Location via proxy:   [ UP ]  
[Report a bug]   [Manage cookies]                
JACOPO PAGANELLI «Et fuit de Scolaribus de Florentia». Un profilo di Alberto vescovo di Volterra (1261-69) * 1. Introduzione Nel febbraio 1271 il Capitolo del duomo, che in quel tempo amministrava la Sede vacante, si trovò a rispondere a una richiesta del podestà di Todi: costui, dovendo risolvere un caso che coinvolgeva un notaio – Luparello – nominato dall’ordinario di Volterra, aveva chiesto copia dei diplomi imperiali che autorizzavano i presuli a investire giudici e notai. L’arciprete Iacopo rispose che, essendo stato egli stesso vicario di Ranieri I, poteva * Elenco delle abbreviazioni: ACV = Archivio del Capitolo di Volterra; ACFi = Archivio del Capitolo di Firenze; ASCV = Archivio Storico del Comune di Volterra; ASDV = Archivio Storico Diocesano di Volterra; ASFi = Archivio di Stato di Firenze; ASSi = Archivio di Stato di Siena; BGV = Biblioteca Guarnacci di Volterra; RV = F. SCHNEIDER, Regestum Volaterranum. Regesten der Urkunden von Volterra (778-1303), Roma 1907. Liber Iurium = Archivio di Stato di Firenze, Capitoli, Appendice XLIV. Forschungen = R. DAVIDSOHN, Forschungen zur Geschichte von Florenz, Berlin1896-1908. Tutte le date citate nel testo, generalmente in computo fiorentino, s’intendono riportate allo stile comune. Il presente contributo si colloca sulla falsariga del seminario «Cum mora in talibus suspecta sit immo sepius dampnosa». L’episcopato ghibellino di Alberto Scolari a Volterra e la difficile transizione (1261-1273), da me presentato l’8 marzo 2017, nell’ambito dei “mercoledì della storia medievale” dell’Università di Pisa, coi professori S. M. Collavini, M. Ronzani e C. Iannella. Ringrazio, oltre al professor Collavini, sempre disponibile a leggere e discutere i testi con chi scrive, anche l’amico Alessandro Furiesi, archivista della Curia vescovile di Volterra e segretario dell’Accademia dei Sepolti, per aver dimostrato subitaneo interesse alla figura di quest’importante presule. La griglia di riferimento per ogni toponimo citato nel testo è obbligatoriamente costituita da S. MORI, Pievi della diocesi volterrana antica, uscito a più riprese sulla «Rassegna Volterrana»: LXIII-LXIV (1987-1988), pp. 163-188; LXVII (1991), pp. 3-123; LXVIII (1992), pp. 3-107. 110 JACOPO PAGANELLI ben garantire delle prerogative concesse dalla Corona ai vescovi di Volterra; e che – soprattutto – i diplomi imperiali erano al momento irreperibili, in quanto Alberto, l’ultimo presule, li aveva depositati presso la badia di S. Galgano, «monasterium positum in medio nationis perverse» 1. 1 Cfr. ACV, Libro di Sede vacante II, c. 113v. Il magistrato tudertino espose infatti che «Luparellus habuit privilegium tabellionatus a domino Rainerio, miseratione divina Vulterrano electo, comite palatino». L’ex vicario Iacopo garantì al podestà della facoltà degli ordinari diocesani «dandi tutores curatores emancipandi naturales filios legittimandi et constituendi iudices et notarios et appellationes delatas ad audientiam episcopi Vulterrani per totam Ytaliam sive Tusciam et alia plurima faciendi que ad meram iurisdictionem imperialis celsitudinis pertinere noscitur». Sono grato all’amico Umberto Bavoni, consolo dell’Accademia dei Sepolti e responsabile dell’Archivio Capitolare, per avermi gentilmente messo a disposizione il registro. Si tratta di un protocollo in due libri, in cartis bombicinis, vergati dal notaio Ildebrandino del fu Gerardo, di un centinaio di carte di consistenza ciascuno. Fu redatto fra la morte dello Scolari e l’avvento di Ranieri II Ubertini, e concepito come una singola unità archivistica, di pertinenza del Capitolo della cattedrale, che infatti ne mantenne la proprietà attraverso i secoli. I due registri prendono significativamente il via dal gennaio 1270, ovvero da quando si arresta il frammento delle imbreviature dello stesso Ildebrandino conservato alla Guarnacci (i cui ultimi rogiti risalgono alla fine del 1269: cfr. BGV, ms. 5672, II). Fu il notaio Ildebrandino, attivo già durante il pontificato dell’eletto Ranieri I, che assicurò la continuità dell’apparato di Curia, inteso come l’insieme delle pratiche documentarie connesse con il soglio vescovile; egli fu inoltre vicario generale a Montieri del podestà Ardingo del fu Gullo giudice di Volterra (ASSi, Dipl. Città di Massa, 26/7/1258), acquirente dei cavalli del Vescovato durante il pontificato di Ranieri I (cfr. BGV, ms. 8494, III (imbreviature di s. Lamberto), c. 37v) e uno dei procuratori di Ranieri II nella causa contro il Comune di S. Gimignano (ASSi, Spoglio delle pergamene del Dipl. S. Gimignano, 23/8/1278). I suoi servigi in favore della Diocesi furono premiati con la locazione, fatta da Alberto o da Ranieri II, di alcuni terreni presso le carbonaie di Pomarance, come riporta il Liber Iurium a c. 25v. Nel 1307 la vedova Lucia chiese al Comune di Volterra l’autorizzazione ad affidare le imbreviature del defunto marito a Iacopo del fu s. Iacopo di Fiammingo, perché l’affidatario precedente era morto; la proposta fu accolta su mozione del giudice Barone Allegretti, padre del futuro vescovo Rainuccio allora pievano di Morba (cfr. ASCV, A2 Nera, VII, c. 15v). Al tempo del pontificato di quest’ultimo, comunque, le imbreviature d’Ildebrandino si trovavano ancora – tutte o in parte – presso la Curia vescovile, come indica la subscriptio di un atto del settembre 1261, successivamente esemplato: «predicta omnia et singula pro ut inveni in quodam libro abbreviaturarum et actorum ser Ildebrandini Gherardi de Vulterris notarii defuncti, per eum scripta, existente in curia Vulterrani Episcopatus et penes venerabilem patrem et dominum Raynuccium divina et apostolica gratia episcopum Vulterranum ex commissione michi facta a dicto venerabile «ET FUIT DE SCOLARIBUS DE FLORENTIA». UN PROFILO DI ALBERTO VESCOVO DI VOLTERRA (1261-69) 111 L’episodio offre allo storico molteplici spunti di riflessione. A parte la prima menzione del titolo di “conte palatino” per un vescovo di Volterra, veniamo a sapere che Alberto, per salvare le scritture regie – fulcro del suo “episcopato e comitato” – dalle devastazioni a danno di Berignone, sede dell’archivio vescovile, le aveva portate in un luogo decisamente più sicuro. Il trasferimento dei diplomi a San Galgano è del resto una circostanza rivelatrice che, come una torcia puntata nel buio, illumina di getto gli otto anni in cui Alberto Scolari resse la Diocesi: anni di estrema difficoltà e acerrimi contrasti, politici e giurisdizionali, con le forze antagoniste al Vescovato, in particolare i Comuni di Volterra e San Gimignano 2. Vedremo che Alberto fu un vescovo assai volitivo, che ammantò la propria potestas con un’auctoritas intrisa di simboli, cariche e sostantivi, pregnanti sul piano delle idee, aventi come denominatore comune l’alta considerazione del suo ruolo; faranno da guida operativa, in questo percorso, i dotti interventi di mons. Cavallini sulla nostra «Rassegna». È del resto quello del Cavallini un binario ben rodato, giacché lo studioso dedicò agli ordinari volterrani una serie di contributi, figli della sua conoscenza punpatre de actis et de abbreviaturiis dicti ser Ildebrandini notarii exemplandis et scribendis et publicandis» (cfr. ASDV, Dipl., n. 488). Sull’Archivio capitolare si veda la comunicazione di mons. M. BOCCI, L’archivio Capitolare di Volterra, in «Archivio Storico Italiano», CXIV (1956), pp. 410-1. Per la bibliografia di riferimento, e per un più approfondito esame delle vicende dell’Episcopato volterrano nel primo ‘200, mi sia consentito rimandare ai miei contributi «Infra nostrum episcopatum et comitatum». Alcuni caratteri del principato vescovile di Volterra (IX-XIII sec.) sull’ultimo numero della «Rassegna Volterrana»; e «Appellatur et nominatur Casula sive Casule episcopi Vulterrani». Qualche appunto sulla signoria dei vescovi di Volterra a Casole (XIII-inizi del XIV sec.), sull’ultimo numero della «Miscellanea Storica della Valdelsa». Sulla valenza del titolo di “principe palatino” il riferimento obbligato è a S. COLLAVINI, Comites palatini / paladini: ipotesi sulle forme di legittimazione del principato dei Guidi, in «Bullettino dell’istituto storico italiano per il medio evo», CX (2008), pp. 57-104. 2 La notizia della distruzione di Berignone in ACV, Libro di Sede vacante I, c. 36r, 14/ 6/1270: «tempore quo Berignone per Comune Vulterranum fuit combustum». Alla riflessione sulla collocazione dell’archivio vescovile condotta in «Infra nostrum episcopatum et comitatum» è opportuno aggiungere un’illuminante nota tergale – che al tempo non avevo notato – apposta alla donazione fatta dal marchese Ugo in favore del Vescovato nel 996 (ASDV, Dipl., n. 7; RV, n. 86): «Beringnione mcccxiii». 112 JACOPO PAGANELLI tuale degli archivi cittadini (e in ispecie del “suo” archivio, quello diocesano), in cui si annoverano due articoli incentrati su Pagano Pannocchieschi, due comprensivi dei vescovi fino al XII secolo, uno dedicato a Ildebrando, uno a Rainuccio Allegretti e uno a Galgano 3. Il filo rosso che tiene insieme i contributi del Cavallini sembra essere quello di un contrappunto – tenue, compito e sottile, ma non per questo meno acuto e pungente – alla grande tela impressionistica del Volpe, realizzata con poche, incisive e vigorose pennellate. Di Alberto anche Volpe ha parlato, ma alla stregua di una tappa necessaria sul percorso della dissoluzione delle temporalità vescovili in favore del Comune cittadino. Alla luce dell’inadeguatezza di questa prospettiva, e attraverso nuovi sondaggi nelle fonti volterrane, si può invece proporre una rilettura aggiornata delle vicende che coinvolsero il presule Scolari, guardandole in valore assoluto e senza prospettive teleologiche di sorta, collocando questa figura all’interno della storia più generale della Toscana 4. 2. Esordio 2.1. Tra Firenze e Bologna Come per lo studio di ogni vescovo di Volterra nell’età medievale, il punto di partenza obbligato è costituito dalla cronotassi elaborata dal notaio Pietro di Bravisso da Visso, scriba del presule Stefano da Prato e compilatore del Liber Iurium: costui, sulle prime pagine di questo codice (cc. 4v5r), raccoglie sintetiche ma importanti note biografiche sui presuli, serven3 Cfr. i vari articoli usciti sulla «Rassegna Volterrana»: Il vescovo Pagano e le origini del comune cittadino, VII (1933), pp. 64-81; Il vescovo Pagano – Montieri ed altri castelli, XIX (1951), pp. 29-58; Vescovi volterrani fino al 1100. Esame del Regestum volaterranum, con appendice di pergamene trascurate da Fedor Schneider. (Introduzione di Mario Bocci), XXXVI (1972), pp. 3-84; Vescovi volterrani fino al 1100. Esame del regestum volaterranum con appendice di pergamene trascurate da Fedor Schneider. Supplemento. Introduzione e revisione di Mario Bocci, LVIII (1982), pp. 23-112; Il vescovo Ildebrando, XVIII (1947), pp. 1-24; Il vescovo Rainuccio Allegretti (1320-1348), XX (1952), pp. 3972; Il vescovo Galgano (1150-1170), XXI (1955), pp. 7-23. 4 Cfr. Volterra. Storia di Vescovi, signori, di istituti comunali, di rapporti tra Stato e Chiesa nelle città italiane. Secoli XI-XV, Firenze 1923 (ora in Id., Toscana medioevale, Firenze 1964), pp. 157 e segg. «ET FUIT DE SCOLARIBUS DE FLORENTIA». UN PROFILO DI ALBERTO VESCOVO DI VOLTERRA (1261-69) 113 dosi di un’attenta lettura e schedatura dei documenti dell’archivio diocesano. Di Alberto viene riportato: «Albertus, anno Domini mcclxviii, mense martii, qui successit domino Raynerio de Ubertinis, ut patet U de folio lxxxiiii; et fuit de Scolaribus de Florentia et archidiaconus Bononiensis, vel fuerunt duo Alberti: ymo precessit, quia fuerunt electi in discordia et obtinuit Albertus, ut concepi ex aliquibus iuribus». Come si vede, il notaio Pietro si trovò in un certo momento all’impasse. Correttamente egli individuò la data della morte di Alberto (metà marzo 1268, che, nello stile comune, diventa 1269); il predecessore (l’eletto Ranieri I degli Ubertini, che non fu mai consacrato); la schiatta (gli Scolari di Firenze); e l’incarico precedente (l’arcidiaconato a Bologna). Non era tuttavia sufficientemente sicuro che si trattasse della medesima persona, del medesimo Alberto; tanto da ipotizzare – ed è l’alternativa introdotta dalla particella disgiuntiva «vel» – l’esistenza di «duo Alberti», eletti «in discordia» 5. Facendo tesoro di quel che il notaio del Da Prato indovinò, diciamo che Alberto apparteneva alla schiatta degli Scolari, famiglia fiorentina di orientamento ghibellino, in quanto figlio di Filippo di Sinibaldo, il cui cugino (di Filippo) aveva giurato la famosa lega ghibellina con Siena del giugno 1251 anche in rappresentanza della sua domus 6. Agli Scolari fanno riferi5 La cronotassi mi dà l’occasione per sottolineare ancora una volta l’estrema importanza che riveste il Liber Iurium dell’ASFi per chiunque si occupi delle cose vescovili volterrane. L’estensore delle vite dei presuli colloca – correttamente – nel 1261 l’inizio del pontificato di Alberto, basandosi sulla carta n. 84 del libro segnato U. Sappiamo dallo stesso Liber Iurium, a c. 25r, che si trattava di un protocollo d’imbreviature, a cavallo dei presulati dello Scolari e del secondo Ubertini, i cui primi rogiti risalivano all’anno 1261; a carta n. 83 vi si trovava un’«electio offitialis in Monterio ad annum cum salario clx libris»; mentre, a c. 85, una «locatio in Libiano». Gli Scolari, com’è noto grazie agli approfonditi studi di M. E. CORTESE, presero origine da un ramo dei Da Montebuoni, in particolare da Scolaro di Rolando Rosso, nella prima metà del XII sec.: cfr. Signori, castelli, città. L’aristocrazia del territorio fiorentino tra X e XII secolo, (Biblioteca Storica Toscana, 53), Firenze 2007, pp. 334-339. 6 Sulla famiglia degli Scolari cfr. DAVIDSOHN, Storia di Firenze (orig. Geschichte von Florenz, Berlin, Mittler and Sohn, 1896-1927), trad. it. Firenze 1907 e 1956, ad indicem; e ad indicem fra i contributi di S. RAVEGGI e M. TARASSI nel volume collettivo Ghibellini, Guelfi e Popolo grasso. I detentori del potere politico a Firenze nella seconda metà del Dugento, Firenze 1978.Il documento che riporta l’adesione degli Scolari in G. CECCHINI 114 JACOPO PAGANELLI mento anche la nota tergale apposta alla lettera con cui Alessandro IV annunciò l’elezione del nuovo presule ai fedeli e agli abitanti della diocesi («electio Alberti de Scolaribus ab Alexandro»); e – più significativamente – il breve regesto fornito dal Liber Iurium relativo a una quietanza di pagamento rilasciata al Comune di Volterra dal vescovo «pro se et amicis et de domo de Scolaribus» (c. 25r). Gli Scolari furono poi estromessi dalla vita politica fiorentina: il Libro del Chiodo infatti bandisce dalle cariche pubbliche, con l’accusa di ghibellinismo, «omnes de domo Scolariorum» 7. L’incarico arcidiaconale a Bologna, che Alberto ricoprì dopo qualche tempo trascorso alla Canonica fiorentina, è testimoniato dalla partitio delle prebende che i membri del Capitolo bolognese effettuarono nel 1260: fra costoro, appunto, figura il futuro vescovo volterrano. Il nuovo ufficio al di là degli Appennini gli fu con ogni probabilità affidato grazie al notevole peso acquisito dal cugino, il cardinale Ottaviano degli Ubaldini, che parimenti – a suo tempo – era stato al vertice del Capitolo di Bologna. L’indicazione decisiva la fornisce in tal senso lo stesso Alessandro IV: è infatti il pontefice a fare riferimento al grado parentale di consobrinus che legava Ottaviano ad Alberto 8. (cur.), Il Caleffo del Comune di Siena, Siena 1931-91, II, n. 545. Il giuramento d’adesione alla Lega ghibellina fu prestato «pro se ipso et pro omnibus hominibus sue domus». Dopo la congiura mirata al rovesciamento del regime del primo Popolo a Firenze, uno Scolari figura fra coloro che seguirono Farinata degli Uberti nell’esilio senese (cfr. Ghibellini, Guelfi e Popolo Grasso, pp. 31-2). 7 Cfr., per la nota tergale, ASDV, Dipl., n. 485 (RV, n. 713); il riferimento al Liber Iurium è a c. 25r del Liber Iurium («quietatio domini Alberti pro se et amicis et de domo de Scolaribus ratione diruptionis castri Montis Vultrai et ratificatio cardinalis», in un libro segnato con le lettere DE, verosimilmente le imbreviature del notaio Ildebrandino). Per il Libro del Chiodo si veda l’ed. a c. di F. KLEIN, Polistampa, Firenze 2004, (la cit. è da p. 94), conpresa l’introduzione. Ma cfr. anche i contributi di V. MAZZONI, Note sulla confisca dei beni dei ghibellini a Firenze nel 1267 e sul ruolo della Parte Guelfa, in «Archivo storico italiano», CL (2000), pp. 3-28; e Dalla lotta di parte al governo delle fazioni. I guelfi e i ghibellini del territorio fiorentino nel Trecento, in ivi, CLX (2002), pp. 455514. 