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XXVIII/1-2 2016 LIM Recercare xxviii/1-2 2016 Recercare Rivista per lo studio e la pratica della musica antica Journal for the study and practice of early music Organo della / Journal of the Fondazione Italiana per la Musica Antica direttore / editor Arnaldo Morelli (Università di L’Aquila) comitato scientifico / advisory board Anna Maria Busse Berger (University of California, Davis) Mauro Calcagno (Pennsylvania University, Philadelphia) Philippe Canguilhem (Université de Toulouse – Le Mirail) Ivano Cavallini (Università di Palermo) Étienne Darbellay (Université de Genève) Marco Di Pasquale (Conservatorio di Vicenza) Norbert Dubowy (Goethe-Universität, Frankfurt am Main) Giuseppe Gerbino (Columbia University, New York) Lowell Lindgren (Massachussetts Institute of Technology, Cambridge, Mass.) Lewis Lockwood (Harvard University, Cambridge, Mass.) Stefano Lorenzetti (Conservatorio di Vicenza) Renato Meucci (Conservatorio di Novara) Margaret Murata (University of California, Irvine) John Nádas (University of North Carolina, Chapel Hill) Noel O’Regan (University of Edinburgh) Franco Piperno (Università di Roma – La Sapienza) Giancarlo Rostirolla (Università di Chieti) Kate van Orden (Harvard University, Cambridge, Mass.) Luca Zoppelli (Université de Fribourg) In copertina: Bartolomeo Bettera (1639 – post 1688), Natura morta con strumenti musicali (particolare), proprietà privata. direttore responsabile / legal responsability Giancarlo Rostirolla direzione e redazione / editorial oice Fondazione Italiana per la Musica Antica via Col di Lana, 7 – C.P. 6159 00195 Roma (I) tel/fax +39.06.3210806 recercare@libero.it – www.ima-online.org LIM Editrice srl I-55100 Lucca, via di Arsina 296/f tel/fax +39.0583.394464 lim@lim.it – www.lim.it abbonamenti e arretrati / subscriptions and back issues Italia / Italy € 24 – estero / abroad € 29 autorizzazione del Tribunale di Roma n. 14247 con decreto del 13-12-1971 pagamenti a / payments to LIM Editrice srl c/c postale / postal account n° 11748555 carta di credito / credit card Eurocard; Mastercard; Visa graica e copertina / graphics and cover Ugo Giani issn 1120-5741 isbn 978-88-7096-899-6 Recercare xxviii/1-2 2016 Alfonso Colella Musica profana a Napoli agli inizi del Cinquecento: i villancicos della Cuestión de amor 5 Jefrey Levenberg Worth the price of the Musurgia universalis: Athanasius Kircher on the secret of the “metabolic style” 43 John Whenham he Messa a quattro voci et salmi (1650) and Monteverdi’s Venetian church music 89 Paolo Alberto Rismondo Giovanni Rovetta, «uno spirito quasi divino, tutto lume in nere et acute note espresso» 121 Eleonora Simi Bonini – Arnaldo Morelli Gli inventari dei «libri di musica» di Giovan Battista Vulpio (1705–1706). Nuova luce sulla «original Stradella collection» 175 4 Interventi Francesco Zimei Ars nova disvelata. Sulla restituzione digitale del palinsesto San Lorenzo 2211 alla luce di due studi recentemente pubblicati 217 Libri e Musica: raffaele mellace, Johann Adolf Hasse (S. Caputo); barbara sparti, Dance, dancers and dance masters in Renaissance and Baroque Italy (W. Heller); roberto lasagni, L’arte tipograica in Parma (F. Dallasta) 235 Sommari 245 Summaries 251 Gli autori 257 Contributors 259 Informazioni per gli autori 261 Information for Authors 262 Libri e musica raffaele mellace, Johann Adolf Hasse, neubearbeitete Ausgabe. Aus dem Italienischen übersetzt von Juliane Riepe, Beeskow, Ortus Musikverlag, 2016, pp. vi, 457; ill. b/n e colore; ess. mus. (Ortus studien, 16) isbn 9783937788401 Johann Adolf Hasse appartiene a quella categoria di compositori che dopo la morte sono stati quasi del tutto dimenticati. Per lungo tempo la sua musica è stata di rado inserita nei programmi dei teatri d’opera o delle sale da concerto, e al contempo poco considerata da musicisti, pubblico e persino studiosi, forse perché Hasse apparteneva a quella generazione di compositori, compresa