesca a un partigiano
ucciso si afiancarono due feriti e 14 fatti prigionieri.343
Dopo una relativa stasi, l’apparato repressivo tedesco e salodiano tornava a colpire il Bresciano a ine luglio: il 29 una
retata condotta dall’Einsatzgruppe Italien dell’Organizzazione Todt nei centri abitati di Isorella e Visano, in seguito alla
segnalazione del federale di Brescia, portava al fermo di 45
persone colte ad ascoltare Radio Londra; 23 di loro sarebbero state inviate in Germania come lavoratori coatti, e altre
20 messe a disposizione della Sipo-SD.344 Da segnalare, negli
stessi giorni, un rastrellamento, su cui si hanno scarse notizie, compiuto dal battaglione «Nuotatori Paracadutisti» della
Brigata Asiago della X Mas tra le province di Sondrio, Asiago
e Bassano che, secondo le fonti disponibili, avrebbe cagionato la morte di 19 «banditi», la cattura di altri 18 presunti
partigiani e l’arresto di ulteriori 210 civili.345
Come altrove, le operazioni antiguerriglia sarebbero riprese in grande stile verso il declinare dell’estate: una vasta
offensiva ebbe inizio il 23 agosto con l’attacco nell’Oltrepò
Pavese al territorio «libero» partigiano noto come «repubblica di Torriglia», esteso dalla val Trebbia alle valli Scrivia
e d’Aveto, dove operavano formazioni garibaldine e di Giustizia e Libertà. Posta sotto il comando del corpo d’armata
Lombardia, formazione mista italogermanica inquadrata
nell’armata Liguria, formalmente agli ordini del maresciallo Rodolfo Graziani, l’operazione avrebbe dovuto investire
un’ampia porzione dell’Appennino ligure-piemontese-pavese-piacentino, sviluppandosi in particolare nelle valli Trebbia
e Borbera. Per tedeschi e salodiani era di cruciale importanza
riprendere il pieno controllo della strada statale 45, che collega Genova a Piacenza; a muoversi sul terreno furono precisamente la 12ª compagnia del 25° reggimento, inserito nella
42ª divisione cacciatori; il I battaglione del 1043º reggimento, in forza alla 232ª divisione di fanteria; un plotone della
665
Gendarmerie (inquadrata nella Orpo) accasermata a Genova;
una squadra della Sipo-SD dall’Aussenkommando insediato
nel capoluogo ligure; forze della divisione salodiana «Monterosa», da poco rientrata dopo l’addestramento in Germania;
militi della GNR; la XXXI Brigata Nera «Silvio Parodi», di
stanza a Genova.346
Sebbene il rastrellamento, conclusosi il 30 del mese, non
fosse riuscito ad avere ragione delle formazioni partigiane e
a raggiungere gli obiettivi che si era preposto, anzi nel corso dell’azione i rastrellatori avrebbero subito la defezione
di gran parte del battaglione «Vestone», inquadrato nella
«Monterosa», che passa alla divisione garibaldina «Cichero»,
le relazioni militari tedesche riferiscono di caduti, feriti e prigionieri tra gli avversari e la popolazione civile, ancorché le
cifre fornite su ciascuna di queste categorie divergano anche
notevolmente.347
Tra il 16 e il 23 settembre vennero investiti i comuni di
Godiasco, Varzi e Bobbio (sulla linea Pavia-Piacenza); il 23
Voghera, Varzi, nuovamente Bobbio, Ferriere, Castel San
Giovanni (sulla linea Alessandria, Pavia e Piacenza); tra il 26
e il 29 Montù Beccarla, Soriasco e Golferenzo (nel Pavese);
tra l’8 e il 12 ottobre, in coincidenza con la prima settimana di lotta alle bande, con l’operazione Milano si colpivano
il Monte Antola, il Monte Caucaso, Torriglia, e tutta la Val
Trebbia (lungo la linea Genova-Pavia-Piacenza). Il 21 ottobre
si tornava a rastrellare la statale 10 tra Voghera e Piacenza.
Tra il 23 novembre e il 18 dicembre un lungo ciclo repressivo (Lindenblüte) diviso in due fasi (operazioni Heygendorff e
Aachen) tornava a colpire tutto l’Oltrepò Pavese, la Val Curone e la Val Borbera, nell’Alessandrino, servendosi di un vasto
schieramento di forze: i reggimenti di fanteria 303 e 329 e il
reparto controcarro 236, appartenenti tutti alla 162ª divisione di fanteria «Turk»; il gruppo di combattimento Piacenza,
formato in gran parte da unità italiane; il gruppo Delogu, costituito da unità in forza al 210º comando militare regionale
(CMR) di Alessandria e al I battaglione del Raggruppamento Anti-Partigiani (RAP); il III battaglione del reggimento
666
Bersaglieri «Luciano Manara», coadiuvati nella seconda fase
dal gruppo di combattimento «Meinhold» e da unità di allarme.348 Secondo la documentazione tedesca, esito di questo
ampio ciclo repressivo, che determinò effettivamente, questa
volta, la caduta della «repubblica di Torriglia», furono 391
morti e 179 prigionieri tra le ila partigiane, oltre che trasferimenti di popolazione che sarebbe stata utilizzata come manodopera coatta.349
La stessa sorte, in quei mesi, sarebbe toccata alle aree coninanti con la Svizzera; l’offensiva, condotta sotto il comando
dell’Oberitalien-Mitte, appena afidato a Burger, aveva inizio
con un‘operazione contro le formazioni partigiane della Val
Trompia, nel Bresciano (zone di Bovegno, Collo, Dosso Alto,
Monte Ario e Corna Blacca), in parallelo esatto al primo attacco contro l’Oltrepò Pavese (25 agosto-31 agosto 1944). Ad
agire qui furono un Einsatzkommando direttamente sottoposto a Bürger, l’8ª compagnia del CST, un reparto di sicurezza
(Sicherungs-Abschnitt II) della Orpo, e un’unità di sicurezza
motorizzata dipendente dall’uficio in Italia del ministero
delle Armi e Munizioni. L’operazione proseguì poi il 28 e il
29 agosto al conine con la provincia di Padova, presso Terrassa Padovana, dove vennero uccise 6 persone, e altre 10 catturate.350 Il 30 e il 31 agosto era colpita Carona, in provincia
di Bergamo, da uomini della GNR agli ordini di Bürger; qui i
morti furono 6, i feriti 4 e i prigionieri 6. Inine, dal 4 ottobre
al 4 novembre, l’Oberitalien-Mitte, coadiuvato da unità esclusivamente salodiane, quali la Brigata Nera «Cesare Rodini»,
di Como, la 14ª Compagnia speciale di Pubblica Sicurezza, e
il Nucleo speciale della GNR di Monza, colpiva l’area a sudest di Como tramite un rastrellamento denominato Berni,
sfociato in 51 uccisioni e 511 arresti; dei catturati ben 371 sarebbero poi stati avviati al lavoro coatto, non sappiamo se in
Italia o oltre Brennero.
Per tutto il mese di ottobre e quello di novembre sarebbero continuate azioni contro le formazioni della Valsassina
(Bergamo) e della Valtrompia e la Valsabbia (Brescia), per
mano del CST e di unità della Waffen-Grenadier-Brigade der
667
SS (italienische Nr. 1), formazione costituita da italiani che
avevano accettato di combattere a ianco dei tedeschi nelle
ile delle Waffen SS.351
Piemonte e Valle d’Aosta
L’intensità della repressione antipartigiana in Piemonte fu seconda soltanto a quella esercitata nel Litorale Adriatico; le zone maggiormente colpite furono le valli alpine al conine con
la Francia e la fascia meridionale comprendente l’Appennino
ligure-piemontese, territori entrambi in cui l’insediamento
di formazioni partigiane fu tanto precoce quanto diffuso.352
L’intensità delle operazioni scaturiva anche dalla posizione
strategica di conine della regione, inizialmente, infatti, destinata a funzionare da «zona di operazioni» al pari del Litorale
Adriatico.353
Le operazioni di rastrellamento alla ricerca di militari
sbandati e contro le formazioni partigiane già attive nel Cuneese, in particolare nelle valli Pesio e Stura di Demonte,
prendevano avvio poco dopo l’insediamento in zona delle
strutture tedesche di occupazione; a eseguirle furono unità
della Luftwaffe in collaborazione con la Militärkommandantur 1020 che aveva sede a Cuneo,354 ma dal gennaio 1944 ino alla liberazione si sarebbero succeduti ininterrottamente
grandi rastrellamenti sotto la regia inizialmente dell’SSPF
Oberitalien-West355 e successivamente, nelle aree a ridosso
della Linea Gotica divenuta linea del fronte, dell’Armata Liguria. Le prime azioni promosse da Willy Tensfeld con il supporto del LXXXVII corpo d’armata, comandato dal generale Gustav-Adolf von Zangen, avrebbero colpito il Cuneese
e l’Astigiano;356 oltre a un certo numero di partigiani uccisi,
vennero arrestati parecchi civili, in quanto «sospetti».
Il mese di marzo avrebbe però visto l’avvio di numerosi
rastrellamenti coordinati che avrebbero colpito sia a Sud, investendo le valli dove passavano le linee di collegamento tra il
mare e la Pianura Padana occidentale (le valli Casotto, Ellero,
668
Mongia e Tanaro tra il Cuneese e l’Imperiese; l’intero arco appennino tra l’Alessandrino e il Genovesato); sia a ovest passando al setaccio nel Torinese le valli Pellice, Chisone e Germanasca, e nel Cuneese le valli Maira, Varaita e Po; sia inine
a nord-ovest del capoluogo le valli di Lanzo, di Susa (oggetto
per altro quest’ultima già di retate, in particolare nei centri di
maggiore industrializzazione, nei mesi immediatamente successivi all’8 settembre 1943),357 senza trascurare la zona alpina
più lontana e prossima alla Lombardia ma, contemporaneamente, via di passaggio verso la neutrale Svizzera.
Assieme alla crescita indubbia delle formazioni partigiane
successiva all’emanazione dei bandi d’arruolamento da parte del generale Graziani, giocarono un ruolo decisivo nello
spingere le autorità d’occupazione all’azione da un lato le preoccupazioni per un possibile sbarco alleato sulla costa ligure, il che richiedeva di poter aver il pieno controllo dei passi
meridionali alpini e appenninici, dall’altro l’esigenza di garantire sempre e comunque alle fabbriche in pianura, in particolare delle aree torinese e genovese, che erano impegnate
in produzioni d’interesse militare, il rifornimento di energia
elettrica, prodotta in gran parte dagli impianti idroelettrici
situati lungo le Alpi occidentali, in particolare tra la valle del
Toce e la Val Tanaro.358
Avrebbero obbedito a questa seconda necessità gli interventi attuati tra il 4 e l’11 marzo, pochi giorni dopo gli scioperi promossi dalla Resistenza e in prima persona dal Partito
comunista, nelle valli di Lanzo; tra il 21 e il 31 marzo nelle
valli Pellice, Chisone e Germanasca, e inine tra il 25 marzo
e il 3 aprile nelle valli Maira, Varaita e Po (operazione Wien/
Viktor).359 Nel corso del primo rastrellamento, effettuato dal
I battaglione del 15° reggimento della Orpo e dal 287º reparto della Flak, coadiuvati da una squadra della Sipo-SD in
forza all’Außenkommando di Torino, risultarono, secondo le
fonti tedesche, uccise 212 persone e arrestate altre 97, parte
dei quali fu sicuramente deportata nel KL di Mauthausen,360
mentre altri vennero inviati oltre Brennero come lavoratori
coatti.
669
Tra il 21 e il 31 marzo l’azione Sperber si sarebbe abbattuta
sulle valli Pellice, Chisone e Germanasca; a muoversi sarebbe
stato uno schieramento formato da: la 4ª compagnia del I battaglione del 15° reggimento della Orpo; il distaccamento di
comando della Gendarmerie stanziata in Piemonte; la 2ª compagnia della 9ª squadriglia di caccia notturna della Luftwaffe
(Nachtschlachtgeschwader); il I battaglione del 1° reggimento di
fanteria e il II battaglione dell’81º reggimento granatieri della
Waffen-Grenadier-Brigade der SS (italienische Nr. 1); la compagnia Ordine Pubblico (OP) di Torino e la sezione coninaria,
entrambe della GNR; nonché la compagnia Arditi del gruppo corazzato «Leonessa», anch’esso inquadrato nella GNR.
Come risultato, le fonti tedesche parlano di 451 morti e 143
prigionieri tra partigiani e civili;361 anche in questo caso alcuni
(tre in tutto: Alberto Capello, Sergio Coalova, Giovanni Toscano) risultano essere stati deportati al KL di Mauthausen,
dove sarebbero giunti però solo dopo quasi cinque mesi, trascorsi in prigionia prima a Luserna, poi alle Carceri Nuove di
Torino, inine al DuLag di Fossoli di Carpi, di cui avrebbero
seguito il trasferimento a Bolzano; dal capoluogo sudtirolese
sarebbero poi partiti per la deportazione il 5 agosto.362
Quasi contemporaneamente, le valli Maira, Varaita e Po
sarebbero state oggetto della già citata operazione Wien/Viktor, dove vennero impiegati reparti sia SS e di polizia, sia della
Wehrmacht, sia, anche se in misura più ridotta, unità della polizia salodiane: tra i primi l’Einsatzkommando Bürger; la 10ª
compagnia del III battaglione del 12º reggimento della Orpo; il I e il II battaglione del 15° reggimento, anch’esso della
Orpo; lo Jagdkommando del BdS Italien; il II battaglione italiano volontario «Complementi» (Polizei-Freiwilligen-ErsatzBataillon Italien) inserito pure nella Orpo; una squadra della
Sipo-SD di Torino; tra i secondi la 14ª compagnia anticarro;
la 3ª compagnia del 541º reparto della Feldgendarmerie; la 4ª
compagnia dell’Ost-Bataillon 617, formato da ex prigionieri
di guerra russi; alcuni Jagdkommandos della Luftwaffe; unità
di allarme a disposizione della Militärkommandantur 1020 di
Cuneo. Le forze salodiane erano formate da una compagnia
670
della GNR, e dalla compagnia OP (Ordine Pubblico) della
14ª legione della GNR di Bergamo. Nel corso dell’azione, che
avrebbe coinvolto ampiamente la popolazione civile, i rastrellatori avrebbero avuto un morto e un ferito, a fronte di 153
caduti e 86 prigionieri dalla parte avversa, a cui andavano aggiunte 384 persone da avviare al lavoro coatto (la fonte tedesca non ci dice se in Italia o nel Reich).363
Per tutto il seguente mese di aprile il Cuneese sarebbe
inoltre stato teatro delle operazioni, successive l’una all’altra, Stuttgart e Tübingen, che avrebbero investito rispettivamente la valle Stura e la Valle Pesio; guidate unitariamente
dall’Oberitalien-West, un organo cioè di polizia, e dall’appena
istituita Leitkommandantur di Milano (Comando territoriale superiore, nato dall’attribuzione di funzioni di coordinamento alla Militärkommandantur 1013, già in precedenza insediatasi nella capitale lombarda), struttura invece militare,
le azioni sarebbero state materialmente realizzate da schieramenti compositi formati da reparti sia della Orpo, sia della
Wehrmacht, ma vedendo in entrambi i casi una presenza non
irrilevante di Ost-Bataillone. Risultano, infatti, esser stati in
questo caso presenti il II battaglione, formato da georgiani,
del 198º reggimento, e i battaglioni 263 e 617 composti da
russi. I rastrellatori avrebbero comunque incontrato resistenza, tanto da lamentare complessivamente 6 morti e 13 feriti, a
fronte di perdite che le fonti tedesche sono unanimi nel deinire maggiori ma sulla cui entità differiscono non poco: da 30
a 92 i caduti, da 15 a 25 i prigionieri.364
Nel frattempo, lungo l’arco alpino e appenninico che separa il Piemonte dalla Liguria i comandi militari tedeschi avviarono una vasta offensiva contro le formazioni partigiane
dislocate nella zona nell’ipotesi, considerata prevedibile, di
uno sbarco alleato. La natura e lo scopo delle operazioni fecero sì che tanto il coordinamento, quanto l’organizzazione,
quanto l’assoluta maggioranza della forza impiegata fossero
attribuiti alla Wehrmacht, e rispettivamente al LXXV corpo
d’armata, allo stato maggiore della 356ª divisione di fanteria
e ai reparti che la componevano, in primo luogo i reggimenti
671
granatieri 869 e 871. Al comandante di quest’ultimo, il colonnello Günther Rohr,365 spettò la guida sul terreno, alla testa di un raggruppamento ad hoc che da lui prese il nome: la
Kampfgruppe Rohr, in cui sarebbero conluite parti dei due
reggimenti, unità divisionali di vario genere, squadre della Sipo-SD, nonché, ma destinate a compiti prettamente ausiliari,
formazioni militari e di polizia della RSI. Il primo intervento
della Kampfgruppe si sarebbe sviluppato tra l’11 e il 25 marzo
1944 nelle Valli Tanaro, Casotto, Ellero, Mongia, tra il Cuneese e l’Imperiese, colpendo il territorio dove si era insediata la
formazione partigiana autonoma guidata da Enrico Martini
«Mauri»:
«Nella serata del 12 marzo e nel corso della notte [...] tre battaglioni e tre compagnie rinforzate muovono da nord e da sud
contro la Val Casotto. Nel giro di due giorni il numero degli attaccanti ed il loro armamento si dimostrarono decisivi, disperdendo
le formazioni partigiane nonostante una tenace difesa. Le cifre
della vittoria tedesca parlano molto chiaramente: un centinaio di
partigiani uccisi, in gran parte fucilati nei villaggi circostanti dopo
la cattura, circa 250 prigionieri».366
Così Carlo Gentile ha sintetizzato il dispiegarsi degli eventi, che rappresentarono una dura lezione anche per il movimento partigiano:
«Marzo e aprile sono due mesi decisivi: i tedeschi, in modo sistematico, con rastrellamenti coordinati e condotti da ingenti truppe, con manovre avvolgenti, sconvolgono di nuovo tutta la cerchia
delle Alpi cuneesi. Il livello della lotta è ora molto più alto; si confrontano ormai le tecniche di una guerriglia afinata e le “bande”
che non si sono adeguate, “senza un’idea dominante, senza un
principio di organizzazione, senza un calcolo rigoroso del rapporto tra ine e mezzi”, subiscono cocenti sconitte e durissime perdite. Non è il numero a contare, né la difesa delle posizioni: è invece
il “mordi e fuggi”; è la saldezza morale, non la fasulla coesione
della retorica militare. Quanto succede in val Casotto nel marzo
1944 sarà il paradigma di cosa non si deve fare nella guerra partigiana: evitare concentrazione di centinaia di uomini disarmati,
non addestrati e legati alla difesa del terreno».367
672
Dieci giorni dopo, tra il 6 e il 13 aprile, la Kampfgruppe
sarebbe nuovamente entrata in azione questa volta sul Monte
Tobbio, con baricentro sulla cascina abbandonata detta «La
Benedicta», contro le formazioni autonome e garibaldine che
si stavano colà organizzando:368
«Contro gli ottocento partigiani, male armati ed ancora in fase
di organizzazione che agiscono nella zona del Tobbio si abbatte
dunque una macchina militare di livello ben più alto, che già era
riuscita ad aver ragione delle più strutturate (almeno in senso militare tradizionale) forze di Mauri, il quale, con un piccolo gruppo
di superstiti, era stato infatti costretto ad abbandonare il primitivo
insediamento della val Casotto per passare nelle Langhe».369
Complessivamente si sarebbero registrate nelle due operazioni oltre 400 morti e più di 500 prigionieri tra i partigiani, mentre i rastrellatori avrebbero avuto una quindicina di
morti e poco meno di 30 feriti nelle proprie ile.370 Una parte
dei catturati nelle due azioni sarebbe stata deportata in KL,
e le loro biograie compaiono nel I volume di questa stessa
collana, ma solo per il caso del secondo rastrellamento, che
sarebbe passato alla storia come «della Benedicta» o «della
Settimana Santa 1944» e che è stato oggetto di una serie di
studi speciici, è possibile offrire dati puntuali e veriicati sia
sui deportati in KL, sia sui caduti, in combattimento o fucilati in seguito; essi sono, rispettivamente, 187 e 154 (su altri 8,
presumibilmente caduti anch’essi sotto il fuoco nemico, mancano dati del tutto esaustivi).371
Nel frattempo in bassa Val di Susa, al margine occidentale della città di Torino, unità della Waffen-Grenadier-Brigade
der SS (italienische Nr. 1) avevano attuato, dal 1º al 5 di aprile,
un duro rastrellamento nello spazio compreso tra le direttrici
Rivoli-Avigliana e Piossasco-Cumiana, località quest’ultima
ritenuta dai comandi tedeschi un «covo di banditi e di comunisti», e dove il 30 marzo si era veriicato uno scontro a fuoco
tra forze partigiane e il presidio che la Brigade medesima vi
aveva insediato. La cittadina sarebbe stata messa a ferro e fuoco; alle 70 persone uccise nel corso dell’azione se ne sarebbero
673
aggiunte altre 58 inizialmente prese in ostaggio e poi «fucilate
in base – dicono le fonti tedesche – alla legge marziale» (standrechtlich erschossen).372 80 i prigionieri, secondo ricostruzioni
successive, in parte liberati nei giorni seguenti, in parte utilizzati come lavoratori coatti presumibilmente oltre Brennero.373
Un’operazione analoga (chiamata Rom) si sarebbe dispiegata, tra il 5 aprile e il 26 maggio, in Val Sesia nel Vercellese;
coordinati dall’Oberitalien-West avrebbero eseguito il rastrellamento il 546º gruppo motorizzato (Trupp) della Feldgendarmerie e il 63° battaglione «M» della GNR: le fonti di polizia
tedesche ci riportano una cifra univoca circa i caduti tra partigiani e civili: 268, ma divergono non poco sui prigionieri,
il cui numero varia da 111 a 376, mentre 363 persone (non è
chiaro se conteggiate tra i catturati o da considerare a parte)
sarebbero state avviate al lavoro coatto.374
Dalla ine di aprile 1944 una serie di operazioni interconnesse avrebbe puntato a garantire all’occupante tedesco e al
suo alleato salodiano il controllo delle linee di comunicazione
tra la Pianura Padana e la Francia sudorientale, in un contesto in cui la pressione delle truppe alleate sulla Linea Gustav,
che sarebbe caduta nella seconda metà di maggio, costrinse il
feldmaresciallo Kesselring a inviare a sud le truppe migliori
accettando di allentare, nella valle del Po, la presa sulle aree
maggiormente periferiche. Sarebbero quindi state rastrellate
in sequenza, in provincia di Torino, le valli di di Viù, Lanzo, Locana e del Canadese con l’operazione Rosenstrauch (26
aprile-7 maggio); poi le località di Cumiana e Barge e le Valli
di Susa, Chisone, Germanasca, del Sangone e del Troncea con
l’operazione Habicht (10-18 maggio); la zona posta tra Biella,
Salussola, Caluso, Locana, Chatillon, Monterosa, Piedicavallo all’incrocio delle province di Vercelli, Torino e Aosta, dove
erano situate parecchie tra le centrali idriche che rifornivano Milano e Torino, con l’operazione Hamburg (26 maggio-3
giugno). Seguirono quindi l’operazione Köln-Freiburg (11-28
giugno) nell’alto Novarese e nel Verbano tra Canobbio, Vigezza, la Val d’Ossola, la Valgrande e il Lago Maggiore; l’operazione Bayreuth (25 giugno-5 luglio) a est del Lago Maggiore
674
sino in Val Sesia, e l’8 luglio un rastrellamento in Val di Susa
intorno a Bussoleno, Brugolo e Le Combe. La serie di azioni
antiguerriglia nelle Alpi occidentali si concludeva con l’operazione Nachtigall (29 luglio-20 agosto), sviluppatasi nella valli Chisone, Susa, Germanasca e Pellice, la cui importanza era
legata al collegamento con la Francia attraverso l’asse stradale
Pinerolo-Sestriéres-Monginevro-Briançon.375
A coordinare le operazioni era stata la centrale di polizia
Oberitalien-West; a eseguirle erano state alcune unità di polizia tedesche e salodiane, variamente combinate nelle diverse operazioni, in larga parte il 15°, il 12° e il 20° reggimento
Orpo, coadiuvati da reparti della GNR. Secondo le fonti tedesche, l’operazione Rosenstrauch, condotta dalla 10ª compagnia del III battaglione del 12° reggimento di polizia della
Orpo ebbe come risultato 103 morti, 109 (o, secondo altri
documenti, 80) prigionieri e 504 uomini avviati al lavoro coatto; l’Habicht, eseguita da unità del 15° e del 12° reggimento
di polizia della Orpo, da 2 compagnie dell’Ost-Bataillon 617,
dalla 10ª compagnia del III battaglione SS e di polizia per
quanto riguarda le forze tedesche, da arditi del battaglione
Guardie Coninarie della GNR, da una Compagnia OP della GNR di Torino e da 50 legionari del Gruppo «Leonessa»
per quanto riguarda quelle salodiane, per un totale di 1.510
uomini, si concluse con 156 morti, 67 (o 85) prigionieri, 222
uomini da avviare al lavoro coatto a fronte di 9 caduti e 15 feriti tra i rastrellatori; la Hamburg, eseguita dal 15° reggimento
SS e di polizia e dal I battaglione del 20° reggimento SS e di
polizia, entrambi della Orpo, a cui apparteneva anche il 1°
plotone motorizzato della Gendarmerie, dalla 14ª compagnia
controcarro della Wehrmacht, da uomini del IV battaglione
italiano volontario di polizia e dal 63° battaglione «M», per
un totale di 3.150 uomini, avrebbe provocato, a stare alle diverse fonti tedesche disponibili, 36, 68 o 86 morti nelle ile
avversarie, a cui si dovrebbero aggiungere 32, 43, 84 o 116
prigionieri, e 452 o 1.304 inviati al lavoro coatto, nonché, secondo una delle fonti a cui si è fatto riferimento, 285 sottoposti a «trattamento speciale», termine che può alludere sia
675
alla fucilazione dopo la cattura, sia all’invio in KL. I rastrellatori dovettero però fare i conti con una cospicua resistenza
da parte delle forze partigiane, lamentando alla conclusione
delle operazioni sul terreno 23 morti e 26 feriti.
