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Storia e Futuro Rivista di storia e storiografia Percorsi di storia dei giovani Daniela Calanca Percorsi di storia dei giovani 2 1. Considerando come acquisizione storiografica ormai accertata che il susseguirsi delle generazioni è uno scontro tra fasce diverse, le quali tendono, da un lato, a difendere uno stile di vita, e dall’altro a rinnovare il bagaglio mentale ereditato, la più recente storiografia ha individuato nella ricerca della specifica autonomia assunta dalla dimensione giovanile, in età contemporanea, uno degli snodi cruciali per scrivere una storia, e storie, di giovani e del loro mondo. In particolare, cogliendo le capacità di interagire con tutte le variabili interpretative, recenti indagini hanno mostrato come i giovani siano stati rappresentati in relazione agli snodi generazionali e alle conseguenti trasformazioni culturali e sociologiche. E, nel contempo, come i giovani stessi abbiano interpretato alcuni passaggi chiave del Novecento. A metà strada, quindi, tra una storia scritta dagli adulti e per gli adulti, e viceversa una storia modellata sui giovani. In questa direzione, alcuni degli attuali percorsi di ricerca tentano di ricostruire, laddove è possibile, i diversi modi di essere e di vivere dei giovani, difficilmente riconducibili ad un’unica matrice interpretativa, e ciò perché non esiste una sola gioventù, ma ne esistono diverse. Inoltre, il considerare le molteplici differenze dei percorsi esistenziali individuali, le numerose variabili che concorrono a diversificare l’universo giovanile, quali, per esempio, la condizione sociale, culturale, territoriale e antropologica, nonché il fatto che tutte le gioventù sono connotate da una condizione di dipendenza parziale, in cui sia i confini che le rappresentazioni sono tracciati secondo l’azione del sistema sociale e secondo l’incidenza ideologica del momento, costituiscono di tali indagini in atto referenti particolarmente significativi per le diverse direttrici analitiche che proprio da esse si dipartono. In questa prospettiva, sono state sviluppate alcune tematiche volte ad indagare, per esempio, i rapporti tra i giovani e la famiglia nel Novecento, assumendo come punto di partenza l’ottica relazionale-culturale, ossia del legame figli-genitori, ponendo al centro del discorso la famiglia come metafora, simbolo culturale, terreno di confine tra pubblico e privato, così come viene codificata a partire dall’ideologia borghese ottocentesca. Nello specifico, i modi attraverso cui, per esempio, tra oppressione e ribellione, i giovani borghesi, maschi e femmine compresi, nel primo Novecento, prendono distanza da quell’investimento che i padri proiettano sui figli, tentando di assicurare alla propria classe un dominio sulla società. Sono modi che non pongono in discussione, detto in termini di storia della famiglia, la struttura in sé e per sé, ma il tipo di relazioni, i legami fra i suoi componenti, i ruoli e i valori sociali veicolati e perpetuati all’interno di essa. E, viceversa, detto in termini di storia dei giovani, sono modi che non si traducono, nella maggior parte dei casi, né in esplicita ribellione, né in consapevolezza di gruppo, di “classe”. I giovani criticano le norme sociali, considerandole responsabili della propria oppressione, attaccano i valori familiari, le regole dei padri, ma è un attacco che se sul versante pubblico, dopo l’esperienza della prima guerra mondiale, viene incanalato nel conformismo politico dei regimi dittatoriali, su quello privato non si traduce, per esempio, in abbandono del nucleo familiare. Al contrario, è stato calcolato per quanto riguarda l’ambito italiano che fino a 1928 l’età mediana in cui i maschi del ceto borghese terminano gli studi è di 19,2, quella del primo lavoro 23,0, quella dell’uscita di casa 28,4 e quella del matrimonio 30,2; mentre è solo nel periodo 1929-43 che l’età mediana della fine degli studi aumenta a 19,5, diminuisce quella del primo lavoro a 22,3, come quella dell’uscita da casa a 27,7, e pure l’età del matrimonio a 28,6. Per le femmine