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CAPITOLO NONO rastrellamentI e deportazIone In Kl nell’ItalIa occupata 1943-1945 di FIAMMETTA BALESTRACCI* Cenni storici e di metodo «Nel Cuneese e altrove, la pressione partigiana, nonostante i rastrellamenti del dicembre-gennaio, si è accentuata e dimostra di aumentare via via che le bande crescono numericamente. Ciò convince i germanici a rivedere i piani offensivi adoperati due mesi innanzi, passando dalle “operazioni di polizia” a programmi di cicli di rastrellamenti con impiego di truppe tratte dalle unità che hanno esperienza di controguerriglia per avervi partecipato su altri fronti della lotta partigiana europea. Viene modiicato il criterio strategico, la “puntata” lascia il posto ad un disegno di proporzioni più estese e quindi che postula maggiore spiegamento di forze; il criterio prescelto è la manovra articolata di colonne convergenti sulle località delle valli segnalate come basi od epicentri dei movimenti partigiani. Lo scopo è di pervenire all’annientamento completo delle formazioni avvolgendole in tanti nodi scorsoi.»1 Come mette bene in luce il brano di Mario Giovana qui riportato, la prassi repressiva al centro di questa trattazio* Fiammetta Balestracci, dottore di ricerca in Storia Contemporanea, collabora attualmente con l’Historisches Seminar dell’Università Johannes Gutenberg di Mainz (BRD). Ha fatto parte del gruppo di ricerca che ha prodotto Il libro dei deportati. 565 ne, il rastrellamento, non ha e non ha avuto nel corso della guerra una forma e uno sviluppo costante e deinito, non ha fatto cioè riferimento a un sistema di tecniche militari isso o speciicamente codiicato per lo spazio italiano occupato. Si è trattato, invece, di una tipologia di violenza, con una sua genealogia, che in Italia sarebbe stata impiegata tenendo conto, per un verso, delle esperienze degli anni precedenti in altri contesti, e, per altro verso, delle mutevoli condizioni militari in cui nel corso del conlitto sul fronte italiano la Wehrmacht e le forze SS e di polizia tedesche, coadiuvate dalle formazioni salodiane, si sarebbero trovate a operare. La deportazione nei campi di concentramento (Konzentrationslager, KL) come uno degli esiti possibili del rastrellamento deve perciò essere considerata all’interno di un quadro repressivo in cui la violenza viene via via assunta razionalmente come medium operativo di più vasti piani di sfruttamento della manodopera del paese occupato.2 Se all’apertura delle operazioni nello scacchiere italiano la deportazione nei KL come esito di un’operazione militare o di polizia nell’ambito della lotta antipartigiana e del mantenimento dell’ordine pubblico era considerata una delle forme di punizione alternativa all’uccisione immediata, come codiicato nei manuali di controguerriglia redatti sulla base delle esperienze compiute sui fronti orientale e balcanico,3 che doveva colpire generalmente coloro che erano considerati responsabili di «iancheggiare» e sostenere in qualche modo manifestazioni di opposizione, dalla primavera-estate del 1944 tale prassi diventa uno dei principali esiti delle azioni repressive messe in atto nella lotta contro le formazioni partigiane, azioni parallelamente inalizzate anche al prelievo e al trasferimento forzato di manodopera oltre Brennero. L’uso concreto sul territorio di questa concatenazione di dinamiche si sarebbe poi deinito di volta in volta, nel corso del conlitto, in base alle speciiche condizioni in cui le forze coinvolte si sarebbero trovate a operare, dettate sostanzialmente dalla congiuntura bellica, dalla presenza partigiana, e quindi dalla necessità di controllare il territorio e tenere libere le vie di comunicazione, e dall’esigenza di soddisfare le richieste produttive del Reich. 566 Prima di entrare nel merito delle vicende in esame vorremmo dare alcuni riferimenti di carattere storico generale riguardo a questo genere di operazione repressivo; sebbene, infatti, non manchi una codiicazione nazista per questo genere di violenza come tecnica di controguerriglia, è oggi noto che forme di violenza simili, estranee al conlitto tra eserciti regolari e piuttosto inalizzate alla repressione, erano già state perpetrate nel quadro delle guerre coloniali,4 e si sarebbero riproposte nel caotico scenario baltico nella «guerra dopo la guerra» del 1919-1921, scenario caratterizzato dall’intreccio tra conlitti interstatuali, guerre civili, scontri di nazionalità e contrapposizioni ideologiche.5 Anche attraverso la rilessione sull’esperienza baltica si sarebbero condensate, a metà degli anni Trenta, le prime rilessioni teoriche delle forze armate tedesche sulle tecniche di controguerriglia, successivamente codiicate e riadattate in una serie di documenti stilati nel corso del secondo conlitto mondiale che traevano ispirazione ulteriore dai metodi adottati sui campi di battaglia in Unione Sovietica e nei Balcani.6 Sin dai primi testi scritti (il primo, redatto nel 1941 dopo appena quattro mesi di guerra sul fronte orientale, sarebbe stato seguito da altri documenti nel triennio successivo) relativi al fenomeno della guerriglia in un quadro di guerra, erano stati posti al centro del dibattito alcuni aspetti ritenuti fondamentali al buon andamento delle operazioni militari in un quadro di guerra non convenzionale. Tra questi si menzionavano: la programmazione di tipologie di operazioni di diversa natura e grandezza, basate su tecniche svariate di combattimento; il coordinamento nell’azione di tutte le forze presenti sul territorio; l’utilizzo di unità speciali di «cacciatori» che imitassero il comportamento bellico delle formazioni irregolari nemiche (Jagdkommandos); la ricognizione e la perlustrazione del territorio prima dell’azione; il rapporto con la popolazione locale, sia in forma di contatti individuali o di alleanze tattiche, per esempio con minoranze nazionali, sia tramite minacce collettive in forma preventiva o difensiva; la persecuzione di tutti coloro che avessero dimostrato 567 di iancheggiare o prestare soccorso agli oppositori, secondo una classiicazione delle vittime che sarebbe variata col tempo e con il mutare dei rapporti di forza. Ciascuno di questi aspetti costituiva, di fatto, un prerequisito fondamentale alla conduzione della lotta antipartigiana nei territori occupati, e si apriva a un complesso di problematiche militari e politiche strettamente legate al contesto operativo. La teorizzazione aveva dunque un valore innanzitutto descrittivo, e solo secondariamente prescrittivo. Le operazioni militari o di polizia che vennero realizzate in Italia, più comunemente note con il nome di «rastrellamento»,7 poterono svilupparsi e avere obiettivi assai diversi nel corso del conlitto. I documenti tedeschi utilizzano una terminologia plurima per fare loro riferimento, volendo in effetti indicare azioni offensive diverse tra loro per tecnica e inalità.8 Si andava da interventi mirati, veri e propri assalti o puntate, molto simili per organizzazione alle retate, inalizzati, per esempio, alla cattura di una banda in un determinato luogo; a marce di perlustrazione o ricognizioni preliminari a operazioni di più vasta portata, che potevano anche concludersi con scontri e arresti; a operazioni più allargate pensate per colpire e «boniicare» una particolare area a scopo preventivo, oppure in rappresaglia a seguito di precedenti fatti d’arme; a setacciamenti a vasto raggio, in forma di battute di caccia, per l’individuazione di una formazione partigiana; ad accerchiamenti di un’area deinita, secondo la tecnica cosiddetta della tela di ragno (Spinwebe), inalizzati alla chiusura in una sacca (Kesselunternehmen) di un gruppo armato da eliminare; ino ad arrivare a grandi cicli operativi all’interno dei quali potevano inserirsi operazioni minori di vario tipo. Per l’Italia l’esempio più noto per quest’ultimo genere erano state le «settimane di lotta alle bande» (Bandenbekämpfungswochen), indette da Albert Kesselring, comandante supremo del gruppo di armate «C», alla ine del 1944, a metà ottobre (8-14 ottobre) e tra ine novembre e inizio dicembre (27 novembre- 2 dicembre), con l’obiettivo di mettere ine al controllo partigiano di alcune zone nell’Italia settentrionale, le cosiddette «zone libere». Di 568 fatto, nel corso di tutta l’occupazione, tratto peculiare della repressione tedesca in Italia sarebbe stata la combinazione e l’integrazione di diversi tipi di operazioni in uno stesso territorio, anche inalizzate o comunque conclusesi con la deportazione di prigionieri in KL. Fondamentale per la realizzazione di un’operazione era l’assegnazione di mansioni precise a tutte le unità presenti sul campo, poste sotto la guida di un comando unico, e responsabili delle diverse fasi dell’azione. Per favorire la sinergia di tutte le forze in campo, di fronte all’accresciuta esigenza di contenere l’azione partigiana, i comandi tedeschi sarebbero arrivati a istituire, fuori dalle zone di guerra, centrali di coordinamento di tutte le unità, sia militari, sia SS e di polizia, presenti sul terreno, incluse quelle salodiane. La maggior parte delle operazioni che saranno qui analizzate si svolsero in aree agresti, sia nelle retrovie del fronte, sia lontano da esso, convolgendo tanto villaggi quanto zone di aperta campagna e vie di comunicazione. Non sarebbero mancati rastrellamenti urbani, molto simili a grandi retate, realizzati secondo la tecnica dell’accerchiamento, con la chiusura di una zona tramite il blocco delle strade, sorvegliate da speciali unità, seguita dall’irruzione di casa in casa attraverso piccole squadre mobili, e terminate spesso con la cattura di parte o di tutta la popolazione presente. Nell’ambito della controguerriglia si distingueva tra Bandengebiete o territori di bande, bandenverseuchte Gebiete o territori infestati da bande, bandenverdächtige Gebiete o territori sospetti e bandenfreie Gebiete o territori liberi da bande, secondo una scala discendente di pericolosità che, una volta stabilita, contribuiva a suggerire le misure repressive da utilizzare. E qui entrava in gioco la presenza della popolazione civile. Il suo ruolo aveva nella manualistica tedesca e nelle successive prescrizioni antiguerriglia un posto centrale, in quanto ai comandi tedeschi era del tutto evidente che il sostegno della popolazione civile poteva diventare uno dei punti di forza dell’attività delle bande, oltre a rimandare a un problema di ordine pubblico. Anche su questo punto il comportamento da adottare non seguiva un’indicazione univoca, ma variava 569 a seconda di dove si operava, e di quale fosse l’entità della presenza partigiana: poteva comportare il tentativo di ottenere il consenso della popolazione, l’iniltrazione di spie, ino ad arrivare alla distruzione dell’abitato, alla rappresaglia contro un’intera comunità, alla strage di civili, che, assieme al prelievo coatto di altri settori della popolazione, da inviare in KL o al lavoro coatto, sia oltre Brennero, sia in altre zone del territorio occupato, rappresentava una potente arma di ricatto contro i partigiani della zona. Lo spostamento forzato di un’intera comunità di villaggio costituiva una modalità estrema di repressione, su cui in Italia anche i comandi tedeschi avrebbero discusso in fasi diverse del conlitto ma che, comunque, prima della grande crescita primaverile del movimento partigiano, sarebbe stata adottata praticamente soltanto nella zona del Litorale Adriatico, dove l’attività partigiana si era già sviluppata prima della crisi del settembre 1943 per iniziativa delle minoranze slavofone. Nel corso dei mesi successivi azioni analoghe si sarebbero registrate anche in altre regioni italiane; come già anticipato, quando non era pensata come una misura di ritorsione collettiva, la deportazione in KL era utilizzata per colpire i «iancheggiatori» o i sostenitori dei ribelli. Nei manuali antiguerriglia del 1942 si prevedeva che essi, se uomini, dovevano essere giustiziati subito, mentre a essere destinate alla deportazione in KL erano le donne della loro famiglia. Qualche caso di mogli o congiunte di partigiani deportate in seguito a rastrellamenti si è veriicato, come vedremo, anche in Italia. Soprattutto nei primi mesi di occupazione nel territorio italiano, la deportazione in KL sarebbe stata presa in considerazione, al termine di un rastrellamento, per tutti i tipi di «iancheggiatori» o presunti tali, dai famigliari, uomini e donne, di partigiani, ai parroci e religiosi, come anche a quei partigiani che fossero riusciti a farsi passare per semplici rastrellati, ai rastrellati medesimi catturati nel corso dell’operazione, mentre a essere giustiziati subito sarebbero stati coloro che cadevano prigionieri con le armi in mano o comunque fossero ritenuti resistenti in qualche forma attivi. 570 Dalla primavera-estate del 1944 con l’intensiicarsi della lotta partigiana, con l’aumento del numero degli interventi e la crescita del dispiegamento di forze, la deportazione in KL avrebbe assunto carattere più esteso, potendo essere disposta nei confronti di resistenti, renitenti e semplici rastrellati, e collocandosi in un contesto in cui si alternavano, contraddittoriamente, misure di radicalizzazione che andavano verso un quadro di guerra totale e di repressione generalizzata e disposizioni più attente alla ricerca del consenso che vi ponevano limiti. In questa direzione aveva spinto, oltre alla già citata crescita del movimento partigiano e alla relativamente veloce ritirata della Wehrmacht sulla Linea Gotica dopo lo sfondamento alleato a Cassino e la successiva evacuazione di Roma, anche l’aggravata penuria di manodopera nel Reich che, dopo l’insterilirsi delle riserve di manodopera prima costituite sia dai territori orientali occupati, a causa dell’andamento delle operazioni al fronte, sia dal territorio francese, dove gli Alleati sarebbero sbarcati tra il giugno e l’agosto 1944, vedeva nell’Europa meridionale ancora occupata un serbatoio di manodopera essenziale. Dal giugno 1944 anche i partigiani sarebbero stati uficialmente inseriti nelle categorie soggette a deportazione in KL, mentre contestualmente sui civili uomini avrebbe gravato sempre più la minaccia del trasferimento in Germania per il lavoro coatto. In conclusione di questa sezione introduttiva, vorremmo fornire alcune informazioni di carattere metodologico sulla ricerca svolta. Obiettivo del lavoro è innanzitutto la ricostruzione dell’andamento complessivo dei rastrellamenti seguiti da deportazione in KL, cercando di fare emergere le speciicità relative ad alcune macro-aree geograiche dell’Italia occupata e cercando di disegnare alcuni grandi cicli repressivi per così dire «stagionali», legati cioè a determinate stagioni dell’occupazione, della guerra e della repressione. A questo scopo è stata focalizzata l’attenzione su alcune – non tutte – operazioni che hanno segnato e in qualche modo hanno formato l’andamento repressivo generale di una zona. In questo senso sono state inserite nel quadro generale anche operazio571 ni che non hanno portato a deportazione in KL e sui cui esiti puntuali non si hanno notizie certe, ma che hanno permesso di chiarire l’andamento repressivo di quella fase in una certa zona. Per la ricostruzione dell’andamento delle dinamiche repressive è stato incrociato l’elenco di operazioni di rastrellamento (924 in tutto), ricavato da Carlo Gentile attraverso lo scavo negli archivi tedeschi,9 con un’ampia messe di fonti edite, principalmente la letteratura relativa alla Resistenza, all’occupazione tedesca, alla guerra antipartigiana e alle stragi a essa connesse prodotta in larga parte negli ultimi vent’anni. Siamo consapevoli del fatto che il quadro che ne è emerso è fatto di pieni e di vuoti, vale a dire di momenti di approfondimento maggiore, là dove l’accostamento della fonte tedesca con la letteratura ha permesso di ricostruire nel dettaglio le operazioni oppure ci ha aiutato a riconoscere alcuni grandi cicli repressivi; e per converso di passaggi per cui è stato necessario fermarsi al livello dell’ipotesi, là dove mancavano riscontri suficienti a dare certezze circa l’esito di un’operazione, vista l’indeterminatezza concettuale non infrequente nelle fonti militari tedesche circa la reale destinazione dei trasferiti nel Reich, talvolta accomunati sotto la generica dizione di Arbeitseinsatz (letteralmente: «impiego come manodopera») che poteva indicare sia i KL, pressoché totalmente asserviti dalla primavera del 1942 all’economia di guerra, sia l’apparato responsabile dell’allocazione della manodopera civile (tedesca o straniera che fosse) facente capo al Gauleiter di Turingia Fritz Sauckel e noto con il nome di Generalbevollmächtigter für den Arbeitseinsatz (GBA), entrato anch’esso in attività nella primavera del 1942. Solo quando si disponga di elenchi nominativi, riscontrabili quindi tramite le schede biograiche pubblicate nel I volume di questa stessa opera,10 oppure quando altre fonti uficiali riportino ben chiara la destinazione dei trasporti permettendo di identiicarla come un KL o un suo sottocampo è possibile sciogliere ogni dubbio. Allo stesso modo anche la memoria privata, cioè i ricordi dei testimoni o delle vittime rispetto a rastrellamenti 572 che si sono conclusi con prelievi di persone e trasferimenti coatti nel Reich, non è da ritenersi attendibile, perché spesso l’esperienza del trasferimento in Germania in un campo di lavoro è stata scambiata per deportazione in un KL. Anche per l’indeterminatezza delle fonti l’esito della deportazione al termine di un rastrellamento è rimasto sinora dificile da stabilire.11 Linee di comportamento per il controllo del territorio, modalità repressive antiguerriglia e loro effetti sulle deportazioni in KL Operazioni di rastrellamento con esito di deportazione sono state condotte in Italia per circa tutti i 20 mesi dell’occupazione. Le motivazioni, le dinamiche e gli esiti di tali operazioni sono però variati insieme al modiicarsi delle condizioni in cui l’occupante si è trovato a operare nelle diverse aree geograiche e nelle diverse fasi del conlitto. Il regime d’occupazione tedesco in Italia, com’è noto, aveva preso avvio in una fase di grave crisi per la Wehrmacht: dopo le sconitte sul fronte orientale e africano, lo sbarco anglo-americano in Sicilia nel luglio 1943 aveva portato all’apertura di un nuovo fronte di guerra, costringendo il comando supremo delle forze armate tedesche (Oberkommando der Wehrmacht, OKW) a rideinire i propri piani di guerra sul fronte meridionale.12 Il possibile approssimarsi della sconitta inale aveva portato da un lato alla crisi del regime monarchico-fascista che lasciava presagire il successivo tentativo di rottura da parte italiana dell’alleanza con la Germania, dall’altro alla decisione di Hitler di mantenere il controllo della penisola. Nei mesi successivi all’8 settembre 1943 la condotta tedesca della guerra in Italia sarebbe stata caratterizzata dal progressivo, ma non lineare, spostamento verso nord del fronte, con la conseguente perdita di territorio, iniziata con lo sfondamento della linea di sbarramento all’altezza del monastero di Montecassino nella primavera del 1944, seguita dalla perdita di Roma il 4 giugno 573 e di gran parte del Centro Italia nei due mesi successivi, ino all’arroccamento sulla Linea Verde, già Linea Gotica, a pochi chilometri a sud di Bologna, fase a cui sarebbero seguiti gli ultimi cruenti scontri nel Nord Italia sino alla deinitiva resa delle armate tedesche nell’aprile del 1945. All’andamento della situazione militare era direttamente legato l’utilizzo dei sistemi repressivi adottati dall’occupante e dalle forze salodiane; il passaggio del fronte in molte regioni aveva, infatti, coinciso quasi immediatamente con un aumento dell’uso della violenza e della repressione, in molti casi proprio tramite un’intensiicazione dei rastrellamenti, spesso inalizzati alla liberazione di una zona dalla presenza partigiana al ine di rendere più agevole il passaggio delle proprie unità. Buona parte della normativa antipartigiana era stata di fatto emanata in coincidenza di particolari congiunture belliche, come fu ovviamente all’inizio dell’occupazione e dei conseguenti combattimenti nel Meridione continentale nell’autunno 1943, oppure tra la primavera e l’estate 1944 quando, dopo lo sgombero di Roma e il veloce arretramento della Wehrmacht verso l’ultima linea difensiva (la Linea Gotica, poi Verde) che tagliava il Settentrione dal resto della penisola, entrarono in vigore speciiche disposizioni antiguerriglia e per il trasferimento coatto della manodopera nel Nord o oltre Brennero da mettere in relazione con l’esigenza di appropriarsi delle risorse del territorio da sgomberare, in primis degli uomini da impiegare nella produzione bellica. Nel contesto italiano, come già su altri fronti,13 l’obiettivo dello sfruttamento della manodopera da trasferire nel Reich, tramite il trasferimento forzato di manodopera da mettere a disposizione del GBA, oppure attraverso la deportazione in KL, si intrecciò stabilmente con le modalità repressive utilizzate per il controllo del territorio e in particolare per combattere il movimento partigiano, in un quadro di tendenziale pariicazione tra il combattente partigiano e la popolazione civile.14 Le operazioni antiguerriglia divennero anche strumenti per favorire il prelievo coatto di manodopera, esigenza tanto più impellente visto il risultato insoddisfacen574 te dei progetti di arruolamento volontario di braccia. Tra la primavera e l’estate del 1944 il recupero di lavoratori, da impiegare in italia o da trasferire oltre Brennero, fu afidato in larga misura a rastellamenti organizzati dalla Wehrmacht o dai reparti SS e di polizia, coadiuvati dalle milizie salodiane, in un contesto estremamente caotico, in cui le disposizioni circa i trasferimenti coatti di manodopera venivano a sovrapporsi agli ordini di sfollamento ed evacuazione forzata emanati parallelamente all’arretramento della linea del fronte. è all’interno di questo quadro di accresciuto bisogno di manodopera schiava che la deportazione di rastrellati in KL viene presa in considerazione come prassi repressiva da applicare sistematicamente al termine di un rastrellamento contro presunti appartenenti a «bande» ed eventualmente contro civili considerati «iancheggiatori», la misura sarebbe stata formalizzata nell’estate dai comandi della SS e della polizia, e seguita poco dopo dai «grandiosi programmi di deportazione», in realtà di trasferimento coatto di manodopera più a nord, disposti dal comando del gruppo di armate «C».15 L’applicazione di queste disposizioni, come delle precedenti, continuò a dipendere sia dall’interpretazione che ne diedero i comandi territoriali responsabili, sia dall’evoluzione del quadro militare, sia dal complesso rapporto tra forze occupanti e salodiane, popolazione civile e formazioni partigiane in ogni territorio speciico. Strutture militari e di polizia tedesche Al momento dell’entrata in vigore del piano Achse, l’8 settembre 1943, i reparti militari tedeschi, tanto della Wehrmacht quanto delle Waffen SS (poste entrambe funzionalmente sotto la guida dell’OKW) erano organizzati in due grandi unità: il gruppo di armate «B», posto sotto il comando del feldmaresciallo Erwin Rommel (nei ranghi dell’esercito), e responsabile per il Nord, e le forze poste al comando dell’Oberbefehlshaber Süd, carica attribuita al feldmaresciallo Albert Kesselring, 575 generale d’aviazione, a cui in quel contesto viene attribuita la competenza per il Centro-Sud. Il 21 novembre successivo all’alto uficiale della Luftwaffe sarebbe poi stata afidata la suprema potestà militare su tutta quanta l’Italia occupata, in seguito al prevalere del suo punto di vista sulla futura conduzione della guerra in Italia, imperniato sul concetto di cedere territori il più lentamente possibile; oltre al nuovo titolo di Oberbefehlshaber Südwest (comandante supremo dello scacchiere sud-ovest), egli avrebbe ricevuto la responsabilità unica sul controllo del territorio e sulla connessa «lotta alle bande» in tutte le aree classiicate come zone di operazioni militari, dopo che il 10 ottobre precedente era stato deinito retrovia del fronte tutto il territorio a sud di Roma, composto dalle province di Littoria, Frosinone, L’Aquila e Pescara.16 Da Kesselring dipendono a quel punto tutte le unità della Wehrmacht e delle Waffen SS stanziate in Italia, riorganizzate nel gruppo di armate «C» (in cui conluiscono i reparti che il generale d’aviazione già aveva comandato assieme a quelli prima posti agli ordini di Rommel). Si tratta delle armate 10ª e 14ª, oltre che, per alcuni mesi, delle unità dipendenti dal generale di fanteria Joachim Witthöft, a cui, sotto varie denominazioni succedutesi nel tempo, sarebbe spettato il controllo della costa nord-occidentale adriatica e della zona di operazioni «Prealpi» (in seguito il comando di Witthöft sarebbe stato reso autonomo dall’Oberbefehlshaber Südwest), nonché, dal marzo 1944, dell’Armeeabteilung von Zangen, grande unità costituita ad hoc nell’Italia settentrionale, con il precipuo compito di controllare le coste in previsione di possibili sbarchi alleati, aggregando attorno all’LXXXVII corpo d’armata comandato dal generale d’artiglieria Gustav Adolf von Zangen, che avrebbe assunto anche la guida dell’Armeeabteilung, altre unità, la principale delle quali era il LXXV corpo d’armata, alla cui testa stava il generale di fanteria Anton Dostler. Autonome dal gruppo d’armate «C» rimangono invece in dall’inizio le truppe sottoposte al generale delle truppe da montagna Ludwig Kübler, nominato il 10 ottobre 1943 576 comandante militare (Befehlshaber) della zona di operazioni «Litorale Adriatico». Com’è noto, le due zone di operazioni «Prealpi» e «Litorale Adriatico» erano state sottratte alla sfera di competenza della RSI, che perciò non aveva su di esse alcuna giurisdizione. è questa, naturalmente, una descrizione solo indicativa e di massima, poiché lo schieramento reale delle unità militari fu sottoposto a continui spostamenti e incessanti variazioni nel corso del tempo. Fuori dalle zone di operazioni, fossero queste ultime la retrovia del fronte o le aree al conine nord-orientale, il controllo del territorio e la «lotta alle bande» era competenza di altre due strutture d’occupazione: il sistema territoriale dell’amministrazione militare, al cui vertice era collocato il generale di fanteria Rudolf Toussaint con il titolo iniziale di comandante militare territoriale, ben presto mutato in quello di generale plenipotenziario della Wehrmacht in Italia, che faceva sempre riferimento all’OKW, e il sistema di polizia, posto sotto il comando del generale della polizia e della SS Karl Wolff, a cui viene attribuito il ruolo di Höchster SS- und Polizeiführer, cioè rappresentante diretto in Italia del capo supremo della polizia e della SS, Heinrich Himmler. Il sistema di polizia e della SS riproduceva in Italia la struttura di quello del Reich, ed era perciò caratterizzato da un alto grado di autonomia delle diverse sezioni, tanto che le strutture operative di polizia, suddivise in reparti della polizia dell’ordine (Ordnungspolizei, Orpo), unità cioè deputate al controllo del territorio e subordinate in Italia al generale Jürgen von Kamptz (a cui viene attribuita la qualiica di Befehlshaber der Ordungspolizei – BdO), e sezioni della polizia di sicurezza – servizio di sicurezza (Sicherheitspolizei – Sicherheisdienst, Sipo-SD), a cui spettavano funzioni investigative, comandate dal generale Wilhelm Harster (con il titolo di Befelhshaber der Sicherheitspolizei und des Sicherheitsdiensts – BdS) facevano diretto riferimento ai relativi vertici berlinesi (rispettivamente L’Uficio superiore «Polizia dell’ordine» della SS - SS Hauptamt Ordnungspolizei, SS HAOrPo, e l’Uficio Centrale per la Sicurezza del Reich – 577 Reichssicheeheitshauptamt, RSHA) senza necessariamente subordinarsi sempre e comunque all’apparato di Wolff.17 La Orpo era ordinata in compagnie, battaglioni e reggimenti (SS-Polizei-Regimente); in Italia, a partire dalla primavera del 1944, le fu attribuita la conduzione delle operazioni di rastrellamento contro le bande fuori dalle zone di operazioni. Al tempo operavano nella penisola i due battaglioni del 15° reggimento di polizia e della SS in Piemonte e Lombardia, il III battaglione del 12° reggimento di polizia e della SS a Verona, il I battaglione del 20° reggimento di polizia e della SS nel Lazio e in Abruzzo.18 Alla Sipo-SD, il cui cervello operativo era posto a Verona, era speciicatamente attribuito anche il potere decisionale circa l’eventuale invio di persone catturate in retate urbane o rastrellamenti nei KL; il coordinamento dei trasporti verso la galassia concentrazionaria SS spettava alla IV sezione (corrispondente alla Gestapo) della centrale veronese, guidata da Franz Kranebitter; al suo interno la sottosezione IVB4, retta a partire dalla ine di gennaio 1944 da Friedrich Bosshammer, si occupava speciicatamente della caccia agli ebrei. Inoltre, in dalle prime settimane dell’occupazione, Wilhelm Harster aveva provveduto a costruire un’organizzazione di sedi distaccate della polizia di sicurezza nelle principali città; nel settembre-ottobre 1943 le iliali della Sipo-SD erano 12, sarebbero passate a 40 alla ine della guerra;19 sarebbero stati i loro uomini a valutare se coloro che erano stati fatti prigionieri nel corso di operazioni antipartigiane dovessero essere fucilati, inviati in KL o consegnati ai delegati del GBA. Da alcune di queste sedi erano state organizzate e comandate direttamente retate urbane e rastrellamenti fuori dalle città, in diversi casi con l’aiuto, sia informativo sia esecutivo, di unità di polizia e militari fasciste. Inine sempre tra le strutture di polizia tedesche presenti sul territorio italiano e adibite all’esecuzione di azioni repressive che potevano portare, e spesso effettivamente portarono a trasporti verso i KL, esistevano gruppi d’intervento (Einsatzgruppen, Einsatzkommandos) creati ad hoc o legati a uficiali di provata esperienza, 578 acquisita nelle operazioni antiguerriglia condotte sul fronte orientale e nei Balcani. Tra i più attivi ci furono senz’altro il gruppo comandato da Karl Heinz Bürger,20 presente in diversi cicli repressivi del Centro e del Nord Italia, e quello agli ordini di Herbert Andorfer;21 l’uficiale, già responsabile dei posti di polizia di Savona e Imperia nella primavera del 1944, di quello di Macerata a maggio, e di stanza a Rovereto e Feltre dalla tarda estate, partecipò ad alcune grandi operazioni di rastrellamento nel Centro Italia, al ciclo repressivo del luglio 1944 lungo l’arco appenninico tosco-emiliano-ligure, e al grande rastrellamento di settembre successivo sul Grappa. Una struttura decentrata aveva anche il sistema dell’amministrazione militare (Militärverwaltung, MV) comandato da Wilhelm Toussaint, che insediò propri ufici territoriali nei principali capoluoghi di provincia (Militärkommandanturen, MK), spesso con competenze su più di una circoscrizione amministrativa, con compiti di natura sia gestionale, sia di controllo dell’ordine pubblico. Nel marzo 1944 le MK venivano concentrate sotto l’autorità di Leitkommandanturen; per l’Italia nord-occidentale ne venne istituita una a Milano, da cui dipendevano le MK di Milano stessa, Torino, Novara, Bergamo, Alessandria, Cuneo e Genova. Per il controllo del territorio le MK si servivano di piccoli distaccamenti armati, quali la polizia militare (Feldgendarmerie), le cosiddette unità d’allarme (Alarmeinheiten), e talvolta reparti formati da ex prigionieri di guerra sovietici nella maggior parte dei casi di nazionalità non russa (anche se non mancavano unità composte solo da russi), che venivano reclutati nei campi di prigionia della Wehrmacht oppure nelle vaste zone occupate dell’URSS (erano deiniti Ost-Bataillone o anche Ost-Legionen); queste unità erano giudicate spesso di valore e addestramento insuficienti per essere impiegate al fronte.22 Tanto retate quanto rastrellamenti potevano essere indifferentemente organizzate dai posti di polizia oppure dalle MK, magari prestandosi appoggio reciproco. Particolarmente eficienti nell’attività repressiva si sarebbero dimostrate, ad esempio, le MK di Cuneo e di Lucca. 579 Ognuna di queste strutture svolgeva un ruolo nell’ambito del controllo del territorio e delle connesse azioni di repressione, sulla base delle speciiche normative emanate dai comandi superiori, sia della Wehrmacht, sia di SS e polizia, attivi nell’Italia occupata, normative che si rifacevano in genere a quanto già disposto in precedenza in altre aree dove coesistessero un fronte di guerra e attività partigiane alle sue spalle, quindi essenzialmente le zone occupate dell’URSS e la penisola balcanica. Se la competenza nelle zone di operazioni era sostanzialmente nelle mani dei militari, più controversa si presentava la faccenda nel restante territorio formalmente posto sotto la giurisdizione della RSI: il 1° aprile Kesselring avrebbe emanato un’ordinanza tesa a porre la «lotta alle bande» sotto la sua esclusiva giurisdizione, mentre nello stesso tempo Wolff, spalleggiato da Himmler, aveva disposto la costituzione di una struttura di polizia a cui demandare integralmente tale compito; se ne sarebbe usciti con un compromesso, deinito nell’ordinanza emanata dall’OKW il 26 aprile che da un lato confermava all’Oberbefehlshaber Südwest la responsabilità suprema su tutto il territorio italiano, ma dall’altro attribuiva a Wolff una piena sovranità operativa nelle aree che non facevano parte delle retrovie o delle zone di operazioni.23 Frutto dell’accordo sarebbe stata inoltre la suddivisione del territorio in settori afidati a «comandanti per la sicurezza» o Sicherungskommandanten, che potevano appartenere sia alla Wehrmacht sia a polizia e SS, con il compito di coordinare le azioni antiguerriglia nella zona di propria competenza. Il problema di un coordinamento delle forze e delle strutture utilizzabili nell’ambito della repressione antipartigiana, in effetti, si era posto in dall’inizio dell’occupazione là dove la Resistenza si era rivelata immediatamente un problema per il controllo del territorio, e cioè nelle zone d’operazioni poste al conine nord-orientale, in particolare nel Litorale Adriatico, dove a Trieste già nel settembre 1943 si sarebbe insediato, con il grado di Höherer SS- und Polizeiführer (HSSPF) Odilo Globočnik, già responsabile dello sterminio degli ebrei nel Generalgouvernement, il quale avrebbe portato con sé la squa580 dra di assassini professionali che lo avevano colà coadiuvato, e che ora avrebbe preso in nome di Sonderabteilung Einsatz R,24 ma anche nelle Prealpi, dove a Bolzano negli stessi giorni il generale di polizia e della SS Karl Brunner avrebbe assunto il ruolo di SS- und Polizeiführer. Solo in seguito, nel gennaio 1944, sarebbe invece stata creata una centrale operativa per la «lotta alle bande» (Bandenbekämpfungstab) responsabile per il Piemonte, la Lombardia e la Liguria. Denominata Oberitalien-West, la comandava il generale di brigata della polizia e della SS Willy Tensfeld, e aveva sede a Monza. A portare alla nascita di un coordinamento era stata non solo la forte presenza partigiana in particolare nelle zone alpine e appenniniche del Piemonte e della Liguria, ma anche la necessità di salvaguardare un’area dall’elevato valore strategico-militare ed economico, direttamente a contatto con i passi alpini che erano parte integrante della linea di collegamento meridionale tra il territorio del Reich e la Francia meridionale, che sarebbe rimasta occupata ino all’agosto successivo, nonché ricca di centrali idroelettriche che rifornivano le industrie piemontesi e liguri collocate a valle. Nell’aprile successivo sarebbero poi state costituite analoghe centrali per la «lotta alle bande» nel resto dell’Italia occupata, sotto le denominazioni di Oberitalien-Mitte e Mittelitalien; il raggio d’azione della prima erano il Veneto e l’Emilia-Romagna, ed era posta sotto il comando del generale della polizia e della SS Ernst Hildebrandt; il pari grado Karl Heinz Bürger25 dirigeva la seconda, comprendente Toscana, Umbria e Marche. Nel giugno seguente Bürger sarebbe stato trasferito sull’Appennino modenese per provvedere alla sicurezza e ai lavori della Linea Verde (o Linea Gotica che dir si voglia), assumendo temporaneamente la denominazione di comandante della polizia e della SS per la zona West-Emilien. In agosto Bürger avrebbe preso la direzione anche dell’Oberitalien-Mitte, sostituendo Hildebrandt. Le variazioni dell’estate 1944 si spiegano sia con la rottura della Linea Gustav, intervenuta nel maggio, e con il conseguente arretramento del fronte nei mesi successivi ino 581 all’assestamento autunnale (tra ine agosto e metà ottobre) sul sistema difensivo passato alla storia col nome di Linea Gotica, sia con l’intensiicata attività partigiana a partire dalla primavera, attività tanto più pericolosa visto l’avvicinarsi del fronte e la conseguente necessità da parte dell’occupante di mantenere il controllo delle linee di comunicazione, dei valichi alpini e appenninici, delle coste liguri, alto tirreniche e adriatiche sulle quali si temeva uno sbarco alleato. In linea generale, queste centrali operative erano «veri e propri centri di coordinamento e di pianiicazione delle operazioni antipartigiane, [a cui] facevano capo [...] tutte le unità antiguerriglia presenti nei loro territori, non soltanto delle SS e della polizia, ma anche della Wehrmacht e quelle italiane, tra cui la Guardia nazionale repubblicana (GNR) e le questure»;26 con la loro istituzione si completava la complessa struttura organizzativa per il controllo del territorio e la repressione antipartigiana nell’Italia del Centro-Nord, responsabile della maggior parte delle operazioni di rastrellamento fuori dalle zone di guerra, operazioni che a partire dalla primavera 1944 avrebbero condotto una parte dei catturati alla deportazione in KL. Strutture militari e di polizia fasciste All’interno del piano e dell’organizzazione repressiva messa in campo dai comandi tedeschi in Italia avevano avuto un ruolo determinante le ricostituite unità militari e di polizia fasciste. Molte operazioni erano state organizzate tenendo conto del supporto degli apparati di polizia e successivamente delle ricostituite unità delle forze armate salodiani, da impiegare tanto in funzione investigativa per la raccolta di notizie nelle zone di intervento, nella fase organizzativa di grandi cicli repressivi, quanto con funzione ausiliaria nelle manovre di attacco e combattimento. Nel primo caso i soldati italiani si rivelarono più adatti all’iniltrazione nelle aree da rastrellare o nelle formazioni da colpire, come sarebbe stato nell’opera582 zione sul Grappa o per le Wallenstein sull’Appennino ligure-emiliano. La perlustrazione preliminare della zona dove intervenire era considerata dai comandi tedeschi un fattore determinante per la buona riuscita di un’operazione, anche di piccola portata.27 Questo spiega le frequenti perlustazioni compiute da piccoli drappelli di militari o miliziani, non di rado italiani, prima di agire; si trattava evidentemente di azioni dove a essere messa in campo non era tanto la qualità militare, quanto la conoscenza del territorio. Considerata invece la scarsa iducia dei comandi tedeschi nelle capacità di combattimento italiane, nei rastrellamenti veri e propri i reparti salodiani erano adibiti a mansioni per l’appunto ausiliarie, quali la sorveglianza delle strade se si trattava di retate urbane, l’allestimento di posti di blocco e l’insediamento anticipato di presidi in una zona da passare a setaccio, ino alla fucilazione di quella parte dei catturati che, a giudizio dei tedeschi, rientrassero nella categoria di «banditi», categoria peraltro dai conini variabili nel corso del tempo. Non mancano tuttavia esempi di operazioni, condotte in piena autonomia da reparti italiani, che ebbero come esito la presa di prigionieri, con successive deportazioni in KL, così come casi in cui quelle unità si dimostrarono decisive per la riuscita dell’operazione, come fu nell’ultima fase dell’operazione Waldläufer, nell’autunno del 1944, mirante alla rioccupazione dell’ultima porzione di «zona libera» della Carnia, che fu portata a termine da forze della X Mas. A essere coinvolte con una certa sistematicità nelle operazioni di rastrellamento sarebbero state tutte le diverse milizie e i vari corpi armati costituiti nel periodo di vita della RSI, dalla Guardia Nazionale Repubblicana (GNR), alle Brigate Nere (BN), alla X Mas di Valerio Borghese, a reparti il cui rapporto con le autorità centrali fasciste repubblicane era in genere lasco, quali la Banda Koch, la Banda Carità, la Legione Autonoma «Ettore Muti» e così via, ino alle unità delle forze armate salodiane agli ordini di Rodolfo Graziani, man mano che esse rientravano in Italia dopo l’addestramento in territorio tedesco. 583 Alla GNR, istituita il 24 novembre 1943 dall’accorpamento della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (MVSN), dei carabinieri e della Polizia dell’Africa italiana sotto la guida di Renato Ricci, era stato espressamente afidato il compito di eseguire operazioni militari antiguerriglia, sotto il superiore comando tedesco. Renato Ricci, comandante generale della Guardia, in una lettera del 12 dicembre 1943 al ministro dell’Interno Guido Buffarini Guidi, metteva in chiaro che «per rendere più facile il compito dei capi di provincia e deinire anche le attribuzioni della Guardia, sarebbe [stato] il caso di stabilire che tutte le operazioni di polizia contro i partigiani [fossero], di massima, svolte dai Militi della Guardia. Questo anche per aderire a esplicite richieste del Comando germanico».28 Il 22 settembre 1943 il feldmaresciallo Wilhelm Keitel, capo dell’OKW, aveva ordinato ai comandi locali della Wehrmacht di utilizzare le truppe fasciste, ma con funzioni ausiliarie impiegandole in compiti quali le «costruzioni con reparti del genio, guardia costiera, controllo della sicurezza nelle retrovie [...]».29 Del resto la MVSN, prima ancora che venisse istituita la GNR, aveva svolto un ruolo ausiliario alle forze armate tedesche nella fase dell’occupazione. La partecipazione della GNR alle operazioni antiguerriglia e di polizia sarebbe iniziata sin dalla sua costituzione, mantenendosi pressoché costante ino all’aprile del 1945, con picchi di partecipazione tra la primavera e l’autunno 1944 in Liguria, Piemonte e Lombardia e in misura minore Veneto ed Emilia;30 soprattutto nei primi mesi di occupazione, diverse erano state le operazioni condotte in autonomia dalla GNR contro i primi nuclei partigiani.31 Nell’aprile 1944 la GNR veniva posta uficialmente alle dipendenze delle neocostituite centrali di comando della Orpo e contestualmente invitata dal suo stato maggiore ad «agire con la massima durezza tanto contro banditi quanto contro coloro che li aiutano», anche se in una circolare del 18 aprile Ricci invitava a evitare di coinvolgere persone innocenti.32 Tra le unità militari fasciste sarebbe stata senz’altro quella 584 più coinvolta dalle autorità tedesche nella repressione antipartigiana, ovviamente anche a causa del lungo periodo di attività; nel corso dei grandi cicli operativi dell’estate del 1944 la GNR avrebbe compiuto diverse puntate all’interno dei territori controllati dai partigiani, alcune delle quali portarono a deportazioni in KL. La crisi e il conseguente ridimensionamento nello stesso periodo, dovuti sia alle fughe e alle diserzioni, sia alla concorrenza esercitata dalle neonate Brigate Nere (BN),33 non avrebbero compromesso il rapporto di collaborazione con le forze militari e di polizia tedesche; nemmeno il decreto di agosto con cui, dopo l’allontanamento di Ricci, Mussolini la inquadrò nelle forze armate della Repubblica avrebbe modiicato in modo signiicativo le sue funzioni di polizia. Come già ricordato, in quella fase ci fu con ogni evidenza un passaggio di militi e quadri alle BN, istituite il 1° luglio 1944, per volontà e su disposizione del duce e in linea con i progetti per la trasformazione del partito in un organismo «esclusivamente militare», avente tra i suoi compiti principali la «lotta contro i banditi e i fuori-legge».34 L’apporto delle BN è senz’altro da commisurare alla situazione bellica e repressiva presente al momento della loro costituzione, l’estate del 1944; si era in un momento in cui la Wehrmacht era stata costretta a un veloce ripiegamento del fronte, che aveva portato in poco più di un mese alla perdita di Roma e di buona parte dell’Italia centrale; nello stesso tempo la necessità di utilizzare l’assoluta maggioranza delle forze disponibili al fronte obbligava le autorità d’occupazione a concentrarsi nelle retrovie sul controllo delle aree metropolitane, delle zone industriali e delle grandi linee di comunicazione stradali, ferroviarie e luviali, allentando la presa sulle zone agricole e periferiche, cosa che, assieme all’obiettivo rafforzamento delle formazioni partigiane, veniva a costituire la base materiale per la nascita e la sussistenza di quelle «zone libere» e «repubbliche partigiane» che costituivano, d’altro canto, un’oggettiva spina nel ianco per tedeschi e fascisti repubblicani. Ha scritto giustamente Dianella Gagliani che la nascita delle BN era da imputare «sia al desiderio di Musso585 lini di salvare la propria immagine e il fascismo, di dare un ordine e un inquadramento giuridico alla vecchia guardia in trasferimento verso il Nord, di concentrare ogni uomo nella lotta contro il movimento partigiano, sia soprattutto alla volontà tedesca, in giugno totalmente dispiegata, di estirpare la Resistenza recidendone le radici nella popolazione civile»;35 come Kesselring, anche Mussolini in quel periodo aveva dato carta bianca al suo partito per uccidere,36 puntando a galvanizzare i propri fedeli, a cui, se aderivano alla BN, erano garantite condizioni migliori di trattamento e di retribuzione rispetto alle altre milizie salodiane. Anche per questo non pochi militi della GNR si sarebbero trasferiti nelle Brigate.37 In una circolare del 10 agosto 1944 il capo delle BN e segretario del Partito Fascista Repubblicano (PFR), Alessandro Pavolini, così aveva descritto i compiti delle nuove unità combattenti: «rastrellamento di tutta la zona afidataci, in modo da ricacciare i ribelli sulla montagna, privandoli d’ogni rifornimento locale: creazione in ogni centro di presidi, per difendere le popolazioni e sorvegliarle; costituzione di sedi del Fascio in ciascun paese; sorveglianza dei lavori agricoli, dell’ammasso dei prodotti e del bestiame».38 Di fatto, data la scarsità di unità da impiegare in operazioni antiguerriglia, GNR e BN avrebbero operato assieme, collaborando con reparti tedeschi in più occasioni alla realizzazione di operazioni di rastrellamento sotto comando germanico. Le ritroviamo, praticamente, in tutti i grandi cicli repressivi dell’estate e dell’autunno 1944 che ebbero tra i loro esiti la deportazione in KL. Tra le più attive ricordiamo la XIII BN «Marcello Turchetti» di Mantova, forte di almeno 400 uomini armati, in azione tra luglio e ottobre sotto il comando operativo dell’Oberitalien-West e in collaborazione con la Sipo-SD nelle zone del Cuneese, in provincia di Torino nel Canavese e tra il Mantovano e il Veronese; la XXXI BN «Silvio Parodi» di Genova, nei cui ranghi si contavano 500 effettivi, attiva tra settembre e dicembre 1944 tra Alessandria, Pavia, Piacenza e Genova; la XXXIII BN «Tullio Bertoni» di La Spezia, che prese parte 586 tra ine 1944 e inizio 1945 ad alcune grandi operazioni antipartigiane; e per inire la I BN «Ather Capelli» di Torino al servizio di Willy Tensfeld per operazioni antipartigiane nel Cuneese e nel Torinese. Tra le formazioni più coinvolte nelle operazioni repressive e meno inquadrata dal centro salodiano, c’era stata senz’altro la Legione Autonoma Mobile «Ettore Muti» di Milano, la quale intratteneva stretti legami con la centrale della Sipo-SD della città e dal marzo 1944 aveva cominciato a partecipare alle attività antiguerriglia pianiicate dal comando di Willy Tensfeld nell’Italia nord-occidentale, assieme a formazioni della GNR e delle BN. La legione, oltre a svolgere una itta attività di spionaggio nell’area milanese, avrebbe compiuto in autonomia diversi rastrellamenti e pattugliamenti nel Nord-Ovest.39 In questo contesto, tentativi di istituire delle centrali operative per la lotta contro le bande sarebbero stati compiuti anche da parte fascista, come dimostra la costituzione del Centro Addestramento Reparti Speciali (CARS), voluto da Rodolfo Graziani nel marzo 1944 nel tentativo di debellare la presenza partigiana in zone strategicamente decisive per il controllo