gi u r ispru de nz a
di m e r i to
direttore scientifico Ciro Riviezzo
06-2010
XLII — giugno 2010, n° 06
| e s t rat t o
FASE PRESIDENZIALE NEL GIUDIZIO DI
SEPARAZIONE GIUDIZIALE: LA QUESTIONE
SULLA COMPETENZA TERRITORIALE ED I
POTERI PRESIDENZIALI
di Pietro Proto
giurisprudenza civile
SEPARAZIONE DEI CONIUGI
207 CRITERIO PRIORITARIO
DI DETERMINAZIONE
DELLA COMPETENZA
PER TERRITORIO: LUOGO DELL’ULTIMA
RESIDENZA COMUNE DEI CONIUGI
TRIBUNALE DI VIBO VALENTIA - 2 MARZO 2010 (ORD.) - PRES. EST. LUCISANO
Competenza civile - Competenza per territorio - Foro generale - Luogo di residenza del
convenuto - Determinazione.
(c.p.c. art. 706)
La competenza territoriale è determinata in via prioritaria dal luogo di residenza del convenuto ex art.
706 c.p.c.
L’Avv. … preliminarmente insiste nella richiesta di dichiarazione di incompetenza territoriale già
sollevata con la comparsa di costituzione, chiedendo la trasmissione al Tribunale di Locri, competente per territorio.
L’Avv. … si oppone alla sollevata eccezione di incompetenza e ai richiesti provvedimenti
presidenziali provvisori. Deposita memoria di udienza da considerarsi parte integrante del presente verbale.
Il Presidente, preso atto che, ai sensi dell’art. 706 c.p.c. la competenza territoriale è determinata in via prioritaria dal luogo di residenza del convenuto, e che la Sig.ra S. risulta pacificamente
residente in … comune ricadente nel circondario del Tribunale di Locri.
P.Q.M. - dichiara l’incompetenza per territorio del tribunale di Vibo Valentia essendo competente il Tribunale di Locri innanzi al quale il ricorrente dovrà riassumere la causa entro i termini
massimi fissati dal codice di rito.
FASE PRESIDENZIALE NEL GIUDIZIO DI SEPARAZIONE
GIUDIZIALE: LA QUESTIONE SULLA COMPETENZA
TERRITORIALE ED I POTERI PRESIDENZIALI
L’Autore, muovendo da un’ordinanza del presidente del Tribunale di Vibo Valentia che in una
separazione giudiziale, ritenendo prioritario il luogo di residenza del coniuge convenuto, ha
dichiarato l’incompetenza territoriale del medesimo tribunale senza esperire il tentativo obbligatorio di conciliazione tra i coniugi e senza emettere i provvedimenti temporanei ed urgenti,
analizza la soluzione processuale adottata attraverso una lettura ermeneutica costituzionalmente
orientata delle norme ex artt. 706 ss. c.p.c. e 189 disp. att. c.p.c.
giurisprudenza di merito – n. 6 – 2010
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giurisprudenza civile
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SEPARAZIONE DEI CONIUGI
Sommario 1. Premessa. — 2. Rilievi preliminari. — 3. Caratteristiche del giudizio di separazione
giudiziale e della fase presidenziale in particolare. — 4. La questione sulla competenza e i provvedimenti presidenziali: la soluzione adottata. — 5. La ipotetica facoltà del presidente di emettere
provvedimenti sulla competenza. — 6. I rimedi. — 7. Il criterio prioritario per determinare la competenza territoriale.
1. PREMESSA
L’ordinanza presidenziale in epigrafe — prescindendo per il momento dalla sua conPietro Proto divisibilità o meno — offre interessanti spunti di riflessione in relazione ad alcune
problematiche inerenti alla natura e al carattere contenzioso o meno della fase presidenziale, ai poteri e alla tipologia dei provvedimenti presidenziali, nonché a qualche
rilievo sulla locuzione di «luogo dell’ultima residenza comune dei coniugi», quale
criterio prioritario di determinazione della competenza per territorio di cui all’art. 706
c.p.c. come novellato dalla l. 14 maggio 2005, n. 80.
La norma appena mentovata, disponendo in maniera del tutto contraria all’ordinanza, recita che la domanda si propone al tribunale del luogo dell’ultima residenza
comune dei coniugi e in mancanza nel luogo di residenza o di domicilio del coniuge
convenuto.
Tuttavia, non è il merito della decisione sulla competenza territoriale che interessa
anche perché non si hanno sufficienti elementi per stabilire se la indicazione del luogo
di residenza o di domicilio del convenuto quale criterio prioritario della competenza
per territorio sia ascrivibile ad un errore solo formale o lessicale o piuttosto ad un
errore di natura sostanziale.
Quel che qui interessa, invece, è soprattutto la soluzione processuale adottata dalla
pronuncia in esame che, a sua volta, induce ad affrontare il problema dei poteri
presidenziali e delle parti in ordine a siffatta eccezione circa il momento della sua
rilevazione ed i correlativi provvedimenti che possono emettersi.
di
2. RILIEVI PRELIMINARI
L’approccio al tema che si andrà a trattare non può prescindere da alcune considerazioni propedeutiche. Esse riguardano il coacervo dei valori che ruotano attorno all’istituto famigliare, alla tipologia degli interessi in gioco e alla contrapposizione tra la
gestione di tali interessi e i diritti e gli status, pronti ad emergere nella loro massima
tensione ed estensione nel procedimento di separazione prima ed in quello di divorzio
poi.
La contrapposizione tra gestione di interessi e diritti e status deve trovare adeguata
composizione nella funzione giurisdizionale sebbene, secondo una condivisibile dottrina, la soluzione prospettata dalla giurisprudenza nel distinguo tra giurisdizione
volontaria per quanto attiene la gestione degli interessi e la giurisdizione contenziosa
per quanto afferisce ai diritti e agli status non possa ritenersi ottimale, né esaustiva (1).
Nell’ambito dell’assetto valoriale della famiglia si intrecciano gestione di interessi e
conflitti tra diritti e status parentali non sempre disgiunti tra di loro e non sempre
facilmente distinguibili e separabili.
(1)
A. PROTO PISANI, Usi e abusi della della procedura camerale ex art. 737 ss. c.p.c., in I procedi-
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menti in camera di consiglio, Saggio introduttivo,
Torino, 1994, 21.
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Né può revocarsi in dubbio che situazioni comunemente reputate di interesse —
come ad esempio l’affidamento del minore — possano sottendere o costituire situazioni giuridiche soggettive sia in capo ai genitori che in capo allo stesso minore avendo
entrambe le parti un «diritto al giusto affidamento», inteso come «affidamento ottimale» o «miglior affidamento possibile», che a sua volta si sostanzia nell’assicurare al
medesimo minore per quanto auspicabile una condizione di stabilità esistenziale,
emotiva e psicologica ed uno sviluppo equilibrato ed armonico (2).
È nell’ambito di tale complessità di situazioni che — quando interviene la rottura
dell’assetto degli interessi nel quadro del consorzio famigliare — il sistema processuale
è chiamato a svolgere funzione di mediazione attraverso il tentativo di conciliazione da
parte del presidente del tribunale da un lato e di composizione dei conflitti dall’altro
con l’adozione anche d’ufficio dei provvedimenti urgenti prima ed il giudizio a cognizione piena poi.
È questo lo spirito o se si preferisce la ratio che deve guidare ed informare tutta la
presente riflessione irradiando il sistema normativo processuale — forse a torto ritenuto arido e freddo — del calore proveniente dall’istituto sostanziale perché è al valore
famiglia nel suo complesso che guarda l’ordinamento esprimendosi anche attraverso
la predisposizione di un rito speciale per la composizione dei conflitti domestici sia per
quanto riguarda il momento della intollerabilità della convivenza, sia per quanto riguarda la cessazione del nucleo famigliare.
3. CARATTERISTICHE DEL GIUDIZIO DI SEPARAZIONE
GIUDIZIALE E DELLA FASE PRESIDENZIALE IN PARTICOLARE
La competenza del tribunale in tema di separazione personale dei coniugi è inderogabile ex art. 28 in relazione all’art. 70, n. 2, c.p.c. — essendo obbligatorio l’intervento del
P.M. — e la decisione è riservata al collegio ex art. 50-bis, n. 1, c.p.c. in relazione allo
stesso art. 70 c.p.c.
L’azione e la legittimazione spettano ad entrambi i coniugi e sono strettamente
personali ed intrasmissibili (3).
Tralasciando per un attimo la competenza territoriale, il procedimento per sepa(2)
L’Art. 155 c.c., come novellato dalla l. 8 febbraio 2006, n. 54, ha sostituito l’affidamento esclusivo come modalità quasi prioritaria, con l’affidamento
condiviso. Quest’ultimo, se non si vuole che resti una
bella quanto nebulosa formulazione lessicale cara a
psicopedagoghi, ma di difficile realizzazione pratica,
deve costituire, nel giudizio di separazione, più che
un punto di partenza un traguardo della funzione di
mediazione della crisi famigliare che inizia proprio
con la fase presidenziale del tentativo di conciliazione e con i conseguenti provvedimenti temporanei ed
urgenti. L’affidamento condiviso oltre a significare
condivisione di responsabilità da parte di entrambi i
coniugi che sembra affermazione fin troppo ovvia e
che comunque dovrebbe esser tale anche in caso di
affidamento esclusivo deve voler significare — nell’ottica di realizzare il diritto del minore di mantene-
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re un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori e di avere rapporti significativi con
ascendenti e parenti di ciascun ramo genitoriale come vuole il primo comma dell’art. 155 c.c. — condivisione esistenziale, nel senso di compresenza dei
genitori in ogni momento dell’esistenza del figlio
convivendo e condividondo con questi ansie, paure,
gioie e quant’altro è sinonimo di crescita e di sviluppo della sua personalità. In relazione ai profili sostanziali dell’istituto v.: SESTA, Le nuove norme sull’affidamento condiviso: a) profili sostanziali, in
Fam. e dir., 2006, p. 380; GIACOBBE, Affidamento condiviso dei figli nella separazione e nel divorzio, in
Dir. fam., 2006, 710; DE FILIPPIS, Affidamento condiviso dei figli nella separazione e nel divorzio, Padova, 2007.