Alla Köln-Freiburg avrebbero partecipato nuovamente
dalle ile della Orpo il 15° reggimento, il I battaglione del
20° reggimento, la 10ª compagnia del III battaglione del 12°
reggimento, il 1º plotone motorizzato della Gendarmerie, e
il IV battaglione italiano volontario di polizia; per la Wehrmacht il II battaglione, composto da georgiani, del 198º reggimento, nonché la 114ª e la 741ª colonna someggiata; per i
salodiani il 29° battaglione «M», il II battaglione GNR, un
gruppo di intervento della Guardia alla Frontiera insediato
presso il commissariato doganale di Varese composto di 70
uomini, in tutto 4.800 armati. Sui risultati dell’azione le fonti non sono univoche, né circa le proprie, né circa le perdite
subite dagli avversari; si va da 5 a 8 morti e da 19 a 45 feriti
tra i rastrellatori, segno comunque che ci fu resistenza e strenua, mentre per quanto riguarda partigiani e civili coinvolti
si oscilla tra 111, 182, 217 e 230 caduti; 71, 190 e addirittura
409 catturati; 106, 199 e 274 inviati al lavoro coatto. Solo un
approfondimento della ricerca che confronti le schede biograiche pubblicate nel I volume di questa stessa collana con
la documentazione conservata localmente potrà tuttavia, in
questo come in altri casi, deinire meglio l’esatto destino dei
trasferiti oltre Brennero:
«Proprio in relazione al grande rastrellamento del giugno 1944 sui
monti della Val Grande, a nord di Verbania (l’operazione KölnFreiburg), vengono deportati molti partigiani appartenenti alla
formazione Valdossola di Dionigi Superti e Mario Muneghina,
che in quel periodo subisce un alto numero di perdite durante gli
scontri o dopo la resa, per rappresaglia o per terrorizzare la popolazione (come è il caso dei diciassette fucilati a Baveno o dei quarantatré a Fondotoce). Purtroppo le schede per il riconoscimento
della qualiica di partigiano compilate nell’immediato dopoguerra
dal CLN dell’Alta Italia contengono solitamente l’indicazione generica “deportato in Germania” e solo in alcuni casi si speciica il
campo di destinazione».376
676
Per Bayreuth le vittime si aggiravano intorno ai 9 o 13
morti e 21 o 43 prigionieri tra i partigiani, più 26 uomini
«destinati ai lavori» in Germania, mentre Nachtigall avrebbe
chiuso il ciclo, sulla linea tracciata dalle precedenti e già citate operazioni Sperber e Habicht, e dai rastrellamenti, anch’essi
già richiamati, compiuti in Val di Susa; tramite quelle azioni
l’occupante aveva puntato a controllare la principale linea di
comunicazione diretta con la Francia, mentre con la Nachtigall mirava a garantirsi
«il passaggio attraverso la Val Pellice, l’occupazione della Val Germanasca, il perfezionamento di una vasta linea di accerchiamento
sulla catena tra l’alta Val Susa e la Val Chisone, e il passaggio dei
colli fra la Val Germanasca e la Val Troncea».377
A scendere in campo fu uno schieramento di forze molto
ampio, comprendente unità della Wehrmacht, della Orpo e
formazioni salodiane, ma con in prima linea diversi reparti della Waffen-Grenadier-Brigade der SS (italienische Nr. 1)
comandata qui dal tenente colonnello Otto Jungkunz, (dalla ine di luglio la formazione sarebbe stata acquartierata a
Pinerolo; nell’autunno successivo sarebbe stata protagonista
dei rastrellamenti contro le bande lombarde al conine con la
Svizzera): la Kampfgruppe Noweck, i reggimenti granatieri 81
e 82; il battaglione fucilieri 59, il reparto controcarro 59, il I e
il II gruppo artiglieri del 29º reggimento di artiglieria (nella
fonti indicato erroneamente come 59º); a essi si erano uniti
il Luftwaffen-Sicherungsregiment Italien del colonnello Dierich, responsabile degli scontri con i partigiani sul Grappa e
già più volte incontrato; il Sicherungs-Regiments-Stab 38, stato
maggiore agli ordini del colonnello Otto Böckler responsabile dell’organizzazione dei rastrellamenti contro le bande e da
cui dipendevano i seguenti reparti: l’Ost-Bataillon 617, spesso
citato, il 637° Gruppo investigativo della Feldgendarmerie, il
III battaglione del reggimento Bozen, il Polizei-FreiwilligenErsatz-Bataillon Italien, un plotone dalla Gendarmerie abitualmente stanziata ad Asti; squadre della Sipo-SD dipendenti dal BdS. Tra le forze salodiane erano presenti, per la GNR,
677
il battaglione «Nembo», il 29º battaglione «M»; la 1ª compagnia OP Brescia, il battaglione OP Torino, le compagnie
OP di Como e di Cremona della GNR, il Corpo corazzato
«Leonessa», il battaglione allievi scuola della GNR di Rivoli,
la compagnia Giovani Fascisti «Bir El Gobi», la 1ª Brigata
Nera Mobile della XIII Brigata Nera «Marcello Turchetti» e
un distaccamento della Brigata Nera «Ather Capelli»; molte
di queste unità fasciste repubblicane erano state trasferite in
Val di Susa tra giugno e luglio. Le fonti tedesche ci riportano
tra le ile partigiane e tra i civili 122 morti, diversi feriti (68)
e un certo numero di prigionieri (da 7 a 151), più 48 arrestati
appartenenti alle classi tra il 1914 e il 1927, che sarebbero stati
avviati al lavoro coatto.
Operazioni più circoscritte sarebbero continuate tutta
l’estate soprattutto nel Cuneese e nel Torinese, nella Valli di
Lanzo e in Valle di Susa.378 Poi verso l’autunno si ripeteva
nelle Valli di Lanzo, a Viù e nel Canavese una vasta operazione (Straßburg) contro le insorgenze locali ad opera sostanzialmente dello schieramento già collaudato nell’operazione
Nachtigall, a cui si sarebbero aggiunti i battaglioni «Lupo»,
«Tarigo», «Nuotatori Paracadutisti» e «San Giorgio» della X
Mas, per un totale di 3.241 uomini. Nel corso dell’operazione, che avrebbe costretto le formazioni partigiane a spostarsi
in Francia, a fronte di un numero di caduti tra 6 e 76 registrati dalle fonti tedesche tra i rastrellatori, venivano fatti 459
(secondo un documento 460) morti tra partigiani e civili e
centinaia di prigionieri (295), 102 dei quali poi utilizzati come lavoratori schiavi.379
La Straßburg rappresentò altresì una sorta di cerniera tra
la fase estiva e l’ondata di rastrellamenti autunnali, mirante
anche in Piemonte a riprendere il controllo delle aree periferiche su cui l’occupante tedesco e le autorità salodiane avevano, volente o nolente, allentato la presa nell’estate.
Come già si è detto, Kesselring decideva di lanciare un’ultima campagna antipartigiana di cui la I (8-14 ottobre) e la
II settimana (27 novembre-2 dicembre) di «lotta alle bande» avevano rappresentato il momento di massimo sforzo.
678
Il comando delle operazioni, afidato globalmente all’armata
«Liguria», sarebbe stato suddiviso tra i due corpi d’armata
che la componevano, e cioè il LXXV della Wehrmacht, a cui
sarebbero state sottoposte, in diversi periodi, la maggior parte della 148ª divisione di fanteria, settori della 34ª divisione
di fanteria, e due divisioni da montagna, la 5ª e la 157ª; e
il «Lombardia», grande unità a guida salodiana composta,
con variazioni nel corso del tempo, dalla divisione San Marco, dal gruppo di combattimento Monterosa, dalla 232ª divisione di fanteria tedesca e da aliquote della 148ª divisione
di fanteria, anch’essa della Wehrmacht, nonché, sia pure per
un breve periodo, la 162ª divisione di fanteria Turk, oltre a
unità minori, tra cui la Sicherheits-Abteilung.380 Nella fascia
interna, prevalentemente nel Cuneese, e lungo le direttrici
Asti-Genova-Piacenza e Imperia-Savona-Cuneo-Genova,
avrebbe agito prevalentemente il LXXV corpo d’armata,
mentre al «Lombardia» sarebbe stata afidata la difesa della
costa ligure.381
La prima grande operazione, denominata Avanti, si svolgeva tra il 9 ottobre e il 4 novembre; posta al comando della
centrale SS e di polizia Oberitalien-West prendeva di mira la
Repubblica partigiana dell’Ossola, tra Cannobina e Vigezzo.
Ad agire fu uno schieramento composito in cui era netta la
prevalenza delle unità di polizia: della Orpo il I e il II battaglione e unità reggimentali del 15° reggimento, nonché il
3° battaglione del 20° reggimento, della Waffen-GrenadierBrigade der SS (italienische Nr. 1) il gruppo di combattimento
Noweck così composto: II battaglione dell’81° reggimento
granatieri, battaglione fucilieri e I e II gruppo del 59° reggimento artiglieria; alla Wehrmacht appartenevano un reparto anticarro, la prima compagnia del 212º reparto della
Flak (Luftwaffe), una unità corazzata; tra i salodiani erano
presenti della GNR i battaglioni «M» Venezia-Giulia, Montebello, 115º, la Legione «M» della Guardia del Duce, la 103ª
compagnia coninaria; delle forze armate regolari della RSI
il battaglione «Azzurro» del reggimento Arditi-Paracadutisti
«Folgore» (a quel punto dipendente dall’Aviazione repubbli679
cana), l’80° gruppo di intervento della Marina, unità della X
Mas stanziate a Pallanza, membri della scuola Allievi Uficiali dell’esercito con sede a Varese, e, secondo fonti militari
italiane, aliquote della divisione «Monterosa», per un totale
di 2.765 effettivi. La caduta della Repubblica ossolana fu accompagnata, secondo le fonti disponibili, da ingenti perdite
partigiane: oltre 500 caduti e diverse centinaia di prigionieri,
in parte destinati all’impiego come lavoratori coatti (la cifra
di questi ultimi oscilla tra 216 e 268).382
Il rastrellamento che si svolse tra il 12 e il 24 novembre
nelle Langhe, in stretta connessione con la caduta della Repubblica di Alba, veriicatasi il 2 precedente per mano di
reparti della RSI, fu invece organizzato dal comando della
34ª divisione, che impiegò dai propri ranghi l’80° reggimento
granatieri, il 34° battaglione fucilieri in forza alla divisione
medesima (denominato colonna Schubert dal nome del suo
comandante), aliquote del reparto divisionale anticarro e del
battaglione divisionale di riserva il II battaglione del 100°
reggimento cacciatori da montagna (inquadrato nella 5ª divisione della medesima specialità), servendosi inoltre del II
battaglione del 100° reggimento cacciatori da montagna (inquadrato nella 5ª divisione della medesima specialità); a essi
si aggiunsero un gruppo di combattimento della 13ª divisione
costiera della Kriegsmarine, nonché unità della RSI: i Cacciatori degli Appennini e un battaglione della divisione «San
Marco». La resistenza frapposta dai partigiani avrebbe inlitto ai rastrellatori 12 morti e 21 messi fuori combattimento (di
cui rispettivamente 4 e 12 tra i salodiani); essi sarebbero però
riusciti a cagionare ai propri avversari 137 caduti e 122 feriti
secondo le fonti tedesche, rispettivamente 165 e 32 secondo
quelle militari italiane, le quali danno conto anche di 364 catture; tra i prigionieri alcuni risultano deportati a Mauthausen, dopo essere passati per il DuLag di Bolzano:
«[Nel] trasporto [...] che parte il 1 febbraio 1945 [da Bolzano]
per Mauthausen [...] vi sono 11 cuneesi di cui 8 partigiani [...].
Parecchi di loro erano stati arrestati nell’ambito dei grandi rastrellamenti del novembre-dicembre contro le formazioni Autonome
680
di Enrico Martini “Mauri” e le brigate Garibaldine delle Langhe
dopo la caduta della Repubblica partigiana di Alba, o contro le
autonome Rinnovamento della Valle Pesio».383
A metà novembre veniva lanciata un’ulteriore operazione
(Herbstzeitlose) in provincia di Torino, nel Canavese, tra gli
abitati di Corio e del Pian d’Audi. Sotto il comando della 157ª
divisione da montagna, inquadrata nel LXXV corpo d’armata dell’Armata Liguria, due Ost-Bataillonen, il 617° e il 406°,
formati entrambi da ex prigionieri di guerra russi e posti agli
ordini dello stato maggiore del 38° Sicherungs-Regiment, rastrellavano la zona, uccidendo 64 persone tra partigiani e civili e facendo 14 prigionieri.384
L’Alto Monferrato, al conine con la Langa, dove tra l’estate e l’autunno si era venuta costituendo un’importante zona
libera in cui il potere era detenuto dalle forze della Resistenza, fu oggetto dalla metà di novembre di una grande offensiva, protrattasi ino alla vigilia di natale 1944 e segnata, il 2
dicembre, dalla caduta di Nizza, centro della zona libera. Avviato il 15 novembre come operazione di polizia sotto la direzione dell’Oberitalien-West con la denominazione di Koblenz,
il rastrellamento avrebbe visto il 2 dicembre, con l’attacco
alla capitale della zona libera, l’intervento diretto del corpo
d’armata «Lombardia», mutando di conseguenza la propria
denominazione in Koblenz-Süd; ad agire sul terreno sarebbe
stato il 15° reggimento della Orpo, unità della Gendarmerie,
aliquote della Flak (quindi Luftwaffe), e, tra i salodiani, forze
della Legione autonoma «Ettore Muti», della divisione «San
Marco» e della GNR. La documentazione tedesca fa cenno a
un solo caduto, italiano, e a 23 feriti in tutto tra i rastrellatori,
mentre le perdite tra partigiani e civili vengono quantiicate
in un numero variabile ma comunque elevato di morti (da 85
a 170), parecchie centinaia di prigionieri (da 361 a 571), da
quasi 1000 a 1500 avviati al lavoro coatto. è comunque certo che una quota, sia pur minoritaria, dei catturati sarebbe
stata deportata, con destinazione inale Mauthausen e Flossenbürg.385
681
«La GNR di Asti afferma di avere catturato, tra il 2 ed il 10 dicembre 1944, 110 partigiani nella sola zona di Rocchetta Tanaro,
Belveglio e Mombercelli, mentre fonti partigiane parlano di circa
150 uomini che, entro la metà del mese, vengono arrestati o si
consegnano spontaneamente sperando di evitare l’invio in Germania. In realtà [...] i rastrellati nel corso dell’intera operazione
sono diverse centinaia e, tra loro, i partigiani non costituiscono la
maggioranza [...]. Le centinaia di persone fermate nel corso del
grande rastrellamento [...] seguono [...] un percorso [particolare]:
condotti nella caserma di Felizzano, vengono in parte liberati ed in
parte trasferiti alla carceri Nuove di Torino. In questo quadro [...],
appare interessante analizzare un caso speciico, particolare perché “collettivo”, rimasto a segnare in modo indelebile la memoria
della comunità coinvolta: Rocchetta Tanaro è un paese contadino adagiato lungo la riva del iume, con alle spalle ripide colline
coperte di vigneti e di boschi, ai conini della “repubblica partigiana”. Il rastrellamento [...] provoca lo sbandamento del locale
distaccamento della 100° brigata Garibaldi, un giovane partigiano
muore negli scontri ed in paese si insedia un presidio fascista. Un
proclama irmato dal comandante della Brigata Nera di Alessandria promette agli sbandati e ai renitenti che si consegnano un
trattamento di favore. Dopo molte esitazioni, il 7 dicembre il comandante del distaccamento, fratello del partigiano caduto pochi
giorni prima, viene convinto dalla madre a consegnarsi alla Brigata
Nera ed il suo esempio viene seguito da diversi giovani del paese.
Nonostante le promesse e le assicurazioni ricevute, 37 rocchettesi
vengono trasferiti alle Nuove di Torino e deportati nelle settimane
successive. [...] 31 di loro [sarebbero restati] a Bolzano, tre [inirono] a Flossenbürg, due a Mauthausen e uno a Buchenwald.»386
La Liguria
Per quanto riguarda la Liguria, la prima azione violenta di
rappresaglia contro la popolazione civile si era veriicata a
Savona il 23 dicembre 1943: in seguito a un attentato in un
locale abitualmente frequentato da fascisti, che aveva causato
alcuni morti e feriti, tra cui due tedeschi, erano state arrestate 70 persone e fucilati sette antifascisti.387 Le aree alpine e
appenniniche della regione sarebbero poi state ovviamente
coinvolte dai grandi rastrellamenti primaverili in val Casotto
e sul monte Tobbio, di cui si è già dettagliatamente parlato,
682
nonché da quello, coevo, svoltosi tra il 4 e il 7 aprile tra il
monte Gottero e Sesta Godano, un’area a cavallo tra La Spezia e Massa, dove ad agire, sotto la guida della 135ª brigata da
fortezza, sarebbero stati il 907º battaglione da fortezza tedesco e la X Mas. I rastrellatori avrebbero avuto solo un ferito,
mentre tra partigiani e civili si sarebbero lamentati 12 caduti
e 35 prigionieri.
Dopo la nascita delle cosiddette «repubbliche partigiane» e la strutturazione per zone operative partigiane della
regione,388 a luglio i comandi tedeschi decidevano di avviare
un piano di attacco tramite una serie di operazioni in diversi
punti della costa, volte a tenere sgombre le vie di comunicazione con l’entroterra. Particolarmente attivo si dimostrò il
3º battaglione cacciatori d’alta montagna (Hochgebirgsjäger),
inquadrato nel LXXV Corpo d’armata e comandato dal
maggiore Friedrich Bader, che a Taggia, nel Savonese, rastrellò 91 persone poi trasferite in Germania,389 e che il 21 luglio avrebbe occupato il centro abitato di Castiglione Chiavarese, catturando 60 persone in parte soggette agli obblighi
di leva.390
Il 14 precedente il 25º reggimento cacciatori, inquadrato
nella 42ª divisione cacciatori posta agli ordini del reparto di
corpo d’armata Lieb, rastrellava la zona intorno al Monte
Carmo, in particolare le località di Toirano e Bardineto, uccidendo 4 partigiani, arrestandone altri 22 prigionieri e catturando 50 civili.391 A ine luglio, tra il 25 e il 29, la 34ª divisione
di fanteria passava al setaccio Albenga, Garessio, Pievetta,
Ceva e diversi altri comuni della Val Tanaro lungo la strada
statale 28, linea di collegamento tra il basso Piemonte e la
riviera ligure; l’operazione portava a una quindicina di morti
e alla cattura di 49 uomini, poi trasferiti come lavoratori coatti nelle installazioni produttive della ReiMaHG di Kahla.392
Il 27 luglio in provincia di La Spezia, in seguito alla cattura
di alcuni militari tedeschi caduti in mano partigiana, reparti
della marina tedesca e della contraerea (Flak) attaccarono per
rappresagli le località di Piana Battola e Bovecchio, dove erano stati visti «ribelli», e arrestarono 42 persone; dopo alcuni
683
scontri a fuoco nei pressi di una delle località venivano catturati altri 52 civili; in totale 94 persone sarebbero in seguito
state avviate al lavoro coatto.393 Tra il 9 e il 10 agosto presso
Lavaggiorosso, Levanto e Bonassola, a nord-ovest di La Spezia, la 135ª brigata da fortezza conduceva un rastrellamento
che portava alla cattura di più di 200 persone.394
Dalla grandi operazioni antiguerriglia dell’autunno sarebbe stata colpita soprattutto la Liguria orientale, a un tempo
retrovia del fronte ormai assestatosi sul tratto della Linea
Gotica collocato nell’adiacente Lunigiana e punto di contatto
con l’Oltrepò Pavese. Il 23 agosto, nei giorni immediatamente precedenti l’avvio della prima vasta offensiva sull’Appennino ligure-piemontese-emiliano, vennero passati a setaccio
alcuni comuni della Lunigiana a cavallo delle province di La
Spezia e Massa Carrara, nell’area a ovest di Tresana, Aulla,
Villafranca. A guidare l’operazione fu il XIV corpo d’armata
corazzato, mentre ad agire furono unità del 40° reggimento
cacciatori della 20ª divisione da campo della Luftwaffe. L’operazione terminava con la distruzione di alcuni magazzini di
munizioni, 2 morti e 210 prigionieri.395 Il 7 settembre il monte
Caucaso a nord di Rapallo veniva rastrellato dalla divisione
«Monterosa», alla caccia di membri di un proprio reparto
che avevano disertato; l’azione, disposta dal corpo d’armata
Lombardia, portava all’uccisione di 6 persone, alla cattura di
20 disertori, dei quali 8 passati per le armi, e al trasferimento
in Germania di 70 prigionieri.396 Il 13 settembre a Fosdinovo, località a nord di Sarzana, tra La Spezia e Massa Carrara,
un rastrellamento condotto sotto il comando del XIV corpo d’armata corazzato sfociava nell’uccisione di 12 persone e
nella cattura di altre 113.397
La campagna antipartigiana lanciata da Kesselring a ottobre avrebbe colpito anche qui; con la prima settimana di lotta
alle bande sarebbero stati sferrati attacchi in forza tra l’Imperiese e il Cuneese colpendo i centri abitati di Pigna, Triora,
Mendatica, Upega; poi con l’operazione Milano, di cui già si
è detto, sarebbe stata investita tutta l’area dei monti Antola,
Caucaso e di Torriglia; e inine nello spazio lunigianense tra
684
La Spezia e Massa furono rastrellati i comuni di Villafranca
in Lunigiana, Mulazzo, Rocchetta di Vara e Tressana.