8 Alberto figura fra i canonici fiorentini nel 1257: cfr. S. SALVINI, Catalogo cronologico de’ Canonici della Chiesa Metropolitana Fiorentina, Firenze 1782, n. 105. La partitio delle prebende del Capitolo bolognese è edita in M. SARTI, De claris archigymnasii Bononiensis professoribus a saeculo XI usque ad saeculum XIV, Bologna 1772, tomo I, parte II, p. 184 (edizione segnalatami dal prof. Parmeggiani di Bologna, che ringrazio). «ET FUIT DE SCOLARIBUS DE FLORENTIA». UN PROFILO DI ALBERTO VESCOVO DI VOLTERRA (1261-69) 115 2.2. I nodi non sciolti dall’eletto Ubertini Nell’annunciare la nomina dello Scolari, Alessandro IV diede anche conto delle circostanze legate all’avvicendamento, spiegando che Ranieri I, «regimen Vulterrane ecclesie cedere cupiens», aveva rimesso «cum instantia» la propria carica nelle mani del pontefice. Il numerale “primo” è d’altronde usato impropriamente (sebbene ormai lo si faccia per convenzione storiografica), giacché l’Ubertini non assurse mai alla plenitudo auctoritatis che derivava, secondo la Canonistica, dalla consacrazione. Lo sapeva bene il compilatore della cronotassi del Liber Iurium, il quale non solo non annoverò Ranieri I fra i vescovi, ma non gli dedicò neppure alcun riferimento 9. Anche se non è qui possibile compiere un’analisi del pontificato di questo quasi-presule, qualche cenno è tuttavia d’obbligo per meglio inquadrare il contesto in cui lo Scolari si trovò ad agire. Creatura di Innocenzo IV, che molte volte gli assicurò la protezione della Santa Sede, l’eletto Ranieri, quando poté finalmente compiere il proprio adventus in diocesi, ricevette in consegna un Vescovato destrutturato dall’azione dei vicari e degli ufficiali imperiali, che si erano impadroniti dei regalia e delle temporalità vescovili; solo Berignone – probabilmente – era rimasto appannaggio del Capitolo 10. La lettera pontificia parla «de dilecto filio Alberto, tunc Bononiensi archidiacono, consobrino dilecti filii nostri O(ctaviani) Sancte Marie in Via Lata diaconi cardinalis, cappellano nostro, viro utique probitatis sue meritis nobis et fratribus nostris caro». Ringrazio l’amico e collega Lorenzo Cammelli per i fruttuosi consigli che mi ha fornito riguardo al “suo” cardinale Ottaviano e, in generale, alla schiatta degli Ubaldini; egli ritiene che il carattere volitivo dello Scolari sia da ricollegare alla formazione ricevuta presso la Canonica bolognese, dove probabilmente si plasmò la sua «attitudine al comando». 9 Su questi aspetti di Diritto canonico si veda il volume di R. L. BENSON, Bishop-Elect: A Study in Medieval Ecclesiastical Office, New Jersey 1968. 10 Ranieri I fu tenuto lontano dalla diocesi sicuramente fino alla morte di Federico II (dicembre 1250). Fino ad allora fu ospitato dal parente Guglielmino di Arezzo, come si apprende da un’azione congiunta dei due eletti Ubertini la cui datazione è stata travisata sia dal Paur che dai più recenti inventariatori dell’Archivio capitolare (cfr. ACFi, Dipl., n. 196, 29/1/1250). Guglielmino si trovava in quel periodo nel castello di Bibbiena, impossibilitato a fare il suo ingresso ad Arezzo (cfr. C. LAZZERI, Guglielmino Ubertini vescovo di Arezzo (1248-1289) e i suoi tempi, Firenze 1920, pp. 91 e sgg.). Molto simile del resto 116 JACOPO PAGANELLI Per quanto riguarda Montieri, il castello e le sue argentiere erano stati impiegati dall’Impero come una preziosa fonte di sostentamento: hic fons et origo malorum per l’eletto Ubertini, quando Federico d’Antiochia impegnò a un gruppo di senesi, per la somma di 3000 marche d’argento da devolvere al tesoriere Gualtiero di Capua, ogni affioramento argentifero a Montieri, Gerfalco, Travale e Prata, comprensivo di «quarumcumque aliarum argentifodinarum que sunt vel apparerent in episcopatu Vulterrano». In questo modo, i prestatori si appropriavano della giurisdizione imperiale su quella porzione di territorio, insieme agli altri iura che «olim spectabant ad Episcopatum Vulterranum» 11. La circostanza è fondamentale, giacché, per disimpegnare Montieri una volta fallita l’azione coercitiva di Innocenzo IV, l’eletto fu costretto a mettere insieme enormi cifre. Dalle scomuniche, a cui Ranieri si mostrò intenzionato a ricorrere attraverso il proposto di San Gimignano nel marzo 1252, si passò – un anno dopo – a un imponente (e più conciliante) accomodamento finanziario, avallato anche dalla Santa Sede, con cui fece il paio la rinnovata pretesa dei Senesi di ricevere le 215 lire del censo che «per longissima tempora fuerit solutus et promissus per dominos Aldibrandum et Paganum bone memorie». La Curia volterrana contrasse così coi Bonsignori e coi figli di Cristofano un esorbitante mutuo di 6000 marche d’argento e 6600 lire pisane, che sarebbero andate ai detentori di Montieri affinché lasciassero libero il castello. L’operazione era sostenuta dal pegno delle stesse argentifodine (mentre la giurisdizione sul fortilizio rimaneva appannaggio dell’ordinario diocesano), il gettito delle quali dovette di volta in volta essere scomputato dall’ammontare complessivo del prestito. Fra l’ottobre 1255 e la primavera dell’anno successivo, le argentiere fruttarono all’incirca 4000 lire 12. è il periodo iniziale del pontificato dei due, contrassegnato dall’azione destabilizzante dei messi imperiali. Il primo atto compiuto in diocesi da Ranieri I fu il rinnovo di una concessione feudale, presso San Gimignano, a favore di Lanfranco orafo di Montieri il 24/1/ 1251 (cfr. BGV, ms. 5706, filza 36). 11 Il pegno di Federico d’Antiochia in ASDV, Dipl., n. 390 (cfr. anche Mensa n. 13, (d’ora in poi: Moneta), fasc. Montieri, c. 13r). 12 Innocenzo IV ordinò a Ildebrandino domenicano di scomunicare i detentori di Montieri il 13/3/1251 (cfr. E. BERGER (cur.), Les Registres d’Innocent IV, Parigi 1884-1921, II, n. 5141). Nel dicembre dello stesso anno, il Comune di Siena pagava un nunzio per essere stato a Montieri «pro censu requirendo» (cfr. Libri dell’entrata e dell’uscita del Comune «ET FUIT DE SCOLARIBUS DE FLORENTIA». UN PROFILO DI ALBERTO VESCOVO DI VOLTERRA (1261-69) 117 L’altra grande questione che si parava davanti a Ranieri I era quella delle recuperationes in Valdelsa, e in particolare dell’allontanamento di Ranieri Piccolino degli Uberti da Pulicciano (occupato almeno fin dal 1249). Per espugnare il castello, l’eletto prese a mutuo 700 lire pisane da Paltone di San Gimignano,che poté del resto contare sulla garanzia fornita da svariati nobiles sangimignanesi. La campagna militare però, a cui non fu estraneo Guglielmino d’Arezzo, non sortì l’effetto sperato, dal momento che, nel 1254, Ranieri scriveva al Comune di San Gimignano di aver bisogno di ulteriori 3800 lire, dichiarandosi pronto a ipotecare i castelli di Gambassi, Pulicciano e Ulignano, le entrate della villa di S. Quirico nel piviere di Cellole, della villa di Tollena e di quella di S. Cristina nel piviere di S. Ippolito 13. Il 14 maggio 1257, infine, l’Ubertini si fece prestare da Rinaldo della Repubblica di Siena detti del camarlingo e dei quattro provveditori, XII, Firenze 1932-7, p. 19). Il 4/3/1252 nominava invece un procuratore per riscuotere il censo arretrato dovuto dal Vescovato per quel castello (cfr. Il Caleffo, cit., II, n. 560); 10 giorni dopo, Ranieri I ordinava al proposto di San Gimignano di dare esecuzione al mandato papale, anche a mezzo delle censure ecclesiastiche (cfr. ASDV, Dipl., n. 405; RV, n. 640). Ma le vicende non dovettero seguire gli auspici di Innocenzo IV, poiché lo stesso pontefice, supplicato dall’Ubertini, autorizzò quest’ultimo a contrarre ingenti prestiti (6000 marche e 6600 lire), impiegati, fra l’altro, per pagare il censo dovuto al Comune di Siena (cfr. Les registres d’Innocent IV, III, n. 6347). Il 5 marzo avvenne la corposa transazione, anticipata dal solenne impegno di Ranieri I non solo a corrispondere il censo alla città della Balzana, ma anche – significativamente – a non schierarsi con i nemici del Comune senese («non ponere nos cum inimicis Comunis Senensis»: cfr. Il Caleffo, cit., II, n. 561), dichiarazione dal sapore anti-fiorentino che getta luce sul blitz degli stessi Fiorentini sotto le mura di Volterra nel 1254, volto (anche) a spezzare l’asse Siena–eletto volterrano. I detentori di Montieri rinunciarono ai diritti concessi loro da Federico d’Antiochia a prezzo di 18612 lire senesi (cfr. ASDV, Dipl., n. 415). Bonifacio Bonsignori e Bartolomeo di Cristofano, dopo aver preso possesso delle argentifodine ed essersi impegnati a fare periodica ragione dei proventi che ne sarebbero derivati, si trovavano a Montieri già il 15 marzo insieme a Iacopo arciprete (cfr. ivi, n. 416). Dei due mutui stipulati il 5 marzo da Ranieri I ci è arrivato solo quello di 6600 lire (cfr. ASSi, Dipl. S. Francesco), da restituire entro 2 anni. L’11/5/1253 l’Ubertini eleggeva Guinisio di Arzocco in podestà di Montieri (cfr. ASDV, Dipl., n. 419; RV, n. 642): costui, come riporta un bel testimoniale, era uno dei senesi che avevano tenuto Montalcino in pegno dal vescovo Pagano Pannocchieschi (cfr. ASDV, Curia vescovile, Attività di Governo, Cancelleria, Notarile Rossa n. 1, c. 34r). I proventi delle argentiere registrati fra il settembre 1255 e la fine del marzo 1256 in ASDV, Dipl., n. 432. 13 Per Pulicciano cfr. DAVIDSOHN, Storia, cit., II/1, p. 495 e p. 532 (di cui cfr. la nota 2 per l’intervento di Guglielmino). Di questo centro il Liber Iurium riporta (c. 32r): «pre- 118 JACOPO PAGANELLI del fu Bongianni di Montieri 200 lire pisane per ripianare i debiti accumulati coi nobiles sangimignanesi: la Valdelsa e la Valdimerse venivano così, simbolicamente, a trovarsi intrecciate 14. Infine, last but not least, Ranieri si unì all’esercito pontificio contro Manfredi, cosicché il suo fabbisogno di denaro s’impennò. Il tre settembre 1254 Ubertini nominò l’arciprete Iacopo suo procuratore «ad acquirendum sive conducendum ad soldos milites nomine Vulterrani Episcopatus qui vadant cum ipso domino electo», i quali avrebbero dovuto essere pronti dicta terra spectat ad Episcopatum cum tota iurisdictione quam occupat Comune Florentie et habet ibi Episcopatus fodrum». Ranieri degli Uberti risulta in possesso del castello dal 16 luglio 1249 in ASFi, Dipl., Arch. Gen. dei Contratti, id. 14139, mentre di alcuni anni prima dev.essere il trasferimento dalla Corona all’Uberti (cfr. Forschungen, IV, pp. 119-20). Il mutuo di Ranieri I con Paltone in ASDV, Dipl., n. 408 (RV, n. 635); per la figura di questo prestatore sangimignanese, attivo anche nel prestito al Comune dell’oppidum e nel commercio di zafferano, si veda E. FIUMI, Storia economica e sociale di San Gimignano, Firenze 1961, alla voce “Paltoncini” (p. 268). Il 14/7/1254 Ranieri I nominò Boninsegna di Fidanza procuratore per devolvere i redditi vescovili di Pancole in Valdelsa allo stesso Paltone (cfr. BGV, ms. 8494, I, c. 27v). Il 17 settembre di quell’anno anno l’eletto acquistò dal di lui figlio Schiavo un cavallo dal pelo nero, balzano nel piede posteriore sinistro (cfr. ivi, c. 37v). Il 16/12/1255 i mallevadori sangimignanesi, definiti nobiles, si rivolsero al podestà dell’oppidum facendo presente di aver subito ingenti danni a causa della fideiussione in favore del Vescovato; chiedevano dunque un risarcimento coatto, che fu loro accordato il giorno successivo: in quest’occasione i messi del Comune requisirono i locatari dei poderi della Mensa vescovile «ut affictus et redditus dicti Episcopatus ex ipso podere dent predictis fideiussoribus dicti domini Raynerii Vulterrani electi et non alicui alteri pro dicto domino electo» (cfr. Moneta, fasc. S. Gimignano, c. 57v). La controversia fra Schiavo e Paltone, da una parte, e l’eletto – rappresentato da Giovanni pievano di Pomarance – dall’altra, fu rimessa all’arbitrato di Lotto del fu Abate nel novembre 1256 (cfr. ASDV, Dipl., n. 448; RV, n. 672). L’Ubertini chiese aiuto al Comune di San Gimignano anche nel giugno 1253 (cfr. Forschungen, II, n. 680), mentre la richiesta delle 3800 lire è dell’anno successivo (cfr. ivi, n. 686). 14 Cfr. ASDV, Dipl., n. 457. Rinaldo fu nominato, insieme a Rustico converso di San Galgano, gastaldo e procuratore dei redditi del Vescovato a Montieri il 28/3/1254 (cfr. BGV, ms. 8494, I, c. 5r): non è illogico ritenere che costui si fosse arricchito, tanto da avere a disposizione forti somme di denaro liquido, grazie all’amministrazione dei cespiti vescovili. Lo troviamo regolarmente negli atti di soluzione dei censi ai senesi a cui le argentifodine erano obbligate (cfr. ASDV, Dipl., n. 420 (19/3/1255), 424 (RV, n. 656; 25/ 5/1255), 432 (2/10/1255), 438 (RV, n. 663; 30/3/1256), ivi (21/4/1256), 453 (23/3/1258)). Sappiamo inoltre che Ranieri I gli aveva dato in pegno «fovea Canalis Plani et Calzarelle et panis furnorum» (cfr. BGV, ms. 8494, III (imbreviature di ser Lamberto), c. 37v). Quel- «ET FUIT DE SCOLARIBUS DE FLORENTIA». UN PROFILO DI ALBERTO VESCOVO DI VOLTERRA (1261-69) 119 entro la festa di S. Matteo (21 settembre). Il 5 di quel mese acquisì dai Tolomei e dai Bonsignori le 200 lire necessarie «pro stipendiis et arnesibus omnium militum», mentre, il giorno dopo, inviò a San Gimignano la richiesta di un sussidio di 100 lire «pro transmittendis militibus ad dominum papam». L’esercito al comando di Ranieri si mosse poco tempo dopo; il 29 settembre, ospitato presso la magione del Tempio di Siena, l’eletto mutuò altre 1000 lire, comprò un cavallo e nominò il fidato arciprete vicario nel Vescovato in sua assenza 15. In Puglia Ranieri I si comportò con la tipica largesse aristocratica. Significativa in proposito, oltre alla notizia di un ulteriore prestito richiesto alle filiali dei Tolomei e dei Bonsignori attive colà, è la testimonianza di Inghiramo miles e familiaris dell’eletto in un’inchiesta sui debiti della Diocesi condotta su mandato apostolico: «dicit quod ipse fuit in dicto exercitu et videbat dictum dominum electum lo del pane cotto nei forni di Montieri, di cui la Mensa vescovile conservava gelosamente la proprietà, costituiva un reddito di primaria importanza: il Liber affictum, pensionum, reddituum et proventuum (ASDV, Mensa, n. 38) riporta che il «dirictum panis furnorum» valeva, nel 1301, circa 40 lire all’anno, che diventavano 80 «tempore caritudinis» (c. 28r, dove si aggiunge: «de toto pane qui fit et qui coquinatur ad furnos Moterii debet abere Episcopatus de quolibet stario libre due et unce viii»). Anche il Liber Iurium registra «quod nullus potest coquere panem nisi in furnis episcopi et de quolibet stario libre ii uncias viii panis» (c. 28r). A Rustico di San Galgano, «camerarium suum», Ranieri I affidò il compito di correggere gli Statuti di Montieri (cfr. BGV, ms. 8494, I, c. 22r). 15 Cfr. rispettivamente: BGV, ms. 8494, I, c. 37r; ivi, c. 37v; Forschungen, cit., n. 699; BGV, ms. 8494, I, c. 41v. Ranieri s’impegnò anche coi Davanzati di Firenze (cfr. ASDV, Dipl., n. 459; RV, n. 687). Per la partecipazione di Guglielmino d’Arezzo all’esercito in Puglia cfr. LAZZERI, Guglielmino, cit., pp. 100-2. Il 12/5/1255 Alessandro IV ingiunse al re d’Inghilterra di corrispondere all’ordinario volterrano 4800 lire per aver condotto «honorabilem et strenuam militum comitivam, ac propter hoc multa ipsum subire oportuerit onera expensarum» (cfr. Les régistres d’Alexandre IV, a c. di C. BOUREL DE LA RONCIERE, I. DE LOYE, P. DE CENIVAL, A. COULON, Paris 1902-1959, reg. n. 983). Anche Giovanni presule di Firenze era stato costretto a ricorrere ai prestiti per finanziare la spedizione in Puglia, ottenuti anche presso il Capitolo (cfr. ACFi, Dipl., n. 462, giugno 1267). Icastica la formula adoperata dal DAVIDSOHN (Storia, II/1, p. 611), per il quale «i soli a trarre profitto dalla guerra in Puglia furono i capitalisti italiani». Fra le cause che Ranieri II addusse nel 1284 per giustificare la necessità dell’unione della canonica di Paurano con la sua – depauperata – Mensa vescovile c’era proprio un debito contratto in occasione dell’oste pugliese (cfr. ASDV, Dipl., n. 640). 120 JACOPO PAGANELLI cotidie dare multis personis commedere et bibere et facere magnas expensas ita quod pro firmo credit ipsum expendisse ultra quantitatem predictam satis» 16. 2.3. Gli ultimi tempi alla guida della Diocesi Le ragioni dell’avvicendamento fra l’Ubertini e lo Scolari vanno tuttavia rintracciate altrove, e sono forse da connettere ai repentini mutamenti politici verificatisi nella Toscana di quegli anni. Nell’agosto 1254, a quanto racconta il Villani, i Fiorentini riuscirono a imporre a Volterra un regime guelfo (o, quantomeno, marcatamente filo-fiorentino) a seguito di un’incursione armata; e, nel dicembre dello stesso anno, acquistarono da Neri Piccolino il castello di Pulicciano in Valdelsa, mettendosi di fatto nella posizione di occupatores del fortilizio che era stata dell’Uberti 17. 