(3)
I coniugi devono comparire all’udienza per-
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razione giudiziale è caratterizzato da una plurifasicità: inizia con la comparizione
davanti al presidente del tribunale e poi, con la nomina da parte di questi del giudice
istruttore, continua secondo le regole del processo a cognizione piena e termina con la
fase decisoria davanti al collegio (4).
Dalla natura contenziosa o meno della fase presidenziale la dottrina fa dipendere la
soluzione del problema in ordine ai poteri presidenziali ed ai correlativi provvedimenti
che si possono adottare di fronte ad una eccezione di incompetenza per territorio
sollevata in detta fase (5).
La distinzione assume rilievo nel senso che, se la fase presidenziale è autonoma
rispetto a quella successiva contenziosa, si potrebbe ipotizzare una pronuncia di incompetenza da parte dello stesso presidente ponendo termine alla relativa fase e con
essa all’intero procedimento, se, invece, si ritiene che abbia natura contenziosa e
quindi priva di autonomia, dovrebbe rimettere le parti davanti al giudice istruttore per
i provvedimenti di cui agli artt. 187 e 189 c.p.c. (6).
Un autorevole Autore ha sostenuto che allorquando la domanda è proposta davanti
sonalmente salvo, aggiungerei «gravi e comprovati
motivi» legittimanti l’impedimento, con la precisazione che, ai sensi dell’art. 707 c.p.c., se il ricorrente
non si presenta la domanda non ha effetto, a meno
che il coniuge convenuto non chieda che si proceda
ugualmente, mentre se, quest’ultimo, non si presenta il presidente può fissare una nuova udienza ordinando la rinnovazione della notificazione del ricorso
e del decreto. La presenza personale dei coniugi è
necessaria, nel senso che non è ammessa rappresentanza. Solo la presenza personale dei coniugi, infatti, può consentire al presidente di promuovere il
tentativo di conciliazione e in caso di esito negativo,
attraverso la loro audizione, di raccogliere gli elementi indispensabili per calibrare meglio i provvedimenti temporanei ed urgenti nell’interesse della
prole e dei coniugi medesimi.
(4)
Dottrina e giurisprudenza sono soliti parlare
di bifasicità del procedimento di separazione individuando una fase presidenziale ed una di merito a
cognizione piena. V. LUISO, Lezioni di diritto processuale civile, IV, Milano, 2000, 254; JANNUZZI, Manuale
della volontaria giurisdizione, Milano, 1995, 860 ss.;
A. PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile,
Napoli, 1999, 824 ss. Sicuramente di due fasi consta
la separazione consensuale.
(5)
Per una parte di essa la fase presidenziale
avrebbe natura di volontaria giurisdizione mentre
per altra sarebbe una fase procedimentale sommaria
ma contenziosa. A mio parare tale fase è sicuramente contenziosa sia perché il tentativo di conciliazione
già di per sé implica la funzione di mediazione di un
conflitto e la contrapposizione di interessi, sia perché
all’udienza presidenziale i coniugi devono comparire con l’assistenza del difensore che mi sembra essere necessaria. In ogni caso, la competenza presidenziale — costituendo la relativa fase procedimen-
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tale il momento introduttivo del giudizio di separazione — è derivata dalla competenza attribuita ratione materiae al tribunale al quale appartiene. Tale
competenza derivata, a sua volta, ha indotto parte
della dottrina e della giurisprudenza ad interrogarsi
se i provvedimenti emessi dal presidente siano frutto
di una competenza propria o delegata dal collegio. La
prima tesi sarebbe conseguenza del carattere di
giurisdizione volontaria della fase presidenziale; la
seconda del carattere contenzioso. Nel senso di attribuire alla fase presidenziale natura di volontaria
giurisdizione: CIPRIANI, Dalla separazione al divorzio, Napoli, 1971, 51 ss.; FAZZALARI, Istituzioni di diritto processuale, Padova, 1996, 563; JANNUZZI, Manuale della volontaria giurisdizione, Milano, 1995, p.
862. Per la natura contenziosa: FALZEA, La separazione personale, Milano, 1943, 57; SCARDULLA, Il procedimento di separazione dei coniugi e di divorzio,
Milano 2008, 760 ss.; MONTELEONE, Diritto processuale civile, Padova, 2002, 1249; TOMMASEO, La disciplina
processuale del divorzio, in AA.VV., Lo scioglimento
del matrimonio, in Commentario c.c. diretto da
Schlesinger, Milano, 1997, 252 ss. Totalmente di volontaria giurisdizione è invece il procedimento di separazione consensuale che in comune con quello
giudiziale ha la fase presidenziale del tentativo obbligatorio di conciliazione. MANDRIOLI, Il procedimento di separazione consensuale, Torino, 1962,
190; VISCO, I provvedimenti di giurisdizione volontaria, Milano, 1961, 309.
(6)
SCARDULLA, Il procedimento di separazione
dei coniugi e di divorzio, Milano 2008, 760 ss.; BIANCHI D’ESPINOSA, Nota a Trib. Trani 17 aprile 1961, in
Giust. civ., 1961, I, 2178; dello stesso Autore v. anche:
Regolamento di giurisdizione e Regolamento di
competenza nei procedimenti cautelari e nei procedimenti di giurisdizione volontaria, in Giur. it. 1961,
I, 1, 820.
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ad un tribunale incompetente, il presidente deve rilevarlo anche d’ufficio ed astenersi
dall’emettere i provvedimenti temporanei ed urgenti di cui all’art. 708 c.p.c. in quanto
essendo la competenza del presidente derivata da quella del tribunale di cui fa parte
non ci può essere la prima se manca la seconda (7).
Alla questione sulla possibilità o meno di una pronuncia di incompetenza da parte
del presidente si aggiunge quella sull’adozione o meno dei provvedimenti temporanei
ed urgenti in caso di rilevata incompetenza (8).
Il che costituisce il nucleo fondamentale di tutta la problematica sollevata dall’ordinanza in commento.
Ritenere la fase presidenziale di giurisdizione volontaria o contenziosa non sposta
molto i termini della questione ai fini della soluzione; cosı̀ come ritenere la fase presidenziale autonoma rispetto a quella successiva a cognizione piena vuol dire innanzitutto riempire di contenuto significativo tale autonomia per arrivare a sostenere che il
presidente possa comunque porre termine alla stessa.
Con la novella degli artt. 706 ss. c.p.c. introdotta con la l. 14 maggio 2005, n. 80, è
indubbio che la fase presidenziale sia stata arricchita da una connotazione particolare
che, in qualche modo, la rende, più che autonoma, ben distinta da quella a cognizione
piena (9).
L’art. 709 c.p.c., nello scandire il passaggio dall’udienza presidenziale a quella
davanti al giudice istruttore, indica inequivocabilmente quale prima udienza di comparizione e di trattazione ex art. 183 c.p.c. quella davanti a quest’ultimo (10).
La costituzione, le preclusioni e le decadenze sorgono e si verificano dopo l’udienza
presidenziale nei termini e modi indicati dal presidente nell’ordinanza che nel contenuto ripete gli avvertimenti che a norma dell’art. 163 c.p.c. l’attore deve impartire al
convenuto (11).
(7)
Sostiene che la fase presidenziale abbia carattere di volontaria giurisdizione: A. JANNUZZI, Manuale della volontaria giurisdizione, Milano, 1995, 862;
CIPRIANI, Dalla separazione al divorzio, Napoli,
1971, 51 ss.; FAZZALARI, Istituzioni di diritto processuale, Padova, 1996, 563. Per la natura contenziosa:
FALZEA, La separazione personale, Milano, 1943, 57;
SCARDULLA, Il procedimento di separazione dei coniugi e di divorzio, Milano 2008, 760 ss.; MONTELEONE,
Diritto processuale civile, Padova, 2002, 1249; TOMMASEO, La disciplina processuale del divorzio, in
AA.VV., Lo scioglimento del matrimonio, in Commentario c.c. diretto da Schlesinger, Milano, 1997,
252 ss.
(8)
In senso affermativo: Trib. Varese 30 settembre 1950, in Rep. Foro it., 1950; App. Trento 6 luglio
1954, in Foro pad., 1954, I, 1124; Trib. Trieste 24
febbraio 1960, in Corti Brescia, Venezia e Trieste,
1960, 244. In senso negativo: D’ANTONIO, Inderogabilità della competenza territoriale anche per i provvedimenti temporanei del presidente nel giudizio di
separazione personale, in Giur. it., 1961, I, 2, 742.
(9)
Gli artt. 708 e 709 c.p.c., nella formulazione
ante riforma, demandavano al presidente la deter-
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minazione delle modalità e dei termini di costituzione dei coniugi nel passaggio dalla fase presidenziale
a quella di merito davanti al giudice istruttore ingenerando dubbi sull’unità o meno del giudizio di separazione e se l’udienza davanti al giudice istruttore
si dovesse considerare di prima comparizione, ovvero di trattazione anche per la diversità delle due
udienze ex artt. 180 e 183 c.p.c. prima della loro unificazione a seguito della riforma di cui alla l. 14 maggio 2005, n. 80. In dottrina v.: DE FILIPPIS, CASABURI,
Separazione e divorzio nella dottrina e nella giurisprudenza, Padova, 1998, 150 ss.; Cass. 3 dicembre
1996, n. 10780, in Mass. Foro it., 1996; Cass. 24 giugno 1989, n. 3095, in Mass. Giust. civ., 1989, f. 6.
