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Innovazione tramite mediazione: Sebastiano Serlio e Francesco Primaticcio alla corte di Francia negli anni Quaranta Sabine Frommel S ebastiano Serlio (1490 ca.-1554) e Francesco Primaticcio (1504-1570) dettero un fondamentale contributo al rinnovamento del linguaggio artistico in Francia, a tal punto che senza la loro presenza l’arte avrebbe diicilmente raggiunto cosi rapidamente un primo classicismo.1 Fondate su una itta rete di eventi e di contatti, le motivazioni e le condizioni di questo fenomeno di migrazione artistica sono complesse. Un terreno favorevole era costituito dagli stretti contatti che i Bentivoglio, la famiglia governante nel capoluogo emiliano, intratteneva con la Francia in dal Quattrocento. nel dicembre 1515 l’incontro tra Francesco I e Leone X rinforzò i legami del giovanissimo sovrano con la città felsinea e la sua cultura.2 Probabilmente anche Ippolito d’Este, trasferitosi dal 1536 in Francia, fu un vettore di questi dinamismi e potrebbe aver suggerito l’invito di Serlio alla corte di Fontainebleau. nel 1537 suo fratello Ercole aveva sostenuto la pubblicazione del primo libro del trattato del bolognese, il Quarto libro hercole II. […] che non si sdegni s’io ho ardtr’ di farmi quale io mi sia con l’opere mie suo & ad accettare queste mie fatiche sotto il ricetto de la sua benignità, come quella mansuetudine, che alla moltissima virtu del animo vostro si conviene, & per aitar il picciol mio lume, & farlo chiaro col vostro sole…3 Francesco I non vide mai Firenze e Roma, ciò sarebbe stato fondamentale per la passione per l’arte antica (J. Cox-Rearick, Chefs d’œuvre de la Renaissance. La collection de François Ier, Anversa, 1995, p. 72). 3 Allo illustrissimo et excellentissimo, Signore, il Signor Hercole. II. Duca IIII di Ferrara. Sebastiano Serlio da Bologna (Quarto Libro, 1537, IIII). 2 S. Frommel, Sebastiano Serlio architetto, Milano, Electa 1998 (ed. fr. Sebastiano Serlio architecte de la Renaissance, Parigi, Gallimard 2002, e Sebastiano Serlio architect, Milano, Phaidon 2003; S. Frommel (a cura di), Francesco Primaticcio architetto, con la collaborazione di F. Bardati, Milano, Electa 2005 (ed. fr. Primatice architect, Parigi, Picard 2010). 1 Sabine Frommel Prima del 1534, dal tempo di Alfonso, Serlio aveva visitato il palazzo di Ferrara, forse durante il trasferimento a Venezia nel 1527.4 non sappiamo invece quando iniziarono i contatti tra Ippolito d’Este e Francesco Primaticcio ma sarebbe sorprendente se non ci fosse stato uno scambio tra di loro a Roma nella primavera del 1540, quando il prelato ricevette il suo cappello cardinalizio e l’artista stava cercando opere d’arte per la collezione di Francesco I.5 In questo momento essi avrebbero potuto decidere di dare la priorità alle sculture antiche che mancavano ancora nella collezione reale.6 Tramite Benvenuto Cellini, Ippolito ordinò una copia bronzea del famoso Spinario, meravigliosa testimonianza dell’arte scultorea del I secolo a.C.,7 mentre Primaticcio copiò in gesso cinque statue marmoree della collezione del papa nella villa del Belvedere, tra le quali anche il famoso Laocoonte e due satiri di Palazzo della Valle.8 Tra la primavera del 1541 e il 1543 l’artista le fece poi colare in bronzo a Fontainebleau da Jacopo Barozzi da Vignola, emiliano anche lui, accrescendo notevolmente il valore della collezione.9 Per la progettazione e la decorazione delle sue dimore, il Grand Ferrare a Fontainebleau e nell’abbazia di Chaalis, Ippolito dette la responsabilità ai suoi compatrioti, almeno per le scelte estetiche (ig. 2). Del gruppo degli emiliani fece parte l’intagliatore Scibec da Carpi che attuò nel Grand Ferrare meravigliosi soitti a cassettoni, boiseries e mobili, collaborando strettamente con Serlio, che ne fu l’architetto.10 I tre maestri erano tutti al servizio del re ma, mentre Primaticcio e Scibec riuscirono a sviluppare ampiamente le loro attività, Sebastiano cercò invano di convincere il sovrano dei suoi ambiziosi progetti architettonici. La perfetta sintonia con la quale collaborò apparentemente l’équipe emiliana fu turbata dalle aspre polemiche di Benvenuto Cellini, che 4 Et questo vidi io molti anni sono aver fatto fare il ducca Alfonso da Este in Ferrara in alcuni appartamenti del suo palazzo, lo ingegno et sapere del quale non ebbe pari a’ giorni suoi (Sesto Libro, ms. Monaco, cit., p. 74r). 5 Il 13 febbraio Primaticcio è stato pagato per questo viaggio (J. Cox-Rearick, Chefs d’œuvre de la Renaissance, cit., p. 325), E. Miller, Une charte concernante le Primatice, «Gazette des Beaux Arts» 1860, 8, pp. 212-213, per il testo completo si veda Catalogue des Actes, 1887-1908, IV, p. 82, n. 11374; G. Bapst, Voyage de Primatice en Italie pour le compte de François Ier, «nouvelles Archives de l’Art Français» 1888, 4, pp. 1-2. Il sovrano fu famoso per il suo giudizio rainato, sottolineato dall’ambasciatore veneziano Cavalli: «Il giudizio di questo principe è bellissimo; il sapere è grandissimo […]. non solo della guerra, […] ma anche della caccia, di pittura, di lettere d’ogni sorte, e delle lingue (M.n. Tommaseo, Relations des ambassadeurs vénitiens sur les afaires de France, Parigi, 1838, vol. I, p. 278). 6 Gia durante l’incontro con Leone X a Bologna nel 1515 Francesco I aveva chiesto al papa il Laocoonte. 7 J. Cox-Rearick, Chefs d’œuvre de la Renaissance, cit., pp. 83 e 323. 166 Sull’elenco delle copie si veda ibidem, pp. 225-335. J. Cox-Rearick, Chefs d’œuvre de la Renaissance, cit., p. 335 e F. Bardati, Les bronzes de Fontainebleau et la sculpture française contemporaine, «Gazette des Beaux-Arts» 2000, n. 136, pp. 159168. Sorprende che Benvenuto Cellini, dopo aver accompagnato il cardinale di nuovo in Francia nel 1540, non sia stato incaricato di tale compito, dato che egli dispose di straordinarie competenze in questo campo. L’artista si riiutò addirittura di utilizzare la fonderia di Fontainebleau per le sue opere, chiedendo un suo proprio atelier a Parigi. Convinto della sua capacità di creare propri paradigmi, il iorentino si senti ovviamente superiore a tale impegno tecnico, anche se fu di altissimo livello. Si veda anche C. Occhipinti, Primaticcio e l’arte di gettare le statue di bronzo, Roma, Universitalia 2010. 10 S. Frommel, Sebastiano Serlio architetto, cit., p. 232; si veda anche C. Occhipinti, Francesco Scibec da Carpi, maestro intagliatore alla corte di Fontainebleau, in M. Rossi (a cura di), Alberto III e Rodolfo Pio da Carpi, Udine, Arti Graiche Friulane 2004, pp. 278-295. 8 9 Innovazione tramite mediazione Ippolito aveva ugualmente preso sotto la sua protezione, e che aprirono un abisso tra emiliani e toscani.11 Le sue opere tuttavia – il rilievo bronzeo della ninfa della Porte Dorée e la famosa saliera – tradiscono impulsi artistici del tutto simili a quelli degli emiliani. nonostante alcune analogie, Serlio e Primaticcio vissero dal punto di vista sociale situazioni molto diverse: il primo dovette rinunciare a riconoscimenti, mentre il secondo era un perfetto cortigiano, godendo della protezione del re e della sua favorita Madame d’Etampes, che lo colmarono di privilegi e commissioni d’eccezione.12 Dopo scarsi incarichi in Italia, la carriera di Serlio architetto, dalla sua nomina in Francia alla morte nel 1554, comprese un gruppo abbastanza discreto di progetti e realizzazioni, mentre Francesco concepì già dagli anni Quaranta le prime invenzioni architettoniche che inaugurano uno straordinario percorso destinato a culminare negli anni Sessanta nella ristrutturazione della cour de la Fontaine a Fontainebleau e nel mausoleo dei Valois13 (ig. 13c). I due maestri proposero linguaggi che avevano sviluppato in contatto con diverse tradizioni italiane, soprattutto a Roma, a Manto- va e a Venezia.14 Anche se Serlio era almeno più di dieci anni più grande di Primaticcio, i loro riferimenti erano simili e si