fra Bach e Händel da un lato e i classici viennesi dall’altro, che, a diferenza delle successive, ha goduto in generale di minor fortuna. Il dato è sorprendente se si considera che Hasse, al suo tempo, era considerato una personalità di prima grandezza, appartenendo al novero dei grandi maestri famosi in tutta Europa. L’interesse per il compositore e la sua produzione si è ridestato negli ultimi decenni del secolo scorso ed è iorito col nuovo: segnali di questa tendenza si possono considerare le edizioni ilologicamente accurate delle musiche (pubblicate dalla Carus di Stoccarda) e la ripresa di opere e feste teatrali (nel 2005, ad esempio, Cleoide alla Semperoper di Dresda, città in cui nel 1731 ebbe luogo la prima, nel 2012 Didone abbandonata alla Opéra royal di Versailles e Artaserse al Festival della Valle d’Itria, e ancora nel 2014 Marc’Antonio e Cleopatra al Palazzo Labia di Venezia). Ai primi importanti studi musicologici apparsi negli anni Settanta, si è aggiunto un numero sempre crescente di contributi su diversi aspetti della vita e dell’opera del compositore; tra questi la monograia di Rafaele Mellace, che nel 2004 (Palermo, L’Epos) afrontava meritoriamente l’intera igura e produzione di Hasse. Scopo della pubblicazione era colmare un vuoto — l’assenza di trattazioni onnicomprensive —, avvicinando tanto il musicista, quanto l’appassionato e il musicologo alle realizzazioni artistiche di un compositore che visse quasi per intero il diciottesimo secolo e che produsse contributi per la maggior parte dei generi del tempo. Hasse tracciò un ponte tra le culture come pochi altri: fu cosmopolita in un secolo di cosmopolitismo e proprio per questa ragione fu guardato a lungo dai posteri, prigionieri di un eccessivo nazionalismo, con uno sguardo diidente. Il cosmopolitismo di Hasse non fu solo astratto e teorico, poiché il compositore, anche in condizioni non sempre confortevoli, non smise mai nel corso della vita di attraversare l’Europa. A dieci anni dall’edizione italiana del libro, prendendo atto della felice e fertile ioritura degli studi su Hasse, Mellace ha rimesso mano al lavoro, aggiornando la precedente ricerca e pubblicandola nella terra natia e nella lingua del «caro Sassone», nome col quale Hasse fu noto in quella che si potrebbe deinire la seconda patria: l’Italia. L’autore ha mantenuto l’impostazione concettuale e la struttura della versione italiana, introducendo però i risultati della ricerca degli ultimi dieci anni, in modo tale che il libro potesse esprimere lo stato della letteratura di riferimento al 2015. Chi prenderà la versione originale per fare un confronto, non troverà nell’e- 236 libri e musica dizione tedesca — precisa lo stesso autore — «nessun mutamento sostanziale, ma costaterà che è stato ainato e concentrato lo sguardo su tanti punti speciici». La prima parte del libro è dedicata alla biograia. Mellace orienta l’attenzione su alcuni momenti fondamentali della vita del compositore e sulle città in cui si svolse l’attività creativa, descrivendo in maniera coincisa ma dettagliata i luoghi in cui egli soggiornò e analizzando i contesti e le relazioni (tra scena artistica e musicale, tra uomini e istituzioni) che caratterizzarono la sua vita. Anzitutto è descritta Amburgo, sul cui sfondo fra il 1715 e il 1720 si pongono le prime realizzazioni musicali di Hasse, quindi la corte del Braunschweig, inine l’Italia e Napoli, passando per Venezia, Bologna, Firenze, Roma. Nella città partenopea, come allievo di Alessandro Scarlatti, Hasse visse una trasformazione radicale: da iglio di un organista protestante del nord della Germania, dopo essersi convertito al cattolicesimo, egli divenne uno dei principali sostenitori del moderno stile dell’opera per musica italiana. Negli anni Trenta Hasse fu a Venezia, all’epoca tra i più importanti centri produttivi di teatro musicale, dove costruì una riconosciuta fama di compositore di drammi. Inoltre, durante il soggiorno lagunare