(10)
È stato risolto il dilemma se l’udienza davanti
al giudice istruttore coincidesse con quella di prima
comparizione o con quella di trattazione anche perché le due udienze sono state unificate sotto la disciplina dell’art. 183 c.p.c. novellato dalla l. 14 maggio
2005, n. 80, a sua volta successivamente modificato
dalla l. 28 dicembre 2005, n. 263 e ancora dalla l. 23
febbraio 2006, n. 51.
(11)
Più in particolare la norma dell’art. 709 c.p.c.
richiama espressamente l’art. 163 comma 3, nn. 2),
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Se, quindi, l’udienza di comparizione e di trattazione è quella davanti al giudice
istruttore e solo davanti a questi maturano decadenze e preclusioni propriamente
attinenti alla formazione iniziale del contraddittorio e alla costituzione delle parti, vuol
dire che, prima di tale fase, l’udienza davanti al presidente costituisce un sub-procedimento introduttivo necessario di tipo sommario terminante con provvedimenti sommari-semplificati-esecutivi (12).
Ciò non vuol dire affatto che la fase presidenziale sia autonoma rispetto al giudizio
di merito alla stessa stregua, del procedimento cautelare rispetto a quello ordinario, in
quanto il giudizio di separazione rimane sempre unico sia pure articolato in più fasi
distinte e caratterizzato dalla combinazione di riti diversi che si succedono come una
sorta di fattispecie a formazione progressiva: sommario-camerale nella fase presidenziale; ordinario a cognizione piena nella fase successiva.
La fase introduttiva del giudizio con il rito sommario-camerale trova un logico
fondamento nella maggiore duttilità del procedimento che, come tale, si presta ad
essere uno strumento agile nelle mani del presidente per affrontare i coniugi nel loro
primo impatto con l’organo giurisdizionale e nel momento iniziale della istituzionalizzazione della crisi coniugale per svolgere quella mediazione attraverso il tentativo di
3), 4), 5) e 6) c.p.c. e poi ripete il contenuto del n. 7)
dello stesso art. 163 c.p.c. avvertendo il convenuto
che deve costituirsi in giudizio ai sensi degli artt. 166
e 167 commi 1 e 2 c.p.c. ma omette, forse per una
svista del legislatore, di indicare la decadenza di cui
all’art. 38 c.p.c., che riguarda l’eccezione di incompetenza, contenuta nel n. 7) del medesimo comma 3
dell’art. 163 c.p.c. come novellato dalla l. 18 giugno
2009, n. 69.
(12)
Sui provvedimenti sommari-semplificati-esecutivi,v.: CIVININI-PROTO PISANI, I procedimenti
possessori, in Foro it., 1994, I, c. 635 ss.; PROTO PISANI, Controlli sull’esercizio della giurisdizione e ricorso per Cassazione, in Foro it., 1987, V, 234; PROTO
PISANI, Usi e abusi della procedura camerale ex art.
737 ss. c.p.c., in Riv. dir. civ., 1990, 402 ss. Tali provvedimenti, argomentando dall’art. 189 disp. att.
c.p.c., costituiscono titolo esecutivo idoneo per
l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale. Ritengo debba
escludersi la natura cautelare di detti provvedimenti
perché difettano di strumentalità e la loro adozione
prescinde dalla valutazione della sussistenza del fumus boni juris e del periculum in mora. Il difetto di
strumentalità si rinviene nella necessarietà dei provvedimenti temporanei ed urgenti nel senso che, all’esito infruttuoso del tentativo di conciliazione, essi
devono obbligatoriamente essere emessi a prescindere ed indipendentemente dalle richieste dei coniugi. Infatti, la domanda iniziale di separazione, ex
art. 706 c.p.c., non necessariamente deve contenere
la richiesta dei provvedimenti temporanei ed urgenti
anche perché il momento della specificazione delle
richieste, delle domande riconvenzionali, delle ecce-
P. 1 5 4 2
zioni e delle conseguenti implicazioni seguono un
momento successivo con l’ordinanza ex art. 709 c.p.c.
I provvedimenti cautelari, invece, scaturiscono da
un’espressa domanda della parte richiedente con la
instaurazione di un apposito procedimento che si
chiude con la concessione o meno della tutela cautelare. Solo dopo la emissione del provvedimento nasce la dipendenza dal giudizio di merito sia pure con
i temperamenti di cui al novellato art. 669-octies
c.p.c. ad opera della l. 14 maggio 2005, n. 80. La fase
presidenziale costituendo l’unica modalità introduttiva obbligata del giudizio di separazione alla stessa
stregua del procedimento possessorio, il fumus boni
juris ed il periculum non assumono rilievo proprio
per l’assenza di strumentalità rispetto alla fase di
merito perché un tutt’uno con questa. Quel che rileva è l’urgenza di apprestare una regolamentazione
alla famiglia in procinto di disgregazione, urgenza
valutata a monte dall’ordinamento per la situazione
in sé determinata dalla domanda di separazione. Ritengono che i provvedimenti presidenziali abbiano
natura cautelare in dottrina: CIPRIANI, Avvocatura e
diritto alla difesa, Napoli, 1999, 99-124, sebbene la
convinzione di tale Autore sia maturata prima che
l’intervento legislativo sopra citato all’ultimo comma
dell’art. 708 c.p.c. ne prevedesse la reclamabilità. In
giurisprudenza v.: Cass., sez. I, 12 giugno 2005, n.
13593; Cass. 12 aprile 2006, n. 8512; Cass. 9 settembre
2002, n. 13060; Cass. 5 ottobre 1999, n. 11029, in
Giust. civ., 1999, I, c. 2928; Cass. 23 aprile 1998, n.
4198, in Rep. Foro it., 1998, Separazione di coniugi,
92; Cass. 12 aprile 1994, n. 3415, in Giust. civ., 1994, I,
c. 2865.
giurisprudenza di merito – n. 6 – 2010
giurisprudenza civile
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conciliazione e successivamente, con i provvedimenti urgenti, dare una prima ed
immediata regolamentazione alla famiglia in via di disgregazione.
I provvedimenti temporanei ed urgenti pronunciati dal presidente all’esito dell’udienza, dopo il fallimento del tentativo di conciliazione, hanno contenuto sommarioesecutivo e sono impugnabili con reclamo alla Corte d’Appello a norma dell’ultimo
comma dell’art. 708 c.p.c., fattore, quest’ultimo di non secondaria importanza ai fini
dell’inquadramento sistematico della fase presidenziale rispetto all’intero giudizio di
separazione da un lato e al procedimento camerale e sommario dall’altro, non senza
dimenticare il procedimento cautelare uniforme ex art. 669-bis ss. c.p.c. dall’altro
ancora.
Per arrivare a definire i poteri presidenziali in ordine ad una eccezione di incompetenza sollevata davanti a lui il confronto esegetico e sistematico con il processo a
cognizione piena e con quello in camera di consiglio, ex artt. 737 ss. c.p.c., non solo è
utile ma è necessario (13).
Dopo l’ultima riforma al codice di rito introdotta dalla citata l. n. 69 del 2009 la
incompetenza per materia e per valore e quella per territorio nei casi di cui all’art. 28
c.p.c., è rilevabile anche d’ufficio ma non oltre l’udienza ex art. 183 c.p.c.
L’art. 163 al novellato n. 7) del comma 3, a chiusura dell’avvertimento al convenuto
ha aggiunto testualmente «.. le decadenze di cui agli artt. 38 e 167».
A sua volta l’art. 709 c.p.c. nel richiamare espressamente il contenuto dell’art. 163
c.p.c. negli avvertimenti al convenuto, come sopra anticipato, omette di indicare la
decadenza di cui all’art. 38 c.p.c.
Se si sia trattato di una svista legislativa o meno poco importa perché comunque la
decadenza dall’eccezione di incompetenza oltre l’udienza ex art. 183 c.p.c. è perentoriamente stabilita dall’art. 38 c.p.c. sia per le parti che per il giudice che può rilevarla
anche d’ufficio ma sempre nel predetto termine.
Sicché, l’incompetenza territoriale del tribunale adito nel giudizio di separazione
dei coniugi, può essere rilevata d’ufficio o su eccezione di parte non oltre la prima
udienza di comparizione e di trattazione ex art. 183 c.p.c.
La rilevabilità d’ufficio investe sia il presidente nella udienza di sua esclusiva
competenza, sia il giudice istruttore nella prima udienza davanti a lui.
D’altronde non si può escludere il presidente dalla prerogativa di rilevare d’ufficio
la incompetenza per territorio comunque si voglia considerare di giurisdizione volontaria o contenziosa la fase procedimentale davanti a lui.
Ciò posto, occorre verificare e stabilire se una volta rilevata d’ufficio o su eccezione
di parte la incompetenza territoriale, il presidente abbia il potere di pronunciare ordinanza di incompetenza e se, in caso affermativo, debba o meno astenersi dal pronunciare i provvedimenti temporanei ed urgenti.
(13)
Deve escludersi, invece, ogni riferimento al
procedimento sommario di cognizione ex art. 702bis ss. c.p.c. di recente introduzione perché riguarda
le sole cause di competenza del giudice monocratico,
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mentre quello di separazione è di competenza del
collegio, nonché per la specialità che caratterizza entrambi.