poggiavano sui linguaggi del Primo Cinquecento come fonte essenziale. nonostante tale atteggiamento pan-culturale, ambedue erano ieri delle proprie origini, a tal punto che Primaticcio irmò le sue opere con il nome “Bologna”. Formati in un ambiente culturale che per tradizione si manifesta come un crocevia, Serlio e Primaticcio avevano subito l’inlusso di artisti che si erano fermati per brevi soggiorni nella città natia, prima di tutto Baldassarre Peruzzi, ospite del conte Giovan Battista Bentivoglio fra il luglio 1522 e l’aprile 1523.15 né l’uno né l’altro si servirono in modo categorico di regole o di nomenclature, ma risposero ai programmi dei committenti, francesi e italiani, e ad alcune speciicità topograiche. Per apprezzare tale straordinaria capacità di assimilazione, basta ricordare gli ediici di Serlio a Ancy-le-Franc e a Fontainebleau, oppure i soitti a cassettoni di Scibec da Carpi al castello di Beauregard, nella sala da ballo di Fontainebleau e nell’appartamento di Enrico II al Louvre16 (igg. 1a-1b, 2). Con apparente facilità gli emiliani riuscirono a creare sintesi tra modelli transalpini e tradizione locale e ad amalgamare con abilità diversi parametri. Su Benvenuto Cellini alla corte di Francia si veda B. Jestaz, Benvenuto Cellini et la cour de France (1540-1545), in Id. (a cura di), Art et Artistes en France de la Renaissance à la Révolution, «Bibliothéque de l’Ecole des chartes» 2003, t. 161, pp. 71-132; C. Occhipinti, Primaticcio e l’arte di gettare le statue di bronzo, cit. 12 Sulle origini sociali di Sebastiano Serlio si veda S. Frommel, Sebastiano Serlio architetto, cit., p. 13; su quelle di Francesco Primaticcio, D. Cordellier, Vita di Primaticcio, in Francesco Primaticcio architetto, cit., pp. 20-31 e R. Tuttle, Osservazioni sui primi anni di Primaticcio a Bologna, nello stesso volume, pp. 56-65. 13 S. Frommel, Primaticcio architetto in Francia, cit., pp. 74193. A. Belluzzi, Primaticcio alla corte di Federico Gonzaga, in Francesco Primaticcio architetto, cit., pp. 66-73. 15 Tramite Sebastiano, che doveva diventare in questa occasione suo allievo, alcuni disegni del senese potrebbero essere arrivati in Francia per servire poi da fonte di ispirazione. 16 C. Occhipinti, Francesco Scibec da Carpi, maestro intagliatore alla corte di Fontainebleau, in Alberto III e Rodolfo Pio da Carpi, cit., pp. 278-295; J. Guillaume, Le plafond en France: la réaction aux modèles italiens au XVIè au XVIIIè siècle, in L. Giordano (a cura di), Soitti lignei, Pisa, Edizioni ETS 2005, pp. 177-188; si veda anche S. Frommel, Plafonds à caissons de Sebastiano Serlio et de Pierre Lescot, in preparazione. Il genio dei bolognesi emigrati 11 14 167 Sabine Frommel a Tale qualità rimanda alla formazione bolognese di Serlio e di Primaticcio, nel periodo compreso tra la ine del Quattrocento e gli anni Venti del Cinquecento. Essi ebbero sicuramente contatti con l’importante milieu dell’università, la più vecchia in Europa, che ofrì un universo straordinario di saperi, di metodi e di esperienze,17 convergendo in approcci interdisciplinari che fecero dialogare i diversi campi intellettuali, tecnici e artistici. La famosa scuola del diritto utilizzò commentari in forma di glosse, aggiunti sui margini dei testi che, concepiti in un linguaggio conciso e corredato da immagini, stabilirono uno stretto ed eicace rapporto tra parola e disegno. L’arte del trattato che iorì a Bologna durante il rinascimento, culminando nei libri di architettura di Serlio e nella Regola di Vignola, beneiciò di tali metodi. “Bologna” elaborò una straordinaria cultura dell’immagine che mirò, b oltre che a valori estetici, ad una difusione e codiicazione; e che trovò un’espressione notevole nel campo dell’incisione.18 Ulisse Aldrovandi, naturalista, botanico ed entomologo, costituisce uno straordinario esempio della contaminazione tra diverse discipline: egli fece illustrare le sue tavole da artisti come Cornelio Schwindt e Cristoforo Coriolano che portarono a Bologna alcune tecniche del nord.19 Basato su di un’ampia visione dell’uomo e della sua attività, l’insegnamento dell’Alma Mater Studiorum interessò addirittura le maniere sociali degli allievi e l’eleganza dello stile di vita, permettendo loro di muoversi con disinvoltura sulle scene delle più importanti corti internazionali. Artisti ambiziosi parteciparono alle attività di Accademie: istituzioni che coltivarono una conoscenza approfon18 Si veda infra, il saggio di G.M. Anselmi, Rinascimento e Rinascimenti: un percorso per la modernità, pp. 15-23. 17 168 1. Sebastiano Serlio, Castello di Ancy-le-Franc; a) facciata esterna; b) facciata del cortile. Ibidem. Si veda infra, il saggio di G. Olmi, Bologna nel secolo XVI: una capitale europea della ricerca naturalistica, pp. 55-74. 19 Innovazione tramite mediazione dita del patrimonio dell’antico e della cultura umanistica, proteggendo le testimonianze e deinendo anche riferimenti e categorie per l’arte contemporanea.20 Jacopo Barozzi, prima di partire per la Francia, era stato incaricato dall’Accademia Vitruviana di efettuare a Roma rilievi di opere antiche. Promossa da Claudio Tolomei appoggiata da cardinali eruditi come Ippolito de’ Medici e Marcello Cervini, questa istituzione afrontò il dibattito della “questione vitruviana”, e cioè la ri-appropriazione della cultura antica in tutte le sue espressioni, come grande iniziativa collettiva.21 A Bologna, Serlio e Vignola ebbero contatti con Achille Bocchi, storico, ilosofo e professore universitario, fondatore della famosa Accademia Hermathema, la cui specialità fu l’arte degli emblemi, delle imprese, dei motti ino all’iconograia delle forme architettoniche.22 Sebastiano, alla ine del suo Terzo Libro sui monumenti dell’antico, cita Bocchi come un conoscitore dell’antico: «et in Bologna il cavalier Bocchi […] & altri, i quali con la irreprensibil dottrina di Vitruvio, e con la sana esperienza mi difenderanno». Il palazzo che l’umanista fece costruire nel 1545 come sede della sua accademia rimane però lontano da questo ideale. La facciata si ispira a Palazzo naselli-Crispi a Ferrara, lodato da Serlio nel suo Quarto Libro,23 ed è corredato da Si veda infra, il saggio di G.M. Anselmi, cit. H. Günther, Gli studi antiquari per l’Accademia della Virtù, in R. Tuttle, B. Adorni, C.L. Frommel, C. hoenes (a cura di), Jacopo Barozzi da Vignola, Milano, 2002, pp. 126-128. 22 Si veda infra, il saggio di Ilaria Bianchi, Le “Symbolicae Quaestiones” di Achille Bocchi tra Bologna e l’Europa, pp. 395-407. Si veda anche M. Tafuri, Venezia e il Rinascimento, Torino, Einaudi 1985, pp. 97-101; R. Tuttle, Sebastiano Serlio bolognese, in Piazza Maggiore. Studi su Bologna nel Cinquecento, Venezia, Marsilio 2001, pp. 101-102; Id., Palazzo Bocchi in R. Tuttle, B. Adorni, C.L. Frommel, C. hoenes (a cura di), Jacopo Barozzi da Vignola, Milano, Electa 2002, p. 149. 23 Messer Julian Nasello al quale ha voluto che si veda imparte 20 21 tanti elementi provenienti dal lessico serliano.24 Se Vignola fosse veramente l’architetto, come lo vuole il suo biografo Egnazio Danti, egli avrebbe associato citazioni ed eventuali suggerimenti di Sebastiano con idee del committente.25 In Francia, dopo l’instaurazione del Collège de France nel 1530 sotto la tutela di Guillaume Budé, maître de librairie, gli studi dell’antico e della cultura dell’umanesimo si intensiicarono notevolmente. Appassionato dall’arte italiana, Francesco I dovette apprezzare il vasto proilo dei bolognesi e la loro aura di profonda istruzione, che, oltre ad esprimersi in opere d’arte, dovette alzare il livello del dibattito nell’ambito artistico, ancora troppo legato a categorie tecniche e pratiche. All’inizio degli anni Quaranta il va et vient di concetti e di idee tra la Francia e l’Italia, entrò in una fase sempre più prodigiosa, con una nuova collaborazione di Primaticcio e Vignola a Roma nel 1545 per il proseguimento delle copie delle statue antiche della collezione papale. Tale scambio esercitò un inlusso notevole sulla metamorfosi dei linguaggi artistici francesi. I bolognesi innovano: dal canone di Serlio all’opera ibrida di Primaticcio Oltre alla sua funzione di “paintre e architecteur ordinaire”, dal 1541 in poi Serlio assunse anche tramite il suo trattato un ruolo notevole per la difusione dell’architettura italiana. Con un intervallo di soli tre anni, al Quarto Libro (1537) quanto sia grande il suo concetto ne l’Architettura, con una sua fabbrica, ordinata in cotesta Citta di Ferrara, con grande testimonio de la sua multa scientia (Quarto Libro, 1537); si veda anche C.L. Frommel, Vignola architetto del potere. Gli esordi e le ville nell’Italia centrale, in Jacopo Barozzi da Vignola, cit., p. 43, dove manca il riferimento del Quarto Libro di Serlio. 