16 Il nuovo prestito contratto coi Tolomei e coi Bonsignori in BGV, ms. 8494, I, c. 42v. La testimonianza di Inghiramo in ASDV, Dipl., n. 432. Di questo miles, originario di Certaldo in Valdelsa, non lontano dalla badia di Elmi,parla una serie di documenti, in larga parte conservata in ASCV, Dipl. Badia: il padre Albertino (3/6/1239) aveva promesso all’abate dei Ss. Giusto e Clemente, trovandosi nell’infermeria del monastero, ogni proprio avere se i figli Inghiramo e Guidotto fossero morti senza eredi legittimi (n. 337); nel dicembre dello stesso anno Marchese del fu Crescenzio rilasciò a Inghiramo una quietanza di pagamento (n. 360). Nel 1242 egli prestò servizio nell’esercito imperiale impegnato in Lombardia (n. 380), mentre nel 1244, davanti a Valeriano da Tocco vicario di Pandolfo di Fasanella nell’episcopato volterrano, presso Pomarance, chiese la restituzione di un terreno a Pulicciano (n. 170). Dal giugno 1253 lo troviamo regolarmente nel seguito dell’eletto volterrano (cfr. RV, n. 643 e, ex multis, BGV, ms. 8494, II, c. 74v: 15/ 4/1259) e poi anche in quello del vicarius Ubertino da Gaville (cfr. Moneta, fasc. Chiusdino, c. 3r, 7/3/1256). Il 2/4/1255 venne nominato da Iacopo arciprete rettore di Gabbreto (cfr. BGV, ms. 8494, I, c. 69r). Nell’ottobre 1259 Ranieri I gli affidò l’incarico «super facienda et celebranda electione futura rectoris castri de Montecastello» (cfr. ASCV, ms. 8494, III, c. 22v), incombenza che assolse il giorno stesso, eleggendo Guglielmo Rosso degli Ubertini. Inghiramo fu fra quei personaggi che non furono accolti nell’entourage del nuovo presule: le sue menzioni nella documentazione relativa allo Scolari, infatti, si arrestano. Il 27/11/1269 pagò 33 moggi di grano a Riccio del fu Tignoso di Gambassi (cfr. ASCV, Dipl. Badia, n. 657); durante questo periodo di sedevacanza fra lo Scolari e il secondo Ubertini (cfr. ACV, Libro di Sede vacante II, c. 121r) si apprende che Ranieri I, per ricompensare Albertino delle fatiche sopportate in Puglia, gli aveva concesso i redditi episcopali a Gambassi, compreso il mulino e la vigna, per 2 moggi di grano annui (locazione che il Capitolo rinnovò). 17 Leggo la cronaca di Villani nella versione telematica fornita dal sito www.classicitaliani.it. Cfr. inoltre DAVIDSOHN, Storia, II/1, pp. 594-5. La circostanza per «ET FUIT DE SCOLARIBUS DE FLORENTIA». UN PROFILO DI ALBERTO VESCOVO DI VOLTERRA (1261-69) 121 È questo il terminus post quem collocare la bozza d’alleanza fra la città del Battista e l’eletto, priva di sottoscrizione notarile ma chiaramente di mano del notaio vescovile Lamberto: essa stabiliva che Ranieri I sarebbe diventato cittadino fiorentino; Pulicciano sarebbe rimasta al Comune di Firenze «sicut nomine Comunis emptum fuit»; Gambassi sarebbe stata venduta dalla Chiesa volterrana a prezzo di un congruo compenso; e, infine, Ranieri I avrebbe dovuto – oltreché cedere per 50 anni i propri iura su Volterra, S. Gimignano e Montevoltraio – «dare privilegia sua publica exemplata et cavere de dando ad utendum». Firenze sfruttava, da un lato, la titolarità dei diritti pubblici vantata dalla Sede vescovile, e, dall’altro, l’incapacità di quest’ultima di difenderli davanti ai «magna Communia» (anche se l’accordo non trovò mai applicazione) 18. Occorre tuttavia provare a inferire qualcosa di più preciso riguardo alle circostanze dell’accordo. Non è illogico ritenere che buona parte delle preoccupazioni dell’eletto fosse costituita dai castelli della Valdelsa e, in particolare, Gambassi. Spingerebbero a crederlo sia la conservazione della bozza («petita per Comune Florentie in facto concordie») all’interno del sacco N, che conteneva «iura et instrumenta que habet Episcopatus in castro Gambassi et eius curia» (come rivelato dal Liber Iurium a c. 12v); sia la nota tergale apposta alla pergamena, che difatti riporta: «pacta Comunis cui Ranieri I e il clero cittadino sarebbero andati incontro ai Fiorentini con le croci in mano per scongiurare il saccheggio di Volterra consente di collocare l’evento dopo il 15 agosto, poiché, all’inizio del mese, l’Ubertini si trovava fuori città: il 3 agosto a Berignone, il giorno successivo a Montecastelli, il 7 a Pomarance; dal 13 risulta di nuovo presso il caput diocesis (cfr. BGV, ms. 8494, I, rispettivamente c. 31r, 32v, 33v, 34v). Per la vendita di Pulicciano al Comune di Firenze cfr. Forschungen, IV, pp. 118-9. Sull’uso dell’aggettivo “guelfo” da parte del Villani cfr. il bel saggio di E. SESTAN, Le origini delle signorie cittadine: un problema storico esaurito?, in Id., Italia Medievale, Napoli 1968, pp. 193-223. 18 I patti si trovano in ASDV, Dipl., n. 760 (ma 754; RV, n. 712). Si rammenti che, proprio nello stesso periodo, la città sull’Arno stava sfruttando le divergenze fra Guglielmino Ubertini e il Comune di Arezzo a proprio vantaggio, ergendosi a paciera dei contrasti (cfr. LAZZERI, Guglielmino, pp. 99-100). L’espressione «magna Communia sunt» è usata dal notaio Lamberto – nella già citata deposizione del marzo 1257 (cfr. ASDV, Dipl., n. 437) – per rimarcare la necessità di vendere i beni della Mensa vescovile, occupati da entità talmente potenti (i Comuni cittadini come Pisa e Firenze, appunto) che era difficile sperare di rientrarne in possesso. 122 JACOPO PAGANELLI Florentie et episcopi Vulterrani super facto Gambassi». Colà il Vescovato riscuoteva il caposoldo «omnium bonorum que venduntur in ea»: un’entrata purtroppo non quantificabile, ma che certamente doveva essere assai elevata, tenendo conto dell’ubicazione del castello lungo la via Francigena 19. Ranieri I poteva inoltre poggiare le proprie rivendicazionisul sostegno fornitogli da Alessandro IV, il quale, dall’estate 1256, aveva incaricato «pro negotiis» del Vescovato il cappellano pontificio Ubaldo. Presso quest’ultimo, nel settembre 1256, il Comune di San Miniato inviò un procuratore, dal momento che l’eletto lamentava l’usurpazione del fodro e di altre prerogative connesse ai castelli di Vignale, Barbialla, Castelfalfi e Camporena, incorporati dal distretto samminiatese. A ottobre Ubaldo risulta a Volterra, ospitato presso la Curia. Ed è proprio nei mesi seguenti che proporrei di collocare la bozza d’intesa fra l’eletto e i Fiorentini, che vincolava il primo a far sì che«hiis omnibus et singulis interveniat et prestet Apostolice Sedis acutoritas et consensus» 20. Poniamo mente che la contesa col Comune di S. Miniato pare chiudersi solo alla fine del 1259, ed è probabile che anche le trattative con Firenze 19 La specificazione del caposoldo in ASDV, Mensa vescovile, n. 13, c. 12v. La lettera del pontefice a Ubaldo in ASDV, Dipl., n. 442 (RV, n. 668). Il procuratore dei Samminiatesi nominato in ASFi, Dipl. S. Miniato al Tedesco, id. 15484-5, 8/9/1256; il 13 di quello stesso mese raggiungeva il magister pontificio a Bologna (cfr. ivi, id. 15498). Costui si trovava ospitato a Volterra in ivi, id. 15512 (6/10/1256). Ancora nell’ottobre 1257 Alessandro IV assicurava a Ubaldo il sostegno del Papato nell’opera di recuperatio (ivi, id. 15821 (27/12/1257)). Negli stessi anni Alessandro IV inviò anche Uberto magister di Coquenatico, almeno dall’estate 1257 (cfr. ASDV, Dipl., n. 460; RV, n. 688), che si occupò della faccenda «de palatio sive canova» di San Gimignano (cfr. ivi, n. 463; RV, n. 703). La vertenza fra Curia volterrana e Comune di San Miniato sarebbe arrivata a una svolta nel dicembre 1258, quando le parti arrivarono a un’intesa: Giovanni pievano di Pomarance e procuratore dell’eletto avrebbe lasciato cadere ogni rivendicazione contro i Samminiatesi, mentre costoro si sarebbero impegnati a versare il fodro per i castelli contesi e a tutelare le proprietà della Mensa vescovile (cfr. ASFi, Dipl. S. Miniato, id. 16082: 12/12/1258). Il 29 dicembre 1259 l’accomodamento pare definitivamente siglato (cfr. ivi, id. 16319). Un esempio del sostegno di Alessandro IV alla Chiesa volterrana è fornito dalla lettera regestata dal Liber Iurium (c. 22r): «comminatio penarum excomunicationis et interdicti in civitate Pisana, Florentina, Senensi, Sancti Miniatis (sic) ut castra Vulterrane Ecclesie restituant per dominum Alexandrum iiii cum bulla»; e dal seguente regesto: «item alia lictera contra Pisanos, Florentinos, Senenses, Vulterranos, castra (sic) Miniatis, Sancti Geminiani, Colle, Podii Bonizi super occupatione castrorum per dominum Alexandrum iiii cum bulla». 20 «ET FUIT DE SCOLARIBUS DE FLORENTIA». UN PROFILO DI ALBERTO VESCOVO DI VOLTERRA (1261-69) 123 non siano andate più spedite. Ciò consentirebbe di legare la mancata esecuzione delle clausole d’alleanza con Firenze al rivolgimento provocato dalla battaglia di Montaperti (settembre 1260). Dobbiamo tuttavia considerare un ulteriore elemento, ovvero la questione del sale e delle moie. Il 1254 è infatti l’ultimo anno – a quanto suggeriscono gli scarni regesti del Liber Iurium – in cui le saline di Tollena e di Monteregi risultano nelle disponibilità della Mensa vescovile in quanto allocate. È possibile che il Comune di Firenze, dopo aver imposto un reggimento filo-fiorentino a Volterra e aver acquisito Pulicciano, avesse indotto il Comune volterrano ad appropriarsi degli iura vescovili sul sale, al fine dipressare Ranieri I ed estorcergli la sottomissione del Vescovato. In un quadro siffatto, Montaperti consentì all’eletto di riprendersi (nel breve periodo antecedente alle dimissioni) la salina di Tollena, che infatti troviamo impignorata nel dicembre 1260 21. Non sappiamo se la rinnovata disponibilità della moia sia da connettere con gli uffici ricoperti dall’eletto proprio in quei mesi. Con un hapax costituzionale che dà l’idea della gravità del momento, infatti, Ranieri I rivestì contemporaneamente e contestualmente – già a partire dalla metà del mese – le cariche di podestà e di capitano del Popolo (come Guido da Montefeltro a Pisa all’indomani della Meloria): l’ordinario diocesano fu ritenuto dalla cittadinanza la persona più idonea a guidare le istituzioni volterrane in una temperie di somma urgenza. Fu sotto la sua podesteria che Lamberto e Tancredi di Tancredi di Colle vendettero al Comune di Volterra le rispettive quote della salina di Montegemoli 22. 21 La questione del sale non fu affrontata dalla pace del 28/6/1253 fra Ranieri I e Comune di Volterra (cfr. RV, n. 643) perché, forse, si sottintendeva che il Vescovato sarebbe dovuto tornare in possesso delle proprie prerogative. Il pegno della moia di Tollena è riportato da una pagina illeggibile delle imbreviature del notaio Ildebrandino, ma è desumibile da un’annotazione in margine all’atto: «solutio debiti Episcopatus de redditibus moie de Tollena» (cfr. BGV, ms. 5672, I, c. 8v). Le locazioni delle moie dell’anno 1254 erano registrate da un libro d’imbreviature segnato con la lettera C, ricordato a c. 23r del Liber Iurium. Le vertenze promosse da Ranieri I davanti ai delegati della Santa Sede confluirono nel – perduto – quaternulus M, che appunto conteva «acta aliquarum appellationum coram iudice Sedis apostolice pro domino Raynerio electo», 1257-8 (c. 24v). 22 Ranieri I ricopre entrambe le cariche il 15/9: cfr. ASFi, Dipl. Volterra, id. 16458 (ed. in F. SCHNEIDER, Toskanische Studien: Urkunden zur Reichsgeschichte von 1000 bis 1268, 124 JACOPO PAGANELLI 2.4. «Et alius remansit eius vicarius» Non sembra fuori di logica affermare che Ranieri I fu l’ultimo presule la cui azione ebbe un tenore di carattere comitale, ovvero il cui operato fu improntato al ristabilimento dell’endiadi “episcopato e comitato” che era stata dei vescovi di Volterra da Galgano in poi. Egli infatti riuscì nell’intento di avvincere San Gimignano – il secondo centro della diocesi – alla Rom 1910, p. 270). La compera da parte del Comune cittadino dei diritti sulla moia di Montegemoli in ASFi, Dipl. Volterra, id. 16480, 10/11/1260; per gli appartenenti a questa famiglia colligiana cfr. S. COLLAVINI, Le élites di Colle Val d’Elsa e i conti Aldobrandeschi tra XII e XIII secolo. Tre schede genealogiche, in Studi e memorie per Lovanio Rossi, “Biblioteca della «Miscellanea Storica della Valdelsa»”, 24, Firenze 2011, pp. 153-79. Due colligiani (Paganello di Paganello e Conte di Ticcio), probabilmente di tendenze ghibelline, Ranieri I elesse in podestà di Montalcinello e Montecastelli alla fine di dicembre (cfr. BGV, ms. 5672, I, c. 8v), a segnalare l’inevitabile virata in senso filo-ghibellino della sua politica. Il 21/9/1260 Ranieri I si servì del giudice Trincia quale procuratore per ricevere la quietanza di Ghezzolino, facente le veci di Abate di Grosseto, relativa ad alcuni porci che gli erano dovuti dal Comune secondo il precetto del conte Giordano (cfr. ASFi, Dipl. Volterra, id. 74440, 21/9/1260). Trincia del fu Affricante compare come giudice, implicato nelle cose comunali volterrane, a partire dal 1242 (cfr. ivi, id. 12915, 13/ 8). Due anni dopo era giudice degli Appelli del Comune di Firenze (cfr. BGV, ms. 5893, c. 386), consigliere del Comune di Volterra nell’aprile 1245 (cfr. ASFi, Dipl. Volterra, id. 13415) e, in quell’anno, fra i giuranti la fedeltà a Federico II (cfr. ivi, id. 13573; RV, n. 613). Trincia appare poi in relazione con la badia di S. Giusto nel 1252 (cfr. ASCV, Dipl. Badia, n. 426); e, dal 1254, è regolarmente attestato al seguito dell’eletto Ranieri, per il quale (e per il vicario del quale, Iacopo) svolge consulenze e risolve diverse questioni giuridiche (cfr. ivi, ms. 8494, I, c. 11v (aprile); c. 35r (agosto); c. 46r (ottobre)). Nel 1259 diventa anche rettore di Montieri a nome del Vescovato (cfr. ivi, III, c. 13v; e ASSi, Dipl. Città di Massa, 10/5/1260): in quell’occasione l’Ubertini gli ordinò «inveniendi et puniendi omnia et singula maleficia tam commissa quam etiam committenda in Monterio», concedendogli «plenum et liberum arbitrium». Dopo Ranieri I, Trincia non passò nell’entourage di Alberto: lo vediamo anziano del Comune di Volterra nel novembre 1262 (cfr. RV, n. 753; ed. in SCHNEIDER, Toskanische Studien, p. 277); e insieme all’arcidiacono Lanfranco nel settembre 1263 (cfr. ASCV, Dipl. Badia, n. 617) e nel dicembre dell’anno successivo (cfr. ACV, Dipl., n. 256). Dopodiché, Trincia sparisce dalla documentazione; è probabile che il Giusto giudice attestato in BGV, ms. 5706 (Quaternus emptionum aquarum salsarium et moiarum pro Comuni Vulterrano) sia suo figlio. Dal punto di vista ecclesiastico, la fine del 1260 fu contrassegnata dall’interdetto scagliato su Montevoltraio per via dell’”eccesso” commesso dal Comune dell’arce contro il clero (cfr. BGV, ms. 5672, I, c. 7r). «ET FUIT DE SCOLARIBUS DE FLORENTIA». UN PROFILO DI ALBERTO VESCOVO DI VOLTERRA (1261-69) 125 propria politica, esercitando anche un discreto ascendente sul ceto dirigente di quel castrum. L’Ubertini fu altresì l’ultimo ordinario a disporre del sale delle moie, a esercitare correntemente la giurisdizione d’appello (e non a intermittenza e in ragione dei rapporti di forza, come avrebbero fatto i suoi successori), a proiettare il gettito del fodro a tutto l’ambito diocesano e a concepire, come abbiamo visto, un generale piano di recuperatio delle temporalità perdute. Emblematica – e simbolica – in tal senso appare la volontà di ricostruire il distrutto palazzo vescovile di Pomarance 23. Ma che cosa spinse davvero Ranieri I a dimettersi? Allo stato attuale delle conoscenze è impossibile dirlo con sicurezza. È però probabile che egli avesse voluto abbandonare già da qualche tempo il pontificato, ma che avesse inteso aspettare – proprio per non voler lasciare la sua Chiesa sprovvista di guida in un momento tanto travagliato – che il papa scegliesse il successore. L’ipotesi farebbe del resto il paio con il fatto che non si allontanò subito da Volterra, ma rimase in diocesi, operando in qualità di vicario del nuovo eletto, fino all’arrivo di quest’ultimo 24. Il primo atto compiuto da Ranieri nelle vesti di “un tempo eletto e ora 23 Nota è la missiva con cui Innocenzo IV si complimentò, nel 1251, coi Sangimignanesi per aver accolto l’Ubertini come si doveva («predictum electum tamquam patrem et pastorem animarum vestrarum benigne recipere ac honeste tractare nichil omittentes»): cfr. ASDV, Dipl., n. 406 (RV, n. 634). Per gli appelli cfr. ASFi, Comunità di S. Gimignano, n. 83, c. 15r: «dominus Vulterranus electus et sui antecessores habuerunt et nunc iurisdictionem congnoscendi et faciendi causam (sic) appellationum que fiunt et fiebant a sententiis latis per iudices Comunis S. Geminiani, et consuetum est appellari ad eum et suos antecessores» (notaio Cambio del fu Michele). Nel 1259 Ranieri I nominò Feo del fu Gerardo Ciaccio procuratore per riscuotere il fodro in praticamente tutto il Volterrano, ovvero nei centri di: Agnano, Gello, Gabbreto, Querceto, Micciano, Libbiano, Pomarance, Sassa, Monterufoli, Buriano, Montecerboli, Leccia, Sasso, Serazzano, Canneto, Caselle, Lustignano e Roveta (cfr. ASDV, Dipl., n. 473; RV, n. 704). Nel 1254 diede invece mandato «ad reficiendum palatium de Ripomarancia» (cfr. ASFi, Liber Iurium, c. 23r). 