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SEPARAZIONE DEI CONIUGI
4. LA QUESTIONE SULLA COMPETENZA E I PROVVEDIMENTI PRESIDENZIALI: LA SOLUZIONE ADOTTATA
Come più sopra anticipato la dottrina e la giurisprudenza offrono diverse soluzioni.
Per una corrente di pensiero il presidente rilevata la incompetenza per territorio
deve pronunciarla astenendosi dall’emettere i provvedimenti propri che seguono al
fallimento del tentativo di conciliazione (14).
In base ad un’altra impostazione la questione della competenza sarebbe irrilevante
nella fase presidenziale e il presidente dovrebbe comunque pronunciare i provvedimenti temporanei ed urgenti o, secondo una variante di pensiero, non pronunciarli e
rimettere i coniugi davanti al giudice istruttore il quale a sua volta potrà rimettere la
causa al collegio per la relativa pronuncia (15).
Secondo un’altra opzione il presidente potrebbe rimettere il procedimento al collegio per la pronuncia sulla competenza.
Innanzitutto, occorre partire dalla considerazione che la decisione nei giudizi di
separazione deve essere collegiale come stabilisce l’art. 50-bis, n. 1, c.p.c.
Il che vuol dire che, salvo attribuire alla fase presidenziale autonomia in senso
tecnico alla stessa stregua del procedimento cautelare rispetto al giudizio di merito, il
presidente non potrebbe pronunciare ordinanza con cui dichiari la incompetenza del
tribunale del quale fa parte (16).
Né incide il fatto che la riforma introdotta dalla l. n. 69 del 2009 più volte citata abbia
degradato le pronunce sulla competenza e sulla giurisdizione da sentenza ad ordinanza in quanto rimane sempre immutata la competenza dell’organo decidente.
L’art. 187 comma 3 c.p.c., tra i provvedimenti del giudice istruttore indica la remissione al collegio per la decisione delle questioni inerenti alla giurisdizione e alla competenza, se non dispone che vengano decise unitamente al merito.
Il che significa che nelle cause con riserva di collegialità il giudice istruttore non può
autonomamente pronunciare ordinanza di incompetenza senza rimettere la causa al
collegio.
Il comma 3 dell’art. 708 c.p.c. tra i provvedimenti tipici di esclusiva competenza del
presidente nell’udienza davanti a lui non menziona la questione di competenza e
l’ultimo comma dello stesso circoscrive il reclamo ai soli provvedimenti temporanei ed
urgenti, sicché a stretto rigore l’ordinanza che decide solo sulla competenza, come
quella in commento, non sarebbe nemmeno reclamabile.
Ed allora se il presidente non può pronunciare l’incompetenza dovrà rimettere i
coniugi davanti al giudice istruttore e non davanti al collegio.
(14)
JANNUZZI, Manuale della volontaria giurisdizione, cit. 862; D’ANTONIO, Inderogabilità della
competenza territoriale anche per i provvedimenti
temporanei del presidente nel giudizio di separazione personale, cit., 742.
(15)
Nel primo senso: DOGLIOTTI, Separazione e
divorzio, Torino, 1988, 43; VILLANACCI, La separazione non giudiziale, Torino, 2001, 125; CIPRIANI, I provvedimenti presidenziali nell’interesse dei coniugi e
della prole, Napoli, 1970, 275. Anche, LAUDISIA, Sub
Art. 4 l. n. 89 del 1970, nn. 8-13, in AA.VV., Commentario alla riforma del divorzio, Milano, 1987, 63. Nel
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senso che il presidente debba nominare il giudice
istruttore e fissare l’udienza davanti a questi astenendosi dal pronunciare i provvedimenti temporanei ed urgenti: MONTELEONE, Diritto processuale civile, cit. 1251 s.; MANDRIOLI, Corso di diritto processuale civile, III, Torino, 2000, 172.
(16)
Cass. 9 ottobre 1972, n. 2951, in Mass. Foro
it., 1972, la quale esclude che il provvedimento presidenziale in ordine alla competenza possa avere natura decisoria perché emesso da un singolo componente e non dall’organo collegiale.
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giurisprudenza civile
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La pronuncia che declina la competenza è una pronuncia che chiude, sia pure in
rito, il giudizio davanti al giudice che l’ha dichiarata e, come tale, essendo definitiva, nel
procedimento per separazione è riservata, ex art. 50-bis c.p.c., al collegio, mentre per
gli organi giurisdizionali intermedi che si occupano solo di determinate fasi processuali, tale facoltà deve ritenersi preclusa se non espressamente loro attribuita.
La possibilità per il presidente di rimettere le parti direttamente davanti al collegio
sarebbe altresı̀ preclusa da una serie di fattori.
Innanzitutto un tale potere non è previsto da nessuna disposizione e gli artt. 708 e
709 c.p.c. nel circoscrivere l’ambito giurisdizionale entro il quale si consumano i poteri
decisori del presidente lo escluderebbero.
La tipologia dei provvedimenti presidenziali a norma dei surrichiamati artt. 708 e
709 c.p.c. sono i provvedimenti temporanei ed urgenti; l’ordinanza di nomina del
giudice istruttore e di fissazione dell’udienza davanti a questi.
Solo i provvedimenti temporanei ed urgenti sono reclamabili ai sensi dell’ultimo
comma del citato art. 708 c.p.c. perché evidentemente la quota giurisdizionale attribuita al presidente si esaurisce in quell’ambito (17).
L’inizio del processo a cognizione piena con l’ordinanza del presidente di rimessione delle parti davanti al giudice istruttore non può essere sostituito con la rimessione delle stesse parti direttamente davanti al collegio aggirando la fase innanzi all’istruttore perché trattasi di predeterminazione legislativa delle scansioni processuali
sottratta al potere discrezionale del giudice (18).
Altro fattore si rinviene nella norma ex art. 706 c.p.c. secondo la quale il ricorso per
separazione può essere redatto dal coniuge personalmente e non deve avere il contenuto formale tipico degli atti introduttivi tant’è che la costituzione — come detto sopra
— avviene nei termini e modi fissati ai sensi dell’art. 709 c.p.c. nell’ordinanza presidenziale, sicché è possibile che un ricorso redatto dal coniuge ricorrente presenti
aspetti fattuali legati alla determinazione della competenza rappresentati in modo da
indurre in errore o che meritano approfondimento istruttorio.
Inoltre, nella fase presidenziale, se non propriamente di deroga, certamente vige
un certo temperamento del principio della domanda ex artt. 99 e 112 c.p.c. che è tipico
dei procedimenti camerali (19). Alla semplicità del ricorso introduttivo svincolato da
(17)
L’ordinanza nella parte in cui fissa l’udienza
davanti al giudice istruttore in caso di eventuali vizi
invalidanti (come i termini per le notifiche e di comparizione e le prescrizioni e gli avvertimenti al convenuto) sono censurabili davanti allo stesso giudice
istruttore.
(18)
Il procedimento a cognizione piena, a differenza di quello sommario, è caratterizzato dalla predeterminazione legislativa dei poteri del giudice e
delle parti, dei termini e delle modalità di instaurazione del contraddittorio, dell’assunzione delle prove e della trattazione. Il che è quanto avviene nel
momento in cui il presidente con l’ordinanza dispone ai sensi dell’art. 709 c.p.c. il mutamento del rito,
nomina l’istruttore e fissa l’udienza davanti a questi.
Cessano i poteri discrezionali del giudice ex art. 706
giurisprudenza di merito – n. 6 – 2010
c.p.c. nella determinazione dei termini e delle modalità di instaurazione del contraddittorio e lasciano il
posto alla predeterminazione tassativa della norma
ex art. 709 c.p.c. costituendone contenuto necessario
dell’ordinanza. Sulle caratteristiche del procedimento sommario rispetto a quello ordinario di cognizione v.: A. PROTO PISANI, La tutela giurisdizionale
dei diritti della personalità: strumenti e tecniche di
tutela, in Foro it., 1990, V, 17; Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 1999, 718 ss.; Usi e abusi della
procedura camerale ex art. 737 c.p.c., in Riv. dir.
civ., cit. 402-403 ss.; P. PROTO, La riforma del procedimento possessorio, in questa Rivista, 2007, 1849.
(19)
Sulla pronuncia del giudice nei procedimenti
in camera di consiglio, il principio della domanda e la
non operatività del divieto dell’ultra et extra petita,
P. 1 5 4 5
giurisprudenza civile
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forme particolari si affianca il potere officioso del giudice come nell’art. 708 comma 3
c.p.c., laddove il presidente «anche d’ufficio», ovvero, in mancanza o a prescindere
dalle richieste di parte, emette i provvedimenti temporanei ed urgenti ritenuti opportuni.
È evidente la amplissima discrezionalità che il sistema ordinamentale attribuisce al
presidente nell’ottica di realizzare l’interesse della prole e dei coniugi.
Sarebbe, quindi, quanto meno necessario, in ossequio ai principii costituzionali del
diritto di difesa ex art. 24 Cost. e del contraddittorio in condizioni di parità ex artt. 111
Cost. e 101 c.p.c., nel rimettere i coniugi davanti al giudice istruttore, concedere i
termini per le memorie integrative come prescrive il medesimo art. 709 dopo di che
sarà quest’ultimo giudice a rimettere la causa al collegio per la decisione sulla competenza.
Resta il problema se il presidente debba o meno pronunciare i provvedimenti
temporanei ed urgenti pur ritenendosi incompetente.
Posto che la competenza — essendo uno dei principali presupposti processuali per
la instaurazione di un valido giudizio, in quanto espressione concreta del principio del
giudice naturale precostituito per legge ex art. 25 Cost. — è condicio sine qua non per
una valida pronuncia, se il presidente rimette le parti davanti al giudice istruttore per
la questione sulla competenza senza aver emesso i provvedimenti temporanei ed
urgenti si può verificare che il giudice istruttore non condividendo il rilievo presidenziale sulla incompetenza o la relativa eccezione sollevata dalla parte non potrà procedere all’istruzione della causa e dovrà necessariamente rimetterla al collegio per la
decisione sulla competenza.
