Location via proxy:   [ UP ]  
[Report a bug]   [Manage cookies]                
CROCEVIA BIENNALE Questo libro nasce dall’esperienza de Lo Scrittoio della Biennale, un ciclo di giornate di studio che dal 2010 coinvolge ogni anno studiosi di diverse generazioni e provenienze disciplinari. L’esigenza è quella di creare una piattaforma di condivisione attorno alla storia dell’esposizione veneziana, a testimonianza della vitalità e varietà di argomenti che la Biennale è in grado di convocare: crocevia di temi, storie, personaggi, crocevia di idee e di azioni, di politiche e geografie culturali, crocevia – infine – di discipline e interpretazioni. Il libro raccoglie quanto detto, discusso e rielaborato nel corso delle prime tre edizioni dello Scrittoio, dal 2010 al 2012. 30,00 € CROCEVIA BIENNALE A CURA DI FRANCESCA CASTELLANI, ELEONORA CHARANS SCALPENDI EDITORE crocevia biennale a cura di Francesca Castellani, Eleonora Charans scalpendi editore In copertina Tomás Saraceno, Galaxies Forming along Filaments, like Droplets along the Strands of a Spider’s Web, 2009. Installation view at 53rd Biennale di Venezia Fare Mondi. Courtesy the artist; Andersen’s Contemporary, Copenhagen; Ruth Benzacar, Buenos Aires; Tanya Bonakdar Gallery, New York; Pinksummer contemporary art, Genoa; Esther Schipper, Berlin. © Photography by Alessandro Coco, 2009. Collana Acta studiorum Crocevia Biennale a cura di Francesca Castellani, Eleonora Charans © 2017, Scalpendi editore, Milano ISBN-13: 978-88-99473-61-7 Progetto graico e copertina © Solchi graphic design Montaggio Roberta Russo Caporedattore Simone Amerigo Redazione Manuela Beretta Nessuna parte di questo volume può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti e dell’editore. Tutti i diritti riservati. L’editore è a disposizione per eventuali diritti non riconosciuti. Prima edizione: dicembre 2017 Scalpendi editore S.r.l. Sede legale: piazza Antonio Gramsci 8 – 20154 Milano Sede operativa: Graiche Milani S.p.a. via Guglielmo Marconi 17/19 – 20090 Segrate www.scalpendieditore.eu info@scalpendieditore.eu Abbreviazioni ACP: Archivio di Ca’ Pesaro, Galleria Internazionale d’Arte Moderna, Venezia AGPT: Archivio Giulio Paolini, Torino ASAC: Archivio Storico delle Arti Contemporanee, Fondazione La Biennale, Venezia ASL: Archivio di Stato, Latina BMC: Biblioteca del Museo Correr, Venezia FRP: Fondo Rodolfo Pallucchini, Università di Udine HKA: Hyman Kreitman Archive, Tate Modern, Londra MART: Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto MoMA: Museum of Modern Art Archives, New York Referenze fotograiche © Giulio Paolini by SIAE 2017 © Venezia, Archivio Studio Pastor Architetti Associati © Venezia, Fondazione Musei Civici, Museo Correr © Venezia, Università IUAV sommario Quando un’esigenza si tramuta in esperienza. Ragioni e nascita di un libro Francesca Castellani, Eleonora Charans 9 CROCEVIA BIENNALE Implementare la Biennale: leggere e scrivere Paolo Fabbri 15 le origini Il ilo di Arianna. La nascita del premio della critica alla Biennale (1897) Francesca Castellani 23 Le origini “aristocratiche” della Biennale di Venezia. Considerazioni sul ruolo degli artisti-organizzatori Anna Mazzanti 33 Per un «degno contributo dell’arte tedesca». Un commissario speciale alla terza Esposizione Internazionale d’Arte Silvia Bruno 49 Augusto Sezanne e i primi manifesti della Biennale d’Arte di Venezia: 1895-1899 Elena Scantamburlo 53 gli anni del fascismo Venezia: per un’altra scena. Breve storia della Biennale Teatro Paolo Puppa 63 Storia “segreta” della Mostra Internazionale d’Arte Cinematograica. Una ricognizione storica dei primi documenti conservati nella Serie cinema dell’ASAC (1932-1939) Riccardo Triolo 69 Una mostra organizzata “in sordina”: la Biennale di Venezia del 1936 Massimo De Sabbata 85 il dopoguerra Sculture britanniche alla Biennale di Venezia nel secondo dopoguerra: fonti visive per il rinnovamento della scultura italiana Emanuela Pezzetta 99 Come riprendere un’esposizione. Cronistoria del ilm sull’arte alla Biennale di Venezia del 1948 Marco Del Monte 109 L’uso della fotograia d’arte nella rivista “la biennale di venezia” negli anni di Rodolfo Pallucchini: indagini e percorsi narrativi a partire da alcune fotograie Mauro Perosin 117 I malintesi che indirizzano le conoscenze. Il caso Rashōmon Marco Dalla Gassa 145 Courbet, 1954 Alessandro Del Puppo 154 La mostra del Surrealismo alla Biennale del 1954: problemi organizzativi e rilessioni critiche Giuliana Tomasella 171 L’altro volto dell’arte di tipo americano. La partecipazione di Ben Shahn alla Biennale di Venezia del 1954 Chiara Di Stefano 181 La Biennale ai tempi delle nuove tendenze: l’arte italiana e l’Est Europa Giovanni Rubino 191 il crinale della contestazione Artista vs critico vs architetto. La Biennale di Venezia del 1970 Francesca Zanella 201 La crisi dell’“opera”: la tecnologia entra in Biennale (le edizioni del 1970 e del 1972) Elena Di Raddo 215 Tra