Tra la ine di novembre e dicembre la riviera di Levante
veniva coinvolta nel ciclo di rastrellamenti pianiicati per liberare le linee di comunicazione alle spalle della Linea Verde, attraverso le succitate operazioni Heygendorff e Aachen,
completate dal 19 al 23 dicembre con l’operazione Straßburg
che prese di mira lo spazio a est della strada statale 35 tra
Ronco Scrivia e Bolzaneto estendendosi ino a Torriglia, al
monte Antola e al monte Carmo. Sotto il comando del corpo
d’armata «Lombardia», vennero utilizzati da parte tedesca
un battaglione della 162ª divisione di fanteria «Turk», unità
della 135ª brigata da fortezza guidata da Kurt Almers, unità
di allarme, gruppi di artiglieria dell’esercito e della Kriegsmarine, e per i salodiani, la 4ª compagnia della divisione «Monterosa», la XXXI Brigata Nera «Silvio Parodi», reparti della
GNR. Le fonti tedesche danno come esito dell’operazione
20 caduti e 4 feriti, a fronte di un morto tra le proprie ile, e
affermano di aver potuto, grazie all’azione, riprendere il controllo delle strade. In chiusura val la pena di segnalare l’operazione antipartigiana, avvenuta tra il 6 e il 29 gennaio 1945
in provincia di Imperia, sotto il comando della 34ª divisione
di fanteria; sul terreno furono impegnati l’80° reggimento
granatieri e il gruppo di combattimento Klingelmann per i
tedeschi; per i salodiani il raggruppamento Cacciatori degli
Appennini. Il risultato sarebbe stato di 17 morti, 1 ferito, 14
prigionieri tra i partigiani, unitamente alla cattura di 200 renitenti alla leva.398
Note
1
Mario Giovana, Resistenza nel Cuneese: storia di una formazione partigiana, Torino, Einaudi, 1964, pp. 79-80.
2
Per una rilessione sulla violenza nazista in territorio italiano mi permetto di rimandare a Fiammetta Balestracci, Il nazismo e gli storici italiani
dopo l’89. La questione della violenza, in «Annali dell’Istituto storico italogermanico in Trento», anno XXXIV, 2008, pp. 533-556.
685
3
Antonio Politi, Le dottrine tedesche di controguerriglia 1936-1944, Roma,
Uficio storico dello Stato maggiore dell’Esercito, 1991.
4
Per una teorizzazione dei crimini coloniali come precedente della violenza nazista, cfr. Enzo Traverso, La violenza nazista. Una genealogia, Bologna, Il Mulino, 2002.
5
Cfr. le pagine dedicate al quadro baltico nell’immediato primo dopoguerra in Davide Artico, Brunello Mantelli (a cura di), Da Versailles a Monaco. Vent’anni di guerre dimenticate, Torino, UTET, 2010.
6
I testi di riferimento sono Antonio Politi, Le dottrine tedesche di controguerriglia, cit.; Cecilia Winterhalter, L’eficienza della resistenza armata
nell’Italia del 1943-1945 secondo la valutazione nazista, in «Il Risorgimento»,
anno XLII, 1991, n. 1, pp. 55-81; Hanns Schneider-Bosgard, Bandenkampf.
Resistenza e controguerriglia al conine orientale, a cura di Antonio Sema, Gorizia, Libreria Editrice Goriziana, 2003 [edizione originale Bandenkampf in
der Operationszone adriatisches Küstenland, Triest, Deutscher Adria-Verlag,
1944; si tratta di un manuale pratico di controguerriglia, come mostra il
sottotitolo-avvertenza: nur für den Dienstgebrauch = solo per persone autorizzate].
7
L’uso del termine «rastrellamento», così come qui inteso, diventa prevalente su altre accezioni in Italia dopo le azioni militari compiute nel corso
della Seconda guerra mondiale dalle forze armate tedesche e italiane. Prima
di allora il termine era utilizzato soprattutto in ambito agricolo; nella terminologia militare era riferito solitamente all’operazione di sminamento di
un territorio. All’azione militare in un contesto di guerra non convenzionale, seguita dall’eventuale cattura di civili, ci si riferiva con termini vari quali
massacri, stragi e razzie di uomini. Nei grandi dizionari e nelle enciclopedie
italiane dell’Ottocento e della prima metà del Novecento, il termine o non
è registrato, oppure compare nelle vecchie accezioni suaccennate, mentre si
trova la voce con il signiicato qui attribuito nei grandi dizionari e nelle enciclopedie militari posteriori all’ultimo conlitto mondiale.
8
Nelle fonti consultate da Carlo Gentile, che ha studiato a fondo questa
prassi militare, si rintracciano i seguenti termini: Such- und Vergeltungsmaßnahme, Sühnemaßahme, Jagdunternehmen, Kesselunternehmen, Stoßtruppunternehmen, Säuberungsaktion, Aufklärungsaktion, per citare quelli più utilizzati.
9
Il database sui rastrellamenti elaborato da Carlo Gentile è stato trasmesso a suo tempo al gruppo di ricerca torinese; dal 2007 al 2011 l’elenco
è stato consultabile on line sul sito dell’Università di Pisa, all’URL: http://
www.stm.unipi.it:81/stmstragi/documentita.php, dove però da tempo non è
più visibile. Questo saggio era già stato completato quando è stato reso disponibile al lettore il frutto compiuto e maturo delle ricerche dello stesso
Gentile, Wehrmacht, Waffen-SS und Polizei im Kampf gegen Partisanen und
Zivilbevölkerung in Italien, Paderborn, Schöningh, 2012, di cui è annunciata l’imminente traduzione italiana presso la casa editrice subalpina Einaudi.
686
Nel volume sono comunque conluiti e sono stati rifusi i numerosi studi di
cui qui si è cercato di dare conto.
10
Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I
deportati politici 1943-1945, Milano, Mursia, 2009, volume I del Libro dei deportati, ricerca del Dipartimento di Storia dell’Università di Torino diretta da
Brunello Mantelli e Nicola Tranfaglia, promossa da ANED – Associazione
Nazionale Ex Deportati.
11
Vorrei ricordare con gratitudine le persone che dal 2003 a oggi hanno
contribuito con conversazioni informali e scambi di informazioni a sviluppare questa ricerca. Tra loro Barbara Berruti, Enzo Collotti, Stefano Di Giusto, Lorenzo Gardumi, Carlo Gentile e Liliana Picciotto. Vorrei ringraziare
inoltre, per la disponibilità e la collaborazione prestata, la Biblioteca della
Fondazione del Museo Storico di Trento, la Biblioteca dell’Istituto Storico
della Resistenza in Piemonte di Torino e la Biblioteca della Fondazione Luigi
Einaudi di Torino.
12
Per un inquadramento della politica d’occupazione nazista in Italia
all’interno del contesto bellico generale, cfr. Giorgio Rochat, La campagna
d’Italia 1943-45, in Enzo Collotti, Renato Sandri, Frediano Sessi (a cura di),
Dizionario della Resistenza, volume I, Storia e geograia della Liberazione, Torino, Einaudi, 2000, pp. 193-206. Sul dibattito in seno alla direzione politica
e militare tedesca circa la strategia da adottare in Italia, una volta disarmate le Regie forze armate, rinvio a Josef Schröder, Italiens Kriegsaustritt 1943.
Die deutschen Gegenmassnahmen im italienischen Raum. Fall «Alarich» und
«Achse», Göttingen, Musterschmidt, 1969.
13
Per una rilessione generale sui metodi e sulla funzionalità della «guerra antipartigiana» nei piani dell’esercito tedesco sui diversi fronti, compreso
quello italiano, cfr. Lutz Klinkhammer, La guerra antipartigiana della Wehrmacht. 1941-1944, in «Memoria e ricerca», n. 16 n.s., maggio-agosto 2004, pp.
9-32.
14
Sulla «guerra ai civili» in Italia si è sviluppato un ampio dibattito, la cui
origine si deve far risalire alla pubblicazione a metà anni Novanta del libro
di Friedrich Andrae, La Wehrmacht in Italia: la guerra delle forze armate tedesche contro la popolazione civile, 1943-45, Roma, Editori Riuniti, 1997 [edizione originale «Auch gegen Frauen und Kinder». Der Krieg der Wehrmacht gegen die Zivilbevölkerung in Italien 1943-1944, München, Piper, 1995]. Andrae
riprendeva le rilessioni di Gerhard Schreiber in La Wehrmacht e la guerra
ai partigiani in Italia «anche contro donne e bambini», in «Studi piacentini.
Rivista dell’Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea», n. 15,
1994, pp. 97-120. Al libro di Andrae ha fatto seguito lo studio di Paolo Pezzino, Michele Battini Guerra ai civili. Occupazione tedesca e politica del massacro 1944, Venezia, Marsilio, 1997, da cui è emersa la funzionalità di questa
pratica di violenza nella politica antipartigiana tedesca sul fronte italiano. Su
tale aspetto della politica di occupazione sono fondamentali i contributi raccolti nei volumi di Gabriella Gribaudi (a cura di), Terra bruciata. Le stragi na-
687
ziste sul fronte meridionale, Napoli, L’ancora del Mediterraneo, 2003; Eadem,
Guerra totale. Tra bombe alleate e violenze naziste. Napoli e il fronte meridionale 1940-44, Torino, Bollati Boringhieri, 2005; Gianluca Fulvetti, Francesca
Pelini (a cura di), La politica del massacro. Per un atlante delle stragi naziste in
Toscana, Napoli, L’ancora del Mediterraneo, 2006; Luciano Casali, Dianella
Gagliani (a cura di), La politica del terrore. Stragi e violenze naziste e fasciste in
Emilia Romagna, Napoli, L’ancora del mediterraneo, 2008.
15
Lutz Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia 1943-1945, Torino,
Bollati Boringhieri, 1993 [edizione originale: Zwischen Bündnis und Besatzung. Die nationalsozialistische Deutschland und die Republik von Salò 1943
bis 45, Tübingen, Niemayer, 1993], pp. 51-69.
16
Ivi, p. 51 e ss. La struttura dell’occupazione era stata deinita con
un’ordinanza del Führer il 10 settembre 1943, a cui avrebbe fatto seguito
un’ordinanza dell’OKW il 10 ottobre successivo.
17
Per una descrizione dell’apparato di polizia in Italia vedi Carlo Gentile,
Lutz Klinkhammer, Gegen die Verbündeten von einst, in Gerhard Paul, Klaus
Michael Mallmann (a cura di), Die Gestapo im zweiten Weltkrieg. «Heimatfront» und besetztes Europa, Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgesellschaft,
2000, pp. 521-540; Guido Pisi, Aussenkommando Parma. L’attività della Polizia di sicurezza-SD, in «Storia e Documenti», n. 5, 1999, pp. 63-92; Enzo
Collotti, Dati sulle forze di polizia fasciste e tedesche nell’Italia settentrionale
nell’aprile 1945, in «Il Movimento di Liberazione in Italia», n. 71, 1963. Per
quanto riguarda l’attività della macchina repressiva e deportatoria nell’Italia
occupata si rinvia agli studi contenuti in Brunello Mantelli (a cura di), Deportati, deportatori, tempi, luoghi, Milano, Mursia, 2010, vol. II del Libro dei
deportati, ricerca del Dipartimento di Storia dell’Università di Torino diretta
da Brunello Mantelli e Nicola Tranfaglia, promossa da ANED – Associazione Nazionale Ex Deportati.
18
Vedi Guido Pisi, Aussenkommando Parma, cit., p. 64.
19
Carlo Gentile, Lutz Klinkhammer, Gegen die Verbündeten von einst,
cit., p. 527.
20
L’Einsatzkommando Bürger era composto da tre compagnie della Orpo
che avevano operato nell’Ucraina occupata contro i partigiani sovietici, poi
all’inizio di dicembre 1943 erano state trasferite in Italia e dislocate a Varese.
Avevano condotto i primi combattimenti in Val Maira, nel cuneese, nel marzo 1944, poi in aprile, dopo la nomina di Bürger a comandante della zona di
polizia Mittelitalien, erano state trasferite in Umbria. Erano state impiegate
nell’area di Perugia e Spoleto, in Toscana in provincia di Arezzo, nell’Appennino tosco-emiliano in provincia di Modena ino a metà agosto, poi, dopo il
trasferimento di Bürger, avevano operato in Veneto e Lombardia. In proposito cfr. Carlo Gentile, La repressione antipartigiana tedesca nel Veneto e nel
Friuli, in Angelo Ventura (a cura di), La società veneta dalla Resistenza alla
Repubblica, Padova, Cleup, 1997, p. 205, nota 74.
21
L’uficiale di polizia e della SS Herbert Andorfer era stato in preceden-
688
za (1941) massimo responsabile della polizia e della SS a Belgrado nonché,
dal gennaio 1942, comandante del Lager di Semlin (in serbo Sajmište) dove
furono gasati oltre 7.000 ebrei. Cfr. Brunello Mantelli, Furor italicus e furor
teutonicus. I rastrellamenti nelle Marche nel quadro delle operazioni antipartigiane 1943-45, in Sergio Bugiardini (a cura di), Violenza, tragedia e memoria
della Repubblica sociale italiana, Roma, Carocci, 2007, p. 281. Cfr. inoltre le
note biograiche contenute in Carlo Gentile, La repressione antipartigiana tedesca nel Veneto e nel Friuli, cit., pp. 171-213; in particolare a p. 180.
22
Sulle funzioni delle unità impiegate dall’amministrazione militare nella
repressione antipartigiana cfr. Carlo Gentile, La repressione antipartigiana tedesca nel Veneto e nel Friuli, cit., p. 180, nota 13.
23
Sul conlitto apertosi tra i comandi delle diverse strutture di occupazione per il comando sulla lotta alle bande, oltre a Kutz Klinkhammer, L’occupazione tedesca, cit., p. 343, vedi le ricostruzioni dettagliate di Carlo Gentile, Truppe tedesche, repressione antipartigiana e stragi di civili in Toscana, in
Idem (a cura di), Le stragi nazifasciste in Toscana 1943-45. Guida archivistica
alla memoria. Gli archivi tedeschi, con una prefazione di Enzo Collotti, Roma,
Carocci, 2005, pp. 68-131; e di Gerhard Schreiber, La controguerriglia tedesca
in Italia, in Pier Paolo Poggio, Bruna Micheletti (a cura di), La guerra partigiana in Italia e in Europa. Relazioni presentate al convegno, Brescia, 22-24 marzo
1995, «Annali della Fondazione Luigi Micheletti», n. 8, 2001, pp. 117-120.
24
Reparto speciale impiego R, dove la R stava per Reinhard, nome in codice dell’azione di sterminio condotta nel territorio polacco occupato e chiamata appunto Aktion o Einsatz Reinhard.
25
Karl Heinz Bürger «era (...) un ex insegnante di scuola elementare di
40 anni, entrato a 19 anni a Monaco nella milizia di partito SA, partecipò al
fallito Putsch hitleriano del 9 novembre 1923 e fu membro del partito nazionalsocialista a partire dall’aprile 1927; passato dalle SA alle SS nel gennaio
1933 e dopo dificoltà economiche nel periodo di Weimar, intraprese una
carriera poco spettacolare nel campo dell’istruzione ideologica nazista, ma a
partire dall’estate del 1942, Bürger fu inviato in Russia a fare “esperienza” come capo di un reparto mobile di polizia destinato al Caucaso e poi impegnato
nella repressione antipartigiana in Ucraina. Con il suo reparto al completo
egli giungerà in Italia nel dicembre 1943», in Carlo Gentile, La repressione
antipartigiana tedesca nel Veneto e nel Friuli, cit., p. 177.
26
Ivi, p. 176.
27
Antonio Politi, Le dottrine tedesche, cit., p. 75 e ss.
28
Luigi Ganapini, La repubblica delle camicie nere. I combattenti, i politici, gli amministratori, i socializzatori, Milano, Garzanti, 1999, p. 42.
29
Andrea Rossi, Le guerre delle camicie nere. La milizia fascista dalla guerra mondiale alla guerra civile, Pisa, Biblioteca Franco Serantini, 2004, p. 95.
30
Secondo i dati raccolti da Carlo Gentile per tutta l’Italia occupata, la
prima partecipazione della GNR ai cicli repressivi tedeschi risalirebbe al rastrellamento compiuto il 3 dicembre 1943 a Cortemilia nell’area del Cuneese
689
sotto il comando dallo stato maggiore del LXXVII corpo d’armata tedesco,
mentre l’ultima operazione datata 19 aprile 1945 si compiva sul Monte Faudo
nella provincia di Imperia. Alcune rilessioni sull’apporto delle forze armate
italiane alla repressione antipartigiana sono svolte da Brunello Mantelli in
Furor italicus e furor teutonicus, cit., pp. 277-282.
31
Dianella Gagliani, Guerra terroristica, in Luciano Casali, Dianella Gagliani (a cura di), La politica del terrore, cit., pp. 29-41, Giancarlo Fulvetti,
La guerra ai civili in Toscana, cit., in Giancarlo Fulvetti, Francesca Pelini (a
cura di), La politica del massacro, cit., pp. 25 e 28 e ss. e Carlo Gentile, Truppe
tedesche e repressione antipartigiana nell’Emilia Occidentale, in «Storia e documenti», n. 6, 2001, p. 121.
32
Lutz Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia, cit., p. 335, nota 59,
circolare di Renato Ricci del 18 aprile 1944.
33
Sulla crisi della GNR cfr. Giampaolo Pansa, L’esercito di Salò nei rapporti riservati della Guardia nazionale repubblicana 1943-44, Milano, Istituto
nazionale per la storia del movimento di liberazione, 1969 (più volte ristampato presso Arnoldo Mondadori, dal 1991 con il titolo Il gladio e l’alloro),
p. 108 e ss.; Luigi Ganapini, La repubblica delle camicie nere, cit., pp. 44-45.
Secondo i dati forniti da Rodolfo Graziani la GNR aveva toccato il massimo
della sua espansione nel gennaio 1944 con 140.000 militi, scesi nel giugno
1944 a 93.000 di cui 48.000 alle dipendenze dei tedeschi e 45.000 alle dipendenze dello stato maggiore ma immobilizzati nell’organizzazione territoriale.
Secondo i dati riportati da Ganapini, nell’ottobre 1944 se ne contavano appena 32.000, mentre si aggiravano intorno ai 72.000 nell’aprile 1945.
34
Il decreto è riprodotto in Dianella Gagliani, Brigate Nere. Mussolini e la
militarizzazione del Partito fascista repubblicano, Torino, Bollati Boringhieri,
1999, pp. 273-283.
35
Ivi, p. 50.
36
Ivi, p. 125.
37
Secondo Dianella Gagliani, tra luglio e ottobre 1944 i militi delle BN
ammontavano a 17.440, mentre Pansa parla di 22.000 a ine guerra, sulla base
delle stime tedesche (cfr. Dianella Gagliani, Brigate Nere, cit., p. 164; e Giampaolo Pansa, L’esercito di Salò, cit., p. 154).
38
Dianella Gagliani, Brigate Nere, cit., p. 197.
39
Massimiliano Griner, La «pupilla» del Duce. La Legione autonoma mobile Ettore Muti, Torino, Bollati Boringhieri, 2004, p. 140 e ss.
40
Carlo Gentile, Truppe tedesche e repressione antipartigiana nell’Emilia
occidentale, cit., pp. 115-134.
41
Marco Ruzzi, L’apparato militare della RSI in provincia di Cuneo: le unità
del Centro addestramento reparti speciali (CARS). Aprile-dicembre 1944, in «Il
presente e la storia», n. 46, 1994, pp. 125-170. Sul Co.gu cfr. nota 41 a p. 140.
42
Sul Korpsabteilung Lieb v. Carlo Gentile, Tedeschi in Italia. Presenza
militare nell’Italia nord-occidentale, in «Notiziario dell’Istituto storico della
Resistenza in Cuneo e provincia», 1991, n. 40, pp. 29-30.
690
43
Secondo i dati forniti da Pansa a causa delle fughe, senza contare le
fucilazioni per indisciplina, nell’autunno la San Marco e la Monterosa avevano rispettivamente perso, per diserzione 1.400 e 1.015 unità (cfr. Giampaolo
Pansa, L’esercito di Salò, cit., p. 182).
44
Il nucleo originario delle Waffen SS si era formato nel 1934 dalla fusione della guardia del corpo di Hitler (Leibstandarte Adolf Hitler) e delle
squadre politiche d’intervento della SS (Politische Bereitschaften der SS). Nel
giugno del 1944 ne facevano uficialmente parte circa 600.000 uomini, parte
dei quali non tedeschi reclutati, su base volontaria, nei diversi Stati occupati
dalla Wehrmacht. Su questo corpo politico militare, che si autoproclamava
«d’élite» e che dipendeva strutturalmente da Heinrich Himmler in quanto
SS-Reichsführer, sebbene funzionamente inquadrato, nei teatri di guerra,
nella Wehrmacht e perciò sottoposto in quel contesto alle direttive dell’OKW
cfr. la voce a esso dedicata in Pierre Milza, Serge Berstein, Nicola Tranfaglia, Brunello Mantelli (a cura di), Dizionario dei fascismi, Milano, Bompiani,
2005 (prima edizione 2002), pp. 742-44. Vedi anche ivi alla voce «Collaborazionismo», p. 128. Cfr. inoltre, per quanto riguarda quegli italiani che, dopo
l’8 settembre 1943, scelsero di arruolarvisi, Ricciotti Lazzero, Le SS italiane,
Milano, Rizzoli, 1982.
45
Ce ne sarebbe poi stata una seconda con lo stesso nome ma che avrebbe
interessato la riviera ligure.
46
Cfr. Jack Green, Alessandro Massignani, Il principe nero. Junio Valerio
Borghese e la X Mas, Milano, Mondadori, 2007 [edizione originale: The Black
Prince and the Sea Devils. The story of Valerio Borghese and the elite units of
the Decima MAS, Cambridge, Da Capo, 2004]; e Stefano Di Giusto, Operationszone Adriatisches Küstenland. Udine Gorizia Trieste Pola Fiume e Lubiana durante l’occupazione tedesca 1943-45, Udine, Istituto friulano per la storia
del movimento di liberazione, 2005, p. 415 e ss.
47
Si fa naturalmente riferimento alle province al tempo esistenti,
nell’estensione di allora.
48
Per un esame del sistema di potere nell’Adriatisches Küstenland si vedano Karl Stuhlpfarrer, Le zone d’operazione Prealpi e Litorale Adriatico, Gorizia, Libreria Adamo, 1979 [edizione originale: Die Operationszonen «Alpenvorland» und «Adriatisches Künstenland» 1943-1945, Wien, Hollinek, 1969];
Michael Wedekind, Nationalsozialistische Besatzungs- und Annexionspolitik
in Norditalien 1943 bis 1945. Die Operationszonen Alpenvorland und Adriatisches Küstenland, München, Oldenbourg, 2003.
49
Per una descrizione delle unità dell’esercito presenti nella zona del Litorale Adriatico cfr. Stefano Di Giusto, Operationszone Adriatisches Küstenland, cit., p. 16 e ss.; Carlo Gentile, La repressione antipartigiana tedesca nel
Veneto e nel Friuli; cit., p. 190. Indicazioni utili si trovano anche in Roland
Kaltenegger, Zona d’operazione Litorale Adriatico, Gorizia, Libreria Editrice Goriziana, 1996 [edizione originale: Operationszone «Adriatisches Küstenland». Der Kampf um Triest, Istrien und Fiume 1944/45, Graz-Stuttgart,
691
Stocker, 1993]; e Pier Arrigo Carnier, Lo sterminio mancato. La dominazione
nazista nel Veneto orientale 1943-1945, Milano, Mursia, 1982.