fino al 1928 l’età mediana della fine degli studi corrisponde a 14,1, e non lavorano, escono di casa a 24,5, e si sposano a un’età media di 25,6 anni. Per il periodo 1929-43 si alza l’età degli studi a 16,2, come pure si alza l’età dell’uscita da casa a 24,9 e quella del matrimonio a 25,7. Non solo. La riflessione sull’importanza delle molteplici variabili che concorrono a diversificare l’universo giovanile, all’incrocio con le ricerche relative al discorso pubblico della famiglia e sul suo ruolo politico, ha consentito di aprire specificamente spazi di indagine sulle forme di adesione e di dissenso che molti giovani popolari, e soprattutto dei ceti rurali, operano nei confronti, per esempio, delle componenti che il fascismo elabora in tema di Storia e Futuro – N° 7 – luglio 2005 – www.storiaefuturo.com Percorsi di storia dei giovani 3 gioventù. Pur non essendo ancora possibile fornire cifre attendibili e forme descrittive compiute, data la scarsità delle fonti dirette, e date le ricerche tuttora in corso, è lecito sostenere che, al di là del fatto che il programma educativo del regime raggiunge efficacemente i suoi scopi laddove si propaganda tra i più giovani e i meno giovani il culto del “Padre della famiglia Italia”, uno dei tratti fondanti dell’identità giovanile rurale e proletaria è costituito da un senso familiare particolarmente significativo. Ossia un senso comunitario che corre circolarmente sia in direzione interna al proprio nucleo di famiglia, sia in direzione esterna, collettiva. Ciò risulta particolarmente evidente se si considera la simultaneità, quale emerge dalle fonti, con cui viene vissuto il valore etico-pratico della condivisione generale: si divide tutto come in un’unica grande famiglia. E al riguardo si può rilevare come la grande famiglia sia concepita nei termini di unione relazionale, intessuta di rapporti forti dal punto di vista affettivo emozionale, oltre che materiale. In particolare, nei termini di “comunità allargata”, in cui figli e padri, legati da un destino comune, si legano ad altri figli e padri nel dare senso a questo stesso destino percepito come comune, e che si traduce in solidarietà di gruppo per il bisogno non solo materiale, ma anche affettivo. Allo stesso modo, è possibile rinvenire un tale senso comunitario di famiglia allargata anche nei giovani proletari che vivono in città, per i quali appare come dato identitario fondante il legame di forte solidarietà e fratellanza vissuta nella strada, nel quartiere. Luoghi questi di autopercezione esistenziale in quanto gruppo familiare, dove si svolge la vita autentica, separata volontariamente dal resto borghese e dal mondo urbano corrotto. Del resto, la stessa indicazione, pur in un contesto storico-culturale profondamente mutato, quale è quello degli anni Sessanta, è qualcosa di conforme con gli ideali che sottendono, per esempio, alla proposta progettuale della comune, così come viene concepita dai giovani, in particolare dai beat, quando incarnano la volontà di un’alternativa concreta all’essere/fare famiglia esistente, sia nella direzione pubblica, sia in quella privata. 2. Nello scorcio di tale prospettiva storiografica assumono un ruolo centrale i modi mediante i quali il punto di vista dei giovani sia finito per quasi essere sempre trascurato e/o trattato come elemento accessorio e marginale. Come la storia delle donne, dell’infanzia, dei marginali, la gioventù, quale fase e modalità dell’esistenza umana, è un periodo esistenziale prima discriminato dalle fonti storiche, e quindi pure dalla storiografia. In questo senso, appare significativo, per esempio, come la gioventù operaia, più rappresentata che descritta, appaia rappresentata nelle immagini fotografiche del lavoro industriale tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni dell’Ottocento. Sono immagini che se da un lato documentano l’evoluzione dei mezzi di produzione, dall’altro testimoniano la pratica discorsiva ideologica del codice familiare borghese. Sotto questo profilo, la sproporzione che emerge tra l’ampiezza di spazio occupata, in genere, dal macchinario