esposizione e archiviazione. La videoarte di Gino De Dominicis (1970-1974) Eleonora Charans 225 Sulla soglia. Giulio Paolini e la Biennale di Venezia Ilaria Bernardi 235 Memoria sovvertita. Hans Haacke e Gerhard Richter nel Padiglione tedesco Cristina Baldacci 247 Ripensare lo spazio espositivo. Il caso di Ambiente/Arte, Biennale di Venezia, 1976 Alessandra Acocella 257 ottanta e oltre Aperto 80. La pittura come novità Denis Viva 271 Le Biennali di Giovanni Carandente (1988-1990) Laura Poletto 281 Le collezioni d’architettura della Biennale all’Università IUAV di Venezia Teresita Scalco 295 L’amnesia nel sistema dell’arte. Liste des artistes (1995) di Christian Boltanski Tiziana Migliore 305 Josh Smith alla LIV Biennale di Venezia: Venice set books – A.Mu.C. Archivio Multimediale del Contemporaneo Angela Bianco 315 Bibliograia 329 il filo di arianna. la nascita del premio della critica alla biennale (1897) Francesca Castellani Non si potrebbe concepire uno specchio di attualità, cioè una mostra che documenti i più signiicativi risultati di quanto gli artisti vanno creando dovunque, se non a patto di avere tra le mani un ilo di Arianna che ci conduca a spiegare storicamente quei risultati, quelle ricerche e quelle realizzazioni. [...] Tale condizione metodologica non vale soltanto per lo storico, ma è tanto più necessaria per avvicinare il pubblico all’arte del nostro tempo1. Luglio 1950. Nell’editoriale al primo numero de “la biennale di venezia”, rivista uficiale dell’ente, sotto il titolo programmatico Funzione della XXV Biennale il Segretario Generale Rodolfo Pallucchini pone la questione della critica tra i primi obiettivi di una grande esposizione d’arte contemporanea2. Accanto all’occasione formativa del confronto tra artisti, già all’origine della mostra veneziana, spetta alla Biennale, proprio in quanto «specchio di attualità», il compito di dipanare il «filo di Arianna» e farsi palestra e luogo di veriica per la messa a punto di un linguaggio critico scientiicamente adeguato, nel contempo in grado di svolgere una funzione mediatrice con il pubblico3. Un dovere di informazione e formazione di una coscienza allargata del contemporaneo che la generazione di intellettuali uscita dalla dittatura e dalla guerra sente con tutta l’urgenza di rifondazione culturale e morale del paese: il che spiega la spinta pedagogica di Pallucchini nel puntualizzare l’obbligo di una “metodologia” che sottragga la critica alle luttuazioni del gusto e agli elitarismi, e la metta invece in condizione di individuare e soprattutto comunicare nessi leggibili tra passato e presente. La scrittura della Biennale dunque: il suo lessico, le sue funzioni, i suoi destinatari, nonché la isionomia (formazione e compiti) di chi a questa scrittura è deputato sono un punto cardine nel pensiero di Pallucchini Segretario. Non è casuale che le pagine della rivista uficiale ne diventino un laboratorio, chiamando a collaborare i vincitori di quel concorso della critica ripristinato proprio con la prima edizione del dopoguerra, nel 19484. 1 Pallucchini 1950a, p. 5. 2 L’ispiratore della rivista era a mio avviso lo stesso Pallucchini: Castellani 2010, p. 179. Sul periodico anche Bianchi 2003; Dal Canton 2003. 3 Per il «laboratorio critico» della Biennale, Tomasella 2008, p. 499; su Pallucchini contemporaneista Dal Canton 2001; Rodolfo Pallucchini 2011; Tomasella 2011. 4 A valutare i critici nel 1950 sono Giuseppe Fiocco, Roberto Longhi e Carlo Ludovico Ragghianti – una giuria di “professori” – con i due presidenti dei sindacati giornalisti italiani e stranieri e lo stesso Pallucchini. A parte le prime quattro edizioni, le carte ASAC sono lacunose sul premio della critica: in mancanza di un sicuro riscontro il filo di arianna. la nascita del premio della critica alla biennale 23 Ma il premio della critica ha una ricorrenza che è bene interrogare. Un documento conservato nell’Archivio Storico, datato 17 dicembre 1948 e riconducibile sempre al segretariato Pallucchini, permette di risalirne all’indietro le tappe: 1938, XXI Biennale, L. 20.000 suddivise tra stampa italiana ed estera; 1930, XVII Biennale – la prima della presidenza Volpi di Misurata – L. 5.000 offerte dalla Società Italiana Autori ed Editori; inine le prime quattro edizioni, 1897, 1899, 1901 e 1903, alla seconda, terza, quarta e quinta Biennale5. Questa discontinuità evidenzia momenti diversamente ma equiparabilmente cruciali sul piano istituzionale, segnati da forti ambizioni rispetto al ruolo sociale degli intellettuali in età fascista ma soprattutto negli anni della fondazione della Biennale, quando il premio, non a caso, è voluto e inanziato dal Comune. Il 23 febbraio 1896, durante la quarta adunanza del Comitato Ordinatore, Riccardo Selvatico propone Un premio o alcuni premi al migliore o ai migliori studi critici che usciranno nei giornali durante i primi mesi dell’Esposizione. La novità della cosa e la qualità delle persone chiamate