24 Vedi R. Tuttle, Palazzo Bocchi, in Jacopo Barozzi da Vignola, cit., p. 150. 25 M. Tafuri, Venezia e il Rinascimento, cit., pp. 110-101. 169 Sabine Frommel sui cinque ordini architettonici – un catalogo sistematico con dettagli ed esempi di facciate accompagnati da brevi didascalie – seguì il Terzo sui monumenti dell’antico, dedicato al re di Francia.26 nel Quarto Libro Sebastiano cita i cantieri e i progetti più notevoli degli anni Trenta, quelli di Antonio da Sangallo sotto Paolo III, di Gerolamo Genga alla corte di Francesco Maria della Rovere, di Giulio Romano per Federico Gonzaga a Mantova, di Sansovino e di Sanmicheli nella Venezia di Andrea Gritti e le invenzioni spettacolari di Michelangelo a Firenze.27 Per il suo proprio repertorio, Serlio si riallaccia prima di tutto a principi della scuola di Bramante, a temi di Giulio Romano e ad alcuni tratti di Baldassarre Peruzzi, il suo maestro.28 Il Sesto Libro, dedicato alle tipologie abitative secondo il rango sociale, dal povero contadino ino al re, si rivela particolarmente interessante per la comprensione del suo approccio.29 Come tutti gli architetti rinascimentali con ambizione teorica, i suoi concetti si appoggiano sui trattati di Vitruvio e di Leon Battista Alberti: «E però, come è il dovero, alli loro scritti al tutto io Seguirono il Primo Libro e il Secondo Libro sulla geometria e la prospettiva, pubblicati a Parigi. nel 1547 uscì, sempre a Parigi, il Quinto Libro sui templi. nel 1551 si aggiunse Il Libro Straordinario con cinquanta porte, a Lione nel 1551. Per quanto riguarda il Settimo Libro, la pubblicazione ebbe luogo solo nel 1575 a Francoforte, grazie a Jacopo Strada. Si veda F.P. Fiore (a cura di), L’Architettura. I libri I-VII e Extraordinario nelle prime edizioni, Milano, Il Poliilo 2001. 27 S. Serlio, Quarto Libro, cit., III, IIII. 28 S. Frommel, Sebastiano Serlio architetto, cit., pp. 61-75. 29 Il manoscritto esiste in due versioni, la prima è conservata nella Avary Library (Columbia University), a new York (new York, M.n. Rosenfeld 1978) e mentre quella deinitiva, su pergamena nella Staatsbibliothek a Monaco (M. Rosci, Sesto Libro di tutti li gradi degli homini, Milano, 1966). Esistono inoltre, nella nationalbibliothek di Vienna, delle prove di stampa (L’Architettura. I libri I-VII e Extraordinario nelle prime edizioni, cit., vol. 2). 26 170 me riporto».30 Una rilessione su case e palazzi in conformità alla gerarchia sociale è preigurata nel trattato di Francesco di Giorgio, il maestro di Baldassarre Peruzzi, ma una teoria focalizzata sul modo di conciliare una tradizione locale con principi classici non aveva precedenti.31 Stupisce la chiarezza con la quale il Bolognese descrive questo suo obiettivo: dico che in questo mio sesto libro io trattarò in scrittura et in aparente dissegno della comodità et del decoro insieme acordati, servendomi assai delle commodittà di Franza, le quali veramente ho trovate buone.32 Un maestro uscito dalla tradizione iorentina o romana sarebbe forse stato più categorico: ma grazie all’esperienza con l’arte edilizia bolognese e con le sue frequenti assimilazioni di paradigmi forestieri, anche se fosse stata solo passiva, Serlio ebbe dimestichezza con linguaggi ibridi.33 «né mi faticare in ilosofare come si deonno elegere li luoghi salutiferi e buoni, et fugire i pestilenti et malvagi, et a che venti si abbino a pore i parieti et prenere i lumi, né in che modo si abino [a] fare li fondamenti et di che materia in sodo e secco, o in palude et umido, perciò che il sopradetto Marco Luccio Vitruvio ne ha parlato così difusamente nel primo libro al quarto capitolo, et di poi Leonbattista delli Alberti ancor più amplamente, che a me pare non si possi dire di vantaggio», cfr. M. Rosci (a cura di), Sesto Libro delle habitazioni di tutti li gradi degli homini, ms. Monaco, cit., 1r; si veda anche P.F. Fiore (a cura di), Architettura Civile. Libri Sesto, Settimo e Ottavo nei manoscritti di Vienna, Milano, 1994, introduzione, pp. XXIV-LI. 31 Francesco di Giorgio, cod. Magliabechiano II.I.141, f. 16v21v: C. Maltese (a cura di), Trattati di Architettura, Ingegneria e Arte Militare, Milano, Il Poliilo 1967, vol. 2, tavv. 192-202. 32 S. Serlio, Sesto Libro, ms. Monaco, cit., f. 1r 33 Si veda M. Ricci, Inluenze romane e tradizione autoctona nell’architettura civile bolognese del primo Cinquecento, in M. Ricci (a cura di), L’architettura a Bologna: nel Rinascimento (14601550): centro o periferia?, Bologna, Minerva 2002, pp. 69-96. 30 Innovazione tramite mediazione Procedendo con il suo approccio del “canone mitigato”, egli non tradisce né le regole delle proporzioni armoniose degli interni di Vitruvio, in parte voltati, né le abitudini rinascimentali di mezzanini che diferenziano in modo razionale le altezze delle singole stanze. Per quando riguarda invece gli ornamenti, Sebastiano concede una più grande lessibilità: Io ho pigliato in alcune cose qualche licenzia per essere in paesi tali. Queste sarano per alcuni alli quali per avventura piaceno più le cose licenziose che le regolari, percio ch’l mondo fu sempre così, come ne fan fede tante antiquità in diverse parti de l’Europa, dove si trovano più cose licenciose che regolari segondo la dottrina di Vitruvio.34 L’architetto teorico considera tale licenza come legittimata dall’antico, dove man mano che le regioni si allontanano dai centri artistici, il vocabolario è meno fedele al canone normativo. nel Sesto Libro, proporzioni slanciate, tetti, camini, lucarnes e altri dettagli testimoniano di tale tolleranza che crebbe con gli anni che Serlio trascorse in Francia.35 Però nel 1551 nel suo Libro Straordinario egli si scusò di un allontanamento esagerato dai principi sacrosanti: Ma o voi Architetti fondati sopra la dottrina di Vitruvio (la quale sommamente io lodo, & dalla quale io intendo allontanarmi molto), habbiatemi per scusato di tanti ornamenti, di tante tabelle, di tanti cartocci, volute, & e tanti superlui: & habbiate riguardo al paese, dove io sono, supplendo voi dove io haverò mancato: & state sani.36 nonostante la ricchezza eccessiva degli ornamenti, egli cercò di mantenere proporzioni equilibrate – degne delle esigenze vitruviane – per gli elementi architettonici delle sue porte. Verso il 1542 i suoi lavori nei castelli di Fontainebleau e di Ancy-le-Franc, la sua fabbrica più importante, ofrirono l’occasione di mettere alla prova i concetti teorici.37 nella grande basse cour del castello reale egli modiicò l’ala settentrionale, cominciata da un maestro francese: un ordine coerente di paraste toscane ritma la facciata, la maestosa sopraelevazione del padiglione centrale, le lucarnes e i camini – il primo esempio di un sistema architettonico in Francia nel quale tutti gli elementi sono trattati in modo analogo.38 La cappella di San Saturnino, di stampo medievale situata nella cour ovale, cominciata nel 1531 da Gilles Le Breton, ricevette un respiro classicheggiante: Serlio vi aggiunse una volta a cassettoni con lanterna centrale e due tempietti che coronano lateralmente la facciata.39 Se i suoi interventi alla corte di Fontainebleau si limitarono a tali abbellimenti e compimenti, capaci di evocare la tradizione dell’antico, la sua ricerca di una perfetta coerenza doveva culminare nella residenza di un nobile ambizioso: il castello di Ancy-le-Franc in Borgogna40 (igg. 1a-1b). In questo ediicio tutte le facciate ubbidiscono a una gerarchia degli ordini, all’esterno dal toscano-dorico al dorico, nel cortile dal corinzio al composito, in conformità con il Quarto Libro. A prototipi antichi corrispondono i rapporti di 3: 4 tra i piani, preigurati in aniteatri e basiliche e descritti S. Frommel, Sebastiano Serlio architetto, cit., pp. 83-216. Id., Sebastiano Serlio au château de Fontainebleau: du capriccio au canon, in Polska i Europa w dobie Nowozytnej. Scritti in onore di Juliuz Chrościcki, Varsavia, 2009, pp. 365-371. 