XXVIII/1-2 2016
LIM
Recercare
xxviii/1-2 2016
Recercare
Rivista per lo studio e la pratica della musica antica
Journal for the study and practice of early music
Organo della / Journal of the
Fondazione Italiana per la Musica Antica
direttore / editor
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Ugo Giani
issn 1120-5741
isbn 978-88-7096-899-6
Recercare xxviii/1-2 2016
Alfonso Colella
Musica profana a Napoli agli inizi del Cinquecento:
i villancicos della Cuestión de amor
5
Jefrey Levenberg
Worth the price of the Musurgia universalis: Athanasius Kircher on
the secret of the “metabolic style”
43
John Whenham
he Messa a quattro voci et salmi (1650)
and Monteverdi’s Venetian church music
89
Paolo Alberto Rismondo
Giovanni Rovetta, «uno spirito quasi divino,
tutto lume in nere et acute note espresso»
121
Eleonora Simi Bonini – Arnaldo Morelli
Gli inventari dei «libri di musica»
di Giovan Battista Vulpio (1705–1706).
Nuova luce sulla «original Stradella collection»
175
4
Interventi
Francesco Zimei
Ars nova disvelata.
Sulla restituzione digitale del palinsesto San Lorenzo 2211
alla luce di due studi recentemente pubblicati
217
Libri e Musica: raffaele mellace, Johann Adolf Hasse (S. Caputo);
barbara sparti, Dance, dancers and dance masters in Renaissance and
Baroque Italy (W. Heller); roberto lasagni, L’arte tipograica in Parma
(F. Dallasta)
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Sommari
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Summaries
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Gli autori
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Contributors
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Informazioni per gli autori
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Information for Authors
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Libri e musica
raffaele mellace, Johann Adolf Hasse, neubearbeitete Ausgabe. Aus dem Italienischen übersetzt von Juliane Riepe, Beeskow, Ortus Musikverlag, 2016, pp. vi, 457; ill. b/n
e colore; ess. mus. (Ortus studien, 16)
isbn 9783937788401
Johann Adolf Hasse appartiene a quella categoria di compositori che dopo la
morte sono stati quasi del tutto dimenticati. Per lungo tempo la sua musica è stata di rado inserita nei programmi dei teatri d’opera o delle sale da concerto, e al
contempo poco considerata da musicisti, pubblico e persino studiosi, forse perché
Hasse apparteneva a quella generazione di compositori, compresa fra Bach e Händel da un lato e i classici viennesi dall’altro, che, a diferenza delle successive, ha goduto in generale di minor fortuna. Il dato è sorprendente se si considera che Hasse,
al suo tempo, era considerato una personalità di prima grandezza, appartenendo al
novero dei grandi maestri famosi in tutta Europa. L’interesse per il compositore e la
sua produzione si è ridestato negli ultimi decenni del secolo scorso ed è iorito col
nuovo: segnali di questa tendenza si possono considerare le edizioni ilologicamente accurate delle musiche (pubblicate dalla Carus di Stoccarda) e la ripresa di opere
e feste teatrali (nel 2005, ad esempio, Cleoide alla Semperoper di Dresda, città in
cui nel 1731 ebbe luogo la prima, nel 2012 Didone abbandonata alla Opéra royal di
Versailles e Artaserse al Festival della Valle d’Itria, e ancora nel 2014 Marc’Antonio
e Cleopatra al Palazzo Labia di Venezia). Ai primi importanti studi musicologici
apparsi negli anni Settanta, si è aggiunto un numero sempre crescente di contributi
su diversi aspetti della vita e dell’opera del compositore; tra questi la monograia di
Rafaele Mellace, che nel 2004 (Palermo, L’Epos) afrontava meritoriamente l’intera igura e produzione di Hasse. Scopo della pubblicazione era colmare un vuoto —
l’assenza di trattazioni onnicomprensive —, avvicinando tanto il musicista, quanto
l’appassionato e il musicologo alle realizzazioni artistiche di un compositore che
visse quasi per intero il diciottesimo secolo e che produsse contributi per la maggior parte dei generi del tempo. Hasse tracciò un ponte tra le culture come pochi
altri: fu cosmopolita in un secolo di cosmopolitismo e proprio per questa ragione
fu guardato a lungo dai posteri, prigionieri di un eccessivo nazionalismo, con uno
sguardo diidente. Il cosmopolitismo di Hasse non fu solo astratto e teorico, poiché il compositore, anche in condizioni non sempre confortevoli, non smise mai
nel corso della vita di attraversare l’Europa.