50
Formazione costituita nell’estate 1942 con l’obiettivo di controbattere
nella zona del Carso le attività della Resistenza jugoslava, la componevano
dopo l’8 settembre 1943 volontari in parte originari della zona, di lingua
sia italiana, sia slovena, oltre ad austriaci, tedeschi, ucraini, serbi, croati.
Dall’agosto 1944 sarebbe stata elevata al rango di divisione (24. Waffen-Gebirgs-[Karstjäger-]Division der SS).
51
Maurice Williams, Friedrich Rainer e Odilo Globocnik. L’amicizia insolita e i ruoli sinistri di due nazisti tipici, in «Qualestoria», anno XXV, 1997,
n. 1, pp. 141-175. Per quanto riguarda la polizia vedi Tone Ferenc, La polizia
tedesca nella Zona d’Operazioni «Litorale Adriatico» 1943-1945, in «Storia
contemporanea in Friuli», a. IX, n. 10, 1979, pp. 13-98; Michael Wedekind,
Nationalsozialistische Besatzungs- und Annexionspolitik, cit., pp. 305-348; Stefano Di Giusto, Operationszone Adriatisches Küstenland, cit., pp. 170 e ss.
52
Tone Ferenc, La polizia tedesca nella Zona d’Operazioni «Litorale Adriatico», cit., pp. 77-78 e Stefano Di Giusto, Operationszone Adriatisches Küstenland, cit. p. 309.
53
Sull’attività dei collaborazionisti nel Litorale Adriatico vedi Giancarlo Bertuzzi, Aspetti e vicende del collaborazionismo a Trieste, in Pier Paolo
Poggio (a cura di), La Repubblica Sociale Italiana 1943-45, «Annali della Fondazione-Archivio “Luigi Micheletti”», n. 2, 1986, pp. 175-187, Boris Mlakar,
Rapporti tra collaborazionisti sloveni ed italiani nel Litorale. La politica dell’occupatore tedesco nella zona di operazione del Litorale Adriatico, in «Qualestoria», anno XIV, 1988, n. 1, pp. 69-89; Anna Maria Vinci, Trieste 1943-1945.
Il problema del collaborazionismo, ivi, pp 91-108; Tone Ferenc., La polizia tedesca, cit.; Katja Colja, Il collaborazionismo nell’Adriatisches Küstenland. La
vicenda dei domobranci (1943-1945), in Marta Verginella, Sandi Volk, Katja
Colja, Storia e memoria degli sloveni del Litorale. Fascismo, guerra e resistenza, Trieste, Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel
Friuli-Venezia Giulia, 1994, pp. 123-160, Stefano Di Giusto, Operationszone
Adriatisches Küstenland, cit., pp. 199 e ss. e 407 e ss.
54
Katja Colja, Il collaborazionismo nell’Adriatisches Küstenland, cit., p.
127 e ss. Nell’estate 1944 i Domobranci nella provincia di Lubiana erano circa
12.000, mentre in tutte le province italiane se ne contavano circa 1.850. Cfr.
anche Stefano Di Giusto, Operationszone Adriatisches Küstenland, cit., pp.
489-9 e pp. 323-25. Erano 4.000 gli uomini del Corpo volontari serbi e 7.000
quelli della Divisione dinarica cetnica, cfr. Galliano Fogar, Litorale Adriatico, in Enzo Collotti, Frediano Sessi, Romano Sandri (a cura di), Dizionario
della Resistenza, volume I, Storia e geograia, cit., p. 588.
55
Piero Stefanutti, Novocerkassk e dintorni. L’occupazione cosacca della
Valle del Lago (ottobre 1944- aprile 1945), Udine, Istituto friulano per la storia
del movimento di Liberazione, 1995; Enzo Collotti, Cronache dalla Carnia
sotto l’occupazione nazista. L’insediamento cosacco nel Litorale Adriatico, in «Il
692
movimento di Liberazione in Italia», anno XX, aprile-giugno 1968, n. 91,
pp. 62-102. Diverse indicazioni anche in Pier Arrigo Carnier, Lo sterminio
mancato, cit., p. 141 e ss.
56
Questi numeri includevano anche molti civili, i militari in realtà erano
circa la metà. Cfr. Stefano Di Giusto, Operationszone Adriatisches Küstenland, cit., pp. 500-508.
57
Sulla formazione della zona delle Prealpi vedi Margareth Lun, NS-Herrschaft in Südtirol. Die Operationszone Alpenvorland 1943-1945, InnsbruckWien, Studien-Verlag, 2004, p. 63 e ss.; Michael Wedekind, Nationalsozialistische Besatzungs- und Annexionxspolitik, cit., p. 73 e ss; Karl Stuhlpfarrer Le
zone di operazioni Prealpi e Litorale Adriatico 1943-45, cit.
58
Michael Wedekind, Nationalsozialistische Besatzungs- und Annexionspolitik, cit., p. 317.
59
Carlo Gentile segnala 17.000 uomini per il SOD (Idem, La repressione
antipartigiana tedesca, cit., p. 178)
60
Sul SOD e il CST vedi Michael Wedekind, Nationalsozialistische Besatzungs- und Annexionspolitik, cit., p. 332 e ss.; e Margareth Lun, NS-Herrschaft in Südtirol, cit., p. 162. Cfr. inoltre Guido Tomasi, La storia del Corpo
di Sicurezza Trentino, C.S.T. 1944-1945, Trento, Moschini, 2000. Wedekind
attribuisce al CST un massimo di 3.000 uomini (Idem, Nationalsozialistische
Besatzungs- und Annexionxspolitik, cit., p. 336); Tomasi scrive di 3.200 uomini
suddivisi in 13 compagnie (Idem, La storia, cit., p. 47); Carlo Gentile segnala
nel giugno 1944 1.372 uomini per il CST (Idem, La repressione antipartigiana
tedesca, cit., p. 179)
61
Margareth Lun, NS-Herrschaft in Südtirol, cit., p. 155. Nel febbraio 1944
il reggimento Bozen aveva una consistenza di 2.357 uomini.
62
Michael Wedekind, Nationalsozialistische Besatzungs- und Annexionspolitik, cit., p. 324.
63
Maria Garbari, Il gruppo carabinieri di Trento nei venti mesi dell’Alpenvorland, Trento, Società di studi trentini di scienze storiche, 1995; cfr. inoltre
Michael Wedekind, Nationalsozialistische Besatzungs- und Annexionspolitik,
cit., p. 350.
64
Le due disposizioni sono citate e analizzate in Gerhard Schreiber,
La controguerriglia tedesca in Italia, cit., pp. 115-144. Cfr. dello stesso autore La vendetta tedesca. 1943-1945. Le rappresaglie naziste in Italia, Milano,
Mondadori, 2000 [edizione originale: Deutsche Kriegsverbrechen in Italien.
Täter, Opfer, Strafverfolgung, München, Beck, 1996], p. 91 e ss. Sull’entrata
in vigore delle disposizioni in Italia cfr. Lutz. Klinkhammer, Stragi naziste in
Italia 1943-44, Donzelli, Roma, 1997 (il riferimento puntuale è all’edizione
del 2006, p. 51; anche in seguito le pagine di volta in volta indicate faranno
riferimento a questa edizione).
65
Enzo Collotti, Obiettivi e metodi della guerra nazista. Le responsabilità
della Wehrmacht, in Leonardo Paggi (a cura di), Storia e memoria di un massacro ordinario, Roma, Manifestolibri, 1996, pp. 24-45. è stato tuttavia osserva-
693
to che i diversi presupposti ideologici dei sistemi di occupazione applicati in
«Occidente» avevano determinato per il contesto italiano una combinazione
di radicalizzazione della violenza e di ricerca del consenso. Cfr. Lutz Klinkhammer, Stragi naziste in Italia 1943-44, cit., in particolare il capitolo L’Italia
nell’Europa nazionalsocialista. La categoria di «Occidente», pp. 143-161.
66
Gerhard Schreiber, La controguerriglia tedesca in Italia cit., 123 e Lutz
Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia cit., pp. 335-338.
67
Cfr. Enzo Collotti, «Occhio per occhio, dente per dente!». Un ordine di
repressione tedesco nel Litorale Adriatico, in «Il movimento di Liberazione in
Italia», n. 86, gennaio-marzo 1967, pp. 27-44; Elio Apih, Dal regime alla resistenza. Venezia Giulia 1922-1943, Udine, Del Banco, 1960.
68
Lutz Klinkhammer, L’occupazione tedesca, cit., p. 131.
69
Ivi, p. 71.
70
Sui complessivi 23.826 deportati politici le cui schede biograiche sono
state pubblicate in Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata
(a cura di), I deportati politici 1943-1945, cit., solo di circa un terzo (8.521 in
tutto) è stato possibile accertare il luogo di cattura; tra essi gli arrestati in
Campania risultano complessivamente 14, i catturati in Calabria 4, in Puglia
2, mentre nessuno viene preso in Basilicata (cfr. ivi, p. 2375). è quindi ragionevole pensare che tra le vittime delle retate e dei rastrellamenti operati dalla
Wehrmacht prima di assestarsi sulla Linea Gustav solo alcune decine possano essere state trasferite nella rete dei KL.
71
In tutto il periodo dell’occupazione, complessivamente, i deportati
in KL dal Litorale Adriatico furono 8.222 (cfr. Silva Bon, La deportazione
dalla Operationszone Adriatisches Küstenland, in Brunello Mantelli [a cura
di], Deportati, deportatori, tempi, luoghi, Milano, Mursia, 2010, volume II
del Libro dei deportati, cit., p. 384); di conseguenza i rastrellati di questi
primi mesi che siano poi stati trasportati in KL possono essere valutati in
qualche centinaio.
72
Nel progetto originario dell’OKW anche questa area avrebbe dovuto
essere trasformata formalmente in zona di operazioni, cfr. Brunello Mantelli,
Le relazioni militari tedesche sul disarmo delle truppe italiane nell’Alessandrino
dall’8 al 9 settembre 1943, in «Quaderno di storia contemporanea», 1990, n.
8, pp. 129-143; Idem, 8 settembre 1943. Il disarmo delle truppe italiane nell’Italia nordoccidentale, in «Mezzosecolo», n. 8, 1989 (recte: 1992), pp. 155-189.
73
Tra essi, per esempio, la retata fatta il 2 gennaio 1944 a Dronero e quella che colpì Saluzzo il 26 e 27 febbraio successivi; cfr. Michele Calandri, La
deportazione politica dalla provincia di Cuneo. Un work in progress, in Brunello Mantelli (a cura di), Deportati, deportatori, cit., p. 122.
74
Gerhard Schreiber, La controguerriglia tedesca in Italia cit., p. 116.
75
Lutz Klinkhammer, L’occupazione tedesca cit., p. 14.
76
Cfr. Carlo Gentile, L’offensiva antipartigiana della primavera 1944, in
Pier Mario Bologna, Marco Ruzzi (a cura di), La battaglia di Val Casotto 13-17
marzo 1944. Atti del Convegno, Castello Cordero di Pamparato, 14 marzo 1999,
694
numero monograico de «Il Presente e la Storia», n. 60, dicembre 2001, pp.
149-185.
77
Cfr. Brunello Mantelli, Aprile 1944. Il grande rastrellamento della Benedicta. Una rilettura attraverso le fonti tedesche, in «Italia contemporanea»,
178, marzo 1990, pp. 83-99; Cesare Manganelli, Brunello Mantelli, Antifascisti, partigiani, ebrei. I deportati alessandrini nei campi di sterminio nazisti 19431945, Milano, Angeli, 1991; Giovanna D’Amico, Brunello Mantelli, Giovanni
Villari, I ribelli della Benedicta. Proili, percorsi, biograie dei caduti e dei deportati, Bologna, Archetipolibri, 2011.
78
Una descrizione dei piani di primavera per la lotta alle bande per la zona nord-occidentale dell’Italia si trova in Lutz Klinkhammer, L’occupazione
tedesca, cit., p. 343 e ss. Sui rastrellamenti vedi inoltre Carlo Gentile, Tedeschi
in Italia, cit., pp. 15-56.
79
Lutz Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia, cit., p. 348-350; Brunello Mantelli, Deportazione dall’Italia (aspetti generali), in Enzo Collotti, Renato Sandri, Frediano Sessi (a cura di), Dizionario della Resistenza, volume I,
Storia e geograia, cit., p. 136.
80
Gerhard Schreiber, La controguerriglia tedesca in Italia cit., p. 127.
81
Lutz Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia cit., p. 356 e ss.
82
Sull’ordine di Kesselring del 20 giugno 1944 vedi Gerhard Schreiber,
La controguerriglia tedesca in Italia, cit., p. 127.
83
Si tratta della seconda Straßburg, la prima riguardò l’area a nord di Torino e il Canavese.
84
Gabriella Gribaudi, Le stragi naziste tra Salerno e la linea Gustav, in
Gabriella Gribaudi (a cura di), Terra bruciata, cit., p. 24 e ss.; Eadem, Guerra
totale, cit., p. 418.
85
Lutz Klinkhammer, L’occupazione tedesca, cit., p. 133.
86
Gabriella Gribaudi, Guerra totale, cit., p. 422.
87
Cfr. ivi, pp. 414-415; inoltre Giuseppe Capobianco, Il recupero della
memoria. Per una storia della Resistenza in Terra di Lavoro, autunno 1943,
Napoli, ESI, 1995, p. 78.
88
Sul caso di Castellammare vedi il saggio di Maria Porzio, Castellammare di Stabia. Violenze e razzie, in Gabriella Gribaudi (a cura di), Terra bruciata,
cit., p. 185 e ss.
89
Vedi Gabriella Gribaudi, «Città distrutta, abitanti sterminati»: Acerra, 2
ottobre 1943, in Eadem (a cura di), Terra bruciata cit., pp. 231-250.
90
Gabriella Gribaudi, Guerra totale, cit., p. 417.
91
Alfredo Zazo, L’occupazione tedesca nella provincia di Benevento (8 settembre-28 ottobre 1943), in «Samnium», 1, 2001, pp. 5-70.
92
Descrizioni di rastrellamenti in queste località si trovano in Gabriella
Gribaudi, Guerra totale, cit., p. 485.
93
Cfr. Marco De Nicolò, Antonio Parisella, Cronologia essenziale della
Resistenza a Roma e nel Lazio (luglio 1943-giugno 1944), in Antonio Parisella
(a cura di), Roma e Lazio 1930-1950. Guida per le ricerche, Milano, Angeli,
695
1994. Sulle repressioni nel basso Lazio cfr. Tommaso Baris, Tra due fuochi.
Esperienza e memoria della guerra lungo la linea Gustav, Bari-Roma, Laterza,
2003.
94
Giuseppe Panimolle, La resistenza nell’Alta Val d’Aniene, Roma, Tipograia Garroni, 1966, pp. 24-24, 74, 77, 143. L’autore parla, genericamente, di
78 «deportati» su una popolazione complessiva di 50.000 abitanti, ma non
sono presenti riscontri se non assai limitati nelle fonti concentrazionarie; tra
le schede biograiche presenti in Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici 1943-1945, cit., sono appena 4 gli
originari di Afile, tra cui tre forse tra loro imparentati: Assunta Peperoni,
deportata a Ravensbrück in data incerta ma poi trasferita a Flossenbürg dove
arriva il 9 ottobre 1944; Giuseppe e Luigi Peperoni, entrambi deportati a Dachau ma in date diverse: il primo sarebbe infatti arrivato nel KL monacense
o il 28 aprile o il 28 settembre 1944, il secondo il 6 settembre dello stesso;
il quarto afilano è Benedetto Ricci, anche lui giunto a Dachau il 28 aprile
1944. Se per loro, in particolare per Benedetto Ricci, Assunta e Giuseppe Peperoni (per quest’ultimo ancor di più se fosse giusta come data d’arrivo il 28
aprile), appare compatibile una deportazione in KL in seguito a una cattura
avvenuta alla ine di settembre dell’anno precedente, meno probabile che abbiano seguito analogo percorso Giulio Fulgori, originario di Mandela, e Loreto Anselmi, di Bellegra, immatricolati entrambi a Buchenwald ma solo il 10
gennaio 1945 il primo, l’11 marzo successivo il secondo (si noti che Fulgori,
immatricolato come Politisch a Buchewald, verrà successivamente classiicato
Jude a Groß Rosen), cfr. per tutti ivi, ad nomen e ad locum. Di conseguenza si
deve ritenere che la quasi totalità dei 78 trasferiti a forza a cui fa riferimento
Panimolle sia stata utilizzata come manodopera coatta. Ad Afile sembra che
per la cattura degli uomini fosse stata decisiva la collaborazione con i tedeschi di un «repubblichino» di Portogruaro.
95
Bruno Di Porto, La Resistenza nel Viterbese, «Quaderni della Resistenza laziale», n. 3, Roma, 1977, p. 38. V. Appendice operazioni.
96
Carlo Gentile, Itinerari di guerra. La presenza delle truppe tedesche nel
Lazio occupato, testo on line in http://194.242.233.149/ortdb/Gentile-ItinerareLazio.pdf, p. 1
97
Cfr. Luca Baldissara (a cura di), Atlante storico della Resistenza italiana,
Milano, Istituto nazionale per la storia del Movimento di Liberazione in Italia - Bruno Mondadori, 2000, tav. 8.
98
Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit.; cfr. Enrico Amatori, La
Resistenza nel Reatino (1943-1944), Rieti, Edizioni Il Velino, 1983, pp. 21-46.
99
Liliana Picciotto Fargion, La storia, in Eadem, Il libro della memoria.
Gli ebrei deportati dall’Italia (1943-1945), Milano, Mursia, 1991, p. 887 e
ss. (l’opera è stata successivamente ristampata, e ampliata, nel 1992, 2002 e
2011). Vedi anche Giacome Debenedetti, 16 ottobre 1943, Roma, OET, 1945;
Fausto Coen, 16 ottobre 1943. La grande razzia degli ebrei di Roma, Firenze,
La Giuntina, 1993.
696
100
Cfr. Walter De Cesaris, La borgata ribelle. Il rastrellamento nazista del
Quadraro e la resistenza popolare a Roma, Roma, Odradek, 2004.
101
Sul DuLag di Fossoli si rinvia all’esaustivo saggio di Anna Maria Ori,
Fossoli. Dicembre 1943-agosto 1944, in Brunello Mantelli (a cura di), Deportati, deportatori, cit., pp. 778-822, e alla bibliograia lì richiamata.
102
Walter De Cesaris, La borgata ribelle, cit., passim.
103
Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit.
104
Cfr. Gianfranco Canali, Umbria, in Enzo Collotti, Renato Sandri, Frediano Sessi (a cura di), Dizionario della Resistenza, volume II, Luoghi, formazioni, protagonisti, Torino, Einaudi, 2001, p. 450 e ss; e Pier Paolo Battistelli,
L’amministrazione militare tedesca, in Luciana Brunelli, Gianfranco Canali (a
cura di), L’Umbria dalla guerra alla resistenza. Atti del convegno «Dal conlitto
alla libertà» (Perugia, 30 novembre-1 dicembre 1995), Foligno-Perugia, Editoriale Umbra – Istituto per la storia dell’Umbria contemporanea, 1998, pp.
178-192.
105
Monica Giansanti, Roberto Monicchia, Rastrellamenti e rappresaglie
in Umbria: la lotta antipartigiana tra controllo dell’ordine pubblico e strategia
militare, ivi, pp. 229-244. Secondo i dati riportati in Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici 1943-1945, cit.,
sono complessivamente 22 i deportati in KL originari del Folignate, cfr. ivi,
ad locum; per alcuni di questi l’arrivo e l’immatricolazione in KL risultano
compatibili con un arresto veriicatosi nei tempi e nelle circostanze qui descritte. Solo un approfondimento speciico che prenda in esame la documentazione anagraica locale potrà darci riscontri più precisi.
106
Nel saggio Monica Giansanti, Roberto Monicchia, Rastrellamenti e
rappresaglie in Umbria, cit., si indicano azioni antipartigiane nel mese di marzo presso Pomonte di Gualdo Cattaneo, Deruta, Collemancio di Cannara il 6
marzo 1944, Borraccia, Poggio Morico, Mustacchio nella zona di Valfabbrica
tra l’8 e il 13 marzo, a Scopoli, Coliorito e San Martino il 15 marzo, a Gualdo
Tadino il 23 marzo, a Sorifa di Nocera Umbra il 25 marzo, a Norcia, Cascia,
Preci, Cerreto di Spoleto, Vallo di Nera, Monteleone di Spoleto tra 29 marzo
e 6 aprile. I due autori sottolineano la collaborazione della GNR con i tedeschi in questi rastrellamenti, collaborazione che tuttavia non risulta sempre
dalle fonti tedesche consultate da Carlo Gentile e messe a disposizione del
gruppo di ricerca.
107
Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit.
108
Ivi.
109
Per il solo mese di aprile Monica Giansanti, Roberto Monicchia, Rastrellamenti e rappresaglie in Umbria, cit., p. 237, parlano di ben 3.105 persone trasferite più a nord, una cifra elevatissima che non corrisponde in alcun
modo al numero dei deportati in KL catturati in zona o di essa originari. La
cifra cala bruscamente a 20 nel mese di maggio. Il volume segnala inoltre, a p.
238, operazioni di rastrellamento, condotte da unità tedesche e della GNR,
presso Gualdo Cerreto (10 aprile 1944), Valtopina, Bandita, Sorifa, Collecro-
697
ce, Valfabbrica, Gualdo Tadino, Nocera Umbra (17 aprile-metà maggio), Costacciaro (25 aprile), Pietralunga (7 maggio), Monte Cucco (14-22 maggio),
Norcia, Sellano, Visso, Cascia (7-11 maggio), Preci (11 maggio).
110
Interventi tedeschi si segnalano per San Giustino di Città di Castello
(8 giugno), Montebuono (8 giugno), Gualdo Tadino (17-17 giugno), Gubbio
(20-22 giugno), Vocabolo Serra Partucci (24 giugno), Vocabolo Penetola (28
giugno). Sull’eccidio di Gubbio (40 civili fucilati dal 721° reggimento della
114ª divisione cacciatori della Wehrmacht), vedi Giancarlo Pellegrini, Gubbio e l’eccidio dei quaranta martiri, in Andrea Bianchini, Giorgio Pedrocco (a
cura di), Dal tramonto all’alba. La provincia di Pesaro e di Urbino tra fascismo,
guerra e ricostruzione, Bologna, Clueb, 1995, volume II, Guerra e ricostruzione, pp. 57-72.
111
Paolo Giovannini, Doriano Pela, Marche, in Enzo Collotti, Renato
Sandri, Frediano Sessi (a cura di), Dizionario della Resistenza, volume II,
Luoghi, formazioni, protagonisti, cit., pp. 424-441; Giuseppe Mari, Guerriglia sull’Appennino. La Resistenza nelle Marche, Urbino, Argalia, 1965. Cfr.
inoltre Enzo Collotti, Notizie sull’occupazione tedesca delle Marche attraverso
i rapporti della Militärkommandantur di Macerata, in Istituto regionale per la
storia di liberazione delle Marche, Resistenza e liberazione nelle Marche. Atti
del 1. Convegno di studio nel 25. della liberazione, Urbino, Argalia, 1973, pp.
163-197; Ercole Romagna, La Resistenza armata nella provincia di Pesaro e Urbino. Situazione degli studi e proposte di ricerca, in Andrea Bianchini, Giorgio
Pedrocco (a cura di), Dal tramonto all’alba, cit., pp. 9-39.
112
Paolo Giovannini, Doriano Pela, Marche, cit., p. 432.
113
Le operazioni emergono dalla documentazione tedesca, più volte citata, presa in esame da Carlo Gentile. La notizia è inoltre riportata nei Lageberichte della Militärkommandantur (MK) 1019 di Macerata, che parlano di
13 operazioni con 140 banditi uccisi e diversi catturati, cfr. Ercole Romagna,
Guerriglia sull’Appennino. Il caso delle Marche, in Pier Paolo Poggio, Bruna
Micheletti (a cura di), La guerra partigiana in Italia e in Europa, «Annali della
Fondazione Luigi Micheletti», n. 8, 2001, p. 371.