39 Ibidem, pp. 371-373. 40 S. Frommel, Sebastiano Serlio architetto, cit., pp. 83-126. 37 38 S. Serlio, Sesto Libro, ms. Monaco, cit., f. 74r. S. Frommel, Sebastiano Serlio architetto, cit., pp. 325-326. 36 Libro Straordinario, Lione, 1551; Sebastiano Serlio a gli lettori. 34 35 171 Sabine Frommel in modo molto originale, nell’ala occidentale del Louvre.41 Se Ancy-le-Franc può pretendere di essere un vero manifesto dell’architettura rinascimentale in Francia, tanti fattori tradiscono le concessioni che ha dovuto fare l’architetto, dal tetto altissimo ino alla distribuzione interna poco equilibrata; l’illuminazione degli spazi, alla quale Serlio accorda un’attenzione particolare, risulta in gran parte irregolare.42 Tutto sommato non è da meravigliarsi se egli inserisce, nel suo trattato progetti e varianti idealizzati piuttosto che l’effettiva realizzazione. nel Grand Ferrare, tale procedere fu pienamente condiviso dal committente, Ippolito d’Este: et per esservi osservato anco un poco più le misure et ordini dell’architettura così le francese come in quel che ci è dell’italiano, che non si sogliono così avvertire et osservare in quelli di questi paesi, chè perché in efetto sia cosa segnalata né notabile43 (ig. 2). 2. Sebastiano Serlio, Grand Ferrare, progetto del Sesto Libro (ms. di new York). da Vitruvio, mentre le inestre seguono un ritmo crescente. Fino al minimo dettaglio tutti gli elementi architettonici si conformano a due principi: la diminuzione progressiva dei piani e l’arricchimento gradevole del vocabolario, svelando un genio spiccatamente sistematico che cerca di conciliare le regole vitruviane con le esigenze di un organismo architettonico moderno. nel cortile la successione ininterrotta di travate ritmiche dà a questo straordinario ambiente un carattere imperiale, che risponde perfettamente al gusto per linguaggi classicheggianti sempre più rainati da parte di committenti colti (ig. 1b). Solo un architetto come Pierre Lescot era in grado di elaborare poco più tardi un sistema così complesso, 172 Collocata di fronte al castello, la delizia adattò un linguaggio piuttosto sobrio, sprovvisto di ordini monumentali, che prendeva in considerazione motivi di convenienza. Questa scelta rivela anche l’ampiezza del concetto serliano degli ordini architettonici, fondato su proporzioni armoniose e dettagli, senza categoricamente ricorrere a colonne o paraste. Tratti J. Degageux, Le palais du Louvre au XVIè siècle: les projets de Pierre Lescot pour Francois Ier et Henri II, «Documents de l’Histoire Parisienne» 2007, 7, pp. 9-46; S. Frommel, Le projet de Pierre Lescot: mise au point progressive et étapes de construction, in preparazione. 42 S. Frommel, Sebastiano Serlio architetto, cit. Per quanto riguarda le inestre si veda Sesto Libro, ms. Monaco, f. 74r/v. 43 Lettera di Ippolito al suo fratello Ercole del 16 ottobre 1546 (Archivio Estense di Stato, Archivio Ducale Segreto, Casa, Carteggio tra i principi estensi (S. Frommel, Sebastiano Serlio architetto, cit., p. 227). 41 Innovazione tramite mediazione classicheggianti, come il seminterrato e il vestibolo centrale, erano stati assimilati in precedenza sia in alcuni château nobiliari sia nelle residenze di alcuni cardinali francesi.44 Caratterizzato da un cortile d’onore circondato regolarmente da tre ali e iancheggiato da un jeu de paume e da una basse corte con ingresso autonomo, questo dispositivo divenne un modello per la residenza urbana dell’aristocrazia francese, ma Serlio, trasformandolo, non senza cinismo, per abitazioni di categoria sociali inferiori o arricchendolo nelle varianti idealizzate del Sesto e del Settimo Libro, fa capire che non lo considerava conforme al suo prestigioso proprietario.45 Per quanto riguarda Francesco Primaticcio in questi anni, i suoi linguaggi e principi sono molto diversi e si nutrono delle esperienze del disegno e della decorazione, soprattutto in Palazzo Te a Mantova, dove assistette Giulio Romano. La grotta dei Pini e la fontana di Ercole sono fondate su stretti rapporti tra architettura e scultura, animate da allusioni narrative46 (igg. 3-4). Dotata di una facciata grossolana con tre arcate bugnate sui cui pilastri prigionieri nudi pietriicati, fatti anch’essi di bugne, cercano disparatamente di liberarsi, la grotta elabora prototipi italiani in modo del tutto originale. Di un carattere inedito è anche la fontana di Ercole, un aedes costruito intorno ad una roccia artiiciale dalla quale Vedi F. Bardati, Ippolito II d’Este e i cardinali francesi: dialogo, emulazione, competizione, comunicazione al Convegno internazionale Ippolito II d’Este: cardinale, principe, mecenate (Tivoli, 13-15 maggio 2010), in corso di pubblicazione. 45 S. Frommel, Sebastiano Serlio architetto, cit., p. 238. Sulla fortuna del Grand Ferrare si veda J.-P. Babelon, Du Grand Ferrare à Carnavalet: la naissance de l’hotel classique, «Révue de l’Art» 1978, 40-41, pp. 83-108. 46 S. Frommel, Primaticcio architetto in Francia, cit., pp. 7787. F. Bardati, La “Grotte des Pins” a Fontainebleau, in Artiici d’Acque e Giardini: la cultura delle grotte e dei ninfei in Italia e in Europa, Atti del V Convegno internazionale sui parchi e giardini storici (Firenze, 1998), Firenze, Centro Di 1999, pp. 39-47. 3. Francesco Primaticcio, grotta dei Pini, Fontainebleau. 44 4. Francesco Primaticcio, fontana di Ercole, Fontainebleau. 173 Sabine Frommel zampillano getti d’acqua. Pilastri angolari massicci e cariatidi senza braccia con pulvini sulla testa reggono la costruzione che culmina in una piattaforma sulla quale si alza ieramente l’eroe mitologico, la prima scultura monumentale del giovane Michelangelo.47 Il gusto per colonne gemine e la stretta connivenza tra architettura e pittura suggeriscono l’attribuzione a Francesco anche della gallerie basse del 1539, per la quale egli ha concepito, assieme a Rosso Fiorentino, la decorazione con muse e divinità.48 Il carattere razionale dello spazio, coperto da un soitto a cassettoni, retto da archi diaframma, tradisce la sensibilità di un artista italiano. Sembra che anche Serlio si sia occupato di capricci, come la porta egiziana del Pavillon des Armes, dove cariatidi in forma di terme, abbigliate all’uso egiziano, sostengono un frontone trapezoidale, con coppie di putti.49 Metafore, simboli e allusioni testimoniano l’inclinazione per una semantica diicilmente interpretabile, che sembra evocare l’universo di Achille Bocchi con il suo linguaggio enigmatico. Non escludo, tra i modelli della fontana di Ercole, un camino rappresentato nel trattato del codice Magliabechiano (f. 12v) di Francesco di Giorgio (Trattati di architettura, ingegneria e arte militare, cit., tav. 188), scoperto a Baia appresso della piscina mirabile di Nerone (ibidem, p. 332). Che disegni dell’architetto senese circolarono in Francia durante gli anni Quaranta, probabilmente tramite Serlio, lo mostra la copia di Jacques Androuet du Cerceau del Tempio di Nerva (codice Saluzziano, f. 77) nei suoi Temples et Logis (S. Frommel, Jacques Androuet du Cerceau et Sebastiano Serlio: une rencontre décisive, in J. Guillaume [a cura di], Jacques Androuet du Cerceau, “un des plus grands architectes qui se soient jamais trouvés en France”, Parigi, 2010, pp. 126-127). 