a concorso torneranno di giovamento all’Esposizione stessa, sia dal lato intellettuale sia da quello della pubblicità. Importerebbe però che i premi fossero abbastanza ragguardevoli e che il Municipio di Venezia, facesse comprendere quant’esso tenga ad avere una storia critica della sua impresa6. Accolta all’unanimità7, la proposta mette in luce il dinamismo pragmatico e l’indirizzo promozionale al centro di quel progetto di rimodellazione turistico-commerciale di Venezia che aveva portato all’istituzione stessa della Biennale, nel 1895; non a caso l’iniziativa parte da uno dei suoi ispiratori più signiicativi, l’ex sindaco Selvatico8. Un tipico quanto effervescente empirismo si rivela ancora nel progressivo aggiustamento delle prospettive e delle ambizioni della mostra, in uno spirito che segnerà anche la conduzione, relativamente lessibile, del premio della critica9. Fa da stimolo il desiderio di cavalcare il successo giornalistico della prima Biennale10, ma soprattutto l’esigenza di distinguersi qualitativamente dall’esposizione di Roma del 1883 e dallo stesso precedente lagunare del 1887, proponendosi in un ruolo di eminenza nel dibattito nazionale e internazionale. archivistico ho desunto i dati proprio dalla rivista “la biennale”, che negli anni Cinquanta ne fa il bollettino. In seguito le tracce del premio si perdono. 5 ASAC, Fondo Storico, b. 138, cart. 2, fasc. “Premiati ai concorsi della critica alla Biennale dal 1897 al 1938”. 6 ASAC, Fondo Storico, Scatole Nere, fald. 6, b. “Processi verbali delle adunanze del Comitato ordinatore”. 7 Pompeo Molmenti – da assessore, certo sensibile alle possibili ricadute polemiche – suggerisce peraltro di dare la precedenza ai premi per gli artisti, in modo da evitare condizionamenti. 8 Sulla politica della giunta Selvatico in relazione alla Biennale: Romanelli 1995; Rabitti 1995, pp. 26-29. 9 Stando alle carte, l’annunciato «regolamento speciale» del premio non viene mai diramato. Il concorso è disciplinato al punto 11 del regolamento uficiale: Regolamento 1897. 10 La prima Biennale richiama 180 giornalisti italiani e 34 stranieri: Lamberti 1982, p. 107, n. 1. 24 francesca castellani Vale perciò la pena di ragionare su quel «lato intellettuale» citato da Selvatico, e sulla precocità di una rilessione in merito alla divulgazione e alla mediazione critica emersa, pressoché immediatamente, come centrale nelle prospettive di crescita culturale ed economica della mostra. Una crucialità confermata, paradossalmente, dalle polemiche con gli artisti che porteranno alla soppressione del premio nel 190411. Una vicenda importante dunque, in parte fallita rispetto alle aspettative (rimprovero mosso spesso, signiicativamente, alla Biennale!) e anche per questo utile osservatorio su alcuni crinali tematici: lo squilibrio, ad esempio, tra intenzioni e risultati; o la cerniera generazionale che si offre alla coincidenza di due nomi – Camillo Boito e Vittorio Pica – nel frangente del 1897, rappresentativi di una transizione dalle molte complessità. Ancora: la tensione e lo iato, emersi qui per la prima volta in termini istituzionali, tra lo “stato di fatto” di una critica di stampo giornalistico e un ulteriore livello di interrogativo teorico (ciò che motiva la nascita del premio e insieme il suo fallimento). La parabola del premio della critica è d’altra parte specchio del dibattito italiano anche nel senso delle sue aporie e contraddizioni12. Eppure sull’argomento tace o quasi la letteratura, a parte le note sempre illuminanti di Maria Mimita Lamberti e quelle successive di Giuliana Tomasella all’interno di saggi più generali13. La vicenda è comunque ricostruibile dalle fonti d’archivio, il cui esame rimando a una pubblicazione allargata alle quattro edizioni del premio14. Mi sembra utile invece concentrarmi su alcuni possibili fronti d’indagine emersi a un primo sondaggio, principalmente rivolti al tracciato delle intenzioni più che ai risultati. Se, come prima istanza, l’idea stessa di un concorso chiama in causa i requisiti di qualità (immediatamente posti a garanzia da Selvatico nella sua proposta, a ianco del fattore «novità»), la Relazione inale della Giuria, pubblicata il 28 dicembre 1897, ha cura di precisarne lo speciico terreno. Nessuno vorrà sostenere che la critica non debba considerarsi con idee assai più larghe, nel suo complesso, come una forma speciale che si ricongiunge alla letteratura, alla storia e alla ilosoia, per la necessità di coordinare l’arte, che essa esamina alle varie e molteplici manifestazioni del pensiero, allo sviluppo intellettuale ed economico, alla civiltà dei paesi ove iorisce15. 11 Il racconto della protesta degli artisti e della successiva abolizione del premio in Stella [1912], p. 71. 12 Per una ricognizione sulla critica italiana tra Ottocento e Novecento è ancora un riferimento Samek Ludovici 1940; si veda poi Percorsi 2007; per l’area veneta Borghi 2003, Tomasella 2008, p 499. 