114
Sul ruolo del generale Joachim Witthöft, cfr. Michael Wedekind, Nationalsozialistische Besatzungs- und Annexionspolitik, cit., p. 71, p. 115 e ss.;
Stefano Di Giusto, Operationszone Adriatisches Küstenland, cit., p. 54 e ss.
In generale, informa Carlo Gentile, le notizie sulle formazioni dell’esercito
tedesco impegnate sul lato orientale del fronte e sul litorale adriatico sono
più scarse di quelle relative al versante occidentale e tirrenico, a causa della
lacunosità delle fonti tedesche sui movimenti della 10ª Armata.
115
Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit.
116
Ivi.
117
Cfr. Paolo Giovannini, Doriano Pela, Marche, cit., p. 436. Per la documentazione tedesca vedi il database elaborato da Carlo Gentile, cit.
118
Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit.
119
Istituto storico della Resistenza in Toscana, Toscana occupata. Rapporti
698
delle Militärkommandanturen 1943-44, con un’introduzione di Marco Palla,
Firenze, Olschki, 1997; Giovanni Verni, Toscana autunno 1943. Un rapporto
dei servizi di sicurezza della Wehrmacht, in «Italia contemporanea», n. 196,
settembre 1994, pp. 545-560. Vedi anche Carlo Gentile, in Truppe tedesche,
repressione antipartigiana e stragi, cit., p. 81.
120
La retata di Carrara è ricordata in Giovanni Verni, La resistenza armata
in Toscana, in Marco Palla (a cura di), Storia della Resistenza in Toscana, volume I, Roma, Carocci, 2006, p. 104, nota 42.
121
Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit.
122
Carlo Gentile, Truppe tedesche, repressione antipartigiana e stragi, cit.,
p. 83. La Militärkommandantur 1015 di Lucca aveva segnalato proprio in quel
periodo la dificoltà all’impiego volontario, come fa notare Enzo Collotti,
L’occupazione tedesca in Toscana, in Marco Palla (a cura di), Storia della Resistenza in Toscana, volume I, cit., pp. 118-119.
123
Cfr. Camilla Brunelli, Gabriella Nocentini, La deportazione politica
dall’area di Firenze, Prato ed Empoli, in Brunello Mantelli (a cura di), Deportati, deportatori, tempi, luoghi, cit., pp. 620-658; sulle cifre dei deportati vedi
alle pp. 623 e 626.
124
Dati del 1936. Secondo quanto attestato in Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., cfr. ad
locum, sono complessivamente 19 i nati a Montelupo Fiorentino che vengono
arrestati in loco nei giorni dello sciopero e poi deportati in KL; a essi vanno
aggiunti due lavoratori originari di altre località ma che avevano trovato lavoro nel comune toscano e che seguono la stessa sorte dei 19 compagni di lavoro, più un montelupino che, emigrato al Nord, fu arrestato a Lecco anch’egli
in seguito allo sciopero di marzo e poi deportato in KL. Vedi inoltre, per il
caso speciico di Montelupo, Ivan Tognarini, La Liberazione in Toscana. La
storia, la memoria. 1943-1945, Firenze, Pagnini, 1994, alle pp. 342-344.
125
Sono numerose le descrizioni dell’operazione sul Falterona; cfr. Carlo
Gentile, Truppe tedesche, repressione antipartigiana e stragi, cit., p. 84 ss; Idem,
La divisione Hermann Göring in Toscana, in Gianluca Fulvetti, Francesca Pelini (a cura di), La politica del massacro, cit., p. 219 ss.; Lutz Klinkhammer,
Stragi naziste in Italia, cit., p. 84 e ss.
126
Per la parte di operazione svoltasi sul versante romagnolo rimandiamo
alla sezione dedicata all’Emilia-Romagna.
127
L’operazione è citata e descritta in Carlo Gentile, Truppe tedesche, repressione antipartigiana e stragi, cit., p. 83; Giovanni Verni, La resistenza armata in Toscana, cit., p. 143 e ss.; Giulivo Ricci, Avvento del fascismo, Resistenza e
Lotta di Liberazione in Val di Magra, Parma, Tipolitograia Benedettina, 1975,
pp. 205-206. In quest’ultima opera si accenna, senza ulteriori speciicazioni,
a «deportazioni». Sulla base delle schede biograiche contenute in Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata, I deportati politici 19431945, cit., l’arresto nel corso dell’operazione appena illustrata è sicuramente
compatibile con il percorso concentrazionario del pontremolese Rino Toma,
699
arrestato nella città della Lunigiana e immatricolato a Dachau il 15 maggio
1944, nonché, quantunque con maggiori dubbi per l’intervallo assai maggiore trascorso fra l’ingresso in KL e l’ipotetica cattura nel corso del rastrellamento, con quelli dei suoi concittadini Amabile Cattini e Israele Necchi,
giunti a Mauthausen il 24 giugno successivo. Unicamente Cattini cadde con
certezza a Pontremoli in mano tedesca, ma il fatto che siano entrambi stati
deportati con il medesimo trasporto fa pensare che anche Necchi sia stato
preso in zona. Solo un approfondimento degli studi su scala locale potrà fare
ulteriore chiarezza. Cfr. ivi ad nomen.
128
Cfr. Carlo Gentile, Truppe tedesche, repressione antipartigiana e stragi,
cit., p. 83.
129
Secondo Giulivo Ricci, La Lunigiana ed Aulla nella tormenta, Aulla,
Centro aullese di ricerche e di studi lunigianesi, 1995, pp. 55-56, sarebbero
stati uccisi 2 partigiani e 22 civili, mentre le fonti tedesche riportano come
cifra totale dei morti 143 e 150. Vedi inoltre Paolo Pezzino, Crimini di guerra
nel settore occidentale della linea gotica, in Gianluca Fulvetti, Francesca Pelini
(a cura di), La politica del massacro, cit., p. 91, nonché Carlo Gentile, Truppe
tedesche, repressione antipartigiana e stragi, cit., p. 83.
130
La ricostruzione più dettagliata del rastrellamento di Forno si trova
in Paolo Pezzino, Crimini di guerra nel settore occidentale della linea gotica,
cit., p. 93; egli indica tra gli esecutori del rastrellamento anche truppe della X Mas. Si trovano cenni in Emidio Mosti, La Resistenza Apuana. Luglio
1943-aprile 1945, Milano, Longanesi, 1973; Luciano Casella, La Toscana nella
guerra di liberazione, Carrara, La nuova Europa, 1972, pp. 158-162, Giulivo
Ricci, Avvento del fascismo, cit., p. 231, Francesco Bergamini (a cura di), Battaglione Reder. La marcia della morte da S. Anna di Stazzema alle fosse del
Frigido agosto-settembre 1944, Viareggio, ANPI Versilia, 1995, p. 19.
131
Sulle operazioni Wallenstein si veda, in Brunello Mantelli (a cura di),
Deportati, deportatori, cit., gli approfonditi contributi di Carla Antonini, La
deportazione nei campi di concentramento dalla provincia di Piacenza, e Marco
Minardi, «Una lotta disumana». La deportazione politica dal Parmense, rispettivamente alle pp. 396-469, e 470-495.
132
Carla Antonini, La deportazione, cit., pp. 446 e 448.
133
Marco Minardi, «Una lotta disumana», cit., p. 476-477.
134
Tra i deportati in KL l’unico originario di Castelnuovo di Cecina è Alfredo Milani, il quale risulta però catturato in Friuli, a Cividale, ben lontano
quindi dal luogo natale; cfr. Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco
Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., ad nomen.
135
Così descrive il rastrellamento Paolo Pezzino, Storie di guerra civile.
L’eccidio di Niccioleta, Bologna, Il Mulino, 2001. Cfr. inoltre Michele Battini,
Paolo Pezzino, Guerra ai civili, cit., pp. 5-85.
136
Michele Battini, Paolo Pezzino, Guerra ai civili, cit., p. 51 ss., e pp. 77-89.
137
Ivi, pp. 85-86.
138
Paolo Pezzino, Storie di guerra civile, cit., p. 86.
700
139
Paolo Pezzino, Anatomia di un massacro. Controversia sopra una strage
tedesca, Bologna, Il Mulino, 1997.
140
Una ricostruzione dell’attività della divisione «Hermann Göring» nella regione si trova nei saggi di Carlo Gentile, La divisione Hermann Göring in
Toscana, in Gianluca Fulvetti, Francesca Pelini, La politica del massacro, cit.,
pp. 213-240; e Una unità di élite in guerra. La divisione «Hermann Göring» e
la strage di civili in Toscana, in Marco Palla (a cura di), Tra storia e memoria.
12 agosto 1944: la strage di Sant’Anna di Stazzema, Roma, Carocci, 2003. Sulla
strage di Civitella Val di Chiana vedi Leonardo Paggi (a cura di), Storia e
memoria, cit., in particolare il saggio dello stesso Paggi, Storia di una memoria
antipartigiana, pp. 46-84.
141
Lutz Klinkhammer, L’occupazione tedesca, cit., p. 381 e ss.
142
Giuseppe Pardini, Il dramma delle popolazioni. I piani di sfollamento
delle province di Lucca e di Apuania, in Lilio Giannecchini, Giuseppe Pardini
(a cura di), Eserciti, popolazione, Resistenza sulle Alpi Apuane, Atti del Convegno internazionale di studi storici sul settore occidentale della Linea Gotica.
Seconda parte: aspetti politici e sociali. Lucca, 1-2-3 settembre 1994, Lucca, San
Marco Litotipo, 1997, pp. 161-210. Vedi anche Paolo Pezzino, Crimini di guerra nel settore occidentale della linea gotica, cit., pp. 96-97.
143
Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit. In Giovanna D’Amico,
Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., si trovano bensì alcune persone originarie di Greve in Chianti; si tratta di Ernesto
Capannesi, Davide Ermini, Romualdo Martini, Dario Toti (cfr. ad nomen),
ma per quanto riguarda Capannesi ed Ermini la loro deportazione risulta
precedente al rastrellamento qui menzionato; Martini fu classiicato in KL
come Berufverbrecher (delinquente abituale), ragion per cui la sua deportazione ebbe presumibilmente come origine una Gefangenenaktion (sul prelevamento di detenuti comuni dalla carceri italiane per deportarli in KL si veda, in Brunello Mantelli (a cura di), Deportati, deportatori, cit., l’importante
contributo, ancorché limitato al caso del carcere bolognese di San Giovanni
in Monte, di Andrea Ferrari, Paolo Nannetti, Carcere e deportazione. Bologna
1943-1945, pp. 555-618); solo Toti potrebbe effettivamente essere stato arrestato nel luglio 1944, essendo giunto a Dachau il 16 dicembre 1944.
144
L’episodio è ricordato in Gianluca Fulvetti, Le guerre ai civili in Toscana, cit., p. 63. Il battaglione d’addestramento Mittenwald, comandato dal capitano Hans Ruchti, durante la sua permanenza in Italia afiancò alla repressione antipartigiana l’addestramento di allievi uficiali e delle guide militari
alpine. Nella prima metà di luglio rastrellò le cime apuane, la Garfagnana,
l’area del Monte Acuto e la Lunigiana. Sulla sua attività in Italia vedi Carlo
Gentile, Truppe tedesche, repressione antipartigiana e stragi, cit., p. 77. In Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati
politici, cit., compaiono cinque deportati originari di Bagni a Lucca: Elia Di
Nino; Giuseppe Montemagni; Wilson Pighini, nato proprio a Montefegatesi,
Davide Talenti e Antonio Villaggi, cfr. ad nomen. Tuttavia, Montemagni, Pi-
701
ghini e Villaggi giungono in KL prima del rastrellamento del 14 luglio 1944
(Villaggi risulta tra l’altro arrestato in Emilia). Solo le date dell’immatricolazione concentrazionaria di Di Nino (registrato il 3 agosto 1944 a Buchenwald)
e Talenti (entrato a Dachau il 16 dicembre 1944 con il quasi compaesano Toti,
di cui alla nota precedente) potrebbero essere compatibili con una cattura
nel luogo natio avvenuta tre settimane o cinque mesi prima.
145
Il proilo e l’attività della divisione è stato ricostruito da Carlo Gentile
in alcuni saggi, tra cui: «Politische Soldaten». Die 16. SS-Panzer-GrenadierDivision «Reichsführer-SS» in Italien 1944, in «Quellen und Forschungen aus
italienischen Archiven und Bibliotheken», anno LXXXI, 2001, pp. 529-557;
Le SS di Sant’Anna di Stazzema. Azioni, motivazioni e proilo di una unità nazista, in Marco Palla (a cura di), Tra storia e memoria, cit., pp. 86-117.
146
A ipotizzare un lungo ciclo operativo «iniziato ai primi di agosto sulle colline fra Lucca e Pisa, con il rastrellamento dei civili a La Romagna» e
«concluso a metà settembre con la partenza dalla zona della XVI divisione
SS, l’indubbia protagonista di questa fase repressiva, nella quale le modalità
di attuazione delle operazioni antipartigiane sembrano prescindere dall’effettiva possibilità di entrare in contatto, rastrellare o uccidere in combattimento gli uomini armati, assumendo piuttosto un netto carattere stragista», è
Paolo Pezzino in Crimini di guerra nel settore occidentale, cit., p. 126.
147
Sul rastrellamento de La Romagna vedi Michele Battini, La lunga linea
rossa. Arno e Monti Pisani luglio- agosto 1944, in Gianluca Fulvetti, Francesca
Pelini (a cura di), La politica del massacro, cit., p. 153; e Luciano Casella, La
Toscana nella guerra di liberazione, cit., p. 333 ss.
148
Sulla strage di Sant’Anna di Stazzema e il rastrellamento di Valdicastello Carducci, cfr. Paolo Pezzino, Sant’Anna di Stazzema. Storia di una
strage, Bologna, Il Mulino, 2008; Toni Rovatti, Sant’Anna di Stazzema. Storia
e memoria della strage dell’agosto 1944, Roma, DeriveApprovi, 2004; e Marco Palla (a cura di), Tra storia e memoria. 12 agosto 1944, cit. Cfr. inoltre la
lettura della strage nel contesto del ciclo operativo della 16ª divisione RFSS
delle Waffen SS in Paolo Pezzino, Crimini di guerra nel settore occidentale,
cit., pp. 100-135; e in Toni Rovatti, Sant’Anna di Stazzema, cit., pp. 345-366.
Vedi inoltre la ricostruzione di Carlo Gentile in Truppe tedesche, repressione
antipartigiana, cit., p. 116 ss.
149
In Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di),
I deportati politici, cit., compaiono quattro deportati originari di Valdicastello
Carducci, tutti arrestati in loco, quasi certamente nel corso del rastrellamento
qui descritto, e poi deportati a Dachau: Gino Biagi; Francesco Dinucci, Ettore Maremmani; Fernando Santini (cfr. ivi, ad nomen); di Dinucci e Santini
conosciamo anche la data di ingresso in Lager: il 9 novembre 1944.
150
Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit.
151
Sulla biograia di Reder si rinvia a Carlo Gentile, Le SS di Sant’Anna di
Stazzema, cit., p. 105.
152
Descrizioni dell’operazione si trovano in Carlo Gentile, Truppe tede-
702
sche, repressione antipartigiana e stragi, cit., p. 118 ss; e Paolo Pezzino, Crimini
di guerra nel settore occidentale della linea gotica, cit., pp. 123-135. In Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., compaiono ben undici deportati nati a Fivizzano (o in una delle sue
frazioni): Renato Bertolini, Mario Chinezi, Florido Cinese, Ernesto Confetti,
Marco Furletti, Alceste Mariani, Iso Mattazzoni, Achille Musetti, Palmiro
Romiti, Remante Tonelli, Mario Vasoli (cfr. ivi, ad nomen); solo per Chinezi,
Cinese e forse Confetti si può tuttavia ipotizzare una cattura nel corso del
rastrellamento di ine agosto: del primo sappiamo solo che fu a Neuengamme, mentre il secondo arrivò a Dachau alla ine di settembre 1944 e il terzo vi
giunse solo all’inizio di marzo 1945. Non coincidono invece i tempi per tutti
gli altri: Bertolini fu arrestato in Francia già l’8 settembre 1943; Furletti era
stato immatricolato a Dachau già il 15 marzo 1944 e Musetti appena quaranta giorni dopo; Mattazzoni era stato fatto prigioniero a Sarzana il 10 luglio;
Tonelli Vasoli, Mariani, Romiti sarebbero stati arrestati a La Spezia nei mesi
successivi, rispettivamente il 20 settembre, il 20 novembre, e gli ultimi due il
23 dello stesso mese.
153
è questa l’ipotesi formulata da Fulvetti nella sua introduzione a Le
guerre ai civili Toscana, cit., p. 70.
154
La ricostruzione più recente dell’episodio si trova in Gianluca Fulvetti,
Una comunità in guerra. La certosa di Farneta tra resistenza civile e violenza
nazista, Napoli, L’ancora del Mediterraneo, 2006. Per il riferimento alla delazione fascista vedi a p. 126.
155
Ivi, p. 264, nota 63.
156
L’accenno a quest’episodio è ancora in Idem, Le guerre ai civili Toscana,
cit., p. 73. Cfr. inoltre il database elaborato da Carlo Gentile, cit.
157
Per una ricostruzione puntuale dei nessi esistenti tra rastrellamenti
e deportazioni in KL nella regione è d’obbligo riferirsi agli studi di Carla
Antonini, La deportazione, cit.; Marco Minardi, «Una lotta disumana», cit;
Francesco Paolella, Giovanna Caroli, Cleonice Pignedoli, Tra le memorie del
territorio reggiano; Davide Guarnieri, Andrea Rossi, Ferrara: una strana presenza militare tedesca ed uno spiccato attivismo del fascio repubblicano; Andrea
Ferrari, Paolo Nannetti, Carcere e deportazione. Bologna 1943-1945, tutti pubblicati in Brunello Mantelli (a cura di), Deportati, deportatori, cit, rispettivamente alle pp. 396-469; 470-495; 496-529; 530-554; 555-619.
158
Sul ruolo delle squadre fasciste nella prima fase dell’occupazione cfr.
le rilessioni di Dianella Gagliani, Guerra terroristica, in Luciano Casali, Dianella Gagliani (a cura di), La politica del terrore, cit., p. 29 ss.; e di Carlo Gentile, Truppe tedesche e repressione antipartigiana nell’Emilia occidentale, cit.,
p. 121.
159
L’episodio è descritto in Vladimiro Flamigni, Forlì, in Luciano Casali, Dianella Gagliani (a cura di), La politica del terrore, cit., pp. 186-187 ed
è ripreso nel «Rapporto generale» del comandante dell’8ª brigata Romagna,
Pietro Mauri, sull’attività militare in Romagna ino al 15 maggio 1944, in Dino
703
Mengozzi (a cura di), L’8ª brigata Garibaldi nella Resistenza, vol. I, Documenti
1943-1945, Milano, La Pietra, 1981. Sul percorso concentrazionario di Pietro
Paternò, sacerdote originario dell’Ennese e all’epoca già cinquantasettenne,
cfr. Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., ad nomen. Si veda inoltre il riferimento al sacerdote, alla
sua sorte e a quella degli altri arrestati con lui in Andrea Ferrari, Paolo Nannetti, Carcere e deportazione, cit., p. 561.
160
Vedi ancora Vladimiro Flamigni, Forlì, cit., pp. 189-190. A quanto
risulta dalle fonti concentrazionarie utilizzate per la stesura di Giovanna
D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici,
cit., il gruppo inviato in Germania non fu trasferito in un KL vero e proprio, bensì, almeno in parte, inì a Bernau, prigione particolarmente dura.
Sempre in base a Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a
cura di), I deportati politici, cit., risultano infatti esservi stati registrati Pietro
Cappelli, Mario Chiarini, Adelio Cosmi, e Narciso Cucchi, tutti arrestati a
Ca’ Morelli il 20 gennaio 1944, cfr. ivi, ad nomen, nel Capitolo Quinto, Casi
di conine: il campo di lavoro di Unterluss e la prigione di Bernau, pp. 22812290. Purtroppo questo elenco speciico risulta assai lacunoso, e necessiterà di approfondimenti futuri. Nessuna traccia è stata poi trovata, in alcuna
fonte concentrazionaria, dei componenti la famiglia Versari. Sugli arrestati
di Tredozio e sull’intrecciarsi del loro percorso con quello di altri emiliani
transitati nel periodo dal carcere di San Giovanni in Monte si veda, inoltre, la
dettagliata analisi di Andrea Ferrari, Paolo Nannetti, Carcere e deportazione,
cit., pp. 563-567.
161
L’operazione è riportata in Luigi Arbizzani, Antifascismo e lotta di liberazione nel Bolognese comune per comune, ANPI, Bologna, 1998, p. 216. In
Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., non risulta alcuna biograia sicuramente compatibile con gli
arresti avvenuti nella data e nel luogo qui indicati; i cinque deportati originari di Sant’Agata Bolognese, infatti, vennero catturati altrove o in periodi
successivi.
162
Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit. Sul rastrellamento vedi
anche Andrea Ferrari, Paolo Nannetti, Carcere e deportazione, cit., p. 586.
163
Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit.
164
Ermanno Gorrieri, La repubblica di Monteiorino. Per una storia della
resistenza in Emilia, Bologna, Il Mulino, 1966; qui si fa riferimento alle pp.
165 e 169 dell’edizione del 1991, pubblicata a cura dell’Amministrazione comunale di Monteiorino.
165
Luigi Arbizzani, Antifascismo e lotta di liberazione nel Bolognese cit.,
p. 99.
166
Vladimiro Flamigni, Forlì, cit., pp. 193-194.
167
Carlo Gentile, Truppe tedesche e repressione antipartigiana nell’Emilia
occidentale, cit.
168
Lutz Klinkhammer, L’occupazione tedesca, cit., p. 387.
704
169
Per una descrizione dell’area che costituì la zona libera di Monteiorino vedi Luciano Bergonzini (a cura di), La lotta armata, volume I dell’opera
collettanea Deputazione Emilia Romagna per la storia della Resistenza e della guerra di liberazione, L’Emilia Romagna nella guerra di liberazione, Bari,
De Donato, 1975-1976, qui a p. 172; e Claudio Silingardi, Una provincia partigiana. Guerra e Resistenza a Modena, 1940-1945, Milano, Angeli, 1998, p.
256. Cfr. inoltre Ermanno Gorrieri, La repubblica di Monteiorino, cit.
170
I due rastrellamenti sono ricordati da Carlo Gentile, Truppe tedesche
e repressione antipartigiana nell’Emilia occidentale cit. e Claudio Silingardi,
Una provincia partigiana, cit., p. 256.
171
Luciano Casali, Dianella Gagliani (a cura di), CUMER. Il «Bollettino militare» del Comando unico militare Emilia-Romagna (giugno 1944-aprile
1945), Bologna, Pàtron, 1997.
172
Ermanno Gorrieri, La repubblica di Monteiorino, cit., pp. 545-553;
Claudio Silingardi, Una provincia partigiana, cit., p. 504.
173
Vladimiro Flamigni, Forlì, cit., p. 198. L’autore segnala che la narrazione dell’episodio è tratta da un manoscritto conservato presso la biblioteca
comunale di Forlì.
174
Una sintetica quanto esauriente descrizione del rastrellamento sul
Monte Sole si trova in Carlo Gentile, Un’operazione di annientamento, in Luciano Casali e Dianella Gagliani (a cura di), La politica del terrore, cit., pp.
207-230. Vedi inoltre la ricostruzione di Lutz Klinkhammer nel capitolo Un
rastrellamento inalizzato al massacro. Marzabotto, ine settembre 1944, del
suo volume Stragi naziste in Italia, cit., pp. 118-142. All’operazione guidata
dal maggiore Reder è integralmente dedicato il volume di Paolo Pezzino,
Luca Baldissara, Il massacro. Guerra ai civili a Monte Sole, Bologna, Il Mulino, 2009.