A dieci anni dall’edizione italiana del libro, prendendo atto della felice e fertile
ioritura degli studi su Hasse, Mellace ha rimesso mano al lavoro, aggiornando la
precedente ricerca e pubblicandola nella terra natia e nella lingua del «caro Sassone», nome col quale Hasse fu noto in quella che si potrebbe deinire la seconda
patria: l’Italia. L’autore ha mantenuto l’impostazione concettuale e la struttura della
versione italiana, introducendo però i risultati della ricerca degli ultimi dieci anni,
in modo tale che il libro potesse esprimere lo stato della letteratura di riferimento al
2015. Chi prenderà la versione originale per fare un confronto, non troverà nell’e-
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libri e musica
dizione tedesca — precisa lo stesso autore — «nessun mutamento sostanziale, ma
costaterà che è stato ainato e concentrato lo sguardo su tanti punti speciici».
La prima parte del libro è dedicata alla biograia. Mellace orienta l’attenzione
su alcuni momenti fondamentali della vita del compositore e sulle città in cui si
svolse l’attività creativa, descrivendo in maniera coincisa ma dettagliata i luoghi in
cui egli soggiornò e analizzando i contesti e le relazioni (tra scena artistica e musicale, tra uomini e istituzioni) che caratterizzarono la sua vita. Anzitutto è descritta
Amburgo, sul cui sfondo fra il 1715 e il 1720 si pongono le prime realizzazioni musicali di Hasse, quindi la corte del Braunschweig, inine l’Italia e Napoli, passando
per Venezia, Bologna, Firenze, Roma. Nella città partenopea, come allievo di Alessandro Scarlatti, Hasse visse una trasformazione radicale: da iglio di un organista
protestante del nord della Germania, dopo essersi convertito al cattolicesimo, egli
divenne uno dei principali sostenitori del moderno stile dell’opera per musica italiana. Negli anni Trenta Hasse fu a Venezia, all’epoca tra i più importanti centri
produttivi di teatro musicale, dove costruì una riconosciuta fama di compositore di
drammi. Inoltre, durante il soggiorno lagunare conobbe e sposò la cantante Faustina Bordoni, igura importante non solo nella sfera privata, ma anche per la carriera
d’artista. Un ampio capitolo della prima parte si occupa del periodo in cui Hasse fu
Kapellmeister a Dresda (1734–1763). La capitale della Sassonia, durante la reggenza
di Augusto ii (1694–1733) e di suo iglio Augusto iii (1733–1763), entrambi prìncipi
di Sassonia e re di Polonia, fu uno dei massimi centri culturali d’Europa, luogo di
attrazione e di incontro per architetti, pittori, letterati e musicisti provenienti da
ogni paese. La Hokapelle era l’istituzione al centro della vita musicale della città: dotata di oltre 40 musicisti essa vantava una delle migliori compagini musicali
d’Europa. Inoltre Dresda annoverava il più grande teatro d’opera della Germania,
capace di accogliere un gran numero di spettatori. Nella città sassone Hasse realizzò
musiche per le più importanti festività religiose, compose opere nuove, riprese vecchi lavori e contribuì a incrementare le qualità di cantanti e orchestrali. Gli accordi
che regolavano l’impiego del compositore includevano periodi di vacanza durante
le assenze del re: Hasse utilizzò tali occasioni per adempiere commissioni estere e
compiere lunghi viaggi (in Italia, per assistere alle realizzazioni delle sue opere, ma
anche a Parigi, Berlino e Vienna). Non a caso Mellace dedica un intero capitolo
alla decennale collaborazione coi diversi teatri della penisola italiana, in particolar
modo con quelli veneziani e col San Carlo di Napoli (nei soli anni Quaranta furono
eseguite nuove opere a Venezia, quali la Semiramide riconosciuta e Demofoonte, e
riprese altre a Napoli, come il dramma per musica Lucio Papirio e la festa teatrale
L’asilo d’Amore). Con la ine della Guerra dei sette anni (1756–1763) e la morte del
principale benefattore, Augusto iii, al quale il compositore dedicò il Requiem in Do
maggiore, Hasse si stabilì a Vienna, residenza imperiale degli Asburgo — dinastia
cui fu legato per lunga parte della carriera — e dimora di Metastasio. Al periodo
viennese risalgono diversi lavori; tra questi, le feste teatrali Egeria, Partenope e Piramo e Tisbe, numerose cantate, oratori e musica sacra (particolare fortuna ebbero
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le Litaniae lauretanae in Sol maggiore). Trascorse gli ultimi anni di vita a Venezia,
dove morì il 16 dicembre 1803.