13 A parte brevi menzioni in Zorzi 1934 e Bazzoni 1962, gli unici interventi spettano a Lamberti 1982, pp. 107-110; Tomasella 2008, pp. 499-503. Sull’argomento sono state discusse due tesi di laurea, entrambe mai pubblicate e non consultabili: Bonatti 1988-1989 e Cognolato 1999-2000 (ringrazio Giuliana Tomasella per avermi segnalato quest’ultima tesi). 14 Le mie ricerche d’archivio risalgono al 1994, quando l’ASAC si trovava a Cà Corner della Regina. Per i riscontri inventariali recenti ringrazio Chiara Di Stefano e Mauro Perosin. 15 Relazione 1897-1898, p. 4, già cit. in Lamberti 1982. Il manoscritto originale di 38 fogli della relazione (con interessanti correzioni per mano di Camillo Boito) in ASAC, Fondo Storico, Scatole Nere, fald. 6, b. “Relazione della giuria convocata in Venezia per assegnare i premi ai migliori critici della mostra d’arte di Venezia”. il filo di arianna. la nascita del premio della critica alla biennale 25 Aggiungendo: «Oltre che varia, colta e comprensiva, deve essere perspicua, scritta bene». Se a quelle date, e allo stato del dibattito, scritta bene può intendersi in senso genericamente letterario, non va trascurato il valore della perspicuità: si pone, in deinitiva, una questione di lessico. Traspare dalla Relazione una forte volontà fondativa nell’individuare «compiti e igura del critico»16, proprio mentre si evidenziano le ambiguità di una pratica ancora in fase di deinizione, almeno nel contesto italiano. Vale la pena di rilettere, del resto, su come la vicenda sembri coincidere con il tentativo di istituzionalizzazione della critica ad opera di un ente giovane, con immediate ambizioni sul piano nazionale. Sintomatico il coinvolgimento in giuria di un network che fa capo, come vedremo, a professori e uomini di museo, in un «sistema di scambio tra istituzioni museali e critica»17 che trova conferma nella donazione alla futura Galleria di Cà Pesaro di un pastello di Francesco Paolo Michetti offerto in ringraziamento da Primo Levi l’Italico, primo vincitore del nostro premio18. La coincidenza non occasionale del premio con «l’istituzione di una permanente galleria veneziana d’arte moderna, fatta nel ’97 dalla magniicenza del principe Giovanelli» e da altri esponenti di quel nuovo mecenatismo industriale cui va ricondotta la nascita stessa della Biennale, come sappiamo, non sfugge già a Ugo Ojetti nel noto articolo su “la Lettura” del maggio 190119. Ma Ojetti e Pica – secondi classiicati, ex aequo, alle spalle di Primo Levi – con lo stesso Levi e Giulio Pisa fanno parte della Commissione selettiva per le opere da destinare alla nuova Galleria nominata dal sindaco Filippo Grimani durante la Biennale del 1899, quando i premi di pittura vengono convertiti in acquisti: il cerchio istituzionale tra concorso della critica, città e museo sembra davvero chiudersi20. Tocca ancora il cuore della questione il fatto che il meccanismo del premio, al di là del suo appeal economico, venga proposto come una forma di moderno mecenatismo, stimolo a una concorrenza elitaria21. Selvatico mostra di avere le idee chiare raccomandando che le somme siano ragguardevoli. L’adunanza del 23 febbraio 1896 proila due premi di 3.000 e 1.000 lire, che il Regolamento uficiale converte in tre premi di 1.500, 1.000 e 500 lire22. 16 Lamberti 1982, p. 107. 17 Tomasella 2008, p. 499. 18 «Or desiderando che di questi miei sensi rimanga pubblico segno, la prego, Signor Sindaco, di voler accettare per quella Galleria Nazionale d’Arte Moderna che sorge ad attestare il successo della seconda esposizione internazionale veneziana, e la sua beneica inluenza, un’opera di Francesco Paolo Michetti che mi è cara per ragioni d’arte e d’affetto»: ASAC, Fondo Storico, Scatole Nere, fald. 6, b. “1897 premi critica d’arte concorrenti-giuria-premi-relazione”, fasc. “concorrenti”, lettera di Primo Levi a Filippo Grimani, s.d. Si tratta di uno studio di popolana, catalogato al n. 450310 come Ritratto femminile con orecchini. Vale la pena ricordare che Michetti aveva vinto il premio Città di Venezia alla Biennale del 1895. 19 Ojetti 1901a. 20 Note d’arte 1899; vedi anche Lamberti 1982, p. 111. 21 Lamberti analizza gli atti del Consiglio comunale e il dibattito del 1895 sui premi in un’ottica moderna di «investimento produttivo»: Ivi, pp. 101-102. 22 Regolamento 1897, punto 11. Al di là delle luttuazioni nelle cifre, va notato che gli importi sono relativamente inferiori ai premi destinati agli artisti. Per evitare sospetti e polemiche, i premi della critica sono attribuiti dopo i premi degli artisti; i giurati vengono contattati a metà ottobre, a manifestazione quasi conclusa, il verdetto esce a ine dicembre. 