24 Certamente l’operazione fu il frutto di una concertazione con la Curia romana e, nello specifico, col cardinale Ottaviano degli Ubaldini. Che Ranieri I si sia dimesso su pressione dello stesso Ubaldini, intenzionato a favorire la famiglia del cugino, rimane tuttavia una suggestione, non suffragata – al momento – da alcuna evidenza documentaria. Ranieri I era ancora vivo nel 1273, ospitato all’interno del palazzo del proposto aretino (cfr. ASDV, Curia vescovile, Attività di governo, Cancelleria, Notarile Rossa n. 2, II, c. 80v). 126 JACOPO PAGANELLI vicario dell’eletto”, come scrivono i notai di quel tempo, è del 13 febbraio 1261, quando rinnovò la locazione di molte terre nella villa di Magrignano per una pensione annua di 8 lire; in quell’occasione rilasciò anche la quietanza «servitiorum ordinariorum vel extraordinariorum» che i locatari erano «abstricti» a prestare al Vescovato, salva la giurisdizione vescovile nel castello, il censo, le decime e i servizi colle armi 25. Questa fase di transizione e di trapasso, durata buona parte della prima metà del 1261, gettò nuovamente all’impasse il notaio biografo: egli infatti, non accorgendosi che Ranieri I e il vicario dello Scolari erano la medesima persona, tentò di glossare l’identità del vicario assimilandola a quella del futuro Ranieri II, postulando una disputa in occasione dell’elezione di Alberto; di modo che il secondo Ubertini avrebbe potuto farsi consacrare solo dopo la morte dello Scolari (c. 24r): «[Ranieri] vicarius domini Alberti episcopi, qui ambo fuerunt coelecti, et tandem obtinuit Albertus. Et alius remansit eius vicarius, deinde fuit episcopus post mortem Alberti». Ma quante dispute comportò l’elezione di Alberto?, si chiederebbe con fare giocoso il moderno lettore del Liber Iurium che si rammenti il già citato passo del «vel fuerunt duo Alberti». Certo è che il periodo in cui l’Ubertini fece le veci dello Scolari pare caratterizzato dalle faccende dell’amministrazione “contabile” della Diocesi: in primis dall’assoluzione delle rationes dei gastaldi (almeno quelli di Leccia e di Montieri), e poi dal regolamento delle questioni in sospeso, come la remunerazione dei fideles che avevano militato in Puglia (come Porcello del fu Bonsignore da Casole) e la costituzione delle garanzie per i mutui 26. 25 Cfr. ASDV, Dipl., n. 478 (RV, n. 714) e n. 479. L’assoluzione del gastaldo di Leccia (20/2/1261) in BGV, ms. 8494, III, c. 35r; di quello di Montieri (il già menzionato Rinaldo figlio di Bongianni: 15/5) in ivi, c. 38r. La remunerazione di Porcello, con un terreno sulle pendici del castello di Ripapoggioli, in ASDV, Mensa vescovile, n. 12 (Liber sive quaternus allogationum, c. 27r); il censo di 6 quarre di grano «pro recognitione dominii» era da versare a Montecastelli. Il 27/2 Ranieri contrasse un mutuo di 50 lire pisane per ripagare coloro che stavano sopportando gravi fatiche per difendere il Vescovato (cfr. BGV, ms. 8494, III, c. 35r); il 15/5 si costituì personalmente quale debitore nei confronti di Figliano e Scolaro di Suvera in ragione di una somma mutuata per comprare i vestimenti della familia quando era eletto («pro emendis pannis tunc tempus cum eram electus et nostre familie»: cfr. ivi, c. 38r). 26 «ET FUIT DE SCOLARIBUS DE FLORENTIA». UN PROFILO DI ALBERTO VESCOVO DI VOLTERRA (1261-69) 127 Poi, dalla metà di maggio, diventiamo consci dell’approssimarsi di Alberto dall’arrivo a Volterra di Ranieri arciprete della Canonica di Firenze e pievano di S. Pietro in Bossolo, giunto evidentemente a preparare il terreno. Il 28 maggio costui, in qualità di vicario dello Scolari, radunato il Consiglio del castello di Montieri, nominò tre luogotenenti «in totum nomine Episcopatus regendi et portandi terram ad Costitutum», che avevano altresì il compito di «condempnare et absolvere et super maleficiis inquirere et omnia et singula facere» (si trattava del giudice Bencivenni, del notaio Ildebrandino figlio di Marinello di Montieri e del notaio Paganello del fu Rosso di Montecastelli). La mossa, che potrebbe denunciare nient’altro che la volontà, da parte del nuovo gruppo dirigente fiorentino, di uno spoil system nel castello più redditizio del Vescovato, pare invece sottintendere l’intenzione di tracciare un’impronta nuova all’amministrazione di quel centro, forse anche in ragione del peso che i Senesi vi avevano assunto 27. 27 La nomina dei tre vicari in BGV, ms. 8494, III, c. 39r. Paganello è attivo a Montecastelli almeno fino dal 1247, quando verga una confessione di pagamento (cfr. ASFi, Dipl. Volterra, id. 13909); l’anno dopo testimonia a un atto di un Giandonati di Firenze, rettore «pro Imperio» del castello (cfr. ivi, id. 14074). Egli era certamente uno degli elementi notabiliores del luogo, e funge da sindaco del Comune almeno in due occasioni nel 1250 (cfr. ivi, id. 14085 e 14301, 12/1/1250 e 5/10). Nel 1257 refutò a San Galgano ogni suo possedimento presso Lamole, nelle vicinanze di Berignone (cfr. ASCV, S1 Nera, c. 255v). Le sue imbreviature si trovavano presso Montecastelli ancora nel 1306 (cfr. ASFi, Dipl. Volterra, id. 14466, 10/12/1251). Ildebrandino figlio di Marinello compare invece per la prima volta nel gennaio 1251, al seguito di Ranieri I (cfr. BGV, ms. 5706, filza 36). Il primo atto da lui vergato è del marzo 1255 (cfr. ASDV, Dipl., n. 420), e a questo ne seguirono diversi altri, rogati a Montieri (cfr. ivi, n. 438 (RV, n. 663), 455 (RV, n. 683), 455); fra questi, l’instrumentum con cui Ardingo giudice nominò il notaio Ildebrandino quale proprio vicario (cfr. ASSi, Dipl. Città di Massa, 26/10/1258). Infine, il giudice Bencivenni è regolarmente attivo a Montieri a partire dal 1254: nel maggio era nel Consiglio del Comune (cfr. ASDV, Dipl., n. 421) e poi al seguito dell’eletto Ubertini (cfr. BGV, ms. 8494, I, c. 45r); scrisse l’atto con cui i conti di Frosini vendettero a Rigo del fu Gualtieri Cantone molti terreni a Miranduolo (cfr. A. ZOMBARDO (ed.), Il Diplomatico del Comune di Montieri, Siena 2008, n. 5), e quelli della vendita di 1/6 della giurisdizione del castello di Miranduolo (cfr. ivi, n. 6) e di quello di Frosini, sempre ai Cantoni (cfr. ivi, n. 7). Non sembra inutile ricordare che Rigo del fu Gualtieri dei Cantoni era stato uno dei gastaldi dei redditi vescovili a Montieri fino a che Ranieri I non li rimosse il 28/3/1254, «dicens eos nolle teneri amplius ad faciendum officiium dicte castaldarie sive dictam castaldiam, procurationem, sindacatum, sive mandatum, cum velit eorum loco alios ordinare» (cfr. BGV, ms. 8494, I, c. 4v). 128 JACOPO PAGANELLI 2.5. L’adventus dello Scolari Prima di dedicarci a tratteggiare la figura dello Scolari, una notazione si rende necessaria: occorre cioè avvertire che le traversie descritte all’inizio – quelle legate al fortilizio di Berignone – hanno inevitabilmente segnato le sorti della documentazione di Curia. E, poiché l’unico protocollo che ci è giunto del tempo di Alberto è il volume numero uno della serie Notarile Rossa, vergato come si sa dal notaio Ildebrandino, assistiamo a salti vistosissimi nella documentazione di tradizione diretta (escludo dal novero i riferimenti al vescovo negli atti prodotti da altri enti, come il Comune di Volterra), con parentesi di vuoto che si estendono, ad esempio, dal settembre al dicembre 1266, o dall’agosto 1267 fino al 1269 (più di un anno!). Da un rapido raffronto sul Liber Iurium (cc. 25 e segg.) si apprende infatti che, rispetto all’inventario steso dallo scriba di Stefano da Prato, mancano almeno il libro d’imbreviature Y (1261), quello R (1262-3) e buona parte di quello DE (ovvero le imbreviature del notaio Lamberto, il ms. 8494, III, che andavano da 1260 al ‘78). L’entrata di Alberto nel Volterrano avvenne da Castelfiorentino, dove l’eletto, dopo aver attraversato il fiume Elsa, fu preso in custodia dalla legazione sangimignanese e scortato fino all’oppidum. Qui, l’11 giugno, nel chiostro della pieve e alla presenza dei notabiliores del castello, investì due notai, Ranuccio del fu Ildebrandino e Iacopo di Squarcialupo. Si trattava di un atto – quello della nomina dei notai – dalla forte valenza “ideologica”, giacché implicava il ricorso un pregnante formulario gestuale e verbale: l’investito della facoltà notarile doveva giurare la fedeltà all’Impero, rappresentato dal presule; quest’ultimo, dichiarando: «auctoritate imperiali qua fungimur in hac parte», dopo aver dato pubblica lettura dei privilegi elargiti alla Sede vescovile dalla Corona, lo investiva col calamo, simbolo della professione che sarebbe andato a esercitare 28. 28 La creazione dei due notai in BGV, ms. 8494, III, c. 39r. All’interno del Liber Iurium (c. 54r) è riportato il «modus servandus per episcopum in creatione notariorum: existens coram episcopo qui instituendus vel creandus est notarius genuflexus petens humiliter per ipsum episcopum institui et creari in notarium et cetera», che veniva ancora adoperato al tempo di Stefano da Prato. «ET FUIT DE SCOLARIBUS DE FLORENTIA». UN PROFILO DI ALBERTO VESCOVO DI VOLTERRA (1261-69) 129 Il secondo intervento di Alberto, il 15 giugno e sempre a San Gimignano, fu il ripristino della carica avvocaziale in favore di Avvocato del fu Iacopo: un ufficio «quod ipse et antiqui et maiores sui soliti sunt habere ab Episcopatu iamdicto […]; et in omnibus que ad dictum offitium avvocatie pertinet sive pertinere viderit, cognoscens ipsum dominum Avvocatum et maiores et antiquos suos habuisse et debere habere offitium supradictum, et de ipso offitio eundem anulo aureo investivit» 29. Mi pare che i due momenti – la creazione dei notai e il conferimento della carica di advocatus – possano essere riconducibili a un denominatore comune, ovvero al messaggio politico che l’entourage dello Scolari voleva veicolare all’arrivo in diocesi: rilanciando, da un lato, la matrice pubblica delle giurisdizioni esercitate dalla Chiesa volterrana e il legame di quest’ultima con l’Impero; e, dall’altro, rimarcando l’intento di tutelare il patrimonio della Mensa vescovile attraverso la riesumazione di una carica adoperata dai vescovi Pannocchieschi. Anche se non è da sottacere il vantaggio, per l’eletto, d’instaurare un legame politico, immediatamente spendibile, con una delle famiglie più importanti di San Gimignano, da queste operazioni scaturisce quasi un revanchismo sul piano delle idee, ancor prima che su quello delle azioni,teso ad asseverare il ruolo pubblicistico della Chiesa volterrana, con la volontà di fondare un’auctoritas salda e consapevole che fungesse da ubi consistam per la futura azione di governo. 3. «Interveniente violentia maxima ex parte Comunis Vulterre». I rapporti col Comune cittadino 3.1. La questione di Montevoltraio L’impressione di estrema risolutezza dell’azione dello Scolari si fa nitida allorché egli nominò Ranieri pievano di S. Pietro in Bossolo e arciprete fiorentino in rettore dell’arce di Montevoltraio «usque ad expressam vo29 La nomina di Avvocato in BGV, ms. 8494, III, c. 40v. Su questa famiglia cfr. la nota di FIUMI in Storia Ecoomica e sociale di San Gimignano, pp. 235-6. Iacopo di Asseduto dice di avere circa 80 anni alla fine degli anni .30 (ASFi, Comunità di San Gimignano, reg. 26, c. 16). 130 JACOPO PAGANELLI luntatem suam» (7 ottobre 1261). Era dai tempi di Pagano Pannocchieschi che il castello non risultava nella fortia dei vescovi di Volterra (e – perfino allora – non completamente, e con alti e bassi). Giova in proposito rammentare che, dopo che Federico II aveva affidato Montevoltraio al marchese Uberto Pallavicino, nel 1246 Federico d’Antiochia lasciò agli abitanti della rocca la facoltà di eleggere il rettore “secondo l’antica consuetudine”; costoro infine, 6 anni dopo, cedettero la prerogativa al Comune di Volterra 30. Significativo è che alla nomina dell’arciprete fiorentino in rector del castello fosse presente anche Zambrasio di Mugello, notaio di fiducia e collaboratore del cardinale Ottaviano degli Ubaldini. Forse Alberto contava di valersi del sostegno dell’ingombrante consobrinus, oppure può darsiche Zambrasio fosse lì per altre faccende (come la risoluzione della questione di Pulicciano, in mano – come vedremo – a Neri Piccolino). Fatto sta che lo Scolari riuscì a nel suo intento di ri-entrare in possesso del forti30 Il procuratore di Alberto si era presentato a San Gimignano chiedendo al Consiglio di quel castello la revisione di una sentenza, richiesta che il Consiglio ratificò (cfr. Forschungen, II, n. 802). La nomina del rettore dell’arce di Montevoltraio in BGV, ms. 8494, III, c. 41v (e Liber Iurium, c. 25r, libro DE). Gli Statuti di Montevoltraio conservati all’ASCV (G5, I) intendono «salvare, guardare, defendere, manutenere bona fide pro posse et sine fraude omni tempore personam domini episcopi Vulterrani , iura et rationes ipsius tenere, cassarum burgum, curiam et districtum adque iurisdictionem Montisvultrarii et omnia iura et rationes et iurisdictiones dicti domini episcopi ad honorem Dei, beatissime Marie virginis et sancti Iohannis caput nostre plebis et dicti domini episcopi et Comunis Montis Vultrarii, et conservare libertates omnium ecclesiarum» (c. 9v, rubr. CXI). Essi sono quindi da collocare nel momento in cui il Comune di castello seguiva il Pannocchieschi nella sua politica anti-volterrana, certamente prima del lodo pronunciato dal podestà di Firenze (6 luglio 1237, ed. in P. SANTINI, Documenti dell’antica costituzione del Comune di Firenze, Firenze 1895, n. 73), giacché nello stesso Costituto si prevedono dure misure contro gli scomunicati dal presule e gli accusati di aver aiutato i Volterrani. La cessione al marchese Pallavicino è ed. in H. BRÉHOLLES, Historia Diplomatica Friderici Secundi, Paris 1852-61, VI/2, p. 728; il diploma di Federico d’Antiochia in favore degli abitanti di Montevoltraio in ASFi, Dipl. Volterra, id. 13662 (RV, n. 616). Il 1 maggio 1252 Alberto conte di Segalari, podestà di Volterra, nominò insieme ai consiglieri un procuratore per perfezionare la sottomissione di Montevoltraio al Comune cittadino (cfr. BGV, ms. 5706, filza 36); due giorni dopo (ASFi, Dipl. Volterra, id. 74353) gli uomini del castello cedettero ai Volterrani la facoltà di eleggere il rettore. La stipula fu accolta da tutti gli abitanti dell’arce e perfezionata poi il 13/5 (cfr. BGV, ms. 5706, filza 36). «ET FUIT DE SCOLARIBUS DE FLORENTIA». UN PROFILO DI ALBERTO VESCOVO DI VOLTERRA (1261-69) 131 lizio, giacché vi piazzò un castellano e una folta schiera di masnadieri, i quali, il 12 luglio 1262, si arresero alle soverchianti forze cittadine che assediavano la fortezza. La successiva composizione registrata dal libro R, in virtù della quale la Curia veniva risarcita con 3500 lire per la distruzione dell’arce e dei suoi edifici, comprendeva l’impegno del prelato «suo tempore non rehedificandi» e la consueta «ratificatio domini cardinalis in partibus», oltreché l’approvazione da parte dell’«ibidem offitialis» di Alberto (Ranieri arciprete?) 31. Come si vede, le convenzioni spingono a ritenere che l’ordinario diocesano avesse eseguito significativi interventi per munire e fortificare la rocca, localizzata peraltro – e questo dà l’idea dell’ambizione e delle basi materiali, ancora formidabili, dello Scolari – a soli tre chilometri dal caput diocesis. Ma la nomina del rettore di Montevoltraio è solo una delle aspre divergenze che opposero Alberto e Comune di Volterra nella prima metà degli anni Sessanta, nonostante la clique di orientamento ghibellino al governo della Diocesi (con in testai conti di Gangalandi) e un ceto dirigente comunale che, dopo Montaperti, professava la sua adesione a Manfredi 32. 