fotografato e la ristrettezza occupata dall’operaio e dal gruppo in posa accanto, veicolano, tra l’altro, il trionfo e la celebrazione del progresso tecnologico sostenuta dal mondo borghese e l’indiscussa inferiorità del lavoratore-operaio. Non solo. Si può dire che sia pure presente un’ideologia visiva che veicola messaggi rassicurativi in senso gerarchico, laddove i padroni o chi per loro si fanno riprendere seduti, mentre gli operai sono in fila in piedi, un chiaro continuum ideologico con le rappresentazioni dei ruoli gerarchici familiari propriamente individuali. In tali rappresentazioni della gioventù operaia si rinvengono i segni dei timori collettivi, e si mostra invece che sono “piccoli” giovani che possono essere tenuti sotto controllo. Del resto, quello dei segni di timori collettivi e di una loro rappresentazione rassicurante da parte degli adulti è una delle costanti che si annida nel rapporto con i giovani. Si consideri, a titolo esemplificativo, come viene rappresentato il filosofo Herbert Marcuse (1898-1979), quando rilascia la prima intervista a un settimanale d’Europa, l’italiano “Il Tempo”, pubblicata ivi nel n. 27 del 2 luglio 1968. Riconosciuto, nonché definito, come “il filosofo della contestazione Storia e Futuro – N° 7 – luglio 2005 – www.storiaefuturo.com Percorsi di storia dei giovani 4 globale, il pensatore che ha suscitato l’entusiasmo dei giovani di tutti i Paesi”, la “conquista dei giovani” da parte del filosofo berlinese viene fatta passare attraverso il romantico atteggiamento del filosofo verso la vita, ossia “nel suo rimanere un adolescente oltre ogni traguardo anagrafico e nell’affermare il diritto di esserlo per ciascuno. L’improvvisa e per molti inaspettata fortuna della sua dottrina sta dunque in questo, e non nei programmi rivoluzionari che non ha […]”. La prova di ciò, viene fatto rilevare, è visitare il campus universitario di La Jolla a San Diego e incontrare i “marcusiani”. Costoro, al contrario di quanto ci si aspetterebbe, osserva il giornalista, non sono in alcun modo una consorteria, un’associazione, una lega, un movimento organizzato, e non si distinguono per il modo di vestire o per quello di vivere, tanto meno per il modo di comportarsi o per una qualunque forma di fanatismo o di eccentricità. Sono giovani tranquilli. In tal senso, se si domanda loro il motivo per cui frequentano le lezioni del filosofo berlinese: “danno la risposta più ovvia, direi più banalmente e onestamente scolastica, ma anche più persuasiva, che si possa dare: ‘Perché Marcuse è un buon professore’”. La contestazione globale, dunque, di cui tanto si è parlato, in questi momenti di universale agitazione dei giovani, considerata nell’ottica marcusiana, “non è altro, al limite del suo contenuto, in un’ultima, ma non vuota, semplificazione, che una contestazione contro il dolore inutile, evitabile, superfluo di cui è pieno il mondo”. Il tono rassicurativo e rassicurante della rappresentazione, agìta simultaneamente sia sul versante del filosofo, circoscritto nell’immagine del buon professore, sia su quello dei giovani studenti, raggiunge l’estrema caratterizzazione laddove allo stessa immagine del buon professore, viene associata una fisionomia ben più incisiva e significativa nell’immaginario collettivo, ossia quella del maestro, concepito nel senso più tradizionale del termine: “Chi è dunque, e come è, Herbert Marcuse visto da vicino e visto nel suo ambiente di uomo e di insegnante? Credo di averlo detto: a me è apparso non diverso da quello che potevo immaginare leggendo i suoi libri. Un pensatore vigoroso e un uomo semplice e serio: ‘un buon professore”, come ripetono i suoi allievi. Ma non vorrei essere frainteso. Non vorrei con questo aver dato un’immagine falsata sia del filosofo che del personaggio. Non vorrei averlo presentato come un “Herr Professor’ di fattura convenzionale […]. Non è così. […] è un maestro. Lo è nel senso più tradizionale e forse anche filologicamente più esatto della parola. […] è un uomo tranquillo, un uomo pacifico: un uomo, a suo modo, sereno; soprattutto un uomo ben lieto di vivere e di vivere nel suo tempo. Vi è solo una cosa da dire per togliere a questa immagine ogni ombra e ogni sospetto di convenzionalità, per ridarle tutta la carica che le appartiene: anche Socrate lo era”. 