del territorio, come il Piemonte e l’Appennino centrale, dove i CARS erano in allestimento dal 18 marzo nelle caserme di Parma, Reggio Emilia e Fidenza.40 Il centro era formato da tre reggimenti di cacciatori degli Appennini, il cui personale era fornito dalle forze armate di Graziani, dalla GNR e dalle federazioni fasciste; il CARS era connesso alla Wehrmacht da un uficio di collegamento (Deutsche Verbindungs Kommando, DVK). Posti sotto il comando del generale Amilcare Farina ino alla ine di agosto e issata la sede di comando a Torino, i reparti del CARS si erano distinti per la partecipazione alle maggiori operazioni antiguerriglia nell’area compresa tra Basso Piemonte e Liguria occidentale dal luglio al dicembre 1944 e nei primi due mesi dell’anno successivo. Il CARS operava alle dirette dipendenze del Co.Gu o comando controguerriglia, sorto per decisione dello Stato Maggiore Italiano nell’estate 1944 in una zona, il Piemonte, ritenuta ad alta concentrazione di «bande», con il 587 compito speciico di combattere i «ribelli» e di organizzare i reparti presenti, quali appunto il CARS, la X Mas e diversi altri.41 L’azione del comando del Co.Gu era coordinata a quella di Tensfeld e del LXXV corpo d’armata della Wehrmacht. Nel luglio 1944 scendevano poi in Italia, dopo i mesi di addestramento in Germania, la divisione di marina San Marco (così ridenominata nell’aprile precedente; si trattava in realtà di una grande unità granatieri appartenente all’esercito), e la divisione da montagna Monte Rosa. La prima, sotto il comando del generale Farina dai primi di settembre, afiancato nel ruolo di uficiale di collegamento dal pari grado tedesco Hildebrand, sarebbe stata schierata lungo la costa ligure occidentale e inquadrata nel Korpsabteilung Lieb, il «reparto di corpo d’armata» del generale Theo-Helmuth Lieb.42 La seconda sotto il comando del generale Alfredo Ricci, coiadiuvato come uficiale di collegamento dal collega tedesco Egbert Picker, era stata inquadrata nel LXXXVII corpo d’armata del generale von Zangen e schierata nel tratto fra Nervi e Levanto ino al Piacentino e al Parmense. Nonostante l’emorragia di forze che avrebbe colpito entrambe le divisioni in seguito a numerose diserzioni,43 esse parteciparono al programma di «lotta alle bande» messo in atto dalle autorità germaniche nell’estate e nell’autunno 1944, collaborando all’abbattimento di alcune «zone libere partigiane», a cui fece seguito la cattura di resistenti, renitenti e sbandati, parte dei quali inviati poi in KL. Elementi italiani inoltre erano stati inquadrati nella Orpo e nelle Waffen SS, la sezione militare delle SS in cui erano state inserite, in diverse aree dell’Europa occupata, formazioni composte da collaborazionisti;44 in particolare la 1ª Brigata Granatieri della Waffen SS era stata responsabile di alcuni grandi cicli repressivi in Piemonte e in Lombardia, come l’operazione Nachtigall nelle valli Chisone, Pellice e Germanasca in provincia di Torino, l’operazione Straßburg45 nelle valli di Lanzo e nel Canadese e le operazioni dell’autunno del ’44 in Valsassina e in Val Trompia. Inine un contributo importante alla controguerriglia era 588 venuto dai reparti della X Mas, la formazione autonoma posta al comando del principe Junio Valerio Borghese. Reparti della X Mas vennero impiegati in diversi grandi cicli operativi a carattere antipartigiano, diretti dai comandi sia SS e di polizia, sia dellla Wehrmacht e terminate anche con deportazioni in KL, quali le Wallenstein sull’Appennino tosco-emiliano, la Waldläufer, contro la «zona libera» della Carnia, l’operazione sferrata nel novembre del ’44 contro la «repubblica partigiana» della Val d’Ossola e il rastrellamento, avvenuto in provincia di La Spezia, sul Monte Gottero all’inizio dell’aprile 1944. Senza dubbio il contributo maggiore della X Mas all’antiguerriglia venne però dato al conine orientale, dove alla ine dell’estate 1944 erano stati trasferiti i battaglioni Valanga, Fulmine, Barbarigo, Nuotatori Paracadutisti e Sagittario, impiegati nell’autunno in diverse operazioni antipartigiane sulle alture venete e giuliane e poi nell’offensiva sferrata nel marzo 1945 contro il IX Korpus sloveno dell’Esercito di liberazione jugoslavo tra l’Altopiano della Bainsizza e l’Altopiano del Chiampo.46 Il Litorale Adriatico Come già si è detto, la zona di operazioni del Litorale Adriatico prendeva forma, insieme a quella delle Prealpi, con l’ordinanza del 10 settembre 1943 essa veniva posta sotto il governo dell’alto commissario Friedrich Rainer, Gauleiter della Carinzia; ne facevano parte le province di Fiume, Gorizia, Lubiana, Pola, Udine, Trieste,47 sottratte alla potestà della RSI e subordinate e all’autorità del commissario supremo e dei comandi delle forze armate e degli organi di polizia tedeschi.48 Alla data dell’8 settembre 1943 l’occupazione della zona era stata afidata alla 71ª divisione di fanteria, trasferita dalla Danimarca alla Carinzia e alla Slovenia già all’inizio di agosto; nella seconda metà di settembre il generale Ludwig Kübler sarebbe stato nominato comandante militare del Litorale, carica che di fatto avrebbe cominciato a svolgere però solo in dicembre, dopo i grandi cicli antiguerriglia avviati il 589 25 settembre sotto il comando del II corpo d’armata corazzato delle Waffen SS (II. SS Panzer-Korps). Tra le unità militari presenti sul territorio,49 un ruolo importante nella lotta contro le insorgenze partigiane sarebbe stato svolto dalla 162ª divisione di fanteria Turk, così denominata perché composta da turchestani, azeri e georgiani, originariamente membri dell’armata rossa caduti prigionieri della Wehrmacht che poi avevano accettato le profferte tedesche di arruolamento al proprio ianco, ancorché sotto la guida di uficiali germanici. La Turk era stata già presente nelle operazioni, denominate Wolkenbruch e Traufe, condotte a ottobre e novembre 1943 nel Friuli, nel Goriziano e in provincia di Lubiana. La iancheggiano ora la 188ª divisione da montagna della riserva, protagonista di azioni antiguerriglia sullo scacchiere friulano, sloveno e istriano, dove era approdata nel febbraio 1944, dopo esser stata acquartierata nella zona delle Prealpi, la 278ª divisione di fanteria, protagonista del grande ciclo operativo di maggio 1944 (Braunschweig I-III) contro i partigiani dell’Istria. Da ricordare inoltre come unità antiguerriglia di punta della zona l’SS-Karstwehr-Bataillon, nel corso del 1944 ampliato a brigata e poi a divisione,50 che sarebbe stato presente a ianco di alcune delle unità militari indicate nel corso di diverse operazioni. Sebbene dipendenti strutturalmente da Kübler, i reparti della Wehrmacht e della Waffen SS citati (solo l’SS-KarstwehrBataillon non era ai suoi ordini) sarebbero stati lo stesso coinvolti in numerose azioni antiguerriglia guidate dalla Sipo-SD di Trieste, diretta da Globočnik il quale, grazie al legame personale di amicizia che lo legava a Rainer, poté sempre godere di una spiccata autonomia.51 Come nel resto dell’Italia occupata, in settembre prendeva corpo il sistema territoriale dell’amministrazione militare che comprendeva la Militärkommandantur 1001 di Trieste, con competenza per Trieste, Fiume, Pola e Lubiana, e la Militärkommandantur 1002 di Gorizia, con competenza per Gorizia e Udine, qui sottoposte direttamente all’autorità di Kübler e che perciò non facevano riferimento alla MV di Milano. 590 Come già accennato, dal 14 gennaio 1944 su tutta l’organizzazione e la pianiicazione della repressione antipartigiana del Litorale era responsabile la Centrale di comando per la lotta alle bande (Führungsstab für Bandenbekämpfung), direttamente sottoposta all’autorità di Globočnik. Anche nel Litorale Adriatico si fece ricorso alla igura del Sicherungskommandant per controllare tratti di territorio con vie di comunicazione particolarmente minacciate dalla presenza di formazioni della Resistenza. Data la vastità della zona e la forte presenza partigiana, se ne contavano alla ine di agosto 1944 una quindicina.52 Per quanto riguarda la polizia dell’ordine (Orpo), dalla centrale di Trieste, posta al comando di Hermann Kintrup, dipendevano sedi staccate in ogni provincia; l’apparato SS e di polizia attivo nella provincia di Lubiana (Laibach) ricadeva inoltre nell’ambito di competenza del comando Alpenland, diretto dal generale della SS e della polizia Erwin Rösener. Tra le forze coinvolte nelle operazioni antiguerriglia, non poche delle quali sfociate in deportazioni verso i KL, trovarono spazio diversi reparti collaborazionisti, alcuni posti alle dirette dipendenze di Globočnik, altri di Kintrup.53 Per quanto riguarda quelli italiani, il loro utilizzo nella repressione e in particolare nei rastrellamenti dipese totalmente dalla volontà tedesca; all’inizio dell’occupazione l’arruolamento nell’esercito di Salò era stato reso volontario, quindi posto fuori dalla coscrizione obbligatoria, e solo a marzo 1944, con una nuova disposizione, lo si era equiparato al servizio obbligatorio di guerra. Di fatto però era stato favorito l’arruolamento nei corpi collaborazionisti con funzioni di polizia, come la Milizia per la Difesa Territoriale, nome attribuito nella zona alla GNR, con un reggimento per provincia, e la Guardia Civica, forte di circa 1.300-1.800 uomini; istituita prima a Trieste nel gennaio 1944, e quindi in altre città, essa fu spesso utilizzata nella sorveglianza dei treni in partenza per i KL. Operarono inoltre durante i rastrellamenti tra la ine del 1944 e il febbraio del 1945 alcuni battaglioni della X Mas, il battaglione di bersaglieri volontari «Benito Mussolini» (noto anche come «Bruno 591 Mussolini» e «Stefano Siccardi»), giunto da Verona a Gorizia nell’ottobre 1943, e il reggimento alpino «Tagliamento». è da ricordare inoltre la squadra mobile comandata da Gaetano Collotti, istituita all’interno dell’Ispettorato speciale di pubblica sicurezza per la Venezia Giulia con sede a Trieste e alle dirette dipendenze del comando della polizia e del servizio di sicurezza, utilizzata in diverse operazioni antipartigiane così come in retate urbane che portarono all’arresto di esponenti della resistenza friulana. Accanto ai reparti italiani, coadiuvarono con i tedeschi anche unità collaborazioniste slovene, i Domobranci, particolarmente attive nella provincia di Lubiana (sotto la denominazione di Slovensko domobranstvo), ma presenti anche a Trieste, Gorizia e Fiume (dove erano chiamati Primorsko domobranstvo). Da ricordare inoltre il Serbisches SS-Freiwilligenkorps (Corpo volontario serbo della SS, dal gennaio 1943 ribattezzato Srpski Dobrovoljacki Korpus), e la Divisione dinarica cetnica, operanti sul Carso dopo essere giunti nella regione tra la ine del 1944 e l’inizio del 1945.54 Un posto a sé meritano le formazioni cosacche e caucasiche utilizzate dalla polizia tedesca contro le bande partigiane dopo il loro insediamento nella Carnia friulana, nell’agosto 1944.55 Si trattò di 4.000 caucasici e 18.000 cosacchi,56 posti sotto al comando di Kintrup e protagonisti dei grandi rastrellamenti dell’autunno 1944 contro le «zone libere» del Friuli orientale e della Carnia. Le Prealpi Con l’ordinanza del 10 settembre 1943 le province di Trento, Bolzano e Belluno venivano riunite nella zona di operazioni delle Prealpi (Alpenvorland – OZAV), posta sotto l’autorità del Gauleiter del Tirolo-Vorarlberg Franz Hofer, designato alto commissario dell’OZAV.57 Anche in questo caso, la costituzione della zona di operazioni sottraeva le tre province alla sovranità italiana. A capo della SS e della polizia, con sede 592 a Bolzano, era posto Karl Brunner, direttamente sottoposto all’autorità di Hofer, e responsabile del controllo del territorio sulla base delle direttive dell’alto commissario.58 Massimo dirigente della Sipo-SD nella zona era Rudolf Thyrolf, mentre della Orpo era Josef Albert. Nella zona delle Prealpi esistevano inoltre speciali corpi per il controllo e la sicurezza del territorio, inquadrati nella Orpo, quali il Südtiroler OrdungsDienst (SOD) creato a Bolzano immediatamente dopo l’8 settembre 1943 e forte nel marzo 1944 di 20.000 uomini;59 il Corpo di Sicurezza Trentino (CST), attivo dal febbraio 1944, inquadrava circa 3.000 uomini.60 Nel Bellunese il tentativo di formare, all’inizio del 1944, un corpo di polizia locale non avrebbe avuto successo per l’ostilità della popolazione. Tra la ine dell’ottobre 1943 e l’inizio del 1944 erano poi stati costituiti, sulla base di una coscrizione riservata ai non italofoni, ossia tedeschi e ladini, speciali reggimenti di polizia (Polizei-Regiment) denominati Bozen, Alpenvorland, Brixen e Schlanders, inquadrati nella Orpo ma posti altresì a disposizione della Sipo-SD. Essi non vennero impiegati solo nel mantenimento dell’ordine pubblico del Sudtirolo, ma anche in operazioni antipartigiane in altre parti d’Italia; in particolare il reggimento di polizia Bozen, da metà aprile ribattezzato reggimento SS e di polizia (le parallele unità Brixen e Schlanders avrebbero invece ricevuto tale appellativo in dalla loro costituzione), avrebbe partecipato alla repressione contro partigiani e oppositori nel Meridione e nell’OZAK (il I battaglione); nella provincia di Belluno (il II battaglione), a Roma e in Piemonte (il III battaglione).61 Al comando della Orpo di Bolzano era sottoposto inoltre il distaccamento della Gendarmerie tedesca, composta di alcune centinaia di uomini distribuiti tra le sezioni di Trento, Bolzano e Belluno, preposta al controllo della sicurezza del territorio fuori dai centri urbani. Tra l’aprile e l’agosto 1944 poi sarebbe stato attivo nella provincia di Belluno, ancora sotto il comando della Orpo bolzanina, uno Jagdkommando, una speciale unità di polizia per la «lotta contro le bande».62 Tutte le forze armate e di polizia italiane erano state di fatto esautorate, tramite lo 593 scioglimento e l’espulsione dal territorio, come nel caso della Milizia, oppure disarmate e internate nel Reich, come nel caso dei carabinieri del Sudtirolo.63 A Bolzano si trovava altresì la sede della MK 1010, anch’essa autonoma dalla MV di Milano, che aveva distaccamenti a Merano e Bressanone. Normativa e prassi repressive nei primi mesi di occupazione All’inizio dell’occupazione, in assenza di una legislazione speciica per il territorio italiano, a fare da guida alla prassi repressiva dell’occupante erano stati gli ordini emanati per il controllo delle retrovie del fronte orientale, quali la «direttiva di combattimento per la lotta alle bande all’Est» dell’11 novembre 1942 e il successivo ordine di Hitler del 16 dicembre 1942, entrambi applicati sul fronte italiano dal settembre 1943 nell’ambito della 10ª armata e dal 28 novembre 1943 nell’ambito della 14ª armata.64 Queste disposizioni, che stabilivano la competenza della Wehrmacht per la lotta alle «bande» nelle retrovie del fronte e lungo una fascia costiera larga 30 km, conferendola invece alle strutture SS e di polizia nel resto del territorio, prevedevano senza eccezioni la morte per coloro che realizzavano atti di sabotaggio o simili, sia per i «banditi» che per i «iancheggiatori». Il peso dell’esperienza fatta sul fronte orientale e, in contesti non dissimili, nei Balcani da parecchi graduati e militi dei reparti ora impegnati in Italia contribuiva ulteriormente alla riproposizione da parte loro dei modelli operativi colà a lungo impiegati;65 in quelle ordinanze, la deportazione in KL costituiva una delle possibili misure di repressione collettiva da esercitare contro quei paesi che si fossero dimostrati ostili all’occupante, accanto a misure quali la conisca del bestiame, il trasferimento al lavoro coatto nei campi di lavoro del Reich o al Nord oppure lungo le linee di fortiicazione, ino alla totale distruzione del paese, in una scala crescente dell’esercizio della repressione e della violenza a scopo punitivo. La deportazione in KL a 594 seguito di un rastrellamento si presentava dunque come una modalità repressiva opzionale a fronte di una manifestazione collettiva di ostilità, applicata dai comandi locali anche in base alle richieste che si presentavano dall’alto di volta in volta. La deportazione poteva avere sostanzialmente due valenze: una più schiettamente punitiva, l’altra legata al soddisfacimento della richiesta di forza lavoro da parte del Reich. La linea repressiva contenuta in quelle norme veniva attenuata dalla circolare del 23 marzo 1944 del generale Anton Dostler, comandante del LXXV corpo d’armata, diretta alle unità militari attive lungo le coste tirreniche e che invitava a fucilare i «banditi» e a catturare i civili «sospetti» di iancheggiamento, da deferire poi agli ufici della Sipo-SD, a cui spettava decidere sull’eventuale deportazione in KL. Come è noto, l’invito nasceva dalla preoccupazione di mettere ine ai massacri e agli scempi compiuti dal reparto esploratori della divisione corazzata paracadutisti «Hermann Göring» sull’Appennino tosco-emiliano, che minacciavano di compromettere deinitivamente il rapporto tra occupante e popolazione civile.66 Nello stesso periodo il generale Ludwig Kübler, comandante delle operazioni di guerra nella zona del Litorale Adriatico, dove l’attività partigiana aveva conosciuto uno sviluppo eccezionale dall’inizio dell’occupazione, offriva invece, con l’ordine del 24 febbraio 1944, piena copertura ai comandanti subalterni che si rendessero responsabili di qualunque misura servisse a neutralizzare il nemico.67 Questa circolare, come le precedenti del 1942, metteva al primo posto l’eliminazione isica come risposta a qualsiasi gesto di opposizione o ostilità armata, in altre parole come la soluzione migliore al termine di una qualsiasi operazione di controguerriglia. La diversa impostazione delle due disposizioni, di Dostler e di Kübler, si deve senz’altro alla mancata deinizione ino a quel momento, nell’ambito della lotta antipartigiana, di una linea repressiva chiara e univoca, anche in merito alla deportazione in KL. Ovviamente, visto il quadro complessivo determinato sia dall’andamento della guerra, sia dalla decisione politicomi595 litare di tenere il più possibile il fronte italiano, sia dalle esigenze dell’economia di guerra della Germania, aflitta da una cronica carenza di manodopera, l’Italia appare importante anche come riserva di manodopera da impiegare in diversi modi; già il 17 settembre si era espresso il feldmaresciallo Wilhelm Keitel, capo dell’OKW, tramite una disposizione che invitava esplicitamente a rastrellare i lavoratori da impiegare sulle linee di fortiicazione oppure da trasferire nel Nord Italia o nel Reich.68 La disposizione si accordava con la convinzione del ministro per la Produzione Bellica e gli Armamenti (Reichsminister für Rüstung und Kriegsproduktion), Albert Speer, secondo il quale la difesa dell’Italia fosse possibile solo dagli Appennini in su e che pertanto le industrie e le risorse del Sud del paese dovessero essere trasferite al Nord, mentre ciò che non poteva venire asportato doveva andare distrutto.69 La disposizione di Keitel sembra essere stata immediatamente applicata al Sud da Kesselring, che ordinò subito un ampio ciclo di rastrellamenti nel Napoletano. Delle migliaia di persone catturate molte vennero trasferite in parte sulle fortiicazioni della Linea Gustav, in parte al Nord e parte oltre Bennero; solo una parte estremamente minoritaria si può presumere, però, sia stata avviata alla deportazione nei KL.70 La stessa disposizione, entrata in vigore il 1° ottobre, per disposizioni di Rommel, anche nella zona di competenza del gruppo d’armate «B», aveva prodotto effetti simili nella zona del Litorale Adriatico, dove il II corpo d’armata corazzato delle Waffen SS (composto in realtà dalla 1ª divisione corazzata «Leibstandarte Adolf Hitler» delle Waffen SS e da altri reparti di fanteria meccanizzata ordinaria) avrebbe condotto ino al novembre 1943 alcuni cicli repressivi che avrebbero portato alla cattura di circa 10.000 persone, di cui una parte sarebbe stata destinata al lavoro coatto nel Reich, mentre altri, una quota comunque ridotta, alla deportazione in KL.71 All’estremità opposta della Pianura Padana, nella zona, a cavallo tra Piemonte e Liguria, al conine con la Francia,72 dal gennaio 1944 le forze SS e di polizia a disposizione dell’Oberitalienwest, in collegamento con il distaccamento della Sipo596 SD di Torino, avrebbero svolto una itta serie di puntate repressive e di grandi operazioni antipartigiani, in alcuni casi conclusesi con deportazioni in KL.73 è all’interno di questi primi rastrellamenti sul territorio piemontese che si conigura un signiicativo ruolo nell’antiguerriglia delle formazioni di terra della Luftwaffe, composte dal personale degli aeroporti militari e della contraerea (Flak), le quali sarebbero state responsabili, dall’estate successiva, di diverse operazioni nell’appennino tosco-emiliano e nel Nord-Est, terminate con deportazioni in KL. L’evoluzione di normativa e prassi repressive intervenuta nella primavera del 1944 Un primo segnale in questo senso si coglieva con l’entrata in vigore il 1° aprile 1944 delle nuove istruzioni dell’OKW per la «lotta alle bande» (Merkblatt 69/2), in cui veniva sottolineata l’importanza di fare «prigionieri di guerra», sia tra partigiani che si fossero arresi, sia tra coloro che fossero sospettati di essere iancheggiatori, mettendo implicitamente un freno alle rappresaglie e alle fucilazioni indiscriminate.74 Valido su tutti i fronti in cui fossero impegnate truppe tedesche le quali dovessero fare i conti con la presenza di una resistenza armata, il nuovo Merkblatt da un lato obbediva all’esigenza di non danneggiare irrimediabilmente i rapporti con la popolazione civile dei territori occupati, dall’altro era espressione di un contesto in cui alla disperata fame di manodopera che afliggeva l’economia di guerra tedesca si contrapponeva il progressivo venir meno del numero di nuove braccia reclutate più o meno coattivamente nei paesi occupati o arruolate in quelli alleati; di conseguenza anche quei «prigionieri di guerra» a cui il testo fa riferimento potevano essere utili se mandati in Germania come lavoratori forzati a disposizione del GBA o come deportati in KL, posto che la struttura della galassia concentrazionaria SS era ormai pressoché totalmente asservita alla produzione di guerra. 597 D’altra parte, il 7 aprile Kesselring emanava un nuovo ordine con cui, a pochi giorni dall’entrata in vigore delle disposizioni globali appena citate, disponeva un inasprimento della linea repressiva contro le bande, per cui si sarebbe dovuto procedere con azioni pianiicate e con un uso «deciso» della violenza sia contro i partigiani, sia contro i loro iancheggiatori, fornendo sostanzialmente carta bianca alle istanze subalterne e ai comandanti truppe impegnate in tutto lo scacchiere italiano. Dietro l’intervento di Kesselring c’era la percezione diretta della minaccia rappresentata da un movimento partigiano in crescita in diverse aree dell’Italia, e c’erano gli scioperi del marzo 1944. Sia l’evoluzione intervenuta nel contesto territoriale speciico sia le modiicazioni della normativa repressiva disposte dall’alto avrebbero indotto Willy Tensfeld, comandante dell’Oberitalien-West, a convocare il 18 aprile 1944 una riunione dei comandi provinciali e regionali tanto della SS e della polizia, quanto delle milizie salodiane per riorganizzare la pianiicazione della lotta alle «bande».75 Nelle settimane precedenti erano stati effettuati, da parte di unità militari del LXXV corpo d’armata, pesanti rastrellamenti in Val Casotto76 e nella zona attorno al Monte Tobbio,77 inalizzati ad assumere il controllo dei passi che mettono in contatto il Basso Piemonte con la Liguria, i quali avrebbero potuto svolgere un’importanza cruciale in caso di sbarchi alleati a Genova e dintorni, sbarchi che erano considerati possibili dall’OKW, mentre reparti di polizia tedeschi e italiani agli ordini dello stesso Tensfeld avevano provveduto a mettere in piedi analoghe operazioni al conine con la Francia (operazione Sperber), nel Cuneese (Wien/Viktor e Stuttgart), nel Vercellese (Rom) e al conine con la Svizzera (Köln/Freiburg), alcune delle quali erano ancora in corso o erano appena iniziate (come l’operazione Tübingen in Valle Stura) al momento dell’incontro. Erano questi, del resto, i punti chiave di cui era necessario mantenere il controllo ma che, nello stesso tempo, anche per la struttura orograica del territorio, facevano registrare una forte presenza partigiana. Alla riunione del 18 aprile avrebbe 598 perciò fatto seguito una nuova serie di rastrellamenti: le operazioni Rosenstrauch e Habicht nel Torinese in direzione del conine francese, l’Hamburg nel Biellese, la Bayreuth nell’Alto Novarese, verso la Svizzera.78 Buona parte dei rastrellamenti qui elencati ebbe tra gli esiti anche il trasferimento oltre Brennero di un cospicuo numero di persone, parte delle quali furono mandate come lavoratori coatti, parte invece come deportati in KL. Un altro grande ciclo di rastrellamenti, con trasferimenti coatti di popolazione e deportazioni in KL, sarebbe stato compiuto tra febbraio e maggio 1944 nel Litorale Adriatico, sotto il comando di Odilo Globočnick (operazioni Ratte, Biber e Braunschweig I-III). Nel corso di questo ciclo operativo erano stati catturati quasi 2.000 prigionieri, da trasferire in parte ai lavori forzati lungo le linee di fortiicazione del Nord, e in parte nel Reich, con la consueta biforcazione tra lavoratori coatti e deportati in KL. Estate-autunno 1944: sviluppi normativi e grandi rastrellamenti Nel corso dell’estate l’aspetto della «razzia di manodopera» diventava uno degli sbocchi principali delle operazioni antipartigiane. Il 15 giugno 1944 veniva approvato dai comandi centrali della SS e della polizia un nuovo assetto per la lotta alle «bande» che prevedeva la suddivisione delle persone catturate nelle operazioni di rastrellamento in tre categorie: 1) partigiani, 2) sospetti e 3) appartenenti alle classi di leva 1914-1927, coloro cioè che non avevano risposto ai bandi Graziani e si trovavano in età da lavoro. Il primo gruppo andava consegnato agli ufici competenti per territorio della Sipo-SD e il loro destino era la deportazione in KL; il terzo era destinato al lavoro coatto in Germania e quindi al GBA; il gruppo intermedio poteva ricevere il primo o il secondo tipo di trattamento a discrezione del comandante dell’azione e dei rappresentanti della Sipo-SD che lo coadiuvavano.79 La normativa, 599 prevista per le aree lontane dal fronte, e perciò poste sotto la competenza delle autorità della SS e della polizia, veniva ripresa anche nelle retrovie e nelle fasce costiere sottoposte ai comandi militari, con tutte le possibili variazioni del caso, dipendenti sia dalle caratteristiche di ogni singolo reparto, sia dallo scenario in cui esso operava. La deportazione in KL veniva quindi formalmente indicata come sanzione da utilizzare nell’ambito della lotta alle «bande», in un contesto bellico assai mutato dopo la caduta della Linea Gustav e il ripiegamento della Wehrmacht in direzione della Linea Gotica. Proprio lo sfondamento del fronte del Sud a ine maggio e il veloce ripiegamento dell’esercito tedesco verso nord (dai primi del giugno 1944 dopo la perdita di Roma a ine agosto, quando l’esercito tedesco si era attestato sull’Appennino tosco-emiliano, sarebbero passati poco più di due mesi) avevano progressivamente trasformato tutto il Centro Italia in una zona di guerra in cui il problema della sicurezza era diventato particolarmente acuto sia al fronte che alle sue spalle, in particolare lungo le vie di collegamento verso il Nord e verso la linea di fortiicazione, la Linea Gotica (poi Linea Verde). Tale situazione aveva portato alla diramazione di una «nuova disciplina per la lotta alle bande», emanata da Kesselring il 17 giugno 1944,80 che invitata i soldati al massimo rigore nella repressione e assicurava piena copertura agli uficiali per le misure anche draconiane che avessero deciso di applicare. All’ordinanza dell’Oberbefehlshaber Südwest avrebbero fatto seguito disposizioni applicative da parte dei comandanti subalterni; tra le misure decise dal generale Gustav Adolf von Zangen, responsabile per la difesa della Linea Gotica (o Verde) e delle coste, misure che andavano dal sequestro di biciclette all’arresto di familiari di partigiani, erano previsti anche il trasferimento come lavoratori coatti in Germania e la deportazione in KL.81 In una nota integrativa del 20 giugno Kesselring riguardo al comportamento da tenere nelle zone ad alta presenza partigiana, oltre a reintrodurre le misure collettive in caso di rappresaglia, ribadiva la sostanziale uguaglianza tra i partigiani e la popolazione civile, deinendo 600 quest’ultima «potenzialmente nemica»,82 quindi esposta potenzialmente al ventaglio di misure repressive previste per i primi. Se, come si è già messo in rilievo in precedenza, la rottura della Linea Gustav e la conseguente necessità tedesca di concentrare tutte le forze disponibili al fronte, oltre al venir meno della Pianura Padana come linea meridionale di collegamento con la Francia occupata dopo gli sbarchi alleati in Normandia e in Provenza, avevano costituito per le formazioni partigiane l’opportunità per rafforzarsi e porre sotto il loro controllo zone consistenti del Nord, ancorché periferiche, essendosi l’occupante e il suo alleato salodiano dovuti limitare a mantenere il controllo delle aree metropolitane e delle grandi vie di comunicazione, il rallentamento dell’avanzata alleata e l’assestamento tedesco sulla Linea Gotica avrebbero permesso a militari, SS e polizia di rilanciare contro formazioni partigiane e zone libere un’offensiva generale, che avrebbe toccato il suo apice in autunno. Tra la ine dell’estate e l’autunno del 1944 era stato avviato un vasto ciclo di rastrellamenti antipartigiani nel Litorale Adriatico sotto il comando del massimo dirigente della Orpo di Trieste, Hermann Kintrup, contro le «zone libere» partigiane di Attimis, Nimis, Faedis, nell’Alta Val Degano e in Val Pesarina; alle azioni avevano partecipato i raggruppamenti cosacchi che avevano il quartier generale a Tolmezzo. L’offensiva autunnale vera e propria era quindi iniziata in settembre sul fronte delle Alpi orientali, sull’altopiano di Asiago, del Cansiglio, nelle vallate dei Monti Lessini e del Chiampo, sotto la guida di Karl Heinz Bürger, capo dell’Oberitalien-Mitte, e del comandante della SS e della polizia di Bolzano Karl Brunner, responsabile del grande rastrellamento sul Monte Grappa tra il 20 e il 28 settembre 1944 e delle conseguenti deportazioni in KL. Tra i principali esecutori materiali di queste operazioni si trovano l’Einsatzkommando Bürger e gli speciali reggimenti di polizia costituiti nel Südtirol nell’inverno precedente. Vaste azioni erano state poi condotte lungo le fondamen601 tali direttrici di Cuneo-Imperia-Savona e Asti-AlessandriaGenova-La Spezia-Piacenza, punti strategici di collegamento tra la Pianura Padana occidentale e la costa, nonché zone in cui nell’estate si erano formate alcune «repubbliche» e «zone libere» partigiane. Di qui la decisione di Kesselring di indire due «settimane di lotta alle bande», sotto il comando di Willy Tensfeld e con il coinvolgimento delle truppe inquadrate nell’Armata Liguria, formalmente sotto il comando di Rodolfo Graziani, costituita dai reparti tedeschi che in precedenza avevano fatto parte prima del LXXXVII corpo d’armata e poi dell’Armeeabteilung von Zangen a cui si erano aggiunte le divisioni salodiane San Marco e Monterosa. Una scia di sangue accompagnata dalla deportazione in KL di parte dei rastrellati sarebbe stata prodotta dalle operazioni condotte tra ottobre e dicembre 1944 nel Comasco (operazione Berni), nell’Alto Novarese (operazione Avanti contro la repubblica dell’Ossola), nelle Langhe (attacco in forze alla «repubblica di Alba»), nel Monferrato (operazione Koblenz-Süd contro la «zona libera» dell’Alto Monferrato), nel Canavese (operazione Herbstzeitlose), nonché nell’Oltrepò Pavese dove si congiungono le province di Alessandria, Genova e Piacenza (operazioni Milano, Heygendorff, Aachen, Straßburg).83 La geograia dei rastrellamenti e la deportazione in KL Il Meridione Appena dopo l’armistizio dell’8 settembre reparti alleati erano sbarcati nel golfo di Salerno, con l’obiettivo di procedere lungo la penisola sotto copertura aerea. Nel contempo, i comandi germanici avevano previsto una ritirata su linee difensive scaglionate in profondità (Otto, Anni, Viktor o del Volturno, Barbara, Bernhard) ino alla Linea Gustav, che univa Minturno a Ortona e su cui il fronte si sarebbe assestato in dicembre ino al maggio 1944. 602 La Campania, dove preventivamente erano state concentrate cospicue forze tedesche, diventava così il principale teatro dei combattimenti. Il 10 ottobre, insieme a tutta l’area a sud delle province di Littoria, Frosinone, l’Aquila e Pescara, veniva dichiarata «zona di operazioni» in quanto retrovia del fronte. Come già accennato, nell’area si scatenarono furiosi rastrellamenti allo scopo di recuperare manodopera da utilizzare per le opere di fortiicazione in corso o da trasferire al Nord, senza però che partissero trasporti signiicativi di deportati in KL. Si cercherà comunque qui di ricostruire il quadro delle operazioni di controguerriglia e «boniica» del territorio realizzate nell’Italia meridionale, in particolare in Campania e nel Basso Lazio, là dove si veriicarono rastrellamenti. Il 20 settembre il XIV corpo d’armata ricevette un ordine in base al quale tutti i lavoratori italiani dell’area di Napoli dovevano essere impiegati nei lavori di fortiicazione o spediti come lavoratori coatti in Germania; a questo scopo la 15ª divisione granatieri corazzati e la 16ª divisione corazzata dovevano allestire campi di raccolta rispettivamente a Sparanise e Formia; nella seconda località sarebbero stati inoltre consegnati anche i rastrellati dalla divisione corazzata «Hermann Göring», della Luftwaffe, e dal comando cittadino di Napoli, che faceva capo al colonnello Walter Schöll, mentre a Sparanise dovevano essere concentrati i catturati per mano dei gruppi di combattimento (Kampfgruppen) Maucke e von Corvin. Due giorni dopo, il 22, si dispone che un terzo campo di raccolta venga aperto a Maddaloni.84 Retate e rastrellamenti si sarebbero susseguiti per tutta la settimana dal 20 al 27 settembre, innescando così la successiva insurrezione.85 Nella giornata del 23 settembre veniva condotto tanto in Campania, in particolare nel Casertano, quanto nel Basso Lazio, un ampio ciclo di rastrellamenti; tra i comuni colpiti c’era Teano, collocato lungo la Linea Barbara e a ridosso della Linea Bernhard, «tra il Monte Santa Croce a ovest di Roccamonina, il massiccio del monte Camino a nord, e il monte Cesima che dominava la strettoia tra Mignano e San Pietro 603 [...]», dove sarebbero stati catturati 600 uomini.86 La stessa sorte era toccata a Carinola e alle frazioni di Casanova, Casale, Nocelleto, Falciano;87 il medesimo giorno erano state prese centinaia di uomini a Castellammare di Stabia, con un’operazione di tale portata da avere assunto il posto centrale nella memoria locale del paese.88 Ad Acerra il 1° ottobre, con lo stesso metodo usato negli altri paesi, i tedeschi, probabilmente uomini della divisione «Hermann Göring» in ritirata da Napoli, invadevano le strade, rastrellavano gli uomini e li radunavano nelle piazze per trasferirli al Nord.89 Analoghi episodi si svolgevano il 7 ottobre a Bellona, paesino lungo la linea del Volturno; a Capua, che fu il «teatro principale della battaglia del Volturno» dal 12 al 16 ottobre e che, come molti altri paesi lungo la linea di difesa, si trovò in mezzo al fuoco dei due schieramenti; a Conca, collocata tra la Linea Barbara e la Linea Bernhard, l’ultima prima della Gustav, ad Alvignano, a Castelcampagnano, a Gioia Sannitica, Limatola, Telese.90 Altri rastrellamenti avvengono nel Beneventano, come nel villaggio di Dragoni.91 Anche nel Basso Lazio si erano ripetuti rastrellamenti sistematici di uomini da trasferire al Nord e in Germania, precisamente in quei comuni che si trovavano a ridosso della Linea Gustav. A colpire la zona era stato il grande rastrellamento del 23 settembre, che aveva interessato Minturno, la frazione di Tremensuoli e Gaeta,92 appena prima che venisse emanato, il 24 settembre, l’ordine di evacuare i comuni di Gaeta, Formia, San Felice Circeo, Terracina, Sabaudia e Nettunia, sovrappostosi al rastrellamento di alcuni comuni dell’entroterra, come Castellonorato, Maranola e Trivio.93 Analoghe operazioni si erano svolte fuori Roma e nella provincia di Viterbo, dove particolarmente attiva nella perlustrazione e nel controllo del territorio era stata la 2ª divisione paracadutisti. Rastrellamenti erano stati compiuti in Alta Val d’Aniene nella zona di Afile, a Licenza, Mandela e Bellegra.94 Nel Viterbese il 29 ottobre 1943 a Blera, presso Vetralla, il VII battaglione del 2° reggimento paracadutisti aveva invaso il paese e rastrellato uomini validi.95 604 In generale l’occupazione tedesca del Lazio sarebbe stata caratterizzata da un’ingente presenza di unità militari, data la vicinanza del fronte, nonché, dal gennaio 1944, in seguito al costituirsi della testa di ponte alleata creata con lo sbarco ad Anzio. Per quanto riguarda il controllo delle retrovie e la repressione di ogni attività partigiana Kesselring aveva immediatamente fatto allestire la Banden-Jagd-Kompanie OB Südwest; dalla primavera 1944 la 14ª armata avrebbe dato vita, in successione, a due comandi per la lotta alle bande, lo Stab für Bandenbekämpfung Major Herrmann e il Bandenbekämpfungstab Oberst Schanze, entrambi responsabili di diverse operazioni di rastrellamento tra Lazio, Umbria e Marche.96 Nei mesi successivi, anche a causa dello sviluppo dell’attività partigiana, le operazioni avrebbero allargato il proprio raggio d’azione. L’esigenza di liberare le vie di comunicazione avrebbe portato a colpire l’area a cavallo tra la provincia di Rieti e quella di Terni, dove operavano la formazione «D’Ercole-Stalin» nella zona di Poggio Mirteto, e sul conine umbro la brigata «Spartaco Lavagnini» e alcuni gruppi della brigata «Gramsci».97 Tra il 29 marzo e il 7 aprile avrebbe avuto inizio una vasta azione nell’area tra Norcia, Leonessa, Poggio Bustone, Rivodutri, Morro Reatino e a sud del Monte San Giovanni; sotto la guida dello stato maggiore del 69º reggimento corazzato, una formazione ad hoc formata dalle sezioni esploratori del 103° e del 190° reggimento corazzato, dal II battaglione del 3° reggimento della divisione «Brandenburg», da aliquote del 190° reggimento corazzato, dal I battaglione del 20º reggimento SS e di polizia, nonché dalle squadre di pronto intervento del Comando della 14ª armata e del Comando piazza di Rieti, tra cui membri della Luftwaffe, avrebbe avviato l’operazione. Tra le frazioni colpite, Pace e Costipano venivano date alle iamme, mentre si procedeva al rastrellamento di uomini validi al lavoro a Labro, Morro Reatino, Rivodutri e Poggio Bustone. Dal 3 al 7 aprile si sarebbe continuato passando all’accerchiamento di Leonessa per debellare la «Spartaco Lavagnini»; venivano attaccate le frazioni di Albaneto e Villa Pulcini, e 605 poi si passava al setaccio l’intera zona. Le relazioni militari tedesche danno conto di 296 morti tra i «banditi» e di 698 prigionieri, sulla cui sorte non viene però fornita alcuna indicazione.98 Nello stesso contesto si svolgevano, senza soluzione di continuità, un secondo pesante rastrellamento dal 7 al 17 aprile sul Monte Tancia nella zona di Poggio Mirteto, Vacona, Santa Maria Maddalena, Calvi, Colle Croce per annientare la «D’Ercole-Stalin», compiuto anch’esso dal I battaglione del 20° reggimento di polizia e della SS e dal II battaglione del 3° reggimento della «Brandenburg» (a tirare le ile è lo Stab für Bandenbekämpfung della 14ª armata), e operazioni di polizia (denominate globalmente Osterei, cioè «uovo di Pasqua»), anch’esse dirette dal Comando della 14ª armata e attuate da unità dei medesimi reparti, coadiuvate questa volta da squadre di pronto intervento della Militärkommandantur di Rieti, nei comuni di Santa Maria Maddalena, Calvi, Terni, Conigni, Monte Cosce. Un breve cenno deve essere fatto al ruolo svolto dai comandi tedeschi della polizia di Roma. Nella capitale, infatti, si svolsero alcune delle più grandi retate nell’Italia occupata: il 16 ottobre 1943 nel ghetto di Roma era stata realizzata la più grande retata antiebraica d’Italia a cui avrebbe fatto seguito la deportazione ad Auschwitz di 1.023 ebrei romani;99 il 17 aprile 1944 nel quartiere romano del Quadraro, una borgata popolare a forte presenza partigiana e perciò considerata particolarmente pericolosa dagli occupanti tedeschi, erano stati arrestati circa 700 uomini in età da lavoro (dai 16 ai 60 anni) attraverso un’azione coordinata tra lo stato maggiore dell’ Oberbefehlshaber Südwest, quello della 14ª armata, la sezione romana (Außenstelle) del BdS, guidata dal 10 settembre precedente da Herbert Kappler, e il comando piazza della capitale. L’operazione era apparentemente la risposta all’attentato del 10 aprile, il lunedì di Pasqua, messo in atto contro tre tedeschi presso l’Osteria del Piccione, dalla banda cosiddetta del «Gobbo del Quarticciolo», legata al partigiano socialista Giuseppe Albano (detto il Gobbo) e composta da 606 appartenenti al sottoproletariato giovanile del quartiere.100 A seguito di questo episodio, secondo la memoria del quartiere e secondo la documentazione tedesca, autocarri e blindati tedeschi circondavano alle 3.30 circa del mattino il quartiere del Quadraro e verso le 5 squadre di soldati delle SS iniziavano a rastrellare le vie, casa per casa prelevando tutti gli uomini, i quali venivano poi portati nel cinema del quartiere, di lì trasferiti agli stabilimenti di Cinecittà, dove sarebbero rimasti per due giorni, successivamente mandati verso nord facendo sosta a Terni, a Firenze al carcere delle Murate e inine acquartierati nel campo di transito (DuLag) di Fossoli di Carpi,101 da dove, secondo lo studio di Walter De Cesaris, alla ine del giugno successivo sarebbero partiti per la Germania per esservi impiegati quali lavoratori coatti.102 Le fonti tedesche ci danno come catturate nel corso dell’azione, denominata Walisch (balena), complessivamente 707 persone.103 Il Centro Fino alla primavera del 1944 si trova traccia solo di piccole operazioni con alcuni arresti;104 per esempio, il 3 febbraio 1944, presso Sant’Eraclio di Foligno, Cancelli, Ponse e Radiosa, dopo alcuni scontri lungo la via Flaminia, sul Monte Subasio, sui Monti Martani e nella zona di Foligno, si svolgeva un’operazione che aveva come esito l’arresto di 4 partigiani e 9 civili.105 Piccole puntate si erano registrate ancora per tutto il mese di marzo.106 A partire dalla primavera del 1944, invece, con la rottura della Linea Gustav e il rapido arretramento del fronte, che si sarebbe protratto per tutta l’estate, si sarebbe fatto sempre più stretto il nodo che legava assieme attività militari vere e proprie, azioni repressive dirette a contrastare un’attività resistenziale che si faceva vieppiù signiicativa, misure di rappresaglia pura e semplice e necessità di recuperare braccia da utilizzare, in diversi modi, più a nord. In questo contesto si devono inserire le operazioni che interessarono il territorio dell’Umbria, regione che ospitava importanti vie di 607 comunicazione con il Nord quali la via Flaminia, o statale numero 3, che collegava Roma a Rimini e in senso longitudinale attraversava tutta la parte est della regione, e la UmbroCasentinese che da Viterbo conduceva al lato ovest del lago Trasimeno, e che sarebbe diventata a quel punto territorio sia dalla 14ª sia dalla 10ª armata per risalire lo stivale. Attorno alla prima direttrice operavano diverse formazioni partigiane, la brigata garibaldina «Gramsci» a sud e la brigata «San Faustino-Proletaria d’urto» a nord, mentre nel tratto inale della seconda, tra il lago Trasimeno, Chiusi e Orvieto, era attiva dal marzo la «Risorgimento». Tra la ine del mese e la prima settimana di aprile avevano luogo tre importanti cicli operativi: il 27 marzo 1944, sotto il comando del LXXVI corpo d’armata corazzato, il 103° reparto divisionale esplorante della 3ª divisione corazzata, privo qui di uno squadrone, e la 1ª compagnia del IV battaglione pionieri paracadutisti rastrellavano la zona intorno a Gubbio con lo scopo di liberarla dalla presenza partigiana: i comuni di Calzolaro e Umbertide a ovest e Scheggia e Pascelugo a est lamentano numerosi morti e, secondo fonti tedesche, da 60 a 80 prigionieri;107 rispettivamente dal 29 e dal 31 marzo vengono realizzate le operazioni Oberst Schanze, a cavallo delle province di Rieti e Perugia, ed Eichkätzchen nella zona intorno a Scheggia e Tazzo a sud e sud-est di Cascia, per mano la prima di uno schieramento complesso formato da reparti militari e di polizia, la seconda attuata solo da unità SS e della polizia. La Oberst Schanze si concluse, a quanto risulta dalla documentazione tedesca, con la cattura di 698 persone, sulla cui sorte tuttavia non si trovano riscontri. Tra il 26 aprile e il 1° maggio sotto il comando del BdO veniva eseguita una vasta operazione nell’area di Assisi, Foligno, Camerino, Matelica, Gualdo Tadino tra le province di Perugia e Macerata, ad opera anche in questo caso di uno schieramento composito formato da reparti militari e unità SS e di polizia, nonché da formazioni salodiane. Secondo fonte tedesca l’operazione aveva portato all’uccisione di 154 presunti «banditi», 119 prigionieri e a 1.544 arrestati delle 608 classi 1914-27.108 Anche in questo caso, però, non disponiamo di alcuna indicazione sulla sorte degli uni e degli altri. Analogamente, ricerche locali danno conto di numerosi prelievi forzati di maschi adulti nelle settimane tra marzo e maggio soprattutto nella parte orientale della regione, tra le province di Terni, Rieti e Perugia, in seguito all’intensiicarsi di azioni antipartigiane miranti al pieno controllo della via Flaminia, ma non si hanno riscontri sulle loro destinazioni inali.109 Dopo la liberazione di Roma e la veloce ritirata tedesca, a cui seguivano quelle di Terni (13 giugno), Orvieto (14 giugno), Spoleto (15 giugno), Foligno (16 giugno) e Perugia (20 giugno), l’esercito tedesco si assestava lungo la Linea Albert, la linea di difesa che da Grosseto a Numana tagliava l’Umbria all’altezza del Lago Trasimeno; ciò avrebbe comportato l’intensiicarsi dei rastrellamenti a ridosso delle vie di comunicazione e nelle fasce settentrionali della regione non ancora liberate, dove, oltre alle formazioni partigiane, già citate, «San Faustino» e «Gramsci», operavano la cosiddetta banda del «Monte Tezio», in seguito ridenominatasi «Primo Ciabatti», e, sul versante marchigiano, i distaccamenti garibaldini «La Marmora», «Cacciatori» «Tigre», che facevano riferimento alla 5ª brigata Garibaldi «Ancona».110 Anche nelle Marche la repressione del territorio divenne sistematica con l’arrivo della primavera del 1944, sebbene scontri armati tra formazioni partigiane da un lato, truppe tedesche e unità fasciste dall’altro si fossero veriicati già nei primi mesi di occupazione, con successive rappresaglie contro centri abitati.111 Degno di nota per questi primi mesi di occupazione il rastrellamento avvenuto il 1° novembre 1943 nel villaggio di Camazzasette, una frazione di Urbino, dove un reparto tedesco entrando nell’abitato sparava colpi di arma da fuoco contro i civili: due donne venivano uccise e 28 uomini venivano prelevati.112 Nel marzo successivo il II battaglione del 3° reggimento della divisione «Brandenburg», posto agli ordini del Korück 594 (Kommandant des rückwärtigen Gebietes – il settore dello stato maggiore della 10ª armata responsabile per il controllo 609 delle retrovie) e coadiuvato dalle unità di pronto intervento del comando piazza 1019 di Macerata, avrebbe compiuto una serie di azioni antipartigiane nei comuni di Rovetino, Pozza, Umito, Acquasanta, San Ginesio, tra le province di Ascoli Piceno e Macerata.113 Nelle province di Ancona e Pesaro, tra Cantiano e Fabriano lungo la statale Flaminia, invece, a condurre a ine mese la perlustrazione della fascia litoranea sarebbero stati i reparti posti sotto il comando del generale di fanteria Joachim Witthöft.114 Con la primavera prendeva inizio un ciclo di rastrellamenti, inalizzati anche allo sgombero delle vie di transito nelle zone retrostanti il fronte, condotti dalle unità SS e di polizia di Bürger e von Kamptz, afiancati dal 25 maggio al luglio 1944 dal distaccamento SS e di polizia di Macerata agli ordini di Herbert Andorfer; e lungo la fascia litoranea dai reparti della Wehrmacht al comando di Witthöft. Tra il 17 e il 23 