175
Irene Di Jorio, Piacenza, in Luciano Casali e Dianella Gagliani (a cura
di), La politica del terrore, cit., p. 144. La notizia è tratta da Felice Ziliani, Ribelli per amore, Fatti e testimonianze della Resistenza, Fidenza, Arte Graica,
1978; il volume è stato poi ripubblicato nel 1997 con il titolo Ribelli per amore
... sempre. Memorie e rilessioni a 50 anni dalla liberazione, Parma, Tipograia
Fava, 1997; si cita da quest’ultima edizione, pp. 211-212. Sulla deportazione
in KL di antifascisti e partigiani originari di Caorso cfr. Carla Antonini, La
deportazione, cit., alle pp. 422-431; sono dedicate in particolare ai catturati a
«La Baracca» le pp. 430-431, in cui si dà conto della deportazione in KL di
alcuni di loro.
176
Riferimenti all’operazione si trovano in Luigi Arbizzani, Antifascismo
e lotta di liberazione nel Bolognese, cit., passim; Roberta Mira, Bologna, in Luciano Casali e Dianella Gagliani (a cura di), La politica del terrore, cit., p. 71.
Sulla deportazione in KL di membri della Brigata Garibaldi «Bolero» si veda
Andrea Ferrari, Paolo Nannetti, Carcere e deportazione, cit., pp. 586-598.
177
Luigi Arbizzani, Antifascismo e lotta di liberazione nel Bolognese, cit.,
pp. 60, 77, 204.
705
178
Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit.
Ivi.
180
Ivi.
181
Ivi.
182
Marco Minardi, «Una lotta disumana», cit., p. 491.
183
Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit.
184
Ivi.
185
Sul rastrellamento di Amola-Anzola Emilia-S. Giovanni in PersicetoCalderara di Reno cfr. Anna, Linceo Graziosi (a cura di), Anzola. Un popolo
nella Resistenza, Anzola, Anpi, 1989; Cronache dell’antifascismo e della Resistenza a Calderara di Reno, Bologna, APE, 1977; Anpi e Comune di San Giovanni in Persiceto (a cura di), La resistenza nella nostra pianura, s.l., Arampe
LIPE, 1990; Adolfo Belletti, Dai monti alle risaie. 63ª Brigata Garibaldi «Bolero», Bologna, Arte Stampe, 1968.
186
Sull’eccidio di Sabbiuno di Paderno, il suo contesto, le sue vittime, il
ritrovamento dei resti di queste ultime, cfr. Alberto Preti, Sabbiuno di Paderno. Dicembre 1944, Bologna, University Press, 1994.
187
Tranne Virginia Manaresi, tutti sono presenti in Giovanna D’Amico,
Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., cfr.
ad nomen, il che comporta che siano stati deportati oltre Brennero. La donna, come certiicato da Dario Venegoni, Uomini, donne e bambini nel lager
di Bolzano. Una tragedia italiana in 7809 storie individuali, Milano, Mimesis, 2004 (seconda edizione ampliata, 2005, con nel titolo la cifra elevata a
7.982), p. 239 della seconda edizione, rimase a Bolzano dove venne liberata il
1° maggio 1945.
188
Gamberini, Callegari e Giusti sono compaiono, in Giovanna D’Amico,
Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., cfr. ad
nomen; furono quindi deportati oltre Brennero. Gli altri sono presumibilmente rimasti a Bolzano, cfr. Dario Venegoni, Uomini, donne e bambini, cit,
ad nomen.
189
Di tutto questo gruppo sono presenti le schede biograiche in Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati
politici, cit., cfr. ad nomen.
190
Di entrambi vedi le schede biograiche ivi, ad nomen.
191
Luciano Bergonzini, La resistenza a Bologna. Testimonianze e documenti, Bologna, ISB, 1980, vol. V, testimonianze di Adelio Stanghellini, p. 793,
Virginia Manaresi, p. 256, Augusto Manganelli, p. 787.
192
Andrea Ferrari, Paolo Nannetti, Carcere e deportazione, cit., pp. 600-601.
193
Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit.
194
Carla Antonini, La deportazione, cit., pp. 454-455.
195
Carlo Gentile, Truppe tedesche e repressione antipartigiana nell’Emilia
occidentale, cit., p. 127.
196
Si trattava della nota divisione turchestana (Turk), composta di caucasici arruolati sia in loco, sia tra i militari sovietici prevalentemente (ma non
179
706
solo) di nazionalità azera caduti in mano tedesca. L’uficialità era comunque
germanica.
197
L’operazione coinvolse le seguenti unità inquadrate nella 162ª (Turk)
Infanterie-Division: i reggimenti (Infanterie-Regiment) n° 303 e n° 329, nonché il
reparto esploratori (Aufklärungs-Abteilung) del reggimento n° 236; della divisione «Italia» il grosso delle unità di fanteria (2 reggimenti) e il reparto esplorante; della San Marco il III battaglione del 5° Reggimento; inoltre vi presero
parte il battaglione d’addestramento dell’accademia dei cacciatori da montagna di Mittenwald (Lehr-Bataillon Gebirgsjäger-Schule Mittenwald); aliquote
del I battaglione del 285° reggimento granatieri inquadrato nella 148ª divisione
di fanteria (148a Infanterie-Division: Einheiten I/Grenadier-Regiment 285); la
compagnia di guardia del comando della 14ª armata (Wach-Kompanie Armeeoberkommando 14); reparti della GNR e della Brigata nera di Parma, nonché le
unità di scorta in servizio presso la Militärkommandantur (Alarmeinheiten).
198
Istituto storico della Resistenza per la provincia di Parma, I caduti della Resistenza di Parma 1921-1945, Parma, Istituto storico della Resistenza per
la provincia di Parma, 1970.
199
Mirco Dondi, La Resistenza tra unità e conlitto. Vicende parallele tra
dimensione nazionale e realtà piacentina, Milano, Bruno Mondadori, 2004, p.
297. La lunga, ma chiariicatrice, citazione è tratta da Marco Minardi, «Una
lotta disumana», cit., pp. 482, 488-489.
200
Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata, I deportati
politici, cit., tomo 3, pp. 2368-2369. Come indicato nell’opera, il numero totale dei deportati politici biografati è di 23.826; di 259 non si conosce però con
precisione il luogo di nascita.
201
Ivi, p. 2375. Purtroppo solo di poco più di un terzo (35,76%) del totale
è nota la località esatta di arresto.
202
Cfr. le rilessioni di Enzo Collotti, Litorale Adriatico e Risiera di San
Sabba, in Alessandra Algostino et alii, Dall’impero austro-ungarico alle foibe.
Conlitti nell’area alto-adriatica, Torino, Bollati Boringhieri, 2009, pp. 110-118.
203
Per un inquadramento della lotta partigiana nel Friuli Venezia Giulia
si veda Alberto Buvoli, Franco Cecotti, Luciano Patat (a cura di), Atlante storico della lotta di liberazione italiana nel Friuli Venezia Giulia. Una Resistenza
di conine 1943-1945, Trieste-Udine-Pordenone-Gradisca d’Isonzo, Istituto
regionale per la storia del movimento di liberazione in Friuli Venezia Giulia –
Istituto friulano per la storia del movimento di liberazione – Istituto provinciale per la storia del movimento di liberazione – Centro isontino di ricerca
«Leopoldo Gasparini», 2006.
204
Un’analisi dei rastrellamenti nel periodo si trova in Stefano Di Giusto,
Operationszone Adriatisches Küstenland, cit., pp. 72-170. Si veda inoltre il database elaborato da Carlo Gentile, cit.
205
Silva Bon, La deportazione dalla Operationszone Adriatisches Küstenland, in Brunello Mantelli (a cura di), Deportati, deportatori, cit., pp. 367-395;
qui a pp. 375-377.
707
206
Cfr. Elio Apih, Documenti sulla politica economica tedesca nella Venezia
Giulia (1943-1945), in Istituto di Storia Medievale e Moderna della Facoltà
di Lettere e Filosoia dell’Università di Trieste, Fascismo, guerra, resistenza.
Lotte politiche e sociali nel Friuli-Venezia Giulia 1918-1945, Trieste, Libreria
Internazionale «Italo Svevo», 1969.
207
Cfr. Commissione per la ricostruzione delle vicende che hanno caratterizzato in Italia le attività di acquisizione dei beni dei cittadini ebrei da
parte di organismi pubblici e privati, Rapporto generale, Roma, Presidenza
del Consiglio dei Ministri, 2001, a cui l’autrice ha collaborato con un testo
sulle vicende del Litorale Adriatico. Inoltre Silva Bon, La spoliazione dei beni ebraici. Processi economici di epurazione razziale nel Friuli Venezia Giulia.
1938-1945, Gorizia, Centro Isontino di Ricerca e Documentazione Storica e
Sociale «Leopoldo Gasparini», 2001; Eadem, La spoliazione dei beni ebraici negli anni delle leggi razziali. Il caso Nord Est, in «Clio», anno XXXVII,
n. 4 (ottobre-dicembre 2001), pp. 749-775; Eadem, La Cassa di Risparmio di
Trieste e il «problema ebraico» negli anni della persecuzione fascista e nazista,
in «Quaderni Giuliani di Storia», anno XXII, n. 2, luglio-dicembre 2001,
pp. 189-216. Si veda altresì il capitolo sulla spoliazione dei beni in Eadem,
Le Comunità ebraiche della Provincia italiana del Carnaro. Fiume e Abbazia
(1924-1945), Roma, Società di Studi Fiumani, 2004.
208
Cfr. Roberto Spazzali, Sotto la Todt. Affari, servizio obbligatorio del
lavoro, deportazioni nella Zona d’Operazioni «Litorale Adriatico» (1943-1945),
Gorizia, Libreria Editrice Goriziana, 1998.
209
Cfr. Peter Müller, Das Bunkergelände im Mühldorfer Hart. Rüstungswahn und menschliches Leid, Mühldorf a. Inn, Heimatbund, 1999 (più volte
ristampato e accresciuto).
210
Cfr. Paolo Toldo, L’organizzazione del lavoro e le condizioni di vita in
una fabbrica della Germania nazista dagli atti di un processo del dopoguerra, in
«Storia contemporanea in Friuli», n. 27, anno XXVI, 1996.
211
Cfr. Dino Virgili, Nazismo e fascismo in Friuli. La fossa di Palmanova,
Udine, Del Bianco Editore, Udine 1970 [2ª edizione 1995]. Dario Mattiussi,
Luciano Patat, Marco Puppini, Una lunga notte. 1942-1954. La collezione Erminio Delfabro, Gorizia, Centro «Leopoldo Gasparini», 2001; Luciano Patat,
Terra di frontiera. Fascismo, guerra e resistenza nell’Isontino e nella Bassa Friulana, Gorizia, Centro «Leopoldo Gasparini», 2002. Per l’Istria vedi Gloria
Nemec, Un paese perfetto. Storia e memoria di una comunità in esilio. Grisignana d’Istria 1930-60, Gorizia, Istituto Regionale per la Cultura Istriana,
1998. Giorgio Liuzzi, «Operation Istrien». L’Istria sotto la svastica nazista dal
settembre all’ottobre 1943, in Annamaria Vinci (a cura di), Guerra e dopoguerra. Spunti e rilessioni per la ricerca, numero monograico di «Qualestoria», a.
XXXI, n. 1, giugno 2003, pp. 9-46.
212
Cfr. in Mimmo Franzinelli (a cura di), Ultime lettere di condannati a
morte e di deportati della Resistenza. 1943-1945, Milano, Mondadori, 2005,
l’appello di Mario Modotti (Tribuno), medaglia d’argento al valor militare, al
708
iglio Mario nella lettera del 1° aprile 1945, «Ultime volontà di un condannato
a morte»: «La spia che mi mandò alla morte è a Bicinicco perciò rintracciala e
vendicami», p. 13 e pp. 181-183.
213
Cfr. l’operato di Mauro Grini contro i membri della propria comunità, non solo nel Litorale Adriatico, ma anche a Venezia, Padova, Milano, in
Adolfo Scalpelli (a cura di), San Sabba. Istruttoria e processo per il Lager della
Risiera, Milano, ANED – Arnoldo Mondadori, 1988 (una seconda edizione
uscì nel 1995, a Trieste, per i tipi della LINT – ANED).
214
Cfr. Anna Di Gianantonio, Un uomo discreto. Lino Marega nella memoria della comunità di Villesse e di Romans, in Dario Mattiussi (a cura di),
Le passioni del Novecento. I percorsi dell’antifascismo isontino ed europeo tra
storia e memoria. Atti del Convegno Le passioni del Novecento. L’antifascismo
isontino ed europeo nell’esperienza di un protagonista: Lino Marega, Villesse 18
dicembre 1999, Villesse, Comune di Villesse, 2001, pp. 87-132.
215
Stefano Di Giusto, Operationszone Adriatisches Küstenland, cit., p. 635.
Le due ultime operazioni sono descritte nella documentazione jugoslava,
mentre mancano riscontri in quella tedesca. In linea generale, per una descrizione delle operazioni di rastrellamento nell’area rimane fondamentale
la consultazione del testo di Stefano Di Giusto, accanto al database elaborato
da Carlo Gentile. A entrambi nelle pagine che seguono si farà continuo riferimento.
216
Secondo altre fonti coeve si sarebbe protratta sino al 22 del mese (cfr. il
database elaborato da Carlo Gentile, cit.)
217
Così in Alberto Buvoli, Franco Cecotti, Luciano Patat (a cura di), Atlante storico della lotta di liberazione italiana nel Friuli Venezia Giulia, cit.,
pp. 42-43 e 51-52; Inoltre, Bruno Steffè, La lotta antifascista nel basso Friuli e
nell’Isontino, Milano, Vangelista 1975, p. 101.
218
Bruno Steffè, La lotta antifascista nel basso Friuli e nell’Isontino, cit.,
p. 150.
219
Ivi, p. 149.
220
Ivi, p. 147.
221
Giovanna D’Amico, Dall’Italia ai Lager nazisti. Ragioni e modalità di cattura, saggio pubblicato in questo stesso volume alle pp. 21-68, qui da p. 41.
222
Italo Tibaldi, Compagni di viaggio. Dall’Italia al Lager nazisti. I «trasporti» dei deportati 1943-1945, Milano, Angeli, 1994, pp. 132-133, e 144. Sebbene bisognosa di approfondimenti e precisazioni ulteriori, la ricostruzione
dei trasporti fatta da Tibaldi ha rappresentato un fondamentale passo in
avanti per la storiograia su questo tema.
223
Trasporto che risulta essere stato composto esclusivamente da ebrei rastrellati a Trieste e a Gorizia, secondo quanto riportato in Liliana Picciotto, Il
libro della memoria, cit, pp. 44, 53-55, 60. Nelle successive ristampe, ampliate,
del volume i dati a cui qui si fa riferimento non sono mai stati modiicati.
224
Italo Tibaldi, Compagni, cit., pp. 37-41.
225
Bruno Steffè, La lotta antifascista nel basso Friuli, cit., p. 377. Le fonti
709
tedesche parlano, più genericamente, di 200 perdite nemiche; cfr. il database
elaborato da Carlo Gentile, cit.
226
Talvolta compaiono anche le graie Mareca o Marea.
227
La vicenda è narrata in Riccardo Giacuzzo, Giacomo Scotti, Quelli della montagna. Storia del Battaglione triestino d’assalto, s.l. (ma Rovigno), Unione degli Italiani dell’Istria e di Fiume, 1972, pp. 59-60; Riccardo Giacuzzo,
Mario Abram, Itinerario di lotta. Cronaca della Brigata d’Assalto «GaribaldiTrieste», s.l. (ma Rovigno), Unione degli Italiani dell’Istria e di Fiume, 1986,
p. 82; Aldo Bressan, Luciano Giuricin, Fratelli nel sangue. Contributi per una
storia della partecipazione degli Italiani alla guerra popolare di liberazione della
Jugoslavia, Rijeka, EDIT, 1964, pp. 293-294, qui però la data della cattura è il
5 novembre e non si accenna alla deportazione successiva.
228
Cfr. le loro schede biograiche in Giovanna D’Amico, Giovanni Villari,
Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., ad nomen. A quanto
risulta dalla documentazione disponibile e lì riportata, Floreani e Grillo sopravvissero al KL venendo liberati dagli alleati; di Cergoli e Tambarin è certa
la morte in campo, mentre di Valcovich è incerta la sorte. Con ogni probabilità la sopravvivenza di Floreani e Grillo fu favorita dall’essere il primo
stato registrato al momento dell’immatricolazione in KL come «falegname
industriale» e il secondo quale «meccanico aeronautico». Valcovich si dichiarò «meccanico», Cergoli «falegname», Tambarin «studente» (quest’ultimo
sarebbe stato ucciso col gas il 9 settembre 1944 nel centro di eliminazione di
Hartheim).
229
Secondo la ricostruzione di Tibaldi, cfr. Italo Tibaldi, Compagni, cit.,
p. 133.
230
Cfr. la scheda biograica in Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., ad nomen. Anche Marega
sarebbe sopravvissuto, venendo liberato dalle truppe alleate.
231
Cfr. Riccardo Giacuzzo, Giacomo Scotti, Quelli della montagna, cit.,
pp. 62-64, 70.
232
Cfr. le schede biograiche di tutti loro in Giovanna D’Amico, Giovanni
Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., ad nomen.
233
Ivi, ad nomen. Oltre ai due trasporti già menzionati, su cui si rinvia a
Italo Tibaldi, Compagni, cit., pp. 133, 45-46, si tenga presente che nello stesso
giorno, 28 gennaio 1944, sarebbe partito da Trieste un ulteriore convoglio,
diretto ad Auschwitz, il quale, secondo Liliana Picciotto, Il libro della memoria, cit., pp. 54 e 60, trasportava anziani ebrei arrestati alla Pia Casa Gentilomo e all’Ospizio Israelitico della città giuliana.
234
Stefano Di Giusto, Operationszone Adriatisches Küstenland, cit., p. 382.
235
Ivi, pp. 383, e 385; cfr. inoltre il database elaborato da Carlo Gentile, cit.
236
Stefano Di Giusto, Operationszone Adriatisches Küstenland, cit., p. 387,
nonché il database elaborato da Carlo Gentile, cit.
237
Stefano Di Giusto, Operationszone Adriatisches Küstenland, cit., pp. 384-385.
238
Ivi, p. 388.
710
239
La categoria di «deportazione» appare qui essere usata in senso estremamente generico.
240
Fabio Tafuro, La Resistenza nel Friuli occidentale, in «Storia contemporanea in Friuli», n. 37, anno XXXVI, 2006, pp. 121-184, qui a p. 127. Vedi
anche anche Roberto Cessi, La Resistenza nel bellunese, Roma, Editori Riuniti, 1960, p. 49.
241
Stefano Di Giusto, Operationszone Adriatisches Küstenland, cit., p.
393.
242
Ivi, pp. 394-95. Bruno Steffè, La lotta antifascista nel basso Friuli, cit., p.
200, dà notizie di un rastrellamento avvenuto il 12 aprile a Doberdò del Lago, luogo di collegamento con i reparti del IX Korpus, che avrebbe portato
alla cattura di 4 donne.
243
Stefano Di Giusto, Operationszone Adriatisches Küstenland, cit., p. 396,
ss; cfr. inoltre il database elaborato da Carlo Gentile, cit., da cui però risulta
come le fonti tedesche di polizia riportino cifre assai maggiori circa le perdite
subite da partigiani e civili: 392 morti e 1.865 prigionieri. Dal canto loro fonti
italiane coeve, anche considerate da Gentile, vanno ancora oltre: più di 1.500
morti e 2.000 prigionieri (ivi).
244
Cfr. Alberto Buvoli, Franco Cecotti, Luciano Patat (a cura di), Atlante
storico della lotta di liberazione italiana nel Friuli Venezia Giulia, cit., pp. 7476; inoltre, Paolo Toldo, Gli avvenimenti militari del settembre-ottobre 1944
nelle due zone libere del Friuli, in «Storia contemporanea in Friuli», n. 5, anno
IV, 1974, p. 79.
245
Si tratta di Mario Bon, Giuseppe Grinover, Edoardo Meden, Iwan Tijsanio, immatricolati il 2 giugno 1944 nel KL monacense dove erano giunti
con il trasporto partito da Trieste il 31 maggio precedente; cfr. le loro schede biograiche in Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a
cura di), I deportati politici, cit., ad nomen. Per i dati sul trasporto vedi Italo
Tibaldi, Compagni, cit., pp. 133, 144.
246
Vedi le loro schede biograiche in Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., ad nomen. Sulla
rappresaglia cfr. Stefano Di Giusto, Operationszone Adriatisches Küstenland,
cit., p. 400; vedi inoltre Rodolfo Di Centa (Rudy), Testimone oculare. Valle del
But (Carnia) 1944-1945, Paluzza, Chei di Somavile, 2003, pp. 10-15.
247
Stefano Di Giusto, Operationszone Adriatisches Küstenland, cit., pp.
401-02; inoltre il database elaborato da Carlo Gentile, cit. In Giovanna
D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici,
cit., sono numerose le biograie di deportati originari di questi luoghi, ma
non è possibile stabilire con certezza per nessuno di loro una corrispondenza
tra l’arresto nelle circostanze qui narrate e la deportazione in KL.
248
Stefano Di Giusto, Operationszone Adriatisches Küstenland, cit., pp.
513-514.
249
Cfr. Galliano Fogar, Litorale Adriatico, in Enzo Collotti, Renato Sandri, Frediano Sessi (a cura di), Dizionario della Resistenza, volume I, Storia e
711
geograia della Liberazione, cit., pp. 582-594, qui a p. 591. Anche nel caso di
Lanischie, in Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., compaiono biograie di deportati originari del
luogo, ma non è possibile stabilire con certezza per nessuno di loro una corrispondenza tra l’arresto nelle circostanze qui narrate e la deportazione in KL.
250
Stefano Di Giusto, Operationszone Adriatisches Küstenland, cit., p. 518,
vedi inoltre il database elaborato da Carlo Gentile, cit. A fronte di 7 morti e
8 feriti tra i rastrellatori, in una fonte coeva tedesca compaiono 123 caduti
«certi», altri 50 «probabili», circa 80 feriti e 37 prigionieri, mentre documentazione italiana anch’essa d’epoca parla di 117 morti e 100 prigionieri.
251
Bruno Steffè, La lotta antifascista nel basso Friuli, cit., p. 200.
252
Vedi le loro schede biograiche in Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., ad nomen.
253
Sulla zona libera del Friuli orientale cfr. Giovanni Padoan (Vanni),
Abbiamo lottato insieme. Partigiani italiani e sloveni al conine orientale, Udine, Del Bianco, 1966, p. 134; Alberto Buvoli, Franco Cecotti, Luciano Patat
(a cura di), Atlante storico della lotta di liberazione italiana nel Friuli Venezia
Giulia, cit., p. 98; e Paolo Toldo, Gli avvenimenti militari del settembre-ottobre
1944 nelle due zone libere del Friuli, cit., p. 87.
254
Stefano Di Giusto, Operationszone Adriatisches Küstenland, cit., p. 524;
Carlo Gentile, La repressione antipartigiana tedesca nel Veneto e nel Friuli, cit.,
p. 210. Di Giusto sostiene abbiano partecipato anche aliquote della 94ª e della 71ª divisione di fanteria, nonché reparti cosacchi.
255
Cfr. in Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura
di), I deportati politici, cit., le indicazioni geograiche contenute nelle schede
biograiche, ad locum.
256
Si tratta di Antonio Della Negra, cfr. ivi, ad nomen.