conobbe e sposò la cantante Faustina Bordoni, igura importante non solo nella sfera privata, ma anche per la carriera d’artista. Un ampio capitolo della prima parte si occupa del periodo in cui Hasse fu Kapellmeister a Dresda (1734–1763). La capitale della Sassonia, durante la reggenza di Augusto ii (1694–1733) e di suo iglio Augusto iii (1733–1763), entrambi prìncipi di Sassonia e re di Polonia, fu uno dei massimi centri culturali d’Europa, luogo di attrazione e di incontro per architetti, pittori, letterati e musicisti provenienti da ogni paese. La Hokapelle era l’istituzione al centro della vita musicale della città: dotata di oltre 40 musicisti essa vantava una delle migliori compagini musicali d’Europa. Inoltre Dresda annoverava il più grande teatro d’opera della Germania, capace di accogliere un gran numero di spettatori. Nella città sassone Hasse realizzò musiche per le più importanti festività religiose, compose opere nuove, riprese vecchi lavori e contribuì a incrementare le qualità di cantanti e orchestrali. Gli accordi che regolavano l’impiego del compositore includevano periodi di vacanza durante le assenze del re: Hasse utilizzò tali occasioni per adempiere commissioni estere e compiere lunghi viaggi (in Italia, per assistere alle realizzazioni delle sue opere, ma anche a Parigi, Berlino e Vienna). Non a caso Mellace dedica un intero capitolo alla decennale collaborazione coi diversi teatri della penisola italiana, in particolar modo con quelli veneziani e col San Carlo di Napoli (nei soli anni Quaranta furono eseguite nuove opere a Venezia, quali la Semiramide riconosciuta e Demofoonte, e riprese altre a Napoli, come il dramma per musica Lucio Papirio e la festa teatrale L’asilo d’Amore). Con la ine della Guerra dei sette anni (1756–1763) e la morte del principale benefattore, Augusto iii, al quale il compositore dedicò il Requiem in Do maggiore, Hasse si stabilì a Vienna, residenza imperiale degli Asburgo — dinastia cui fu legato per lunga parte della carriera — e dimora di Metastasio. Al periodo viennese risalgono diversi lavori; tra questi, le feste teatrali Egeria, Partenope e Piramo e Tisbe, numerose cantate, oratori e musica sacra (particolare fortuna ebbero libri e musica 237 le Litaniae lauretanae in Sol maggiore). Trascorse gli ultimi anni di vita a Venezia, dove morì il 16 dicembre 1803. Alla sezione dedicata alla biograia, segue quella, altrettanto ampia, che afronta le opere di Hasse per la scena. Mellace presenta i drammi per musica raggruppandoli in base alle tappe biograiche illustrate nella prima parte: le informazioni in precedenza accennate sono ampliate, completate e precisate. Analizzando difusamente o parzialmente quei singoli lavori che furono vissuti all’epoca come modelli esemplari, l’autore ricostruisce una sorta di ossatura fondamentale del corpo delle opere di Hasse, idealmente costituita da Artaserse (1730), Cleoide (1731), Didone abbandonata (1742/43), Attilio Regolo (1750), Achille in Sciro (1759), Il Trionfo di Clelia (1762) e Ruggiero (1771). In questo percorso s’inserisce un capitolo dedicato al rapporto fra Hasse e Metastasio: i due dominarono il panorama del dramma per musica europeo per un cinquantennio, da Artaserse, andato in scena nel febbraio 1730 a Venezia (Teatro di San Giovanni Grisostomo), a Ruggiero, spettacolo dell’ottobre 1771 (Milano, Teatro Ducale) col quale la coppia d’artisti di congedò dai palcoscenici. Mellace non si limita a ofrire un’attenta ricostruzione storica della genesi e delle rappresentazioni dei drammi: sofermandosi sulle speciiche caratteristiche formali delle opere, fornisce al lettore elementi utili per comprendere lo stile peculiare del compositore e le ragioni del suo successo. Anzitutto leggerezza e grazia del proilo melodico, unite a un’economia dei mezzi espressivi, sono indicate come tratti caratteristici dei lavori per la scena, contraddistinti inoltre da compiutezza compositiva e attenzione alle abilità vocali