3. Indagini sulle rappresentazioni da un lato, e sulle autorappresentazioni dall’altro è, dunque, quanto oggi orienta maggiormente alcune delle attuali tendenze di ricerche di storia dei giovani. Dalle rappresentazioni elaborate dagli adulti e dalle circostante strutturate, il fuoco della ricerca viene puntato sempre di più sulle autorappresentazioni dei giovani, e sui processi di identificazione individuale e collettiva. In tali tendenze in atto viene ad assumere un ruolo particolarmente significativo lo studio delle modalità di autopercezione identitaria. A tale riguardo, un percorso di ricerca in atto è quello che indaga i principali luoghi, sentimenti e affetti, dell’immaginario giovanile negli anni Sessanta, quando, per esempio, il senso del gruppo spontaneo costituisce già, per dirlo in termini foucoultiani, una piattaforma enunciativa che trascende lo status del semplice tòpos letterario. Sono relazioni di gruppo molto intime, quelle che vengono intrecciate, la cui novità è il senso della forza di essere insieme, come un fiume in piena, che svuota i vecchi rapporti, e costringe a mettersi in discussione, ponendo in modo radicalmente nuovo il problema dell’autodeterminazione, del senso del sé. Del resto, è quanto emerge dalle immagini fotografiche di quegli anni, che tutte riproducono situazioni di collettività, di folla, di mescolanza. In quel momento tutti sono convinti che possono prendere la parola, dallo studente disoccupato senza casa, Storia e Futuro – N° 7 – luglio 2005 – www.storiaefuturo.com Percorsi di storia dei giovani 5 dall’impiegato alla casalinga. In questo senso, come elemento del paesaggio il Sessantotto è una manifestazione della molteplicità: la stessa rinuncia a qualificarsi quando si parla in proprio, l’uso del nome di battesimo e non del cognome, sottolineano che anche quando parla uno sta parlando per tutti. Il dato di costume più evidente, di cui si prende coscienza in quel momento, è questo emergere di aggregati collettivi, nella sfilata, nell’accampamento notturno nei corridoi delle scuole, nello stesso modo di vivere il sesso. È un fatto assolutamente nuovo. Allo stesso modo, anche per i giovani “altri”, ossia quelli che non hanno fatto il Sessantotto si può individuare come fondante l’esperienza del processo identitario legato al gruppo dei pari. È quanto emerge da un percorso di ricerca tuttora in atto che, indagando specificamente come i giovani in quegli stessi anni si autorappresentano nelle immagini fotografiche, concentra l’attenzione sull’aspetto dell’amicizia tra coetanei, quale categoria fondante nel processo di formazione di identità giovanile. Del resto, negli studi sociologici sui giovani è ormai un dato acquisito la necessità di assumere una prospettiva “relazionale”. Tale prospettiva, infatti, permette, per esempio, da un lato di rispondere con chiarezza all’interrogativo circa la natura della relazione amicale, e dall’altro di giungere a una definizione di amicizia, che supera il riferimento ad una realtà metastrutturale, traducendosi in sentimento compartecipante e, allo stesso tempo, compartecipativo. In questa ottica, uno degli aspetti basilari che esprime la rappresentazione iconografica dell’amicizia tra i giovani è costituito dal mostrarsi, nella maggior parte dei casi, in contatto fisico, mediante gli abbracci e il darsi la mano, ossia mediante pose e gesti unificanti e, simultaneamente, unificati. E ciò sia nel gruppo formato da soli maschi e/o da sole femmine, sia nei gruppi misti. 