26 francesca castellani Tutti questi elementi – la questione della qualità e del lessico, l’istituzionalizzazione del critico e il suo ruolo nella formazione di una coscienza visiva nazionale – trovano un epicentro in quella che chiamerei la strategia di costituzione della giuria, a partire soprattutto dalla prima edizione. Nonostante quanto si è scritto, sulla scorta di una certa ambiguità dei documenti, non si tratta di una giuria mista di artisti e letterati ma di una vera giuria di “professori”. Solo il 1899 vede la presenza dello scultore Ettore Ferrari, dopo il riiuto di Domenico Morelli, di Luca Beltrami e dello scultore Giulio Monteverde23. Un fronte comunque accademico, relativamente omogeneo e non locale – la giuria, non a caso, si riunisce a Venezia solo il primo anno – in stretto legame con le altre personalità coinvolte e gli indirizzi dell’Esposizione. Cardine della giuria del 1897 è Camillo Boito: tra i primi, nella generazione protagonista della fase di fondazione del paese, a sollevare l’urgenza di una lingua nazionale, unitaria e perspicua, che afianchi la lettura critica alla pratica artistica24. È noto quanto la palestra teorica di Boito abbia trovato un esercizio precoce e eficace nel giornalismo d’arte, in continuità con il maestro Pietro Selvatico25. Meno noto ma sostanziale, in quest’ottica di convergenze istituzionali e ideologiche, il suo coinvolgimento nel secondo, grande progetto (mancato) del mandato sindacale di Riccardo Selvatico, ancora una volta in continuità diretta con l’“altro” Selvatico: la creazione a Venezia di una Scuola Speciale di Architettura a carattere universitario, possibile testa di ponte per un più organico «sistema nazionale di belle arti» in quegli anni al centro del pensiero boitiano26. Seconda personalità di rango istituzionale nella giuria del 1897 è Corrado Ricci, allora impegnato nella revisione museograica delle Gallerie di Parma e Modena e nella “reinvenzione” di Ravenna, prima Soprintendenza ai Monumenti italiana istituita – altra coincidenza – nel 1897. Il carteggio conservato all’ASAC rivela un primo tentativo di sottrarsi all’incarico (nel 1903, nuovamente convocato, farà il nome di Benedetto Croce27) con la proposta paradossale di una giuria di artisti; Ricci accetta poi solo a patto sia garantita la presenza di Boito e del terzo giurato, il direttore della Galleria di Bologna Enrico Panzacchi28. Figura tipicamente a metà strada tra accademia, tutela e giornalismo, Panzacchi 23 Sulla composizione delle varie giurie gli artisti danno battaglia nel 1896, tanto che, per mediare, la giunta opta per una giuria di due critici e un artista: cfr. n. 48. Diversi documenti registrano questa soluzione (ad es. una lettera di Grimani a Molmenti: ASAC, Fondo Storico, Copia Lettere, 16 ottobre 1899) che tuttavia viene aggirata nei fatti, almeno nel caso del premio della critica, sempre che non si volesse intendere come igura di tecnico-architetto la presenza di Boito nella prima giuria. Queste le commissioni: 1897 Camillo Boito, Enrico Panzacchi e Corrado Ricci; 1899 Ettore Ferrari, Pompeo Molmenti e Adolfo Venturi; nel 1901 il giornalista Filippo Crispolti, Primo Levi l’Italico (vincitore della prima edizione) e ancora Panzacchi; nel 1903 Giuseppe Giacosa – come collaboratore de “la Lettura” e non musicista – Pompeo Molmenti e Ugo Ojetti, anch’egli uscito dai ranghi dei premiati. 24 Zucconi 1997; Camillo Boito 2000. Boito viene interpellato anche per l’edizione 1899: ASAC, Fondo Storico, Copia Lettere, Camillo Boito ad Antonio Fradeletto, Milano 17 ottobre 1899. 25 A partire, principalmente, dagli anni Settanta sulle pagine di “Nuova Antologia” e dal 1892 come direttore di “Arte Italiana Decorativa e Industriale”; Bernabei 2003. 26 Il progetto – ereditato, come la Biennale, dalla giunta Grimani – è destinato a inabissarsi proprio nel 1897. De Stefani 1992, pp. 81 ss.; Zucconi 2011, pp. 29-31. 27 ASAC, Fondo Storico, Copia Lettere, Corrado Ricci ad Antonio Fradeletto, Milano, 14 ottobre 1903; tra i possibili sostituti Ricci indica anche Vittorio Spinazzola e Igino Benvenuto Supino. 28 ASAC, Fondo Storico, Scatole Nere, faldone 6, busta “1897 premi critici d’arte concorrenti-giuria-premi-relazione”, lettera di Corrado Ricci ad Antonio Fradeletto, Modena 20 ottobre 1897. il filo di arianna. la nascita del premio della critica alla biennale 27 sembra qui agire da mediatore ideale con il fronte della critica militante; sarà proprio Ricci a ricordarne in epitafio la «benevolenza critica», intendendo un’equilibrata distanza dai toni faziosi lamentati dalla giuria del 189729. Chiamato a esprimersi sul famoso scandalo Grosso nel 1895, Panzacchi è impiegato anche nella giuria del 1901: lo stesso anno in cui contribuisce a nominare Adolfo Venturi sulla prima cattedra italiana di Storia dell’arte30. Quello di Venturi è un altro nome intorno a cui ruota una serie di coincidenze che è bene interrogare. Il Venturi storico, professore, polemista, funzionario e uomo di tutela incrocia la Biennale dalla sua prima edizione, quando fa parte della giuria di premiazione delle opere d’arte e, contemporaneamente, gestisce il riordino e l’allestimento delle Gallerie dell’Accademia e del Museo Archeologico riaperti in