degli interpreti. Peculiare fu, inoltre, in Hasse la costruzione formale delle arie, veicoli per la rappresentazione di afetti universali: dopo aver a lungo prediletto quelle ‘col da capo’, il compositore si distaccò sempre più spesso da questa forma, ricercando nuove soluzioni. Oltre a lavorare con cantanti di primo ordine, egli poté contare a lungo su una delle migliori orchestre del tempo: la Dresdner Hokapelle. Anche a ciò si deve l’ampio ricorso a strumenti concertanti o obbligati nelle arie, funzionali a mettere in risalto le capacità virtuosistiche degli esecutori: tale espediente stilistico, tipico della produzione per la città sassone, divenne col tempo frequente anche nei lavori destinati ad altri luoghi. Non secondaria fu l’attenzione che Hasse riservò a drammaturgia e scena. Strategica, ad esempio, è generalmente la disposizione delle arie all’interno del piano complessivo del dramma: Hasse è alla continua ricerca di un equilibrio tra ingresso in scena dei caratteri più signiicativi, tipologie di arie da utilizzare e peso dei corrispondenti afetti nella deinizione dello sviluppo drammaturgico. Rilevanti apparati scenici, centinaia di comparse e fastosi costumi rendevano, inoltre, la fruizione visiva delle opera composte per Dresda un’esperienza unica. Accanto ai drammi per musica, Mellace mette in risalto l’importanza di intermezzi, serenate, azioni e feste teatrali nel percorso creativo di Hasse, dedicandovi speciici capitoli. Il compositore frequentò questa costellazione di generi celebrativi realizzando lavori, diversi per dimensioni, in ognuna delle tappe fondamentali della sua vicenda professionale. Intento dell’autore non è solo quello di evidenziare una produzione 238 libri e musica destinata a rendere omaggio i potenti di turno, ma di sottolinearne il valore cruciale storico-culturale, in quanto rilesso di quella intricata trama di relazioni dinastiche che si dipanò nell’Europa dell’Ancien régime, attraverso mutevoli alleanze e l’evoluzione dei rapporti tra Asburgo e Borbone ino alla frattura della Guerra dei sette anni e oltre. La sezione centrale del volume indaga una parte importante della produzione del compositore: le cantate secolari (circa novanta). L’impianto formale di base di questi lavori, simile a quello dei drammi per musica, è fondato sull’alternarsi di arie e recitativi; a cambiare considerevolmente sono però le dimensioni: Hasse realizza piccoli gioielli di un teatro immaginario, che vede spesso al centro il conlitto tra due opposti afetti. La lessibilità formale e tematica del genere (si va dall’Aurora, che consta solo di un recitativo e di un’aria, alla Danza che prevede quattro recitativi, altrettante arie e un duetto) consente ad Hasse di sperimentare soluzioni sempre nuove, anche da un punto di vista vocale e strumentale: dalla voce solista accompagnata dal basso continuo, a quella sostenuta da uno strumento solista in funzione concertante, all’uso di più solisti con l’accompagnamento dell’orchestra. Segue la quarta parte, dedicata alla musica sacra: nel corso della carriera Hasse intonò antifone mariane, cantate sacre, inni, litanie, messe, mottetti, oratori e salmi. Gran parte di queste opere furono realizzate per due istituzioni: l’Ospedale degli Incurabili di Venezia e la corte di Dresda, dove ad Hasse toccava il privilegio di scrivere per le occasioni più importanti, mentre altri compositori provvedevano alle musiche per il calendario liturgico ordinario. Per la corte sassone compose grandi oratori in stile concertante, dal linguaggio moderno mutuato dai drammi in musica: Le virtù appiè della croce (1737), Giuseppe riconosciuto (1741), I pellegrini al sepolcro di Nostro Signore (1742), La deposizione dalla croce di Gesù Cristo Salvador Nostro (1744), La conversione di Sant’Agostino (1750). Oltre alle composizioni per Venezia e Dresda vanno segnalati i due oratori che risuonarono a Vienna nel 1772 e nel 1774, Sant’Elena al Calvario e Il cantico de’ tre