4. Se, in definitiva, concetti come per esempio “epoca giovane”, “rivolta giovanile”, “generazione ribelle”, possono risultare ambigui e strumentali da un punto di vista storiografico, pur essendo innegabile che ogni epoca può dirsi caratterizzata da motivazioni giovanili che aspirano a una rottura con il passato, nell’attuale panorama storiografico si accentuano sempre più percorsi che pongono in primo piano l’individuazione di ciò che persiste e di ciò che muta nelle identità giovanili. In tal senso, un tema di grande interesse, a titolo esemplificativo, è quello che indaga il linguaggio con il quale si esprimono i giovani negli anni Cinquanta e Sessanta, quando la società si vede sempre più definita da connotati culturali misti, laddove è proprio la mescolanza di questi tratti culturali che definisce le basi per la costruzione dell’identità dei giovani che si formano in questi anni, e in quelli successivi. Ed è su questi tratti culturali misti, tra persistenza e mutamento che si snoda, all’interno di un progetto di ricerca sulle culture e costumi giovanili nel Ventesimo Secolo, un percorso, tuttora in corso, sui giovani che negli anni Sessanta, sotto l’influsso della modernizzazione, ma privi di tensione politica, e ancora poco secolarizzati, tradizionali nelle scelte musicali, pur dentro nelle mitologie di massa, riflettono quella grande rottura con il passato che conosce la società italiana in pochissimi anni, nel modo di produrre, consumare, di sognare, di vivere il presente e di progettare il futuro. A tale percorso di ricerca è sottesa la considerazione secondo la quale «i cambiamenti sono sempre ‘relativi’ e giocati (più o meno consapevolmente) sulle successioni generazionali, che, pur rinnovando di volta in volta abiti mentali e disposizioni psicologiche, nello stesso tempo conservano – o sono costrette a conservare – più di quanto gli eventi e le trasformazioni strutturali o anche ideologiche non lascino intendere ad una visione superficiale delle cose e della storia» (Pela, Sorcinelli, 1999, p. X). Di fatto, gli anni del boom economico e, in particolare, gli anni del “miracolo italiano”, 1958-1963, sono caratterizzati, oltre che da evidenti contrasti, da una peculiare intersezione fra mutamento dei costumi e persistenza di alcune mentalità da tempo consolidate in strutture e comportamenti. In questo senso, se la grande abbuffata, il frigorifero, la lavatrice, la televisione, la vespa, i dischi, assieme alla “Cinquecento” e alla “Seicento” e, non da ultimo, la spiaggia affollata sono alcuni tra i simboli più rappresentativi del “miracolo italiano”, le Storia e Futuro – N° 7 – luglio 2005 – www.storiaefuturo.com Percorsi di storia dei giovani 6 lettere che migliaia di fans giovanissimi e giovani, maschi e femmine compresi, scrivono per esempio a Gigliola Cinquetti, subito dopo la sua vittoria al Festival di San Remo nel 1964 con la canzone Non ho l’età per amarti, mostrano non tanto e solo un’ Italia di giovani che si identificano con un modello di vita, e viceversa con una vita modello a cui ispirarsi, quale la cantante stessa riflette, quanto e soprattutto un incrocio peculiare tra persistenza e mutamento. E ciò in quanto lei stessa rappresenta, tra l’altro, un nuovo modo di essere ragazza/donna, di essere cioè una giovane diva, pur incarnando valori tradizionali. In questa direzione, è un filo sottile, di fatto, quello che lega il processo di identificazione con la diva stessa e il sogno di “fare la cantante”, un sogno collettivo, un desiderio socializzato che cresce all’interno del miracolo economico, all’interno delle grandi trasformazioni culturali in atto in quel momento. Così scrive, per esempio, Rita da Paola il 23 febbraio 1964: «Cara Cinguetta io sono una della tua grande amiratrice perché io tio sempre amata e sempre ti amo perche io cio intenzioni di mifare o cantanta o puro ballerina io citengo assai (…)» (Archivio Gigliola Cinquetti, Museo storico in Trento). Come pure un filo sottile lega la presunta somiglianza fisica e spirituale con la cantante e il desiderio di intraprendere la carriera cinematografica, come afferma una studentessa sedicenne che scrive da Messina l’8 febbraio 1966: «Ti somiglio stranamente, tanto che sia a scuola che in strada mi chiamano tutti Gigliola. Non so se mi somigli anche spiritualmente. Ho tanta passione per l’arte ma non so se avrò quel tantino di fortuna che occorre per farsi strada nella vita. Non dico di contare sul tuo aiuto, perché non so