aprile lo stesso schieramento di forze che, come detto, a ine mese avrebbe colpito i comuni delle province di Perugia e Macerata, rastrellava i villaggi di Cingoli, Chigiano e Umito a lato di alcune strade di attraversamento della regione poste a cavallo delle province di Ancona e Macerata.115 Successivamente, tra il 7 e il 9 maggio il I battaglione del 20° reggimento della polizia e delle SS rastrellava il Monte [Serre] di Burano, Badia, Poggio del Convento in provincia di Pesaro, mentre il 20 maggio il 2° reparto dell’Einsatz-Kommando Bürger rastrellava il Monte Cavallo a nord-ovest di Visso in provincia di Macerata, tornando con 3 prigionieri.116 Il 4 giugno reparti militari attaccavano presso Arcevia, nell’Anconitano, sulle pendici del Monte Sant’Angelo; le fonti tedesche parlano unicamente di 41 arresti; ricostruzioni successive italiane, che attribuiscono l’operazione a 2.000 tra soldati tedeschi e italiani e l’anticipano di un mese issandone lo svolgimento al 4 maggio, danno invece conto di 43 caduti nel corso dell’azione, altri 18 fucilati subito dopo la sua conclusione, e 70 fatti prigionieri e avviati al campo di concentramento di Sforzacosta in provincia di Macerata.117 Attorno alla zona di Jesi tra la ine di maggio e la prima deca610 de di giugno unità della Wehrmacht dipendenti da Witthöft, in qualche caso supportate dalle forze SS e di polizia guidate da Andorfer, operarono una serie di arresti nell’ambito di operazioni antipartigiane.118 Nei primi mesi di occupazione l’attività tedesca in Toscana, regione relativamente lontana dal fronte, era stata abbastanza contenuta. Fino alla primavera 1944 la 10ª e la 14ª armata erano state impegnate prevalentemente nei combattimenti sul fronte a sud di Roma, pertanto, per quanto la presenza partigiana fosse stata segnalata dai comandi tedeschi in dall’ottobre 1943, non aveva comportato interventi repressivi rilevanti.119 Un rastrellamento si era svolto il 17 settembre 1943 a Carrara, nel cui ambito uomini in età da lavoro erano stati prima concentrati a Marina di Carrara nell’ediicio di una colonia marina e poi tradotti in Germania, presumibilmente come lavoratori coatti.120 Il 24 novembre nel corso di un’operazione che aveva portato all’incendio di 12 abitazioni a nord di Pescia (Pistoia), 102 persone erano state arrestate per «favoreggiamento» verso i partigiani e consegnate a un tribunale speciale salodiano; il 19 dicembre 1943 a est della strada tra Bagni di Lucca e Castelnuovo di Garfagnana (Lucca) erano stati arrestati nel corso di un rastrellamento 9 civili per «favoreggiamento» di prigionieri di guerra inglesi e consegnati al tribunale speciale; inine ad Arezzo, il 30 successivo, 10 italiani erano stati arrestati per un’accusa analoga.121 Sarebbe stato necessario arrivare al 5 marzo 1944 perché si svolgesse in Versilia, tra Viareggio, Lido di Camaiore, Pietrasanta, Seravezza, Forte dei Marmi, Loppeglia e il monte Matanna, una retata di cospicue dimensioni conclusasi con la cattura di 95 «caporioni», secondo le fonti tedesche consegnati alla Sipo-SD o ai tribunali salodiani; ad agire furono militi della GNR e le unità di pronto intervento a disposizione della Militärkommandantur di Lucca, forze cioè di non grande capacità operativa.122 Nei giorni immediatamente precedenti era entrato in sciopero il distretto industriale composto da Firenze, Empoli e Prato; su di esso si sarebbe abbattuta una pesante repressione, sfociata in arresti di massa 611 e nella successiva deportazione in KL, nel trasporto partito dalla stazione di Santa Maria Novella l’8 marzo e giunto a Mauthausen l’11 successivo, di oltre 330 toscani, 315 dei quali caduti vittima della retata successiva alla protesta operaia.123 Particolarmente signiicativo l’impatto della repressione in seguito agli scioperi di marzo in un centro minore come Montelupo Fiorentino, dove si registrano complessivamente ben 23 deportati in KL su una popolazione complessiva di 7.300 abitanti.124 Con la primavera il clima e lo scenario repressivo sarebbero mutati radicalmente; una prima signiicativa serie di azioni antipartigiane veniva compiuta dalla divisione corazzata della Luftwaffe «Hermann Göring» (al tempo denominata semplicemente Panzerdivision Hermann Göring, poi dalla ine di aprile Fallschirm-Panzer-Division 1. Hermann Göring) sull’Appennino tosco-emiliano tra marzo e aprile 1944, tra cui particolarmente rilevanti i rastrellamenti avvenuti sulle pendici e nel territorio circostante il monte Falterona a cavallo delle province di Arezzo, Pesaro e Forlì,125 a cui avrebbero preso parte dalle ile della «Herman Göring» il reparto esplorante, comandato da Christian von Loeben, unità della 10ª e della 17ª compagnia del reggimento contraereo, uno speciale gruppo di combattimento antipartigiani posto sotto il comando del maggiore Freyer, reparti del I e del II battaglione di uno dei suoi reggimenti, nonché unità della Gendarmeria tedesca oltre a militi della GNR, utilizzati come guide, intermediari negli interrogatori dei prigionieri, e a cui venne afidato il controllo delle vie d’uscita. L’operazione era stata ordinata e pianiicata il 4 aprile dal generale von Zangen e in subordine dal comando del LXXV corpo d’armata, mentre la guida dell’operazione era stata afidata al colonnello Hans-Hennig von Heydebreck, al comando del reggimento corazzato. L’obiettivo da raggiungere era ripulire la zona dalla presenza di formazioni partigiane che rendevano dificoltoso accedere ai passi dei Mandrioli, sulla statale 71, e del Muraglione, sulla statale 67. Nel corso del suo svolgimento sarebbero stati massacrati 108 civili, in gran parte donne e bambini, nella località 612 di Vallucciole, altri 41 al passo dei Mandrioli, ulteriori 35 in diverse località tra Castagno d’Andrea, San Godenzo, Partina, Moscaio, Badia Prataglia. Fonti sia partigiane, sia della GNR segnalano lo spostamento coatto verso nord di persone rastrellate, in particolare sul versante romagnolo, senza però precisarne ulteriormente la sorte.126 Un analogo andamento prendeva la repressione antipartigiana dall’altra parte della regione, nell’area strategica della Lunigiana, posta nelle dirette retrovie della Linea Gotica in prossimità della costa e punto di connessione tra Toscana, Emilia e Liguria; lì protagonista di un cospicuo ciclo repressivo in aprile era stata la 135ª brigata da fortezza del colonnello Kurt Almers, inquadrata anch’essa nel LXXV corpo d’armata del generale Dostler. Fino all’inizio del 1945, del resto, la 135ª brigata sarebbe stata protagonista di numerose operazioni di rastrellamento nell’area compresa tra l’Appennino toscoemiliano e la costa ligure, zona cruciale per i collegamenti e l’eventuale ritirata verso la Pianura Padana. Il 15-16 aprile tra Pontremoli e Cervara, sotto il comando della brigata Almers, entrambe le compagnie numero 3 dei battaglioni da fortezza 905° e 906°, una compagnia di genieri italiani, 50 soldati della scuola Antisom, 50 marò del reggimento San Marco e 50 militi della GNR compivano un rastrellamento contro i partigiani della zona, incendiando gli ediici dell’area del Lago della Cervara, facendo tra i 6 e gli 8 morti e alcuni prigionieri di cui, secondo alcune fonti, 16 sarebbero stati, genericamente, «deportati».127 Un secondo rastrellamento si ripeteva tra Fivizzano e Vendaso, appena sotto il conine con l’Emilia nei pressi del valico appenninico del Cerreto, tra il 4 e il 5 maggio, di nuovo sotto il comando della 135ª brigata e a cui avrebbero partecipato molte delle unità poc’anzi citate, ossia il reparto esplorante della divisione «Hermann Göring», 3 compagnie del 906° battaglione da fortezza, alcuni soldati della Antisom, 1 compagnia di bersaglieri, 1 compagnia del genio italiana, 1 compagnia mista della Marina, 1 compagnia mista della Flak, alcune unità della GNR e della Guardia di Finanza, reclute del reggimento San Marco. L’obiettivo era 613 il campo partigiano allestito nelle settimane precedenti, che aveva recentemente ricevuto armi ed esplosivi tramite aviolanci alleati.128 Al termine dell’azione le fonti tedesche registravano un numero imprecisato di morti, tra cui partigiani e civili, e 170 prigionieri, secondo alcune fonti andati incontro a «deportazioni», tuttavia non meglio precisate.129 Di lì a un mese, il 13 giugno, sarebbe seguito il rastrellamento di Forno, una frazione di Massa dove si erano accampati, dopo la liberazione di Roma, i partigiani della formazione comunista «Luigi Mulargia», in attesa dell’arrivo alleato. La loro presenza nel paese, per nulla mascherata in quanto essi davano per imminente la ine delle ostilità nonostante gli avvertimenti del CLN apuano che li aveva invitati a evacuarlo per il timore di un intervento tedesco, avrebbe provocato un feroce rastrellamento eseguito dalla 135ª brigata da fortezza sotto il comando diretto del LXXV corpo d’armata, che ebbe come esito l’uccisione di 68 sospettati di appartenere alla formazione e la selezione di circa una cinquantina di uomini, tra cui abitanti di Forno, sfollati e disertori del distretto di Massa, destinati al trasferimento forzato verso nord.130 Deportazioni in KL, trasferimenti coatti sulle linee di fortiicazione della Linea Verde, sulle linee di difesa prealpine, o come manodopera nel Reich da questo momento in avanti si sarebbero sovrapposti con sempre maggiore intensità. Paradigmatico di questa fase sarebbe stato il vasto ciclo di operazioni condotto nella zona strategica della Cisa, all’incrocio tra Emilia, Liguria e Toscana settentrionale tra ine giugno ino ai primi di agosto, denominato Wallenstein (I-III):131 «Dal 1° luglio ai primi di agosto il territorio appenninico da Reggio Emilia a Piacenza viene investito da una massiccia operazione, nome in codice Wallenstein, programmata e condotta in tre fasi militarmente distinte tra luglio e agosto. Il comando fu assegnato al generale Walter von Hippel, comandante in capo delle forze della Flack, la contraerea tedesca, che impiegò prevalentemente truppe della Luftwaffe, coadiuvate da reparti della CXXXV Brigata da fortezza stanziata a La Spezia, da unità della X Mas e da contingenti di polizia tedesca, con rinforzi locali: in tutto circa 5-6.000 uomini. Un preciso resoconto dei risultati soprattutto “economi- 614 ci” si può leggere nelle relazioni n. 11 e n. 12, del 15 luglio e del 15 agosto, stese dalla Militärkommandantur 1008: nel campo sportivo di Bibbiano, dove sono stati trasferiti anche animali e oggetti provenienti dalle requisizioni, vengono ammassate 3.699 persone; 1.750 verranno inviate al lavoro coatto in Germania [...]. Questi i dati analitici del rastrellamento estivo che rivelano chiaramente le inalità dell’operazione: dagli inizi di luglio risultano 157 catturati, di cui 6 partigiani; in agosto, dal Piacentino, vennero inviate in Germania come lavoratori coatti 19 persone, tra loro solo 3 partigiani. Conosciamo il luogo di cattura del 96% degli inviati di luglio: 95 provenivano dalla val d’Arda, 41 dalla val Nure, 11 sono stati catturati in pianura e in città e 4 nelle valli Trebbia, Tidone e Luretta. Per agosto conosciamo la provenienza del 74% dei trasferiti in Germania: 5 vengono dalla val d’Arda, 5 sono stati catturati in città e 4 nelle vallate attorno al Trebbia».132 «L’operazione Wallenstein, così venne denominato il primo grande rastrellamento, spazzò i monti emiliani dal 30 giugno al 7 agosto del 1944, con il duplice obiettivo di eliminare i “territorio liberi” sorti su tutta l’alta fascia appenninica tra Modena e Piacenza e di rastrellare civili destinati al lavoro coatto nei territori del Reich, oltre a svuotare le stalle del bestiame da destinare all’alimentazione dell’esercito d’occupazione. Programmata in tre fasi distinte, l’azione provocò distruzioni e centinaia di vittime nel Parmense e prelevò un gran numero di uomini adulti scampati alle fucilazioni. Stando alle fonti tedesche, la cosiddetta Wallenstein I si concluse con l’uccisione di 325 “ribelli” e l’invio oltre Brennero di 2769 uomini, tutti provenienti dai villaggi contadini che sorgevano lungo i pendii dei monti nel Parmense, mentre 45 furono le vittime (30 fucilati in quanto ritenuti partigiani) della Wallestein II, che colpì la zona a cavallo delle province di Parma e Piacenza catturando 127 persone, anch’esse costrette a prendere la via della Germania. La Wallenstein III, che pose ine alla “repubblica di Monteiorino”, nel Modenese, spargendo morte e distruzione nei villaggi e nei paesi di montagna a cavallo tra le provincia di Modena e Reggio Emilia, portò al prelievo di parecchie decine di civili, i quali sarebbero stati trasferiti nel campo di transito di Fossoli per essere in parte trasferiti in Germania, soprattutto in qualità di lavoratori coatti. Obiettivo dell’operazione era, come si è detto, riprendere il controllo dei “territori liberi”, porre ine alle esperienze di autogoverno dei comitati di liberazione nazionale e “ripulire” quei territori sia dai combattenti partigiani, sia da tutti coloro che li sostenevano o che avrebbero potuto farlo.»133 615 A partire dalla ine di giugno del 1944 la ritirata dalla Toscana meridionale avrebbe seguito due direttrici: la litoranea, lungo la via Aurelia, attraverso le province di Grosseto, Livorno e Pisa; e la via interna, lungo la Cassia, in direzione di Chiusi, Siena, Arezzo e Firenze attraverso la val di Chiana e l’Aretino. Tra le azioni repressive compiute nel corso della ritirata lungo la costa è da ricordare quella avvenuta presso le miniere della Niccioleta, vicino a Castelnuovo Val di Cecina, che avrebbe avuto come esito inale, oltre all’uccisione di 83 uomini, il trasferimento in Germania, come lavoratori coatti, di una ventina di giovani in età di leva.134 La ricostruzione dettagliata dell’azione è stata fatta da Paolo Pezzino, a cui afidiamo la descrizione dell’episodio: «In questo villaggio, costruito dalla Montecatini alla metà degli anni trenta per sfruttare una grossa miniera di pirite, con criteri che a quei tempi sembrarono modernissimi [...], si svolse nel giugno del 1944 uno dei tanti massacri di popolazione civile compiuti in Toscana dalle truppe tedesche: all’alba del 13 giugno reparti di polizia tedesca formati da soldati italiani, uficiali e sottouficiali prevalentemente tedeschi, circondarono il villaggio, rastrellarono tutti gli uomini, concentrandoli davanti al dopolavoro, quindi ne fucilarono sei, trovati in possesso di armi e altri oggetti compromettenti (un fazzoletto rosso, un lasciapassare partigiano) e, dopo averne liberati alcuni, i più anziani, trasferirono in serata gli altri nella vicina Castelnuovo Val di Cecina, da dove i tedeschi erano partiti la mattina presto. Qui nel giorno 14, dopo una estenuante attesa nei locali dell’ex cinema, i prigionieri furono divisi in tre gruppi. Un primo gruppo, composto da 77 persone, fu portato in un pendio alla periferia del paese, un “vallino” accanto alla centrale elettrica [...], dove furono uccisi con rafiche di mitragliatrici in precedenza piazzate sul posto. Un secondo gruppo, di 21 giovani in età di leva, fu trasportato a Firenze e da lì deportato [sic!] in Germania (ma quattro persone riuscirono a fuggire nel tragitto ino alla città toscana); un terzo contingente di uomini, di circa cinquanta persone (i più anziani), fu liberato e fece ritorno al villaggio».135 L’avvenimento vide coinvolti da un lato le formazioni partigiane della zona, la 23ª Brigata Garibaldi «Guido Boscaglia» e, nel caso di Niccioleta, il suo distaccamento «Otello 616 Gattoli», attivati dall’appello del 6 giugno rivolto ai «patrioti dell’Italia occupata» dal generale Harold Alexander, comandante in capo delle forze alleate in Italia, a «insorgere contro il nemico»; e dall’altro il III battaglione italiano volontario di polizia (III. Polizei-Freiwilligen-Bataillon «Italien»), la cui struttura di comando era mista (composta da tedeschi e italiani) e la cui truppa era esclusivamente italiana, proveniente in larga parte dalle ile della disciolta MVSN; il reparto dipendeva dalla centrale di polizia Mittelitalien di Karl Heinz Bürger.136 Il comando del LXXV corpo d’armata proprio in quei giorni aveva ordinato azioni antipartigiane nella zona,137 e il battaglione stava compiendo un ciclo operativo nella zona tra Pomarance, Larderello, Castelnuovo Val di Cecina, Riotorto, Montoni, Allumiere, Valpiana, Massa Marittima e Niccioleta allo scopo di liberare le spalle del fronte; prima del massacro a Niccioleta, il giorno 10 era stato occupato Castelnuovo Val di Cecina, rastrellati tutti gli uomini e quindi trattenuti solo i soggetti agli obblighi di leva, circa una quarantina secondo testimonianze, di cui alla ine cinque erano stati trasferiti in Germania.138 Come a Castelnuovo, anche a Niccioleta a essere inviati oltre Brennero erano stati i giovani delle classi in età di leva, utili come forza lavoro ma probabilmente in quel contesto avvertiti come una potenziale minaccia, mentre coloro, in gran parte minatori, che avevano dato vita nei giorni precedenti a una sorta di improvvisata milizia allo scopo di difendere il paese e la miniera, sarebbero stati fucilati e gli anziani rilasciati. Un paio di settimane più tardi sarebbe seguita una delle più grandi stragi toscane avvenuta nel corso della ritirata lungo la via del litorale, quella di Guardistallo (Pisa), del 28-29 giugno.139 Contemporaneamente, lungo la via di ritirata interna, venivano compiuti altri massacri, come quelli sul Pratomagno e tra la Valdarno e la Val di Chiana, tra cui le note stragi di Civitella Val di Chiana, San Pancrazio e Cornia, dove a far da protagonista era ancora una volta la divisione «Hermann Göring».140 Con l’attestarsi delle truppe lungo la linea dell’Arno, la 617 Versilia veniva a trovarsi alle spalle del fronte a pochi chilometri della Linea Verde. Per questo motivo, e per l’incessante crescita del movimento partigiano della zona, Kesselring istituì uno speciale stato maggiore, afidato al colonnello Ebner, con il compito di evacuare tutta la zona 10 km a nord e 20 km a sud della Linea Verde, prelevando manodopera da utilizzare sulla fortiicazione. Contestualmente il 18 luglio ordinava l’evacuazione di una striscia di territorio di 5 km a nord e a sud della principale linea di combattimento.141 In questo modo tutte le località della zona sarebbero andate incontro progressivamente all’evacuazione: la provincia di Lucca era stata dichiarata zona di operazioni il 4 luglio; dal 7 in avanti era ordinata l’evacuazione dell’intera Versilia del nord: il 7 luglio Carrara, il 12 Massa, ordine revocato e quindi ripetuto il 19 agosto e poi ancora il 12 settembre.142 Il sovrapporsi di disposizioni tra loro non di rado contraddittorie, le esigenze della ritirata, le pressioni offensive alleate contribuirono sicuramente alla creazione di uno stato di caos che non mancò di rilettersi sui comandanti delle unità della Wehrmacht presenti sul territorio. Il 6-7 luglio l’871° reggimento granatieri, appartenente alla 356ª divisione di fanteria, rastrellava un’area di dieci chilometri attorno alla strada che collega Radda del Chianti a Greve, in provincia di Siena, uccidendo 3 uomini, arrestando 35 renitenti, dando alle iamme 36 case coloniche e inviando al campo di raccolta (Sammel-Lager) di Firenze tutta la popolazione maschile tra i 18 e i 45 anni di età.143 Secondo la documentazione tedesca, si sarebbe trattato di una rappresaglia in seguito ad attacco partigiano che aveva fruttato la cattura di quattro soldati del reparto. Più a nord, il 14 luglio, soldati del battaglione di addestramento dell’accademia dei «cacciatori da montagna» di Mittenwald, responsabile dal giugno 1944 all’inizio del 1945 di una lunga serie di rastrellamenti sugli Appennini e nell’area apuana, avrebbe circondato Montefegatesi, minuscola frazione di Bagni di Lucca, catturando decine di uomini poi condotti nel centro del comune, che funzionava come luogo di raccolta della manodopera da trasferire verso nord.144 618 I cicli repressivi più violenti di questo periodo e in questa fascia di territorio sarebbero stati legati alla presenza della 16ª divisione corazzata SS «Reichsführer SS», unità appartenente alle Waffen SS e intitolata a Heinrich Himmler nel suo ruolo di capo supremo della milizia nazionalsocialista. Alla sua zelante attività si deve in larga parte la realizzazione dei piani per i trasferimenti di manodopera dell’estate dall’Appennino tosco-emiliano.145 Il primo intervento di quello che appare come un ampio ciclo operativo146 si svolgeva sui Monti Pisani presso la località La Romagna, dove tra il 6 e il 7 agosto membri della divisione devastavano gli ediici e rastrellavano gli uomini, quasi tutti sfollati da Pisa in seguito al bombardamento del 31 agosto 1943, e li conducevano a Nozzano, dove aveva sede il quartier generale della divisione. Quelli giudicati inabili al lavoro, 69, erano stati fucilati; gli altri nei giorni seguenti erano stati avviati a Lucca, che per tutta l’estate, ino all’evacuazione della città, era stata luogo di raccolta per i lavoratori forzati della regione.147 Qualche giorno dopo sarebbe toccato a Sant’Anna di Stazzema e Valdicastello, paesini arroccati sulle colline dell’alta Versilia in una zona a forte presenza partigiana. La principale operazione era, infatti, stata preceduta da una serie di puntate repressive antipartigiane di «boniica». Il 12 agosto quattro compagnie del II battaglione del 35° reggimento della 16ª divisione SS salivano verso Sant’Anna; nel corso della giornata diversi eccidi venivano compiuti nelle diverse frazioni dislocate lungo la salita. In seguito i reparti si sarebbero diretti, attraverso tre diversi sentieri, verso Valdicastello, uccidendo chiunque incontrassero lungo la strada. Lì avrebbero catturato circa 300 uomini in età da lavoro, che sarebbero poi stati divisi per gruppi: una parte sarebbe stata portata verso il centro di raccolta della Pia Casa di Lucca e quindi trasferito al lavoro forzato in Germania; un’altra parte condotta a Nozzano, alla sede di comando della divisione, e dopo qualche giorno, avviata in parte alla Pia Casa, inine un ultimo gruppo, ancora trattenuto in ostaggio, sarebbe stato ucciso barbaramente nella successiva strage di Bardine San Terenzo del 19 agosto, a irma della stessa divi619 sione.148 Appare ragionevole pensare che il primo contingente immediatamente giunto a Lucca sia stato utilizzato come manodopera coatta, mentre almeno alcuni di coloro che furono trasferiti in seguito nel centro di raccolta lucchese abbiano poi preso la via dei KL.149 Tra il 20 e il 21 agosto nell’area di Badia Prataglia e il Passo dei Mandrioli, a cavallo delle province di Arezzo e Forlì, l’operazione Maskenball condotta dalla 44ª divisione granatieri corazzati Hoch- und Deutschmeister e dal reparto 182 della contraerea pesante, sotto il comando del LI corpo d’armata da montagna, portava a 15 morti e a 309 civili arrestati.150 A ine mese la 16ª divisione Waffen SS prendeva parte a un’altra operazione nella Valle del Lucido e nell’area del Monte Sagro dall’esito analogo a quella condotta in Versilia; questa volta erano schierati 1.500-2.000 uomini complessivamente, appartenenti al reparto esplorante, comandato dal capitano Walter Reder,151 alla 3ª e 4ª batteria della Flak divisionale (SS-Flak Abteilung 16), all’SS-Feld-Ersatz-Bataillon 16, alla compagnia di scorta allo stato maggiore della divisione, ad aliquote dell’Hoch-Gebirgsjäger-Bataillon, a un battaglione del 40° reggimento cacciatori, insieme a elementi della Brigata Nera Apuana. L’area da rastrellare comprendeva Colonnata, il Monte Uccelliera e il Monte Sagro. La mattina del 24 agosto lo schieramento percorse la strada che lungo il torrente Lucido sale verso Vinca (frazione di Fivizzano), chiuse la zona e cominciò la «caccia all’uomo». La maggior parte dei maschi adulti si era già rifugiata nei boschi, però, e a cadere vittima del rastrellamento furono soprattutto donne, bambini e vecchi, per un totale di 137 morti. Due giorni dopo, il 26, il bollettino della 14ª armata parlava di «1.480 banditi, iancheggiatori delle bande e sospetti catturati», saliti due giorni dopo a 1.635, tutti inviati al campo di Lucca per essere trasferiti in Germania come manodopera coatta (Arbeitseinsatz).152 Nell’ultima fase di «“ritirata aggressiva” [...] e di “desertiicazione”»153 della zona antistante la Linea Verde, alla ripresa a ine agosto dell’avanzata alleata, si svolgevano inine nella Lucchesia, sulle Apuane e nella Versilia gli ultimi rastrella620 menti, tra cui quello dell’1 e del 2 settembre contro la Certosa di Farneta, dove i monaci avevano dato ricetto a parecchi civili, tra cui ex fascisti, ricercati come il medico neuropsichiatra Guglielmo Lippi Francescani e partigiani. Ad agire sarebbe stata ancora una volta la 16ª divisione dell Waffen SS. Forse informato da fascisti della presenza di persone «sospette» alla Certosa,154 il comando della divisione considerava il luogo come un centro di appoggio e spionaggio a favore dei partigiani, di cui i monaci erano considerati complici. La sera del 1° settembre uomini della 16ª divisione, probabilmente della Feldgendarmerie, facevano irruzione e catturavano tutte le persone presenti, compresi i religiosi. Caricatele su un camion, le portavano attraverso tre viaggi a Nocchi (frazione di Camaiore), dal 29 agosto nuova sede del comando divisionale. Nei giorni successivi tutta la zona intorno alla Certosa e a Pieve di Camaiore andava incontro a rastrellamenti, in un contesto militare segnato, pochi chilometri a sud, dalla liberazione di Pisa, a cui sarebbe seguita di lì a poco quella di Lucca. Il comando della divisione avrebbe, comunque, continuato a riempirsi di nuovi prigionieri, che si aggiungevano a quelli della Certosa. A un interrogatorio violento a Nocchi, dove si ricorda la presenza alla sorveglianza anche di uomini della Brigata Nera, sarebbe seguita una prima selezione: 29 persone, tra cui 21 della Certosa, sarebbero state condotte a Pioppeti di Camaiore per esservi uccise e poi impiccate col ilo spinato. Il 6 settembre un altro centinaio era portato al Sammel-Lager di Carrara, nuova sede di raccolta dei lavoratori coatti dopo lo sgombero di Lucca, e in seguito trasferito al campo di Fossoli, passato nell’agosto dalla sfera di competenza dell’apparato SS e di polizia in Italia a quella della rappresentanza del GBA Sauckel nel territorio della RSI. Da Carpi un convoglio apposito li avrebbe portati in Germania passando per Verona, Bolzano e Monaco di Baviera, dove il gruppo, tra cui dieci certosini, sarebbe arrivato a circa metà ottobre. Secondo diverse testimonianze, essi furono sparsi in diverse installazioni produttive, tra cui l’insediamento di Kahla, in Turingia, 621 dove in più fabbriche sotterranee venivano costruiti aerei da combattimento, tra cui il caccia a reazione Messerschmitt Me 262.155 Inine un terzo gruppo di circa 20 uomini tra quelli detenuti a Nocchi era stato condotto al carcere Malaspina di Massa; essi avrebbero seguito la sorte degli altri carcerati colà detenuti, venendo uccisi il 10 settembre dai tedeschi nell’imminenza dell’evacuazione della città, intrapresa cinque giorni dopo. Verso la ine di settembre il trasferimento della divisione «Reichsführer» in Emilia attraverso l’Appennino pistoiese fu accompagnato da altre azioni antiguerriglia e scontri con le formazioni partigiane della zona; il 15 settembre, a due chilometri a ovest da Massa Carrara, la 16ª Waffen SS catturava 11 partigiani e 200 civili circa, sospettati di appartenere alle bande; dieci giorni dopo circa, il 27 settembre, dopo la morte di due tedeschi e il ferimento di un altro vicino a Pianosinatico, il suo comando disponeva una rappresaglia che aveva come esito la fucilazione di 11 uomini, la «boniica» del territorio circostante, la distruzione delle abitazioni e il prelievo di molti abitanti.156 L’Emilia-Romagna Per quanto riguarda le operazioni antipartigiane la regione riveste un ruolo di cerniera tra centro e settentrione, venendo toccata sia dai cicli operativi e dagli spostamenti coatti di popolazione che, a partire dall’estate del 1944, interessarono l’Appennino tosco-emiliano, sia dai grandi rastrellamenti che tra l’autunno 1944 e il gennaio 1945 avrebbero puntato a rimettere in mani tedesche e salodiane il pieno controllo della Pianura Padana.157 Nei primi mesi dell’occupazione piccole unità tedesche SS e di polizia, della Gendarmerie e della GNR avevano compiuto puntate offensive in alcune aree chiave dell’Appennino, dove a essere arrestati sarebbero stati presunti «iancheggiatori», accusati di sostegno alle «bande».158 Il 16 622 novembre 1943 un gruppo di combattimento tedesco forte di 400 uomini aveva circondato Pieve di Rivoschio (frazione di Sarsina, nel Forlivese) dove aveva le proprie basi una formazione partigiana che già aveva realizzato alcune azioni militari e i cui membri, però, sarebbero riusciti ad allontanarsi. Il paese venne tuttavia dato alle iamme, i maschi adulti sottoposti a interrogatorio, e il parroco, don Pietro Paternò, sarebbe stato deportato a Dachau con l’accusa di aver aiutato i «banditi».159 Il 20 gennaio 1944 una formazione mista italo-germanica, composta da una compagnia di artiglieri della Wehrmacht e da membri della LXXXII legione della GNR, raggiungeva la località di Ca’ Morelli, sulle pendici del Monte Alto, nella zona di Modigliana-Tredozio, dove operava la «banda» guidata da Sirio (più noto come Silvio) Corbari, in cui militavano anche alcuni slavi. Dopo uno scontro a fuoco, che causò tre morti tra i partigiani, alcuni dei sopravvissuti vennero catturati. Una settimana dopo una coda dell’azione portò all’arresto dei cinque membri della famiglia di Iris Versari, compagna di Corbari, nonché all’uccisione di due altri membri della formazione. Consegnati all’uficio della Sipo-SD di Bologna, i prigionieri sarebbero stati in parte (7 in tutto) fucilati il 5 aprile per rappresaglia, in parte (tra essi i componenti la famiglia Versari) trasferiti in Germania.160 A Sant’Agata Bolognese il giorno 5, dedicato alla patrona di Sant’Agata, i legionari della GNR operavano un rastrellamento inalizzato alla cattura dei partigiani della zona. L’operazione avrebbe portato all’arresto di una staffetta e di 11 giovani, tre dei quali inviati a Mirandola per essere trasferiti in Germania.161 Una secca svolta intervenne nel marzo 1944, quando venne dislocata sull’Appennino emiliano la divisione «Hermann Göring», reduce dal fronte meridionale e poi da quello di Anzio; in entrambi i casi era già stata responsabile di pesanti rastrellamenti nelle retrovie. Il 18 del mese il suo reparto esploratori, forte di circa 350 uomini e comandato dal capitano Christian von Loeben, intervenne nell’Alta Valle del Secchia 623 e del Dragone mettendo a ferro e fuoco i villaggi di Monchio, Susano e Costrignano (oggi frazioni di Palagano, all’epoca di Monteiorino) e uccidendo 136 persone, deiniti dai rastrellatori «partigiani camuffati da civili»; l’operazione era stata richiesta dalle Militärkommandanturen di Bologna e Parma e dall’uficio felsineo della Orpo in seguito all’intensiicarsi in zona dell’attività partigiana; le autorità germaniche ritenevano infatti che nell’area operasse un raggruppamento partigiano forte di 200 unità.162 Pochi giorni prima, il 12 marzo, nella stessa area del Monte Santa Giulia un gruppo operativo composto da 14 uomini della gendarmeria (Hauptmannschaften Emilien) e da 6 uomini del reparto comunicazioni radio della Luftwaffe (Luftnachrichten-Flugmelde-Funk-Abteilung Mittelitalien) aveva catturato 33 presunti «banditi».163 Nelle stesse giornate avvenivano alcune puntate della GNR nel territorio modenese della Valle del Secchia, che portavano all’arresto di civili inviati prima nelle carceri di Modena, poi alle carceri di San Giovanni in Monte di Bologna, quindi a Fossoli e a Mauthausen.164 Il 17 marzo, in risposta a un attentato alla casa del fascio, vennero fermate e arrestate 65 persone (fra cui 5 donne), tradotte nel carcere di San Giovanni in Monte e poi il 15 aprile al campo di Fossoli, dove sarebbero rimaste in parte ino a metà maggio, in parte ino a metà giugno 1944.165 In aprile un rastrellamento in grande stile si sarebbe abbattuto sul versante romagnolo del Monte Falterona. Ha scritto Vladimiro Flamigni: «Ancora non si conosce con precisione il numero delle vittime del rastrellamento di aprile. Secondo le fonti partigiane le brigate ne uscirono distrutte con centoventitré morti nei combattimenti e nelle fucilazioni, oltre a numerosi altri catturati e inviati nei campi di concentramento. Da un Promemoria dell’Uficio tedesco Spi (Servizio politico investigativo) della Gnr di Forlì datato 6 luglio 1944 risulta che furono inviati in Germania cinquantanove partigiani, uno venne messo a disposizione del Tribunale militare di Bologna, quattro furono ritirati dalle SS di Bologna, quattordici isicamente non idonei rimasero a disposizione della Gnr di Forlì».166 624 Nello stesso periodo nel parmense la Militärkommandantur 1008 pianiicava una serie di rastrellamenti antipartigiani con il contributo delle proprie unità di servizio (Alarmeinheiten), delle formazioni di controguerriglia dell’aeronautica (Jagdkommandos) e di compagnie della GNR e dell’esercito regolare salodiano: il 15 aprile venivano uccisi sul Monte Montagnana 7 partigiani e catturati altri 75, mentre il 22 sul Monte Rigollo venivano arrestati 55 «presunti» partigiani tra cui due ex prigionieri di guerra sudafricani.167 Come si è già detto, in aprile a Bologna si insediava il comando centrale SS e di polizia responsabile della lotta antipartigiana, l’SSPF-Oberitalien-Mitte; data la sua posizione geograica e la sua natura di polo centrale del sistema di comunicazione stradale e ferroviario dell’Italia centro-settentrionale, il capoluogo emiliano, collocato in quel periodo a pochi chilometri dalla sezione orientale della Linea Gotica, avrebbe assunto un ruolo chiave, sia come luogo di transito di tutti i trasporti che portavano oltre Brennero, a prescindere dalle loro destinazione puntuale, persone catturate nei rastrellamenti operati nell’Italia centrale, sia come perno delle azioni inalizzate al recupero di manodopera coatta nel suo circondario. Ha fatto notare Lutz Klinkhammer che «soltanto in agosto dalla provincia di Bologna furono rastrellati per l’impiego di manodopera 7.436 uomini e 139 donne»: di loro ben 5.600 sarebbero stati trasferiti nel Reich.168 Parimenti cruciale per il comando della Wehrmacht in Italia, con l’arretramento del fronte e l’assestamento successivo sul sistema difensivo La Spezia-Rimini, era garantirsi il pieno controllo dei passi appenninici. Non per caso Kesselring aveva disposto che la sicurezza dei lavori di fortiicazione fosse afidata a Karl-Heinz Bürger, già a capo di un Einsatzkommando attivo nelle operazioni di controguerriglia nelle vallate cuneesi all’inizio del 1944, e quindi in Umbria ino al maggio; ora Bürger era posto a capo del SS- und Polizeiführer West-Emilien, di base presso Casinalbo di Modena e competente per il controllo dei valichi appenninici e le statali 63 del Cerreto, 12 dell’Abetone e 64 del Porretta. 625 Tra la primavera e l’inizio dell’estate, la necessità da parte delle autorità militari d’occupazione di concentrare le truppe sulla linea del fronte, unita all’intensiicarsi dell’attività partigiana, aveva portato al formarsi di alcune «zone libere», cioè sottratte al controllo dei tedeschi e delle forze di Salò, sulle fasce montane della regione; tra le province di Modena e Reggio Emilia alla metà di giugno era stata posta sotto controllo partigiano un’area comprendente i comuni di Monteiorino, nella cui frazione di Farneta era situata un’importante centrale idroelettrica necessaria al rifornimento di energia della Linea Gotica, Frignano, Polinago, Frassinoro, Toano, Villa Minozzo e Ligonchio, tra la sponda destra dell’Alta valle del Secchia, nonché le valli del torrente Secchiello, Dolo e Dragone, inclusa la strada che da Sassuolo porta in Garfagnana, la via dei Giardini, e quella del Cerreto, ossia le principali linee di collegamento dalla Toscana nord-orientale verso la Pianura Padana.169 Nello stesso periodo le forze della Resistenza si erano assicurate la piena agibilità in Val Taro e Val Ceno, in provincia di Parma, e in Val Trebbia, Val Tidone e Val Nure, in provincia di Piacenza, zone tutte di valore strategico perché attraversate da importanti vie di comunicazione (la statale 62 della Cisa e la via Emilia). L’azione repressiva tedesca contro la presenza partigiana di queste zone si dispiegò attraverso il grande ciclo operativo Wallenstein, di cui si è già detto. Prima dell’inizio di questo ciclo erano state compiute, dal gruppo di intervento (Einsatzkommando) comandato da Bürger, alcune puntate all’interno delle «zone libere»; tra queste è da ricordare il rastrellamento compiuto a Piandelagotti, villaggio situato lungo la via dei Giardini, nell’area di Monteiorino, il 28 giugno, dove era stata catturata una trentina di uomini, poi avviata al campo di Fossoli. Pochi giorni dopo, il 4 luglio, probabilmente già all’interno del primo ciclo operativo Wallenstein, la 1ª e la 2ª compagnia dello stesso gruppo operativo attaccavano il villaggio di Sestola, occupato dai partigiani da metà giugno, rastrellando una ventina di uomini, una parte dei quali sarebbe stata trasferita, in seguito, in Germania.170 626 Il 25 agosto, dieci giorni dopo lo sbarco alleato in Provenza, iniziò l’offensiva dell’8ª armata britannica sul litorale adriatico e a metà settembre l’attacco veniva sferrato su tutta la Linea Gotica; il 21 settembre sarebbe stata liberata Rimini e la linea veniva valicata in diversi punti, tanto che il suo collasso era giudicato imminente; ciò rendeva particolarmente impellente, per la Wehrmacht, assumere il pieno controllo delle immediate retrovie, fossero esse i fondamentali valichi appenninici che si trovavano nelle province di Piacenza e Parma o il territorio bolognese, altrettanto importante per il suo ruolo sia di snodo delle comunicazioni, sia di area di concentrazione delle forze partigiane,171 la cui attività, nonostante i rastrellamenti dell’estate, era andata aumentando, tanto da dar vita a una seconda fase, autunnale, di «zone libere» collocate nei distretti modenese-reggiano e piacentino della Val Trebbia.172 Di un rastrellamento realizzato nella notte tra l’8 e il 9 settembre nel mese di settembre nella provincia di Forlì si ha notizia, per quanto imprecisa: «Un soldato tedesco e un contadino, in viaggio verso Forlì per prelevare la levatrice che doveva assistere a un parto, caddero in frazione San Tomé a causa di una fune tesa attraverso la strada; quattordici persone del luogo furono arrestate e tradotte nel carcere di Forlì per essere interrogate dai tedeschi. Constatata la loro estraneità al fatto, i tedeschi decisero di impiccare sei antifascisti detenuti nel carcere e rastrellarono duecento persone che vennero disposte lungo la strada di San Tomé per assistere all’impiccagione. I sei corpi rimasero esposti ino all’11 settembre. I giovani renitenti del luogo, catturati nel corso del rastrellamento, vennero inviati in campo di concentramento in Germania (sic!)».173 Tra il 29 settembre e il 5 ottobre, nel massiccio di Monte Sole, a sud del capoluogo il reparto esploratori della 16ª divisione Waffen SS, spostatasi ora in territorio emiliano, avrebbe portato a termine la grande «operazione di annientamento» il cui obiettivo era porre ine all’attività della Brigata partigiana «Stella Rossa», ma che sarebbe sfociata nell’uccisione di 770 persone appartenenti a oltre 30 centri abitati, tra cui Marzabot627 to, e nella cattura di un gran numero di maschi adulti destinati a essere inviati oltre Brennero come manodopera coatta.174 All’incirca nello stesso periodo veniva effettuato un rastrellamento nella zona di Caorso, in provincia di Piacenza, da un gruppo operativo formato da uomini della Brigata Nera, della GNR e, secondo le fonti, da SS (presumibilmente appartenenti a reparti SS e di polizia) che avrebbe portato all’uccisione di tre partigiani presso l’azienda agricola «La Baracca» e alla cattura di 60 operai, i quali, secondo la fonte, sarebbero poi stati trasferiti oltre Brennero.175 A ottobre Kesselring ordinava la prima «settimana di lotta alle bande», con cui dava mano libera ai comandi territoriali nell’esecuzione di rastrellamenti nelle zone dove era maggiore la presenza partigiana. In Emilia veniva pianiicato dalla 14ª armata un pesante ciclo repressivo a ridosso della Linea Verde; in tale contesto un ruolo di primo piano sarebbe stato svolto dal I corpo d’armata paracadutisti, stanziato a sud di Bologna. L’operazione, che doveva servire a liberare la zona dalla presenza della 63ª Brigata Garibaldi «Bolero»,176 avrebbe investito, dall’8 del mese, i comuni di San Giacomo di Martignano, Buonconvento, Anzola dell’Emilia, San Giovanni in Persiceto, Calderara di Reno, Corticella, Castelmaggiore, Sasso Marconi e Rasigli.177 Il 9 e il 14 ottobre si segnalava, rispettivamente a Sesto Imolese e Imola, l’arresto di 269 e 500 sospetti, parte dei quali sarebbero stati inviati all’uficio bolognese del GBA;178 il 17 successivo appartenenti alla 16ª divisione Waffen SS uccidevano 2 persone, catturavano 18 sospettati partigiani e 119 civili da inviare al lavoro obbligatorio;179 il 20 e 21 ottobre miitari appartenenti al LI corpo d’armata da montagna rastrellavano Castenaso e Abbazia presso Budrio, uccidendo 10 persone e arrestando 193 civili, 8 dei quali fucilati e il resto trasferito oltre Brennero.180 Nello stesso arco di tempo pesanti rastrellamenti avrebbero investito anche il Piacentino e il Parmense. L’operazione Milano, organizzata dallo stato maggiore del Corpo d’armata misto italogermanico «Lombardia» e a cui avrebbero preso parte tre compagnie della divisione «Monterosa», armati della Flak te628 desca e membri della sede decentrata di Genova della Sipo-SD, avrebbe investito tra l’8 e il 12 ottobre l’area comprendente i monti Antola e Caucaso, il comune montano di Torriglia, e la Val Trebbia, tra le province di Piacenza, Genova e Pavia,181 uno spazio cruciale perché collocato lungo la direttrice di collegamento che da Genova conduce ad Alessandria, Pavia, Piacenza e Parma, e perciò guardato da tempo con attenzione dai comandi tedeschi. Di lì a poco, il 17, unità appartenenti al XIV corpo d’armata corazzato (inserito nella 14ª armata) rastrellavano la frazione di Bosco del comune di Corniglio, in provincia di Parma, uccidendo 11 persone e catturandone 20. Il mese seguente, in un’area più vasta dell’Appennino orientale parmense, comprendente tuttavia anche il comune montano appena citato, si sarebbe sviluppata dal 19 al 24 novembre l’operazione Regenwetter: «L’ultima decade di novembre truppe tedesche e fasciste, circa 2.000 uomini in tutto, invasero la parte orientale dell’Appennino parmense; l’azione, denominata “Regenwetter”, attraversò i comuni di Corniglio, Monchio delle Corti e passò al setaccio i pendii del monte Caio dove si erano insediate diverse formazioni partigiane. Molte le perdite partigiane e numerosi gli arrestati, destinati alla deportazione [in KL]».182 Ad agire diverse unità della Wehrmacht, ivi compresi uomini del II battaglione del 147º reggimento di fanteria, composto da russi ex prigionieri di guerra arruolatisi successivamente nelle forze armate del Reich; le fonti militari germaniche danno conto di 67 morti e 42 prigionieri tra partigiani o presunti tali.183 Almeno ino al gennaio 1945 il Parmense, il Piacentino, il Reggiano, il Modenese e il Bolognese avrebbero continuato a essere investiti, a causa del loro valore strategico, da rastrellamenti in larghissima parte pianiicati dai comandi del LI corpo d’armata da montagna e del corpo d’armata Lombardia; alla loro realizzazione pratica avrebbero collaborato unità italiane della GNR (di Parma), delle BN (la Brigata Nera di Parma e la XXXIII Brigata «Tullio Bertoni») e delle forze armate della RSI (della divisione «Monterosa»). 629 Tra il 27 novembre e il 2 dicembre Kesselring indiceva una seconda «settimana di lotta alle bande» che portava a un vasto rastrellamento nelle province di Reggio Emilia e Modena, colpendo in particolare i comuni di Correggio, Carpi e San Martino, e provocando in entrambe le province numerose morti (rispettivamente 33 e 61 sono quelle riportati dalle fonti tedesche) e catture (108 e 335).184 A metà dicembre una nuova offensiva avrebbe colpito nel Persicetano tra Anzola Emilia, Amola e Calderara, con l’obiettivo di mettere deinitivamente fuori combattimento la 63ª Brigata Garibaldi «Bolero», che era riuscita a sopravvivere al rastrellamento di ottobre, e di neutralizzare gli uomini della VII Gap nascosti in pianura: «Conseguenze particolarmente drammatiche ebbe il vasto rastrellamento che nei primi giorni del dicembre 1944 investì la pianura a nord-ovest di Bologna, fra Anzola Emilia, Amola, San Giovanni in Persiceto e Calderara; tra il 5 e il 20 dicembre 1944 il registro del carcere di San Giovanni in Monte annotò complessivamente più di 300 immatricolazioni, di cui quasi 200 solo fra il 5 e il 9 dicembre, in massima parte provenienti dagli arresti effettuati in quelle località. Decisivo anche in questo caso il contributo di un giovane iniltrato dalla Sipo-SD e di due disertori tedeschi che avevano trovato protezione fra i partigiani; le loro testimonianze e i loro riconoscimenti consentirono ai rastrellatori di individuare a colpo sicuro molti membri del distaccamento “Tarzan” della 7ª GAP, nell’Anzolese, e della rete sappista della brigata “Bolero”, nel Persicetano.185 I rastrellati furono diverse centinaia; vennero inizialmente avviati in alcuni luoghi di raccolta intermedi, come il teatro di Sant’Agata per essere messi a confronto uno ad uno con i delatori ed essere selezionati, e in seguito trasportati a Bologna dove in parte transiteranno nelle celle dell’AK, in via Santa Chiara, prima di entrare a San Giovanni in Monte. Il carcere tornò ad essere, nel giro di qualche giorno, affollatissimo, ma i tedeschi non persero tempo. L’attesa degli arrestati fu breve, una settimana, due al massimo, mentre gli interrogatori continuavano e producevano ulteriori arresti; poi arrivavano le esecuzioni o le deportazioni. Dei 145 arrestati che sui registri del carcere possono essere individuati come catturati nel corso del grande rastrellamento iniziato il 5 dicembre o in quelli compiuti nella stessa zona nei giorni successivi, almeno 42 furono fucilati e 58 gli inviati a Bolzano, 49 dei quali 630 sarebbero poi stati fatti proseguire per Mauthausen, da cui sarebbero tornati solo in 14. La volontà di annientamento del nemico partigiano inalmente messo all’angolo [...] richiese però questa volta una organizzazione più complessa, visto anche il numero dei possibili “candidati alla morte”; il poligono di tiro [...] è ritenuto inadatto al compito, per il quale si cercò un luogo facilmente raggiungibile, che garantisse segretezza e sicurezza durante l’esecuzione e consentisse di celare facilmente ed eficacemente molti corpi, e a più riprese. [...] Il sito adatto fu individuato a Sabbiuno di Paderno, nella zona dei calanchi sulle colline a sud di Bologna. Nei pressi vi era una casa colonica, in quel momento sicuramente disabitata, che poteva fungere come luogo di appoggio o di provvisoria reclusione dei condannati in attesa del loro turno di esecuzione, dopo la quale i corpi vennero fatti rotolare giù dal calanco, in quel punto particolarmente alto e verticale, che diventò fossa comune naturale ino al ritrovamento dei resti mortali, nell’agosto 1945.186 I registri di San Giovanni in Monte documentano l’uscita del primo gruppo il 14 dicembre 1944: quel giorno sono 37 i detenuti, dimessi per ordine del “Comando tedesco SS” ed afidati ad un “Uficiale tedesco SS”. Come di norma per ogni detenuto in uscita, anche a loro venne chiesto di apporre una irma sul registro-matricola: sarebbe stata la loro ultima, ed anche l’ultima concreta traccia della loro esistenza in vita. Fra i detenuti prelevati quel giorno molti provenivano dai primi contingenti di gappisti e sappisti arrestati nel Persicetano e nell’Anzolese fra il 5 e il 9 dicembre (fra i tanti, i nomi di due famosi, irriducibili, combattenti della 7ª GAP: “Tempesta” e “Terremoto”), ma vi era anche una dozzina di partigiani di provenienze varie, incarcerati durante la seconda metà di novembre. Il 23 dicembre l’operazione fu ripetuta con l’uccisione di altri 21 detenuti, anch’essi per la maggior parte presi negli stessi rastrellamenti ed entrati in carcere dal 9 dicembre in avanti. Cambiò in questo caso la registrazione in uscita, che vorrebbe più esplicitamente camuffare l’eccidio con un trasferimento al nord, risultando ognuno in uscita per ordine del comando tedesco “per essere trasferito altrove”. [...] Il giorno precedente, 22 dicembre, 100 detenuti, fra cui nove donne, erano stati registrati in uscita con la stessa annotazione di trasferimento “altrove”, nel trasporto che li porterà ino a Bolzano. Anche in questo caso il gruppo più consistente era composto dai sappisti e gappisti rastrellati ad Amola-Anzola-S. Giovanni in Persiceto, quasi 60, fra cui 7 delle 9 donne; vi erano poi otto uomini e una donna provenienti da arresti compiuti nell’imolese tra il 25 e il 27 novembre 1944. Essi erano stati detenuti alcuni giorni nel carcere 631 della Rocca sforzesca, poi trasferiti a San Giovanni in Monte il 2 dicembre; si trattava di Virginia Manaresi, Sante Noferini, Augusto e Franco Dall’Osso, Vittoriano Zaccherini, Antonio Morini, Walter Tampieri, Vero Vannini.187 Un altro gruppo era composto da partigiani arrestati nel corso dei rastrellamenti che verso il 20 novembre avevano investito la pianura attorno a Budrio, Castenaso e Ozzano Emilia, dove operava la 4ª brigata Garibaldi “Venturoli”; erano Erminia Natali, Ernesto Gamberini, Luciano Stazzari, Luigi Callegari, Marino Bertolini e Antonio Giusti.188 Inoltre vi erano i partigiani bolognesi: Calisto Castellari, Dante Monari e Eros Marri, gappisti; Antenore Piva e Fioravante Cacciari, presi nel rastrellamento cittadino del 14 novembre e sfuggiti alle successive fucilazioni del 18; Giovanni Oddi, Guido Persechini, Giovanni Esposito, Virginio Franceschini, Ettore Fini, Francesco Vespa.189 Bolognesi anche Inri Lozzi e Bruno Tura,190 catturati proprio nei pressi dei calanchi dove stava avendo luogo l’eccidio di Sabbiuno mentre cercavano di raggiungere la linea del fronte. [...] Nulla è dato sapere invece dei 6 cittadini sovietici dati in uscita dal carcere nella stessa data insieme ai detenuti bolognesi. Come racconteranno in seguito alcuni sopravvissuti, il viaggio ebbe inizio alla sera del 22, per evitare attacchi aerei, ristretti su soli sei camion; il convoglio fece tappa verso le cinque del mattino nei pressi di Pegognaga, dove i detenuti scesero nel cortile di una scuola per rimanervi in attesa tutto il giorno, e riprendere il percorso solo la sera, traghettando a Ostiglia, e raggiungendo Bolzano la mattina del 24 dicembre.191 [...] Le donne sarebbero rimaste a Bolzano per tutto il periodo, impiegate in varie mansioni lavorative all’esterno, mentre quasi tutti gli 84 uomini, dopo una breve attesa inoperosa, furono trasferiti in massa a Mauthausen, con il trasporto partito l’8 gennaio 1945, che comprendeva complessivamente 483 prigionieri. [...] Del contingente giunto il 24 dicembre da Bologna solo Bruno Tura attenderà ancora a Bolzano prima di partire per il KL nei pressi di Linz con il successivo trasporto che il 1º di febbraio vi avrebbe condotto altri 543 detenuti».192 In gennaio un’ultima grande ondata di rastrellamenti avrebbe colpito, pressoché contemporaneamente, le province di Modena e Reggio Emilia (operazione Wettersturz, 6-19 gennaio) e di Parma e Piacenza (operazione Totila, 6-15 gennaio);193 «[...] l’“Operazione Totila”, che aveva di mira il controllo della vasta zona attorno a Bardi, fece molte vittime anche tra i partigiani locali [del Piacentino]: gli studi più recenti ci forniscono le cifre di 632 118 caduti e di 26 uomini, in gran parte “ribelli”, avviati nel DuLag di Bolzano per essere poi smistati nei KL oltre Brennero».194 «[...] l’operazione “Totila” [era] indicata nei documenti tedeschi come una “grande operazione di rastrellamento”, tesa a colpire e inliggere il più alto numero di perdite (uccisi e deportati) alle brigate partigiane insediate nelle valli che si trovavano a cavallo tra le province di Parma e di Piacenza e in quelle che si sviluppavano oltre il crinale appenninico in Liguria e nel pontremolese. Eseguendo un ordine dello stato maggiore della 14ª armata (Armeeoberkommando 14), a cui spettava dirigere la lotta contro le bande nel settore occidentale del fronte195 e con “con grande impiego di uomini”, la 162ª divisione di fanteria (nota come “Turk”),196 afiancata da reparti da montagna tedeschi e fascisti, questi ultimi appartenenti alle divisioni “Italia” e “San Marco”197 attaccarono le formazioni partigiane ai primi di gennaio. Obiettivo dell’azione eliminare i “raggruppamenti di bande che, grazie all’eficacia delle loro imprese, non sono state ancora catturate”. Il piano d’attacco preparato dal comando della 14ª armata prevedeva che “tutti i complici delle bande e tutte le persone sospette di sesso maschile devono essere fatte uscire dalla zona liberata militarmente” e avviate verso i campi di concentramento nell’Europa sotto il controllo del Reich [...]