fanciulli, entrambi versioni rielaborate di lavori scritti per Dresda, e le ultime messe dalle qualità formali e dalle capacità espressive vicine al classicismo viennese. Ultima parte è quella che esamina le musiche da camera e i concerti: Mellace getta uno sguardo attento su brani legati allo stile galante (soprattutto a due e a tre, molti scritti per lauto) che, pur avendo trovato fortuna editoriale a Londra, Parigi e Amsterdam, furono marginali nell’attività creativa del compositore. Chiude il libro l’ampia sezione che comprende il catalogo delle opere, l’elenco delle edizioni moderne e la bibliograia: tali apparati sono stati riveduti, rinnovati e ampliati rispetto alla pubblicazione del 2004, fornendo al lettori strumenti ricchi e aggiornati utili per muoversi nell’opera del compositore e nei contributi musicologici ad essa dedicati. In conclusione, non si può che confermare il giudizio espresso da Zenon Mojzysz nella critica all’edizione italiana (Il Saggiatore musicale, xiii/1, 2006): «elegante nel linguaggio, ricco di informazioni e fedele ai fatti, il libro ofre al lettore un ritratto libri e musica 239 variopinto dell’artista e del suo mondo. Nonostante l’ampiezza dei materiali presi in esame, esso rimane sempre comprensibile e piacevolmente leggibile». Giovandosi di venti anni di ricerca musicologica, in buona parte dedicata a Hasse (dalle voci sui drammi in musica redatte nel 1996 per il Dizionario dell’opera Baldini & Castoldi, ai contributi sulle feste teatrali, il rapporto del compositore con l’Arcadia e il confronto tra i suoi intermezzi e quelli di Pergolesi, passando per la monograia del 2004 e quella del 2007, dal titolo L’autunno del Metastasio. Gli ultimi drammi in musica di Johann Adolf Hasse, ino agli studi su stile, aria col da capo e concezione dell’opera seria), Mellace ofre un quadro dettagliato di un compositore forse estraneo al modo di sentire più in voga oggi, ma non per questo privo di fascino e che merita di essere studiato, eseguito e ascoltato. Simone Caputo barbara sparti, Dance, dancers and dance masters in Renaissance and Baroque Italy, ed. Gloria Giordano and Alessandro Pontremoli, Bologna, Massimiliano Piretti, 2015, pp. 501; ill. b/n. isbn 9788864760414 he opening essay in Dance, dancers and dance-masters in Renaissance and Baroque Italy, a newly-edited collection of seventeen essays by Barbara Sparti (1932– 2013), takes the reader to iteenth-century Ferrara and the dances performed by and for the Este women: Isabella, her sister Beatrice, and her sister-in-law Lucretia Borgia. What emerges is a complex tale of women as students, dancers, patrons, and competitors; we meet their dancing masters, and gain extraordinary new insights into the narrative dances that have long been neglected in the study of early modern musical theater. he essay also reminded me of a more recent Ferrarese experience; I had the pleasure of accompanying Barbara to Ferrara in June 2011 to see her reconstruction of Leone Tolosa’s Martel d’amore (1580), discovered by Kathryn Bosi (see Recercare xvii, 2005, pp. 5–70). I watched as Barbara the dance historian and practitioner brilliantly coached the dancers and musicians, infusing them with her seemingly boundless energy, and accompanied Barbara, the dance scholar with the eye of art historian, on an unforgettable visit to the Palazzo Schifanoia, where she brought the Este brides to life for me. It was also during that period that Barbara had begun work on assembling and revising the essays that are published in this collection, edited by Gloria Giordano and Alessandro Pontremoli, copyedited by Bonnie Blackburn and published posthumously with the support of her children Donatella and Davide Sparti. he result is an astonishing artistic and intellectual legacy, one that demonstrates the full range of Sparti’s brilliance and the depth of her contributions to the study of Italian dance history from the iteenth through the seventeenth centuries.