se ne hai l’intenzione. Mia idea sarebbe intraprendere la carriera cinematografica come tua sosia» (Ibidem) . Ma chi sono queste ragazze e questi ragazzi? Pur non essendo possibile fornire un identikit esauriente data la ricerca tuttora in corso, si può sostenere da una prima indagine compiuta su un campione di 2300 lettere di diversa provenienza geografica, scritte tra 1964 e il 1967, che, per esempio, la dimensione del desiderio, del sogno di realizzare se stessi, come singoli individui, sia uno dei tratti principali di quei giovani. E ciò in quanto loro stessi si individuano primariamente, come emerge nelle lettere, nella maggior parte dei casi descrivendo un ritratto di sé che contempla: il nome, l’età, la professione, se studente il tipo di scuola frequentata, oltre a narrare autobiograficamente buona parte della propria vita. Rispetto a ciò, è plausibile affermare che si tratti di uno stato psicologico singolo, la cui fisionomia assume però caratteri collettivi. Non solo. Contemporaneamente allo sviluppo di tale primo livello di indagine, nella ricerca in questione, ci si sta muovendo, tra le altre, nella direzione che tenta di verificare, per esempio, in che modo si incrociano alcune parole chiave che ricorrono costantemente a proposito del fenomeno “Gigliola Cinquetti” sia nel linguaggio giovanile sia nel linguaggio degli adulti. In questa direzione, espressioni quali simpatia, semplicità, amicizia, affetto, bene, per esempio, e i corrispettivi simpatica, amica, semplice, concorrono trasversalmente a delineare un quadro della società e dei costumi di quegli anni dai confini, tra giovani e adulti, tutt’altro che definibili con chiarezza. E, in tal senso, una tra le domande principali che si impone, per esempio, è: fino a che punto quei giovani erano consapevoli di essere tali? E se lo erano, sulla base di chi e di cosa lo erano? Non solo. “Gigliola Cinquetti” rappresenta, tra persistenza e mutamento, una mediazione culturale, un compromesso ben legittimato dal punto di vista degli adulti, al contempo ben accettato da una larga fascia di giovani, e dunque in che modo la sua immagine può dirsi per quei giovani motore concreto di sogni, desideri, speranze, sentimenti e affetti? Viceversa, cosa significa e in che modo tale immagine viene vissuta dai fans come comune struttura di riferimento verso cui ideali e realtà, valori ed esistenza organicamente convergono? In questo quadro problematico, seppure tratteggiato in modo tutt’altro che esaustivo, si fa largo una storia dei giovani tutta ancora da scrivere. E l’immagine che ci viene consegnata di tale storia ancora da scrivere è quella oltremodo suggestiva di una tredicenne che scrive da Matera il 14 aprile 1967: «Mi piaci molto, tu sei la mia cantante preferita fra tutte le altre […], sei bella ed io, sai, Storia e Futuro – N° 7 – luglio 2005 – www.storiaefuturo.com Percorsi di storia dei giovani 7 ti voglio tanto bene, un bene affettuoso. Ogni volta che ti vedo in televisione, vorrei essere con te, a cantare le belle canzoni che hai lanciato» (Ibidem). Storia e Futuro – N° 7 – luglio 2005 – www.storiaefuturo.com Percorsi di storia dei giovani 8 Bibliografia Antonelli Q. 2005 Nono seminario dell’Archivio della scrittura popolare (autunno 2005) “A partire dall’archivio Gigliola Cinguetti”. Appunti, riflessioni e materiali (doc. 2), in http://www.museostorico.tn.it/asp/approfondimenti.htm Attias-Donfut C. 1988 Sociologie des générations. L’empreinte du temps, Paris, Puf. Barbagli M. et al. 2003 Fare famiglia in Italia. Un secolo di cambiamenti, Bologna, Il Mulino. Braidotti R. et al. 2003 Baby Boomers, Firenze, Giunti. Calanca D. 2003 2004 Simboli e vesti nell’Italia del boom economico, www.storiaefuturo.com, n. 3, febbraio. Legami. Relazioni familiari nel Novecento, Bologna, Bononia University Press. Canevacci M. et al. 1993 Ragazzi senza tempo. Immagini, musica, conflitti delle culture giovanili, Genova, Costa &Nolan. Capuzzo P. (a cura di) 2003 Genere, generazioni e consumi. L’Italia degli anni Sessanta, Roma, Carocci. 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