31 Devo le notizie riguardo al notaio Zambrasio di Mugello all’amico e collega Lorenzo Cammelli, che ringrazio. Il riferimento al castellano («quedam protestatio facta per castellanum Montis Vultrari contra Comune Vulterranum petens rocham in preiudicium episcopi») è contenuto a c. 24v del Liber Iurium, ed era riportato a c. 116 del libro R. Anche la resa del 1262 si trovava lì, ma oggi la leggiamo in ASFi, Dipl. Volterra, id. 16749 (RV, n. 733): essa prevedeva che la cessione della rocca agli inviati del Comune di Volterra escludesse «aliquod preiudicium aliquibus menis sive pactis siqua tempore dominus electus haberet per se vel alium cum Comuni Vulterrano […] per se vel alium cum domino electo vel alteri pro eo de restitutione sive super restitutionem dicte arcis facienda quando Comune Vulterranum ad observatione pactorum huiusmodi integraliter teneatur et habitas menas et pacta complere». Il resto delle informazioni si trova alla stessa pagina del Liber Iurium. Una costituzione di debito da parte del Comune di Volterra (delle 200 lire che restavano del totale di 3500) in ASFi, Dipl.Volterra, id. 16653, 7/1/1263. 32 Montevoltraio del resto, per la sua posizione finitima alla città, ha sempre rivestito un ruolo particolare e legato al publicum (a partire dalle transazioni immobiliari lì effettuate dal marchese Ugo): quasi come se chi controllava quell’altura avesse garantito anche il controllo del capoluogo cittadino, come del resto sa bene chi si occupa delle cose volterrane. Il castello era stato, nel corso dei secoli, assegnato dall’Impero alla Sede volterrana: su questo binario procede la menzione del Liber Iurium, c. 22v, che comprende il fortilizio fra quelli che sono «Ecclesie Vulterrane […] occupata per Comune Florentie» (indicazione sicuramente successiva all’assoggettamento di Volterra alla città sull’Arno); 132 JACOPO PAGANELLI 3.2. La disputa della Montagna Anche durante il pontificato di Alberto riaffiorò il problema della giurisdizione sulla Montagna, contesa con il Comune cittadino: una matassa che ogni presule, da Ildebrando in poi, si trovava inevitabilmente a dover sbrogliare. I motivi del contendere sono ben evidenziati dalle lamentele che Importuno, ospitalario di S. Maria e procuratore di Alberto, portò davanti agli arbitri nominati da Urbano IV – Bertoldo canonico e Lanfranco arcidiacono – il 12 luglio 1264: i Volterrani avevano usurpato la giurisdizione dei castelli di Montecerboli, Serazzano, Sasso e Leccia; avevano estromesso il vescovo dal controllo di Gabbreto; comminavano restrizioni sui victualia; nominavano in autonomia il podestà di Pomarance; infine, «in predictorum Episcopatus et episcopi preiudicium et iacturam», imponevano agli abitanti di quei centri la militanza nell’esercito cittadino e li giudicavano, portando i colpevoli a Volterra 33. Facendo leva sul deterrente di una multa di 200 lire, lo Scolari ordinò solennemente al Comune di Pomarance di obbedire ai suoi mandati; ma l’ammonizione non trovò la risonanza sperata (è lecito infatti pensare che Alberto non disponesse, presso Pomarance, della pervasività necessaria a porre la signoria vescovile quale valida ed efficace alternativa al districtus cittadino, come invece avveniva a Montecastelli e Berignone), giacché il procuratore costituito dagli abitanti del castello, Michele del fu Bonaccorso, si presentò (22 aprile 1262) a chiedere la revoca del precetto, forte anche di una lettera del vicario di Manfredi con la quale il funzionario tuttavia, Montevoltraio non rientra fra le «terre solventes fodrum annuatim» registrate a c. 32r dello stesso Liber, né fra i centri rivendicati da Ranieri III al suo insediamento quale amministratore apostolico nel 1301 (cfr. Liber affictum, pensionum reddituum et proventuum: ASDV, Mensa vescovile, n. 38). 33 Le argomentazioni di Importuno in ASCV, S1 Nera, c. 325v. Le precedenti convenzioni riguardanti il distretto della Montagna risalivano a Ranieri I, stipulate il 28 giugno 1253 (cfr: ASFi, Dipl. Volterra, id. 14736; RV, n. 643). La nomina di Lanfranco e Bertoldo quali arbitri nella contesa fra Diocesi e Comune in ASCV, S1 Nera, c. 100r; il fatto che gli arbitri fossero membri del Capitolo della cattedrale, e che uno di essi fosse il vicario generale di Alberto, dà l’impressione, da parte della S. Sede, e del cardinale Ottaviano, a cui larga parte delle faccende della Tuscia era delegata, della chiara volontà di puntellare le posizioni dello Scolari. «ET FUIT DE SCOLARIBUS DE FLORENTIA». UN PROFILO DI ALBERTO VESCOVO DI VOLTERRA (1261-69) 133 imperiale ordinava all’eletto di astenersi da qualsiasi novitas nel Volterrano finché non si fosse presentato al cospetto regio 34. Non sappiamo se Alberto abbia obbedito. Ma è presumibile che lo status quo si sia conservato per un altro paio di anni, intrecciandosi con le vicende di Montevoltraio (che abbiamo visto) e di Giovanni Toscano, il terzo contendente in lizza per la giurisdizione su Gabbreto: costui era stato rettore di Montevoltraio negli anni Quaranta, e rivendicava la signoria di Gabbreto in virtù di una donazione elargitagli da Federico II. Alla ripresa delle ostilità fra Vescovato e Comune cittadino fece seguito la promessa dello Scolari, il primo gennaio 1264, di non commettere «aliquam predam, guerram seu arsuras» contro i Volterrani fino alla domenica ventura 35. Il 25 gennaio si arrivò a un primo compromesso, che tuttavia avrebbe fornito la base per tutti gli accomodamenti successivi. La giurisdizione sulla Montagna veniva riconosciuta al vescovo, ma venivano fatti salvi i patti di cittadinatico degli abitanti. Quella che per noi risulta una contraddizione si spiega sulla scorta del contrasto fra consuetudine della signoria, esercitata dai locali, i quali l’avevano poi ceduta ai Volterrani; e giurisdizione rivendicata dall’Impero durante la ristrutturazione sveva, che a sua 34 La vicenda è narrata da ASFi, id. 16717 (RV, n. 730; ed. F. SCHNEIDER, Toskanische Studien, p. 274). 35 Giovanni Toscano era stato presente alla concessione del privilegio emanato da Federico d’Antiochia per Montevoltraio, e aveva poi ricoperto la carica di podestà di quel castello nel 1248 (cfr. BGV, ms. 5706, filza 36, Liber querimoniarum di Montevoltraio). Nel 1250 si era trasferito in città, come testimonia l’epigrafe – ancor oggi esistente – ubicata presso l’attuale torre Toscano. Giovanni rivendicava la villa di Gabbreto «ex causa donationis seu concessionis sibi […] facte quondam per dominum Fredericum»; su quel centro – a suo dire – il Comune di Volterra esercitava indebitamente la giurisdizione, dopo aver estromesso i suoi intendenti. Egli trovò un pronunciamento favorevole presso il tribunale del conte Giordano, ma il Comune di Volterra impugnò la sentenza. Il compito di definire la questione passò a Francesco Semplice, vicario di Manfredi in Toscana (i docc. sono editi in SCHNEIDER, Toskanische Studien, pp. 271, 272, 277 e 279). In mezzo alla contesa, fra il 1262 e il 1263 (l’atto si trovava nel libro R, regestato a c. 24v del Liber Iurium), Alberto elesse il rettore di Gabbreto. Non siamo informati di come la vertenza si chiuse; fatto sta che, nell’agosto 1264, il Toscano nominò Giovanni d’Alba suo procuratore per vendere i propri beni in Toscana (cfr. BGV, ms. 5896, c. 43v). La sua famiglia è comunque rintracciabile in Volterra almeno fino agli inizi del Trecento (cfr. ASCV, F2 Nera, c. 27r, quando il figlio Fortino vendette a ser Giovanni di Micciano parte di una casa nel castello di Serazzano per 12 lire pisane, 1303). 134 JACOPO PAGANELLI volta l’Impero aveva devoluto – riconoscendogliela – alla Sede vescovile 36. Venivano altresì regolati i casi di morte sine heredibus, in cui si prevedeva la spartizione a metà dei beni del defunto fra Curia e Comune; il presule veniva escluso dalle restrizioni sui victualia; l’elezione del podestà di Pomarance (obbligatoriamente un cittadino di Volterra) sarebbe toccata un anno ai Volterrani e un anno al prelato (la prima spettava comunque allo Scolari, il quale s’impegnava a far approvare le convenzioni al pontefice); i dazi, le gabelle e i proventi della giustizia sarebbero stati divisi a metà; le compere effettuate da una parte nei castelli interessati avrebbero dovuto essere approvati dall’altra parte; infine, il Comune della civitas, oltre a indennizzare Alberto con 1500 lire da versare entro 6 mesi a Casole o a Berignone, avrebbe lasciato al prelato la giurisdizione di Gabbreto. Come si vede, l’accordo escludeva – dalle parole così come dalle cose – qualsiasi rivendicazione di Giovanni Toscano 37. Le convenzioni lasciarono tuttavia le parti insoddisfatte, o un’applicazione effettiva delle clausole era stata impossibile, oppure – come credo più verosimile – il trattato fungeva solamente da bozza d’intesa preliminare, da perfezionare ulteriormente. Difatti, nel marzo, il podestà volterrano (Ghinibaldo di Ildebrandino Salvani di Siena) nominò Iacopo rettore di S. Alessandro procuratore del Comune nella causa contro il vescovo Scolari (il quale, nel frattempo, si era appunto fatto consacrare); il 20 giugno fu la volta del presule, che scelse quale proprio rappresentante Importuno ospitalario di S. Maria. I depositari dei rispettivi mandati si riunirono nel chiostro del Capitolo il 21 giugno. A nulla valsero le obiezioni di Iacopo, che protestò che la S. Sede, che aveva nominato gli arbitri, non aveva giurisdizione sulle cause civili, e che Alberto usava (impropriamente, a suo dire) le lettere pontificie indirizzategli quando ancora era eletto 38. Il rettore di S. Alessandro fece altresì presente che il Comune di Volterra esercitava un pieno dominio sulle terre della Montagna – trovandosi «in possessione vel quasi» di ogni diritto riguardante giustizia, fisco e presta36 La riflessione trae spunto da G. MILANI, Lo sviluppo della giurisdizione nei comuni italiani del secolo XII, in AAVV, Praxis der Gerichtsbarkeit in europaeischen Staedten des Spaetmittelalters, Frankfurt am Main 2006, pp. 21-45. 37 I patti si trovano in ASCV, S1 Nera, cc. 100v, 103v e 321r. 38 Le nomine dei due procuratori in ASCV, S1 Nera, c. 322v. ma cfr. ASCV, S1 Nera, c. 325v. «ET FUIT DE SCOLARIBUS DE FLORENTIA». UN PROFILO DI ALBERTO VESCOVO DI VOLTERRA (1261-69) 135 zioni di carattere militare da parte degli abitanti – poggiato sui patti che le comunità avevano stipulato colle magistrature del caput diocesis. Importuno replicò notando che si trattava di accordi che, da un lato, erano stati stipulati sotto la minaccia della forza, e che, dall’altro, prevedevano la salvaguardia dei diritti del Vescovato: «credit quod interveniente violentia maxima ex parte Comunis Vulterre predicti Comunia dictorum castrorum et villarum et singulares homines dictorum Comunium fecerunt se cives Vulterrani et subiacerunt se iurisdictioni Comunis Vulterre, hoc tamen acto et expresso pacto tunc inter sindicos dictarum Comunium et Vulterranum Comune predictum quod ius Vulterrani Episcopatus et aliorum dominorum dictorum castrorum et ville conservaretur illesum in omnibus promissionibus, submissionibus cictadinantiis et pactis habitis» 39. Un memoriale non datato e privo di sottoscrizione notarile ci consegna un’ennesima bozza d’intesa, di qualche tempo successiva alla prima. Si trattava – presumibilmente – dell’ottavo strumento del primo saccolo dell’archivio del Da Prato, ovvero il «compromissum inter Comune Vulterre et episcopum Albertum in cartis bambacinis» (cfr. Liber Iurium, c. 7r). Esso, che oggi leggiamo nell’esemplare pergamenaceo confezionato dal Comune cittadino, affrontava in particolare il nodo della giustizia, con una spartizione a metà dei proventi giudiziari, e il compito di inquisire e punire lasciato alla parte (vescovile o comunale) che avesse per prima incominciato (mentre il privilegio di «prevenire» veniva accordato solo al presule o a una persona della sua familia «specialiter transmissa»). Solo alla fine si toccava la questione della leva militare, esigibile da entrambe le parti ma mai a detrimento dell’altra 40. La vertenza si chiuse solo con l’arbitrato pronunciato il 27 agosto, che, significativamente, si trovava al primo posto del primo saccolo. Lanfranco e Bertoldo, delegati apostolici, salomonicamente decisero che la giurisdi39 Siamo ancora nel pieno della contraddizione fra diritto della consuetudine e diritto della giurisdizione, come ben si vede. 40 Che questa bozza sia successiva alla precedente lo chiarisce il titolo di Alberto, che adesso è “vescovo” e non “eletto”. Il primo saccolo conteneva «instrumenta et iura que habet episcopus Vulterranus contra Commune et cum Cummune Vulterre, Capitulo et canonicis Vulterranis et de bonis que habet in civitate predicta et suburbiis». Per il testo dell’accordo cfr. ASFi, Dipl. Volterra, id. 16386 (RV, n. 753). 136 JACOPO PAGANELLI zione della Montagna spettava alla Sede vescovile, fatti salvi però i diritti del Comune. Del resto, tuttavia, l’arbitrato aveva solo un carattere simbolico e formale, sub specie iuris, che andava a terminare, per conto della Santa Sede, un affaire preso in carico da Urbano IV: le parti consideravano infatti vincolanti le convenzioni nel tempo stipulate, essendo fra quelle righe che venivano – concretamente – affrontati i veri motivi del contendere. Prova ne sia che, ancor prima del lodo dei canonici, lo Scolari assegnò al priore di S. Pietro in Selci (24 agosto) il compito di ricevere le 1000 lire che il Comune doveva alla Chiesa volterrana in virtù dei patti intercorsi 41. 3.3. Dopo il lodo Nel giugno 1266 Porcello del fu Bonsignore, familiaris dello Scolari, impose ai Comuni di Montecerboli, Serazzano, Leccia e Sasso di rifare le fortificazioni del castello di Vecchienna, presumibilmente occupato e danneggiato dai Pannocchieschi di Pietra che, in quel tempo, militavano nel campo guelfo. Quest’ultima indicazione è desumibile dall’inquisitio di Bertoldo, vicario generale di Alberto, contro il pievano di Lustignano, accusato «recipiendo masnaderios de Pietra sive dando eis favorem seu opem et consilium per se vel per alium offendendi homines Vulterrane civitatis vel eius districtus sive alios de contrata», «postquam ipsi ceperunt facere guerram contram homines Vulterrane civitatis et eius dictrictus et homines Episcopatus». Fra le altre cose, il vicario domandò al pievano se «aliquod favorem dedit eis seu consilium sive adiutorium et si misit ad eos apud Vecchiennam vel alibi quod custodirent se a Vulterranis». Costui, dopo aver rigettato le accuse, rispose che – prima della guerra – «recipiebat eos 41 L’arbitrato dei canonici in ASCV, S1 Nera, c. 324r. La nomina del procuratore da parte dello Scolari in ASFi, Dipl. Volterra, id. 17059 (RV, n. 754). L’arbitrato fu poi ratificato dal Capitolo della cattedrale lo stesso giorno (cfr. ASCV, S1 Nera, c. 322r). Così riporta il Liber Iurium: «quodam laudum et arbitrium latum inter ipsum Comune et episcopum Vulterranum per quosdam delegatos Sedis Apostolice super lite et questione castrorum et iurisdictionum Ripomarancie, Montecerboli, Lecie, Sarazani, Saxi et villarum Gabbreti et eorum curtibus cum emologatione subsecuta scriptum et publicatum manu Bartholomei vocati Barzeti quondam Galgani de Vulterris anno Domini mcclxiiii quod est inserto in quaterno de membranis». «ET FUIT DE SCOLARIBUS DE FLORENTIA». UN PROFILO DI ALBERTO VESCOVO DI VOLTERRA (1261-69) 137 [scil.: gli uomini di Pietra] et nuntios Pannocchiensium, non tamen credebat eos masnaderios» 42. Siamo, com’è evidente dalle parole dell’inquisitio, nell’ambito di una ritrovata collaborazione fra presule e Comune cittadino, probabilmente susseguente a una certa politica filo-ghibellina perseguita da entrambi. All’inizio del mese, Alberto aveva eletto Bingo dei Buonparenti (eminente schiatta cittadina) in rettore della villa di Gabbreto, dopo che – il 31 maggio – un rappresentante di quel castello si era recato dallo Scolari per recepirne i precetti. Occorre in proposito rammentare che, a partire dall’anno precedente, era scoppiata la disputa con il Comune di San Gimignano per le terre della Valdelsa, in particolare Gambassi; e che, nello stesso periodo, il prelato stava affrontando la controversia coi Guaschi per acquisire l’esclusivo controllo di Montecastelli 43. È logico quindi che Alberto, premuto su diversi fronti, nutrisse interesse a costruire un clima di convivenza (e, laddove possibile, cooperazione) con le magistrature cittadine. Le cose cominciarono tuttavia a cambiare di segno in occasione dell’interdetto scagliato dal presule sulla città alla fine del ‘66, in quanto il pontefice accusava i Volterrani di aver aiutato Manfredi. L’evento ci è noto grazie alla leggerezza del consigliere Bindo di Bonaccorso dei Topi, il quale, durante un Consiglio cittadino in cui si dibatteva sulle censure ecclesiastiche, dichiarò di preferire la carne di castrato alle funzioni liturgiche («potius unum bonum ferculum carnuum castratinarum ante quam vellet audire missas»). Il Topi fu quindi portato dallo Scolari, che gli fece giurare di non proferire più simili empietà e di impegnarsi a obbedire all’autorità vescovile 44. La rottura avvenne però in occasione del tracollo dello schieramento ghibellino, che a Volterra si verificò con vistoso ritardo rispetto a San Gimignano (settembre 1267 vs aprile 1267), anche a causa – come forse non è insensato ritenere – dell’influenza dei componenti della crew episcopale. 