Infatti, il giudice istruttore non potrebbe sostituirsi al presidente ed mettere i
provvedimenti temporanei ed urgenti che appartengono alla competenza funzionale
di quest’ultimo, né tanto meno, per lo stesso motivo, il predetto giudice istruttore può
esperire il tentativo di conciliazione dei coniugi.
Il collegio, investito della questione di competenza, qualora non dovesse condividere il rilievo presidenziale sulla medesima competenza, dovrebbe far regredire il tutto
nuovamente alla fase davanti al presidente perché emetta i provvedimenti di sua
competenza esclusiva.
Ma nelle more di tutto quello che si è appena descritto — qualunque sia la decisione
sulla competenza — soprattutto nel caso di una separazione altamente problematica e
conflittuale sia per quanto riguarda i rapporti tra i coniugi sia per quanto riguarda
maggiormente i figli e l’interesse preminente di questi ultimi, lasciare la famiglia
separanda in balia di se stessa senza una regolamentazione diventa da un lato un
problema di ordine pubblico e dall’altro si tradisce quell’interesse preminente della
prole per la quale il presidente «anche d’ufficio» può adottare i provvedimenti che
ritiene opportuni nel loro interesse.
Ma, anche nell’ipotesi di assenza di figli minori, le problematiche inerenti alla
separazione coniugale sono ugualmente altamente sensibili in relazione ai rapporti
intersoggettivi tra i coniugi, alla condizione personale, economica e lavorativa di ciav. VISCO, I procedimenti di giurisdizione volontaria,
Milano, 1958, 57; PANUCCIO, Il procedimento discipli-
P. 1 5 4 6
nato dall’art. 2409 c.c., in Riv. trim. dir. proc. civ.,
1954, 700.
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giurisprudenza civile
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scuno di essi. Si pensi a problemi come l’abitazione, l’eventuale stato di disoccupazione
o comunque di indigenza economica di uno di essi o a condizioni precarie di salute o
altre situazioni ancora.
Tant’è che il comma 3 dell’art. 708 c.p.c. dispone che il presidente — «anche
d’ufficio» — cioè anche in mancanza o diversamente dalle richieste dei coniugi —
emette i provvedimenti temporanei ed urgenti che reputa opportuni nell’interesse
della prole e dei medesimi coniugi.
Quindi, non solo nell’interesse della prole ma anche dei coniugi e la congiunzione
«e» sta a indicare che i provvedimenti opportuni nell’interesse dei predetti coniugi
devono essere adottati indipendentemente dalla presenza di figli minori.
Ma c’è di più, il fatto che i detti provvedimento vengano dati — «anche d’ufficio» —
a mio parere sta a significare non solo e non tanto che vi è un temperamento del
principio della domanda, ma che il presidente debba comunque dare una regolamentazione provvisoria alla famiglia o alla coppia in via di disgregazione perché lo imporrebbero ragioni di ordine pubblico che trovano fondamento nel dettato degli artt. 2, 29,
30 e 31 Cost.
Nelle medesime ragioni si deve rinvenire il fondamento della sopravvivenza del
provvedimento presidenziale all’estinzione del giudizio come prevede l’art. 189 disp.
att. c.p.c., richiamato anche dall’art. 4 comma 8 l. 1 dicembre 1970, n. 898 in tema di
divorzio.
Proprio in ragione della priorità dell’interesse pubblico alla salvaguardia del nucleo
famigliare l’ordinamento detta una disciplina processuale speciale articolata in una
fase introduttiva davanti al presidente con una procedura deformalizzata a partire
dalla stessa domanda, deputata a sostituire la regolamentazione dell’unità familiare
venuta meno con provvedimenti ritenuti opportuni nell’interesse dei minori e dei
coniugi stessi.
Sicché, la questione di competenza, ancorché possa essere rilevata o sollevata,
nella fase presidenziale viene posposta perché preceduta dalla necessità ed urgenza di
sopperire alla contingenza data dalla crisi familiare e dalla totale o parziale inoperatività della disciplina legale di cui agli artt. 143-148 c.c. (20).
La ultrattività degli effetti del provvedimento presidenziale di cui all’art. 189 disp.
(20)
Sebbene la separazione consensuale esuli
dalla presente trattazione, tuttavia, essa merita un
brevissimo cenno perché gli interrogativi che pone
sono in parte gli stessi della separazione giudiziale
ed in parte del tutto autonomi. L’art. 711 c.p.c. non
indica alcunché sulla competenza. Ciò potrebbe significare — come sostenuto da una dottrina — che in
tema di separazione consensuale la competenza sia
irrilevante ed i coniugi avrebbero la facoltà di scegliersi il giudice che vogliono. Alla dottrina sostenitrice della ipotesi che precede fanno cenno nella nt. 7
di pag. 59 senza citarla DE FILIPPIS, CASABURI, Separazione e divorzio nella dottrina e nella giurisprudenza, cit. Se invece si ritiene che anche per la
separazione consensuale vige il foro territoriale inderogabile ex art. 28 c.p.c. qualora i coniugi decidessero di presentare il ricorso ad un tribunale incom-
giurisprudenza di merito – n. 6 – 2010
petente si porrebbero i medesimi problemi della separazione giudiziale con la variante che — a differenza di questa ultima — il presidente dopo il tentativo di conciliazione deve riferire al collegio per la
omologazione senza assumere i provvedimenti di cui
all’art. 708 c.p.c. Di conseguenza, ove il collegio dovesse ritenersi incompetente e non omologare la separazione, la famiglia — a meno di riconoscere all’accordo efficacia vincolante per i coniugi o di attribuire efficacia esecutiva al verbale di udienza di cui
al comma 3 dell’art. 711 c.p.c. — si troverebbe scoperta di regolamentazione con il rischio che l’accordo raggiunto, magari faticosamente, venga posto nel
nulla e la conflittualità aumenti in modo esponenziale. Non è questa la sede per cercare di dare una
risposta, certo è che sarebbe opportunamente auspicabile un intervento legislativo per equiparare le ri-
P. 1 5 4 7
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att. c.p.c., risponde proprio all’esigenza di dare un assetto regolamentare ad una separazione che, una volta intervenuta la estinzione del giudizio, diventa di solo fatto e che
l’ordinamento, per la tutela e la salvaguardia di quei valori costituzionali in precedenza
richiamati, non può lasciare sguarnita e priva di ogni regola.
Se l’ordinamento si preoccupa di mantenere una regolamentazione dei rapporti
interfamiliari anche nell’ipotesi di estinzione del giudizio di separazione a maggior
ragione si deve ritenere preminente tale esigenza nel momento più sensibilmente
traumatico della rottura famigliare che è costituito dal momento iniziale della separazione e del quale si occupa la fase presidenziale.
Tale ultrattività del provvedimento temporaneo ed urgente — diversamente da
quanto accade ai sensi dell’art. 157 c.c. per la pronuncia di separazione — non viene
meno neanche nell’ipotesi in cui i coniugi dovessero riprendere la convivenza solamente per un determinato periodo in quanto la disposizione, ex art. 189 disp. att. c.p.c.,
indica quale causa della sua caducazione l’adozione di un nuovo provvedimento emesso dal presidente o dal giudice istruttore a seguito della proposizione di un nuovo
ricorso.
Sicché, mentre la pronuncia di separazione perde efficacia per espresso accordo
delle parti o per la ripresa della convivenza, in mancanza di una sentenza di separazione, il provvedimento presidenziale rimane in piedi.
Ma, dalla disposizione di cui all’art. 189 disp. att. c.p.c., può rinvenirsi un’altra
argomentazione favorevole alle tesi qui sostenuta.
La norma citata quando parla di estinzione del giudizio non specifica le relative
cause, quindi vuol dire che intende riferirsi a tutte, compresa quella, ex art. 50 c.p.c.,
per mancata riassunzione del giudizio a seguito della pronuncia di incompetenza.
Se cosı̀ è vuol dire che i provvedimenti temporanei ed urgenti devono comunque
sempre essere adottati indipendentemente dalla eventuale successiva pronuncia di
incompetenza, in quanto la loro adozione risponde ad esigenze di ordine pubblico
costituzionale (artt. 2, 3 comma 2, 29, 30 e 31 Cost.) a presidio ed a salvaguardia di quei
diritti ed interessi fondamentali degli appartenenti al nucleo familiare in quanto tale
spettive fasi presidenziali facendo sı̀ che il presidente, anche nella separazione consensuale, nelle more
della omologazione, dichiari provvisoriamente o
temporaneamente efficace l’accordo o esecutivo il
processo verbale d’udienza, laddove ai sensi del
comma 3 dell’art. 711 c.p.c. si dà atto del consenso dei
coniugi alla separazione e delle condizioni riguardanti i coniugi stessi e la prole, oppure che emetta i
provvedimenti temporanei ed urgenti e ciò, anche
indipendentemente dalla questione di competenza,
per tutti i casi in cui il tribunale dovesse respingere la
omologazione. In alternativa ci sarebbe da rivedere
sul piano dogmatico l’efficacia dell’accordo coniugale di separazione. v.: JANNUZZI, Manuale della volontaria giurisdizione, cit. 876 ss.; RUBINO, La fattispecie
e gli effetti preliminari, Milano, 1939, 242; COLESANTI,
Sulla competenza ad omologare la separazione consensuale, in Foro it., 1957, I, 2051; DE FILIPPIS, CASABURI, Separazione e divorzio nella dottrina e nella
P. 1 5 4 8
giurisprudenza, cit., 99 ss.; FALZEA, La separazione
personale, cit., 90; SCOGNAMIGLIO, Contributo alla teoria del negozio giuridico, Napoli, 1958, 298 ss.; PAZIENZA, Intervento del pubblico ministero alla redazione del verbale di separazione consensuale, nota a
Trib. Firenze 26 agosto 1987, in questa Rivista, 1988;
FINOCCHIARO, Sulla pretesa efficacia di accordi non
omologati diretti a modificare il regime della separazione consensuale, nota a Cass. 13 febbraio 1985,
n. 1208, in Giust. civ., 1985, I, 1655; SALA, Accordi di
separazione non omologati: un importante riconoscimento dell’autonomia dei coniugi, Nota a Cass. 24
febbraio 1993, n. 2270, in Giust. civ., 1994, I, 213;
GIORGIANNI, Sui patti aggiunti alla separazione consensuale e sulla famiglia di fatto, Nota a Trib. Genova 2 giugno 1990, in questa Rivista, 1992, 58. Sulla
individuazione del tribunale competente in relazione al luogo dove trovasi la casa coniugale: Cass. 26
giugno 1992, n. 8019, in Dir. fam., 1993, 81.