Alla sezione dedicata alla biograia, segue quella, altrettanto ampia, che afronta
le opere di Hasse per la scena. Mellace presenta i drammi per musica raggruppandoli in base alle tappe biograiche illustrate nella prima parte: le informazioni in
precedenza accennate sono ampliate, completate e precisate. Analizzando difusamente o parzialmente quei singoli lavori che furono vissuti all’epoca come modelli
esemplari, l’autore ricostruisce una sorta di ossatura fondamentale del corpo delle
opere di Hasse, idealmente costituita da Artaserse (1730), Cleoide (1731), Didone
abbandonata (1742/43), Attilio Regolo (1750), Achille in Sciro (1759), Il Trionfo di
Clelia (1762) e Ruggiero (1771). In questo percorso s’inserisce un capitolo dedicato
al rapporto fra Hasse e Metastasio: i due dominarono il panorama del dramma
per musica europeo per un cinquantennio, da Artaserse, andato in scena nel febbraio 1730 a Venezia (Teatro di San Giovanni Grisostomo), a Ruggiero, spettacolo
dell’ottobre 1771 (Milano, Teatro Ducale) col quale la coppia d’artisti di congedò dai
palcoscenici. Mellace non si limita a ofrire un’attenta ricostruzione storica della
genesi e delle rappresentazioni dei drammi: sofermandosi sulle speciiche caratteristiche formali delle opere, fornisce al lettore elementi utili per comprendere lo
stile peculiare del compositore e le ragioni del suo successo. Anzitutto leggerezza e
grazia del proilo melodico, unite a un’economia dei mezzi espressivi, sono indicate come tratti caratteristici dei lavori per la scena, contraddistinti inoltre da compiutezza compositiva e attenzione alle abilità vocali degli interpreti. Peculiare fu,
inoltre, in Hasse la costruzione formale delle arie, veicoli per la rappresentazione di
afetti universali: dopo aver a lungo prediletto quelle ‘col da capo’, il compositore
si distaccò sempre più spesso da questa forma, ricercando nuove soluzioni. Oltre
a lavorare con cantanti di primo ordine, egli poté contare a lungo su una delle
migliori orchestre del tempo: la Dresdner Hokapelle. Anche a ciò si deve l’ampio
ricorso a strumenti concertanti o obbligati nelle arie, funzionali a mettere in risalto
le capacità virtuosistiche degli esecutori: tale espediente stilistico, tipico della produzione per la città sassone, divenne col tempo frequente anche nei lavori destinati
ad altri luoghi. Non secondaria fu l’attenzione che Hasse riservò a drammaturgia e
scena. Strategica, ad esempio, è generalmente la disposizione delle arie all’interno
del piano complessivo del dramma: Hasse è alla continua ricerca di un equilibrio
tra ingresso in scena dei caratteri più signiicativi, tipologie di arie da utilizzare e
peso dei corrispondenti afetti nella deinizione dello sviluppo drammaturgico. Rilevanti apparati scenici, centinaia di comparse e fastosi costumi rendevano, inoltre,
la fruizione visiva delle opera composte per Dresda un’esperienza unica. Accanto ai
drammi per musica, Mellace mette in risalto l’importanza di intermezzi, serenate,
azioni e feste teatrali nel percorso creativo di Hasse, dedicandovi speciici capitoli.
Il compositore frequentò questa costellazione di generi celebrativi realizzando lavori, diversi per dimensioni, in ognuna delle tappe fondamentali della sua vicenda
professionale. Intento dell’autore non è solo quello di evidenziare una produzione
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libri e musica
destinata a rendere omaggio i potenti di turno, ma di sottolinearne il valore cruciale
storico-culturale, in quanto rilesso di quella intricata trama di relazioni dinastiche
che si dipanò nell’Europa dell’Ancien régime, attraverso mutevoli alleanze e l’evoluzione dei rapporti tra Asburgo e Borbone ino alla frattura della Guerra dei sette
anni e oltre.
La sezione centrale del volume indaga una parte importante della produzione
del compositore: le cantate secolari (circa novanta). L’impianto formale di base di
questi lavori, simile a quello dei drammi per musica, è fondato sull’alternarsi di arie
e recitativi; a cambiare considerevolmente sono però le dimensioni: Hasse realizza
piccoli gioielli di un teatro immaginario, che vede spesso al centro il conlitto tra
due opposti afetti. La lessibilità formale e tematica del genere (si va dall’Aurora,
che consta solo di un recitativo e di un’aria, alla Danza che prevede quattro recitativi, altrettante arie e un duetto) consente ad Hasse di sperimentare soluzioni
sempre nuove, anche da un punto di vista vocale e strumentale: dalla voce solista
accompagnata dal basso continuo, a quella sostenuta da uno strumento solista in
funzione concertante, all’uso di più solisti con l’accompagnamento dell’orchestra.