. Si era senza dubbio trattato del rastrellamento più pesante che le formazioni partigiane dovettero sopportare in quella regione dell’Appennino. Fucilazioni, congelamenti e deportazione si impossessarono per diverse settimane di quei monti e di quelle valli; il 66% del totale dei deportati dal Parmense di cui sia nota la data di cattura venne inviato in KL tra il dicembre 1944 e il gennaio 1945. Buona parte di essi appartenevano alle brigate partigiane che operavano nelle valli del Ceno e del Taro: le brigate 31ª Garibaldi “Copelli”, 31ª Garibaldi “Forni”, 1ª Julia e 12ª Garibaldi “Ognibene”, mentre una parte consistente (il 38%) vennero registrati nella documentazione del dopoguerra come appartenenti ai “comandi SAP”, ai servizi informazione militare e ai vari CLN territoriali. Antifascisti che avevano avuto un ruolo attivo nella lotta contro il nazifascismo, con modalità e forme diverse ma senza aver necessariamente preso parte direttamente ad azioni armate o essere inquadrati nelle brigate partigiane. Le conseguenze dell’operazione “Totila” sulle formazioni partigiane furono pesantissime: almeno 77 partigiani uccisi198 nel solo territorio parmense e l’ennesima ondata di arrestati condotti in pianura, mentre dal Piacentino “rilevante risulta il numero dei prigionieri, in maggioranza civili: documentabili i nominativi di 1.222 persone, 385 rastrellati a dicembre e 837 a gennaio”.»199 633 Il Settentrione: Pianura Padana e arco alpino Il quadro delle operazioni in quest’area è strettamente correlato da un lato con la presenza e l’attività partigiane, dall’altro con il quadro strategico generale. Quest’ultimo era deinito prima di tutto dall’andamento delle operazioni militari, inizialmente sul solo fronte meridionale e poi, dal 6 giugno 1944, anche sul nuovo fronte francese originatosi con lo sbarco in Normandia e il successivo stabilirsi di una seconda direttrice di penetrazione alleata in Provenza, il 15 agosto; in secondo luogo dalle connesse necessità di mantenere il controllo delle linee di comunicazione e di zone dal particolare signiicato strategico come i valichi alpini di conine, la costa ligure contigua alla Francia e l’Oltrepò Pavese, all’incrocio di alcuni assi viari fondamentali al collegamento del centro con il Nord Italia; in terzo luogo, inine, dalle previsioni che il cervello politico-militare del Terzo Reich e le sue articolazioni presenti in loco facevano sull’andamento delle operazioni, ovviamente a prescindere dalla correttezza o meno delle previsioni stesse che la realtà si sarebbe poi incaricata di confermare o smentire. La speciica incidenza sul territorio della macchina d’occupazione tedesca e dell’apparato statuale e militare salodiano, protrattasi per tutti i venti mesi che sarebbero intercorsi tra il settembre 1943 e l’aprile 1945, nonché il carattere repentino del collasso della Linea Gotica e della conseguente rapida ritirata tedesca in direzione del Brennero avrebbero parimenti contribuito a determinare le caratteristiche dei grandi cicli operativi di quest’area e delle conseguenti deportazioni in KL. Il Litorale Adriatico Come già ricordato in precedenza, una forte speciicità presenta la zona di operazioni Litorale Adriatico, nel cui territorio era nato ben il 30,09% dei deportati politici (7.092 su 23.567)200 e dove venne catturato il 23% di coloro dei quali 634 sia noto il luogo di arresto (1.960 su 8.521);201 le ragioni di ciò stanno sia nella particolare rilevanza attribuita dal comando della Wehrmacht alla zona, a un tempo cerniera con l’area danubiano-balcanica e antemurale del conine meridionale del Reich,202 sia nella presenza molto forte di un movimento partigiano già attivo, in particolare tra la popolazione slavofona, ben prima dell’8 settembre 1943. Non è un caso che la prima, ancorché minuscola, formazione partigiana di lingua italiana, sotto la denominazione di distaccamento Garibaldi, fosse sorta nel marzo 1943 nel Friuli orientale in seguito a contatti tra i militanti locali del Partito comunista e le formazioni del Fronte patriottico sloveno.203 Proprio per la necessità di fronteggiare una guerriglia partigiana che, già nel settembre 1943, controllava diverse porzioni del territorio nelle aree extraurbane, avrebbero avuto subito inizio, da parte tedesca, vaste operazioni di controguerriglia; tra il settembre e il novembre del 1943 sotto il comando del II corpo d’armata delle Waffen SS, si sarebbero svolti diversi rastrellamenti: nel Goriziano, nell’area di Fiume e dell’Istria, nella provincia di Lubiana (Wolkenbruch I-IV e Traufe) e nel Quarnaro (Insel), che avrebbero provocato un numero assai elevato di vittime e di prigionieri, nell’ordine delle migliaia.204 In termini generali, come ha scritto Silva Bon:205 «L’ordine di costituzione della Operationszone, irmato da Adolf Hitler il 10 settembre 1943, introdusse in tempi immediati disposizioni repressive, che aggregarono nelle ricadute della guerra totale in corso i nemici politici (espressione della resistenza italiana, slovena e croata) e i nemici “razziali”, la popolazione ebraica ancora residente nelle città e nei paesi del Litorale. Inoltre, allo sfruttamento economico del territorio (anche mediante la costituzione di società imprenditoriali preposte allo scopo, come la società “Adria”,206 e mediante la spoliazione dei beni ebraici)207 si aggiunse lo sfruttamento della manodopera, che convogliò migliaia di giovani nella Organizzazione Todt (OT),208 e ne condusse molti altri in campi di raccolta gestiti dal Generalbevollmächtigter für den Arbeitseinsatz [...]. A ciò si aggiunse la deportazione in senso proprio di politici nel sistema dei Konzentrationslager (KL) e di ebrei nel Konzentrationslager-Vernichtungslager (KL-VL) di 635 Auschwitz-Birkenau. Tra i sottocampi che accolsero deportati dall’OZAK è importante ricordare Mühldorf (dipendente dal KL di Dachau)209 che aveva ramiicazioni anche nelle località di Amping, Waldlager V e VI, Mittergars e Thalheim, dove sono inite alcune centinaia di deportati provenienti dal Litorale Adriatico. Lo sinimento e, per molti, l’annientamento isico passarono attraverso il lavoro forzato,210 inalizzato a mansioni diverse a seconda della dislocazione dei campi, delle priorità di utilizzazione della mano d’opera, della progettualità di realizzazione di impianti o strutture difensive nelle diverse località e a seconda dei bisogni primari, utili per la vittoria inale della grande Germania nel nuovo ordine europeo, come recitavano i testi della propaganda, o meglio per la sopravvivenza dello Stato nazionalsocialista nei mesi precedenti la disfatta. Naturalmente il meccanismo della deportazione poté essere organizzato solo avvalendosi di strumenti temporalmente precedenti, preparatori, solo da azioni coercitive e coattive quali rastrellamenti, rappresaglie, reazioni punitive;211 alla individuazione del nemico, non sempre schierato in campo aperto o/e immediatamente visibile, conducevano spesso le delazioni, prezzolate e non, nonché la collaborazione fascista, espressione dei militi della RSI e delle varie sezioni del PFR, e l’azione della SS italiana, operante a ianco e agli ordini della SS tedesca. La delazione fu un fenomeno ampiamente praticato, così a Trieste come altrove,212 ed era mossa non solo dalla paura nei confronti dei nazisti, ma anche dalla vendetta personale, da motivazioni psicologiche inconfessabili, dal desiderio di facile arricchimento, dall’odio ideologico. Fu un sistema praticato soprattutto contro gli ebrei,213 ma anche contro i partigiani».214 La controguerriglia nel Litorale Adriatico ha avuto, per certi versi, un andamento costante; salvo una tregua nel luglio del 1944, causata dalla necessità di concentrare lo sforzo militare nell’Italia centrale, a seguito della rottura della Linea Gustav e della conseguente avanzata delle truppe alleate lungo la penisola, sarebbe proseguita in maniera sostanzialmente continua ino all’aprile 1945, quando si svolsero le due grandi operazioni contro il IX Korpus partigiano sloveno (denominate Frühlingsanfang e Winterende), la prima intorno a Circhina; la seconda sull’Altopiano della Bainsizza, il vallone di Chiapovano e l’altopiano di Tarnova.215 Il primo grande rastrellamento ebbe inizio il 25 settembre 636 nell’area intorno a Gorizia e a est della città, per proseguire nella zona a nord di Fiume e nella penisola istriana dal 2 all’11 ottobre; la successiva operazione Wolkenbruch investì la Slovenia meridionale (dal 1941 provincia italiana di Lubiana) tra il 21 ottobre e il 10 novembre, mentre l’operazione Traufe investiva la zona a cavallo del conine italo-germanico di allora, tra il 4 e l’11 novembre;216 inoltre, dal 13 al 17 novembre, venivano passate al setaccio le isole di Lussino, Cherso, Krk, Asinello, Sansego, Unie, Prvic (operazione Insel). A prender parte alle azioni erano state la 71ª divisione di fanteria, la 44ª divisione di fanteria Hoch- und Deutschmeister, un reggimento di fanteria rinforzato della 24ª divisione corazzata, un reggimento di fanteria rinforzato della 1ª divisione Leibstandarte «Adolf Hitler» delle Waffen SS (LSSAH), la 162ª divisione di fanteria «Turk», diversi battaglioni di Gebirgsjäger (cacciatori da montagna), il 901° reggimento granatieri corazzati, l’SSKarstwehr-Bataillon, reparti della Orpo, squadre della SipoSD e altre unità minori. Prima che l’operazione prendesse avvio, e prima che il colonnello Scharenberg il 12 settembre assumesse il controllo della città, a Gorizia e dintorni si erano veriicati scontri tra partigiani e forze occupanti. A operare nella zona era la Brigata d’Assalto «Triestina», detta anche «Proletaria» perché costituita in gran parte da operai dei Cantieri Riuniti dell’Adriatico, di Monfalcone, trasferitasi dall’altopiano carsico a Gorizia con l’obiettivo di impedire le comunicazioni del nemico con Trieste e la Valle del Vipacco. I resoconti della cosiddetta «battaglia di Gorizia», durata nel complesso una quindicina di giorni e conclusasi proprio all’inizio del primo grande rastrellamento della zona, riportano combattimenti continui nei settori a sud e a sud-est di Gorizia, tra i villaggi di Marcottini, Doberdò, Savogna, ino al giorno 26, quando i tedeschi riuscirono a sfondare la linea di difesa partigiana e il comando partigiano sloveno ordinò il ripiegamento. Nei due giorni successivi, dal 27 al 29 settembre, i tedeschi devastarono e passarono al setaccio i villaggi della zona, catturando centinaia di civili e alcuni uomini della Proletaria.217 637 Secondo una relazione del 25 novembre, relativa a tutte le operazioni guidate dal II Panzer-Korps nella regione, il bilancio complessivo sarebbe stato di 9.186 morti e 12.355 prigionieri:218 rispettivamente 4.893 e 6.877 sono da ascrivere alla prima delle azioni poc’anzi ricordate; 3.032 e 2.187 alla Wolkenbruch; 509 e 777 alla Traufe,219 e inine 119 e 409 all’Insel.220 Il numero di prigionieri è, come si vede, molto elevato; sulla loro sorte successiva non si hanno notizie certe, ma se si tiene conto del totale, citato in precedenza, dei deportati politici dal Litorale Adriatico in tutti i venti mesi di occupazione, si comprende come solo una quota relativamente ridotta dei catturati dal settembre al novembre 1943 possa essere stata deportata in KL. Considerando che «il 90% delle persone catturate in Friuli Venezia Giulia e il 95% di quelle prese in Jugoslavia [fu] deportato a Dachau [...] [e che] è dall’Adriatisches Künstenland che parte il maggior numero di persone deportate a Dachau»,221 dato che coincide con la ricostruzione dei trasporti dovuta a Italo Tibaldi,222 secondo cui nel periodo 28 ottobre-17 dicembre 1943 partirono quattro trasporti da Trieste e uno da Pola, diretti quest’ultimo e tre dei precedenti al KL monacense, e uno soltanto, quello del 7 dicembre, ad Auschwitz,223 i quattro convogli diretti a Dachau vi fecero afluire complessivamente, stando alle stime di Tibaldi, 746 persone,224 cifra indubbiamente considerevole in sé, ma di due ordini di grandezza inferiore a quella degli arrestati durante le grandi operazioni antiguerriglia poco fa citate, tanto più se si considera che non necessariamente tutti gli immatricolati nel grande KL bavarese erano stati catturati nel corso dei rastrellamenti medesimi. Il 9 dicembre, in provincia di Lubiana, la guarnigione di guardia alla cittadina di Kočevje, nella Slovenia meridionale, veniva attaccata dai partigiani e costretta ad asserragliarsi nel castello della città; due giorni dopo, l’11 interveniva a sostegno un gruppo di combattimento agli ordini della centrale di polizia di Rösener e composto dal 314º reggimento rinforzato granatieri della 162ª divisione «Turk», dal 19° reggimento SS e di polizia della Orpo, con l’appoggio dei mezzi 638 corazzati del 13° corpo corazzato della polizia, e di uomini del 76° stormo della Luftwaffe. Lo scontro sarebbe terminato il 13 con 97 caduti e 40 prigionieri tra i partigiani e la popolazione civile.225 La settimana seguente, il 18-19 dicembre, una formazione tedesca non identiicata accerchiava presso Doberdò del Lago la casa nella quale si trovavano alcuni quadri della Brigata d’assalto «Proletaria», sopravvissuti alla «battaglia di Gorizia». Venivano catturati Ferdinando Marega,226 Argo Tabarin, Luigi Floreali, Romano Grillo, Mario Valcovich, Vito o Olivio Cergoli, condotti a Monfalcone, consegnati alla Sipo-SD e successivamente trasferiti al Coroneo di Trieste.227 Cergoli, Floreani, Grillo, Tambarin e Valcovich sarebbero stati immatricolati a Mauthausen il 30 gennaio 1944,228 in quello che risulta essere il primo trasporto da Trieste per il KL situato nel circondario di Linz.229 Marega invece, uno dei primi capi della Brigata d’assalto «Proletaria», sarebbe stato deportato ben quattro mesi dopo i compagni, giungendo a Dachau solo il 14 maggio seguente.230 Per la preparazione dell’azione sembrerebbe essere stato di fondamentale importanza il contributo dell’ex partigiano, divenuto spia dei tedeschi, Walter (o Valter) Gherlaschi detto Blecchi (o Blechi). Nei giorni successivi all’azione antipartigiana di Doberdò sarebbero continuate perlustrazioni e puntate offensive tra Ronchi dei Legionari e Monfalcone, portando a nuove catture e a successive deportazioni in KL;231 a Mauthausen inirono con sicurezza, nel trasporto ivi giunto il 30 gennaio 1944, a cui si è appena fatto riferimento, Carlo Buttignon, Leandro De Rosa, Lino Furlan, Roberto Pelos, Giuseppe Predolin, Luigi Quinto, Luciano Rechnitzer, Attilio Tesolini, nonché Camillo Donda, anch’egli tra i capi della Brigata d’assalto «Proletaria», e l’operaia Alida Miniussi, una delle poche donne a essere immatricolata nel KL presso Linz;232 di altri cinque, Duilio Bortolotto, Omero Gorlato, Illario Manià, Renato Manià, Luciano Tolloi, sappiamo con certezza che vennero caricati nel parallelo convoglio partito anch’esso il 28 del mese ma diretto a Dachau, dove sarebbero stati immatricolati due giorni dopo.233 639 Nel gennaio 1944 alcune azioni portavano a un numero elevato di arresti: il 25 venivano catturati in 651, mentre nei giorni immediatamente successivi un Einsatzkommando della centrale di polizia di Pola, probabilmente insieme a truppe della Wehrmacht, rastrellava il paese di Gaiano (15 km a nord di Pola), uccidendo 16 partigiani e prendendone 52 prigionieri.234 Il 2 febbraio l’attacco partigiano a una colonna mista italogermanica nei pressi di Comeno avrebbe inferto a occupanti e collaboratori fascisti pesanti perdite: tra le ile della Orpo si sarebbero contati 2 uficiali e 20 militi caduti, tra gli italiani 38 membri della 58ª Legione e un alpino del Reggimento Tagliamento; in rappresaglia la centrale Sipo-SD di Trieste, guidata al tempo da Ernst Weinmann, dispose il rastrellamento della zona carsica tra Gorizia e Trieste (operazione Ratte), che si sarebbe sviluppata tra il 15 e il 16 del mese prevedendo in particolare lo spostamento coatto della popolazione civile. Ad agire sarebbero stati l’SS-Karstwehr-Bataillon e il III battaglione del 15° reggimento Orpo, sotto la direzione di uficiali della Sipo-SD.235 Una decina di giorni dopo, sarebbe stata realizzato una seconda operazione (Biber) lungo la fascia costiera che collega Aurisina a Monfalcone, tramite reparti della Wehrmacht messi a disposizione del BdS Weinmann. Era prevista la cattura dei maschi in età da lavoro da inviare in Germania; ne sarebbero stati presi 672.236 Rastrellamenti con arresti di centinaia di civili si sarebbero susseguiti per tutto il mese di febbraio e marzo;237 particolarmente signiicativa per la zona di Gorizia e San Floriano, Casteldobra e Cormons la retata del 24 febbraio, tramite cui 412 maschi, dai 15 ai 45 anni, residenti nel comune goriziano di Mossa, vennero portati nel capoluogo, dove quadri della Sipo-SD li avrebbero interrogati trattenendone 31 in quanto ritenuti partigiani, e 147 come sospetti iancheggiatori.238 A marzo nel Pordenonese all’attività del Distaccamento Garibaldi «Tino Ferdiani», operante nella conca del Vajont al conine con il bellunese, si contrappose un’operazione di controguerriglia le cui caratteristiche ricordano quelle delle azioni Ratte e Biber; lo scenario è così ricostruito da Fabio Tafuro: 640 «In particolare verso la metà di marzo una compagnia del battaglione raggiunse Cimolais, in Valcellina, con l’intento di impedire un ammasso di bestiame ordinato dai Tedeschi e distruggere le liste di leva, tentando così di scongiurare la chiamata alle armi dei giovani del luogo. L’iniziativa ebbe anche un esito imprevisto poiché portò alla cattura di un generale nazista insieme a due suoi collaboratori ed al sequestro di un voluminoso incartamento. La fucilazione dei tre prigionieri, seguita al riiuto opposto dall’uficiale tedesco di addivenire ad uno scambio, suggerì ai comandi partigiani di allontanare l’intero battaglione dalla Val Mesazzo per portarlo nella provincia di Belluno. Nei giorni immediatamente successivi si scatenò la rappresaglia dei nazisti che giunti a Cimolais, ad Erto e a Casso, arrestarono 150 uomini, deportati poi in Germania [sic!];239 uccisero un civile; cannoneggiarono e bruciarono le abitazioni e le malghe di montagna; e, in Val Mesazzo appiccarono il fuoco alla postazione del “Ferdiani”. La pesante rappresaglia fu all’origine di un mutamento nei rapporti tra i partigiani e la popolazione, che, all’entusiastica accoglienza accordata sul principio, sostituì sentimenti di timore e difidenza».240 Tra il 29 e l’11 aprile si sarebbe svolta nell’Istria centrale una estesa azione antipartigiana; la guidò un Einsatzkommando della Sipo-SD ai cui ordini era stato posto l’SS-KarstwehrBataillon: secondo le fonti tedesche avrebbe provocato 317 caduti tra partigiani e civili, e 280 prigionieri;241 dall’8 al 24, il Goriziano sarebbe stato investito da una catena di rastrellamenti coordinati dal BdS triestino, in cui vennero impiegati reparti della 188ª divisione da montagna della riserva: si tratta delle operazioni Untersberg e Renate, sviluppate nella zona di Aidussina, Vipacco, Zolla, Montenero e Idria; Wendelstein (I-IV), avviata il 16 del mese da Tolmino a Santa Lucia lungo la valle del Baccia, poi proseguita, nella seconda fase e nella terza fase a Bruccova, Tribussa Inferiore, Santa Lucia, Chiapovano, Localizza di Canale (sul lato orientale dell’altopiano della Bainsizza), e inine, nella quarta e ultima fase, conclusasi il 24 ad Auzza (valle dell’Isonzo); Oberland nei pressi di Idria. Complessivamente le vittime sarebbero state 550, e altre 69 persone sarebbero cadute prigioniere.242 Senza alcuna soluzione di continuità, il 24 aprile avrebbe avuto inizio, questa volta per la regia diretta di Odilo 641 Globočnik, HSSPF del Litorale, la vasta azione antiguerriglia denominata Braunschweig I-III, che avrebbe colpito l’Istria settentrionale (Ciceria) coinvolgendo le località di Mune, Lanischie, Alpe Grande, Mattuglie, San Pietro del Carso, bacino della Piuca (o Pivka), Monte Maggiore, venti chilometri a ovest di Fiume; a esservi impegnati sono diverse unità della 278ª divisione di fanteria, il III battaglione del 15° reggimento SS e di Polizia (Orpo); il I battaglione del reggimento Bozen parimenti della Orpo; il gruppo d’intervento della Sipo-SD in forza presso il BdS di Trieste; il reparto antiguerriglia del BdS Italia (cioè dell’uficio veronese guidato da Wilhelm Harster); la compagnia di polizia con incarichi speciali «Alpi»; l’SSKarstwehr-Bataillon e 150 militi italiani. L’esito del rastrellamento, suddiviso in tre fasi, era stato, secondo le fonti militari tedesche, di circa 250 morti tra partigiani e civili, e 770 prigionieri appartenenti alle classi soggette agli obblighi di leva, a fronte di 11 caduti e 24 feriti tra le forze rastrellanti.243 Nella seconda metà di maggio il generale Ludwig Kübler, comandante militare del Litorale, avrebbe ordinato un rastrellamento nell’area collinare del Collio con l’obiettivo di eliminare le formazioni partigiane colà stanziate, i battaglioni garibaldini Mazzini e Mameli, e un distaccamento sloveno del Briški Beneški Odred (Comando territoriale del Collio e della Benecia), complessivamente una forza di circa 300 uomini, che rappresentavano una minaccia per le linee di comunicazione con la pianura friulana. Ne sarebbe scaturito lo scontro denominato «battaglia di Peternel», dal nome di uno dei villaggi coinvolti, conclusosi con lo sganciamento delle unità partigiane: il Mazzini sul Monte Corada, il Mameli sulla pianura friulana nelle campagne di Corno di Rosazzo e gli sloveni sul Monte Sabotino.244 Secondo fonti locali, al termine del combattimento le truppe tedesche avrebbero incendiato gli abitati di Slauce, Corsò, Nebola e Molinut, frazioni di Collio, arrestandone la popolazione e deportando alcuni dei suoi membri; nel trasporto giunto il 2 giugno 1944 al KL di Dachau c’erano effettivamente quattro persone originarie della zona, ma allo stato degli studi è impossibile sapere con 642 sicurezza se esse siano state catturate nelle circostanze qui narrate.245 Con lo stesso convoglio, sarebbero giunti a Dachau anche Basilio Maieron, Sante Tassotti e Francesco Vespini, tutti e tre nati a Paluzza, in Carnia, dove i primi due furono con certezza arrestati; si può di conseguenza ipotizzare che la loro cattura sia avvenuta il 28 maggio durante un rastrellamento attuato dai tedeschi per rappresaglia.246 Tra il 5 e il 17 giugno, sotto il comando congiunto degli HSSPF del Litorale (Odilo Globočnik) e dell’Alpenland (Erwin Rösener; aveva sede a Salisburgo e gli era afidato stato il controllo del conine meridionale del Reich verso l’area balcanica), avrebbe avuto luogo una vasta operazione antiguerriglia (Annemarie) coinvolgendo sia parte della Slovenia annessa al Reich, sia l’OZAK nell’area tra Idria e Aidussina; inframmezzato da duri scontri con le forze della Resistenza, il rastrellamento si sarebbe concluso, secondo le fonti tedesche, con 108 caduti e 39 catturati tra partigiani e civili, a fronte di 3 morti e 23 feriti lamentati dagli attaccanti.247 Nel mese di luglio sarebbero state condotte in prevalenza piccole puntate di disturbo, caratterizzate comunque da uccisioni e catture; particolarmente signiicativa l’incursione effettuata il 19 del mese dal III battaglione del 15° reggimento Orpo a Pielungo, in val d’Arzino, dove veniva catturato il comando della brigata partigiana Osoppo. Come risultato dell’operazione, le fonti tedesche indicano 42 partigiani uccisi, 7 fatti prigionieri, e 76 «sospetti arrestati».248 Il 10 agosto 1944 nella zona tra Trieste e Fiume erano stati saccheggiati i villaggi di Trestenico, Racia, Dane, Raspor e Vodice da cui sarebbero stati prelevati centinaia di civili.249 Il 19-20 agosto veniva effettuata nella zona del Monte Nero a est di Caporetto l’operazione Isonzo, a cui partecipavano truppe della tedesca 188ª divisione da montagna della riserva e del salodiano reggimento alpini «Tagliamento». Sul numero di morti e feriti le fonti divergono.250 A settembre il borgo di Doberdò del Lago sarebbe stato ancora una volta preso di mira: assediato e rastrellato casa per casa, 60 anziani vennero arrestati e condotti a Gradisca 643 d’Isonzo, mentre 26 adulti «tra i più forti» sarebbero stati inviati in Germania;251 tra essi, comunque, almeno 9 inirono a Dachau con il trasporto partito da Trieste il 19 ottobre e arrivato a destinazione il 22 seguente. Si tratta di: Giuseppe Bonetta, Giuseppe Ferfoglia, Antonio Ferlentic, Andrea Frandolic, Ottone Jarz, Luigi Jelen, Mario e Rodolfo Laurencic, Federico Pahor, che risultano tutti catturati a Doberdò, molto probabilmente nel corso dell’operazione qui descritta.252 Come nelle altre regioni del Nord Italia, anche nel Litorale Adriatico l’autunno del 1944 avrebbe visto la messa in cantiere di azioni antipartigiane in grande stile allo scopo di recuperare il pieno controllo del territorio, allentatosi come abbiamo visto nelle aree maggiormente periferiche; a farne le spese sarebbero state le «zone libere» partigiane createsi nei mesi precedenti. La prima a essere attaccata sarebbe stata quella del Friuli orientale, collocata a nord di Udine, che a ine settembre, al massimo della sua estensione, comprendeva i comuni di Torreano, Cividale, Faedis, Attimis, Nimis, Lusevera, Taipana, tre frazioni di Povoletto, due di Tarcento, per un totale di circa 20.000 persone.253 A presidiarla erano la divisione Garibaldi «Natisone» e la Osoppo, unite da un comando unico dall’inizio di settembre. Dal 27 al 29 settembre 1944 (secondo altre fonti dal 26 al 30) la zona sarebbe stata investita, da Nimis a Cividale, dall’operazione Klagenfurt, organizzata e guidata, nuovamente, dalla centrale SS e di polizia di Trieste; a operare sul campo il III battaglione del 15° reggimento Orpo e formazioni cosacche collaborazioniste.254 L’offensiva si sviluppò su tre direttrici: da Tarcento per Oltretorre, da Povoletto per Faedis e da Caporetto-Bergogna per Platischis. L’attacco principale era partito il 27 settembre lungo il Torre e aveva investito la zona di Sedilis e Madonna delle Pianelle, portando già nella mattinata all’occupazione di Faedis. Quindi, il giorno seguente, i tedeschi attaccavano le unità osovane di Attimis, occupavano Nimis e mettevano in fuga un battaglione sloveno a Platischis. Giungendo notizia dell’avanzamento della colonna da quest’ultimo villaggio, il comando uniicato, per timore di incorrere in un accerchia644 mento, ordinava la ritirata. Il 29 i villaggi di Attimis, Faedis, Nimis e Sedilis venivano dati alle iamme e si procedeva ad arresti e trasferimenti coatti. Sulle perdite subite dalle forze della Resistenza le diverse fonti disponibili e le successive ricostruzioni danno però dati assai divergenti. Se si considera che tanto le fonti coeve quanto (e ancor di più) gli scritti, sia eruditi sia storiograici, successivi tendono in genere a fare un uso estremamente estensivo del termine «deportazione», senza distinguere tra deportazione in KL, invio al lavoro coatto oltre Brennero e pura e semplice ridislocazione in altri luoghi del territorio nazionale, si comprende come sia dificile fornire dati precisi senza ulteriori approfondimenti in loco; ciò nonostante, pur limitandosi a considerare gli arrestati nei quattro centri succitati, cuore del rastrellamento, che siano stati deportati al KL di Dachau tramite il trasporto partito da Trieste il 2 ottobre e giunto il 5 successivo, si arriva alla ragguardevole cifra di 78 persone (15 presi ad Attinis, 19 a Faedis, ben 42 a Nimis e 2 a Sedilis), in larga parte originari del territorio stesso.255 Un altro del gruppo dei catturati risulta essere stato immatricolato il 6 ottobre al KL di Buchenwald, allorché giunse un convoglio partito anch’esso da Trieste il 2 precedente.256 La stima che compare in diverse ricostruzioni di poco più di un centinaio di deportati in KL appare quindi sostanzialmente corretta.257 Il secondo grande ciclo operativo dell’autunno 1944 aveva investito la zona libera della Carnia e del Friuli, comprendente la Carnia propriamente detta, nel settore nord-occidentale della provincia di Udine, e a ine settembre una piccola striscia della provincia bellunese nei pressi di Sappada, insieme alle valli interne del Meduna, cioè la val Tramontina, dell’Arzino e del Cellina.258 A presidiare la zona erano anche qui formazioni garibaldine e osovane, nell’ottobre giunte all’accordo di un coordinamento unico.259 Un primo attacco era avvenuto all’inizio di settembre in Valcellina, in concomitanza con l’offensiva tedesca contro la divisione «Nino Nannetti» sull’Altopiano del Cansiglio, per impedire ai partigiani di trovare rifugio nelle zone libere della Carnia.260 Poi il 2 ottobre aveva 645 inizio l’offensiva nella cosiddetta Valle del Lago, nella zona tra Meduno e Bordano e lungo la valle del Tagliamento, con l’obiettivo di liberare le vie di comunicazione dalla presenza partigiana. A guidarla fu Ludolf Jakob von Alvensleben, comandante delle forze SS e di polizia a Udine, insieme al generale di corpo d’armata Timofej Ivanovič Domanov, uno degli uficiali di maggior rango presenti nell’insediamento militartribale dei cosacchi in Friuli.261 Presenti diversi reparti italiani: due compagnie del 5° reggimento della Milizia, due compagnie del battaglione volontari di polizia di Udine, elementi della Difesa territoriale (Landschutz) di Palmanova, uomini della questura e della pretura per un totale di 318 armati, posti al comando del colonnello Attilio De Lorenzi. L’attacco aveva interessato le località di Braulins, Trasaghis, Alesso, Avasinis, dove i partigiani furono costretti a ripiegare: il 4 ottobre veniva occupata Avasinis e il 5 Alesso. Il 6 successivo Bordano, Interneppo, Braulins, Trasaghis e Alesso furono evacuati dalla popolazione e occupati dai cosacchi e da civili della comunità caucasica. L’operazione aveva raggiunto il suo scopo, l’area veniva liberata dalla presenza partigiana. Negli stessi giorni, il 4 ottobre, il comando del 97° corpo d’armata realizzò, nella zona di Clana, Sussa, Zabice, Villa Podigraie ed Ermesburgo, l’operazione Ernst, servendosi di diverse unità militari, tra cui un battaglione della divisione «Brandenburg». Secondo la relazione conclusiva riportata nel diario di guerra della grande unità, a fronte di un morto, un disperso e quattro feriti nelle ile dei rastrellatori si sarebbero contati 76 caduti, 78 feriti e 50 prigionieri tra i partigiani.262 Dall’8 al 14 ottobre avrebbe avuto luogo la prima delle «settimane di lotta alle bande», disposta dall’Oberbefehlshaber Südwest Albert Kesselring proprio con riferimento all’area di Sappada, S. Stefano, Lorenzago, Ampezzo, Tolmezzo, Sutrio, Rigolato, cruciale per le comunicazioni tra il Litorale e la zona di operazioni Prealpi.263 Nel suo ambito vennero attuate le operazioni Grünewald-Max, svoltasi dall’8 al 15 nello spazio Tarnova, Loqua, Montenero, San Vito, San Giacomo, Rifembergo, Ranziano;264 Bergzauber-Morits, sviluppatasi dall’8 646 al 16 tra Postumia, Primano, Sappiane, Monte Nevoso, Stari Trg Pri Lozu;265 e, la più importante, Waldläufer I-III,266 il cui obiettivo era riprendere il controllo della strada statale 52 bis e del passo di Monte Croce Carnico, nella valle del But, per sgomberare le valli del Tagliamento e del Degano che, attraverso il Cadore, conducevano al passo della Mauria e al passo di Monte Santa Croce Comelico.267 A essere impegnati, dall’8 al 22 del mese, sarebbero stati il 10° reggimento della Orpo; la 5ª compagnia corazzata della polizia, rafforzata e dotata di carri armati di fabbricazione sovietica T 34; il gruppo di combattimento (Kampfgruppe) Lerch composto da 2 compagnie, e 1 plotone del genio del 10° reggimento Orpo; un’unità cinoila della SS, denominata «Russia Centrale»; truppe cosacche e i battaglioni «Valanga» e «Fulmine» della X Mas; si sarebbe poi aggiunto, dal 13, il Sicherungsregiment della Luftwaffe, protagonista di una penetrazione parallela in Valcellina. Attraverso duri combattimenti i rastrellatori sarebbero riusciti, il 22 ottobre, a riprendere il controllo della Carnia, lasciando però ancora in mano partigiana le Prealpi carniche, ossia le vallate dell’Arzino e del Tramontina. Proprio qui si sarebbe concentrata l’offensiva in coincidenza della seconda «settimana di lotta alle bande» (27 novembre-2 dicembre), a cui, sotto il comando dell’HSSPF triestino, avrebbero partecipato sostanzialmente gli stessi reparti impiegati nella fase precedente, con un’incertezza sui reparti salodiani, che non sono nominati dalle fonti tedesche, mentre compaiono in ricostruzioni successive di parte italiana. Le forze partigiane sarebbero sostanzialmente riuscite a sottrarsi all’accerchiamento, ma la zona passò sotto il controllo dei tedeschi. Anche in questo caso le informazioni su caduti e prigionieri nel corso dell’intera operazione antiguerriglia variano a seconda della fonte consultata: la documentazione tedesca è concorde sul numero di 165 prigionieri (vengono menzionati anche 4 britannici, non è chiaro se compresi nel numero), mentre la cifra sui caduti oscilla da 105 a 109, così come quella degli agenti di polizia tedeschi liberati va da 73 a 77. Solo una fonte ci parla, invece, di 262 persone, distinte dai prigionieri, 647 da inviare al lavoro coatto.268 Ricostruzioni di matrice resistenziale confermano come esito del rastrellamento il trasferimento oltre Brennero come lavoratori forzati o l’invio in KL, ma si tratta di notizie assai generiche.269 Dati maggiormente precisi sono disponibili per alcuni dei centri abitati coinvolti nell’azione antiguerriglia, pur senza che vengano esattamente precisati i luoghi inali di arrivo delle persone coinvolte, presumibilmente tuttavia installazioni dipendenti dal GBA: il 15 ottobre da Barcis vennero mandate in Germania 130 persone; il 16 altre 50 da Erto e Casso; a novembre unità fasciste e cosacche avrebbero arrestato, a Ovaro in Carnia, un certo numero di persone poi inviate nel Reich.270 Nei mesi successivi l’azione repressiva tedesca si sarebbe concentrata nella zona di attività del IX Korpus sloveno, nell’area della Bainsizza, la Selva di Tarnova, la Valle del Vipacco.271 Si ha notizia di arresti conclusisi con la deportazione in KL: il 3 novembre 1944 presso Pocenia, a sud di Udine, veniva catturato Carlo Dessì, «Simeone», e il giorno successivo a Santo Stefano di Santa Maria La Longa Eugenio Morra, «Ottavio», dirigenti della formazione Osoppo Territoriale, di pianura; il 12 gennaio 1945 entrambi sarebbero stati trasferiti a Flossenbürg.272 Qualche settimana dopo i loro arresti, alla ine di novembre, erano caduti in trappola numerosi componenti del comando e parecchi degli effettivi del battaglione autonomo «Alma Vivoda», formazione dipendente dalla Brigata Garibaldi «Triestina»,273 accerchiati tra Muggia, Capodistria, Isola, Pirano e Buie.274 Trasferiti prima a Capodistria e poi al carcere Coroneo di Trieste, parecchi di loro sarebbero stati, con ogni probabilità, deportati in KL.275 Le Prealpi Anche la zona della Prealpi doveva la sua costituzione a motivi di carattere strategico-militare, al fatto cioè di trovarsi ai conini meridionali del Reich e di occupare pertanto una posizione geograica cruciale di collegamento tra il territo648 rio italiano e quello tedesco, afidato ai passi del Brennero, del Resia e alla connessione ferroviaria di Prato della Drava/ Winnebach. è stato osservato276 che l’interesse strategico tedesco si accompagnava a un «disegno politico» che trovava la sua ragione nelle mire espansionistiche del Reich sul Nord Italia che, alla ine della guerra, prevedeva l’inclusione nei conini del Reich, oltre che del Sudtirolo, anche del Trentino, del Bellunese, e di parte del Veneto, disegno politico di cui il Gauleiter Hofer era la punta di diamante.277 Anche la politica repressiva deve pertanto essere inquadrata in questo duplice contesto, oltre che venir rapportata alle diversità di comportamento e di reazione delle popolazioni delle tre province che componevano la zona di operazioni, diversità che avevano strettamente a che fare con la loro composizione nazionale e le speciiche tradizioni linguistico-culturali e politiche.278 Alla prossimità linguistica e culturale della provincia di Bolzano al mondo germanico, sebbene non sia mancato neppure lì un movimento di opposizione al nazionalsocialismo,279 si sarebbero contrapposti sia lo storico irredentismo autonomista del Trentino,280 sia l’atteggiamento immediatamente ostile di parte della popolazione bellunese, duramente segnata dall’esperienza della Grande Guerra:281 «[Nel Bellunese] già nell’ottobre-novembre 1943, giovani soldati sfuggiti alla cattura dopo la proclamazione dell’armistizio [...], soldati inglesi, russi, slavi, fuggiti dai campi di prigionia dopo l’8 settembre, militari di leva [...] costretti [...] a nascondersi, antifascisti di vecchia e nuova generazione, soprattutto quelli tornati dall’esilio in Francia o dal carcere e dal conino, cominciarono a costituire piccoli gruppi di resistenza i cui obiettivi furono [...] i sabotaggi alle linee telegraiche e l’assalto alle caserme dei carabinieri o alle gendarmerie tedesche per procurarsi armi e per sottrarre le liste degli abili al servizio di guerra che a ottobre, rassicurati che non sarebbero stati deportati in Germania, erano tornati a casa, ma che, con l’ordinanza del 6 novembre 1943, rischiavano nuovamente di essere arruolati. Data l’esiguità delle loro forze, ma anche la scarsa conoscenza di quella dei gruppi di resistenza, che tra l’altro non riuscivano a localizzare con precisione, gli occupanti non ricorsero nei primi mesi a interventi pianiicati. Si operò qualche 649 arresto con l’aiuto di fascisti repubblicani e carabinieri, grazie alle spie o per avventura [...], e qualche azione di perlustrazione alla ricerca di prigionieri inglesi segnalati qua e là».282 Sono della primavera del 1944 i primi interventi nella zona condotti dalla Militärkommandantur 1010 di Bolzano sotto la regia del Befehlshaber der Operationszone Alpenvorland, il generale Joachim Witthöft, sulle vette Feltrine: un’operazione condotta sul Monte Cavallo, tra la provincia di Treviso, Udine e Belluno, tra il 31 marzo e il 1° aprile 1944, sotto il comando della Militärkommandantur, portava all’arresto di 150 prigionieri consegnati alla Sipo-SD; un rastrellamento compiuto il 12 aprile 1944 a ovest di Feltre da un gruppo di combattimento della Wehrmacht agli ordini di Witthöft aveva come esito 2 uccisioni e 22 catture; tra i prigionieri 3 russi.283 Nello stesso periodo nel Cadore, l’area del Bellunese al conine con la Carnia, a cui nell’estate alcuni comuni in effetti si sarebbero legati come ultima propaggine della «zona libera», 23 uomini di Sappada, che avevano disertato il bando di arruolamento del 18 aprile 1944, venivano arrestati in data imprecisata, condotti a Santo Stefano, lì rinchiusi nel cinema e quindi, secondo ricerche locali,284 avviati al campo di Bolzano, da cui, a quanto riporta la fonte ora citata, sarebbero deportati a Dachau; lo studio ricordato elenca ventun nomi, che avrebbero avuto tale sorte: Giuseppe Benedetti, Pietro Benedetti, Umberto Boccingher, Pietro Fauner, Gaetano Fontana, Giuseppe Fontana, Luigi Hoffer, Alberto Hoffer Piller, Innocente Hoffer Piller, Agostino Hoffer Piller, Giovanni Kratter, Antonio Pachner, Pietro Pachner, Agostino Piller, Giuseppe Piller, Taddeo Piller, Lodovico Soravia Puicher, Giovanni Quinz, Quirino Quinz, Angelo Sartor, Igino Tach. Il riscontro dell’elenco sia con la ricerca di Dario Venegoni sul DuLag di Bolzano,285 sia con il primo volume di questa collana286 ci fornisce però un quadro non poco diverso: a Bolzano risultano essere arrivati Giuseppe e Pietro Benedetti; Giuseppe Fontana; Giovanni Kratter; Antonio e Pietro Pachner; Agostino, Giuseppe e Taddeo Piller; Alberto e Innocente Piller Hoffer (questa la graia corretta del cognome 650 riportata dalle fonti coeve; gli Innocente Piller Hofer initi a Bolzano sono però due, nel volume di Venegoni identiicati dal patronimico ma comunque entrambi catturati a Sappada; impossibile dire chi di loro corrisponda all’arrestato citato nella letteratura locale), Giovanni e Quirino Quinz; Angelo Sartor; Igino Tach, 15 persone complessivamente. Vi è poi un Daniele Piller Hoffer, che risulta anch’egli preso a Sappada ma che non pare sovrapponibile a nessuno dei presenti nell’elenco su riportato. Non vi è traccia nel volume di Venegoni di Umberto Boccingher (compare però un Antonio Boccingher, compatibile in base ai dati disponibili), Pietro Fauner, Gaetano Fontana (c’è però un Gioacchino Fontana, anch’egli compatibile coi dati del rastrellamento), Luigi Hoffer, Agostino Piller Hoffer (è registrato però un Agostino Piller Roner, anch’egli compatibile), Ludovico Soravia Puicher. Del gruppo dei 21 poc’anzi richiamati, effettivamente giunti in KL risultano appena 4: Antonio Pachner, Alberto e Innocente Piller Hoffer (circa il secondo, permane anche qui l’incertezza di cui sopra circa la precisa identità),287 e Angelo Sartor; solo Pachner, Alberto Piller Hoffer e Sartor però vengono immatricolati a Dachau, Innocente Piller Hoffer è invece registrato a Flossenbürg. Dal canto suo, il succitato e apparentemente esterno all’elenco, Daniele Piller Hoffer fu invece immatricolato a Buchenwald. Di uno dei 15 presenti a Bolzano, Pietro Pachner, Venegoni registra l’avvenuta liberazione nel DuLag sudtirolese, quindi non egli non venne mai trasferito oltre Brennero. Per quanto riguarda gli altri 14, data la doppia funzione che Bolzano, e prima ancora Fossoli, si trovò a svolgere: DuLag per quanto riguardava i trasporti in KL, centro di raccolta di manodopera coatta per quel che ne concerneva il trasferimento nel circuito del GBA, può ben darsi che siano stati effettivamente inviati in Germania per esservi utilizzati però come lavoratori forzati. Non sono stati rinvenuti dati di alcun genere sui 6 non presenti né in Venegoni, né nel primo volume di questa collana, fatti salvi i possibili errori di trascrizione dei nominativi piú sopra elencati. 