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giurisprudenza civile
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che, nel momento della disgregazione dell’unità — venendo meno in tutto o in parte lo
statuto legale (artt. 143-148 c.c.) — cadono in sofferenza o diventano vulnerabili e di
conseguenza meritevoli di tutela attraverso la regolamentazione che viene dettata con
i provvedimenti presidenziali (21).
D’altronde può accadere che davanti al presidente nessuno, nemmeno lo stesso
presidente, rilevi o eccepisca la incompetenza del tribunale adito e che l’eccezione di
incompetenza venga formulata davanti al giudice istruttore o da questi rilevata d’ufficio; in tal caso i provvedimenti presidenziali già emessi resterebbero efficaci anche
dopo la pronuncia di incompetenza.
Il che rafforza il fondamento della tesi qui sostenuta.
Se si ammette la facoltà per il presidente di adottare comunque i provvedimenti
temporanei ed urgenti e si passa alla successiva fase davanti al giudice istruttore non è
detto che quest’ultimo condivida il rilievo del presidente sulla incompetenza o accolga
l’eccezione di parte e ben potrà istruire la causa e condurla alla decisione finale.
Il giudice istruttore potrà condividere o meno il rilievo presidenziale o l’eccezione
di parte sulla competenza ma intanto esiste una regolamentazione dei rapporti tra
coniugi e tra questi e la prole, il medesimo giudice potrà modificare o revocare i
provvedimenti temporanei ed urgenti ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 709 c.p.c. e
altrettanto potrà fare il giudice istruttore del tribunale indicato come competente a
seguito della riassunzione dopo la pronuncia di incompetenza del primo giudice.
Questa ultima soluzione è preferibile e non urta con il principio del giudice naturale
al quale non viene sottratta la competenza in quanto ad esso viene rimessa la causa e ad
esso spetta la decisione finale destinata a produrre gli effetti del giudicato formale e
sostanziale nei limiti oggettivi e temporali in cui tali effetti si producono.
In definitiva, la competenza a pronunciarsi sulla competenza non è del presidente,
bensı̀ del collegio e pertanto sarà quest’ultimo ad essere investito della questione nei
modi previsti, dopo l’esaurimento della fase presidenziale e la remissione da parte del
giudice istruttore ai sensi degli artt. 187 e 189 c.p.c. (22).
Alla luce delle considerazioni che precedono l’ordinanza in commento non può
essere condivisa.
(21)
LAUDISIA, Sub art. 4 l. n. 898 del 1970, nn.
8-13, in AA.VV., Commentario alla riforma del divorzio, Milano, 1987, 63. DOGLIOTTI, Separazione e
divorzio, Torino, 1988, 43; VILLANACCI, La separazione non giudiziale, Torino, 2001, 125. CIPRIANI, I provvedimenti presidenziali nell’interesse dei coniugi e
della prole, Napoli, 1970, 275.
(22)
Resterebbe un ultimo problema con riferimento alla riassunzione del giudizio di separazione
davanti al giudice ritenuto competente ai sensi dell’art. 50 c.p.c. che merita un brevissimo cenno sebbene esuli dall’economia della presente riflessione.
Innanzitutto è legittimo chiedersi se l’atto di riassunzione, che ai sensi dell’art. 125 dist. att. c.p.c. è ritenuto un mero atto di impulso processuale e non una
vera e propria domanda, debba avvenire davanti al
presidente rinnovando la fase camerale sommaria
con l’adozione di nuovi provvedimenti temporanei
giurisprudenza di merito – n. 6 – 2010
ed urgenti, ovvero, davanti al giudice istruttore che
potrà avvalersi del potere di revoca o modifica ai
sensi dell’ultimo comma dell’art. 709 c.p.c. Sulla natura dell’atto di riassunzione v.: LUISO, Diritto processuale civile, I, cit. 120 s. La riassunzione se, come
dispone l’art. 50 c.p.c., determina la continuazione
del giudizio dovrebbe intendersi davanti al giudice
istruttore, ma non si può escludere una riassunzione
davanti al presidente. Se, invece, a seguito della pronuncia di incompetenza nessuno dei coniugi dovesse riassumere nei prescritti termini il giudizio davanti al giudice ritenuto competente il processo si estingue. In tal caso sarebbe necessario un nuovo ricorso
che potrebbe essere riproposto anche davanti allo
stesso tribunale dichiaratosi incompetente in quanto
— come dispone l’art. 44 c.p.c. — la pronuncia sulla
competenza nei casi inderogabili ex art. 28 c.p.c., come le cause per la separazione dei coniugi, non rende incontestabile l’incompetenza dichiarata.
P. 1 5 4 9
giurisprudenza civile
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5. LA IPOTETICA FACOLTÀ DEL PRESIDENTE DI EMETTERE
PROVVEDIMENTI SULLA COMPETENZA
Non rimane che esaminare la possibilità — sia pure non condivisa — di conferire al
presidente il potere autonomo di pronunciarsi sulla competenza come è avvenuto nella
pronuncia in commento.
Recuperando le argomentazioni più sopra accennate sulla plurifasicità del giudizio
di separazione e sulle caratteristiche della fase presidenziale in particolare, occorre
superare la querelle tra giurisdizione volontaria e contenziosa, anche perché in questa
sede di per sé infruttuosa.
Non è la natura volontaria o meno della fase processuale a determinarne l’autonomia perché in entrambi i casi si è di fronte ad un procedimento sommario e camerale.
Inoltre, sarebbe contraddittorio sostenere il carattere di volontaria giurisdizione della
fase presidenziale e contenziosa quella successiva di merito, attesa la medesimezza dei
diritti e degli interessi in gioco (23).
Piuttosto occorre guardare alla natura certamente sommaria-esecutiva dei provvedimenti presidenziali e alle caratteristiche del procedimento camerale che li precede.
I procedimenti in camera di consiglio ex art. 737 ss. c.p.c., si aprono e si chiudono
nella medesima forma rituale e davanti allo stesso organo giudicante, sebbene sia
previsto dall’art. 738 c.p.c. che il presidente possa nominare relatore un componente
del collegio.
La disposizione ex art. 737 c.p.c. non contiene alcuna disciplina relativa alla competenza territoriale sebbene il riferimento «al giudice competente» associato alla richiesta con ricorso sottende quanto meno un rinvio alle disposizioni generali sulla
competenza contenute nel Libro I del codice.
Nei procedimenti in camera di consiglio, il riferimento alla competenza deve ritenersi attribuito al collegio giudicante in relazione all’oggetto del procedimento intrapreso e la questione sulla competenza eventualmente insorta è di immediata percezione e decisione da parte dell’unico organismo competente ad emettere qualsiasi
decisione.
Il procedimento camerale poi è un tipo di procedimento sommario e come in tutti i
procedimenti sommari la distinzione tra pronunce di rito e pronunce di merito è molto
sfumata (24).
Il che spiega, sotto un diverso profilo, la ragione del riferimento al «giudice competente» senza altra indicazione in quanto il giudice collegiale chiamato a decidere sul
ricorso decide il tutto in un’unica battuta.
Di contro, la competenza territoriale disciplinata nell’art. 706 c.p.c. per la separazione giudiziale dei coniugi è riferita non al presidente in quanto tale, come organo
funzionalmente competente ad emettere provvedimenti temporanei, bensı̀ al tribunaV. nt. 5.
LUISO, Diritto processuale civile, cit., 170.
Sulla distinzione concettuale tra questioni di rito e
questioni di merito in ordine alla fondatezza della
domanda, v.: CONSOLO, Sui limiti della riproposizione
della domanda cautelare respinta, in Giur. it., 1995,
(23)
(24)
P. 1 5 5 0
I, 2, 271. Sulle pronunce di rigetto nel rito, v.: ATTARDI,
Le nuove disposizioni sul processo civile, Padova,
1991, 240; MERLIN, (Procedimenti cautelari e urgenti
in generale), in Dig. civ., XIV, Torino, 1996, 411; VALITUTTI, I procedimenti cautelari e possessori, I, Padova, 2004, 295.
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giurisprudenza civile
SEPARAZIONE DEI CONIUGI
207
le nel suo complesso che ai sensi dell’art. 50-bis, n. 1, c.p.c. è chiamato a decidere in
composizione collegiale (25).