48 D. Cordellier, La galerie basse à Fontainebleau, in Primaticcio maître de Fontainebleau, Catalogo della mostra, Paris, 2004, pp. 169-180. Per una restituzione graica della gallerie basse si veda S. Frommel, Premieres experiences entre sculpture, construction et poesie La grotte des pins, La fontaine di Hercule, L’architecture immaginee, in Primatice architecte, cit., pp. 100-101. 49 S. Frommel, Sebastiano Serlio architecte de la Renaissance, cit. 47 174 Le composizioni stravaganti di Primaticcio elaborano, in modo sottilissimo, modelli della scuola di Bramante, di Giulio Romano e di Michelangelo. Di carattere molto diverso, quasi complementare, le opere suscitarono alla corte di Francia uno straordinario allargamento dei mezzi di espressione artistica: il canone architettonico sistematico e la sua lessibilità secondo Serlio da un lato e, dall’altro, il dialogo tra i generi artistici con forte espressività plastica e semantica, promosso da Primaticcio. Adottare e interpretare modelli bolognesi: architettura e scenograia Se non esiste nel trattato serliano alcuna strategia della memoria di modelli bolognesi, tuttavia alcuni di essi si sono imposti nelle sue creazioni oppure in quelle di Primaticcio. Solo due esempi del Settimo Libro sono dedicati all’architettura bolognese, riferendosi non a fenomeni estetici, ma ad aspetti tecnici del periodo attorno al 1500. Uno riguarda i famosi portici che danno alla città la sua isionomia inconfondibile e le cui colonne esigevano un rinforzo con un rivestimento di pietra: Hor per che essa città è la maggior parte porticata, per la qualcosa si facevano assai portici pubblici con colonne tonde di mattoni […] in breve tempo, non potendo esse colonne sostenere tal carico, cominciarono a crepare, e minacciar rovina50 (ig. 5). S. Serlio, Settimo Libro d’Architettura di Sebastiano Serlio Bolognese nel qual si tratta di molti accidenti, che possono occorrer’ al Architetto, in diversi luoghi, & istrane forme de siti, è nelle restauramenti, o restituzioni di case, è come habiamo à far, per servicy de gli altri ediici è simil cose, Francoforte, 1575, cap. LXIII, p. 158. Vedi R. Tuttle, Piazza Maggiore. Studi su Bologna nel Cinquecento, Venezia, Marsilio 2001, pp. 92-94. 50 Innovazione tramite mediazione Durante la giovinezza di Serlio, il palazzo rappresentò uno degli ediici più avanzati, non solo a Bologna, ma in tutta l’Italia settentrionale.52 nel Sesto Libro egli rielaborò questo notevole modello per il suo progetto, il palazzo del pretore, articolando le nove arcate in modo classicheggiante con una sovrapposizione di paraste doriche e ioniche53 (igg. 6a-6b). Quando disegnò verso il 1544-1545 una sala da ballo sul ianco orientale del cortile ovale di Fontainebleau, questo ediicio s’impose di nuovo alla sua memoria54 (ig. 7a). Il progetto tramandato dal Settimo Libro consiste in portici sovrapposti con cinque arcate – nel piano nobile dovevano godere addirittura di una doppia orientazione verso il cortile e verso il giardino – iancheggiati da avancorpi più alti. Senza menzionare il Palazzo Comunale, Serlio rileva che il suo progetto risale alla tipologia della sala pubblica: Acaderà talvolta a l’architetto di voler fare una sala pubblica per far triomphi de diverse maniere nel palazzo di un re o di un principe.55 5. Sebastiano Serlio, Nona propositione del restaurar cose che rovinino (Settimo Libro, cap. LXIII). Qualiicando tale intervento “modernamente”, Sebastiano evidenzia che si costruì in uno stile post-medievale, con proporzioni armoniose e ordini classici. Egli menzionò inoltre in Palazzo Comunale, uno dei paradigmi più importanti del capoluogo emiliano, dato che la scoperta di volte, di canne smaltate di gesso, risale al 1200.51 S. Serlio, Settimo Libro, cit., cap. XLI, p. 98 (R. Tuttle, Piazza Maggiore, cit., pp. 92-93). 51 Il piano terra forma uno zoccolo rustico sporgente sul quale si distinguono paraste, ugualmente fatte di bugne. Sul disegno conservato nella Österreichische nationalbibliothek la plasticità del rilievo è ancora più forte e il tessuto delle bugne, vigoroso e vibrante, ricorda l’inclinazione dei bolognesi per l’epidermide ornamentale, visibile Ibidem, p. 95. Ms. new York (M.n. Rosenfeld, On domestic architecture, cit., f. LXIV). 54 S. Frommel, Sebastiano Serlio au château de Fontainebleau, cit., pp. 375-378. 55 Settimo Libro, ms. Vienna, f. 80v (Architettura Civile. Libro Sesto, Settimo e Ottavo nei manoscritti di Monaco e Vienna, cit., p. 330). 52 53 175 Sabine Frommel a b 6. a) Bologna, Palazzo Comunale; b) Sebastiano Serlio, Palazzo del Podestà (Sesto Libro). sulle facciate di palazzi bolognesi del rinascimento.56 Assieme al motivo delle arcate nei due piani, tale contrasto caratterizza anche Palazzo del Podestà e pare che Serlio avesse voluto “attualizzare” il suo modello, assimilandolo alle funzioni speciiche del progetto e alle sue esigenze stilistiche (igg. 6a-7a). Il maestro locale incaricato dell’operazione, Gilles Le Breton, si è ispirato al progetto di Serlio, senza però capire la logica strutturale: le paraste reggono solo i sottili proili dell’imposta, mentre l’enorme trabeazione superiore è 56 176 Ibidem, tav. 47. appoggiata su una sola parasta, a sinistra (igg. 7a-7b). Al bolognese non sfuggì questa diicoltà di tradurre modelli e principi italiani in modo autentico: «ma non saprei dire di che ordine sia fatta questa Architettura».57 Comunque sia, rassomiglianze con ediici del Settecento come lo Zwinger a Dresda mostrano che questa tipologia conobbe una grandiosa fortuna, anche se rimane aperto se si tratti di una diretta dipendenza o di sviluppi analoghi. Pare che Serlio abbia utilizzato ricordi e prototipi bolognesi anche per gli altri trattati, come il suo Secondo Libro (1545). Sulla scena comica, ad esempio, l’ostaria della Luna a sinistra porta le insegne di Giulio de’ Medici, governatore della città prima della sua ascensione al trono pontiicale nel 152358 (ig. 8). Pare quindi che il Bolognese abbia concepito questa scenograia nel 1522-1523, sfruttando le straordinarie esperienze di Baldassarre Peruzzi in questo campo, e che se ne sia servito almeno vent’anni più tardi per il suo libro. Anche una dimostrazione prospettica dello stesso trattato sembra, contrariamente a interpretazioni recenti della critica, elaborare esperienze bolognesi59 (igg. 9a-9b). L’organismo geometrico, una quincunx, è di grande chiarezza: una pianta quadrata con uno spazio otS. Serlio, Settimo Libro, Francoforte, 1575 (F.P. Fiore [a cura di], L’Architettura. I libri I-VII e Extraordinario nelle prime edizioni, cit.), p. 96. 58 S. Serlio, Secondo Libro, Parigi, 1545, f. 49v (S. Frommel, Sebastiano Serlio prospettico: Stages in his artistic itinerary during the 1520s, in Perspective, Projections & Design, a cura di M. Carpo e F. Lemerle, Londra, Routledge, 2007). 59 S. Serlio, Secondo Libro (F.P. Fiore [a cura di], L’Architettura. I libri I-VII e Extraordinario nelle prime edizioni, cit.), f. 35r; H. Günther aveva stabilito un rapporto con il progetto di Sansovino per San Giovanni dei Fiorentini, cfr. Storia della costruzione di San Giovanni dei Fiorentini, in H. Millon, V. Magnago Lampugnani (a cura di), Rinascimento da Brunelleschi a Michelangelo, Catalogo di mostra, Milano, 1994, p. 553. 57 Innovazione tramite mediazione 8. Sebastiano Serlio, Scena comica (Secondo Libro, 1545). 