257
Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit.; inoltre Giovanni Comelli, Il martirio di Nimis, Udine, Arti Graiche Friulane, 1974, p. 55; Giampaolo Gallo, La Resistenza in Friuli 1943-45, Udine, Istituto Friulano per la
Storia del Movimento di Liberazione, 1989, che si rifà a Giovanni Padoan
(Vanni), Un’epopea partigiana alla frontiera tra due mondi, Udine, Del Bianco,
1984, p. 276. Le stesse cifre citate da Padoan e poi da Gallo erano state peraltro già riportate nella voce Friuli, Zona libera del, in Pietro Secchia, Enzo
Nizza (sotto la direzione di), Enciclopedia dell’antifascismo e della Resistenza,
6 volumi, Milano-Bergamo, La Pietra-Walk Over, 1968-1989, qui dal II volume, D-G, pubblicato nel 1971, p. 442, e sarebbero altresì comparse tal quali
in Pier Arrigo Carnier, Lo sterminio mancato, cit., p.131 e, più di recente, in
Alberto Buvoli, Franco Cecotti, Luciano Patat (a cura di), Atlante storico della lotta di liberazione italiana nel Friuli Venezia Giulia, cit., p. 99. Stefano Di
Giusto, Operationszone Adriatisches Küstenland, cit., p. 524, indica un totale di 130 «deportati» [sic!] senza fornire ulteriori precisazioni. Un elenco di
persone «deportate» dai comuni della zona libera del Friuli orientale si trova
in Valentino Pravisano, Aldo Moretti, I caduti della Resistenza nel territorio
712
della zona libera orientale del Friuli, in «Storia contemporanea in Friuli», n. 5,
anno IV, 1974, pp. 146-161. Si vedano inoltre Faedis 1944, Udine, Tipograia
arti graiche friulane, 1974, p. 17; Michael Wedekind, Nationalsozialistische
Besatzungs- und Annexionspolitik, cit., p. 456.
258
Paolo Toldo, Gli avvenimenti militari del settembre-ottobre 1944 nelle
due zone libere del Friuli, cit., p. 86.
259
Sulla presenza partigiana nella zona libera della Carnia e del Friuli vedi
in dettaglio Fabio Tafuro, La Resistenza nel Friuli occidentale, cit. Sul rastrellamento cfr. Mario Candotti, Prima fase dell’offensiva tedesca contro la «zona
Libera della Carnia e del Friuli». Operazioni militari nella Zona Carnica: 8 ottobre-20 dicembre 1944, in «Storia contemporanea in Friuli», n. 9, anno VIII,
1978, pp. 211-268; Idem, La seconda fase dell’offensiva tedesca contro la «Zona
libera della Carnia e del Friuli». Operazioni militari nella destra orograica del
Meduna, nell’alta Val Meduna, nelle Prealpi Carniche occidentali (27 novembre-8 dicembre 1944), in «Storia contemporanea in Friuli», n. 8, anno VII,
1977, pp. 200-264; Idem, La lotta partigiana in Valcellina, in «Storia contemporanea in Friuli», n. 10, anno IX, 1979, pp. 131-204 La lotta partigiana in
Valcellina, in «Storia contemporanea in Friuli», n. 10, a. IX, 1979, pp. 131-204
260
Fabrizio Tafuro, La Resistenza nel Friuli occidentale, cit., p. 173.
261
Per i dettagli dell’operazione cfr. Stefano Di Giusto, Operationszone
Adriatisches Küstenland, cit., pp. 526-528.
262
Ivi, p. 528.
263
Ivi, p. 530. Inoltre il database elaborato da Carlo Gentile, cit.
264
Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit. Secondo le fonti tedesche, a fronte di 2 morti, 34 feriti e 2 dispersi tra i rastrellatori si contarono
107 caduti, 150 feriti stimati, 40 prigionieri, 3 disertori catturati tra i partigiani.
265
Ivi. In questo caso, sempre secondo le fonti tedesche, le forze partigiane avrebbero avuto 100 caduti, 37 feriti (stima dei rastrellatori), e lasciato 38
prigionieri in mano nemica, che dovette invece lamentare solo 6 feriti.
266
Stefano Di Giusto, Operationszone Adriatisches Küstenland, cit., pp.
529-541; inoltre i contributi di Fabio Tafuro, La Resistenza nel Friuli occidentale, cit.; e di Mario Candotti, Prima fase dell’offensiva tedesca contro la «zona
Libera della Carnia e del Friuli», cit., La seconda fase dell’offensiva tedesca contro la «Zona libera della Carnia e del Friuli», cit., La lotta partigiana in Valcellina, cit. Da tenere sempre presente la documentazione raccolta nel database
elaborato da Carlo Gentile, cit.
267
Carlo Gentile, La repressione antipartigiana tedesca nel Veneto e nel
Friuli, cit., p. 212; Paolo Toldo, Gli avvenimenti militari del settembre-ottobre
1944 nelle due zone libere del Friuli, cit., p. 97.
268
Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit.
269
In Galliano Fogar, Litorale Adriatico, cit., p. 588, si accenna genericamente a «centinaia» di «caduti o uccisi dopo la cattura o nei Lager nazisti»;
analogamente Giampaolo Gallo, La Resistenza in Friuli cit., parla per la pri-
713
ma fase dell’operazione nelle valli del Tagliamento e del But di molti civili rastrellati e inviati in non meglio speciicati «campi di concentramento».
Giannino Angeli, Natalino Candotti, Carnia Libera. La repubblica partigiana
del Friuli (estate-autunno 1944), Udine, Del Bianco, 1971, p. 149, fanno riferimento alla cattura di quasi un migliaio di persone non combattenti, fra cui
oltre un centinaio di donne, trascinati, si dice, ai lavori forzati in Germania o
trasferiti in generici «campi di concentramento».
270
Michael Wedekind, Nationalsozialistische Besatzungs- und Annexionspolitik, cit., p. 456. Tra le schede biograiche contenute in Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., si
trovano sia quelle di Giacomo Bet, di Barcis ma arrestato a Maniago; Ugo
Cattarinussi, di Ovaro; Amadio Dolcetti, nato a Miona, frazione di Ovaro, i
quali sono immatricolati il 7 febbraio 1945 al Mauthausen dove erano giunti
con un trasporto partito qualche giorno prima proprio da Trieste; sia quelle
di Osvaldo De Damiani, originario di Erto e Casso; Carlo Dessì ed Eugenio Morra, partigiani della Osoppo; Nicolò Muser, di Paluzza ma arrestato
a Ovaro, registrati a Flossenbürg tre settimane prima, il 14 gennaio, dopo
essere partiti da Trieste tre giorni prima. Per tutti loro vedi ivi, ad nomen. Su
Dessì e Morra cfr. altresì nel testo e in nota. Ovviamente saranno necessari
ulteriori approfondimenti in sede locale a partire dall’incrocio delle schede
biograiche ora citate con le ricerche esistenti e le fonti disponibili per estendere il raggio delle conoscenze.
271
Vedi Riccardo Giacuzzo, Mario Abram, Itinerario di lotta, cit., p. 329;
nonché Bruno Steffè, La lotta antifascista nel basso Friuli, cit., pp. 293, 323-324.
272
Bruno Steffè, La lotta antifascista nel basso Friuli, cit., p. 279. Cfr. le
schede biograiche dei due deportati in Giovanna D’Amico, Giovanni Villari,
Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., ad nomen.
273
Cfr. Paolo Sema, Aldo Sola, Marietta Bibato, Battaglione Alma Vivoda,
Milano, La Pietra, 1975, p. 129; Aldo Bressan, Luciano Giuricin, Fratelli nel
sangue, cit., pp. 330-331; Gaetano La Perna, Pola, Istria, Fiume, 1943-1945. La
lenta agonia di un lembo d’Italia, Milano, Mursia, 1993, p. 307, ss.
274
Aldo Bressan, Luciano Giuricin, Fratelli nel sangue, cit. pp. 330-331.
275
In Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di),
I deportati politici, cit., compaiono 53 schede biograiche di persone la cui
vicenda concentrazionaria è compatibile con un arresto nel periodo e nei luoghi sopracitati; 23 furono deportati a Dachau con il trasporto giuntovi l’11
dicembre 1944, e partito da Trieste l’8 precedente; 13 vennero immatricolati
a Flossenbürg il 21 successivo, dopo esservi stati avviati dal capoluogo giuliano il 18; altri 5 li avrebbero seguiti nello stesso KL nel convoglio, già citato
poc’anzi, del 14 gennaio; gli ultimi 12 sarebbero giunti a Mauthausen il 7
febbraio, con lo stesso trasporto poco sopra richiamato. Cfr. ivi, ad locum.
276
Cfr. Michael Wedekind, Nationalsozialistische Besatzungs- und Annexionspolitik, cit., passim; e Monica Fioravanzo, Mussolini e Hitler. La Repubblica sociale sotto il Terzo Reich, Roma, Donzelli, 2009, pp. 155-162.
714
277
Umberto Corsini, L’Alpenvorland, necessità militare o disegno politico?,
in Tedeschi, partigiani e popolazioni nell’Alpenvorland (1943-1945). Atti del
convegno di Belluno 21-23 aprile 1983, Venezia, Marsilio, 1984, pp. 11-56. Cfr.
inoltre Elena Carano, La peculiarità della «guerra ai civili» nella Belluno occupata, in «Protagonisti», n. 88, giugno 2005, pp. 65-88.
278
Sul tema cfr. i contributi in Tedeschi, partigiani e popolazioni nell’Alpenvorland, cit.; nonché Andrea Di Michele, Rodolfo Taiani (a cura di), La
Zona d’operazione delle Prealpi nella seconda guerra mondiale, Trento, Museo Storico in Trento, 2009. Per un approfondimento si vedano le indicazioni
bibliograiche contenute in Michael Wedekind (a cura di), Nazionalismi di
conine. Il Trentino-Alto Adige dall’annessione italiana all’occupazione nazista
(1918-1945), Trento, Museo Storico in Trento, 1994.
279
Leopold Steurer, L’atteggiamento della popolazione di lingua tedesca
della provincia di Bolzano durante il periodo 1943-1945, in Tedeschi, partigiani
e popolazioni nell’Alpenvorland, cit., pp. 145-164; Andrea Di Michele, Le due
Resistenze in Alto Adige, in Idem, Rodolfo Taiani (a cura di), La Zona d’operazione delle Prealpi, cit., pp. 283-295. Su Bolzano e il DuLag che vi ebbe sede cfr. Cinzia Villani, Il Durchgangslager di Bolzano (1944-1945), in Brunello
Mantelli (a cura di), Deportati, deportatori, cit., pp. 823-853.
280
Sul Trentino cfr. Lorenzo Gardumi, Maggio 1945. «a nemico che fugge ponti d’oro», Trento, Museo Storico in Trento, 2008; Idem, Tra terrorismo
mirato e violenza indiscriminata. Le politiche di repressione in Trentino: 19431945, in Andrea Di Michele, Rodolfo Taiani (a cura di), La Zona d’operazione
delle Prealpi, cit., pp. 119-128. Si veda inoltre Graziano Riccadonna, Tra ribellismo e rassegnazione. La Resistenza nel Trentino sud-occidentale acquisizioni e
tracce di lavoro, in Giuseppe Ferrandi, Walter Giuliano (a cura di), Ribelli di
conine. La Resistenza in Trentino, Trento, Museo Storico in Trento, 2003, pp.
259-276, in particolare a p. 263.
281
Sul Bellunese cfr. il puntuale e documentato contributo di Adriana
Lotto, Resistenza, rastrellamenti, deportazioni nel Bellunese, in Brunello Mantelli (a cura di), Deportati, deportatori, cit., pp. 318-366.
282
Ivi, pp. 322-323.
283
Carlo Gentile, La repressione antipartigiana tedesca nel Veneto e nel
Friuli, cit., p. 194; Elena Carano, La peculiarità della «guerra ai civili», cit., p.
85, nota 19; cfr. inoltre il database elaborato da Carlo Gentile, cit.
284
L’informazione si trova in Marco Pirina, 1943-1945. Guerra civile sulle
montagne, vol. III, Vicenza, Belluno, Verona, Trento, Bolzano, Gorizia, Pordenone, Centro Studi e Ricerche Storiche Silentes Loquimur, 2003, p. 63.
285
Dario Venegoni, Uomini, donne e bambini, cit., cfr. ad nomen.
286
Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I
deportati politici, cit., cfr. ad nomen.
287
Nella scheda che lo riguarda (cfr. ivi, secondo tomo, p. 1678) compaiono infatti due possibili date di nascita, desunte dalla documentazione
consultata ma tra loro del tutto incompatibili: 15 gennaio 1912 e 15 dicembre
715
1895, il che fa pensare si possa essere effettivamente trattato di due persone
diverse; solo di una però si hanno suficienti tracce provenienti dalla documentazione concentrazionaria.
288
Margareth Lun, NS-Herrschaft in Südtirol, cit., p. 387.
289
Sulla base di una relazione militare del 9 agosto, per i lavori sulla linea
sarebbero stati a disposizione 100.000 uomini, una cifra che nei mesi successivi sarebbe dovuta salire a 180.000, cfr. Carlo Gentile, La repressione antipartigiana tedesca nel Veneto e nel Friuli, cit., p. 205, mentre Margareth Lun,
NS-Herrschaft in Südtirol, cit., parla di 82.000 lavoratori coatti in tutto.
290
Cfr. in proposito i contributi di Carla Antonini, La deportazione, cit.; di
Marco Minardi, «Una lotta disumana», cit.; e in particolare di Francesco Paolella, Giovanna Caroli e Cleonice Pignedoli, Tra le memorie del territorio reggiano, cit., in Brunello Mantelli (a cura di), Deportati, deportatori, cit., passim.
291
Carlo Gentile, La repressione antipartigiana tedesca nel Veneto e nel
Friuli, cit., p. 200.
292
Secondo una ricostruzione complessiva dei caduti nel corso dei Venti
mesi originari del Trevigiano (Elio Fregonese [a cura di], I caduti trevigiani
nella guerra di liberazione 1943-1945, Treviso, Istituto per la storia della resistenza e della società contemporanea della Marca Trevigiana, 1993), sarebbero stati fatti prigionieri nel corso di questo rastrellamento Franco Ardi (di
Barbarano Vicentino) e Luigi Bordin (feltrino, quindi del Bellunese) lì classiicati tutti e due come caporalmaggiori del 15° Reggimento Autieri, ma secondo le fonti concentrazionarie studenti universitari. Entrambi vennero inviati
nel DuLag di Bolzano e da lì deportati al KL di Mauthausen il 20 novembre
1944. Trasferiti al sottocampo di Melk, vi sarebbero deceduti rispettivamente il 26 febbraio e il 5 marzo 1945; cfr. Giovanna D’Amico, Giovanni Villari,
Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., ad nomen; nonché Dario
Venegoni, Uomini, donne e bambini, cit., ad nomen. Diverse, ed evidentemente
errate, le notizie circa il percorso concentrazionario dei due giovani contenute
in Elio Fregonese (a cura di), I caduti trevigiani, cit., dove per Ardi si dà come
KL di destinazione e di decesso (in data 5 marzo 1945) Dachau, mentre di
Bordin si fornisce come destinazione direttamente Melk e se ne dà come data di decesso il 15 marzo. Purtroppo la storiograia locale è sempre utile per
quanto riguarda la dinamica degli arresti, ma sovente lacunosa e imprecisa
circa luoghi di destinazione ed eventuali percorsi concentrazionari.
293
Su di esso si veda Adriana Lotto, Resistenza, rastrellamenti, cit., pp.
332-333.
294
Cfr. Ferruccio Vendramini, Belluno, in Enzo Collotti, Renato Sandri,
Frediano Sessi (a cura di), Dizionario della Resistenza, volume I, Storia e geograia della Liberazione, cit., pp. 568-569.
295
Nato nel 1914 nei pressi di Innsbrück, sportivo noto in città come boxeur e ginnasta, Alois Schintlholzer entrò nel 1932 nel ramo austriaco della
NSDAP, aderendo nello stesso anno alle SA e l’anno dopo alla SS. Arrestato
e detenuto per cinque mesi nel 1937, allorché la NSDAP austriaca era stata
716
posta fuori legge, dopo l’Anschluß ebbe un ruolo importante nell’organizzazione a Innsbruck del grande pogrom (cosidetta «notte dei cristalli») del 9
novembre 1938. Entrato nel 1939 nelle Waffen SS, frequentò la Junkerschule
(scuola per allievi uficiali) della SS da Bad Tölz. Dopo aver conseguito il grado di sottotenente (Untersturmführer), ebbe il comando di un reparto di fucilieri motociclisti del 2° reggimento fanteria motorizzata delle SS, alla cui testa
avrebbe partecipato, dal giugno 1941, alle operazioni condotte dal Gruppo
di Armate Nord (Heeresgruppe Nord) sul fronte orientale e all’assedio di Leningrado. Nei mesi successivi si distinse in diverse operazioni antiguerriglia
guidando Jagdkommandos. Nel 1942 fu promosso tenente (Obersturmführer)
e decorato per meriti di guerra. Nel settembre 1943 fu trasferito in Italia. Tra
il 1943 e il 1944 sarebbe stato assegnato alla 7ª divisione da montagna delle Waffen SS «Principe Eugenio» (7 SS Freiwilligen-Gebirgs-Division «Prinz
Eugen»), speciicatamente addestrata alla lotta antipartigiana e creata dopo
l’invasione nazifascista della Jugoslavia. Promosso a capitano (Hauptsturmführer), dopo aver preso parte alla retata degli ebrei di Merano e ad alcune
operazioni antiguerriglia nel Nord Italia, condotte agli ordini di Theodor
Sawaecke, ad Alois Schintlholzer venne afidata la Scuola di addestramento
da montaglia della Waffen SS istituita a Predazzo. In tale veste avrebbe guidato rastrellamenti in area veneta, rendendosi altresì responsabile di stragi in
Trentino, effettuate a guerra ormai conclusa. Per il suo proilo biograico cfr.
Lorenzo Gardumi, Maggio 1945, cit., pp. 282-284.
296
Secondo tutte le fonti militari tedesche, la divisione «Hermann
Göring» fu trasferita alla ine di luglio 1944 sul fronte orientale (l’ordine è
datato 15 luglio), dove viene data per operativa all’inizio del settembre successivo. Sono perciò legittimi i dubbi sulla presenza di sue unità nell’OZAV
nella seconda metà di agosto.
297
Cfr. Elena Carano, La peculiarità della «guerra ai civili» nella Belluno
occupata, cit., p. 77 ss; Eadem, Oltre la soglia. Uccisioni di civili nel Veneto,
1943-1945, Padova, CLEUP, 2007, pp. 64-69.
298
Egidio Ceccato, Il rastrellamento del Grappa (1944), in «Venetica», n.s.,
n. 4, 1995, pp. 61-94; Sonia Residori, Il massacro del Grappa. Vittime e carneici del rastrellamento (21-27 settembre 1944), Verona, Cierre, 2007; circa il
rapporto tra caduti e deportati nel corso di rastrellamenti, l’autrice ha messo
in rilevo come: «il dato senz’altro più aleatorio [sia] rappresentato da coloro, civili e partigiani, che furono deportati in campo di concentramento in
Germania, in quanto per lungo tempo l’opinione pubblica italiana ha molto
sottovalutato il fenomeno della deportazione», ivi, p. 47; in effetti, anche gli
studi locali più recenti, basandosi essenzialmente sugli atti dei processi istruiti alla ine della guerra contro gli esecutori delle stragi, non permettono di
fare luce sulle deportazioni a esse correlate, ma piuttosto sulle morti e sulle
responsabilità dei massacri, temi che maggiormente rispecchiavano la sensibilità dei magistrati e dell’opinione pubblica all’epoca in cui quei procedimenti furono celebrati.
717
299
Carlo Gentile, La repressione antipartigiana tedesca nel Veneto e nel
Friuli, cit., p. 207; Sonia Residori, Il massacro del Grappa, cit., p. 121.
300
La testimonianza di Evelino Casanova Borca, giovane di 17 anni arrestato per sbaglio al posto del padre che si trovava al momento nel Trevigiano, è pubblicata in Walter Musizza, Giovanni Donà, Gli internati, ovvero il
dramma tagliato, in «Protagonisti», n. 63, anno XVII, aprile-giugno 1996, pp.
8-13; la scheda sul percorso concentrazionario di Casanova Borca è riportata
in Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., ad nomen.
301
Cfr. Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura
di), I deportati politici, cit., ad nomen. Nello stesso luogo si trovano le biograie di altri due compaesani, quasi omonimi, Osvaldo Casanova Bolco e
Antonio Casanova Lozio, i quali subiscono la stessa sorte e avranno in KL
l’identico percorso.
302
Ivi, ad nomen.
303
Cfr. la relazione del parroco di Costalta, don Modesto Sorio, in Giuseppe Sorge, Relazioni dei Parroci delle Diocesi di Belluno e Feltre sulla occupazione nazista dal 1943 al 1945, Belluno, Istituto Bellunese di Ricerche
Sociali e Culturali, 2004, p. 200; il documento era già stato riprodotto in Istituto storico bellunese della Resistenza (a cura di), 1943-1945. Occupazione e
resistenza in provincia di Belluno. I documenti, Belluno, Comitato organizzatore per il 40° della medaglia d’oro al valore militare alla città di Belluno per
la lotta di liberazione della Provincia, 1988, pp. 144-145; fu ripreso anche da
Ferruccio Vendramini, in Belluno, cit., p. 570.
304
Adriana Lotto, Resistenza, rastrellamenti, cit., pp. 338-339.
305
Cfr. nuovamente la relazione di don Modesto Sorio, cit., in Giuseppe
Sorge, Relazioni dei Parroci delle Diocesi di Belluno e Feltre, cit., loc. cit.
306
In Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di),
I deportati politici, cit., sono presenti le schede biograiche di 38 deportati originari dei tre comuni e catturati durante i rastrellamenti della prima decade
di gennaio 1945; 34 vennero deportati al KL di Mauthausen, dove sarebbero
giunti il 4 febbraio 1945, altri 4 li avrebbero preceduti arrivando il 23 gennaio
a Flossenbürg; cfr. ivi, ad locum.
307
Jean Pierre Jouvet, Trento e provincia, in Enzo Collotti, Renato Sandri,
Frediano Sessi (a cura di), Dizionario della Resistenza, volume I, Storia e geograia della Liberazione, cit., p. 575.
308
Cfr. Giuseppe Pantozzi, Il Minotauro argentato. Contributi alla conoscenza del movimento di resistenza di Val di Fiemme, Trento, Museo Storico
in Trento, 2000, pp. 49-64 e 75-88; e Lorenzo Gardumi, Maggio 1945, cit, p.
272 e ss.
309
Jean Pierre Jouvet, Trento e provincia, cit., pp. 577-587.
310
Cfr. Renzo Francescotti, Antifascismo e resistenza nel Trentino, 19201945, Roma, Editori Riuniti, 1975, pp. 114-115, dove si accenna alla deportazione del religioso. Cfr. la scheda biograica di don Sordo in Giovanna
718
D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici,
cit., ad nomen.
311
Vedi Giuseppe Pantozzi, Il minotauro argentato, cit., pp. 101-110; Renzo Francescotti, Antifascismo e resistenza nel Trentino, cit., pp. 116-117. I catturati in queste circostanze vennero tutti deportati al DuLag di Bolzano, parte dei quali per rimanervi (Anna Bosin; il padre francescano Giuseppe De
Gasperi; Mario Leoni; Giovanni Tosca, cfr. Dario Venegoni, Uomini, donne
e bambini, cit.), altri per proseguire in seguito verso i KL: il francescano Luigi (o Ludwig, ma indicato nella letteratura anche come padre Costantino)
Amort e Aldo Pantozzi sarebbero giunti il 2 febbraio a Mauthausen, mentre
Giovanni (o Kasimir) Jolstraibizer (o Jobstraibizer, le fonti danno due graie
del cognome), anche egli appartenente all’ordine dei frati minori, e Marzo
Zozi sarebbero stati immatricolati a Flossenbürg il 19 gennaio 1945. Confronta per questi ultimi quattro le schede biograiche in Giovanna D’Amico,
Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., ad
nomen.