42 L’inquisitio di Bertoldo in ASDV, Curia vescovile, Attività di governo, Cancelleria, Notarile Rossa n. 1, c. 28v. 43 Per gli atti riguardanti Gabbreto cfr. ivi, c. 21v (elezione di Bingo avveniva «pro salario quod ipse dominus episcopus ei ordinare voluerit pro sua signoria recipiendo ab hominibus dicte ville») e c. 22r. 44 La vicenda di Bindo di Bonaccorso in ASDV, Curia vescovile, Attività di governo, Cancelleria, Notarile Rossa n. 1, c. 43r. 138 JACOPO PAGANELLI Induce a crederlo la questione che si sollevò in occasione della cattura di Piggello dei Gangalandi, vicario generale del vescovo, accusato di aver preso parte all’assalto al Pratomarzio durante l’estate 1268 («quando ghibellini Vulterrani venerunt hostiliter contra Comune Vulterranum in terzierium inferiorem civitatis Vulterrane cum quibusdam eorum sequacibus et sconficti fuerunt») e detenuto nelle carceri volterrane 45. È soprattutto il verbale di Consiglio del 29 dicembre a gettare lumi sui rapporti che in quel tempo intercorrevano fra lo Scolari e il Comune volterrano (cfr. Appendice documentaria). Per esaudire la supplica del vescovo, che chiedeva la liberazione del conte di Gangalandi, gli Anziani avevano posto una serie di condizioni: in primis che il presule si facesse tramite dello scambio con Arrigo di Malpiglio da San Miniato, dei Ciccioni, detenuto a Pisa; e che, soprattutto, fosse disposto a ritrattare le convenzioni intercorse riguardo a Gabbreto, Pomarance, le condanne dei castelli della Montagna e la moneta. Non sappiamo come si chiuse la vicenda. Piggello fu verosimilmente scagionato, in un modo o nell’altro, giacché sul Libro del Chiodo figura fra gli sbanditi da Firenze del dicembre 1268; mentre il suo protettore, il vescovo Alberto, sarebbe morto pochi mesi dopo 46. 45 Informazioni sulla detenzione di Piggello forniscono ASFi, Dipl.Volterra, id. 17711 e 17712 (agosto 1268). La citazione è tratta dall’estimazione dei danni a un’abitazione in occasione della richiesta di risarcimento (cfr. ivi, id. 17718, 20/8/1268). 46 Cfr. KLEIN, Il Libro del Chiodo, p. 96. Il riferimento alla moneta indica che anche Alberto, come i vescovi precedenti, si servì del privilegio di conio (anche se, come mi conferma l’amico numismatico Magdi Nassar, che ringrazio, non ci è giunto alcun esemplare della coniazione dello Scolari). Sappiamo che Ranieri I emise moneta, l’ultima volta, alla fine del suo pontificato (cfr. il Liber Iurium, c. 23r. che regesta «duo instrumenta in facto monete pro civibus et episcopo Vulterrano», a c. 125 del libro C (1253-60)). Nel febbraio 1261 si parla di 25 lire «denariorum Vulterranorum» (cfr. ASFi, Dipl. Volterra, id. 16363; ed. E. FIUMI, Ricerche storiche sulle mura di Volterra, in «Rassegna Volterrana», XVIII (1947), pp. 25-93, doc. n.10 (rist. anast. a c. dell’Accademia dei Sepolti, Volterra 2015)). È nel libro R (1262-3), a c. 92, che avremmo trovato la «commissio monetam cudendi per plures cartas», evidentemente l’allocazione degli attrezzi di conio agli zecchieri e le convenzioni per il corso dei denari tra il Comune cittadino e lo Scolari (cfr. Liber Iurium, c. 24v). Nell’agosto successivo, troviamo il riferimento a 8 lire e 15 soldi di denari volterrani «et aliorum denariorum minorum» (cfr. ivi, n. 615); nel settembre a 5 soldi «denariorum Vulterranorum» (cfr. ASDV, Dipl., n. 508); nell’ottobre a 21 lire «bonorum denariorum Vulterranorum» (cfr. ivi, n. 510). Infine, nel gennaio 1266 vengono menzionate 25 lire volterrane (cfr. ASCV, Dipl. Badia, n. 622). Sui Ciccioni, di cui Arrigo «ET FUIT DE SCOLARIBUS DE FLORENTIA». UN PROFILO DI ALBERTO VESCOVO DI VOLTERRA (1261-69) 139 4. I rapporti col Comune di San Gimignano Abbiamo visto come Alberto riuscisse a esercitare la prerogativa d’appello nei confronti di San Gimignano. Nella filza 36 del ms. 5706 della Guarnacci si conserva, pressoché intonsa e con i segni delle piegature e del sigillo ancora ben in evidenza, una piccola cedola di carta, con la quale il giudice di quel Comune, Ghermondo, annunciava la trasmissione al vescovo, «in quodam tascha sigillo Comunis Sancti Geminiani munita», degli atti di una causa d’appello, dichiarandosi altresì «paratus semper» a obbedire al presule. Tuttavia, a dispetto delle formularità epistolari, il Liber Iurium (c. 25r) racconta invece di come le magistrature castellane fossero state sottoposte a scomunica per aver estorto dazi e collette al clero, e di come Alberto avesse dato licenza ai canonici della pieve di abbandonare il centro finché il Comune non avesse rispettato i suoi mandati 47. Ma l’attrito fra il Comune del castello e il Vescovato scaturiva, soprattutto, dal controllo dei ricchi e fiorenti centri della Valdelsa, in particolare Gambassi. Di questo fortilizio Alberto aveva nominato il rettore («electio ad annum potestatis et domini in Gambasso», come registra il Liber Iurium a c. 25r) e aveva ricevuto i proventi derivanti dalla giurisdizione e dal cadi Mapliglio faceva parte, cfr. F. SALVESTRINI, San Miniato al Tedesco: l’evoluzione del ceto dirigente e i rapporti col potere fiorentino negli anni della conquista (1370ca. 1430), in Lo stato territoriale fiorentino (secoli XIV-XV), a c. di A. Zorzi e W. L’ Connell, Pisa 2002, pp. 527-50 e i lavori di V. MAZZONI, in particolare la serie Le famiglie del ceto dirigente sanminiatese (secc. XIII-XIV) sulla «Miscellanea Storica della Valdelsa»: CXVI (2010), pp. 167-252; CXVII (2011), pp. 209-278; CXVIII (2013), pp. 175-242; CXX (2014), pp. 257-292. 47 I provvedimenti erano riportati sul libro DE, rispettivamente c. 40 («absolutio quorundam canonicorum Sancti Geminiani quia non denuntiaverunt Comune et Consilium et cetera excomunicati quia extorserant datia et cetera a clericis ibidem») e c. 77 («licentia data per episcopum canonicis Sancti Geminiani ut exeant castrum donec Comune venerit ad mandata»). La facoltà d’appello non era tuttavia esercitata in automatico; laddove potevano, infatti, le magistrature comunali sangimignanesi (e coloro che si sentivano ingiustamente gravati) tentavano di fare resistenza, come dimostra l’eccezione presentata dal favorito di una sentenza del giudice del podestà, che obiettò a Bertoldo – il quale pretendeva di riesaminare la vertenza – che «episcopum non posse de hac appellatione cognoscere cum lata fuerit sententia a iudice seculari sic non potest ad ecclesiasticum iudicem recurri nec ad eum facta appellatio tenet» (cfr. ASDV, Curia vescovile, Attività di governo, Notarile Rossa n. 1, c. 53r). 140 JACOPO PAGANELLI posoldo («finis et remissio facta Comuni Gambassi per episcopum occasione retentorum», ivi). Il controllo dell’ordinario diocesano su Gambassi era però malsicuro, insidiato dai Sangimignanesi: i quali infatti, il 14 aprile 1265, ricevettero una legazione gambassina costituita per recepire le loro disposizioni in merito all’omicidio del sangimignanese Cambio di Ricovero da San Vittore; invece, nell’aprile dell’anno dopo, il vicario vescovile Bertoldo riesaminava in appello una causa su cui si era già pronunciato proprio il notaio del Comune di Gambassi, Enrico. Dunque sia lo Scolari che San Gimignano costituivano due poli d’attrazione concomitante per il castello valdelsano, due strade d’inquadramento giurisdizionale egualmente percorribili. Poco tempo dopo, comunque, la concorrenza si trasformò in aperta ostilità 48. Il 9 luglio 1266 Porcello del fu Bonsignore intimò ai nunzi sangimignanesi inviati in Curia – Ranieri, Galgano e Giunta, frati di penitenza – di obbedire a quanto Bertoldo avrebbe loro ordinato. Dunque il vescovo non solo non aveva chiuso la vertenza scaturita dalla violazione della libertà ecclesiastica, ma anzi l’aveva riesumata per aggiungervi nuovi capi d’imputazione a danno dei Sangimignanesi. Il presule ricordò infatti, circa un mese dopo, che i costoro avevano molestato il clero, estorcendogli indebiti contributi, anche a mezzo della violenza; avevano imprigionato Manentuccio familiaris dello Scolari; avevano occupato le infrastrutture episcopali per l’immagazzinamento del surplus («domos nostros de canova») e, «nobis existentibus in Romana Curia», avevano attaccato Gambassi, «castrum nostrum» 49. Alle misure repressive del presule – scomunica e interdetto – il podestà Ranieri Piccolino degli Uberti aveva risposto chiedendo una proroga, ma poi non si era presentato al terminus che il vescovo aveva bandito. L’appello presentato per conto del Comune da due frati di penitenza, Ubertino di 48 I documenti sono in D. CIAMPOLI (cur.), Il Libro Bianco di San Gimignano. I documenti più antichi del Comune (secoli XII-XIV), Siena 1996, nn. 76-77; e ASDV, Curia, Attività di governo, Notarile Rossa n. 1, c. 7r. Su Gambassi cfr. A. DUCCINI, Il castello di Gambassi. Territorio, società, istituzioni (secoli X-XIII), “Biblioteca della «Miscellanea Storica della Valdelsa»”, XIV, Castelfiorentino 1998 49 L’ammonizione di Porcello in ASDV, Curia, Attività di governo, Notarile Rossa n. 1, c. 30v; Alberto ripercorse la vicenda nell’atto di scagliare l’interdetto, dal palazzo vescovile di Montecastelli (cfr. ivi, Mensa n. 13, fasc. S. Gimignano, c. 55v). «ET FUIT DE SCOLARIBUS DE FLORENTIA». UN PROFILO DI ALBERTO VESCOVO DI VOLTERRA (1261-69) 141 Pelliccione e Giunta, era stato giudicato “frivolo” dallo Scolari, che lo aveva rigettato, e anzi aveva posto un nuovo termine di comparizione per le magistrature castellane. Queste ultime tuttavia non si presentarono al cospetto di Bertoldo, di modo che il vescovo, rinnovando le censure ecclesiastiche, ordinò che le chiese dell’oppidum non officiassero i funerali, non suonassero le campane e non amministrassero i sacramenti, fuorché battesimi ed estreme unzioni. La questione dell’interdetto – scagliato l’11 agosto 1266 – fu affrontata una decina di giorni dopo dal Consiglio. In quel periodo Alberto, da Montecastelli, si era spostato a Montieri, dove un nunzio sangimignanese venne oltraggiato in maniera tanto grave che il Comune decretò il bando per i Montierini e la familia vescovile. Lo Scolari, che aveva ottenuto dal Comune di Pisa la ricognizione dei redditi vescovili nella Valdera volterrana, fu nel contempo beneficiato anche di una missiva del Comune di Firenze, che diffidava il Comune di San Gimignano dal compiere ulteriori azioni a danno del presule 50. Le ostilità si protrassero anche l’anno successivo. Alle ragioni del conflitto si erano aggiunti, da un canto, la questione delle censure ecclesiastiche comminate contro San Gimignano per aver aiutato Manfredi (il 20 gennaio il Consiglio decise di promuovere l’appello); e, dall’altro, l’occupazione del castello di Ulignano, azione da cui un appello congiunto di papa, re Carlo e vescovo invitava i Sangimignanesi a desistere. Che questi ultimi contendessero allo Scolari la giurisdizione su Ulignano è del resto messo in evidenza dal registro n. 98 del fondo Comunità di San Gimignano dell’ASFi: benché Nozzo del fu Gontano riconoscesse «quod dictum castrum de Ulignano et homines sunt sub episcopo Vulterrano ut alie terre de Episcopatu», Palmiero di Gualtiero intendeva dimostrare che il fortilizio era invece sottomesso alla giurisdizione sangimignanese (c. sciolta 2bis) 51. 50 La questione dell’interdetto in Forschungen, II, n. 922; l’oltraggio al nunzio in ivi, n. 924. Dopo che Alberto ebbe nominato il notaio Ventura del fu Ildebrandino procuratore per le cause vescovili nel distretto pisano (7/8, cfr. ASDV, Dipl., n. 518), il 30/8 i consoli del Comune di Chianni attestarono i beni vescovili in quella terra (cfr. ivi, Curia vescovile, Attività di governo, Notarile Rossa n. 1, c. 32v). La lettera del Comune di Firenze fu letta nel Consiglio sangimignanese il 2 settembre (cfr. Forschungen, II, n. 925). 51 L’interdetto per aver aiutato Manfredi in ivi, n. 938; l’appello delle tre autorità in ivi, n. 957. Per la pratica dell’interdetto cfr. P. D. CLARKE, The Interdict in the Therteenth 142 JACOPO PAGANELLI L’11 giugno Clemente IV scrisse direttamente ai magistrati del castello, intimando loro di non molestare ulteriormente il vescovo «in castris, villis, possessionibus, iuribus et aliis bonis suis»; come rivela la contemporanea nota tergale apposta al breve pontificio («dominus O. cardinalis»), della faccenda si era interessato direttamente il cardinale Ottaviano degli Ubaldini. Eppure, ancora nell’aprile successivo, il podestà sangimignanese disponeva l’invio di ulteriori contingenti presso quel castello, e molte malelingue giravano «asconse» su una loro possibile prodizione. Non è a parer mio senza un legame con queste vicende che, nel maggio, all’arrivo di Corradino, il vicino castello di Castelvecchio si consegnasse alle forze dell’erede della casa di Svevia 52 . I pochi documenti della fine degli anni ‘60 non ci consentono di sbrogliare ulteriormente la questione. Si può solo notare che, il 12 dicembre 1268, il Comune di Gambassi si sottomise direttamente ai Sangimignanesi, adducendo il movente di voler salvaguardare in maniera efficace i beni dei Gambassini e asserendo che «per longissima tempora iam fuisse sub iurisdictione et dominio Comunis Sancti Geminiani et sub iurisdictione morari». Come avrebbe invece dimostrato la vigorosa azione del successore di Alberto Scolari, Ranieri II Ubertini, questi patti potevano considerarsi tutt’altro che risolutivi 53. 5. Pulicciano e Montecastelli Oltreché coi «magna Communia» come Volterra e San Gimignano, Alberto dovette fare i conti anche con altre forze, che, sebbene più minute e localizzate rispetto a quelle cittadine e comunali, potevano dirsi altrettanto agguerrite. Mi riferisco nello specifico a due schiatte signorili, gli Uberti e i Guaschi, imperniate rispettivamente sui castelli di Pulicciano e Montecastelli. Non saprei dire grazie a quali circostanze Neri Piccolino fosse tornaCentury: a Question of Collective Guilt, Oxford 2007, spec. pp. 204 e segg., dove è trattato il caso sangimignanese. 52 La missiva pontificia in ASDV, Dipl., n. 523. Gli altri due atti in Forschungen, II, n. 1054 e n.- 1067. Castellovecchio, nel Liber affictum (c. 2r) rientra, insieme a Ulignano, nei castelli sottoposti a San Gimignano tenuti a corrispondere il fodro di 26 denari per fuoco al Vescovato. 53 La sottomissione di Gambassi in ASFi, Dipl. S. Gimignano, id. 17777. «ET FUIT DE SCOLARIBUS DE FLORENTIA». UN PROFILO DI ALBERTO VESCOVO DI VOLTERRA (1261-69) 143 to in possesso del castello usurpato a Ranieri I e poi acquistato dal Comune di Firenze. Certo è però che, nel marzo 1263, nello stesso periodo in cui era podestà di San Gimignano, l’Uberti e lo Scolari rimisero la controversia su Pulicciano al cardinale Ottaviano Ubaldini. Il dibattimento avvenne nel maggio: Ottaviano dichiarò che i proventi di quella terra erano tanto modici che il Vescovato avrebbe speso energie inutili nel cercare di riconquistarla. Insomma, il gioco – nella retorica del cardinale – non sarebbe valso la candela. Il porporato si pronunciò così in favore di un’enfiteusi perpetua, con un canone ricognitivo di mezzo fiorino d’oro all’anno, fissando peraltro, in maniera puntuale, la quantità dei servizi dovuti dal Piccolino al presule e la loro durata nel tempo (100 soldi pisani di entratura, con rinnovo del giuramento ogni 28 anni). Il 30 maggio avvenne la solenne cerimonia di vassallaggio, presso la pieve di Casole d’Elsa e alla presenza di Mainetto vescovo di Fiesole, in cui il notaio Zambrasio – collaboratore, come sappiamo, del cardinale – s’impegnò, insieme a Ugolino di Filiccione figlio di Ubaldino di Pila, a ottenere che le convenzioni stipulate riguardo a Pulicciano «quod est Ecclesie Vulterrane» venissero approvate dalla Santa Sede 54. Per quanto riguarda invece il fortilizio di Montecastelli, è noto che il castello era stato fondato in regime di co-signoria da Ildebrando e dall’antecessor dei Guaschi, in quel fermento edilizio di terre nuove che coinvolse le schiatte signorili a cavaliere fra XII e XIII secolo, e in cui vanno annoverati – almeno – i casi di Semifonte, Poggibonsi ed Empoli. Ma lo Scolari non si accontentava evidentemente più del ruolo di maior dominus della rocca (e i vescovi erano tali non foss’altro perché la loro residenza colà era un «palatium», a differenza della «domus» di Guasco); del resto, la diminuzione del numero dei castelli controllati dai presuli costringeva la loro signoria verso un più alto tasso di pervasività: non multa sed multum, si potrebbe chiosare con una bella espressione latina. Quindi, alla fine del 1262, Alberto e il Comune di Montecastelli, da una parte, e i Guaschi (Bindozzo del fu Ruggerotto di Rocca e Bindozzo del fu Ugolino di Montanello), dall’altra, affidarono agli uomini di Radicondoli il compito di ridefinire gli assetti del potere nel castello. La schiatta era in 54 Gli atti in ASDV, Dipl., nn. 496 (RV, n. 742), 497 (RV, n. 743), 500. Ubaldino di Pila, come segnalatomi da Lorenzo Cammelli, era il fratello del cardinale. 