occasione dell’inaugurazione della mostra31. Si ripropone così quel legame di continuità ideologica tra arte del passato e arte contemporanea – tradotto in termini istituzionali, il “sistema” musei/esposizione – che è fra i temi statutari della Biennale in dal 1895 e che possiamo ripercorrere ino al 1948, nella visione di Rodolfo Pallucchini32. Promotore di uno speciico disciplinare sottratto agli artisti come all’estetismo letterario (il fronte D’Annunzio-Conti, per intenderci) Adolfo Venturi interviene nella giuria per la critica del 1899 accanto a Ettore Ferrari e Pompeo Molmenti, redigendo la Relazione più severa tra le edizioni del premio33. Due volte giurato anche Molmenti, nel 1899 e nel 1903: anno in cui pubblica La pittura veneziana proponendosi come nuovo Cicognara nella difesa, ancora una volta, di una speciica tradizione lagunare in continuità diretta col presente34. Uomo di Biennale in dalla fondazione, il carteggio con il Segretario Generale Antonio Fradeletto durante i premi del 1897 e 1899 ne rivela un inedito ruolo di mediazione per la composizione della giuria35. Quanto potesse mostrarsi trasversale, al di là di appartenenze ideologiche e politiche, questo fronte di intendenti si può misurare in occasione del «concordato artistico» chiamato da Corrado Ricci attorno al restauro di San Vitale a Ravenna, nel 1900: tra i nomi coinvolti Boito, Molmenti, Ojetti, Croce, Pica, Primo Levi l’Italico, Antonio Fradeletto36... 29 «Né da ultimo abbiamo lasciato in disparte un lato, che si può dire morale, della critica stessa, ossia l’educazione»: Relazione 1897-1898, p. 123. Per la «benevolenza critica» di Panzacchi: Ricci 1904. 30 Nella commissione di concorso per Venturi troviamo, tra gli altri, Molmenti e Fradeletto: un asse culturale e politico che trova specchio nella Biennale. Agosti 1996, p. 154. 31 Ivi, pp. 120-129. Nella giuria di premiazione della Biennale – composta da cinque critici, da cui le proteste degli artisti – Venturi è il solo italiano: Lamberti 1982, pp. 105-106. 32 Sulla continuità ideologica già Lamberti 1995 p. 39; Castellani 2010; Tomasella 2011. 33 Sulle polemiche con D’Annunzio e Conti: Agosti 1996, pp. 128-134; Mazzanti 2007, pp. 201-208; v. anche Cinelli 1985. Queste le parole usate da Venturi nella relazione: «L’impreparazione è grande tra noi, come ne fanno fede purtroppo i molti erronei accenni all’arte del passato negli scritti dei concorrenti, le indicazioni di reminiscenze di opere antiche. Manca così nei molti concorrenti il fondamento primo, senza il quale non si colgono a volo le aspirazioni moderne, si ode, ma non si intende il linguaggio dell’arte. Questo diciamo per il desiderio che la critica assurga alle altezze a cui l’arte mira, l’accompagni fraternamente, e la stringa in un vincolo indissolubile col pubblico» (Relazione 1899, p. 2, già in Lamberti 1982, p. 109: il manoscritto è conservato in ASAC). 34 Molmenti 1903. Al 1897 risale Venezia. Nuovi studi di storia e arte: il primo capitolo è dedicato alla Biennale del 1895. Su questi temi L’enigma 2006; Nezzo 2013, pp. 403-411. 35 ASAC, Fondo Storico, Scatole Nere, fald. 11, b. “1899 concorso critici d’arte”. Non vanno trascurati i legami politici di cui Molmenti godeva come parlamentare. Su Molmenti critico, passi in Cimonetti 2016, pp. 51-59. 36 Ricci 1900, pp. 69-74. 28 francesca castellani Quel che si proila è uno schieramento di specialisti che sembra adottare la circostanza del premio come una forma parallela di intervento all’interno di una più ampia prospettiva di sistematizzazione e tutela, dove la isionomia, il ruolo e il lessico della critica trovano una collocazione “professionale”. Non a caso la Relazione inale del 1897, redatta da Corrado Ricci, rivendica al critico, al di là «della sola educazione dell’occhio [...] un largo patrimonio di cognizioni storiche, ilosoiche e letterarie, così da accoppiare all’autorità di tecnici, quella più alta di pensatori e più geniale di scrittori»37. Anche i giudizi sui vincitori sono parlanti. Di Primo Levi si apprezza la capacità di intendere «più largamente di ogni altro la critica», svincolandola dall’occasionalità di una lettura puramente tecnica per legarla a un quadro sociale più generale: quella isionomia dei popoli e delle nazioni che Boito doveva più di altri apprezzare, accanto allo pseudonimo Italico. A Ojetti – secondo in ex aequo con Pica38 – si riconosce la piacevolezza, la vivacità e la varietà lessicale ma si rimproverano gli «eccessi» e le «classiicazioni ideologiche». Pica è lodato speciicamente per le qualità di erudito: l’«esatta conoscenza delle vicende delle scuole artistiche straniere» e la capacità di sistematizzarne gli influssi, le diramazioni, i rapporti tra centro e periferia, secondo categorie che sembrano mutuate da una visione di scuola universitaria39. Più signiicativo però il rimprovero (e Pica, in una lettera a Fradeletto, se ne mostra orgoglioso più che delle lodi)40: il Pica ha, per