651 Una svolta radicale si sarebbe però registrata nell’estate, quando anche nella zona delle Prealpi si sarebbero avvertite le ripercussioni della quarta battaglia di Montecassino (maggio 1944) e della conseguente rottura dello schieramento tedesco, a quel punto in rapida ritirata verso nord. Mentre il grosso delle forze tedesche si dirigeva verso la Linea Gotica, riprendevano corpo i piani per la costruzione di una ridotta ai piedi delle Alpi a difesa di un’ultima, eventuale, «linea di difesa prealpina» (Voralpenstellung) della Wehrmacht, ipotizzati e accantonati nel settembre 1943.288 La linea, prevista di 400 chilometri di lunghezza, doveva svilupparsi dalla punta sud-orientale della Svizzera, passare per l’estremità settentrionale del lago di Garda, salire a nord di Trento, proseguire per le Alpi Giulie e raggiungere Gorizia, Tolmino e Monfalcone, snodandosi lungo le vecchie linee di difesa absburgiche della Prima guerra mondiale. La sua costruzione, inizialmente afidata ai commissari supremi delle zone di operazioni, nell’estate sarebbe stata sotto la responsabilità operativa dell’Organizzazione Todt (OT) e la supervisione militare del generale von Zangen, già responsabile della costruzione della Linea Gotica. I lavori per la linea di difesa prealpina avevano portato al reclutamento di un numero di lavoratori che varia tra gli 82.000 e i 100.000,289 non pochi dei quali prelevati nel corso dei rastrellamenti effettuati nell’Appennino tosco-emiliano tra la ine dell’estate e l’autunno del 1944.290 Nel Bellunese, rispettivamente a Feltre e a Belluno sarebbero stati trasferiti il II battaglione del reggimento Bozen e il II e il III battaglione del reggimento Alpenvorland, entrambi inquadrati nella Orpo;291 da ine giugno in avanti le fonti disponibili segnalano infatti un’incessante attività antiguerriglia, tra cui un rastrellamento nel Feltrino condotto da unità del Bozen il 1° agosto 1944.292 Appena venti giorni più tardi veniva compiuta un’operazione nella Valle del Biois,293 dove operava la Brigata Garibaldina Pisacane;294 due colonne di soldati tedeschi, precisamente la VI compagnia del II battaglione Bozen e il gruppo 652 di combattimento al comando di Alois Schintlholzer,295 composto da membri della Scuola d’addestramento da montagna della Waffen SS (Gebirgs-Kampfschule der SS), che aveva sede a Predazzo, e da una squadra operativa della Sipo-SD, appoggiate, secondo ricostruzioni locali, da due battaglioni della divisione corazzata della Luftwaffe «Hermann Göring»,296 investivano con una manovra a tenaglia i comuni di Gares, Tabiadon, Caviola, Feder e Fregona, una zona particolarmente importante dal punto di vista strategico in quanto collegamento tra le valli bellunesi e quelle trentine. Il rastrellamento si sarebbe concluso con diverse decine di vittime, tra partigiani e civili, numerosi prigionieri e l’incendio di alcuni centri abitati.297 In settembre, la pressione dell’esercito alleato sotto la Linea Verde induceva i comandi tedeschi a lanciare un grande attacco nelle aree alpine, volto a eliminare la presenza partigiana e a liberare le vie di comunicazione. Il 5 settembre si svolgeva l’operazione Hannover sull’Altopiano di Asiago, a cui seguivano tra il 7 e il 13 settembre il rastrellamento sull’Altopiano del Cansiglio sul Monte Cavallo tra le province di Udine, Treviso e Belluno dove operava la brigata Garibaldi «Nino Nannetti» e il 12-13 settembre l’operazione Pauke sui Monti Lessini. In questo contesto si colloca l’operazione Piave, svoltasi tra il 20 e il 28 settembre 1944 sul Massiccio del Grappa tra le province di Vicenza, Treviso e Belluno, da giugno, a causa della presenza partigiana, trasformatasi in una zona inavvicinabile per le forze tedesche.298 Diretta dalla centrale SS e di polizia bolzanina guidata da Karl Brunner, sarebbe stata condotta da un vasto schieramento di forze tedesche e salodiane tra cui il II battaglione del reggimento Orpo Bozen; reparti del reggimento Orpo Alpenvorland; le squadre della Sipo-SD di Rovereto e Roncegno con alla testa Herbert Andorfer; aliquote del CST trentino; la 4ª e la 5ª compagnia del battaglione Camilluccia del 63° battaglione «M» Tagliamento.299 Sempre per quanto riguarda il Bellunese resta traccia, nella testimonianza di Evelino Casanova Borca,300 deportato 653 a Flossenbürg, di un altro rastrellamento avvenuto alla ine di ottobre nel Cadore, su cui si rinvia alla ricostruzione di Adriana Lotto: «Il 22 ottobre a San Pietro, essendosi il parroco riiutato di scegliere e condurre in piazza 20 uomini da prendere come ostaggi per punire il paese dell’aiuto dato ai partigiani, vennero catturati pressoché tutti i maschi del paese, portati a Santo Stefano e lasciati in carcere tre settimane. Oltre cento di loro sarebbero stati poi trasferiti a Bolzano. Di questi una parte sarebbe inita nei KL del Reich. Il 26 ottobre, Evelino Casanova Borca, Elisio Casanova Municchia301 e Pietro Pradetto Bonvecchio302 furono strappati fuori dalle loro case a Costalta di Comelico, ammassati assieme ad altri 57 compaesani nella caserma “Piave” e condotti successivamente a Belluno. Dopo gli interrogatori di rito, alcuni vennero rilasciati, gli altri, 42 in tutto, portati a Bolzano.303 I tre citati, la cui età andava dai 17 anni di Evelino ai 24 di Pietro, sarebbero stati deportati, nella seconda settimana di gennaio, a Flossenbürg. Evelino verrà impiegato in vari Arbeitskommandos uno dei quali situato nei pressi di Berlino dove egli dovette lavorare a binari ferroviari ed altresì caricare camion imbarcati poi su chiatte che percorrevano l’Elba. Fu in seguito riportato al campo centrale di Flossenbürg, dove sarebbe stato liberato. Secondo la loro testimonianza, i tre giovani non avevano nulla a che fare con la Resistenza: spiegano pertanto la deportazione in Germania col fatto di non avere, come altri, appoggi che favorissero la loro liberazione e di costituire forza lavoro valida. In verità, sembra che il padre di Evelino avesse venduto del ieno a dei familiari di partigiani».304 Inine, nei primissimi giorni di gennaio 1945, nei comuni di Puos, Chies, Tambre e nelle loro frazioni sarebbero stati prelevati di notte 43 «giovani», sulla base di liste preparate in precedenza, condotti a Belluno e lì rinchiusi in parte nelle carceri, in parte nella caserma, per essere poi trasferiti a Bolzano,305 da dove quasi tutti sarebbero in seguito stati deportati in KL.306 Nel Trentino, il 23 maggio unità del CST e militi della Orpo (nella memoria locale sbrigativamente identiicati come «SS»), probabilmente risalenti da Predazzo e dalla Val di Cembra e forse avvisati da una spia, avevano rastrellato la Val 654 Cadino, una valle laterale della Val di Fiemme al conine con la Valsugana, dove operava la brigata «Cesare Battisti»;307 uccidendo in uno scontro a fuoco Luigi Corradini, vicecomandante di brigata, e arrestando Alberto Del Favero e Tullio Franch, mentre il resto della formazione era riuscito a sfuggire all’attacco e a rifugiarsi in una baita sulla cima dello Sciolé, da dove il giorno dopo si sarebbe spostato in territorio di Molina per poi sciogliersi. I suoi membri avrebbero quindi fatto ritorno alle proprie abitazioni. Il 25 maggio successivo, però, sarebbero stati arrestati il comandante dell’unità partigiana, Armando Bortolotti, proprio a Molina e il partigiano Gino March a Predaia; gli altri sette sfuggiti con loro al rastrellamento si sarebbero poi consegnati alla centrale di polizia di Cavalese nei giorni successivi, per timore di ritorsioni alle proprie famiglie e ingannati dal contenuto di un manifesto afisso in zona che prometteva il perdono a chi si fosse arreso. Sarebbero invece stati deferiti al Tribunale speciale per l’Alpenvorland di Bolzano e processati il 25 luglio.308 Tra il 9 e il 12 ottobre 1944 un rastrellamento colpiva un distaccamento del battaglione partigiano Gherlenda che in agosto si era portato nella valle trentina del Tesino, al conine col Bellunese;309 l’azione avrebbe avuto come esito la distruzione del distaccamento, la fucilazione di diversi partigiani, incendi di abitazioni, saccheggi e catture di civili per farne ostaggi. Tra loro ci fu don Narciso Sordo, poi deportato a Mauthausen.310 Inine l’ultima azione repressiva sferrata contro i «ribelli del Trentino», nell’autunno del 1944, colpiva ancora la Val di Fiemme, dove cadde prigioniero il CLN di Cavalese.311 Il Veneto In Veneto l’occupazione dei principali centri strategici della regione dopo l’8 settembre era avvenuta, senza particolari dificoltà, ad opera del II corpo d’armata corazzato delle Waffen SS.312 Come già si è detto, responsabile per le operazioni lun655 go la costa era il generale Witthöft. Ben presto sarebbero stati costituite la Militärkommandantur 1009 a Verona, responsabile anche per il Vicentino, e la Militärkommandantur 1004 a Padova, a cui facevano altresì capo le province di Rovigo, Treviso e Venezia. La Orpo era presente con alcuni reparti a disposizione del proprio comando installato a Verona, oltre che della Gendarmerie-Hauptmannschaft Venetien a Padova; la Sipo-SD aveva anch’essa una centrale a Verona e una sede ausiliaria a Venezia, da cui dipendevano le province di Padova, Rovigo e Treviso; in estate il distaccamento presente a Padova (Aussenposten) sarebbe stato elevato ad Aussenkommando e reso competente anche sul Rodigino. Come si è visto, ad aprile 1944 sarebbe poi stata istituita l’OberitalienMitte, centrale per la «lotta alle bande» nello spazio veneto ed emiliano-romagnolo. La prima azione antipartigiana registrata si svolse tra il 14 e il 17 ottobre 1943, a Schio, concludendosi con l’uccisione di un «bandito» e la cattura di 29 persone;313 solo dalla primavera successiva, tuttavia, sarebbero state avviate consistenti operazioni antiguerriglia nella Marca Trevigiana, nel Veronese e nel Vicentino: a marzo un rastrellamento sul Pasubio durato 14 giorni condotto dalla Gendarmeria di Vicenza e da 200 militi della GNR, avrebbe portato all’arresto di 58 persone, di 42 delle quali, scriveva il comando tedesco, era «comprovata [l’] attività banditesca e [perciò sarebbero stati] inviati alla Sonderbehandlung»,314 cioè consegnati alla Sipo-SD perché decidesse della loro sorte: tra le possibilità era compresa la deportazione in KL. La presenza di cospicue insorgenze partigiane nella zona alpina, in particolare nel Veronese (i Monti Lessini) e nel Vicentino (il massiccio del Grappa e l’altopiano di Asiago, Arsiero, Recoaro, Schio, Valdagno, il Pasubio e Pian delle Fugazze) creò, infatti, notevole preoccupazione nei comandi tedeschi, perché le azioni di sabotaggio, continue in alcuni punti come nell’area del Pasubio, impedivano il procedere dei lavori di fortiicazione sulla Voralpenstellung, e interrompevano di frequente il rifornimento di energia elettrica agli stabilimenti industriali e alle centrali di smistamen656 to posti a valle (Val Cellina, Val Cismon, Val Cordevole, e Valle del Piave).315 Di conseguenza, si provvide a trasferire in zona numerose unità tedesche e salodiane, prima stanziate altrove;316 a ine maggio venne acquartierato a Thiene, provenendo da Cuneo, l’Ost-Bataillon 263, composto da ucraini, georgiani e tedeschi del Volga. Lo avrebbero seguito nel corso dell’estate unità di paracadutisti (Fallschirm-Granatwerfer-Bataillon 1 e Fallschirm-Aufklärungs-Kompanie 1) collocate nel Veronese e nel Vicentino; il 63° battaglione «M» Tagliamento, spostato dalla Linea Gotica a Recoaro; la II Brigata Nera mobile di Padova, inviata a Treviso; il Luftwaffen-Sicherungsregiment Italien, giunto dal Piemonte e composto in parte di membri della Luftwaffe e della Guardia alla Frontiera salodiana prelevati dalle rispettive carceri militari; i battaglioni «Lupo», «N.P.» (Nuotatori Paracadutisti) e «Fulmine» della X Mas, insediati anch’essi nella capitale della Marca; e inine il Kommando di Herbert Andorfer, collocato a Recoaro e Feltre, e l’Einsatzkommando di Karl Heinz Bürger, con al seguito diverse compagnie della Gendarmeria prima operanti in Emilia, Toscana e Umbria. A Bürger, la cui sede divenne Desenzano, spettava il coordinamento dell’intera macchina repressiva operante nella regione. Il 20-25 maggio veniva realizzata, a nord di Schio, l’operazione Montebello che portava alla cattura di 37 presunti partigiani;317 il 27 successivo prendeva avvio un’ondata di rastrellamenti sui Monti Lessini. A essere investite per prima furono le località di Bolca, Cracchi (entrambe frazioni di Vestenanova) Sant’Andrea (frazione di Badia Calavena), San Bortolo della Montagna (frazione di Selva di Progno), tra le province di Verona e Vicenza; l’operazione antiguerriglia si sarebbe estesa, tra l’8 e il 10 giugno, a Campodalbero, Campilgeri e Ferrazza (frazioni di Crespadoro), Giazza e Revolto (frazioni di Selva di Progno), per poi concludersi il 13 giugno coinvolgendo Vestenanova e le sue frazioni di Zovo e Bolca, rastrellata quest’ultima per la seconda volta. A gestire l’azione, guidata dall’Oberitalien-Mitte, furono il III battaglione, la 657 III compagnia volontari e il III battaglione ausiliario del 12° reggimento Orpo, più unità minori.318 Nel luglio si rastrellava ancora sui Monti Lessini, tra l’11 e il 12 agosto, e il 15 agosto nel Trevigiano a Pieve di Soligo e Solighetto. Parallelamente, a battere le alture del Vicentino con un’altra serie di puntate era la Militärkommandantur di Verona: il 4-5 giugno a sudovest della linea del Monte Ortigara, Monte Lozze, Monte Mandrielle e sull’Altopiano di Asiago; l’11 a Fara Vicentina; il 17-18 giugno nelle Valli del Pasubio a nord di Schio.319 Nel Padovano, in una zona dove la presenza partigiana era meno forte, si svolgeva il 6 aprile sotto il comando del Gruppo Witthöft, a 20 km a sud-est della città del Santo, un’operazione di rastrellamento che avrebbe portato all’arresto di 98 persone, tra cui 35 renitenti alla leva e 3 ex prigionieri di guerra britannici.320 Nella seconda metà di luglio nel comune di Castelbaldo, nella Bassa padovana, si veriicò una serie di avvenimenti che sarebbe poi sfociata, tra il 26 e il 27 del mese in una vera e propria strage.321 A guidare le unità tedesche nella zona era il capitano Willy Lembcke, appena nominato responsabile del settore di sicurezza (Sicherungskommandant) di Padova Sud. Antefatto era stata la retata compiuta da militi della Brigata Nera al teatro-cinema Impero del paese, conclusasi con la cattura di diversi giovani, poi inviati in Germania come lavoratori coatti.322 In risposta, due giorni dopo i partigiani della brigata Paride avrebbero sequestrato Giuseppe Pisanò, comandante della Brigata Nera di Montagnana e commissario del fascio per l’intero mandamento. Tedeschi e salodiani presero allora in ostaggio 12 persone sospettate di connivenza con le forze «ribelli», tra cui i parroci di Casale di Scodosia, di Castelbaldo e di Masi. Mentre era in corso l’arresto di don Sante Miotto, curato di Castelbaldo, i partigiani attaccarono la camionetta che trasportava gli ostaggi; ci furono morti da entrambe le parti, ma alcuni alcuni brigatisti neri della scorta caddero prigionieri. Immediatamente Castelbaldo venne accerchiata e bloccata da gruppi di militi della GNR e delle BN al comando di Alfredo Allegro, coadiuvati da truppe tede658 sche; vari civili, uomini e donne, vennero passati per le armi davanti alle proprie abitazioni; alcuni giovani furono concentrati in piazza, dove sei di loro furono uccisi e gettati nell’Adige presso il Mulino Menato.323 Sarebbe quindi iniziata, come nel resto del Nord, la grande offensiva autunnale. All’operazione del 5 settembre sull’Altopiano di Asiago erano seguiti l’intervento sull’Altopiano del Cansiglio dal 7 al 15 settembre, e tra il 12 e il 13 settembre l’operazione Pauke (timpano) nelle valli dei Monti Lessini e del Chiampo, a cavallo delle province di Verona e Vicenza, diretta contro la Brigata «Pasubio» guidata da Giuseppe Marozin, comandante «Vero». A condurre l’azione, coordinata da Bürger, sarebbero stati il gruppo di intervento a disposizione dell’Oberitalien-Mitte, l’Ost-Bataillon 263, il 63° battaglione «M» Tagliamento, reparti della Gendarmeria di Recoaro e unità minori.324 La principale delle operazioni di settembre è però senz’altro quella che avrebbe investito il massiccio del Monte Grappa, l’operazione Piave; apice della dinamica repressiva attuata sulle vette della regione, il rastrellamento sul Grappa costituisce un caso paradigmatico di esercizio della violenza, per la sostanziale pariicazione tra combattenti e popolazione civile. Come già per il caso di altri rastrellamenti che ebbero come esito anche deportazioni in KL, anche nel caso del Grappa le informazioni a disposizione riguardo ai deportati in KL sono state per lungo tempo assai più lacunose e incerte rispetto a quelle relative al resto delle vittime. Ancora nel 2007 Sonia Residori, che più di altri ha lavorato sul rastellamento, poteva scrivere: «Il dato senz’altro più aleatorio è rappresentato da coloro, civili e partigiani, che furono deportati in campo di concentramento in Germania, in quanto per lungo tempo l’opinione pubblica italiana ha molto sottovalutato il fenomeno della deportazione».325 Nei mesi precedenti l’azione, il massiccio del Grappa era diventato una sorta di zona franca in cui si rifugiavano coloro che volessero sottrarsi sia ai bandi Graziani, sia alle retate dei tedeschi miranti a mettere le mani su manodopera da spe659 dire coattivamente oltre Brennero.326 Alla ine dell’estate in quell’area operavano quattro formazioni partigiane, per un totale di circa un migliaio di uomini: la Brigata «Italia Libera Archeson», guidata dal maggiore Edoardo Pienotti e collocata nella zona dell’Archeson, del Tomba, del Monfenera e del Madal; la Brigata «Italia Libera Campo Croce», sorta per gemmazione dalla prima e posta sotto la guida di Vico Todesco, insediata a Campo Croce e attiva nell’area di Col Serrai, Cornosega, Campo Croce, Colli Alti e Monte Oretto; la Brigata «Matteotti», formata da socialisti veneziani e guidata da Angelo Pasini, dislocata tra la Val dei Lebi, la Val delle Foglie, Cima Grappa, Monte Frediana, Monti Seren, la Valle di Schievenin, la Conca di Alano e Quero; inine il battaglione «Monte Grappa» della brigata «Gramsci», di orientamento comunista, dislocata lungo le strade che salivano da Pove, San Nazario, Valstagna, Cismon e Cadorna. Alle quattro formazioni si era afiancata, dai primi giorni di settembre, la missione militare britannica comandata dal capitano Paul Newton Brietsche, paracadutata sull’Altopiano di Asiago insieme a quella guidata del maggiore Tilman, originariamente destinata all’Altopiano del Cansiglio. Quando ebbe inizio l’attacco tedesco, ai comandi partigiani erano già arrivate notizie dei rastrellamenti avvenuti nei giorni precedenti sul Cansiglio e sull’Asiago, nonché informazioni sull’intenzione tedesca di lanciare un attacco sul Grappa; nonostante molti dubbi, avrebbe prevalso, anche su pressione della missione britannica, la decisione di puntare sulla resistenza a oltranza, scelta che poi alla luce dei fatti si sarebbe rivelata foriera di conseguenze tragiche. Nell’operazione sul Grappa vennero impiegate unità tedesche e salodiane, per un numero di effettivi attorno ai 5.000; tra le truppe tedesche erano presenti il Luftwaffen-Sicherungsregiment Italien; l’Ost-Bataillon 263; la Flak-ErgänzungsAbteilung 2, un reparto antiaereo che aveva già preso parte all’operazione Wallenstein II; il II battaglione del SS-PolizeiRegiment Bozen e unità del SS-Polizei-Regiment Alpenvorland; squadre della Sipo-SD del distaccamento di Rovereto e Ron660 cegno, tra cui il gruppo d’intervento guidato da Herbert Andorfer. Tra le forze salodiane si trovavano il 63° battaglione «M» Tagliamento del colonnello Merico Zuccari, considerato da Karl Wolff una delle migliori unità italiane antiguerriglia; la XXII Brigata Nera «Antonio Faggion» di Vicenza; la XX Brigata Nera «Amerino Cavallin» di Treviso; reparti della GNR; 300 uomini dei Cacciatori degli Alpini in forza al Centro Addestramento Reparti Speciali (C.A.R.S.) di Parma; una compagnia autonoma di P.S. di Valdagno, aggregata alla Brigata Nera «Antonio Turcato» di Valdagno; armati della Brigata Nera Marina del Sottosegretariato della Marina Militare Repubblicana; reparti dell’Artiglieria Contraerea della Repubblica Sociale (3° gruppo Ar.Co Gambassini e 5° Gruppo Ar.Co Lattanti, di Verona); la squadra politica «Ettore Muti» dell’aeronautica militare di stanza a Bassano; reparti della Flak italiana, ossia uomini della GNR inseriti su richiesta di Göring nei ranghi della Flak, e inine un numero imprecisato di ex Fiamme Bianche (giovanissimi volontari che prestavano servizio in unità così denominate).327 La preparazione dell’operazione era stata preceduta da un’articolata attività di spionaggio, in cui erano stati impiegati, opportunamente camuffati, sia tedeschi, sia italiani. In particolare sembra abbia avuto un ruolo decisivo una squadra di SS italiane addestrate in una scuola (Villa Ca’ Bianca presso Longa nella frazione di Schiavon) istituita a pochi chilometri da Bassano e che lì rimase ino al febbraio 1945, quando vi si sarebbe installato il maggiore Mario Carità.328 Secondo la ricostruzione di Sonia Residori lo scontro aperto tra formazioni partigiani e truppe nazifasciste durò relativamente poco; non si trattò, molto probabilmente, di una battaglia campale durata diversi giorni tra nemici equipaggiati per la guerra, come per lungo tempo si è raccontato anche a giustiicazione delle gravi perdite subite e della sconitta partigiana; ma piuttosto di alcuni scontri armati, come «tentativo di resistenza ben presto abbandonato per non soccombere», seguiti da massacri nei centri pedemontani. La conta delle vittime rimane a tutt’oggi poco chiara: le fonti tedesche riporta661 no la cifra di 385 morti, compresi i capi partigiani e 34 inglesi, e 100 sospetti arrestati;329 le cifre fornite dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri nel 1949 parlano di 171 impiccati, 603 fucilati e 804 deportati,330 termine usato, quest’ultimo, qui e nelle opere che seguono in modo generico e senza distinguere tra «deportati in KL» e «lavoratori coatti»; i dati forniti da Enrico Opocher in uno studio del 1986 indicano 171 impiccati e fucilati nei paesi, 300 partigiani uccisi in montagna negli scontri a fuoco e 400 uomini «deportati», quantitativi in parte desunti dalle cifre fornite dal governo nel 1949;331 Elio Fregonese riporta nome e cognome di 27 uomini catturati nel rastrellamento del Grappa e deportati in KL;332 inine i dati di Sonia Residori, sulla base di più recenti ricerche riportano 230 caduti, di cui 23 in combattimento, 187 che avrebbero perso la vita in varie circostanze e in modi diversi, 20 vittime di cui non si sa nulla,333 e 6 ulteriori deportati in KL, tutti giovani originari di Romano d’Ezzelino, in provincia di Vicenza: i tre fratelli Andrea, Girolamo e Luigi Andolfatto; Giuseppe Andolfatto, loro cugino; e i compaesani, Gaetano Perotto e Giovanni Rebellato.334 Nelle stesse giornate del rastrellamento sul Grappa furono effettuate retate a Cartigliano, comune del Vicentino sulla riva sinistra del Brenta, il 26 settembre e nuovamente il 29.335 Militari tedeschi e italiani alla ricerca di cereali e armi radunarono entrambe le volte uomini e donne nella piazza e ne prelevarono un certo numero, conducendoli con sé a Bassano. Sebbene la fonte bibliograica che ce ne dà notizia parli di «deportazioni», nessun originario della cittadina risulta registrato in alcuna fonte concentrazionaria; si può essere perciò trattato di invii al lavoro coatto. Secondo Umberto Dinelli, analoghe retate avrebbero avuto luogo nelle contrade del comune veronese di San Zeno di Montagna, alla ricerca dei partigiani inquadrati nella Brigata «Avesani», assai attivi nel sabotaggio della linea fortiicata in costruzione; ne sarebbe scaturita l’uccisione di 5 resistenti e la cattura di altri quattro, l’incendio di parecchie abitazioni e il prelievo di «un centinaio di civili»;336 in KL giunse tuttavia 662 una sola persona nata nel comune veronese, Enrico Zanoni, la cui immatricolazione a Mauthausen, dopo un passaggio al DuLag di Bolzano, è in effetti compatibile con un arresto avvenuto nel settembre 1944.337 Presumibilmente gli altri vennero utilizzati come manodopera coatta in Italia od oltre Brennero. Molto scarne le informazioni disponibili sulle azioni antiguerriglia messe in atto nel Vicentino la seconda settimana di ottobre (operazione Grüne Woche); il 28 ottobre lungo il lago di Garda e sul monte Baldo (operazione Nikolaus); a novembre inine nei comuni di Arsero, Malo, Montecchio Maggiore, Schio, Valdagno, dove fu impegnato l’Ost-Bataillon 263.338 Inine, il 6 o il 7 gennaio 1945, uno schieramento composto da tedeschi, georgiani, ucraini, presumibilmente questi ultimi due gruppi appartenenti all’Ost-Bataillon 263, e da militi delle Brigate Nere, passava a setaccio i comuni di Lastebasse e Pedemonte e la borgata di San Pietro (cuore del comune di Valdastico): le abitazioni furono perquisite e gli uomini concentrati in piazza. Undici sarebbero stati trattenuti; tre, identiicati come partigiani (Giovanni Cioni, Enrico Cuneo, Igino Radere), vennero uccisi in località Ponte Maso, mentre gli altri, tra cui il parroco di San Pietro, don Antonio Rigoni, accusato di avere nascosto armi di partigiani nel campanile, Antonio Lorenzi, falegname e capo del locale CLN, e i restanti sei (Giuseppe Carotta, Secondo Dal Pozzo, Olinto Leoni, Stefano Munari, Giuseppe Rossati, e Agostino Scalzeri) sarebbero stati successivamente trasferiti nel DuLag di Bolzano, e poi deportati nel KL di Mauthausen.339 La Lombardia In Lombardia i rastrellamenti si sarebbero concentrati soprattutto in quelle aree che, rese insicure dalla presenza delle bande partigiane, erano collocate in punti dalla particolare funzione strategica rispetto alle vie di comunicazione: precisamente il Varesotto, il Bresciano, il Bergamasco e il Co663 masco a nord, al conine con la Svizzera, e il Piacentino e l’Oltrepò Pavese a sud, posti alle spalle della Linea Gotica lungo l’importante asse di collegamento La Spezia-GenovaPavia-Piacenza-Alessandria-Asti. La prima azione si svolgeva tra il 17 e il 20 ottobre 1943 a est del Lago di Como: direttamente sotto la guida del Militärbefehlshaber Oberitalien, carica ricoperta al tempo dal generale Witthöft, e tramite l’impiego del battaglione di addestramento dell’accademia dei «cacciatori da montagna» di Mittenwald; del gruppo di addestramento della scuola dei «cacciatori da montagna» delle Waffen SS di Neustift (località tirolese dove la scuola aveva sede), e della 2ª compagnia del reparto 541 della polizia militare (Feldgendarmerie). A essere setacciati furono il massiccio del Resegone e i comuni di Abbadia Lariana, Calolziocorte e Introbio; i rastrellatori ebbero un morto e un ferito, e uccisero 20 persone catturandone 143, la cui sorte non è nota.340 A novembre un ciclo di operazioni per il controllo delle zone alpine veniva organizzato dalla centrale di polizia di Milano, diretta da Theodor Saevecke, e coordinato da Herbert Andorfer. Il 14 novembre veniva attaccata l’area del Varesotto attorno al Monte San Martino: ad agire furono la 6ª compagnia del 15° reggimento della Orpo, la 14ª compagnia controcarro e truppe coninarie; il 26 novembre venne il turno della zona di Lovere, nella Bergamasca, e il 28 quello del Lecchese. Nel gennaio venivano presi di mira il Bresciano e la Bergamasca: il 13 gennaio unità della Milizia forestale di stanza a Gargnano e della Feldgendarmerie tedesca, coadiuvate dalla squadra della Sipo-SD di Brescia, attaccarono sul Monte Spino, a nord-ovest di Gardone Riviera, le Fiamme Verdi della Val Sabbia, prendendo 5 prigionieri poi tradotti a Gargnano.341 Assieme ad altri, arrestati in altre retate, i prigionieri sarebbero stati processati il 14 febbraio con l’accusa di «organizzazione di bande armate e intelligenza col nemico»: alcuni vennero condannati a morte, altri, ritenuti meno pericolosi, trasferiti in Germania come lavoratori coatti.342 Il 16 gennaio 664 un rastrellamento analogo sarebbe stato compiuto a nord-est di Bergamo, nel territorio del comune di Oltre il Colle, dal reparto motorizzato della Feldgendarmerie 541 e da militi della GNR; secondo la documentazione tedesca a un partigiano ucciso si afiancarono due feriti e 14 fatti prigionieri.343 Dopo una relativa stasi, l’apparato repressivo tedesco e salodiano tornava a colpire il Bresciano a ine luglio: il 29 una retata condotta dall’Einsatzgruppe Italien dell’Organizzazione Todt nei centri abitati di Isorella e Visano, in seguito alla segnalazione del federale di Brescia, portava al fermo di 45 persone colte ad ascoltare Radio Londra; 23 di loro sarebbero state inviate in Germania come lavoratori coatti, e altre 20 messe a disposizione della Sipo-SD.344 Da segnalare, negli stessi giorni, un rastrellamento, su cui si hanno scarse notizie, compiuto dal battaglione «Nuotatori Paracadutisti» della Brigata Asiago della X Mas tra le province di Sondrio, Asiago e Bassano che, secondo le fonti disponibili, avrebbe cagionato la morte di 19 «banditi», la cattura di altri 18 presunti partigiani e l’arresto di ulteriori 210 civili.345 Come altrove, le operazioni antiguerriglia sarebbero riprese in grande stile verso il declinare dell’estate: una vasta offensiva ebbe inizio il 23 agosto con l’attacco nell’Oltrepò Pavese al territorio «libero» partigiano noto come «repubblica di Torriglia», esteso dalla val Trebbia alle valli Scrivia e d’Aveto, dove operavano formazioni garibaldine e di Giustizia e Libertà. Posta sotto il comando del corpo d’armata Lombardia, formazione mista italogermanica inquadrata nell’armata Liguria, formalmente agli ordini del maresciallo Rodolfo Graziani, l’operazione avrebbe dovuto investire un’ampia porzione dell’Appennino ligure-piemontese-pavese-piacentino, sviluppandosi in particolare nelle valli Trebbia e Borbera. Per tedeschi e salodiani era di cruciale importanza riprendere il pieno controllo della strada statale 45, che collega Genova a Piacenza; a muoversi sul terreno furono precisamente la 12ª compagnia del 25° reggimento, inserito nella 42ª divisione cacciatori; il I battaglione del 1043º reggimento, in forza alla 232ª divisione di fanteria; un plotone della 665 Gendarmerie (inquadrata nella Orpo) accasermata a Genova; una squadra della Sipo-SD dall’Aussenkommando insediato nel capoluogo ligure; forze della divisione salodiana «Monterosa», da poco rientrata dopo l’addestramento in Germania; militi della GNR; la XXXI Brigata Nera «Silvio Parodi», di stanza a Genova.346 Sebbene il rastrellamento, conclusosi il 30 del mese, non fosse riuscito ad avere ragione delle formazioni partigiane e a raggiungere gli obiettivi che si era preposto, anzi nel corso dell’azione i rastrellatori avrebbero subito la defezione di gran parte del battaglione «Vestone», inquadrato nella «Monterosa», che passa alla divisione garibaldina «Cichero», le relazioni militari tedesche riferiscono di caduti, feriti e prigionieri tra gli avversari e la popolazione civile, ancorché le cifre fornite su ciascuna di queste categorie divergano anche notevolmente.347 Tra il 16 e il 23 settembre vennero investiti i comuni di Godiasco, Varzi e Bobbio (sulla linea Pavia-Piacenza); il 23 Voghera, Varzi, nuovamente Bobbio, Ferriere, Castel San Giovanni (sulla linea Alessandria, Pavia e Piacenza); tra il 26 e il 29 Montù Beccarla, Soriasco e Golferenzo (nel Pavese); tra l’8 e il 12 ottobre, in coincidenza con la prima settimana di lotta alle bande, con l’operazione Milano si colpivano il Monte Antola, il Monte Caucaso, Torriglia, e tutta la Val Trebbia (lungo la linea Genova-Pavia-Piacenza). Il 21 ottobre si tornava a rastrellare la statale 10 tra Voghera e Piacenza. Tra il 23 novembre e il 18 dicembre un lungo ciclo repressivo (Lindenblüte) diviso in due fasi (operazioni Heygendorff e Aachen) tornava a colpire tutto l’Oltrepò Pavese, la Val Curone e la Val Borbera, nell’Alessandrino, servendosi di un vasto schieramento di forze: i reggimenti di fanteria 303 e 329 e il reparto controcarro 236, appartenenti tutti alla 162ª divisione di fanteria «Turk»; il gruppo di combattimento Piacenza, formato in gran parte da unità italiane; il gruppo Delogu, costituito da unità in forza al 210º comando militare regionale (CMR) di Alessandria e al I battaglione del Raggruppamento Anti-Partigiani (RAP); il III battaglione del reggimento 666 Bersaglieri «Luciano Manara», coadiuvati nella seconda fase dal gruppo di combattimento «Meinhold» e da unità di allarme.348 Secondo la documentazione tedesca, esito di questo ampio ciclo repressivo, che determinò effettivamente, questa volta, la caduta della «repubblica di Torriglia», furono 391 morti e 179 prigionieri tra le ila partigiane, oltre che trasferimenti di popolazione che sarebbe stata utilizzata come manodopera coatta.349 La stessa sorte, in quei mesi, sarebbe toccata alle aree coninanti con la Svizzera; l’offensiva, condotta sotto il comando dell’Oberitalien-Mitte, appena afidato a Burger, aveva inizio con un‘operazione contro le formazioni partigiane della Val Trompia, nel Bresciano (zone di Bovegno, Collo, Dosso Alto, Monte Ario e Corna Blacca), in parallelo esatto al primo attacco contro l’Oltrepò Pavese (25 agosto-31 agosto 1944). Ad agire qui furono un Einsatzkommando direttamente sottoposto a Bürger, l’8ª compagnia del CST, un reparto di sicurezza (Sicherungs-Abschnitt II) della Orpo, e un’unità di sicurezza motorizzata dipendente dall’uficio in Italia del ministero delle Armi e Munizioni. L’operazione proseguì poi il 28 e il 29 agosto al conine con la provincia di Padova, presso Terrassa Padovana, dove vennero uccise 6 persone, e altre 10 catturate.350 Il 30 e il 31 agosto era colpita Carona, in provincia di Bergamo, da uomini della GNR agli ordini di Bürger; qui i morti furono 6, i feriti 4 e i prigionieri 6. Inine, dal 4 ottobre al 4 novembre, l’Oberitalien-Mitte, coadiuvato da unità esclusivamente salodiane, quali la Brigata Nera «Cesare Rodini», di Como, la 14ª Compagnia speciale di Pubblica Sicurezza, e il Nucleo speciale della GNR di Monza, colpiva l’area a sudest di Como tramite un rastrellamento denominato Berni, sfociato in 51 uccisioni e 511 arresti; dei catturati ben 371 sarebbero poi stati avviati al lavoro coatto, non sappiamo se in Italia o oltre Brennero. Per tutto il mese di ottobre e quello di novembre sarebbero continuate azioni contro le formazioni della Valsassina (Bergamo) e della Valtrompia e la Valsabbia (Brescia), per mano del CST e di unità della Waffen-Grenadier-Brigade der 667 SS (italienische Nr. 1), formazione costituita da italiani che avevano accettato di combattere a ianco dei tedeschi nelle ile delle Waffen SS.351 Piemonte e Valle d’Aosta L’intensità della repressione antipartigiana in Piemonte fu seconda soltanto a quella esercitata nel Litorale Adriatico; le zone maggiormente colpite furono le valli alpine al conine con la Francia e la fascia meridionale comprendente l’Appennino ligure-piemontese, territori entrambi in cui l’insediamento di formazioni partigiane fu tanto precoce quanto diffuso.352 L’intensità delle operazioni scaturiva anche dalla posizione strategica di conine della regione, inizialmente, infatti, destinata a funzionare da «zona di operazioni» al pari del Litorale Adriatico.353 Le operazioni di rastrellamento alla ricerca di militari sbandati e contro le formazioni partigiane già attive nel Cuneese, in particolare nelle valli Pesio e Stura di Demonte, prendevano avvio poco dopo l’insediamento in zona delle strutture tedesche di occupazione; a eseguirle furono unità della Luftwaffe in collaborazione con la Militärkommandantur 1020 che aveva sede a Cuneo,354 ma dal gennaio 1944 ino alla liberazione si sarebbero succeduti ininterrottamente grandi rastrellamenti sotto la regia inizialmente dell’SSPF Oberitalien-West355 e successivamente, nelle aree a ridosso della Linea Gotica divenuta linea del fronte, dell’Armata Liguria. Le prime azioni promosse da Willy Tensfeld con il supporto del LXXXVII corpo d’armata, comandato dal generale Gustav-Adolf von Zangen, avrebbero colpito il Cuneese e l’Astigiano;356 oltre a un certo numero di partigiani uccisi, vennero arrestati parecchi civili, in quanto «sospetti». Il mese di marzo avrebbe però visto l’avvio di numerosi rastrellamenti coordinati che avrebbero colpito sia a Sud, investendo le valli dove passavano le linee di collegamento tra il mare e la Pianura Padana occidentale (le valli Casotto, Ellero, 668 Mongia e Tanaro tra il Cuneese e l’Imperiese; l’intero arco appennino tra l’Alessandrino e il Genovesato); sia a ovest passando al setaccio nel Torinese le valli Pellice, Chisone e Germanasca, e nel Cuneese le valli Maira, Varaita e Po; sia inine a nord-ovest del capoluogo le valli di Lanzo, di Susa (oggetto per altro quest’ultima già di retate, in particolare nei centri di maggiore industrializzazione, nei mesi immediatamente successivi all’8 settembre 1943),357 senza trascurare la zona alpina più lontana e prossima alla Lombardia ma, contemporaneamente, via di passaggio verso la neutrale Svizzera. Assieme alla crescita indubbia delle formazioni partigiane successiva all’emanazione dei bandi d’arruolamento da parte del generale Graziani, giocarono un ruolo decisivo nello spingere le autorità d’occupazione all’azione da un lato le preoccupazioni per un possibile sbarco alleato sulla costa ligure, il che richiedeva di poter aver il pieno controllo dei passi meridionali alpini e appenninici, dall’altro l’esigenza di garantire sempre e comunque alle fabbriche in pianura, in particolare delle aree torinese e genovese, che erano impegnate in produzioni d’interesse militare, il rifornimento di energia elettrica, prodotta in gran parte dagli impianti idroelettrici situati lungo le Alpi occidentali, in particolare tra la valle del Toce e la Val Tanaro.358 Avrebbero obbedito a questa seconda necessità gli interventi attuati tra il 4 e l’11 marzo, pochi giorni dopo gli scioperi promossi dalla Resistenza e in prima persona dal Partito comunista, nelle valli di Lanzo; tra il 21 e il 31 marzo nelle valli Pellice, Chisone e Germanasca, e inine tra il 25 marzo e il 3 aprile nelle valli Maira, Varaita e Po (operazione Wien/ Viktor).359 Nel corso del primo rastrellamento, effettuato dal I battaglione del 15° reggimento della Orpo e dal 287º reparto della Flak, coadiuvati da una squadra della Sipo-SD in forza all’Außenkommando di Torino, risultarono, secondo le fonti tedesche, uccise 212 persone e arrestate altre 97, parte dei quali fu sicuramente deportata nel KL di Mauthausen,360 mentre altri vennero inviati oltre Brennero come lavoratori coatti. 669 Tra il 21 e il 31 marzo l’azione Sperber si sarebbe abbattuta sulle valli Pellice, Chisone e Germanasca; a muoversi sarebbe stato uno schieramento formato da: la 4ª compagnia del I battaglione del 15° reggimento della Orpo; il distaccamento di comando della Gendarmerie stanziata in Piemonte; la 2ª compagnia della 9ª squadriglia di caccia notturna della Luftwaffe (Nachtschlachtgeschwader); il I battaglione del 1° reggimento di fanteria e il II battaglione dell’81º reggimento granatieri della Waffen-Grenadier-Brigade der SS (italienische Nr. 1); la compagnia Ordine Pubblico (OP) di Torino e la sezione coninaria, entrambe della GNR; nonché la compagnia Arditi del gruppo corazzato «Leonessa», anch’esso inquadrato nella GNR. Come risultato, le fonti tedesche parlano di 451 morti e 143 prigionieri tra partigiani e civili;361 anche in questo caso alcuni (tre in tutto: Alberto Capello, Sergio Coalova, Giovanni Toscano) risultano essere stati deportati al KL di Mauthausen, dove sarebbero giunti però solo dopo quasi cinque mesi, trascorsi in prigionia prima a Luserna, poi alle Carceri Nuove di Torino, inine al DuLag di Fossoli di Carpi, di cui avrebbero seguito il trasferimento a Bolzano; dal capoluogo sudtirolese sarebbero poi partiti per la deportazione il 5 agosto.362 Quasi contemporaneamente, le valli Maira, Varaita e Po sarebbero state oggetto della già citata operazione Wien/Viktor, dove vennero impiegati reparti sia SS e di polizia, sia della Wehrmacht, sia, anche se in misura più ridotta, unità della polizia salodiane: tra i primi l’Einsatzkommando Bürger; la 10ª compagnia del III battaglione del 12º reggimento della Orpo; il I e il II battaglione del 15° reggimento, anch’esso della Orpo; lo Jagdkommando del BdS Italien; il II battaglione italiano volontario «Complementi» (Polizei-Freiwilligen-ErsatzBataillon Italien) inserito pure nella Orpo; una squadra della Sipo-SD di Torino; tra i secondi la 14ª compagnia anticarro; la 3ª compagnia del 541º reparto della Feldgendarmerie; la 4ª compagnia dell’Ost-Bataillon 617, formato da ex prigionieri di guerra russi; alcuni Jagdkommandos della Luftwaffe; unità di allarme a disposizione della Militärkommandantur 1020 di Cuneo. Le forze salodiane erano formate da una compagnia 670 della GNR, e dalla compagnia OP (Ordine Pubblico) della 14ª legione della GNR di Bergamo. Nel corso dell’azione, che avrebbe coinvolto ampiamente la popolazione civile, i rastrellatori avrebbero avuto un morto e un ferito, a fronte di 153 caduti e 86 prigionieri dalla parte avversa, a cui andavano aggiunte 384 persone da avviare al lavoro coatto (la fonte tedesca non ci dice se in Italia o nel Reich).363 Per tutto il seguente mese di aprile il Cuneese sarebbe inoltre stato teatro delle operazioni, successive l’una all’altra, Stuttgart e Tübingen, che avrebbero investito rispettivamente la valle Stura e la Valle Pesio; guidate unitariamente dall’Oberitalien-West, un organo cioè di polizia, e dall’appena istituita Leitkommandantur di Milano (Comando territoriale superiore, nato dall’attribuzione di funzioni di coordinamento alla Militärkommandantur 1013, già in precedenza insediatasi nella capitale lombarda), struttura invece militare, le azioni sarebbero state materialmente realizzate da schieramenti compositi formati da reparti sia della Orpo, sia della Wehrmacht, ma vedendo in entrambi i casi una presenza non irrilevante di Ost-Bataillone. Risultano, infatti, esser stati in questo caso presenti il II battaglione, formato da georgiani, del 198º reggimento, e i battaglioni 263 e 617 composti da russi. I rastrellatori avrebbero comunque incontrato resistenza, tanto da lamentare complessivamente 6 morti e 13 feriti, a fronte di perdite che le fonti tedesche sono unanimi nel deinire maggiori ma sulla cui entità differiscono non poco: da 30 a 92 i caduti, da 15 a 25 i prigionieri.364 Nel frattempo, lungo l’arco alpino e appenninico che separa il Piemonte dalla Liguria i comandi militari tedeschi avviarono una vasta offensiva contro le formazioni partigiane dislocate nella zona nell’ipotesi, considerata prevedibile, di uno sbarco alleato. La natura e lo scopo delle operazioni fecero sì che tanto il coordinamento, quanto l’organizzazione, quanto l’assoluta maggioranza della forza impiegata fossero attribuiti alla Wehrmacht, e rispettivamente al LXXV corpo d’armata, allo stato maggiore della 356ª divisione di fanteria e ai reparti che la componevano, in primo luogo i reggimenti 671 granatieri 869 e 871. Al comandante di quest’ultimo, il colonnello Günther Rohr,365 spettò la guida sul terreno, alla testa di un raggruppamento ad hoc che da lui prese il nome: la Kampfgruppe Rohr, in cui sarebbero conluite parti dei due reggimenti, unità divisionali di vario genere, squadre della Sipo-SD, nonché, ma destinate a compiti prettamente ausiliari, formazioni militari e di polizia della RSI. Il primo intervento della Kampfgruppe si sarebbe sviluppato tra l’11 e il 25 marzo 1944 nelle Valli Tanaro, Casotto, Ellero, Mongia, tra il Cuneese e l’Imperiese, colpendo il territorio dove si era insediata la formazione partigiana autonoma guidata da Enrico Martini «Mauri»: «Nella serata del 12 marzo e nel corso della notte [...] tre battaglioni e tre compagnie rinforzate muovono da nord e da sud contro la Val Casotto. Nel giro di due giorni il numero degli attaccanti ed il loro armamento si dimostrarono decisivi, disperdendo le formazioni partigiane nonostante una tenace difesa. Le cifre della vittoria tedesca parlano molto chiaramente: un centinaio di partigiani uccisi, in gran parte fucilati nei villaggi circostanti dopo la cattura, circa 250 prigionieri».366 Così Carlo Gentile ha sintetizzato il dispiegarsi degli eventi, che rappresentarono una dura lezione anche per il movimento partigiano: «Marzo e aprile sono due mesi decisivi: i tedeschi, in modo sistematico, con rastrellamenti coordinati e condotti da ingenti truppe, con manovre avvolgenti, sconvolgono di nuovo tutta la cerchia delle Alpi cuneesi. Il livello della lotta è ora molto più alto; si confrontano ormai le tecniche di una guerriglia afinata e le “bande” che non si sono adeguate, “senza un’idea dominante, senza un principio di organizzazione, senza un calcolo rigoroso del rapporto tra ine e mezzi”, subiscono cocenti sconitte e durissime perdite. Non è il numero a contare, né la difesa delle posizioni: è invece il “mordi e fuggi”; è la saldezza morale, non la fasulla coesione della retorica militare. Quanto succede in val Casotto nel marzo 1944 sarà il paradigma di cosa non si deve fare nella guerra partigiana: evitare concentrazione di centinaia di uomini disarmati, non addestrati e legati alla difesa del terreno».367 672 Dieci giorni dopo, tra il 6 e il 13 aprile, la Kampfgruppe sarebbe nuovamente entrata in azione questa volta sul Monte Tobbio, con baricentro sulla cascina abbandonata detta «La Benedicta», contro le formazioni autonome e garibaldine che si stavano colà organizzando:368 «Contro gli ottocento partigiani, male armati ed ancora in fase di organizzazione che agiscono nella zona del Tobbio si abbatte dunque una macchina militare di livello ben più alto, che già era riuscita ad aver ragione delle più strutturate (almeno in senso militare tradizionale) forze di Mauri, il quale, con un piccolo gruppo di superstiti, era stato infatti costretto ad abbandonare il primitivo insediamento della val Casotto per passare nelle Langhe».369 Complessivamente si sarebbero registrate nelle due operazioni oltre 400 morti e più di 500 prigionieri tra i partigiani, mentre i rastrellatori avrebbero avuto una quindicina di morti e poco meno di 30 feriti nelle proprie ile.370 Una parte dei catturati nelle due azioni sarebbe stata deportata in KL, e le loro biograie compaiono nel I volume di questa stessa collana, ma solo per il caso del secondo rastrellamento, che sarebbe passato alla storia come «della Benedicta» o «della Settimana Santa 1944» e che è stato oggetto di una serie di studi speciici, è possibile offrire dati puntuali e veriicati sia sui deportati in KL, sia sui caduti, in combattimento o fucilati in seguito; essi sono, rispettivamente, 187 e 154 (su altri 8, presumibilmente caduti anch’essi sotto il fuoco nemico, mancano dati del tutto esaustivi).371 Nel frattempo in bassa Val di Susa, al margine occidentale della città di Torino, unità della Waffen-Grenadier-Brigade der SS (italienische Nr. 1) avevano attuato, dal 1º al 5 di aprile, un duro rastrellamento nello spazio compreso tra le direttrici Rivoli-Avigliana e Piossasco-Cumiana, località quest’ultima ritenuta dai comandi tedeschi un «covo di banditi e di comunisti», e dove il 30 marzo si era veriicato uno scontro a fuoco tra forze partigiane e il presidio che la Brigade medesima vi aveva insediato. La cittadina sarebbe stata messa a ferro e fuoco; alle 70 persone uccise nel corso dell’azione se ne sarebbero 673 aggiunte altre 58 inizialmente prese in ostaggio e poi «fucilate in base – dicono le fonti tedesche – alla legge marziale» (standrechtlich erschossen).372 80 i prigionieri, secondo ricostruzioni successive, in parte liberati nei giorni seguenti, in parte utilizzati come lavoratori coatti presumibilmente oltre Brennero.373 Un’operazione analoga (chiamata Rom) si sarebbe dispiegata, tra il 5 aprile e il 26 maggio, in Val Sesia nel Vercellese; coordinati dall’Oberitalien-West avrebbero eseguito il rastrellamento il 546º gruppo motorizzato (Trupp) della Feldgendarmerie e il 63° battaglione «M» della GNR: le fonti di polizia tedesche ci riportano una cifra univoca circa i caduti tra partigiani e civili: 268, ma divergono non poco sui prigionieri, il cui numero varia da 111 a 376, mentre 363 persone (non è chiaro se conteggiate tra i catturati o da considerare a parte) sarebbero state avviate al lavoro coatto.374 Dalla ine di aprile 1944 una serie di operazioni interconnesse avrebbe puntato a garantire all’occupante tedesco e al suo alleato salodiano il controllo delle linee di comunicazione tra la Pianura Padana e la Francia sudorientale, in un contesto in cui la pressione delle truppe alleate sulla Linea Gustav, che sarebbe caduta nella seconda metà di maggio, costrinse il feldmaresciallo Kesselring a inviare a sud le truppe migliori accettando di allentare, nella valle del Po, la presa sulle aree maggiormente periferiche. Sarebbero quindi state rastrellate in sequenza, in provincia di Torino, le valli di di Viù, Lanzo, Locana e del Canadese con l’operazione Rosenstrauch (26 aprile-7 maggio); poi le località di Cumiana e Barge e le Valli di Susa, Chisone, Germanasca, del Sangone e del Troncea con l’operazione Habicht (10-18 maggio); la zona posta tra Biella, Salussola, Caluso, Locana, Chatillon, Monterosa, Piedicavallo all’incrocio delle province di Vercelli, Torino e Aosta, dove erano situate parecchie tra le centrali idriche che rifornivano Milano e Torino, con l’operazione Hamburg (26 maggio-3 giugno). Seguirono quindi l’operazione Köln-Freiburg (11-28 giugno) nell’alto Novarese e nel Verbano tra Canobbio, Vigezza, la Val d’Ossola, la Valgrande e il Lago Maggiore; l’operazione Bayreuth (25 giugno-5 luglio) a est del Lago Maggiore 674 sino in Val Sesia, e l’8 luglio un rastrellamento in Val di Susa intorno a Bussoleno, Brugolo e Le Combe. La serie di azioni antiguerriglia nelle Alpi occidentali si concludeva con l’operazione Nachtigall (29 luglio-20 agosto), sviluppatasi nella valli Chisone, Susa, Germanasca e Pellice, la cui importanza era legata al collegamento con la Francia attraverso l’asse stradale Pinerolo-Sestriéres-Monginevro-Briançon.375 A coordinare le operazioni era stata la centrale di polizia Oberitalien-West; a eseguirle erano state alcune unità di polizia tedesche e salodiane, variamente combinate nelle diverse operazioni, in larga parte il 15°, il 12° e il 20° reggimento Orpo, coadiuvati da reparti della GNR. Secondo le fonti tedesche, l’operazione Rosenstrauch, condotta dalla 10ª compagnia del III battaglione del 12° reggimento di polizia della Orpo ebbe come risultato 103 morti, 109 (o, secondo altri documenti, 80) prigionieri e 504 uomini avviati al lavoro coatto; l’Habicht, eseguita da unità del 15° e del 12° reggimento di polizia della Orpo, da 2 compagnie