7. a) Sebastiano Serlio, progetto per la sala da ballo (Settimo Libro, 1575, p. 97); b) Gilles le Breton, sala da ballo (F. Boudon, J. Blécon, Le château de Fontainebleau de François 1er à Henri IV, Parigi, 1998). tagonale nel centro, i cui angoli sono scavati da nicchie. Spazi quadrati più piccoli negli angoli comunicano tramite portici, composti da tre campate con colonne. Il sistema geometrico ino ad alcuni dettagli signiicativi ricorda la pianta delineata da Baldassarre Peruzzi per San Petronio nel 1522-1523.60 non solo Serlio poté seguire da vicino Si veda la restituzione de R. Tuttle, Baldassarre Peruzzi e il suo progetto di completamento della basilica petroniana, in R. Tut60 questa rilessione del Senese, ma fu proprio in tale occasione che quest’ultimo lo iniziò all’arte edilizia. La pianta generale, una copia di quella precedente di Arduino Arriguzzi, porta annotazioni sia del maestro sia del suo assistente, rivelando un primo intervento architettonico concreto da parte di Sebastiano.61 non stupisce che egli abbia rielaborato un sistema con il quale ebbe tale conidenza. Tutto sommato, le acquisizioni artistiche di Serlio degli anni Venti a Bologna continuarono ad essere una fonte per i suoi trattati pubblicati in Francia. tle, Piazza Maggiore. Studi su Bologna nel Cinquecento, cit., pp. 79-87, disegno di restituzione sulla tav. 41. 61 Una registrazione di pagamento contenuta nell’archivio della Fabbrica a “Sebastiano pittore” è la prova di tale incarico (R. Tuttle, Piazza Maggiore, cit., p. 99). 177 Sabine Frommel 9. a) Sebastiano Serlio, dimostrazione prospettica (Secondo Libro, 1545). 9. b) Baldassarre Peruzzi, progetto per San Petronio (restituzione di R.J. Tuttle, Piazza Maggiore, Venezia, Marsilio 2001). Dalla tarsia con “Battesimo di San Domenico” all’“Annunciazione” di Chaalis mosa per essere uno straordinario centro culturale.63 Verso il 1543 il cardinale cominciò a occuparsi di progetti di estensione e di abbellimento, per decidersi nel dicembre del 1546 a costruire una sontuosa residenza, progettata da Sebastiano Serlio. Essa dovette eclissare il Grand Ferrare, dove la prossimità del castello reale aveva imposto un gesto moderato64 (ig. 2). niente è stato realizzato e purtroppo non se ne sono nemmeno conservati disegni: dopo il ritorno di Ippolito in Italia nel 1549 questa ambiziosa iniziativa rimase deinitivamente sulla carta. Abbiamo scoperto recentemente un paradigma bolognese nella cappella di Santa Maria dell’abbazia di Chaalis a nord di Parigi, dominio di Ippolito d’Este.62 Nel 1541 Francesco I aveva oferto al cardinale un convento gigantesco, una fondazione cistercense dell’inizio del Duecento, fa- S. Frommel, Hippolyte d’Este à Chaalis. Architecture projetée, architecture peinte, «Monuments et Mémoires de la Fondation Eugène Piot» 2008, t. 87, pp. 154-171; Ead., Le residenze del cardinale Ippolito d’Este in Francia: il Grand Ferrare e Chaalis, in F. Ceccarelli, M. Folin (a cura di), Delizie estensi: architettura di villa nel Rinascimento italiano ed europeo, Firenze, Olschki 2009, pp. 404-411. 62 178 J.-P. Babelon, L’abbaye cisterciense, in J.-P. Babelon (a cura di), Primatice à Chaalis, Parigi, Chaudun 2006, pp. 13-32. 64 La dimora era collocata di fronte al castello e Ippolito dovette adottare un gesto modesto secondo il decorum. 63 Innovazione tramite mediazione 10. a) Francesco Primaticcio, Annunciazione di Chaalis; b) tarsia con il Battesimo di San Domenico, Bologna, Chiesa di San Domenico (dettaglio); c) sovrapposizione dell’Annunciazione di Chaalis e della tarsia con il Battesimo di San Domenico (montaggio: Giancarlo De Leo). Alcuni lavori sono però stati attuati negli ediici medievali, tra i quali gli afreschi nella cappella, costruita verso il 1250 probabilmente da Pierre de Montreuil, si rivelano di grande lunga i più importanti65 (ig. 10a). Studi del linguaggio stilistico, eseguiti durante una recente campagna di restauro, ne hanno confermato l’attribuzione a Francesco Primaticcio verso il 1543-1545. Questo incarico prestigioso coincide con una fase molto intensa e proicua nella quale “Bologna” non solo realizzò le prime opere architettoniche, la grotta dei Pini e la fontana di Ercole, ma anche ampi e prestigiosi programmi della decorazione interna del castello di Fontainebleau. Sulla parete della contro-facciata è rappresentata un’Annunciazione, dominata da un tempio rotondo periptero con S. Béguin, Primatice en France, in Primatice à Chaalis, cit., pp. 47-57; D. Cordellier, Primatice à Chaalis, ibidem, pp. 59-81. 65 otto colonne doriche che si alzano su altissimi piedistalli; la costruzione si conclude con una maestosa trabeazione dotata di mensole e triglii (igg. 10a-11). Dietro questa tholos si distingue la facciata di un palazzo con arcate cieche, mentre a destra un portico apre la prospettiva, sullo sfondo, verso una loggia. Il trattamento sistematico del tempietto – le mensole coincidono con le colonne secondo un ritmo di 1:2 – rivela un conoscitore di principi vitruviani. Dato che Primaticcio non si era ancora occupato di sfondi architettonici in scala così monumentale, tale composizione sembra annunciare esperienze nuove nel suo itinerario artistico. La rappresentazione rimanda alla tarsia con il battesimo di San Domenico nella chiesa di San Domenico a Bologna, che fa parte della “spalliera” che inizialmente adornava la gotica cappella dell’Arca, realizzata tra il 1531 e 1535 dal bergamasco fra Damiano Zambelli (igg. 10a-10c). Com179 Sabine Frommel mittente di questa “spalliera” fu Leandro Alberti che ne ideò il programma iconograico e che fornì anche il testo delle iscrizioni.66 Sappiamo che il frate domenicano aveva chiesto disegni a vari artisti, ma l’autore del cartone è rimasto sconosciuto. Se nell’Annunciazione una parte degli elementi architettonici è coperta da una mandorla, la tarsia mostra i dettagli di un linguaggio architettonico molto originale: le colonne presentano capitelli dorici dal collarino scanalato e poggiano su una base attica rialzata da un plinto. Il fregio della trabeazione tripartita è dotato di mensole triglifate, sia nell’asse della colonna, sia negli intercolunni, alternati con triglii e metope67 (igg. 10a-b-11). Le analogie tra i tempietti della tarsia e dell’Annunciazione riguardano addirittura dettagli particolari, come gli altissimi piedistalli ino a quattro guttae invece di sei, come vuole Vitruvio. D’altra parte, alcune incongruenze, come l’assenza del livello rialzato del tempio rotondo, possono spiegarsi con gli interventi dei restauratori nell’Ottocento.68 Il modello bolognese è stato adattato in modo ingegnoso al tema dell’Annunciazione e allo spazio disponibile nel compartimento deinito dall’arco ogivale (igg. 10a-10c). Primaticcio rinuncia alla via a destra con i suoi ediici contrastanti e al palazzo con un afollato poggiolo al primo piano, retto da colonne doriche scanalate (non visibile dall’illustrazione). Accanto alla tholos, il portico del palazzo è coperto da volte, che paiono a crociera e poggiano su un massiccio pilastro e non su singoli supporti, come nella tarsia.69 Sullo sfondo di questa si distingue nettamente il Palazzo Comunale, metafora della città di Bologna, che viene sostituito nell’afresco da una loggia con ampie arcate. In questo modo l’artista attenua abilmente il carattere di scena comica, una quinta con “casamenti” cittadini, collocando l’azione in un ambiente più spirituale e contemplativo. Dietro al tempio rotondo periptero, la facciata del palazzo è caratterizzata da colonne ioniche che reggono un’alta trabeazione, accentuata da forti aggetti. All’angolo, tra le due colonne, libere e rialzate su piedistalli, si distingue nettamente lo spigolo del corpo edilizio, come a Palazzo Dal Monte, in costruzione dal 1528 in poi.70 Il fregio pulvinato con gli aggetti segue la tradizione albertiana, apprezzata da Bramante e la sua scuola.71 Le arcate cieche del piano terra poggiano su larghi pilastri, mentre la loro parete corrisponde ad un piano arretrato. I proili all’altezza dell’imposta proseguono tra i pilastri, accentuando la coerenza dell’organismo architettonico. Di là dal portico laterale sono collocati altri corpi edilizi, abbozzati in modo astratto. Molteplici M. Ricci, Baldassarre Peruzzi, Leandro Alberti e la tarsia lignea di Fra Damiano Zambelli con il “Battesimo di San Domenico”, «Atti e memorie. Deputazione di Storia Patria per la Provincia di Romagna» 2005-2006, n.s., 56, pp. 255-303; M. Ricci, “Varietà” e “bizzaria”: Baldassarre Peruzzi e la tarsia lignea di Fra Damiano con il “Battesimo di San Domenico”, in M. Pigozzi (a cura di), La percezione, la rappresentazione dello spazio a Bologna e in Romagna nel Rinascimento tra teoria e prassi, Bologna, Clueb 2007, pp. 87-112. 