Trattasi di provvedimenti, quelli presidenziali, che a differenza del procedimento
cautelare uniforme di cui all’art. 669-bis ss. c.p.c. con riferimento al rapporto col
giudizio di merito sono più simili per un verso al procedimento possessorio ante
riforma (l. 14 maggio 2005, n. 80 di conversione del d.l. 14 marzo 2005, n. 35) dopo
l’intervento delle Sezioni Unite e per altro verso al mutamento del rito ai sensi degli
artt. 667 e 427-bis c.p.c. nel procedimento per convalida di sfratto (26).
Qui succede la stessa cosa, terminata la fase del tentativo obbligatorio di conciliazione dei coniugi il presidente emette anche d’ufficio i provvedimenti temporanei ed
urgenti e fissa l’udienza di comparizione davanti al giudice istruttore per il prosieguo
nel merito.
Diversamente dall’art. 669-septies c.p.c. che prevede espressamente l’ordinanza di
incompetenza a sua volta reclamabile, i provvedimenti di cui al comma 3 dell’art. 708
c.p.c. non prevedono la pronuncia di incompetenza.
Né si potrebbe operare il ricorso all’analogia sia perché trattasi di disposizioni
speciali ex art. 14 Preleggi che riguardano il potere di emettere un determinato provvedimento, sia perché l’art. 669-quaterdecies c.p.c. non contempla nel suo ambito di
applicazione i procedimenti in materia di separazione personale dei coniugi e sia
perché trattasi di procedimenti entrambi speciali.
Inoltre, il provvedimento — sia di incompetenza o di rigetto, sia di accoglimento —
conclude il procedimento cautelare e per i provvedimenti ad effetto anticipatorio il
successivo giudizio di merito, oltre ad essere facoltativo ed eventuale, è rimesso all’impulso di parte.
Per contro, il provvedimento presidenziale in materia di separazione dei coniugi
chiude la fase camerale o sommaria ma non conclude il procedimento perché è previsto il passaggio d’ufficio automaticamente al giudizio ordinario a cognizione piena
senza soluzione di continuità.
Sicché, i provvedimenti presidenziali assumono caratteristica incidentale ed interinale con effetti anticipatori sulla sentenza finale per dare alla disgregazione famigliare una regolamentazione sia pure temporanea fino all’intervento della decisione finale
di merito che è riservata al collegio.
Il procedimento di separazione giudiziale in definitiva e lo stesso può dirsi per
quello divorzile, si caratterizza — similmente al procedimento possessorio previgente
— per essere costituito da un sub-procedimento introduttivo di tipo sommario camerale contenzioso e da un susseguente giudizio a cognizione piena, laddove il subprocedimento introduttivo è l’unica modalità di instaurazione del giudizio e trova la sua
ragione, come più sopra detto, nella maggiore rispondenza all’esigenza di dare una
sollecita ed equa regolamentazione nel caso concreto di una famiglia in via di disgreV. nt. 15.
Il riferimento nel testo è a Cass., sez. un., 24
febbraio 1998, n. 1984, la quale aveva stabilito che il
giudice terminata la fase sommaria con il provvedimento di accoglimento o di rigetto della domanda di
reintegrazione o di manutenzione nel possesso fis(25)
(26)
giurisprudenza di merito – n. 6 – 2010
sava direttamente il merito. v. P. PROTO, La riforma
del procedimento possessorio, in questa Rivista,
2007, 1840 ss. A. PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 1999, 825, che parla di mutamento del rito in applicazione analogica degli artt.
667 e 427 c.p.c.
P. 1 5 5 1
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gazione grazie ai minori vincoli processuali, al continuo contatto diretto tra il giudice e
i coniugi, all’ampio potere di assumere informazioni.
Il primo termina con i provvedimenti sommari-esecutivi privi di attitudine al giudicato; il secondo con una sentenza, tranne che non venga emessa un’ordinanza sulla
competenza o sulla giurisdizione, sentenza che come tale, sia pure entro determinati
limiti oggettivi, soggettivi e temporali, è istituzionalmente idonea al passaggio in giudicato (27).
Mi pare non ci siano margini per ritenere l’ordinanza annotata — sia pure in linea
meramente teorico-ipotetica e a prescindere dalla sua condivisione — una soluzione
processuale ammissibile.
6. I RIMEDI
A questo punto, occorre chiedersi, nei limiti di economia del presente lavoro, quali
rimedi si possano esperire avverso un’ordinanza come quella annotata.
Il reclamo deve ritenersi escluso dalla previsione dell’ultimo comma dell’art. 708
c.p.c. perché lo riferisce espressamente ai provvedimenti temporanei ed urgenti, a
meno che non si voglia considerare ammissibile il reclamo avverso la omessa pronuncia di detti provvedimenti.
Propenderei per la tesi negativa in quanto i provvedimenti temporanei ed urgenti
seguono al tentativo di conciliazione che rimane di esclusiva competenza del presidente del tribunale.
La corte d’appello può giudicare sui provvedimenti revocandoli o modificandoli ma
non emetterli ex novo né può sostituirsi al presidente per esperire il tentativo di
conciliazione mancante tanto più che non è prevista, nella fase di reclamo, la presenza
o l’audizione dei coniugi in camera di consiglio.
Né, per ipotesi, la corte può annullare l’ordinanza e rimettere le parti innanzi al
presidente sia perché tale facoltà non è prevista anche in considerazione della natura
(27)
A mio parere il giudicato di separazione presenta delle peculiarità che lo differenziano dal giudicato tout court e senza tema di sorta oserei dire che la
sentenza di separazione più che spiegare gli effetti
tipici di cui all’art. 2909 c.c. si avvicina al «giudicato»
rebus sic stantibus. I limiti oggettivi del giudicato di
separazione si riferiscono alla parte relativa alla modificazione di status riguardante i coniugi. Per quanto riguarda le statuizioni relative all’affidamento dei
figli e al loro mantenimento, essendo sempre soggette a mutamenti, sono insuscettibili di passare in giudicato. Altrettanto e per gli stessi motivi non passano
in giudicato quelle riguardanti il mantenimento tra
coniugi. I limiti temporali e qui ritengo che la sentenza di separazione presenti quelle peculiarità che la
differenziano sia dal giudicato in materia di status,
sia dal giudicato in sé, intendo riferirli all’arco temporale di validità della statuizione modificativa dello
status personale dei coniugi destinata all’estinzione
del rapporto di coniugio con la sentenza di divorzio,
ovvero, alla caducazione della separazione medesima nel caso in cui i predetti coniugi ai sensi dell’art.
P. 1 5 5 2
157 c.c., senza necessità di intervento del giudice,
abbiano espressamente di comune accordo rinunciato agli effetti della separazione o abbiano adottato
comportamenti incompatibili con lo stato di separazione come la ripresa della convivenza. In tali casi la
separazione potrà essere pronunciata su fatti successivi, ovvero su fatti nuovi. Il che vuol dire che la
precedente pronuncia di separazione cade nel nulla.
Se cosı̀ è il giudicato di separazione è tale finché i
coniugi espressamente o con comportamenti concludenti non dimostrino una volontà contraria, oppure non interviene la sentenza di divorzio, questa sı̀
con effetti innovativi-estintivi. Nel primo caso si può
dire che la sentenza di separazione è sottoposta a
condizione risolutiva potestativa; nel secondo caso
subisce una novazione processuale che determina
l’estinzione dello status coniugale ed il ritorno allo
stato libero. Di limiti temporali del giudicato ma in
atri termini e con riferimento alla quaestio facti e alla
quaestio juris v.: LUISO, Diritto processuale civile, I,
Milano, 2000, 166 ss.
giurisprudenza di merito – n. 6 – 2010
giurisprudenza civile
SEPARAZIONE DEI CONIUGI
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sommaria e camerale del procedimento di reclamo, sia perché il presidente del tribunale declinando la competenza si è spogliato del processo.
Tuttavia, si possono formulare due ipotesi: seconda una prima la corte annullerebbe l’ordinanza nella parte in cui non abbia previsto il tentativo di conciliazione ed i
conseguenti provvedimenti temporanei ed urgenti con rinvio al presidente del tribunale; una seconda che annulla tutta l’ordinanza sempre con rinvio al presidente altrimenti si estinguerebbe il giudizio.
La prima soluzione ipotetica osterebbe con la parte che declina la competenza e
quindi non può ritornare al presidente che si è definitivamente pronunciato spogliandosi del processo.
La seconda, per le ragioni sopra esposte, sarebbe preclusa dalla lettera dell’art. 708
ult. comma c.p.c. che limita il reclamo ai provvedimenti temporanei ed urgenti ed in
loro mancanza la sola statuizione sulla competenza non sarebbe impugnabile col
reclamo perché l’art. 42 c.p.c. impone in via esclusiva il regolamento necessario.
Altrettanto deve escludersi l’appello ordinario.
Un primo motivo ad escludendum sarebbe dato dalla natura del provvedimento
trattandosi di ordinanza presidenziale e non di sentenza emessa dal collegio.
Un secondo motivo deriverebbe dalla statuizione contenuta nell’ordinanza.
Questa ultima avendo pronunciato solo sulla competenza ai sensi dell’art. 42 c.p.c.
è impugnabile esclusivamente con il regolamento necessario di competenza.
La giurisprudenza di legittimità ha escluso il regolamento di competenza sul presupposto che la pronuncia del presidente sulla competenza non fosse né definitiva, né
vincolante per il giudice istruttore e tanto meno aggiungerei per il collegio (28).
Tuttavia, nel caso di specie, il presidente non ha rimesso le parti davanti al giudice
istruttore dello stesso tribunale limitandosi a rilevare la incompetenza, ma ha assegnato alle predette parti i termini per la riassunzione la causa davanti al tribunale ritenuto
territorialmente competente definendo in tal modo il giudizio davanti al tribunale al
quale appartiene.