dell’Ost-Bataillon 617, dalla 10ª compagnia del III battaglione SS e di polizia per quanto riguarda le forze tedesche, da arditi del battaglione Guardie Coninarie della GNR, da una Compagnia OP della GNR di Torino e da 50 legionari del Gruppo «Leonessa» per quanto riguarda quelle salodiane, per un totale di 1.510 uomini, si concluse con 156 morti, 67 (o 85) prigionieri, 222 uomini da avviare al lavoro coatto a fronte di 9 caduti e 15 feriti tra i rastrellatori; la Hamburg, eseguita dal 15° reggimento SS e di polizia e dal I battaglione del 20° reggimento SS e di polizia, entrambi della Orpo, a cui apparteneva anche il 1° plotone motorizzato della Gendarmerie, dalla 14ª compagnia controcarro della Wehrmacht, da uomini del IV battaglione italiano volontario di polizia e dal 63° battaglione «M», per un totale di 3.150 uomini, avrebbe provocato, a stare alle diverse fonti tedesche disponibili, 36, 68 o 86 morti nelle ile avversarie, a cui si dovrebbero aggiungere 32, 43, 84 o 116 prigionieri, e 452 o 1.304 inviati al lavoro coatto, nonché, secondo una delle fonti a cui si è fatto riferimento, 285 sottoposti a «trattamento speciale», termine che può alludere sia 675 alla fucilazione dopo la cattura, sia all’invio in KL. I rastrellatori dovettero però fare i conti con una cospicua resistenza da parte delle forze partigiane, lamentando alla conclusione delle operazioni sul terreno 23 morti e 26 feriti. Alla Köln-Freiburg avrebbero partecipato nuovamente dalle ile della Orpo il 15° reggimento, il I battaglione del 20° reggimento, la 10ª compagnia del III battaglione del 12° reggimento, il 1º plotone motorizzato della Gendarmerie, e il IV battaglione italiano volontario di polizia; per la Wehrmacht il II battaglione, composto da georgiani, del 198º reggimento, nonché la 114ª e la 741ª colonna someggiata; per i salodiani il 29° battaglione «M», il II battaglione GNR, un gruppo di intervento della Guardia alla Frontiera insediato presso il commissariato doganale di Varese composto di 70 uomini, in tutto 4.800 armati. Sui risultati dell’azione le fonti non sono univoche, né circa le proprie, né circa le perdite subite dagli avversari; si va da 5 a 8 morti e da 19 a 45 feriti tra i rastrellatori, segno comunque che ci fu resistenza e strenua, mentre per quanto riguarda partigiani e civili coinvolti si oscilla tra 111, 182, 217 e 230 caduti; 71, 190 e addirittura 409 catturati; 106, 199 e 274 inviati al lavoro coatto. Solo un approfondimento della ricerca che confronti le schede biograiche pubblicate nel I volume di questa stessa collana con la documentazione conservata localmente potrà tuttavia, in questo come in altri casi, deinire meglio l’esatto destino dei trasferiti oltre Brennero: «Proprio in relazione al grande rastrellamento del giugno 1944 sui monti della Val Grande, a nord di Verbania (l’operazione KölnFreiburg), vengono deportati molti partigiani appartenenti alla formazione Valdossola di Dionigi Superti e Mario Muneghina, che in quel periodo subisce un alto numero di perdite durante gli scontri o dopo la resa, per rappresaglia o per terrorizzare la popolazione (come è il caso dei diciassette fucilati a Baveno o dei quarantatré a Fondotoce). Purtroppo le schede per il riconoscimento della qualiica di partigiano compilate nell’immediato dopoguerra dal CLN dell’Alta Italia contengono solitamente l’indicazione generica “deportato in Germania” e solo in alcuni casi si speciica il campo di destinazione».376 676 Per Bayreuth le vittime si aggiravano intorno ai 9 o 13 morti e 21 o 43 prigionieri tra i partigiani, più 26 uomini «destinati ai lavori» in Germania, mentre Nachtigall avrebbe chiuso il ciclo, sulla linea tracciata dalle precedenti e già citate operazioni Sperber e Habicht, e dai rastrellamenti, anch’essi già richiamati, compiuti in Val di Susa; tramite quelle azioni l’occupante aveva puntato a controllare la principale linea di comunicazione diretta con la Francia, mentre con la Nachtigall mirava a garantirsi «il passaggio attraverso la Val Pellice, l’occupazione della Val Germanasca, il perfezionamento di una vasta linea di accerchiamento sulla catena tra l’alta Val Susa e la Val Chisone, e il passaggio dei colli fra la Val Germanasca e la Val Troncea».377 A scendere in campo fu uno schieramento di forze molto ampio, comprendente unità della Wehrmacht, della Orpo e formazioni salodiane, ma con in prima linea diversi reparti della Waffen-Grenadier-Brigade der SS (italienische Nr. 1) comandata qui dal tenente colonnello Otto Jungkunz, (dalla ine di luglio la formazione sarebbe stata acquartierata a Pinerolo; nell’autunno successivo sarebbe stata protagonista dei rastrellamenti contro le bande lombarde al conine con la Svizzera): la Kampfgruppe Noweck, i reggimenti granatieri 81 e 82; il battaglione fucilieri 59, il reparto controcarro 59, il I e il II gruppo artiglieri del 29º reggimento di artiglieria (nella fonti indicato erroneamente come 59º); a essi si erano uniti il Luftwaffen-Sicherungsregiment Italien del colonnello Dierich, responsabile degli scontri con i partigiani sul Grappa e già più volte incontrato; il Sicherungs-Regiments-Stab 38, stato maggiore agli ordini del colonnello Otto Böckler responsabile dell’organizzazione dei rastrellamenti contro le bande e da cui dipendevano i seguenti reparti: l’Ost-Bataillon 617, spesso citato, il 637° Gruppo investigativo della Feldgendarmerie, il III battaglione del reggimento Bozen, il Polizei-FreiwilligenErsatz-Bataillon Italien, un plotone dalla Gendarmerie abitualmente stanziata ad Asti; squadre della Sipo-SD dipendenti dal BdS. Tra le forze salodiane erano presenti, per la GNR, 677 il battaglione «Nembo», il 29º battaglione «M»; la 1ª compagnia OP Brescia, il battaglione OP Torino, le compagnie OP di Como e di Cremona della GNR, il Corpo corazzato «Leonessa», il battaglione allievi scuola della GNR di Rivoli, la compagnia Giovani Fascisti «Bir El Gobi», la 1ª Brigata Nera Mobile della XIII Brigata Nera «Marcello Turchetti» e un distaccamento della Brigata Nera «Ather Capelli»; molte di queste unità fasciste repubblicane erano state trasferite in Val di Susa tra giugno e luglio. Le fonti tedesche ci riportano tra le ile partigiane e tra i civili 122 morti, diversi feriti (68) e un certo numero di prigionieri (da 7 a 151), più 48 arrestati appartenenti alle classi tra il 1914 e il 1927, che sarebbero stati avviati al lavoro coatto. Operazioni più circoscritte sarebbero continuate tutta l’estate soprattutto nel Cuneese e nel Torinese, nella Valli di Lanzo e in Valle di Susa.378 Poi verso l’autunno si ripeteva nelle Valli di Lanzo, a Viù e nel Canavese una vasta operazione (Straßburg) contro le insorgenze locali ad opera sostanzialmente dello schieramento già collaudato nell’operazione Nachtigall, a cui si sarebbero aggiunti i battaglioni «Lupo», «Tarigo», «Nuotatori Paracadutisti» e «San Giorgio» della X Mas, per un totale di 3.241 uomini. Nel corso dell’operazione, che avrebbe costretto le formazioni partigiane a spostarsi in Francia, a fronte di un numero di caduti tra 6 e 76 registrati dalle fonti tedesche tra i rastrellatori, venivano fatti 459 (secondo un documento 460) morti tra partigiani e civili e centinaia di prigionieri (295), 102 dei quali poi utilizzati come lavoratori schiavi.379 La Straßburg rappresentò altresì una sorta di cerniera tra la fase estiva e l’ondata di rastrellamenti autunnali, mirante anche in Piemonte a riprendere il controllo delle aree periferiche su cui l’occupante tedesco e le autorità salodiane avevano, volente o nolente, allentato la presa nell’estate. Come già si è detto, Kesselring decideva di lanciare un’ultima campagna antipartigiana di cui la I (8-14 ottobre) e la II settimana (27 novembre-2 dicembre) di «lotta alle bande» avevano rappresentato il momento di massimo sforzo. 678 Il comando delle operazioni, afidato globalmente all’armata «Liguria», sarebbe stato suddiviso tra i due corpi d’armata che la componevano, e cioè il LXXV della Wehrmacht, a cui sarebbero state sottoposte, in diversi periodi, la maggior parte della 148ª divisione di fanteria, settori della 34ª divisione di fanteria, e due divisioni da montagna, la 5ª e la 157ª; e il «Lombardia», grande unità a guida salodiana composta, con variazioni nel corso del tempo, dalla divisione San Marco, dal gruppo di combattimento Monterosa, dalla 232ª divisione di fanteria tedesca e da aliquote della 148ª divisione di fanteria, anch’essa della Wehrmacht, nonché, sia pure per un breve periodo, la 162ª divisione di fanteria Turk, oltre a unità minori, tra cui la Sicherheits-Abteilung.380 Nella fascia interna, prevalentemente nel Cuneese, e lungo le direttrici Asti-Genova-Piacenza e Imperia-Savona-Cuneo-Genova, avrebbe agito prevalentemente il LXXV corpo d’armata, mentre al «Lombardia» sarebbe stata afidata la difesa della costa ligure.381 La prima grande operazione, denominata Avanti, si svolgeva tra il 9 ottobre e il 4 novembre; posta al comando della centrale SS e di polizia Oberitalien-West prendeva di mira la Repubblica partigiana dell’Ossola, tra Cannobina e Vigezzo. Ad agire fu uno schieramento composito in cui era netta la prevalenza delle unità di polizia: della Orpo il I e il II battaglione e unità reggimentali del 15° reggimento, nonché il 3° battaglione del 20° reggimento, della Waffen-GrenadierBrigade der SS (italienische Nr. 1) il gruppo di combattimento Noweck così composto: II battaglione dell’81° reggimento granatieri, battaglione fucilieri e I e II gruppo del 59° reggimento artiglieria; alla Wehrmacht appartenevano un reparto anticarro, la prima compagnia del 212º reparto della Flak (Luftwaffe), una unità corazzata; tra i salodiani erano presenti della GNR i battaglioni «M» Venezia-Giulia, Montebello, 115º, la Legione «M» della Guardia del Duce, la 103ª compagnia coninaria; delle forze armate regolari della RSI il battaglione «Azzurro» del reggimento Arditi-Paracadutisti «Folgore» (a quel punto dipendente dall’Aviazione repubbli679 cana), l’80° gruppo di intervento della Marina, unità della X Mas stanziate a Pallanza, membri della scuola Allievi Uficiali dell’esercito con sede a Varese, e, secondo fonti militari italiane, aliquote della divisione «Monterosa», per un totale di 2.765 effettivi. La caduta della Repubblica ossolana fu accompagnata, secondo le fonti disponibili, da ingenti perdite partigiane: oltre 500 caduti e diverse centinaia di prigionieri, in parte destinati all’impiego come lavoratori coatti (la cifra di questi ultimi oscilla tra 216 e 268).382 Il rastrellamento che si svolse tra il 12 e il 24 novembre nelle Langhe, in stretta connessione con la caduta della Repubblica di Alba, veriicatasi il 2 precedente per mano di reparti della RSI, fu invece organizzato dal comando della 34ª divisione, che impiegò dai propri ranghi l’80° reggimento granatieri, il 34° battaglione fucilieri in forza alla divisione medesima (denominato colonna Schubert dal nome del suo comandante), aliquote del reparto divisionale anticarro e del battaglione divisionale di riserva il II battaglione del 100° reggimento cacciatori da montagna (inquadrato nella 5ª divisione della medesima specialità), servendosi inoltre del II battaglione del 100° reggimento cacciatori da montagna (inquadrato nella 5ª divisione della medesima specialità); a essi si aggiunsero un gruppo di combattimento della 13ª divisione costiera della Kriegsmarine, nonché unità della RSI: i Cacciatori degli Appennini e un battaglione della divisione «San Marco». La resistenza frapposta dai partigiani avrebbe inlitto ai rastrellatori 12 morti e 21 messi fuori combattimento (di cui rispettivamente 4 e 12 tra i salodiani); essi sarebbero però riusciti a cagionare ai propri avversari 137 caduti e 122 feriti secondo le fonti tedesche, rispettivamente 165 e 32 secondo quelle militari italiane, le quali danno conto anche di 364 catture; tra i prigionieri alcuni risultano deportati a Mauthausen, dopo essere passati per il DuLag di Bolzano: «[Nel] trasporto [...] che parte il 1 febbraio 1945 [da Bolzano] per Mauthausen [...] vi sono 11 cuneesi di cui 8 partigiani [...]. Parecchi di loro erano stati arrestati nell’ambito dei grandi rastrellamenti del novembre-dicembre contro le formazioni Autonome 680 di Enrico Martini “Mauri” e le brigate Garibaldine delle Langhe dopo la caduta della Repubblica partigiana di Alba, o contro le autonome Rinnovamento della Valle Pesio».383 A metà novembre veniva lanciata un’ulteriore operazione (Herbstzeitlose) in provincia di Torino, nel Canavese, tra gli abitati di Corio e del Pian d’Audi. Sotto il comando della 157ª divisione da montagna, inquadrata nel LXXV corpo d’armata dell’Armata Liguria, due Ost-Bataillonen, il 617° e il 406°, formati entrambi da ex prigionieri di guerra russi e posti agli ordini dello stato maggiore del 38° Sicherungs-Regiment, rastrellavano la zona, uccidendo 64 persone tra partigiani e civili e facendo 14 prigionieri.384 L’Alto Monferrato, al conine con la Langa, dove tra l’estate e l’autunno si era venuta costituendo un’importante zona libera in cui il potere era detenuto dalle forze della Resistenza, fu oggetto dalla metà di novembre di una grande offensiva, protrattasi ino alla vigilia di natale 1944 e segnata, il 2 dicembre, dalla caduta di Nizza, centro della zona libera. Avviato il 15 novembre come operazione di polizia sotto la direzione dell’Oberitalien-West con la denominazione di Koblenz, il rastrellamento avrebbe visto il 2 dicembre, con l’attacco alla capitale della zona libera, l’intervento diretto del corpo d’armata «Lombardia», mutando di conseguenza la propria denominazione in Koblenz-Süd; ad agire sul terreno sarebbe stato il 15° reggimento della Orpo, unità della Gendarmerie, aliquote della Flak (quindi Luftwaffe), e, tra i salodiani, forze della Legione autonoma «Ettore Muti», della divisione «San Marco» e della GNR. La documentazione tedesca fa cenno a un solo caduto, italiano, e a 23 feriti in tutto tra i rastrellatori, mentre le perdite tra partigiani e civili vengono quantiicate in un numero variabile ma comunque elevato di morti (da 85 a 170), parecchie centinaia di prigionieri (da 361 a 571), da quasi 1000 a 1500 avviati al lavoro coatto. è comunque certo che una quota, sia pur minoritaria, dei catturati sarebbe stata deportata, con destinazione inale Mauthausen e Flossenbürg.385 681 «La GNR di Asti afferma di avere catturato, tra il 2 ed il 10 dicembre 1944, 110 partigiani nella sola zona di Rocchetta Tanaro, Belveglio e Mombercelli, mentre fonti partigiane parlano di circa 150 uomini che, entro la metà del mese, vengono arrestati o si consegnano spontaneamente sperando di evitare l’invio in Germania. In realtà [...] i rastrellati nel corso dell’intera operazione sono diverse centinaia e, tra loro, i partigiani non costituiscono la maggioranza [...]. Le centinaia di persone fermate nel corso del grande rastrellamento [...] seguono [...] un percorso [particolare]: condotti nella caserma di Felizzano, vengono in parte liberati ed in parte trasferiti alla carceri Nuove di Torino. In questo quadro [...], appare interessante analizzare un caso speciico, particolare perché “collettivo”, rimasto a segnare in modo indelebile la memoria della comunità coinvolta: Rocchetta Tanaro è un paese contadino adagiato lungo la riva del iume, con alle spalle ripide colline coperte di vigneti e di boschi, ai conini della “repubblica partigiana”. Il rastrellamento [...] provoca lo sbandamento del locale distaccamento della 100° brigata Garibaldi, un giovane partigiano muore negli scontri ed in paese si insedia un presidio fascista. Un proclama irmato dal comandante della Brigata Nera di Alessandria promette agli sbandati e ai renitenti che si consegnano un trattamento di favore. Dopo molte esitazioni, il 7 dicembre il comandante del distaccamento, fratello del partigiano caduto pochi giorni prima, viene convinto dalla madre a consegnarsi alla Brigata Nera ed il suo esempio viene seguito da diversi giovani del paese. Nonostante le promesse e le assicurazioni ricevute, 37 rocchettesi vengono trasferiti alle Nuove di Torino e deportati nelle settimane successive. [...] 31 di loro [sarebbero restati] a Bolzano, tre [inirono] a Flossenbürg, due a Mauthausen e uno a Buchenwald.»386 La Liguria Per quanto riguarda la Liguria, la prima azione violenta di rappresaglia contro la popolazione civile si era veriicata a Savona il 23 dicembre 1943: in seguito a un attentato in un locale abitualmente frequentato da fascisti, che aveva causato alcuni morti e feriti, tra cui due tedeschi, erano state arrestate 70 persone e fucilati sette antifascisti.387 Le aree alpine e appenniniche della regione sarebbero poi state ovviamente coinvolte dai grandi rastrellamenti primaverili in val Casotto e sul monte Tobbio, di cui si è già dettagliatamente parlato, 682 nonché da quello, coevo, svoltosi tra il 4 e il 7 aprile tra il monte Gottero e Sesta Godano, un’area a cavallo tra La Spezia e Massa, dove ad agire, sotto la guida della 135ª brigata da fortezza, sarebbero stati il 907º battaglione da fortezza tedesco e la X Mas. I rastrellatori avrebbero avuto solo un ferito, mentre tra partigiani e civili si sarebbero lamentati 12 caduti e 35 prigionieri. Dopo la nascita delle cosiddette «repubbliche partigiane» e la strutturazione per zone operative partigiane della regione,388 a luglio i comandi tedeschi decidevano di avviare un piano di attacco tramite una serie di operazioni in diversi punti della costa, volte a tenere sgombre le vie di comunicazione con l’entroterra. Particolarmente attivo si dimostrò il 3º battaglione cacciatori d’alta montagna (Hochgebirgsjäger), inquadrato nel LXXV Corpo d’armata e comandato dal maggiore Friedrich Bader, che a Taggia, nel Savonese, rastrellò 91 persone poi trasferite in Germania,389 e che il 21 luglio avrebbe occupato il centro abitato di Castiglione Chiavarese, catturando 60 persone in parte soggette agli obblighi di leva.390 Il 14 precedente il 25º reggimento cacciatori, inquadrato nella 42ª divisione cacciatori posta agli ordini del reparto di corpo d’armata Lieb, rastrellava la zona intorno al Monte Carmo, in particolare le località di Toirano e Bardineto, uccidendo 4 partigiani, arrestandone altri 22 prigionieri e catturando 50 civili.391 A ine luglio, tra il 25 e il 29, la 34ª divisione di fanteria passava al setaccio Albenga, Garessio, Pievetta, Ceva e diversi altri comuni della Val Tanaro lungo la strada statale 28, linea di collegamento tra il basso Piemonte e la riviera ligure; l’operazione portava a una quindicina di morti e alla cattura di 49 uomini, poi trasferiti come lavoratori coatti nelle installazioni produttive della ReiMaHG di Kahla.392 Il 27 luglio in provincia di La Spezia, in seguito alla cattura di alcuni militari tedeschi caduti in mano partigiana, reparti della marina tedesca e della contraerea (Flak) attaccarono per rappresagli le località di Piana Battola e Bovecchio, dove erano stati visti «ribelli», e arrestarono 42 persone; dopo alcuni 683 scontri a fuoco nei pressi di una delle località venivano catturati altri 52 civili; in totale 94 persone sarebbero in seguito state avviate al lavoro coatto.393 Tra il 9 e il 10 agosto presso Lavaggiorosso, Levanto e Bonassola, a nord-ovest di La Spezia, la 135ª brigata da fortezza conduceva un rastrellamento che portava alla cattura di più di 200 persone.394 Dalla grandi operazioni antiguerriglia dell’autunno sarebbe stata colpita soprattutto la Liguria orientale, a un tempo retrovia del fronte ormai assestatosi sul tratto della Linea Gotica collocato nell’adiacente Lunigiana e punto di contatto con l’Oltrepò Pavese. Il 23 agosto, nei giorni immediatamente precedenti l’avvio della prima vasta offensiva sull’Appennino ligure-piemontese-emiliano, vennero passati a setaccio alcuni comuni della Lunigiana a cavallo delle province di La Spezia e Massa Carrara, nell’area a ovest di Tresana, Aulla, Villafranca. A guidare l’operazione fu il XIV corpo d’armata corazzato, mentre ad agire furono unità del 40° reggimento cacciatori della 20ª divisione da campo della Luftwaffe. L’operazione terminava con la distruzione di alcuni magazzini di munizioni, 2 morti e 210 prigionieri.395 Il 7 settembre il monte Caucaso a nord di Rapallo veniva rastrellato dalla divisione «Monterosa», alla caccia di membri di un proprio reparto che avevano disertato; l’azione, disposta dal corpo d’armata Lombardia, portava all’uccisione di 6 persone, alla cattura di 20 disertori, dei quali 8 passati per le armi, e al trasferimento in Germania di 70 prigionieri.396 Il 13 settembre a Fosdinovo, località a nord di Sarzana, tra La Spezia e Massa Carrara, un rastrellamento condotto sotto il comando del XIV corpo d’armata corazzato sfociava nell’uccisione di 12 persone e nella cattura di altre 113.397 La campagna antipartigiana lanciata da Kesselring a ottobre avrebbe colpito anche qui; con la prima settimana di lotta alle bande sarebbero stati sferrati attacchi in forza tra l’Imperiese e il Cuneese colpendo i centri abitati di Pigna, Triora, Mendatica, Upega; poi con l’operazione Milano, di cui già si è detto, sarebbe stata investita tutta l’area dei monti Antola, Caucaso e di Torriglia; e inine nello spazio lunigianense tra 684 La Spezia e Massa furono rastrellati i comuni di Villafranca in Lunigiana, Mulazzo, Rocchetta di Vara e Tressana. Tra la ine di novembre e dicembre la riviera di Levante veniva coinvolta nel ciclo di rastrellamenti pianiicati per liberare le linee di comunicazione alle spalle della Linea Verde, attraverso le succitate operazioni Heygendorff e Aachen, completate dal 19 al 23 dicembre con l’operazione Straßburg che prese di mira lo spazio a est della strada statale 35 tra Ronco Scrivia e Bolzaneto estendendosi ino a Torriglia, al monte Antola e al monte Carmo. Sotto il comando del corpo d’armata «Lombardia», vennero utilizzati da parte tedesca un battaglione della 162ª divisione di fanteria «Turk», unità della 135ª brigata da fortezza guidata da Kurt Almers, unità di allarme, gruppi di artiglieria dell’esercito e della Kriegsmarine, e per i salodiani, la 4ª compagnia della divisione «Monterosa», la XXXI Brigata Nera «Silvio Parodi», reparti della GNR. Le fonti tedesche danno come esito dell’operazione 20 caduti e 4 feriti, a fronte di un morto tra le proprie ile, e affermano di aver potuto, grazie all’azione, riprendere il controllo delle strade. In chiusura val la pena di segnalare l’operazione antipartigiana, avvenuta tra il 6 e il 29 gennaio 1945 in provincia di Imperia, sotto il comando della 34ª divisione di fanteria; sul terreno furono impegnati l’80° reggimento granatieri e il gruppo di combattimento Klingelmann per i tedeschi; per i salodiani il raggruppamento Cacciatori degli Appennini. Il risultato sarebbe stato di 17 morti, 1 ferito, 14 prigionieri tra i partigiani, unitamente alla cattura di 200 renitenti alla leva.398 Note 1 Mario Giovana, Resistenza nel Cuneese: storia di una formazione partigiana, Torino, Einaudi, 1964, pp. 79-80. 2 Per una rilessione sulla violenza nazista in territorio italiano mi permetto di rimandare a Fiammetta Balestracci, Il nazismo e gli storici italiani dopo l’89. La questione della violenza, in «Annali dell’Istituto storico italogermanico in Trento», anno XXXIV, 2008, pp. 533-556. 685 3 Antonio Politi, Le dottrine tedesche di controguerriglia 1936-1944, Roma, Uficio storico dello Stato maggiore dell’Esercito, 1991. 4 Per una teorizzazione dei crimini coloniali come precedente della violenza nazista, cfr. Enzo Traverso, La violenza nazista. Una genealogia, Bologna, Il Mulino, 2002. 5 Cfr. le pagine dedicate al quadro baltico nell’immediato primo dopoguerra in Davide Artico, Brunello Mantelli (a cura di), Da Versailles a Monaco. Vent’anni di guerre dimenticate, Torino, UTET, 2010. 6 I testi di riferimento sono Antonio Politi, Le dottrine tedesche di controguerriglia, cit.; Cecilia Winterhalter, L’eficienza della resistenza armata nell’Italia del 1943-1945 secondo la valutazione nazista, in «Il Risorgimento», anno XLII, 1991, n. 1, pp. 55-81; Hanns Schneider-Bosgard, Bandenkampf. Resistenza e controguerriglia al conine orientale, a cura di Antonio Sema, Gorizia, Libreria Editrice Goriziana, 2003 [edizione originale Bandenkampf in der Operationszone adriatisches Küstenland, Triest, Deutscher Adria-Verlag, 1944; si tratta di un manuale pratico di controguerriglia, come mostra il sottotitolo-avvertenza: nur für den Dienstgebrauch = solo per persone autorizzate]. 7 L’uso del termine «rastrellamento», così come qui inteso, diventa prevalente su altre accezioni in Italia dopo le azioni militari compiute nel corso della Seconda guerra mondiale dalle forze armate tedesche e italiane. Prima di allora il termine era utilizzato soprattutto in ambito agricolo; nella terminologia militare era riferito solitamente all’operazione di sminamento di un territorio. All’azione militare in un contesto di guerra non convenzionale, seguita dall’eventuale cattura di civili, ci si riferiva con termini vari quali massacri, stragi e razzie di uomini. Nei grandi dizionari e nelle enciclopedie italiane dell’Ottocento e della prima metà del Novecento, il termine o non è registrato, oppure compare nelle vecchie accezioni suaccennate, mentre si trova la voce con il signiicato qui attribuito nei grandi dizionari e nelle enciclopedie militari posteriori all’ultimo conlitto mondiale. 8 Nelle fonti consultate da Carlo Gentile, che ha studiato a fondo questa prassi militare, si rintracciano i seguenti termini: Such- und Vergeltungsmaßnahme, Sühnemaßahme, Jagdunternehmen, Kesselunternehmen, Stoßtruppunternehmen, Säuberungsaktion, Aufklärungsaktion, per citare quelli più utilizzati. 9 Il database sui rastrellamenti elaborato da Carlo Gentile è stato trasmesso a suo tempo al gruppo di ricerca torinese; dal 2007 al 2011 l’elenco è stato consultabile on line sul sito dell’Università di Pisa, all’URL: http:// www.stm.unipi.it:81/stmstragi/documentita.php, dove però da tempo non è più visibile. Questo saggio era già stato completato quando è stato reso disponibile al lettore il frutto compiuto e maturo delle ricerche dello stesso Gentile, Wehrmacht, Waffen-SS und Polizei im Kampf gegen Partisanen und Zivilbevölkerung in Italien, Paderborn, Schöningh, 2012, di cui è annunciata l’imminente traduzione italiana presso la casa editrice subalpina Einaudi. 686 Nel volume sono comunque conluiti e sono stati rifusi i numerosi studi di cui qui si è cercato di dare conto. 10 Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici 1943-1945, Milano, Mursia, 2009, volume I del Libro dei deportati, ricerca del Dipartimento di Storia dell’Università di Torino diretta da Brunello Mantelli e Nicola Tranfaglia, promossa da ANED – Associazione Nazionale Ex Deportati. 11 Vorrei ricordare con gratitudine le persone che dal 2003 a oggi hanno contribuito con conversazioni informali e scambi di informazioni a sviluppare questa ricerca. Tra loro Barbara Berruti, Enzo Collotti, Stefano Di Giusto, Lorenzo Gardumi, Carlo Gentile e Liliana Picciotto. Vorrei ringraziare inoltre, per la disponibilità e la collaborazione prestata, la Biblioteca della Fondazione del Museo Storico di Trento, la Biblioteca dell’Istituto Storico della Resistenza in Piemonte di Torino e la Biblioteca della Fondazione Luigi Einaudi di Torino. 12 Per un inquadramento della politica d’occupazione nazista in Italia all’interno del contesto bellico generale, cfr. Giorgio Rochat, La campagna d’Italia 1943-45, in Enzo Collotti, Renato Sandri, Frediano Sessi (a cura di), Dizionario della Resistenza, volume I, Storia e geograia della Liberazione, Torino, Einaudi, 2000, pp. 193-206. Sul dibattito in seno alla direzione politica e militare tedesca circa la strategia da adottare in Italia, una volta disarmate le Regie forze armate, rinvio a Josef Schröder, Italiens Kriegsaustritt 1943. Die deutschen Gegenmassnahmen im italienischen Raum. Fall «Alarich» und «Achse», Göttingen, Musterschmidt, 1969. 13 Per una rilessione generale sui metodi e sulla funzionalità della «guerra antipartigiana» nei piani dell’esercito tedesco sui diversi fronti, compreso quello italiano, cfr. Lutz Klinkhammer, La guerra antipartigiana della Wehrmacht. 1941-1944, in «Memoria e ricerca», n. 16 n.s., maggio-agosto 2004, pp. 9-32. 14 Sulla «guerra ai civili» in Italia si è sviluppato un ampio dibattito, la cui origine si deve far risalire alla pubblicazione a metà anni Novanta del libro di Friedrich Andrae, La Wehrmacht in Italia: la guerra delle forze armate tedesche contro la popolazione civile, 1943-45, Roma, Editori Riuniti, 1997 [edizione originale «Auch gegen Frauen und Kinder». Der Krieg der Wehrmacht gegen die Zivilbevölkerung in Italien 1943-1944, München, Piper, 1995]. Andrae riprendeva le rilessioni di Gerhard Schreiber in La Wehrmacht e la guerra ai partigiani in Italia «anche contro donne e bambini», in «Studi piacentini. Rivista dell’Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea», n. 15, 1994, pp. 97-120. Al libro di Andrae ha fatto seguito lo studio di Paolo Pezzino, Michele Battini Guerra ai civili. Occupazione tedesca e politica del massacro 1944, Venezia, Marsilio, 1997, da cui è emersa la funzionalità di questa pratica di violenza nella politica antipartigiana tedesca sul fronte italiano. Su tale aspetto della politica di occupazione sono fondamentali i contributi raccolti nei volumi di Gabriella Gribaudi (a cura di), Terra bruciata. Le stragi na- 687 ziste sul fronte meridionale, Napoli, L’ancora del Mediterraneo, 2003; Eadem, Guerra totale. Tra bombe alleate e violenze naziste. Napoli e il fronte meridionale 1940-44, Torino, Bollati Boringhieri, 2005; Gianluca Fulvetti, Francesca Pelini (a cura di), La politica del massacro. Per un atlante delle stragi naziste in Toscana, Napoli, L’ancora del Mediterraneo, 2006; Luciano Casali, Dianella Gagliani (a cura di), La politica del terrore. Stragi e violenze naziste e fasciste in Emilia Romagna, Napoli, L’ancora del mediterraneo, 2008. 15 Lutz Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia 1943-1945, Torino, Bollati Boringhieri, 1993 [edizione originale: Zwischen Bündnis und Besatzung. Die nationalsozialistische Deutschland und die Republik von Salò 1943 bis 45, Tübingen, Niemayer, 1993], pp. 51-69. 16 Ivi, p. 51 e ss. La struttura dell’occupazione era stata deinita con un’ordinanza del Führer il 10 settembre 1943, a cui avrebbe fatto seguito un’ordinanza dell’OKW il 10 ottobre successivo. 17 Per una descrizione dell’apparato di polizia in Italia vedi Carlo Gentile, Lutz Klinkhammer, Gegen die Verbündeten von einst, in Gerhard Paul, Klaus Michael Mallmann (a cura di), Die Gestapo im zweiten Weltkrieg. «Heimatfront» und besetztes Europa, Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 2000, pp. 521-540; Guido Pisi, Aussenkommando Parma. L’attività della Polizia di sicurezza-SD, in «Storia e Documenti», n. 5, 1999, pp. 63-92; Enzo Collotti, Dati sulle forze di polizia fasciste e tedesche nell’Italia settentrionale nell’aprile 1945, in «Il Movimento di Liberazione in Italia», n. 71, 1963. Per quanto riguarda l’attività della macchina repressiva e deportatoria nell’Italia occupata si rinvia agli studi contenuti in Brunello Mantelli (a cura di), Deportati, deportatori, tempi, luoghi, Milano, Mursia, 2010, vol. II del Libro dei deportati, ricerca del Dipartimento di Storia dell’Università di Torino diretta da Brunello Mantelli e Nicola Tranfaglia, promossa da ANED – Associazione Nazionale Ex Deportati. 18 Vedi Guido Pisi, Aussenkommando Parma, cit., p. 64. 19 Carlo Gentile, Lutz Klinkhammer, Gegen die Verbündeten von einst, cit., p. 527. 20 L’Einsatzkommando Bürger era composto da tre compagnie della Orpo che avevano operato nell’Ucraina occupata contro i partigiani sovietici, poi all’inizio di dicembre 1943 erano state trasferite in Italia e dislocate a Varese. Avevano condotto i primi combattimenti in Val Maira, nel cuneese, nel marzo 1944, poi in aprile, dopo la nomina di Bürger a comandante della zona di polizia Mittelitalien, erano state trasferite in Umbria. Erano state impiegate nell’area di Perugia e Spoleto, in Toscana in provincia di Arezzo, nell’Appennino tosco-emiliano in provincia di Modena ino a metà agosto, poi, dopo il trasferimento di Bürger, avevano operato in Veneto e Lombardia. In proposito cfr. Carlo Gentile, La repressione antipartigiana tedesca nel Veneto e nel Friuli, in Angelo Ventura (a cura di), La società veneta dalla Resistenza alla Repubblica, Padova, Cleup, 1997, p. 205, nota 74. 21 L’uficiale di polizia e della SS Herbert Andorfer era stato in preceden- 688 za (1941) massimo responsabile della polizia e della SS a Belgrado nonché, dal gennaio 1942, comandante del Lager di Semlin (in serbo Sajmište) dove furono gasati oltre 7.000 ebrei. Cfr. Brunello Mantelli, Furor italicus e furor teutonicus. I rastrellamenti nelle Marche nel quadro delle operazioni antipartigiane 1943-45, in Sergio Bugiardini (a cura di), Violenza, tragedia e memoria della Repubblica sociale italiana, Roma, Carocci, 2007, p. 281. Cfr. inoltre le note biograiche contenute in Carlo Gentile, La repressione antipartigiana tedesca nel Veneto e nel Friuli, cit., pp. 171-213; in particolare a p. 180. 22 Sulle funzioni delle unità impiegate dall’amministrazione militare nella repressione antipartigiana cfr. Carlo Gentile, La repressione antipartigiana tedesca nel Veneto e nel Friuli, cit., p. 180, nota 13. 23 Sul conlitto apertosi tra i comandi delle diverse strutture di occupazione per il comando sulla lotta alle bande, oltre a Kutz Klinkhammer, L’occupazione tedesca, cit., p. 343, vedi le ricostruzioni dettagliate di Carlo Gentile, Truppe tedesche, repressione antipartigiana e stragi di civili in Toscana, in Idem (a cura di), Le stragi nazifasciste in Toscana 1943-45. Guida archivistica alla memoria. Gli archivi tedeschi, con una prefazione di Enzo Collotti, Roma, Carocci, 2005, pp. 68-131; e di Gerhard Schreiber, La controguerriglia tedesca in Italia, in Pier Paolo Poggio, Bruna Micheletti (a cura di), La guerra partigiana in Italia e in Europa. Relazioni presentate al convegno, Brescia, 22-24 marzo 1995, «Annali della Fondazione Luigi Micheletti», n. 8, 2001, pp. 117-120. 24 Reparto speciale impiego R, dove la R stava per Reinhard, nome in codice dell’azione di sterminio condotta nel territorio polacco occupato e chiamata appunto Aktion o Einsatz Reinhard. 25 Karl Heinz Bürger «era (...) un ex insegnante di scuola elementare di 40 anni, entrato a 19 anni a Monaco nella milizia di partito SA, partecipò al fallito Putsch hitleriano del 9 novembre 1923 e fu membro del partito nazionalsocialista a partire dall’aprile 1927; passato dalle SA alle SS nel gennaio 1933 e dopo dificoltà economiche nel periodo di Weimar, intraprese una carriera poco spettacolare nel campo dell’istruzione ideologica nazista, ma a partire dall’estate del 1942, Bürger fu inviato in Russia a fare “esperienza” come capo di un reparto mobile di polizia destinato al Caucaso e poi impegnato nella repressione antipartigiana in Ucraina. Con il suo reparto al completo egli giungerà in Italia nel dicembre 1943», in Carlo Gentile, La repressione antipartigiana tedesca nel Veneto e nel Friuli, cit., p. 177. 26 Ivi, p. 176. 27 Antonio Politi, Le dottrine tedesche, cit., p. 75 e ss. 28 Luigi Ganapini, La repubblica delle camicie nere. I combattenti, i politici, gli amministratori, i socializzatori, Milano, Garzanti, 1999, p. 42. 29 Andrea Rossi, Le guerre delle camicie nere. La milizia fascista dalla guerra mondiale alla guerra civile, Pisa, Biblioteca Franco Serantini, 2004, p. 95. 30 Secondo i dati raccolti da Carlo Gentile per tutta l’Italia occupata, la prima partecipazione della GNR ai cicli repressivi tedeschi risalirebbe al rastrellamento compiuto il 3 dicembre 1943 a Cortemilia nell’area del Cuneese 689 sotto il comando dallo stato maggiore del LXXVII corpo d’armata tedesco, mentre l’ultima operazione datata 19 aprile 1945 si compiva sul Monte Faudo nella provincia di Imperia. Alcune rilessioni sull’apporto delle forze armate italiane alla repressione antipartigiana sono svolte da Brunello Mantelli in Furor italicus e furor teutonicus, cit., pp. 277-282. 31 Dianella Gagliani, Guerra terroristica, in Luciano Casali, Dianella Gagliani (a cura di), La politica del terrore, cit., pp. 29-41, Giancarlo Fulvetti, La guerra ai civili in Toscana, cit., in Giancarlo Fulvetti, Francesca Pelini (a cura di), La politica del massacro, cit., pp. 25 e 28 e ss. e Carlo Gentile, Truppe tedesche e repressione antipartigiana nell’Emilia Occidentale, in «Storia e documenti», n. 6, 2001, p. 121. 32 Lutz Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia, cit., p. 335, nota 59, circolare di Renato Ricci del 18 aprile 1944. 33 Sulla crisi della GNR cfr. Giampaolo Pansa, L’esercito di Salò nei rapporti riservati della Guardia nazionale repubblicana 1943-44, Milano, Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione, 1969 (più volte ristampato presso Arnoldo Mondadori, dal 1991 con il titolo Il gladio e l’alloro), p. 108 e ss.; Luigi Ganapini, La repubblica delle camicie nere, cit., pp. 44-45. Secondo i dati forniti da Rodolfo Graziani la GNR aveva toccato il massimo della sua espansione nel gennaio 1944 con 140.000 militi, scesi nel giugno 1944 a 93.000 di cui 48.000 alle dipendenze dei tedeschi e 45.000 alle dipendenze dello stato maggiore ma immobilizzati nell’organizzazione territoriale. Secondo i dati riportati da Ganapini, nell’ottobre 1944 se ne contavano appena 32.000, mentre si aggiravano intorno ai 72.000 nell’aprile 1945. 34 Il decreto è riprodotto in Dianella Gagliani, Brigate Nere. Mussolini e la militarizzazione del Partito fascista repubblicano, Torino, Bollati Boringhieri, 1999, pp. 273-283. 35 Ivi, p. 50. 36 Ivi, p. 125. 37 Secondo Dianella Gagliani, tra luglio e ottobre 1944 i militi delle BN ammontavano a 17.440, mentre Pansa parla di 22.000 a ine guerra, sulla base delle stime tedesche (cfr. Dianella Gagliani, Brigate Nere, cit., p. 164; e Giampaolo Pansa, L’esercito di Salò, cit., p. 154). 38 Dianella Gagliani, Brigate Nere, cit., p. 197. 39 Massimiliano Griner, La «pupilla» del Duce. La Legione autonoma mobile Ettore Muti, Torino, Bollati Boringhieri, 2004, p. 140 e ss. 40 Carlo Gentile, Truppe tedesche e repressione antipartigiana nell’Emilia occidentale, cit., pp. 115-134. 41 Marco Ruzzi, L’apparato militare della RSI in provincia di Cuneo: le unità del Centro addestramento reparti speciali (CARS). Aprile-dicembre 1944, in «Il presente e la storia», n. 46, 1994, pp. 125-170. Sul Co.gu cfr. nota 41 a p. 140. 42 Sul Korpsabteilung Lieb v. Carlo Gentile, Tedeschi in Italia. Presenza militare nell’Italia nord-occidentale, in «Notiziario dell’Istituto storico della Resistenza in Cuneo e provincia», 1991, n. 40, pp. 29-30. 690 43 Secondo i dati forniti da Pansa a causa delle fughe, senza contare le fucilazioni per indisciplina, nell’autunno la San Marco e la Monterosa avevano rispettivamente perso, per diserzione 1.400 e 1.015 unità (cfr. Giampaolo Pansa, L’esercito di Salò, cit., p. 182). 44 Il nucleo originario delle Waffen SS si era formato nel 1934 dalla fusione della guardia del corpo di Hitler (Leibstandarte Adolf Hitler) e delle squadre politiche d’intervento della SS (Politische Bereitschaften der SS). Nel giugno del 1944 ne facevano uficialmente parte circa 600.000 uomini, parte dei quali non tedeschi reclutati, su base volontaria, nei diversi Stati occupati dalla Wehrmacht. Su questo corpo politico militare, che si autoproclamava «d’élite» e che dipendeva strutturalmente da Heinrich Himmler in quanto SS-Reichsführer, sebbene funzionamente inquadrato, nei teatri di guerra, nella Wehrmacht e perciò sottoposto in quel contesto alle direttive dell’OKW cfr. la voce a esso dedicata in Pierre Milza, Serge Berstein, Nicola Tranfaglia, Brunello Mantelli (a cura di), Dizionario dei fascismi, Milano, Bompiani, 2005 (prima edizione 2002), pp. 742-44. Vedi anche ivi alla voce «Collaborazionismo», p. 128. Cfr. inoltre, per quanto riguarda quegli italiani che, dopo l’8 settembre 1943, scelsero di arruolarvisi, Ricciotti Lazzero, Le SS italiane, Milano, Rizzoli, 1982. 45 Ce ne sarebbe poi stata una seconda con lo stesso nome ma che avrebbe interessato la riviera ligure. 46 Cfr. Jack Green, Alessandro Massignani, Il principe nero. Junio Valerio Borghese e la X Mas, Milano, Mondadori, 2007 [edizione originale: The Black Prince and the Sea Devils. The story of Valerio Borghese and the elite units of the Decima MAS, Cambridge, Da Capo, 2004]; e Stefano Di Giusto, Operationszone Adriatisches Küstenland. Udine Gorizia Trieste Pola Fiume e Lubiana durante l’occupazione tedesca 1943-45, Udine, Istituto friulano per la storia del movimento di liberazione, 2005, p. 415 e ss. 47 Si fa naturalmente riferimento alle province al tempo esistenti, nell’estensione di allora. 48 Per un esame del sistema di potere nell’Adriatisches Küstenland si vedano Karl Stuhlpfarrer, Le zone d’operazione Prealpi e Litorale Adriatico, Gorizia, Libreria Adamo, 1979 [edizione originale: Die Operationszonen «Alpenvorland» und «Adriatisches Künstenland» 1943-1945, Wien, Hollinek, 1969]; Michael Wedekind, Nationalsozialistische Besatzungs- und Annexionspolitik in Norditalien 1943 bis 1945. Die Operationszonen Alpenvorland und Adriatisches Küstenland, München, Oldenbourg, 2003. 49 Per una descrizione delle unità dell’esercito presenti nella zona del Litorale Adriatico cfr. Stefano Di Giusto, Operationszone Adriatisches Küstenland, cit., p. 16 e ss.; Carlo Gentile, La repressione antipartigiana tedesca nel Veneto e nel Friuli; cit., p. 190. Indicazioni utili si trovano anche in Roland Kaltenegger, Zona d’operazione Litorale Adriatico, Gorizia, Libreria Editrice Goriziana, 1996 [edizione originale: Operationszone «Adriatisches Küstenland». Der Kampf um Triest, Istrien und Fiume 1944/45, Graz-Stuttgart, 691 Stocker, 1993]; e Pier Arrigo Carnier, Lo sterminio mancato. La dominazione nazista nel Veneto orientale 1943-1945, Milano, Mursia, 1982. 50 Formazione costituita nell’estate 1942 con l’obiettivo di controbattere nella zona del Carso le attività della Resistenza jugoslava, la componevano dopo l’8 settembre 1943 volontari in parte originari della zona, di lingua sia italiana, sia slovena, oltre ad austriaci, tedeschi, ucraini, serbi, croati. Dall’agosto 1944 sarebbe stata elevata al rango di divisione (24. Waffen-Gebirgs-[Karstjäger-]Division der SS). 51 Maurice Williams, Friedrich Rainer e Odilo Globocnik. L’amicizia insolita e i ruoli sinistri di due nazisti tipici, in «Qualestoria», anno XXV, 1997, n. 1, pp. 141-175. Per quanto riguarda la polizia vedi Tone Ferenc, La polizia tedesca nella Zona d’Operazioni «Litorale Adriatico» 1943-1945, in «Storia contemporanea in Friuli», a. IX, n. 10, 1979, pp. 13-98; Michael Wedekind, Nationalsozialistische Besatzungs- und Annexionspolitik, cit., pp. 305-348; Stefano Di Giusto, Operationszone Adriatisches Küstenland, cit., pp. 170 e ss. 52 Tone Ferenc, La polizia tedesca nella Zona d’Operazioni «Litorale Adriatico», cit., pp. 77-78 e Stefano Di Giusto, Operationszone Adriatisches Küstenland, cit. p. 309. 53 Sull’attività dei collaborazionisti nel Litorale Adriatico vedi Giancarlo Bertuzzi, Aspetti e vicende del collaborazionismo a Trieste, in Pier Paolo Poggio (a cura di), La Repubblica Sociale Italiana 1943-45, «Annali della Fondazione-Archivio “Luigi Micheletti”», n. 2, 1986, pp. 175-187, Boris Mlakar, Rapporti tra collaborazionisti sloveni ed italiani nel Litorale. La politica dell’occupatore tedesco nella zona di operazione del Litorale Adriatico, in «Qualestoria», anno XIV, 1988, n. 1, pp. 69-89; Anna Maria Vinci, Trieste 1943-1945. Il problema del collaborazionismo, ivi, pp 91-108; Tone Ferenc., La polizia tedesca, cit.; Katja Colja, Il collaborazionismo nell’Adriatisches Küstenland. La vicenda dei domobranci (1943-1945), in Marta Verginella, Sandi Volk, Katja Colja, Storia e memoria degli sloveni del Litorale. Fascismo, guerra e resistenza, Trieste, Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli-Venezia Giulia, 1994, pp. 123-160, Stefano Di Giusto, Operationszone Adriatisches Küstenland, cit., pp. 199 e ss. e 407 e ss. 54 Katja Colja, Il collaborazionismo nell’Adriatisches Küstenland, cit., p. 127 e ss. Nell’estate 1944 i Domobranci nella provincia di Lubiana erano circa 12.000, mentre in tutte le province italiane se ne contavano circa 1.850. Cfr. anche Stefano Di Giusto, Operationszone Adriatisches Küstenland, cit., pp. 489-9 e pp. 323-25. Erano 4.000 gli uomini del Corpo volontari serbi e 7.000 quelli della Divisione dinarica cetnica, cfr. Galliano Fogar, Litorale Adriatico, in Enzo Collotti, Frediano Sessi, Romano Sandri (a cura di), Dizionario della Resistenza, volume I, Storia e geograia, cit., p. 588. 55 Piero Stefanutti, Novocerkassk e dintorni. L’occupazione cosacca della Valle del Lago (ottobre 1944- aprile 1945), Udine, Istituto friulano per la storia del movimento di Liberazione, 1995; Enzo Collotti, Cronache dalla Carnia sotto l’occupazione nazista. L’insediamento cosacco nel Litorale Adriatico, in «Il 692 movimento di Liberazione in Italia», anno XX, aprile-giugno 1968, n. 91, pp. 62-102. Diverse indicazioni anche in Pier Arrigo Carnier, Lo sterminio mancato, cit., p. 141 e ss. 56 Questi numeri includevano anche molti civili, i militari in realtà erano circa la metà. Cfr. Stefano Di Giusto, Operationszone Adriatisches Küstenland, cit., pp. 500-508. 57 Sulla formazione della zona delle Prealpi vedi Margareth Lun, NS-Herrschaft in Südtirol. Die Operationszone Alpenvorland 1943-1945, InnsbruckWien, Studien-Verlag, 2004, p. 63 e ss.; Michael Wedekind, Nationalsozialistische Besatzungs- und Annexionxspolitik, cit., p. 73 e ss; Karl Stuhlpfarrer Le zone di operazioni Prealpi e Litorale Adriatico 1943-45, cit. 58 Michael Wedekind, Nationalsozialistische Besatzungs- und Annexionspolitik, cit., p. 317. 59 Carlo Gentile segnala 17.000 uomini per il SOD (Idem, La repressione antipartigiana tedesca, cit., p. 178) 60 Sul SOD e il CST vedi Michael Wedekind, Nationalsozialistische Besatzungs- und Annexionspolitik, cit., p. 332 e ss.; e Margareth Lun, NS-Herrschaft in Südtirol, cit., p. 162. Cfr. inoltre Guido Tomasi, La storia del Corpo di Sicurezza Trentino, C.S.T. 1944-1945, Trento, Moschini, 2000. Wedekind attribuisce al CST un massimo di 3.000 uomini (Idem, Nationalsozialistische Besatzungs- und Annexionxspolitik, cit., p. 336); Tomasi scrive di 3.200 uomini suddivisi in 13 compagnie (Idem, La storia, cit., p. 47); Carlo Gentile segnala nel giugno 1944 1.372 uomini per il CST (Idem, La repressione antipartigiana tedesca, cit., p. 179) 61 Margareth Lun, NS-Herrschaft in Südtirol, cit., p. 155. Nel febbraio 1944 il reggimento Bozen aveva una consistenza di 2.357 uomini. 62 Michael Wedekind, Nationalsozialistische Besatzungs- und Annexionspolitik, cit., p. 324. 63 Maria Garbari, Il gruppo carabinieri di Trento nei venti mesi dell’Alpenvorland, Trento, Società di studi trentini di scienze storiche, 1995; cfr. inoltre Michael Wedekind, Nationalsozialistische Besatzungs- und Annexionspolitik, cit., p. 350. 64 Le due disposizioni sono citate e analizzate in Gerhard Schreiber, La controguerriglia tedesca in Italia, cit., pp. 115-144. Cfr. dello stesso autore La vendetta tedesca. 1943-1945. Le rappresaglie naziste in Italia, Milano, Mondadori, 2000 [edizione originale: Deutsche Kriegsverbrechen in Italien. Täter, Opfer, Strafverfolgung, München, Beck, 1996], p. 91 e ss. Sull’entrata in vigore delle disposizioni in Italia cfr. Lutz. Klinkhammer, Stragi naziste in Italia 1943-44, Donzelli, Roma, 1997 (il riferimento puntuale è all’edizione del 2006, p. 51; anche in seguito le pagine di volta in volta indicate faranno riferimento a questa edizione). 65 Enzo Collotti, Obiettivi e metodi della guerra nazista. Le responsabilità della Wehrmacht, in Leonardo Paggi (a cura di), Storia e memoria di un massacro ordinario, Roma, Manifestolibri, 1996, pp. 24-45. è stato tuttavia osserva- 693 to che i diversi presupposti ideologici dei sistemi di occupazione applicati in «Occidente» avevano determinato per il contesto italiano una combinazione di radicalizzazione della violenza e di ricerca del consenso. Cfr. Lutz Klinkhammer, Stragi naziste in Italia 1943-44, cit., in particolare il capitolo L’Italia nell’Europa nazionalsocialista. La categoria di «Occidente», pp. 143-161. 66 Gerhard Schreiber, La controguerriglia tedesca in Italia cit., 123 e Lutz Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia cit., pp. 335-338. 67 Cfr. Enzo Collotti, «Occhio per occhio, dente per dente!». Un ordine di repressione tedesco nel Litorale Adriatico, in «Il movimento di Liberazione in Italia», n. 86, gennaio-marzo 1967, pp. 27-44; Elio Apih, Dal regime alla resistenza. Venezia Giulia 1922-1943, Udine, Del Banco, 1960. 