67 Per una descrizione più dettagliata rimandiamo il lettore ai due saggi di Maurizio Ricci del 2005-2004 e del 2007. 68 S. Frommel, Hippolyte d’Este à Chaalis. Architecture projetée, architecture peinte, cit., p. 167. Può darsi che si tratti di un malinteso dei restauratori dell’Ottocento. 70 Su Palazzo Dal Monte vedi il saggio di C.L. Frommel, infra, pp. 257-272. Vedi anche M. Ricci, Inluenze romane e tradizione autoctona nell’architettura civile di Bologna del primo Cinquecento (1515-1530), in L’architettura a Bologna nel Rinascimento, cit., pp. 87-89; A.M. Matteucci, Originalità dell’architettura bolognese emiliana, Bologna, Bononia University Press 2008, pp. 249-250. Lo spigolo libero e iancheggiato da colonne godette di popolarità in Francia negli anni Quaranta, come ad esempio nella tomba di Francesco I di Philibert Delorme. 71 Ad esempio a Villa Madama di Rafaello e Antonio da Sangallo il Giovane. 69 66 180 Innovazione tramite mediazione 11. Restituzione del tempietto (Giancarlo De Leo). 12. Dettaglio delle inestre di Palazzo Fusconi (Sebastiano Serlio, Quarto Libro). punti di fuga, – il tempietto, il portico, la via – fanno errare lo sguardo come in un sistema poli-nucleare che ricorda l’Adorazione dei Magi (Londra, National Gallery), il famoso cartone delineato da Peruzzi durante il suo soggiorno a Bologna nel 1522-1523.72 Rimane da chiarire in che modo Primaticcio abbia conosciuto questa rappresentazione e perché egli l’abbia scelta più di dieci anni più tardi, in un ambiente completamente diverso. È da escludere che Francesco abbia visto il disegno in Italia, giacché nel 1531, quando fra Damiano iniziò l’esecuzione della tarsia a San Domenico, egli era già arrivato a Fontainebleau. Serlio, invece, che si trasferì nel 1527 a Venezia, mantenne contatti con la città natia, come nel caso dell’altare di Santa Maria in Galliera.73 Durante il suo soggiorno a Roma del 1523-1525, egli avrebbe potuto scoprire il motivo della mensola triglifata, un’invenzione del suo maestro Baldassarre Peruzzi per le inestre di Palazzo Fusconi Pighini74 (ig. 12). Impressionato dalla razionalità strutturale del sistema – le mensole reggono il frontone, R. Tuttle, Osservazioni sui primi anni di Primaticcio a Bologna, in Francesco Primaticcio architetto, cit., p. 63. 72 S. Frommel, Sebastiano Serlio architetto, cit., p. 23. Il palazzo è stato modiicato nel XVIII secolo. Il dettaglio è tramandato da un disegno di un artista anonimo, conservato nel GDSU (2732Ar). Sul palazzo si veda C.L. Frommel, Der römische Palastbau der Hochrenaissance, 3 voll., Tubinga, 1973, II, pp. 189-197; A. Bruschi, Baldassarre Peruzzi nel palazzo di Francesco Fusconi da Norcia, «Architettura. Storia e Documenti» 1986, 2, p. 66. 73 74 181 Sabine Frommel mentre sono lisci i triglii intermedi, sprovvisti di ogni funzione portante – egli lo copiò nel suo Quarto Libro.75 Anche la forma ibrida, la combinazione della mensola della porta ionica e i glii dell’ordine dorico, appassionarono l’autore del trattato, essendo alla ricerca di mescolanze degli ordini architettonici. La soluzione poco canonica di quattro guttae invece di sei, dettaglio ripreso nell’Annunciazione di Chaalis, risale ugualmente alle inestre del palazzo romano. nonostante queste analogie è poco probabile che Peruzzi si sia impegnato, in maniera meticolosa, a tradurre la sua invenzione in un nuovo organismo architettonico.76 Pare piuttosto che il suo allievo Serlio abbia concepito con questi dettagli e, sotto l’inlusso di modelli moderni visti a Roma, come il tempietto, un aedes dorico di stampo originale, senza però capire la logica strutturale. Mentre nel sistema di Baldassarre, la forma degli elementi è deinita dalla loro funzione statica, le mensole intermedie della tholos sulla tarsia sono sprovviste di ogni ratio tettonica. All’interno, la ripetizione della stessa trabeazione tradisce una certa ingenuità rispetto alla sintassi di organismi dell’antico. Tuttavia, non solo questo formalismo suggerisce la mano di Serlio, ma anche il carattere statico delle igure, che è assente in Peruzzi, e la prospettiva del portico, che rassomiglia a esempi del Secondo Libro.77 Le proporzioni degli ordini sono molto S. Serlio, Quarto Libro, cit., f. 147. A Bologna la mensola triglifata fu immediatamente adottata a Palazzo Fantuzzi e nel fregio del monumento funebre a Ramazzotto Ramazzotti in San Michele in Bosco, in 1525 (M. Ricci, Baldassarre Peruzzi, Leandro Alberti e la tarsia lignea, cit., pp. 272-273). 76 Maurizio Ricci ha recentemente attribuito il disegno a Baldassarre Peruzzi, appoggiandosi su motivi stilistici e sul rapporto con Leandro Alberti (in Baldassarre Peruzzi, Leandro Alberti e la tarsia lignea di Fra Damiano Zambelli con il “Battesimo di San Domenico”, cit.). 77 S. Serlio, Secondo Libro, cit., f. 49v. 75 182 vicine a quelle pubblicate poco dopo nel suo Quarto Libro.78 Appena arrivato in Francia, Serlio doveva utilizzare di nuovo la mensola triglifata nella trabeazione superiore del castello di Ancy-le-Franc.79 Si aggiunga che egli non fu uno sconosciuto nel cantiere di San Domenico, ma aveva dato, prima della sua partenza per Venezia, tre disegni per il “dossale” del presbiterio, realizzate da fra Damiano tra il 1528 e il 1530.80 In uno di essi, che rappresenta il Martirio di santa Caterina, è presente un cane, che evoca l’interesse di Serlio per gli animali e che si ritrova anche nella tarsia con il Battesimo di San Domenico, dove un gatto e un orso si aggiungono agli attori.81 Pare quindi che Sebastiano abbia portato in Francia una copia del suo disegno del Battistero di San Domenico, che si rivelò idoneo per un sfondo architettonico monumentale con l’Annunciazione, che il suo compatriota Francesco Primaticcio stava cercando. Quest’ultimo avrebbe poi adottato il prototipo al tema biblico: togliendo la via a destra, il tempietto guadagna enfasi e, tradotto in una costruzione lignea, il fonte battesimale ottagonale della tarsia evoca la mensa di un altare (igg. 10a-10c). Il cartiglio con iscrizione nel primo piano a destra, intorno S. Frommel, Hippolyte d’Este à Chaalis. Architecture projetée, architecture peinte, cit.; P.F. Fiore (a cura di), L’Architettura. I libri I-VII e Extraordinario nelle prime edizioni, cit., pp. 161-162. 79 Id., Sebastiano Serlio architetto, cit., pp. 133-136. 80 Ibidem, pp. 51-54. 81 Animali sono visibili anche su una prospettiva conservata nella Pinacoteca nazionale di Ferrara (S. Frommel, scheda in Jacopo Barozzi da Vignola, cit., p. 124 e Ead., Serlio pittore: fantasma o realtà?, in D. Lenzi [a cura di], Arti a confronto, Bologna, Compositori 2004, pp. 85-95) e sull’Adorazione dei Magi e dei Pastori di Cesena (S. Frommel, Sebastiano Serlio architetto, cit., pp. 43-49) che abbiamo attribuito a Sebastiano. Abbiamo scoperto, con una certa sorpresa, un’interpretazione diversa, irmata da R. Tuttle, in M. Bulgarelli, A. Calzona, M. Ceriana, P.F. Fiore (a cura di), Leon Battista Alberti e l’architettura, Roma, 2006, pp. 532-533. 