Segue la quarta parte, dedicata alla musica sacra: nel corso della carriera Hasse intonò antifone mariane, cantate sacre, inni, litanie, messe, mottetti, oratori e
salmi. Gran parte di queste opere furono realizzate per due istituzioni: l’Ospedale
degli Incurabili di Venezia e la corte di Dresda, dove ad Hasse toccava il privilegio
di scrivere per le occasioni più importanti, mentre altri compositori provvedevano alle musiche per il calendario liturgico ordinario. Per la corte sassone compose
grandi oratori in stile concertante, dal linguaggio moderno mutuato dai drammi in
musica: Le virtù appiè della croce (1737), Giuseppe riconosciuto (1741), I pellegrini al
sepolcro di Nostro Signore (1742), La deposizione dalla croce di Gesù Cristo Salvador
Nostro (1744), La conversione di Sant’Agostino (1750). Oltre alle composizioni per
Venezia e Dresda vanno segnalati i due oratori che risuonarono a Vienna nel 1772
e nel 1774, Sant’Elena al Calvario e Il cantico de’ tre fanciulli, entrambi versioni rielaborate di lavori scritti per Dresda, e le ultime messe dalle qualità formali e dalle
capacità espressive vicine al classicismo viennese.
Ultima parte è quella che esamina le musiche da camera e i concerti: Mellace
getta uno sguardo attento su brani legati allo stile galante (soprattutto a due e a tre,
molti scritti per lauto) che, pur avendo trovato fortuna editoriale a Londra, Parigi
e Amsterdam, furono marginali nell’attività creativa del compositore.
Chiude il libro l’ampia sezione che comprende il catalogo delle opere, l’elenco
delle edizioni moderne e la bibliograia: tali apparati sono stati riveduti, rinnovati
e ampliati rispetto alla pubblicazione del 2004, fornendo al lettori strumenti ricchi
e aggiornati utili per muoversi nell’opera del compositore e nei contributi musicologici ad essa dedicati.
In conclusione, non si può che confermare il giudizio espresso da Zenon Mojzysz
nella critica all’edizione italiana (Il Saggiatore musicale, xiii/1, 2006): «elegante nel
linguaggio, ricco di informazioni e fedele ai fatti, il libro ofre al lettore un ritratto
libri e musica
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variopinto dell’artista e del suo mondo. Nonostante l’ampiezza dei materiali presi
in esame, esso rimane sempre comprensibile e piacevolmente leggibile». Giovandosi di venti anni di ricerca musicologica, in buona parte dedicata a Hasse (dalle
voci sui drammi in musica redatte nel 1996 per il Dizionario dell’opera Baldini &
Castoldi, ai contributi sulle feste teatrali, il rapporto del compositore con l’Arcadia
e il confronto tra i suoi intermezzi e quelli di Pergolesi, passando per la monograia
del 2004 e quella del 2007, dal titolo L’autunno del Metastasio. Gli ultimi drammi in
musica di Johann Adolf Hasse, ino agli studi su stile, aria col da capo e concezione
dell’opera seria), Mellace ofre un quadro dettagliato di un compositore forse estraneo al modo di sentire più in voga oggi, ma non per questo privo di fascino e che
merita di essere studiato, eseguito e ascoltato.
Simone Caputo
barbara sparti, Dance, dancers and dance masters in Renaissance and Baroque Italy,
ed. Gloria Giordano and Alessandro Pontremoli, Bologna, Massimiliano Piretti, 2015,
pp. 501; ill. b/n.
isbn 9788864760414
he opening essay in Dance, dancers and dance-masters in Renaissance and Baroque Italy, a newly-edited collection of seventeen essays by Barbara Sparti (1932–
2013), takes the reader to iteenth-century Ferrara and the dances performed by
and for the Este women: Isabella, her sister Beatrice, and her sister-in-law Lucretia
Borgia. What emerges is a complex tale of women as students, dancers, patrons,
and competitors; we meet their dancing masters, and gain extraordinary new insights into the narrative dances that have long been neglected in the study of early
modern musical theater. he essay also reminded me of a more recent Ferrarese experience; I had the pleasure of accompanying Barbara to Ferrara in June 2011 to see
her reconstruction of Leone Tolosa’s Martel d’amore (1580), discovered by Kathryn
Bosi (see Recercare xvii, 2005, pp. 5–70). I watched as Barbara the dance historian
and practitioner brilliantly coached the dancers and musicians, infusing them with
her seemingly boundless energy, and accompanied Barbara, the dance scholar with
the eye of art historian, on an unforgettable visit to the Palazzo Schifanoia, where
she brought the Este brides to life for me. It was also during that period that Barbara had begun work on assembling and revising the essays that are published in this
collection, edited by Gloria Giordano and Alessandro Pontremoli, copyedited by
Bonnie Blackburn and published posthumously with the support of her children
Donatella and Davide Sparti. he result is an astonishing artistic and intellectual
legacy, one that demonstrates the full range of Sparti’s brilliance and the depth of
her contributions to the study of Italian dance history from the iteenth through
the seventeenth centuries.