68 Lutz Klinkhammer, L’occupazione tedesca, cit., p. 131. 69 Ivi, p. 71. 70 Sui complessivi 23.826 deportati politici le cui schede biograiche sono state pubblicate in Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici 1943-1945, cit., solo di circa un terzo (8.521 in tutto) è stato possibile accertare il luogo di cattura; tra essi gli arrestati in Campania risultano complessivamente 14, i catturati in Calabria 4, in Puglia 2, mentre nessuno viene preso in Basilicata (cfr. ivi, p. 2375). è quindi ragionevole pensare che tra le vittime delle retate e dei rastrellamenti operati dalla Wehrmacht prima di assestarsi sulla Linea Gustav solo alcune decine possano essere state trasferite nella rete dei KL. 71 In tutto il periodo dell’occupazione, complessivamente, i deportati in KL dal Litorale Adriatico furono 8.222 (cfr. Silva Bon, La deportazione dalla Operationszone Adriatisches Küstenland, in Brunello Mantelli [a cura di], Deportati, deportatori, tempi, luoghi, Milano, Mursia, 2010, volume II del Libro dei deportati, cit., p. 384); di conseguenza i rastrellati di questi primi mesi che siano poi stati trasportati in KL possono essere valutati in qualche centinaio. 72 Nel progetto originario dell’OKW anche questa area avrebbe dovuto essere trasformata formalmente in zona di operazioni, cfr. Brunello Mantelli, Le relazioni militari tedesche sul disarmo delle truppe italiane nell’Alessandrino dall’8 al 9 settembre 1943, in «Quaderno di storia contemporanea», 1990, n. 8, pp. 129-143; Idem, 8 settembre 1943. Il disarmo delle truppe italiane nell’Italia nordoccidentale, in «Mezzosecolo», n. 8, 1989 (recte: 1992), pp. 155-189. 73 Tra essi, per esempio, la retata fatta il 2 gennaio 1944 a Dronero e quella che colpì Saluzzo il 26 e 27 febbraio successivi; cfr. Michele Calandri, La deportazione politica dalla provincia di Cuneo. Un work in progress, in Brunello Mantelli (a cura di), Deportati, deportatori, cit., p. 122. 74 Gerhard Schreiber, La controguerriglia tedesca in Italia cit., p. 116. 75 Lutz Klinkhammer, L’occupazione tedesca cit., p. 14. 76 Cfr. Carlo Gentile, L’offensiva antipartigiana della primavera 1944, in Pier Mario Bologna, Marco Ruzzi (a cura di), La battaglia di Val Casotto 13-17 marzo 1944. Atti del Convegno, Castello Cordero di Pamparato, 14 marzo 1999, 694 numero monograico de «Il Presente e la Storia», n. 60, dicembre 2001, pp. 149-185. 77 Cfr. Brunello Mantelli, Aprile 1944. Il grande rastrellamento della Benedicta. Una rilettura attraverso le fonti tedesche, in «Italia contemporanea», 178, marzo 1990, pp. 83-99; Cesare Manganelli, Brunello Mantelli, Antifascisti, partigiani, ebrei. I deportati alessandrini nei campi di sterminio nazisti 19431945, Milano, Angeli, 1991; Giovanna D’Amico, Brunello Mantelli, Giovanni Villari, I ribelli della Benedicta. Proili, percorsi, biograie dei caduti e dei deportati, Bologna, Archetipolibri, 2011. 78 Una descrizione dei piani di primavera per la lotta alle bande per la zona nord-occidentale dell’Italia si trova in Lutz Klinkhammer, L’occupazione tedesca, cit., p. 343 e ss. Sui rastrellamenti vedi inoltre Carlo Gentile, Tedeschi in Italia, cit., pp. 15-56. 79 Lutz Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia, cit., p. 348-350; Brunello Mantelli, Deportazione dall’Italia (aspetti generali), in Enzo Collotti, Renato Sandri, Frediano Sessi (a cura di), Dizionario della Resistenza, volume I, Storia e geograia, cit., p. 136. 80 Gerhard Schreiber, La controguerriglia tedesca in Italia cit., p. 127. 81 Lutz Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia cit., p. 356 e ss. 82 Sull’ordine di Kesselring del 20 giugno 1944 vedi Gerhard Schreiber, La controguerriglia tedesca in Italia, cit., p. 127. 83 Si tratta della seconda Straßburg, la prima riguardò l’area a nord di Torino e il Canavese. 84 Gabriella Gribaudi, Le stragi naziste tra Salerno e la linea Gustav, in Gabriella Gribaudi (a cura di), Terra bruciata, cit., p. 24 e ss.; Eadem, Guerra totale, cit., p. 418. 85 Lutz Klinkhammer, L’occupazione tedesca, cit., p. 133. 86 Gabriella Gribaudi, Guerra totale, cit., p. 422. 87 Cfr. ivi, pp. 414-415; inoltre Giuseppe Capobianco, Il recupero della memoria. Per una storia della Resistenza in Terra di Lavoro, autunno 1943, Napoli, ESI, 1995, p. 78. 88 Sul caso di Castellammare vedi il saggio di Maria Porzio, Castellammare di Stabia. Violenze e razzie, in Gabriella Gribaudi (a cura di), Terra bruciata, cit., p. 185 e ss. 89 Vedi Gabriella Gribaudi, «Città distrutta, abitanti sterminati»: Acerra, 2 ottobre 1943, in Eadem (a cura di), Terra bruciata cit., pp. 231-250. 90 Gabriella Gribaudi, Guerra totale, cit., p. 417. 91 Alfredo Zazo, L’occupazione tedesca nella provincia di Benevento (8 settembre-28 ottobre 1943), in «Samnium», 1, 2001, pp. 5-70. 92 Descrizioni di rastrellamenti in queste località si trovano in Gabriella Gribaudi, Guerra totale, cit., p. 485. 93 Cfr. Marco De Nicolò, Antonio Parisella, Cronologia essenziale della Resistenza a Roma e nel Lazio (luglio 1943-giugno 1944), in Antonio Parisella (a cura di), Roma e Lazio 1930-1950. Guida per le ricerche, Milano, Angeli, 695 1994. Sulle repressioni nel basso Lazio cfr. Tommaso Baris, Tra due fuochi. Esperienza e memoria della guerra lungo la linea Gustav, Bari-Roma, Laterza, 2003. 94 Giuseppe Panimolle, La resistenza nell’Alta Val d’Aniene, Roma, Tipograia Garroni, 1966, pp. 24-24, 74, 77, 143. L’autore parla, genericamente, di 78 «deportati» su una popolazione complessiva di 50.000 abitanti, ma non sono presenti riscontri se non assai limitati nelle fonti concentrazionarie; tra le schede biograiche presenti in Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici 1943-1945, cit., sono appena 4 gli originari di Afile, tra cui tre forse tra loro imparentati: Assunta Peperoni, deportata a Ravensbrück in data incerta ma poi trasferita a Flossenbürg dove arriva il 9 ottobre 1944; Giuseppe e Luigi Peperoni, entrambi deportati a Dachau ma in date diverse: il primo sarebbe infatti arrivato nel KL monacense o il 28 aprile o il 28 settembre 1944, il secondo il 6 settembre dello stesso; il quarto afilano è Benedetto Ricci, anche lui giunto a Dachau il 28 aprile 1944. Se per loro, in particolare per Benedetto Ricci, Assunta e Giuseppe Peperoni (per quest’ultimo ancor di più se fosse giusta come data d’arrivo il 28 aprile), appare compatibile una deportazione in KL in seguito a una cattura avvenuta alla ine di settembre dell’anno precedente, meno probabile che abbiano seguito analogo percorso Giulio Fulgori, originario di Mandela, e Loreto Anselmi, di Bellegra, immatricolati entrambi a Buchenwald ma solo il 10 gennaio 1945 il primo, l’11 marzo successivo il secondo (si noti che Fulgori, immatricolato come Politisch a Buchewald, verrà successivamente classiicato Jude a Groß Rosen), cfr. per tutti ivi, ad nomen e ad locum. Di conseguenza si deve ritenere che la quasi totalità dei 78 trasferiti a forza a cui fa riferimento Panimolle sia stata utilizzata come manodopera coatta. Ad Afile sembra che per la cattura degli uomini fosse stata decisiva la collaborazione con i tedeschi di un «repubblichino» di Portogruaro. 95 Bruno Di Porto, La Resistenza nel Viterbese, «Quaderni della Resistenza laziale», n. 3, Roma, 1977, p. 38. V. Appendice operazioni. 96 Carlo Gentile, Itinerari di guerra. La presenza delle truppe tedesche nel Lazio occupato, testo on line in http://194.242.233.149/ortdb/Gentile-ItinerareLazio.pdf, p. 1 97 Cfr. Luca Baldissara (a cura di), Atlante storico della Resistenza italiana, Milano, Istituto nazionale per la storia del Movimento di Liberazione in Italia - Bruno Mondadori, 2000, tav. 8. 98 Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit.; cfr. Enrico Amatori, La Resistenza nel Reatino (1943-1944), Rieti, Edizioni Il Velino, 1983, pp. 21-46. 99 Liliana Picciotto Fargion, La storia, in Eadem, Il libro della memoria. Gli ebrei deportati dall’Italia (1943-1945), Milano, Mursia, 1991, p. 887 e ss. (l’opera è stata successivamente ristampata, e ampliata, nel 1992, 2002 e 2011). Vedi anche Giacome Debenedetti, 16 ottobre 1943, Roma, OET, 1945; Fausto Coen, 16 ottobre 1943. La grande razzia degli ebrei di Roma, Firenze, La Giuntina, 1993. 696 100 Cfr. Walter De Cesaris, La borgata ribelle. Il rastrellamento nazista del Quadraro e la resistenza popolare a Roma, Roma, Odradek, 2004. 101 Sul DuLag di Fossoli si rinvia all’esaustivo saggio di Anna Maria Ori, Fossoli. Dicembre 1943-agosto 1944, in Brunello Mantelli (a cura di), Deportati, deportatori, cit., pp. 778-822, e alla bibliograia lì richiamata. 102 Walter De Cesaris, La borgata ribelle, cit., passim. 103 Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit. 104 Cfr. Gianfranco Canali, Umbria, in Enzo Collotti, Renato Sandri, Frediano Sessi (a cura di), Dizionario della Resistenza, volume II, Luoghi, formazioni, protagonisti, Torino, Einaudi, 2001, p. 450 e ss; e Pier Paolo Battistelli, L’amministrazione militare tedesca, in Luciana Brunelli, Gianfranco Canali (a cura di), L’Umbria dalla guerra alla resistenza. Atti del convegno «Dal conlitto alla libertà» (Perugia, 30 novembre-1 dicembre 1995), Foligno-Perugia, Editoriale Umbra – Istituto per la storia dell’Umbria contemporanea, 1998, pp. 178-192. 105 Monica Giansanti, Roberto Monicchia, Rastrellamenti e rappresaglie in Umbria: la lotta antipartigiana tra controllo dell’ordine pubblico e strategia militare, ivi, pp. 229-244. Secondo i dati riportati in Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici 1943-1945, cit., sono complessivamente 22 i deportati in KL originari del Folignate, cfr. ivi, ad locum; per alcuni di questi l’arrivo e l’immatricolazione in KL risultano compatibili con un arresto veriicatosi nei tempi e nelle circostanze qui descritte. Solo un approfondimento speciico che prenda in esame la documentazione anagraica locale potrà darci riscontri più precisi. 106 Nel saggio Monica Giansanti, Roberto Monicchia, Rastrellamenti e rappresaglie in Umbria, cit., si indicano azioni antipartigiane nel mese di marzo presso Pomonte di Gualdo Cattaneo, Deruta, Collemancio di Cannara il 6 marzo 1944, Borraccia, Poggio Morico, Mustacchio nella zona di Valfabbrica tra l’8 e il 13 marzo, a Scopoli, Coliorito e San Martino il 15 marzo, a Gualdo Tadino il 23 marzo, a Sorifa di Nocera Umbra il 25 marzo, a Norcia, Cascia, Preci, Cerreto di Spoleto, Vallo di Nera, Monteleone di Spoleto tra 29 marzo e 6 aprile. I due autori sottolineano la collaborazione della GNR con i tedeschi in questi rastrellamenti, collaborazione che tuttavia non risulta sempre dalle fonti tedesche consultate da Carlo Gentile e messe a disposizione del gruppo di ricerca. 107 Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit. 108 Ivi. 109 Per il solo mese di aprile Monica Giansanti, Roberto Monicchia, Rastrellamenti e rappresaglie in Umbria, cit., p. 237, parlano di ben 3.105 persone trasferite più a nord, una cifra elevatissima che non corrisponde in alcun modo al numero dei deportati in KL catturati in zona o di essa originari. La cifra cala bruscamente a 20 nel mese di maggio. Il volume segnala inoltre, a p. 238, operazioni di rastrellamento, condotte da unità tedesche e della GNR, presso Gualdo Cerreto (10 aprile 1944), Valtopina, Bandita, Sorifa, Collecro- 697 ce, Valfabbrica, Gualdo Tadino, Nocera Umbra (17 aprile-metà maggio), Costacciaro (25 aprile), Pietralunga (7 maggio), Monte Cucco (14-22 maggio), Norcia, Sellano, Visso, Cascia (7-11 maggio), Preci (11 maggio). 110 Interventi tedeschi si segnalano per San Giustino di Città di Castello (8 giugno), Montebuono (8 giugno), Gualdo Tadino (17-17 giugno), Gubbio (20-22 giugno), Vocabolo Serra Partucci (24 giugno), Vocabolo Penetola (28 giugno). Sull’eccidio di Gubbio (40 civili fucilati dal 721° reggimento della 114ª divisione cacciatori della Wehrmacht), vedi Giancarlo Pellegrini, Gubbio e l’eccidio dei quaranta martiri, in Andrea Bianchini, Giorgio Pedrocco (a cura di), Dal tramonto all’alba. La provincia di Pesaro e di Urbino tra fascismo, guerra e ricostruzione, Bologna, Clueb, 1995, volume II, Guerra e ricostruzione, pp. 57-72. 111 Paolo Giovannini, Doriano Pela, Marche, in Enzo Collotti, Renato Sandri, Frediano Sessi (a cura di), Dizionario della Resistenza, volume II, Luoghi, formazioni, protagonisti, cit., pp. 424-441; Giuseppe Mari, Guerriglia sull’Appennino. La Resistenza nelle Marche, Urbino, Argalia, 1965. Cfr. inoltre Enzo Collotti, Notizie sull’occupazione tedesca delle Marche attraverso i rapporti della Militärkommandantur di Macerata, in Istituto regionale per la storia di liberazione delle Marche, Resistenza e liberazione nelle Marche. Atti del 1. Convegno di studio nel 25. della liberazione, Urbino, Argalia, 1973, pp. 163-197; Ercole Romagna, La Resistenza armata nella provincia di Pesaro e Urbino. Situazione degli studi e proposte di ricerca, in Andrea Bianchini, Giorgio Pedrocco (a cura di), Dal tramonto all’alba, cit., pp. 9-39. 112 Paolo Giovannini, Doriano Pela, Marche, cit., p. 432. 113 Le operazioni emergono dalla documentazione tedesca, più volte citata, presa in esame da Carlo Gentile. La notizia è inoltre riportata nei Lageberichte della Militärkommandantur (MK) 1019 di Macerata, che parlano di 13 operazioni con 140 banditi uccisi e diversi catturati, cfr. Ercole Romagna, Guerriglia sull’Appennino. Il caso delle Marche, in Pier Paolo Poggio, Bruna Micheletti (a cura di), La guerra partigiana in Italia e in Europa, «Annali della Fondazione Luigi Micheletti», n. 8, 2001, p. 371. 114 Sul ruolo del generale Joachim Witthöft, cfr. Michael Wedekind, Nationalsozialistische Besatzungs- und Annexionspolitik, cit., p. 71, p. 115 e ss.; Stefano Di Giusto, Operationszone Adriatisches Küstenland, cit., p. 54 e ss. In generale, informa Carlo Gentile, le notizie sulle formazioni dell’esercito tedesco impegnate sul lato orientale del fronte e sul litorale adriatico sono più scarse di quelle relative al versante occidentale e tirrenico, a causa della lacunosità delle fonti tedesche sui movimenti della 10ª Armata. 115 Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit. 116 Ivi. 117 Cfr. Paolo Giovannini, Doriano Pela, Marche, cit., p. 436. Per la documentazione tedesca vedi il database elaborato da Carlo Gentile, cit. 118 Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit. 119 Istituto storico della Resistenza in Toscana, Toscana occupata. Rapporti 698 delle Militärkommandanturen 1943-44, con un’introduzione di Marco Palla, Firenze, Olschki, 1997; Giovanni Verni, Toscana autunno 1943. Un rapporto dei servizi di sicurezza della Wehrmacht, in «Italia contemporanea», n. 196, settembre 1994, pp. 545-560. Vedi anche Carlo Gentile, in Truppe tedesche, repressione antipartigiana e stragi, cit., p. 81. 120 La retata di Carrara è ricordata in Giovanni Verni, La resistenza armata in Toscana, in Marco Palla (a cura di), Storia della Resistenza in Toscana, volume I, Roma, Carocci, 2006, p. 104, nota 42. 121 Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit. 122 Carlo Gentile, Truppe tedesche, repressione antipartigiana e stragi, cit., p. 83. La Militärkommandantur 1015 di Lucca aveva segnalato proprio in quel periodo la dificoltà all’impiego volontario, come fa notare Enzo Collotti, L’occupazione tedesca in Toscana, in Marco Palla (a cura di), Storia della Resistenza in Toscana, volume I, cit., pp. 118-119. 123 Cfr. Camilla Brunelli, Gabriella Nocentini, La deportazione politica dall’area di Firenze, Prato ed Empoli, in Brunello Mantelli (a cura di), Deportati, deportatori, tempi, luoghi, cit., pp. 620-658; sulle cifre dei deportati vedi alle pp. 623 e 626. 124 Dati del 1936. Secondo quanto attestato in Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., cfr. ad locum, sono complessivamente 19 i nati a Montelupo Fiorentino che vengono arrestati in loco nei giorni dello sciopero e poi deportati in KL; a essi vanno aggiunti due lavoratori originari di altre località ma che avevano trovato lavoro nel comune toscano e che seguono la stessa sorte dei 19 compagni di lavoro, più un montelupino che, emigrato al Nord, fu arrestato a Lecco anch’egli in seguito allo sciopero di marzo e poi deportato in KL. Vedi inoltre, per il caso speciico di Montelupo, Ivan Tognarini, La Liberazione in Toscana. La storia, la memoria. 1943-1945, Firenze, Pagnini, 1994, alle pp. 342-344. 125 Sono numerose le descrizioni dell’operazione sul Falterona; cfr. Carlo Gentile, Truppe tedesche, repressione antipartigiana e stragi, cit., p. 84 ss; Idem, La divisione Hermann Göring in Toscana, in Gianluca Fulvetti, Francesca Pelini (a cura di), La politica del massacro, cit., p. 219 ss.; Lutz Klinkhammer, Stragi naziste in Italia, cit., p. 84 e ss. 126 Per la parte di operazione svoltasi sul versante romagnolo rimandiamo alla sezione dedicata all’Emilia-Romagna. 127 L’operazione è citata e descritta in Carlo Gentile, Truppe tedesche, repressione antipartigiana e stragi, cit., p. 83; Giovanni Verni, La resistenza armata in Toscana, cit., p. 143 e ss.; Giulivo Ricci, Avvento del fascismo, Resistenza e Lotta di Liberazione in Val di Magra, Parma, Tipolitograia Benedettina, 1975, pp. 205-206. In quest’ultima opera si accenna, senza ulteriori speciicazioni, a «deportazioni». Sulla base delle schede biograiche contenute in Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata, I deportati politici 19431945, cit., l’arresto nel corso dell’operazione appena illustrata è sicuramente compatibile con il percorso concentrazionario del pontremolese Rino Toma, 699 arrestato nella città della Lunigiana e immatricolato a Dachau il 15 maggio 1944, nonché, quantunque con maggiori dubbi per l’intervallo assai maggiore trascorso fra l’ingresso in KL e l’ipotetica cattura nel corso del rastrellamento, con quelli dei suoi concittadini Amabile Cattini e Israele Necchi, giunti a Mauthausen il 24 giugno successivo. Unicamente Cattini cadde con certezza a Pontremoli in mano tedesca, ma il fatto che siano entrambi stati deportati con il medesimo trasporto fa pensare che anche Necchi sia stato preso in zona. Solo un approfondimento degli studi su scala locale potrà fare ulteriore chiarezza. Cfr. ivi ad nomen. 128 Cfr. Carlo Gentile, Truppe tedesche, repressione antipartigiana e stragi, cit., p. 83. 129 Secondo Giulivo Ricci, La Lunigiana ed Aulla nella tormenta, Aulla, Centro aullese di ricerche e di studi lunigianesi, 1995, pp. 55-56, sarebbero stati uccisi 2 partigiani e 22 civili, mentre le fonti tedesche riportano come cifra totale dei morti 143 e 150. Vedi inoltre Paolo Pezzino, Crimini di guerra nel settore occidentale della linea gotica, in Gianluca Fulvetti, Francesca Pelini (a cura di), La politica del massacro, cit., p. 91, nonché Carlo Gentile, Truppe tedesche, repressione antipartigiana e stragi, cit., p. 83. 130 La ricostruzione più dettagliata del rastrellamento di Forno si trova in Paolo Pezzino, Crimini di guerra nel settore occidentale della linea gotica, cit., p. 93; egli indica tra gli esecutori del rastrellamento anche truppe della X Mas. Si trovano cenni in Emidio Mosti, La Resistenza Apuana. Luglio 1943-aprile 1945, Milano, Longanesi, 1973; Luciano Casella, La Toscana nella guerra di liberazione, Carrara, La nuova Europa, 1972, pp. 158-162, Giulivo Ricci, Avvento del fascismo, cit., p. 231, Francesco Bergamini (a cura di), Battaglione Reder. La marcia della morte da S. Anna di Stazzema alle fosse del Frigido agosto-settembre 1944, Viareggio, ANPI Versilia, 1995, p. 19. 131 Sulle operazioni Wallenstein si veda, in Brunello Mantelli (a cura di), Deportati, deportatori, cit., gli approfonditi contributi di Carla Antonini, La deportazione nei campi di concentramento dalla provincia di Piacenza, e Marco Minardi, «Una lotta disumana». La deportazione politica dal Parmense, rispettivamente alle pp. 396-469, e 470-495. 132 Carla Antonini, La deportazione, cit., pp. 446 e 448. 133 Marco Minardi, «Una lotta disumana», cit., p. 476-477. 134 Tra i deportati in KL l’unico originario di Castelnuovo di Cecina è Alfredo Milani, il quale risulta però catturato in Friuli, a Cividale, ben lontano quindi dal luogo natale; cfr. Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., ad nomen. 135 Così descrive il rastrellamento Paolo Pezzino, Storie di guerra civile. L’eccidio di Niccioleta, Bologna, Il Mulino, 2001. Cfr. inoltre Michele Battini, Paolo Pezzino, Guerra ai civili, cit., pp. 5-85. 136 Michele Battini, Paolo Pezzino, Guerra ai civili, cit., p. 51 ss., e pp. 77-89. 137 Ivi, pp. 85-86. 138 Paolo Pezzino, Storie di guerra civile, cit., p. 86. 700 139 Paolo Pezzino, Anatomia di un massacro. Controversia sopra una strage tedesca, Bologna, Il Mulino, 1997. 140 Una ricostruzione dell’attività della divisione «Hermann Göring» nella regione si trova nei saggi di Carlo Gentile, La divisione Hermann Göring in Toscana, in Gianluca Fulvetti, Francesca Pelini, La politica del massacro, cit., pp. 213-240; e Una unità di élite in guerra. La divisione «Hermann Göring» e la strage di civili in Toscana, in Marco Palla (a cura di), Tra storia e memoria. 12 agosto 1944: la strage di Sant’Anna di Stazzema, Roma, Carocci, 2003. Sulla strage di Civitella Val di Chiana vedi Leonardo Paggi (a cura di), Storia e memoria, cit., in particolare il saggio dello stesso Paggi, Storia di una memoria antipartigiana, pp. 46-84. 141 Lutz Klinkhammer, L’occupazione tedesca, cit., p. 381 e ss. 142 Giuseppe Pardini, Il dramma delle popolazioni. I piani di sfollamento delle province di Lucca e di Apuania, in Lilio Giannecchini, Giuseppe Pardini (a cura di), Eserciti, popolazione, Resistenza sulle Alpi Apuane, Atti del Convegno internazionale di studi storici sul settore occidentale della Linea Gotica. Seconda parte: aspetti politici e sociali. Lucca, 1-2-3 settembre 1994, Lucca, San Marco Litotipo, 1997, pp. 161-210. Vedi anche Paolo Pezzino, Crimini di guerra nel settore occidentale della linea gotica, cit., pp. 96-97. 143 Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit. In Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., si trovano bensì alcune persone originarie di Greve in Chianti; si tratta di Ernesto Capannesi, Davide Ermini, Romualdo Martini, Dario Toti (cfr. ad nomen), ma per quanto riguarda Capannesi ed Ermini la loro deportazione risulta precedente al rastrellamento qui menzionato; Martini fu classiicato in KL come Berufverbrecher (delinquente abituale), ragion per cui la sua deportazione ebbe presumibilmente come origine una Gefangenenaktion (sul prelevamento di detenuti comuni dalla carceri italiane per deportarli in KL si veda, in Brunello Mantelli (a cura di), Deportati, deportatori, cit., l’importante contributo, ancorché limitato al caso del carcere bolognese di San Giovanni in Monte, di Andrea Ferrari, Paolo Nannetti, Carcere e deportazione. Bologna 1943-1945, pp. 555-618); solo Toti potrebbe effettivamente essere stato arrestato nel luglio 1944, essendo giunto a Dachau il 16 dicembre 1944. 144 L’episodio è ricordato in Gianluca Fulvetti, Le guerre ai civili in Toscana, cit., p. 63. Il battaglione d’addestramento Mittenwald, comandato dal capitano Hans Ruchti, durante la sua permanenza in Italia afiancò alla repressione antipartigiana l’addestramento di allievi uficiali e delle guide militari alpine. Nella prima metà di luglio rastrellò le cime apuane, la Garfagnana, l’area del Monte Acuto e la Lunigiana. Sulla sua attività in Italia vedi Carlo Gentile, Truppe tedesche, repressione antipartigiana e stragi, cit., p. 77. In Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., compaiono cinque deportati originari di Bagni a Lucca: Elia Di Nino; Giuseppe Montemagni; Wilson Pighini, nato proprio a Montefegatesi, Davide Talenti e Antonio Villaggi, cfr. ad nomen. Tuttavia, Montemagni, Pi- 701 ghini e Villaggi giungono in KL prima del rastrellamento del 14 luglio 1944 (Villaggi risulta tra l’altro arrestato in Emilia). Solo le date dell’immatricolazione concentrazionaria di Di Nino (registrato il 3 agosto 1944 a Buchenwald) e Talenti (entrato a Dachau il 16 dicembre 1944 con il quasi compaesano Toti, di cui alla nota precedente) potrebbero essere compatibili con una cattura nel luogo natio avvenuta tre settimane o cinque mesi prima. 145 Il proilo e l’attività della divisione è stato ricostruito da Carlo Gentile in alcuni saggi, tra cui: «Politische Soldaten». Die 16. SS-Panzer-GrenadierDivision «Reichsführer-SS» in Italien 1944, in «Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken», anno LXXXI, 2001, pp. 529-557; Le SS di Sant’Anna di Stazzema. Azioni, motivazioni e proilo di una unità nazista, in Marco Palla (a cura di), Tra storia e memoria, cit., pp. 86-117. 146 A ipotizzare un lungo ciclo operativo «iniziato ai primi di agosto sulle colline fra Lucca e Pisa, con il rastrellamento dei civili a La Romagna» e «concluso a metà settembre con la partenza dalla zona della XVI divisione SS, l’indubbia protagonista di questa fase repressiva, nella quale le modalità di attuazione delle operazioni antipartigiane sembrano prescindere dall’effettiva possibilità di entrare in contatto, rastrellare o uccidere in combattimento gli uomini armati, assumendo piuttosto un netto carattere stragista», è Paolo Pezzino in Crimini di guerra nel settore occidentale, cit., p. 126. 147 Sul rastrellamento de La Romagna vedi Michele Battini, La lunga linea rossa. Arno e Monti Pisani luglio- agosto 1944, in Gianluca Fulvetti, Francesca Pelini (a cura di), La politica del massacro, cit., p. 153; e Luciano Casella, La Toscana nella guerra di liberazione, cit., p. 333 ss. 148 Sulla strage di Sant’Anna di Stazzema e il rastrellamento di Valdicastello Carducci, cfr. Paolo Pezzino, Sant’Anna di Stazzema. Storia di una strage, Bologna, Il Mulino, 2008; Toni Rovatti, Sant’Anna di Stazzema. Storia e memoria della strage dell’agosto 1944, Roma, DeriveApprovi, 2004; e Marco Palla (a cura di), Tra storia e memoria. 12 agosto 1944, cit. Cfr. inoltre la lettura della strage nel contesto del ciclo operativo della 16ª divisione RFSS delle Waffen SS in Paolo Pezzino, Crimini di guerra nel settore occidentale, cit., pp. 100-135; e in Toni Rovatti, Sant’Anna di Stazzema, cit., pp. 345-366. Vedi inoltre la ricostruzione di Carlo Gentile in Truppe tedesche, repressione antipartigiana, cit., p. 116 ss. 149 In Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., compaiono quattro deportati originari di Valdicastello Carducci, tutti arrestati in loco, quasi certamente nel corso del rastrellamento qui descritto, e poi deportati a Dachau: Gino Biagi; Francesco Dinucci, Ettore Maremmani; Fernando Santini (cfr. ivi, ad nomen); di Dinucci e Santini conosciamo anche la data di ingresso in Lager: il 9 novembre 1944. 150 Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit. 151 Sulla biograia di Reder si rinvia a Carlo Gentile, Le SS di Sant’Anna di Stazzema, cit., p. 105. 152 Descrizioni dell’operazione si trovano in Carlo Gentile, Truppe tede- 702 sche, repressione antipartigiana e stragi, cit., p. 118 ss; e Paolo Pezzino, Crimini di guerra nel settore occidentale della linea gotica, cit., pp. 123-135. In Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., compaiono ben undici deportati nati a Fivizzano (o in una delle sue frazioni): Renato Bertolini, Mario Chinezi, Florido Cinese, Ernesto Confetti, Marco Furletti, Alceste Mariani, Iso Mattazzoni, Achille Musetti, Palmiro Romiti, Remante Tonelli, Mario Vasoli (cfr. ivi, ad nomen); solo per Chinezi, Cinese e forse Confetti si può tuttavia ipotizzare una cattura nel corso del rastrellamento di ine agosto: del primo sappiamo solo che fu a Neuengamme, mentre il secondo arrivò a Dachau alla ine di settembre 1944 e il terzo vi giunse solo all’inizio di marzo 1945. Non coincidono invece i tempi per tutti gli altri: Bertolini fu arrestato in Francia già l’8 settembre 1943; Furletti era stato immatricolato a Dachau già il 15 marzo 1944 e Musetti appena quaranta giorni dopo; Mattazzoni era stato fatto prigioniero a Sarzana il 10 luglio; Tonelli Vasoli, Mariani, Romiti sarebbero stati arrestati a La Spezia nei mesi successivi, rispettivamente il 20 settembre, il 20 novembre, e gli ultimi due il 23 dello stesso mese. 153 è questa l’ipotesi formulata da Fulvetti nella sua introduzione a Le guerre ai civili Toscana, cit., p. 70. 154 La ricostruzione più recente dell’episodio si trova in Gianluca Fulvetti, Una comunità in guerra. La certosa di Farneta tra resistenza civile e violenza nazista, Napoli, L’ancora del Mediterraneo, 2006. Per il riferimento alla delazione fascista vedi a p. 126. 155 Ivi, p. 264, nota 63. 156 L’accenno a quest’episodio è ancora in Idem, Le guerre ai civili Toscana, cit., p. 73. Cfr. inoltre il database elaborato da Carlo Gentile, cit. 157 Per una ricostruzione puntuale dei nessi esistenti tra rastrellamenti e deportazioni in KL nella regione è d’obbligo riferirsi agli studi di Carla Antonini, La deportazione, cit.; Marco Minardi, «Una lotta disumana», cit; Francesco Paolella, Giovanna Caroli, Cleonice Pignedoli, Tra le memorie del territorio reggiano; Davide Guarnieri, Andrea Rossi, Ferrara: una strana presenza militare tedesca ed uno spiccato attivismo del fascio repubblicano; Andrea Ferrari, Paolo Nannetti, Carcere e deportazione. Bologna 1943-1945, tutti pubblicati in Brunello Mantelli (a cura di), Deportati, deportatori, cit, rispettivamente alle pp. 396-469; 470-495; 496-529; 530-554; 555-619. 158 Sul ruolo delle squadre fasciste nella prima fase dell’occupazione cfr. le rilessioni di Dianella Gagliani, Guerra terroristica, in Luciano Casali, Dianella Gagliani (a cura di), La politica del terrore, cit., p. 29 ss.; e di Carlo Gentile, Truppe tedesche e repressione antipartigiana nell’Emilia occidentale, cit., p. 121. 159 L’episodio è descritto in Vladimiro Flamigni, Forlì, in Luciano Casali, Dianella Gagliani (a cura di), La politica del terrore, cit., pp. 186-187 ed è ripreso nel «Rapporto generale» del comandante dell’8ª brigata Romagna, Pietro Mauri, sull’attività militare in Romagna ino al 15 maggio 1944, in Dino 703 Mengozzi (a cura di), L’8ª brigata Garibaldi nella Resistenza, vol. I, Documenti 1943-1945, Milano, La Pietra, 1981. Sul percorso concentrazionario di Pietro Paternò, sacerdote originario dell’Ennese e all’epoca già cinquantasettenne, cfr. Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., ad nomen. Si veda inoltre il riferimento al sacerdote, alla sua sorte e a quella degli altri arrestati con lui in Andrea Ferrari, Paolo Nannetti, Carcere e deportazione, cit., p. 561. 160 Vedi ancora Vladimiro Flamigni, Forlì, cit., pp. 189-190. A quanto risulta dalle fonti concentrazionarie utilizzate per la stesura di Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., il gruppo inviato in Germania non fu trasferito in un KL vero e proprio, bensì, almeno in parte, inì a Bernau, prigione particolarmente dura. Sempre in base a Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., risultano infatti esservi stati registrati Pietro Cappelli, Mario Chiarini, Adelio Cosmi, e Narciso Cucchi, tutti arrestati a Ca’ Morelli il 20 gennaio 1944, cfr. ivi, ad nomen, nel Capitolo Quinto, Casi di conine: il campo di lavoro di Unterluss e la prigione di Bernau, pp. 22812290. Purtroppo questo elenco speciico risulta assai lacunoso, e necessiterà di approfondimenti futuri. Nessuna traccia è stata poi trovata, in alcuna fonte concentrazionaria, dei componenti la famiglia Versari. Sugli arrestati di Tredozio e sull’intrecciarsi del loro percorso con quello di altri emiliani transitati nel periodo dal carcere di San Giovanni in Monte si veda, inoltre, la dettagliata analisi di Andrea Ferrari, Paolo Nannetti, Carcere e deportazione, cit., pp. 563-567. 161 L’operazione è riportata in Luigi Arbizzani, Antifascismo e lotta di liberazione nel Bolognese comune per comune, ANPI, Bologna, 1998, p. 216. In Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., non risulta alcuna biograia sicuramente compatibile con gli arresti avvenuti nella data e nel luogo qui indicati; i cinque deportati originari di Sant’Agata Bolognese, infatti, vennero catturati altrove o in periodi successivi. 162 Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit. Sul rastrellamento vedi anche Andrea Ferrari, Paolo Nannetti, Carcere e deportazione, cit., p. 586. 163 Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit. 164 Ermanno Gorrieri, La repubblica di Monteiorino. Per una storia della resistenza in Emilia, Bologna, Il Mulino, 1966; qui si fa riferimento alle pp. 165 e 169 dell’edizione del 1991, pubblicata a cura dell’Amministrazione comunale di Monteiorino. 165 Luigi Arbizzani, Antifascismo e lotta di liberazione nel Bolognese cit., p. 99. 166 Vladimiro Flamigni, Forlì, cit., pp. 193-194. 167 Carlo Gentile, Truppe tedesche e repressione antipartigiana nell’Emilia occidentale, cit. 168 Lutz Klinkhammer, L’occupazione tedesca, cit., p. 387. 704 169 Per una descrizione dell’area che costituì la zona libera di Monteiorino vedi Luciano Bergonzini (a cura di), La lotta armata, volume I dell’opera collettanea Deputazione Emilia Romagna per la storia della Resistenza e della guerra di liberazione, L’Emilia Romagna nella guerra di liberazione, Bari, De Donato, 1975-1976, qui a p. 172; e Claudio Silingardi, Una provincia partigiana. Guerra e Resistenza a Modena, 1940-1945, Milano, Angeli, 1998, p. 256. Cfr. inoltre Ermanno Gorrieri, La repubblica di Monteiorino, cit. 170 I due rastrellamenti sono ricordati da Carlo Gentile, Truppe tedesche e repressione antipartigiana nell’Emilia occidentale cit. e Claudio Silingardi, Una provincia partigiana, cit., p. 256. 171 Luciano Casali, Dianella Gagliani (a cura di), CUMER. Il «Bollettino militare» del Comando unico militare Emilia-Romagna (giugno 1944-aprile 1945), Bologna, Pàtron, 1997. 172 Ermanno Gorrieri, La repubblica di Monteiorino, cit., pp. 545-553; Claudio Silingardi, Una provincia partigiana, cit., p. 504. 173 Vladimiro Flamigni, Forlì, cit., p. 198. L’autore segnala che la narrazione dell’episodio è tratta da un manoscritto conservato presso la biblioteca comunale di Forlì. 174 Una sintetica quanto esauriente descrizione del rastrellamento sul Monte Sole si trova in Carlo Gentile, Un’operazione di annientamento, in Luciano Casali e Dianella Gagliani (a cura di), La politica del terrore, cit., pp. 207-230. Vedi inoltre la ricostruzione di Lutz Klinkhammer nel capitolo Un rastrellamento inalizzato al massacro. Marzabotto, ine settembre 1944, del suo volume Stragi naziste in Italia, cit., pp. 118-142. All’operazione guidata dal maggiore Reder è integralmente dedicato il volume di Paolo Pezzino, Luca Baldissara, Il massacro. Guerra ai civili a Monte Sole, Bologna, Il Mulino, 2009. 175 Irene Di Jorio, Piacenza, in Luciano Casali e Dianella Gagliani (a cura di), La politica del terrore, cit., p. 144. La notizia è tratta da Felice Ziliani, Ribelli per amore, Fatti e testimonianze della Resistenza, Fidenza, Arte Graica, 1978; il volume è stato poi ripubblicato nel 1997 con il titolo Ribelli per amore ... sempre. Memorie e rilessioni a 50 anni dalla liberazione, Parma, Tipograia Fava, 1997; si cita da quest’ultima edizione, pp. 211-212. Sulla deportazione in KL di antifascisti e partigiani originari di Caorso cfr. Carla Antonini, La deportazione, cit., alle pp. 422-431; sono dedicate in particolare ai catturati a «La Baracca» le pp. 430-431, in cui si dà conto della deportazione in KL di alcuni di loro. 176 Riferimenti all’operazione si trovano in Luigi Arbizzani, Antifascismo e lotta di liberazione nel Bolognese, cit., passim; Roberta Mira, Bologna, in Luciano Casali e Dianella Gagliani (a cura di), La politica del terrore, cit., p. 71. Sulla deportazione in KL di membri della Brigata Garibaldi «Bolero» si veda Andrea Ferrari, Paolo Nannetti, Carcere e deportazione, cit., pp. 586-598. 177 Luigi Arbizzani, Antifascismo e lotta di liberazione nel Bolognese, cit., pp. 60, 77, 204. 705 178 Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit. Ivi. 180 Ivi. 181 Ivi. 182 Marco Minardi, «Una lotta disumana», cit., p. 491. 183 Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit. 184 Ivi. 185 Sul rastrellamento di Amola-Anzola Emilia-S. Giovanni in PersicetoCalderara di Reno cfr. Anna, Linceo Graziosi (a cura di), Anzola. Un popolo nella Resistenza, Anzola, Anpi, 1989; Cronache dell’antifascismo e della Resistenza a Calderara di Reno, Bologna, APE, 1977; Anpi e Comune di San Giovanni in Persiceto (a cura di), La resistenza nella nostra pianura, s.l., Arampe LIPE, 1990; Adolfo Belletti, Dai monti alle risaie. 63ª Brigata Garibaldi «Bolero», Bologna, Arte Stampe, 1968. 186 Sull’eccidio di Sabbiuno di Paderno, il suo contesto, le sue vittime, il ritrovamento dei resti di queste ultime, cfr. Alberto Preti, Sabbiuno di Paderno. Dicembre 1944, Bologna, University Press, 1994. 187 Tranne Virginia Manaresi, tutti sono presenti in Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., cfr. ad nomen, il che comporta che siano stati deportati oltre Brennero. La donna, come certiicato da Dario Venegoni, Uomini, donne e bambini nel lager di Bolzano. Una tragedia italiana in 7809 storie individuali, Milano, Mimesis, 2004 (seconda edizione ampliata, 2005, con nel titolo la cifra elevata a 7.982), p. 239 della seconda edizione, rimase a Bolzano dove venne liberata il 1° maggio 1945. 188 Gamberini, Callegari e Giusti sono compaiono, in Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., cfr. ad nomen; furono quindi deportati oltre Brennero. Gli altri sono presumibilmente rimasti a Bolzano, cfr. Dario Venegoni, Uomini, donne e bambini, cit, ad nomen. 189 Di tutto questo gruppo sono presenti le schede biograiche in Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., cfr. ad nomen. 190 Di entrambi vedi le schede biograiche ivi, ad nomen. 191 Luciano Bergonzini, La resistenza a Bologna. Testimonianze e documenti, Bologna, ISB, 1980, vol. V, testimonianze di Adelio Stanghellini, p. 793, Virginia Manaresi, p. 256, Augusto Manganelli, p. 787. 192 Andrea Ferrari, Paolo Nannetti, Carcere e deportazione, cit., pp. 600-601. 193 Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit. 194 Carla Antonini, La deportazione, cit., pp. 454-455. 195 Carlo Gentile, Truppe tedesche e repressione antipartigiana nell’Emilia occidentale, cit., p. 127. 196 Si trattava della nota divisione turchestana (Turk), composta di caucasici arruolati sia in loco, sia tra i militari sovietici prevalentemente (ma non 179 706 solo) di nazionalità azera caduti in mano tedesca. L’uficialità era comunque germanica. 197 L’operazione coinvolse le seguenti unità inquadrate nella 162ª (Turk) Infanterie-Division: i reggimenti (Infanterie-Regiment) n° 303 e n° 329, nonché il reparto esploratori (Aufklärungs-Abteilung) del reggimento n° 236; della divisione «Italia» il grosso delle unità di fanteria (2 reggimenti) e il reparto esplorante; della San Marco il III battaglione del 5° Reggimento; inoltre vi presero parte il battaglione d’addestramento dell’accademia dei cacciatori da montagna di Mittenwald (Lehr-Bataillon Gebirgsjäger-Schule Mittenwald); aliquote del I battaglione del 285° reggimento granatieri inquadrato nella 148ª divisione di fanteria (148a Infanterie-Division: Einheiten I/Grenadier-Regiment 285); la compagnia di guardia del comando della 14ª armata (Wach-Kompanie Armeeoberkommando 14); reparti della GNR e della Brigata nera di Parma, nonché le unità di scorta in servizio presso la Militärkommandantur (Alarmeinheiten). 198 Istituto storico della Resistenza per la provincia di Parma, I caduti della Resistenza di Parma 1921-1945, Parma, Istituto storico della Resistenza per la provincia di Parma, 1970. 199 Mirco Dondi, La Resistenza tra unità e conlitto. Vicende parallele tra dimensione nazionale e realtà piacentina, Milano, Bruno Mondadori, 2004, p. 297. La lunga, ma chiariicatrice, citazione è tratta da Marco Minardi, «Una lotta disumana», cit., pp. 482, 488-489. 200 Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata, I deportati politici, cit., tomo 3, pp. 2368-2369. Come indicato nell’opera, il numero totale dei deportati politici biografati è di 23.826; di 259 non si conosce però con precisione il luogo di nascita. 201 Ivi, p. 2375. Purtroppo solo di poco più di un terzo (35,76%) del totale è nota la località esatta di arresto. 202 Cfr. le rilessioni di Enzo Collotti, Litorale Adriatico e Risiera di San Sabba, in Alessandra Algostino et alii, Dall’impero austro-ungarico alle foibe. Conlitti nell’area alto-adriatica, Torino, Bollati Boringhieri, 2009, pp. 110-118. 203 Per un inquadramento della lotta partigiana nel Friuli Venezia Giulia si veda Alberto Buvoli, Franco Cecotti, Luciano Patat (a cura di), Atlante storico della lotta di liberazione italiana nel Friuli Venezia Giulia. Una Resistenza di conine 1943-1945, Trieste-Udine-Pordenone-Gradisca d’Isonzo, Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione in Friuli Venezia Giulia – Istituto friulano per la storia del movimento di liberazione – Istituto provinciale per la storia del movimento di liberazione – Centro isontino di ricerca «Leopoldo Gasparini», 2006. 204 Un’analisi dei rastrellamenti nel periodo si trova in Stefano Di Giusto, Operationszone Adriatisches Küstenland, cit., pp. 72-170. Si veda inoltre il database elaborato da Carlo Gentile, cit. 205 Silva Bon, La deportazione dalla Operationszone Adriatisches Küstenland, in Brunello Mantelli (a cura di), Deportati, deportatori, cit., pp. 367-395; qui a pp. 375-377. 707 206 Cfr. Elio Apih, Documenti sulla politica economica tedesca nella Venezia Giulia (1943-1945), in Istituto di Storia Medievale e Moderna della Facoltà di Lettere e Filosoia dell’Università di Trieste, Fascismo, guerra, resistenza. Lotte politiche e sociali nel Friuli-Venezia Giulia 1918-1945, Trieste, Libreria Internazionale «Italo Svevo», 1969. 207 Cfr. Commissione per la ricostruzione delle vicende che hanno caratterizzato in Italia le attività di acquisizione dei beni dei cittadini ebrei da parte di organismi pubblici e privati, Rapporto generale, Roma, Presidenza del Consiglio dei Ministri, 2001, a cui l’autrice ha collaborato con un testo sulle vicende del Litorale Adriatico. Inoltre Silva Bon, La spoliazione dei beni ebraici. Processi economici di epurazione razziale nel Friuli Venezia Giulia. 1938-1945, Gorizia, Centro Isontino di Ricerca e Documentazione Storica e Sociale «Leopoldo Gasparini», 2001; Eadem, La spoliazione dei beni ebraici negli anni delle leggi razziali. Il caso Nord Est, in «Clio», anno XXXVII, n. 4 (ottobre-dicembre 2001), pp. 749-775; Eadem, La Cassa di Risparmio di Trieste e il «problema ebraico» negli anni della persecuzione fascista e nazista, in «Quaderni Giuliani di Storia», anno XXII, n. 2, luglio-dicembre 2001, pp. 189-216. Si veda altresì il capitolo sulla spoliazione dei beni in Eadem, Le Comunità ebraiche della Provincia italiana del Carnaro. Fiume e Abbazia (1924-1945), Roma, Società di Studi Fiumani, 2004. 208 Cfr. Roberto Spazzali, Sotto la Todt. Affari, servizio obbligatorio del lavoro, deportazioni nella Zona d’Operazioni «Litorale Adriatico» (1943-1945), Gorizia, Libreria Editrice Goriziana, 1998. 209 Cfr. Peter Müller, Das Bunkergelände im Mühldorfer Hart. Rüstungswahn und menschliches Leid, Mühldorf a. Inn, Heimatbund, 1999 (più volte ristampato e accresciuto). 210 Cfr. Paolo Toldo, L’organizzazione del lavoro e le condizioni di vita in una fabbrica della Germania nazista dagli atti di un processo del dopoguerra, in «Storia contemporanea in Friuli», n. 27, anno XXVI, 1996. 211 Cfr. Dino Virgili, Nazismo e fascismo in Friuli. La fossa di Palmanova, Udine, Del Bianco Editore, Udine 1970 [2ª edizione 1995]. Dario Mattiussi, Luciano Patat, Marco Puppini, Una lunga notte. 1942-1954. La collezione Erminio Delfabro, Gorizia, Centro «Leopoldo Gasparini», 2001; Luciano Patat, Terra di frontiera. Fascismo, guerra e resistenza nell’Isontino e nella Bassa Friulana, Gorizia, Centro «Leopoldo Gasparini», 2002. Per l’Istria vedi Gloria Nemec, Un paese perfetto. Storia e memoria di una comunità in esilio. Grisignana d’Istria 1930-60, Gorizia, Istituto Regionale per la Cultura Istriana, 1998. Giorgio Liuzzi, «Operation Istrien». L’Istria sotto la svastica nazista dal settembre all’ottobre 1943, in Annamaria Vinci (a cura di), Guerra e dopoguerra. Spunti e rilessioni per la ricerca, numero monograico di «Qualestoria», a. XXXI, n. 1, giugno 2003, pp. 9-46. 212 Cfr. in Mimmo Franzinelli (a cura di), Ultime lettere di condannati a morte e di deportati della Resistenza. 1943-1945, Milano, Mondadori, 2005, l’appello di Mario Modotti (Tribuno), medaglia d’argento al valor militare, al 708 iglio Mario nella lettera del 1° aprile 1945, «Ultime volontà di un condannato a morte»: «La spia che mi mandò alla morte è a Bicinicco perciò rintracciala e vendicami», p. 13 e pp. 181-183. 213 Cfr. l’operato di Mauro Grini contro i membri della propria comunità, non solo nel Litorale Adriatico, ma anche a Venezia, Padova, Milano, in Adolfo Scalpelli (a cura di), San Sabba. Istruttoria e processo per il Lager della Risiera, Milano, ANED – Arnoldo Mondadori, 1988 (una seconda edizione uscì nel 1995, a Trieste, per i tipi della LINT – ANED). 214 Cfr. Anna Di Gianantonio, Un uomo discreto. Lino Marega nella memoria della comunità di Villesse e di Romans, in Dario Mattiussi (a cura di), Le passioni del Novecento. I percorsi dell’antifascismo isontino ed europeo tra storia e memoria. Atti del Convegno Le passioni del Novecento. L’antifascismo isontino ed europeo nell’esperienza di un protagonista: Lino Marega, Villesse 18 dicembre 1999, Villesse, Comune di Villesse, 2001, pp. 87-132. 215 Stefano Di Giusto, Operationszone Adriatisches Küstenland, cit., p. 635. Le due ultime operazioni sono descritte nella documentazione jugoslava, mentre mancano riscontri in quella tedesca. In linea generale, per una descrizione delle operazioni di rastrellamento nell’area rimane fondamentale la consultazione del testo di Stefano Di Giusto, accanto al database elaborato da Carlo Gentile. A entrambi nelle pagine che seguono si farà continuo riferimento. 216 Secondo altre fonti coeve si sarebbe protratta sino al 22 del mese (cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit.) 217 Così in Alberto Buvoli, Franco Cecotti, Luciano Patat (a cura di), Atlante storico della lotta di liberazione italiana nel Friuli Venezia Giulia, cit., pp. 42-43 e 51-52; Inoltre, Bruno Steffè, La lotta antifascista nel basso Friuli e nell’Isontino, Milano, Vangelista 1975, p. 101. 218 Bruno Steffè, La lotta antifascista nel basso Friuli e nell’Isontino, cit., p. 150. 219 Ivi, p. 149. 220 Ivi, p. 147. 221 Giovanna D’Amico, Dall’Italia ai Lager nazisti. Ragioni e modalità di cattura, saggio pubblicato in questo stesso volume alle pp. 21-68, qui da p. 41. 222 Italo Tibaldi, Compagni di viaggio. Dall’Italia al Lager nazisti. I «trasporti» dei deportati 1943-1945, Milano, Angeli, 1994, pp. 132-133, e 144. Sebbene bisognosa di approfondimenti e precisazioni ulteriori, la ricostruzione dei trasporti fatta da Tibaldi ha rappresentato un fondamentale passo in avanti per la storiograia su questo tema. 223 Trasporto che risulta essere stato composto esclusivamente da ebrei rastrellati a Trieste e a Gorizia, secondo quanto riportato in Liliana Picciotto, Il libro della memoria, cit, pp. 44, 53-55, 60. Nelle successive ristampe, ampliate, del volume i dati a cui qui si fa riferimento non sono mai stati modiicati. 224 Italo Tibaldi, Compagni, cit., pp. 37-41. 225 Bruno Steffè, La lotta antifascista nel basso Friuli, cit., p. 377. Le fonti 709 tedesche parlano, più genericamente, di 200 perdite nemiche; cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit. 226 Talvolta compaiono anche le graie Mareca o Marea. 227 La vicenda è narrata in Riccardo Giacuzzo, Giacomo Scotti, Quelli della montagna. Storia del Battaglione triestino d’assalto, s.l. (ma Rovigno), Unione degli Italiani dell’Istria e di Fiume, 1972, pp. 59-60; Riccardo Giacuzzo, Mario Abram, Itinerario di lotta. Cronaca della Brigata d’Assalto «GaribaldiTrieste», s.l. (ma Rovigno), Unione degli Italiani dell’Istria e di Fiume, 1986, p. 82; Aldo Bressan, Luciano Giuricin, Fratelli nel sangue. Contributi per una storia della partecipazione degli Italiani alla guerra popolare di liberazione della Jugoslavia, Rijeka, EDIT, 1964, pp. 293-294, qui però la data della cattura è il 5 novembre e non si accenna alla deportazione successiva. 