144 JACOPO PAGANELLI questa fase sulla difensiva, non solo perché – com’è chiaro dalla costituzione delle parti in causa – gli abitanti avevano fatto lega col presule, la cui signoria in loco era senz’altro più pervasiva, ma anche perché gli interessi patrimoniali dei Guaschi dovevano essersi spostati verso Radicondoli e il Senese 55. Il testimoniale del febbraio 1263 appare, così, come il tentativo dei lambardi di resistere all’accentramento dello Scolari (il quale, fra il ‘62 e il ‘63, com’era riportato dal libro R a c. 137, aveva acquisito un’ulteriore IV parte della signoria di Montecastelli): le intentiones dei Guaschi insistevano sul ruolo paritario che Guasco e Ildebrando avevano giocato nella fondazione del fortilizio, e sull’alternanza nella nomina del rettore, la cui designazione avrebbe dovuto toccare un anno ciascuno. Le testimonianze furono raccolte da Diedi giudice fiorentino e da Pillino del fu Guglielmo di Radicondoli, a cui, all’inizio del mese, si erano rivolte le parti per ottenerne un lodo arbitrale 56. Dopo una manciata di anni di calma, in cui Alberto pare disporre liberamente della signoria del castello, la controversia riesplose. Il 6 luglio 1266 il vescovo e i lambardi di Rocca stabilirono una tregua nelle ostilità fino al 15 agosto, festa di S. Maria. Poi, a distanza di quattro giorni, stando in Montieri, nominarono un ennesimo collegio arbitrale, composto dallo stesso Pillino di Radicondoli e da Ranieri del fu Manuello conte di Elci (quest’ultimo beneficiato di un generoso feudo dallo Scolari pochi mesi prima). Il giorno dopo fu emesso il lodo, che tuttavia si risolse in una decisione salomonica: i contendenti avrebbero potuto esercitare le rispettive quote di giurisdizione, previo il vicendevole risarcimento dei danni. Ma gli arbitri 55 Il 13/12 i Guaschi promisero agli uomini di Radicondoli che, se questi ultimi avessero trovato un compromesso fra le parti, avrebbero cassato la carta di mutuo fittizio con cui si erano obbligati, della somma di 200 lire: cfr. ASFi, Dipl Volterra, id. 16828. Dalle testimonianze riportate unicamente da ASCV, S1 Nera, c. 144v e sgg., si apprende che «aliqui de dicto castro eorum fideles exiverunt foras cum Guaschis et venerunt Radicondoli semel iam sunt duo anni» (IV teste, c. 145v). 56 Il testimoniale in ASDV, Dipl., n. 491; la nomina degli arbitri in ASFi, Dipl. Volterra, id. 16672. Il riferimento al libro R è fornito dal Liber Iurium, c. 24v. Diedi è nel seguito di Alberto il 20 maggio 1263 a Montalcinello (cfr. ASDV, Dipl., n. 499; RV, n. 747), e il 30 maggio a Casole (cfr. ivi, n. 500). «ET FUIT DE SCOLARIBUS DE FLORENTIA». UN PROFILO DI ALBERTO VESCOVO DI VOLTERRA (1261-69) 145 ricusarono di pronunciarsi sul punto focale, ovvero sulla signoria del castello. Alberto dunque, per il momento, aveva vinto 57. 6. Alberto pastore della diocesi Per quanto concerne l’administratio della Diocesi da parte di Alberto, occorre prima di tutto citare le costituzioni capitolari – purtroppo perdute – che si trovavano a c. 104 del libro R («constitutio de certo numero canonicorum in Ecclesia Vulterrana»: Liber Iurium, c. 24v) e che dovevano essere state redatte fra il 1262 e il 1263. Una solenne adunanza del clero diocesano avvenne invece nel dicembre 1265, in duomo e sotto la direzione del vicario, per discutere riguardo al contributo richiesto dalla S. Sede e alle 100 lire da mutuare a nome dell’intera Chiesa volterrana. I convenuti giurarono: «in omnibus et per omnia honores, consuetudines et iura ipsius domini episcopi et sui Episcopatus sint salva et salva et illibata permaneant suprascriptis et infrascriptis vel aliquo eorum nequaquam obstantibus». Lo Scolari aveva nel contempo disposto la «libbra ecclesiarum», ovvero la tassa sulle chiese, modulata secondo il patrimonio di ciascun ente, di cui avrebbero dovuto occuparsi i canonici Bertoldo e Iacopo. Dal Liber Iurium sappiamo che queste disposizioni fiscali erano raccolte in un registro a sé stante, il libro segnato dal Del Buono con la lettera S («quedam ordinatio et statutus cleri exempti et non exempti et maxime super electione priorum tempore domini Alberti episcopi Vulterrani a. D. 1265»: Liber Iurium, c. 24v). A oggi, purtroppo, di questo quaderno in carte bambacine sono riuscito a individuare un solo frammento, conservatosi in un registro miscellaneo della Notarile Nera, il n. 34; si tratta tuttavia di una fonte preziosissima per lo storico, in quanto immortala ogni luogo pio del vescovato, con l’attribuzione del rispettivo rettore. 57 La tregua di luglio in ASDV, Curia vescovile, Attività di governo, Notarile Rossa n. 1, c. 30r. La nomina dei due arbitri in ASFi, Dipl. Volterra, id. 17390 (RV, nn. 767 e 768). Ranieri del fu Manuello conte di Elci fu beneficiato da Alberto del feudo del terzo vescovile della giurisdizione su Gerfalco, comprensivo di «argenteria sive argentifodinis presentibus et futuris», eccetto ciò che veniva riservato «nostre curie» (cfr. ASDV, Curia, Attività di governo, Cancelleria, Notarile Rossa n. 1, c. 30r). 146 JACOPO PAGANELLI È in particolare il primo registro della Notarile Rossa a darci l’impressione di un’attività di Curia in spiritualibus quasi febbrile, portata avanti soprattutto da Bertoldo, con fitte vertenze che duravano anche molto tempo. Non saprei dire fino a che punto la guida dello Scolari seppe rispondere alle sollecitazioni rivolte alla sua Chiesa (che, nella seconda metà del Duecento, dovevano essere notevoli); certo è che Bertoldo, il quale possedeva una formazione da giurisperito dacché Alberto gli affidò il compito di auditore del Tribunale, diede prova di indole risoluta, come quando impose l’obbedienza all’abate di San Casciano di Carigi in Valdera, nell’aprile 1264, e ne confermò poco dopo l’elezione 58. L’ultimo atto pontificale degno di nota compiuto dallo Scolari furono le ordinazioni sacerdotali nella pieve di Casole del 22 maggio 1266. In quell’occasione il presule diffidò solennemente chiunque amministrasse sacramenti dal farlo senza la necessaria approvazione vescovile (che si concretizzava nel conferimento degli Ordini sacri). Lo stesso giorno, alla presenza dello stesso vescovo, Iacopo pievano di Montieri diede il consenso a compromettere nel pievano di S. Innocenza di Siena la questione pendente con Benno pievano di S. Antonino di Vignale, diocesi di Massa 59. 7. Uno sguardo sulla clique diocesana Occorre adesso spendere qualche parola sui collaboratori dello Scolari, e provare a gettare uno sguardo d’insieme su questa clique. Difatti, se da un lato è vero che il vescovo ne costituiva la punta apicale per consecratio, ordo e administratio (per riprendere le categorie rufiniane), dall’altro è parimenti vero che, in contesti ancora più ristretti di una corte regia, come in un entourage comitale o in una familia vescovile, i legami personali e di solidarietà fra i componenti dovevano essere ancor più significativi 60. Oltretutto, in una fattispecie in cui il «power» – come insegna Bisson – non poteva che essere «shared», e in cui, in altre parole, non si distingueva 58 Il giuramento d’obbedienza dell’abate di Carigi a Bertoldo in ASDV, Curia, Attività di governo, Notarile Rossa n. 1, c. 13r. Le ordinazioni sacerdotali in ivi, c. 18v. 59 Cfr. ivi, c. 18r e c. 18v. 60 Il sostantivo clique è molto caro all’amico e collega Paolo Tomei, che ringrazio per avermelo fatto conoscere. «ET FUIT DE SCOLARIBUS DE FLORENTIA». UN PROFILO DI ALBERTO VESCOVO DI VOLTERRA (1261-69) 147 ancora un officialis weberianamente connotato dalla mansione a cui era destinato, le inclinazioni peculiari di ciascun membro interagivano fra loro, creando un amalgama che si rifletteva sul governo delle cose e delle persone, e aveva ripercussioni di carattere politico. Ben si capisce dunque che l’analisi dell’operato di un presule non possa prescindere dalla caratterizzazione di coloro a cui egli si trovò a delegare quote di potere nell’ambito della sua Curia 61. Scorrendo attentamente i nomi di quei masnadieri che nel 1262 consegnarono l’arce di Montevoltraio al Comune di Volterra, si noterà che costoro provenivano da un medesimo ambito territoriale, il Fiorentino e il Fiesolano, con almeno tre di essi che erano originari del piviere di S. Giuliano di Settimo. L’ambito geografico di questi uomini è per lo storico una preziosissima cartina al tornasole, giacché la rete del reclutamento dei masnadieri riprende, ricalcandolo, il corso delle relazioni in cui il fiorentino Alberto Scolari era inserito 62. È così che cogliamo l’impronta dei conti di Gangalandi, discendenti degli Adimaringhi e particolarmente attivi nel piviere Signa, i quali, alla metà del secolo, annoveravano almeno un membro – Alberto di Corsino – nel Capitolo della cattedrale di Firenze. La loro influenza doveva concentrarsi soprattutto sulla chiesa di S. Martino dell’omonima località (Gangalandi) e nel finitimo piviere di Settimo. Fra S. Martino e la pieve di Signa (appannaggio della Canonica fiorentina) vi era stata una lite (1235), allorquando i canonici della cattedrale avevano lamentato l’usurpazione dei diritti del fonte battesimale 63. 61 Il riferimento è ovviamente a Th. BISSON, The Crisis of the Twelfth Century: Power, Lordship, and the Origins of European Government, Princeton 2009. Per una trattazione a tutto tondo sulle familie vescovili si veda M. C. ROSSI, Gli ‘uomini’ del vescovo: familiae vescovili a Verona (1259-1350), Venezia 2001. 62 San Romolo nel piviere di San Giuliano a Settimo, così come S. Martino in Palma e San Romolo. Panzano si trova presso Greve in Chianti in diocesi di Fiesole, così come Bibbiano. Nulla saprei dire riguardo a S. Andrea e Morbano. L’ultimo masnadiere veniva invece da Firenze. Per queste località cfr. E. REPETTI, Dizionario geografico fisico storico della Toscana: contenente la descrizione di tutti i luoghi del Granducato, Ducato di Lucca, Garfagnana e Lunigiana, Firenze 1833-45, ad vocem. 63 Alberto dei Gangalandi risulta canonico in ACFi, Dipl., n. 437. La controversia per i diritti pievani in ivi, n. 403. Sugli Adimaringhi cfr. il contributo di R. PESCAGLINI, Il castello di Pozzo di Santa Maria a Monte e i suoi ‘domini’ tra XI e XIV secolo, orig. In 148 JACOPO PAGANELLI Nel 1261, invece, dopo che un certo Bene aveva lasciato l’incarico, il cardinale Ottaviano Ubaldini nominò priore di S. Martino il chierico Ghibellino, figlio di Guidalotto conte di Gangalandi. Ma la presa di possesso del priorato fu tutt’altro che pacifica, dal momento che il pievano di S. Ippolito – che agiva su mandato del pontefice Alessandro IV – era stato costretto a ricorrere alle censure ecclesiastiche per far desistere gli oppositori di Ghibellino e permettergli di presiedere la canonica 64. Proprio Ghibellino fu uno dei più stretti collaboratori dello Scolari, attestato sempre al suo seguito. La prima menzione che si trova di lui è del dicembre 1261, a Berignone. Poi, almeno dal gennaio 1264, risulta parte del collegio capitolare di Volterra. Nel gennaio 1266 ritornò presso S. Martino, dove presenziò a una vendita in favore del monastero di S. Salvatore di Settimo. Nello stesso anno, Ghibellino dovette difendere i beni della propria canonica, nominando all’uopo tre cittadini fiorentini, dalle usurpazioni di un certo Tafuro, il quale, in occasione dei provvedimenti di riconciliazione promossi dai frati gaudenti Catalano e Loderengo, aveva ingiustamente reclamato beni pertinenti a S. Martino 65. Chi scorra gli atti riguardanti il presulato di Alberto rimarrà del resto colpito dalle numerose occorrenze di componenti della famiglia comitale Pozzo di Santa Maria a Monte: un castello del Valdarno lucchese nei secoli centrali del Medioevo, a c. di P. Morelli (Atti del convegno di Pozzo, 21 settembre 1997), S. Maria a Monte 1998, pp. 17-74; ora in EAD., Toscana Medievale. Pievi, signori, castelli, monasteri (secoli X-XIV), a c. di G. Garzella e L’ Carratori Scolaro, Pisa 2012, pp. 325-76, spec. pp. 333-4. RAVEGGI, nel volume Ghibellini, Guelfi e Popolo grasso, definisce assai icasticamente i Gangalandi «signori di terre e di uomini presso Signa» (n. 14 p. 32). 64 La vicenda è narrata dallo stesso pontefice in ACFi, Dipl., n. 473, dove Alessandro IV si rivolge a Torsello canonico della pieve di Signa per verificare se vi fossero le condizioni per la revoca delle censure ecclesiastiche dopo che gli avversari di Ghibellino non si erano presentati davanti all’incaricato papale, Uberto magister di Coquenatico. 65 La prima menzione di Ghibellino in ASSi, Conventi, n. 161, c. 314v; è sicuramente nel collegio canonicale in ASCV, S1 Nera, c., 103v; presso il chiostro di S. Martino di Gangalandi in ASFi, Dipl. S. Frediano in Cestello, id. 17120; l’ordinazione dei sindaci per tutelare i diritti della canonica davanti ai frati Catalano e Loderengo, «occasione cuiusdam bannimenti seu promulgationis factorum ab ipsis fratribus, scilicet quod quilibet rediret ad possessionem suam, fingens ad se idem dominus Rodulfus dictam possessionem spectare», in ASDV, Curia, Attività di governo, Cancelleria, Notarile Rossa n. 1, c. 26v. Per un quadro complessivo sulle vicende cfr. Ghibellini, guelfi e Popolo grasso, pp. 75-90. «ET FUIT DE SCOLARIBUS DE FLORENTIA». UN PROFILO DI ALBERTO VESCOVO DI VOLTERRA (1261-69) 149 di Gangalandi (nella clique vescovile individuiamo almeno Tondellino del fu Corso, Catello di Corrado, Lambresco di Guidalotto, Chianni, Pingello, Tecco). Tutti costoro ritroviamo, il 17 giugno 1266, in una solenne adunanza, che ricorda vagamente un placito, nella quale Tondellino, «dum esset in servitio domini episcopi» insieme ai suoi congiunti, fece attestare dal maniscalco del vescovo, Riccardino di Mugello, che il cavallo che adoperava era affetto da una patologia della zampa, e dunque non poteva essere condotto a Firenze «pro bando misso nuper Florentie super equis assignandis». È del resto questa una circostanza leggibile a più livelli: è chiaro come i comites di Gangalandi avessero individuato nel servitium episcopi non solo un fattore nobilitante, ma anche di opportunità, sia in quanto rispondente all’“attitudine al comando” che comunemente si riconosce ai ceti aristocratici (Chianni fu ad esempio podestà del di Montecastelli nel 1265), sia perché vettore di successo individuale (Pingello fu il vicario generale in temporalibus di Alberto, il suo “primo ministro”); il tutto era consentaneo ai legami che dovevano certamente unire la schiatta degli Scolari a quella dei Gangalandi. È proprio sotto questa luce che proporrei di leggere la ricordata quietanza di pagamento che Alberto rilasciò al Comune di Volterra «pro se et amicis et de domo de Scolaribus»: formulata a nome suo e del Vescovato, degli alleati e dei familiari della domus Scolariorum 66. Giova altresì notare che i Gangalandi – a differenza degli Scolari – ebbero ai Consigli comunali fiorentini una partecipazione bassa, non tanto per la loro riluttanza «a mischiarsi con il più recente “patriziato” comunale», come riteneva Raveggi, ma in ragione del canale alternativo (l’affer66 La solenne adunanza presso la pieve di Casole in ASDV, Curia vescovile, Attività di governo, Cancelleria, Notarile Rossa n. 1, c. 27r. Chianni è rettore per il presule a Montecastelli in ASFi, Dipl. Volterra, id. 17229 (4/9/1265), dopo aver ricoperto, nel 1260, la carica di consigliere a Firenze (cfr. Ghibellini, Guelfi e Popolo Grasso, n. 14 p. 32); Pingello è vicario generale dello Scolari in ASDV, Dipl., n. 512. Fratello di Catello era Lapo, contro cui il vicario del vescovo di Firenze implorò l’aiuto del braccio secolare perché costui aveva commesso dei crimini contro la chiesa di S. Martino in Palma, sottoposta a S. Salvatore di Settimo (cfr. ASFi, Dipl. S. Frediano in Cestello, id. 17371, 28/6/ 1266). Occorrerebbe riflettere ulteriormente sul fatto che il Comune di Firenze riconoscesse come valido e provante (o così si sperava) il certificato prodotto dal maniscalco del vescovo, tributando a quest’ultimo il riconoscimento della publica fides. 