312
Carlo Gentile, La repressione antipartigiana tedesca nel Veneto e nel Friuli, cit., p. 190; del II corpo d’armata delle Waffen SS facevano parte al tempo la
1ª divisione corazzata delle Waffen SS «Leibsstandarte Adolf Hitler», e la 24ª
divisione corazzata della Wehrmacht.
313
Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit. L’operazione è altresì segnalata da Luca Valente, La repressione militare tedesca nel vicentino, in
«Quaderni Istrevi», n. 1, 2006, p. 42.
314
Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit.
315
Carlo Gentile, La repressione antipartigiana tedesca nel Veneto e nel
Friuli, cit., p. 198.
316
Ivi, passim.
317
Luca Valente, La repressione, cit., p. 43; Carlo Gentile, La repressione
antipartigiana tedesca nel Veneto e nel Friuli, cit, p. 194.
318
Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit.
319
L’indicazione si trova in Marco Pirina, 1943-45. Guerra civile sulle montagne, vol. III, Vicenza, Belluno, Verona, Trento, Bolzano, cit., pp. 197-198.
320
Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit.
321
La vicenda è descritta in Francesco Selmin, La Resistenza tra Adige e
Colli Euganei, Sommacampagna, Cierre, 2005, p. 24 ss.; Elena Carano, Oltre
la soglia, cit., pp. 171-175; Umberto Dinelli, La guerra partigiana nel Veneto, Venezia, Marsilio, 1976, pp. 128-129; e Tiziano Merlin (a cura di), Il 50° della
Liberazione nel padovano, Padova, Centro studi Ettore Lucini, 1995, pp. 32-64.
322
Nei racconti partigiani riportati da Tiziano Merlin (a cura di), Il 50.
della Liberazione, cit., p. 50, si accenna alla cifra di 30 «deportati» in Germania, ma si trattò con certezza di lavoratori coatti.
323
Francesco Selmin, La Resistenza, cit., p. 24 ss.; Tiziano Merlin (a cura
di), Il 50° della Liberazione, cit., p. 43; don Sante Miotto, Squilla dell’Adige.
Castelbaldo, luglio 1944-luglio 1945, Rovigo, Istituto padano di arti graiche,
719
1945. Secondo la ricostruzione di Selmin, durante il rastrellamento di Castelbaldo vennero catturate la moglie e la iglia del comandante partigiano
Giuseppe Doralice, assieme a un’amica comune, Enrica Vaccai. Le tre donne,
dopo essere state tradotte alle carceri d’Este e condannate a morte, sarebbero
state, secondo Selmin, «deportate» in Germania insieme a Elio Danese, Rino
Gagliotto e alcuni altri giovani di Masi; tuttavia, né in Dario Venegoni, Uomini, donne e bambini, cit., né in Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., compare alcuna traccia di
loro. Essendo state le due opere basate sullo spoglio accurato di tutta quanta
la documentazione disponibile sui prigionieri nel DuLag di Bolzano la prima,
sui deportati in KL la seconda, ne consegue che la ricostruzione di Selmin va
considerata su questo speciico punto erronea.
324
La notizia si trova in Marco Pirina, 1943-45. Guerra civile sulle montagne, vol. III, Vicenza, Belluno, Verona, Trento, Bolzano, cit. pp. 245-247. Sul
rastrellamento della Piana come parte di Pauke cfr. inoltre Comitato venetotrentino per la storia delle Brigate d’assalto Garibaldi A. Garemi, Brigate
d’assalto Garemi. Contributo per una storia del gruppo divisioni garibaldine A.
Garemi, Torrebelvicino, Tipolitograia L. Greselin, 1978, pp. 52-54.
325
Sonia Residori, Il massiccio del Grappa cit., p. 47.
326
Ivi, p. 62. Cfr. inoltre Il rastrellamento del Grappa 20-26 settembre 1944.
Due testimonianze di Livio Morello e Gigi Toaldo, Venezia, Marsilio, 1986,
con un’introduzione di Enrico Opocher; Egidio Ceccato, Il rastrellamento
del Grappa (1944), cit., pp. 61-94. Sui caduti vedi Elena Carano, Oltre la soglia, cit., p. 59 ss.; cfr. anche s.c. (Chiara Saonara), Grappa, Monte, voce dedicata al rastrellamento in Enzo Collotti, Renato Sandri, Frediano Sessi (a cura
di), Dizionario della Resistenza, volume II, Luoghi, formazioni, protagonisti,
cit., pp 58-59. Si veda inoltre Lorenzo Capovilla, Federico Maistrello, Assalto
al Monte Grappa settembre 1944. Il rastrellamento nazifascista del Grappa nei
documenti italiani, inglesi e tedeschi, con un saggio di Sonia Residori, Treviso,
Istresco, 2011.
327
Sonia Residori, Il massacro del Grappa, cit., pp. 71-90.
328
La presenza di un centro di addestramento in località Ca’ Bianca è
segnalata anche da Carlo Gentile, La repressione antipartigiana tedesca nel Veneto e nel Friuli, cit., p. 181.
329
Ivi, p. 208.
330
Questi dati vengono citati anche da Umberto Dinelli, La guerra partigiana, cit., p. 117, che scrive di 171 impiccati, 603 fucilati, 804 «deportati»,
3.212 prigionieri (incongruamente distinti dai «deportati») e 285 case incendiate.
331
Enrico Opocher, nell’introduzione a Il rastrellamento del Grappa 20-26
settembre 1944, cit., p. 27.
332
Cfr. Elio Fregonese (a cura di), I caduti trevigiani, cit. I 27 sono: Eugenio Andreatta; Antonio Biason; Renato Biason; Giuseppe Bolzan; Leonildo
Bolzan; Sebastiano Bontorin; Giovanni Bortolazzo; Marcello Brion; Giovanni
720
Buratto; Giannino Celotto; Emilio Del Bianco; Giovanni Cunial; Michele Giacomelli; Ermenegildo Guadagnin; Sante Maniotto; Agostino Moro; Orione
Pilla; Giovanni Savio; Angelo Spezzamonte; Evaristo Tessari; Domenico Ziliotto; Egidio Ziliotto; Sebastiano Ziliotto; Zefferino Ziliotto. Di loro 23 risultano con sostanziale certezza essere stati immatricolati al DuLag di Bolzano
(cfr. Dario Venegoni, Uomini, donne e bambini, cit., ad nomen), da cui poi sarebbero effettivamente stati trasferiti al KL di Dachau (cfr. per i loro percorsi
concentrazionari le schede biograiche contenute in Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., ad nomen),
ancorché compaiano variazioni nella graia dei cognomi: Andreatta è in realtà
Andrealla; Biason è in realtà Biasion (compare tuttavia nella documentazione
concentrazionaria anche la graia Biassion), Guadagnin compare anche come
Guadagnini. Del tutto assenti dalle fonti utilizzate in entrambe le opere citate
Buratto, Maniotto, Pilla e Tessari, quasi certamente, perciò, non deportati in
KL; al contrario vi compaiono invece altri nomi, tra cui quello di un Tarcisio
Tessari, anch’egli fatto prigioniero nel rastrellamento del Grappa e poi passato
per Bolzano e Dachau. Non coincidono però luogo e data di morte, che per
l’Evaristo di Fregonese sono Überlingen il 24 febbraio 1945, mentre per il Tarcisio di Venegoni e D’Amico, Villari, Cassata risultano essere Dachau il 5 marzo 1945, cosa che rende dubbia una pur possibile identiicazione.
333
Sonia Residori, Il massacro del Grappa, cit., pp. 46-47.
334
Ivi, p. 128. Per il loro percorso concentrazionario cfr. le schede biograiche in Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I
deportati politici, cit., ad nomen.
335
Zaira Meneghin Maina, Tra cronaca e storia. La Resistenza nel Vicentino, Milano, Teti, 1989, pp. 152-155.
336
Umberto Dinelli, La guerra partigiana, cit., pp. 153-154.
337
Cfr. Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura
di), I deportati politici, cit., ad nomen; nonché Dario Venegoni, Uomini, donne
e bambini, cit., ad nomen.
338
Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit.
339
Per quanto riguarda la ricostruzione del rastrellamento cfr. Comitato
veneto-trentino per la storia delle Brigate d’assalto Garibaldi A. Garemi, Brigate d’assalto Garemi, cit., pp. 117-118; circa la sorte successiva di don Rigoni,
del falegname Lorenzi e dei restanti sei, i cui nomi non sono citati nel volume
sopracitato e la cui identiicazione è stata possibile grazie a una veriica condotta sia su Dario Venegoni, Uomini, donne e bambini, cit., ad locum, sia su
Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., ad locum, cfr. le loro schede biograiche ivi, ad nomen.
340
Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit.
341
Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit. Gli eventi successivi al
rastrellamento sono ricostruiti in Rolando Anni, Storia della Brigata «Giacomo Perlasca», Brescia, Istituto Storico della Resistenza Bresciana, 1980, pp.
41-54.
721
342
Secondo Rolando Anni, Storia della Brigata, cit., p. 51, nota n. 83, la
partenza di questo gruppo per la Germania sarebbe avvenuta il 10 marzo
1944; come è consuetudine della storiograia locale, l’autore parla anche in
questo caso di «deportati», sostantivo che non può assolutamente essere interpretato come «deportati in KL».
343
Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit.
344
Ivi.
345
Ivi. L’episodio è raccontato anche in Guido Bonvicini, Decima marinai!
Decima comandante! La fanteria di marina 1943-45, Milano, Mursia, 1988, p. 70.
346
Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit.
347
Ivi; secondo fonti di polizia (Bundesarchiv Berlin-Lichterfelde, fondo
R70 Italien, fascicolo n. 27, p. 119) i caduti partigiani sarebbero stati 350, i feriti 125, i prigionieri 200); secondo fonti militari (Bundesarchiv-Militärarchiv
Freiburg im Breisgau, fondo RH2, fascicolo n. 667, relazione Ic del 30 agosto
1944; e fondo RH24-204, fascicolo n. 1, p. 4) le cifre sono di 88 vittime e 50
prigionieri nel primo caso (dove non si parla di feriti); 240 morti, 300 feriti
e 265 catturati nel secondo. Vedi anche Lucio Ceva, Una battaglia partigiana. I combattimenti del Penice del Brallo nel quadro del rastrellamento ligurealessandrino-pavese-piacentino di ine agosto 1944, Milano, Istituto Nazionale
per la Storia del Movimento di Liberazione, 1960; Giampaolo Pansa, Guerra
partigiana tra Genova e il Po. La Resistenza in provincia di Alessandria, Bari,
Laterza, 1967, pp. 194-204; nonché Istituto Nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia - Istituto Gramsci, Le Brigate Garibaldi nella
Resistenza, Documenti, volume II, Gabriella Nistico (a cura di), Giugno-novembre 1944, Milano, Feltrinelli, 1979, i doc. 274 e 275.
348
Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit. Una accurata descrizione delle due operazioni si trova in Idem, Tra città e campagna. Guerra partigiana e repressione in Liguria, in «Storia e memoria», 2, 1997, pp. 85-86.
349
Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit.
350
Ivi.
351
Rolando Anni, Storia della brigata «Giacomo Perlasca», cit., p. 117 e ss.;
Ricciotti Lazzero, Le SS italiane, cit., p. 207.
352
Sulla formazione delle bande di questa zona vedi Giorgio Bocca, Storia
dell’Italia partigiana. Settembre 1943-maggio 1945, Bari, Laterza, 1966.
353
Si veda Carlo Gentile, Tedeschi in Italia, pp. 15-56; Idem, La Wehrmacht tra il Mar Ligure e il Po. Difesa costiera e repressione antipartigiana,
in «Quaderno di Storia contemporanea», 1995, n. 17-18, pp. 27-58; Idem,
La Wehrmacht nelle valli alpine cuneesi dallo sbarco in Provenza all’inverno
1944/45, in Michele Calandri, Mario Cordero, Stefano Martini (a cura di),
Valle Stura in guerra 1940/45, Piasco, Comunità montana Valle Stura-Centro
di documentazione, 1996, pp. 41-56; Carlo Gentile, Le forze tedesche di occupazione e il fronte delle Alpi occidentali, in «Il presente e la storia», 1994,
n. 46, pp. 57-123; Idem, L’offensiva antipartigiana della primavera 1944, cit.,
in Pier Mario Bologna, Marco Ruzzi (a cura di), La battaglia di Val Casot-
722
to, cit., pp. 149-185; Idem, Guerra partigiana nel Ponente ligure. Le forze di
occupazione tedesche e il rastrellamento del luglio 1944, in «Bollettino della
Associazione Culturale Comunità di Villaregia», anni VI-VIII (1995-1997),
nn. 6-7-8, pp. 3-19.
354
Cfr. Idem, Tedeschi in Italia, cit., p. 45 ss.; nonché Michele Calandri,
Mario Cordero, La Valle Stura dalla guerra fascista alla liberazione, in Iidem,
Stefano Martini (a cura di), Valle Stura in guerra, cit., pp. 16-17.
355
La prima azione sotto la direzione dell’SSPF Oberitalien-West avvenne tra il 7 e il 9 dicembre 1943, a Forno Canavese; la realizzò un gruppo di
combattimento del 15º reggimento della Orpo, coadiuvato da una squadra
della Sipo-SD di stanza presso l’Aussenkommando di Torino. L’operazione,
documentata da Carlo Gentile sulla base di fonti archivistiche tedesche, è
citata anche in Istituto Nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia - Istituto Gramsci, Le Brigate Garibaldi nella Resistenza. Documenti, cit., volume I, Giampiero Carocci, Gaetano Grassi (a cura di), Agosto
1943-maggio 1944, doc. 44.
356
Cfr. Mario Renosio, Colline partigiane, Milano, Angeli, 1994, p. 77;
Gianni Dolino, Partigiani in Val di Lanzo, Milano, Angeli, 1989, pp. 18-20.
357
Cfr. Enrico Miletto, Le valli ferite. Distruzione e violenze in Valle di
Susa e Valle di Lanzo 1943-1945, in Bruno Maida (a cura di), Guerra e società
nella provincia di Torino, Torino, Blu, 2007, pp. 119-196, in particolare i paragrai Le rappresaglie e I rastrellamenti e le deportazioni, pp. 142-157, dove
si accenna alla retata del Natale 1943 a Sant’Antonino di Susa, che avrebbe
portato alla «deportazione» di Vito [sic!] Cometto, e a un’azione di rastrellamento presso Ceres svoltasi l’8 marzo 1944 che avrebbe cagionato la deportazione a Mauthausen del partigiano Michele Ricchione, appartenente a uno
dei nuclei che in seguito si sarebbero aggregati nella 4ª Divisione Garibaldi
«Piemonte» (ivi, pp. 142-157). Entrambe le persone qui citate paiono effettivamente essere giunte al KL di Mauthausen, in date perfettamente compatibili con le operazioni antiguerriglia poc’anzi citate, cfr. Giovanna D’Amico,
Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., ad
nomen; va tuttavia rilevato che al Cometto qui citato tutta la documentazione
disponibile, sia concentrazionaria, sia uficiale italiana di epoca successiva,
attribuisce il nome di Carlo, mentre la base di dati dell’Istituto Piemontese
per la Storia della Resistenza e della Società Contemporanea (Istoreto) di Torino porta del cognome di Ricchione la variante Ricchioni.
358
Carlo Gentile, L’offensiva antipartigiana della primavera 1944, cit., in
Pier Mario Bologna, Marco Ruzzi (a cura di), La battaglia di Val Casotto, cit.,
p. 149 e ss.
359
Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit.
360
In Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di),
I deportati politici, cit., sono riportate le schede biograiche di 14 deportati
catturati in val di Lanzo durante questa operazione, vedi ad locum; tutti vi
giunsero con il trasporto partito da Bergamo il 17 marzo 1944 e arrivato al
723
KL nei pressi di Linz tre giorni dopo; cfr. Italo Tibaldi, Compagni di viaggio,
cit., pp. 56-57. Si veda inoltre, in questo stesso volume il contributo di Giovanna D’Amico, Dall’Italia ai Lager nazisti. Ragioni e modalità di cattura, pp.
21-68, alla p. 68, nota n. 117.
361
Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit. Vedi inoltre Donatella
Gay Rochat, La resistenza nelle valli valdesi 1943-1944, Torino, Claudiana,
1969, con una prefazione di Leo Valiani (ristampata nel 2006 con una nuova
introduzione di Alberto Cavaglion. è da quest’ultima edizione che si cita), p.
91 ss.; Angela Trabucco, Resistenza in Val Chisone e nel Pinerolese, Pinerolo,
Arti Graiche, 1984, pp. 67-71.
362
Cfr. in Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura
di), I deportati politici, cit., le relative schede biograiche, ad nomen.
363
Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit.
364
Carlo Gentile, Tedeschi in Italia, cit., pp. 49-50; vedi inoltre il database
da lui stesso elaborato, cit.
365
Rohr sarebbe stato nominato generale di divisione proprio il 1º aprile
1944.
366
Vedi Carlo Gentile, L’offensiva antipartigiana della primavera 1944, cit.,
p. 150. Secondo le fonti tedesche ci sarebbero stati tra partigiani e civili 283
morti e 246 prigionieri, cfr. il database elaborato dallo stesso studioso, cit.
Cfr. anche Idem, Tedeschi in Italia cit., p. 28. Utile inoltre Pier Mario Bologna,
Marzo Ruzzi, La battaglia di Val Casotto (13-17 marzo 1944), in Iidem (a cura
di), La battaglia di Val Casotto, cit., pp. 161-185, saggio in gran parte basato
sulla documentazione partigiana.
367
Michele Calandri, La deportazione politica, cit., p. 115.
368
Si trattava della Brigata autonoma «Alessandria» e della 3ª Brigata Garibaldi «Liguria».
369
Brunello Mantelli, Aprile 1944. Il grande rastrellamento della Benedicta, cit., qui a p. 97. Cfr. anche Cesare Manganelli, Brunello Mantelli, Antifascisti, partigiani, cit., pp. 32-66.
370
Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit.
371
Cfr. la recente messa a punto di Giovanna D’Amico, Brunello Mantelli, Giovanni Villari, I ribelli della Benedicta, cit.
372
Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit.
373
Cfr. Gianni Oliva, La Resistenza alle porte di Torino, Milano, Angeli,
1989, pp. 165-185; Marco Comello, Covo di banditi. Resistenza a Cumiana tra
cronaca e storia, Pinerolo, Alzani, 1998, p. 72 ss. Entrambi gli autori parlano però, genericamente, di «deportazioni», senza però fare alcuna ulteriore
precisazione. Non risultano tuttavia immatricolazioni in KL legate a questa
operazione.
374
Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit.
375
Cfr. Idem, Le forze tedesche di occupazione, cit., p. 72 ss; vedi inoltre
per Nachtigall Angela Trabucco, Resistenza in Val Chisone cit., pp. 118-150;
Alberto Turinetti di Priero, «Nachtigall». L’operazione «Usignolo» nelle Valli
724
Chisone, Susa, Germanasca e Pellice. 29 luglio-12 agosto 1944, Collegno, Chiaromonte, 1998, dove vengono altresì citate Sperber e Habicht (alla p. 22); per
Rosenstrauch cfr. Gianni Dolino, Partigiani in Val di Lanzo, cit., pp. 38-41.
376
Giovanni Galli, La deportazione novarese: una ricerca in corso, in Brunello Mantelli (a cura di), Deportati, deportatori, cit., pp. 135-180, qui a p. 137.
377
Alberto Turinetti di Priero, «Nachtigall» cit., p. 11.
378
Cfr. in particolare Enrico Miletto, Le valli ferite, cit., in Bruno Maida
(a cura di), Guerra e società, cit., pp. 119-196, che riporta i seguenti episodi: il
13 luglio e il 26 novembre 1944, retate ad Avigliana avrebbero dato luogo alla
cattura di due partigiani che sarebbero poi stati «internati in Germania», ma
sulla cui sorte puntuale non si dà alcuna ulteriore notizia.
379
Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit.; inoltre Gianni Dolino,
Partigiani in Val di Lanzo, cit., pp. 75-81 e 95-117; Piero Carmagnola, Vecchi
partigiani miei, Torino, Stamperia artistica nazionale, 1945 (ristampato nel
2005, a Milano presso l’editore Angeli, a cura di Andrea D’Arrigo e con una
prefazione di Giovanni De Luna. è a questa edizione che si fa riferimento
puntuale, pp. 51-65); Guido Bonvicini, Decima Marinai!, cit., pp. 93-95.
380
Sulla natura e l’attività di questa speciica formazione si rinvia al saggio di Marco Savini, Il contributo fascista alla repressione antipartigiana. Il caso
dell’Oltrepò pavese, in Brunello Mantelli (a cura di), Deportati, deportatori,
cit, pp. 181-208.
381
Cfr. Carlo Gentile, Tedeschi in Italia, cit., p. 33.
382
Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit.; nonché Istituto Nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia-Istituto Gramsci,
Le Brigate Garibaldi nella Resistenza, Documenti, cit., volume II, Gabriella
Nistico (a cura di), Giugno-novembre 1944, cit., docc. nn. 336, 390, 396. Una
descrizione dettagliata dell’operazione si trova in Pietro Secchia, Enzo Nizza
(sotto la direzione di), Enciclopedia dell’antifascismo e della Resistenza, cit.,
vol. IV, lettere N-Q, pubblicato nel 1984, alle pp. 328-329.
383
Michele Calandri, La deportazione politica, cit., p. 126.
384
Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit.; inoltre Istituto Nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia-Istituto Gramsci, Le
Brigate Garibaldi nella Resistenza. Documenti, cit., volume III, Claudio Pavone (a cura di), Dicembre 1944-maggio 1945, cit., doc. 503.
385
Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit.; inoltre Mario Renosio, Colline partigiane, cit., pp. 207-212; Cesare Manganelli, Brunello Mantelli, Antifascisti, partigiani, ebrei, cit., p. 31; Cesare Manganelli, Sergio Vizio,
Resistenza e deportazione nel Basso Piemonte, in Federico Cereja, Brunello
Mantelli (a cura di), La deportazione nei campi di sterminio nazisti, Milano,
Angeli, 1986, pp. 127-143; Istituto Nazionale per la storia del movimento di
liberazione in Italia - Istituto Gramsci, Le Brigate Garibaldi nella Resistenza.
Documenti, cit., volume III, Claudio Pavone (a cura di), Dicembre 1944-maggio 1945, cit., docc. nn. 482, 498 e 509; Mario Renosio (a cura di), Vittime di
guerra. I Caduti partigiani nella Seconda Guerra Mondiale, Asti, Israt, 2008, p.
725
113; Nicoletta Fasano, Mario Renosio, La deportazione dalla provincia di Asti,
in Brunello Mantelli (a cura di), Deportati, deportatori, cit., pp. 23-66.
386
Ivi, pp. 33, 37-38, 44.
387
Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit.
388
Carlo Gentile, Tra città e campagna, cit., pp. 76-78.
389
Ivi, p. 72.
390
Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit.
391
Ivi.
392
Cfr. Marco Fantino, Domenico Ferrero, Natale Roberi (a cura di), Le
Rappresaglie Nazifasciste dell’estate 1944 in Alta Valle Tanaro. Atti del Convegno di Priola del 28 luglio 1996. Documenti e testimonianze inediti, Cuneo,
Ghibaudo, 1997. Su Kahla vedi Alessandra Fusco, Reinhard Sauer (a cura
di), Kahla, l’altra deportazione. Lavoratori forzati da Macerata alla Germania
di Hitler, Ancona, Nuove ricerche, 2003; nonché, sui lavoratori civili italiani a
Kahla, Lutz Klinkhammer, Il trasferimento coatto di civili al lavoro forzato in
Germania. Alcune considerazioni, in «Storia e problemi contemporanei», Violenze e in/giustizie, n. 32, XVI, gennaio-aprile 2003, pp. 13-23, dove si trovano
alcuni spunti importanti.
393
Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit.
394
Ivi.
395
Ivi.
396
Ivi.
397
Ivi.
398
Ivi.
726