228 Cfr. le loro schede biograiche in Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., ad nomen. A quanto risulta dalla documentazione disponibile e lì riportata, Floreani e Grillo sopravvissero al KL venendo liberati dagli alleati; di Cergoli e Tambarin è certa la morte in campo, mentre di Valcovich è incerta la sorte. Con ogni probabilità la sopravvivenza di Floreani e Grillo fu favorita dall’essere il primo stato registrato al momento dell’immatricolazione in KL come «falegname industriale» e il secondo quale «meccanico aeronautico». Valcovich si dichiarò «meccanico», Cergoli «falegname», Tambarin «studente» (quest’ultimo sarebbe stato ucciso col gas il 9 settembre 1944 nel centro di eliminazione di Hartheim). 229 Secondo la ricostruzione di Tibaldi, cfr. Italo Tibaldi, Compagni, cit., p. 133. 230 Cfr. la scheda biograica in Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., ad nomen. Anche Marega sarebbe sopravvissuto, venendo liberato dalle truppe alleate. 231 Cfr. Riccardo Giacuzzo, Giacomo Scotti, Quelli della montagna, cit., pp. 62-64, 70. 232 Cfr. le schede biograiche di tutti loro in Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., ad nomen. 233 Ivi, ad nomen. Oltre ai due trasporti già menzionati, su cui si rinvia a Italo Tibaldi, Compagni, cit., pp. 133, 45-46, si tenga presente che nello stesso giorno, 28 gennaio 1944, sarebbe partito da Trieste un ulteriore convoglio, diretto ad Auschwitz, il quale, secondo Liliana Picciotto, Il libro della memoria, cit., pp. 54 e 60, trasportava anziani ebrei arrestati alla Pia Casa Gentilomo e all’Ospizio Israelitico della città giuliana. 234 Stefano Di Giusto, Operationszone Adriatisches Küstenland, cit., p. 382. 235 Ivi, pp. 383, e 385; cfr. inoltre il database elaborato da Carlo Gentile, cit. 236 Stefano Di Giusto, Operationszone Adriatisches Küstenland, cit., p. 387, nonché il database elaborato da Carlo Gentile, cit. 237 Stefano Di Giusto, Operationszone Adriatisches Küstenland, cit., pp. 384-385. 238 Ivi, p. 388. 710 239 La categoria di «deportazione» appare qui essere usata in senso estremamente generico. 240 Fabio Tafuro, La Resistenza nel Friuli occidentale, in «Storia contemporanea in Friuli», n. 37, anno XXXVI, 2006, pp. 121-184, qui a p. 127. Vedi anche anche Roberto Cessi, La Resistenza nel bellunese, Roma, Editori Riuniti, 1960, p. 49. 241 Stefano Di Giusto, Operationszone Adriatisches Küstenland, cit., p. 393. 242 Ivi, pp. 394-95. Bruno Steffè, La lotta antifascista nel basso Friuli, cit., p. 200, dà notizie di un rastrellamento avvenuto il 12 aprile a Doberdò del Lago, luogo di collegamento con i reparti del IX Korpus, che avrebbe portato alla cattura di 4 donne. 243 Stefano Di Giusto, Operationszone Adriatisches Küstenland, cit., p. 396, ss; cfr. inoltre il database elaborato da Carlo Gentile, cit., da cui però risulta come le fonti tedesche di polizia riportino cifre assai maggiori circa le perdite subite da partigiani e civili: 392 morti e 1.865 prigionieri. Dal canto loro fonti italiane coeve, anche considerate da Gentile, vanno ancora oltre: più di 1.500 morti e 2.000 prigionieri (ivi). 244 Cfr. Alberto Buvoli, Franco Cecotti, Luciano Patat (a cura di), Atlante storico della lotta di liberazione italiana nel Friuli Venezia Giulia, cit., pp. 7476; inoltre, Paolo Toldo, Gli avvenimenti militari del settembre-ottobre 1944 nelle due zone libere del Friuli, in «Storia contemporanea in Friuli», n. 5, anno IV, 1974, p. 79. 245 Si tratta di Mario Bon, Giuseppe Grinover, Edoardo Meden, Iwan Tijsanio, immatricolati il 2 giugno 1944 nel KL monacense dove erano giunti con il trasporto partito da Trieste il 31 maggio precedente; cfr. le loro schede biograiche in Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., ad nomen. Per i dati sul trasporto vedi Italo Tibaldi, Compagni, cit., pp. 133, 144. 246 Vedi le loro schede biograiche in Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., ad nomen. Sulla rappresaglia cfr. Stefano Di Giusto, Operationszone Adriatisches Küstenland, cit., p. 400; vedi inoltre Rodolfo Di Centa (Rudy), Testimone oculare. Valle del But (Carnia) 1944-1945, Paluzza, Chei di Somavile, 2003, pp. 10-15. 247 Stefano Di Giusto, Operationszone Adriatisches Küstenland, cit., pp. 401-02; inoltre il database elaborato da Carlo Gentile, cit. In Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., sono numerose le biograie di deportati originari di questi luoghi, ma non è possibile stabilire con certezza per nessuno di loro una corrispondenza tra l’arresto nelle circostanze qui narrate e la deportazione in KL. 248 Stefano Di Giusto, Operationszone Adriatisches Küstenland, cit., pp. 513-514. 249 Cfr. Galliano Fogar, Litorale Adriatico, in Enzo Collotti, Renato Sandri, Frediano Sessi (a cura di), Dizionario della Resistenza, volume I, Storia e 711 geograia della Liberazione, cit., pp. 582-594, qui a p. 591. Anche nel caso di Lanischie, in Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., compaiono biograie di deportati originari del luogo, ma non è possibile stabilire con certezza per nessuno di loro una corrispondenza tra l’arresto nelle circostanze qui narrate e la deportazione in KL. 250 Stefano Di Giusto, Operationszone Adriatisches Küstenland, cit., p. 518, vedi inoltre il database elaborato da Carlo Gentile, cit. A fronte di 7 morti e 8 feriti tra i rastrellatori, in una fonte coeva tedesca compaiono 123 caduti «certi», altri 50 «probabili», circa 80 feriti e 37 prigionieri, mentre documentazione italiana anch’essa d’epoca parla di 117 morti e 100 prigionieri. 251 Bruno Steffè, La lotta antifascista nel basso Friuli, cit., p. 200. 252 Vedi le loro schede biograiche in Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., ad nomen. 253 Sulla zona libera del Friuli orientale cfr. Giovanni Padoan (Vanni), Abbiamo lottato insieme. Partigiani italiani e sloveni al conine orientale, Udine, Del Bianco, 1966, p. 134; Alberto Buvoli, Franco Cecotti, Luciano Patat (a cura di), Atlante storico della lotta di liberazione italiana nel Friuli Venezia Giulia, cit., p. 98; e Paolo Toldo, Gli avvenimenti militari del settembre-ottobre 1944 nelle due zone libere del Friuli, cit., p. 87. 254 Stefano Di Giusto, Operationszone Adriatisches Küstenland, cit., p. 524; Carlo Gentile, La repressione antipartigiana tedesca nel Veneto e nel Friuli, cit., p. 210. Di Giusto sostiene abbiano partecipato anche aliquote della 94ª e della 71ª divisione di fanteria, nonché reparti cosacchi. 255 Cfr. in Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., le indicazioni geograiche contenute nelle schede biograiche, ad locum. 256 Si tratta di Antonio Della Negra, cfr. ivi, ad nomen. 257 Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit.; inoltre Giovanni Comelli, Il martirio di Nimis, Udine, Arti Graiche Friulane, 1974, p. 55; Giampaolo Gallo, La Resistenza in Friuli 1943-45, Udine, Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione, 1989, che si rifà a Giovanni Padoan (Vanni), Un’epopea partigiana alla frontiera tra due mondi, Udine, Del Bianco, 1984, p. 276. Le stesse cifre citate da Padoan e poi da Gallo erano state peraltro già riportate nella voce Friuli, Zona libera del, in Pietro Secchia, Enzo Nizza (sotto la direzione di), Enciclopedia dell’antifascismo e della Resistenza, 6 volumi, Milano-Bergamo, La Pietra-Walk Over, 1968-1989, qui dal II volume, D-G, pubblicato nel 1971, p. 442, e sarebbero altresì comparse tal quali in Pier Arrigo Carnier, Lo sterminio mancato, cit., p.131 e, più di recente, in Alberto Buvoli, Franco Cecotti, Luciano Patat (a cura di), Atlante storico della lotta di liberazione italiana nel Friuli Venezia Giulia, cit., p. 99. Stefano Di Giusto, Operationszone Adriatisches Küstenland, cit., p. 524, indica un totale di 130 «deportati» [sic!] senza fornire ulteriori precisazioni. Un elenco di persone «deportate» dai comuni della zona libera del Friuli orientale si trova in Valentino Pravisano, Aldo Moretti, I caduti della Resistenza nel territorio 712 della zona libera orientale del Friuli, in «Storia contemporanea in Friuli», n. 5, anno IV, 1974, pp. 146-161. Si vedano inoltre Faedis 1944, Udine, Tipograia arti graiche friulane, 1974, p. 17; Michael Wedekind, Nationalsozialistische Besatzungs- und Annexionspolitik, cit., p. 456. 258 Paolo Toldo, Gli avvenimenti militari del settembre-ottobre 1944 nelle due zone libere del Friuli, cit., p. 86. 259 Sulla presenza partigiana nella zona libera della Carnia e del Friuli vedi in dettaglio Fabio Tafuro, La Resistenza nel Friuli occidentale, cit. Sul rastrellamento cfr. Mario Candotti, Prima fase dell’offensiva tedesca contro la «zona Libera della Carnia e del Friuli». Operazioni militari nella Zona Carnica: 8 ottobre-20 dicembre 1944, in «Storia contemporanea in Friuli», n. 9, anno VIII, 1978, pp. 211-268; Idem, La seconda fase dell’offensiva tedesca contro la «Zona libera della Carnia e del Friuli». Operazioni militari nella destra orograica del Meduna, nell’alta Val Meduna, nelle Prealpi Carniche occidentali (27 novembre-8 dicembre 1944), in «Storia contemporanea in Friuli», n. 8, anno VII, 1977, pp. 200-264; Idem, La lotta partigiana in Valcellina, in «Storia contemporanea in Friuli», n. 10, anno IX, 1979, pp. 131-204 La lotta partigiana in Valcellina, in «Storia contemporanea in Friuli», n. 10, a. IX, 1979, pp. 131-204 260 Fabrizio Tafuro, La Resistenza nel Friuli occidentale, cit., p. 173. 261 Per i dettagli dell’operazione cfr. Stefano Di Giusto, Operationszone Adriatisches Küstenland, cit., pp. 526-528. 262 Ivi, p. 528. 263 Ivi, p. 530. Inoltre il database elaborato da Carlo Gentile, cit. 264 Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit. Secondo le fonti tedesche, a fronte di 2 morti, 34 feriti e 2 dispersi tra i rastrellatori si contarono 107 caduti, 150 feriti stimati, 40 prigionieri, 3 disertori catturati tra i partigiani. 265 Ivi. In questo caso, sempre secondo le fonti tedesche, le forze partigiane avrebbero avuto 100 caduti, 37 feriti (stima dei rastrellatori), e lasciato 38 prigionieri in mano nemica, che dovette invece lamentare solo 6 feriti. 266 Stefano Di Giusto, Operationszone Adriatisches Küstenland, cit., pp. 529-541; inoltre i contributi di Fabio Tafuro, La Resistenza nel Friuli occidentale, cit.; e di Mario Candotti, Prima fase dell’offensiva tedesca contro la «zona Libera della Carnia e del Friuli», cit., La seconda fase dell’offensiva tedesca contro la «Zona libera della Carnia e del Friuli», cit., La lotta partigiana in Valcellina, cit. Da tenere sempre presente la documentazione raccolta nel database elaborato da Carlo Gentile, cit. 267 Carlo Gentile, La repressione antipartigiana tedesca nel Veneto e nel Friuli, cit., p. 212; Paolo Toldo, Gli avvenimenti militari del settembre-ottobre 1944 nelle due zone libere del Friuli, cit., p. 97. 268 Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit. 269 In Galliano Fogar, Litorale Adriatico, cit., p. 588, si accenna genericamente a «centinaia» di «caduti o uccisi dopo la cattura o nei Lager nazisti»; analogamente Giampaolo Gallo, La Resistenza in Friuli cit., parla per la pri- 713 ma fase dell’operazione nelle valli del Tagliamento e del But di molti civili rastrellati e inviati in non meglio speciicati «campi di concentramento». Giannino Angeli, Natalino Candotti, Carnia Libera. La repubblica partigiana del Friuli (estate-autunno 1944), Udine, Del Bianco, 1971, p. 149, fanno riferimento alla cattura di quasi un migliaio di persone non combattenti, fra cui oltre un centinaio di donne, trascinati, si dice, ai lavori forzati in Germania o trasferiti in generici «campi di concentramento». 270 Michael Wedekind, Nationalsozialistische Besatzungs- und Annexionspolitik, cit., p. 456. Tra le schede biograiche contenute in Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., si trovano sia quelle di Giacomo Bet, di Barcis ma arrestato a Maniago; Ugo Cattarinussi, di Ovaro; Amadio Dolcetti, nato a Miona, frazione di Ovaro, i quali sono immatricolati il 7 febbraio 1945 al Mauthausen dove erano giunti con un trasporto partito qualche giorno prima proprio da Trieste; sia quelle di Osvaldo De Damiani, originario di Erto e Casso; Carlo Dessì ed Eugenio Morra, partigiani della Osoppo; Nicolò Muser, di Paluzza ma arrestato a Ovaro, registrati a Flossenbürg tre settimane prima, il 14 gennaio, dopo essere partiti da Trieste tre giorni prima. Per tutti loro vedi ivi, ad nomen. Su Dessì e Morra cfr. altresì nel testo e in nota. Ovviamente saranno necessari ulteriori approfondimenti in sede locale a partire dall’incrocio delle schede biograiche ora citate con le ricerche esistenti e le fonti disponibili per estendere il raggio delle conoscenze. 271 Vedi Riccardo Giacuzzo, Mario Abram, Itinerario di lotta, cit., p. 329; nonché Bruno Steffè, La lotta antifascista nel basso Friuli, cit., pp. 293, 323-324. 272 Bruno Steffè, La lotta antifascista nel basso Friuli, cit., p. 279. Cfr. le schede biograiche dei due deportati in Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., ad nomen. 273 Cfr. Paolo Sema, Aldo Sola, Marietta Bibato, Battaglione Alma Vivoda, Milano, La Pietra, 1975, p. 129; Aldo Bressan, Luciano Giuricin, Fratelli nel sangue, cit., pp. 330-331; Gaetano La Perna, Pola, Istria, Fiume, 1943-1945. La lenta agonia di un lembo d’Italia, Milano, Mursia, 1993, p. 307, ss. 274 Aldo Bressan, Luciano Giuricin, Fratelli nel sangue, cit. pp. 330-331. 275 In Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., compaiono 53 schede biograiche di persone la cui vicenda concentrazionaria è compatibile con un arresto nel periodo e nei luoghi sopracitati; 23 furono deportati a Dachau con il trasporto giuntovi l’11 dicembre 1944, e partito da Trieste l’8 precedente; 13 vennero immatricolati a Flossenbürg il 21 successivo, dopo esservi stati avviati dal capoluogo giuliano il 18; altri 5 li avrebbero seguiti nello stesso KL nel convoglio, già citato poc’anzi, del 14 gennaio; gli ultimi 12 sarebbero giunti a Mauthausen il 7 febbraio, con lo stesso trasporto poco sopra richiamato. Cfr. ivi, ad locum. 276 Cfr. Michael Wedekind, Nationalsozialistische Besatzungs- und Annexionspolitik, cit., passim; e Monica Fioravanzo, Mussolini e Hitler. La Repubblica sociale sotto il Terzo Reich, Roma, Donzelli, 2009, pp. 155-162. 714 277 Umberto Corsini, L’Alpenvorland, necessità militare o disegno politico?, in Tedeschi, partigiani e popolazioni nell’Alpenvorland (1943-1945). Atti del convegno di Belluno 21-23 aprile 1983, Venezia, Marsilio, 1984, pp. 11-56. Cfr. inoltre Elena Carano, La peculiarità della «guerra ai civili» nella Belluno occupata, in «Protagonisti», n. 88, giugno 2005, pp. 65-88. 278 Sul tema cfr. i contributi in Tedeschi, partigiani e popolazioni nell’Alpenvorland, cit.; nonché Andrea Di Michele, Rodolfo Taiani (a cura di), La Zona d’operazione delle Prealpi nella seconda guerra mondiale, Trento, Museo Storico in Trento, 2009. Per un approfondimento si vedano le indicazioni bibliograiche contenute in Michael Wedekind (a cura di), Nazionalismi di conine. Il Trentino-Alto Adige dall’annessione italiana all’occupazione nazista (1918-1945), Trento, Museo Storico in Trento, 1994. 279 Leopold Steurer, L’atteggiamento della popolazione di lingua tedesca della provincia di Bolzano durante il periodo 1943-1945, in Tedeschi, partigiani e popolazioni nell’Alpenvorland, cit., pp. 145-164; Andrea Di Michele, Le due Resistenze in Alto Adige, in Idem, Rodolfo Taiani (a cura di), La Zona d’operazione delle Prealpi, cit., pp. 283-295. Su Bolzano e il DuLag che vi ebbe sede cfr. Cinzia Villani, Il Durchgangslager di Bolzano (1944-1945), in Brunello Mantelli (a cura di), Deportati, deportatori, cit., pp. 823-853. 280 Sul Trentino cfr. Lorenzo Gardumi, Maggio 1945. «a nemico che fugge ponti d’oro», Trento, Museo Storico in Trento, 2008; Idem, Tra terrorismo mirato e violenza indiscriminata. Le politiche di repressione in Trentino: 19431945, in Andrea Di Michele, Rodolfo Taiani (a cura di), La Zona d’operazione delle Prealpi, cit., pp. 119-128. Si veda inoltre Graziano Riccadonna, Tra ribellismo e rassegnazione. La Resistenza nel Trentino sud-occidentale acquisizioni e tracce di lavoro, in Giuseppe Ferrandi, Walter Giuliano (a cura di), Ribelli di conine. La Resistenza in Trentino, Trento, Museo Storico in Trento, 2003, pp. 259-276, in particolare a p. 263. 281 Sul Bellunese cfr. il puntuale e documentato contributo di Adriana Lotto, Resistenza, rastrellamenti, deportazioni nel Bellunese, in Brunello Mantelli (a cura di), Deportati, deportatori, cit., pp. 318-366. 282 Ivi, pp. 322-323. 283 Carlo Gentile, La repressione antipartigiana tedesca nel Veneto e nel Friuli, cit., p. 194; Elena Carano, La peculiarità della «guerra ai civili», cit., p. 85, nota 19; cfr. inoltre il database elaborato da Carlo Gentile, cit. 284 L’informazione si trova in Marco Pirina, 1943-1945. Guerra civile sulle montagne, vol. III, Vicenza, Belluno, Verona, Trento, Bolzano, Gorizia, Pordenone, Centro Studi e Ricerche Storiche Silentes Loquimur, 2003, p. 63. 285 Dario Venegoni, Uomini, donne e bambini, cit., cfr. ad nomen. 286 Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., cfr. ad nomen. 287 Nella scheda che lo riguarda (cfr. ivi, secondo tomo, p. 1678) compaiono infatti due possibili date di nascita, desunte dalla documentazione consultata ma tra loro del tutto incompatibili: 15 gennaio 1912 e 15 dicembre 715 1895, il che fa pensare si possa essere effettivamente trattato di due persone diverse; solo di una però si hanno suficienti tracce provenienti dalla documentazione concentrazionaria. 288 Margareth Lun, NS-Herrschaft in Südtirol, cit., p. 387. 289 Sulla base di una relazione militare del 9 agosto, per i lavori sulla linea sarebbero stati a disposizione 100.000 uomini, una cifra che nei mesi successivi sarebbe dovuta salire a 180.000, cfr. Carlo Gentile, La repressione antipartigiana tedesca nel Veneto e nel Friuli, cit., p. 205, mentre Margareth Lun, NS-Herrschaft in Südtirol, cit., parla di 82.000 lavoratori coatti in tutto. 290 Cfr. in proposito i contributi di Carla Antonini, La deportazione, cit.; di Marco Minardi, «Una lotta disumana», cit.; e in particolare di Francesco Paolella, Giovanna Caroli e Cleonice Pignedoli, Tra le memorie del territorio reggiano, cit., in Brunello Mantelli (a cura di), Deportati, deportatori, cit., passim. 291 Carlo Gentile, La repressione antipartigiana tedesca nel Veneto e nel Friuli, cit., p. 200. 292 Secondo una ricostruzione complessiva dei caduti nel corso dei Venti mesi originari del Trevigiano (Elio Fregonese [a cura di], I caduti trevigiani nella guerra di liberazione 1943-1945, Treviso, Istituto per la storia della resistenza e della società contemporanea della Marca Trevigiana, 1993), sarebbero stati fatti prigionieri nel corso di questo rastrellamento Franco Ardi (di Barbarano Vicentino) e Luigi Bordin (feltrino, quindi del Bellunese) lì classiicati tutti e due come caporalmaggiori del 15° Reggimento Autieri, ma secondo le fonti concentrazionarie studenti universitari. Entrambi vennero inviati nel DuLag di Bolzano e da lì deportati al KL di Mauthausen il 20 novembre 1944. Trasferiti al sottocampo di Melk, vi sarebbero deceduti rispettivamente il 26 febbraio e il 5 marzo 1945; cfr. Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., ad nomen; nonché Dario Venegoni, Uomini, donne e bambini, cit., ad nomen. Diverse, ed evidentemente errate, le notizie circa il percorso concentrazionario dei due giovani contenute in Elio Fregonese (a cura di), I caduti trevigiani, cit., dove per Ardi si dà come KL di destinazione e di decesso (in data 5 marzo 1945) Dachau, mentre di Bordin si fornisce come destinazione direttamente Melk e se ne dà come data di decesso il 15 marzo. Purtroppo la storiograia locale è sempre utile per quanto riguarda la dinamica degli arresti, ma sovente lacunosa e imprecisa circa luoghi di destinazione ed eventuali percorsi concentrazionari. 293 Su di esso si veda Adriana Lotto, Resistenza, rastrellamenti, cit., pp. 332-333. 294 Cfr. Ferruccio Vendramini, Belluno, in Enzo Collotti, Renato Sandri, Frediano Sessi (a cura di), Dizionario della Resistenza, volume I, Storia e geograia della Liberazione, cit., pp. 568-569. 295 Nato nel 1914 nei pressi di Innsbrück, sportivo noto in città come boxeur e ginnasta, Alois Schintlholzer entrò nel 1932 nel ramo austriaco della NSDAP, aderendo nello stesso anno alle SA e l’anno dopo alla SS. Arrestato e detenuto per cinque mesi nel 1937, allorché la NSDAP austriaca era stata 716 posta fuori legge, dopo l’Anschluß ebbe un ruolo importante nell’organizzazione a Innsbruck del grande pogrom (cosidetta «notte dei cristalli») del 9 novembre 1938. Entrato nel 1939 nelle Waffen SS, frequentò la Junkerschule (scuola per allievi uficiali) della SS da Bad Tölz. Dopo aver conseguito il grado di sottotenente (Untersturmführer), ebbe il comando di un reparto di fucilieri motociclisti del 2° reggimento fanteria motorizzata delle SS, alla cui testa avrebbe partecipato, dal giugno 1941, alle operazioni condotte dal Gruppo di Armate Nord (Heeresgruppe Nord) sul fronte orientale e all’assedio di Leningrado. Nei mesi successivi si distinse in diverse operazioni antiguerriglia guidando Jagdkommandos. Nel 1942 fu promosso tenente (Obersturmführer) e decorato per meriti di guerra. Nel settembre 1943 fu trasferito in Italia. Tra il 1943 e il 1944 sarebbe stato assegnato alla 7ª divisione da montagna delle Waffen SS «Principe Eugenio» (7 SS Freiwilligen-Gebirgs-Division «Prinz Eugen»), speciicatamente addestrata alla lotta antipartigiana e creata dopo l’invasione nazifascista della Jugoslavia. Promosso a capitano (Hauptsturmführer), dopo aver preso parte alla retata degli ebrei di Merano e ad alcune operazioni antiguerriglia nel Nord Italia, condotte agli ordini di Theodor Sawaecke, ad Alois Schintlholzer venne afidata la Scuola di addestramento da montaglia della Waffen SS istituita a Predazzo. In tale veste avrebbe guidato rastrellamenti in area veneta, rendendosi altresì responsabile di stragi in Trentino, effettuate a guerra ormai conclusa. Per il suo proilo biograico cfr. Lorenzo Gardumi, Maggio 1945, cit., pp. 282-284. 296 Secondo tutte le fonti militari tedesche, la divisione «Hermann Göring» fu trasferita alla ine di luglio 1944 sul fronte orientale (l’ordine è datato 15 luglio), dove viene data per operativa all’inizio del settembre successivo. Sono perciò legittimi i dubbi sulla presenza di sue unità nell’OZAV nella seconda metà di agosto. 297 Cfr. Elena Carano, La peculiarità della «guerra ai civili» nella Belluno occupata, cit., p. 77 ss; Eadem, Oltre la soglia. Uccisioni di civili nel Veneto, 1943-1945, Padova, CLEUP, 2007, pp. 64-69. 298 Egidio Ceccato, Il rastrellamento del Grappa (1944), in «Venetica», n.s., n. 4, 1995, pp. 61-94; Sonia Residori, Il massacro del Grappa. Vittime e carneici del rastrellamento (21-27 settembre 1944), Verona, Cierre, 2007; circa il rapporto tra caduti e deportati nel corso di rastrellamenti, l’autrice ha messo in rilevo come: «il dato senz’altro più aleatorio [sia] rappresentato da coloro, civili e partigiani, che furono deportati in campo di concentramento in Germania, in quanto per lungo tempo l’opinione pubblica italiana ha molto sottovalutato il fenomeno della deportazione», ivi, p. 47; in effetti, anche gli studi locali più recenti, basandosi essenzialmente sugli atti dei processi istruiti alla ine della guerra contro gli esecutori delle stragi, non permettono di fare luce sulle deportazioni a esse correlate, ma piuttosto sulle morti e sulle responsabilità dei massacri, temi che maggiormente rispecchiavano la sensibilità dei magistrati e dell’opinione pubblica all’epoca in cui quei procedimenti furono celebrati. 717 299 Carlo Gentile, La repressione antipartigiana tedesca nel Veneto e nel Friuli, cit., p. 207; Sonia Residori, Il massacro del Grappa, cit., p. 121. 300 La testimonianza di Evelino Casanova Borca, giovane di 17 anni arrestato per sbaglio al posto del padre che si trovava al momento nel Trevigiano, è pubblicata in Walter Musizza, Giovanni Donà, Gli internati, ovvero il dramma tagliato, in «Protagonisti», n. 63, anno XVII, aprile-giugno 1996, pp. 8-13; la scheda sul percorso concentrazionario di Casanova Borca è riportata in Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., ad nomen. 301 Cfr. Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., ad nomen. Nello stesso luogo si trovano le biograie di altri due compaesani, quasi omonimi, Osvaldo Casanova Bolco e Antonio Casanova Lozio, i quali subiscono la stessa sorte e avranno in KL l’identico percorso. 302 Ivi, ad nomen. 303 Cfr. la relazione del parroco di Costalta, don Modesto Sorio, in Giuseppe Sorge, Relazioni dei Parroci delle Diocesi di Belluno e Feltre sulla occupazione nazista dal 1943 al 1945, Belluno, Istituto Bellunese di Ricerche Sociali e Culturali, 2004, p. 200; il documento era già stato riprodotto in Istituto storico bellunese della Resistenza (a cura di), 1943-1945. Occupazione e resistenza in provincia di Belluno. I documenti, Belluno, Comitato organizzatore per il 40° della medaglia d’oro al valore militare alla città di Belluno per la lotta di liberazione della Provincia, 1988, pp. 144-145; fu ripreso anche da Ferruccio Vendramini, in Belluno, cit., p. 570. 304 Adriana Lotto, Resistenza, rastrellamenti, cit., pp. 338-339. 305 Cfr. nuovamente la relazione di don Modesto Sorio, cit., in Giuseppe Sorge, Relazioni dei Parroci delle Diocesi di Belluno e Feltre, cit., loc. cit. 306 In Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., sono presenti le schede biograiche di 38 deportati originari dei tre comuni e catturati durante i rastrellamenti della prima decade di gennaio 1945; 34 vennero deportati al KL di Mauthausen, dove sarebbero giunti il 4 febbraio 1945, altri 4 li avrebbero preceduti arrivando il 23 gennaio a Flossenbürg; cfr. ivi, ad locum. 307 Jean Pierre Jouvet, Trento e provincia, in Enzo Collotti, Renato Sandri, Frediano Sessi (a cura di), Dizionario della Resistenza, volume I, Storia e geograia della Liberazione, cit., p. 575. 308 Cfr. Giuseppe Pantozzi, Il Minotauro argentato. Contributi alla conoscenza del movimento di resistenza di Val di Fiemme, Trento, Museo Storico in Trento, 2000, pp. 49-64 e 75-88; e Lorenzo Gardumi, Maggio 1945, cit, p. 272 e ss. 309 Jean Pierre Jouvet, Trento e provincia, cit., pp. 577-587. 310 Cfr. Renzo Francescotti, Antifascismo e resistenza nel Trentino, 19201945, Roma, Editori Riuniti, 1975, pp. 114-115, dove si accenna alla deportazione del religioso. Cfr. la scheda biograica di don Sordo in Giovanna 718 D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., ad nomen. 311 Vedi Giuseppe Pantozzi, Il minotauro argentato, cit., pp. 101-110; Renzo Francescotti, Antifascismo e resistenza nel Trentino, cit., pp. 116-117. I catturati in queste circostanze vennero tutti deportati al DuLag di Bolzano, parte dei quali per rimanervi (Anna Bosin; il padre francescano Giuseppe De Gasperi; Mario Leoni; Giovanni Tosca, cfr. Dario Venegoni, Uomini, donne e bambini, cit.), altri per proseguire in seguito verso i KL: il francescano Luigi (o Ludwig, ma indicato nella letteratura anche come padre Costantino) Amort e Aldo Pantozzi sarebbero giunti il 2 febbraio a Mauthausen, mentre Giovanni (o Kasimir) Jolstraibizer (o Jobstraibizer, le fonti danno due graie del cognome), anche egli appartenente all’ordine dei frati minori, e Marzo Zozi sarebbero stati immatricolati a Flossenbürg il 19 gennaio 1945. Confronta per questi ultimi quattro le schede biograiche in Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., ad nomen. 312 Carlo Gentile, La repressione antipartigiana tedesca nel Veneto e nel Friuli, cit., p. 190; del II corpo d’armata delle Waffen SS facevano parte al tempo la 1ª divisione corazzata delle Waffen SS «Leibsstandarte Adolf Hitler», e la 24ª divisione corazzata della Wehrmacht. 313 Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit. L’operazione è altresì segnalata da Luca Valente, La repressione militare tedesca nel vicentino, in «Quaderni Istrevi», n. 1, 2006, p. 42. 314 Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit. 315 Carlo Gentile, La repressione antipartigiana tedesca nel Veneto e nel Friuli, cit., p. 198. 316 Ivi, passim. 317 Luca Valente, La repressione, cit., p. 43; Carlo Gentile, La repressione antipartigiana tedesca nel Veneto e nel Friuli, cit, p. 194. 318 Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit. 319 L’indicazione si trova in Marco Pirina, 1943-45. Guerra civile sulle montagne, vol. III, Vicenza, Belluno, Verona, Trento, Bolzano, cit., pp. 197-198. 320 Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit. 321 La vicenda è descritta in Francesco Selmin, La Resistenza tra Adige e Colli Euganei, Sommacampagna, Cierre, 2005, p. 24 ss.; Elena Carano, Oltre la soglia, cit., pp. 171-175; Umberto Dinelli, La guerra partigiana nel Veneto, Venezia, Marsilio, 1976, pp. 128-129; e Tiziano Merlin (a cura di), Il 50° della Liberazione nel padovano, Padova, Centro studi Ettore Lucini, 1995, pp. 32-64. 322 Nei racconti partigiani riportati da Tiziano Merlin (a cura di), Il 50. della Liberazione, cit., p. 50, si accenna alla cifra di 30 «deportati» in Germania, ma si trattò con certezza di lavoratori coatti. 323 Francesco Selmin, La Resistenza, cit., p. 24 ss.; Tiziano Merlin (a cura di), Il 50° della Liberazione, cit., p. 43; don Sante Miotto, Squilla dell’Adige. Castelbaldo, luglio 1944-luglio 1945, Rovigo, Istituto padano di arti graiche, 719 1945. Secondo la ricostruzione di Selmin, durante il rastrellamento di Castelbaldo vennero catturate la moglie e la iglia del comandante partigiano Giuseppe Doralice, assieme a un’amica comune, Enrica Vaccai. Le tre donne, dopo essere state tradotte alle carceri d’Este e condannate a morte, sarebbero state, secondo Selmin, «deportate» in Germania insieme a Elio Danese, Rino Gagliotto e alcuni altri giovani di Masi; tuttavia, né in Dario Venegoni, Uomini, donne e bambini, cit., né in Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., compare alcuna traccia di loro. Essendo state le due opere basate sullo spoglio accurato di tutta quanta la documentazione disponibile sui prigionieri nel DuLag di Bolzano la prima, sui deportati in KL la seconda, ne consegue che la ricostruzione di Selmin va considerata su questo speciico punto erronea. 324 La notizia si trova in Marco Pirina, 1943-45. Guerra civile sulle montagne, vol. III, Vicenza, Belluno, Verona, Trento, Bolzano, cit. pp. 245-247. Sul rastrellamento della Piana come parte di Pauke cfr. inoltre Comitato venetotrentino per la storia delle Brigate d’assalto Garibaldi A. Garemi, Brigate d’assalto Garemi. Contributo per una storia del gruppo divisioni garibaldine A. Garemi, Torrebelvicino, Tipolitograia L. Greselin, 1978, pp. 52-54. 325 Sonia Residori, Il massiccio del Grappa cit., p. 47. 326 Ivi, p. 62. Cfr. inoltre Il rastrellamento del Grappa 20-26 settembre 1944. Due testimonianze di Livio Morello e Gigi Toaldo, Venezia, Marsilio, 1986, con un’introduzione di Enrico Opocher; Egidio Ceccato, Il rastrellamento del Grappa (1944), cit., pp. 61-94. Sui caduti vedi Elena Carano, Oltre la soglia, cit., p. 59 ss.; cfr. anche s.c. (Chiara Saonara), Grappa, Monte, voce dedicata al rastrellamento in Enzo Collotti, Renato Sandri, Frediano Sessi (a cura di), Dizionario della Resistenza, volume II, Luoghi, formazioni, protagonisti, cit., pp 58-59. Si veda inoltre Lorenzo Capovilla, Federico Maistrello, Assalto al Monte Grappa settembre 1944. Il rastrellamento nazifascista del Grappa nei documenti italiani, inglesi e tedeschi, con un saggio di Sonia Residori, Treviso, Istresco, 2011. 327 Sonia Residori, Il massacro del Grappa, cit., pp. 71-90. 328 La presenza di un centro di addestramento in località Ca’ Bianca è segnalata anche da Carlo Gentile, La repressione antipartigiana tedesca nel Veneto e nel Friuli, cit., p. 181. 329 Ivi, p. 208. 330 Questi dati vengono citati anche da Umberto Dinelli, La guerra partigiana, cit., p. 117, che scrive di 171 impiccati, 603 fucilati, 804 «deportati», 3.212 prigionieri (incongruamente distinti dai «deportati») e 285 case incendiate. 331 Enrico Opocher, nell’introduzione a Il rastrellamento del Grappa 20-26 settembre 1944, cit., p. 27. 332 Cfr. Elio Fregonese (a cura di), I caduti trevigiani, cit. I 27 sono: Eugenio Andreatta; Antonio Biason; Renato Biason; Giuseppe Bolzan; Leonildo Bolzan; Sebastiano Bontorin; Giovanni Bortolazzo; Marcello Brion; Giovanni 720 Buratto; Giannino Celotto; Emilio Del Bianco; Giovanni Cunial; Michele Giacomelli; Ermenegildo Guadagnin; Sante Maniotto; Agostino Moro; Orione Pilla; Giovanni Savio; Angelo Spezzamonte; Evaristo Tessari; Domenico Ziliotto; Egidio Ziliotto; Sebastiano Ziliotto; Zefferino Ziliotto. Di loro 23 risultano con sostanziale certezza essere stati immatricolati al DuLag di Bolzano (cfr. Dario Venegoni, Uomini, donne e bambini, cit., ad nomen), da cui poi sarebbero effettivamente stati trasferiti al KL di Dachau (cfr. per i loro percorsi concentrazionari le schede biograiche contenute in Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., ad nomen), ancorché compaiano variazioni nella graia dei cognomi: Andreatta è in realtà Andrealla; Biason è in realtà Biasion (compare tuttavia nella documentazione concentrazionaria anche la graia Biassion), Guadagnin compare anche come Guadagnini. Del tutto assenti dalle fonti utilizzate in entrambe le opere citate Buratto, Maniotto, Pilla e Tessari, quasi certamente, perciò, non deportati in KL; al contrario vi compaiono invece altri nomi, tra cui quello di un Tarcisio Tessari, anch’egli fatto prigioniero nel rastrellamento del Grappa e poi passato per Bolzano e Dachau. Non coincidono però luogo e data di morte, che per l’Evaristo di Fregonese sono Überlingen il 24 febbraio 1945, mentre per il Tarcisio di Venegoni e D’Amico, Villari, Cassata risultano essere Dachau il 5 marzo 1945, cosa che rende dubbia una pur possibile identiicazione. 333 Sonia Residori, Il massacro del Grappa, cit., pp. 46-47. 334 Ivi, p. 128. Per il loro percorso concentrazionario cfr. le schede biograiche in Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., ad nomen. 335 Zaira Meneghin Maina, Tra cronaca e storia. La Resistenza nel Vicentino, Milano, Teti, 1989, pp. 152-155. 336 Umberto Dinelli, La guerra partigiana, cit., pp. 153-154. 337 Cfr. Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., ad nomen; nonché Dario Venegoni, Uomini, donne e bambini, cit., ad nomen. 338 Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit. 339 Per quanto riguarda la ricostruzione del rastrellamento cfr. Comitato veneto-trentino per la storia delle Brigate d’assalto Garibaldi A. Garemi, Brigate d’assalto Garemi, cit., pp. 117-118; circa la sorte successiva di don Rigoni, del falegname Lorenzi e dei restanti sei, i cui nomi non sono citati nel volume sopracitato e la cui identiicazione è stata possibile grazie a una veriica condotta sia su Dario Venegoni, Uomini, donne e bambini, cit., ad locum, sia su Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., ad locum, cfr. le loro schede biograiche ivi, ad nomen. 340 Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit. 341 Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit. Gli eventi successivi al rastrellamento sono ricostruiti in Rolando Anni, Storia della Brigata «Giacomo Perlasca», Brescia, Istituto Storico della Resistenza Bresciana, 1980, pp. 41-54. 721 342 Secondo Rolando Anni, Storia della Brigata, cit., p. 51, nota n. 83, la partenza di questo gruppo per la Germania sarebbe avvenuta il 10 marzo 1944; come è consuetudine della storiograia locale, l’autore parla anche in questo caso di «deportati», sostantivo che non può assolutamente essere interpretato come «deportati in KL». 343 Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit. 344 Ivi. 345 Ivi. L’episodio è raccontato anche in Guido Bonvicini, Decima marinai! Decima comandante! La fanteria di marina 1943-45, Milano, Mursia, 1988, p. 70. 346 Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit. 347 Ivi; secondo fonti di polizia (Bundesarchiv Berlin-Lichterfelde, fondo R70 Italien, fascicolo n. 27, p. 119) i caduti partigiani sarebbero stati 350, i feriti 125, i prigionieri 200); secondo fonti militari (Bundesarchiv-Militärarchiv Freiburg im Breisgau, fondo RH2, fascicolo n. 667, relazione Ic del 30 agosto 1944; e fondo RH24-204, fascicolo n. 1, p. 4) le cifre sono di 88 vittime e 50 prigionieri nel primo caso (dove non si parla di feriti); 240 morti, 300 feriti e 265 catturati nel secondo. Vedi anche Lucio Ceva, Una battaglia partigiana. I combattimenti del Penice del Brallo nel quadro del rastrellamento ligurealessandrino-pavese-piacentino di ine agosto 1944, Milano, Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione, 1960; Giampaolo Pansa, Guerra partigiana tra Genova e il Po. La Resistenza in provincia di Alessandria, Bari, Laterza, 1967, pp. 194-204; nonché Istituto Nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia - Istituto Gramsci, Le Brigate Garibaldi nella Resistenza, Documenti, volume II, Gabriella Nistico (a cura di), Giugno-novembre 1944, Milano, Feltrinelli, 1979, i doc. 274 e 275. 348 Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit. Una accurata descrizione delle due operazioni si trova in Idem, Tra città e campagna. Guerra partigiana e repressione in Liguria, in «Storia e memoria», 2, 1997, pp. 85-86. 349 Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit. 350 Ivi. 351 Rolando Anni, Storia della brigata «Giacomo Perlasca», cit., p. 117 e ss.; Ricciotti Lazzero, Le SS italiane, cit., p. 207. 352 Sulla formazione delle bande di questa zona vedi Giorgio Bocca, Storia dell’Italia partigiana. Settembre 1943-maggio 1945, Bari, Laterza, 1966. 353 Si veda Carlo Gentile, Tedeschi in Italia, pp. 15-56; Idem, La Wehrmacht tra il Mar Ligure e il Po. Difesa costiera e repressione antipartigiana, in «Quaderno di Storia contemporanea», 1995, n. 17-18, pp. 27-58; Idem, La Wehrmacht nelle valli alpine cuneesi dallo sbarco in Provenza all’inverno 1944/45, in Michele Calandri, Mario Cordero, Stefano Martini (a cura di), Valle Stura in guerra 1940/45, Piasco, Comunità montana Valle Stura-Centro di documentazione, 1996, pp. 41-56; Carlo Gentile, Le forze tedesche di occupazione e il fronte delle Alpi occidentali, in «Il presente e la storia», 1994, n. 46, pp. 57-123; Idem, L’offensiva antipartigiana della primavera 1944, cit., in Pier Mario Bologna, Marco Ruzzi (a cura di), La battaglia di Val Casot- 722 to, cit., pp. 149-185; Idem, Guerra partigiana nel Ponente ligure. Le forze di occupazione tedesche e il rastrellamento del luglio 1944, in «Bollettino della Associazione Culturale Comunità di Villaregia», anni VI-VIII (1995-1997), nn. 6-7-8, pp. 3-19. 354 Cfr. Idem, Tedeschi in Italia, cit., p. 45 ss.; nonché Michele Calandri, Mario Cordero, La Valle Stura dalla guerra fascista alla liberazione, in Iidem, Stefano Martini (a cura di), Valle Stura in guerra, cit., pp. 16-17. 355 La prima azione sotto la direzione dell’SSPF Oberitalien-West avvenne tra il 7 e il 9 dicembre 1943, a Forno Canavese; la realizzò un gruppo di combattimento del 15º reggimento della Orpo, coadiuvato da una squadra della Sipo-SD di stanza presso l’Aussenkommando di Torino. L’operazione, documentata da Carlo Gentile sulla base di fonti archivistiche tedesche, è citata anche in Istituto Nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia - Istituto Gramsci, Le Brigate Garibaldi nella Resistenza. Documenti, cit., volume I, Giampiero Carocci, Gaetano Grassi (a cura di), Agosto 1943-maggio 1944, doc. 44. 356 Cfr. Mario Renosio, Colline partigiane, Milano, Angeli, 1994, p. 77; Gianni Dolino, Partigiani in Val di Lanzo, Milano, Angeli, 1989, pp. 18-20. 357 Cfr. Enrico Miletto, Le valli ferite. Distruzione e violenze in Valle di Susa e Valle di Lanzo 1943-1945, in Bruno Maida (a cura di), Guerra e società nella provincia di Torino, Torino, Blu, 2007, pp. 119-196, in particolare i paragrai Le rappresaglie e I rastrellamenti e le deportazioni, pp. 142-157, dove si accenna alla retata del Natale 1943 a Sant’Antonino di Susa, che avrebbe portato alla «deportazione» di Vito [sic!] Cometto, e a un’azione di rastrellamento presso Ceres svoltasi l’8 marzo 1944 che avrebbe cagionato la deportazione a Mauthausen del partigiano Michele Ricchione, appartenente a uno dei nuclei che in seguito si sarebbero aggregati nella 4ª Divisione Garibaldi «Piemonte» (ivi, pp. 142-157). Entrambe le persone qui citate paiono effettivamente essere giunte al KL di Mauthausen, in date perfettamente compatibili con le operazioni antiguerriglia poc’anzi citate, cfr. Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., ad nomen; va tuttavia rilevato che al Cometto qui citato tutta la documentazione disponibile, sia concentrazionaria, sia uficiale italiana di epoca successiva, attribuisce il nome di Carlo, mentre la base di dati dell’Istituto Piemontese per la Storia della Resistenza e della Società Contemporanea (Istoreto) di Torino porta del cognome di Ricchione la variante Ricchioni. 358 Carlo Gentile, L’offensiva antipartigiana della primavera 1944, cit., in Pier Mario Bologna, Marco Ruzzi (a cura di), La battaglia di Val Casotto, cit., p. 149 e ss. 359 Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit. 360 In Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., sono riportate le schede biograiche di 14 deportati catturati in val di Lanzo durante questa operazione, vedi ad locum; tutti vi giunsero con il trasporto partito da Bergamo il 17 marzo 1944 e arrivato al 723 KL nei pressi di Linz tre giorni dopo; cfr. Italo Tibaldi, Compagni di viaggio, cit., pp. 56-57. Si veda inoltre, in questo stesso volume il contributo di Giovanna D’Amico, Dall’Italia ai Lager nazisti. Ragioni e modalità di cattura, pp. 21-68, alla p. 68, nota n. 117. 361 Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit. Vedi inoltre Donatella Gay Rochat, La resistenza nelle valli valdesi 1943-1944, Torino, Claudiana, 1969, con una prefazione di Leo Valiani (ristampata nel 2006 con una nuova introduzione di Alberto Cavaglion. è da quest’ultima edizione che si cita), p. 91 ss.; Angela Trabucco, Resistenza in Val Chisone e nel Pinerolese, Pinerolo, Arti Graiche, 1984, pp. 67-71. 362 Cfr. in Giovanna D’Amico, Giovanni Villari, Francesco Cassata (a cura di), I deportati politici, cit., le relative schede biograiche, ad nomen. 363 Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit. 364 Carlo Gentile, Tedeschi in Italia, cit., pp. 49-50; vedi inoltre il database da lui stesso elaborato, cit. 365 Rohr sarebbe stato nominato generale di divisione proprio il 1º aprile 1944. 366 Vedi Carlo Gentile, L’offensiva antipartigiana della primavera 1944, cit., p. 150. Secondo le fonti tedesche ci sarebbero stati tra partigiani e civili 283 morti e 246 prigionieri, cfr. il database elaborato dallo stesso studioso, cit. Cfr. anche Idem, Tedeschi in Italia cit., p. 28. Utile inoltre Pier Mario Bologna, Marzo Ruzzi, La battaglia di Val Casotto (13-17 marzo 1944), in Iidem (a cura di), La battaglia di Val Casotto, cit., pp. 161-185, saggio in gran parte basato sulla documentazione partigiana. 367 Michele Calandri, La deportazione politica, cit., p. 115. 368 Si trattava della Brigata autonoma «Alessandria» e della 3ª Brigata Garibaldi «Liguria». 369 Brunello Mantelli, Aprile 1944. Il grande rastrellamento della Benedicta, cit., qui a p. 97. Cfr. anche Cesare Manganelli, Brunello Mantelli, Antifascisti, partigiani, cit., pp. 32-66. 370 Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit. 371 Cfr. la recente messa a punto di Giovanna D’Amico, Brunello Mantelli, Giovanni Villari, I ribelli della Benedicta, cit. 372 Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit. 373 Cfr. Gianni Oliva, La Resistenza alle porte di Torino, Milano, Angeli, 1989, pp. 165-185; Marco Comello, Covo di banditi. Resistenza a Cumiana tra cronaca e storia, Pinerolo, Alzani, 1998, p. 72 ss. Entrambi gli autori parlano però, genericamente, di «deportazioni», senza però fare alcuna ulteriore precisazione. Non risultano tuttavia immatricolazioni in KL legate a questa operazione. 374 Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit. 375 Cfr. Idem, Le forze tedesche di occupazione, cit., p. 72 ss; vedi inoltre per Nachtigall Angela Trabucco, Resistenza in Val Chisone cit., pp. 118-150; Alberto Turinetti di Priero, «Nachtigall». L’operazione «Usignolo» nelle Valli 724 Chisone, Susa, Germanasca e Pellice. 29 luglio-12 agosto 1944, Collegno, Chiaromonte, 1998, dove vengono altresì citate Sperber e Habicht (alla p. 22); per Rosenstrauch cfr. Gianni Dolino, Partigiani in Val di Lanzo, cit., pp. 38-41. 376 Giovanni Galli, La deportazione novarese: una ricerca in corso, in Brunello Mantelli (a cura di), Deportati, deportatori, cit., pp. 135-180, qui a p. 137. 377 Alberto Turinetti di Priero, «Nachtigall» cit., p. 11. 378 Cfr. in particolare Enrico Miletto, Le valli ferite, cit., in Bruno Maida (a cura di), Guerra e società, cit., pp. 119-196, che riporta i seguenti episodi: il 13 luglio e il 26 novembre 1944, retate ad Avigliana avrebbero dato luogo alla cattura di due partigiani che sarebbero poi stati «internati in Germania», ma sulla cui sorte puntuale non si dà alcuna ulteriore notizia. 379 Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit.; inoltre Gianni Dolino, Partigiani in Val di Lanzo, cit., pp. 75-81 e 95-117; Piero Carmagnola, Vecchi partigiani miei, Torino, Stamperia artistica nazionale, 1945 (ristampato nel 2005, a Milano presso l’editore Angeli, a cura di Andrea D’Arrigo e con una prefazione di Giovanni De Luna. è a questa edizione che si fa riferimento puntuale, pp. 51-65); Guido Bonvicini, Decima Marinai!, cit., pp. 93-95. 380 Sulla natura e l’attività di questa speciica formazione si rinvia al saggio di Marco Savini, Il contributo fascista alla repressione antipartigiana. Il caso dell’Oltrepò pavese, in Brunello Mantelli (a cura di), Deportati, deportatori, cit, pp. 181-208. 381 Cfr. Carlo Gentile, Tedeschi in Italia, cit., p. 33. 382 Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit.; nonché Istituto Nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia-Istituto Gramsci, Le Brigate Garibaldi nella Resistenza, Documenti, cit., volume II, Gabriella Nistico (a cura di), Giugno-novembre 1944, cit., docc. nn. 336, 390, 396. Una descrizione dettagliata dell’operazione si trova in Pietro Secchia, Enzo Nizza (sotto la direzione di), Enciclopedia dell’antifascismo e della Resistenza, cit., vol. IV, lettere N-Q, pubblicato nel 1984, alle pp. 328-329. 383 Michele Calandri, La deportazione politica, cit., p. 126. 384 Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit.; inoltre Istituto Nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia-Istituto Gramsci, Le Brigate Garibaldi nella Resistenza. Documenti, cit., volume III, Claudio Pavone (a cura di), Dicembre 1944-maggio 1945, cit., doc. 503. 385 Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit.; inoltre Mario Renosio, Colline partigiane, cit., pp. 207-212; Cesare Manganelli, Brunello Mantelli, Antifascisti, partigiani, ebrei, cit., p. 31; Cesare Manganelli, Sergio Vizio, Resistenza e deportazione nel Basso Piemonte, in Federico Cereja, Brunello Mantelli (a cura di), La deportazione nei campi di sterminio nazisti, Milano, Angeli, 1986, pp. 127-143; Istituto Nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia - Istituto Gramsci, Le Brigate Garibaldi nella Resistenza. Documenti, cit., volume III, Claudio Pavone (a cura di), Dicembre 1944-maggio 1945, cit., docc. nn. 482, 498 e 509; Mario Renosio (a cura di), Vittime di guerra. I Caduti partigiani nella Seconda Guerra Mondiale, Asti, Israt, 2008, p. 725 113; Nicoletta Fasano, Mario Renosio, La deportazione dalla provincia di Asti, in Brunello Mantelli (a cura di), Deportati, deportatori, cit., pp. 23-66. 386 Ivi, pp. 33, 37-38, 44. 387 Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit. 388 Carlo Gentile, Tra città e campagna, cit., pp. 76-78. 389 Ivi, p. 72. 390 Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit. 391 Ivi. 392 Cfr. Marco Fantino, Domenico Ferrero, Natale Roberi (a cura di), Le Rappresaglie Nazifasciste dell’estate 1944 in Alta Valle Tanaro. Atti del Convegno di Priola del 28 luglio 1996. Documenti e testimonianze inediti, Cuneo, Ghibaudo, 1997. Su Kahla vedi Alessandra Fusco, Reinhard Sauer (a cura di), Kahla, l’altra deportazione. Lavoratori forzati da Macerata alla Germania di Hitler, Ancona, Nuove ricerche, 2003; nonché, sui lavoratori civili italiani a Kahla, Lutz Klinkhammer, Il trasferimento coatto di civili al lavoro forzato in Germania. Alcune considerazioni, in «Storia e problemi contemporanei», Violenze e in/giustizie, n. 32, XVI, gennaio-aprile 2003, pp. 13-23, dove si trovano alcuni spunti importanti. 393 Cfr. il database elaborato da Carlo Gentile, cit. 394 Ivi. 395 Ivi. 396 Ivi. 397 Ivi. 398 Ivi. 726