così dire, il preconcetto aristocratico. Si compiace di appartenere al “piccolo numero dei buongustai dell’arte, destinato così di sovente ad essere in dissidio con la maggioranza del pubblico”. Questo togliere ogni valore di sentimento popolare, generalmente fedele a forme passate o già in uso da qualche tempo, è una delle cause del suo troppo sollecito orientarsi verso formule più nuove o inaspettate41. In altre parole, a Pica è rimproverata la militanza. La letteratura ha ovviamente denunciato i limiti di una visione che, nella lettera, lo stesso Pica deinisce espressione «del partito conservatore della critica artistica». Su questo punto si segna certamente un cambiamento di prospettiva generazionale. Eppure mi sembra che occorra riconsiderare questo conservatorismo alla luce dell’urgenza fondativa e della battaglia istituzionale che ho appena cercato di delineare. L’accusa di elitarismo e distanza dal pubblico è, per la generazione espressa dalla giuria, un’accusa grave, che chiama in causa 37 Relazione 1897-1898, p. 4. 38 Il terzo premio va in ex aequo a Ugo Fleres (che lo considera «umiliante»: ASAC, Fondo Storico, Scatole Nere, fald. 6, b. “1897 premi critica d’arte concorrenti-giuria-premi-relazione”, fasc. “concorrenti”, lettera di Fleres a Antonio Fradeletto, Roma 30 dicembre 1897) e a Giovanni Antonio Munaro. 39 Non a caso nel 1899 Venturi ne loda la «diligenza»: Relazione 1899, p. 4. Su Pica, Vittorio Pica 2016. 40 «Per conto mio, io sono contentissimo della parte che mi riguarda e direi quasi più della polemica parte negativa che della laudativa parte affermativa, giacché essa fa onore così a me, che ho mantenuto intatto il mio programma d’arte d’avanguardia»; lettera del 12 gennaio 1898, ASAC, Fondo Storico, Scatole Nere, fald. 8, b. “1898-1899 P.Q.O.R.S.T. Pica”. Su Pica è in atto un progetto di ricerca coordinato da Davide Lacagnina, dell’Università di Siena. 41 Già cit. in Lamberti 1982, pp. 108-109. il filo di arianna. la nascita del premio della critica alla biennale 29 anche un’etica del linguaggio critico. L’istanza pedagogica corrisponde infatti perfettamente a quella “progettazione dell’italiano” di cui parla Giulio Bollati, destinata peraltro a essere disattesa, proprio in Biennale, dall’istituzione delle sale regionali nel 190142. Non credo perciò che in questo caso si possano spendere con pertinenza le categorie di “avanguardia” e “moderato”. Una militanza in senso moderno è culturalmente estranea a una visione che afida al critico una responsabilità civile di mediazione, il cui terreno va inequivocabilmente spartito non con l’artista ma con il pubblico. Si trattava, anche, di sottrarsi al sospetto corporativo e a una versione faziosa della stessa militanza, al polemismo gratuito e soggettivo in cui scadeva parte della produzione giornalistica, assecondando senza orientare il gusto corrente. Lapidario ed emblematico, anche se ingiusto, il giudizio della commissione su Enrico Thovez: «Le [sue] critiche non mancano di acutezza, di rapidità, di comprensione e di coltura artistica, ma si distinguono per due caratteri: un pessimismo esorbitante ed un’asprezza di censura [...] Una critica simile non educa il pubblico, non istruisce gli artisti e... non giova alle esposizioni»43. Occorre ragionare anche sui diversi livelli di utilizzo della parola pubblico – quella che Anna Maria Mura deinisce «la problematica del destinatario»44: da una parte il «pubblico-consumatore», dall’altra il pubblico guidato, bacino di una posta pedagogica molto alta che vede al centro il «critico sensale», secondo la celebre deinizione di Boito45. Ha ragione Alessandro del Puppo quando, da un simmetrico fronte d’indagine, intravede un legame tra la soppressione del premio attribuito dalla giuria popolare e l’istituzione del premio della critica46. Il clamore del caso Grosso, nel 1895, ha contribuito a far emergere la necessità di orientare il giudizio, alimentando aspettative e proiezioni di una critica di indirizzo. Si trattava inine, e questo è evidente, di professionalizzare le competenze del critico rispetto all’artista. Dalle lotte per la composizione della giuria alla Relazione inale, il premio si inserisce nel dibattito secolare ma vivo sull’avocabilità del giudizio sull’opera d’arte, che in occasione della Biennale tocca, come è noto, punte di particolare animosità corporativa sin dalle polemiche sulla giuria dopo il 189547. La battaglia si riapre nell’adunanza del 12 maggio 1896, con le giurie all’ordine del giorno. «La giuria dev’essere composta di pittori e di scultori, esclusi i critici d’arte, dei quali egli non riconosce la competenza a premiare le opere degli artisti»: a questo attacco di Alessandro Zezzos Fradeletto risponde con l’accusa di esclusivismo degli artisti: «È preferibile dunque una giuria di critici, perché sono assai meno vincolati a preconcetti di scuola»48... Una posizione che trova esito nei fatti – aggirando, come si è visto, l’accordo per una giuria a composizione mista – e un’eco teorica nel celebre “decalogo” Diritti e doveri del critico d’arte moderna, pubblicato da Ojetti su 42 Bollati 1972. 