150 JACOPO PAGANELLI mazione in un contesto signorile invece che cittadino/comunale) che avevano imboccato (a ulteriore riprova del fatto che l’”egemonia culturale” del mondo dei Comuni era tutt’altro che scontata). Ma il riferimento al servitium episcopi, che ci riporta ai grandi ecclesiastici del seguito dei Carolingi studiati da Prinz, veicola nuovamente l’idea dell’auctoritas arcaizzante con cui Alberto ammantava il proprio potere. Di quest’alta concezione abbiamo riscontro nell’instaurazione, ad esempio, non solo della figura del maniscalco, ma anche di quella del siniscalco (un certo Gherardino), e dei numerosi riferimenti a quella del camerario, ruolo assunto da Bencivenni pievano di Villamagna 67. L’altro uomo forte dell’episcopato di Alberto fu sicuramente Bertoldo, canonico volterrano attestato dall’inchiesta promossa dal podestà cittadino Agolante nel 1249. Nel novembre 1261 ricevette dallo Scolari l’incarico di eleggere il podestà di Montieri, mentre, nel dicembre, risulta «auditor causarum» del Tribunale vescovile. Dopo lo troviamo insignito dell’Ordine diaconale (benché non sappiamo quando gli sia stato conferito), e, a partire dal novembre 1264, come vicario generale del vescovo. Nel giugno 1266 era a Siena, per conto dello Scolari, a dissuadere i Senesi dall’intraprendere iniziative a Montieri a danno del Vescovato (al centro del contendere doveva esserci la faccenda del ricorso giudiziario in appello, facoltà che – 67 Il siniscalco Gherardino in BGV, ms. 8494, III, c. 46r (27/2/1262); ASDV, Curia, Attività di governo, Cancelleria, Notarile Rossa n. 1, c. 17r (20/5/1266); ivi, Mensa n. 14 (Liber possessionum Paurani, Menzani et Montisalcinelli), c. 79r (agosto 1266). Proprio in quest’ultima occasione Bencivenni, il noto pievano di Villamagna, compare con la qualifica di camerario dello Scolari, veste nella quale effettuò una generale ricognizione delle prestazioni degli abitanti di Montalcinello al Vescovato. Il camerario aveva in carico la supervisione sui gastaldi, come si vede bene nella ragione effettuata proprio a Bencivenni da Leonardo del fu Paganello da Montecastelli, gastaldo vescovile in quel castello (cfr. ASDV, Curia, Attività di governo, Cancelleria, Notarile Rossa n. 1, c. 33r), allorquando gli si presentò con l’intento di «puram, veram et integram reddere rationem administrationis et gestionis seu castaldarie ei cui dominus episcopus mandaverit eam reddi tam de intratibus quam de expensis et de aliis et pro omni excessu commisso ab eo». Poiché i conti però non tornavano, Alberto in persona – come rivela l’annotazione laterale – chiuse la vertenza con il gastaldo infedele facendosi consegnare 50 lire aggiuntive. La citazione in Ghibellini, Guelfi e Popolo Grasso, p. 33. Raveggi ricorda come, nel 1260, gli Scolari annoverassero fra i membri del Consiglio fiorentino Brancaleone, Sinibaldo di Filippo e Bernardo; nel 1262 Sinibaldo, Bernardo e Cecco; nel 1266 Bernardo e Biancardo di Sinibaldo (ivi, n. 16 p. 34). «ET FUIT DE SCOLARIBUS DE FLORENTIA». UN PROFILO DI ALBERTO VESCOVO DI VOLTERRA (1261-69) 151 evidentemente – taluni abitanti di Montieri esercitavano presso i magistrati senesi e non presso il vescovo). Nell’aprile 1269, Bertoldo si allontanò da Volterra «quia timebat de persona propter capitales inimicitias quas asserebat habere in civitate Vulterrana», e raggiunse Ghibellino dei Gangalandi nell’arce di Berignone per eleggere un nuovo vescovo 68. Guardando a volo d’uccello i dati raccolti, anche il vescovo trovava indubbiamente un vantaggio in quegli stessi rapporti di solidarietà, tanto con i conti di Gangalandi, che aveva accolto nel suo seguito, quanto con i propri consanguinei, i quali, negli stessi anni, ricoprivano incarichi politici di primo piano a Firenze. In un momento in cui la pars ghibellina, dopo Montaperti, si trovava a essere la favorita in Tuscia, il legame a doppio filo con personaggi come i Gangalandi, allacciato sulla falsariga di solidarietà familiari, consortili e di pars, poteva senz’altro avvantaggiare Alberto sia nei suoi rapporti con Firenze che nell’interfaccia cogli altri Comuni a reggimento ghibellino. L’impressione è rinfrancata ancora una volta dai dati offerti dal Liber Iurium (c. 9r), e in ispecie dal saccolo F, che conteneva «quedam compositiones inter episcopum Vulterranum et Comune Florentinum et Comune Senense». In questa sacca erano depositate, in sostanza, le pergamene che davano conto delle relazioni diplomatiche della Sede volterrana coi Comuni di Siena e Firenze. Ebbene, essa annoverava anche, da un lato, «duo 68 L’inchiesta sui beni del Capitolo la leggo dalla trascrizione di T. CALLAI, Indice generale delle materie, III, pp. 514-25 (ms. presso l’ACV). Alberto affida a Bertoldo l’elezione del podestà di Montieri in BGV, ms. 8494, III, c. 41v. L’incarico di «auditor causarum» in ivi, c. 41v; è indicato come diacono in ASCV, S1 Nera, c. 103v, mentre è vicario generale in ASSi, Conventi n. 161, c. 340r. Porcello del fu Bonsignore comunica ai Montierini che Bertoldo è andato a Siena in ASDV, Curia, Attività di governo, Cancelleria, Notarile Rossa n. 1, c. 24v. Siamo altresì informati del fatto che i magistrati montierini non avevano corrisposto tutta la quota delle condanne, come dimostra il precetto fatto da Bertoldo al notaio Ranuccio «ut cotidie et continue sine intermissione intendat ad recolligendum et cum effectu recolligat omnes condempnationes non solutas factas hoc anno per Minum de Sancto Polo potestate Monterii» (cfr. ivi, c. 39v). La protesta dello stesso Bertoldo a causa delle inimicizie capitali in BGV, ms. 5672, II, c. 1v. Alla fine del 1271, Bertoldo esercitava l’incarico di vicario del vescovo di Verona, come si evince da Arch. di Stato di Venezia, Dipl. Bologna – S. Zaccaria, n. 15 (30/12/1271). Il riferimento a F. PRINZ è ovviamente al suo Clero e guerra nell’alto medioevo, Torino 1994 (ed. orig. Stuttgart 1971). 152 JACOPO PAGANELLI procuria partis ghibellinorum Florentinorum ad componendum amicitiam et societatem cum episcopo Vulterrano»; e, dall’altro, l’«instrumentum amicitie et societatis inter eos seu procuratores eorum procuratorio nomine que de mcclx» 69. Non è tuttavia da ritenere che questi legami con elementi notabiliores della pars ghibellina fossero stipulati in via esclusiva. Prova ne sia l’elezione in podestà di Montecastelli di Foligno degli Adimari, schiatta “guelfissima” (18 agosto 1267), nomina seguita alla restaurazione del potere guelfo a Firenze nell’aprile 1267, e dal Consiglio di quella città approvata, durante l’assedio di Poggibonsi, il 20 agosto. Foligno, definito “consanguineo” del vescovo (forse a causa dei matrimoni fra casate guelfe e ghibelline stipulati fra il novembre ‘66 e l’aprile ‘67), fu eletto anche in podestà di Casole direttamente da Alberto nel gennaio 1268 70. Il peso delle personalità di ascendente ghibellino all’interno della clique vescovile rimase comunque notevole, conducendo la Chiesa volterrana, all’indomani della morte dello Scolari, all’impasse di un Capitolo scisso in due fazioni 71. 69 Cfr. anche in Forschungen, IV, p. 165. Gli atti rispettivamente in ASFi, Dipl. Volterra, id. 17578 e 17579; Forschungen, II, n. 1013.Il 14/11/1269 Goccia, figlio del defunto Foligno Adimari, nominò un procuratore per riscuotere parte delle 100 lire volterrane che restavano del salario della podesteria di 16 mesi e 13 giorni esercitata dal padre a Montecastelli (cfr. ASFi, Dipl. Volterra, id. 17959). 71 I Gangalandi, all’indomani della morte di Alberto, controllavano infatti l’arce di Berignone, come si evince da una lettera che i canonici rimasti a Volterra per celebrare l’elezione del vescovo scrissero agli “scissionisti”: «coram domino Gibellino de comitibus de Gangalandi canonico Vulterrano, qui arcem de Berignone Vulterrani Episcopatus quam tenent, pro ut dicitur, intendit Comuni Vulterrano reddere». (cfr. BGV, ms. 5672, II, c. 28v, ottobre 1269). Delle turbinose vicende legate alla successione di Alberto Scolari mi riprometto di parlare uno studio specifico. Nel 1271 la prebenda di Ghibellino era amministrata dal canonico Guglielmo (cfr. ACV, Libro di Sede vacante II, c. 140v). Sappiamo che nell’aprile 1274 Ghibellino si trovava significativamente a Pisa, nello stesso periodo in cui vi albergavano gli esuli ghibellini provenienti da Firenze (cfr. ASFi, Dipl Acquisto Caprini, id. 18517, 7/7/1272), da dove fece quietanza al canonico Enrico dei frutti della sua prebenda (cfr. ACV, Dipl., n. 266). I Gangalandi, nello specifico, avevano preso in quegli anni residenza nel quartiere di Kinzica: cfr. A. D’ADDARIO, Gangalandi, di, in Enciclopedia Dantesca, 1970, on-line all’indirizzo www.treccani.it/enciclopedia/ di-gangalandi_(Enciclopedia-Dantesca). 70 «ET FUIT DE SCOLARIBUS DE FLORENTIA». UN PROFILO DI ALBERTO VESCOVO DI VOLTERRA (1261-69) 153 8. Epilogo Le notizie riguardo alla morte dello Scolari giungono tutte ex post, e non abbiamo indicazioni – come invece le possediamo per Ranieri III, ad esempio, colpito dall’infermità durante il suo soggiorno a Firenze – dell’approssimarsi della dipartita del presule. Sappiamo tuttavia che morì a Berignone, e che fu seppellito presso il duomo, come si evince dalla confessione di pagamento che un mugnaio rilasciò al Capitolo della cattedrale per 6 lire e 5 soldi, «ex quodam stantiamento anzianorum Vulterrane civitatis pro recatura domini Alberti, Dei gratia Vulterrani episcopi, quem ipse cum quibusdam suis sociis reduxerunt de Berignone ad sepelliendum ad ecclesiam Vulterranam» 72. L’indicazione della data della morte – metà marzo 1269 – la fornisce invece la già citata risposta dell’arciprete Iacopo al podestà tudertino (1271): «recolende memorie dominus Albertus Dei gratia episcopus Vulterranus, ante quam extremum diem clauderet, quod fuit de proximo futuro mense, mense martii circa medium erunt duo anni expleti, privilegia concessa predecessoribus suis et Ecclesie Vulterrane a Romanis quondam divis principibus aureis bullis bullata apud monasterium Sancti Galgani cisterciensis Ordinis, Vulterrane diocesis, deposuit conservanda» 73. Prima di tornare a Berignone, Alberto aveva portato i privilegi della sua Sede a San Galgano, e colà dettò anche il proprio testamento. Il 16 maggio 1272, i cardinali diaconi Ottobono Fieschi e Uberto, rispettivamente di S. Adriano e S. Eustachio, scrissero al Capitolo volterrano, riportando una lettera che avevano inviato proprio al cenobio di San Galgano: «bone memorie Vulterranus episcopus penes vos in monasterio vestro dum vixerit quamdam argenti quantitatem in quibusdam vasis argenteis disposuit in ultima sua voluntate sub certa forma suis nepotibus exhibendam, super hoc quibusdam executoribus deputatis, pro ut in testamento ab episcopo ipso condito super hoc dicitur contineri» 74. 72 Cfr. BGV, ms. 8494, II, c. 15v (ed. parz. in F. GIACHI, Saggio di ricerche sopra lo stato antico e moderno di Volterra, Firenze 1786, p. 57). 73 Cfr. ACV, Libro di Sede vacante II, c. 113v. 74 Cfr. ivi, c. 194r. 154 JACOPO PAGANELLI Ma l’argento che Alberto aveva lasciato ai nipoti presso San Galgano era stato condotto a Volterra dai canonici. Così, dopo l’intervento di Ottobono e Uberto, i membri del Capitolo furono costretti a rispondere ai due porporati che, «licet vellent quod ipsum argentum remaneret et esset dicti Episcopatus, ipsum mictant ad presentiam dictorum dominorum cardinalium». 9. Appendice documentaria 1. Archivio Storico Diocesano di Volterra, Cancelleria, Attività di governo, Notarile Rossa n. 1. Registro cartaceo (cm 32 x 27; 84cc). 1266, giugno 17; c. 27r. Pateat publice quod, cum Tondellinus olim domini Corsi, comes de Gangalandi, esset in servitiovenerabilis / patris domini Alberti Dei gratia Vulterrani episcopi cum quodam equo pili varii bruni habente quamdam a stellam pilorum / alborum in fronte et balzano in pede sinistro posteriori, quem dicebat se tenere cum aliis de sua / domo ex imposita Comunis Florentie, et ipsum esse scriptum in Comuni Florentie per illos de domo sua, videlicet / pro se et domino Piggello fratre suo, domino Chianni, domino Tecco et Catello comitibus de Gangalandi, / ipsumque vellet mictere Florentiam ad assignandum b ipsi Comuni vel illis qui ad hoc essent positi / ab ipso Comuni pro bando misso nuper Florentie super equis assignandis, inveniens ipsum equm in pede anteriori / dextro infirmum, scilicet habentem ungulam scassam et coronam ipsius pedis chiasmatam, et producens equm / ipsum in presentia venerabilis patris domini Alberti Dei gratia Vulterrani episcopi coram me notario et testibus infrascriptis, / quesivit a Riccardino olim Ubertini de Burgo Sancti Laurentii de Musello si equm illum posset / Florentiam mictere sine ipsius equi periculo et amissione pedis predicti. Qui mariscalcus dicti domini episcopi Riccardinus predictus c, in presentia dicti domini / episcopi constitutus, videns equm predictum, et maganeam a Habente aggiunto nell’interlinea superiore: la redazione iniziale del testo doveva esserequindi cum quadam stella pilorum. b Segue ipsum equm espunto. c Dicti domini episcopi Riccardinus predictus in interlinea superiore. «ET FUIT DE SCOLARIBUS DE FLORENTIA». UN PROFILO DI ALBERTO VESCOVO DI VOLTERRA (1261-69) 155 suprascriptam dicti pedis et corone respiciens atque tan/gens, iuravit ad sancta Dei Evangelia, corporaliter tacto libro, quod predictus equs taliter erat infirmus / in infirmitate dicti pedis et corone quod Florentiam nequiret accedere sine periculo magno equi dicti / et amissione totali pedis predicti. Propter quod ipse Tondellinus dictum equm distulit mictere Florentiam ad resignanduma d , non ut / bandum in contentum haberet sed ut casum equi verteret predictum. / Actum Casulis in claustro plebis coram domino Bertuldo canonico Vulterrano, domino Bencivenne plebano / de Villamagna, Mastinello quondam Gerardi et aliis pluribus testibus presentibus et / audientibus equi maganeam / prelibati. Anno Domini mccxlvi, indictione viiii, die xvii Iunii e. 2. Arch. di Stato di Firenze, Dipl. Comune di Volterra. 1268, dicembre 29; id. 17788. Rotolo membranaceo (cm 36 x 15). A tergo, capovolto, di mano successiva: carte domini Malpilli. Ex precepto nobilis et sapientis viri domini Bonifatii de Trevalli domus Pan/nocchiensium, Dei et regia gratia potestas Vulterrani Comunis, congregatum est / Consilium generale et anzianorum Populi dicte terre super palatio Comunis Vulterrani / more solito ad sonum campane voceque preconia. In quo quidem / Consilio predictus dominus potestas proposuit et consilium postulavit super / relaxatione domini Piggelli Vulterrani Comunis carcerati ad petitionem / domini a Mapligli et domini Gherardi de Montaione, petentium / fieri discambium domini Piggelli pro domino Arrigo Mapligli de / Sancto Miniato capto in civitate Pisarum. / In reformatione cuius consilii facto partito per predictum dominum potestatem placuit / toti consilio nemine discordante, et per eos fuit concorditer stantiatum / et reformatum, quod si dominus episcopus Vulterranus vel ali(us) potest procurare / et procuraverit ita quod dominus Arrigus Malpiglii, qui est captus d Florentiam ad resignandum in interlinea superiore. Segue un et espunto con linea orizzontale. Sotto, in un lacerto – poi espunto – di testo originariamente legato al corpo superiore con un richiamo, si legge: qui est mariscalcus dicti domini episcopi. a Segue Arrighi espunto con linea orizzontale. e in civi/tate Pisana, relaxetur a carceribus; item quod omnia stanziata et / firmata per Anzianos et adiuntam super petitione facienda a domino / <episcopo> pro domimo Piggello liberando, silicet super facto Ripamarrancie, / super facto Gabreti, super remis(s)ione penarum, super redditibus terzie / partis monete, sicud apparet scriptura facta per Lotteringum notarium / anzianorum Populi Vulterrani, promittat, det et concordet ipse dominus episcopus / pro se et Episcopatu Vulterrano Comuni sive eius sindico. Quibus factis / celebratis atque completis, fiat relaxatio domini Piggelli et / liberetur a carceribus Vulterrani Comunis sine ullo alio stanziamento / Consilii generalis vel specialis. Que omnia predicta teneatur / dominus Bonifatius, nunc potestas Vulterrani Comunis, iusta posse exsecutioni / mandare; et, si hoc facere non potuerit suo tempore, teneatur dominus Bonacursus potestas novus exsecutioni mandare et predictis / factis et completis dominum Piggellum a carceribus Vulterrani Comunis / liberare. / Actum super palatio Vulterrani Comunis anno Domini millesimo ducentesimo / sexagesimo octavo, indictione duodecima, die Veneris, / tertio exeunte mensis Decembris, presentibus testibus Baschiera ban/nitore Vulterrani Comunis, et Orlando nuntio et aliis. / (SN) Ego Uguiccione Ruggerocti, notario / publico et tunc predicti Comunis et potestatis notario / existente, predicta omnia de mandato / predictorum potestatis et consiliarorum publicavi, / scripsi, rogavi ideoque subscripsi.