78 Innovazione tramite mediazione cui si raggruppano alcune persone, cede il posto al prega-dio davanti al quale si inginocchia la Vergine. La mandorla ovale dominata da Dio circondato da angeli, un motivo derivato direttamente dall’Adorazione dei Magi di Peruzzi, attenua sensibilmente il vigore dell’architettura sulla tarsia, dando maggiore risalto all’atmosfera religiosa. Alcune imperfezioni come la coerenza poco precisa tra la pianta e l’elevazione (che ha rivelato la nostra restituzione), oppure i plinti circolari sono diicilmente attribuibili a un artista italiano e risalgono verosimilmente al restauro ottocentesco. Anche l’assenza di glii nella trabeazione del tempietto dell’Annunciazione potrebbe spiegarsi con una disattenzione attuata in questa fase. Per quanto riguarda invece la mancanza della trabeazione interna, è piuttosto probabile che Serlio si fosse nel frattempo convinto dell’inutilità di tale dettaglio. I vantaggi dell’adozione di questo modello sono ovvi: l’architettura dell’Annunciazione si riallaccia a una lunga e notevole tradizione del rinascimento italiano che, a livello semantico, si rivela perfettamente conciliabile con il culto della Vergine. Dal Quattrocento in poi la rotonda conobbe una fortuna straordinaria negli sfondi architettonici e in quadri di Mantegna, Perugino, Francesco di Giorgio, Giuliano da Sangallo, Rafaello e Peruzzi, diventando addirittura una specie di metafora dell’antico. Dal tempietto di Bramante di San Pietro in Montorio (1501) ino alla Predicazione di San Paolo di Rafaello82 o restituzioni dei mausolei antichi nell’Abdulatio di Giulio Romano della Sala di Costantino, questa tipologia suscitò, l’attenzione e l’ambizione ilologica degli architetti e pittori, forse anche più di un paradigma come l’arco trionfale. Dare nuovo senso al modello non era diicile, perché Per quanto riguarda il cartone di Rafaello con la Predicazione di San Paolo la posizione del guerriero arrampicato sul piedistallo annuncia la tarsia di San Domenico. 82 la rotonda evoca il culto mariano da quando Bonifacio IV dedicò, nel 609-610, il Pantheon alla Vergine e ai martiri, sotto il nome di Santa Maria Rotonda. Dalla chiesa brunelleschiana di Santa Maria degli Angeli ino alla Madonna di Ariccia di Gian Lorenzo Bernini, tale legame si trasmise immediatamente ai fedeli. L’ordine dorico, attribuito da Vitruvio a dèi ed eroi, era legittimato grazie a chiese come la Madonna di San Biagio presso Montepulciano. In ogni caso la forte identità del prototipo bolognese, il suo carattere speciico e inconfondibile, come anche la sua funzione memoriale, impedirono mutazioni signiicative. nell’itinerario artistico di Primaticcio questa esperienza ha esteso le ricerche. Tra il 1547 e 1553, egli concepì una rotonda in un disegno della Storia di Aretusa – la iglia di nereo e Doride trasformata in una fontana, destinata al castello di Anet (ig. 13a).83 Il tempietto consiste in dodici colonne doriche, coronate da una trabeazione con balaustra. Per Charles de Guise, il cardinale di Lorena, Francesco realizzò negli anni Cinquanta nello château di Dampierre un’altra rotonda dorica, tramandata da un’incisione di Jacques Androuet du Cerceau, nella quale erano sistemate le terme84 (ig. 13b). Il culmine di tale ricerca sarà il mausoleo dei Valois di Saint-Denis, posteriore al 1568, un cilindro di circa 30 metri, dotato in modo trionfale di travate ritmiche con colonne gemite (ig. 13c).85 Che l’Annunciazione Il disegno è conservato nel Crocker Art Museum a Sacramento, inv. 1871.260 (B. Py, Deux projets de Primatice pour des vitraux d’Anet illustrant l’histoire d’Aréthuse, in S. Frommel, G. Wolf [a cura di], Il mecenatismo di Caterina de’ Medici: poesia, feste, musica, pittura, scultura, architettura, con la collaborazione di F. Bardati, Venezia, Marsilio 2008, pp. 245-249). 84 S. Frommel, Primaticcio architetto in Francia, cit., pp. 108109. 85 Si veda l’edizione francese Primatice architecte, Parigi, Picard 2010, pp. 211-215, igg. XX-XXI. 83 183 Sabine Frommel a c b 13. a) Francesco Primaticcio, Storia di Aretusa. Aretusa trasformata in una fontana (Sacramento (Cal.), Crocker Museum, inv. 1871.260); b) Terme del castello di Dampierre (J.-A. du Cerceau, Les plus excellents bastiments de France, Parigi, 1576-1579); c) Rotonde des Valois (restituzione Sabine Frommel/Giancarlo De Leo). di Chaalis abbia motivato Primaticcio a dedicarsi sempre di più all’architettura dipinta in scala monumentale, lo mostra il portico sovrapposto che accoglie Minerva davanti a Giove e Giunone, l’unico compartimento dell’enorme volta a botte della galleria d’Ulisse ad essere ornata, verso la ine degli anni Quaranta, da un’architettura monumentale.86 Occupandosi delle pareti della galleria negli anni Cinquanta, ediici e rovine dovrebbero poi acquisire un posto di primo piano nelle rappresentazioni, evocando la cornice dell’epopea.87 Il disegno è conservato nel GDSU inv. 1501 E. Si tratta di uno degli ultimi dei quindici compartimenti della volta, le cui scene sono state cominciate verso il 1545 (S. Bèguin, J. Guillaume, A. Roy, La galerie d’Ulysse à Fontainebleau, Parigi, Presses Universitaires de France 1985, p. 188; V. Romani, La galerie d’Ulysse, in Primatice, maître de Fontainebleau, cit., p. 292 ss. 87 Si veda La galerie d’Ulysse à Fontainebleau, cit., p. 199 ss.; D. Cordellier, Les parois, in Primatice, maître de Fontainebleau, cit., p. 323 ss.; S. Frommel, Primaticcio architetto in Francia, cit., pp. 114-116. 86 184 Una fortuna molteplice Le opere di Serlio e di Primaticcio hanno inluito magistralmente sulle tendenze alla corte di Francia degli anni Quaranta, godendo di un irraggiamento prodigioso. Pochi esempi bastano per apprezzare l’ampio ventaglio che si aprì grazie alle loro invenzioni. Se Pierre Lescot per la ricostruzione del Louvre si ispirò al castello di Ancy-leFranc, anche in Borgogna questa straordinaria architettura fu imitata, come ad esempio nel cortile di Jours-les-Baigneux (igg. 1b, 14).88 Innumerevoli facciate si coprirono di ordini all’antica secondo i modelli del Quarto Libro, ma l’inlusso di questo trattato si rivela anche nell’architettura eimera, realizzata per le entrate del re Enrico II in città: il percorso attraversò porte e archi trionfali che seguivano le gradazioni degli ordini architettonici, dal toscano ino al Vedi F. Vignier, Bourgogne. Nivernais, Parigi, 1980, pp. 176-177. 88 Innovazione tramite mediazione 14. Castello di Jours-les-Baigneux, facciata del cortile. 15. a) Francesco Primaticcio, tomba di Enrico II, dettaglio con un iore (a sinistra della mensola); b) Palazzo Comunale, bugni con iori. composito.89 Il famoso portale rustico del Grand Ferrare, il cui successo spinse Serlio a concepire il Libro Straordinario, fu all’inizio di una proliferazione di porte, sopratutto al sud e all’est della Francia, ma anche in altri paesi europei.90 Per quanto riguarda il tempietto non escluderei che l’Annunciazione di Chaalis abbia svegliato l’interesse per tale tipologia che si intensiicò dal 1543-1544 in poi in disegni e quadri di pittori francesi, come ad esempio Jean Cousin.91 Finalmente Serlio e Primaticcio godettero di un Nachleben grazie ai loro allievi, come Jacques Androuet du Cerceau, che ha elaborato e variato tantissime composizioni serliane, raggiungendo sistemi sempre più complessi e giganteschi.92 Che nonostante l’ampiezza e il prestigio crescente dei loro lavori, i bolognesi non si dimenticarono mai delle loro origini e che, anzi, le apprezzarono tanto da renderle visibili, tramite immagini e allusioni; e lo mostra di nuovo in modo pertinente Primaticcio: egli irmò le sue opere monumentali con un piccolo iore, come a voler ricordare le famose bugne del Palazzo Comunale (igg. 15a-15b). Y. Pauwels, L’architecture au temps de la Pléiade, Parigi, Monfort 2002, pp. 39-42. 90 Sulla porta del Grand Ferrare si veda S. Frommel, Sebastiano Serlio architetto, cit., p. 227. 91 Si veda Jean Cousin le Père, Le martyre de saint Mammès, 1543 ca. (Louvre) et La mise au tombeau, 1544 ca. (Vienna, Albertina) (H. Zerner, L’art de la Renaissance en France. L’invention du classicisme, Parigi, Flammarion 1996, pp. 220, 237). 89 Si veda Jacques Androuet du Cerceau, «un des plus grands architectes qui se soient jamais trouvés en France», cit., pp. 123139. 92 185