43 Relazione 1899, pp. 13-14. 44 Mura 1979, p. 297. 45 Lamberti 1982, p. 109. 46 Del Puppo 1995, p. 23. 47 Lamberti 1982, pp. 110-116. 48 ASAC, Fondo Storico, Scatole Nere, fald. 6, b. “Processi verbali delle adunanze del Comitato ordinatore”, adunanze del 12 e 13 maggio 1896. Il fronte degli artisti peraltro non è unanime, come dimostra il dissenso di Augusto Sezanne e Pietro Fragiacomo. Su Fradeletto, Ceschin 2001. 30 francesca castellani “Nuova Antologia” del 16 dicembre 1901 e riversato poi nella Relazione sul premio del 1903. «Il critico d’arte moderna [...] ha diritto d’ingerirsi di tutte le cose dell’arte. [...] la sua equilibrata cultura gli toglie l’ingenuità dell’artista. [...] il più saggio collegio d’artisti giudica il presente in confronto al passato; un collegio di critici, pur sentendo tutto il valore del passato, giudicherà sempre il presente rispetto all’avvenire»49. Risponderanno gli artisti mettendo al primo posto, in una lista di richieste alla presidenza della Biennale, l’abolizione del premio della critica50. L’interrogazione dei documenti lascia molte sollecitazioni ancora in sospeso: ad esempio, chi compare nella lista dei candidati e chi sceglie di non comparire. Nel 1897 i concorrenti sono ventiquattro, di cui solo quattro di area veneta (tra loro il terzo classiicato Giovanni Antonio Munaro) e due stranieri, entrambi tedeschi, a confermare una linea di tendenza delle prime Biennali. Del resto l’ambizione fondativa e identitaria che animava il concorso doveva risultare estranea alla stampa internazionale. Oltre a Pica, Ojetti, Thovez e Primo Levi nella lista dei partecipanti troviamo altri nomi illustri, alcuni premiati in altre edizioni: Diego Angeli, Achille De Carlo, Ugo Fleres (al terzo posto con Antonio Munaro, un altro ex aequo), Angelo Gatti, Alessandro Stella. La seconda edizione segna l’ingresso in competizione di Mario Morasso51, Sylvius Paoletti, Ercole Rivalta e Domenico Tumiati; la vittoria va a Ugo Fleres e il secondo premio a Diego Angeli, il terzo ex aequo di nuovo a Pica, Ojetti e stavolta Thovez. Un premio di riconoscimento viene istituito per De Carlo e Morasso. Il terzo concorso, che la giuria divide in quattro categorie (una riservata agli stranieri), vede l’esordio di Arduino Colasanti e di Margherita Sarfatti52, che riceve una menzione onorevole per un saggio su Rodin. È inalmente l’anno della vittoria di Pica, a riconoscimento del ruolo organizzativo giocato in questa edizione della Biennale53, seguito da Morasso e Mazzini Beduschi; Ojetti decide di non concorrere. La categorizzazione del 1901 è interessante per il metodo che distingue tra critica aperta agli scenari generali, critica descrittiva e “critica della critica”, vale a dire l’esame del «criterio dei critici e specialmente l’inluenza di questi ultimi nell’ordinamento della Mostra e nelle tendenze degli artisti»54. L’edizione 1903 spicca per il secondo premio al francese Gustave Soulier, primo straniero laureato al concorso, e il terzo posto di Margherita Sarfatti (il primo premio è al bolognese Giulio De Frenzi). Ma alle presenze occorre afiancare le assenze. Particolarmente vistosa quella di Angelo Conti, estromesso dal riordino delle Gallerie dell’Accademia dopo l’arrivo di Venturi e in sicura polemica con la linea espressa dalla giuria55. Ignorano ad esempio il concorso Giovanni Cena, con “Nuova Antologia”, Giulio Aristide Sartorio, forse perché presente 49 Ojetti 1901b, p. 741; Lamberti 1982, p. 110; cfr. anche De Lorenzi 2004, pp. 57-64. Su Ojetti, Nezzo 2017a; Nezzo 2017b. 50 Stella [1912], p. 71. 51 Pertici 1985, p. 143; Tomasella 2008, pp. 500, 502. 52 Sulla Sarfatti: Da Boccioni 1997, pp. 13-61; Tomasella 2008, pp. 500-501; Cimonetti 2016. 53 Alessandro Stella deinirà «atto camorristico» il «vile premio della critica a Pica»: ASAC, Fondo Storico, Scatole Nere, b. 14, “Attività 1894-1944”. 54 Relazione [1901], p. 3. 55 Agosti 1996, pp. 120-125; Mazzanti 2007, pp. 193-203. il filo di arianna. la nascita del premio della critica alla biennale 31 come artista. Nel 1899 un giovanissimo Gino Damerini, esordiente sulla “Gazzetta degli artisti” e più avanti sul “Gazzettino di Venezia”, farebbe a tempo ma non partecipa al premio della critica56. Chiudo rinnovando la rilessione su un processo di istituzionalizzazione che tende a reinvestire al suo interno i vincitori del premio, questa volta giocando la partita sul futuro. I nomi di Pica e di Ojetti – ventiseienne nel 1897, ma già allora «accorto amministratore di se stesso»57 – sono i più ovvi ma non gli unici da citare. Segno, in deinitiva, della vitalità del progetto, nonostante la parabola del premio della critica resti circoscritta e ancora poco indagata. 56 Tomasella 2008, p. 503. 57 Cinelli 1985, p. 180. 32 francesca castellani