Pertanto, riterrei che la pronuncia del giudice di legittimità debba considerarsi
valida per quelle ordinanze interlocutorie sulla competenza che non definiscono il
giudizio a differenza delle decisioni, come quella annotata, che non sono né incidentali,
né provvisorie, ma si pongono come definitive.
Stando cosı̀ le cose e mancando un giudice istruttore ed un collegio che avrebbero
potuto rivedere la questione di competenza, la decisione definitiva del presidente non
lascia margine per nessun altro rimedio che quello del regolamento necessario.
Con questo potrebbe concorrere il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 ult.
comma Cost. qualora si volesse censurare l’ordinanza — attesa la definitività e decisorietà della stessa — sotto il profilo della violazione di legge (29).
Diversamente, il ricorrente, dovrà, suo malgrado, accettare il giudice ritenuto competente dall’ordinanza presidenziale e magari eccepirne la incompetenza, atteso che ai
sensi dell’art. 44 c.p.c. la pronuncia sulla competenza nei casi di cui all’art. 28 c.p.c. non
è incontestabile.
(28)
Cass., sez. I, 16 aprile 1997, n. 3258, in Mass.
Foro it., 1997; Cass. 9 ottobre 1972, n. 2951, in Mass.
Foro it., 1972.
giurisprudenza di merito – n. 6 – 2010
(29)
MANDRIOLI, Corso di diritto processuale civile, cit., II, 277; MONTELEONE, Diritto processuale civile, cit. 665.
P. 1 5 5 3
giurisprudenza civile
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Ma, per lo stesso motivo testé indicato, potrebbe attendere l’estinzione del giudizio
senza riassumerlo e riproporre la domanda allo stesso tribunale del quale il presidente
si è dichiarato incompetente.
7. IL CRITERIO PRIORITARIO PER DETERMINARE LA COMPETENZA TERRITORIALE
Infine, un accenno alla dizione normativa «luogo dell’ultima residenza comune dei
coniugi» indicato dall’art. 706 c.p.c. quale criterio prioritario di determinazione della
competenza territoriale.
Non si registrano allo stato pronunce di legittimità.
La dottrina ha accolto tiepidamente e con qualche perplessità la scelta legislativa di
regredire il luogo di residenza o di domicilio del coniuge convenuto a criterio subordinato o successivo per la determinazione della competenza territoriale (30).
La l. 14 maggio 2005, n. 80, più volte citata, ha modificato sia l’art. 706 c.p.c. che l’art.
4 l. n. 898 del 1970 sul divorzio prevedendo per entrambi i procedimenti il medesimo
criterio per determinare la competenza territoriale.
La Corte costituzionale con sentenza 23 maggio 2008, n. 169 ha dichiarato la illegittimità costituzionale del summenzionato art. 4, limitatamente alle parole «del luogo
dell’ultima residenza comune dei coniugi ovvero, in mancanza», di conseguenza per
tale procedimento il criterio prioritario è ritornato ad essere il luogo di residenza o di
domicilio del coniuge convenuto.
Tornando alla disposizione dell’art. 706 c.p.c. vengono in rilievo le disposizioni
sostanziali di cui agli artt. 45 e 144 c.c.
La prima riguarda il domicilio dei coniugi e dei figli minori, la seconda la residenza
familiare come concordata dai coniugi.
A norma dell’art. 144 c.c. i coniugi fissano la residenza della famiglia secondo le
esigenze di entrambi e l’interesse preminente della famiglia stessa.
Secondo il combinato disposto degli artt. 43 e 45 c.c. sembra che la residenza
coincida con la dimora abituale della famiglia e il domicilio con il luogo della sede
principale degli affari o interessi di ciascun coniuge (31).
Ne consegue che la dimora abituale della famiglia non necessariamente coincide
con il domicilio di ciascun coniuge.
Che poi la residenza si identifichi con la dimora abituale della famiglia si evince dal
secondo comma dell’art. 45 c.c. laddove si dice che il minore ha il domicilio nel luogo di
residenza della famiglia, cosicché il domicilio del minore coincide con la residenza,
quindi, con la dimora abituale della famiglia stessa.
D’altronde il domicilio del minore non potrebbe essere diverso dal luogo di abitazione stabile della famiglia in considerazione dell’obbligo di questi, tranne situazioni
particolari e/o patologiche, di convivere con i genitori.
In definitiva, come affermato dalla giurisprudenza di merito, il luogo dell’ultima
(30)
SCARDULLA, «La separazione personale dei
coniugi ed il divorzio, cit., 749 ss.
(31)
Ampiamente v.: ESU, Il domicilio, la residen-
P. 1 5 5 4
za e la dimora, in Trattato Rescigno, I, Torino, 1982,
357 ss.
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residenza comune dei coniugi va identificato con il luogo dove i coniugi hanno fissato
la dimora abituale intesa come luogo di concreto svolgimento della vita familiare (32).
L’eventuale allontanamento di uno dei coniugi dall’abitazione familiare prima della presentazione del ricorso o comunque la diversità di residenza o di domicilio dei
coniugi per la separazione di fatto, precedente alla proposizione della domanda di
separazione, dovrebbe essere irrilevante in quanto — ai fini della scelta del tribunale
competente per territorio — si deve far riferimento all’ultima residenza comune.
L’inciso «ultima» contestualizza sul piano spazio-temporale il luogo di residenza
comune dei coniugi, sicché, come suddetto, la eventuale diversità di residenza o di
domicilio da parte dei coniugi è irrilevante se questi ultimi hanno avuto una residenza
comune sia pure risalente nel tempo rispetto al momento della proposizione della
domanda di separazione.
La scelta legislativa non solo ha voluto evitare che a seguito della rottura della
convivenza i coniugi si rincorressero a vicenda per il mutamento di residenza o di
domicilio riconducendo il sistema ad equità con la individuazione ne «l’ultima residenza comune» di un criterio spazio-temporale certo di determinazione della competenza
territoriale, ma, a mio giudizio, ha voluto altresı̀ creare un collegamento diretto tra il
giudice ed il luogo della dissoluzione familiare, inteso, tale luogo, come sinonimo di
ambiente con tutto il carico di significato che tale accezione comprende.
Il giudice del luogo dove la famiglia ha avuto un concreto svolgimento, una dimora
familiare, e dove si è verificata la crisi e la conseguente rottura della convivenza è
sicuramente quello che più di ogni altro può cogliere — sia nella fase della mediazione
iniziale con l’udienza presidenziale, sia in quella di merito con le statuizioni definitive
— le ragioni della crisi e dettare i provvedimenti più idoneamente opportuni nell’interesse della prole e dei coniugi.
Volendo semplificare il concetto si pensi ad una famiglia con dimora familiare in
una piccola città del Sud o del Centro che a seguito della intollerabilità della convivenza
uno dei coniugi si trasferisca in una città del Nord o viceversa. Il giudice naturalmente
competente a conoscere della separazione deve essere quello del luogo nel quale la
famiglia ha dimorato ed ha vissuto perché è in quest’ultimo luogo che la famiglia è
esistita ed è entrata in crisi e ne è venuta meno l’unità.
Per contro, nessun collegamento ci può essere tra il giudice del luogo di residenza
o di domicilio del coniuge convenuto ed il luogo in cui si è svolta la vita familiare che
coincide con il luogo della crisi della famiglia.
In sostanza, il giudice della separazione competente per territorio si è voluto che
fosse quello del luogo della convivenza familiare, ove essa è esistita e dove è insorta la
conseguente crisi della stessa.
Inteso in tal modo, il criterio prioritario di determinazione della competenza per
territorio di cui all’art. 706 c.p.c. traduce in termini materiali il principio del giudice
naturale di cui all’art. 25 Cost. e non merita le critiche o le perplessità della dottrina
addirittura auspicando l’intervento della Corte costituzionale nella stessa direzione
della declaratoria di parziale incostituzionalità dell’art. 4 l. n. 898 del 1970 (33).
(32)
Per tutti, v.: Trib. Bari, sez. I, 19 febbraio
2010, n. 626, in De Jure, 2010.
giurisprudenza di merito – n. 6 – 2010
(33)
SCARDULLA, La separazione personale dei coniugi ed il divorzio, cit., 753.
P. 1 5 5 5
giurisprudenza civile
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SEPARAZIONE DEI CONIUGI
A quest’ultimo proposito deve rilevarsi la totale diversità di fattispecie tra la determinazione della competenza territoriale in materia di separazione e di divorzio: la
prima è immediatamente successiva alla convivenza; la seconda segue ad una sentenza che ha sancito la separazione dei coniugi legittimandoli a vivere separati e di conseguenza a fissare dimora, residenza e domicilio del tutto diversi.
La sentenza del Giudice delle leggi è condivisibile perché in effetti dopo la separazione non ci può essere un’ultima residenza comune, né si può risalire a quella precedente al giudizio di separazione perché in questo caso si verrebbe a violare il principio
del giudice naturale ex art. 25 Cost.
È ovvio che la sentenza di separazione, ma ancor prima i provvedimenti presidenziali, determinano una situazione diversa rispetto alla precedente che non poteva
essere recuperata in sede di domanda di divorzio ai fini della determinazione della
competenza territoriale.
Non senza tralasciare, infine, che ai sensi dell’art. 146 c.c. la domanda di separazione costituisce giusta causa di allontanamento dalla residenza familiare.
Di qui la dichiarazione di parziale incostituzionalità dell’art. 4 l. n. 898 del 1970.
Per contro, come appena affermato, il criterio prioritario per determinare la competenza territoriale di cui all’art. 706 c.p.c., oltre ad essere pienamente conforme al
dettato costituzionale, agevola maggiormente ed in maniera paritaria i coniugi.
P. 1 5 5 6
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